R.re RAPALLO - SOTTO TRE BANDIERE

SOTTO TRE BANDIERE

M/r RAPALLO

IL RIMORCHIATORE RAPALLO FU UN INDOMITO MASTINO DEI MARI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE. (Nella foto è leggibile il nome sulla poppa).

M/r RAPALLO sta entrando nel Porto di Genova. Sullo sfondo, la diga Duca di Galliera. A poppa si nota il cannone da 76/40. La posizione in cui si trova il rimorchiatore in quel momento è verosimilmente il punto in cui fu affondato dalla Krigsmarine come nave-blocco antisbarco Alleato.

In servizio nel 1937 per la nostra Marina Militare; fu affondato nel febbraio 1943 durante uno dei numerosi bombardamenti aerei degli Alleati sul porto di Messina. Recuperato, fu trasferito a Genova. Dopo l’8 settembre cadde nelle mani dei tedeschi e cambiò bandiera. Fu affondato sull’imboccatura del porto nell'aprile 1945, insieme ad altre “navi-blocco” per impedirne l’accesso e l’utilizzo da parte degli Anglo-Americani. A guerra finita venne ceduto alla Francia in ottemperanza al Trattato di pace. Fu rimesso in servizio con la “nuova” bandiera e venne radiato nel 1950.

Il Rapallo ed il suo gemello Taormina, furono degli ottimi rimorchiatori armati, abilitati al rimorchio di navi fino a 15.000 tonn. Armatore: Regia Marina Italiana. Commesse 306 e 307 del cantiere Ansaldo & C. Genova, impostati il 02-09-1936, varati il 7 e 10-04-1937, consegnati il 31-08-37 e 11-09-37.  Dislocamento: 327 tonn. Lungh.: 25.80 mt, largh.: 7.15 mt, immersione 3.69 mt. Macchina alternativa 650 HP, Velocità: 10 nodi. Armamento: 1 pezzo da 76/40 -

IL PRIMO AFFONDAMENTO: PORTO DI MESSINA

Nel corso del secondo conflitto mondiale, il porto di Messina fu un importante Piazza Marittima e base logistica per la partenza di convogli navali destinati al rifornimento di mezzi, armi, uomini e materiali alle nostre truppe di stanza in Nord Africa. Seconda base militare per importanza rispetto al munitissimo porto di Augusta, era anche sede del C.M.M.A. (Comando Militare Marittimo Autonomo) in Sicilia (MARISICILIA) e della III^ Divisione Navale. Tutti questi elementi costituirono l’obiettivo primario di numerose incursioni aeree dell’aviazione inglese (1940-’41-‘42) e successivamente anche di quella americana (1943) con l’operazione Husky, ovvero lo sbarco alleato in Sicilia.

L’8 febbraio 1943, alle 07.15 due Spitbomber del 249 the Squadron (Gold Coast) RAF effettuarono un nuovo raid lungo il tratto Gela-Licata. Lo Spitfire (BR373/T-N) fu colpito dalla antiaerea e costretto ad un atterraggio d’emergenza in Sicilia, il pilota venne catturato dalle truppe dell’Asse.

Alle ore 11,30 quindici B.24D Liberator del 98th Bomber Group (Force for Freedom, bombardarono le installazioni del terminal dei traghetti di Messina con 27,2 tonn. di ordigni. La formazione, divisa in due ondate provenienti da direzioni diverse, si presentò sulla città: la prima di 9 aerei, si avvicinò da Nord, la seconda di 6 da Sud. I velivoli si incrociarono sul centro cittadino sganciando contemporaneamente su una zona compresa fra il Tempio di Cristo Re in viale P.pe Umberto ed il Distretto Militare. Intorno alle ore 12.00 al porto fu affondato il rimorchiatore RAPALLO. Alla fine del raid aereo, i Vigili del Fuoco estrassero dalle macerie 16 morti e 25 feriti.

IL SECONDO AFFONDAMENTO: FUOCO E FIAMME NEL PORTO DI GENOVA

Durante la Seconda guerra mondiale, la città e il porto costituirono uno dei principali obiettivi dei bombardamenti aerei Alleati. Si ricordano in particolare quelli dell’11 giugno 1940, numerosi nel mese d’ottobre, quello del 14 novembre 1942, 8 agosto e 29 ottobre 1943 e dell’11 maggio 1944. Furono particolarmente gravi i bombardamenti navali del 13 giugno 1940 ed in particolare quello del 9 febbraio 1941 eseguito da due corazzate britanniche con cannoni da 381 mm. Furono colpiti pesantemente il porto, il centro abitato e gli impianti ferroviari. Con l’avanzata degli Alleati dal Sud Italia, i tedeschi minarono la diga del porto, i moli più importanti ed affondarono navi sulle imboccature per impedire agli Americani l’accesso e quindi l’utilizzo del porto come base logistica per la liberazione definitiva dell’Italia dal giogo germanico.

Seguono alcuni dati molto significativi.

Case di abitazione: 11.183 edifici colpiti, con un totale di circa 265.000 vani distrutti. Per questo, il bilancio dell'aprile 1945 registrava: il 75% degli impianti distrutti; 320 navi e 615 galleggianti affondati, 140 mine dislocate nei punti strategici, la grande diga foranea sbrecciata e minata da circa 900 bombe, i bacini di carenaggio inservibili, gli impianti meccanici e le centrali quasi completamente distrutti.


Nella parte balta della foto, si vede l’imboccatura di Ponente (Italsider) ostruita dal caccia SIROCO (ex francese). In basso l’imboccatura di Levante sbarrata da otto navi affondate, all’altezza del Molo Cagni, visto da terra. Il m.re RAPALLO fu affondato in mezzo a questo gruppo di navi.

Al termine della lunga diga foranea, verso Sestri Ponente, la bocca del porto era già bloccata. Vi si vedeva la prua volta verso il cielo del caccia francese Le Siroco (foto in alto), catturato a Tolone nel novembre del ’42. Sembrava un’anacronistica e postuma vendetta: era stato proprio Le Siroco, nel 1940, a dare il via al primo bombardamento navale di Genova. Era il 14 giugno. Da quattro giorni l’Italia aveva dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia agonizzante, che undici giorni dopo avrebbe chiesto l’armistizio. Fu il primo episodio di guerra navale che colpì Genova.

Finita la guerra, fu impresa lunga e difficile recuperare la normalità.I l più urgente e pericoloso di tutti i lavori fu quello dello sminamento del porto: fu un’attività delicata e complessa che costò anche la perdita di un dragamine britannico, saltato in aria a causa di una mina magnetica con gravi perdite tra l’equipaggio. Ne seguirono mesi molto duri, mentre le operazioni di disattivazione e/o brillamento delle mine erano in corso, quando le operazioni di recupero e di spostamento dei relitti non poteva arrestarsi in attesa che si creassero condizioni di assoluta sicurezza; così accadde ad esempio che, muovendo il relitto semiaffondato della motonave Titania, venne provocata l’esplosione di una mina magnetica da cui derivarono gravi danni alle strutture portuali.

I relitti di unità militari ebbero un destino diverso da quelli mercantili: mentre i primi vennero tutti demoliti, eccetto il m.re RAPALLO ed una motozattera, parecchi altri ripresero servizio dopo lavori di ripristino più o meno lunghi. Fra questi ultimi ricordiamo le navi Filippo Grimani, Mazara, Maiorana, Lago Zuai, Monreale, Titania e Nicolò Giano.

Va ricordato infine il coraggio e la professionalità di tutti coloro che, a rischio della propria vita permisero, già nell’estate del 1945, l’attracco dei primi piroscafi su alcuni tratti dei moli completamente bonificati. Da notare infine che ad ogni dragaggio del porto, ancora oggi, a 72 anni di distanza, si susseguono esplosioni e rinvenimenti di bombe inesplose di quell’infausto periodo bellico.

Carlo Gatti

P.S. - Gli interessati a questo argomento possono trovare uno studio molto approfondito e dettagliato sul Sito di Mare Nostrum Rapallo-Sezione Storia Navale dal titolo: IL PORTO DI GENOVA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE degli storici E.Bagnasco e A.Rastelli.

22 Gennaio 2017

 

 

 

 

 


L'ODISSEA DEL M/n PIETRO ORSEOLO

 

L’ODISSEA del mercantile

PIETRO ORSEOLO

 

Violatore di blocco navale

 

 

NAVI BLOCCATE all’estero .....

L’episodio che tenteremo di raccontare supera in fantasia la trama di romanzi famosi. Tutto inizia il 10 giugno 1940 con la Dichiarazione di guerra da parte dell’Italia: 214 navi mercantili italiane rimasero bloccate in porti stranieri, di queste, 38 si autoaffondarono, 20 riuscirono a violare il blocco, 16 furono catturate o autoaffondate nel tentativo di violare il “blocco navale”, 47 furono impiegate in guerra dagli alleati di cui cinque affondarono nel corso dello sbarco in Normandia, e ben 8 affondate per cause imputabili ad eventi bellici, ancor prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

L’epopea vissuta da quegli eroici equipaggi, il loro internamento e spesso l’incarcerazione alla stregua di delinquenti comuni, avvenuta ancor prima che gli Stati Uniti scendessero in guerra dopo Pearl Harbour, le intrepide e pericolose traversate nel violare il blocco navale avversario, costituiscono una delle pagine di storia più valorose che siano state scritte dagli EQUIPAGGI CIVILI italiani e che pochi conoscono perché mai propagandate a tempo debito.

 

 

La Pietro Orseolo in allestimento a Monfalcone dopo il varo, il 15 luglio 1939

 

L’odissea della Pietro Orseolo fa parte di quel capitolo della storia navale che riguarda una delle prime grandi motonavi da carico previste dalla Legge Benni. L’unità aveva le seguenti caratteristiche:

 

 

Stazza netta= 3715 t / Stazza lorda= 6344,37 t / Portata lorda= 10.307 t.  Lunghezza f.t.= 143,60 mt / Pescaggio= 7,20 m / Propulsione: 1 motore diesel FIAT 646, potenza 5000 Cv/asse / 1 Elica. Velocità = 15 nodi-16,29 (max.) Artiglieria dal 1942: 1 cannone da 105 mm - 2 mitragliere da 20 mm , 2 mitragliere da 9 mm.

 

La Pietro Orseolo, in virtù della sua elevata velocità (oltre 15 nodi), venne noleggiata dal Lloyd Triestino, che la utilizzò sulle linee per il Giappone e l'Estremo Oriente.

 

All'entrata dell'Italia nel Secondo conflitto mondiale, il 10 giugno 1940, la Pietro Orseolo si trovava a Kobe, in Giappone. Dopo un anno e mezzo d’inattività, solo tre unità che stazionavano in Estremo Oriente furono giudicate adatte all’esportazione e trasporto della gomma naturale verso la Francia dai tedeschi. Tra queste vi era la Pietro Orseolo, il suo compito era difficilissimo: violare il blocco alleato attraversando due oceani sorvegliati dai sottomarini alleati in agguato.

 

Supermarina dispose la sua partenza in modo che l'arrivo dei “violatori di blocco” nell'Atlantico settentrionale, ed in particolare nel golfo di Biscaglia, avvenisse in inverno, possibilmente con le tempeste più forti e le notti più lunghe, tali da eludere la sorveglianza alleata.

 

Dopo i necessari lavori per rimetterla in condizione di affrontare una lunga traversata senza scalo, l'Orseolo imbarcò un carico di 6.646 tonnellate di gomma grezza ed altri materiali d'interesse bellico, tra cui la vernice speciale per aerei detta agar-agar.

 

 

Camuffata da piroscafo norvegese iscritto presso il Compartimento Marittimo di Oslo, la nave lasciò Kobe la sera del 24 dicembre 1941, al comando del capitano Zustovich, un equipaggio di 48 uomini, tra cui otto ufficiali. Nelle stive erano state collocate cariche di termite da usarsi in caso di autoaffondamento.

 

Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il Comandante scelse la via del- l'Oceano Pacifico e, una volta giunti a Capo Horn, la nave avrebbe risalito l’Atlantico. L’ETA (estimated time arrival) ad Irun, presso il confine franco-spagnolo, era stato calcolato per il 21 febbraio 1942.

 

FUOCO AMICO. Due giorni dopo la partenza, due biplani giapponesi, provenienti dalla direzione del sole, bombardarono e mitragliarono ripetutamente la nave italiana scambiandola per un'unità nemica e danneggiando l'albero maestro ed il fumaiolo con il tiro delle mitragliere.

 

Dopo i festeggiamenti del nuovo anno, le prime due settimane del 1942 trascorsero tranquille, ma il 6 gennaio, incrociando il meridiano 160° Ovest, il Comandante si rese conto di essere in ritardo di ventiquatt'ore rispetto al previsto, a causa delle correnti contrarie;  decise allora di modificare la rotta e rischiare incontri pericolosi.

 

Il 15 gennaio la Pietro Orseolo, infatti, avvistò tre navi da guerra sulla dritta che navigavano in formazione ad elevata velocità. La nave italiana virò rapidamente allontanandosi senza essere avvistata. Pochi giorni dopo la nave, procedendo decisamente verso Capo Horn passò dal caldo tropicale al freddo intenso.

 

Il 25 gennaio 1942 la Pietro Orseolo doppiò Capo Horn ed entrò nell'Oceano Atlantico navigando tra i numerosi iceberg alla deriva e la nebbia fitta. La nave fece rotta verso nord, risalendo l’Atlantico tra il Brasile e la Sierra Leone. Causa il maltempo, le correnti contrarie e le deviazioni dalla rotta, la Pietro Orseolo registrò un ritardo di due giorni sull’ETA previsto.

 

La motonave, forzando i motori e tracciando rotte sempre più rischiose, giunse la sera del 22 febbraio 1942 ad Irun, presso il confine franco-spagnolo, dopo una traversata di 72 giorni e dopo aver ricuperato un giorno di navigazione sulla tabella di marcia. La nave fu scortata da tre vedette tedesche giungendo a Bordeaux il 23 aprile: aveva percorso 19.372 miglia.

 

L’equipaggio ricevette i complimenti di Supermarina, di Raeder e di Hitler, (quasi l’intero carico era infatti destinato alla Germania). Oltre a numerose decorazioni al valore, il comandante Zustovich ed il direttore di macchina ricevettero la Medaglia d'argento al valor militare, mentre gli ufficiali e l'equipaggio furono decorati rispettivamente con la Medaglia di bronzo e la Croce di guerra al valor militare.

 

DA NAVE MERCANTILE A NAVE MILITARE

 

Dopo il trionfale arrivo a Bordeaux, la veloce e moderna M/n Pietro Orseolo fu confermata per un successivo utilizzo come “violatore di blocco” con destinazione l'Estremo Oriente. Nei porti cinesi e giapponesi avrebbe imbarcato materiale bellico di primaria importanza come la gomma naturale, non reperibile in Europa. La nave italiana era quindi attesa con una certa inquietudine dalle fabbriche di armi del Terzo Reich in Francia e Germania.

 

 

La M/N Pietro Orseolo é giunta indenne a Bordeaux

 

ll 18 maggio 1942 l’unità italiana fu requisita dalla Regia Marina che la consegnò al Comando tedesco di Bordeaux per essere militarizzata.

 

L'Orseolo venne sottoposta a lavori particolari con l’installazione di un cannone da 105 mm antinave e antiaereo, quattro mitragliere: due contraeree da 20 mm, di produzione tedesca, e due da 9 mm, di fabbricazione francese.

 

Il 1º ottobre 1942 la motonave lasciò Bordeaux alla volta del Giappone, al comando del capitano Tarchioni, con 67 uomini di equipaggio di cui 21 uomini della Regia Marina e quattro della Kriegsmarine con un carico di 3.000 tonn. di merce varia. La rotta da seguire era quella dell'Oceano Indiano.

 

AVVISTAMENTI PERICOLOSI

 

Mentre si trovava al largo di Gibilterra, l'Orseolo incontrò un convoglio alleato composto da una novantina di navi, che riuscì ad evitare allontanandosi alla massima velocità per poi rientrare in rotta dopo qualche tempo. Puntò per passare al largo di Sant'Elena e  quando si trovò al traverso dell'isola dell'Ascensione, l'unità cambiò nuovamente rotta, in modo da passare ad una distanza di 550 miglia a sud del Capo di Buona Speranza. Evitati numerosi avvistamenti sospetti, il 25 ottobre la Pietro Orseolo doppiò il Capo ed entrò nell'Oceano Indiano sfruttando i venti da ovest (Quaranta ruggenti). Con una buona spinta in poppa fece rotta per lo stretto della Sonda.

 

Durante la navigazione in queste acque, furono più volte avvistate unità sospette e la nave italiana fu costretta più volte a  modificare la rotta per non trovarsi in quel fascio di rotte commerciali controllate a vista da mezzi aeronavali nemiche. Il 10 novembre la Pietro Orseolo arrivò presso lo Stretto della Sonda che separa Giava e Sumatra.  Il passaggio obbligato era perennemente  “infestato” da sommergibili alleati, e spesso i loro periscopi erano confusi con le pinne degli squali che affioravano in continuazione.

 

Ben presto l’unità italiana fu raggiunta da una corvetta giapponese che la scortò lungo una rotta di sicurezza che evitava i campi minati. Durante l'attraversamento dello stretto, lo stesso 10 novembre, la nave passò nei pressi dell'isola di Krakatoa. Entrata nei mari della Sonda, l'Orseolo virò a dritta ed il 12 novembre raggiunse Giakarta, ove si ormeggiò con l'assistenza di un pilota, dopo 43 giorni di navigazione.

 

Dopo alcuni giorni di sosta l’Orseolo ripartì e raggiunse Singapore il 15 novembre, imbarcò rottami di ferro, nafta e balle di lana destinate in Giappone. Il 22 novembre l’unità salpò da Singapore e il 26 novembre s'imbatté nottetempo in un sommergibile, probabilmente nemico, che navigava controbordo in superficie. La sorpresa reciproca fu tale che le due unità si defilarono a poche centinaia di metri di distanza senza aprire il fuoco.

 

Passando a Nord di Formosa la motonave uscì dal Mar Cinese Meridionale e il 2 dicembre 1942 raggiunse indenne Kobe, dopo 62 giorni di navigazione, per oltre  17.000 miglia nautiche percorse.

 

Nel porto giapponese l’Orseolo imbarcò 6.800 tonn. di gomma ed altre materie prime. Durante la sosta l'unità subì anche lavori di modifica che le consentirono di imbarcare una novantina di passeggeri, per lo più militari tedeschi da rimpatriare.

 

Ripartita da Kobe nella serata del 25 gennaio 1943, il Comandante dell’Orseolo confermò sulle carte nautiche le stesse rotte del viaggio d’andata. Porto di destinazione: Bordeaux, via Oceano Indiano.

 

Il 28 gennaio dalla Pietro Orseolo scorsero un piroscafo ‘sospetto’, il Comandante cambiò immediatamente rotta evitando l'incontro. Il giorno seguente avvistarono un sommergibile in superficie, nella stessa zona di quel fortunoso incontro del 26 dicembre. Ancora una volta la nave italiana si salvò allontanandosi alla massima velocità per evitare il probabile attacco.

 

Il 3 febbraio l'unità toccò nuovamente Singapore, ove caricò ancora balle di gomma e ripartì il 9 febbraio diretta a Giacarta. Dopo essersi rifornita di acqua e nafta nell’ultimo scalo, il 16 febbraio la nave imboccò lo stretto della Sonda ed entrò nell'Oceano Indiano.

 

Tra il 24 ed il 25 febbraio l'Orseolo modificò la rotta per allontanarsi da un convoglio alleato diretto verso l'Australia. La nave proseguì senza ulteriori problemi transitando al largo delle isole Nuova Amsterdam e Principe Edoardo. Il 5 marzo entrò ancora una volta indenne nell'Oceano Atlantico passando, per ragioni di sicurezza, molto a Sud del Capo di Buona Speranza (latitudine 46° S)

 

 

 

L’U-161 in navigazione

 

 

 

L'unità iniziò quindi la risalita dell'Atlantico verso nord, senza incontrare ostacoli pericolosi. Il 26 marzo si trovò puntuale all’appuntamento con il sommergibile tedesco U 161 in un punto a sudovest delle Azzorre.

