GALERE GENOVESI: Cosa si mangiava a bordo?
GALERE GENOVESI
COSA SI MANGIAVA A BORDO?
Galea trireme. Bastimento sottile, di circa 50 metri di lunghezza, largo circa 7, con due metri di pescaggio
Siamo nel XV° secolo su di una galera genovese non da guerra, del tutto paragonabile alle altre simili, battenti bandiere di altri Stati. Il nome di questa imbarcazione diventò, ed è tutt’ora, sinonimo di prigione. A bordo c’erano un Capitano, due Gentiluomini di poppa rappresentanti l’Armatore o chi ci aveva messo i soldi, uno scrivano, tre Sottufficiali ( i còmiti), un Pilota, un Chirurgo, un Aguzzino che sapeva ben usare lo staffilo, undici marinai per le vele, trenta marinai per le funzioni più varie, quattro addetti alla manutenzione, e duecentosessanta rematori ai ferri, la così detta “ciurma”.
Questa era composta da un 20/28 per cento di schiavi, 35/45% da forzati colpevoli di gravi reati e costì condannati e da un 30/50 % da buonavoglia, disperati che per una misera paga si assoggettavano volontariamente a quella vita d’inferno. Queste imbarcazioni navigavano da Marzo ad Ottobre e solo di giorno perché di notte doveva ridossarsi per dormire e ricaricare le derrate e l’acqua consumate durante il giorno. Barche non adatte a tenere il mare (avevano chiglia piatta) sottocoperta avevano sei gavoni così utilizzati: uno leggermente sopraelevato di poppa per il Capitano ed i Gentiluomini. Subito accanto lo “scandolaro” per contenere le armi, gli assi e i teloni da rapidamente montare per riparare dalle improvvise piogge i vogatori, poi la dispensa (detta “compagna”), il pagliolo, la camera di mezzo ed in fine il gavone per le vele. I sottufficiali e gli altri membri “liberi” dell’equipaggio si arrangiavano a dormire dove potevano;
i galeotti restavano in catene e sonnecchiavano sul posto “di lavoro”. Il ponte era tagliato in mezzeria da un camminamento che divideva per il lungo i due banchi dei rematori e su di esso camminava l’aguzzino; al centro il fogon per preparare il rancio, rigorosamente una volta al giorno all’imbrunire. I maligni dicono per non far veder cosa si mangiava.
Già, ma cosa si mangiava?
Gli unici ad avere pasti quasi normali erano il Comandante e i Gentiluomini, il restante equipaggio poteva contare su di un po’ di baccalà condito con un filo d’olio, a volte pasta o riso e un po’ di carne conservata essicata e una razione di vino.
Ai rematori invece era riservato un po’ di “biscotto” le classiche gallette sia nei periodi di voga estivi che quando, d’inverno, erano rinchiusi nella loro galera. Venivano sbriciolate a formare una specie di puré; due volte al mese una minestra di fave, riso e olio e nelle solennità religiose, se non costretti a digiunare secondo il dettato di Santa Romana Chiesa per una specifica ricorrenza, una libbra di carne (300 gr circa) ed un boccale di vino (73 cl); spesso e volentieri, per nascondere il puzzo di “rancido” delle derrate mal conservate (da cui il nome “rancio”) veniva spruzzato con aceto. Questo a Genova.
Il “menù” della Marineria Pontificia invece prevedeva 850 gr di gallette e, tre volte alla settimana, una minestra che veniva però eliminata d’estate. I Veneziani passavano 650 gr di gallette, 4 tazze di vino di “onesta misura”e una scodella di minestra; quattro volte alla settimana 240 gr di carne e tre volte 160 gr di formaggio. Il Mercoledì ed il Venerdì 2 sardelle.
Più parca la Marineria Toscana dava 500 gr di gallette e una minestra di cavoli, rape e fave mentre, solo nelle solennità annuali, era prevista della carne fresca pari a 340 gr a testa, oltre a ½ litro di vino. Le fave saranno rimpiazzate poi dai fagioli portati da Colombo con il vantaggio di essere meno flatulenti e più nutritivi.
Nei momenti in cui era richiesto il massimo sforzo ai remi, è documentato che a volte erano costretti a remare anche per 24 ore consecutive, venivano imboccati dagli aguzzini. Recenti ricerche hanno rivelato che ai rematori, nei momenti sopra descritti, quando ne il vino ne le scudisciate riuscivano a garantire il ritmo infernale imposto, venivano ammannite dosi di hashish, con funzione di sovra alimentatore, un po’ come oggi fanno i turbo nei nostri motori.
E’ stato calcolato che le 3000/4000 calorie ingerite avrebbero potuto essere sufficienti se fossero state dispensate regolarmente. In realtà lo zelo maniacale dei Comandanti a far rispettare i digiuni prescritti dalla pratica religiosa, lo documentano i diari di bordo, era applicato con una meticolosità che è difficile oggi stabilire se per profonda fede o non piuttosto come scusa per risparmiare a proprio favore il <non speso>, rendeva la vita di quei poveri disgraziati, se possibile, ancor più grama.
Durante i turni massacranti ai remi, sotto i colpi delle sferze degli aguzzini, le bestemmie se le potevano permettere solo i vogatori delle galere che battessero bandiera di Stati non cattolici, perché per questi ultimi vigeva la norma << Chi biastamerà Dio over la sua Madre, et Santi et Sante, sel sarà huomo da remo sia frustato da poppa a prua; sel sarà huomo da poppa, dieba pagar soldi cento>>
Forse è per reazione a questo forzato silenzio repressivo del proprio sentire che i liberi marinai di Genova, una volta abolite le galere, poterono contare su di un particolare contratto di lavoro articolato su due diverse paghe che essi stessi potevano scegliere al momento dell’ingaggio per l’imbarco: paga più elevata se si rinunciava, durante il lavoro, al “mugugno” oppure paga sensibilmente più modesta ma con il diritto a “mugugnare”.
I genovesi preferivano, in genere, questa seconda. E poi non vogliamo sentirci dire che un po’ strani lo siamo.
Renzo BAGNASCO
Foto a cura del webmaster Carlo GATTI
Rapallo, 19 Aprile 2014
Chi é il PILOTA portuale?
CONFERENZA CASERMA TELECOMUNICAZIONI
CHI E' IL PILOTA PORTUALE?
CHIAVARI 9 Ottobre 2010
Titolo Convegno: L’UOMO E IL MARE
Presentazione dei Relatori
Oggi ci addentriamo nei meandri del Porto di Genova e le nostre “guide” sono due uomini di mare che oltre ad aver esercitato il Comando a bordo di navi della Marina Mercantile, hanno conseguito specializzazioni in altre importanti attività collaterali, Oggi, questi signori continuano ad onorare il MARE con grande impegno dedicando il loro tempo alla ricerca storica: quella Storia scritta insieme da uomini e navi.
LETTURA CURRICULUM RELATORI
Breve biografia di Ernani Andreatta
Nato nel 1935 a Chiavari nel rione Scogli, il comandante Ernani Andreatta è considerato un figlio d’arte che proviene, per parte di madre, dai Costruttori Navali Gotuzzo, che vararono a Chiavari, proprio nel Rione Scogli, oltre 120 velieri oceanici. La stirpe paterna era di origine Veneta. Il padre Ernani, di cui ereditò il nome, fu un pluridecorato Ufficiale della Marina Militare come sommergibilista durante la Prima guerra mondiale e, in seguito, ebbe il Comando di grandi navi passeggeri del Lloyd Triestino.
Dopo essersi diplomato a Camogli, il comandante Ernani (jr) Andreatta ha conseguito, dopo il corso all’Accademia Navale di Livorno, il grado di Sottotenente di Vascello. Nella Marina Mercantile ha raggiunto il comando su navi mercantili a soli 29 anni. Dopo aver lasciato il mare, si è dedicato ad altre attività imprenditoriali nel campo della chimica navale. In gioventù è stato più volte campione Italiano di nuoto. Ha fondato a Chiavari il MUSEO MARINARO TOMMASINO ANDREATTA che recentemente ha trovato sede definitiva alla Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari del quale è Direttore e Curatore.
Il Comandante Andreatta è tuttora membro di numerose Fondazioni e Associazioni: PANATHLON, UNUCI (Ufficiali in Congedo) ANMI (Marinai d’Italia), SOCIETA’ CAPITANI E MACCHINISTI DI CAMOGLI, AIDMEN (Associazione Italiana di Documentazione Marittima e Navale) e della Società ECONOMICA di Chiavari. E’ fondatore di altre Associazioni tra le quali il ROTARY Club Chiavari Tigullio del quale è stato presidente nel 91-92, ASTROFILI ARCTURUS (studio del movimento degli astri), degli “AMICI DEL MARE E DEGLI SCOGLI” e Associazione Culturale “IL SESTANTE” (studio dell’astronomia), non ultimo è fondatore assieme agli amici Com.te CARLO GATTI ed EMILIO CARTA dell’Associazione "MARE NOSTRUM” che ha sede a Rapallo, o altre, come la “gustosa” Accademia dello Stoccafisso e del Baccalà intitolata a Rinaldo Zerega. Si ritiene un modesto storico della marineria locale, per hobby e non per professione, avendo operato un consistente salvataggio di oltre 200 anni di storia nel settore della marineria del Tigullio. Ha scritto libri sulla marineria Chiavarese e Ligure: - “CHIAVARI MARINARA DALL’EPOCA EROICA DELLA VELA – STORIA DEL RIONE SCOGLI” - “MEMORIE DAL MARE” del peso di 6,5 kg. – ci tiene a dirlo, forse presuntuosamente, ma non troppo, che sono un po’ la “bibbia” della Marineria locale ma non solo.
Breve biografia di Carlo Gatti
Il com.te CARLO GATTI è nato a Rapallo il 3.6.1940. Diplomato all’Ist. Nautico di Camogli. Ha esercitato il Comando per OTTO anni con la Soc. RR. di Genova, in due settori: Portuale-d’Altura: 98 rimorchi d’altura, operato sette disincagli e numerose azioni di salvataggio e antincendio di cui citiamo i principali: Karadeniz - Anna Costa - London Valour – Haven - Monica Russotti. Nel gennaio 1975 ha vinto il concorso di “Pilota del Porto di Genova”, esercitando la professione fino al pensionamento.
Al momento del ritiro Carlo Gatti ha diretto circa 30.000 manovre. Decisivi sono stati i suoi studi per la realizzazione della Torre di Controllo del Traffico Portuale genovese.
Dal 1985 è impegnato in attività di storico e fotografo navale, curatore di Mostre storico-marinare nazionali-internazionali (Roma, Rapallo, Camogli, Genova). Ha collaborato con il quotidiano Il NUOVO LEVANTE, e oggi del riviste mensili RAPALLO NOTIZIE, PENISOLA, IL MARE. C.G. é stato Vicepresidente e Presidente della Società Capitani e Macchinisti Navali di CAMOGLI. Carlo Gatti è autore dei seguenti libri:
“Quelli del Torregrande” - “Genova, Storie di Navi e Salvataggi”
“Quelli del Vortice” - “Con le Barcacce nel Cuore”
“25 Anni di Nuoto Masters” – “I Giustizieri di Narvik”
Coautore con Emilio Carta e Maurizio Brescia di dieci pubblicazioni di MARE NOSTRUM edite a Rapallo.
GATTI (35 anni di manovre portuali) apre la conferenza con qualche informativa
SUL PORTO DI GENOVA
IL PORTO DI GENOVA - UNA ENCLAVE NELLA CITTA’
Il porto di Genova costituisce il ramo industriale più importante della Regione Liguria.
Il Porto di Genova ha una Doppia Autorità:
Autorità Marittima: Capitaneria di Porto-Guardia Costiera che rappresenta lo Stato e sovrintende alla Sicurezza delle Navi e della Navigazione, emette bandi di concorso ed esami professionali per l’esercizio di tutte le attività pubbliche e private che si svolgono in Porto. Promulga Atti amministrativi: decreti, ordinanze, regolamenti e altri Atti che sarebbe lungo elencare.
Autorità Portuale: Regola la produzione, la pianificazione e lo sviluppo, regola licenze, gare, cura-ambiente. Delle Navi in porto: programma gli arrivi, partenze e movimenti. Promulga: Leggi, Decreti, Ordinanze, Regolamenti. Regola il settore del Turismo, passeggeri e da diporto. Il presidente della A.P. è un civile, i capi sezione provengono dalla Capitaneria.
Il Porto di Genova si estende ininterrottamente per 20 chilometri lungo una fascia costiera, che si sviluppa dal bacino del Porto Antico, in corrispondenza del centro storico della città, fino al suo estremo di ponente: circa sette milioni di metri quadrati. 13 Terminal raccordati. Ha circa 150 ormeggi commerciali. Una nave a Genova trova tutto ciò di cui ha bisogno: Bacini di carenaggio, Officine per riparazioni, Cantieri navali, Rifornitori Marittimi di ogni tipo.
Vista Aerea del Porto Vecchio e Porto Nuovo
Vista Aerea del Porto Vecchio
“Conte Rosso” Militari in partenza da Ponte dei Mille
Il Porto è un Teatro dinamico che cambia scenario in continuazione. Gli Attori sono le navi di ogni tipo che entrano, escono e si muovono al suo interno sotto la regia della Autorità Portuale. Il Porto diventa Operativo tramite i suoi SERVIZI: i PILOTI, direttori e coordinatori delle manovre, i RIMORCHIATORI, indispensabili per la sicurezza e la velocità della manovra, e gli ORMEGGIATORI per il collegamento dei cavi Bordo-Banchina.
Ma va subito precisato che queste “antiche” professioni non si apprendono sui libri, né sui banchi di Scuola o nelle Accademie, ma attraverso la tradizione che si tramanda oralmente e praticamente, di generazione in generazione. La MANOVRA PORTUALE s’impara con il superamento di severi “banchi di prova”, perchè i maestri sono e devono essere inflessibili in quanto il porto di Genova è ritenuto, a ragione, tra i più difficili per una nave che vi deve attraccare, operare e partire.
A Genova non vi sono maree e neppure le nebbie come a Venezia o nel Nord Europa, ma c’è il vento che scivola dalle sue colline a 30/40 nodi, si chiama Tramontana, e ci vogliono anni di mestiere per conoscerlo e farselo amico. Ma il Porto è aperto anche al Libeccio, e la storia di questo vento di traversia è piena d’incidenti, tragedie, affondamenti che portano la sua firma.
DIALOGO TRA DUE COMANDANTI:
Ernani ANDREATTA - Carlo GATTI
Carlo GATTI
Una delle domande che spesso ci viene rivolta è la seguente:
“Le navi moderne e super-tecnologiche che i media ci mostrano ogni giorno, sono autosufficienti ed in grado di operare in modo indipendente. Perchè allora esistono i Servizi Portuali (Pilotaggio, Rimorchio, Ormeggiatori)?”
Nessuno, meglio di un Comandante può rispondere a questa domanda.
Ernani ANDREATTA
Il Comandante si trova sempre a suo agio quando naviga in mare aperto, ma quando atterra con la sua nave, gli spazi si restringono e il traffico aumenta, preferisce affidarsi al servizio di pilotaggio che diventa, per ragioni di sicurezza, obbligatorio sui Fiumi, nei Porti, in molti Stretti, ed in quei tratti di mare pericolosi per la nebbia, secche e traffico come il N. Europa, La Manica, N. America, Singapore, Messina, ecc... In ognuna di quelle zone si trova il Sea-Pilot, River-Pilot e Harbour-Pilot (il pilota portuale di cui ci occupiamo oggi), laddove la manovra rappresenta la fase finale del viaggio, la più complessa, perché si svolge in spazi sempre più ristretti dentro i quali si muovono altre navi che, a volte, trasportano carichi importanti e a volte pericolosi.
Come ex-Comandante di petroliere, posso dire che, quando arrivavo in una rada e vedevo la Pilotina venirmi incontro, provavo ogni volta un senso di sollievo. Il Pilota è un aiuto pratico, ma anche psicologico, perchè egli conosce a capisce al volo i problemi della nave e del suo Comandante, con il quale parla la stessa lingua: La Seaspeak (la lingua del Mare). Spesso, il Pilota è anche l’unico amico che un Comandante può trovare in un porto, perchè gli altri “personaggi” che si muovono sulle banchine, non dico che ti vogliono “fregare”, ma spesso ci provano e con loro non puoi sentirti rilassato come quando lavori con il Pilota.
Devo tuttavia precisare che Il Comandante è, e rimane lui soltanto il RESPONSABILE della nave, nessuno può togliergli il Comando ottenuto dalle Autorità del suo Paese, ma l’aiuto del PILOTA è indispensabile, specialmente quando si deve entrare in un grande porto come quello di Genova, afflitto dal Gigantismo Navale, dagli spazi sempre più ristretti e dal traffico sempre in crescita.
La dinamica è questa: la nave imbarca il Pilota e, con l’impiego dei SERVIZI Portuali, dopo un’ora è già OPERATIVA IN BANCHINA.
Citiamo un esempio: se non esistesse il S. di Pilotaggio, il Comandante della nave dovrebbe dare fondo l’ancora in rada, mettere la lancia in mare, andare a terra, studiare l’ormeggio, le correnti, il vento, prendere accordi vari e, ad essere ottimisti, perderebbe una mattinata.....
E. ANDREATTA
Oggi abbiamo l’occasione d’avere qui con noi un Pilota (in pensione), e gli giro subito la domanda. Chi è il Pilota portuale?
C. GATTI
Lo scrittore J. Conrad, uomo di mare, ha definito il pilota come “trustworthiness personified”, ovvero l’attendibilità in persona: questo deve essere l’ideale di ogni pilota.
E’ un lavoro che non si può imparare affidandosi solo a libri di testo attuali, ma si tratta piuttosto di un mestiere le cui fondamenta sono state gettate nella notte dei tempi, cui hanno attinto generazioni e generazioni di Piloti. Un’arte che si evolve, cresce e cambia aggiornandosi di anno in anno, ma i cui antichi principi formativi restano tuttora validi e tramandati.
Chi è il Pilota Portuale?
Questo interrogativo non solo incuriosisce le migliaia di turisti dell’entroterra quando si affacciano dalle murate dei traghetti per filmare l’arrampicata dell’omino che viene da terra, ma la domanda turba anche molti abitanti della costa che spesso confondono il ruolo del pilota con il comandante della nave, del rimorchiatore, oppure con il timoniere di bordo, ma anche con l’ufficiale di guardia sul ponte di comando.
Del Pilota portuale e dei suoi compensi in sicli, ne parla la Bibbia a proposito dei viaggi compiuti verso le miniere del Re Salomone. Il Porto di Roma (Ostia, porto di Claudio e poi di Traiano) aveva i Proreta e i Gubernator. Per la verità, questo personaggio è rimasto sempre un po’ chiuso nella sua antica leggenda di esperto marinaio, dalla quale non è mai completamente uscito per integrarsi con la gente di terra, tra la quale opera quotidianamente. I personaggi che sono confusi con il Pilota del porto, appartengono, di fatto, ad antichi Servizi ben distinti e gelosi ognuno della propria identità e tradizione di corpo.
Il Pilota dirige la manovra e coordina gli altri Servizi:
- I Rimorchiatori sono necessari alla nave che deve essere girata.
- Gli Ormeggiatori prendono i cavi della nave (all’arrivo) e li portano in banchina. Alla Partenza mollano i cavi da terra.
E. ANDREATTA
Come si diventa Pilota?
Occorre studiare almeno un anno per preparare le varie materie d’esame perchè nel Corpo Piloti si entra per “Concorso Statale”. Occorre essere in possesso di determinati requisiti e aver superato accuratissime “visite mediche”. Chi vince il concorso, è nominato Allievo-Pilota e impara il “mestiere” lavorando insieme ai Piloti Effettivi. Dopo un anno di SCUOLA-Pratica di manovra, l’Allievo Pilota, dopo aver superato un secondo esame orale e pratico e viene nominato Pilota Effettivo dal Direttore Marittimo. I Piloti sono sottoposti a numerosi controll da parte della Capitaneria di Porto.
a) Controllo disciplinare
b) Controllo tecnico (Efficienza Torre Controllo-Pilotine-Personale).
c) Controllo gerarchico: nomina il Capo Pilota, il Sottocapo, il Pilota, opera il controllo finanziario (fatture, bilancio, contabilità).
Il Corpo piloti è composto da soci-piloti che chiudono, per legge, ogni mese, la contabilità. Ad ogni nave pilotata viene applicata la tariffa di pilotaggio in base alla sua Stazza Lorda. Dal fatturato lordo mensile, vengono tolte le spese di tutte le utenze, affitti (tre sedi), canoni, stipendi di 20 persone: impiegati, timonieri, addetti alla manutenzione, pulizie, cuoco ecc.. Gli introiti al netto vengono divisi tra i Piloti Effettivi e, logicamente, la cifra varia ogni mese, perchè dipende dal traffico navale approdato e smaltito in porto. In pratica, il Corpo Piloti è una Impresa, e come tale corre i suoi “rischi” e può essere prospera, oppure, al contrario, può essere commissariata e fallire. Le Tariffe di Pilotaggio vengono concordate a livello nazionale tra L’Associazione degli Armatori (Confitarma) e la Federazione Piloti Italiani.
A memoria d’uomo, non si ricorda un solo sciopero attuato dai Piloti.
1938 – 13 Piloti stanno uscendo per 13 navi in arrivo
50 anni dopo - Paolo Zerbini-RAI-TV intervista l'autore
Daniela Bianchi- “Linea Blu” sulla Torre P. con l'autore
PILOTI E BISCAGLINE
Sequenza Fotografica
La prima realtà che i “Piloti Effettivi” insegnano agli Allievi:
“Fai attenzione: Salire e scendere dalle navi è la cosa più difficile. Tutto il resto col tempo diventa routine!”
Lì per lì era difficile capirlo! Ma avevano ragione! E presto avremmo capito che scendere dalla biscaglina era ancora più difficile che salire.
Nel mio periodo di servizio, almeno 7 piloti sono caduti in mare Per pura informazione, vorrei solo aggiungere che, statistiche alla mano, i Piloti portuali di tutto il mondo, sono soggetti all’infarto del miocardio e, purtroppo, dalle ultime rilevazioni, pare che i dati siano tuttora in salita.
In questo senso il tributo pagato dai piloti del porto di Genova è stato molto alto, anche tra i giovani piloti.
L’Arte della manovra, come tutte le grandi tradizioni marinare, si tramanda, allora come oggi, solo oralmente, con un impercettibile e sussurrante passaparola! Ma pensate che strano! Non tutti i piloti sono disposti a far manovrare l’Allievo Pilota... così come non tutti i comandanti dei rimorchiatori sono disposti ad insegnare e trasmettere i segreti ai giovani comandanti. In pratica, oggi come nel passato, occorre in qualche modo “rubare il mestiere”.
Le caratteristiche più apprezzate in un pilota sono: la conoscenza delle lingue straniere, dovrebbe essere un buon diplomatico ed anche un uomo di cultura che porta sul ponte di comando i commenti e le novità internazionali del giorno. Il Pilota gode di un prestigio personale presso gli Armatori, le Agenzie di navigazione, le Autorità del porto e della città. Il Pilota è una specie d’ambasciatore che riceve la nave straniera in anteprima e stabilisce con il suo equipaggio, i primi rapporti d’amicizia, talvolta anche di contrasti. Ma il Pilota è anche l’ultimo a salutare la nave quando esce dal Porto. Il Pilota è soprattutto una persona d’esperienza, in spagnolo il Pilota si chiama “Pratico”.
Dopo qualche anno d’esperienza, quando il Pilota sale a bordo di una nave, anche se fosse cieco, distinguerebbe la nazionalità dall’odore dell’equipaggio, degli interni della nave, dalle vibrazioni del motore, capirebbe tutto ciò che gli serve per la manovra. Ogni razza, ogni bandiera, appartiene ad una scala di valori di marineria, il Pilota lo sa e sa come regolare l’abbrivo, il numero dei rimorchiatori ecc...
Un Pilota di Fine ‘800 (Cap. Bozzo di Camogli)
Pilota con “Cappello di Paglia”, bagaglio e pilotina a remi
E.Andreatta
Un Pilota sta per sbarcare da un veliero
50 Anni dopo i Piloti usano ancora le biscagline?
La sequenza fotografica (foto C.Gatti) che vi proponiamo, rappresenta le classiche fasi d’abbordaggio di una nave da parte del Pilota (Com.te Giovanni Lettich) con tempo buono. Quando la pilotina compie 4/5 metri d’escursione in altezza e poi precipita, a causa del moto ondoso, il Pilota deve fare appello a tutto il suo coraggio, alla sua condizione atletica, ed all’amore per il suo lavoro.
DAI CUTTER DEI SECOLI PASSATI ALLE MODERNE PILOTINE
Per secoli i veloci e manovrieri CUTTER sono stati impiegati per mettere i Piloti a bordo sulle navi
Agli inizi del ‘900, nel Porto di Genova le Pilotine erano simili ai rimorchiatori. Notare la scritta Pilota.
Questa Pilotina ha lavorato come titolare fino a tutti gli anni ’60, come riserva fino a tutti gli anni ‘70
Anni ’80-’90. Le pilotine “Tritone” e “Pegaso, 30 nodi di velocità. Due veri campioni con tutti i tempi (foto Carlo Gatti)
DALLA PILOTINA ALL’USO DELL’ELICOTTERO
(foto John Gatti)
I grandi porti sull’Atlantico resterebbero chiusi a lungo senza l’uso dell’elicottero
DALLA TORRE DEI GRECI DEL 1500 ALLA MODERNA TORRE DI CONTROLLO
Uno strumento che risale all’antichità più remota
Le gallerie pittoriche degli artisti di marina, che precedono l’avvento della macchina fotografica, ci raccontano già nei dettagli che i piloti portuali per secoli hanno esercitato gli avvistamenti dei velieri dall’alto dei celebri fari marittimi. Il fatto in se stesso non è neppure tanto sorprendente, giacché risponde ad una logica astronomica legata alla curvatura terrestre.
Il ruolo del pilota-farista ed esattore delle tariffe relative alle prestazioni effettuate, nonché ormeggiatore e tuttofare, scandì per secoli questa complessa attività che, soltanto con la rivoluzione industriale e quindi con la razionalizzazione dei servizi, prese una sua specifica connotazione.
Con questa premessa, verrebbe spontaneo pensare ad una prima sistemazione dei Piloti genovesi presso la Torre dei Greci, sulla punta del Molo Vecchio del porto della Genova medievale.
Lo specchio portuale in un dettaglio della veduta dipinta da Cristoforo Grassi nel 1597, copia di opera più antica assegnata al 1481 ca. Notare, in basso a sinistra, il Faro di Loggetta dei Greci. (Genova, Civico Museo Navale)
Al contrario, ogni dubbio è fugato da questa importante fotografia, risalente al 1879, che illustra la postazione dei Piloti arroccata sulla nobile e celebre Porta Siberia, svettante sul Molo Vecchio, in posizione avanzata rispetto alle strutture portuali di allora.
La prima Sede conosciuta dei Piloti di Genova. Erano due camerette costruite sul terrazzo della Porta del Molo (Porta Siberia) alla fine del 1879. Notare la scritta PILOTA a destra in alto.
Nel 1901, infatti, il Capo Pilota Pietro Pescetto si rivolgeva nuovamente al Comandante del Porto di Genova affinché gli concedesse la facoltà di costruire “un casotto” sul Molo Giano “pel pilota di guardia durante la notte onde i vapori stranieri in arrivo, massime quelli provenienti dalla parte di levante, come i postali germanici e olandesi, possano in tempo essere avvistati”.
Il permesso questa volta fu concesso e la “Torretta” venne costruita a circa 160 metri dalla testata del Molo Giano.
La nuova Torre, costruita nel 1913.
La nuova Torre, costruita nel 1913. Il C.Pilota Pescetto, con farfalla, bombetta e mani sui fianchi, in una foto un po’ asimmetrica per la verità del 1916. La costruzione in secondo piano era la Stazione d’arrivo, con annesso ristorante, della Tolfer, una ferrovia monorotaia che collegava il Molo Vecchio al Giano durante la Fiera del 191
Nell’agosto del 1928 il C.A.P approva il progetto di una costruenda sede per i piloti in testata al Molo Giano. La costruzione misura metri 8,50x6,50 è fiancheggiata da una torre scalare a sezione ottagonale, ha quattro piani con un terrazzo praticabile.
