I SUONI DEL MARE

 

Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.

 

I SUONI DEL MARE

 

 

 

 

 

 

 

Anche le aragoste emettono suoni che nel loro complesso si uniscono in una singolare sinfonia. O meglio producono segnali acustici sonici e ultrasonici in particolari condizioni di stress. Questa scoperta, fatta dal Gruppo di Bioacustica dell’Istituto per l’ambiente marino costiero (Iamc) del Cnr di Capo Granitola, conferma che, se l’orecchio umano potesse captare anche lunghezze d’onda superiori ai 15-20 Kherz,  percepiremmo il mare in modo del tutto diverso. Da muta distesa d’acqua diventerebbe un mezzo capace di diffondere un chiacchierio di note usate dagli animali marini per comunicare tra loro. Immaginare dunque il mare come un insieme di ecosistemi caratterizzati da una propria firma acustica è possibile, tanto più che attraverso di esso i suoni si propagano con una velocità di circa 1.500 metri al secondo e possono coprire distanze di migliaia di chilometri. Senza neppure vederlo, ma solo sentendolo, potremmo riconoscere per esempio un posidonieto proprio là in prossimità di una spiaggia o un mare più profondo o una barriera corallina. Suoni dai toni e frequenze diversi si alternerebbero a seconda dei paesaggi marini che incontreremmo. Potrebbero essere anche così rumorosi da farci tappare le orecchie.

Legittima difesa

Ma ritorniamo alla ricerca. <<Dalla letteratura si sapeva che le aragoste, come del resto altre specie di crostacei, generavano suoni che tuttavia per la prima volta sono stati caratterizzati e associati a precisi comportamenti>>, spiega Giuseppa Buscaino, ricercatore dell’Iamc. Venti esemplari della specie Palinurus elephas, vivi e mantenuti in vasca salata, sono stati monitorati per mezzo di due telecamere, una subacquea e l’altra posta al di sopra di essa, quando erano attaccate singolarmente o in gruppo da due loro acerrimi nemici: il grongo e il polpo. Il risultato? Emettevano suoni brevi, quasi metallici, uniti tra loro, come si può ascoltare dall’audio allegato. Registrati con un idro microfono reso impermeabile, collegato a un pre-amplificatore e acquisito con una scheda di conversione analogica-digitale, sono stati attentamente studiati.

Comportamenti a “rischio”


I ricercatori hanno così notato che correlavano con alcune posizioni di questi animali marini, per esempio con il cosidetto “tail flip (rapida flessione dell’addome che fa spostare l’aragosta a reazione da un punto all’altro) o con lo stato di ”alert” (animale sta dritto sulle zampe posteriori).  <<Si è pertanto capito che i suoni emessi erano veri e propri segnali prodotti per avvertire gli altri di un imminente pericolo e per attuare una strategia collettiva di difesa>>, dice Giuseppa Buscaino. <<Al loro suono le aragoste si avvicinavano le une alle altre e puntavano all’esterno le loro antenne ricche di spine capaci di formare una barriera fisica molto efficace contro i predatori>>.

Il canto dei cetacei

Molti animali acquatici hanno evoluto sistemi complessi per ricevere ed emettere suoni. <<I delfini sono alcuni di questi. Emettono fischi udibili ma anche i cosidetti click, impulsi ad ampia banda di frequenza, udibili e non udibili, per avvicinarsi alle barche dei pescatori, sfruttare i loro attrezzi di pesca e ridurre gli sforzi della pesca>>, ci dice Giuseppa Buscaino, riferendosi ai risultati di una ricerca in corso nel Mar Ionio. In realtà questi click sono parte di un sonar: generati da sacche aeree in comunicazione con lo sfiatatoio, incontrano l’oggetto (in questo caso l’attrezzo luminoso a intermittenza che attira i pesci) e parte della loro energia tornando indietro viene captata dalla mandibola (hanno perso il padiglione esterno!) dotata di un grasso a bassa impedenza acustica che la trasferisce direttamente all’orecchio medio. Analizzando il ritardo, calcolano la dimensione e la distanza dalla preda. I furbetti pare abbiano imparato a immergersi solo quando quest’ultima si avvicina molto alla superficie.

Manuela Campanelli

Rapallo, 28 luglio 2018

 


LE SCOPERTE GEOGRAFICHE 1488-1522

LE SCOPERTE GEOGRAFICHE

1488 - 1522

autori

Prof. Stefano Facchini

Prof.ssa. Eva Riccò

a.c. Carlo GATTI

Rapallo, 15 Marzo 2021


PILOTI E BARCACCIANTI

AUTORI

Com.te Carlo GATTI – Dir. Macchina Silvano MASINI

LE BARCACCE NEL CUORE è dedicato alla Società Rimorchiatori Riuniti Genova che ha accolto, sostenuto e realizzato questa proposta.

- Ma soprattutto il libro è dedicato agli equipaggi dei rimorchiatori di ogni epoca, alla memoria di chi ha già strappato "l'ultimo cavo da rimorchio"...

- Agli eredi di questa tradizione che più nessuno chiama con il pittoresco nome dibarcassanti”, ma che hanno oggi, la responsabilità e l’onore di tramandarla nel tempo.

LE BARCACCE NEL CUORE

L'amico Silvan è già risalito, nel corso di questo libro, all'etimologia della parola barcacciante e questo ruolo è già emerso qua e là nella vicenda dei rimorchiatori genovesi. A questo punto del nostro viaggio all'interno del porto, approfondiremo il rapporto intercorso tra il Comandante del rimorchiatore e la figura di un altro antico marinaio che spesso è confuso con altri protagonisti di questo affascinate scenario della nostra città: il Pilota portuale.

Chi è quindi il Pilota portuale?


La vecchia Torre Piloti

Le biscagline





Questo interrogativo non solo incuriosisce le migliaia di turisti dell'entroterra quando si affacciano dalle murate dei traghetti per filmare l'arrampicata dell'omino che viene da terra, ma turba da sempre anche molti abitanti della costa che confondono spesso e volentieri il pilota della nave con il comandante del rimorchiatore, con il timoniere, oppure con l'ufficiale di guardia sul ponte di comando, ma a volte anche con l'ormeggiatore portuale. Il personaggio in questione, per la verità, è rimasto chiuso nella sua antica leggenda di “esperto marinaio”, dalla quale non è mai completamente uscito per integrarsi con la gente di terra, tra la quale opera quotidianamente. Le categorie marinare appena accennate e che sono confuse con il pilota del porto, appartengono, di fatto, a rami della nautica ben distinti e gelosi, ognuno della propria identità e tradizione di corpo. Questi servizi sono necessari alla nave che ormeggia o disormeggia da una banchina ed il pilota ne rappresenta il coordinatore e direttore della manovra.

 

PILOTI E BARCACCIANTI

I rapporti tra le persone, in qualsiasi ambito, si modificano nel tempo in funzione di tante cause che lasciamo ad altri il compito d'indagare… In questa sede, a noi interessa soltanto ricordare “quell'angolo del porto” che è stato per trentacinque anni la nostra seconda casa, mio e di Silvan, anzi il cortile dove siamo cresciuti e che oggi, rivisitandolo a distanza di anni, lo ricordiamo popolato d'autentici personaggi che tanto ci hanno dato, sia sul piano umano che professionale. Con tutta sincerità, non sentiamo rimpianti tipo “Via Gluck”, anche perché certe sindromi da “cemento selvaggio” appartengono alla sfera dei “terrestri, i quali si dividono normalmente su tutto…con il risultato che al di là della cinta portuale c'è il caos più o meno riconosciuto da tutti, mentre al di qua, dove entra il mare, ci sono le navi che arrivano, partono e sono le uniche cellule economiche che si muovono sugli oceani, funzionano sempre e non conoscono conflittualità.


Tutto ciò non vi sembra strano? Eppure, oggi, come ieri e sicuramente come 20 secoli fa, le navi continuano a trasportare ricchezza viaggiando sicure anche quando i loro equipaggi, in terra, sono in guerra tra loro.

Ecco! Noi pensiamo che gli “specialisti della politica, della sociologia e d'altro…” dovrebbero indagare su questa cellula inesplorata: il funzionamento della nave e forse scoprirebbero che il mare, come un dio supremo e severo, costringe i suoi “sudditi” al rispetto di poche regole rendendole refrattarie alle ideologie umane, ai partiti politici e persino alle mode passeggere, perchè si basano sui valori dell'autodisciplina e della solidarietà.


Un tempo si diceva: “in mare non ci sono taverne” e s'intendeva che in mare non ci sono rifugi, neppure per i più ricchi e potenti della terra e con i primi colpi di mare in faccia s'imparava ad usare il buon senso, la modestia ed anche la paura. Già! Paura! I veri marinai hanno paura del mare e la maggior parte lo rispetta e lo teme come un dio pagano che usa vendicarsi lanciando fulmini e tempeste; per altri ancora si tratta di un Dio che non va affrontato neppure con le preghiere, ma va aggirato promettendo “voti” alla Vergine.


In terra, l'uomo del terzo millennio, con le sue sicurezze scientifiche, è convinto d'essersi finalmente emancipato dal “Supremo”. In mare le “sicurezze” si chiamano “aiuti alla navigazione” e suscitano diffidenze! In mare c'è qualcosa di mistico e d'irreale che blocca il marinaio nel tempo e lo unisce ai suoi simili più lontani, creando una sola razza che forse, come dice una vecchia leggenda, … “al momento del trapasso li trasforma in gabbiani.”

Ritornando tra le calate, a noi pare che i marinai portuali non siano diversi dai marinai d'altomare perché vivono nello stesso ambiente di “gabbiani” e si distinguono soltanto alla sera, quando ritornano a casa e il mondo piomba nell'oscurità della notte.


Poco più tardi, quando tutti dormono ancora, i piloti e i barcaccianti riprendono le strade dei moli e vanno incontro alle prime navi in arrivo.

Terminata la manovra, rientrano in torretta quando le prime luci dell'alba rivelano il “rush” del traffico cittadino, ma loro sono marinai e non conoscono le code, lo smog, gli isterismi del traffico e non incontrano gli amici terrestri neppure quando vanno in franchigia, perché anche i loro turni appartengono a due emisferi opposti, proprio come il nadir e lo zenit. Mentre sulle strade si litiga e si muore per una “precedenza”, sul ponte di comando di una nave, Master e Pilot uniscono le loro forze a quella dei barcaccianti per portare la nave in banchina, in sicurezza, nel minor tempo possibile ed in grande armonia. Rispetto e disciplina sono quindi le due “ancore di salvezza” alle quali ci aggrappiamo ogni volta che vogliamo rivivere, con gli occhi chiusi, come in un sogno, una qualsiasi delle migliaia di manovre vissute sotto la Lanterna.


 

1939. Una rara fotografia dei Piloti del Porto di Genova a bordo della pilotina Teti-1939, a rare image of the Genoa Pilots

Si raccontava a bassaprora, che nel periodo epico, già illustrato da Silvan, il divario culturale tra i padroni marittimi al comando dei rimorchiatori portuali ed i piloti del porto era veramente notevole. I primi ne venivano dai fumi di una gavetta portuale dura, tra i campi minati della ricostruzione, dai tratti primitivi come gli arrembaggi alle navi e i ganci sicuri soltanto per chi giungeva “primo” sotto le prue, parecchie miglia al largo di Genova e a noi, ancora oggi ci vien fatto di chiederci: “Quanti Marlon Brando s'aggiravano tra le calate nel Fronte del Porto genovese?” C'era la gelosia del mestiere, la difesa estrema della propria professione, la concorrenza e la ripresa della scalata sociale.

I piloti del porto di Genova, a giudicare da quanto si sentiva nello shipping internazionle, lavoravano con molta professionalità ed “il loro miglior maestro” - si diceva allora – “era il vento, che riuscivano a farselo amico, con molta abilità.”

Questo giudizio molto lusinghiero, per la verità, era esteso anche ai comandanti-Rr, che erano nati e cresciuti nel porto della tramontana e prima d'essere utili alla nave, imparavano a governare il proprio mezzo con tutti i venti e con grande maestria. Il mestiere era un oggetto misterioso che andava “rubato” di sottecchi, spiando per lunghi anni le tecniche e le tattiche di chi la sapeva lunga…. e lo faceva giustamente pesare! Nulla di male! L'Arte marinara della manovra, come tutte le grandi tradizioni manuali del mare, si tramandava anche allora oralmente, con un impercettibile e sussurrante passaparola!

Sicuramente, a quei tempi, il tirocinio era molto lungo per i barcaccianti che erano immersi nella vera culla della tradizione, dove non c'erano professori a promuovere…, ma l'unico giudice era l'eventuale pericolo che incombeva sull'equipaggio del rimorchiatore a causa dell'immaturità del nuovo comandante. Per i piloti del porto, lo scenario era meno complesso, tuttavia i candidati erano sottoposti ad una rigida selezione che precedeva il concorso statale, che era in ogni caso molto difficile da superare, sia per le numerose prove d'esame, sia per la fitta schiera di candidati provenienti da tutta Italia.

A dire il vero, il barcacciante non aveva complessi d'inferiorità e nonostante sapesse che soltanto i suoi marinai lo chiamavano con deferenza “Comandante”, ostentava autorità e imponeva disciplina. Per esempio: non tutti potevano salire sul ponte di comando e proprio nessuno durante la manovra. Egli conosceva esattamente la tecnica per raddoppiare la potenza del suo mezzo, perchè la nave doveva essere fermata e piegata ad ogni costo e se non bastavano l'elica e il timone, interveniva di slancio lo scafo con il suo folle peso e quando riusciva a strappare un cavo della nave, non ne era poi tanto dispiaciuto… Il barcacciante difendeva il suo piccolo mondo con la strenua filosofia di “ogni scarrafone è bbello a' mamma suia.

Guai a toccargli l'equipaggio! Guai a criticargli la barca! In fondo in fondo, una piccola parte d'eredità del vecchio detto del tempo velico: “dopo Dio ci sono io”, toccò anche a lui…e ancora oggi non sappiamo quanto la barca appartenesse agli armatori…perché il barcacciante la gestiva come un proprio “feudo” famigliare! Forse l'intendeva come una insostituibile compagna provvista d'anima e di propria personalità che possedeva una propria vita.


barcaccianti erano perfettamente consapevoli di saper ormeggiare in porto qualsiasi nave, anche senza pilota; l'avevano già fatto più volte in quelle non rare occasioni che capitano nei grandi porti, ma il loro metodo era da barcacciante, da uomo senza volto, da operaio capace, ma anonimo, lontano dalla sfera psicologica che coinvolge il comandante di una nave ed il pilota portuale. La sua abilità era tuttavia confermata ogni volta che il pilota taceva e gli affidava per lunghi periodi la nave in manovra.

Il pilota conosceva le lingue, era un diplomatico ed anche un uomo di cultura che portava sul ponte di comando i commenti e le novità internazionali del giorno e godeva di un prestigio personale presso gli armatori, le agenzie di navigazione, le autorità del porto e della città. Il pilota era una sorte d'ambasciatore che riceveva la nave straniera in anteprima e stabiliva con il suo equipaggio, i primi rapporti d'amicizia, talvolta anche di contrasti. I due mestieri erano simili nella sostanza ma diversi nello stile.


REX-CONTE DI SAVOIA-ROMA-GIULIO CESARE

In questa foto d'epoca degli anni ‘30 si possono notare gli esigui spazi vuoti nel porto. Ogni metro è sfruttato per l'ormeggio di navi molto spesso di punta/1930: the just suffiecient spaces of the Genoa harbor.

 

Anni '30 - Il “Rex” in arrivo a Genova sta per essere preso in consegna dal pilota e dai rimorchiatori/The Rex, arriving at Genoa: the pilot is on stand-by.


Negli anni '30, quando le navi si chiamavano “Rex” “Conte di Savoia” ed erano lunghe 250 metri, i barcaccianti operavano con gli stessi risultati dei loro successori degli anni ’60-'70, che ormeggiavano la Andrea Doria” e “Cristoforo Colombo” (nella foto) e, in seguito:


la “Michelangelo”, la “Raffaello”, l’Eugenio C. Di una cosa siamo certi: se si andasse a comparare i tempi di manovra di queste grandi unità nell'arco di 50 anni, saremmo sorpresi della loro similitudine, perché il grande regolatore della manovra è “l'ammiraglio vento” che sa aiutare i marinai più “esperti” che sanno come sfruttare a proprio vantaggio il suo enorme potenziale di cavalli, secondo la scuola che essi stessi si sono tramandati.


