M/n SINFRA affonda il 19 ottobre 1943-1850 morti
LE TOMBE INVISIBILI:
M/n SINFRA
18.10.1943
1850 Vittime
Due foto della FERNGLEN (Primo nome del SINFRA). scattate il giorno del varo (Nasjonalbiblioteket photo archive).
Una bella foto della SANDAHAMN, Secondo nome della futura SINFRA.
DATI NAVE:
Primo Nome: "Fernglen"
Tipo: Ocean liner/Cargo ship
Anno: 1929
Nazionalità: Norway
Primo Armatore: Fearnley & Eger, Oslo (old Christiania), Norway
Successivi Armatori / OWNERS:
1934: "Sandahamn"/Sven Salen (Rederi A/B Jamaica), Stochholm, Sweden
1939: "Sinfra" / Companie di Navigation A Vapeur Cyprien Fabre & Cie, La Ciotat, France
Dicembre 1942: "Sinfra" / German Government
Costruttore: Akers Mekaniske Verksted A/S
Cantiere: Oslo (old Christiania), Norway
YARD No: 434
Data del Varo: 15-05-1929
Data completamento: July 1929
Stazza Lorda: 4444 GRT
Lunghezza: 122.5 m
Larghezza: 16.7 m
Altezza: 7.32 m
Eliche: 2
Motore: Diesel
Velocità: 12.5 knots
Destino: AFFONDATO dalle bombe degli Alleati il 19 ottobre 1943.
La storia:
La motonave SINFRA arrivò nel porto di Heraklion (Creta) nei primi giorni di ottobre 1943. Da parecchi giorni i convogli ferroviari tedeschi ammassavano, presso questa base, materiale bellico (bombe d’aerei, in particolare) provenienti dagli aeroporti limitrofi. Queste bombe erano destinate ad essere sganciate dalla Luftwaffe in Nord Africa, ma dopo la vittoria Anglo-Americana, questo arsenale costituiva un surplus, così come gli stessi aeroporti dell’isola di Creta di grande valore strategico. Il 19 ottobre il carico di bombe fu completato e la nave era quasi pronta a partire per il Pireo. L’ultima operazione era soltanto quella di trasferire il carico “UMANO” di migliaia di militari internati dai campio di concentramento al porto. Molti greci si erano assemblati sui lati della strada per assistere alla partenza dei soldati italiani. Verso sera il trasferimento fu completato. La Schmeisser SINFRA era una nave da carico senza cabine ed i soldati furono ammassati nelle stive. I tedeschi permisero soltanto agli ufficiali di rimanere sui ponti aperti usando le poche cabine esistenti sui lati dei corridoi che correvano da poppa a prua. Prima del tramonto, i tedeschi consegnarono agli ufficiali italiani i giubbotti di salvataggio che non erano sufficienti per tutti gli ufficiali presenti a bordo. Nessun giubbotto fu consegnato agli uomini nelle stive. Sulla nave c’erano molti tedeschi di passaggio ed anche un piccolo gruppo di partigiani greci, tutti cretesi, destinati ai lager tedeschi. I boccaporti delle stive erano presidiati da sentinelle tedesche armate di maschinenpistole Schmeisser. La nave aveva due mitragliatrici, una a prua ed una a poppa, in funzione antiaerea.
Il mare era liscio come uno specchio e c’era anche la luna piena quando il SIFRA lasciò il porto di Heraklion, scortato da almeno una nave. Nessuna luce era permessa a bordo per evitare il pericolo d’essere individuati da aerei e da sottomarini nemici. Chi voleva fumare poteva farlo solo nei locali interni. Alcuni ufficiali italiani combattevano lo stress passeggiando da prua a poppa e discutendo delle situazioni ed erano divisi in piccoli gruppi. La maggior parte di loro si poneva la stessa domanda: “Cosa sarebbe successo una volta giunti al Pireo?”
Alle 23.30 una sentinella tedesca cominciò ad urlare: “Aerei nemici, allarme!”
Immediatamente l’antiaerea del SINFRA cominciò a crepitare. L’ufficiale Donato, uno dei tanti italiani presenti in coperta, dopo pochi secondi vide delle luci a gruppi sull’orizzonte, erano molto basse.
Fonti tedesche concordano che si trattasse di squadroni di bombardieri B-25 Mitchell della U.S.A.F e aerosiluranti Bristol Beaufighter della R.A.F provenienti dal Nord Africa e operativi sul Mediterraneo.
Appena gli aerei sorvolarono sopra il SINFRA, avvenne una forte esplosione. Lo shock dovuto all’esplosione fu così forte che Donato Dutto fu scagliato parecchi metri lontano dalla sua posizione originale. Mentre cercava di capire cosa fosse accaduto, vide le sentinelle aprire il fuoco all’interno delle stive. Il suono dei mitragliatori era alto, ma non tanto da coprire le urla di terrore che salivano dalle stive. Enzo Della Rovere, un altro italiano sopravvissuto, affermò che la bomba era entrata dalla ciminiera ed era esplosa all’interno della nave e che molti soldati italiani erano stati intrappolati all’interno nelle stive vicine all’esplosione di cui le scale di accesso erano collassate e crollate.
Anche un rapporto trovato negli Archivi della Marina Italiana conferma che la bomba attraversò la ciminiera e l’esplosione procurò confusione, panico e terrore nelle stive. Corrisponde anche l’azione compiuta dalle sentinelle tedesche che gettarono, inizialmente, alcune granate dai boccaporti e poco dopo fecero fuoco con le Schmeisser, quando i prigionieri tentarono di risalire in coperta.