 

Nel frattempo le forze aeronavali anglo-americane, venute a conoscenza della partenza di numerosi violatori di blocco dal Giappone, dislocarono numerose unità sulle rotte più frequentate dalle navi dirette in Nord Atlantico e nel golfo di Biscaglia, per intercettarle, depredarle e affondarle.

 

Dentro questa trappola infernale, finirono irrimediabilmente i “violatori di blocco” tedeschi Hohenfriedberg, Doggerbank (affondato accidentalmente da un U-Boot), Rossbach, Weserland, Regensburg, Rio Grande, Burgenland, Karin ed Irene, che furono  vittime di numerosi attacchi aeronavali.

 

 

Tre cacciatorpediniere Classe Narvik

 

Dietro l’ordine dell'ammiraglio tedesco Karl Donitz alcuni moderni cacciatorpediniere tedeschi Classe Narvik (Z-23, Z-24, Z-25, Z-32 e Z-37), al comando del capitano di vascello Edmerger, si trasferirono presso l'estuario della Gironda per scortare la Pietro Orseolo a Bordeaux alla fine di marzo 1943. L’unità italiana era l’unica superstite della flotta dell’Asse che collegava l’Europa e il Giappone.

 

Il 30 marzo 1943 la motonave italiana, mentre si trovava al largo di Capo Finisterre (Portogallo), avvistò quattro navi da guerra in una zona che non era di pertinenza germanica. Il comandante Tarchioni, temendo che fossero unità britanniche, accostò rapidamente e si mise in fuga a tutta velocità.

 

PRIMO SCONTRO

 

Le navi sconosciute la raggiunsero in breve tempo facendo ripetute segnalazioni per farsi riconoscere. Erano quattro cacciatorpediniere tedeschi (Z-23, lo Z-24, lo Z-32 e lo Z-37) inviati nella Gironda per la scorta all'Orseolo. La foschia contrastava la visibilità e la nave italiana, circondata dalle navi tedesche, diresse verso Bordeaux oltrepassando uno schermo protettivo formato da sommergibili italiani ed U-Boote tedeschi.

 

Aerei inglesi Bristol Beaufort

 

 

Aerei inglesi Beaufighters

 

Poco più tardi, tuttavia, le navi vennero individuate dalla ricognizione inglese che allertò un gruppo di aerosiluranti Bristol Beaufort e Bristol Beaufighter del Coastal Command della Royal Air Force. Il convoglio fu attaccato a ondate successive: l’obiettivo era l'Orseolo ed il suo carico prezioso. Ma l’unità italiana si dimostrò all’altezza del combattimento: aprì il fuoco con il cannone e le mitragliere, ed altrettanto fecero i cacciatorpediniere, disorientando gli aerei britannici e abbattendone cinque. Il convoglio navale dovette zigzagare per evitare i numerosi siluri  sganciati dagli aerei, ma ancora una volta, per fortuna e per abilità, l’Orseolo rientrò indenne alla base.

L’AGGUATO

 

Sopraggiunto il buio in una notte illune, l'attacco terminò e la formazione riprese la navigazione senza danni. Alle prime ore del 1º aprile il convoglio giunse a 60-70 miglia da Bordeaux ignaro di un pericoloso agguato.

 

Improvvisamente il sommergibile statunitense Shad, con un'azione eseguita in superficie alla velocità di 19,5 nodi, attaccò il convoglio lanciando otto siluri ad una distanza compresa tra i 1550 ed i 2750 metri. La motonave italiana riuscì ad evitarne due, ma il terzo siluro, avente un’angolazione insidiosa, andò a segno colpendo la Pietro Orseolo in corrispondenza della stiva n. 2.

 

La caccia dello Shad alla formazione italo-tedesca era iniziata il 31 marzo subito dopo la segnalazione avuta dalla ricognizione aerea, ma soltanto alle 00.30 del 1º aprile riuscì ad intercettare il convoglio sul radar a una distanza di 10.000 metri. Dalle 00.30 all'1.50 il sommergibile s’avvicinò modificando più volte la rotta  ad una velocità di 18-19,5 nodi, mentre la velocità del convoglio era di 15 nodi. L’inseguimento si prolungò a causa di un cambiamento di rotta delle navi italo-germaniche e della loro non trascurabile velocità. Alle 3.42, non potendo più posticipare l'attacco a causa dell'elevato rischio di avvistamento e della rotta di collisione assunta da uno dei cacciatorpediniere, lo Shad lanciò sei siluri con i tubi prodieri.

 

Tra le 3.43 e le 3.45 il sommergibile statunitense avvertì cinque esplosioni di siluri e ritenne d’aver affondato almeno due navi. Alle 3.46 lanciò altri due siluri contro la Pietro Orseolo e si allontanò per eludere il contrattacco. Secondo il rapporto dell'unità subacquea americana furono avvertite altre quattro esplosioni, rispettivamente alle 3.50, 3.51, 3.54 e 3.57. In realtà l'unica arma andata a segno era il siluro che aveva colpito la Pietro Orseolo all’altezza della stiva n. 2. La motonave italiana, moderna e ben costruita, rimase a galla grazie alla tenuta delle doppie paratie stagne trasversali e poté proseguire nella navigazione, a velocità di poco ridotta. (Altre fonti sostengono che dovette progressivamente ridurre la velocità e successivamente fu presa a rimorchio). Dallo squarcio nello scafo finirono in mare 11.000 balle di gomma naturale, materiale di particolare importanza per le nazioni dell'Asse in quel momento del conflitto. I cacciatorpedinieri tedeschi, nonostante il rischio di un nuovo attacco, si fermarono e raccolsero numerose balle finché il caposquadriglia decise di riprendere la navigazione alla massima velocità consentita dal danneggiamento dell'Orseolo. Le navi raggiunsero Le Verdon alle 11.45. Per il recupero di almeno parte delle rimanenti balle le autorità tedesche, il 6 marzo, pubblicarono sui giornali della costa occidentale francese un annuncio in cui si promettevano forti ricompense a chi avesse consegnato alle forze germaniche delle balle trovate alla deriva o portate a riva dalla corrente. Il 3 aprile 1943 la Pietro Orseolo ormeggiò a Bordeaux, concludendo con successo il terzo ed ultimo forzamento del blocco.

 

Benito Mussolini, ricevuta una particolareggiata relazione circa il viaggio della Pietro Orseolo, elogiò la condotta del Comandante, Stato Maggiore ed Equipaggio, cui furono conferite altre decorazioni al valor militare; il comandante Tarchioni venne decorato da Adolf Hitler con la Croce di Ferro di prima classe, unico caso di conferimento di tale decorazione ad un comandante della Marina Mercantile.

 

Nel corso delle tre traversate oceaniche di violazione del blocco la Pietro Orseolo aveva trascorso 164 giorni in mare, percorrendo quasi 54.000 miglia marine (nella seconda e terza traversata la nave percorse 34.400 miglia alla velocità media di 14 nodi, passando 103 giorni in navigazione).

 

Nel settembre 1943, in seguito alla proclamazione dell'armistizio, la Pietro Orseolo venne catturata dalle truppe tedesche, venendo affidata, il 15 ottobre 1943, alla ditta tedesca A.G. für Seeschiffahrt di Amburgo, con il nuovo nome di Arno. Anche dopo la cattura si pensò di utilizzare la motonave come “violatrice di blocco”.

 

Il 10 dicembre 1943 l'unità ricevette i segnali di riconoscimento per aerei, ed una settimana dopo si rifornì per un nuovo viaggio. Il 18 dicembre 1943, tuttavia, l'Arno venne colpita da un siluro e danneggiata durante un attacco aereo effettuato da dodici aerosiluranti Bristol Beaufighter del Coastal Command, caccia Spitfire (131st e 165th Squadron) e Thypoon (24 aerei degli Squadrons 183rd, 193rd e 266th) nella baia di Concarneau.

 

Nel pomeriggio (secondo altre fonti tre giorni più tardi, il 20 o il 21 dicembre) affondò al largo delle isole Glénan (non lontano da Brest) mentre si cercava di rimorchiarla verso tale arcipelago per portarla all'incaglio. Nel 1944 palombari tedeschi si immersero sul relitto per recuperare almeno parte del carico.

 

Il relitto della Pietro Orseolo giace a tra i 25 ed i 30 metri di profondità, in posizione 47°41’77” N e 3°56’77” O, a mezzo miglio dall'isola di Penfret.

 

Carlo Gatti

 

Rapallo, 1 Gennaio 2014

 


L'ASTROLABIO dell'Associazione SESTANTE

ASTROLABIO

Realizzato dall’Associazione Culturale Il Sestante

Mercoledì 23 febbraio 2011, nel corso di una cerimonia semplice ma molto significativa, il Presidente dell’Associazione culturale il “SESTANTE” Enzo Gaggero ha consegnato in omaggio all’Ammiraglio di Divisione Pierluigi Rosati, comandante dell’Accademia Navale di Livorno e al suo Staff di Ufficiali di Stato Maggiore, un imponente ASTROLABIO (2,5 alto x 1,5 largo circa ). Questo strumento è il frutto di molti anni di studio e di circa sei mesi di lavoro grafico per la sua attuazione. Il risultato finale è quindi il figlio di una scelta passionale per l’astronomia, di un viscerale “Amore” per l’Accademia Navale di Livorno, ma soprattutto dell’impegno didattico che anima questa Associazione nella divulgazione di una materia tanto affascinante quanto sconosciuta presso i giovani e non solo. Questo é ciò che é emerso dai discorsi introduttivi dell’Ammiraglio Rosati e del Presidente Enzo Gaggero che sono stati molto applauditi per la loro saggezza e disponibilità a creare sinergie tra le Istituzioni Governative e il mondo civile.

Com’é noto, l’Accademia Navale di Livorno é considerata il Tempio dell’insegnamento delle materie nautiche per i futuri ufficiali e comandanti di navi militari e mercantili, pertanto, i suoi docenti di astronomia e navigazione sono ritenuti, per consolidata tradizione, i migliori e preparati tra coloro che esercitano questa benemerita professione.

In parte militari, in parte civili, i professori presenti hanno voluto aprire in coda al previsto cerimoniale, un ampio dibattito scientifico sull’Astrolabio per capirne innanzitutto lo scopo, il funzionamento ed infine i risultati pratici che esso é in grado di fornire. Ne é emersa una profonda analisi teorica, molte precisazioni ed infine un sincero apprezzamento per uno strumento “originale” che ha trovato un suo spazio, una sua identità specifica tra gli strumenti scientifici già conosciuti e usati sulle navi.

A questo punto, vale forse la pena riassumere brevemente il suo funzionamento. L’Astrolabio realizzato dall’Associazione “Il Sestante” é uno strumento che va impostato sulla latitudine dell’osservatore, ad una determinata ora (ora dell’orologio aumentata o diminuita dalla correzione FUSO). “Aggiustato” su questi due parametri soltanto, lo strumento consente l’immediato confronto della visione grafica sull’astrolabio (nomi delle stelle e pianeti) e la volta celeste visibile all’osservatore. Si tratta quindi di un apparato utilissimo e di rapida consultazione in vista delle misurazioni delle altezze degli astri che, tramite i calcoli astronomici previsti, consentono di ottenere la posizione della nave. Tuttavia, lo scopo didattico primario dello strumento, che in Accademia é stato subito ribattezzato “Astrolabio Enzo Gaggero”, é esteso a tutti giovani e meno giovani “osservatori del cielo” che possono teoricamente prefigurare la volta celeste sullo strumento e subito dopo fissarla “visibilmente” nella memoria, non solo a occhio nudo, ma anche con l’uso di binocoli o meglio ancora di telescopi più o meno potenti, ed impararne i nomi, la luminosità e le caratteristiche astronomiche/astrofisiche.

Non mi rimane che complimentarmi a nome di tutti gli amici con il nostro “valente” socio Enzo Gaggero insieme alla sua équipe, naturalmente, per l’eccellente risultato e i relativi riconoscimenti ottenuti, ma anche per la sensibilità dimostrata nel voler ringraziare a tutto campo il sostegno avuto dal “Museo Andreatta”, tramite il suo curatore Nanni Andreatta e, immeritatamente, “Mare Nostrum” da me rappresentato.

E’ nostra intenzione presentare l’Astrolabio ai soci di Mare Nostrum  e non solo a loro, ovviamente. Mi riservo pertanto di prendere i dovuti accordi burocratici e fissare una data che vi sarà comunicata per tempo.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo - 01.01.11

 

 

 


RELAZIONE ATTIVITA' MARE NOSTRUM 2016

RELAZIONE ATTIVITA’ MARE NOSTRUM

EVENTI MARE NOSTRUM – 2016

L’anno 2016 è stato ricco di eventi ed avvenimenti che, grazie anche all’attività culturale e promozionale portata avanti dalla nostra Associazione, hanno particolarmente arricchito l’offerta storico-documentale dedicata alle nostre radici marinare ed agli appassionati  cultori di storia locale.

In linea generale vanno ricordati per il loro valido supporto promozionale il nostro Sito web ormai prossimo alle 105.000 visite, la rivista mensile Il MARE, il MUSEO MARINARO Tommasino-Andreatta ospitato presso la Scuola TTLLC di Chiavari.

Ciò detto si evidenzia il corposo elenco degli eventi realizzati nell’anno 2016:

7.1.2016 Conferenza del socio Flavio Vota su: Il mito di Atlantide che si è tenuto a Villa Queirolo – Rapallo

23.1.16Mare Nostrum ha partecipato allo “Zaffarancho” Chiavari – organizzato dai FRATELLI DELA COSTA  di Spezia.

6.2.16 I comandanti Ernani Andreatta e Carlo Gatti hanno tenuto la Conferenza La guerra in Africa dell’Ing. Giuseppe PETTAZZI presso la Lega Navale di  Chiavari.

12.3.16 Presso il CIRCOLO SVIZZERO di Genova I soci Prof.ssa Marcella Nervi Patrone e il Com.te Carlo Gatti hanno tenuto la conferenza: “Le Galee-Gente da rivea gente de galea”.

17.3.2016 - Emilio CARTA e Mauro MANCINI Hanno presentato il terzo libro “Rapallinn-i e Foresti” presso la sala conferenze Spazio Aperto-via dell’Arco Santa M.L.

Sabato 19 marzo Emilio Carta e il catoonist Enzo MarcianteDRAGUT e il suo mondo nel Secolo XVI per il Circolo Culturale Fons Gemina - Hotel Europa

24.3.16 Incontro con gli Autori di Mare Nostrum Rapallopresso l’Europa (nostra sede) Rapallo.

25 APRILE  2016 DISCORSO Celebrativo del PRESIDENTE Carlo Gatti – presso Il MONUMENTO DEI PARTIGIANI - Rapallo

12.5.2016 – I comandanti Giancarlo Cerruti e Carlo Gatti sono stati invitati dal Secolo XIX per ricordare la il tragico affondamento della T/n HAVEN al largo di Arenzano e la M/n LONDON VALOUR naufragata sulla diga Molo di Galliera del Porto di Genova. La conferenza si è tenuta in Piazza Piccapietra-Genova.

13.5.2016 – I comandanti Ernani Andreatta e Carlo Gatti hanno tenuto la conferenza sulla vita e le imprese dell’eroe chiavarese Enrico Millo – Museo del GALATA – (Saletta dell’Arte). E’ intervenuta la Prof.ssa Nicla Buonasorte, responsabile della biblioteca e Sezione Documentale del Mu.MA.

EVENTI ESTATE 2016

23.6.2016 – Conferenza sull’idrovolante CITY OF FUNCHAL – Santa Margherita L. Conferenzieri Carlo Gatti ed Emilio Carta.

9.7.2016 – Presentazione di Carlo Gatti del Libro DRAGUT di Emilio Carta – presso l’Oratorio Bianchi-Rapallo

15.7.2016 –Conferenza sulla MARINERIA nei secoli del socio Andrea MAGGIORI – Piazza Gagliardo - Chiavari – Organizzata e presentata dal socio Ernani Andreatta.

22.7.2016 – Celebrazione di Ezio Starnini, Il Mondo dei Transatlantici - Piazza Gagliardo Chiavari – Organizzata e presentata dal socio Ernani Andreatta, sono intervenuti il giornalista Massimo Minnella e Carlo Gatti.

4.8.2016 – Il Comune di Rapallo ha ringraziato i Presidenti delle Associazioni di Rapallo per la partecipazione alle manifestazioni in ricordo del tragico assalto del pirata DRAGUT.

7.8.2016 – Rapallo EXPO – L’affondamento della HAVEN. Conferenzieri Carlo Gatti ed Emilio Carta.

8.8.2016 – Rapallo EXPO - Oratorio dei Bianchi - ATOLLO DI TRUK – Conferenziere Lorenzo Del Veneziano. Hanno presentato Emilio Carta e Carlo Gatti

13.8.2016 – Conferenza di Ernani Andreatta - Carlo Gatti-Massimo Minnella sull’Epopea di Capo Horn - Organizzata e presentata dal socio Ernani Andreatta in Piazza Gagliardo – Chiavari.

7.10.2016Odessa e Genova nei secoli. Palazzo Ducale - Genova. Carlo Gatti

è stato invitato a parlare delle sue esperienze a bordo delle navi sovietiche prima del crollo del Muro di Berlino.

22.10.2016 - MOSTRA-EVENTI MARE NOSTRUM (questa parte della nostra attività è stata trattata ampiamente sul sito di Mare Nostrum Rapallo).

19.11.2016Mare Nostrum partecipa con diversi soci alla gita “astronomica” di Perinaldo, in omaggio allo scienziato Giovanni Domenico CASSINI, nativo di Perinaldo, e organizzata dall’Associazione Sestante (Presidente Enzo Gaggero-nostro socio)

8.12.2016 – Presentazione ufficiale del libro di Emilio Carta: ASSASSINIO A MONTALLEGRO.

Tutti gli Eventi di Mare Nostrum Rapallo sono stati apprezzatissimi GRAZIE anche alle proiezioni di immagini, video e DVD del Comandante/regista Ernani Andreatta, pilastro della nostra Associazione.

 

Carlo GATTI

(Presidente e Webmaster dell'Associazione Mare Nostrum Rapallo)

 

1 Gennaio 2017

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RIVISTA H - VISITA DI HITLER

 

"Cartoncino commemorativo"

 

Visita in Italia di Adolf Hitler

 

"Rivista H" - Golfo di Napoli il 5 maggio 1938

 

 

Nella foto, da destra, gli incrociatori pesanti Fiume, Zara, Pola e Gorizia all'ormeggio alla testata del Molo della Stazione Marittima di Napoli.

Questa foto è stata scattata tra le 10.00 e le 10.30 a bordo della nave da battaglia Cavour, sul ponte a poppa, poco dopo l'imbarco di Hitler e di Mussolini e prima che iniziassero le manovre della "Rivista H" (le unità partecipanti uscirono dal porto tra le 10.45 e le 11.15). Al centro della fotografia si identificano, ovviamente, Hitler, Vittorio Emanuele III, Mussolini e il Principe Ereditario Umberto di Savoia.

E' più interessante l'identificazione degli altri due personaggi in uniforme, a sinistra e a destra della foto.

Il capitano di vascello a sinistra è il c.v. Antonio Bobbiese, comandante del Cavour. Si noti che sulla spalla destra dell'uniforme si intravedono le cordelline dorate da "Comandante di Bandiera", che contraddistinguevano il comandante di un'unità su cui era imbarcato un Comando navale superiore (il Cavour, difatti, all'epoca era nave ammiraglia della Vª Divisione Navi da battaglia). Questo particolare elemento uniformologico faceva sì che - nelle occasioni in cui era previsto indossare la sciarpa azzurra - questa scendesse dalla spalla sinistra verso destra (e non dalla spalla destra verso sinistra come avveniva - e avviene - per le uniformi degli ufficiali della Marina Italiana).

Il militare a destra è il generale di corpo d'armata Giuseppe Mario Asinari di Bernezzo, primo aiutante di campo generale del Re, il cui incarico è evidenziato dalla presenza di una corona al di sopra della stelletta sul bavero della giacca (nell'immagine i due elementi sono due puntini chiari difficilmente distinguibili).

A poppavia del Cavour c'è il Cesare, ed entrambe le unità stanno per procedere a lento moto verso l'imboccatura del porto (sullo sfondo si intravede il Molo S. Vincenzo, perpendicolare alla Calata Beverello, non visibile nella foto perché di poppa al Cesare).

L’immagine sopra raffigura gli stessi personaggi, ripresa da un’altra angolazione.