Foto n.3 - La M/n “Raffaello” ha compiuto una completa rotazione davanti a Ponte dei Mille e procede all'attracco di Ponte Andrea Doria con l'assistenza di quattro rimorchiatori/The Raffaello at Genoa, assisted by four tugs.

La meravigliosa linea (shape) dell’EUGENIO C. in un quadro del pittore di marina Marco LOCCI



Il Porto Vecchio con il consueto panorama di liners

Di questo notevolissimo fatto n'era consapevole soprattutto il pilota che molto spesso, rientrando in torretta con il rimorchiatore ringraziava il suo comandante con una stecca di Marllboro, dono della nave, per aver lavorato bene e qualche volta per avergli salvato la prua o la poppa...

C'era una volta … quando il pilota aveva il potere di rovinare, con una semplice telefonata di biasimo, un qualsiasi dipendente-RR. Era un'epoca in cui i piloti erano considerati “i signori del porto” e godevano di un meritato prestigio e grande peso politico, perché sapevano vendere bene il loro mestiere, che era fisicamente rischioso e di grande fascino ed alcuni di loro furono anche stimati armatori. Orbene, non ci risulta che tale potere sia mai stato usato dai piloti contro chicchessia. Al contrario sappiamo che i più “chiacchierati” tra i piloti, sono stati i più generosi nel sistemare… figli in tutto l'ambiente portuale.

E' successo, quasi sempre, che i principianti dei due “servizi” ne abbiamo combinate di tutti i colori… durante le loro prime performances, ma in questi comprensibili casi è sempre valsa la legge del buonsenso e della compensazione. Abbiamo vissuto tre periodi lavorativi ben distinti, durante i quali i rapporti tra i piloti e i barcaccianti sono mutati a causa della tecnica, delle misure delle navi e persino da un considerevole livellamento culturale.


Nel primo periodo, quando non esisteva il VHF, il pilota emetteva gli ordini di manovra con il fischietto e indicava con la rotazione più o meno veloce del braccio, la forza del tiro. Era il periodo romantico della manovra: il pilota era in divisa e portava un cappello regolamentare. Il comandante del rimorchiatore indossava la cappotta nera ed in testa aveva il sud-ovest. Girava la ruota sul ponte più alto che era aperto ai fumi ed alle intemperie e si scaldava con la fiaschetta del rhum appoggiandosi alla ciminiera. Il pilota manovrava navi lente, con timoni piccoli e pochi avviamenti di macchina a disposizione. Affrontava la tramontana portandosi a randeggiare le testate dei moli sfruttando al massimo gli spazi a sopravvento. 

Il comandante del Rr, ancora più audacemente, andava a sfiorare letteralmente il cemento delle calate per portare la nave a tiro di heaving-line rischiando di rimanere imbottigliato tra le scie delle smacchinate e i cavi delle altre navi. Spesso s'infilava in posti così angusti e pericolosi dove rischiava danni e quindi sospensioni dal servizio. Il pilota apprezzava sempre il suo coraggio e non mancava di tributargli la propria stima in tutte le sedi. 

L'impossibilità del dialogo tra pilota e barcacciante in manovra, aveva sviluppato il senso del “capirsi al volo” e quando il pilota ordinava di tirare in una direzione, il più delle volte il rimorchiatore era già in lavoro. La conoscenza dell'ambiente nella sua totalità, umana e tecnica, giocava in ogni caso un ruolo decisivo. Mentre ogni pilota aveva il suo stile personale d'ormeggiare la nave e lo imponeva con fermezza, il barcacciante doveva imparare trenta stili diversi per accontentare quel pilota. L'intero capitolo non l'imparava in poco tempo, perché le manovre del porto erano circa duecento e variavano il disegno dinamico con la direzione del vento. Non era certamente un problema per i veri barcaccianti, molti dei quali si erano imbarcati sui rimorchiatori quando avevano ancora le braghe corte ed avevano imparato i trucchi del mestiere dal padre o dallo zio.

Nel secondo periodo


I piloti, nell'immaginario collettivo, appartenevano a stili e comportamenti diversi: Vi erano quelli dalla visione ampiamente “marinara”, in cui il signorile e naturale rispetto era esteso alla nave, al lavoro pericoloso dei barcaccianti e degli ormeggiatori; questi erano sicuramente i piloti più amati e stimati nell'ambiente e sono stati nel tempo, la parte più consistente del Corpo dei Piloti.


La velocità della nave può costituire un momento molto delicato per il rimorchiatore che si trova ad entrare per qualche istante sotto l'arco della prora/The tugboat is in a critic position.


Il cavo della nave sta per essere messo al gancio del M/r “Canada”. In questa fase, la scia della nave tende ad allontanare il rimorchiatore/The ship rope is almost made fast.


Il cavo della nave sta per essere messo al gancio del M/r “Canada”. In questa fase, la scia della nave tende ad allontanare il rimorchiatore/The ship rope is almost made fast.

Per altri invece il tempo stringeva sempre… e la pilotina ed in seguito il taxi appariva sottobordo quando la manovra era ancora in corso … questi piloti non facevano mai perdere il treno “buono” e liberavano presto le barche…ma con loro, dover prendere il cavo di poppa nella scia di un'elica sempre in moto, oppure rimanere nell'attesa del cavo a pochi centimetri dal tagliamare, a otto miglia di velocità, costituiva un azzardo inutile e si pensava quanto fossero distanti le conoscenze delle difficoltà degli altri servizi…
Per altri, infine, la manovra passava da fasi “compassate” ad altre simili alla “rassegnazione”…. Sotto la loro direzione non si rischiava nulla, il convoglio procedeva al ritmo di un “lumassun”, si perdevano i treni e si marcava un'ora di straordinario…. del tutto inutile agli effetti del sonno perduto! Per la verità, questa esigua categoria di piloti tranquilli, ebbe uno scatto d'orgoglio quando, a causa di numerosi e lunghi scioperi degli altri servizi, si adeguarono alla situazione con la stessa audacia di tutti gli altri piloti, ormeggiando navi di qualsiasi tipo, dimensione e con qualsiasi tempo. Si trattava, quindi, soltanto di un fatto caratteriale!


1955 - Sala Operativa della Torre Piloti. Da sinistra: i piloti Caso, Santagata, Longo, Raimondi, Ragazzi, Zoccola, Cavallari, Protti/Operation room of the Genoa Pilots


La smacchinata è partita. Il rimorchiatore si è defilato/The engine started, the tugboat is cleared. Una smacchinata di dieci/ventimila cv, quasi sempre involontaria e senza preavviso, poteva causare il rovesciamento del gozzo degli ormeggiatori, impegnato vicino all'elica, oppure rompere il cavo e far girare il rimorchiatore su se stesso, senza controllo, proprio come una trottola.

Sul tema degli scioperi in porto ritorneremo tra breve, per ricordare che i rapporti tra piloti e barcaccianti attraversarono anche momenti d'angoscia che furono, in ogni caso, superati e ristabiliti nel nome della loro grande professionalità. Consentiteci ora una breve digressione sulla scala dei valori dei nostri eroi: noi pensiamo che ogni manovratore poggia i piedi sui legni di una biscaglina, dove ogni tarozzo è un ipotetico valore stabilito dal buon senso marinaro. Tuttavia, quando si parla del porto di Genova, è necessario riferirsi ad una scala “accademica” molto elevata che, in un primo tempo ha forgiato e selezionato tanti marinai nella dura palestra della tramontana e in seguito ha premiato i suoi migliori “figli del vento” ponendoli ai vertici delle manovre navali del porto. Questi piloti e barcaccianti hanno avuto spesso caratteri diversi, ritmi opposti, ma sono stati tutti eccellenti manovratori.

In quest'ambiente dinamico, in continuo fermento di crescita, “vivere il porto” significava respirare con tutti pori della pelle quelle sfumature sul lavoro che ogni giorno nascevano con nuove linee e che arricchivano di esperienze e conoscenze il bagaglio di ognuno di loro. Il più adesciu tra i barcassanti era quello che per primo raggiungeva l'imboccatura ed occupava il posto “migliore” della manovra. La posizione occupata contava in funzione della “bozza”, del “fuori fascia”, “dell'attesa finale a spingere la nave ormeggiata e ritiro-pilota”, “dell'orario del treno” e quindi tutto variava in funzione del traffico, del vento e delle esigenze personali nelle varie fasi della giornata.


“Felice! se puoi, mandami in su Ragone, Scintilla, Garilli e Vittorio.. ho un lavoro impegnativo senza macchina e c'è vento..”
“Manna! vado all'Italsider per l'arrivo di una turbinaccia, mandami Marietto, Miglio, Pasqualin, Ragonetto, Florindo..”
“Enrico! Vado al Silos, avvertimi appena un “rotore” è libero.


A sinistra il pilota Schiaffino. Al centro Salomone e Maggiolo, anch'essi di recente scomparsi/Other passed out Genoa pilots


Giovanni Santagata ed Ernesto Santagata, due generazioni di piloti che hanno fatto storia/Two generations of pilots.


Il compianto Oddera a sinistra, con Gatti e Bonomi/Other pilots

Con questo tono famigliare, i piloti si raccomandavano alla torretta-RR di Molo Giano, ben sapendo che quei nomi, cognomi o soprannomi erano il paradigma, l'acronimo dell'unità speciale che in quel momento serviva. Con l'uso del VHF, si assisteva ad una strana convivenza tra due stili di lavoro differenti. Gli anziani, tra i piloti e i barcaccianti, continuavano a manovrare in silenzio, mentre i loro giovani colleghi si adeguavano rapidamente agli standard internazionali usando terminologie moderne ed appropriate via radio. In quegli anni, ci furono molti pensionamenti ed altrettanti nuovi innesti sui due fronti e ci fu una novità: il nuovo comandante-Rr non “capiva più al volo”, ma aspettava l'ordine via radio. Non tutti ovviamente avevano perso improvvisamente l'idea del mestiere, ma il dado era tratto.

“ C'è la radio!” – si sentiva dire tra i bordi –
Aspetto l'ordine, perchè se mi prendo un'iniziativa che non va bene, il pilota mi riprende e io faccio la figura del belinone davanti a tutto il porto. Io aspetto sempre l'ordine di tirare!”

Per la cronaca, riscontriamo che questa duplice convivenza di filosofie è tuttora in corso, perché la stessa tendenza è diffusa anche tra i piloti. A nostro parere non esiste una verità assoluta, tuttavia, dovrebbe esistere per ogni manovra, il buon “senso marinaresco” che sempre illumina le posizioni dinamiche via via da occupare con un leggero anticipo, onde poter applicare alla nave l'effetto voluto con una certa rapidità.

Ritorniamo a sfogliare l'album dei ricordi e confessiamo di non avere mai considerato, in quegli anni, il rimorchio ed il pilotaggio, attività molto distanti tra loro e quando si rimorchiava una nave in altura, il più delle volte si pilotava il convoglio sui fiumi e spesso si ormeggiava e disormeggiava in piccole anse dove neppure esisteva il servizio di pilotaggio.

Nel 1970 a New York, in occasione del rimorchio oceanico di due Liberty da Newark alla Spagna, i capitani dei due rimorchiatori della Mc Allisters', che tenevano affiancate le due navi, usavano alternarsi al nostro fianco sul M/r Vortice per pilotare il convoglio dalla Reserve Fleet, sino alla foce dell'Hudson.

Ci trascinammo d'allora la convinzione che le due attività fossero talmente simili e complementari da essere anche intercambiabili, quantomeno lo erano già da lungo tempo nel “nuovo mondo”. Questa idea americana superava, sulla base di una conclamata praticità, antichi stereotipi di scuola anglosassone, importate anche in Italia nell'800.
La famosa “nota” dei lavori emessa di sera dall'Ufficio Accosti del porto, era studiata a memoria dai barcaccianti per prevenire le possibili mosse…del destino, ma durante la giornata intervenivano le aggiunte e le cancellazioni di navi e l'analisi dei lavori in corso… riprendeva daccapo.

Dopo qualche anno d'esperienza, anche il più giovane marinaio in coperta era in grado d'indovinare esattamente il nome del pilota che si stava avvicinando al faro di Punta Vagno; le spie principali erano la rotta e la velocità. Da quel riconoscimento visivo, sul rimorchiatore ci si poteva prefigurare ed organizzare la manovra: dove si sarebbe preso il cavo, a quale andatura, dove la nave avrebbe girato, quante smacchinate avrebbe dato ecc… Lo stile del pilota Cavallari era unico. Pur essendo un appassionato velista, credeva soltanto nella propria potenza di macchina. Tirava per la tangente, accostava in velocità ed attaccava i rimorchiatori a volte nell'ultima fase della manovra.

Ricordiamo, in proposito, una giornata di foschia densa al Porto Petroli di Multedo, agli inizi degli anni '70. Il Porto era chiuso per ovvie ragioni di sicurezza. I rimorchiatori erano tutti legati in banchina. Improvvisamente si udì una serie di fischi. Era la petroliera Praga di 30.000 tonnellate che stava entrando senza i soliti quattro rimorchiatori attaccati ed aveva iniziato a girare in solitario per andare in banchina… Cavallari non fece scuola, tuttavia, in seguito, abbiamo avuto modo di capire che altri piloti preferivano manovrare “ liberi da qualsiasi legame ”, finchè era possibile…
La radio VHF, in effetti, aveva portato sicurezza, rapidità d'esecuzione, informazioni in tempo reale e chiarezza d'intenti, sia in manovra che in tante altre circostanze di lavoro, non solo tra piloti e rimorchiatori, ma anche tra le Autorità, gli Uffici tecnici ed i bordi in servizio, sia nella quotidianità, ma soprattutto nelle emergenze che non mancavano mai.

Tuttavia, mentre da un lato le comunicazioni portavano cultura marinara e maggiore conoscenza reciproca, si assisteva ad un lieve deterioramento dei rapporti umani, a causa più che altro della confusione tra il vecchio e il nuovo sistema di lavoro. L'anziano barcacciante non era abituato a sentirsi riprendere via radio da un giovane pilota ed il giovane comandante Rr aspettava l'ordine dell'anziano pilota che non era abituato a dare. I nomi dei barcaccianti, in definitiva, non rappresentavano più l'estensione della barca di un tempo, non solo, ma l'uscita di scena di tanti “senatori” delle due sponde aveva sballato il vecchio ordine, creando dubbi, incertezze e rivelando inoltre i limiti di una “timida” programmazione dei quadri.
In questo scenario, caratterizzato da un forte movimento sussultorio, si affermava il gigantismo navale dei containers e delle superpetroliere, innescato da quei sette anni di chiusura del Canale di Suez tra gli anni '60 e '70.

Ormai era impensabile riuscire a vedere il braccio del pilota vorticare alla distanza di 300/400 metri, e la radio ebbe la sua giusta celebrazione, anche perché il pilota non riusciva a vedere neppure i rimorchiatori attaccati di prua e di poppa, e doveva mandare un secondo pilota a prua in funzione di telemetro per le distanze dalla piattaforma di Multedo.

Era finita per sempre l'epoca romantica


Cinque generazioni di Capi Piloti, da sinistra: O.Lanzola, A.Baffo, G.Longo, A.Cavallini, A.Maccario/Five generations of pilots 

In questo periodo si riscontarono forti crisi istituzionali, scioperi, cali di traffico e poi finalmente l'assestamento, ed infine la ripresa del nostro porto; questi furono i fatti che caratterizzarono buona parte degli anni '80. I piloti si difesero da queste calamità, diminuendo l'organico da 34 a 22 unità, ma i dipendenti del Corpo Piloti da stipendiare: impiegati, pilotini, tecnici, e gli addetti ad altri servizi, rimasero in ogni caso una quindicina. Questo assillante motivo prettamente economico e legato al “rischio impresa”, poggiava tuttavia sull'antica tradizione del Corpo che era contrario a qualsiasi forma di sciopero e di sindacalismo politicizzato.

Con questi presupposti, i piloti perseverarono sulla loro strada solitaria e non aderirono, neppure per solidarietà agli scioperi degli altri servizi in corso in quegli anni. In quella situazione d'estremo disagio e contrapposizione molto sofferta su entrambi i fronti, i piloti s'assestarono in prima linea, soli sulle navi ed in banchina, durante i ripetuti scioperi del personale dei rimorchiatori. Per la verità furono anche sabotati dagli ormeggiatori, che non erano in sciopero, ma evitavano d'usare i gozzi d'ormeggio per solidarietà con il personale dei rimorchiatori. Non tutti in porto, ovviamente, capirono le necessità di sopravvivenza e rischio-fallimento dei piloti e purtroppo si aprì una ferita che impiegò molti anni a guarire e rimase come una cicatrice-ricordo nella storia portuale.