La nuova torretta fu presa in consegna dai piloti nel 1931. Dovette essere veramente un avvenimento straordinario perché i piloti avevano finalmente una sede degna di questo nome…..”
Cerimonia Ufficiale in occasione del trasferimento della Madonna di Città dall’Oratorio di S.Antonio della Marina alla testata del Molo Giano, il 20 Giugno 1937
Questa Torretta dei Piloti crollò due volte sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale e fu ricostruita nel 1947, nella stessa posizione e con le stesse caratteristiche. Tuttavia, nell’ultimo trentennio, la gloriosa costruzione fu letteralmente “accecata” della presenza del mastodontico Superbacino galleggiante, posizionato proprio sulla visuale dell’imboccatura di levante e perse inesorabilmente la sua principale funzionalità.
Molo Giano – La “Torretta”, ricostruita dopo gli eventi bellici, nel 1947
La Torre di Controllo del Porto di Genova vista dalla Tall Ships
(foto C.Gatti)
“SIMON BOLIVAR”
La nuova Torre funziona dal 1997 e costituisce anche la nuova sede dei Piloti. A destra, la vecchia Torretta dismessa.
E.ANDREATTA
Il Traffico Navale di un grande Porto moderno è molto complesso. Esistono QUATTRO imboccature con QUATTRO piste d’atterraggio. Due disposte per EST-OVEST, due per NORD-SUD e, se vogliamo essere precisi, c’è un quinto ormeggio in mezzo al mare, davanti al Porto di Multedo: la Discharging Oil Platform per l’ormeggio e discarica delle grandi petroliere.Come viene gestito il “traffico contemporaneo” in entrata, in uscita, in movimento interno?
C.GATTI
Ogni nave in arrivo vorrebbe entrare subito in porto per ovvi motivi economici. Così come una nave con le Spedizioni a bordo, vorrebbe subito partire. Una nave ferma in rada o in porto non produce alcuna risorsa economica, ma soltanto costi e tasse. L’efficacia del sistema di pilotaggio è data, soprattutto, dalla mancanza di un diretto legame tra il pilota e l’attività commerciale della nave. In questo modo le sue decisioni non sono influenzate da richieste specifiche dettate da interessi economici che potrebbero varcare i limiti imposti dalla sicurezza. Tali confini sono molto variabili, in quanto tengono conto di numerosi fattori. Tra questi possiamo citare le caratteristiche della nave, il pescaggio, le condizioni metereologiche, le difficoltà dell’ormeggio, il tipo di propulsore, la potenza, lo spazio d’arresto, il numero di RR che impiega, il traffico in corso ecc.
PROIEZIONE FOTO - TRAFFICO CONTEMPORANEO
Commento: "Concentrazione di arrivi". In questa foto parziale si possono contare 6/7 navi in arrivo quasi contemporaneo. Nella realtà sono una decina. “Numerosi Traghetti dirigono verso l’imboccatura del porto. Dalla Torre di Controllo il Pilota preposto al coordinamento del traffico, regola le entrate e le uscite, disponendo per un corretto e sicuro atterraggio. Un adeguato numero di piloti si prepara ad imbarcare.” (foto C.Gatti)
“Incrocio in avamporto” (foto C.Gatti)
"Evoluzioni sincronizzate di due navi in avamporto"(foto C.Gatti)
Commento: Il lavoro del pilota alla direzione del traffico, in sinergia con quello svolto dai colleghi a bordo delle navi, permette di ottimizzare i tempi, regolando gli incontri e le evoluzioni alla ricerca dell’equilibrio perfetto tra sicurezza e velocità.
"Porto vecchio" – Navi che entrano ed escono
"Entrate e uscite" (foto John Gatti)
Un imprevisto ha reso lo spazio di manovra appena sufficiente
Petroliera in spazi ristretti (foto J.Gatti)
Manovre di precisione (foto C. Gatti)
Commento: I monti alle spalle del porto di Genova impediscono la costruzione di nuove aree per lo stoccaggio delle merci. Si cerca di rubare spazio al mare tombando calate ed allungando banchine. Naturale conseguenza di queste azioni è la manovra di navi sempre più grandi in spazi più stretti.
Il mare agitato, il forte vento e le correnti sono gli elementi che condizionano maggiormente il lavoro del pilota, rendendo l’esperienza e l’abilità i fattori decisivi per il suo svolgimento in sicurezza.
Una forte libecciata rende pericolosissimi gli imbarchi e molto delicate le manovre (foto J.Gatti)
La nave appoggio americana, riportata in questa sequenza fotografica, fu disormeggiata in emergenza. Con il suo carico di combustibile costituiva un grosso pericolo per se stessa, per il porto, per la città. Una volta doppiato il fanaletto rosso della diga si mette alla cappa: prua al mare a lento moto aspettando il ritorno di un tempo più maneggevole.
Navi in entrata e nave in uscita”. Notare la pilotina in attesa dello sbarco del pilota.
(foto John Gatti)
Oltre alle difficoltà oggettive della manovra, vi sono numerosi altri fattori che influenzano l’attività portuale in genere. Abbiamo visto come gli spazi non siano più adeguati alle dimensioni delle navi; aggiungiamo che anche i bassi fondali sono ormai un’importante limitazione, che spesso contribuisce a ridurre i vantaggi derivanti da una maggiore potenza dei motori e dall’adozione delle eliche trasversali. E’ stata evidenziata la crescita del traffico in determinate fasce orarie; restano ancora da elencare i pericoli derivanti dalla presenza sempre più massiccia di porticcioli turistici, costruiti all’interno di grossi porti commerciali o addirittura petroliferi. Di conseguenza, al traffico domenicale nelle ore di punta, và aggiunta la temibile presenza di numerose imbarcazioni da diporto, che vagano nelle zone di transito delle navi, creando, talvolta, situazioni realmente pericolose.
E.ANDREATTA
LA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA HAOLTRE 15 ANNI. Il Sistema è collaudato: siete soddisfatti?
Il Pilota controllore del Traffico!
La nuova e la vecchi Torre di Controllo dei Piloti (foto C. Gatti)
C.GATTI
Dal 1997 esiste nel Porto di Genova uno strumento per il quale mi sono battuto, personalmente, per circa dieci anni: LA TORRE DI CONTROLLO alta 55 metri, inizialmente si chiamava Torre dei Piloti, ma ora ospita tutti i Servizi su tre piani. Vista circolare, controllo tramite circuiti TV per ogni banchina del porto, due radar, molte radio e strumentazione d’avanguardia che esiste nelle Torri di Controllo degli Aeroporti.
La Nave prevista in arrivo già da 24 ore, viene presa in consegna (via VHF) dal Pilota di turno in Torre che la guida durante l’atterraggio informandola, ovviamente, di tutti i dati tecnici che il comandante richiede: dati meteo, ragguagli sull’ormeggio, sul traffico previsto, sulla posizione eventuale d’attesa, d’ancoraggio ecc...
E. ANDREATTA
Puoi approfondire il significato e l’utilizzo di questa struttura tanto imponente, quanto necessaria e, tutto sommato, molto interessante? Perchè mi sembra di capire che, con la nuova Torre di Controllo è nata una nuova specializzazione.
C. GATTI
La Direzione del Traffico Navale costituisce materia assai delicata anche per i più esperti rappresentanti dello shipping marittimo navigante che in seguito hanno ottenuto la licenza di pilotaggio. Si tratta in definitiva di acquisire una nuova specializzazione per svolgere il pilotaggio di una o più navi a distanza. L’obiettivo da raggiungere è rappresentato da una formula: “Snellire il traffico in sicurezza”.
La formazione di detto personale non è stata ancora regolamentata da una normativa internazionale, tuttavia, gli Stati con maggiore tradizione marinara richiedono da tempo, per questa attività, standards elevatissimi di cultura navale a base universitaria, unita all’esperienza acquisita nella condotta della navigazione e della manovra.
In Pratica, Il pilota di turno sulla Torre di Controllo deve gestire il TRAFFICO COMPLESSIVO in tutta l’Area Portuale, e solo lui può farlo perchè conosce i problemi e le difficoltà di ogni nave per averla già pilotata: per esempio se è motonave oppure turbina, gli spazi che le occorrono per fermarsi, se è manovriera oppure no, se ha premura perchè ha le mani chiamate oppure no. Se, e come dare precedenze ai Traghetti, Navi Passeggeri ecc...
Ci sono piloti che preferiscono pilotare la nave a bordo, cioè in modo tradizionale, piuttosto che prendere decisioni a volte difficili (specialmente sulle precedenze) sulla T.C.
Con la Torre di Controllo, la Direzione del Traffico sfrutta e razionalizza al massimo le risorse disponibili. Come dicevi prima! Il Porto ha quattro imboccature, quattro piste d’atterraggio e di decollo per un flusso di navi in costante crescita e tutte malate di stress.
Il porto è essenzialmente un grande supermercato, ossia il centro di smistamento delle ricchezze prodotte dalle nazioni. Nel suo ambito, i prodotti commerciali cambiano il loro mezzo di trasporto e prendono le più svariate direzioni geografiche.
Intorno alla “velocità di circolazione” di questi beni – vero e proprio valore aggiunto – nasce, infatti, la competizione tra i grandi sistemi portuali.
Il Tempo è denaro
Questo ormai logoro motto sintetizza, ora più che mai, la “formula economica” che caratterizza il ritmo vertiginoso della produzione industriale ed il suo relativo commercio internazionale.
Da questa prospettiva, il fattore tempo rappresenta il parametro più indicativo, ed è facile immaginare il deprezzamento che può subire qualsiasi tipo di merce che rimanga stivata a bordo di una nave, o che ristagni improduttiva in rada, in banchina, o all’interno degli appositi magazzini, come abbiamo già detto riferendoci solo alla nave.
Gli effetti più immediati sono: la perdita di competitività sul mercato, e quindi di valore.
La presenza effettiva di moderne strutture, infrastrutture e sovrastrutture all’interno ed all’esterno di un ambito portuale, quantifica la sua portata operativa, mentre la modernità che caratterizza la sua organizzazione e la diversificata tecnica degli impianti, misura la sua efficienza.
Portata ed efficienza consentono, tuttavia, l’introduzione di un ulteriore parametro: la capacità di smaltimento del traffico in un dato periodo di tempo. Questo parametro è già in uso da molto tempo nei più trafficati Aeroporti civili del mondo.
A rendere significativo questo elemento contribuiscono, sia la tecnologia avanzata, meglio nota con il nome di telematica, sia il fattore umano legato alla professionalità del personale.
L’insieme di questi fattori qualifica, in definitiva, l’importanza commerciale di un porto ed influisce, come una qualsiasi offerta di servizio, sulle scelte dell’utenza, tutt’altro che insensibile, naturalmente, anche ai costi d’esercizio.
GENESI DI UNA MODERNA TORRE DI CONTROLLO
Nel primo dopoguerra, su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico, i vincitori del conflitto, disponendo del giusto entusiasmo e di notevoli mezzi finanziari, poterono realizzare, a dire il vero con occhio lungo, la costruzione d’imponenti Torri di controllo per gli atterraggi navali.
Gli Anglo-Americani non fecero un gran sforzo di fantasia, ma capirono, già d’allora, la necessità di adottare la stessa filosofia funzionale, sperimentata dall’Aviazione militare e civile. Le nuove Torri di Controllo nacquero quindi con l’obiettivo strategico di realizzare una moderna regolazione dei crescenti flussi navali da e per l’Europa, in quel tempo affamata ed interamente da ricostruire e rilanciare.
Già dai primi anni ’80 chi vi parla, per ragioni familiari e per pura curiosità professionale, aveva visitato, fotografato e studiato le Torri di Controllo dei principali porti del Nord Europa. Le relazioni tecniche che ne seguirono, ottennero l’effetto di sensibilizzare le Autorità competenti del Porto di Genova sul gap tecnologico che vedeva i Piloti genovesi confinati ai margini della più avanzata portualità internazionale.
Dal punto di vista dei Piloti, il seme di un’avveniristica Torre di Controllo era stato gettato. Passò qualche anno e la ripresa dei traffici aumentò di pari passo con la stabilità politica e l’organizzazione amministrativa del Porto.
Torre di Controllo dei Piloti del Porto di Genova
1996
La serie fotografica dell'autore, che segue, mostra le fasi “salienti” della sua costruzione
Si gettano le basi
Gettate le fondamenta, la nuova Torre comincia a salire
Abbiamo appositamente affiancato queste due foto per evidenziare l’angolo dello stesso porticciolo dei Piloti dove ha iniziato a salire la Torre di Controllo del traffico.
Montaggio dei moduli abitativi (Servizi, Uffici e Cabine)
La Torre di Controllo dei Piloti è terminata
Dall’alto dei suoi 55 metri, dal 1997 simboleggia il fiore all’occhiello, nonché l’anello strutturale e tecnologico che pone il Porto di Genova tra gli empori più importanti del mondo.
La T.C. rappresenta, nella realtà portuale moderna, la cabina di regia, il cervello operativo, il punto di contatto di tutti i soggetti presenti nel sistema, che intendono effettuare operazioni commerciali.
La T.C. è pertanto lo strumento che, in ultima analisi, dà il via alle varie fasi operative, determina il ritmo produttivo del porto, razionalizza l’impiego dei servizi, elimina i tempi d’attesa, velocizza la rotazione dei vettori in uscita ed in entrata, disciplina le direttive, le molteplici informative ed infine stabilizza e regola l’intera movimentazione navale sulla base di un unico e affidabile concetto di sicurezza.
Dall’abilità dei suoi operatori, nel coordinare e snellire i flussi navali, utilizzando al meglio le risorse disponibili in un dato momento, si può comprendere, ora, il significato della “capacità di smaltimento del traffico” di cui si è accennato all’inizio.
PILOTI IN AZIONE
di John Gatti
"Il Pilota procede per l'imbarco"
L’azione combinata tra la Torre di Controllo ed i Piloti a bordo di navi in movimento, garantisce il miglior compromesso tra velocità, intesa come risparmio di tempo, e sicurezza, non inquinata da interessi personali: è sempre privilegiata l’azione dinamica più agile e sicura a vantaggio di tutti.
Queste foto illustrano alcuni momenti dell’attività di pilotaggio, focalizzando in modo particolare gli aspetti relativi all’intensità del traffico ed alla sua fluidificazione. Si cerca di raffigurare, per quanto possibile, alcuni aspetti poco conosciuti al di fuori dell’ambiente marittimo. Ci si riferisce alle manovre di navi petroliere o portacontenitori in acque ristrette, ad esempio, oppure alle condizioni in cui si opera durante le frequenti tramontanate o libecciate.
Le immagini, quindi, mostreranno la ristrettezza delle aree e dei passaggi. Alcune foto di navi nel “tempo cattivo”, inoltre, renderanno facilmente intuibile la presenza del pilota, anche se non evidenziata fisicamente.
“Il Pilota é imbarcato”
E. ANDREATTA
Hai detto in precedenza che l’infarto è la malattia professionale dei Piloti e che alcuni piloti finiscono addirittura in mare. So anche che tu sei andato in pensione, con due anni d’anticipo, per un incidente. Puoi raccontare soltanto un episodio per capire meglio come può accadere?
Gli attimi che intercorrono nel trasbordo pilotina/nave sono particolarmente delicati. Purtroppo non vi sono fotografie che mostrano queste azioni compiute in condizione di mare agitato o scattate nel momento in cui si fronteggia un imprevisto; per cercare di aprire una finestra che possa mostrare un punto di vista più realistico, narrerò un episodio, accaduto alcuni anni fa ad un pilota, durante la delicata fase d’imbarco.
Inverno 1996. Tarda mattinata. Un vento teso da Sud Est alza onde di qualche metro che la pilotina fende con tranquillità. Una grossa nave portacontenitori, la Gulf Spirit, procede verso il punto dove il comandante G. Moreschi. La chiusura della giacca, l’accensione del VHF portatile, i guanti, il berretto: mentre il pilota completa le operazioni di routine, la pilotina accosta avvicinandosi alla nave sul lato a ridosso. La portacontenitori scarica, mostra una fiancata particolarmente alta. A metà biscaglina un’apertura consente l’entrata a scafo.
La pilotina si affianca in velocità, il comandante Moreschi è già sulle griselle, pronto per il trasbordo. Spinto velocemente verso l’alto da un’onda, il motoscafo raggiunge la cresta e si ferma per un attimo, permettendo al pilota di passare velocemente da una scaletta all’altra. La pilotina ricade, assecondando i movimenti del mare, mentre il comandante Moreschi s’impegna in un’arrampicata veloce per levarsi dal pericolo dell’imbarcazione che risale, sfilando velocemente lungo la fiancata.
A questo punto l’imprevisto: una rollata porta la biscaglina ad immergersi e una bitta del motoscafo l’aggancia, tirandosela dietro. Ignaro di quanto accaduto il pilotino aumenta la velocità. E’ un attimo! la biscaglina si allarga dalla fiancata catapultando il comandante al di là dell’ imbarcazione stessa.
L’acqua fredda lo accoglie, ma nonostante tutto resta tranquillo, almeno fino a quando non si rende conto che la grossa elica, uscendo a tratti dall’acqua per effetto del beccheggio, lo sta risucchiando inesorabilmente. Cerca di aggrapparsi allo scafo in tutti i modi. Inutilmente. Dopo alcuni interminabili secondi scompare sott’acqua. L’impotenza fa crescere il panico mentre avverte distintamente le falciate delle pale e le vibrazioni del motore. Lo salva l’ufficiale di guardia alla biscaglina trasmettendo, con il VHF portatile, l’allarme al ponte di comando. La macchina viene fermata appena in tempo. Il comandante Moreschi ha continuato l’avventura subacquea finendo tra l’elica ed il timone, riuscendo a respirare nei momenti in cui la trappola affiorava tra le onde. Dopo alcuni minuti si riesce a sfilare, riemergendo dal lato opposto miracolosamente illeso.
Il comandante G. Moreschi durante una manovra (foto C.Gatti)
Questa è soltanto una tra le disavventure che purtroppo accadono di tanto in tanto. Diversi piloti sono caduti in mare; qualcuno si è rotto le gambe, qualcun altro una spalla. Uno addirittura, rimanendo schiacciato tra la pilotina e lo scafo di una nave, si è spezzato le ossa di tutte e due gli avambracci.
(Riferimento al pilota G.Oddera compagno d’Accademia di E.Andreatta)
Occorre pazienza per aspettare il momento giusto e concentrazione per non sbagliare l’azione dinamica. La notevole abilità dei pilotini alla guida dei motoscafi è decisiva. Consente, infatti, di ridurre al minimo i rischi che nel corso degli anni inevitabilmente si corrono.
Nelle giornate di cattivo tempo l’avventura comincia con l’imbarco e prosegue con il susseguirsi di manovre in spazi spesso molto ristretti, mentre si cerca di controllare la nave tra il vento e la corrente.
Libecciata
La sequenza illustra l’avvicinamento della pilotina alla carboniera “Formosa Trident.”
Un pilota durante lo sbarco
Passaggio dalla biscaglina alle griselle della Pilotina
(foto J.Gatti)
Scalate con tempo buono (Foto C.Gatti)
L’esperienza, l’abilità e l’esecuzione in sicurezza della manovra navale sono la sintesi dell’arte marinara, il compendio delle qualità di un buon pilota. Un mestiere difficile e lento da apprendere, la cui formazione avviene soprattutto per esperienza. Si acquisisce giorno per giorno, manovrando beni preziosi in mezzo ad altri beni preziosi, implicando, di volta in volta, numerose vite umane: tutte appartenenti a categorie diverse, che insieme contribuiscono al regolare svolgimento del carosello portuale. Troviamo coinvolti i rimorchiatori, che temono le smacchinate ed i cambiamenti improvvisi di manovra; gli ormeggiatori, costretti ad operare nei punti dove il rischio è maggiore: lavorano vicino alle eliche delle navi, dove il pericolo di rovesciare i loro battelli è sempre presente, oppure a contatto di cavi che per errore o fatalità si possono spezzare con estrema facilità. Anche gli equipaggi, che rappresentano l’anello di giunzione tra il porto e la nave, sono partecipi sia delle operazioni che dei rischi. Vi sono poi le gru, le altre navi, le banchine, il traffico minore, ecc.
ESEMPI DI GIGANTISMO NAVALE
Gigantismo del 1954 (A.Doria e C.Colombo)
Gigantismo degli Anni ’70 (Michelangelo e Raffaello)
Il Gigantismo del Nuovo Millennio
Nave passeggeri di ultima generazione in uscita dal Porto
ORMEGGIO DI UNA SUPERPETROLIERA ALL’ISOLA DI MULTEDO
(Oil Discharging Platform)
Una “Agip” a Genova
Allibo di Petroliere giganti
Il Pilota A. Cavallini é sbarcato da una Portaelicotteri USA a Genova
MANOVRE PARTICOLARI
LE IMMAGINI CHE SEGUONO SI RIFERISCONO ALL’ENTRATA
DELLA TALL SHIP “SIMON BOLIVAR”
(foto C.Gatti)
Giancarlo Cerutti: un pilota nella Storia
La Haven Brucia
I rimorchiatori in lotta contro il fuoco
La Haven Affonda
C.Gatti in servizio nel giorno dell’affondamento della Haven
La ciminiera del relitto della petroliera Haven sul fondale di Arenzano
Ecco come si presenta oggi Il Ponte di Comando della Haven
Un sub pinneggia dietro il ponte di Comando
I Comandanti ANDREATTA (RAI) E GATTI (Pilota Cerruti) leggono la seguente intervista che ebbe luogo in TV dopo l’affondamento della HAVEN
RAI: - Torniamo a quei drammatici momenti e ci ritorniamo con il comandante Giancarlo Cerutti, pilota del Porto di Genova, che fu il primo ad arrivare con la pilotina sul luogo dell’esplosione e riuscì a salvare molti naufraghi tra le fiamme.
- “Comandante Cerutti, come ricorda quei momenti?”
- Pilota: “Io ero in servizio al Porto Petroli di Multedo. Alle 12.35 ho captato in VHF il segnale MAY-DAY (segnale di pericolo e bisogno di soccorso) da parte di una nave e subito dopo il messaggio in chiaro: “I have fire on board” (ho un incendio a bordo).
- RAI: “ C’era stato un incendio prima dell’esplosione a bordo?”
- Pilota: “Noi alle 12.35 abbiamo captato questo segnale ed un attimo dopo ho chiesto il nome della nave. Il Comandante mi ha detto il nome della nave:
“ HAVEN “
E mi ha ripetuto: “I have fire on board”.
Con il timoniere sig. Elvio Parodi siamo subito partiti con la pilotina a tutta forza verso la rada”.
- RAI: “Quanto tempo ci avete impiegato?”
- Pilota: “Quindici minuti. Alle 12.50 eravamo sottobordo”.
- RAI: “Che cosa avete visto?”
- Pilota: “C’era un enorme incendio a prora e dei focolai d’incendio sotto il ponte di comando a poppa. Il ponte di coperta, al centro, sembrava indenne, nonostante fosse spazzato dal vento di tramontana e quindi da lingue di fuoco.”
- RAI: “Lei ha visto i naufraghi gettarsi in mare?”
- Pilota: “No. Quando noi siamo arrivati sottobordo alla “Haven”, in mare non c’era nessuno. Parlavo via radio con il Comandante che era probabilmente sul ponte di comando della nave e mi aveva richiesto l’invio di elicotteri per salvare l’equipaggio.
Allora io mi sono messo in contatto con la Direzione del Porto Petroli di Multedo e con l’Autorità Marittima. Loro hanno provveduto. Io avevo anche consigliato di far venire gli elicotteri della Marina Militare dalla base di Luni”.
- RAI: “Ma poi non c’è stato il tempo?”
- Pilota: “Si. Poi sono arrivati. Però abbiamo costatato che se gli elicotteri fossero già stati in zona, non avrebbero potuto lavorare al di sopra della nave perché ormai l’incendio era troppo vasto e lavorare in hovering significava far bruciare gli elicotteri. Allora ho consigliato al Comandante di ammainare le lance di salvataggio ed erano le 12.51. Poi d’accordo con il timoniere abbiamo fatto il giro intorno alla nave, alla ricerca di eventuali naufraghi, ma in quel momento in mare non c’era nessuno.
Alle 12.53, mentre ero in contatto radio con il Comandante, c’è stata una tremenda ESPLOSIONE.
Ci è parso che la nave si fosse spaccata in due. In un attimo pezzi di lamiera incandescente furono scagliate come palle di fuoco, con traiettorie orizzontali e velocissime, a pochi metri dalla pilotina.
Da quel momento non sono più riuscito a parlare con il Comandante.
La nave era stata avvolta da una nuvola di fumo da prora a poppa”.
- RAI :“ I marinai si sono buttati in mare?”
- Pilota: “Con la pilotina ci siamo diretti verso la poppa della nave”.
- RAI: “C’era già il crude-oil in mare?”
- Pilota: “Soltanto dopo l’esplosione a prora è fuoriuscito il prodotto incendian-
dosi in mare. Noi siamo andati a poppa perché abbiamo supposto che l’equipaggio, per salvarsi, si sarebbe tuffato in mare da poppa. Infatti siamo riusciti a raccoglierne diciotto. Purtroppo, tre li abbiamo visti bruciare a cinque metri dalla pilotina. Tra noi e loro c’era un muro di fuoco. La nostra pilotina stava quasi affondando sotto il peso di 20 persone. I 18 naufraghi erano feriti e sotto shock.
Purtroppo non c’è stato niente da fare”.
- RAI: “Il Comandante, lei non lo ha più sentito?”
- Pilota: “No! Il Comandante non l’ho più sentito. Probabilmente è morto quando c’è stata l’esplosione e la comunicazione radio (VHF) si è interrotta”.
- RAI: “Ringraziamo il comandante Cerutti per questa rievocazione che ci ha
Riportato a quei momenti veramente drammatici per la nostra città”.
A seguito di questi fatti fu concessa la:
MEDAGLIA D’ORO AL “VALORE DI MARINA”
Al Pilota Giancarlo Cerutti
Al timoniere Elvio Parodi
Con molto piacere riporto qui di seguito il commento del Comandante Nunzio Catena che, con il suo linguaggio “marinaro”, mi riporta agli anni della mia giovinezza... ed é musica per le mie orecchie! Lo ringrazio per i suoi apprezzamenti verso la categoria dei Piloti che per lunga tradizione ha fatto sempre “corpo unico” con gli amici Comandanti nella consapevolezza che loro, e solo loro debbono sopportare il peso della ‘spedizione navale’. La manovra é il momento più delicato del viaggio, quando gli spazi si restringono ed il traffico rende difficile l’approaching in banchina. E’ in questa fase delicata che Comandante e Pilota, unendo le loro esperienze, compiono operazioni sempre più difficili in tempi di manovra sempre più brevi. TIME IS MONEY. Questo é lo slogan urlato dai terrestri dietro gli SCAGNI portuali, ma Piloti e Comandanti sanno più di tutti gli altri operatori cosa sia la SICUREZZA della manovra. Lasciateli lavorare......!
Carlo Gatti
Quando spuntava dal porto la Pilotina, con il suo inconfondibile colore bianco e nero, con la sua "P" e la bandierina "H” era il momento atteso da tutti; il Comandante tirava un sospiro di sollievo, in mezzo al traffico in entrata e in uscita. Ultimo problema, cercare di fare ridosso alla pilotina, specie con mare mosso. L'equipaggio, finalmente in porto e nei paesi civili (già 50 anni fa), il Pilota portava la posta e i giornali con le ultime notizie! Ricordo poi, all'arrivo a Genova, gli occhi puntati sulla Lanterna, perché da lì ci comunicavano a lampi di luce (lampada Aldis, perchè all’epoca non avevamo il VHF). Quante cose vorrei ancora dire, ma é difficile nel poco spazio disponibile. Mi concedo solo due considerazioni:
1) Mi chiedo, chissà se il Com.te Schettino, tra un parrucchiere e l'altro, o tra una lampada, (non Aldis!) e l'altra, ha avuto tempo di leggere o guardare solo le immagini delle difficoltà che incontra il Pilota, solo per salire con la biscaglina a bordo di una nave, e sopratutto scendere con mare mosso, quando, trasformandosi da vero trapezista, aspettando che la pilotina arrivi sulla cresta dell'onda, approfittando dell'istante in cui la barca rolli verso di lui e (forse, raccomandandosi l'anima a Dio) lascia la biscaglina e si lancia sulle ‘griselle’ della pilotina! Bene, la giornata per lui non è finita lì, perchè quel giorno, durante il suo turno, il Pilota, ne farà molte di quelle operazioni! Ora, se si pensa che il Com.te Gatti, relatore della conferenza, questo lavoro lo ha svolto onorevolmente fino alla età della pensione, sembra paradossale che un baldo giovane Comandante (Schettino-n.d.r.) che, giustamente tiene alla propria immagine (anche perchè sarà una delle caratteristiche più importanti nella scelta dei candidati), non sia stato in grado di salire quella biscaglina sul mascone di prora, dove in alcuni tratti era possibile salirla senza l'aiuto delle mani!