Bibliografia:

- T. Marcon, Riviste navali a Napoli negli anni Trenta, in "Bollettino d'Archivio dell'Uff. Storico della M.M." (giugno 1995)

- E. Bagnasco, E. Cernuschi, Rivista H, in "STORIA militare" n. 200 (maggio 2010)

Spero che queste note possano risultare gradite! Un cordiale saluto a tutti,

Maurizio Brescia

Rapallo, 1 Gennaio 2014

 


UNA DONNA italiana al comando

LAURA PINASCO

La Donna al Comando di una Nave

Il  mare, le navi e la sua gente appartengono al capitolo più antico della nostra storia e  nessuno si è mai meravigliato che la sua evoluzione procedesse nei secoli con la velocità di un bradipo. Tuttavia, all’alba del Terzo millennio c’è da registrare, con gran piacere, un “paso doble”, uno scatto di velocità che, ancora negli anni ’60, non era neppure nei pensieri profetici delle Marine più avanzate della terra: Naturalmente, proprio in quegli anni, vi erano già alcune eccezioni alla regola e la più curiosa era, per quanto ne sappiamo, rappresentata da una coppia polacca. Lei era il comandante, lui il primo ufficiale di coperta e non viceversa... di una grande carboniera che approdava  a  Genova per rifornire la Centrale Elettrica sotto la Lanterna che, a tutt’oggi,  illumina  le calate del porto. Si ricorda pure di una raffinata comandante francese che scalava mensilmente il nostro porto negli anni ’80, con una chimichiera. L’intrepida comandante si era fatta un brutto nomignolo, tipo “sfiga”, perchè arrivava sempre in piena notte e con mareggiate che montavano la diga.

Oggi la donna al comando di navi è una realtà! e capita  di leggere che persino le “cazzute” navi da guerra si stanno adattando ai tempi: La Marina britannica rompe un tabu'. Per la prima volta nella storia, due donne assumeranno il comando di navi da guerra. I tenenti Sue Moore e Mel Rees prenderanno il comando di due pattugliatori... La nomina viene dopo una serie di gravi scandali che hanno imbarazzato la Royal Navy. L'ultimo caso si e' chiuso un mese fa con la condanna di un ufficiale soprannominato "Mutande" che aveva cercato di approfittare di alcune subordinate.

 

Secondo quanto ci fa osservare lo storico navale Maurizio Brescia, il primo caso “scomodo” si verificò negli USA all'inizio degli anni Ottanta sulla Norton Sound, prima unità della U.S.Navy con equipaggio misto. L’impietosa statistica dice che:  “nei primi due anni d’attività, a bordo della Norton Sound furono accertate le più elevate percentuali di casi di omosessualità (maschile e femminile) sino ad allora registrate nella Forze Armate...

 

Per la verità, noi eravamo rimasti all’episodio, altrettanto imbarazzante, di un giovane marinaio che  filmò la sua notte d’amore a bordo, costando alla famosa portaerei USS- Einsenhower, seconda nave da guerra con equipaggio misto (415 donne su 5000 d’equipaggio), il grazioso nomignolo di “Love boat”. A volte certi frutti maturano...  e la potentissima unità ritornò alla base di Norfolk in Virginia, con 15 soldatesse incinte, dopo sei mesi di missione in Adriatico (Guerra di Bosnia).

 

Lasciamo ad altri la cura di certi pruriti... e segnaliamo invece ai nostri lettori che, per quanto riguarda la Marina Mercantile nel mondo, non solo si è verificato il passaggio della donna al comando, ma ciò è avvenuto con eccellenti risultati e qualche primato.

Una donna al comando di una famosa nave passeggeri


14 aprile 2008 - Il comandante svedese Karin Stahre Janson sul Ponte di Comando della Monarch of the Seas

 

Monarch of the Seas, la splendida nave da crociera, approdata più volte nel Tigullio. La svedese Karin Stahre Janson è la prima donna comandante di una nave da crociera al mondo. Dopo numerose esperienze a bordo di navi da carico e petroliere, Karin ha preso il comando della prestigiosa 
Monarch of the Seas, della Compagnia statunitense “Royal Caribbean” (2.400 passeggeri e 850 membri d’equipaggio). Nel suo primo periodo di comando, la Vikinga ha compiuto crociere da Los Angeles a San Diego, Catalina e Messico.

Le donne rappresentano meno del 2% su 1.250.000 marittimi del settore mondiale. In Italia, la presenza femminile a bordo delle navi mercantili è ancora inferiore alla media degli altri paesi europei: 1,2% del totale-equipaggi, contro il 4,2% della Germania, l’8,3% del Regno Unito, il 10-12% delle flotte scandinave.

Verso la metà degli anni ’80, dopo aver sostituito il proprio equipaggio nordico con uno interamente italiano, il comandante svedese Magnus Gottberg si trasferì in Mediterraneo con la propria nave passeggeri Drotten e un giorno mi disse con stupore:

Quando passeggio per i corridoi della nave, il personale si agita e si alza in piedi se è seduto, qualcuno si mette persino sugli attenti e non mancano quelli che accennano all’inchino. Trovo tutto questo molto imbarazzante. Da noi c’è rispetto ma non deferenza, c’è stima per il grado, ma nessun panico per l’uniforme”.

Le considerazioni sul tema ci porterebbero assai lontano. Ci limitiamo, pertanto, a gettare un sassolino nello stagno dicendo che l’antica etichetta appiccicata al comandante di nave: “Dopo Dio ci sono io”, sembra ormai arrivata al traguardo. Il suo millenario percorso sta sfumando con il passaggio epocale, tuttora a macchia di leopardo, dall’Autoritarismo-Autorevolezza, dal militarismo alla democrazia. Da chi impone con la forza le proprie regole a chi applica una superiorità morale, un carisma che sa destare, comunque, un forte rispetto negli altri. La strada è ancora lunga e tortuosa, ma l’agognata  meritocrazia è alle porte, e una volta imboccata, non potrà che far riemergere il “pianeta donna” dalle catacombe della storia.

Ma venendo ai fatti di casa nostra, anzi a quelli di una nostra vicina di casa... cogliamo l’occasione per  parlarvi del capitano di lungo corso Laura Pinasco: La donna al comando della più grande nave porta-bestiame del mondo.

 

Nata e cresciuta a Lavagna, Laura si è diplomata  nel 1997 all’Ist. Nautico di Camogli e, nello stesso anno, ha iniziato a navigare  con una compagnia  di traghetti.

 

Nell'arco della sua carriera è stata ufficiale di coperta su navi Ro-Ro, gasiere  e porta-bestiame.  Ha assunto per la prima volta il comando nel 2003 ed è entrata nella società Siba Ships con la  qualifica di primo ufficiale nel 2006.

Il 7 luglio 2008, Laura Pinasco ha terminato il suo primo viaggio al comando della Stella Deneb di 50.947, portandosi a casa  il primato di prima donna al comando della più grande nave porta-bestiame del mondo. Un quotidiano, riferendosi al carico “speciale” intitolava con un certo sense of humor:

 

“A bordo, Noè mette il rimmel”

 

Di un certo spessore ci sembra invece il commento dell’armatore:

 

<Il comandante Pinasco> -

 

Ha sottolineato il presidente della Siba Ships, Mauro Balzarini –

 

<E’ una dei nostri ufficiali più esperti e siamo stati lieti di affidarle il comando di una nostra  nave. Laura Pinasco è l'esempio di come una persona fortemente motivata  possa percorrere  con successo una carriera in mare>.

Il Comandante Laura Pinasco (nella foto) ha preso in consegna il 24 marzo 2006, dal precedente armatore Pan United  di Singapore, la “Stella Deneb” (sullo sfondo) che è la più grande nave “porta-bestiame” in questo momento esistente al mondo.

 

Il Comandante Laura Pinasco

 

La M/n Stella Deneb è una nave  lunga, alta e ventosa, con una visibilità limitata e difficile da gestire

 

E’ stato chiesto alla giovane comandante:

In un ambiente quasi tutto maschile, come quello marittimo, ha incontrato delle difficoltà nel fare carriera?

 

“Non credo che le donne abbiano vita facile in certi ambienti di lavoro e, devo dire che ho avuto parecchie difficoltà. Nel 1997, durante il mio primo imbarco sentivo ripetere sempre la stessa frase: “In Italia non siamo ancora pronti per avere le donne a bordo”.

 

Dopo 10 anni ancora la sento. Al termine del mio primo imbarco, non mi è stato compilato l’estratto di navigazione fuori degli Stretti (Gibilterra e Suez) con la scusa che  non mi sarebbe mai servito! Per fortuna, ci sono anche Compagnie ed armatori illuminati, come la Siba Ships ed il sig. Mauro Balzarini, che invece hanno coraggio di scommettere sulle donne. Io, per fortuna, non sono né il primo né l’unico Comandante donna in Italia”.

 

Comandante, lei ha 30 anni e una saggezza da lupo di mare. Consiglierebbe ad altre ragazze questo mestiere?

 

“Non lo farei a cuor leggero. Non sono pentita, perchè ho avuto una vera folgorazione per questa professione, e ho avuto le mie soddisfazioni. Ma è desolante il panorama per un’eventuale lavoro a terra. Molti Corpi-Piloti e Società di rimorchiatori portuali vedono le donne come una vera minaccia, nel senso che un’eventuale maternità sarebbe per loro una perdita di profitti inaccettabile”.

 

Coraggio comandante Pinasco! Vi sono in questo periodo due donne-piloti nei porti di Venezia - Augusta e altre sui rimorchiatori portuali. Mi creda! I Signori Balzarini  si trovano anche tra le banchine portuali...

SCHEDA DELLA NAVE   STELLA DENEB

 

Lunghezza 213,20      mt.
Larghezza 32,20      mt.
Pescaggio estivo 11,51      mt.
Stazza Lorda 50.947    tonn.
Stazza Netta 21.479    tonn.
Stazza-Suez Canal 60.513    tonn.
Capacità trasporto pecore 2.072 - MQ 37.713
Capacità trasporto bestiame 2.072 - MQ 37.999

Terminiamo con una nota statistica che potrebbe interessare il ministro Brunetta e  la  politica dei “bamboccioni”. E’ accertato che soltanto il 5% dei diplomati Nautici italiani va a cercarsi un imbarco, il restante 95% preferisce  “comandare la perpetua...”  quando la mamma va a navigare...

 

 

 

CARLO GATTI

Rapallo -8 marzo 2011

 

 

 


ANGELA BESANA - SKIPPER EVERGREEN

ANGELA BESANA

SKIPPER EVERGREEN

NELL'UNIONE TRA IL TIGULLIO ED I GRANDI LAGHI PREALPINI DEL NORD ITALIA

ANGELA BESANA, qui ripresa nel Tigullio nel ruolo di SKIPPER,  è la MADRINA dell’Associazione Mare Nostrum Rapallo.

CAPITOLO PRIMO

Angela compie 99 anni il 24 gennaio 2017 e, a giudicare da come tiene ferma la ruota del timone della barca di famiglia, dimostra serie intenzioni di navigare ancora a lungo. Noi ci contiamo, perché la signora Angela è il nostro simbolo, è il sorriso che ci accompagna ogni giorno sul cammino del Mare Nostrum, un tempo non lontano come naviganti, oggi mentre raccontiamo il nostro vissuto personale, con la quotidiana ricerca di storie marinare vere, che poi riportiamo su questo sito perché non vengano dimenticate.


La serenità e la lucidità con cui Angela racconta i suoi trascorsi lacustri e poi marinari, è stata la molla che ci ha spinto a presentarla anche tramite la testimonianza del materiale raccolto, nel quale è spesso citato suo nonno Abbondio Besana e suo padre Cipriano Besana, Comandante ed Ispettore della Navigazione del Lago Maggiore. A loro è dedicato l’articolo sul primo numero della Provincia di Como riguardante il conferimento, a entrambi, di una medaglia al valore civile per salvataggi compiuti nel lago. Cipriano aveva salvato una persona all'età di 15 anni! E non sarà la sola!  E fu sempre lui a trasferire le due imbarcazioni da Monfalcone ad Arona.

Ancora medaglie per salvataggi anche per Antonio Besana, zio di Angela.
Molto tempo dopo i giornali ricorderanno un'altra impresa di Cipriano, il trasferimento di due grosse imbarcazioni da Monfalcone, e quindi dall'Adriatico, sino ad Arona sul Lago Maggiore attraverso Po, Ticino e canali, superando rapide e chiuse.

Il passaggio di Angela dall’acqua dolce del lago a quella salata del Mediterraneo, non è stato certamente un trauma per lei, e neppure per sua figlia Marinella, eredi entrambe di una “collaudata” tradizione marinara ben coadiuvate dal marito di Marinella, Rinaldo Santi.

Possiamo anche aggiungere alcune nostre personali opinioni a favore di coloro che hanno poca dimestichezza con l’acqua dolce!

-       Gli equipaggi che vivono e lavorano su delle navi, grandi o piccole che siano, che galleggino in acqua salata, salmastra, oppure dolce, sono divisi soltanto la geografia, non i pericoli delle guerre, come vedremo, della navigazione, delle avarie, del maltempo, dal portare passeggeri da una sponda all’altra dovendo affrontare tutte quelle situazioni che si creano per gli errori anche umani di manutenzione, di navigazione e di manovra.

-       Non è la lontananza o la vicinanza dalla terra a creare il marinaio! Bensì lo spirito marinaro, ossia la capacità di adattamento “all’elemento acqua” indipendentemente dalla sua densità, conoscendone i pericoli e sapendoli affrontare con grande mestiere.

-       Anni fa, nell’attraversare il Lago Ladoga con una nave passeggeri russa, incappammo in una tempesta che ci costrinse a passare l’intera notte nel corridoio dei nostri alloggi indossando i giubbotti di salvataggio per essere pronti a saltare sulle lance di salvataggio, in qualsiasi momento. In quella occasione, mi accorsi che l’equipaggio di quella nave poteva essere lo stesso di qualsiasi altra nave in difficoltà sui sevenseas, infatti si comportarono con la stessa professionalità e senso marinaresco, seguendo le stesse procedure in uso su tutto il pianeta.

-       Simili situazioni le vissi anche sui laghi svedesi e nel fittissimo arcipelago di Stoccolma, quando l’inclemenza del tempo può manifestarsi improvvisa e molto pericolosa, specialmente nei cambi di stagione.

-       Ogni golfata, ogni traversata, direi ogni punta della costa, così come ogni lago della terra, necessitano di una conoscenza “marinara” molto vissuta ed approfondita da parte dei preposti al comando delle navi che solcano quelle acque.

-       In tutto il mondo, i PILOTI dei porti si guadagnano, con esami severissimi, la licenza di pilotaggio soltanto per un Porto, per quel Porto dove compiono generalmente un migliaio di manovre l’anno. Questa è la storia che ci viene tramandata dai tempi dei Sumeri. Questa è la scuola che ci insegna che ogni ambito deve avere i suoi “specialisti” che non possono essere neppure paragonati tra loro, ma vanno tutti egualmente rispettati per la professionalità e conoscenza dell’ambiente che hanno maturato di generazione in generazione e che mettono ogni giorno a disposizione della sicurezza della navigazione in generale.

Quindi, prima d’iniziare la nostra navigazione “storica” con Angela al timone, ribadisco la mia scarsa disponibilità per chi, non sapendo nulla di navi e di spirito marinaro, distingue il marinaio d’acqua dolce da quello di acqua salata. Per fortuna ne sono rimasti pochi, se si pensia che i più noti velisti del mondo vanno ad allenarsi tra i gorghi e i venti freddi dei nostri maggiori laghi del nord Italia.

Nelle acque del Mare del Nord e del Baltico le acque sono quasi dolci, ma nessuno si sogna di dvidere in categorie i veri marinai, che lassù nascono spontaneamente in natura… proprio come qui da noi!

Carlo GATTI

Presidente Associazione Marinara MARE NOSTRUM RAPALLO

Più che le parole contano i fatti… specialmente quando queste raccontano di gesta eroiche!


Valore civile. – Con decreto 28 febbraio 1892 furono accordate le ricompense al valore civile a: Besana Abbondio, medaglia d’argento, per aver salvato con pericolo della propria vita, un soldato caduto e pericolante nel lagoBesana Cipriano – quindicenne, figlio dell’Abbondio – medaglia di bronzo per aver salvato un soldato gettandosi nel lago: Magri Domenico, Magri Francesco e Castagna Stefano, medaglia di bronzo per aver salvato una giovane caduta nelle acque del fiume Pioverna; Rolando Alberto, medaglia d’argento per aver salvato un fanciullo di Laverna caduto nel lago; Paolo Andigò, medaglia di bronzo per aver salvato un ragazzo caduto nel lago di Lugano.

Al muratore Carlo Tantardini sarà consegnato l’attestato di pubblica benemerenza per aver concorso al salvamento di varie persone cadute nel fiume Pioverna. – Lunedì, 28 corrente, all’una pom. – davanti al Consiglio comunale – il nostro Sindaco distribuirà ai signori Besana Abbondio, Besana Cipriano e Bovina Leopoldo le medaglie al valore civile.

Onore ai coraggiosi che con slancio di generosità esposero la propria, per salvare la vita altrui.



PRIMO BATTELLO A PALE – “PATRIA”



CON LA PELLE APPESA AD UN CHIODO

In ricordo dei militari e civili italiani scomparsi in mare durante la seconda guerra mondiale


Piroscafo Genova, mezzo salone ad elica in servizio su Lago Maggiore. Lungo 44,20 metri, largo 5,80, pescaggio 1,26 m, velocità 25,44 km/h, 500 passeggeri e 7 uomini di equipaggio.

Breve e parziale cronologia

1913-1914

Costruito dalla Ditta Bacigalupo di Genova Sampierdarena per la Società Anonima Innocente Mangilli – Impresa di Navigazione sul Lago Maggiore.

25 aprile 1914

Ultimo ad essere completato dei tre piroscafi gemelli della sua serie (Milano, Torino e Genova), il Genova effettua le prove di collaudo sul Lago Maggiore, al comando del capitano Cipriano Besana. Entra poi in servizio di trasporto passeggeri di linea sul lago. È anche l’ultimo piroscafo ad entrare in servizio sul Vebano: le successive costruzioni, negli anni Venti, saranno motonavi.

Luglio 1917

In seguito al fallimento della ditta Mangilli passa, insieme al resto della flotta, in regime di requisizione e gestione provvisoria alle Ferrovie dello Stato, sino al 1923.

1923

Passa, con il resto della flotta, in gestione temporanea al Ministero dei Lavori Pubblici.

1924

Come il resto della flotta, passa alla Società Subalpina Imprese Ferroviarie, che ha rilevato il servizio di navigazione sul Verbano. Ne viene valutata la possibilità di trasformazione (insieme a Milano e Torino) in motonave ad elica, che non viene però attuata.


Il battello a Luino, con a destra il piroscafo Regina Madre (oggi in servizio come Piemonte), verosimilmente negli anni ’20-’30. Particolare da una cartolina (tratta da it.wikipedia.org).

L’affondamento

Dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca del Norditalia, i battelli del Lago Maggiore continuarono nel loro servizio di collegamento tra i paesi rivieraschi. Per un anno il loro servizio non venne disturbato, se non dalle contingenze e ristrettezze della guerra; ma a partire dall’autunno 1944 iniziò ad operare su tutta la Pianura Padana un considerevole numero di bombardieri leggeri e cacciabombardieri angloamericani, privi di veri e propri obiettivi ma piuttosto in “caccia libera” a “targets of opportunity”, obiettivi occasionali costituiti principalmente da mezzi di trasporto di ogni tipo: automezzi, corriere, treni ed anche battelli. L’obiettivo primario di questi velivoli consisteva infatti nell’attaccare e distruggere qualsiasi mezzo che avrebbe potuto essere utilizzato dalle forze tedesche. Un simile criterio, evidentemente, avrebbe tuttavia portato a pesanti perdite tra la popolazione civile, cosa che puntualmente avvenne.

Sui quattro grandi laghi prealpini la situazione rimase tranquilla sino al settembre 1944. Il 25 settembre, proprio il Lago Maggiore divenne il teatro del primo di una lunga serie di attacchi aerei ai danni dei battelli lacuali, e proprio il Genova ne divenne la prima vittima.