Abbiamo preso spunto da questi avvenimenti storici per ricordare che, in quelle non facili giornate, i piloti vissero, dal punto di vista professionale, paradossalmente, la fase più brillante della loro storia professionale. E' forse giusto ricordare che dagli scioperi dei dipendenti della Società Rimorchiatori Riuniti, furono esclusi i traghetti e le emergenze, ed è altrettanto utile ricordare che, da parte dei piloti, non si cercarono atti d'eroismo e neppure lavori degni d'encomi, riconoscimenti ufficiali o cose di questo tipo. Tuttavia, escluse le manovre ritenute impossibili, a causa del consueto utilizzo di quattro o più rimorchiatori, tutte le altre navi entrarono ed uscirono regolarmente dal porto, senza il minimo danno.

Da un lavoro di routine, basato sulla velocità e la sicurezza, i piloti passarono ad un sistema più lento e studiato nei minimi particolari. Tutto ciò fu possibile perché il pilota di turno, indipendentemente dall'età e dall'esperienza maturata, s'impegnò strenuamente nella preparazione della “sua” performance, partendo da quella manovra teorica che aveva studiato a scuola e dallo sfruttamento adeguato della tecnologia della “sua” nave.

Il pilota di turno non spinse mai il comandante ad entrare in porto, oppure ad uscire senza l'aiuto dei rimorchiatori. Il pilota, ascoltava le caratteristiche della nave:


•  Effetto elica, eventuale potenza del Bow Thruster (elica di prora).


•  Velocità timone.


•  Potenza macchina alle varie andature.


•  Pescaggio.


•  Superficie velica.


•  Caratteristica dell'ancora per l'eventuale dragaggio, o girata ecc..


Con questi dati, il pilota esponeva al comandante la “sua” soluzione, adattandola, ovviamente, alle condizioni del vento e della corrente di quel momento.

Ogni pilota che rientrava in Torretta ripeteva come un ritornello ciò che il comandante gli aveva appena chiesto:

“Pilota, se te la senti di portarmi fuori (o dentro) senza rimorchiatori, io sono a tua disposizione !”. In quelle giornate d'estrema tensione nervosa, i piloti scoprirono il loro enorme potenziale professionale.
Lasciamo il ricordo di una di quelle giornate al pilota O. Lanzola:

“Di quelle giornate, veramente stressanti, ne ricordo una in particolare. Era un sabato del giugno 1986 e il vento di scirocco soffiò dall'alba al tramonto sui 20/25 nodi. Alla fine del turno giornaliero, contammo 54 lavori eseguiti, tra arrivi e partenze. Tra cui una decina di navi passeggeri: le “vecchie” a turbina, Amerikanis, Britanis, Ellinis, girate tutte sull'ancora davanti a Ponte dei Mille, e poi Eugenio C.- Enrico C.- Ausonia ecc..

Si era così precipitati improvvisamente Nel Terzo Periodo. Le distanze erano aumentate anche sul piano umano. Erano venute a mancare le pacche amichevoli sulle spalle del barcacciante, la stecca di sigarette e quel sorriso che esprimeva stima, amicizia e simpatia. Per necessità di tempo e di traffico, i piloti preferivano rientrare dagli arrivi con il taxi, per ripartire subito dalla torretta verso l'imboccatura.





Potenza, manovrabilità, eleganza. Con l'avvento del “Modello Tractor”, il servizio di rimorchio nel porto di Genova si è allineato allo standard dei maggiori porti del mondo/The new model "tractor".

Ed i giovani comandanti Rr, a bordo dei nuovi “tractors” con le prore alte, evitando di sbarcare i piloti, salvavano volentieri la prora dai danni contro la banchina di molo Giano. Si chiudeva così, per ragioni di servizio, un dialogo che era stato per decenni soprattutto un approfondimento, un commento, una vera lezione reciproca di manovra. I Tractors, pur avendo un nome ed un numero, erano tutti uguali nello scafo ed il pilota, nel dubbio di sbagliare gli ordini preferiva scandire l'ordine così: “ Prora a dritta, voga più in banchina!” – “Poppa a sinistra, allarga bene!” Si era finiti così nel più totale anonimato! Non c'era più tempo e spazio per i rapporti umani di un tempo, quello dei sentimenti vissuti, degli aneddoti, dei revival storici, degli scambi d'idee, degli stessi commenti alla manovra, delle notizie dei figli ecc…

In quella fase transitoria di rinnovamento tutto era trasformato in esasperata robotica, in pause vuote d'umanità, in silenzi freddi che parlavano sempre e solo di tempo perso. Si era aperta, in quella prima metà degli anni '90, una stagione tecnologica sulla quale occorreva ricucire un tessuto nuovo, per una generazione di manovratori computerizzati, tutto sommato, più aperta, più istruita e forse anche più democratica. Anche la parola barcacciante cadeva in disuso, perchè forse neppure gli stessi comandanti-Rr, un buon numero dei quali era uscita dal Nautico, ne conosceva l'etimologia storica.


Simi de Burgis, Pignatelli, Baffo jr. Ruggeri (prematuramente scomparso), Gatti jr, Calcagno, fanno parte della generazione di piloti genovesi del terzo millennio/New generation of pilots.

Qui ci fermiamo e lasciamo ad altri il compito di raccontare le gesta degli attori e testimoni oculari della storia del nostro porto nel nuovo millennio. Ecco! Avevamo parlato all'inizio dei rimpianti della Via Gluck oltre la cinta portuale. Per la verità, mentre scorrono le ultime immagini di questo film del nostro tempo, rivediamo tanti volti di piloti e barcaccianti e sentiamo, all'interno del confine ormai “abbattuto”, una grande nostalgia della loro umanità.

Com.te Carlo Gatti (2/2007)

Rapallo, 14 Marzo 2021

 


Una Storia di "CASE DI CAMOGLI"

UNA STORIA DI

CASE DELLE MOGLI

immagine "Case di Camogli"

archivio Ferrari

Senza invadere il territorio storico della Camogli antica, ipotizziamo invece per un momento che il nome del centro marinaro derivò da "case delle mogli".

Diviene pertanto facile accoppiare due personaggi della classica condizione Camogliese di fine '800: un promesso sposo imbarcato su un veliero in giro per il mondo e la promessa moglie, in attesa del suo ritorno in una casa a picco sul mare.

Ma attenzione, non si deve considerare l'apprensione di quelle mogli come la raffigurazione di un dipinto romantico Ottocentesco, cioè dove erano riprodotte le pazienti donne con lo sguardo perduto oltre la finestra sul mare, quasi ad amalgamare speranza e devozione. Molte consorti dei Capitani Camogliesi invero, imbarcarono insieme con i loro mariti in avventurose navigazioni Oceaniche o altre, furono addirittura rappresentanti dei loro sposi Armatori.

Ed ecco quindi una vicenda vissuta che accomuna tutto quanto detto sopra.

Due importanti Casati Camogliesi avevano compartecipato alla costruzione ed alla gestione di un veliero. Fin qui, tutto normale, diremmo, ma ecco invece che gli interessi economici vengono consolidati anche da un'alleanza di famiglia. Una delle ragazze più belle della Città, di uno di quei due Casati, diede promessa di matrimonio al figlio dell'Armatore del Casato consociato.

Il veliero, quando fu pronto a prendere il mare, venne infatti chiamato "Promessi", proprio in auspicio dì quel promettente legame. I due giovani avevano anche fatto progetti sul futuro: per mitigare nostalgia e lontananza, si sarebbero - una volta sposati - imbarcati insieme proprio sul "Promessi" negli itinerari del Mar Nero.

Il Capitano partì, ma purtroppo - durante una tempesta - un'implacabile scogliera Irlandese distrusse la sua nave e la sua vita.

Quando la notizia della tragedia giunse a Camogli, la giovane si chiuse nella sua casa e nel suo dolore. E due mesi dopo chiuse gli occhi, ormai già spenti dalla devastante tristezza.=

-testo tratto da:

"Capitani di Mare e Bastimenti di Liguria"

di G.B. Ferrari;

BRUNO MALATESTA

Capitani di Camogli

 

Rapallo, 27 febbraio 2021


ALCUNE SUPERSTIZIONI E CREDENZE MARINARE

ALCUNE SUPERSTIZIONI E CREDENZE MARINARE

Navigando lungo le coste del nostro Paese, ma anche in tutto il Mediterraneo, si notato approdi in cui certe attività di trasporto e di pesca si realizzano, a tutt’oggi, con quelle caratteristiche secolari costruttive e decorative che ci riportano all’epoca dei Fenici e dei Greci che non mancavano mai di fregiare le loro prore con gli occhi apotropaici, grandi, quasi mostruosi per allontanare gli spiriti maligni.

Oggi parliamo di alcune superstizioni, credenze e leggende marinare che ancora sopravvivono nella marineria locale lungo la costa dei nostri mari.

Il trabaccolo ha mantenuto per secoli alcuni elementi apotropaici (che dovevano allontanare la mala sorte) tipici di tutte le imbarcazioni mediterranee. Fra questi gli occhi di prua (da non confondere con gli occhi di cubia).



Ma perché proprio gli occhi?

La barca era considerata da pescatori e naviganti un’entità viva, dotata di una propria anima.

Quindi la prua è la prima a vedere i pericoli e chi sta di vedetta deve, guardare e capire dove sono gli ostacoli dei fondali e i cambiamenti del tempo atmosferico! Non solo, ma con i suoi “occhi” l’imbarcazione controlla la rotta ed evita le trombe marine e “ammascona”* la prora contro le onde del mare quando volge in burrasca oppure in tempesta col pericolo di farla naufragare.

Dall’alba dei tempi i marinai temevano anche i tremendi mostri marini che, secondo antiche leggende popolano le profondità marine, come testimoniano le antiche cartografie medievale e rinascimentale.

*Per mascone, su un'imbarcazione, si intende la parte dello scafo compresa tra il traverso e la prua. Vi sono, quindi, un mascone di sinistra e un mascone di dritta. Il mascone è la parte contrapposta al giardinetto di poppa. In caso di mare masso, con le imbarcazioni a vela e a motore si prende l'onda al mascone per ridurne il beccheggio e il rollio e migliorarne la stabilità.

Fino al primo Novecento, per esempio, la “pernaccia” *di prua veniva decorata con una “cuffia” o un pelliccione” per proteggere il legno:

Questa pratica, al contempo, funzionale ed ornamentale, evocava però l’antico rituale pagano di sacrificio alla divinità, in questo caso un agnello al momento del varo della barca per poi inchiodarlo sopra l’asta di prua per propiziare la navigazione.


*Dalle nostre parti, l'estensione del dritto di prora è chiamata "pernaccia".

Pratiche e simbologie pagane (come la sirena) convivevano con l’offerta alla Madonna del mare affinché proteggesse l’equipaggio dalle trombe marine e dai naufragi o con la costruzione, insieme allo scafo, di una chiesuola che custodiva l’immagine del Santo protettore.

*La chiesuola a bordo: forse il termine nacque per evocare un simbolo religioso, é la custodia di metallo diamagnetico che protegge e sostiene la bussola magnetica navale.

Quando si affrontava la tempesta in mezzo al mare, alla preghiera si univa il gesto rituale, retaggio del mondo classico, di “rompere” i vortici con il forte suono di trombe o tamburi o di “tagliare” le onde con coltelli appuntiti.


In Spagna è ancora in uso questo rituale di battesimo

La foto mostra una scultura sulla sommità dell'asta raffigurante un vello di pecora. Questo elemento sembra derivi dall'usanza di sacrificare un animale al momento del varo e poi legarne il vello attorno alla cima dell'asta di prua. Vello che poi si trasformò in una scultura lignea. ricordiamo che la nave, ma anche la più piccola barchetta, è il solo manufatto umano che viene battezzato e ha un nome proprio.


Dettaglio di prua di trabaccolo. Si notino gli occhi e il pelliccione dipinto, ricordo che il "legno a vista" così come il mattone a vista e le statue bianche, sono invenzioni recenti. Tutto nel passato era dipinto comprese le statue greche e gli stemmi o bassorilievi che vediamo a Venezia ormai dilavati e bianchi.


Pelliccione apotropaico di trabaccolo. Museo storico navale di Venezia


Pelliccione conservato al Museo di Cesenatico


Pelliccione di trabaccolo conservato al Museo di Pirano


Pelliccione apotropaico di trabaccolo. Museo storico navale di Venezia

Sotto, due ex voto provenienti dal Santuario della Madonna dell’arco di Napoli nei quali si vede il vello legato all’asta di prua



Col passare dei secoli, in occidente ci fu un’evoluzione, lasciando il posto al cosiddetto malocchio, contro il quale gli occhi apotropaici costituivano un indispensabile antidoto da una cultura marinara legata essenzialmente alla superstizione. In seguito anche il malocchio passò di moda ed il buon marinaio, legato alle tradizioni dei propri avi, giustificò quegli occhi affermando che: senza di essi la barca non vedeva e non avrebbe più potuto evitare gli ostacoli.

Infine la storia ci racconta che per fronteggiare le immani forze del mare i marinai si convertirono ad un particolare sistema fatto di magia e di religione, in cui i simboli arcaici, le credenze popolari e i rituali magici si mescolavano alla devozione religiosa, al culto della Vergine e dei Santi.


Sestri Ponente (Genova) - Il VARO DEL REX

1 agosto 1931

E quando a fine ottocento s’imposero i bastimenti in ferro, gli occhi non furono più dipinti, ma i nostri marinai non rinunciarono a quella “azione protettiva” e gli occhi apotropaici diventarono gli occhi di cubia*.

Nella foto, li occhi di cubia del REX rappresentano quindi l’eredità, il marchio della tradizione secolare dei marinai del Mediterraneo e non solo.

*La cubìa, detta anche occhio di cubìa, è l'apertura presente sulla superficie dei masconi delle navi dove trovano alloggio le àncora.

Il colore rosso, con cui spesso si usa dipingere l'opera viva delle imbarcazioni e delle navi, è una reminiscenza di quando di aspergeva la chiglia con il sangue di un animale, sacrificato per ingraziarsi le divinità; si passò poi ad aspergere la nave con vino rosso, che ricordava il colore del sangue sacrificale. L'uso odierno di infrangere sulla prora una bottiglia di spumante è riconducibile al solo fatto che è una visione più spettacolare al momento dell'impatto, poiché la schiuma è ben visibile anche da lontano. Pertanto, oggi, colorare di rosso la carena della barca con l'antivegetativa, oltre al fatto che porta bene, rispecchia anche un’antica tradizione marinara che si perde nella notte dei tempi. (Giorgio Blandina)


Il varo è quell’evento con cui una nuova imbarcazione entra per la prima volta in mare, pronta per accogliere marinai e ospiti. Solitamente questa cerimonia è accompagnata da una sorta di battesimo in cui viene annunciato il nome della nave. Per concludere si infrange una bottiglia di vino contro la prua.

Si tratta di una tradizione antichissima che però, nel corso dei secoli, ha subito importanti variazioni. Originariamente, infatti, il rito prevedeva che venisse sacrificato un animale e il suo sangue sparso sulla prua. Un sacrificio in onore degli dei che, in questo modo, avrebbero protetto la nave e il suo equipaggio dalle intemperie e dalle difficoltà che avrebbero potuto incontrare durante il viaggio. Addirittura, i Romani, oltre al sacrificio dell’animale, erano soliti spargere lungo le loro imbarcazioni occhi di cinghiali, cigni o delfini come dono alla barca. Il significato risiede ancora una volta nelle possibili difficoltà incontrate durante la navigazione: dotare la nave di occhi era un tentativo di garantire maggiore sicurezza, soprattutto quando la visibilità era scarsa e il marinaio non era in grado di riconoscere la rotta. In questi casi, si credeva che gli “occhi della nave” avrebbero permesso di intraprendere il tragitto corretto.

Col tempo si affermò anche una versione che possiamo definire “cristiana” di questa cerimonia: alti prelati venivano invitati a benedire e a “battezzare” la nave, con l’imposizione del nome per sancire il suo riconoscimento e il suo ingresso nel mondo marino.