Il motore della SINFRA si fermò e poco dopo la nave cominciò ad inclinarsi sul lato dritto. Quelli che erano già in coperta cominciarono a saltare in mare.
Nel contempo i bombardieri alleati compirono un largo giro intorno al SINFRA e ritornarono indietro per terminare il loro lavoro. La nave fu colpita nuovamente e l’incendio si propagò in breve da poppa a prua. Pochi attimi dopo il secondo attacco, un gruppo di ufficiali tedeschi con due civili (un diplomatico e sua moglie, secondo quanto testimonia Dutto) arrivarono sul ponte di coperta spingendo e sparando. Presero una scialuppa di salvataggio sul lato dritto e lasciarono velocemente la nave sotto incendio. Sul lato sinistro alcuni ufficiali italiani erano più fortunati e riuscirono a calare in mare una scialuppa di nascosto dei tedeschi. La nave di scorta fece molti e continui segnali luminosi al SINFRA ma non venne mai vicina alla nave bombardata per salvare i naufraghi finiti in mare, se non molte ore più tardi.
La nave non affondò subito, e dopo aver messo le due lance in mare, le sentinelle lasciarono le loro postazioni presso le stive aperte. Quello fu il momento atteso dai prigionieri sopravvissuti al massacro e si riversarono con tutti mezzi possibili sulla coperta della nave e si gettarono in mare. Molti di loro cercarono pezzi di legno o altro materiale galleggiante per sostenersi e vincere la stanchezza. Le acque intorno alla nave erano piene di naufraghi che lottavano per rimanere vivi. Donato Dutto cercò di rimanere a bordo della nave che bruciava il più a lungo possibile, poi trovò il coraggio di tuffarsi in mare. La soluzione si trovò quando un gruppo di naufraghi notò la biscaglina appesa fuoribordo che era stata usata dagli ufficiali tedeschi per salire sulla lancia. Dutto usò quello strumento per fuggire dalla nave sotto incendio. La nave scarrocciava lentamente mentre veniva consumata totalmente dal fuoco.
A fronte dell’estremo calore, molti militari correvano sul ponte della coperta e i loro urli d’aiuto si udivano chiaramente anche a distanza. Alle 02.30, quando il fuoco raggiunse le bombe d’aereo sistemate nelle stive, si compì il destino del piroscafo SINFRA. La nave fu sventrata da una colossale esplosione che deflagrò a molti chilometri di distanza. La mattina successiva, una flotta di pescherecci greci requisiti dai tedeschi, affluirono sulla scena del disastro alla ricerca di naufraghi sotto le direttive di un paio d’idrovolanti del 7° Squadrone Salvataggio Marittimo germanico e della nave di scorta.
Donato Dutto fu uno dei pochi militari italiani tratti in salvo dai pescherecci locali, nonostante l’ordine fosse molto chiaro: “prima salvate i militari tedeschi!”. Durante le operazioni di recupero e salvataggio dei naufraghi, uno stormo di caccia alleati attaccò e distrusse un idrovolante tedesco. Subito dopo l’attacco, i pescherecci fecero rotta per il porto di Cania. Ad attenderli in banchina c’erano i tedeschi che prelevarono i naufraghi italiani e li trasferirono con mezzi pesanti nelle carceri vicine alla città. Gli ufficiali italiani furono invece portati nella prigione di Panaghia dove rimasero quattro settimane prima di essere imbarcati per il Pireo.
LE CIFRE DEL DISASTRO
a) Nel suo libro (scritto 10 anni dopo gli eventi) Donato Dutto affermò che 523 italiani si salvarono (100 circa furono salvati dai pescherecci e almeno 400 furono tratti in salvo da dalla nave di scorta e dalle lance di salvataggio calate in mare dalla nave prima che affondasse). Inoltre, egli scrisse che soltanto 12 partigiani greci sopravvissero. Comunque, questi combattenti furono più tardi giustiziati perché ritenuti responsabili della morte di molti soldati tedeschi finiti in mare dopo il naufragio. Dutto stimò che a bordo del SINFRA si trovassero 400 militari tedeschi.
Il numero delle vittime: 2465
Superstiti: 535 Internati e prigionieri greci
Su un TOTALE di: 3000 presenti a bordo, incluse i milit. Germ.
b) Secondo il sito web di George Duncan’s le cifre sono diverse e meglio dettagliate:
Il numero delle vittime: 2098
Superstiti: 566 403 internati italiani, 163 tedeschi
Su un TOTALE di: 2664 Di cui 2389 italiani internati, 71 prigionieri greci, 204 militari tedeschi.
c) Il ricercatore greco Manos Mastorakos fornisce gli stessi dati di Duncan ma un diverso numero di superstiti: 757 italiani, 197 tedeschi
Il numero delle vittime 1710
Superstiti: 954
Su un TOTALE di: 2664 presenti a bordo
d) Il libro di Gerard Schreiber fornisce i seguenti dati:
Il numero delle vittime: 1850 Internati e prigionieri greci
Superstiti: 539 Internati e prigionieri greci
Su un TOTALE di: 2389 Internati e prigionieri greci
e) Gli Archivi della Marina Militare (Roma) forniscono un differente quadro:
Esiste un Rapporto del 7.8.1946 che certifica che 5.000 italiani imbarcarono sulla M/n SINFRA il 18 ottobre 1943. Furono poi imbarcate 500 proiettili di contraerea. Lo stesso rapporto riporta che ci furono circa 500 superstiti.