Il Genova in fiamme ed in procinto di affondare il 25 settembre 1944 (foto tratta da “Memorie di un conflitto (1940-1945)” edito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Laveno Mombello/Edizioni Marwan, 1995, a cura di Giuseppe Musumeci).

Il 25 settembre 1944 il Genova, al comando del capitano Edoardo Fornara, lasciò Pallanza diretto a Baveno con un centinaio di passeggeri a bordo. Cosa trasportasse di preciso la nave sembra controverso, perché mentre secondo il libro “Memorie di un conflitto (1940-1945)”, edito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Laveno Mombello (che cita la testimonianza del superstite Guglielmo Morlotti, sebbene non è chiaro se l’affermazione che segue provenisse da lui), la nave stava trasportando “armi fasciste e tedesche da utilizzare contro i partigiani ossolani” (e gli aerei lo attaccarono a difesa della Repubblica partigiana dell’Ossola); per altra versione il Genova non aveva a bordo che passeggeri civili, principalmente donne e bambini (ed il suo mitragliamento ed affondamento fu un deliberato atto terroristico volto a fiaccare il morale della popolazione civile). In realtà, come detto sopra, entrambe le versioni  probabilmente sbagliano circa le motivazioni dell’attacco aereo: con ogni probabilità l’attacco al Genova rientrò nella tragica casistica dei “targets of opportunity”. Da una parte si deve rilevare che la supposizione che i battelli potessero essere impiegati per trasportare truppe non era del tutto infondata (proprio nell’autunno 1944, infatti, il piroscafo a ruote Lariano venne lungamente impiegato per trasportare truppe sul Lago di Como), dall’altra non si può non notare la totale noncuranza nei confronti delle vittime civili che simili attacchi avrebbero quasi sicuramente comportato (e che infatti comportarono svariate volte).

Intorno alle 15 del 25 settembre (per altra versione nel mattino di quel giorno) il Genova era in arrivo a Baveno, quando venne attaccato da alcuni cacciabombardieri angloamericani – provenienti da Intra, dove avevano sganciato un grappolo di bombe colpendo un gruppo di case operaie detto “Il cassinone” e provocando nove vittime –, forse dei Republic P-47 Thunderbolt (uno dei modelli più impiegati in questo genere di missioni), oppure due Supermarine Spitfire britannici. I passeggeri del piroscafo sentirono un rombo lontano, poi d’improvviso gli aerei furono sopra di loro, scesero bassissimi sull’acqua e mitragliarono il Genova con proiettili esplosivi e perforanti, incendiandolo, uccidendo il comandante Fornara e provocando numerose vittime e feriti tra i passeggeri e l’equipaggio. Il mitragliamento si protrasse per un quarto d’ora; Guglielmo Morlotti, membro dell’equipaggio (era controllore), si mise in salvo rifugiandosi alla base del fumaiolo, strisciandogli intorno prono per non essere colpito, ma fu ugualmente ferito in varie parti del corpo dalle schegge proiettate dalle scialuppe colpite (e passò poi tre mesi in ospedale a Baveno, nel Grand Hotel).

La passeggera Anna Tropea Buoninsegni, che al momento dell’attacco si trovava nella sala del piroscafo insieme ai suoi due figli di 6 e 10 anni, strinse a sé i suoi bambini e si gettò sotto un tavolo: rimasero tutti e tre incolumi, ma quando si rialzarono si trovarono circondati da un lago di sangue.

Il ponte del piroscafo era cosparso di morti e feriti; uno dei figli di Anna Tropea Buoninsegni, mentre cercavano di uscire in coperta, gridava “Mamma, mamma, non calpestiamo i morti”. La confusione era generale, la gente si accalcava sul ponte, amici e parenti si cercavano spesso senza risultato.

Le fiamme levatesi in più punti diedero vita ad un violento incendio che non si riuscì a domare, mentre qualcuno gridò “Stanno per scoppiare le macchine!”.

Il macchinista del Genova era rimasto ferito, mentre il timoniere, rifugiatosi a poppa durante il mitragliamento, riuscì poi a portare il battello, gravemente danneggiato ed in fiamme, sino al pontile, sbarcando feriti (che furono portati nel Grand Hotel di Baveno, trasformato in ospedale militare) e superstiti. La nave fu tirata verso la riva anche usando delle corde.

Poi uomini della Marina Nazionale Repubblicana (la Marina della RSI) disormeggiarono il piroscafo, avvolto dalle fiamme e senza più nessuno a bordo, e lo portarono al largo, temendo che le caldaie sarebbero scoppiate (le autorità avevano infatti ordinato che la nave venisse rimorchiata al largo non appena fosse terminata la rimozione di morti e feriti). Il battello bruciò per poco tempo a poca distanza dalla riva, poi le caldaie scoppiarono ed il Genova impennò la prua ed affondò a 400 metri dalla riva, su un fondale di 14 metri. I morti furono 34, tutti civili: tre membri dell’equipaggio (il comandante Fornara, il marinaio Giovanni Tarazza e l’aiuto motorista Pio Pirali) e 31 passeggeri. Tra l’equipaggio rimasero feriti il controllore Guglielmo Morlotti, il macchinista Giuseppe Mobiglia, l’assistente bigliettaio Ettore Monferrini, il timoniere Luigi Zaninetta ed il manovale Pietro Vesco.


Volle la sorte che di lì a meno di ventiquattr’ore anche i due gemelli del Genova lo raggiungessero sul fondo del lago: nel pomeriggio dello stesso 25 settembre fu infatti affondato a Luino il Torino, mentre l’indomani il Milano (nella foto sopra) venne incendiato ed affondato al largo di Intra. Per altrettanto singolare coincidenza, i tre piroscafi gemelli furono anche le uniche unità della numerosa flotta del Verbano ad andare perdute durante la guerra.

Terminato il conflitto, le prime due nuove motonavi costruite dalla Navigazione Lago Maggiore ricevettero i nomi di Genova e Milano, a ricordo dei due battelli perduti.

Non è chiaro cosa sia stato del relitto del Genova: per una versione si troverebbe tuttora laddove venne affondato, davanti a Baveno o tra Stresa e Santa Caterina (ma appare strano che non vi sia alcuna notizia su un relitto che giaccia ad una profondità così ridotta), per un’altra venne successivamente riportato a galla e demolito.

Il 7 maggio 1959 la tragedia del Genova e del Milano venne commemorata con il lancio di una corona di fiori proprio dal Torino, alla presenza del capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Pecori Giraldi, di altri nove ammiragli e di una rappresentanza della Marina, oltre che di sindaci, autorità e popolazione rivierasca, compresi anche alcuni superstiti di quei tragici eventi, tra cui Anna Tropea Buoninsegni, che narrò la sua storia.

Il 9 ottobre 1984, a quarant’anni dall’affondamento, si tenne una nuova commemorazione: di nuovo il Torino, antico gemello e compagno di sventura di Milano e Genova, imbarcò rappresentanze delle autorità civili e religiose e del personale NLM, i parenti dei membri dell’equipaggio deceduti sui due battelli ed altre persone, e depose due corone di fiori sui luoghi dell’affondamento dei due piroscafi. In entrambi i casi venne impartita una benedizione, e fu celebrata una messa di suffragio a bordo della nave. Nella stessa occasione fu realizzata ad Arona, nella sede della Navigazione Lago Maggiore, una targa in memoria dei cinque uomini della Navigazione periti sul Genova e sul Milano.

Attualmente il drammatico affondamento del Genova viene commemorato annualmente esclusivamente da esponenti di gruppi di estrema destra (Federazione del Movimento Nazionalpopolare, Federazione raggruppamento nazionale combattimenti e reduci della RSI, Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi RSI), con il lancio di una corona d’alloro nelle acque del lago, nel punto dove la nave fu affondata.


Nel 1969 i lavori di ammodernamento cambiano profondamente le sovrastrutture, la tuga viene eliminata e le sovrastrutture del secondo ponte unite. Il Torino rinasce per la seconda volta. La motonave Torino dopo il P.fo Piemonte e la più vecchia nave del lago Maggiore ancora in servizio di linea. A tutt'oggi effettua servizio tra le isole Borromee e nel bacino svizzero del lago. La particolarità che porta il Torino e che lo scafo e chiodato e non saldato.

A cura di Carlo GATTI

-      Si ringrazia la Navigazione Lago Maggiore.

-      Si ringrazia la Prof.ssa Marinella Gagliardi, figlia di Angela Besana per averci fornito il materiale utilizzato in questo articolo.

9 gennaio 2017

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CAPITOLO SECONDO

di MARINELLA GAGLIARDI SANTI

Lasciamo la parola a Marinella Gagliardi Santi, figlia di Angela Besana che mette un po’ di ordine tra tanti importanti BESANA in questa inedita storia famigliare:

Vediamo quale è stato il rapporto con l'acqua per la famiglia di Angela Besana, la nostra Madrina ! Innanzitutto precisiamo che si parla di lago ma anche di mare: il  padre Cipriano Besana, e suo zio Antonio Besana, sono stati più volte decorati - Cipriano a 15 anni e Antonio addirittura a 12 - il più giovane decorato d'Italia nel 1891,  anche con medaglia d'oro per salvataggi nel lago di Como e, soprattutto Antonio che aveva percorso tutti i mari del mondo.

Con decreto 28 febbraio 1892 furono accordate le ricompense   al valore civile a:

a : Abbondio Besana, medaglia d’argento, per aver salvato con pericolo della propria vita, un soldato caduto e pericolante nel lago;

a: Cipriano Besana – quindicenne, figlio dell’Abbondio – medaglia di bronzo per aver salvato un soldato gettandosi nel lago.

Queste onorificenze che si erano meritati, sono ricordate da un articolo del 1892, sul primo numero del quotidiano "La Provincia" di Como. Lo Zio Antonio era finito sul giornale anche per aver salvato il conducente di un carro e il cavallo finiti nel lago !

Anche lui con ricompensa di medaglia al valore civile, ancora gelosamente conservata dalla famiglia,  pertanto sono tre in famiglia, ma ne seguirono altre !  Antonio  è  stato un personaggio davvero singolare in quanto aveva solcato gli oceani come skipper su un veliero, - forse questo Brigantino Goletta? -  alle dipendenze di uno studioso e scrittore austriaco, E. Von Hesse Warteg. L'imbarcazione si chiamava Morning Star. Antonio, girando per il mondo, aveva imparato 8 lingue tra cui il giapponese, 12 dialetti,  come per esempio  il patois di Marsiglia e quello di Le Havre.

Ma sicuramente era stato anche in Cina, come dimostrano queste due eccezionali documentazioni incomprensibili ai giorni nostri, per la complessità della lingua cinese dove esistono centinaia di varianti locali mutualmente non intellegibili.  Ma chiaramente appare il suo nome, Hanthony Besana, scritto all'inglese, e quello di E. Von Hesse Warteg, studioso e scrittore Austriaco del quale abbiamo accennato pocanzi.

I BESANA abitavano a Como in piazza Cavour, quindi si può dire in riva al lago, di conseguenza erano pronti a intervenire quando qualcuno era in pericolo.
Quando ero piccola – racconta Angela - andando a Como, ricordo di aver visto che nei negozi a fianco del Crocefisso, c'era la foto dello zio Antonio!  Era così noto non solo per le medaglie che aveva meritato, ma anche perché era l'anima del Tempio Voltiano che vediamo qui in questa panoramica dal porto  di  Como.  Progettato dall'Architetto Frigerio e finanziato dal mecenate Francesco Somaini scomparso nel 1939. Il Mausoleo Voltiano sorge in concomitanza con l'esposizione celebrativa del primo centenario della morte di Alessandro Volta nel 1937”, passato alla storia per l'invenzione della pila e la scoperta del metano.

Antonio Besana viveva appunto in questo tempio dove intratteneva personaggi del livello di Einstein, Enrico Fermi e del re dell'Afghanistan, del quale era amico, proprio perché da giovane, aveva navigato come skipper su un veliero oceanico ed aveva stretto amicizia con il re dell'Afghanistan.

Dai ricordi di famiglia pensiamo che il veliero fosse questo .... anche se non lo era, ci piace immaginarlo così, ma siamo certi che era un bel Brigantino Goletta, una barca intelligente che poteva navigare bene sia col vento in poppa che di bolina.

Tra i comaschi però, ci sono racconti che ancora adesso sono nella memoria dei più anziani e si trovano anche sui siti Internet.

E così, nei riguardi di Antonio Besana "gira" questo simpatico aneddoto.

Antonio, come noto a tutti,  è stato il custode del Tempio Voltiano dal 1928, anno dell’inaugurazione, fino alla morte avvenuta nel 1965. Essendone il custode abitava nel tempio con la consorte Pina.  Antonio era un bell’uomo, robusto, alto, ornato di barba alla norvegese che gli dava un aspetto romantico e  affascinante,  ottimo nuotatore, più volte decorato per le sue imprese di salvataggio di persone in procinto di affogare nel lago. Nel 1921 ottenne anche la licenza di navigazione sul Lago di Como per "Servizio Pubblico e Trasporto di Persone" per l'imbarcazione "NELIDE" di 5 tonnellate, come vediamo da questo raro documento. A quel tempo  il NELIDE lavorava moltissimo per il Grand Hotel Villa d'Este di Cernobbio che ancora ai nostri giorni uno dei grandi alberghi della zona.

La moglie Pina,  era una donna semplice e forse anche poco a conoscenza delle personalità che frequentavano il tempio Voltiano. Pare che un giorno sia corsa affannata dal marito per dirgli, quasi senza fiato: "Togn, corr subit a vedé che l’è rivaa "un strepenùn" che al m’ha faa stremì e che al ma fà pagùra." Antonio, corri subito a vedere, ché è arrivato uno con i capelli arruffati che mi ha spaventata e che mi fa paura !

Antonio corse alla porta e si trovò davanti Albert Einstein ...........  ed  ebbe il suo da fare per spiegare alla moglie che quel tale con i capelli in aria era uno scienziato famoso, che "un strepenùn" altro non era che il grande  Einstein. Si era allora nel 1933 e, Antonio Besana raccontò che al famoso scienziato si siano inumiditi gli occhi guardando le reliquie di Alessandro Volta  e che abbia esclamato: "Die Grundlage aller modernen Erfindungen", "Ecco il fondamento di tutte le moderne scoperte".

Antonio doveva aver ereditato la passione per l'acqua, oltre che dal padre, anche da sua mamma Giuditta, la nonna di Angela, che scendeva dal palazzo in piazza Cavour a Como in compagnia dei suoi dipendenti conduttori dei motoscafi che la nonna noleggiava. Quello di noleggiare barche era il suo lavoro, ma c'è da tener presente che lei era una donna e che non siamo ancora nel 1900! Nel 1899, a seguito della morte del marito Abbondio, aveva dovuto prendere le redini della azienda che avrebbe tenuto fino alla sua morte avvenuta nel 1932.

A questo punto, parlando di Piazza Cavour,  non possiamo fare a meno di riassumere, quanto raccontato dal Corriere di Como il 25 Gennaio 2017 che riporta un articolo, a firma di Lorenzo Morandotti,  del 7 Novembre 2012 intitolato:

"La metamorfosi dell'eterna incompiuta, sguardi al passato, Terragni vi sognò un edifico polivalente", che così recita:

Tre erano le “meraviglie” di Como alla fine dell’Ottocento, secondo un detto, noto anche con alcune varianti,  che è ricordato ancora oggi e ha anche dato il titolo a un volume di "memorabilia lariane" edito da Dominioni:

«La rana, la funtana e i tett de la Besana», ossia “la rana, la fontana e il décolté della signora Besana» con riferimento a una prosperosa cittadina del centro storico piuttosto nota in città che era evidentemente la Giuditta vedova di Abbondio Besana. E come vediamo in questa sequenza delle poche foto a disposizione, ne aveva den donde.

La prima curiosità era la scultura della rana posta sullo stipite sinistro della porta del Duomo che dà sulla via Pretorio, venerata da molti cittadini e tramandata come simbolo del punto massimo di una delle più memorabili esondazioni del lago. Dicono che porta fortuna toccarla, così la "povera rana" è ormai quasi cosumata dalle carezze !

La fontana è invece uno dei sintomi di un malato non immaginario,  ma reale, quell’eterna incompiuta tutta lariana che è Piazza Cavour.

Una memoria che ormai il tempo ha cancellato e sopravvive solo grazie alle documentazioni fotografiche e a tante cartoline.

La piazza Cavour è di fronte al lago e non poteva essere altrimenti.

Al centro della Piazza, nel 1872 fu eretta una fontana in marmo bianco dove,  nella parte più alta troneggiava un cigno che vagamente assomigliava a un'oca tanto che diventò immediatamente la "Fontana dell'Oca".

Intorno ad essa sono sorte svariate polemiche, sia da parte di qualche osservatore, sia di alcuni esponenti politici, a causa delle numerose figure tipicamente di mare come nàiadi nude e tritoni nonché dell’eccessivo consumo d’acqua. Fu così smantellata nel 1891 e dopo che era rimasta anni nei magazzini comunali,  venne poi acquistata, nel 1902 dal miliardario americano  Rockefeller e  rimontata e installata in un parco dello Zoo del  Bronx a New York dove  ancora adesso è ben conservata come attrazione del luogo.

Spesso vip e normali cittadini comaschi in visita nella Grande Mela si divertono a immortalarla nei loro album di foto ricordo.

Ora il porto,  come lo vedeva la Giuditta, con le sue barche a sonnecchiare lungo i moli non esiste più da moltissimo tempo perché è stato interrato. E la Giuditta che col suo seno prosperoso, dice la leggenda,  lo metteva addirittura sul tavolino dove governava l'affitto delle sue barche, ci piace ricordala così, come in una stampa antica color seppia che non tornerà mai più. La "sua Piazza" Cavour ne ha passato di tutti i colori diventando anche, nel dopoguerra, parcheggio per auto o sede di altre inenarrabili destinazioni come una scultura simbolica di un cubo di cemento che imprigionava un'auto “alfetta” o una contestatissima installazione del 1994 fatta di spazzatura opportunamente imballata  - con il benestare dell'azienda locale di smaltimento. Con il senno di poi, visti i topi, gli va riconosciuto il ruolo di profeta.....

All’inizio fu porto e, nell’iconografia storica cittadina, quella raggiera di barche addormentate lungo la riva, evoca immediatamente alla memoria epoche in cui il territorio e il lago erano un tutt’uno,  sociale ed economico.

Certo la piazza ebbe i fasti maggiori nei due decenni a cavallo tra Otto e Novecento, come punto di attracco di elezione per i grandi battelli e punto di riferimento per le linee tranviarie che la allacciavano alla funicolare entrata in funzione nel 1894, e con la stazione ferroviaria di San Giovanni. Sembra fuori del tempo, oggi, mentre si parla tanto di mobilità dolce e razionale.

Non ho mai visto la Como moderna e me ne rammarico, ma forse è meglio così, mi piace immaginarla con le barche della Giuditta a dondolare ed il suo prosperoro decoltè sul tavolino mentre comanda ai suoi uomini gli ordini del giorno !

A questo punto ci mancava solo il Prodigio !!!  Anzi, DUE !!! Questa è storia .... ed è una bella storia !

Il Santuario della Madonna del Prodigio, meglio conosciuto come Sacrario degli sport nautici, è un bell’esempio di architettura moderna, domina la città di Como da un’altura di circa cento metri, ed è stato consacrato nel 1968. All'interno dispone di un’unica navata ed ha forma esagonale allungata, così da dare l’impressione di essere una nave.  La Madonna del Prodigio,

Il Sacrario per gli  Sport Nautici noto anche come Santuario della Madonna del Prodigio si trova a 100 metri di altitudine sulla collina di Garzòla a est di Como.  In virtù della eccezionale vista panoramica che si gode da qui, il luogo è definito il "balcone di Como".  Il Sacrario è stato consacrato nel 1968 ed è opera dell'architetto Fulvio Cappelletti. E' in cemento armato, la forma ricorda lo scafo delle navi. L'interno della Chiesa è  ad una unica navata, le pareti, percorse da costoloni di cemento, richiamano le sartie e le gomène delle navi. E la Madonna del Prodigio a cui il Santuario è dedicato,  è una effige della Madonna rinvenuta in mare nel '600 da un equipaggio di Marinai Veneziani,  durante un violento nubifragio.  I marinai riuscirono a salvarsi e attribuirono all'effige il miracolo. Dopo essere rimasta a lungo a Venezia, nel 1915 l'effigie giunse a Garzòla. A tema marino sono anche le due belle vetrate; quella sull'altare rappresenta il ritrovamento  della Madonna del Prodigio da parte dei Naufraghi . Quella sopra il portale raffigura papa Giovanni XXIII a cui si deve l'elevazione della Madonna del Prodigio a protettrice dei navigante e   Gesù con il gregge dei fedeli e San Pietro che guida la barca della Chiesa in un mare in burrasca. Le Acque Santiere poggiano in strutture  in metallo raffiguranti cavalluccci marini. Sull'altare è posta l'Effige; si tratta di una copia poichè l'originale è stato trafugato nel 1994 e non è mai più stato ritrovato.