Gli ex voto, infine, ci raccontano come su tavolette in legno venissero dipinti gli incidenti o gli imprevisti durante la navigazione e l’intervento provvidenziale, una sorta di deus ex machina, di un Santo o della Madonna per salvare la barca e il suo equipaggio.

Questo universo di pratiche e credenze ci parla della paura e dell’incertezza che da sempre hanno segnato la complessa interdipendenza fra uomini e mare, ma anche di un profondo sentimento di rispetto nei confronti di una forza naturale come quella marina che diventa rispetto verso una forza che svela i limiti del mito moderno del controllo dell’uomo sulla natura e la fragilità umana dinnanzi ad essa – un grande insegnamento, questo, nell’era dell’Antropocene.*

*Antropocene. L'epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all'aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell'atmosfera.

TROMBE MARINE -ANTIDOTI
Antiche credenze|


In tempi antichi si pensava che le trombe marine fossero dei mostri marini. Nel 1687 il pirata ed esploratore inglese William Dampier riportò sulla carta nautica l'avvistamento di una tromba marina, scrivendo:

«Una tromba è un piccolo pezzo sfilacciato di nube, che pende come un pennone dalla parte più nera di essa. Di solito pende inclinandosi. Quando la superficie del mare comincia a muoversi, vedrete l'acqua, per circa cento passi di circonferenza, schiumeggiare e girare in tondo prima piano, poi più velocemente, fino a quando vola verso l'alto a formare una colonna. Così continua per mezz'ora più o meno, fino a quando l'aspirazione cessa. Allora tutta l'acqua che stava sotto la tromba cade di nuovo in mare, provocando un gran rumore e movimento disordinato del mare».

Si sperimentarono vari metodi per dissolvere le trombe marine, dalle cannonate all'urlare e pestare i piedi sul ponte delle imbarcazioni; ma su quest'ultimo metodo perfino Dampier commentò:

«Non ho mai sentito dire che si sia dimostrato di qualche utilità».

Tuttavia, la tromba marina é ancora oggi l’incubo dei pescatori, perché porta con sé morte e distruzione. L’unico antidoto é la forza dell’irrazionale espressa da speciali rituali … sul
e di sua proprietà.

A Bari, nei vicoli dell’angiporto, regno dei pescatori, si tramandano ancora i riti propiziatori:

Navigando sul

Queste spiegazioni le ho trovate navigando sul web:

Contro il diavolo ingannatore è buona cosa abbassarsi i pantaloni e mostrare il deretano, sempre in direzione della tromba marina - prosegue il giovane - Mentre si compie questo gesto va recitata intensamente una preghiera: "Padre nostro, Padre nostro che stai in cielo, in terra e in mare, guardaci dal diavolo. Padre nostro, Padre nostro taglia la coda al diavolo”.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Questa non é male…

“Per i marinai è d'obbligo non rasarsi i capelli prima di prendere il largo. In caso di burrasca infatti ci si taglia una ciocca e la si getta in acqua: in pratica è un'offerta al mare che ha l'effetto di placare il suo “spirito” - .Notizia pubblicata

Anche le pietre celesti…

“Le bufere possano essere scacciate persino con degli oggetti. Sulle imbarcazioni per esempio capita che venga caricata l'acquamarina, una pietra celeste considerata come talismano in grado di mantenere calmo il mare sin dai tempi dell'antica Grecia. Le sue "modalità d'uso" furono descritte da Plinio il Vecchio: durante le notti di luna piena la gemma va immersa nel mare o in una bacinella con acqua e sale per essere purificata. Alcuni marinai la usano per farsi una collanina porta fortuna”. pubblicata sul portale

Così ci racconta Nicola…

“In caso di perturbazioni violentissime con un coltello traccio sulla poppa della mia barca una stella a cinque punte. Si tratta della rappresentazione simbolica di un uomo con testa, braccia e gambe e viene disegnata durante l'invocazione di un santo protettore. A quel punto lancio un coltello nel tentativo di centrare il "cuore" della stella: se riesco a colpirlo potrò beneficiare della grazia richiesta e la tromba marina cambierà direzione”. pubblicata sul portale

E’ la volta dei comportamenti di alcuni uccelli che si nutrono sulla scia dei pescherecci…

Tre uccelli che svolazzano sul natante presagiscono incidenti mortali. La stessa premonizione deriva dall'eventuale uccisione da parte dell'equipaggio di gabbiani e albatri, visti come la reincarnazione delle anime di pescatori deceduti in passato. pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
E occhio ai gatti, che pur non amando l'acqua vengono ospitati sui pescherecci per la loro utilità nel segnalare l'arrivo della pioggia: in quest'ultimo caso si mettono a soffiare insistentemente, mentre con la bonaccia di solito si sdraiano rilassati. I felini però dovrebbero essere curati e coccolati, altrimenti col potere magico delle loro unghie affilate potrebbero attirare una tempesta catastrofica”.

Ritorniamo alle Trombe Marine

IN PASSATO, MA SAPPIAMO CHE ESISTE ANCORA, L’ESORCISTA CONTRO LE TROMBE MARINE.

Di fronte alla minaccia delle trombe marine, viste come segni del demonio, in passato i marinai si affidavano a rituali che ricordano veri e propri esorcismi, Per questo motivo spesso i marinai portavano con sé un caratteristico coltello dall’impugnatura nera, noto come la cultellë di sandë libborië, utilizzato per esorcizzare, letteralmente, l’eventuale tromba marina.

In ogni caso il rituale era così diffuso che persino Cristoforo Colombo ne fece uso. Nel 1502, durante il suo quarto viaggio nelle Americhe: il navigatore genovese incontrò una potente tromba marina in pericoloso avvicinamento alla sua nave e procedette quindi con il rituale d’esorcismo: anziché fare il gesto di tagliare il vortice egli però tracciò un cerchio tutt’attorno a sé e, narra la leggenda, come per miracolo la tromba marina risparmiò la nave, passandole accanto senza colpirla.

TAGLIO DELLE TROMBE D’ARIA

Un fenomeno poco indagato dagli studi antropologici è il cosiddetto taglio delle trombe d’aria, rituale segreto ma ancora oggi utilizzato da alcuni uomini di mare lungo le coste dell’Italia meridionale.

 

RITI TAGLIATROMBE E TRADIZIONI CHE SOPRAVVIVONO…


Tagghiari una tromba marina

La cura di Drau è un fortissimo temporale con vento impetuoso, che al suo verificarsi

è capace di affondare qualsiasi cosa incontra, barche, navi, ma anche tetti di case ecc.

La persona competente, di solito un marinaio, conosce la preghiera adatta.

Porzione da recitarsi durante una Tromba Marina: La Cura di Drau

Lu patri è putenti, lu figghiu è mputenti,

pi lu nomi di Gesu Giuseppe e Maria

tagghiu sta cura e n’atri centu com’a tia

 

“Per tagliarla”, ossia per farla scomparire, sale su un posto elevato e, guardando la tromba, si fa il segno della croce e recita:

“Lunniri è santu,

Martiri è santu,

Mercuri è santu,

joviri è santu,

Vennari è santu,

Sabatu è santu,

la Duminica di Pasqua,

sta cura a mari casca

e pi lu nomu di Maria

sta cura tagghiata sia”.

Poi prende un coltello e fa tre tagli orizzontali con gesto simbolico per tagliare la tromba marina.





 

“Potenza di lu Patri, sapienza di ku Figghiu, virtù di lu Spiritu Santu, e vui tutti li Santi livatimilla di cca davanti”.

Concludiamo questo nostro viaggio ad Amalfi, tra le credenze popolari più note stralciando da un sito locale alcuni passi di notevole suggestione.

Chi si dedicava alla pesca, fino a qualche decennio fa, era considerato depositario di conoscenze magiche, forse perché doveva confrontarsi con le forze della natura e non rimanerne sopraffatto: non a caso erano i pescatori le persone in grado di “spezzare” una tromba marina appena si formava all’orizzonte.

Ovviamente, al primo avvistamento, veniva chiamato in causa il pescatore che conosceva la formula liberatoria per spezzare la tromba marina appena si formava all’orizzonte.

Il pescatore usciva in barca, avvicinava la coda del vortice e, dopo essersi fatto per tre volte il Segno della Croce e aver pronunciato una formula di cui era a conoscenza, assolveva al compito per cui era stato chiamato. Non tutti i pescatori erano in grado di compiere questo rito, infatti occorrevano due caratteristiche che rendevano questi personaggi “speciali”: il non essere stati battezzati e l’avere lunghi baffi rivolti all’insù.

Sulla prima caratteristica ognuno dice la sua… ma nessuno ci giurerebbe su… anche perché le trombe marine venivano spezzate da pescatori non battezzati…

Sulla seconda si azzarda qualche stranezza…: i baffi sono spiegate come una sorta di antenne rivolte verso l’alto, verso cioè un altro mondo da cui provengono misteriosi poteri.

Esistono sul posto testimoni di eventi meteorologici che, dopo essersi formati all’orizzonte, improvvisamente hanno mostrato prima un assottigliamento della parte finale della Tromba e poi la rottura. Un amico sostiene: “nei racconti dei nostri nonni era stato un pescatore del luogo ad operare la rottura e a salvare l’intero paese da danni sicuri”.




TROMBA MARINA E TROMBA D’ARIA

sono la stessa cosa - la prima é situata in mare


Le trombe
non tornadiche, (le nostre), dette anchewaterspout”, invece, si formano soprattutto grazie all'elevata temperatura della superficie marina, che può fornire notevole energia a sistemi nuvolosi in apparenza di scarsa consistenza portando al contrasto aria calda ascendente (marina) e aria fredda discendente (della perturbazione), dando quindi origine a moti vorticosi favoriti anche dall'assenza di corrugamenti ed ostacoli in mare. In questa situazione la forma della tromba d’aria sarà assottigliata, molto contorta e poco potente, ma tuttavia in grado di provocare danni significativi a persone o cose. Contrariamente a quanto si tende a credere, ad eccezione degli spruzzi sollevati in prossimità della superficie, l’acqua presente nella colonna proviene dalla condensazione provocata da una pressione molto bassa all’interno della massa d’aria turbinante e non da un’aspirazione dell’acqua di mare su cui si genera.

Molto spesso le trombe marine si sviluppano in un contesto di calma di vento ed è per questo che possono risultare molto pericolose per le imbarcazioni a vela. L’unico vento apprezzabile, infatti, è quello che si dirige verso la base della tromba e risulta quindi difficile sfuggire al vortice. I venti rotanti all’interno della colonna possono raggiungere i 250 km/h, mentre la velocità di traslazione è piuttosto bassa, intorno ai 20-30 km/h, e la lunghezza, dalla superficie del mare alla base della nube, va da 300 m a circa 700 m, mentre il diametro è di qualche metro in superficie fino a quasi 300 m in corrispondenza della parte inferiore del cumulonembo.

Una tromba marina dura in genere dai 2 ai 20 minuti, ma spesso si esaurisce in circa 4 minuti. A volte possono formarsi “famiglie” di trombe marine, composte da tre o quattro elementi, ma in qualche caso ne sono state osservate sulla stessa zona addirittura quindici.

Nella foto in alto, una delle tante trombe marine che nell'estate 2014 si sono formate di fronte alla costa marchigiana; questa nello specifico è stata fotografata da un peschereccio a 20 miglia al largo di Ancona la mattina del 22 Luglio.

Per approfondire

Trombe d'aria e tornado spiegati dal Capitano Paolo Sottocorona
Un tornado a Lignano
Tornado: tra i fenomeni più distruttivi

 

Ci fermiamo qui - segnalando 8 superstizioni marinare che potrebbero stimolare ancora un po’ la vostra fantasia…

Strane e meno strane, di superstizioni marinare ne esistono un’infinità ma tutte hanno una spiegazione logica o storica. Purtroppo, essendo credenze tramandate verbalmente, non è così facile risalire alle origini e occorre procedere per ipotesi, unendo le poche informazioni alla conoscenza del contesto storico.

PORTA SFORTUNA:

CARLO GATTI

Rapallo, 15 Ottobre 2020


MARY CELESTE - UN MISTERO MAI SVELATO

MARY CELESTE

Un mistero mai svelato…


Il brigantino goletta MARY CELESTE in un dipinto d’epoca quando si chiamava AMAZON

 

Mary Celeste non è solo il nome di un veliero, ma il nome di un mistero ancora oggi irrisolto.

È il 1872 quando la nave viene ritrovata a vagare nell’oceano Atlantico, senza traccia dell’equipaggio a bordo, motivo per cui in seguito la sua storia diventerà famosa.

Anche prima di tale evento, questa imbarcazione dimostrò, in diversi episodi, di non essere nata tra le grazie della Dea Bendata: una nave sfortunata, soprattutto per i suoi equipaggi che la scelsero come casa.

 

Fu costruita nel 1861 da Joshua Dewis, nel porto di Spencer, una piccola comunità locale nella Nuova Scozia. Mary Celeste, occorre precisare, non è il primo nome che ebbe scritto sullo scafo a prua e a poppa, infatti, la nave fu chiamata “Amazon” dal giorno del suo varo, nel 1861, fino al 1869.

Considerato un veliero maledetto nell’ambiente marinaro, attira le prime attenzioni quando Robert McLellan (primo Comandante della nave) contrae la polmonite solo nove giorni dopo averne assunto il comando, una polmonite che presto gli sarà fatale.

Fu il primo di tre comandanti che morirono a bordo del veliero escludendo Benjamin Briggs perché disperso in mare.

C’é di più, durante uno dei suoi primi viaggi, il brigantino entra in collisione con una barca da pesca, motivo per cui deve ritornare in cantiere, dove però scoppierà un incendio durante i lavori di routine che distruggerà una parte importante dello scafo e che lo terrà ancora per diverse settimane lontano dal mare.


La nave poi, passata a nuovi capitani, vive sei anni di viaggi importanti finché nel 1867, durante una tempesta, si arena a Sud del Canada, di conseguenza, viene venduta per 1,750$.

L’anno successivo, la nave passa a nuovi proprietari:

-Sylvester Goodwin

-Daniel T. Sampson

-James H. Winchester

-Benjamin Spooner Briggs (Capitano della nave)


Una volta acquisita la proprietà, il veliero verrà rinominato Mary Celeste con cui presto inizierà una nuova fase della sua vita.

L’intento dei partners, era quello di utilizzare la nave per commerciare con i porti dell’Adriatico, intraprendendo quindi lunghi viaggi oceanici.


Foto della Mary Celeste nel 1869.

 

L’Ultimo Viaggio Della Mary Celeste


La Mary Celeste, come abbiamo raccontato, non era mai stata una nave fortunata, ma soltanto nel 1872 raggiunge la più completa notorietà “negativa” diventando uno dei più chiari esempi di “nave fantasma”.

Il 5 novembre il brigantino salpa con 10 persone a bordo, tra cui 8 marinai e la famiglia del comandante Benjamin Briggs che comprende la figlia Sophia Matilda di appena due anni, e la moglie Sarah E. Briggs di quasi trentuno.

La nave viaggiava con 1.701 barili di alcol industriale nelle stive, un carico dal valore che si stima intorno ai 50.000$ dell'epoca e che, secondo la rotta prestabilita, partito da Staten Island, sarebbe dovuto arrivare a Genova nella seconda metà di dicembre.


Poco meno di un mese dopo, a discapito di quanto sarebbe dovuto normalmente accadere, la Mary Celeste fu ritrovata ancora “navigabile”, ma l’equipaggio era svanito nel nulla.


Nonostante sia passato un mese, dal momento in cui la nave salpò dagli Usa, al momento in cui fu ritrovata non lontana dalle Isole Azzorre, si sa per certo che tutto successe nel giro di una settimana, o più probabilmente, di una notte.

Sul diario di bordo del cuoco/cambusiere della nave Edward W. Head, che l’avvista per prima, l’ultima annotazione sulla Mary Celeste risale al 25 novembre.

La nave viene poi ritrovata il 4 dicembre dalla nave Dei Gratia a circa 600 miglia dalle coste portoghesi.

Il capitano della Dei Gratia, David Morehouse, salì a bordo della nave insieme a due marinai del dell’equipaggio e rimase quasi impietrito davanti alle condizioni della nave.

Le vele, ridotte a stracci fradici, continuavano a gocciolare, come per infierire sul resto della nave che già grondava acqua.

Il cibo era ancora nei piatti, i letti erano sfatti e gli oggetti personali ancora al proprio posto.