Le note del webmaster:
I dati forniti da Donato Dutto riguardo al totale delle persone imbarcate sulla SINFRA, non sembrano essere particolarmente accurate. Si tratta probabilmente delle cifre discusse dagli ufficiali italiani prima dell’imbarco sulla nave, poiché le cifre sono arrotondate. In ogni caso non vi sono grandi differenze sulla valutazione dei superstiti. Va detto invece che i dati forniti da Gerhard Schreiber che ha esaminato gli Archivi di Stato tedeschi, sono considerati attendibili e affidabili anche da molti storici italiani.
Purtroppo, il numero dei prigionieri italiani e greci uccisi dalle sentinelle tedesche durante il tentativo di fuga dalle stive, rimane sconosciuto.
La Posizione del Relitto
Il relitto della SINFRA si trova 7 miglia fuori della costa nord occidentale di Creta (meno di 25 km a nord del porto di Cania). Si pensa che il relitto sia difficilmente riconoscibile a causa dei danni subiti dall’esplosione.
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 febbraio 2013
GIONA
GIONA
Giona non voleva
non voleva andare Giona
non in Oriente
non dove gli aveva detto Dio.
Non a Ninive
quel covo di depravati.
Non era suo compito
la salvezza di quei peccatori.
No, no e no
chi sono io
non un profeta, non un giusto
chi mi ascolta?
non ho voce potente
non ho fede invadente
Quel pizzico che mi resta
serve alla mia salvezza.
Dio ti sei sbagliato
non sono all’altezza.
Così Giona scelse l’0ccidente
come molti, troppi
avrebbero fatto dopo di lui.
Il mare diverrà torbido di dolore.
Dopo.
Ora no
Solo Giona è sulla rotta sbagliata.
Ma anche allora
il mare si alterò
la ciurma si allarmò.
Giona dormì.
finché non fu scosso
dalle domande dei marinai
che, credenti o no,
nelle tempeste pregano.
Quando Dio sceglie
non molla.
Giona lo capì.
prese la sua sacca e disse:
“Ho peccato contro il mio Dio
buttatemi a mare e sarete salvi.”
Così fecero e Giona fu inghiottito
da una balena.
Fu buio, fu silenzio.
Per tre giorni e tre notti
Giona ascoltò se stesso
E fu pronto.
La balena lo spiaggiò
E lui si incamminò.
Non convinto, ma convincente
annunciò per le strade di Ninive
pentimento e conversione.
Patì la sete, il caldo, la fatica
Dagli schiavi al re
tutti lo ascoltarono.
Dio ebbe pietà
di quel popolo penitente
e perdonò i loro inconsapevoli peccati.
Giona non gradì
“Lo sapevo, lo sapevo dall’inizio
che li avresti perdonati.
Misericordioso con loro
esigente e sordo con me.
Ora voglio solo morire.
solo la morte mi darà sollievo.”
Dio fece crescere allora
una pianta di ricino
che ombreggiò Giona
concedendogli sollievo.
La speranza non è certezza
il ricino seccò
e Giona riprese a lamentarsi
a invocare la morte.
E’ il tempo della pietà
pietà per il ricino
pietà per l’umanità
Giona uomo moderno
ha pietà solo per sé stesso.
Un po’ di storia....
Durante il regno di Geroboamo II, Giona profetizza un periodo di stabilità politica per le dieci tribù che costituiscono il regno del Nord (2Re 14:25). In questo stesso periodo, Ninive, capitale dell’Assiria, è al massimo della sua potenza e i suoi re nutrono mire espansionistiche sui territori di Israele e di Giuda. La prospettiva di essere conquistati dagli Assiri terrorizzava i popoli di quella regione.
Il profeta Giona ricevette un preciso ordine dal Signore: andare a Ninive, la capitale dell’Assiria e predicare contro la sua malvagità, offrendo ai Niniviti la possibilità di riconciliarsi con Dio. Ma Giona non voleva andare a Ninive, né gli sembrava giusto che a quei barbari Dio potesse far grazia nel caso in cui si fossero pentiti: così decise di fuggire, spingendosi verso i più lontani confini del mondo allora conosciuto. Ma non si può sfuggire a Dio. Il Signore scatenò una tempesta impetuosa e, mentre invocavano l’aiuto dei loro dei, i marinai tirarono a sorte per capire a causa di chi capitava quella disgrazia. La sorte cadde su Giona ed egli spiegò che era in fuga per non eseguire un ordine del suo Dio. Egli stesso suggerì all'equipaggio della nave di buttarlo in mare, era convinto che in tal modo la tempesta si sarebbe placata. Dopo qualche esitazione, i marinai fecero come Giona aveva loro suggerito. La tempesta si placò e il profeta fu inghiottito da un grosso pesce, nel cui ventre egli rimase per tre giorni e tre notti. Pregò con fervore e Dio lo esaudì ordinando al pesce di vomitarlo su una spiaggia. Dopo quegli avvenimenti, il Signore parlò ancora a Giona e questa volta il profeta ubbidì. Ninive era così estesa che ci vollero tre giorni per percorrerla, e in quei tre giorni Giona predicò un forte messaggio che invitava gli abitanti ad avvicinarsi a Dio e a convertirsi. Colpiti dal messaggio, i Niniviti si pentirono dei loro peccati. Allora il Signore, nella sua misericordia, ebbe pietà di loro e decise di non punirli. Giona però ne fu irritato: non riteneva giusto che fosse concessa una opportunità di redenzione ad un popolo del genere, che comunque avrebbe continuato ad essere una minaccia per il popolo di Israele. La cosa più logica sarebbe stata che Dio li sterminasse e salvaguardasse il suo popolo. Eppure Dio ebbe compassione di quella popolazione, dimostrando a Giona che il suo amore è riservato a tutti gli uomini ed Egli ascolta chiunque si rivolga a lui con pentimento.