2) Per chi, amante del mare, ha avuto la "fortuna", di navigare navi ricostruite da due tronconi di navi affondate a mille miglia di distanza, Liberty, e similari, ed ha ancora potuto assaporare quello che c'era ancora di romantico ed avventuroso in quella vita. Quando a bordo c'erano di sicuro solo la bussola magnetica, sestante e cronometro (radar e giro erano degli optional) e da Allievo Ufficiale i calcoli dovevano essere risolti con le tavole logaritmiche, perchè all'esame per il ‘Patentino’ (dopo 30 mesi di navigazione, ridotti poi a 18), non erano ammesse ‘tavole’ di calcolo diverse. Quando poi, finalmente si ottenne il Comando di una nave ho provato quelle sensazioni che il Com.te Gatti (ottimo scrittore, ma anche buon psicologo), ha descritto su un altro suo articolo, a proposito della simbiosi tra Com.te e la sua nave. Quando per esempio stai arrivando vicino alla banchina, con un po’ d’abbrivo in più, il motore indietro tutta, mentre tutto vibra e rattrappisci le dita dei piedi come se volessi frenare, e Lei ti ubbidisce! È lo stesso rapporto tra il cavaliere ed il suo cavallo in una gara ad ostacoli. Dopo tutto questo, a conclusione di una carriera manca ancora la parte più bella:
La MANOVRA. Capisco perfettamente tutto quello che minuziosamente è descritto come “necessario” per riuscire a fare il Pilota. Ma riuscire a manovrare altre navi con le poche informazioni date dal Com.te (elica destrorsa o sinistrorsa, motore o turbina e poco altro), anche se con l'aiuto di rimorchiatori, eliche trasversali, ecc., è come riuscire a cavalcare, in una gara ad ostacoli, tutti i cavalli che hanno partecipato, come, e forse meglio, dei propri fantini...Per questo li ho sempre invidiati!
Comandante C.l.c. Nunzio Catena
POESIA DEDICATA A MARE NOSTRUM
POESIA DEDICATA A MARE NOSTRUM
MARE NOSTRUM
Non alzo gli occhi al cielo
popolato da corpi celesti
muti e lontani.
Non volto lo sguardo indietro
verso le colline solcate
da sentieri sconosciuti..
Fisso davanti a me il mare, uguale
fino al cerchio del fondo
che mi abbraccia..
Seguo l’onda che porta con sé
tesori del pirata,
balene bianche,
invincibili armate,
caravelle,
pianisti sull’oceano,
forme e colori di pesci..
Tra saperi e sapori di mare
Qui sto con voi,
giovani centenari al timone,
scrittori, giornalisti, ancorati al vostro porto,
lupi di mare dalle mille avventure,
comandanti coraggiosi,
custodi di memorie,
artisti fantasiosi,
donne tenaci, accoglienti come porti sicuri.
Mare Nostrum,
a te va la mia preghiera.
Gabriella VEZZOSI
Rapallo, 10 aprile 2017
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L'OPERAZIONE "GROG"
L’OPERAZIONE “GROG”
Il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, effettuato dalle unità della “Forza H” al comando dell’amm. Somerville: l’interpretazione britannica del “command of the sea” nel Mediterraneo occidentale e le manchevolezze dello strumento aeronavale italiano poche settimane prima di Matapan.
Nel corso della seconda guerra mondiale, il Mar Ligure ha costituito un teatro operativo quasi di secondo piano: infatti, non sono molti gli eventi navali di rilievo che hanno avuto luogo nel Golfo di Genova e nelle acque limitrofe, e – tra il 1940 e il 1943 – le potenzialità industriali e cantieristiche della Liguria ebbero sicuramente preminenza rispetto ad aspetti più propriamente bellici ed operativi.
In realtà, il 14 giugno 1940, dopo soli quattro giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, quattro incrociatori ed undici cacciatorpediniere francesi – usciti da Tolone – erano giunti di sorpresa di fronte alle zone industriali di Savona-Vado e Genova effettuando un breve bombardamento. La pronta reazione delle batterie costiere, dei treni armati della Regia Marina e l’intervento della torpediniera Calatafimi costrinsero al ritiro la squadra francese che, sulla rotta di rientro, fu anche attaccata dai Mas della 13a Squadriglia (1).
L’armistizio tra l’Asse e la Francia, tuttavia, rese le acque liguri molto più tranquille e – nel contempo – la Regia Marina e la Royal Navy furono subito coinvolte nella protezione diretta e indiretta dei propri traffici convogliati, su rotte la cui natura rendeva inevitabile il confronto tra le due flotte nel Canale di Sicilia, nelle acque libiche, nella zona di Malta e nel Mar Ionio (2).
Se allo scontro di Punta Stilo la Regia Marina poteva allineare due sole corazzate (Giulio Cesare e Conte di Cavour), all’inizio dell’autunno del 1940 la squadra da battaglia italiana era forte di sei unità, con il rientro in servizio dell’Andrea Doria e del Caio Duilio successivo a un lungo periodo di lavori di rimodernamento, e la piena operatività delle nuove “35.000” Vittorio Veneto e Littorio.
Il Renown all’ancora a Scapa Flow, all’inizio del 1942. L’incrociatore da battaglia partecipò al bombardamento navale di Genova in questa configurazione di armamento; tuttavia, all’epoca, l’unità era ancora verniciata con il grigio scuro tipo “Home Fleet”, dato che la mimetizzazione fu applicata solamente verso l’estate del 1941, (Foto imperial War Museum)
Questo consistente e omogeneo gruppo di unità maggiori costituiva una notevole fonte di preoccupazione per i vertici della Mediterranean Fleet: fu pertanto pianificato l’attacco contro la base di Taranto nel corso del quale, la notte sul 12 novembre 1940, gli aerosiluranti “Swordfish” della portaerei Illustrious danneggiarono le corazzate Littorio, Duilio e Cavour. I lavori di riparazione del Littorio si svolsero presso l’Arsenale di Taranto, mentre il Duilio – rimesso in condizioni di galleggiabilità ai primi di gennaio 1941 – raggiunse Genova il 28 gennaio venendo subito immesso in bacino per il completamento del raddobbo. Il Cavour, danneggiato molto più gravemente, fu trasferito a Trieste ma – all’atto della proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 – i lavori di ricostruzione erano ancora ben lontani dall’essere terminati (3).
Le tre restanti corazzate efficienti (Veneto, Doria e Cesare) furono dislocate prima a Napoli e poi alla Spezia, per allontanarle dalla minaccia costituita dall’aviazione navale inglese, ma i loro movimenti erano seguiti – sia pure con precisione non assoluta – dalla ricognizione e dai servizi informativi della Marina britannica. Verso la fine di gennaio del 1941, difatti, la Royal Navy riteneva che a Genova si trovassero ai lavori il Littorio e il Cesare; in realtà si trattava invece del Duilio e del Cesare, ma quest’ultimo si trasferì alla Spezia ai primi di febbraio, raggiungendo colà il Veneto e il Doria.
Da qualche tempo, considerati gli ottimi risultati conseguiti nella “Taranto Night”, i Comandi della Royal Navy stavano meditando di realizzare una nuova azione di notevole effetto dimostrativo, oltre che militare, contro un obiettivo costiero italiano.
Nei comandi britannici iniziò quindi a maturare la convinzione che convenisse attaccare un porto nel Tirreno per dare l’impressione alla Regia Marina che neppure le nostre basi nella zona potessero essere ritenute sicure, e la città di Genova fu prescelta come obiettivo di un bombardamento navale per molteplici motivi.
La rotta seguita dalla “Forza H” nel corso dell’operazione “Grog”. Linea continua: rotta di andata – Linea tratteggiata: rotta di ritorno.
1 – Uscita da Gibilterra delle unità inglesi tra le 12.00 e le 17.00 del 6 febbraio 1941
2 – Posizione alle 19.25 del 7 febbraio
3 – Ore 02.00 dell’8 febbraio: i ct. Jupiter e Firedrake vengono distaccati presso le Baleari per effettuare trasmissioni r.t. aventi lo scopo di trarre in inganno le stazioni radiogoniometriche italiane
4 – Posizione alle 20.00 dell’8 febbraio
5 – Posizione alle 05.10 del 9 febbraio
6 – Azione di fuoco condotta tra le 08.14 e le 08.45 del 9 febbraio
7 – Posizione alle 20.00 del 9 febbraio
8 – Posizione alle 14.00 del 10 febbraio
9 – Rientro a Gibilterra della “Forza H” nel pomeriggio dell’11 febbraio 1941
Innanzitutto, le strutture industriali della città ne facevano un obiettivo di grande importanza dal punto di vista economico, militare e psicologico; le difese costiere di Genova risultavano di entità poco temibile e – in ultimo - i grandi fondali del Golfo Ligure, fin sotto la costa, avrebbero permesso alle navi di avvicinarsi a distanza utile di tiro, senza correre il rischio di incappare in campi minati.
La presenza a Genova di due corazzate italiane fu nota a Gibilterra solamente alla fine di gennaio (anche se, come abbiamo visto, dall’inizio di febbraio nel porto ligure si trovava il solo Duilio) e – a differenza di quanto affermato nel dopoguerra anche da una certa memorialistica britannica – non costituì l’elemento principale nella pianificazione di un’azione dalle preminenti valenze emozionali e strategiche, compresa una “dimostrazione di forza” nei confronti della Spagna franchista, allo scopo di farne perseverare la politica di neutralità.
La nave da battaglia Malaya nel 1931/32, probabilmente a Gibilterra, successivamente ai lavori di radicale ricostruzione svoltisi presso l’Arsenale di Portsmouth tra il settembre 1927 e il febbraio 1929. Oltre al miglioramento della protezione e dell’apparato motore, una modifica estetica molto importante riguardò gli scarichi delle caldaie, riuniti in un unico fumaiolo di grandi dimensioni che rimpiazzò i due originari. La Malaya è verniciata con il grigio scuro delle unità appartenenti alla Home Fleet; sullo sfondo, un incrociatore pesante tipo “County” (a sinistra) e – a destra – l’incrociatore pesante York. (Coll. M. Brescia)
La “Forza H”
La portaerei Ark Royal, in una fotografia risalente ai primi mesi della seconda guerra mondiale. L’unità è sorvolata da alcuni aerosiluranti Fairey “Swordfish” che – sebbene antiquati e dalle prestazioni non certo eccezionali – giocarono un ruolo fondamentale nell’attacco contro la base navale di Taranto (notte sul 12 novembre 1940), e nelle operazioni che portarono all’affondamento, in Atlantico, della corazzata tedesca Bismarck (maggio 1941). (Coll. M. Brescia)
Durante la seconda guerra mondiale, e non soltanto per quanto riguarda il teatro del Mediterraneo, la Royal Navy identificò spesso i propri gruppi o “Forze” navali (“Forces”) secondo un metodo alfabetico. Nel tempo, ad esempio, operarono la “Forza K” (da Malta), la “Forza Q”, la “Forza Z” (in Estremo Oriente), la “Forza A”, ecc.; la “Forza H” fu costituita a Gibilterra verso la fine di giugno del 1940 per colmare il “vuoto” navale venutosi a creare nel Mediterraneo occidentale in seguito all’armistizio tra la Francia e l’Asse.
Al vertice della “Forza H” fu destinato l’amm. Sir James Somerville al comando del quale, inizialmente, furono posti l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Resolution e Valiant, la portaerei Ark Royal, incrociatori e cacciatorpediniere, tutte unità trasferite dalla Home Fleet.
Ancorché di base a Gibilterra (sede di un Comando Superiore navale), la “Forza H” era un reparto autonomo, e l’amm. Somerville dipendeva direttamente dall’Ammiragliato di Londra; questa peculiare situazione era dovuta alla natura strategica della “Forza H” che – per la particolare posizione di Gibilterra – poteva essere chiamata ad operare flessibilmente, come in effetti avvenne, tanto in Atlantico quanto nel Mediterraneo.
Una delle prime uscite operative della “Forza H” fu l’azione contro le navi francesi a Mers-el-Kebir (3/6 luglio 1940) (17). Unità della “Forza H”, che avevano nel frattempo sostituito parte di quelle originarie, furono presenti alla battaglia di Capo Teulada (27 novembre 1940), al bombardamento navale di Genova e alla ricerca della Bismarck (maggio 1941), andando inoltre a costituire la scorta di numerosi convogli in Atlantico e nel Mediterraneo tra il 1941 e il 1942.
La “Forza H” operò attivamente nel corso degli sbarchi in Nord Africa del novembre 1942 (operazione “Torch”) e degli sbarchi in Sicilia e a Salerno dell’estate 1943 (operazioni “Husky” e “Avalanche”). Poco dopo l’armistizio fra l’Italia e gli alleati, venuta a cessare la minaccia costituita dalla flotta italiana, il Comando fu disciolto e le unità che ne facevano parte furono riassegnate alla Home Fleet ed alla Eastern Fleet della Royal Navy.
I preliminari e l’esecuzione di “Grog”
Un’immagine prebellica dell’incrociatore Sheffield, datata 24 giugno 1938, scattata a Portsmouth e proveniente dal noto archivio fotografico “Wright & Logan”. Si noti la linea elegante – ancorché massiccia – dell’unità, con i due hangar razionalmente posizionati ai lati del fumaiolo prodiero. Sui “Southampton”, per la prima volta a bordo di incrociatori britannici, l’armamento principale da 152 mm era sistemato in torri trinate. (Foto Wright & Logan)
La nave da battaglia Vittorio Veneto, a bordo della quale imbarcò l’amm. Jachino durante l’infruttuosa ricerca delle unità inglesi che bombardarono Genova il 9 febbraio 1941. Il Veneto è qui ripreso all’ormeggio alla boa, nel Mar Grande di Taranto, nella tarda estate del 1940. (Coll. A. Fraccaroli)
Tra le unità facenti parte della ”Forza H” il 9 febbraio 1941 vi era anche il cacciatorpediniere Encounter, qui raffigurato nel luglio 1938, in uscita dalla base navale di Portsmouth. Anche a distanza ravvicinata, soprattutto negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, era piuttosto difficile distinguere esternamente i caccia appartenenti alle classi dalla “A” alla “I”. L’Encounter è verniciato con il grigio scuro delle unità facenti parte della “Home Fleet”. (Foto Wright & Logan, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)
L’ammiraglio Sir James Somerville a bordo del Renown
(D.S.O., K.C.B., K.B.E., G.C.B., G.B.E.)
Comandante della “Forza H” – luglio 1940 / marzo 1942
L’ammiraglio Sir James Somerville era preposto al comando della “Forza H” sin dalla sua costituzione nell’estate del 1940, e – a gennaio del 1941 – coordinò la pianificazione dell’operazione “Grog”, il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio successivo.
James Somerville era nato a Weybridge, nel Surrey, il 17 luglio 1882; nel 1897 entrò a far parte – come cadetto – della Royal Navy raggiungendo, nel 1904, il grado di sottotenente di vascello.
Durante la prima guerra mondiale si specializzò nel campo delle radiotrasmissioni sino a diventare uno dei massimi esperti della Marina britannica in questa innovativa materia; capitano di fregata nel 1915, nel 1916 fu decorato con il Distinguished Service Order (D.S.O.) per il servizio prestato a Gallipoli e nei Dardanelli.
Nel 1921 giunse la promozione a capitano di vascello e – in questo grado – seguirono numerose destinazioni di servizio: direttore dell’Ufficio Segnalamenti dell’Ammiragliato, aiutante di bandiera dell’amm. John D. Kelly, istruttore all’Imperial Defence College e comandante dell’incrociatore HMS Norfolk.
Promosso commodoro nel 1932 e contrammiraglio (Vice Admiral) l’anno successivo, tra il 1935 e il 1938 fu il comandante delle Flottiglie ct. della Mediterranean Fleet. Nel 1939, prima del suo ritiro dal servizio attivo (18), all’atto del quale fu decorato con la nomina a Cavaliere dell’Ordine del Bagno (K.C.B.), fu il C. in C. del settore navale delle Indie Orientali con il grado di ammiraglio di divisione (Rear Admiral).
Nel maggio del 1940 l’amm. Somerville fu richiamato in servizio, entrando inizialmente a far parte dello “staff” dell’amm. Bertram Ramsay che pianificò l’evacuazione del corpo di spedizione inglese da Dunkerque. Successivamente – a luglio – con il grado di ammiraglio di squadra (Admiral) gli fu assegnato il comando della “Forza H”, appena costituita a Gibilterra.
In poco meno di due anni, Sir James Somerville portò più volte al combattimento la “Forza H”: Mers-el-Kebir (luglio 1940), Capo Teulada (novembre 1940), operazione “Excess” (rifornimento di Malta, gennaio 1941), bombardamento navale di Genova (febbraio 1941), caccia alla Bismarck (maggio 1941), operazione “Halberd” (un altro rifornimento di Malta, settembre 1941). Per i risultati ottenuti, alla fine del 1941 fu decorato con il cavalierato dell’Ordine dell’Impero Britannico (K.B.E.).
A marzo del 1942 l’amm. Somerville passò al comando della Eastern Fleet della Royal Navy, la cui base principale si trovava a Trincomalee nell’isola di Ceylon: seguì un lungo periodo dedicato al rafforzamento delle strutture logistiche ed operative della Flotta seguito – tra marzo e luglio del 1944 – da numerose operazioni contro capisaldi giapponesi nella zona (Isole Cocos, Sabang, Soerabaya e Sumatra).
Ad agosto del 1944 fu rilevato al comando della Eastern Fleet dall’amm. Bruce Fraser e, nominato cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Bagno (G.C.B.), fu destinato a Washington con l’importante incarico di capo della Delegazione Navale inglese presso il Governo degli Stati Uniti.
A maggio del 1945 Sir James Somerville fu promosso al grado di “Admiral of the Fleet” e, al momento del suo definitivo congedo dal servizio (1946) ricevette il cavalierato di Gran Croce dell’Ordine dell’Impero Britannico (G.B.E.).
Ritiratosi a Dinder House (Wells) nel Somerset, morì il 19 marzo 1949.
I Preliminari e l’esecuzione di “GROG”
Malta, novembre 1937. Un dettaglio della zona centrale di dritta della Malaya, recentemente rientrata in squadra dopo un periodo di lavori (ottobre 1934 / dicembre 1936) nel corso dei quali sono state imbarcate le sistemazioni aeronautiche ed è stato potenziato l’armamento antiaerei dell’unità. Si notino, difatti, la catapulta trasversale e, ai lati del fumaiolo, gli hangar e l’impianto quadruplo per mg. da 40 mm tipo “pom-pom”. Sulla torre “B” è applicata la “fascia di neutralità” blu bianca e rossa che identificava le unità inglesi all’epoca della guerra civile spagnola. (Foto Wright & Logan)
La “Forza H” (costituita dalla corazzata Malaya, dall’incrociatore da battaglia Renown, dall’incrociatore leggero Sheffield, dalla portaerei Ark Royal e da dieci cacciatorpediniere) lasciò Gibilterra il 31 gennaio 1941. Il gruppo navale fece rotta a Sud delle Baleari, con il duplice obiettivo di un attacco alla diga del Tirso in Sardegna con bombardieri ed aerosiluranti (il mattino del 2 febbraio), e del bombardamento navale di Genova il giorno successivo.
Come previsto dal piano di operazioni, otto velivoli dell’Ark Royal attaccarono la diga del Tirso alle 08.00 del 2 febbraio (senza tuttavia conseguire risultati di rilievo), ma le condizioni meteo in forte peggioramento sconsigliarono il proseguimento della missione, e le unità britanniche – sempre transitando a Sud delle Baleari – fecero rientro a Gibilterra nella tarda serata del 3 febbraio.
L’Ammiragliato predispose, con partenza il 6 febbraio, la ripetizione della missione, denominandola “Grog”, in accordo alla tradizione navale britannica che – durante la seconda guerra mondiale – assegnava ad ogni operazione un nome in codice scelto tra un’onomastica quanto mai varia e differenziata (4).
L’operazione “Grog” fu studiata con modalità esecutive che ne garantissero quanto possibile la segretezza e, nella fattispecie, le unità della “Forza H” (le stesse che avevano preso parte all’azione contro la diga del Tirso) furono suddivise in tre gruppi, con finta partenza in ore diurne verso l’Atlantico, simulando la protezione di un convoglio diretto in Gran Bretagna che si stava riunendo a Gibilterra. Tanto all’andata quanto al rientro era previsto il passaggio a Nord delle Baleari, con un itinerario del tutto nuovo e difficilmente presumibile da parte italiana; infine, il bombardamento navale di Genova avrebbe avuto la preminenza, con un attacco secondario degli aerei dell’Ark Royal sulla raffineria petrolifera di Livorno.
L’incrociatore da battaglia Renown nel 1919, poco dopo la fine della “Grande Guerra”. Insieme al gemello Repulse furono le penultime unità di questo tipo immesse in servizio dalla Royal Navy: saranno seguite – nel 1920 – dall’HMS Hood, affondato dalla corazzata tedesca Bismarck a maggio del 1941. (Coll. M. Brescia)
Un idro “Walrus” in decollo dalla catapulta di una nave britannica.
Una nota fotografia del Renown, datata 17 agosto 1943. A fine mese, il primo ministro Winston Churchill e i più importanti capi militari britannici (reduci dalla conferenza di Quebec) imbarcheranno ad Halifax sul Renown, a bordo del quale rientreranno nel Regno Unito. (Foto Imperial War Museum)
L’Ark Royal a marzo del 1939, in entrata a Portsmouth. La struttura cilindrica in testa d’albero alloggia un radiofaro “Type 72” per la guida degli aerei imbarcati; I cavi delle antenne radio sono tesi tra gli alberi a traliccio posti ai lati del ponte di volo. Tali strutture potevano essere abbattute verso l’esterno durante le operazioni di decollo e appontaggio dei velivoli. (Foto Wright & Logan)
Il Duncan verso la metà del 1942, quando – ormai destinato in Atlantico – faceva parte del Western Approaches Command della Royal Navy. Si notino le più significative modifiche apportate, nei primi anni di guerra, sui caccia di questo tipo: ribassamento del fumaiolo poppiero (per migliorare i campi di tiro delle armi antiaerei) e installazione di un radar per la scoperta di superficie tipo “271”, alloggiato nella struttura cilindrica che ha sostituito la d/t sul cielo della plancia. (Foto imperial War Museum A 20158, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)
Le unità britanniche uscirono dalla base di Gibilterra nel pomeriggio del 6 febbraio 1941, apparentemente impegnate nella scorta di un convoglio effettivamente diretto in Inghilterra.
- tra le 12.00 e le 14.00 lasciarono il porto i cacciatorpediniere del Gruppo 2: Fearless (capo squadriglia) (5), Foxhound, Foresight, Fury, Encounter e Jersey, che diressero verso levante come se avessero dovuto effettuare un’esercitazione o un pattugliamento antisom
- Alle 13.30 lasciò la rada il convoglio, composto da 16 mercantili e 9 siluranti, diretto in Inghilterra.
- Alle 17.00 partirono il Renown, il Malaya, lo Sheffield e l’Ark Royal (Gruppo 1), insieme ai cacciatorpediniere del Gruppo 3 (Duncan, Isis, Firedrake e Jupiter).
I cacciatorpediniere del Gruppo 2, dopo aver effettuato una ricerca antisom nello stretto di Gibilterra, diressero verso il punto di riunione con le altre unità della “Forza H”, previsto a Nord di Maiorca per le 08.30 dell’8 febbraio.
Le unità dei Gruppi 1 e 3, una volta entrate in Atlantico, invertirono la rotta, ripassarono isolatamente lo stretto durante la notte e si riunirono circa 55 miglia a levante di Gibilterra verso le 04.00 del 7 febbraio. Alle 19.25 dello stesso 7 febbraio accostarono verso Nord/Nord-Ovest per passare tra Ibiza e Maiorca riunendosi, nella mattinata dell’8 con il primo gruppo di ct.
I caccia Jupiter e Firedrake furono distaccati a levante di Maiorca con l’ordine di effettuare trasmissioni r.t. che, se intercettate e radiogonometrate, avrebbero potuto trarre in inganno i Comandi italiani sull’itinerario realmente seguito dalla “Forza H” (il che, peraltro, non avvenne).
Nelle prime ore dell’8 la “Forza H” accostò verso Nord-Est attraversando, con questa direttrice, il Golfo del Leone per trovarsi, alle 03.00 del 9 febbraio, una cinquantina di miglia a Sud di Hyeres.
Da qui, la rotta delle unità inglesi proseguì per 70° in modo da raggiungere, attorno alle 06.00, una zona a Sud-Ovest del punto medio della congiungente Capo Corso / Genova.
Alle 05.00 la portaerei Ark Royal (scortata dai ct. Duncan, Isis ed Encounter) iniziò a manovrare autonomamente e, alle 06.00 raggiunse un punto equidistante (70 miglia) dalla Spezia e da Livorno e procedette al lancio di 14 “Swordfish” che effettuarono il previsto bombardamento della raffineria di Livorno e il minamento degli accessi al Golfo della Spezia.
Il Renown, il Malaya e lo Sheffield, scortati dai cinque cacciatorpediniere residui, accostarono verso Nord in modo da trovarsi, alle 07.52, ad una dozzina di miglia a Sud del promontorio di Portofino. Dopo aver fatto il punto, le navi ridussero la velocità a 18 nodi e accostarono per 290°. Su questa rotta, tra le 08.14 e le 08.45 del 9 febbraio 1941, avvenne l’azione di fuoco: alcune variazioni di rotta fecero sì che il bombardamento iniziasse ad una distanza di 19.000 metri, terminando a 21.200 metri e passando per la distanza minima di 16.200 metri alla trentesima salva del Renown.
Contro Genova furono sparati 125 proietti da 381 mm e 400 da 114 mm dal Renown; la Malaya sparò 148 colpi da 381 mm (6), mentre 782 furono i proietti da 152 mm dello Sheffield. In totale, circa 200 tonnellate di acciaio ed esplosivo si abbatterono sul capoluogo ligure.
Anche se, come già abbiamo avuto modo di rilevare, l’operazione “Grog” fu pianificata soprattutto con valenze strategiche riconducibili anche a situazioni di “guerra psicologica”, non va dimenticato che la città di Genova costituiva comunque una agglomerato rilevante di obiettivi molto importanti dal punto di vista portuale, cantieristico e industriale.
Innanzitutto lo stesso porto, da sempre fulcro dell’economia cittadina: alle calate ed agli accosti del “Porto Vecchio” e del “Bacino della Lanterna”, all’inizio degli anni Trenta era stato aggiunto il “Bacino di Sampierdarena”, protetto da una diga foranea di nuova costruzione e comprendente i Ponti Canepa, Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia. Nel 1941, come del resto anche oggi, importanti installazioni nell’ambito portuale di levante erano costituite dai bacini nella zona del Molo Giano, dagli accosti petroliferi di Calata Canzio, e dalla centrale elettrica situata ai piedi della Lanterna.
A ponente della foce del Polcevera si trovavano l’area industriale ed i cantieri navali della Società Ansaldo anche se, abbastanza stranamente, questi ultimi non furono colpiti con continuità dal fuoco britannico.