Nelle annotazioni precedenti trovate a bordo, non venne nominata alcuna causa che a lungo andare avrebbe potuto giustificare l’accaduto e questo esclude l’esistenza di un virus all’interno della nave oppure di un avvelenamento. Le pietanze, rimaste nei piatti, dipingevano uno scenario bizzarro, dove sembrava che l’equipaggio, da un momento all’altro, avesse deciso di abbandonare il veliero.

Di conseguenza si é indotti a pensare ad un frettoloso abbandono nave da parte dell’equipaggio per un motivo sconosciuto, e che poi il vascello abbia vagato sotto la spinta di venti e correnti per circa sette giorni ma, da calcoli effettuati dagli esperti, negli ultimi due giorni avrebbe invertito la rotta tornando indietro e ripercorrendo le ultime 100 miglia prima di essere avvistata.

Tutte le teorie circa la scomparsa delle 10 persone, si vedono accomunate nel pensare che scappare dal brigantino fosse una mossa estrema dovuta probabilmente alla paura che la nave potesse affondare da lì a poco....

Tutte le teorie quindi girano intorno ad un avvenimento tanto grave da indurre l’equipaggio ad abbandonare il brick, forse solo provvisoriamente?


Recupero ed Arrivo della MARY CELESTE a Gibilterra

Una parte dell’equipaggio della Dei Gratia fu incaricata di portare la nave abbandonata a Gibilterra. Il viaggio si concluse felicemente e pochi giorni dopo il procuratore generale Frederick Solly Flood aprì un’inchiesta sul caso che nel frattempo suscitò un clamore enorme negli ambienti marittimi di tutto il mondo.

Furono tre le ipotesi intorno a cui il procuratore girò intorno per qualche mese.

  • La prima ipotizzava che l’equipaggio si fosse ubriacato con l’alcol contenuto nei barili trovati vuoti e che in seguito, una volta perso il controllo, avrebbe ucciso gli ufficiali per poi naufragare a bordo della scialuppa poche ore prima della tempesta. In ogni caso, ciò fu impossibile dato che l’alcol contenuto nei barili, non era abbastanza in quantità e neanche abbastanza forte per procurare una sbornia tale da causare la tragedia.
  • La seconda ipotesi era quella che i due capitani delle corrispettive navi si fossero precedentemente messi d’accordo per ingannare le agenzie assicurative, ma essendo Briggs comproprietario della nave, avrebbe guadagnato una misera cifra dall’assicurazione, che divisa tra i due uomini e i propri equipaggi, si sarebbe dimostrato quasi come un’inutile perdita di tempo.
  • L’ultima ipotesi, la preferita di Flood, teorizzava che gli uomini della Dei Gratia avessero ucciso quelli della Mary Celeste in cerca della ricompensa per averla riportata indietro, ma in mancanza di prove, anche questa venne scartata dalla procura, lasciando il caso ufficialmente irrisolto.


Una volta chiusa l’inchiesta la nave tornò nelle mani di uno dei quattro armatori: Mr. Winchester che, anche a costo di svenderla, cercò di liberarsene il più in fretta possibile.

Nonostante quello di Winchester non fosse che un regalo, un brigantino del genere venduto a meno di un terzo di quanto i 4 proprietari lo pagarono, non fu comunque facile sbarazzarsene dato che 17 marinai rifiutarono d’imbarcarsi, convinti che la nave fosse maledetta.

Passa comunque di proprietario in proprietario fino al 1885 quando il suo ultimo, un certo Gilman C. Parker tentò di compiere una frode facendo sbattere la Mary Celeste contro una scogliera.

Lui e suoi due soci finirono però in tribunale nel momento in cui le agenzie assicurative si accorsero della truffa; la cosa strana é che nonostante l’illecito, il Giudice rilasciò i 3 uomini.

Nel giro di poco tempo, questi persero tutto: uno dei tre finì in manicomio, un altro si suicidò e Gilman C. Parker morì nel giro di pochi mesi.


Incisione della nave il giorno del ritrovamento (5 dicembre del 1872)

Le varie Ipotesi dell’abbandono della Nave ….


L’Ipotesi più credibile è quella che ipotizza la presenza di una tromba marina nella notte del 25 novembre, durante la quale, la nave avrebbe dato all’equipaggio la certezza di affondare, una ragione più che valida per fuggire su una lancia e lasciare il brigantino al suo destino.

Secondo le testimonianze di navi in zona, pare certo che durante la stessa notte ci sia stata una tempesta, con presenza di trombe marine.

Ad accreditare questa teoria c’è il ritrovamento di una sonda in una delle stive di bordo; com’é noto, detto strumento serve per misurare l’altezza dell’acqua penetrata nei locali interni della nave.

Tuttavia, la teoria perde consistenza nel momento in cui l’equipaggio avrebbe deciso di lasciare il brigantino per salvarsi a bordo di una scialuppa, perché la Mary Celeste, in collisione contro una tromba marina, avrebbe offerto più riparo e più speranza di vita di una piccola scialuppa che non avrebbe resistito a lungo sotto i colpi di mare e alla forza del vento di quel fenomeno meteo così violento.

Briggs era considerato da tutti un capitano molto esperto che non avrebbe mai commesso un simile errore.

Proprio per questo motivo si pensa che la causa dell’abbandono-nave poteva essere un’altra e che la tempesta sia arrivata nelle ore successive al loro abbandono, dove avrebbe potuto prendere facilmente il sopravvento sulla scialuppa, la quale non avrebbe pertanto fatto in tempo a raggiungere la terraferma o un’altra imbarcazione.


Un’altra teoria - Considerata anche questa tra le più valide - è quella riguardante un finto incendio causato dalle esalazioni dell’alcol.

Dei 1701 barili che formavano il carico, 9 furono trovati vuoti.

Questi nove, oltre al contenuto, avevano di diverso dagli altri barili il materiale con cui erano costruiti: legno di quercia rossa e non quercia bianca, come gli altri.

L’ipotesi più plausibile riguardante questi fumi è che i vapori interni di questi nove barili abbiano riempito la stiva fuori uscendo da questo locale appena ne avrebbero avuto occasione, magari per un controllo in stiva oppure attraverso degli spifferi, i fumi avrebbero invaso in un secondo la nave spaventando tutto l’equipaggio.

L’ignoranza del tempo su certi prodotti industriali di ultima generazione, lasciò spazio alla fantasia del Capitano che si spaventò del fatto che la nave potesse esplodere.

I fumi, in realtà innocui, spinsero il Capitano, con la sua famiglia ed il resto dell’equipaggio, ad allontanarsi dalla nave a bordo della scialuppa che non fu trovata a bordo della nave.

Ipotesi sulla possibile dinamica

Si allontanarono quindi un centinaio di metri dalla nave, legati a questa con una cima da rimorchio nell’attesa che si potesse ritornare a bordo del veliero una volta passato il pericolo di una eventuale esplosione.

In seguito, il cielo come il mare avrebbe preso un colore più scuro mentre le onde come le nuvole avrebbero cominciato ad incresparsi.

La tempesta segnalata arrivò quando ancora l’equipaggio della Mary Celeste era a bordo della scialuppa ed il moto ondoso in crescendo spezzò la cima di rimorchio e li allontanò dalla nave.

Nei giorni successivi, l’equipaggio sarebbe morto di sete o di fame prima di riuscire a trovare la terraferma o un'altra imbarcazione.

Immagino la disperazione che in poche ore invase la piccola imbarcazione, il pianto incontenibile della bambina che come gli altri raggiunse piano piano la morte di sete.

È probabile che, nella paura di poter aspettare anche diversi giorni in attesa dell’esplosione, l’equipaggio avesse deciso di portarsi delle scorte di cibo e di acqua potabile che però non bastarono per la loro sopravvivenza.

Quelle scorte di cibo, però, non fecero che illuderli, che dargli false speranze.

Mi piace pensare che l’equipaggio non si diede alla violenza e che quelle scarse scorte di cibo non abbiano favorito risse, disordini e provocato la morte dei naufraghi più deboli.


Altre teorie vogliono ipotizzare un possibile ammutinamento, reso improbabile dal fatto che il capitano Benjamin Briggs era un uomo rispettato a bordo della nave che comandava.

Proprio per questo, l’unica ragione per cui l’equipaggio avrebbe avuto motivo di uccidere il proprio capitano, sarebbe stata quella d’impossessarsi del carico che, come abbiamo visto, rimase quasi illeso fino al giorno del ritrovamento.

Proprio perché tale carico, tanto prezioso (all’epoca valeva sui 46,000$) arrivò incolume alla Dei Gratia, si esclude anche un atto di pirateria.


In seguito, nella cultura di massa, la storia della
Mary Celeste diventò materiale valido per diversi libri, film e fiction, allontanandosi sempre di più dalla realtà, proponendo alieni e mostri marini all’interno della vicenda.

Nello sviluppo di questi si ipotizzano quindi le teorie più bizzarre ed infondate, a volte spacciate per vere da fonti non attendibili, altre volte nate solo con lo scopo di intrattenere un pubblico ignaro di storie marinare.


All’interno di una rivista nasce la teoria riguardante Abel Fosdyk, il quale sarebbe stato un passeggero clandestino della nave che avrebbe assistito alla morte dell’intero equipaggio, divorato dagli squali.

Il capitano Briggs ed un altro paio di marinai si sarebbero buttati in mare in seguito ad una simpatica disputa grazie a cui provarono stabilire chi fosse più bravo a nuotare vestito, mentre la famiglia del capitano ed il resto dell’equipaggio (Escluso Fosdyk) sarebbe stato a guardarli su un ponte speciale con cui il piano superiore del brigantino si prolungava a picco sul mare.

Il ponte speciale sarebbe crollato addosso al capitano ed all’equipaggio in mare, motivo per cui uno di quelli in acqua avrebbe cominciato a perdere sangue ed avrebbe attirato gli squali.

La vicenda diventa bizzarra quando la rivista Lo Strand Magazine circa quarant’anni dopo il ritrovamento della nave, pubblica alcuni carteggi e documenti riguardanti Abel Fodsyk provando a giustificare ed a dare per vera tale teoria, probabilmente in cerca di fama.


Negli ultimi anni la televisione ha provato ad ipotizzare dei finali sempre più assurdi accostando realtà con pura fantasia come, per esempio, nella nota fiction degli anni ‘60 “Doctor Who” dove viene supposto che la Mary Celeste fosse stata travolta dagli alieni.

Nonostante ci siano teorie più probabili di altre, non esiste nulla di certo e per questo la Mary Celeste rimane il nome di un mistero che probabilmente non verrà mai svelato.

 

Leonardo D’Este


Rapallo, 9 Settembre 2020


I PALOMBARI - COSTA CONCORDIA

I PALOMBARI

Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.

PALOMBARI: I silenziosi protagonisti del recupero dei superstiti Caso Concordia

Vestono una tuta di gomma, calzano scarponi di piombo e portano pesi e un caratteristico elmo di rame che ha affibbiato loro il bonario nomignolo di “teste di rame”. Sono i Palombari delle Forze Specialistiche Subacque della Marina Militare. Sono loro che continuano con perseveranza ad aprire con microcariche varchi di dimensioni prestabilite nella struttura sommersa al fine di trovare superstiti e tracciare vie di fuga per il personale stesso che entra nella nave. <<Siamo giunti sul posto in 12, divisi in due squadre, il giorno dopo l’incidente con l’elicottero. Successivamente ci ha fatto d’appoggio la nave Pedretti che, imbarcando una camera iperbarica mobile e un infermiere specializzato in fisiopatologia subacquea, ha fornito a noi e agli altri soccorritori la copertura sanitaria contro i barotraumi>>, ci aggiorna il primo maresciallo palombaro Fabio Masuzzo, da oltre 15 anni nel Gruppo Operativo Subacquei (G.O.S.). Lui e i suoi compagni hanno effettuato immersioni sino alla profondità di 36 metri ad aria di profondità per eseguire ispezioni sotto lo scafo  e valutare i danni e la stabilità dell’imbarcazione. I loro orecchi, sempre tesi a cogliere il minimo rumore proveniente dal relitto, e i loro occhi sono i più affidabili testimoni di un disastro che a detta loro, che sul posto ci sono stati, si può definire “impressionante” sia per la mole della nave e sia per il numero di passeggeri coinvolti che non ha uguali nella nostra storia civile.

In soccorso ai sommergibili

E’ infatti la prima volta che il G.O.S. è stato impegnato con un’unità passeggeri di simile portata. <<Venti anni fa è stato attivato per soccorrere il personale intrappolato nell’Espresso Trapani, il traghetto che nel 1990 affondò tra l’isola di Levanzo e lo scoglio dei Porcellini a poche miglia di distanza dal porto della città siciliana. Allora persero la vita 13 persone>>, ricorda Riccardo Fantini, capitano di Corvetta della Marina Militare Italiana. Di solito questi intrepidi subacquei si occupano di altro, in particolare del soccorso ai sommergibili sinistrati. <<Per i nostri sei sommergibili, tra cui si annoverano il Todaro e lo Scirea noti per la loro innovativa tecnica di propulsione, non c’è stato fortunatamente mai bisogno del loro intervento>>, spiega Riccardo Fantini. <<Si sono però proposti per soccorrere il sommergibile Kursk in cui morirono oltre cento uomini della Marina russa: l’Unione Sovietica all’epoca non accolse il loro intervento, come del resto quello degli altri paesi NATO>>. Con questo compito il G.O.S. fa parte di ISMERLO (International Submarine Escape and Rescue Liaison Office), un servizio internazionale che coordina tutte le marine che vi partecipano sulle stesse coordinate di fuga e di salvataggio dai sommergibili.

I mezzi speciali

Il palombari del G.O.S, elite della nostra Marina, hanno aperto sette varchi per raggiungere    parti sommerse dello scafo della Costa Concordia.

 

Giusto l’anno scorso il G.O.S. ha partecipato all’esercitazione Bold Monarch, tenutasi a Cartagena in Spagna, volta a migliorare la cooperazione per il recupero di vite umane dai sommergibili danneggiati. Per svolgere questa attività utilizza il mini sommergibile SRV 300, un veicolo subacqueo capace di raggiungere una profondità di 300 m e di trasferire sul sommergibile sinistrato 12 operatori a ogni viaggio, e la campana McCann, collegata con la superficie e in grado di arrivare a 120 m di profondità e di trasferire 6 persone per ogni viaggio. Molto utile nei soccorsi si è dimostrato l’A.D.S. (Atmospheric Diving Suit), una tuta in metallo collegata alla superficie da un cavo ombelicale che crea al suo interno una pressione ambientale e permette quindi agli operatori di immergersi fino a 300 m di profondità senza dover eseguire pressurizzazioni e depressurizzazioni. Grazie a essa i subacquei possono svolgere interventi in tempo reale e rimanere sottacqua il tempo che vogliono in base alla loro resistenza fisica.

Le bonifiche di ordigni

I palombari del G.O.S. sono inoltre chiamati a disinnescare piccoli e grandi ordigni esplosivi, appartenenti al II conflitto mondiale e rinvenuti a tutt’oggi nei mari, nei fiumi o nei litorali: un’attività che li impegna con più di 4.400 interventi all’anno. Chi sono dunque questi arditi operatori? <<Sono persone altamente addestrate, già in servizio presso la Marina, che hanno superato un’accurata selezione>>, spiega Riccardo Fantini. <<Prima di essere ammessi al corso che dura 10 mesi e prevede 300 immersioni tra diurne e notturne, si sottopongono a prove di idoneità fisica che valutano per esempio la capacità respiratoria, cardiaca e cerebrale. Una volta superate possono accedere alla selezione in vasca per testare la loro acquaticità>>. Il loro brevetto è davvero sudato ed ha un rateo di successo del 15 per cento circa: su 20 candidati solo 5 o 6 lo ottengono.

 

 

Manuela Campanelli

Rapallo, 28 luglio 2018

 


Modellismo Navale

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DIGA DI GENOVA: thinking outside the box

Ph: sito Autorità di Sistema Portuale Genova https://dpdigaforanea.it/il-progetto/

DIGA DI GENOVA

thinking outside the box

 

BY JOHN GATTI

•8 MARZO 2021•8 MINUTI

 

La diga del porto di Genova!