Sotto la chiesa vi è il Sacrario,  qui sono conservati bacheche contenenti cimeli di campioni  degli Sport Nautici. L'ambienre è illuminato da belle vetrate che ricordano le federazioni degli sport nautici. La Federazione Italiana sci mautico, la Federazione Italiana nuoto,  la Federazione Italiana motonautica, la Federazione Italiana cannottaggio, la Federazione Italiana vela, la Federazione Italiana pesca sportiva e attività subacque. La vetrata dell'ultimo finestrone sulla parete di fondo della sala è decorata con i cinque cerchi olimpionici  per ricordare i valori positivi dello Sport. Nelle teche sono conservate moltissime conchiglie di notevole interesse scientifico provenienti da ogni parte del mondo, tra questi anche un bellissimo presepio. Il Sacrario celebra tutti coloro che hanno perso la vita in mare e custodisce testimonianze e reperti di coloro che sono scomparsi negli ultime 50 anni.

Ed è proprio Antonio Besana  che, attraverso una pubblicazione del tempo,  ce ne racconta la vera storia attraverso la sua testimonianza vissuta ... a forza di braccia. L'episodio prodigioso avvenne nel settembre del 1902. Secondo la sua testimonianza, un pomeriggio, dopo un violento temporale, che lasciò un forte vento di tramontana, fu interpellato da Monsignor Antonio Pagani per andare da Como a Sala Comacina dove avrebbe dovuto svolgere delle funzioni religiose. Monsignor  Pagani si rivolse proprio alla madre del giovane Antonio, Giuditta,  per farsi traghettare dato che aveva perso il traghetto. Le condizioni del lago erano molto brutte e ne fu sconsigliato, ma il sacerdote insistette tanto e alla fine convinse Antonio Besana e  suo fratello  Paolino,  a traghettarlo. Paolino a quel tempo aveva 18 anni, era forte e robusto come tutti i Besana  e aveva già ottenuto il diploma di Costruttore Navale. Da tener presente che,  come vediamo in questa planimetria, Sala Comacina era molto distante da Como e a remi, con tempo cattivo, ci sarebbero volute almeno 10 ore di intensa voga, anche se poi scesero a Colonno che è un pò prima di Sala.

Ad un certo punto, dopo avere remato sino alla perdita delle forze i due giovani dissero che non ce la facevano più. Allora Monsignor  Pagani immerse la sua corona del Rosario nel lago e avvenne qualcosa di straordinario..... In quell'stante, dice Besana, provai come uno smarrimento e con somma meraviglia tutto intorno a me sembrava placato. I frangenti scomparvero e il vento mano a mano cessò.

Ecco il primo prodigio !!!

Monsignor Pagani scese poi a Colonno e  diede ai due giovani 23 centesimi di mancia, perchè non aveva altro, dicendogli:  "avete visto che la Madonna vi ha fatto il prodigio" ? Appena scesi si recarono all'Osteria della Primavera, ma  per mezzo litro di vino ci volevano però 30 centesimi. E qui avvenne il secondo prodigio !!!

Un astante che aveva saputo del loro viaggio disse all'oste in dialetto "Sciaa un mezz, el rest ghel meti mi", "dagli mezzo litro che il resto ce lo metto io". E così, aggiunge Antonio, ritornammo a Como che era l'alba ma più felici che stanchi.

La costruzione del Santuario fu  iniziata dallo stesso Monsignor Antonio Pagani il 26 ottobre del 1919  ma per mancanza di fondi l'opera rimase incompiuta per moltissimi anni.   Nel 1957 al suo arrivo come Parroco a Garzola, Don Luigi Galli trova una piccola cappella nella quale si venera la Madonna Bizantina con il Bambino, sotto il titolo di Madonna del Prodigio. Don Luigi, che in gioventù frequenta la "Canottieri Cernobbio" e da sacerdote gareggia nelle Centomiglia di Motonautica, pratica lo sport del canottaggio; è ammirato ed entusiasta delle manifestazioni sportive sul lago, e per le società di Sports Nautici della zona, che hanno un grosso albo d'oro di titoli olimpici, mondiali, europei e nazionali. E' sua l'idea di erigere un Tempio Sacrario.

La protezione ai naviganti in pericolo, attribuita alla Madonna del Prodigio, e la passione sportiva fanno maturare a questo sacerdote la bella idea di erigere un Tempio Sacrario che sia come il Cenacolo spirituale per tutti coloro che praticano le discipline nautiche. Egli presenta il suo progetto al Papa Giovanni XXIII, chiamato nella profezia di Nostradamus, "Pastor et Nauta", "Pastore e Nocchiero", e ne ottiene approvazione ed incoraggiamento, con documento della Segreteria di Stato del 1959. Papa Giovanni XXIII, già gravemente infermo, in data 29 maggio 1963, tre giorni prima di morire, invia un messaggio di esortazione e di benedizione per la felice realizzazione dell'opera. Paolo VI benedice l'inizio dei lavori nel 1965, e l'inaugurazione del Tempio il 24 marzo 1968.

Tutte le pareti del Tempio, per l'altezza di 12 metri sono decorate con conchiglie raccolte in mare e donate dai pescadores del Castillo de Sabinillas - Manilva (Malaga - Spagna).

Ecco siamo sul lago di Como, valeva la pena di raccontarvi che la Madonna del Prodigio di Garzola in provincia di como è la PATRONA DEGLI SPORT NAUTICI.  E i Besana,  ci hanno messo la mano e le braccia.

Paolino Besana, il compagno di remi e fratello di Antonio, era il nonno di Paolo Baronio la cui Madre era una Besana di nome Adelma, moglie di Luigi Baronio, il padre di Paolino,  che è  stato fondamentale nel procurare tutte le foto antiche della Giuditta e del marito Abbondio e non solo. Suo padre Luigi, ci racconta Paolo, durante la guerra lavorava nei Cantieri Ansaldo di Genova. Un giorno, sua madre Adelma fece vedere una lettera scritta dal padre Luigi, dove (in cui) raccontava che mentre si recava al lavoro all'Ansaldo sentì il fischio di una bomba. Eravamo in tempo di guerra. Istintivamente Luigi si buttò subito a terra.  Davanti a lui, sull'altro lato della strada, vide una donna con in braccio un bambino. Quando si rialzò, la donna era tutta sanguinante e stringeva solo le gambe del bambino...!

Luigi Baronio sopravvisse ai bombardamenti, ma morì nel 1951 a soli 38 anni in seguito ad un incidente sul lavoro (in cantiere) nei cantieri Ansaldo. Nel 1942, ancora in pieno periodo fascista a sigla di Mussolini, che si firmava con la classica EMME, fece pubblicare questo fascicolo del quale vi mostriamo la copertina e alcune fotografie. Genova subiva bombardamenti sia navali che aerei ed ecco come la propaganda fascista cercava di lenire queste ferite di morte, distruzione e devastazione....

Questa pubblicazione, che riteniamo introvabile e rarissima, è tuttora gelosamente conservata da Paolo Baronio, nipote di Paolino Besana. Lo ringraziamo per averci mandato le foto via mail.

Questo è senza dubbio il TERZO PRODIGIO, forse il più importante  !!!

Paolino Besana, il compagno di remi e fratello di Antonio, era il nonno di Paolo Baronio la cui Madre era una Besana di nome Adelma, moglie di Luigi Baronio, il padre di Paolino,  che è  stato fondamentale nel procurare tutte le foto antiche della Giuditta e del marito Abbondio e non solo. Suo padre Luigi, ci racconta Paolo, durante la guerra lavorava nei Cantieri Ansaldo di Genova. Un giorno, sua madre Adelma fece vedere una lettera scritta dal padre Luigi, dove (in cui) raccontava che mentre si recava al lavoro all'Ansaldo sentì il fischio di una bomba. Eravamo in tempo di guerra. Istintivamente Luigi si buttò subito a terra.  Davanti a lui, sull'altro lato della strada, vide una donna con in braccio un bambino. Quando si rialzò, la donna era tutta sanguinante e stringeva solo le gambe del bambino...!

Luigi Baronio sopravvisse ai bombardamenti, ma morì nel 1951 a soli 38 anni in seguito ad un incidente sul lavoro (in cantiere) nei cantieri Ansaldo. Nel 1942, ancora in pieno periodo fascista a sigla di Mussolini, che si firmava con la classica EMME. Genova subiva bombardamenti sia navali che aerei ed ecco come la propaganda fascista cercava di lenire queste ferite di morte, distruzione e devastazione.... Questa pubblicazione, che riteniamo introvabile e rarissima, è tuttora gelosamente conservata da Paolo Baronio, nipote di Paolino Besana. Lo ringraziamo per averci mandato le foto via mail. (Vedi ultima parte dell'Album fotografico)

Ma le imprese di Antonio Besana, non finiscono qui. La nostra "MADRINA" all'ultimo momento tira fuori dal cilindro  un'altra straordinaria pubblicazione che parla di Antonio.

L'articolo si intitola ANTONIO BESANA, "Un uomo semplice che divenne un mito". Il 7 Settembre 1890 una piccola barca a remi attraversa il Lario ..... Proprio in relazione a quanto raccontato prima. Dopo il primo giovanile atto di eroismo,  leggiamo: Antonio Besana è destinato a entrare nella leggenda come "l'uomo più decorato al Valor Civile d'Italia, tanto che ad un certo punto, non gli dettero più medaglie perché le aveva già tutte. Dai genitori aveva ereditato lo spirito ardimentoso che lo portarono, dopo il primo "giovanile atto d'eroismo" a compiere numerosi altri salvataggi sia in Italia che all'estero. Si parla addirittura di un centinaio di azioni coraggiose, premiate con prestigiosi riconoscimenti ufficiali tra cui la Red Cross Inglese, La Mèdaille au Mèrit Francese, la medaglia della prestigiosa Fondazione Carnegie e tante altre medaglie ancora e segnalazioni e brevetti e diplomi da tutto il mondo. Gli si attribuiva una specie di sesto senso come se fiutasse l'incombere del pericolo avventurandosi  nelle tempeste per tornare poi con qualche sventurato naufrago. Ma Antonio non si limitava alle persone. Sul quotidiano locale "La Provincia di Como" è stato ricordato che una volta essendo precipitato nel lago un carro trainato da un cavallo, prima salvò l'uomo che era sul carro, poi si rituffò e tagliati i finimenti, salvò anche il cavallo.

Antonio passò a miglior vita nel 1965, ma ancora un anno prima, nel '64, ricevette dalla Provincia di Como una medaglia d'oro alla carriera.  Col fratello Cipriano, in gioventù si dedicarono molto allo sport della vela diventando così entrambi abili "skippers" contesi da nobili e ricchi europei e anche Nordamericani che finanziavano importanti regate. La caratteristica barba che orna il suo viso come vediamo in questa immagine, è frutto della sua passione per i popoli nordici che stimava molto e per anni gli rimase il vezzo di portare la barba alla Norvegese. Era molto religioso e pregava sempre in un inginocchiatoio di legno che si era costruito lui stesso recitando la Preghiera del Marinaio. E fu senza dubbio la fede che aiutò lui e la moglie PINA a superare con animo sereno il dolore di perdere un figlio di soli 5 anni per un banale gioco infantile.

Fu anche un "gran Vecchio" accolto tra i soci della Società di Alta Geografia Americana. Ma un uomo veramente singolare perché quell'ex mozzo, con modi signorili, sapeva spiegare la prima pila di Alessandro Volta al più sprovveduto turista Australiano e parlare di fisica termonucleare con Enrico Fermi. Così dicono le cronache del tempo e innumerevoli sono i giornali che parlano di Antonio Besana.

E la vita di un uomo semplice che divenne un MITO, non una leggenda! Così,  semplicemente viene ritratto accanto ad uno dei suoi tanti modellini da lui realizzati artigianalmente.

Dal lago di Como passiamo al Lago Maggiore dove Cipriano, il  padre di                     Angela, era diventato ispettore della Navigazione del Lago e spesso portava con sé sui battelli proprio Angela, la più piccola dei quattro fratelli, sapendo quanto le piaceva stare nella cabina di pilotaggio o nella sua cabina, quella del "Comandante", ricoperta di velluti rossi che colpivano particolarmente la sua immaginazione di bambina. Dice che si sentiva la padrona del battello ma anche di tutto il lago. E ricorda le persone importanti che suo padre portava in giro sulle imbarcazioni quali, per esempio, il Principe di Savoia Piemonte, futuro Re di Maggio, che da piccolo vestiva spesso alla Marinara, come vediamo in questa immagine del 1914,  di quando approdò a Chiavari sull'incrociatore PUGLIA, scortato da 4 Corazzate e da 4 Cacciatorpediniere al seguito di Sua Altezza Reale Luigi Amedeo Duca   degli Abruzzi.
Cipriano era salito alla cronaca dei giornali in quanto aveva portato due grosse imbarcazioni da Monfalcone fino ad Arona sul Lago Maggiore. La stampa aveva sottolineato il fatto che si era cimentato in un'impresa di difficile realizzazione, perché aveva dovuto risalire canali artificiali, il Po, il Ticino, vincendo rapide  e superando grazie alle      chiuse,        i         dislivelli     più    importanti.
È chiaro quindi che l'acqua ha sempre giocato un ruolo importante nella nostra famiglia conclude Marinella: ma a questo punto possiamo uscire un attimo dal lago e arrivare a Genova, Cantieri Odero di Sestri Ponente,  a tre traghetti, due dei quali hanno qualcosa a che fare con  Cipriano, il Papà di Angela  in quanto erano stati collaudati proprio da lui.

Infatti nel 1910 l'impresa di navigazione ordina tre grandi battelli per incrementare il servizio di navigazione sul Lago Maggiore. I tre battelli prenderanno il nome di Milano, Genova e Torino.

I tre battelli  a elica vengono celermente costruiti e collaudati, il 12 Agosto 1912 il Piroscafo Milano al comando del Capitano Cipriano Besana, il 22 febbraio 1913 il piroscafo Torino al comando del capitano Ormezzano; il 25 Aprile 1914 il piroscafo Genova ancora al  Comando del Capitano Besana.

Qualcuno, opportunamente trasformato, è ancora in servizio ai nostri giorni.

Ma tutti e tre, durante la guerra, furono affondati dai P-47 Thurnderbolt,   cacciabombardieri anglo americani provenienti da INTRA . Il "Genova" alle ore quindici del 25 Settembre 1944 colpito da bombe e mitragliate anche dei Supermarine Spitfire inglesi, fu rimorchiato al largo della banchina e fatto affondare. Ci furono parecchie vittime in numero di 34  anche tra i passeggeri e l'equipaggio tra cui il Comandante Edoardo Fornara che fu colpito mentre era al timone.

Volle la sorte che di lì a meno di ventiquattr’ore anche i due gemelli del Genova lo raggiungessero sul fondo del lago: nel pomeriggio dello stesso 25 settembre fu infatti affondato a Luino il Torino, mentre l’indomani il Milano venne incendiato ed affondato al largo di Intra. Per altrettanto singolare coincidenza, i tre piroscafi gemelli furono anche le uniche unità della numerosa flotta del Verbano ad andare perdute durante la guerra.

Terminato il conflitto, le prime due nuove motonavi costruite dalla Navigazione Lago Maggiore ricevettero i nomi di Genova e Milano, a ricordo dei due battelli perduti.

Tanto per far capire di che pasta è fatta Angela BESANA la nostra madrina, anni 99………….

Possiamo testimoniare che le due "MARINAIE": Angela e Marinella, sono quasi sempre presenti a tutte alle manifestazioni o conferenze di Mare Nostrum, qualche volta anche con il marito Rinaldo, riconosciuto come lo "skipper" di famiglia.

La Madrina era presente anche alla festa per il giubileo dei cento anni, ma anche a quello successivo dei 73 anni di matrimonio degli Starnini: Ezio e Flora, celebrato il 22 Luglio 2016.

Dal lago di Como passiamo al Lago Maggiore dove Cipriano, il papà di Angela, era diventato ispettore della Navigazione del Lago e spesso portava con sé sui battelli proprio Angela, la più piccola dei quattro fratelli, sapendo quanto le piaceva stare nella cabina di pilotaggio o nella sua cabina, quella del "Comandante", ricoperta di velluti rossi che colpivano particolarmente la sua immaginazione di bambina. Dice che si sentiva la padrona del battello ma anche di tutto il lago. E ricorda le persone importanti che suo padre portava in giro sulle imbarcazioni quali, per esempio, il Principe di Savoia Piemonte, futuro Re di Maggio, che da piccolo vestiva spesso alla Marinara, come vediamo in questa immagine di quando approdò a Chiavari sull'incrociatore PUGLIA, (vedere  sezione VIDEO del sito) scortato da 4 Corazzate e da 4 Cacciatorpedinieri al seguito alla visita,  nel 1914,  di Sua Altezza Reale Luigi Amedeo Duca  degli Abruzzi.


Cipriano era salito alla cronaca dei giornali in quanto aveva portato due grosse imbarcazioni da Monfalcone fino ad Arona sul Lago Maggiore. La stampa aveva sottolineato il fatto che si era cimentato in un'impresa di difficile realizzazione, perché aveva dovuto risalire canali artificiali, il Po, il Ticino, vincendo rapide  e superando grazie alle   chiuse,    i      dislivelli   più   importanti.
È chiaro quindi che l'acqua ha sempre giocato un ruolo importante nella nostra famiglia conclude Marinella: ma a questo punto possiamo uscire un attimo dal lago e arrivare a Sampierdarena, a tre piroscafi, due dei quali hanno qualcosa a che fare con  Cipriano, il nonno di Angela, in quanto erano stati collaudati proprio da lui.

Infatti nel 1910 l'impresa di navigazione ordina tre grandi battelli per incrementare il servizio di navigazione sul Lago Maggiore. I tre battelli prenderanno il nome di Milano, Genova e Torino.

I tre piroscafi a elica vengono celermente costruiti e collaudati, il 12 Agosto 1912 il Piroscafo Milano al comando del Capitano Cipriano Besana, il 22 febbraio 1913 il piroscafo Torino al comando del capitano Ormezzano; il 25 Aprile 1914 il piroscafo Genova ancora al  Comando del capitano Besana.

Qualcuno, opportunamente trasformato, è ancora in servizio ai nostri giorni.

Tanto per far capire di che pasta è fatta Angela BESANA la nostra madrina, anni 99………….

Possiamo testimoniare che le due "MARINAIE": Angela e Marinella, sono quasi sempre presenti a tutte alle manifestazioni o conferenze di Mare Nostrum, qualche volta anche con il marito Rinaldo, riconosciuto come lo "skipper" di famiglia.

La Madrina era presente anche alla festa per il giubileo dei cento anni, ma anche a quello successivo dei 73 anni di matrimonio degli Starnini: Ezio e Flora, celebrato il 22 Luglio 2016.

I due "giovani" centenari si sono fatti onore durante i festeggiamenti nel Rione Scogli, in Ciassa di Barchi a Chiavari anche se, ovviamente, il compleanno era dell'ascensorista del REX che, in quel giorno, di anni ne compiva 100 tondi tondi.

Ma Marinella dov'era!!!! Ebbene non c'era! C'era solo la Madrina e dov'era Marinella  ? Ah ...  eccola qui ...  per la conferenza dell'UOMO DEI NODI ! Forse gli interessano più i nodi per la sua barca che dice .... in un suo romanzo: di "non comperare" !

Marinella, come narra la sua bibliografia è nata a Milano, ma dice d’aver poco della cittadina metropolitana. Così sono frequentissime le sue fughe dalla città per raggiungere la Liguria, considerata da sempre la sua terra d’adozione. Perché il mare è una presenza sottile e insinuante nella sua vita, fin dai tempi dei bisnonni, anche se si trattava d'acqua dolce.