Romani Giuseppe, Marina in tempesta con Giona inghiottito dalla balena
Giona viene risputato dalla balena per ordine di Dio e lasciato sotto un albero di zucche.
Gesù paragona l'episodio perfino alla sua stessa morte e risurrezione, raffigurandosi con lui: "...perché, come Giona rimase dentro al grosso pesce tre giorni e tre notti, così io, il Messia, resterò sepolto nel cuore della terra tre giorni e tre notti. Nel Giorno del giudizio gli abitanti di Ninive si leveranno contro questo paese, e lo condanneranno, perché quando Giona predicò, essi si pentirono e, lasciata la cattiva strada, si convertirono a Dio. Eppure ora qualcuno ben più grande di Giona è qui" (Matteo 12:40-41).
ADA BOTTINI
4 Maggio 2016
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P.fo PETRELLA- affondamento l'8.2.1944-2700 morti
AFFONDAMENTO
PIROSCAFO PETRELLA
8.2.1944
2646 Vittime
La ricerca di informazioni verte sull'affondamento del Petrella (ex Capo Pino-ex Aveyron) avvenuta 8/2/1944 nelle acque di Creta da parte del sommergibile inglese Sportsman.
Nella perdita di 2646 (2670 da Schreber) vite di prigionieri italiani vi era il padre di una cara amica che sarebbe molto contenta di conoscere qualche notizia in più sul fatto e sulla nave (dati tecnici,eventuale foto)
Dati che ho cercato anche dal R.I.N.A. e foto dal sito della Royal Navy (avendo saputo che il Petrella era stato monitorato e fotografato da ricognitori inglesi)
PETRELLA, exCAPO PINO, ex AVEYRON, Toulon (Archivio G. Spazzapan)
La nave da carico PETRELLA fu costruita nel 1923 a Granville con il nome di PASTEUR. Appartenne ad una serie di 9 unità, conosciute come le “4.800 tons” in riferimento alla loro stazza lorda, furono ordinate dallo Governo francese con lo scopo di ripristinare la flotta dopo il 1° conflitto mondiale. Varata il 3 febbraio 1923, entrò in linea con la bandiera francese il 10 agosto 1923. L’anno seguente fu acquistata dalla Compagnie des Chargeurs Français, nel 1925 fu presa a noleggio dalla Compagnie Navale de l’Océanie (Ballande Shipping Company) per la sua linea della Nuova Caledonia. Nel giugno 1928 fu acquistata dalla CGAM, e rinominata AVEYRON e fu assegnata alle linee della CGT, quella della West Indies e quelle di Nantes-Bordeaux-Algeri-Tunisi. Nel 1939 passò alla CGT.
Il 10 luglio 1941 fu trasferita in Italia e rinominata CAPO PINO sotto il controllo della Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore. L’8 settembre del 1943 fu sequestrata dai tedeschi a Patrasso, rinominata PETRELLA sotto il controllo della Mittelmeer GmbH. L’8 febbraio del 1944 il piroscafo PETRELLA fu affondato dal sottomarino inglese SPORTSMAN al largo della baia di Suda, Creta. Il numero delle vittime fu altissimo: 2.700 di 3200 prigionieri di guerra italiani (pow) che si trovavano a bordo.
Dati Nave:
Design features
Aveyron (steel cargo ship) 1939 - 1941
hull material : ...................steel
previous name(s) of ship : ........pasteur
detailed type : ...................steel cargo ship
type of propulsion : ..............1 propeller
building year of ship : ...........1923
name of shipyard : ................F. & Ch. De la Gironde
place of construction : ...........Graville
year of entering the fleet : ......1939
length (in meters) : ..............110,60
width (in meters) : ...............14,98
gross tonnage (in tons) : .........4785
deadweight (in tons) : ............6500
type of engine : ..................inverted, triple expansion 3 cylinders
engine power (in HP) : ............2500
nominal speed (in Knots) : ........12
Il materiale che segue é il Rapporto tradotto dal tedesco all’italiano, da un 'anonimo'. Il testo é stato ripreso dal Sito BETASOM –XI GRUPPO SOMMERGIBILI ATLANTICI.
Inviato l’11 febbraio 2010 con questa dizione:
Salve!
Di questa tragedia dimenticata, 'rompendo' un po’ da tutte le parti ho recuperato varie informazioni .... tra cui la trascrizione dei rapporti del traffico marittimo a Suda nei giorni a cavallo dell'affondamento .... che ho tradotto con un po’ di approssimazione ....
Centro di trasporto marittimo di Suda
23.01.44 vento W-NO mare forza 2-3, nuvoloso, visibilità 10 Miglia
Ore 09.35 arriva la nave Petrella con 4178 tonnellate di carico da Saloniko – il Pireo.
24.01.44 vento Debole di direzione variabile, mare forza 2-3, visibilità 12 Miglia.
06.50 arrivo della nave Susanne con un carico di 111 t. e 30 soldati tedeschi partita dal Pireo. La Petrella subiva un guasto al timone spostandosi dal posto di ancoraggio. L´attracco al molo avveniva con 1.5 ore di ritardo. Lo scarico della merce inizia ore 08.30
28.01.44 vento da N, mare forza 2-3, localmente di 4-5, foschia o nebbia, visibilità di 6 Miglia.
Ritardi nelle operazioni Scarico e carico per la forte pioggia. La Petrella dalle 11.00 alle 14.00 ha interrotto le operazioni per la rottura di un tubo di vapore. La navigazione dei piccoli natanti ostacolata dal tempo cattivo.