Bombardamento navale di Genova (aree più scure: zone ove registrò una maggior concentrazione dei punti di caduta dei colpi britannici)
1 – Molo Principe Umberto (attuale “diga foranea”)
2 – Ponti Eritrea e Somalia
3- Ponte Parodi
4- Zona Bacini
5- Zona dell’Ospedale Galliera
6- Stazione Brignole
7- Stazione Principe
8- Zona industriale della Valpolcevera
9- Cantieri Navali Ansaldo
10- Batteria “Mameli”
Un’immagine rara ed eccezionale: il Renown, ripreso dall’interno del torrione di comando della corazzata Malaya, mentre apre il fuoco durante il bombardamento navale di Genova. Si tratta, probabilmente, dell’unico documento fotografico raffigurante unità inglesi durante l’azione del 9 febbraio 1941. La formazione era composta dal Renown (capofila e nave ammiraglia), seguito da Malaya e Sheffield, con due cacciatorpediniere di scorta sul lato dritto (verso terra) e tre su quello sinistro. (Foto Imperial War Museum A4046, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)
Uno “Swordfish” appartenente allo Squadron n° 818 e conservato in perfette condizioni di volo, ripreso recentemente in Inghilterra durante una manifestazione aerea. Un “Walrus” e due “Swordfish” osservarono e diressero il tiro delle navi britanniche durante il bombardamento navale di Genova. (Archivio Fleet Air Arm)
Nelle ultime versioni Mk IV e Mk V il “Walrus” venne denominato “Seagull”; qui vediamo il Mk V conservato al museo della RAF a Hendon, nei pressi di Londra. (Archivio Fleet Air Arm
Un palazzo di Piazza Cavour colpito da un proietto da 381mm, in una foto scattata – probabilmente – nel primo pomeriggio del 9 febbraio 1941. (g.c. Archivio !Il Secolo XIX”)
Infine, nella valle del Polcevera (tra Rivarolo e la foce del torrente) erano riunite numerose fabbriche, depositi petroliferi e di materiali, officine ed altre installazioni industriali che, di per se’, costituivano – dopo il porto – il gruppo di obiettivi più importanti dell’ambito genovese, e la concentrazione in una zona sostanzialmente ristretta di queste strutture facilitò sicuramente la conduzione e la direzione del tiro, contro di esse, da parte delle unità britanniche.
Poco meno del 50% dei proietti da 381 e 152 mm cadde in acqua; circa un terzo colpì la città, con particolare addensamento sulle zone del porto e della Val Polcevera. I colpi da 114 mm del Renown furono invece diretti verso la zona del Molo Principe Umberto (7), ma la loro concentrazione nel breve periodo in cui il Renown si trovò a distanze intorno ai 16.000 metri (prossime alla gittata massima dei cannoni di questo calibro) impedì la corretta osservazione dei punti di caduta.
Il bombardamento non colpì obiettivi militari; in effetti, l’unico bersaglio di questo tipo era costituito dalla nave da battaglia Caio Duilio ai lavori nella zona bacini del porto, ma nessun proietto raggiunse questa unità.
I danni subiti dalle unità mercantili presenti in porto furono minimi. Due colpi (di cui uno di grosso calibro) raggiunsero il piroscafo Salpi, che peraltro non affondò; un altro piroscafo – il Garibaldi – si trovava a secco in un bacino di carenaggio e riportò alcuni squarci nella carena; la nave scuola Garaventa (ex incrociatore-torpediniere Caprera del 1894), fu l’unica unità affondata durante il bombardamento navale.
In aggiunta alle industrie della Val Polcevera, nell’ambito portuale i proietti britannici raggiunsero soprattutto i ponti Somalia ed Eritrea, la darsena a levante di Ponte Parodi (attuale zona dell’Acquario), i Magazzini del Cotone e la zona dei bacini al Molo Giano.
Pressochè nulla la reazione delle difese costiere dell’area genovese, come ebbe modo di evidenziare anche l’amm. Somerville nella sua relazione sull’operazione “Grog” (8).
Un bombardamento effettuato in breve tempo, da una distanza non certo ravvicinata, e condotto più “per zone” che per obiettivi specifici non poteva non causare danni anche alle aree residenziali ed abitative della città.
Si dovettero registrare danni, anche gravi, in tutta la porzione del centro compresa tra la foce del Bisagno, la congiungente Brignole-Corvetto e la Stazione Principe; anche Sampierdarena fu colpita, nella zona prospiciente l’attuale Lungomare Canepa.
Un proietto da 381 mm che colpì, senza esplodere, la cattedrale di San Lorenzo. E’ tuttora conservato all’interno della chiesa, con a fianco una lapide commemorativa dell’evento.
Più nel dettaglio, subirono danni di varia natura la Cattedrale di S. Lorenzo, l’Ospedale Galliera e la Biblioteca “Berio”, Piazza Manin e Via Galata. Circa 250 case furono distrutte, e tra la popolazione civile si dovettero registrare 144 morti, 272 feriti e circa 2.500 senzatetto.
Infine, come previsto dal piano britannico, gli aerei (soprattutto Fairey “Swordfish”) dell’Ark Royal attaccarono Livorno e La Spezia. Nella città toscana fu colpita la locale raffineria petrolifera, ma due velivoli – per un errore di rotta – colpirono la stazione ferroviaria e l’aeroporto di Pisa. I quattro aerei che attaccarono La Spezia sganciarono alcune mine nei pressi delle entrate del Golfo delimitate dai due estremi della diga foranea (9).
Terminata l’azione di fuoco, le navi inglesi diressero per 180° al fine di ricongiungersi con il gruppo dell’Ark Royal circa 35 miglia a Sud di Vesima. Sin qui, i movimenti della “Forza H” che – seguendo sostanzialmente la stessa rotta dell’andata ma passando a Nord di Ibiza – fece rientro a Gibilterra nel tardo pomeriggio dell’11 febbraio.
In precedenza, alle 10.15 del 10 febbraio, i ct. Jupiter e Firedrake – rimasti presso le Baleari – si erano riuniti alla squadra.
Tuttavia, l’uscita delle navi inglesi da Gibilterra il precedente 6 febbraio era stata subito comunicata a Roma dai nostri informatori nella zona (10), con l’esatta indicazione delle ore e dei nomi delle unità e, nonostante che le apparenze facessero prospettare una partenza verso l’Atlantico, Supermarina ritenne – correttamente – che durante la notte il grosso della “Forza H” avrebbe fatto rientro nel Mediterraneo.
L’Ufficio Piani e Operazioni di Supermarina diramò, pertanto, una serie di disposizioni che avrebbero consentito il dispiegamento di numerose unità per fronteggiare un’azione navale inglese, tanto rivolta a colpire obiettivi in Sardegna quanto, eventualmente, posti anche più a settentrione, nella zona del Mar Ligure.
Fu ordinata la partenza da Messina degli incrociatori della 3a Divisione (Trento, Trieste e Bolzano) agli ordini dell’amm. Sansonetti e le tre unità, scortate da altrettanti cacciatorpediniere, salparono alle 07.00 dell’8 febbraio.
La corazzata Andrea Doria a Trieste nel settembre 1940, al termine dei lavori di trasformazione svolti presso i Cantieri Riuniti dell'Adriatico. (Foto E. Mioni, Trieste - collezione Maurizio Brescia.
Ancorché caratterizzato da un diverso disegno dello scafo e delle sovrastrutture, il Bolzano (qui fotografato alla fonda il 10 marzo 1938) replicava alcune caratteristiche negative dei “Trento”. Costruito dopo gli “Zara” (sicuramente tra i migliori incrociatori tipo “Washington” realizzati dalle varie Marine nella prima metà degli anni Trenta), per via delle linee comunque eleganti ed armoniose fu definito, anche negli ambienti ufficiali, “un errore splendidamente riuscito”. (Foto A. Fraccaroli)
Le volate dei pezzi da 320/44 delle torri prodiere della corazzata Andrea Doria, verso la metà del 1942. (Coll. M. Brescia.
Movimenti navali del 9 febbraio 1941
Linea puntinata: rotta della “Forza H” in allontanamento da Genova – Linea tratteggiata: rotta seguita dalla 3a Divisione in arrivo da Messina sino al punto di riunione con la 5a Divisione – Linea continua: rotta del gruppo navale italiano (5a Divisione dalla Spezia, 5a e 3a Divisione riunite a partire dal punto “2”) – Linea spezzata: rotta del convoglio francese.
1 – Uscita dalla Spezia delle corazzate della 5a Divisione (tardo pomeriggio dell’8 febbraio)
2 – Punto di riunione, a Nord dell’Asinara, tra le unità della 5a Divisione e quelle della 3a Divisione (ore 08.00 del 9 febbraio)
3 – Bombardamento navale di Genova, condotto dalla “Forza H” tra le 08.14 e le 08.45
4 – Lancio, tra le 08.55 e le 09.35, degli idroricognitori del Trento e del Bolzano, che effettueranno un’infruttuosa ricerca del nemico ad Ovest della Sardegna
5 – Posizione della squadra italiana alle 12.30; lancio dell’idroricognitore del Trieste che, volando verso Nord-Ovest, passerà a poche decine di miglia dalla “Forza H” senza avvistarla
6 – Ore 14.30: punto di minima distanza (30 miglia) tra le unità inglesi e quelle italiane
7 – Ore 15.50: identificato il convoglio dei mercantili francesi, le navi italiane accostano per 270° nel tentativo di raggiungere la “Forza H”, ma quest’ultima si trova ormai nel punto “8”, a Sud di Hyeres, ad una distanza troppo grande per essere interecettata
9 – Ore 19.00: le navi italiane dirigono per Est
Nella serata dello stesso giorno, le navi da battaglia Vittorio Veneto, Giulio Cesare e Andrea Doria della 5a Divisione (al comando dell’amm. Jachino, comandante superiore in mare) lasciarono La Spezia scortate dai sette cacciatorpediniere della 10a e della 13a Squadriglia.
La Regia Aeronautica e il Comando Marina di Cagliari avevano nel frattempo predisposto, nel corso di tutta la giornata dell’8, una serie di ricognizioni aeree ad Ovest della Sardegna che – tuttavia – non consentirono l’individuazione della “Forza H” la quale, come abbiamo visto, si trovava in navigazione più a Nord.
In assenza di precise indicazioni sui movimenti della “Forza H”, le tre corazzate della 5a Divisione (uscite dalla Spezia) e gli incrociatori della 3a Divisione (provenienti da Messina) si riunirono – insieme a 10 cacciatorpediniere di scorta – a Nord dell’Asinara alle 08.00 del 9 febbraio 1941.
Ebbe inizio, a questo punto, una serie (sotto alcuni aspetti quasi incredibile) di avvenimenti, sfortunati ritardi e inconvenienti che – per i più svariati motivi – non rese possibile l’intercettazione della “Forza H” da parte delle unità italiane, precludendo così la possibilità di uno scontro che, vista la relatività delle forze in campo, avrebbe potuto avere esiti molto favorevoli per la Regia Marina.
Le ricognizioni aeree, innanzitutto, “coprirono” una zona posta più a Sud del Mar Ligure, nella presunzione che la “Forza H” si trovasse in mare per la protezione indiretta di un convoglio in navigazione tra Gibilterra a Malta (11).
Gli stessi idrovolanti del Trento e del Bolzano, lanciati tra le 08.55 e le 09.35 del 9 febbraio, effettuarono una ricognizione al largo della costa occidentale della Sardegna (ammarando poi a Cagliari al termine della missione), quindi completamente al di fuori della zona di operazioni delle navi inglesi.
Le prime notizie sulla presenza della “Forza H” davanti a Genova giunsero a Supermarina tra le 07.40 e le 08.32; alle 09.00 (quando il bombardamento era ormai cessato) il Comando del dipartimento della Spezia informò Roma che era in corso un’azione navale contro Genova. Solamente alle 10.00 fu possibile far assumere rotta Nord al nostro gruppo navale (12) che – sino ad allora – aveva navigato verso ponente ritenendo, in assenza di informazioni, che le unità britanniche si trovassero ad Ovest della Sardegna.
Le navi italiane, giunte poco dopo le 13.00 a ponente della parte centrale della Corsica, accostarono per 30° (Nord/Nord-Est) in quanto alcune segnalazioni della ricognizione della Regia Aeronautica informavano sulla presenza di una portaerei e di altre unità maggiori nel Golfo Ligure indicando, peraltro, posizioni diverse (e nessuna delle quali sufficientemente precisa).
Ne consegue che i messaggi provenienti dalla Regia Aeronautica erano quanto mai contraddittori, e va inoltre considerato il fatto che i velivoli informavano via radio il proprio Comando il quale – a sua volta – “girava” il messaggio a Superaereo: Superaereo informava quindi Supermarina che provvedeva, infine, a trasmettere l’informazione al Comando Superiore in mare. Questo complesso giro di messaggi (per di più cifrati, talvolta sopracifrati, e da decrittare ad ogni passaggio) tra Forze Armate e Comandi diversi rendeva quindi intempestive le segnalazioni dei ricognitori. Gli equipaggi dei velivoli, inoltre, non erano ancora stati addestrati per lo specifico compito della ricognizione marittima, manifestando di conseguenza gravi lacune nel riconoscimento delle unità (tanto nazionali quanto nemiche) e nel corretto apprezzamento dei loro elementi del moto (13).
Alcuni bombardieri Br.20, attorno alle 13.00, individuarono e attaccarono le navi inglesi (peraltro senza danneggiarle), ma l’amm. Jachino non fu informato tempestivamente di questa azione in quanto gli equipaggi degli apparecchi mantennero il silenzio radio ed informarono i propri Comandi solamente al rientro. In precedenza (alle 11.40) un ricognitore CANT Z.506 della 287a Squadriglia aveva avvistato la “Forza H” una quarantina di miglia a Nord-Ovest di Capo Corso, ma era stato abbattuto subito dopo dalla caccia dell’Ark Royal e l’equipaggio, recuperato nel pomeriggio da una torpediniera, poté far pervenire un rapporto di scoperta solamente nella tarda serata, quando il gruppo navale dell’amm. Jachino non aveva più la possibilità di avvicinare le unità inglesi.
L’ultimo “colpo” a questa catena di manchevolezze, eventi negativi e sfortunate coincidenze fu assestato dalla presenza, in zona, di un convoglio mercantile francese diretto da Marsiglia a Biserta e la cui rotta lo avrebbe portato a passare a Nord e – successivamente – ad Est della Corsica.
Alle 15.24, una cinquantina di miglia a ponente di capo Corso, il Trieste avvistò le alberature delle navi da carico francesi e trasmise il segnale di scoperta alle altre unità italiane. Lo scontro con la “Forza H” sembrava imminente, al punto che sul Veneto (ad una distanza di 32.000 metri) il Direttore del tiro diede l’ordine di caricare i pezzi dell’armamento principale.
Fu quindi grande la delusione degli equipaggi italiani quando – alle 15.48 – le unità francesi furono effettivamente identificate come tali (14): a nulla valse far accostare la squadra italiana per 270° dato che, a quell’ora, le navi britanniche, si trovavano ormai a grande distanza (molto al largo della costa francese, a Sud di Hyeres) e sarebbe stato impossibile raggiungerle, anche navigando alla massima velocità.
Alle 18.00 l’amm. Jachino diede ordine di assumere rotta Nord e, un’ora dopo, la squadra della Regia Marina diresse per Est riducendo la velocità. Le navi italiane incrociarono nel Mar Ligure durante la notte; nel corso della mattinata del 10 febbraio, infine, Supermarina ordinò alle corazzate di far rotta su Napoli ed alla 3a Divisione di rientrare a Messina.
Si concluse così, con un “nulla di fatto”, una delle più limpide occasioni mai occorse alla Regia Marina, nel corso di tutto il conflitto, per dare battaglia alla Royal Navy in condizioni di netta superiorità. Ai 14 pezzi da 381 mm e ai 24 da 152 mm (15) delle unità maggiori inglesi, si sarebbero difatti contrapposti 9 pezzi da 381 mm, 20 da 320 mm e 24 da 203 mm delle corazzate e degli incrociatori italiani; inoltre, considerati gli aspetti tattici dell’ipotetica azione di fuoco, la presenza dell’Ark Royal e dei suoi velivoli non sarebbe risultata – probabilmente – determinante.
Con il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, la “Forza H” compì una delle più audaci azioni della guerra navale nel Mediterraneo, degna delle migliori tradizioni della Royal Navy. Per le Forze Navali italiane si trattò, in buona sostanza, di una “occasione perduta” dovuta – in buona parte – alla scarsa cooperazione tra Marina e Aeronautica (per non parlare della mancanza di una vera e propria Aviazione di Marina), reale e più significativo “tallone d’Achille” di tutta la guerra navale italiana tra il 1940 e il 1943.
Tuttavia, va anche rilevato il comportamento non certo combattivo manifestato dalla squadra italiana, al di là delle giustificazioni addotte dall’amm. Jachino nel dopoguerra (19); tutto ciò quando erano ben note le critiche di scarsa propensione all’offensiva mosse da quest’ultimo al suo predecessore Campioni. Peraltro, non bisogna disgiungere questi fatti dalle direttive che contraddistinsero tutta la nostra guerra navale, tese a preservare quanto più possibile l’integrità della squadra da battaglia – tanto per il mantenimento della “fleet in being” quanto essendo ben nota l’impossibilità di sostituire unità maggiori eventualmente perdute o anche solo danneggiate gravemente.
Forse, anche per questi motivi l’operazione “Grog” – a torto – è stata considerata, talvolta, un evento di secondo piano, ma ancora più rilevante sarebbe stato, nel breve, il prosieguo della contrapposizione tra la Regia Marina e la Royal Navy.
Poco meno di due mesi dopo, difatti, con rapporti di forza invertiti (e sulla base, va ricordato, di un’ “intelligence” nemica che aveva in “ULTRA” il suo punto focale) lo scontro di Matapan tra unità italiane e britanniche ebbe purtroppo esiti del tutto opposti, come testimoniato dal sacrificio dei 2.303 uomini del Pola, dello Zara, del Fiume, del Carducci e dell’Alfieri (16) che persero la vita nel corso di quel breve combattimento, nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1941.
Maurizio Brescia
Vicepresidente Associazione Mare Nostrum
- L’articolo pubblicato sul n.161 (febbraio 2007) della rivista mensile “STORIA MILITARE” - (Albertelli Edizioni Speciali)
Note:
(1) Si veda: Hervieux, P.: Il bombardamento navale del 14 giugno 1940, in “STORIA Militare” n. 110 (novembre 2002)
(2) La Marina italiana si trovò infatti impegnata con direttrice Nord-Sud per il sostegno logistico del fronte libico, mentre l’attività della Marina britannica era indirizzata sul corso dei paralleli, con operazioni di rifornimento di Malta aventi come punti di partenza Alessandria o Gibilterra, e trasferimenti di unità navali tra queste due basi strategiche.
(3) Si veda: Bagnasco, E.: Perdita e recupero della R.N. Conte di Cavour, in “STORIA Militare” n. 26 (novembre 1995)
(4) Il “grog” è una sorta di “ponce” a base di rum, succo di limone ed acqua calda che a bordo delle navi britanniche – sino agli anni Settanta – costituiva uno dei generi di conforto più apprezzati dagli equipaggi.
(5) In effetti, il Fearless non era attrezzato come capo squadriglia (flotilla leader), ma come capo sezione (divisional leader). Tuttavia, in mancanza di un’unità specificatamente equipaggiata per questo ruolo, operò come capo squadriglia nel corso dell’operazione “Grog”.
(6) Non è noto il numero dei colpi da 152 mm tirati dalla Malaya.
(7) Di fronte a Sampierdarena, ai giorni nostri semplicemente denominato “diga foranea”.
(8) “. . . Il solo contrasto incontrato dalle navi bombardanti fu quello del tiro di una batteria da 152 mm (si trattava della Batteria “Mameli”, posta sulle alture di Pegli – n.d.r.) e del tiro c.a. diretto contro il velivolo osservatore del tiro. In entrambi i casi il tiro fu del tutto insufficiente. Tuttavia, durante una parte del bombardamento, fu disposto che i due ct. posti dal lato della costa facessero fuoco, sia per controbattere il tiro da terra sia per mascherare la composizione della forza bombardante . . .”(da: Fioravanzo, G., Le azioni navali in Mediterraneo dal 10-VI-1940 al 31-III-1941, pagg. 361-363 – op. cit. in bibliografia). L’osservazione del tiro fu effettuata da un “Walrus” dello Sheffield e da due “Swordfish” in versione idro del Malaya e del Renown. Lo stesso Sheffield provvedette, al termine dell’azione di fuoco, al recupero del proprio velivolo nonché di quello del Malaya; lo “Swordfish” del Renown fu invece recuperato dalla portaerei Ark Royal. (Fonte: Macintyre, D., Fighting Admiral, pag. 111 – op. cit. in bibliografia). Il volume del Fioravanzo riporta invece che l’osservazione del tiro fu effettuata da uno “Swordfish” dell’Ark Royal che rientrò sulla portaerei al termine dell’azione di fuoco. A sua volta, M.A. Bragadin (Il dramma della Marina Italiana – op.cit. in bibliografia, pag. 71) indica in tre il numero degli “Swordfish” della portaerei britannica che operarono su Genova durante il bombardamento. E’ tuttavia probabile che la storiografia italiana sia piuttosto imprecisa sull’argomento, dato che – all’epoca della pubblicazione – gli autori dei due volumi citati non avevano ancora potuto prendere visione della ricordata opera del Macintyre e di altra documentazione di fonte britannica.
(9) La maggior parte delle mine furono sganciate nei pressi dell’accesso di levante, anche se quello utilizzato all’epoca (come pure oggi) dalle unità in uscita era quello di ponente. Tuttavia, come vedremo più avanti, per maggior sicurezza nell’attesa del dragaggio degli ordigni, al termine dell’infruttuosa ricerca del nemico fu ordinato alle tre corazzate di dirigersi su Napoli.
(10) Va ricordato che, per tutta la durata della guerra, nel territorio spagnolo confinante con Gibilterra fu attiva, con successo, una fitta rete di informatori e agenti della Regia Marina la cui opera – inoltre – fu particolarmente importante per il supporto di “intelligence” alle operazioni dei mezzi d’assalto italiani contro la base britannica. Si veda, in proposito: Pitacco, G.: La “X MAS” ad Algeciras e i mezzi “R”, in “STORIA Militare” n. 31 (aprile 1996).
(11) Una volta nota l’uscita della “Forza H” da Gibilterra, Supermarina allertò i corrispondenti comandi della R.A. e – tra l’8 e il 9 febbraio – consistenti gruppi di velivoli furono utilizzati per la ricerca delle unità britanniche. La Regia Aeronautica impiegò 32 idrovolanti della ricognizione marittima: 20 Cant Z. 501 e 12 trimotori Cant Z. 506; ad essi vanno aggiunti i tre idroricognitori Ro.43 lanciati dalle unità italiane durante l’infruttuosa ricerca del nemico. La Ia Squadra aerea (Comando a Milano) Impiegò nove bombardieri Br. 20 e 2 caccia; la IIIa Squadra aerea (Roma) utilizzò 15 bombardieri Cant Z. 1007, un apparecchio dello stesso tipo attrezzato come ricognitore e sette caccia. Il comando R.A. della Sardegna impiegò 30 bombardieri S.79 ed otto ricognitori (4 Cant Z. 506 e 4 S.79); a questi aerei vanno aggiunti due ricognitori S.79 della IIa Squadra aerea (Palermo). Il X° CAT (Corpo Aereo Tedesco), di base in Sicilia con Comando a Catania, impiegò – per l’occasione – 53 bombardieri, 14 ricognitori e 18 caccia che, nel corso delle operazioni, si appoggiarono anche agli aeroporti della Sardegna.
(12) Con una certa tempestività, il Comando Marina di Genova segnalò a Supermarina l’inizio del bombardamento navale, ma l’informazione fu ricevuta a bordo del Veneto soltanto poco prima delle 10.00, quando le navi britanniche si stavano ormai allontanando dal Golfo di Genova.
(13) Sono purtroppo ben note le medesime manchevolezze che, a Punta Silo, portarono velivoli della R.A. ad attaccare unità navali nazionali, fortunatamente senza colpirle (è d’altro canto pensabile che il medesimo, scarso, risultato avrebbe potuto caratterizzare un attacco contro navi britanniche).
(14) La rotta del convoglio era nota alla commissione armistiziale italo-francese, ma – probabilmente per l’assenza di contatti diretti tra quest’ultima e Supermarina – il Comando superiore in mare non fu avvertito di questo importante elemento “perturbatore” dell’apprezzamento della situazione.
(15) Peraltro, è probabile che i 12 pezzi da 152 mm dell’armamento secondario della Malaya avrebbero avuto ben poche possibilità di essere utilizzati nel corso di un ipotetico scontro con le navi italiane.
(16) A queste vittime vanno aggiunti anche i tre caduti dell’Oriani, che – pur non affondando – ricevette alcuni colpi nella zona dell’apparato motore.
(17) Si veda, in proposito: Cernuschi, E., Mers-El-Kebir, 3 luglio 1940 (parti 1a e 2a), in “STORIA Militare” n. 80 e 81 (maggio e giugno 2000).
(18) Anche se per il “pensionamento” furono ufficialmente addotti motivi di salute, il collocamento a riposo fu forse dovuto anche ad un incidente “professionale” che, ad Aden, aveva visto l’HMS Norfolk, nave ammiraglia di Somerville, coinvolta in una collisione con una similare unità.
(19) Jachino, A.: Tramonto di una grande Marina (op. cit. in bibliografia)
Bibliografia
AA.VV., Porto e aeroporto di Genova n. 6 – giugno 1978, Genova C.A.P., 1978
AA.VV., Genova in guerra nell’ultimo conflitto mondiale, Genova, “Il Secolo XIX”, s.d.
Bragadin, M.A., Il dramma della Marina Italiana, Milano, Mondadori, 1982
Burt, R.A., British Battleships 1919-1939, Londra, Arms and Armour Press, 1993
Campbell, J., Naval Weapons of World War Two, Annapolis, U.S. Naval Institute Press, 1985
Cernuschi, E., Fuoco dal mare, supplemento alla “Rivista marittima”, maggio 2002
Clerici, C.A:, Le difese costiere italiane nelle due guerre mondiali, Parma, Albertelli Edizioni Speciali, 1996
Craighero, R., Domenica mattina ore 8.14, l’inferno arriva dal mare, in “Il Secolo XIX” del 9 febbraio 2003
Cunningham, A.B., A Sailor’s Odyssey, Londa, Hutchinson & Co., 1951
Fioravanzo, G., Le azioni navali in Mediterraneo dal 10-VI-1940 al 31-III-1941 (vol. IV della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale), Roma, Uff. Storico della M.M., 1976
Giorgerini, G.: La guerra italiana sul mare, Milano, Mondadori, 2001
Jachino, A.: Tramonto di una grande Marina, Milano, Mondadori, 1959
Macintyre, D., Fighting Admiral, Londra, Evans Bros., 1961
Raven, A., Roberts, J., Ensign 4 – “Queen Elizabeth” class battleships, Londra. Bivouac, 1975
Raven, A., Roberts, J., Ensign 5 – “Town” class cruisers”, Londra. Bivouac, 1975
Raven, A., Roberts, J., Ensign 8 – Renown & Repulse, Londra. Bivouac, 1978
Rapallo, 28 Marzo 2014
I MUSEI NAVALI d'Europa
I MUSEI NAVALI D'EUROPA
A cura di CARLO GATTI
che uno shiplover deve visitare quando viaggia per l’Europa
In questa tabella i musei sono ordinati per nazione e per nome (in italiano).
Viene anche indicato il nome del museo in lingua originale e l'indirizzo.
Segue una brevissima descrizione.
Per maggiori informazioni il modellista può visitare il sito di ciascun museo.
AUSTRIA
Museo della gente di bordo (Schiffleutemuseum), Pfarr Hof, A 4631 Stadl-Paura Si possono vedere modelli di chiatte e barche nonché attrezzature legate al commercio del sale lungo il fiume Traun
Museo della navigazione (Schiffahrtsmuseum), Auf Der Wehr 21, A 3620 Spitz an der Donau Il Museo raccoglie circa 400 pezzi che raccontano la storia della navigazione lungo il Danubio, dal 1600 ai nostri giorni.
Museo della tecnica (Technisches Museum), Mariahilfer Strasse 212, A 1140 Vienna Nella sezione dedicata alla navigazione si trovano numerosi modelli di imbarcazioni che hanno percorso le acque del Danubio o che hanno solcato i mari in tutte le epoche.
BELGIO
Museo nazionale della marina (Nationaal Scheepvaartmuseum), Steenplein 1, B 2000 Anversa Presenta molto materiale archeologico, il rimorchiatore Amical del 1914 e diversi esemplari di chiatte e imbarcazioni fluviali. Ci sono numerosi modelli di navi e pitture.