E così che lei stessa racconta:

Mi hanno chiamata "Marinella", e nome più indicato non avrebbero potuto darmi i miei genitori. E qualcosa deve essere scritto nel mio DNA, visto che avevo un nonno e uno zio, appena conosciuti, che erano stati in passato navigatori transoceanici. E dove mettiamo una bisnonna, la Giuditta,  che affittava imbarcazioni sul lago Maggiore? Fatto insolito, no, per una donna, vista l’epoca … maschilista!

Impegnata per parecchi anni come insegnante, per fuggire la metropoli mi sono rifugiata nel Varesotto, sul lago. Sempre acqua era…

Ma mi mancava il profumo del mare, che già vivevo da piccola scappando sui dinghy degli amici. Con mia mamma, inquieta, che aspettava il nostro rientro quando ormai i bagni chiudevano…

E uno di quei ragazzini oggi è mio marito, nonché il mio skipper! Quindi il mio compagno di avventure…”

E come tutti sanno, Marinella e la sua famiglia sono due colonne     portanti di Mare Nostrum; colonne come quelle delle sue opere ....  Defixiones UNO "Il mistero delle tavolette magiche" e Defixiones DUE, "dimenticare Pompei”. DUE romanzi storici impregnati di ironia pungente che prendono spunto da reperti archeologici, come le epigrafe dell'antica Pompei. Parlano di meccanismi ancora vivi nell'animo umano ....  una trama avvincente!

E poi il suo "NON COMPRATE QUELLA BARCA". Ed eccola laggiù nelle cinque terre con la sua barca!  Si Chiama "VIZCAYA" abbiamo chiesto spiegazioni di questo strano nome. Era il nome originale e vuol dire "GOLFO DI BISCAGLIA" in lingua basca. Ma il suo NICK NAME è semplicemente "VIZ".

Ma ora torniamo alla nostra Madrina presente in tutte le conferenze o eventi che il nostro Presidente Comandante Carlo Gatti organizza, sempre coadiuvato dallo storico Emilio Carta, uomo stile "LIBERTY" come erano le navi dove faceva il radio telegrafista e che sappiamo tanto amava ..... Il suo email infatti è "Battubelin", ....... più LIBERTY  di così ! Un grande applauso a Emilio con tanto affetto da parte di tutti.

La nostra macchina del tempo scorre ora su qualche immagine di Angela in bianco e nero, che sono le più belle. Eccola con il marito su una barca, tanto per cambiare, a Forte dei Marmi. Un'altra ad Ostia un pò sfocata, e poi con la piccola Marinella che indossa  il solito "pagliaccetto" per costume, come lo chiamavano una volta. In ultimo una foto di Angela, quasi "tessera" di qualche anno fa .....(vedere sezione Video del sito di M.N.)

Ed ora un po’ di AMARCORD con qualche foto di Mare Nostrum ormai dimenticata ......... DOVE QUALCUNO NON C'E PIU’.  PURTROPPO …! NITTI Ing. Stefano Risso genio e artista e storico, di tutto e di più. E poi la ELVI, un disastro per Guido Martini.

Per finire, in bellezza e in allegria, ecco alcune immagini d'archivio di Angela Besana, MADRINA DI MARE NOSTRUM. Ma come sappiamo non è la lontananza o la vicinanza dalla costa a creare il marinaio! Bensì lo spirito marinaro, ossia la capacità di adattamento “all’elemento acqua” indipendentemente dalla sua densità, conoscendone i pericoli e sapendoli affrontare con grande mestiere.

BUON COMPLEANNO ANGELA !

HIP  HIP HURRAH  HURRAH HURRAH !

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Abbondio Besana

Giuditta

La "famosa" Giuditta

Paolino Besana, fratello di Antonio

Paolino  Baronio

Luigi Baronio, figlio di Paolino

Ernani Andreatta

Carlo Gatti

24 Gennaio 2017


 


LA STORIA DEL CATTARO

LA STORIA DEL CATTARO

IL CATTARO AUTOAFFONDATO L’8 SETTEMBRE A SANTA MARGHERITA NON ERA L’ EX DALMACIJA, MA L’INCROCIATORE AUSILIARIO EX JUGOSLAVIJA


L’Incrociatore ausiliario Cattaro - D36 é ormeggiato di punta a Santa Margherita Ligure. La nave appare staccata dalla banchina a causa del basso fondale.

(foto di Giuliano Gotuzzo, per gentile concessione della signora Nuccia Gotuzzo)

Una ricostruzione storica finalmente “attendibile” dell’autoaffondamento dell’Incrociatore Ausiliario CATTARO D-36, caduta nell’oblio per molti decenni, é stata possibile grazie al materiale fotografico e alle testimonianze messe a disposizione da Nuccia Gottuzzo, vedova di Giuliano Gotuzzo, appassionato di storia locale ed esperto fotografo, mancato nel 2007, e per la consulenza del Comitato scientifico di “STORIA MILITARE”. Tuttavia, per capire a fondo lo “strano” dilemma, diamo subito la parola a Giuliano Gotuzzo:

“Nel primo dopo guerra la marina cominciò la stampa di libri, sempre più precisi. In uno di questi fu fatto un elenco delle navi perdute, con cause e luogo della perdita. Nel 1943 un'altra nave Cattaro italiana, ma completamente diversa, era l'ex jugoslava Dalmacjia, ex incrociatore leggero tedesco Niobe, catturata dai tedeschi ed affondò nel 1943 in Adriatico. Ed io mi sentii in dovere di comunicare che a S. Margherita era affondata un'altra Cattaro.

La lettera che segue é dello Stato Maggiore della Marina, é datata 6 Agosto 1951, ed é la risposta all’istanza di chiarezza posta da Giuliano Gotuzzo. Purtroppo, da quanto si legge al punto n. 4 della stessa, si evince la totale disinformazione e conoscenza dei fatti.

“Su dei fogli trovati in mare c'e timbrato in modo chiaro R. Cannoniera Cattaro. Fui un po' ingenuo: credevo che avrebbero capito che si trattava di un'altra nave. Mi risposero che loro conoscevano una sola Cattaro affondata in Adriatico e che più o meno dovevo aver preso un abbaglio. Sono passati tanti anni e, prima su una pubblicazione dell'Ufficio Storico risultarono le due Cattaro, elencate come giusto in due categorie diverse. In un numero recente della Rivista Marittima, organo dell'ufficio Storico, c'e un articolo che parla delle due Cattaro e mi rende giustizia. Ciò non vuol dire niente, mi basta sapere che anche il Cattaro che ho visto affondare è esistito e che non ho sognato. Non fu affatto un sogno, se mai un incubo. La nave inclinata in porto coperta dal mare, una grande nuvola nera la sovrastava e un certo momento si mescolò ad altra nuvola bianca. Stavano facendo scaricare il vapore dalle caldaie e fu un bene perchè a contatto del mare avrebbero potuto esplodere”.

 

(Documentazione di Giuliano Gotuzzo. Per gentile concessione della Signora  Nuccia Gotuzzo)

 

L’incrociatore ausiliario CATTARO si é autoaffondato nel porto di Santa Margherita Ligure per non cadere nelle mani dei tedeschi. In questa importante istantanea che certifica l’avvenimento, l’unità appare già abbandonata dall’equipaggio.

(Foto di Giuliano Gotuzzo. Per gentile concessione della signora Nuccia Gotuzzo)

 

Storia della Nave

 

Ordinata come piroscafo passeggeri con il nome di Hunyad dalla Società per Azioni Ungaro-Croata di Navigazione Marittima a Vapore (Magyar Horvát Tengeri Gőzhajózási RT, con sede a Fiume), la nave venne impostata nei cantieri fiumani Ganz &Comp. Danubius Maschinen, Waggon un Schiffbau A.G. (Fiume faceva all’epoca parte dell’Impero Austro-Ungarico) nel 1916, con numero di scafo 68, ma la costruzione venne sospesa a causa della Prima guerra mondiale.

Nel 1920 la nave, ancora incompleta, venne varata al solo scopo di liberare lo scalo. Nello stesso anno l’incompleto Hunyad (identificato solo come scafo numero 68, non avendo mai ricevuto il proprio nome) passò sotto bandiera jugoslava , ma rimase incompiuto ed inutilizzato per oltre un decennio, in quanto la compagnia proprietaria – divenuta frattanto, a seguito della dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico, Società per Azioni Croata di Navigazione Marittima a Vapore (Hrvatsko Dioničko Pomorsko Parobrodarsko Društvo) – non necessitava di piroscafi postali per il servizio costiero della Dalmazia.

All’inizio deglianni trenta, tuttavia, la situazione cambiò: stante la crescente popolarità deiviaggi di vacanza lungo le coste.adriatiche, la società di navigazione jugoslava Jadranska Plovidba Dioničko Parobrodarsko Društvo di Sussak (ovvero l'ex Società per Azioni Croata, che aveva nuovamente cambiato nome a seguito della nascita del Regno di Jugoslavia), attiva sulle rotte costiere dalmate, stipulò con i Cantieri del Quarnaro (Cantieri Danubius erano infatti divenuti Cantieri del Quarnaro a seguito dell’ annessione di Fiume all'Italia) un contratto per la ricostruzione e completamento dello scafo incompiuto dell'Hunyad.

 

Rinumerato come scafo numero 139, lo scafo incompleto venne quindi riportato in cantiere e tra il 1932 ed il 1933 i lavori ripresero: nel febbraio 1933 il piroscafo, ribattezzato Jugoslavija ed iscritto con matricola 9 presso il Compartimento marittimo di Spalato. Entrò in servizio sulle linee della Dalmazia.

Lo Jugoslavija, una volta completato, risultò essere un piccolo piroscafo per trasporto di merci e passeggeri da 1275 tonnellate di stazza lorda e 628 tonnellate di stazza netta. Grazie a due macchine a vapore  a quadruplice espansione ed a quattro cilindri prodotte dalla Harland & Wolff  di Belfast,  la nave poteva raggiungere la buona velocità  di 15,5 nodi.

Caratteristiche:

 

Incrociatore Ausiliario CATTARO D-36 ex Jugoslavia - ex Hunyad

 

Dislocamento: 1280 t. - Stazza lorda: 1275 tsl – Lunghezza: 78,50 (76,50) m. Larghezza: 10,45 (10,50) m. – Pescaggio: 4,11 m. – Propulsione: 2 macchine a vapore a quattro cilindri a quadruplice espansione Harland & Wolf – 2 eliche – Velocità: 15,5 nodi Tipo: Piroscafo passeggeri dal 1933 al 1942 – Incrociatore Ausiliario 1942 – 1943– Armatore: Jadranska Plovidba D.D. 1932 – 1934 – Requisito dalla Regia Marina 1942 – 1943 - Identificazione: D 36 (come unità militare) – Costruttori: Cantiere Danubius, Fiume del Quarnaro, Fiume (completamento). Impostata: 1916 - Varata: 1920 - Entrata in Servizio: Febbraio 1933 come nave civile, 13 marzo 1942 come unità militare. Destino finale: autoaffondato, poi catturato da truppe tedesche il 9 settembre 1943, affondato nel 1944, recuperato e demolito nel 1947. Armamento: 2 pezzi da 100/47 mm (??), 2 pezzi da 76/40, 4 mitragliere da 20/65, 2 scaricabombe di profondità (??)

 

RICERCHE-TESTIMONIANZE

 

Il Comitato scientifico della rivista “Storia Militare”, di cui fa parte lo storico Maurizio Brescia, ha dedicato insieme al suo Direttore, il comandante Erminio Bagnasco, un’approfondita ricerca sull’autoaffondamento del CATTARO nel porto di Santa Margherita Ligure. Come vedremo, la questione era  tutt’altro che chiara, dal momento che navi con quel nome ce ne furono due o forse altre, ognuna delle quali ebbe un epilogo non sempre chiaro a causa delle vicissitudini patite dalla nostra nazione a partire da quella fatidica data che fu l’8 settembre 1943.

 

Dal sito ufficiale della Marina Militare. Catturata, passata sotto bandiera italiana e ribattezzata Cattaro in seguito all'invasione italo-tedesca della Jugoslavia, l’8 gennaio 1942 la nave venne requisita a Fiume dalla Regia Marina ed iscritta nel ruolo del Naviglio ausiliario dello Stato come Incrociatore Ausiliario, con caratteristica D 36. Armata con due cannoni da 100/47 mm, uno da 76/40 mm, quattro mitragliere da 20/65 mm e due scaricabombe antisommergibile per bombe di profondità, l’unità venne destinata a compiti di scorta convogli. Le fonti sono piuttosto contraddittorie circa la sorte del Cattaro dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943. Secondo alcune fonti, il 9 settembre 1943, all’indomani dell’annuncio, l’incrociatore ausiliario si autoaffondò a Santa Margherita Ligure; recuperato dalle truppe tedesche,  venne da queste nuovamente autoaffondato il 22 marzo 1944, per ostruire l’ingresso delporto di Livorno. Il 14 giugno 1944 (ma più probabilmente il 13, quando la città venne effettivamente bombardata da aerei della 12th USAAF con obiettivo il porto.

 

Bombardamenti aerei sulle città italiane nel 1944. Durante un bombardamento aereo su Livorno, il relitto venne colpito ed ulteriormente danneggiato per altra fonte i tedeschi recuperarono la nave e si prepararono ad autoaffondarla il 29 marzo 1944, ma l’unità venne in realtà affondata da un bombardamento aereo il 14 giugno 1944.. Riportato a galla nel 1945, il relitto venne nuovamente ribattezzato Jugoslavija e formalmente restituito alla Jugoslavia: giudicato tuttavia troppo danneggiato per una sua riparazione, venne rimorchiato  a Spalato nel 1947 e quindi demolito. Per altre fonti, il 9 settembre 1943

 

Navypedia, in seguito alla proclamazione dell’armistizio, il Cattaro venne catturato dalle truppe tedesche, e nel febbraio 1944 si trovava in efficienza ed impiegato nei collegamenti con la Dalmazia, ma nel corso dello stesso anno venne gravemente danneggiato da aerei Alleati. Sempre secondo tali fonti, il Cattaro affondò nelle acque della città da cui aveva preso il proprio nome, CATTARO , successivamente al febbraio 1944, per cause non precisate.

 

Il dott. Maurizio Brescia così sintetizza la vicenda del CATTARO:

 

“Il mistero dei due Cattaro è stato risolto, le risultanze delle nostre ricerche sono le seguenti: partiamo dal fatto che, durante la Seconda guerra mondiale, la Regia Marina ha avuto in servizio due unità con il nome di Cattaro. La prima era la grossa cannoniera ex-jugoslava Dalmacija (già incrociatore tedesco Niobe della prima guerra mondiale), incorporata nella Regia Marina ad aprile del 1941 con il nome di Cattaro, dopo la caduta della Jugoslavia. Caduta in mano tedesca a Pola dopo l'8 settembre, andò perduta in Adriatico il 22 dicembre 1943, nel corso di un combattimento con motosiluranti inglesi. Questa unità NON è quella presente a Santa M.L. La seconda era il piccolo piroscafo passeggeri jugoslavo Jugoslavija (1.275 tsl, costruito nel 1933) anch'esso di preda bellica, immesso in servizio nell'estate del 1941 come incrociatore ausiliario D.36 Cattaro.

Ed eccoci allo "scoop"

 

L'Ufficio Storico della Marina (USMM), nel suo volume “Navi mercantili perdute” (gli incrociatori ausiliari erano considerati navi mercantili, ancorché requisite dalla Marina, ecco il perché di un nome già assegnato ad un'unità effettivamente militare [la cannoniera Cattaro]) riporta testualmente che "... Dopo l'8 settembre [l'incrociatore ausiliario Cattaro] rimase in territorio controllato dai tedeschi. Notizie non documentate lo davano, nel febbraio 1944, efficiente e adibito al traffico con la Dalmazia; altre, invece, lo davano per affondato nelle acque di Cattaro in epoca imprecisata, ma probabilmente dopo il febbraio 1944".

 

Come si può notare, si tratta di notizie vaghe e imprecise, riprese peraltro anche in un articolo dello storico Tullio Marcon sugli incrociatori ausiliari italiani, pubblicato qualche anno fa su "Storia militare".

 

Le due fotografie appartenenti all’archivio di Giuliano Gotuzzo raffigurano invece proprio l'incrociatore ausiliario Cattaro prima in galleggiamento e poi parzialmente affondato a Santa Margherita e NON in Adriatico. Tra l'altro, il Cattaro (incrociatore ausiliario) avrebbe potuto trasferirsi in Adriatico solo entro il giugno 1943, poi - una volta effettuati gli sbarchi alleati in Sicilia - le navi del Tirreno restavano nel Tirreno, e quelle dell'Adriatico in Adriatico...

 

Quindi, la fotografia - confermandosene la datazione attorno all'8 settembre 1943 (poco prima la foto con la nave in galleggiamento, poco dopo quella con la nave parzialmente affondata), dimostra che il Cattaro non fu perduto in Adriatico come riportato dal volume dell'USMM, ma venne autoaffondato nel Tigullio poco dopo l'8 settembre. Poiché, comunque, del relitto si persero le tracce nel dopoguerra, è più che verosimile che la nave sia stata demolita in Liguria prima della fine del conflitto o - più facilmente ancora - subito dopo. L'identificazione del Cattaro è certa, sulla base della corrispondenza tra le foto del G. Gotuzzo e alcune immagini facenti parte della collezione del com.te Bagnasco. Confermo - quindi - che la nave della foto è l'incrociatore ausiliario Cattaro (ex piroscafo Jugoslavija) e non la cannoniera Cattaro (ex-Dalmacija, ex-Niobe).

 

Ho esaminato attentamente la foto ad alta definizione del Cattaro e confermo che il pezzo di artiglieria visibile a poppa è un cannone da 76/23 mod. Armstrong 1914; la mitragliera sul cielo della tuga più verso proravia, installata nella piazzola circolare, è una Breda 8 mm mod. 1937. La colorazione mimetica della nave è quella "standard" su due toni di grigio chiaro e scuro, adottata già nel 1942; lo schema del lato dritto è il cosiddetto "2B" per navi mercantili.

 

Relativamente all'armamento, il sito ufficiale della MM riporta il seguente:

 

2 cannoni da 100/47 mm

 

1 cannone da 76/40 mm

 

4 mtg da 20/65 mm

 

2 scaricabombe

 

Tuttavia, i dati sono sbagliati: il pezzo poppiero è un 76/23 (esisteva il 76/30, ma il 76/40 per impiego navale non esiste...) e due cannoni da 100 mm (per forza di cose installati a prora) mi sembrano troppi per una nave così piccola... Ritorneremo sull’argomento “Armamento” in un secondo tempo, dopo aver consultato presso l'Ufficio Storico della MM a Roma il faldone relativo alla trasformazione del Cattaro in incrociatore ausiliario. I dati soprariportati vanno verificati.

 

Una doverosa precisazione:

 

IL CATTARO presente a Santa Margherita Ligure non era una “nave civetta”. Nessuna nave italiana fu impiegata durante la Seconda guerra mondiale come "nave civetta": in questa categoria vanno ricomprese soprattutto piccole unità britanniche definite "Q-ships" che - particolarmente tra il 1914 e il 1918 - erano attrezzate per apparire innocui pescherecci ma che, dotate di cannoni celati da paratie abbattibili, conseguirono alcuni successi affondando alcuni sommergibili tedeschi che le attaccavano in superficie per affondarle a cannonate (le piccole dimensioni di queste unità non giustificavano l'uso di costosi siluri). Durante la seconda guerra mondiale non furono utilizzate "navi civetta" da pressoché nessuna marina belligerante. Un discorso a parte merita l'impiego degli incrociatori corsari della Kriegsmarine, ma qui si trattava di grosse unità adattate per il contrasto alla navigazione mercantile d'altura avversaria, ed è tutta un'altra storia. Tra il 1941 e il 1943, l'incrociatore ausiliario Cattaro - in ragione delle ridotte dimensioni - fu utilizzato soprattutto per la vigilanza foranea e la scorta a piccoli convogli in acque nazionali.”