04.02.44 Vento da W-SW mare forza 3-4, localmente 5, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 00:40, 01:10, 02:40, 03:16, 08:10, 08:22, 09:22 e alle 09:36.
12.30 imbarco truppe.
La Susanne imbarca 87pers.ted. in vacanza. Il comandante riceve ordine per il trasporto. Ogni soldato riceve una salvagente.
17.00 imbarco truppe sulla Petrella. Vanno a bordo:
2.800 prigionieri italiani
72 volontari di combattimento ital.
41 prigionieri ( non ital.)
193 tedeschi ( militari di scorta)
Il comandante riceve gli ordini per il viaggio: ciascun soldato ted. Riceve salvagente. A bordo ci sono 4 zattere e 4 battelli gonfiabili, vengono aggiunti 5 zattere per 24 pers ciascuna
La Partenza a causa del brutto tempo viene spostato al 06.02 ore 06.00
05.02.44 vento da S-SW mare forza 4-5, piovoso, 12 Miglia di visibilità.
Su ordine del commando marina ted. A Creta salgono sulla Susanne 10 militari tedeschi di scorta.
Dalla Petrella sbarcano i soldati tedeschi eccetto 95 uomini. Vengono imbarcati altri 282 prig. Italiani e 19 ital. Disposti a combattere.
06.02.44 vento da W-NW mare forza 5-6, , nuvoloso, visibilità 15 Miglia.
La partenza delle navi per il Pireo viene spostata al 07.02 ore 06.00 a causa maltempo
07.02.44 vento da S-SW mare forza 3-4, coperto, forte pioggia, la visibilità è di 8-10 Miglia.
La partenza della Petrella e della Susanne è stato spostato al 08.02 ore 06.00 causa maltempo
08.02.44 vento da N, mare forza 2-3, tendente a 4, visibilità 12 Miglia.
Ore 06.30 Petrella e Susanne partono scortate verso il Pireo.
Alle ore 08.55 dal comm. porto Suda si ha notizia che il convoglio di questa mattina e´stato attaccato da sommergibile nemico appena fuori Suda , La Petrella è stat colpita da 2 siluri
I Motovelieri nel porto di Suda:
Agios Nicolaos Pi 783,
Athina Pi 722,
Ipapanti Sy 631,
Agia Matrona Pi 823,
Agios Mattheus Pi 55,
Agios Nicolaos Ch 54,
Agios Nicolaos Ch 51
Si sono diretti sul luogo di incidente
Alle 10.05 su richiesta il comm. Del porto Chania conferma che anche i motovelieri locali si dirigono verso luogo di incidente:
Agios Nicolaos Ch 216,
Agios Dimitrios Pi 2302
E il Pi 22
Alle 10.35 su ordine del comm. Del Porto di Suda parte il rimorchiatore Voltaire verso luogo incidente per rimorchiare la nave danneggiata . MSS Kalami (punto di Osservazione?) riferisce che è ancora galleggiante.
Alle 11.20 arriva la notizia dal MSS Kalami che la nave sta affondando
Alle 12.00 la scorta GK 61 e GK 91 e la Susanne arrivano a Suda con i primi superstiti .
Dalle 15.00 – 16.00 visita del porto di Suda del capo Ammiragliato del commando marina Sud Contrammiraglio Stange.
Alle 20.25 arriva la notizia da Rethymnon che i motovelieri partiti da Suda per il salvataggio della Petrella
Agios Nicolaos Pi 783,
Agia Matrona Pi 823,
Agios Nicolaos Ch 51,
Agios Mattheus Pi 55,
Athina Pi 722
Sono arrivati a Rethymnon finite le operazioni di salvataggio con 67 ital. Salvi e 4 morti.
Agia Matrona Pi 823 ha toccato fondo alla entrata nel porto di Rethymnon e ha una falla. A bordo aveva 44t di munizioni. Solo dopo averla scaricato è potuta entrare in porto.
Alle 20.40 La Susanne con 67t. di carico, 41 prigionieri, 40 ital. Volontari e 11 militari di scorta è partita per il Pireo.
09.02.44 Vento da S-SW mare forza 3-4, nuvoloso, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 02:47, 03:06, 03:10, 04:00, 18:40 e alle 19:48.
Secondo le ns notizie del siluramento della Petrella di ieri, si sono salvati i seguenti naufraghi:
Equipaggio di bordo 29 su 34
Militari di bordo per l‘antiaerea 35 su 36
Militari tedeschi di accompagnamento 79 su 95
Soldati ted. non elencati 12
Italiani 424 su 3173
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Gatti Carlo
Rapallo, 27 febbraio 2013
I REMI DELLA "SUPERBA" PROVENIVANO DALLA VALD'AVETO
I REMI DELLA “SUPERBA”
PROVENIVANO DAI FAGGETI DELLA VAL D’AVETO
Lago delle Lame (dal latino lamis, palude)
Tre generazioni a passeggio intorno al Lago delle Lame
LAGO DELLE LAME
E’ situato a poco più di 1000 mt sul livello del mare alle pendici del Monte Aiona nel Parco Naturale Regionale dell’Aveto. E’ uno dei pochi laghi di origine glaciale assieme al vicino gruppo dei Laghi delle Agoraie, nessun torrente l’alimenta ma solo numerose sorgenti aperte su un fondale di circa 5 metri.
Si tratta di una zona umida di notevole pregio e liberamente fruibile dai visitatori: da qui partono diversi itinerari a piedi con livelli di difficoltà differenziati.