Museo nazionale della pesca (Nationaal Visserijmuseum), Pastor Schmitzstraat 6, B 8458 Oostduinkerke - Bad Ci sono oltre 50 modelli di imbarcazioni da pesca e pescherecci sia a vela che a propulsione meccanica. Viene descritta la storia dei pescatori della Fiandra occidentale.
Nave scuola MERCATOR (Zeilopleidingsschip MERCATOR), Port de Yachting, B 8400 Ostenda Già nave scuola per gli allievi ufficiali della Marina Mercantile la nave è ora adibita a museo galleggiante. Conserva carte, strumenti, documenti. La nave è mantenuta in condizioni di salpare.
BULGARIA
Museo della Marina da Guerra (Voenno Morski Muzej), Bul. C'ervenoarmejski 2, BG Varna Raccoglie numerosi modelli di navi, cimeli, apparecchiature, armi, immagini che descrivono la storia della Marina Militare del Paese. All'esterno del museo è ben conservata la torpediniera Derzki.
DANIMARCA
Museo di Aabenraa (Aabenraa Museum), H.P. Hansseens Gade 33, DK 6200 Aabenraa E' uno dei maggiori musei della Danimarca. Numerosi modelli di navi, insieme a cimeli, oggetti d'arte e dipinti illustrano le tradizioni marittime della regione che raggiunsero il massimo splendore nei secoli XVII e XVIII.
Museo della pesca e della navigazione (Fiskeri-Og Sofartsmuseet/saltvandsakvariet), Tarphagevej DK 6700 Esbjerg Il museo offre ampia documentazione della storia della città di Esbjerg e delle sue tradizioni marinare. Mostra numerosi modelli di navi da pesca. Si vedono i trawlers a vapore dei primi del '900 e la ricostruzione di una nave vichinga.
Museo di Bangsbo (Bangsbo Museet), Bangsbo Hovedgaard DK 9900 Frederikshavn In questo museo si può ammirare una nave vichinga di oltre otto secoli fa, frutto di ritrovamenti archeologici locali. Le parti recuperate sono tenute in posizione da un telaio di ferro. Ci sono anche numerosi modelli di navi commerciali e da pesca, golette, velieri, ecc.
Museo di Gillelse (Gillelse Museum), Rostgardsvej 2 DK Gillelse Si può vedere la riproduzione della casa di un pescatore locale con tutte le sue attrezzature. Sono descritti l'evoluzione delle imbarcazioni e dei metodi di pesca dal Medio Evo fino ai nostri giorni.
Museo dei viaggi marittimi di Jeas Hansen (Jens Hansen's Sofartsmuseum), Prinjensgade 2-4 DK 5960 Marstal Si possono ammirare cinque imbarcazioni e 170 modelli fra i quali quello, di grandi dimensioni, del cinque alberi Kjobnavn. Sono illustrate la storia del porto di Marstal, la vita della popolazione locale e la sua attività soprattutto peschereccia.
Museo delle navi vichinghe (Vikingeskibshallen), Strandengen DK 4000 Roskilde Sono esposte cinque navi vichinghe recuperate, a partire dal 1957, nel fiordo di Roskilde. Le navi, da carico e da guerra, arrivano fino a 20 metri e le buone condizioni dei relitti ne hanno permesso l'assemblamento su telai metallici. Alcune ricostruzioni illustrano il livello tecnico raggiunto da quelle popolazioni.
Museo della pesca (Klitmoller Egnssamling), Vorupor Landingsplad NR Vorupor DK 7700 Thiested Illustra i vari metodi di pesca e di conservazione del pesce. Ci sono modelli di imbarcazioni e pescherecci, strumenti e attrezzature per la pesca e la conservazione del prodotto.
FINLANDIA
Museo K.H. Renlundin (K.H. Renlundin Museo) Toimisto Pitkansillankatu 39 67100 10 Kokkola Il Museo espone modelli di navi, quadri e cimeli. Fra questi c'è anche un'imbarcazione britannica catturata nel 1854 durante la Guerra di Crimea. In altra parte del Museo c'è un'importante collezione di quadri di artisti finlandesi.
Museo Marittimo (Suomen Merimuseo) Hylkysaari Helsinki Hylkysaari Il museo conserva numerosi modelli di navi a vela e a vapore. Racconta la storia della marineria finlandese, delle costruzioni navali e dei traffici marittimi. Vicino al museo, in acqua, si trova il battello faro Kemi, completamente restaurato.
Museo Marittimo di Aland (Alands Sjofartsmuseum) Hamngatan 2 22100 Maarianhamina Il museo conserva una sessantina di modelli di navi e numerosi quadri di soggetto marinaro, oggetti e cimeli marittimi. Possiede anche una collezione di 19 polene.
Museo Marittimo Sigyn (Meseifartyget Sigyn) Biskopgatan 13 20500 Turku (Abo) Il museo conserva un buon numero di modelli di navi, strumenti nautici, carte e oggetti ricordo. Ma il pezzo più importante è il brigantino a palo Sigyn, ormeggiato in porto, costruito nel 1887 a Gothenburg.
Sommergibile Vesikko (Sukellusvene Vesikko) Sotamuseo Suomenlinna, Susasaari 00190 19 Helsinki Questo sommergibile, oggi trasformato in museo, faceva parte dei piani segreti tedeschi che, per aggirare le limitazioni del trattato di Versailles, affidavano le costruzioni a cantieri stranieri. Nelle vicinanze si trovano i Musei della guerra e dell'Artiglieria costiera.
FRANCIA
Ecomuseo (Ecomusee) Rue du Bac-de-Mindin Saint Nazaire Il museo si trova nel porto di Saint Nazaire. Racconta la storia della città, del porto e dei cantieri navali Penhoet nel quale furono costruite navi militari e mercantili fra le quali prestigiose corazzate e famosi transatlantici. E' anche visitabile il vecchio sommergibile Espadon.
Museo d'Aquitania (Musee d'Aquitaine), 20 Course Pasteur Bordeaux La parte marittima di questo museo contiene un'ampia serie di modelli navali. Vi si trovano anche documenti, quadri, cimeli e fotografie.
Museo dei Salorges (Musee des Salorges) Chateau des ducs de Bretagne, Place Marc-Elder Nantes Il museo si trova nel castello dei duchi di Bretagna. Nella sezione dedicata al mare si trovano numerosi documenti, piani di navi, stampe d'epoca e molti modelli di navi. Fra questi numerosi pescherecci e velieri che facevano rotta oltre Capo Horn.
Museo del Castello (Musee du Chateau) Chateau, Place d'Armes Noirmountier-en-l'ile Il museo si trova in una antica fortezza del XII secolo circondata da fossati e ben conservata. Nella sezione marinara, al primo piano, presenta modelli di navi, carte nautiche, strumenti nautici, uniformi, quadri e fotografie. Ci sono anche due polene del XIX secolo.
Museo del Mare (Musee de la Mer), Esplanade du Rocher de la Vierge B.P. 89 F 64200 Biarritz Modelli di navi, carte nautiche, documenti, strumenti, equipaggiamenti, attrezzature per la pesca, forniscono un quadro completo del mare. Nel sotterraneo c'è anche un grande acquario.
Museo del Mare - Museo storico e marittimo (Musee de la Mer - Musee Historique et Maritime) Rue Principale Le Mont Saint Michel Il museo si compone di due parti. Il museo del mare presenta 280 modelli di navi e imbarcazioni; fra queste ci sono 25 barche che hanno partecipato alla Coppa America. Il museo storico-marittimo contiene oggetti d'arte, sculture, pitture su rame, armi e oggetti legati al mare.
Museo della costruzione navale artigianale (Musee de la construction navale artisanale) Rue de l'Ecluse Noirmountier-en-l'ile Questo museo contiene imbarcazioni da pesca e da diporto, tutte di costruzione artigianale. Contiene anche strumenti di navigazione e da pesca, documenti, attrezzature varie.
Museo della Marina (Musee de la Marine) Palais de Chaillot, Pl. du Trocadero F 75116 Parigi Nel museo è rappresentata tutta la storia della Marina francese, militare e mercantile. Numerosi e pregevoli i modelli esposti: transatlantici, navi da pesca e da diporto, navi per esplorazioni, ecc.
Museo della Marina (Musee de la Marine) Place de la Marine-Mindin Saint-Brèvin-Les-Pins Il museo presenta modelli di navi mercantili, da guerra e da pesca. Ci sono anche cimeli, quadri, strumenti nautici, fotografie.
Museo della Marina "Ammiraglio De Grasse" (Musee de la Marine Amiral De Grasse) 2, Boulevard du Jeu-de-Ballon 06130 Grasse Il museo, dedicato all'ammiraglio francese Francois Joseph Paul de Grasse, espone 29 modelli di navi, 15 dei quali rappresentano navi del XVIII secolo.
Museo della Marina della Loira (Musee de la Marine de Loire), Chateau, poste 114 45110 Loiret Chateauneuf Sur Loire Il museo descrive in maniera eccezionale la storia della navigazione sulla Loira, dal periodo Gallo Romano ai nostri giorni.
Museo della Marina della Senna (Musee de la Marine de Seine), Route de Villequier F 76490 Caudebec En Caux Vi si trovano imbarcazioni, modelli, quadria e panneli esplicativi che illustrano la navigazione sulla Senna.
Museo della Marina di Brest (Musee de la Marine de Brest), Chateau de Brest F 29200 Brest Numerosi modelli e cimeli illustrano la storia navale della Francia. Pregevoli i modelli d'epoca. Quadri e strumenti nautici documentano esaurientemente il periodo della vela.
Museo della Marina di Marsiglia (Musee de la Marine de Marseille) Palais de la Bourse, B.P. 826 bis, F 13222 Cedex 1 Marsiglia Una ricca serie di modelli di navi, cimeli e documenti illustrano lo sviluppo dell'importante porto di Marsiglia e delle navi, dall'epoca della vela al periodo della propulsione a vapore.
Museo della pesca (Musee de la Peche), Rue Vauban Ville Close Concarneau Fra i più importanti musei della pesca presenta molti modelli di pescherecci di varie epoche.
Museo della vecchia Havre (Musee de l'ancien Havre) 1, Rue Jérome Bellarmato Le Havre Il museo contiene numerosi modelli navali e pregevoli quadridi soggetto marinaro.
Museo delle belle arti (Musee des beaux arts), Place du Géneral de Gaulle F 59140 Dunkerque Al piano terreno del museo si trova una Galleria Navale con numerosi modelli di navi mercantili e militari di cui molti di continenti extraeuropei.
Museo delle imbarcazioni (Musee de la batellerie), Chateau du Prieure F 78700 Conflans Sainte Honorine Modelli di imbarcazioni molto accurati illustrano l'evoluzione dei sistemi di navigazione interna e, in particolare, sul fiume Adour. Ci sono rimorchiatori, chiatte, spintori. Sono illustrati i sistemi di traino da terra e le tecniche di spinta dei convogli di chiatte.
Museo dell'imbarcazione (Musee du Bateau), Place de l'Enfer F 29100 Douarnenez Conserva una ricca collezione di modelli di imbarcazioni a vela e a remi di varie epoche, strumenti e attrezzature varie.
Museo di Archeologia Sottomarina e Subacqueo (Musee d'Archeologie sous Marine et Subaquatique), Mas de la Clape 34300 Agde Contiene una ricca raccolta di reperti archeologici recuperati dal fondo del mare. Vi si trovano ancore, anfore e parti di navi antiche recuperate. Modelli e tavole illustrano la marineria antica, quella a vela e anche quella contemporanea.
Museo di Cosne (Musee de Cosne), Place de la Résistance 58200 Cosne Nella parte navale di questo museo sono conservat numerosi modelli fluviali della Loira, strumenti e attrezzature per la pesca.
Museo di Terranova e della pesca (Musee de Terre-Nuevas et de la peche), 27, Boulevard Albert I Fècamp Viene ricostruita la storia della pesca sui banchi di Terranova. Ci sono modelli di navi e imbarcazioni, strumenti di lavoro e di navigazione, documentazione.
Museo ecologico dell'isola di Groix (Ecomusee de l'Ile de Groix) Port Tudy, 56590 Groix Port Tudy Nel museo viene presentata la storia marittima dell'isola. Ci sono modelli di navi e di barche, strumenti per la navigazione e la pesca, documenti, ecc.
Museo internazionale del lungo corso di Capo Horn (Musee international du long-cours Cap-Hornier) Tour Solidor, Saint-Servan-sur-Mer Saint Malo Il museo è dedicato alla navigazione intorno a Capo Horn. Ci sono modelli di navi, plastici, strumenti di navigazione, documenti di bordo.
Museo navale di Camaret (Musee Naval de Camaret), Tour Vauban F 29129 Camaret Sur Mer Contiene numerosi e pregevoli modelli navali fra i quali quelli della Corazzata Richelieu e del sommergibile Surcouf. Altri modelli, stampe, documenti e attrezzature illustrano le attività pescherecce tipiche della zona.
Museo navale di Nizza (Musee naval de Nice) Tour Bellanda, Parc du Chateau F 06000 Nizza Il museo si trova nell'antica Torre Bellanda. Presenta numerosi modelli di navi, strumenti di navigazione e armi antiche.
Museo navale di Port-Louis (Musee naval du Port-Louis) Cittadelle du Port-Louis F 56290 Port Louis Il museo si trova nella cittadella. Vi si trovano molti modelli di navi, imbarcazioni da diporto e da pesca, imbarcazioni di salvataggio. Ci sono anche polene e decorazioni navali.
Museo navale di Rochefort (Musee naval de Rochefort) Hotel de Cheusses, PI. de la Galissonniere, F 17300 Rochefort Il museo contiene numerosi modelli navali, modelli di macchine e attrezzature, cimeli, documenti, uniformi e bandiere. Conserva anche numerose polene e statue.
Museo navale di Saint Tropez (Musee naval de Saint Tropez) Cittadelle de Saint Tropez, F 83990 Saint Tropez Dodici sale contengono numerosi e pregevoli modelli navali, quadri e cimeli. Sono esposti modelli di siluri e relativa documentazione.
Museo navale di Tolone (Musee Naval de Toulon) PI. Monsenergue F 83000 Tolone Il museo è particolarmente dedicato alla marina da guerra francese. Possiede una ricchissima collezione di modelli di navi assai pregevoli.
GERMANIA
Museo cittadino e marittimo di Kiel (Kieler Stadt Und Schiffahrtsmuseum), Danische Strasse 19 und Wall 65 Fischhalle 2300 Kiel La storia della città e della sua attività marittima è raccontata da cimeli e documenti e da una nutrita serie di bellissimi modelli.
Museo dei battellieri e dei marinai (Flosser und Schiffermuseum), Rheinuferstrasse 34, D 5424 Kamp Bornhofen Situato vicino a Magonza questo museo presenta i traffici fluviali sul Reno. Dai piccoli battelli che assicuravano il traghettamento da una sponda all'altra, prima della costruzione dei ponti, alle grandi imbarcazioni da trasporto.
Museo dei trasporti (Verkehrsmuseum), Augustusstrasse, 1 Dresda Una sessantina di modelli navali e un'ampia documentazione anche fotografica, raccontano la storia della navigazione nel Mar Baltico e nel Mare del Nord.
Museo dei trasporti e della tecnica (Museun Fur Verkehr Und Technik), Trebbiner Strasse 9, D 1000 61 Berlino Si possono osservare numerosi modelli che descrivono la storia della nave e della navigazione. Ci sono anche numerose attrezzature e strumenti usati dai marinai dell'antichità.
Museo della navigazione (Schiffahrtmuseum), Schiffbrucke 39, 2390 6 Flensburg La storia dei commerci e della navigazione della città sono raccontati attraverso 60 modelli, 80 quadri di soggetto marinaro e molto altro materiale. Il museo ha sede nel vecchio edificio della dogana che si trova al porto.
Museo della navigazione (Schiffahrtsmuseum), August Bebel Strasse 1 25 Rostock Museo ricco di strumenti e modelli di navi. Presenta anche una serie di quadri a olio raffiguranti navi a vela e a vapore. Visita interessante anche per gli appassionati di navi vichinghe.
Museo della navigazione dei porti oldenburghesi del Weser (Schiffahrtsmuseum Der Oldenburgischen Unterweserhafen), Unterweser Heinrich Schnittgerstrasse 18, D 2880 Brake. Numerosi ed accurati modelli navali ed una ampia collezione di strumenti e attrezzature di bordo di varie epoche, raccontano la storia marinara dell'Oldenburg.
Museo della navigazione di Regensburg (Schiffarts Museum Regensburg), Werftstrasse 8400 Regensburg Piroscafo museo ormeggiato sul Danubio. Costruito nel cantiere cittadino nel 1923 fece servizio per il Bayerischer Lloyd raggiungendo l'Austria e l'Ungheria. Conserva la motrice a vapore originale e contiene modelli e cimeli.
Museo della navigazione interna tedesca (museum der deutschen binnenschiffahrt), Dammstrasse 11, D 4100 13 Duisburg I modelli delle navi e delle installazioni, insieme a numerosi documenti, cimeli ed attrezzature, documentano la navigazione interna e costiera. Da vedere il modello del Marie Luise, del 1908, con due propulsori a ruote sistemate a poppa.
Museo della navigazione sull'Elba (Elbschiffahartsmuseum und Friesesche Sammlung), Elbastrasse 59 D 2058 Lauenburg Sono presenti modelli di battelli e di navi sia fluviali che marittime. Il museo contiene anche motrici alternative a vapore, motori Diesel, turbine.
Museo della navigazione tedesca con museo all'aperto (Deutsches Schiffahrts Museum Mit Freilichtmuseum), Van Ronzelen Strasse, D 2850 1 Bremerhaven. La collezione di questo museo è particolarmente ampia e comprende centinaia di modelli. E' molto ben descritta l'evoluzione dell'arte navale attraverso tutte le epoche, fino alle sofisticate tecniche applicate ai sommergibili durante l'ultima guerra mondiale.
Museo della storia di Amburgo (Museum Fur Hamburgische Geschichte), Holstenwall 24, 2000 36 Amburgo Questo museo, data la storia della ctità così legata al mare, conserva un'ampia collezione di modelli navali e di cimeli, di documenti e di immagini legati al mare.
Museo delle coste e dei bagni di Juist (Kustenmuseum Nordseebad Juist), 2983 IL006 Juist/Loog Juist Il museo illustra l'attività marinara dell'isola attraverso modelli di navi, carte nautiche, attrezzi per la pesca ed una collezione di conchiglie.
Museo delle navi in bottiglia (Buddel Schiffmuseum), Am Hafen, Westseite 7, 2943 Neuharlingersiel Il museo presenta una starordinaria raccolta di navi in bottiglia: dal tronco d'albero scavato, ai velieri di ogni epoca, alle navi moderne.
Museo del porto di Ovelgonne (Museumshafen Ovelgonne), Schiffsanleger Neumuhlen HH 52 Ovelgonne (Amburgo) Una insolita raccolta di barche da pesca e da trasporto del secolo scorso. E' anche possibile, in qualche caso, salire a bordo di una di queste vecchie imbarcazioni e fare un giro in mare.
Museo del Reno (Rheinmuseum), Hone Ostfront Festung Ehrenbreitstein D 5400 Koblenz Il museo racconta la vita della Città di Coblenza e dei suoi traffici marittimi sul fiume. Si possono osservare numerosi modelli di navi antiche e recenti fra i quali chiatte da carico, cisterne, rimorchiatori.
Museo del Reno di Emmerich (Rheinmuseum Emmerich), Martinikirchgang 2, D 4240 Emmerich Centoventi modelli, attrezzature per la pesca, documenti ed equipaggiamenti illustrano la navigazione e la pesca sul Reno, importante attività marinara della città.
Museo della Scienza (Science Museum) Exibition Road, SW7 2DD Londra Il museo possiede una bellissima raccolta di modelli navali che vanno dal 1700 a.C. (periodo egizio) all'epoca della propulsione meccanica. Ci sono navi militari e mercantili, a vela e a motore. Si possono vedere anche modelli di caldaie, macchine e motori.
Museo di Altona (Altonauer Museun), Museumstrasse 23, HH 50 Altona (Amburgo) Nella sezione nautica si trovano attrezzature nautiche e si possono osservare tecniche costruttive per la realizzazione delle navi, delle vele e del loro arredamento. Ci sono numerose polene.
Museo Marittimo (Schiffahrt Museum), Schlossturm Burgplatz 30 D 4000 1 Dusseldorf Presenta 120 modelli di navi, chiatte, rimorchiatori, yacht e barche che documentano la storia della navigazione fluviale e costiera in Germania.
Museo Marittimo del Mersey (Merseyside Maritime Museum) Pier Head, Merseyside L3 1DN Liverpool Il museo è realizzato in una zona caratteristica del porto. Un migliaio di modelli di navi, strumenti e attrezzature nautiche, modelli di macchine, quadri e documenti illustrano l'attività di questo importante porto e l'attività sul mare.
Museo Marittimo di Lowestoft e del Sufflox orientale (Lowestoft and East Suffolk Maritime Museum) Sparrows Nest Park, Whapload Road NR 32 1XG Lowestoft Il museo contiene numerosi modelli di navi, documenti e uniformi. Ci sono anche strumenti e attrezzature navali.
Museo Marittimo di Maryport (Maryport Maritime Museum) 1 Senhouse St., Cumbria CA15 6AB Maryport Nelle sale del museo sono conservati modelli di navi, strumenti e attrezzature di bordo e per la costruzione navale. Nel vicino porto sono ormeggiate alcune navi fra le quali il rimorchiatore Flying Buzzard del 1951.
Museo Marittimo Nazionale (National Maritime Museum) Romney Road, Greenwich S.E. 10 9NF Londra Questo importante museo presenta la storia marittima della Gran Bretagna attraverso una imponente collezione di modelli di navi, cimeli, documenti. Nei pressi del museo è ormeggiato il Cutty Sark, perfettamente restaurato.
Museo Navale (Uns Lutt Schiffmuseum), Wehrbergsweg 7, 2190 Cuxaven La visita a questo museo è raccomandata soprattutto agli appassionati delle navi in bottiglia, che sono una specialità locale. Si può osservare l'esemplare più grande del mondo, lungo 95 centimetri.
Museo Tedesco della Tecnica (Deutsches Museum), Isarinsel 1 D 8000 Monaco Il museo è molto vasto e la sola parte dedicata alla navigazione è suddivisa in settori: dalle navi a vela a quelle a propulsione meccanica, dai sistemi di propulsione ai sistemi di pesca, ecc.. Numerosi i modelli presenti.
GRAN BRETAGNA
Centro dell'eredità marittima (Maritime Heritage Centre) Gas Ferry Road, Avon BS1 5TY Bristol Il museo si trova vicino al bacino nel quale è conservato il Great Britain. Illustra l'attività degli importanti cantieri di Bristol e contiene numerosi modelli navali, documenti e stampe. Vengono descritte le tecniche di costruzione navale.
Complesso del Museo Marittimo (Maritime Museum Complex) Clock House, Pier Yard, Royal Harbour, Kent CT11 8LS Ramsgate Il museo illustra la storia marittima locale attraverso modelli di navi e di imbarcazioni, oggetti recuperati da navi affondate, fotografie e cimeli. Nel porto attiguo si trovano il peschereccio a vela Vanessa, il rimorchiatore a vapore Cervia, lo yacht a vapore Sundowner.
Il museo dell'imbarcazione (The Boat Museum) Dockyard Road, Cheshire L65 4EF Ellesmere Port Contiene una raccolta di imbarcazioni in legno, in metallo e in materiali compositi destinati a navigare nelle acque interne, nei porti e lungo le coste, sia con mezzi propri che a rimorchio. C'è anche una notevole presentazione di attrezzature, bacini, macchinari, ecc.
La fregata "Unicorn" (The Frigate Unicorn) Victoria Dock, Angus DD1 3YA Dundee Si tratta di una fregata del 1824 da 46 cannoni, ormeggiata in acqua e visitabile. E' la più vecchia nave della Marina Britannica.
Lo storico cantiere (The Historic Dockyard) Kent, ME4 4TE Chatham Il cantiere, nato nel XV secolo, fu per secoli uno dei maggiori centri di costruzione navale militare. Modelli di navi, cimeli, documenti, materiali, attrezzature per navi a vela, artiglierie, ecc. illustrano questa attività.
Museo dei docks cittadini (Town Docks Museum) Queen Visctoria Square, North Humberside HU1 3DX Kingston Upon Hull Il museo possiede una ampia raccolta di modelli navali fra i quali piroscafi, pescherecci, baleniere. Ci sono anche strumenti nautici e da pesca, cimeli e polene.
Museo del distretto di Clydebank (Clydebank District Museum) Old Town Hall, Dumbarton Road, Dunbartonshire Clydebank Il museo presenta pregevoli modelli navali fra i quali quello della corazzata Vanguard, costruita nel 1944, e della petroliera British Queen.
Museo della città di Dartmouth e casa della macchina di Newcomen (Dartmouth Town Museum and New Comen Engine House) The Butterwalk, Devon TQ69PZ Dartmouth - Nel museo ci sono oltre 140 modelli di navi alcuni dei quali di grande pregio. Ci sono anche modelli di pescherecci e di piroscafi a ruote. In una apposita sala è conservata la macchina a vapore a pressione atmosferica, in grado di funzionare, realizzata da Thomas Newcomen nel 1725.
Museo della scienza e dell'ingegneria (Museum of science and engineering) Blanford House, Blandford Square, NE1 4JA Newcastle-Upon-Tyne - Il museo conserva molti modelli di navi a vela e di navi a propulsione meccanica, sia militari che mercantili. Possiede anche molti piani di costruzione, strumenti di navigazione, dipinti e fotografie.
Museo di Brixham (Brixham Museum) Bolton Cross South Devon TQ5 8LZ Brixham Il museo espone modelli di navi e imbarcazioni, strumenti di navigazione e da pesca. Sono presentati anche i mezzi utilizzati per il soccorso in mare alle navi in difficoltà ed ai naufraghi.
Museo di Sir Max Aitken (Sir Max Aitken Museum) The Prospect, 83 Hig Street, Isle of Wight Cowes Il museo è realizzato in una ex veleria galleggiante restaurata da Sir Aitken. Si possono ammirare i modelli degli yacht appartenuti al proprietario del museo. Ci sono modelli di navi a vela, fra i quali uno dei clipper di Baltimora, e di golette della prima metà dell'800.
Museo di Whitby (Whitby Museum) Pannet Park, North Yorkshire YO 21 Whitby Il Museo è dedicato all'evoluzione della nave e alle imprese dei navigatori James Cook e Williams Scoresby. Contiene circa 150 modelli fra i quali una bella riproduzione della nave Endeavour.
Museo di Whitehaven (Whitehaven Museum) Market Place, Cumbria CA 28 7JG Whitehaven Il museo contiene alcuni modelli navali fra i quali quelo del piroscafo Hercules e quello del veliero Love. Ci sono anche cimeli, carte, documenti, bandiere e quadri di argomento marinaro.
Museo Marittimo del Nord Devon (North Devon Maritime Museum) Odun House, Bideford, Devon EX 39 1PT Appledore Numerosi modelli illustrano l'evoluzione delle navi dai tempi dei vichinghi fino ai nostri giorni.
Museo Marittimo della Scozia (Scottish Maritime Museum) Laird Forge, Gottries Road, Ayrshire KA 12 8QE Irvine Contiene numerosi modelli e cimeli. Si possono ammirare anche il cutter Vagrant ed il tre alberi Lady Guilford del 1818.
Museo Marittimo di Aberdeen (Aberdeen Maritime Museum) Provost Ross's House, Shiprow Aberdeenshire Aberdeen Le dodici sale del museo raccontano la storia marittima della Scozia e del porto di Aberdeen. E' illustrata l'attività cantieristica locale. Ci sono modelli e attrezzi relativi all'attività peschereccia. Vi è descritta la caccia alle balene e l'attività di salvataggio in mare.
Museo Marittimo di Bembridge (Bembridge Maritime Museum) Sher Bourne Street, Isle of Wight Bembridge Il museo di compone di sei gallerie. Vi sono illustrati tutti gli aspetti della vita sul mare. Ci sono numerosi modelli navali, strumenti, attrezzature, cimeli, quadri e stampe antiche.