Una testimonianza significativa

Un giovane testimone di allora, all’epoca diciassettenne, così ricorda il Cattaro:

 

L'imbarcazione Cattaro era apparentemente civile, ma era armata. Ricordo un pezzo unico a poppa, neanche tanto mascherato. Un cannone navale (non pareva prolungato 90), poco più di 40 mm, come erano a terra le mitragliere. Non ricordo se avesse una base circolare da brandeggio. L’unità era un ibrido, tanto che l'avevamo definito “nave civetta”, ma  era palesemente difensiva, per quello che poteva. Pareva non antiarea. Credo che l'equipaggio fosse militarizzato, non marinai effettivi della Regia Marina. O forse sì. Non lo so. Chiederò ai pochi vecchissimi. Amnesici come me. Un giorno un aereo vagante ‘esploratore inglese’ passava a media altezza, e  dal molo le bettoline lo bersagliarono. Si allontanò verso il largo, poi tornò silenzioso dal monte, provò la mitragliera contro di me  e un mio compagno di classe, e mitragliò il molo ben bene e se ne andò.


 

Il Cattaro, come mostra questa immagine, ha raggiunto il massimo sbandamento e si é adagiato sul fondo. E’ sparito lo scafo mimetizzato ed emergono solo le soprastrutture e le armi rese ormai inoffensive.

 

(Foto di Giuliano Gotuzzo. Per gentile concessione della signora Nuccia Gotuzzo)

 

Il Cattaro era fuori gioco, inclinato, per me di più di quanto non sia nella fotografia. Da lei non venne reazione.

 

Però, vedersi arrivare i colpi vicini, uno a destra e due a sinistra sul muretto, e udire il rumore della mitraglia é un fatto che si ricorda.... Ma avevo diciassette anni e tutto era esperienza.

 

Penso che il ‘fondo fotografico’ Gotuzzo non abbia perso l'occasione di documentare quell'argomento. Il mite, silenzioso Gotuzzo da ragazzo usciva in barca a fotografare TUTTE le navi che capitavano in rada, insieme al suo coetaneo Pettinati. Sopratutto navi militari.

 

Il Cattaro era, come si può vedere, una carretta o anche meno. Nel 1943 il Cattaro era lì, attraccato al molo sotto la casa grande, tranquilla.

Tra ragazzi si diceva: “é una nave civetta”. Era lì, marrone e nera, tranquilla. Sembrava una vecchia carretta a vapore.

 

L'8 settembre, alle sette di sera ricordo due marinai, di corsa, in via Favale, con una macchina da scrivere da dare a chi la volesse, a nostra meraviglia, perchè? Forse in cambio di vestiti civili, avevano premura, erano pressati. Il Cattaro si era autoaffondato, loro si disperdevano.

 

Si diceva che uno, Ciro Roggero, si fermasse dalla stiratrice, la Lea, che poi sposò. Alle otto di sera, dal poggiolo alto di casa, ho visto in fondo di via Favale, sulla strada del porto, passare due tedeschi accucciati col fucile imbracciato, erano diretti a Portofino. L'indomani sul muro c’era il manifesto della “Kommandantur” che imponeva il coprifuoco, il divieto di assembramento e la consegna delle armi tenute in casa. Mettemmo di notte la pistola di ordinanza di papà in un  muro della strada e la ricuperammo a guerra finita.

 

Poco dopo, in inverno, per prendere l'acqua di mare pulitissima per fare il sale in casa, uscivo con un fiasco spagliato sotto il cappotto pesante e andavo nel porto, davanti  al Cattaro inclinato, vuoto come il molo e le strade, con le alghe sulla chiglia. Restò lì fino a fine guerra.

 

Nel porto riparavano le bettoline dei tedeschi che  nottetempo, con i ponti stradali e ferroviari bombardati e distrutti, trasportavano materiale via mare. Nel silenzio del buio della notte si sentiva pot pot pot ... e s’immaginava la processione di bettoline in fila. Per questo passava l'aereo isolato, l'ubiquitario Pippeto, che lanciava nel cielo un bengala. Quando poi il porto fu pieno di corvette inglesi (tra cui la H.M.S. Circe , sfidata e  battuta dalla Waterpolo Paraggi 5 a 2 il 26 luglio 1945) il Cattaro sembrava una cosa melanconica, ingombrante ed inutile.

 

Un giorno non fu più lì. Scomparve. I giorni di guerra andavano via.

 

Per me la nave si autoaffondò la sera dell'8 settembre, verso le sei-sette di sera.

 

Di effetto personale le barche a vela lì vicine, perchè fino a quel giorno avevamo fatto l'estate balneare normale e  noi ragazzi  vivevamo una vita di paese usuale, nei limiti degli episodi bellici, localmente rari. I passaggi di aerei alti prendevano come punto di riferimento il Monte di Portofino per poi divergere per andare a bombardare Torino, Milano  o Verona. Da Genova si sentivano le esplosioni. San Benigno fece un rumore enorme. Tutto passa.”

Altri CETI provenienti dalla calata di Santa: “Tutti sapevano che la CATTARO era stata una nave passeggeri, ma la gente non cercava le porcellane, i servizi di posate, bicchieri e piatti, ma piuttosto ciò che era rimasto in cambusa.  E tra gli anziani pescatori qualcuno ricorda ancora che nottetempo la nave veniva ‘visitata’ dai pescatori che cercavano di recuperare le attrezzature che gli servivano per lavorare: cavi, catene, maniglioni, grilli, redance, cime di ogni calibro...”

 

COME E’ NATO IL MIO SOGNO

di Giuliano Gotuzzo

 

Era estate del 1943. Tutto sembrava procedere come al solito. Giornate piene di sole, il mare tranquillo, i primi bagni, qualche giro con una piccola barca a remi.

 

L’incrociatore ausiliario CATTARO si trova alla fonda nel porto di  Santa Margherita Ligure. L’unità é sullo sfondo a sinistra. La sua posizione vista in sezione longitudinale,  ci consente di notare chiaramente sia la mimetizzazione che i due pezzi da 76 mm dislocati a prua e a poppa. Sulla destra, in primo piano, si vedono due Torpediniere (o avvisi scorta) ormeggiate di punta, entrambe appartenenti alla classe “Ciclone”. La nave a sinistra é della classe “Ciclone”. L’unità più a destra é l’Impavido. (la cui presenza nel Mar Ligure / Alto Tirreno per l'estate 1943 è ben documentata. La foto è molto scura e non ci consente di vedere lo schema mimetico, in base al quale sarebbe possibile identificare con maggior precisione la nave “di sinistra” e darle un nome. Si potrebbe datare la foto intorno al giugno/luglio 1943, anche perché da agosto in poi l'unità operò prima nella zona di Livorno e poi in quella di Salerno.

(Foto di Giuliano Gotuzzo. Per gentile concessione della signora Nuccia Gotuzzo)

 

Arrivarono alcune torpediniere e si ormeggiarono nel porto. Erano mimetizzate e quando entravano o uscivano i marinai, che erano su quelle barche, avevano sempre indosso dei salvagente rossi. Non erano i soliti salvagente che eravamo abituati a vedere, ma quasi casacche senza maniche. Noi ragazzi correvamo a vedere le navi quando uscivano o entravano e si ormeggiavano scostate dalla banchina, ma in posizione parallela ad essa. lo quasi per caso incominciai un piccolo traffico. Andavo con la barchetta nel punto dove la catena dell'ancora, che scendeva da prua, spariva nell'acqua. Abbarbicati alla catena scendevano un paio di marinai, che si stendevano dentro la barca per farsi notare il meno possibile. Io remando li portavo a prendere terra dall'altra parte del porto. Ricevevo in cambio tanti ringraziamenti e spesso una o due sigarette. A volte cercavo di rifiutarle, ma spesso finivo per accettarle, vista l'insistenza con cui mi venivano offerte. Ripensandoci ora provo quasi rimorso per averlo fatto, perchè capisco che si privavano di qualcosa allora molto preziosa. Non era ancora partita la campagna antifumo e quegli uomini correvano rischi ben maggiori di quelli che potevano venire dal fumo. Poi arrivò una certa data, l'8 settembre 1943, e a chi era sulle navi, ed anche a terra, parve una giornata di gran festa. Dicevano che era finita la guerra; si sentiva anche il suono di una fisarmonica. Ma la guerra purtroppo non era finita. Anzi stava iniziando il periodo peggiore, che coinvolgeva tutti, anche chi fino allora era rimasto a leggere i giornali o ad ascoltare i bollettini.

 

Nel suggestivo sfondo di Santa Margherita Ligure s’intravedono dei Leudi Rivani. In primo piano, due sommergibili tipo "H" (costruzione 1916-1918, su piani costr.ne inglesi). La terza unità non è facilmente identificabile, ma potrebbe essere un "X" (del 1918) oppure un "Micca" (“classe” costruita tra il 1919 e il 1921).

 

(Foto di Giuliano Gotuzzo. Per gentile concessione della signora Nuccia Gotuzzo)

 

La mattina del 9 le navi partirono e con esse anche la nave Cattaro, piccolo incrociatore ausiliario. La festa era già finita. Combinazione volle che l'incrociatore si mettesse in moto prima di aver recuperato del tutto l'ancora, che rimase impigliata negli ormeggi dei due panfili più grandi e più belli che di solito sostavano nel porto: il Quadrifoglio” e Annabella”. I due panfili ebbero gli ormeggi di poppa rovinati con danni anche a bordo. Erano ormeggiati alla banchina davanti alla pescheria. Poi tutte le navi presero il largo. Inaspettatamente dopo un po' di tempo il Cattaro tornò indietro, si ormeggiò dove di solito si ormeggiavano le torpediniere. L'equipaggio cominciò ad abbandonare la nave, che si autoaffondò. Prima che, appoggiata sul fondo ed inclinata, si fermasse, fu presa d'assalto dagli abitanti del luogo. Ci fu qualcuno che, più fortunato, trovò del caffé i più si accontentarono di un materasso.

 

C’é da dire che la popolazione fornì a quei marinai dei vestiti civili e molti furono accolti nelle case e ospitati. Col tempo non pochi finirono per sposarsi con ragazze del luogo: alcuni vivono ancora tra noi e sono tutte persone che hanno saputo farsi una posizione: sono stimati e benvoluti.

 

Poi arrivarono i tedeschi che spararono dei colpi contro la nave, ma tutto si concluse in modo incruento. Poi la nave, dopo lunghe fatiche, fu recuperata e rimorchiata verso Genova. Non l'ho mai saputo con certezza, ma si sparse la voce che durante il rimorchio sia di nuovo affondata.

 

Io non partecipai all'assalto alla nave, perché i miei non mi lasciavano uscire, e giustamente. Rimasi in casa e da dietro i vetri, emozionato, vidi morire quella povera nave. Sarò troppo sensibile ma quello spettacolo mi rattristò molto. Mentre affondava dal suo interno uscivano sibili e rumori che almeno alle mie orecchie sono parsi lamenti e grida di aiuto. Nessuno era a bordo, ma le grida e i lamenti venivano dalla nave che improvvisamente mi parve essere un cosa viva che moriva e che cercava di respingere da se quel destino che ormai l'attendeva.

 

Era tornata indietro perchè le sue caldaie andavano a carbone e avrebbe dovuto fare rifornimento a La Spezia, che era gia stata occupata”.

 

NOTE STORICHE

 

Dallo storico Maurizio Brescia riceviamo la segnalazione del sito olandese che riportiamo integralmente per gli appassionati di storia,  nonché  la breve nota qui di seguito:

 

”Ci sono notizie sulla fine del Cattaro che quadrano con la sua presenza nel Tigullio all'atto dell'armistizio. Tra l'altro, tra le fonti è citato l'autorevole sito "Miramar", un'autentica fonte primaria per le navi mercantili e i mercantili militarizzati”.

 

Riportiamo integralmente quanto riportato nel seguente sito olandese:

 

http://fleetfilerotterdam.nl/jugo33_txt_eng.htm

 

ss Jugoslavija (1933)

 

Jadranska Plovidba d.d. Sušak, Yugoslavia

 

The Jugoslavija was one of the three ships in Jadranska’s fleet of which construction was suspended because of World War I. She was ordered in 1913 by Ungaro-Croata to become a sister to the Visegrád. In 1920 the shipyard launched the unfinished hull to free-up the slipway. Pursuant to the 1920 peace treaty the ship belonged to Yugoslavia, but Jadranska Plovidba didn’t need any express steamers at the time. This changed in the early thirties, when the company ordered a new flagship, the Prestolonaslednik Petar, and also remembered the rusting hull. As Jugoslavija she entered service in 1933. She was damaged beyond repair during an air raid on Livorno, Italy in 1944. Returned to post-war Yugoslavia, the wreck was sold for scrap in 1947.

 

Yard Number 68 (Hunyad) (1916)

 

In 1913 Società in Azione Ungaro-Croata di Navigazione Marittima a Vapore at Fiume, Austro-Hungarian Empire orders a copy of the express liner Visegrád (1913) from Ganz & Comp. Danubius Maschinen-, Waggon- und Schiffbau-A.G., Fiume, to be called Hunyad. Hunyad is the name of a Hungarian comitat. 

1914 construction is suspended because of the war, 1916 resumed at a slow pace to free-up the slipway.

In 1920 the unfinished Yard Number 68 is launched without namegiving ceremony, while Ungaro-Croata is in liquidation at that time. The hull falls to the Kingdom Yugoslavia, pursuant to the Treaty of Trianon (1920). In this peace treaty Hungary ceded its merchant fleet, including ships under construction, to the Allied powers. The hull remains unused for over a decade, as no Yugoslavian company is in need of a large new passenger ship. 

In 1924 the shipyard, which is still Hungarian-owned, is re-established as Cantieri Navale del Quarnero.

 

Jugoslavija (1933)

 

In the early thirties Jadranska Plovidba d.d., Sušak, Kingdom Yugoslavia, in view of the growing popularity of leisure trips along the Adriatic coast, orders a new flagship from Swan, Hunter & Wigham Richardson in England, while Cantieri Navale del Quarnero is contracted to finish-off the hull of the Hunyad. Yard number 139 was assigned for this project, of which the design is revised on many points. 

February 1933 delivered, named Jugoslavija. Port of registry is Split. Put into service on the international and coastal express lines, where her running mates are the Prestolonaslednik Petar (1931), Karadjordje (1913), Ljubljana (1904) and Zagreb (1902).

 

Cattaro/D 36 (1941)

 

1941, after Germany and Italy invaded the Kingdom Yugoslavia, seized by the Italian armed forces. Renamed Cattaro.

18 January 1942 put under command of the Regia Marina. At Fiume rebuilt and armed as an auxiliary cruiser (name pennant D 36).

9 September 1943, the day after Italy’s surrender was announced, scuttled at Santa Margharita, Italy. Raised by the German armed forces.

22 March 1944 scuttled by the Germans to blockade the harbour entrance of Livorno, Italy (also known as Leghorn to English speakers).

14 June 1944 the wreck is heavily damaged during an air raid on Livorno.

 

After the war work begins on clearing the harbour entrance of Livorno. Ownership of the wreck of the Jugoslavija is formally returned to Yugoslavia.

 

1947 towed to Split, Yugoslavija, and broken up.

 

Giuliano Gotuzzo e sua moglie Nuccia

 

RINGRAZIAMENTO AL SIGNORE

di Giuliano Gotuzzo

 

Grazie Signore per tutte le cose belle che ho visto, per tutte le persone buone e cortesi che hai permesso di conoscere, per tutti i dolci ricordi che mi allieteranno la vita fine a che durerà.

 

Grazie per i sogni meravigliosi, rimasti tali, ma non importa. Grazie per avermi dato coraggio nei momenti tristi, e sono purtroppo molti. Ma la fede in te me li ha sempre resi sopportabili anche quando non lo sarebbero stati per niente. Grazie, o mio Signore, per la fede che mi hai donato e conservato.

 

Grazie per avermi fatto nascere in una meravigliosa famiglia che ho tentato di riprodurre a mia volta, ma con risultati decisamente scarsi. Grazie lo stesso, io ho sempre fatto come meglio ho potuto. Grazie per i meravigliosi suoni ai quali mi sono estasiato. Grazie per i superbi esempi di  dirittura morale e di amor di patria, di cui ho potuto venire a conoscenza.

 

Grazie per tutti i maestri e professori che insegnavano bene la loro materia, ma insegnavano anche a vivere. Grazie per avermi fatto nascere in questa Italia meravigliosa, ora un po’  in crisi, ma che, spero tanto, risorgerà più bella di prima.

 

Fatti coraggio Patria mia, il brutto passerà, ritornerai a risplendere come non mai. Signore accoratamente ti prego: mantieni sempre unita l'Italia e fa che gli Italiani si sentano un sol popolo e vivano in pace almeno tra loro. Quando morì mio padre molta gente che mi fermava per dirmi il suo dispiacere mi diceva: coraggio, cerca d'essere come era tuo padre e sarai sulla strada giusta. Cosi ho sempre cercato di fare ma eguagliare mio padre era impossibile. Ho fermamente tentato. Chissà se ci sono riuscito? Poi ci sono anche state tante cose negative. Ti ringrazio Signore di avermi sempre dato la pazienza ed il coraggio di sopportarle.

 

Spero un giomo di vederti per ringraziarti di tutto ciò. Per dirti tutto il mio amore, per ottenere il tuo perdono. Per godere finalmente della pace eterna.

 

 

Biografia di Giuliano Gotuzzo

Giuliano Gotuzzo nacque a Genova il 31.7.1931, suo padre era genovese e sua madre triestina. I suoi nonni erano espatriati in Perù e suo padre nacque a Lima. I genitori di Giuliano ritornarono in Italia per la sua nascita, poi si trasferirono di nuovo a Lima e vi rimasero per altri cinque anni, dopo di che ritornarono definitivamente in Italia.

Giuliano frequentò la scuola dell’obbligo e le medie al collegio Larco di Santa Margherita Ligure. All’età di dodici anni vide affondare una nave militare in porto, si trattava del Cattaro. Complice quel tragico avvenimento dell’8 settembre 1943, cominciò a desiderare la carriera militare. Informati i genitori del suo intento, ebbe una risposta negativa e, a malincuore, finite le scuole medie frequentò la quarta e quinta ginnasio.

 

Era tempo di guerra e fu bombardata la loro casa e il negozio dove suo padre lavorava. Furono costretti a sfollare a S.Lorenzo della Costa, dove una famiglia di contadini del posto, i signori Dapelo gli affittarono una stanza vicino ad un mulino che lui amò e ricordò per tutta la sua esistenza. Da sfollato non poteva frequentare regolarmente la scuola ma, fortuna volle, che a San Lorenzo si trovasse per lo stesso motivo anche la professoressa Bima la quale, con un certo coraggio e senso civico, impartiva lezioni scolastiche ai ragazzi all’aperto, sotto un grande albero.

Arrivò la fine della guerra e finalmente, con immensi sacrifici finanziari e difficoltà per raggiungere Camogli, riuscì a frequentare l’Istituto Nautico. Il suo sogno sembrava finalmente avverarsi, ma ancora una volta il destino gli fu avverso: giunto ormai all’ultimo anno, suo padre si ammalò di tumore al cervello e mancò alcuni mesi dopo, proprio il giorno di Natale. Giuliano riuscì a terminare il regolare corso di studio ma, proprio alla vigilia degli esami di diploma, sua madre fu colpita da infarto e dovette rinunciare agli esami, al suo sogno esistenziale, al suo futuro di Capitano di mare.

 

Era figlio unico e da quel giorno pensò soltanto ad accudire la madre e a lavorare. Il destino gli sorrise quando, riversando tutto il suo amore per le navi, cominciò a collezionare fotografie di navi di ogni tipo privilegiando quelle militari. Le sue possibilità non erano floride, tuttavia decise di acquistare un manuale di Aldo Fraccaroli dal titolo: “Saper fotografare”.

 

Acquistò anche una modestissima macchina fotografica e cominciò a dare la caccia a tutte le navi militari che ormeggiavano nel porto di Santa Margherita. All’epoca approdavano rimorchiatori, cacciatorpediniere, dragamine e persino qualche portaerei in rada. Giuliano imparò a sviluppare i negativi, stampare le foto, per poi tagliarle con grande maestria. Frequentò altri collezionisti e diventò molto amico di uno tra i più noti fotografi navali a livello mondiale: il già citato: Aldo Fraccaroli. In questo settore ebbe molti contatti con altri personaggi famosi: Giorgio Ghiglione, Giorgio Giorgerini, Molinari, Martinelli, Avv. Barilli, Dott. Pradignac ecc....