Il lago è raggiungibile con l’autovettura attraverso una stradina tortuosa che si imbocca subito dopo il paesino di Magnasco. Nelle vicinanze del Lago delle Lame esistono i ruderi dell’antico hospitale di S. Bartolomeo delle Lame, già citato nel 1352 come "... hospitale S. Bartolomei in Lamis Vallis Avanti".
Il paesaggio suggestivo immerso in una foresta di abeti e faggi ne ha fattol’ambientazione ideale per il Celtic Festival che si è svolto per la 18^ volta nel luglio del 2015 offrendo al folto pubblico di appassionati stage interattivi per grandi e piccini, concerti nel bosco e sul palco centrale, accompagnati da birre artigianali e cibi naturali prodotti nella stessa Val D'Aveto.
Passato l'abitato di Magnasco si incontra il bivio che conduce alla foresta delle Lame ove si trova il lago omonimo, minuscolo gioiello verde incastonato fra gli abeti e una morena d’epoca glaciale. Il ristorante albergo “Lago delle Lame” domina da un piccolo poggio le increspature verde oro formatesi grazie alla brezza che si leva leggera. Quando si fa sera le trote deliziano gli astanti con plastici voli sopra il pelo dell'acqua alla ricerca d’insetti che danzano ondivaghi.
Nei pressi del Lago si dipartono i sentieri che conducono all'interno del Parco dell'Aveto, una salubre passeggiata fra gli abeti e le faggete del comprensorio ritemprano la mente e lo spirito. Leprotti, daini, cinghiali e talvolta lupi in transito - come schegge che traversano e sollecitano il campo visivo per frazioni di attimo - popolano paesaggi da fiaba, il canto degli uccelli accompagna come melodia altalenante e melanconica lo scorrere del tempo...
Più oltre salendo verso il monte Aiona si trova la "Riserva Naturale orientata delle Agoraie" nel cui comprensorio vi son alcuni laghi, il più famoso dei quali è il "Lago degli Abeti". Il "Lago degli Abeti" deve il suo nome a dei tronchi d'abete bianco millenari che si trovano adagiati sul fondo. Gli altri laghi sono il "Lago di Mezzo" e il "Lago di fondo".
Presso il piccolo ma tecnologico Museo del Lago, ci siamo imbattuti in alcuni pannelli davvero interessanti per la nostra Storia Marinara di Liguria che ora vi proponiamo:
La poppa della Galea (Museo Galata Genova)
La prua della Galea (Museo Galata Genova)
La galea genovese del ‘600 che il Galata Museo del Mare (Genova) ha ricostruito fedelmente a grandezza naturale.
L’armeria della Galea
Posto di voga della Galea
La foto dà la reale misura del peso dei remi. Notare la particolare impugnatura.
Veduta d’insieme di un modello di Galea
Ecco le tre fasi della costruzione di un remo. Il prodotto finito veniva appeso al muro su tre staffe. Notare a sinistra in alto l’impugnatura dei remi.
Un ringraziamento particolare lo rivolgiamo al Comune di Rezoaglio dal cui sito abbiamo attinto una sorprendente pagina di storia per la delizia dei nostri affezionati lettori di argomenti marinari.
Per maggiori informazioni sull'evento consultare i siti: www.aveto-ts.it e www.valdaveto.net
Scipione D’ESTE-Carlo GATTI
Rapallo, 17 Settembre 2015
P.fo ORIA, UN NAUFRAGIO DIMENTICATO 12.2.1944-4200 morti
Il piroscafo Oria in navigazione
IL NAUFRAGIO DEL PIROSCAFO
ORIA
12 febbraio 1944
4163 Vittime
La tomba dimenticata
Il piroscafo ORIA all’ormeggio
Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e dei 4200 militari italiani prigionieri dei nazisti che vi hanno perso la vita nel lontano 12 febbraio 1944. Si tratta di uno dei peggiori disastri navali della storia dell’umanità, il peggiore del Mediterraneo. La nave s’inabissò presso l’isolotto di Patroclo, presso Capo Sounion, a 25 miglia da Atene.
Nave |
Armatore |
Costrut. |
Varo |
Stazza l. |
Lunghez. |
Larg. |
Veloc. |
ORIA |
Feanley & Eger Oslo |
Osbourne Graham&co Oslo
|
1920 |
2127 |
86,9 mt |
13,3 |
10 n. |
L'Oria fu costruito nel 1920 nei cantieri Osbourne, Graham & Co di Oslo. Era un piroscafo da carico di bandiera norvegese, della stazza di 2127 tsl, di proprietà della compagnia di navigazione Fearnley & Eger di Oslo . All'inizio della seconda guerra mondiale fece parte di alcuni convogli inviati in Nord Africa. Poco dopo l'occupazione tedesca della Norvegia , avvenuta nel giugno del 1940, il piroscafo fu internato a Casablanca . L’anno successivo la nave fu requisita dalla Francia di Vichy, ribattezzata Sainte Julienne fu noleggiata dalla Société Nationale d’Affrètements di Rouen; quindi fu inviata in Mediterraneo. Nel novembre del 1942 fu restituita al suo primo proprietario che la rinominò Oria; dopodiché fu assegnata alla Mittelmeer Reederei di Amburgo (Sotto il comando del Terzo Reich).
*(Il termine governo di Vichy indica il nome con cui è noto il governo francese formatosi durante l'occupazione tedesca nella seconda guerra mondiale).