Un argomento attuale, stimolante e coinvolgente

L’aumento delle dimensioni delle navi, fenomeno noto come “Gigantismo navale” ha reso inadeguati molti porti italiani; le crescenti performance dei rimorchiatori portuali, gli ausili tecnologici alle manovre, le simulazioni e i limiti operativi studiati ad hoc per l’entrata di ogni singola nave destinata a un preciso ormeggio, non sono più accorgimenti sufficienti a risolvere questi problemi. (Ne abbiamo parlato in questo articolo.)

Nel caso del porto di Genova:

· ilL primo tema da affrontare è quello del bacino di evoluzione che, attualmente per le navi di grandi dimensioni, è posizionato in avamporto e ha un diametro di circa 550 metri;

· lL secondo problema lo riscontriamo al terminal Bettolo. La recente costruzione di questa banchina permette (dando per scontata la realizzazione di un bacino di evoluzione e dragaggi adeguati) l’ormeggio delle portacontenitori di ultima generazione, ma lo spazio occupato, una volta affiancate, rende delicato, e a volte impossibile, il transito di altre navi nel canale di Sampierdarena;

· sebbene la fetta più grossa del mercato riguardi il settore dei contenitori, l’insufficienza di spazio coinvolge anche zone del porto che operano su altri rami merceologici; si avverte, ad esempio, una carenza di spazi anche tra le varie banchine a pettine di tutto il canale di Sampierdarena.

Nelle relazioni presentate sulla pagina “Quaderno degli attori”, predisposta  dall’Autorità di Sistema, vengono evidenziati altri aspetti di estrema importanza e di difficile soluzione. Mi riferisco, per esempio, a quanto espresso da Assagenti quando sottolinea l’importanza del potenziamento della linea ferroviaria a scapito della movimentazione delle merci su gomma, al piano dei dragaggi e al consolidamento delle banchine. Così come del resto sottolineato da Confindustria: “riteniamo che la realizzazione della nuova diga deve essere inserita in un contesto di sviluppo più ampio che ricomprenda anche quello infrastrutturale lato “terra”. “Gronda di ponente”, “terzo valico”, “nodo ferroviario”, “opere di ultimo miglio” (soprattutto quelle ferroviarie, cd. piano del ferro in ambito portuale) devono essere realizzati/ultimati senza indugio per consentire, una volta realizzata la diga, la fuoriuscita delle merci dal porto e, soprattutto, di riequilibrare il rapporto tra traffico stradale e ferroviario e garantire un porto più sostenibile anche dal punto di vista trasportistico e ambientale. Gli scenari dei volumi di traffico ipotizzati a seguito della realizzazione della nuova diga impongono importanti investimenti infrastrutturali per un agevole afflusso/deflusso delle merci dal porto al fine di evitare anche commistioni con il traffico cittadino“.

Molti interventi, inoltre, pongono quesiti relativi all’ambiente, all’impatto sull’ecosistema marino, alla compatibilità tra porto e città, ecc.

Insomma, in concreto, decidere quale sia la strada migliore da seguire implica responsabilità oggettive enormi nei confronti degli sviluppi strategici dei commerci marittimi, della città di Genova a 360 gradi – economia, viabilità, posti di lavoro, ecc. -, del futuro di ogni singolo terminalista e, a catena, di tutte le persone che lavorano in porto e per il porto, senza dimenticare l’ambiente e la sicurezza.


Ph: sito Autorità di sistema portuale Genova - https://dpdigaforanea.it/il-progetto/

 

È anche difficile, quando le variabili in gioco sono tante, centrare il segno al primo colpo, come è anche vero che la condivisione delle idee è costruttiva solo fino a un certo punto…

La raccolta di opinioni qualificate diverse, opportunamente vagliate da una mente aperta alla rivalutazione continua, è la strada più diretta per raggiungere un obiettivo così ambizioso.

Sono veramente poche, infatti, le persone che hanno tutti gli elementi, l’imparzialità e le competenze per decidere i giusti compromessi.

È quindi con spirito propositivo che devono essere giudicati gli interventi, anche perché spesso propongono spunti interessanti dal punto di vista tecnico progettuale. Tra quelli che mi hanno colpito per le soluzioni contemplate, ad esempio, cito lo studio dell’Ing. Guido Barbazza, Executive di Wärtsilä Italia, scaturito – come egli stesso afferma – da valutazioni di tipo “thinking outside the box”.


Ph: Ing. G.Barbazza

In particolare ho trovato interessante la creazione di nuove aree operative ottenute sfruttando la “penisola portuale”, piuttosto che il mero spostamento della diga (vedi foto sopra). Addossata al lato nord della nuova diga foranea, che è prevista essere collegata alla terraferma tramite un ponte innestato sul parco ferroviario di GE-Sestri Ponente (attraverso il collegamento su rotaie al servizio dello Stabilimento ILVA di Cornigliano) e su gomma al raccordo autostradale di Genova-Aeroporto. Quest’ultimo servirebbe a decongestionare, o quantomeno a non sovraccaricare ulteriormente, il nodo di Sampierdarena e lo svincolo di GE-Ovest. Buona anche l’idea di sfruttare il naturale sviluppo dei fondali antistanti il porto per realizzare le opere marittime su batimetriche più basse, in modo da ridurre i costi e i tempi di realizzazione.

Con questa impostazione sarebbe eventualmente possibile, in futuro, creare importanti aree con relativi accosti su alti fondali, favorire l’espansione delle attività già presenti nel Bacino Portuale di Sampierdarena, la rilocalizzazione di accosti e depositi petrolchimici, il rifornimento delle navi a GNL ed eventuali nuove attività risultanti dallo sviluppo del settore marittimo-portuale.

Dal punto di vista della manovra navale in porto, trovo adeguato l’ampio bacino di evoluzione in avamporto e gli spazi disponibili nel canale di Sampierdarena. L’eventuale onda di scirocco, e la relativa risacca, potrebbero essere ulteriormente mitigati utilizzando tetrapodi in punti strategici (per rompere la corsa delle onde sulla diga) e variando leggermente il layout dell’imboccatura di levante.

I dubbi e le domande sono tante e spaziano dall’inadeguatezza del retroporto alla viabilità, dal rapporto costi/benefici alla equa distribuzione dei vantaggi, dall’apertura del progetto a sviluppi futuri alla scelta delle priorità d’intervento.

Qualcuno starà pensando che è un po’ tardi per le considerazioni…

Può darsi, ma se penso a tutti i progetti dati per “definitivi” negli ultimi decenni e poi bocciati, riproposti e mai portati a compimento (vedi Torre Piloti di cui parliamo qui), mi viene da pensare che – probabilmente – siamo ancora agli inizi.

P.S.

Alcune pagine del progetto sono visibili sul sito dell’Autorità di Sistema nella sezione dedicata al dibattito pubblico sulla diga foranea del porto di Genova (qui), che consiglio di visitare anche per approfondire i punti menzionati e valutare le priorità delle singole realtà coinvolte.

Rapallo, 12 Marzo 2021

 

 


LUNA ROSSA VINCE PRADA CUP E VA IN FINALE PER VINCERE LA COPPA AMERICA

LUNA ROSSA

VINCE PRADA CUP E VA IN FINALE PER VINCERE LA COPPA AMERICA

Sventola la bandiera italiana sulla vela mondiale

Dal mulino a vento alla pala eolica… dalla vela latina che rimonta il Nilo a

LUNA ROSSA

Quasi in ogni articolo presente sul sito di Mare Nostrum Rapallo, si parla del vento come propulsore massimo delle attività umane legate da sempre ai trasporti marittimi le quali, come sappiamo, culminarono con l’epopea dei Clippers che raggiunsero, a pieno carico, velocità di oltre 20 nodi con punte anche superiori…

La vela iniziò il suo tramonto alla metà dell’800 quando subentrò il motore e il mondo del mare cambiò rotta e la vela lentamente passò di moda convertendosi alla nautica da diporto, ma non morì; i suoi uomini si misero a studiare nell’attesa d’ingaggiare nuove intese con Eolo.

Oggi, una di queste si chiama software, uno speciale cervello elettronico che raccoglie dati da decine di sensori fissati su ogni parte dell’imbarcazione e li converte in “consigli” su come sfruttare al meglio le condizioni meteo del momento, ottimizzare l’assetto, la velocità e la performance sportiva.

La Coppa America, con gli AC75 e il Vendée Globe con gli Imoca 60, sono oggi la frontiera tecnologica della VELA. Sensori intelligenti, sistemi idraulici, software di navigazione e autopiloti più precisi dei velisti, la Coppa America e il Vendée Globe stanno sperimentando soluzioni che in futuro, ma in parte già oggi, troveranno spazio sulle barche di tutti. Si va verso un generale processo di automatizzazione delle barche per il mondo della crociera, per andare incontro anche alle esigenze del velista “ignorante”.

Mauro Giuffré e Luigi Gallerani, due bravi giornalisti del GIORNALE DELLA VELA hanno scritto:

“In futuro voleremo tutti sull’acqua come i velisti della Coppa? No. Ci sarà chi lo farà e chi continuerà con la vela di sempre, che però verrà arricchita da uno sviluppo tecnologico che è già in corso e verrà accelerato dall’America’s Cup”.

Il salto, che oggi si chiama tecnologico, è assai ampio e complesso! I velisti di ieri rimarranno tali per motivazioni passionali e si faranno seppellire all’interno delle loro imbarcazioni sotto tumuli di terra come facevano i Vichinghi, ma quelli di nuova generazione, se vorranno seguire la scia di LUNA ROSSA dovranno impegnarsi più come “ingegneri informatici” che marinai, almeno questa è la mia impressione!

Ma adesso c’inoltriamo, in punta di piedi, in questo mondo così affascinante, ricco di spettacolo e passione da destare tante curiosità e domande che spesso non hanno risposte se non dagli stessi attori e protagonisti che, tuttavia, sono anche custodi di segreti che non vengono ancora svelati.

Ma che cos’è la Prada Cup? È la selezione degli sfidanti, l’ex Vuitton Cup. È cominciata il 15 gennaio a Auckland, in Nuova Zelanda, casa dei defender. In acqua, all’inizio, Luna Rossa Prada Pirelli team (Italia), Ineos (Gran Bretagna) e American Magic (Usa), che si sono sfidati in quattro gironi all’italiana (tre regate ciascuno). Chi ha ottenuto più punti, in questo caso gli inglesi di Ineos, si è qualificata direttamente per la finale della Prada Cup (13-22 febbraio) al meglio delle 13 regate. Il resto é cronaca e ci riguarda da vicino!


Sventola la bandiera italiana sulla vela mondiale. Con una vittoria che, di prima mattina, esalta il nostro Paese, che si è svegliato presto per tifare tricolore. Luna Rossa vince la Prada Cup e conquista, dopo 21 anni, l'accesso alla finale della Coppa America, dove affronterà Team New Zealand. Ad Auckland, l'AC75 di Patrizio Bertelli ha dominato le due regate della notte contro l'imbarcazione britannica Ineos portandosi così sul 7-1 nella serie. La finale di coppa America si terrà dal 6 al 15 marzo prossimo, sempre nelle acque del Golfo neozelandese di Hauraki.

Per Luna Rossa è la seconda affermazione nella selezione degli sfidanti dopo quella del 2000: oggi come allora affronterà in finale di America's Cup i padroni di casa di Team New Zealand.

Anche la Liguria esulta per LUNA ROSSA, che ha vinto la Prada Cup, conquistando dopo 21 anni, come abbiamo appena visto, l'accesso alla finale della Coppa America.

La vela super tecnologica dello scafo italiano viene prodotta dallo stabilimento North Sails di Carasco (Chiavari) e a bordo ci sono due liguri, Pietro Sibello di Alassio ed Enrico Voltolini di Lerici! Una grande vittoria italiana, un grande orgoglio ligure!


CARASCO (Chiavari)

LE VELE DI LUNA ROSSA

Vi proponiamo alcune immagini dello stabilimento NORTH SAILS




Sotto

Gli skipper dei tre Challenger, i team sfidanti: da sinistra, Max Sirena (Luna Rossa), Terry Hutchinson (American Magic) Ben Ainslie (Ineos UK) - foto Borlenghi


PRADA CUP: TUTTO CIÒ CHE C’È DA SAPERE SU LUNA ROSSA 2021

La prima progettazione di Luna Rossa avviene nel 1999. Già alla sua prima partecipazione alla competizione 2001, l’imbarcazione dell’AD di Prada Patrizio Bertelli, arriva a contendersi l’American Cup contro la Nuova Zelanda. Quest’anno a sostenere il progetto si è aggiunto anche il gruppo Pirelli come partner. Per quest’edizione della competizione sono state coinvolte le maggiori eccellenze italiane. Ad esempio, la costruzione è stata affidata ai cantieri bergamaschi di Persico Marine e il team ha operato nel quartier generale del molo Ichnusa di Cagliari. La progettazione idraulica dal gruppo brianzolo Cariboni. Prada si è occupata della realizzazione della linea di abbigliamento di tutti i 110 dipendenti. Proprio Pirelli ha messo a disposizione le sue tecnologie e Panerai gli orologi.

Si contenderanno il ruolo di sfidanti le squadre provenienti da tre paesi:

Italia, America e Gran Bretagna.

Luna Rossa, iscritti per il Circolo della Vela Sicilia.

American Magic, iscritti per il New York Yacht Club.

Ineos Team UK, iscritti per il Royal Yacht Squadron.

Almeno il 20% dei marinai che compone l’equipaggio di ogni squadra deve appartenere alla nazionalità della squadra stessa. Gli stranieri presenti, per poter partecipare devono aver passato almeno 380 giorni nella nazione della squadra di appartenenza nel periodo di sviluppo precedente alla gara.

L’EQUIPAGGIO DI LUNA ROSSA

L’equipaggio sulla barca sarà composto da 11 atleti: cinque sul lato destro e sei sul lato sinistro. Ci saranno due timonieri: James Spithill e Francesco Bruni che avranno anche il ruolo di controllore di volo. Pietro Sibello sarà invece il trimmer randa e controllerà la vela più importante. A completare l’equipaggio ci saranno otto grinder. I grinder sono gli uomini che azionano i verricelli, regolano l’albero, l’accumulatore di energia e la scotta del fiocco. Quest’anno saranno: Matteo Celon, Umberto Molineris, Enrico Voltolini, Emanuele Liuzzi, Romano Battisti, Gilberto Nobili, Nicholas Brezzi, Pierluigi De Felice.

MASSIMILIANO SIRENA – TEAM DIRECTOR E SKIPPER

Max è alla sua settima partecipazione all’America’s Cup. Ha già partecipato con Luna Rossa nel 2000, anno in cui ha vinto Louis Vuitton Cup. Poi nel 2003 nel ruolo di prodiere e nel 2007. Ha vinto la 33esima edizione della coppa Coppa America con BMW Oracle Racing nel ruolo di responsabile dell’albero alare e a 35esima con Emirates Team New Zealand nell’edizione di Bermuda nel 2017. È diventato quindi Skipper e Team Director di Luna Rossa nella campagna per la 34esima America’s Cup, tenutasi a San Francisco nel 2013.


GILBERTO NOBILI OPERATIONS MANAGER – GRINDER (LATO SINISTRO)

Gilberto è alla sua sesta campagna di Coppa America. Sarà l’Operations Manager. Gillo, originario Castelnovo ne ‘Monti, è stato già membro del team di Luna Rossa nel 2003 e nel 2007 nel ruolo di grinder. Ha vinto la Coppa America nel 2010 e 2013 con il team Oracle e nel 2017 con Emirates Team New Zealand. Inoltre conta numerose partecipazioni in eventi internazionali a bordo di TP52, Maxi yacht ed Extreme40 e ha navigato per quattro anni (2004-2008) nella classe Star con Francesco Bruni.

 

FRANCESCO BRUNI TIMONIERE E CONTROLLORE DI VOLO (LATO SINISTRO)

Francesco è alla sua quinta America’s Cup, quarta con Luna Rossa. Ha una carriera sportiva ricca di successi: 7 titoli Mondiali, 5 Europei e 15 Nazionali in varie classi (Laser all’altura, Star al 49er). Inoltre nel 2011 è stato primo nel ranking mondiale ISAF di Match Race. Ha partecipato a tre olimpiadi ed è vicecampione del mondo nella classe Moth.