Museo Marittimo di Exeter (Exeter Maritime Museum) Wyvern Barracks, Topsham Road, Devon EX2 6AE Exeter Il museo si trova lungo il fiume Exe. Presenta, in acqua o a terra, circa 150 imbarcazioni, di ogni parte del mondo: da diporto, da lavoro, rimorchiatori, imbarcazioni in bambù, piroghe, ecc.
Museo Marittimo di Falmouth (Falmouth Maritime Museum) 2 Bell's Court, Cornwall Falmouth Il museo contiene una ricca collezione di modelli di navi, strumenti e documenti. Vi è conservato il rimorchiatore St Denys, del 1929 la cui macchina a vapore è dotata di valvole Caprotti di progettazione italiana.
Museo Marittimo di Kilmore Quay (Kilmore Quay Maritime Museum) Isle of Wight, Cowes Il museo si trova all'interno di un battello faro irlandese. Contiene modelli di navi e ricordi di importanti avvenimenti legati al mare.
Museo Marittimo di Lancaster (Lancaster Maritime Museun) Custon House, St. George's Quay Lancashire LA1 1RB Lancaster Il museo, situato nel vecchio edificio della dogana, del 1764, illustra 2000 anni di storia delle attività marittime locali. Sono illustrati i sistemi di trasporto nella acque interne e l'attività peschereccia.
Museo Nazionale delle Barche a Motore (National Motorboat Museum) Wat Tyler Country Park, Pitsea Essex SS16 4 UW Basildon Contiene una ampia raccolta di imbarcazioni a motore, entro e fuori bordo, da diporto e da competizione. Molti motori sono presentati in dimensioni reali o riprodotti in scala.
Museo Scozzese della Pesca (Scottish Fisheries Museum) St. Ayles, Harbourhead, Fife KY10 3AB Anstruther Ci sono numerosi pescherecci antichi e moderni. Alcuni sono rappresentati da modelli altri sono conservati in acqua. Ci sono naturalmente strumenti per la pesca e viene descritta la specifica attività compresa la lavorazione del pesce.
Piroscafo "Carrick" (MV "Carrick") Custom House Quay Glasgow La nave è ormeggiata sul fiume Clyde. Si tratta di una grossa nave a ruote costruita nel 1864 che ha prestato servizio fra Londra e l'Australia per trasporto passeggeri e merci. Non è visitabile ma è ben visibile dall'esterno. Il suo nome originale era "City of Adelaide".
Piroscafo Great Britain (S.S. Great Britain) Great Western Duck, Gas Ferry Road Avon BS1 5TY Bristol Si tratta del famoso transatlantico costruito nel 1843 su progetto di I.K.Brunel. La nave, in ferro, era una delle maggiori del suo tempo ed era già dotata di paratie trasversali e doppiofondo centrale. Fu il primo transatlantico a elica. Fu recuperato alle Falkland nel 1970.
Regia nave da esplorazione "Discovery" (Royal Research Ship Discovery) Victoria Dock Dundee Si tratta di una nave costruita, nel 1901, per esplorare l'Antartide. E' un brigantino a palo, con scafo in acciaio, dotato di macchina a vapore da 500 hp. Dopo una lunga carriera anche come nave scuola è ora adibita a museo galleggiante.
Regio museo di Scozia (Royal Museum of Scotland) Chambers Street, EH1 1JF Edimburgo Il museo presenta molti modelli di navi ed imbarcazioni ambientate nei rispettivi periodi storici. La collezione inizia dalle imbarcazioni vichinghe fino a comprendere le navi del XX secolo.
Regio Museo Navale (Royal Naval Museum) Naval Base, Hants PO1 3LR Portsmouth Il Museo è organizzato e gestito dalla Regia Marina Britannica. Attigui al museo si trovano la HMS Victory, vascello a tre ponti di Nelson; la HMS Warrior, corazzata del 1860; la Mary Rose, galeone del 1510 (in capannone).
GRECIA
Museo Navale Greco (Naval Museum of Greece) Freattys Bay, Akti Themistokleous Attica Pireo (Atene) Il Museo presenta la storia della marineria ellenica. Sono esposti oltre 150 modelli di navi, strumenti nautici, mappe, cimeli, relitti, insegne, quadri e fotografie. Al Pireo è conservato anche l'incrociatore corazzato Averoff trasformato in museo.
IRLANDA
Museo di Cobh (Cobh Museum) Scots Church, Co. Cork, IR Cobh Il museo è dedicato alla città di Cobh e alle sue tradizioni marinare. Il museo conserva pregevoli modelli di navi, carte nautiche, unifornìmi. Contiene anche importanti cimeli provenienti dal transatlantico Lusitania.
Museo Marittimo Nazionale d'Irlanda (National Maritime Museum of Ireland) High Terrace, Co Dublin, IR Dun Laoghaire Numerosi modelli e cimeli, contenuti nel museo, testimoniano la presenza di marinai irlandesi sulle navi da guerra, mercantili e da pesca locali. Da notare il modello della Sirius, la prima nave che attraversò l'atlantico solo a vapore e quello del Great Eastern.
Museo Marittimo di Wexford (Wexford Maritime Museum) The Quay, IR Wexford Town Il museo è allestito nel battello fare Lightship Guillemot. L'imbarcazione contiene numerosi modelli di navi, polene e cimeli provenienti da ogni parte.
ITALIA
Arsenale e Museo Tecnico Navale Piazza Chiodo 19100 La Spezia Il Museo, attiguo all'Arsenale Militare, comprende circa 9.000 pezzi fra cui 130 modelli navali, attrezzi, strumenti, carte, uniformi, bandiere, ecc.. Nella sala armi subacque si possono ammirare torpedini, siluri e bombe di profondità.
Civico Museo del Mare Via Campo Marzio, 1 34100 Trieste Il Museo offre un panorama della storia marittima di Trieste e dei suoi cantieri, con la costruzione di navi e motori. Racconta della pesca in Adriatico e della navigazione mediterranea e oceanica. Interessante una sala dedicata a Joseph Ressel, inventore dell'elica navale.
Civico Museo Navale Piazza C. Bonavino 7 16156 Genova Pegli Il Museo, dedicato alle tradizioni marinare italiane, e genovesi in particolare, presnta numerosi modelli fra i quali quelli delle tre caravelle colombiane, antichi strumenti di navigazione come astrolabi e bussole, carte nautiche, ecc.
Museo Civico Marinaro "Gio Bono Ferrari" Via Gio Bono Ferrari 41 16032 Camogli (GE) Il museo raccoglie modelli, cimeli, stampe, dipinti, navi in bottiglia, ex voto e documenti che testimoniano l'importante tradizione marinara di questa città del Golfo Paradiso.
Museo del Mare Galata Calata De Mari 1 16126 Genova Il museo, inaugurato nel 2004, sorge nell'edificio restaurato che si sviluppò sulla struttura sorta, in origine, per il ricovero delle Galee. Attraverso modelli, attrezzature, ricostruzioni e ambientazioni, vengono illustrati il periodo delle Galee, dei Galeoni e dei Vascelli, delle Navi a vapore fino alle moderne Navi da crociera.
Museo della Barca Lariana 22010 Pianello del Lario (CO) Il museo è dedicato alla storia della barca e della navigazione in acque interne. Vi sono presentate 160 barche, motori, remi, attrezzi, ecc.. Ci sono barche a fondo piatto, altre snelle. Motoscafi e barche da turismo e regata. C'è perfino una autovettura anfibia.
Museo delle Navi Via Zamboni 33 40126 Bologna Si possono ammirare nove modelli di navi del XVII e XVIII secolo realizzati con grande precisione e cura dei dettagli. C'è anche il modello di un brulotto, grossa imbarcazione che, caricata di materiale incendiario, veniva inviata verso le navi nemiche.
Museo di Capo Lilibeo Ex baglio Anselmi 91025 Marsala Il muso ospita l'unica nave fenicia giunta fino a noi. E' una nave a remi di circa 35 metri che si ritiene facesse parte della flotta cartaginese sconfitta dai Romani nel 241 aC.
Museo delle navi Via Diana 00040 Nemi (RM) Il museo conteneva gli scafi di due grandi navi recuperate nel lago di Nemi fra il 1927 e il 1932, insieme agli scafi di altre imbarcazioni più piccole. Durante l'ultima guerra un devastante incendio distrusse buona parte del materiale. Oggi è riaperto con due riproduzioni ridotte al posto delle navi originali.
Museo delle navi Via Alessandro Guidoni 00054 Roma Fiumicino Il Museo descrive le navi e le tecniche costruttive nonché le attività commerciali della Roma imperiale. Molto materiale, accuratamente restaurato, proviene da scavi archeologici effettuati negli anni Cinquanta.
Museo Navale Internazionale del Ponente Ligure Piazza Duomo 11 18100 Imperia Il Museo raccoglie circa 130 modelli di navi antiche e moderne, militari e mercantili. Documenti, cimeli, ex voto marinari e quadri testimoniano la storia della marineria mondiale.
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Via San Vittore 21 20123 Milano Il Museo navale presenta l'evoluzione tecnica delle navi antiche e moderne, mercantili e militari; imbarcazioni da diporto, attrezzature, armi, strumenti e infrastrutture. La rassegna comprende anche numerosi modelli di navi.
Museo storico navale Castello, Riva degli Schiavoni 2148 30122 Venezia E' un importante museo che racconta la storia millenaria della Serenissima. Ci sono centinaia di cimeli, modelli, carte, attrezzature. Ci sono armi e polene. Si possono ammirare un bellissmo modello del Bucintoro e quelli di numerosi galeoni cinquecenteschi. Museo Marinaro "Tommasino-Andreatta" - Chiavari Il nucleo del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta è costituito da modelli di navi a vela, militari e mercantili quasi tutti naviganti e radio comandati oltre che da apparecchi radio riceventi costruiti o raccolti da Franco Tommasino. Il resto proviene da donazioni o lasciti di privati o da acquisti sul mercato antiquario o da collezionisti. Scuola Telecomunicazioni Forze Armate - Via Parma 34 - 16043 Chiavari (GE)
JUGOSLAVIA
Museo Navale (Muzej Recnog Bradarstva) UI. Kneza Milosa 82, 11000 Belgrado Modelli di navi, documenti, immagini raccontano la storia della costruzione e dell'evoluzione delle navi.
NORVEGIA
Museo del Kon-Tiki (Kon-Tiki Museet) Bygdoynes 36, 0286 2 Oslo Il museo è dedicato all'esploratore Thor Heyerdahl che, con una zattera di balsa chiamata Kon Tiki, partì dalla Polinesia e raggiunse il Perù. Questa zattera costituisce la maggiore attrazione del museo. C'è anche il Rall, la barca di papiro una cui copia riuscì ad attraversare l'Atlantico.
Museo della Marina (Marinemuseet) Karljohansveien, 3191 Vestfold Horten Il museo si trova presso l'Arsenale della Marina Militare. Vi si racconta la storia della Marina Norvegese dall'epoca dei Vichinghi fino ai nostri giorni. Ci sono numerosi modelli alcuni dei quali risalgono all'Ottocento.
Museo della Navigazione di Sandefjord (Sandefjord Sjofartsmuseum) Prinsensgate 18, Radhusgaten 2a 3200 Vestfold Sandefjord Un grande numero di modelli, di stampe e di quadri illustrano le attività marinare della regione. Il periodo trattato va dalle navi vichinghe alle moderne superpetroliere.
Museo delle attività baleniere (Kommander Chr Christensen's Hvalfangst Museum) Radhusgata 4, Radhusgaten 2a, 3200 Vestfold Sandefjord - Il museo è dedicato alla pesca delle balene. Sono esposti modelli di baleniere e attrezzature. Vengono descritti i diversi tipi di balene e le tecniche di pesca e lavorazione.
Museo delle Navi Vichinghe (Vikingsphuset) Huk Aveny 35, Bydoy, 0287 2 Oslo Il museo contiene tre navi vichinghe recuperate, in buone condizioni fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, lungo le coste del fiordo di Oslo. Si tratta di navi di alto livello, molto robuste. Sono esposti anche importanti oggetti rinvenuti sulle navi
Museo Marittimo (Sunnmore Museum) Borgundgavlen 6015 Alesund Il museo presenta una interessante collezione di imbarcazioni. A fianco è ancorata una copia della motobarca Heland che, nel corso della seconda guerra mondiale, trasportò alle Isole Shetland i fuggiaschi dalla Norvegia sotto occupazione germanica.
Museo Marittimo di Bergen (Bergens Sjofartsmuseum) Mohlenprisbakken 3, Pob 2736 5010 Bergen Una abbondante collezione di modelli, fotografie, attrezzi, strumenti marinareschi, cimeli, illustrano la storia marinara di Bergen e della Norvegia.
Museo Marittimo di Stavanger (Stavanger Museum-Sjofartsmuseseet/Og Handelsmuseet) Muségt 16 4005 Stavanger Si tratta di tre musei con lo stesso indirizzo. Per la parte marittima-navale presentano la storia della navigazione e delle costruzioni navali della Norvegia meridionale negli ultimi due secoli. Ci sono anche le due navi museo Anna e Wyvern.
Museo Norvegese della Navigazione (Norsk Sjofartsmuseum) Bygdoynesveien 37 0286, N 2 Oslo Il museo contiene numerosi modelli di navi e cimeli, attrezzature, interni di navi, reperti archeologici. Un plastico mostra un cantiere per la costruzione delle navi in legno secondo le tecniche in uso nel XIX secolo.
OLANDA
Batavia, Oostvaardersdijk Lelystad Nella darsena è ormeggiata la riproduzione del vascello costruito nel 1628 ad Amsterdam per conto della Compagnia Olandese delle Indie Orientali e naufragato, al suo primo viaggio, sulle coste australiane. La nave, nelle dimensioni reali, è navigante ed è visitabile.
Museo della Navigazione Nordica (Noordelijk Scheepvaartmuseum) Brugstraat 24, 9711 HZ Groningen Questo museo contiene circa 500 modelli, numerosi strumenti e attrezzi, macchine navali a vapore e a combustione interna. Particolarmente interessanti i modelli di una Cocca Nordica e di un Brigantino.
Museo della pesca (Visserijmuseum) Viscpoortstraat, Gemeentehuis Toestel 06 Elburg Il Museo illustra l'attività peschereccia nello Zuidersee. Si possono ammirare numerosi modelli di navi e di imbarcazioni, strumenti e metodi di pesca. Viene anche illustrata la vita della gente di mare a bordo e a terra.
Museo della pesca (Visserrijmuseum) Inst. Voor De Nederlanse ZeevisserijWest Havebkade 53-54 3131 A6 Vlaardingen Il Museo è dedicato alla storia della navigazione e della pesca locali. Si possono ammirare numerosi modelli di barche e navi, attrezzature, procedimenti per la manutenzione di reti e attrezzi, dipinti e fotografie.
Museo dello Zuiderzee (Rijksmuseum Zuiderzeemuseum) Wierdijk 18 Pob 42 1601 LA Enkhuizen E' un museo all'aperto nel quale è stato ricostruito un villaggio ottocentesco tipico della zona. Vi sono conservate, in acqua, imbarcazioni originali e sono ricostruite officine, laboratori, ecc.. In questo museo l'autore di questo sito "mitidelmare" ha acquistato una cima di canapa, costruita sotto i suoi occhi, che viene utilizzata per la realizzazione dei nodi descritti in altra pagina delle "note tecniche".
Museo di Scheveningen (Scheveningen Museum) Neptunusstraat 92, 2586 GT Scheveningen Il Museo conserva il ricordo della cittadina di Scheveningen attraverso modelli di navi e attrezzature per la pesca, ambienti di bordo dei pescherecci e scene di vita a terra.
Museo Marittimo (Maritiem Museum) Noord Haven Poort 1, 4301 EC Zierikzee Il museo presenta numerosi modelli di navi mercantili e da carico fra i quali duello di una Pinaccia del XVII secolo e quello di una nave da guerra del 1627. Ci sono anche attrezzature nautiche e per la pesca, dipinti e stampe d'epoca.
Museo Marittimo e della Pirateria (Maritiem En Jutters Museum) Barentszstraat 21, AD 1792 Oudeschild Il museo illustra la storia marinara della zona fatta di lavoro, di navigazione ...e di pirateria ai danni di chi raggiungeva la spiaggia dal mare. Ciò è testimoniato da modelli di navi, reperti e molti oggetti provenienti, appunto, dall'attività piratesca.
Museo Marittimo Principe Enrico (Maritiem Museum Prins Hendrik) Leuvenhaven 1, 3011 Rotterdam Il museo presenta una imponente raccolta di modelli di navi: caracche, cocche nordiche, vascelli, caravelle spagnole, clipper, galere, ecc.. Nel porto attiguo ci sono ormeggiate una ventina di navi ed imbarcazioni.
Museo Navale della Frisia (Fries Scheepvaart Museum) Kleinzand 12-14, 8601 BH Sneek Il Museo presenta l'evoluzione della Marineria frisona attraverso una raccolta di 150 modelli navali, strumenti, cimeli, carte, dipinti, lavori di cesello, fotografie.
Museo Navale Olandese (Nederlands Scheepvaart Museum) Kattenburgerplein 1, 1018 KK Amsterdam Situato nell'antico Arsenale dell'Ammiragliato, il museo possiede cinquecento modelli di navi ed un grande numero di cimeli, strumenti, attrezzature, carte nautiche. Di fronte al museo è ormeggiato l'Amsterdam, ricostruzione in grandezza naturale di un grande mercantile armato, a tre alberi, della Compagnia delle Indie.
Museo Nazionale del Rimorchio (National Sleepvaartmuseum) Hoogstraat 1 3142 EA Maasluis Il museo tratta il settore del rimorchio nel quale gli Olandesi sono particolarmente specializzati. Molti modelli di rimorchiatori, materiali diversi e fotografie presentano questa particolare attività svolta sia in alto mare che lungo fiumi e canali.
POLONIA
Museo della Marina da Guerra (Muzeum Marynarki Wojennej) Bulwar Szwedzki Gdynia Il Museo possiede un centinaio di modelli, fra i quali riproduzioni di navi del XVII e XVIII secolo, navi militari e aereomobili. C'è anche una interessante raccolta di armi e cimeli. In porto è ancorato, ed è visitabile, il cacciatorpediniere Blyskawica.
Museo Navale Centrale (Centralne Muzeum Morskie) Ul. Szeroka 67/68 80835 Danzica (Ggansk) Il museo si trova nella parte vecchia della città. Contiene numerosi modelli ed illustrazioni di navi da carico e da crociera. Una sezione del Museo è dedicata all'archeologia sottomarina.
PORTOGALLO
Museo della Marina (Museu de Marinha) Pracca Do Imperio, 1400 Lisbona Il Museo presenta una collezione di 430 modelli navali e 34 imbarcazioni oltre a cimeli, attrezzi, documenti, ecc.. Da segnalare il vascello a due ponti Principe de Beira del XVIII secolo realizzato con tecnica eccellente.
Museo Marittimo Almirante Ramalho Ortigao (Museo Maritimo Almirante Ramalho Ortigao) Capitania Do Porto De Faro, Faro Il Museo illustra la storia marittima del Portogallo attraverso numerosi modelli di navi mercantili e da guerra, imbarcazioni, plastici. Si può ammirare una ricca collezione di cimeli, parti di navi, ancore, quadri, ecc.
Museo Marittimo e Regionale di Ilhavo (Museu Maritimo e Regional de Ilhavo) Rua De Serpa Pinto, Ilhavo Il Museo presenta una ricca collezione di modelli di navi, strumenti per la navigazione e la pesca, miniature, ex voto, ecc.. Da segnalare una Corvetta portoghese del XVIII secolo e quello di una goletta da pesca del XIX secolo.
PRINCIPATO DI MONACO
Museo del mare di Monaco (Musee de la Mer de Monaco) Avenue Saint Martin-Monaco Ville 98000 Monaco Il Museo è dedicato alle ricerche scientifiche marine. Conserva un bel modello della Nave oceanografica Hirondelle II e battelli subacquei utilizzati dal Comandante Cousteaux.
ROMANIA
Museo della Marina Romena (Muzeul Marinei Romane) Ul. Traian 53 8700 Costanza Il museo contiene oltre 60 modelli di navi, armi e attrezzature navali, cimeli e documenti. Fra i modelli da segnalare un'antica piroga, alcuni brigantini, una cannoniera fluviale e navi moderne. C'è anche una rassegna dedicata ai motori marini.
RUSSIA
Museo Centrale della Marina da Guerra (Tsientralni Morskoi Muziei) Plosciad Puskinskaja 4 San Pietroburgo Il museo è dedicato soprattutto allo sviluppo della Marina Russa dal Settecento in poi. Conserva numerosi modelli di navi fra i quali quello dell'incrociatore Kirov e la più moderna portaereomobili Kiev. Ampio spazio è dedicato anche ai sommergibili.
Museo Incrociatore Aurora (Muzei Krassera Aurora) Petrogradskj Nab., Bliz Mosta Svobody, San Pietroburgo L'incrociatore protetto Aurora, costruito a San Pietroburgo, entrò in servizio nel 1902. Fece parte della flotta russa dell'estremo Oriente. Partecipò ai soccorsi dopo il terremoto di Messina. Sparò il primo colpo che annunciò la vittoria della Rivoluzione d'Ottobre nel 1907. Dal 1948 è destinato a museo galleggiante.
SPAGNA
Museo Marittimo (Museo Maritimo), Plaza Puerta de la Paz 1 E 08001 Barcellona Nelle sale del museo sono esposti modelli di navi di varie epoche, documenti storici, carte nautiche e geografiche. Attigue al museo, al Molo della Porta de la Paz, sono ormeggiate la caracca Santa Maria e la Galera Real ricostruite sulla base dei disegni e delle immagini originali.
Museo Marittimo delle Asturie (Museo Maritimo de Asturias), Calle del Conde del Real Agrado Oviedo E 33440 Luanco Numerosi modelli navali, carte nautiche e strumenti illustrano la storia della marina. L'annessa biblietaca contiene molto materiale di studio in materia di marina, aceanografia e pesca.
Museo Navale (Museo Naval), Paseo del Prado 5 E 28014 Madrid Tra i principali di Spagna presenta tutti gli aspetti della storia marinara di questa nazione. Dalle costruzioni navali alle scoperte, dalle guerre ai progressi scientifici della marineria. Numerosi e pregevoli sono i modelli navali esposti. Ricca la documentazione.
Museo navale (Museo Naval), Paseo de Cristòbal Colon, Torre del Oro, E 41001 Siviglia Il Museo si configura come dipendenza del Museo Navale di Madrid. Attraverso monografie e modelli vengono illustrate caratteristiche ed evoluzione degli antichi mezzi navali.
Museo Provinciale del Mare (Museo Provincial del Mer) , Antigua Escuela, Avenida Mariba, E 27890 San Ciprian A questo modello si accede a richiesta. Presenta una raccolta di modelli navali, strumenti nautici ed ex voto marinari.
SVEZIA
Museo del Vasa (Vasavarvet) Djurgardsbrunnsvagen 24 11527 Stoccolma Il Museo è realizzato attorno allo scafo del famoso Galeone Vasa. La nave, voluta dal re di Svezia Gustavo II Adolfo nel 1627, che si rovesciò alla prima uscita in mare. Lo scafo è stato recuperato nel 1961. Vicino ci sono anche un rompighiaccio e un battello faro.
Museo della Marina (Marinmuseum) Amiralitetstatten 37130 Karlskrona E' il maggiore museo svedese. Raccoglie modelli di navi e disegni. Descrive le tecniche di costruzione dai tempi antichi ai nostri giorni. Sono esposte pregevoli polene. C'è anche una sezione dedicata alle armi e la ricostruzione della camera di manovra di un sommergibile.
Museo della Navigazione di Malmo (Malmo Sjofartsmuseum) Malmohusvagen 7 Malmo Numerosi modelli, cimeli e quadri illustrano la storia delle navi, della loro costruzione e della navigazione. Si trovano navi risalenti all'età della pietra, del bronzo e del ferro; navi vichinghe e navi moderne.
Museo Marittimo e Acquario (Sjofartsmuseet Med Akvariet) Karl Johansgatan 1-3 41459 Goteborg Il Museo si trova nell'area del vecchio cantiere navale. Contiene numerosi modelli, polene, carte nautiche, quadri e stampe. Da segnalare diversi velieri a propulsione mista costruiti fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.
Museo Storico Statale del Mare (Statens Sjohistoriska Museum) Djurgardsvagen 24 Stoccolma Il museo dispone di una sezione dedicata alle navi mercantili e di una dedicata alle navi da guerra. In entrambe le sezioni si possono ammirare pregevoli modelli. Si può ammirare la parte poppiera originale della goletta reale Amphion. Una terza sezione illustra le tecniche di costruzione navale.
SVIZZERA
Museo della navigazione svizzera "la nostra via al mare" (Schweizerisches Schiffahrts-Museum "Unser Weg Zum Meer"), Wiesendamm 4, CH 4019 Basilea. Contiene una ricca esposizione di modelli e di immagini, di materiali e di attrezzature. La collezione tratta della navigazione fluviale e della navigazione d'alto mare sotto bandiera svizzera.
Museo svizzero dei trasporti (Verkehrshaus Der Schweiz), Lidostrasse 5, CH 6006 Lucerna Nella sezione marittima, bellissimi modelli illustrano la storia della nave e della navigazione, le tecniche costruttive e la navigazione fluviale, lacuale e marittima.
TURCHIA
Museo Navale (Naval Museum Deniz Muzesi) Besiktas Instambul Il Museo conserva una collezione di modelli di navi, fra i quali quelli di galere, galeazze e sciabecchi che, insieme a carte nautiche, quadri, documenti e cimeli illustrano la storia della marineria turca.
UNGHERIA
Museo dei trasporti di Budapest (Kozlekedesi Muzeum) Varosligeti Korut 11, H 1426 Budapest La sezione navale comprende interessanti modelli di navi e cimeli. Fra i modelli più interessanti si possono segnalare quelli del rompighiaccio nucleare Lenin, del battello a ruote Carolina e del piroscafo Kelen destinato a navigare sul lago Balaton. RAPALLO - 05.03.12 A cura di Carlo GATTI |
IL FORTE DI GAVI
IL FORTE DI GAVI
Il forte di Gavi nasce come castello. La sua storia risale al 972, come dimostrato da un documento scritto, ora conservato negli Archivi di stato di Genova e secondo un altro documento scritto, dal 973 era una proprietà dei marchesi Obertenghi. Pare che durante il periodo romano, qui esistesse già un presidio molto importante per il controllo del territorio. Dato uno sguardo fotografico alla fortezza, osserviamo che in cima alla collina di Monte Moro è situato il gruppo ”Alto Forte” con gli edifici più antichi che inglobano il castello originario.
All’inizio la fortezza appariva molto diversa da oggi: il castello originario era l’unico edificio e campeggiava sulla roccia con le sue torri. Ma nel diciassettesimo secolo, il castello fu incorporato nella struttura militare che appare oggi. Il “Basso Forte”, é un’area che non esisteva prima del 1626. E’ la Cittadella, che consiste in: ingresso, cortile, cappella ed alcuni edifici nati come quartieri militari e magazzini.
Ma ora visitiamo il museo: è stato allestito all’interno della precedente cucina militare, all’ingresso c’è un lavandino.
Ingresso. Il primo pannello (vedi foto sopra) ci mostra una veduta aerea del Forte dalla quale possiamo apprezzare la struttura particolare della fortezza che si adatta perfettamente alla natura orografica del rilievo, seguendo la forma e la mappatura di Monte Moro. La fortezza è stata costruita principalmente dentro roccia e si armonizza con il territorio senza traumi.(vedi foto sotto)
VISITA AL FORTE: GLI AMICI DEL FORTE DI GAVI
IL FORTE COSTRUITO SULLA ROCCIA
IL BASSO FORTE E L’ALTO FORTE
Il Basso Forte consiste in:
L’Ingresso, che è una specie di galleria che dà accesso alla Cittadella, totalmente scavata nella roccia dagli scalpellini; La Cittadella, con il cortile, i quartieri militari, le celle, i magazzini, la mensa e la cappella, che fu costruita verso il 1800.
L’Alto forte, in cima a Monte Moro, come abbiamo detto, è l’edificio che racchiude il vecchio castello e si compone di grosse stanze usate ai tempi come dormitori e come magazzini. E’ strutturato similmente al Basso forte con un cortile centrale ed edifici tutt’intorno. Non è possibile visitarlo per motivi di sicurezza.