Il naufragio
Nell'autunno del 1943 , dopo la resa delle truppe italiane in Grecia, i tedeschi dovettero trasferire circa 17.000 prigionieri italiani via mare . Per questi trasporti decisero di usare vecchie carrette del mare che venivano stipate di prigionieri oltre ogni limite, nella violazione delle più ovvie norme di sicurezza della navigazione. Secondo molti sedicenti marinai, per lo più stranieri, questi viaggi dovevano durare pochi giorni essendo il Mediterraneo un specie di lago pacifico al confronto dei più famosi oceani. Sottovalutare i pericoli meteo-marini di certi tratti di mare Mediterraneo é l’errore fatale compiuto dall’uomo di mare fin dagli albori della navigazione e la presenza di migliaia e migliaia di relitti riversi nei nostri fondali sono ancora lì a testimoniare quella bugia che é destinata a sopravvivere in eterno. Nella realtà della Seconda guerra mondiale, molte di queste navi furono silurate da sottomarini Alleati , mitragliate dalle rispettive Aviazioni oppure, come nel caso della ORIA, affondarono alla prima burrasca seria perché viaggiavano con la “marca del bordo libero” affondata di chissà centimetri o metri procurando la morte di migliaia di prigionieri considerati ‘carne da macello’. Questa purtroppo é la verità.
Capo Sounion e sullo sfondo l’Isola di Patroclo
L'Oria fu tra le navi scelte per il trasporto dei prigionieri italiani. L'11 febbraio del 1944 partì da Rodi diretta al Pireo con a bordo 4046 prigionieri (43 ufficiali, 118 sottufficiali, 3885 soldati), 90 militari tedeschi e l'equipaggio norvegese, ma l'indomani, colta da una tempesta , affondò presso Capo Sounion . Alcuni rimorchiatori accorsi il giorno seguente, non poterono salvare che 21 italiani, 6 tedeschi ed un greco. Tutti gli altri persero la vita.
In questa immagine tratta da Google Earth, si rileva l’esatta posizione del relitto del piroscafo ORIA, inabissatosi sulla sponda orientale dell’Isola di Patroclo, presso lo scoglio della Medina, su fondali variabili da 5 a 30 metri.
Tutto tace nelle profondità degli abissi da ben 69 anni, così come i 4200 soldati italiani.
Ricostruzione del naufragio
Il piroscafo, con a bordo i nostri soldati che si erano rifiutati di aderire al nazifascismo, salpò dall’isola di Rodi (Grecia) alle ore 17.40, l'11 febbraio 1944. La nave era una vera e propria “carretta” di 87 metri di lunghezza e 24 anni di età. Caricata di soldati, di bidoni d’olio minerale e gomme di camion, era diretta al Pireo, dove i nostri soldati sarebbero stati smistati come forza lavoro verso le industrie belliche germaniche oppure nei lager del Terzo Reich.
Purtroppo, nella notte successiva alla partenza, una violenta tempesta investì il piroscafo che iniziò a sbandare e ad imbarcare acqua per mancanza di bordo libero. Dei 4.200 soldati italiani solo 37 riuscirono a salvarsi nell’attesa dei soccorsi che giunsero con due giorni di ritardo a causa delle pessime condizioni meteo. Anche il comandante norvegese Bjarne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina furono salvati insieme a 6 tedeschi, un greco e 5 uomini dell'equipaggio.
Su quella vecchia carretta che si spostava in Mediterraneo nella totale mancanza di sicurezza nautica, i militari italiani non erano trattati come prigionieri di guerra, secondo la Convenzione di Ginevra, ma come traditori.
Il loro sacrificio fu ignorato per decenni, anche in patria, da tutti i governi che nel frattempo si sono dichiarati “democratici”.... e questa fu l’omissione più grave che può solo sintetizzarsi con la parola: VERGOGNA!!!
Eppure gli “addetti ai lavori” conoscevano i fatti, persino nei dettagli. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco , che il 27 ottobre 1946 redasse di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio:
“Dopo l’urto della nave contro lo scoglio" - scrive Guarisco - "venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un'ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c'era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l'acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all'asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell'acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto s’inabissasse in fondo al mare.
All'indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell'oblò, ma non ad uscire da quell'anfratto, perché il buco era troppo stretto. Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo.
Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima.”
Una luce di verità emerge finalmente dagli abissi.
Reperti sul relitto dell’Oria
La tragedia dell'Oria fu omessa dalla storiografia ufficiale, fu ignorata dai libri di scuola, ma fu dimenticata persino da quei pochi superstiti che, avendola vissuta fino in fondo, avrebbero dovuto tramandarla ai posteri insieme al ricordo delle vittime ed al recupero delle loro spoglie.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci con l’intento di recuperare tutto il possibile, soprattutto il ferro. Da quel momento il mare cominciò a restituire i resti di circa 250 naufraghi. Spinti sulla costa dalla corrente, i resti di quei poveri militari italiani furono pietosamente raccolti e poi sepolti in fosse comuni. Successivamente furono traslati verso piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. Mancano all’appello ancora migliaia d’altri nostri connazionali che sono ancora sepolti negli abissi silenziosi di un mare amico, ma straniero.
Quei caduti italiani nell’Egeo, ritrovati attraverso il web
Sono trascorsi 69 anni dalla tragedia e i parenti delle giovani vittime hanno istituito delle ‘pagine internet’ per raccogliere le voci dei figli e dei nipoti dei nostri militari che sono ancora “imprigionati” tra le lamiere di quel relitto norvegese. Nelle loro ultime ore di vita, quando l’acqua di mare ormai invadeva lo spazio vitale nelle stive inghiottendo le ultime bolle d’aria esistenti, i nostri ragazzi incisero i loro nomi e la data del naufragio sui bidoni di olio che viaggiavano con loro sull'Oria, a testimonianza che quella sarebbe stata la loro tomba, la fine dei loro sogni.