 

Aldo Fraccaroli si complimentò più volte con mio marito per la qualità delle foto scattate. Giuliano riuscì inoltre a farsi accettare nel più grande circolo di “shipslovers” del mondo, ma nonostante i successi ottenuti nel mondo della fotografia navale, nel suo cuore rimase sempre la tristezza per la ‘mancata’ carriera militare. Ha sempre ricordato con affetto e gratitudine le persone che lo avevano aiutato. Ogni tanto saliva a S.Lorenzo della Costa per salutare la famiglia Dapelo e aveva  sempre parole di affetto per la prof. Bima di Santa Margherita. Ogni tanto sognava di essere Comandante di una nave e spesso ripeteva che non l’avrebbe mai abbandonata, neppure se il destino l’avesse trascinata verso gli abissi più profondi del mare.

 

RINGRAZIAMENTI

 

Si ringrazia la Signora Nuccia Gotuzzo per averci concesso il materiale fotografico e le note autobiografiche del marito Giuliano.

 

Si ringrazia il Com.te Ernani Andreatta, Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta per le ricerche di materiale storico e fotografico effettuate in relazione all’argomento trattato.

 

Si ringrazia lo storico dott. Maurizio Brescia, Vicepresidente di Mare Nostrum, per la consulenza scientifica, l’identificazione di tutte le unità presenti nel porto di Santa Margherita e le ricerche effettuate in ambienti esclusivi della Marina Militare.

 

Si ringrazia infine “il giovane testimone di allora” ... che ci ha deliziato con i suoi freschissimi ricordi che ci ha deliziato con i suoi freschissimi ricordi di fatti, amici e situazioni di quel tempo quando il “SILENZIO” era il segreto per sopravvivere...

Carlo GATTI

Rapallo, 29 ottobre 2013



Navi e Marinai

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EVENTI MARE NOSTRUM, Rapallo Autunno 2016

EVENTI-MOSTRA MARE NOSTRUM

Ottobre-Novembre 2016


Sala Consiliare del Comune di Rapallo. Il sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco al centro tra il vicesindaco Pier Giorgio Brigati alla sua destra e il presidente di Mare Nostrum Carlo Gatti alla sua sinistra, con a fianco il vicepresidente di M. N. Maurizio Brescia. Il Comandante Ernani Andreatta, a sinistra della foto, con alcuni reperti del suo Museo Marinaro di Chiavari: LA MARMOTTA - UNA PICCOLA ASCIA - UN MAGLIO - DUE SCALPELLI DI RIEMPIMENTO - UN CAVASTOPPA - UNO SPARGIPECE.

1° Evento - Sabato 22 ottobre ore 10.30 – Sala Consiliare del Comune di Rapallo.

Conferenza stampa per l’apertura della 35° Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione: GENTE DA RIVEA GENTE DA GALEA.

Gli autori: Maurizio Brescia, Emilio Carta, Carlo Gatti, Ernani Andreatta hanno dato vita ad un ampio dibattito su: Il millenario mondo delle galee – Su cui vertono la pubblicazione e la Mostra al Castello. Il sindaco Carlo Bagnasco si è complimentato con i dirigenti di Mare Nostrum per l’impegno culturale della nostra Associazione che dura ormai da oltre trent’anni ed ha confermato il sostegno dell’Amministrazione anche per gli anni a venire.

2° Evento Domenica 23 ottobre ore 10.30– Sala Convegni Hotel Europa.

Andrea Maggiori, noto come l’uomo dei nodi, è intervenuto sulle Superstizioni e credenze dei marinai nei secoli.

Ha presentato Emilio Carta

Commento:

L’argomento, tanto ampio quanto suggestivo, ha attirato molto pubblico che, nella seconda parte specialmente, ha partecipato attivamente all’evento raccontando le proprie esperienze personali. Parentesi gradevolissima che ha creato un clima molto simpatico favorendo utili approfondimenti. Andrea Maggiori, storicamente molto preparato, é stato accattivante e ironico come il tema richiedeva. Il relatore è considerato uno dei massimi esperti mondiali nell’arte dei nodi, dell’attrezzistica navale, nell’oggettistica per arredamenti di stile marinaro. Nella sua esibizione non poteva mancare qualche chicca funambolica nel maneggio della sua fune magica. COMPLIMENTI ANDREA!!!!


Da sinistra: E.Andreatta, C.Gatti, G.Boaretto, Andrea Maggiori.

3° Evento - Sabato 29 ottobre – 0re 10.30 – Sala Convegni Hotel Europa.

Andrea Acquarone

Il giornalista diventato famoso per la sua rubrica domenicale del SECOLO XIX: PARLO CIAEO, ci ha parlato dei segreti della “LA RISCOPERTA DELLA LINGUA della Liguria” – Ha Presentato Carlo Gatti.

Andrea Acquarone, nasciuo à Zena do 1983 da famiggia de naveganti: seu poæ o l’è stæto o pirmmo à restâ à tæra.

Dòppo o Liceo Cassini o va apurevo a-e orme do poæ stddiando “Economia e Commercio” à Zena e in Inghiltæra, e o piggia a laurea do 2009.

Do 2010, de mentre che o viveiva a Barçeloña e o l’imprendieva o catalan, o screuve l’importansa de lengue do territöio: da quello momento o s’è dedicou – quande o travaggio o gh’à lasciou o tempo – a-o studio, a-a scrïtua e a-a promoçion da lengua da seu tæra, o zeneise, intrando in contatto co-i atri attivisti.

Studioso de economia e de fonòmeni politici e sociali, o l’à pubricou diversci libbri, tra i quæ arregordemmo “Zena 1814. Come i liguri persero l’indipendenza”, stampou da-o Frilli, e “Parlo Ciæo. La lingua della Liguria”, edito da-o Deferrari in abbinamento co-o “Secolo XIX”: un successo, che o l’è anæto esaurio into gio de doî giorni.

Fondatô de l’associaçion “Che l’inse!”, ch’a se mescia pe-o repiggio do sentimento de appartenensa e da coltua ligure, da-o frevâ do 2015 o cua a pagina in zeneise “Parlo Ciæo”,  ch’a sciòrte tutte e domeneghe in sciô “Secolo XIX”.

Inte sto momento o vive à Zena, donde o travaggia comme consulente de impreisa, portando avanti l’impegno pe l’avvardo da lengua da Liguria.

Commento:

Il secondo EVENTO  in programma presso la Sala Conferenze della nostra sede: HOTEL EUROPA, ha fatto il pienone. Il nostro ospite relatore Andrea Acquarone é riuscito con la sua serenità e grande proprietà di linguaggio, a sfoderare una miriade di concetti storici appartenenti non solo alla lingua genovese, ma anche a tante regioni italiane, e persino europee.

Seguendo gli avvenimenti storici dell’ultimo millennio A.A. ha ricostruito passo dopo passo la nascita, la crescita ed anche la fase calante della lingua genovese.

La fase di stallo attuale può preludere, secondo studi dell’UNESCO, a successivi decadimenti… Vi sono comunque delle speranze di rinascita che vanno, tuttavia, coltivate in famiglia, nelle scuole e nella vita civile in generale. Il senso del problema secondo Andrea Acquarone va colto nella volontà di conservazione di un PATRIMONIO linguistico, che é storia, teatro, poesia, musica e  letteratura  che fa parte del nostro DNA. Patrimonio che va difeso da certe invasive infiltrazioni (culturali) straniere che tentano di annullarle, magari soltanto per una questione di mercato…(cellulari, smarthphone ecc…)

Ogni ligure deve sentire dentro se stesso questo senso di appartenenza ad una  “superba” storia millenaria che ci é madre e non matrigna.

La lingua genovese é dinamica come ogni lingua esistente al mondo, occorre quindi liberarla dalle ancore che la trattengono sul fondo; occorre farla navigare secondo i venti della storia e la richiesta insistente di chi vuole semplificarla.

UN GRAZIE DI CUORE ad Andrea Acquarone, un coraggioso esponente della nouvelle vague genovese!

Grazie agli intervenuti per l’interesse e la vivacità dialettica dimostrata nel dibattito che ne é seguito. Complimenti per aver sfoderato una passionalità che forse era repressa nel vostro cuore da tanto tempo. Mare Nostrum vi ha dato l’occasione per liberarvi…

4° Evento - Domenica 30 ottobre 2016 – ore 10.30 Sala Convegni Hotel Europa.

Mario Dentone

Scrittore di mare nostrano, nato a Chiavari, cresciuto a Riva Trigoso e abitante a Moneglia, ci ha raccontato: I marinai liguri della vela attraverso i miei romanzi”.

Hanno presentato Emilio Carta e Carlo Gatti

…...dopo diversi tentativi frustranti ma cocciuti nella cultura, sono approdato con fortuna a Mursia, e già è uscita una trilogia su un marinaio realmente vissuto (ovviamente poi romanzato da me) e totalmente sconosciuto anche a Moneglia, suo paese di nascita morte ed elezione morale e marinara.,

Questi tre romanzi (Il padrone delle onde, 2010, premio Marincovich come miglior romanzo di mare dell'anno, Il cacciatore di orizzonti, 2012, Il signore delle burrasche, 2014) hanno avuto successo, ovviamente limitatamente al mondo del mare, della letteratura di mare, ma anche con apprezzamenti di recensioni importanti, al punto che la Mursia vorrebbe proseguire il ciclo, e infatti sto per consegnare un nuovo romanzo.

Il mio marinaio monegliese, vissuto fra il 1804 e il 1870, fu semplice zavorraio, ragazzino, ma sognò sempre di conquistare gli orizzonti del mare, e lavorando, risparmiando, sognando, giunse a studiare e divenire capitano di lungo corso, eroe di Capo Horn col suo brigantino il "Rosario", facendo ricchezze col guano nelle coste cilene, e armando un secondo brigantino e divenendo anche eroe della guerra di Crimea, finché, come tutti i liguri un po' "sarveghi" si ritirò nel silenzio di Moneglia e nessuno ne seppe più nulla.

Ne ebbi notizia, l'unica trovata, da un libro di Gio Bono Ferrari, e quella vita di tenacia, ostinazione a raggiungere i sogni, gli orizzonti, mi ha affascinato, come fosse quel marinaio delle vele il prototipo dei nostri marinai liguri, della vela.

Ho letto centinaia di libri marinari, mi son fatto un intero vocabolario di mare. Vado avanti!


Mario Dentone tra il presidente di Mare Nostrum Carlo Gatti alla sua destra, ed il giornalista-portavoce Emilio Carta alla sua sinistra.

Commento:

Mario Dentone che definirei: l’uomo del bagnasciuga, ossia l’uomo che ha un piede in terra ed uno in mare. Un osservatorio privilegiato da cui trae per trasfusione dai suoi avi navigatori: tradizioni, racconti, leggende e storie vere intrise di spirito marinaro che lui traduce in un linguaggio crudo ed essenziale che ha gusto di sale.  Tale potenzialità, avuta in eredità anche dai marinai e pescatori rivani,  si specchia nei suoi romanzi con il fascino tipico di quel paesaggio che é tuttora il meno contaminato dalla modernità consumistica. Questa peculiarità emerge sempre, anche quando la ricostruzione scenica  si trova a mille miglia dal borgo da lui tanto amato.

GRAZIE Mario per quello che riesci a dare anche ai marittimi naviganti!

5° Evento – Martedì 1 novembre – ore 10.30, Sala Convegni Hotel Europa.

Flavio Vota


Flavio e Milena Vota

Devo innanzitutto comunicare che é stata ospite di Mare Nostrum: Anna Palazzo, cognata del relatore Flavio Vota. La gentile signora é “profuga” da Norcia dove ha perso l'abitazione a causa della furia distruttrice del terremoto di pochi giorni fa. Le abbiamo dimostrato la nostra solidarietà, tanto affetto e amicizia. Il lungo applauso del folto pubblico ci ha accomunati e commossi….

Commento:

Anche il 4° EVENTO, ci ha regalato forti emozioni. Secondo le ultime scoperte degli archeologi, Atlantide sarebbe localizzata  nell’arcipelago delle Cicladi, in un’area occupata oggi dall’isola di SANTORINI.

Il nostro socio FLAVIO VOTA, studioso di storia, archeologia e instancabile viaggiatore, per convincerci della bontà di questa tesi, ci ha egregiamente catapultato nella "calderas” di Santorini e pilotato con sapienza e saggezza nella civiltà minoica facendoci anche volare su Creta (Knossos-Festos-Monte Ida ecc…)

Un viaggio appassionante illustrato da tante bellissime foto che abbiamo apprezzato ed applaudito. Alla fine qualcuno, credendo d’aver capito tutto, ha chiesto al relatore:

Ma allora il mistero é risolto?

Tra i gridi di dolore che si sono levati… non ho ben capito la risposta, ma posso immaginarla. In ogni caso possiamo solo fare nostre le parole di un celebre scrittore:

“E’ bene che Atlantide resti un mistero. E’ giusto che l’uomo, guardando l’oceano, si inquieti pensando ad un lontano e imperscrutabile regno inghiottito in un giorno e in una notte dalle acque e dal fuoco; all’orgoglioso sogno di un’eternità infranta dal risveglio della Natura.

Le civiltà nascono, crescono ed, infine, muoiono.

6° Evento - LUCIANO BRIGHENTI


Luciano Brighenti

Sabato 5 novembre ore 10.30, Sala Convegni Hotel Europa.

Come si lavora in alti fondali: una esperienza di lavoro industriale a 150 metri di profondità.

Non sono molti nel mondo gli esperti che possono “mettersi in cattedra” e discettare su un argomento così delicato e pieno d’insidie. E’ una vera fortuna avere un tale MAESTRO  tra le file di Mare Nostrum. Lo sosterremo sempre con la nostra presenza ed entusiasmo denso di curiosità. Luciano ha proiettato immagini per meglio farci comprendere quelle situazioni “estreme” di cui sappiamo ben poco.  Il socio Giancarlo Boaretto (ex palombaro giramondo) si è dimostrato “spalla ideale”.

Commento:

Nonostante l’allerta, tanto allarmismo e un po’ di pioggia … il 5° EVENTO dedicato agli ALTI FONDALI, relatore Luciano BRIGHENTI, é andato più che bene, registrando una buona presenza di pubblico, molto interessato e competente. Il socio Luciano, preparatissimo e dotato di una dialettica perfetta, ha ricevuto molti applausi per aver spiegato in maniera più che comprensibile, un tema di nicchia e sempre di grande attualità. Le ricerche petrolifere, partite nei primi anni ‘50, hanno visto gli Italiani gareggiare con potenze straniere e spesso primeggiare. Tuttora le nostre Società di quel settore sono tra le più quotate al mondo, grazie anche a quelle esperienze che videro proprio Luciano Brighenti impegnato in prima linea con un alto grado di responsabilità intorno agli anni ‘80.

Il successo della conferenza di oggi é andato crescendo anche per la presenza di Giancarlo Boaretto, la cui esperienza di sub-palombaro di alti fondali é durata oltre 20 anni. I suoi racconti, aneddoti e dialoghi con Brighenti sono stati di grande interesse.

7° Evento - John Gatti


John Gatti, Capo Piloti del Porto di Genova

6 Novembre 2016 ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa,

JOHN GATTI, uno dei soci fondatori di Mare Nostrum Rapallo, ha presentato:

La complessità della manovra portuale alle prese con il “gigantismo navale”.

La caduta della Torre di controllo dei Piloti del Porto di Genova, avvenuta il 7 maggio 2013, ha innescato una serie di problemi reali, psicologici, logistici e non solo, ai quali si sono aggiunti, nello stesso periodo, la complessa e inedita  manovra di nuovi tipi di navi pax e container. Si è parlato anche del triplice spostamento del relitto Concordia, ogni volta in  condizioni sempre più critiche. Sono stati affrontati questi ed altri argomenti di grande impatto tecnico ed emotivo. Abbiamo anche assistito ad alcuni spettacolari filmati di manovre. E’ stata inoltre  proiettata la Cerimonia di Consegna del bassorilievo REGATTA donata dal socio Renzo Bagnasco, insieme a Mare Nostrum Rapallo, al Capo dei Piloti genovesi (Autore e Regista del filmato Ernani Andreatta).

L’interessante intervento di John Gatti, da due anni Capo Pilota, ha tolto il velo ad una professione che era quasi sconosciuta. Siamo venuti pertanto a conoscenza della scelta dello Shipping internazionale di aver candidato Genova come uno dei pochi porti al mondo in grado di accettare navi di 380 metri di lunghezza, nel cuore del suo arco portuale  di antica data. Non é stato facile e John Gatti ci ha spiegato il faticoso percorso che ha portato lui ed i suoi colleghi a raggiungere certi traguardi.

Commento:

Grazie alle nuove generazioni di piloti, una preziosa ed importante professione é uscita dall’anonimato.

Per la verità non sono stati loro a volerla pubblicizzare, ma alcune circostanze, talvolta tragiche che si sono sommate al cambiamento epocale dei traffici con l’entrata in scena di navi che sono molto difficili da gestire per la loro lunghezza e per alcuni parametri tecnici che sono positivi per la navigazione, ma parecchio negativi per la manovra portuale.

Questo è quanto emerso dall’interessante esposizione, chiara ed efficace, del Capo Pilota del porto di Genova John Gatti il quale ha raccontato, servendosi di ottimi filmati e fotografie, alcune difficili manovre che oggigiorno vanno preparate sui simulatori di manovra e sono rese possibili dall’utilizzo di nuove tecnologie come i telemetri, PPV e AIS ecc…

I porti italiani tradizionali d’origine medievale, per continuare ad essere competitivi hanno rubato, negli anni passati, acqua di manovra alle navi per creare spazi a terra per lo stoccaggio di container, uffici ecc… Oggi sono i più penalizzati perché spiazzati dalla nuova tendenza dello shipping a servirsi di navi gigantesche che richiedono ampi spazi per ruotare e ormeggiare in banchina.

Genova, come ha spiegato John Gatti, poteva scegliere se rifiutare  le nuove navi ed uscire dal circuito dei grandi porti, oppure accettare i rischi … e rimanere nel giro per rinforzare la posizione del Porto di Genova che é una delle più grandi industrie Italiane.

Un fatto è emerso chiaramente: l’ultima parola spetta al pilota che dispone delle competenze tecniche per “effettuare” gli ormeggi e disormeggi di quelle navi. L’Autorità Marittima ha il compito molto importante di VIGILARE sulla SICUREZZA di tali operazioni.

E' giusto che almeno la popolazione della costa conosca certe dinamiche… In Italia, in molti settori lavorativi, ci sono persone che operano bene rischiando sulla propria pelle; poi c’é un’altra Italia che vive di chiacchiere e va per la maggiore…

Si è così saputo che i piloti del porto di Genova non ha mai aderito a scioperi e non hanno mai chiuso il porto, neppure durante quelle famose mareggiate che distrussero chilometri di diga affondando navi in banchina. Non godono di stipendi assicurati, ma sottostanno al RISCHIO IMPRESA.

Eppure non fecero mai notizia… come non fa mai notizia l’elevato numero d’infartuati (tipica malattia professionale del pilota in tutto il mondo) per non parlare di ossa rotte per incidenti, e tuffi in mare non programmati...

Il numerosissimo pubblico é rimasto in attento ascolto  dalle 10,30 alle 13,00, ed ha colto l’occasione per porre questioni e domande molto interessanti!

Il filmato della cerimonia di consegna del bassorilievo REGATTA di Stelvio Pestelli, avvenuto nella sede del Corpo Piloti di Genova, ha chiuso il 5° EVENTO e completato il successo della giornata.

In molti abbiamo giudicato il montaggio (film-musica e testo) una chicca eccezionale che rimarrà a lungo nel cuore di tutti noi. Complimenti al BRAVISSIMO Nanni Andreatta!!!!!

Ci complimentiamo anche con il bravo pilota: Michele Buongiardino e con il fotografo Fabio Parisi, autore della Mostra Pilotage, per la loro chiara esposizione di alcuni aspetti tecnici e scenografici del mondo dei piloti.

Brillante e di grande impatto emotivo, l’intervento del Comandante Bruno Sacella, direttore del Museo Marinaro di Camogli, che ha voluto tributare ai PILOTI un riconoscimento di grande spessore evocando ricordi personali ed esaltando le qualità umane e la disponibilità dei piloti riscontrate nella sua lunga carriera.

GRAZIE A TUTTI PER LA  “CALDA” PARTECIPAZIONE!

Carlo Gatti

23 Novembre 2016

 

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