STORIA DAL MEDIOEVO AL 1815
Dal 973 il castello apparteneva ai “Marchesi Obertenghi”. Costruito sulla sommità di una roccia naturale, controllava il transito sulla via Postumia e gli Obertenghi guadagnavano ricchi introiti dalle tasse sul pedaggio, ma per la sua posizione strategica aveva anche uno scopo difensivo. I marchesi Obertenghi erano amici e, in qualche modo, anche imparentati con Federico Barbarossa e nel 1177 i marchesi diedero ospitalità all’imperatore che necessitava di un rifugio per la moglie Beatrice ed il figlio Enrico, mentre lui doveva recarsi a Venezia per sottoscrivere l’armistizio con i Comuni della Lega Lombarda.
Nel 1189 Federico I aderì alla “terza Crociata”, conosciuta anche come la “Crociata dei Re”, per riconquistare la “Terra Santa” da Saladino. L’Imperatore condusse una grande armata attraverso l’Anatolia, in Asia Minore, ma qui, nel 1190, egli morì, affogando mentre si accingeva ad attraversare il fiume Saleph.
Nel 1191 suo figlio divenne imperatore. Enrico VI cedette il castello ed i possedimenti di Gavi alla Repubblica di Genova, in cambio di aiuti militari nel sud Italia. Nel 1198 gli Obertenghi tentarono di riappropriarsi del castello, ma infine, nel 1202 dovettero capitolare ed il castello restò in possesso ai genovesi. Il castello di Gavi restò un possedimento Genovese fino al 1418. Dopo questo periodo, il feudo fu preteso dai Visconti (di Milano), dai Fregoso (genovesi) e dagli Sforza (di Milano), tutto per il valore della sua posizione.
Alla fine il feudo fu investito da una nobile famiglia di Alessandria, i Guasco, conti di Francavilla (un paese qui vicino). I Guasco conservarono il feudo fino al 1528, quando il conte Antonio Guasco cedette i diritti sul castello alla Repubblica genovese.
Da ora in poi, Genova mantenne in via continuativa il dominio su Gavi e sul castello fino al 1815 (anno della caduta di Napoleone), quando anche la Repubblica di Genova fu soppressa e fu annessa al nuovo Stato Savoiardo.
RIORGANIZZAZIONE ARCHITETTONICA
Ma dai primi anni del medioevo, i tempi stavano cambiando. In realtà la fortezza stava cambiando il suo aspetto man mano che gli anni passavano, si adattava a molteplici situazioni e necessità. Alcuni pannelli ci spiegano la storia dell’edificio e la sua trasformazione attraverso i secoli. Dal momento che le armi si stavano evolvendo e era stata introdotta l’artiglieria, le torri erano diventate un bersaglio troppo facile per bombe e catapulte, così furono abbattute. Nel 1540 Genova iniziò i primi lavori radicali di rinforzo del castello, per adeguarlo ai tempi. Sotto la direzione dell’architetto genovese Giovanni Maria Olgiati, furono costruite nuove mura, rampanti e bastioni attorno al castello originario per rendere più forte la struttura primaria. Ma nel 1625, in occasione della battaglia contro i Franco-Savoiardi e il loro assedio, il castello fu seriamente danneggiato a causa della grande capacità dell’artiglieria francese, forse dovuta anche al merito del famoso matematico Cartesio, la cui presenza a Gavi, durante l’assedio, pare sia stata accertata. Comunque, i Franco-Savoiardi furono sconfitti, ai soldati della fortezza non mancò mai cibo ed acqua, grazie alle cisterne sotterranee, così riuscirono a superare l’assedio. Al termine della contesa, però, Genova dovette riparare i danni subiti e il castello iniziò a trasformarsi nella fortezza che vediamo oggi.
Nel 1626 i progetti di questo consolidamento furono affidati a Bartolomeo Bianco, il più famoso architetto barocco di Genova e ad un frate domenicano – Vincenzo da Fiorenzuola (al secolo Gaspare Maculano), un celebre architetto militare. A proposito di questo monaco, possiamo ricordare che nel 1633 fu nominato Commissario Generale dell’Inquisizione al processo contro Galileo Galilei, ma, in quanto uomo di scienza egli stesso, il Fiorenzuola si prodigò con diplomazia e successo a salvare la vita al nostro grande scienziato.
L’evoluzione dei miglioramenti continuò per anni: si costruì l’area del Basso Forte, nuove zone all’interno ed all’esterno della fortezza furono collegate fra loro da camminamenti interni, cioè da tunnel fortificati.
Molti architetti ed ingegneri si avvicendarono ai lavori: Stefano Caniglia, Domenico Orsolino, Pierre de Cotte e Pietro Morettini, solo per menzionarne alcuni. Questi lavori consentirono alla fortezza di stare al passo con il progresso della tecnologia.
REPERTI ARCHEOLOGICI
In questa stanza vediamo anche dei reperti archeologici. Questi frammenti di bomba, in realtà, sono pezzi di artiglieria nemica, sono parte di bombe lanciate sul Forte; sono state ritrovate durante i lavori di scavo per la ristrutturazione. Questi reperti ci spiegano l’evoluzione dell’artiglieria: dalle prime palle di cannone rudimentali in pietra a frammenti di bombe in metallo. Queste bombe in metallo erano esplosive, erano riempite di polvere e strutturate in modo che cadessero sempre al suolo con la miccia rivolta verso l’alto, per consentire la deflagrazione. Infatti possiamo vedere come il guscio di queste bombe non sia perfettamente circolare, ma più spesso e pesante dal lato opposto alla miccia. Anche i cannoni avevano ricevuto delle migliorie e si hanno delle immagini di differenti tipi di bombarde e di cannoni.
TETTI A PROVA DI BOMBA
Nell'album fotografico che segue raccogliamo immagini che ci mostrano il famoso tetto “a prova di bomba”. Sopra una robusta volta, si piazzava uno spesso strato di terra, per attutire l’urto con le bombe. Le tegole che coprivano i tetti, necessarie per proteggere la terra dalla pioggia e da altri agenti atmosferici, si toglievano ogni volta che si doveva un assedio o un attacco.
ANCORA UN PO' DI STORIA (dalla caduta di Napoleone ad oggi)
Dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, la fortezza fu dismessa fino al 1859. Allora fu utilizzata come penitenziario civile, vi erano reclusi circa 1600 prigionieri, stipati in spazi molto ristretti. Questi prigionieri erano anche impiegati in lavori manuali, come la fabbricazione di bottoni d’osso, (come quelli conservati nella teca del Museo). Ci sono altri reperti archeologici: sono resti di tubature in cotto, usate come collettori per le acque piovane verso le cisterne. Oggi le cisterne sono parte del sistema antincendio.
Nel corso della PRIMA GUERRA MONDIALE il Forte fu utilizzato come prigione per gli Austro-Ungarici, reclusi nell’Alto Forte.
I tedeschi, durante la SECONDA GUERRA MONDIALE, usarono il Forte per imprigionare gli ufficiali Anglo-Americani che avevano tentato di evadere dai campi di tutta Europa. A questo scopo impiegarono sia il Basso che l’Alto Forte. Al termine del conflitto, il Forte fu abbandonato fino al 1978, quando la Soprintendenza iniziò un piano di recupero per rivalutare il complesso. In questi pannelli sono visibili le foto che riportano le fasi dei lavori eseguiti fino ad oggi.
LE CELLE
Dal 1940 al 1943 il Forte fu il famoso “Campo 5” dove furono imprigionati, come abbiamo visto, i prigionieri Anglo-Americani. La cella che andremo a visitare è rimasta intatta dal periodo della seconda guerra mondiale. E’ un esempio di come vivessero i prigionieri di guerra. In questa cella c’erano letti a castello dove dormivano 8/10 uomini. La cella è sempre fresca, sia in inverno che in estate, così si può veramente affermare che qui i prigionieri fossero “al fresco”!
FUORI DELLA CELLA, VERSO LA CAPPELLA
Durante quel periodo, nel “campo 5” c’erano 200 prigionieri in custodia a 400 guardie. Campo 5 era anche conosciuto come “bad boys’ camp” in quanto qui erano trattenuti molti prigionieri di guerra che, ci ripetiamo volentieri, avevano già tentato la fuga da altre prigioni, mentre questa Fortezza era famosa per la sua sicurezza e l’impossibilità di fuga. Nonostante ciò, ci furono due importanti fughe: La più famosa fu organizzata da Jack Pringle, un maggiore americano, che quasi con successo riuscì a scappare nell’aprile 1943 con 11 compagni. I compagni furono subito ripresi, ma Pringle riuscì ad essere libero per alcuni giorni, prima di essere riacciuffato.
La seconda fuga famosa è conosciuta come “la fuga dei generali”. Dopo l’8 settembre 1943, al Forte furono imprigionati anche quegli ufficiali italiani che si rifiutavano di collaborare con l’occupante tedesco. Uno di questi ufficiali fu Luigi Efisio Marras. Egli fuggì con altri ufficiali grazie all’aiuto di Giovanni Battista Rabbia, una guardia italiana. Una volta fuggito dalla prigione, Marras divenne un importante promotore del “Corpo di Liberazione Nazionale”. E' visitabile la “Cappella”. Fu costruita nel 1800.
Durante la seconda guerra mondiale, fu sconsacrata e riconvertita in doccia per gli ufficiali. Adesso il locale è utilizzato come sala espositiva per eventi culturali. All’interno abbiamo alcune immagini con didascalie.
IL CORTILE
Durante la seconda guerra mondiale, questo cortile era usato come area ricreativa per i prigionieri. Qui giocavano a pallacanestro o a pallavolo, ma se le guardie volevano che loro si distraessero dai propositi di fuga, l’intenzione primaria dei prigionieri era di trovare un piano di fuga, perciò amavano giocare per mantenersi in forma ed essere pronti non appena un progetto fosse attuabile. Nel piano sottostante ci sono alcune celle, qui i prigionieri indisciplinati erano custoditi in isolamento. Questi edifici nel cortile, in origine si mostravano differenti da ora. Non appena la fortezza diventò una prigione, le tipiche caratteristiche antiche furono modificate. Per praticare meglio la sorveglianza sui prigionieri della cittadella, le precedenti entrate posteriori furono murate per aprire nuove porte affacciate sul cortile, così che le guardie potessero esercitare un controllo più efficace sopra i prigionieri reclusi nelle celle sottostanti. Per accedere a questi nuovi ingressi si sono costruite scale esterne.
VERSO IL BASTIONE DI S.TOMMASO
Su questa parete si vede ciò che resta di uno stemma savoiardo. Nel retro di questo edificio si notano gli ingressi originali, chiusi durante il periodo della prigione ed ora riaperti. Di fronte a questi ingressi c’è uno dei camminamenti interni.
Il bastione di San Tommaso (conosciuto come “Passaparola”)
Lungo il percorso per raggiungere il bastione, si notano le concrezioni di arenaria, la tipica roccia con la quale il forte è stato praticamente costruito. Questa roccia è particolare perché è stratificata: alcuni strati sono duri, ma altri sono friabili. Durante i primi lavori di consolidamento del Fiorenzuola, gli strati più deboli sono stati rinforzati da interventi in muratura, ben visibili qui. Il bastione di San Tommaso è anche detto “Passaparola” perché, nel medioevo, due gruppi di guardie che facevano la ronda una dall’Alto Forte e uno dal Basso Forte, si incontravano qui e dovevano scambiarsi una parola d’ordine per capire che il controllo fosse regolare. Sul bastione, é stato impiantato nel 1923 un vigneto sperimentale per testare un rimedio contro la Fillossera, dal momento che la viticultura europea era seriamente danneggiata dalla malattia delle viti dovuta a questo afide. C’è anche un altro camminamento interno. Da qui c’è una specie di belvedere, basta dare un’occhiata al panorama di Gavi per capire con uno sguardo quanto il luogo fosse importante e strategico nei tempi antichi. Guardando in direzione di Genova, si vede chiaramente la famosa via Postumia che passa vicino al campo di calcio e si snoda attraverso il Passo della Bocchetta, fra il Monte Tobbio (il monte triangolare) e il monte Leco (quello con molte antenne). Sul Monte di fronte, che si chiama Monte dei Turchini, vediamo il Santuario di “Nostra Signora della Guardia” costruito nel 1861. Chi vuole può entrare nella garitta.
VERSO L’INGRESSO MONUMENTALE
Al tempo della seconda guerra mondiale, il controllo sui prigionieri Anglo-Americani era esercitato dal corpo militare italiano dei Carabinieri. Qui, dove ora c’è la biglietteria, c’era un ufficio militare. In quest’ufficio i prigionieri dovevano mostrare i loro fogli matricolari. Nell’area dei bagni, c’era un altro ufficio militare. Era l’ufficio del comandante della prigione, il Capitano Moscatelli. Qui i prigionieri ascoltavano il suo “discorso di benvenuto”. Praticamente egli li informava circa l’impossibilità di fuga e li avvisava sul fatto che su ogni fuggitivo si sarebbe sparato a vista. Nonostante la reputazione di Campo 5 come “a prova di fuga”, nella fortezza ci furono parecchi tentativi di fuga. Sebbene la natura del terreno non fosse ideale per scavare dei tunnel (a causa di roccia e pietre), boschi, fiumi, ferrovia e strade erano facilmente raggiungibili e anche la frontiera svizzera era vicina. Da questo ingresso, dopo questa grande porta, in una stanza soprastante venivano condotti i prigionieri appena giunti per una profonda perquisizione personale.
Ma ora raggiungiamo un altro bastione attraverso un camminamento interno, recentemente restaurato. Questo è il Bastione chiamato “Mezzaluna”.
Nella foto, troviamo un altro edificio: è la polveriera, un magazzino dove conservare polveri e munizioni. Fu costruito nel diciottesimo secolo da un ingegnere militare svizzero, Pietro Morettini, che fu nominato dalla Repubblica di Genova per continuare i lavori di potenziamento nella fortezza, egli iniziò la sua attività qui nel 1718. Suo padre era un muratore e il giovane Morettini iniziò a lavorare con lui, ma poi, all’età di 20 anni, egli iniziò un’esperienza militare come mercenario e prese parte a parecchie battaglie. Alcuni anni dopo, egli smise con questa esperienza e divenne un importante ingegnere militare, molto abile e capace, grazie all’abilità acquisita in guerra, di individuare i punti più vulnerabili nei sistemi di difesa. In questa fortezza egli lavorò su alcune opere di potenziamento e costruì questa polveriera. Come possiamo vedere, questa polveriera è costruita principalmente nel terreno e intorno al magazzino corre una specie di trincea, un muro che serviva a proteggere il posto sia dall’umidità che da possibili scoppi accidentali, è una specie di camera di controllo. In ogni caso, questo edificio era risultato troppo umido per poter conservare la polvere da sparo, così il suo utilizzo come polveriera cessò e nel corso della seconda guerra mondiale fu usato come chiesa, in quanto la cappella era stata trasformata in locale docce per gli ufficiali. Qui abbiamo ancora un piccolo altare. Sebbene questa costruzione fu un “flop” come polveriera, oggi è molto importante perché rappresenta un raro esempio di polveriera del periodo della Repubblica di Genova, in quanto le altre strutture simili sono andate perdute. Si può notare come gli scalpellini lavorassero le rocce, sbalzando queste tipiche cornici intorno alla pietra. Questo bastione è stato teatro della fuga di Pringle e dei suoi compagni. La cisterna dalla quale fuggirono, si trova al di là di quel muro, vicino al tetto. Dal tetto i fuggitivi dovevano passare attraverso il cortile del bastione. Poi, grazie a delle corde, dovevano scendere lungo il muro vicino all’albero di fico.
L’INGRESSO MONUMENTALE
Questa è la porta principale ed è parte dell’ingresso Monumentale del castello, dal momento che l’originale ponte levatoio è stato sostituito, possiamo ancora vedere le aperture per le pesanti catene del ponte. All’interno, il selciato è ancora quello originale e se rivolgiamo lo sguardo verso il soffitto, noteremo quattro pertugi. Al piano superiore c’è una stanza per la difesa e questi buchi sul soffitto sono delle caditoie, che si aprivano lungo il passaggio fra il cancello esterno e quello interno. Da queste caditoie si poteva far cadere sugli intrusi: acqua bollente, rocce infuocate o sabbia e piombo fuso. E’ da ricordare che sostanze oleose non venivano mai usate all’interno della fortezza, in quanto degli oli avrebbero reso la pavimentazione pericolosa e scivolosa anche per i difensori del Forte, inoltre il piombo fuso era più efficace, perché in grado di ferire seriamente i nemici penetrando nelle cotte militari, ma era anche facile da riciclare, siccome si poteva raccogliere e fondere di nuovo.
ALBUM FOTOGRAFICO
Guny Oskarsson Gatti a sn - La Guida signora Elena a ds.
Ringraziamo la GUIDA del Forte di Gavi: Signora Elena per la sua competenza e bravura.
Ringrazio e saluto GLI AMICI DEL FORTE.
Carlo GATTI
27 Marzo 2017
U-455 - Ipotesi Affondamento
U-455
IPOTESI SULL’AFFONDAMENTO DEL SOMMERGIBILE TEDESCO
Sperando di fare cosa gradita, per chi della Lista non conosce la storia, o non la ricorda, faccio il punto sul relitto di Portofino che, dopo molte incertezze e discussioni, scoperto da Del Veneziano è stato riconosciuto per il sommergibile tedesco U-455. La causa della sua perdita, e dei suoi 51 uomini d’equipaggio, rimane però per molti versi misteriosa, ed è stata fonte, e lo sarà ancora, di discussioni.
L’U-455, al comando del tenente di vascello Hans-Martin Scheibe, entrò nel Mediterraneo nel mese di gennaio 1944 dopo nove missioni di guerra svolte in Atlantico, che lo avevano portato ad affondare con il siluro, il 3 maggio e l’11 giugno 1942, due navi mercantili per 13.908 tsl (le cisterne britanniche BRITISH WORKMAN e GEO H. JONES), e ad effettuare la posa di due sbarramenti minati: la prima nelle acque degli Stati Uniti; la seconda presso le coste marocchine di Casablanca, causando il 25 aprile 1943 l’affondamento del piroscafo francese ROUNNAIS di 3.777 tsl.
L’U-455 apparteneva alla 7^ Flottiglia Sommergibili tedeschi di Saint Nazaire, e arrivò a Tolone il 3 febbraio 1941, proveniente da Lorient, per poi essere ufficialmente aggregato alla 29^ Flottiglia del Mediterraneo in data 2 marzo.
Partì da Tolone – principale base della 29^ Flottiglia – il 22 febbraio per la sua decima ed ultima missione. La sua destinazione bellica comportava di posare uno sbarramento minato nelle acque dell’Algeria, per poi operare in quella zona di mare, dove l’U-455 stazionò per circa quaranta giorni, senza avere avuto possibilità di realizzare attacchi contro il numeroso naviglio alleato che transitava in quel settore focale di traffico, dove i sommergibili tedeschi della 29^ Flottiglia ottennero, tra l’aprile e i primi di maggio, i loro ultimi successi, prima di essere spazzati via dal Mediterraneo dall’organizzazione difensiva degli anglo-americani, realizzata con la tattica Swam (ricerca metodica). Seguì poi, per bombardamenti aerei statunitensi violentissimi, l’annientamento dei superstiti sommergibili nel porto di Salamina, e nei bacini di Tolone, e ciò avvenne prima che i tedeschi fossero riusciti a ultimare la costruzione dei bunker in cemento armato che avrebbero dovuto proteggerli in quel porto francese.
Uno di questi bombardamenti, con 120 quadrimotori B-17 della 12^ Air Force, si verificò l’11 marzo, quando l’U-455 si trovava in mare da diciassette giorni. L’attacco aereo causò quasi settecento morti, inclusi quattordici soldati tedeschi, colpì il Comando della 29^ Flottiglia e molte navi in porto, affondò i sommergibili U-380 e U-410 e due dragamine adibiti al pilotaggio degli U-boote, e in particolare arrecò gravissimi danni alla zona dei bacini, compromettendo il riassetto delle unità subacquee che rientravano dalle missioni belliche. Si aggiunse poi il fatto che il Comandante Marina Ovest, ammiraglio Theodor Krancke, si mostrò preoccupato per la scarsa difesa di Tolone, da parte della Luftwaffe ed anche dall’artiglieria contraerea (Flak). Fu questo il motivo per cui l’U-455 e l’U-230, rientrando dalle loro missioni di guerra, furono deviati eccezionalmente alla Spezia, che in quel periodo era un porto più tranquillo di Tolone, e possedeva un arsenale al momento forse più efficiente.
Dei due sommergibili, l’U-230 (tenente di vascello Paul Siegmann), che il 16 e il 20 febbraio aveva affondato nella zona di Anzio le navi da sbarco per carri armati LST 418 e LST 305, entrambe britanniche, arrivò alla Spezia il 24 febbraio, per poi ripartire il 6 aprile per raggiungere Tolone tre giorni più tardi.
Da informazioni chieste dal compianto Achille Rastelli in Germania, e trasmesse, tramite Manfred Krellenberg, dal Dott. Axel Miestlè, considerato uno dei maggiori esperti di sommergibili tedeschi, e da altre notizie di cui sono in possesso, risulta che il capitano di vascello Werner Hartmann, Comandante degli U-boote del Mediterraneo, alle 11.33 del 1° aprile 1044 ordinò all’U-455 di raggiungere La Spezia. Con un secondo messaggio delle ore 11.52 del medesimo giorno furono inviate al sommergibile dettagliate istruzioni per entrare in quel porto della Liguria. All’U-455 fu fissato un appuntamento a ovest del Golfo della Spezia, sul punto “C” (per Caesar”), corrispondente alla lat. 44°07’8” Nord, long. 09°28’6” Est, con una nave di scorta, che avrebbe dovuto fungere da nave pilota nell’entrata in porto del sommergibile.
Le rotte germaniche nell’Alto Tirreno al 1° febbraio 1944. Il punto “C” è a ovest di La Spezia.
Il Comandante della 29^ Flottiglia consigliò all’U 455 di raggiungere il punto “C” al tramonto, e gli chiese di segnalare con urgenza il momento in cui esso riteneva di arrivare all’appuntamento, nella zona stabilita, con la nave scorta, che avrebbe dovuto pilotarlo in porto attraverso le rotte di sicurezza che passavano tra gli sbarramenti minati difensivi e che portavano, da ponente lungo la costa, all’entrata del Golfo della Spezia. Il sommergibile fu, in effetti, avvertito delle difficoltà esistenti, durante la traversata, per mantenersi nei limiti dell’area minata, denominata Gurke. L’U-455, che lasciata la zona di Algeri si trovava a sud-ovest della Corsica, segnalò con la radio, per l’ultima volta, alle 04.42 del 2 aprile 44, informando il Comandante della 29^ Flottiglia della sua intenzione di arrivare sul punto “C” alle 19.30 del giorno 5. Non si presentò all’appuntamento, e non avendo dato sue notizie, il 6 aprile il sommergibile fu considerato perduto per causa sconosciuta.
Le informazioni dell’Ammiragliato britannico del dopoguerra, forniscono sulla perdita dell’U-455 due versione: la prima sostiene che il sommergibile sarebbe affondato in lat. 44°04’N, long. 09°51’E, poco a sud dell’Isola Del Tino, probabilmente per causa di una mina tedesca al limite settentrionale dello sbarramento Gurke, esplosa proprio mentre l’unità si apprestava a entrare nel Golfo di La Spezia; la seconda ipotesi, ribadendo quanto sostenuto dai tedeschi, afferma che la causa della perdita era sconosciuta.
Da parte nostra sappiamo oggi che rispetto al punto di affondamento ipotizzato dall’Ammiragliato britannico, il relitto dell’U-455, secondo le coordinate fornite da Massimo Bondone, si trova in realtà in lat. 44°18’ 651 Nord, long. 09°02'891 Est. Questa posizione corrisponde a circa 5 miglia da Recco, mentre finora si era detto che l’affondamento del sommergibile era avvenuta a circa 2 miglia a sud di Portofino.
Guardando la cartina delle rotte tedesche, il Punto C era quello di avvicinamento all’entrata del canale di sicurezza delle navi che percorrevano la cosiddetta “Via Aurelia”, proveniente da sud-ovest. La rotta proseguiva poi a est (“Via Valeria”) per il punto focale n. 718 (a sud di Portofino), su cui convergevano da nord altre due rotte, e che naturalmente doveva essere fortemente controllato giorno e notte, potendo infiltrarsi sommergibili nemici.
Gli sbarramenti minati tedeschi dell’Alto Tirreno al 1° febbraio 1944.
Faccio il punto delle mie riflessioni, che potranno anche non essere condivise:
1°) Non ritengo plausibile l’idea, fornita da alcuni, che il sommergibile abbia sbagliato rotta, finendo sulle mine. Anche se avesse avuto le bussole in avaria (tutte ?), e nonostante una navigazione di 45 giorni, sarebbe stato un errore inconcepibile, direi impossibile, per qualsiasi comandante esperto; per di più navigando vicino alla costa, che poteva servire per fare agevolmente il punto astronomico, anche di notte. E’ da escludere che l’U-455 fosse affondato sullo sbarramento “Gurke”, ma è possibile che sia andato a urtare su una mina vagante (strappata all’ormeggio), ma essendo pur sempre entro la rotta di sicurezza. E poiché siamo in vena d’ipotesi, non possiamo escludere si fosse verificata l’esplosione di un proprio siluro, a poppa, come successo ad altri sommergibili.
2°) Non credo assolutamente che l’U-455 navigasse in immersione, proprio perché si trovava sotto costa e tra gli sbarramenti minati amici e nemici. Nessuno lo avrebbe fatto in queste condizioni, come potrebbe dimostrare un qualsiasi sommergibilista.
3°) E’ mia opinione che l’esplosione di una mina avvenuta nella navigazione in superficie entra la rotta di sicurezza, e l’alta colonna d’acqua da essa generata, non poteva sfuggire alla vigilanza tedesca, della nave pilota e da terra, anche se vi era cattivo tempo, e temporali da accertare. L’esplosione della mina e il tuono, più o meno forte, di un fulmine avrebbero dovuto essere contemporanei Inoltre, l’affondamento repentino del sommergibile, con la poppa fortemente squarciata, doveva lasciare tracce alla superficie del mare, sotto forma di detriti, di chiazze di nafta e cadaveri.
4°) Quanto ai corpi degli uomini dell’equipaggio, che al momento del sinistro dovevano trovarsi in coperta, è possibile che la corrente possa averli trascinati lontano. Ma se un corpo si rintraccia in mare o sulla costa, e può essere anche identificato per non altro per l’uniforme, si collega sempre a qualche nave affondata. Quindi ai tedeschi, che avevano il controllo dell’Alto Tirreno e della Francia meridionale, e la benevolenza della Spagna, sarebbe stato alquanto facile appurare che si trattavi di un uomo dell’equipaggio dell’U- 455, e quindi stabilire dove presumibilmente il sommergibile si era perduto, e in quale giorno.
5°) E assolutamente impossibile che l’U-455, com’è stato ipotizzato, trovandosi in difficoltà per il mare grosso, si sia diretto sottocosta senza avvertire i Comandi della Liguria, preposti al controllo del traffico (questa è una cosa seria), che avrebbero provveduto a fornirgli tutto l’aiuto necessario per raggiungere la destinazione. Per la difesa del traffico di cabotaggio le precauzioni di vigilanza per una Marina efficiente (e la tedesca lo era) erano continue, sia di giorno che di notte, anche con il cattivo tempo, accettando il rischio di imbattersi nel contrasto aereo del nemico, che a quell’epoca (aprile 1944), con la linea del fronte a Cassino, proveniva soprattutto dagli aeroporti della 12^ Air Force statunitense in Corsica.
6°) In mancanza di una foto sulle ultime modifiche cui era stato sottoposto in torretta il sommergibile, in particolare riguardo all’incremento dell’armamento e delle numerose apparecchiature tecniche, come il radar, la visione dei filmati non mi permette dei dare un giudizio, trovandosi la torretta quasi completamente coperta di reti, soprattutto nella parte posteriore del giardino d’inverno. Si parla di una grossa mitragliera, che però, essendo nascosta dalle reti, potrebbe anche essere la semplice asta della bandiera ?