JAMES SPITHILL - TIMONIERE E CONTROLLORE DI VOLO (LATO DESTRO)

James alla sua settima America’s Cup, la seconda con Luna Rossa, è il più giovane skipper ad aver vinto l’America’s Cup. Ha conquistato il titolo della competizione per due anni consecutivi nel 2010 e nel 2013. È pluricampione nazionale e mondiale sia in regate di flotta che in match race, tra cui due vittorie alla Sydney-Hobart, con Comanche: un record ancora imbattuto. Inoltre, è stato World Sailor of the Year e Australian Sailor of the Year e il suo nome è legato alla più clamorosa rimonta della storia dello sport, da 8-1 a 9-8, durante la Coppa America svoltasi a San Francisco nel 2013.

PIETRO SIBELLO TRIMMER RANDA (LATO SINISTRO | PUÒ CAMBIARE LATO DURANTE LA REGATA)

Pietro è alla sua seconda Coppa America con Luna Rossa. Nel 1998, insieme al fratello, Pietro sale sul 49er e, nei quattro anni successivi, diventa uno dei timonieri più forti al mondo, vincendo un Campionato Europeo e conquistando 3 medaglie di bronzo ai Campionati del Mondo. Dopo le Olimpiadi di Atene 2004 e Pechino 2008, qualifica l’Italia per le Olimpiadi di Londra 2012. Negli ultimi due anni ha ottenuto inoltre ottimi risultati nelle classi Melges, Moth e GC32.

VASCO VASCOTTO SAILOR

Vasco è alla seconda partecipazione all’America’s Cup, la prima con Luna Rossa. Una carriera sportiva piena di successi: 25 titoli mondiali, 25 italiani e 15 europei nelle classi off shore per monotipi, dal J/24 al TP52, dal Farr 40 all’ ORC 670. Ha vinto tre MedCup e una Admiral’s Cup.

SHANNON FALCONE SAILOR

É alla sua sesta America’s Cup. Shannon nasce in Inghilterra nel 1981 per poi trasferirsi ad Antigua all’età di 3 anni. Raggiunta la maggiore età inizia a navigare portando a termine 6 traversate oceaniche e un giro del mondo. Nell’edizione 2008-2009 della Volvo Ocean Race chiude al secondo posto a bordo di PUMA. Nel 2000 partecipa per la prima volta all’America’s cup con Mascalzone Latino. Nel 2007 partecipa con Luna Rossa. La terza e la quarta sono quelle fortunate in cui vince Oracle Team USA. Nella quinta torna con Luna Rossa nel 2015.

FRANCESCO MARIO MONGELLI SAILOR

Alla sua prima America’s Cup, Francesco è un velista professionista, specializzato nel ruolo di navigatore, in analisi dei dati e progettazione e sviluppo di strumentazione elettronica. Ha partecipato a importanti regate offshore tra cui: Sydney-Hobart, Middle Sea Race, Giraglia, Caribbean 600, RORC Transatlantic, Newport-Bermuda, Fastnet. Inoltre, ha vinto 12 titoli mondiali, uno europeo e 7 nazionali.

PIERLUIGI DE FELICE – GRINDER (LATO SINISTRO)

La carriera velica di Pierluigi inizia a 7 anni navigando con l’optimist e prosegue con il 420 e il 470. Per la 31 e 32 edizione dell’America’s Cup entra nel Team di Mascalzone Latino. Nel 2012 entra a far parte del team Luna Rossa con il quale vince l’ACWS 12-13 e partecipa alla 34^ America’s Cup a San Francisco, continua la preparazione per la 35 AC ma il Team decide di non parteciparvi ed ora e’ nuovamente coinvolto nel ruolo di Sail trimmer per la 36 America’s cup che si svolgerà a Auckland nel 2021. Una carriera sportiva piena di successi nei maggiori circuiti internazionali (ACWS LV Trophy Extreme Sailing Series Tp 52 M40 M32 e Farr40). Inoltre, è stato 1 primo nella Isaf World Match Racing ranking ha vinto il Louis Vuitton Trophy Nice e conquistato 2 Ori 4 Argenti e 4 Bronzi in campionati del Mondo in diverse classi e ha conquistato 11 titoli Nazionali.


MICHELE CANNONI SAILOR

Alla sua seconda Coppa America con Luna Rossa, Michele è sette volte campione del mondo nelle classi Maxi, Maxi 72, RC 44. É un velista polivalente: è stato prodiere, drizzista, comandante, trimmer, rigger. Durante la sua carriera ha ricoperto tutti questi ruoli, in match race, tra le boe e in off-shore. Vincitore delle regate offshore RORC 600 (2015-2017), Transpac (2011) e Middle Sea Race (2005-2013-2015). Nel 2009 è stato vincitore della Louis Vuitton Trophy – Nice con Azzurra.

UMBERTO MOLINERIS GRINDER (LATO DESTRO)

Alla sua prima partecipazione in America’s Cup, Umberto ha inizia ad andare a vela all’età di 10 anni nel Mare Adriatico. Nel 2009 diventa campione italiano in regata 49er diventando campione Italiano e ottieni diversi piazzamenti nella top 10 mondiale. Nel 2012 entra a far parte della squadra olimpica Italiana. in seguito decide di chiudere con il 49er e comincia a regatare in diversi circuiti professionistici, tra cui RC44 ed M32.

ROMANO BATTISTI – GRINDER (LATO SINISTRO)

Dal 2001 ad oggi, Romano ha partecipato a due Olimpiadi, 11 mondiali, dei quali ne ha vinti 2, e 8 europei. Romano Nel 2021 ha vinto nel 2 di coppia la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra. E’ stato inoltre Campione italiano 16 volte. Negli ultimi anni decide di affacciarsi al mondo della vela, in particolare di specializzarsi nel ruolo di grinder.


ANDREA TESEI – SAILOR

Andrea è entrato a far parte del team Luna Rossa grazie al programma New Generation, quella di quest’anno sarà la sua prima America’s cup. Naviga da cinque anni nella classe olimpica 49er con la quale ha raggiunto la top10 del ranking mondiale. In carriera ha vinto un bronzo al campionato europeo 2017, un argento alla finale di coppa del mondo nel 2015 e diversi titoli ai campionati nazionali. Oltre all’attività olimpica ha regatato nei principali circuiti professionistici (Extreme Sailing Series, il World Match Racing Tour e Melges World League).

DAVIDE CANNATA – SAILOR

Questa, per Davide, è la prima partecipazione all’America’s Cup. Ha appena 4 anni quando inizia a praticare nuoto e dopo le prime esperienze in piscina intraprende la carriera open-water. Si dedica soprattutto alla lunga distanza (5km, 10km, 20km o più). Nel 2014 vince il gran prix nazionale granfondo cadetti. Inoltre, partecipa al Fina World Gran Prix Cozumel (MEX) nel 2015.

ENRICO VOLTOLINI – GRINDER (LATO DESTRO)

Enrico è alla sua prima America’s Cup. Inizia ad andare a vela da bambino, ma inizialmente è nel nuoto che ottiene maggiori risultati. Successivamente torna a praticare la vela e inizia a regatare ad alto livello nelle classi Finn e Star. In questa classe, nel 2011, vince il campionate europeo.

JACOPO PLAZZI – SAILOR

Anche Jacopo è entrato a far parte del team Luna Rossa grazie al programma New Generation, questa per lui sarà la prima America’s Cup. Originario di Ravenna, raggiunge un bronzo europeo e diversi piazzamenti tra i primi dieci in competizioni di livello mondiale nella classe 49er. Appassionato a tutto tondo di vela ad alte prestazioni, ha inoltre preso parte ai circuiti M32 e GC32.

MATTEO CELON – GRINDER (LATO DESTRO)

Matteo è entrato a far parte di Luna Rossa Prada Pirelli grazie al progetto New Generation, questa per lui sarà la sua prima America’s cup. Si avvicina per la prima volta alla vela all’età di 8 anni. A 14, dopo una parentesi nel mondo dell’atletica e dello sci di fondo, comincia a regatare su laser, presso il Circolo Nautico Brenzone, fino ad arrivare alla classe Laser Standard. Ha partecipato a numerose regate nei circuiti Extreme 40, M32 e Melges.


NICHOLAS BREZZI GRINDER (LATO SINISTRO)

Nicholas è alla sua prima partecipazione e anche è entrato in Luna Rossa grazie al programma New Generation.  Inizialmente si dedica al canottaggio. Nel 2010 vince un Campionato Europeo con la Nazionale Italiana. Inoltre, partecipa a sette Campionati del Mondo, conquistando un oro, un argento e due bronzi. Nel 2016 torna alla vela vincendo un Campionato Italiano ORC e per due anni consecutivi la Barcolana. Partecipa inoltre a una Copa del Rey e a una Middle Sea Race.

EMANUELE LIUZZI – GRINDER (LATO DESTRO)

Emanuele si avvicina al mondo del canottaggio all’età di 15 anni, iniziando a praticarlo al circolo Reale Yacht Club Canottieri Savoia. Nel 2010 diventa campione del mondo nella categoria under 23. Ha partecipato ad 11 mondiali e un’olimpiade. Nel 2017 ottiene un bronzo ai mondiali assoluti di Sarasota nella specialità 8+.

PHILIPPE PRESTI – COACH

Philippe è un velista francese classe 1965 ed è alla sua seconda partecipazione in America’s Cup con Luna Rossa. Ha già partecipato a 6 edizioni dell’America’s Cup vincendone due con Oracle Team Usa. Durante la sua carriera sportiva ha partecipato a due Olimpiadi nelle classi Finn e Soling. Inoltre, ha vinto regate in diversi circuiti internazionali come mach race, RC44, 12M ma anche nel ruolo di tattico su imbarcazioni Maxi. Ha vinto con il team australiano la prima edizione di Sail GP nel ruolo di coach.

MARCO MERCURIALI RULES COACH

Marco Mercuriali è alla sua settima America’s Cup. Dal 1978 al 1982 ha fatto parte della squadra nazionale di Finn. A partire dal 1984 ha collaborato come allenatore con la Federazione Italiana Vela.  Dal 1990 al 2000 prende parte allo staff della Squadra Olimpica. In questi dieci anni partecipa alle Olimpiadi di Barcellona ‘92, Atlanta ’96, Sydney 2000 e Pechino 2008. La sua esperienza in America’s Cup inizia nel 1983, quando ha preso parte alla prima campagna italiana con Azzurra come membro dell’equipaggio e preparatore atletico. Ha partecipato a tutte le edizioni del team Luna Rossa Prada Pirelli come allenatore (2000, 2003, 2007 e 2013). Nel 2017 ha fatto parte di Oracle Team USA.


SECOLO XIX – Articolo di Fabio Pozzo 23.2.2021

LA STAMPA

FABIO POZZO

Le tre fasi della Prada Cup

La Prada Cup inizia con quattro gironi (Round Robin) di 3 regate ciascuno, due match-race al giorno. Inizia il 15 gennaio ad Auckland (12 ore prima in Italia) e l’ultima giornata è il 22 febbraio (possibile arrivare sino al 26 gennaio, con i giorni di riserva, Reserve Day).

Il Challenger che totalizza più punti, vale a dire più vittorie (una vittoria vale 1) passa direttamente alla finale della Prada Cup. Gli altri due se la giocano nella semifinale, chi arriva a 4 punti vince e va in finale.


La semifinale inizia il 29 gennaio e va avanti sino al 2 febbraio, con la possibilità di arrivare al 4 febbraio se occorre (due giorni di riserva, Reserve Day). I due team si sfidano in 7 regate, vince chi arriva prima a 4 punti.

La finale inizia il 13 febbraio e va avanti sino al 22 febbraio, con la possibilità di andare sino al 24 febbraio (Reserve Day sono il 16, il 18, il 23 e il 24 febbraio). Si gioca su 13 regate, vince chi arriva prima a 7 punti.

Orari.

Round Robin e Semi-finale dalle 15.00 alle 18 ora locale (03.00/06.00 in Italia)

La Finale dalle 16.00 alle 18.00 ora locale (04.00/06.00 in Italia)

La seconda regata deve partire il prima possibile dopo la prima, ma non prima di 20 minuti.

Il primo lato di una regata non può durare più di 12 minuti (nel caso, si annulla la regata) e la regata complessivamente non può durare più di 45 minuti (nel caso, si annulla la regata).

Complessivamente la regata in condizioni normali dura 20/25 minuti.

Limiti di vento

Dai 6,5 ai 21 nodi per i Round Robin e seminfinale della Prada Cup

Dai 6,5 nodi ai 23 nodiper la finale della Prada Cup (vale anche per Match di America’s Cup)

Uno dei campi di regata

Il campo di regata

E’ lungo 3 km circa (tra 1,1 e 2,2 nautical miles), largo tra 900 e 1500 metri. Ci sono cinque “rettangoli” di gara, posizionati in diverse zone del golfo di Hauraki. Si presume che con vento stabile si scelga quello A, più vicino al porto di Auckland.

Prada Cup, il campo di regata e le regole

Il percorso

Prevede una partenza dei due team di bolina sino al cancello superiore con le due boe, quindi un lato di poppa per tornare indietro.

Questa sequenza va ripetuta secondo quanti giri (Laps) indica il direttore di regata, alla luce  delle condizioni meteo.

La partenza

Quando vengono chiamati i 2 minuti i due team devono entrare nell’area di partenza, diciamo sul ring. Vengono assegnati dei lati di entrata, quello di destra gode del diritto di precedenza. Chi entra da sinistra lo può fare 10 secondi prima dell’avversario, una misura stabilita per evitare collisioni.

Quindi, il circling di pre-partenza, le schermaglie per trovare il lato migliore (può anche non coincidere, dipende anche dalle condizioni meteo, dal primo salto di vento presunto) e lo start. Se si taglia troppo presto la linea di partenza si è in OCS (On Course Side) e scatta la penalità (Penality). Per questi Round Robin è previsto che chi è in anticipo di 10 secondi e più, deve tornare indietro e rifare la partenza. Se invece i secondi sono minori, il team deve rallentare per andare dietro di 50 metri all’avversario, prima di riprendere la corsa. Se ci sono una penalità in pre-partenza per ciascuna barca, le stesse si elidono.

I confini laterali

Si chiamano boundary e non possono essere oltrepassati, pena la penalità.

Le boe

Le boe (marks) sono due per ciascun cancello, quello superiore (Top gate) che s’incontra risalendo di bolina, dunque al vento e quello inferiore (Bottom gate), dunque sottovento, che si passa alla fine del lato di poppa. Bisogna scegliere una boa da girare passando all’interno.

Le regole alle boe

Si applicano entro un cerchio di 70 metri dalla boa, durante la regata. Se ciascun team sceglie due boe opposte da girare, nessun problema. Ma se sono testa a testa (Neck and neck) e scelgono la stessa boa? La precedenza  va a chi è più all’interno della boa o se è più avanti e l’altra deve permettere (Has to allow) alla prima barca di girare (Go around) la boa senza ostacolarla (Unobstructed). Ma se la seconda invece ha la prua (Bow) sulla poppa (Stern) della precedente? Allora il diritto di precedenza va alla seconda e può girare la boa

Ultimo giro

Alla fine del lato di poppa, si attraversa il traguardo, la finish line (che è la stessa linea della partenza/start line), ampia circa 270/300 metri.

Le regole d’incrocio

Quando le barche sono in rotta di collisione (Collision course), ha la precedenza (Right of way) chi ha mure a dritta, cioè chi riceve il vento sul suo lato destro (Right hand side). Questa è la barca di dritta (Starboard boat).L’altra ha il vento che la attraversa da sinistra (Wind coming across the left side) e diventa la barca di sinistra  (port boat ).

La regola non si applica solo quando le barche si avvicinano (Approach) a un confine laterale. Non è permesso buttar fuori dal campo l’avversario (Force a boat off the race course) e quando una barca arriva entro i 90 metri dal confine, circa 5 lunghezze (Bat lenght), ha diritto di precedenza e il diritto (Right) di virare (Tack) o di strambare (Gybe)

Se invece stanno navigando nella stessa direzione e non sono sovrapposte, la precedenza è di chi sta davanti. Ma se la barca che sta dietro riesce a far passare la sua prua davanti alla poppa di chi la precede, allora guadagna diritto di precedenza e quella davanti deve farsi da parte (mossa efficace, soprattutto in pre-partenza).


Le barche

Gli Ac75 sono monoscafi straordinari, risultato di una ricerca esasperata, mutuata dall’industria aerospaziale.

Pesano complessivamente 7,5 tonnellate, hanno uno scafo essenzialmente composto da fibre di carbonio lungo 20,7 metri e largo un massimo di 5 metri. Non c’è chiglia, salvo un rigonfiamento longitudinale, chiamato skeg che serve per aiutare il “decollo” della barca, cioè il suo sollevarsi dall’acqua e per evitare che resti troppo spazio tra il fondo dello scafo e l’acqua, che non aiuta la sua idro/aerodinamicità.

C’è un bompresso di 2 metri, che serve per issare la vela di prua chiamata Code Zero, più grande (200 mq) del fiocco normale (tre, superiori ai 90 mq; il più piccolo per vento forte) e che si usa con vento più leggero. La randa, centrale e principale, fissata all’albero di 25,5 metri di altezza, è doppia, formata da due pelli con una intercapedine in mezzo. E’ ampia dai 135 ai 145 metri quadrati.

Il timone è a forma di T rovesciata, è lungo 3,5 metri e ha un’estensione massima di 3 metri.

La grande novità è costituita dai foil, le derive laterali, che sono due grandi bracci che pesano 500 chili l’uno e che possono reggere sino a un carico di rottura di 27 tonnellate. Sono in carbonio e raggiungono una profondità massima di 5 metri e un’estensione di 4 metri. Si possono alzare e abbassare nell’acqua, grazie a un sistema di batteria alimentata idraulicamente (l’energia generata dagli uomini a bordo che girano le “manovelle”). In assetto di volo il foil sottovento (leeward) resta in acqua e genera l’effetto sollevamento della barca, insieme con il timone, e l’altro foil, quello sopravvento (windward) resta sollevato e provvede al bilanciamento della barca.

Prada Cup, come volano gli Ac75?

L’equipaggio

E’ formato da 11 uomini, per un peso massimo di 960-990 chili. Non è consentito avere un ospite a bordo.

Luna Rossa è l’unica ad avere due timonieri, l’australiano Jimmy Spithill che prende in mano la barca quando è a mura a dritta e il siciliano Francesco Checco Bruni che fa altrettanto quando è a mura a sinistra. In questo modo, i timonieri restano sempre al loro posto, mentre sulle barche degli inglesi (Ben Ainslie) e degli americani (Dean Barker) il timoniere si sposta da un lato all’altro della barca ad ogni cambio di mure. Su Luna Rossa quando un timoniere non è in azione si occupa di regolare il “volo”, cioé il settaggio dei foil (flight control/controller)

Su Luna Rossa c’è poi un randista, Pietro Sibello, che si occupa della regolazione della vela centrale e principale. Gli altri otto uomini sono alle manovelle, a girare vorticosamente per generare l’energia necessaria a mantenere in funzione il sistema idraulico che muove tutte le componenti della barca. Tra questi ci sono due trimmer che si occupano di regolare la vela di prua e Gilberto Gillo Nobili che si occupa del software di bordo.

ALBUM FOTOGRAFICO









LUNA ROSSA

 

I FOILS UNA TECNICA RIVOLUZIONARIA


I foil-arm degli Ac75 sono i bracci che solleveranno la barca in navigazione, facendola volare. Sono delle strutture ad “esse” allungata, in carbonio, di 4,5 metri, che hanno un’ala all’estremità, di 4 metri e che sono mossi da un sistema idraulico ed elettronico cui sono collegati.


Come funzionano i foil?

I foil sono appendici in grado di produrre una spinta verticale e far sollevare in parte o quasi del tutto l'imbarcazione dall'acqua. In questo modo si riduce drasticamente la superficie a contatto dell'acqua e quindi la resistenza idrodinamica, con conseguente notevole aumento della velocità.

Foiling, volare sull’acqua, un sogno che è diventato realtà. Tutto grazie ai foil, delle ali che invece di fendere l’aria sollevano le barche sopra l’acqua, con incredibili vantaggi. Qui vi spieghiamo come funzionano e vi mostriamo le applicazioni reali.

Volare sull’acqua è un sogno leonardesco che oggi sta diventando realtà. Il merito è dei foil, ali che, invece di sostenere il volo nell’aria degli aerei, sostengono la barca, permettendogli di sollevarsi sopra la superficie dell’acqua. Ovviamente senza decollare.

Ma cosa sono e come funzionano?


Il foiling riguarda l’uso di ali, i foil, attaccate allo scafo di imbarcazioni che regala una maggiore portanza a velocità di planata, sufficiente a sollevare lo scafo completamente fuori dall’acqua.

 

Qual è il vantaggio?


Sollevare la barca sopra la superficie dell’acqua riduce il disturbo delle onde, rendendo più confortevole la navigazione. Ma non solo. Le ali (foil), se mobili, possono anche migliorare la stabilità e la manovrabilità. Opportunamente regolate, possono migliorare l’efficienza anche senza sollevare la barca.

La tecnologia dei foil, che risale già agli Anni ’50 ma che ha conosciuto larga diffusione mediatica dopo le imprese del trimarano Hydroptère e la scorsa Coppa America, è stata oggetto di grande sviluppo. Ne abbiamo parlato tanto anche noi: con l’arrivo sul mercato dei Moth e più di recente dei catamarani GC32, Flying Phantom e SL33 chiunque può provare l’ebbrezza di volare sull’acqua.


Ma siete sicuri di sapere come funziona davvero la navigazione “foiling”? Ce la siamo fatta raccontare sul numero di Agosto del GdV da un “professore” d’eccezione: Mario Caponnetto (nella foto), architetto navale genovese classe 1961 che ha vinto due America’s Cup con Oracle (nel 2010 e nel 2013) come membro chiave del team di progettazione fluidodinamica (CFD), e che ora è approdato alla corte di Luna Rossa.

L’UOVO DI COLOMBO DEI KIWI


Chi ha testato barche come GC32 e Flying Phantomesordisce Caponnettoè rimasto sorpreso dalla possibilità di ottenere immediatamente un ‘volo’ stabile e sicuro. La chiave di tutto risiede nella tipologia dei foil impiegati, caratterizzati da un angolo di tip del foil elevato: è l’uovo di Colombo scoperto (pare casualmente) dai neozelandesi durante la progettazione del loro AC72. Quando una barca è in volo la forza idrodinamica verticale prodotta dal foil (lift) è esattamente uguale al peso della barca (e di verso opposto). Se per una qualsiasi perturbazione (onde, raffiche, accelerazioni o decelerazioni in manovra) le due forze diventano leggermente diverse la barca tenderà o a uscire dall’acqua (se il lift diventa maggiore del peso) o a scendere fino a che lo scafo non tocchi l’acqua. Un modo per compensare queste perturbazioni – prosegue Caponnetto – è quello di agire sull’angolo del foil rispetto al flusso dell’acqua. Se l’angolo aumenta il lift aumenta e viceversa. Se per esempio il foil sta perdendo lift e la barca inizia a scendere, si può aumentare l’angolo agendo sul rake del foil (ovvero l’inclinazione longitudinale) per ristabilire la lift esatta: ma i tempi di reazione del sistema ‘equipaggio + meccanismo di controllo del rake’ non sono abbastanza veloci e il sistema diventa instabile”.

LA STABILITÀ “PASSIVA”


“I foil di questi cat volanti ‘per tutti’ sfruttano però un altro effetto che dà loro una stabilità di volo ‘passiva’ che prescinde dal controllo umano del rake. Se infatti la parte orizzontale del foil (tip) deve produrre una lift uguale al peso della barca, la parte verticale (strut) ha la classica funzione della deriva di una qualunque barca a vela, cioè quella di produrre una forza laterale o side-force (in direzione sopravento) uguale e opposta a quella prodotta dalle vele (che spingono sottovento). Se, per esempio, il foil comincia a spingere troppo e la barca inizia a sollevarsi, si andrà riducendo la superficie laterale della deriva e questa, costretta a produrre sempre la stessa forza laterale, potrà farlo solo con un maggiore angolo di scarroccio della barca”.


LA CHIAVE RISIEDE NELLO SCARROCCIO


Vediamo adesso come lo scarroccio può stabilizzare il volo: “Se il tip del foil è orizzontale – spiega Caponnetto – in effetti questo non succede. Ma se invece è angolato verso l’alto, la velocità laterale causa dello scarroccio ha una componente perpendicolare alla superficie del foil stesso. Detto in maniera semplice l’acqua comincia a spingere il foil di nuovo verso il basso, fino a che non si ristabilisce l’equilibrio (le figure in alto a sinistra e destra mostrano le situazioni di disequilibrio e equilibrio). In pratica tanto maggiore è l’angolo del tip del foil rispetto all’orizzontale (angolo di diedro) tanto più la barca sarà stabile e non saranno richieste correzioni manuali. Va detto infine che la resistenza all’avanzamento del foil aumenta con l’angolo di diedro e normalmente va cercato il migliore compromesso tra stabilità del volo e velocità della barca”.



IL TIMONE DI LUNA ROSSA E’ PIU’ LUNGO DI INEOS

LUNA ROSSA, IL CONTROLLO LO GARANTISCE L’EQUIPAGGIO

Gli Ac75 sono bolidi che viaggiano sull’acqua a 50 nodi di velocità. Servono velisti speciali per controllare una barca cos

Undici, come una squadra di calcio. O se preferite un’orchestra dove ciascuno deve suonare al tempo giusto. L’AC75 richiede un equipaggio assolutamente diverso da quello delle imbarcazioni delle precedenti America’s Cup: del resto, è una ‘rottura’ totale con i multiscafi delle ultime edizioni e nulla a che vedere con i monoscafi dei primi anni 2000.

Il sistema di foiling - l’insieme delle appendici che in condizioni ideali consentono allo scafo di ‘decollare’ dall’acqua - regala prestazioni mai viste nella storia della vela: 40 nodi in bolina larga, 50 nodi alle andature portanti. In alcune simulazioni pare che l’AC75 abbia toccato velocità cinque-sei volte superiori all’intensità del vento.

Molti sostengono che questa sia un’edizione dove il mezzo conta troppo rispetto alle capacità dell’uomo. In realtà ci vuole un controllo assoluto da parte dell’equipaggio: per andare più forte dell’avversario e per non rischiare incidenti.


Un progetto completo

Ecco perchè la composizione dell’equipaggio e del team in generale è stata effettuata da Luna Rossa Prada Pirelli, con estrema attenzione e pensando anche al futuro. “Abbiamo creato un progetto quale New Generation per identificare i giovani velisti italiani in vista della prossima America’s Cup – racconta Max Sirena, lo skipper e direttore tecnico della sfida - ho ricevuto ben 700 curriculum, chiamando un centinaio di ragazzi per i test sino a scegliere quelli non per forza più bravi o già capaci, ma i più adatti a vivere in un team”.

E non bisogna pensare che quelli a bordo si limitino al singolo ruolo: ognuno ne ha almeno un paio, di carattere tecnico e logistico. E a partire dai timonieri, sono fondamentali dal primo disegno di un AC75. “Una volta c’erano gli ingegneri, i progettisti e gli skipper: tre ruoli nettamente distinti. Adesso chi ‘pilota’ le barche partecipa molto attivamente alla progettazione. Il timoniere vincente è anche quello che sa mettere a punto il mezzo più veloce” - sottolinea il patron Patrizio Bertelli.

Cinque e sei

Da chi è composto l’equipaggio di Luna Rossa Prada Pirelli? Sul lato destro dell’AC75 figurano cinque uomini, sul lato sinistro ne sono presenti sei. I timonieri sono due, che avranno anche il ruolo di ‘controllore di volo, a conferma che questa classe decolla letteralmente dall’acqua – grazie ai foil – e quindi può permettersi anche una terminologia aeronautica.

Da una parte c’è l‘australiano James Spithill (vincitore della regata, in due edizioni, con BMW Oracle), dall’altra il palermitano Francesco Bruni che è stato uno dei maggiori specialisti del 49er, skiff olimpico su cui ha gareggiato in quattro edizioni dei Giochi. Sono due per la ragione che mentre uno tiene la ruota, l’altro regola le appendici e quindi paradossalmente è decisivo nell’assetto dello scafo.

Un altro ‘reduce’ del 49er, l’alassino Pietro Sibello, è invece il trimmer randa: ha l’importante compito di controllare la vela più importante dell’AC 75 ed è l’unico velista che cambierà posizione durante la regata, a seconda del bordo. Curiosità: ha in mano un vero e proprio joystick con cui comanda le regolazioni della vela principale,  utilizzando l’energia pompata nell’impianto idraulico dai grinder.


Il tattico è scomparso

La nuova classe ha di fatto abolito il ruolo di tattico, un tempo fondamentale.

“La tattica non si fa più a bordo, come nelle regate classiche ma preventivamente, fino a pochi minuti dal via – racconta Vasco Vascotto, uno dei velisti italiani più vincenti in assoluto, per la prima volta su Luna Rossa Prada Pirelli – il mio compito, a bordo del gommone, è proprio verificare insieme ai timonieri la corrente e il vento dell’Hauraki Gulf, come attaccare quell’avversario nei suoi punti deboli o su quale bordo puntare dopo la partenza. Alle velocità che si raggiungono in un attimo, non c’è spazio per la creatività a bordo”.

A completare l’equipaggio dell’AC75, gli otto grinder: sono gli uomini – di indubbia potenza fisica - che azionano i verricelli composti da una torretta con le due caratteristiche manovelle laterali. Come gli altri velisti a bordo, sono dotati di un casco e di un interfono per comunicare tra loro: il primo è diventato protezione imprescindibile nell’America’s Cup quando sono arrivati i catamarani, il secondo ha trovato il primo impiego proprio nell’edizione ad Auckland, nel 2000, dove Luna Rossa conquistò la Louis Vuitton Cup per poi essere sconfitta in finale dai padroni di casa.

La potenza delle braccia

A bordo della barca, i grinder saranno Matteo Celon, Umberto Molineris, Enrico Voltolini, Emanuele Liuzzi, Romano Battisti (argento alle Olimpiadi di Londra 2012 nel Due di coppia di canottaggio), Gilberto Nobili, Nicholas Brezzi, Pierluigi De Felice.

Sono decisivi più di quanto si pensi perché tranne che per la movimentazione dei bracci dei foil (c’è un motore elettrico), tutto viene regolato con l’impianto idraulico e ogni volta che il trimmer muove qualcosa, un segnale li avvisa che c’è la necessità di mettere pressione nell’impianto. Due grinders (uno per lato) hanno poi il compito di regolare la vela di prua che ha una gestione meno complicata rispetto alla randa: bastano due winch separati che servono per fare le virate “normali”: si molla una scotta e si ‘cazza’ l’altra, come sulle barche da diporto.

CONCLUSIONE

Il Nostro viaggio intorno ai segreti di LUNA ROSSA termina con questa immagine che sembra uscita da un romanzo di Ian Fleming con tutti i suoi avvenieristici segreti pseudo militari in cui alla fine vince sempre il più buono, il migliore in tutti i sensi.

Questo è l'AUGURIO con cui ci stringiamo intorno a questi nostri eroi con la fervida speranza nel cuore che I VENTI AUSTRALI DI AUCKLAND siano loro favorevoli per farli VOLARE verso la  vittoria "ALATA"!

Ringraziamenti:

Al C.l.C Fabio Pozzo giornalista della STAMPA e del SECOLO XIX, amico di Mare Nostrun Rapallo.

A tutte le riviste del settore VELA-NAUTICA che, in assenza di una bibliografia mirata all'alta tecnologia di LUNA ROSSA, si sono magnificamente sostituitie ai docenti della materia con termini chiari, comprensibili, adatti quindi alla divulgazione di cui, anche noi, con molta modestia, ci occupiamo.

L'Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO - NO PROFIT - Ha il seguente scopo istituzionale: - la promozione della cultura marinara, nel mondo giovanile e non, avuto riferimento ai profili storici, documentali, letterari, del modellismo ed artistici in genere, attraverso contatti fra persone, enti ed associazioni ed anche attraverso la costituzione interna di gruppi che svolgano attività che consentano ai propri associati di apprendere, sviluppare, accrescere e diffondere le proprie conoscenze e capacità e di tutte quelle attività che serviranno alla diffusione capillare ed alla crescita della cultura marinara in genere; - l'ampliamento degli orizzonti didattici di educatori, insegnanti ed operatori sociali, in campo marinaresco affinché sappiano trasmettere l'amore per tale cultura storica ed artistica come un bene per la persona ed un valore sociale; - proporsi come luogo di incontro e aggregazione nel nome di interessi culturali assolvendo alla funzione sociale di maturazione e crescita umana e civile, attraverso l'ideale dell'educazione permanente.

CARLO GATTI

Rapallo, 21 Febbraio 2021