Ecco come si presentava, in missione di guerra, la torretta di un sommergibile tipo VII C, a due piattaforme. Vi sono alzati i due periscopi (oppure abbassati sulle rispettive colonnine fisse), il radiogoniometro, l’intercettatore di onde radar Naxos, la grande antenna del radar di scoperta aeronavale, le due coppie di mitragliere da 20 mm. sulla piattaforma superiore; la mitragliera da 37 mm. su impianto scudato sulla piattaforma inferiore. Sul davanti della torretta, in basso, il contenitore della bussola magnetica.
Se non sono stati asportati tutti questi strumenti tecnici e di armamento dovrebbero ancora essere presenti sul relitto dell’U-455. Ma finora nessuna, nei numerosissimi difficili filmati degli operatori ad alta profondità, è riuscito a farceli vedere, e per vedere intendo dire “chiaramente” non per quello che hanno visto i subacquei. Attendiamo speranzosi.
Ricordo che l’U-455, alla sua decima missione di guerra, stava dirigendo verso la Spezia anziché a Tolone, come inizialmente avrebbe dovuto fare, a causa di un bombardamento degli aerei statunitensi della 12^ Air Force. L’ultima sua trasmissione riporta la data del 2 aprile 1944, ed è praticamente impossibile conoscere cosa abbia fatto, prima di arrivare alla Spezia il giorno 6, in cui era atteso. Era in anticipo o in ritardo; ha sbagliato la rotta per raggiungere la nave pilota all’ingresso (badate bene all’ingresso) della rotta di sicurezza. E’ un rebus che, temo, rimarrà per sempre.
Che poi nessuno abbia udito nulla dell’esplosione della mina, che non vi fossero cadaveri almeno degli uomini in coperta, anche se rintracciabili a grande distanza, e non fossero state localizzati rottami e perdite di nafta (anche di piccola entità), che potessero far capire ai tedeschi quale era stata la fine del sommergibile, a poche miglia dalla costa ligure, non permette di fare supposizioni e ancor meno di esprimere fantasie.
Ripeto, si potrebbero fare dei calcoli approssimativi sulla rotta seguita dall’U-455, soltanto dopo aver conosciuto le esatte coordinate dell’affondamento. Ma sembra che nessuno voglia darle!
In attesa della traduzione di Francesco, ripeto quanto già segnalato e aggiungo quanto ho compreso dalla lettura dei cinque documenti postati da Milani:
Nella prima scansione e riportato che i dragamine R-189, R-215, il posamine SG-15, e le navi scorta UJ-2221, 2222 Spezia erano partite il giorno 5 aprile per raggiungere il sommergibile e condurlo alla Spezia.
Se poi si collega questa preziosissima informazione con il paragrafo successivo, costatiamo che altre tre navi, il dragamine R-19, la nave trasporto KT-8 e la motozattera F-2484, si trovavano quello stesso giorno a percorrere il medesimo tratto di mare.
Nella seconda scansione le cinque navi tedesche ricevettero l’ordine di partire da La Spezia alle ore 1900 del 5 aprile per raggiungere l’U-450 sul previsto Punto “Ceaser” (Punto C), passando a sud dell’Isola del Tino e proseguendo la loro rotta nella “Via Augusta”.
Vi sono poi altri movimenti navali a dimostrazione che nella zona vi era un gran traffico.
Nella terza scansione, il solito grande traffico nella zona tra il Punto C e la Spezia. Le cinque navi della 7^ Divisione di Sicurezza diressero sul Punto C scortando il sommergibile U-230, salpato dalla Spezia alle 19.30 per poi arrivare alle 2100 sul Punto C. Alle 23.45 l’U-230 proseguì la sua navigazione (per Tolone), mentre le cinque navi scorta restarono ad attendere fino all’alba l’U-455, che non arrivò all’appuntamento (scansioni 4 e 5).
Ribadisco che in queste condizioni come sia avvenuta la perdita dell’U- 455 a sud di Recco, senza che nessuno se ne accorgesse, appare veramente un mistero!
Se l’U-455 era in ritardo al momento dell’appuntamento, una volta entrato nella rotta di sicurezza, sarebbe stato dovere del comandante del sommergibile di informare le locali autorità della zona, senza badare al rischio di usare la radio. Che cosa gli era successo ?
Francesco MATTESINI
Rapallo, 3 Gennaio 2014
TRASH Islands
TRASH ISLANDS
Il premio Nobel Giulio Natta, l’uomo del MOPLEN, si rivolta nella tomba....
Nel mondo vengono prodotti circa 100 miliardi di chilogrammi all'anno di plastica, dei quali, grosso modo, il 10% finisce in mare. Il 70% di questa plastica finirà poi sul fondo degli oceani danneggiando la vita dei fondali. Il resto continua a galleggiare. La maggior parte di questa plastica è poco biodegradabile e finisce per sminuzzarsi in particelle piccolissime che finiscono nello stomaco di molti animali marini portandoli alla morte. Secondo il Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite, i frammenti di plastica causano, ogni anno, la morte di oltre un milione di uccelli marini e di oltre centomila mammiferi marini. Infatti, siringhe, accendini e spazzolini da denti sono stati trovati all'interno della pancia di uccelli morti, che per errore li avevano scambiati per cibo. Quella che rimane si decomporrà solo tra centinaia di anni, provocando da qui ad allora danni alla vita marina.
Charles Moore e' un ex marinaio erede di una famiglia di petrolieri, che si era imbattuto per la prima volta nell'inquietante formazione di rifiuti, già nel 1997, nel corso di una regata: "Ogni volta che salivo sul ponte vedevo galleggiare spazzatura", disse Moore in un'intervista, "per una settimana mi sono ritrovato in mezzo a un mare di immondizia, a migliaia di chilometri dalla terra ferma". Questa scoperta gli ha cambiato il corso della vita, spingendolo a cedere la sua parte dell'impresa di famiglia, e a darsi all'ambientalismo e allo studio degli oceani, fino a fondare la Algalita Marine Reseach Foundation, una fondazione per la ricerca sugli ecosistemi marini. Moore ha anche aggiunto che la massa di rifiuti non e' rilevabile attraverso le foto satellitari perché é traslucida e galleggia sotto la superficie del mare: "La vedi soltanto quando te la ritrovi davanti alla prua". David Karl, oceanografo dell'Universita' delle Hawaii ha dichiarato che sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire l'esatta estensione e composizione di questo enorme "minestrone di plastica", ma che non vi é alcuna ragione di dubitare sulla validità della tesi di Moore. "Da qualche parte la plastica deve pure finire", ha detto.
Le correnti marine del globo non possono “sciogliere” i nostri rifiuti, ma riescono tuttavia a puntare il dito sulle nostre malefatte...
La Grande chiazza di immondizia rappresentata nel rettangolo, si è formata nella zona di convergenza del Vortice subtropicale del Nord Pacifico. Come si può notare dal disegno, la corrente lambisce in modo costante le coste occidentali americane e quelle dell’Estremo Oriente. Durante il suo lunghissimo percorso, la North Pacific Subtropical Gyre, dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario, permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro formando un “magazzino” composto per l’80% da plastica. La maggior parte di questa plastica è poco biodegradabile e finisce per sminuzzarsi in particelle piccolissime che poi finiscono nello stomaco di molti animali marini portandoli alla morte. Non e' uno scherzo, ne' un sogno, ne' una proiezione del futuro: si tratta purtroppo di un tragico presente privo di clamore mediatico, che si trova veramente di fronte alla più grande discarica del mondo, che inizia a 500 miglia nautiche dalla costa della California, attraversa il Pacifico meridionale, oltrepassando le Hawaii per poi arrivare fin quasi al Giappone; ha un diametro di circa 3.000 chilometri, e' profonda 30 metri ed e' composta per l'80% da plastica e da altri rifiuti che giungono da ogni dove. C’è chi sostiene che l’immensa vergogna sia divisa in due macro aree definite “scientificamente” Western and Eastern Pacific Garbage Patches.
Altre isole oceaniche di rifiuti
Vista ancora più nel dettaglio, l’isola dei guai appare spaccata in due.
La ricercatrice Kara Lavender Law, a seguito di ricerche condotte con una serie ventennale di crociere scientifiche svolte fra il Golfo del Maine e il Mar dei Caraibi, ha individuato due altre possibili zone di accumulo di rifiuti oceanici nell'emisfero meridionale: uno nell'oceano Pacifico ad ovest delle coste del Cile ed un secondo allungato tra l'Argentina e il Sud Africa attraverso l'Atlantico. La sua estensione non è nota con precisione, ma le stime più accreditate vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (cioè da un'area grande più della Penisola Iberica ad un'area più estesa della superficie degli Stati Uniti). La Marina degli Stati Uniti ed altri Enti preposti stimano l'ammontare complessivo della sola plastica dell'area in un totale di 3 milioni di tonnellate. Quest'area è spesso associata alla cosiddetta “latitudine dei cavalli”. Al tempo della navigazione a vela, il trasporto della merce da un continente all’altro avveniva con i velieri che sfruttavano i venti più favorevoli per una più spedita navigazione. Quando però i velieri giungevano nella fascia di alta pressione dei 30°N, i marinai spesso venivano obbligati dal mare calmo e dal poco vento a fermarsi per diversi giorni e, a volte, per settimane per cui alla fine razionavano le loro provviste di acqua. Poiché i cavalli avevano bisogno di bere molto e, nonostante costituissero preziosa merce di scambio, dovevano essere sacrificati e gettati in mare. Tuttavia, anche per i naviganti del nuovo millennio, i guai non sono finiti: pare infatti che gli odierni capitani siano costretti ad allungare i percorsi per evitare di ritrovarsi in panne con le eliche e gli assi in avaria, lontanissimi dalle coste.
Cose che succedono.......
In alcuni casi va detto che proprio le navi sono colpevoli d’alimentare il “grande magazzino” per la perdita di container. La più famosa è avvenuta nel 1990, quando dalla nave Hansa Carrier caddero in mare ben 80.000, tra stivali e scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. E questo non è stato l'unico caso: nel 1992 sono caduti in mare decine di migliaia di giocattoli e nel 1994 molti containers contenenti attrezzature sportive. L’ultima notizia su questo nefasto capitolo risale a l’08/02/2008:
Una flotta di quasi 30mila paperelle di gomma sta puntando verso le coste dell’Inghilterra. I primi sbarchi sono previsti entro i prossimi due mesi, dopo un viaggio di oltre 27mila chilometri, durato ben 15 anni e mezzo.
Spiaggiamento di containers
Secondo gli studi dell’oceanogrofo americano Curtis Ebbesmeyer di Seattle che ha ricostruito la rotta delle “papere”, almeno due terzi della flotta ha oltrepassato i tropici alla velocità di un miglio al giorno ed ha proseguito la navigazione fino ad atterrare sulle spiagge dell’Indonesia, dell’Australia e del Sud America. La seconda Armata, composta di 10.000 papere, è stata spinta nelle infide acque dello Stretto di Bering. Da qui si sono poi avventurate in Atlantico sfiorando banchise e iceberg “sopravvivendo” alle gelide correnti del circolo polare. Nel 2000 furono avvistati per la prima volta nel Nord Atlantico e furono riconosciute dal marchio di fabbrica ben visibile: “The First Years”. Era il 2003 e dall’azienda produttrice americana partì l’idea di mettere una “taglia” di 100 dollari sulle paperelle. Chiunque ne avesse trovata una originale e l’avesse spedita al quartier generale di Tacoma, avrebbe ricevuto il denaro in cambio.
Ebbesmeyer allertò i “cacciatori” inglesi: “Stando ai miei calcoli” – disse al Daily Mail – “nei prossimi mesi le papere dovrebbero invadere le coste dell’Inghilterra. Penso che le prime ad essere interessate saranno le spiagge della Cornovaglia e quelle dell’Irlanda del sud”. Oggi la saga delle papere scampate alla tempesta non è solo finita su due libri per bambini, ma ha anche stuzzicato l’interesse dei collezionisti di tutto il mondo, disposti a pagare oltre 740 euro per quei buffi naufraghi di plastica colorata.
Certe trovate pubblicitarie, sebbene simpatiche e dissacranti, non distolgono tuttavia l’attenzione dal vero problema che ha ben sottolineato Katsuhiko Saido dell'universita' Nihon a Chiba: “la plastica, lungi dall'essere indistruttibile, si decompone in mare aperto per esposizione alle intemperie e lo fa velocemente rilasciando numerosi composti tossici, che sono assorbiti dagli 'inquilini oceanici', mettendo a rischio la loro vita e la capacità riproduttiva”.
Carlo GATTI
Rapallo - 19.02.12
Il salame "marinaro" di SANT'OLCESE
A GENOVA ANCHE IL SALAME DI SANT’OLCESE NAVIGA…
Dipinto sulla facciata della chiesa di Sant'Olcese raffigurante il "miracolo dell'orso". Secondo una leggenda, il santo addomesticò un orso che terrorizzava il paese, aggiogandolo ad un carro al posto di un bue ucciso dalla belva.
Gallette del marinaio
Salame di Sant'Olcese
Cambusa d'altri tempi
Cambusa del veliero ANNA
E’ insolito parlare di salame abbinandolo al mare perché, da sempre, un insaccato salato, e quindi igroscopico, è nemico dell’umidità marina. Oggi con i frigoriferi e gli ambienti climatizzati a bordo, il problema non si pone ma al tempo dei velieri era di attualità. Ma non fu così per il “Sant’Olcese”, databile anteriormente al XIX secolo. Questa caratteristica è dovuta al suo confezionamento e alle carni utilizzate.
In rosso la zona alle spalle del porto di Genova dove viene prodotto il salame Sant'Olcese.
Ecco in breve la storia di Sant’Olcese, la patria del “nostro” insaccato.
Nel 410 d.C. due devoti diaconi poi santificati, Ursicino (Olcese) e Ilario fuggirono dalle Gallie per non essere sacrificati quali Cristiani. Arrivati quasi a Genova discendendo la via Postumia che da Genova portava ad Aquileia, Olcese si ferma sulle alture della Valleombrosa, oggi Val Polcevera, e lì diffonde il Vangelo mentre Ilario prosegue e va a predicare ed evangelizzare sulle alture di Nervi che da quella Santa presenza, prenderà il nome di Sant’Ilario mentre il ricordo di Olcese verrà legato al paese da lui tanto amato: Sant’Olcese.
Santi Olcese ed Ilario
Merita ricordare che quest’ultimo aveva un bue che lo aiutava nei lavori della terra, indispensabile per coltivare un territorio tanto impervio. Un brutto giorno arrivò un orso che si mangiò il bovino. All’epoca, così come nei secoli successivi, il territorio era invaso da lupi e orsi e nei fiumi c’erano ancora storioni, lontre e tartarughe. Il Sant’uomo non si scoraggiò e soggiogò l’orso al punto da utilizzarlo al posto del bue che si era mangiato.
Come è facile capire, questo episodio nulla ha a che fare con l’attuale insaccato, ma evidentemente la zona, volendo sottilizzare, era già vocata a utilizzare …… carni diverse.
Quel salame resisteva al salmastro anche perché gli animali utilizzati, dalle carni asciutte, vivevano già in ambiente salso a ridosso dal mare, contrariamente a quelli allevati nelle tipiche zone di produzione dei salumi come l’Emilia, la Lombardia o il Piemonte.
Vista la rusticità dei luoghi è facile pensare a bestie dalle carni prive di grasso e quindi più idonee alla conservazione, tanto è vero che per donare morbidezza all’insaccato, da sempre la compensano aggiungendovi del lardo bianco. Non è un salume dalla lunga conservazione perché contiene poco sale e poco pepe, entrambe sostante igroscopiche, e per supplire alla loro carenza, viene leggermente affumicato e insaporito con un piacevole sentore d’aglio.
Oggi viene prodotto nel Comune di Orero, che all’epoca era una frazione di Sant’Olcese, da cui il nome.
Lo si gusta dopo trenta/quaranta giorni dal confezionamento e, una volta iniziato, è bene arrivare sino in fondo in tempi brevi. E’ infatti un insaccato a corta conservazione, lo abbiamo visto, e se lo si tiene in frigo dura, ma perde la suo delicata sapidità. Si presenta di grana grossolana e morbido al tatto: se qualche negoziante vi offre del vero Sant’Olcese “invecchiato”, cambiate negozio.
Le sue peculiarità sono rimaste immutate nel tempo: è formato da una miscela di carne bovina e suina in parti eguali, o leggermente variate, a seconda del Produttore, ma non troppo aromatizzate (la ragione per la quale non si conserva a lungo) accuratamente sgrassate dopo aver eliminate le parti tendinee.
Da ragazzi ci dicevano fosse fatto con carne d’asino, come il famoso salame di Vigevano: in realtà nell’antichità questa insolita presenza, da tempo dismessa, era dovuta alla carne di muli Piemontesi ma a noi continuava a venirci sbandierata nel tentativo di evitare che ne richiedessimo il bis, “genati” dall’idea di mangiare la carne di Lucignolo, l’irresponsabile amico di Pinocchio . Per sopperire alla scarsa salagione viene dolcemente stagionato in ambiente fumoso e controllato. Da questo si capisce perché a noi piace tanto: è aromatico ma non piccante, un po’ come il pesto. La carne bovina perché sia morbida viene selezionata da manze mentre quella di maiale, magra, oggi lo è tutta ma un tempo no, è ulteriormente privata del poco grasso residuo, viene aromatizzata e speziata con pochi sapori e integrata con cubetti di lardo bianco, fornito da suini appositamente allevati. A questo punto, ben miscelata, viene insaccata in vero budello che, con una operazione manuale rimasta invariata nel tempo, viene poi “legato” con lo spago e non con i moderni elastici.
Subito dopo viene appeso ad insaporirsi in una stanza-essiccatoio al cui centro, una stufetta in ghisa costantemente alimentata con solo legno di quercia, effonde fumo. Un tempo, al posto della stufa c’era un falò sempre acceso allo scopo di impregnare di fumo l’insaccato nel breve tempo della sua permanenza. Questa è la fase più delicata affidata a uomini di grande esperienza e sensibilità, perché la durata è condizionata dal variare del meteo che con il suo mutare, impone d adeguare sia i tempi di affumicatura che di ventilazione, aprendo o socchiudendo le persiane del locale, adeguandoli anche più volte in un giorno, alle variate esigenze: e Dio sa quanto è mutevole il nostro cielo !
Poi, dopo qualche settimana di permanenza in appositi locali viene, da sempre, distribuito.
A Sant’Olcese quindi gli armadi per trattare gli insaccati ed i computer che imperversano nella grande produzione, non hanno ancora trovato posto.
Erano gli stessi fabbricanti che poi lo distribuivano ai nobili genovesi o agli armatori dei velieri che l’ordinavano per tempo; veniva loro consegnato a dorso di mulo come testimonia una vecchia polizza assicurativa gelosamente conservata, che garantiva il cliente sui tempi, la qualità e il bon esito del trasporto a destinazione.
Renzo BAGNASCO
(Foto di Carlo Gatti)
20 Marzo 2017
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ARTIGLIO, una vita gloriosa
LA VITA GLORIOSA DELL’”ARTIGLIO”
La vicenda che rese famoso l’”Artiglio” e che rappresenta, una delle più celebri e drammatiche campagne di recuperi sottomarini, ebbe inizio il 20 maggio 1922 al largo dell’isola di Ouessant, a ovest di Brest.
Quel giorno la nave passeggeri inglese “Egypt”, (nella foto) partita da Tilbury alle foci del Tamigi e diretta in India e in Australia, fu speronata nella nebbia dal piroscafo francese “Seine” e affondò in poco più di venti minuti.
L’“Egypt” aveva a bordo 338 persone e un autentico tesoro nascosto in una camera blindata: 1.089 barre d’oro puro, 164.979 sterline d’oro, 1.229 lingotti d’argento del peso complessivo di 43 tonnellate e migliaia di banconote indiane.
Nel naufragio perirono ottantotto persone.
La zona in cui era affondata la nave presenta fondali bassi e non si poteva escludere, in teoria, la possibilità di recupero del tesoro. La posta in gioco era molto allettante, pur essendo certamente pesanti i rischi e costosa l’impresa.
Per anni inglesi, francesi e tedeschi cercarono il relitto: le tempestose acque dei mari del nord sembrava avessero suggellato per sempre la tomba dell’“Egypt”.
Frattanto si era costituita a Genova, 11 ottobre 1926, la “SO.RI.MA.” (Società Ricuperi Marittimi) con lo scopo di effettuare in tutti i mari, ma specialmente nel golfo di Guascogna e nella Manica, rigorose e vaste ricerche di navi piene di materiali pregiati affondate a profondità accessibili, e cercare di recuperare il carico.
Le acque dove si proponeva di operare la “SO.RI.MA.” erano molto pericolose, sia per le frequenti tempeste e le forti correnti, che per la presenza, sui fondali, di relitti carichi di materiale esplosivo e ostacoli di ogni genere. Quelle acque erano state il campo di operazioni dei sommergibili tedeschi durante la prima guerra mondiale. A centinaia le navi da carico provenienti dall’America e dall’Inghilterra, destinate a rifornire di armi, munizioni e materie prime gli eserciti alleati in lotta con la Germania e l’Austria-Ungheria, erano state vittime dell’inesorabile caccia condotta dagli U-Boat. Operare in quei mari era come arare un campo minato.
Di ciò erano perfettamente consci i dirigenti della “SO.RI.MA.”, ma essi non si lasciarono impressionare, perché sapevano di poter contare su equipaggi pronti a tutto, rotti alla fatica, impavidi in faccia alla morte. E i dirigenti stessi erano pronti a condividere, come fece specialmente il presidente e amministratore delegato comm. avv. Giovanni Quaglia, la vita dei marinai.
La “SO.RI.MA.” acquistò subito alcune piccole navi di alte qualità nautiche e robustissime, e le fece attrezzare per i recuperi a grande profondità.
I loro nomi “Artiglio”, “Arpione”, “Raffio”, “Rampino”, rievocano tutti episodi di grande eroismo e sono entrati ormai nella letteratura delle gesta leggendarie.
La ricerca del relitto dell’“Egypt” e il recupero del suo tesoro, che era stato assicurato dai Lloyd’s di Londra per più di un milione di sterline, furono affidati appunto all’”Artiglio”. Furono accettate, senza batter ciglio, le dure condizioni imposte dai Lloyd’s di Londra: ricerca a rischio e spese della “SO.RI.MA.”, divisione a metà del tesoro recuperato.
Se si pensa che l’impresa appariva aleatoria, dati i precedenti tentativi , tutti falliti, di altre ditte specializzate, che i pericoli erano sempre in agguato, che a quei tempi i mezzi tecnici a disposizione non erano ancora abbastanza sperimentati e che ci sarebbe voluto, oltre all’abnegazione degli uomini, anche un grande dispendio di tempo e di capitali, si può facilmente comprendere quale coraggio ci sia voluto e quale fede nella riuscita, per apporre la firma a quel contratto.
L’”Artiglio” si mise subito all’opera. La zona di mare dove era affondato l’“Egypt” fu scandagliata a palmo a palmo, i palombari s’immersero, in speciali scafandri, centinaia di volte. Dopo due anni di estenuanti ricerche, durante le quali furono localizzati altri trentotto relitti di navi, il 30 agosto 1930 finalmente fu scoperta la posizione dell’“Egypt”, a 130 metri di profondità. La nave si era appoggiata, senza rovesciarsi, su un fondo orizzontale.
Conseguita questa prima vittoria, cominciavano ora ben altre difficoltà. Mentre la “SO.RI.MA.” continuava a studiare mezzi sempre più idonei per raggiungere il tesoro e ripescarlo, l’”Artiglio” riceveva l’incarico di demolire presso la Belle Ile, nello specchio di mare fra le isole Houat e Hoedic, lo scafo del piroscafo francese “Florence”, affondato con un carico di munizioni dai tedeschi in acque molto basse (tanto che l’albero maestro era per buona parte visibile) e perciò pericolosissimo per la navigazione.
L’operazione era quasi giunta al termine, quando, il 7 dicembre 1930, l’intero carico di munizioni del “Florence” esplodeva, e l’”Artiglio” sebbene si fosse portato a rispettosa distanza, saltava in aria. Nel disastro perirono dodici marinai e sette rimasero feriti.
Tra gli scomparsi erano il comandante, cap. Giacomo Bertolotto di Camogli, e i famosi palombari viareggini Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini.
Il colpo morale e materiale subito dalla “SO.RI.MA.” era tremendo, ma non riuscì ad abbatterne il ferreo volere. Fu acquistata subito un’altra nave (originariamente iscritta con il nome Maurétanie), già adibita alla pesca oceanica, e sulla sua prora fu scritto ancora il nome indomito di “Artiglio II”( ma tutti continuarono a chiamarla Artiglio): la sfida al destino era lanciata.
Il nuovo “Artiglio” aveva le seguenti principali caratteristiche: lunghezza m. 50,70, larghezza m. 7,64, altezza m. 4,19, stazza lorda tonn. 385.
Il suo scafo non era bello, ma teneva stupendamente il mare.
Vi fu imbarcato un equipaggio sceltissimo, agli ordini del cap. Giovanni Battista Carli e di cui facevano parte, tra gli altri, il capo macchinista Cesare Albavera e tre intrepidi palombari viareggini: Mario Raffaelli, Giovanni Lenci, Raffaello Mancini.
Il 29 maggio 1931 cominciò a operare sul relitto dell’“Egypt”. Si trattava di demolire quattro ponti d’acciaio per giungere alla cella blindata e scoperchiarla. Per fare ciò occorreva portarsi sul fondo della nave aprendo il passaggio dall’alto, per far scendere i palombari, le torrette di osservazione, gli esplosivi, le benne. Nuove attrezzature furono studiate e realizzate allo scopo. Cinquemila chilogrammi di tritolo fecero per settimane ribollire le acque e squarciarono l’“Egypt”.
La fatica fu inaudita, poiché il lavoro non si poteva svolgere come immaginavano i disegnatori delle copertine a colori dei settimanali illustrati: palombari che passeggiavano in fondo al mare, che entravano e uscivano dagli squarci dell’“Egypt”, che afferravano lingotti e sterline, che spingevano le benne con le mani per sistemarle sui carichi. I fatti erano ben diversi. Raramente i palombari, rinchiusi in pesantissimi scafandri metallici, potevano agire direttamente. Di solito gli uomini scendevano in speciali torrette di osservazione e di lì ordinavano per telefono alla nave i movimenti delle benne e di uno speciale ricuperatore, che diede risultati eccezionali.
I palombari vedevano ma non potevano agire; sull’“Artiglio” potevano agire ma non vedevano. In questo modo si lavorava.
Apparati per lavori subacquei
Migliaia di volte le benne mancarono il punto giusto, migliaia di volte i palombari dovettero ordinare spostamenti anche minimi. Spesso rimasero incagliati anche loro tra i rottami, qualche volta disperarono di poter tornare in superficie. Non si stancarono mai e vinsero.
Il 22 giugno 1931 giungevano in coperta, tra fango e rottami, le prime due sterline d’oro. Ma doveva passare ancora un anno esatto, un anno in cui spesso le operazioni furono interrotte per il maltempo, perché si cominciasse a vedere qualcosa di sostanzioso.
Finalmente, il 22 giugno 1932, ecco i primi lingotti d’oro, e da quel momento la campagna di recupero comincia a marciare a ritmo più spedito per terminare, spesso avversata dalle tempeste, nel 1934. Alla fine l’inventario del tesoro recuperato dava le seguenti cifre: 83.300 sterline d’oro, 865 barre d’oro puro, 54 quintali d’argento.
Conclusa questa favolosa avventura che fu seguita, da tutto il mondo con ansia e ammirazione (il “Times” tenne a bordo quattro anni il suo inviato speciale David Scott, che scrisse due libri andati a ruba in Inghilterra e in America), l’“Artiglio” intraprese altre numerose campagne di recupero, isolato o in collaborazione con le altre unità della “SO.RI.MA.” che per anni ebbero le loro basi a Saint Nazaire, Brest, Morlaix in Francia e a Freetown nella Sierra Leone, East London nel Sud Africa. I suoi palombari compirono altre migliaia di immersioni, le sue benne affondarono altre migliaia di volte nei fondi melmosi e tra le lamiere contorte.
Gian Paolo Olivari
Rapallo, 2 Gennaio 2014