Oggi, i parenti delle vittime sono determinati a riportare alla luce quelle lamiere ormai contorte, tagliate e distrutte dalle mareggiate perché sentono il dovere di dare una degna sepoltura a quei giovani eroi salvandoli almeno dal peggiore dei mali: l’oblio.
Riportiamo lo scritto di Giulia Floris che ben sintetizza il “work in progress” di tanti figli e soprattutto nipoti di quei poveri soldati inabissatisi ...
Altri reperti sul rellitto
“Quasi 70 anni dopo, le loro storie sono ritornate a galla, grazie alle ricerche dei loro discendenti, spesso nipoti che di quei nonni portano i nomi e che, cercando di saperne di più sui loro antenati, si sono ritrovati in Rete, mettendo insieme i frammenti di una storia per tanti versi mai raccontata.
Nasce così un vero e proprio gruppo di ricerca, nel quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze: c’è chi è appassionato di storia e sa cercare negli archivi, chi crea un sito per condividere le informazioni, chi è esperto di immersioni, come anche Ghirardelli. Nel corso di queste ricerche arriva l’incontro sul web con un sub greco, Aristotelis Zervoudis, che racconta di un relitto ritrovato al largo dell’isola di Patroclo (chiamata un tempo 'Gaiduronisi', Isola dei Somarelli). Così, nel settembre 2008, Ghirardelli si mette in viaggio insieme a un altro membro del coordinamento dei parenti anche lui sub esperto, e vede coi suoi occhi le ossa dei militari e le gavette degli italiani ancora nel fondale. Nel corso di diversi viaggi, Ghirardelli incontra anche testimoni ancora in vita, che videro coi loro occhi il naufragio in cui morirono migliaia di italiani e solo poche decine si salvarono.
Nel frattempo le ricerche negli archivi della marina di un altro familiare portano a un’altra svolta. La scoperta dell'elenco dei passeggeri del piroscafo Oria, partito da Rodi l’11 febbraio del '44 e naufragato al largo di capo Sunion, proprio nei pressi dell'isola di Patroclo. Nell'elenco figurano i nomi del nonno di Ghirardelli e di altri antenati. Così finalmente Michele ha un luogo e un nome, per quel che è capitato a suo nonno”.
Una vicenda, quella dell'Oria, nota anche alla Storia con la S maiuscola, come conferma il professor Pasquale Iuso, docente di Storia contemporanea dell’Università di Teramo, autore di alcune pubblicazioni sui militari italiani nell’Egeo. "L’episodio è tragicamente vero – spiega - In tutte le isole dell’Egeo c’erano quasi 100mila militari italiani e a tutti venne offerta la possibilità di unirsi alle forze collaborazioniste della RSI e con i tedeschi. Chi si rifiutava di collaborare diventava internato militare.
Altri casi di navi cariche di militari italiani, affondate dagli alleati o per cause naturali - continua - sono il Donizetti (i cui caduti furono 1584), il Petrella (2646 morti) e la nave Sinfra, in cui morirono oltre 1850 italiani. Ma quello dell’Oria è stato senz'altro il più grande naufragio di militari italiani".
Ma per un’ottantina di persone identificate tra i caduti e tra alcuni di coloro che sopravvissero, restano ancora migliaia di nomi: dispersi per la loro famiglia e dimenticati dalla Storia. La speranza di dare un volto e una storia a ciascun nome della lista passa per una mailing list, un gruppo facebook e un sito web.”
Dal sito di BETASOM estrapoliamo l’interessante punto di vista del noto storico Francesco Mattesini:
“Sull’affondamento del piroscafo norvegese ORIA, si hanno due versioni, la prima é precisa e attendibile, la seconda nettamente errata.
“1^ versione. La nave era stata internata dai francesi e, dopo l’invasione del sud della Francia nel novembre 1942, era stata catturata a Marsiglia dai tedeschi, che l’avevano presa al loro servizio.
L’ORIA partì alle ore 17.40 dell’11 febbraio 1944 da Rodi, diretto al Pireo, dopo aver imbarcato 4.200 prigionieri di Guerra italiani, 30 guardie e 60 soldati tedeschi. L’indomani, il 12.2., a causa di una tempesta, affondò capovolgendosi. Si salvarono soltanto 49 prigionieri, 6 soldati e 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante (capitano Bearne Rasmussen) e il primo ufficiale di macchina.
2^ versione. (assolutamente inesatta)
Sarebbe stato affondato dal sommergibile olandese DOLFIJN, che attaccò il piroscafo alle 08.18 del 31 gennaio 1944, colpendolo con 3 siluri. Il Piroscafo affondò a ovest di Stampalia, a 10-20 miglia da Rodi.
La prima versione è convalidata dai norvegesi, riportando anche l’elenco dei caduti dell’equipaggio. Quindi l’ORIA affondò a causa del ‘mare grosso’ e non per attacco di sommergibili.
Questo ridimensiona l’episodio ma non certamente l’elevato numero di caduti italiani, che fu per noi una vera tragedia.
Riferimento: http://www.warsailor...t/norfleeto.htm
L'attaco del DOLPIJN é una possibilità, ma non può essere confermata, perché la nave-bersaglio non é stata identificata con certezza. In ogni caso, i 3 siluri non hanno mai colpito il bersaglio”.
Il 2 febbraio del 1943 il Dolfijn aveva affondato il sommergibile Malachite, fuori di Capo Spartivento (Cagliari).
Interessante é la seguente testimonianza:
“Carissimi amici di "Betasom", mi chiamo Guido Ferretti sono nato e vivo a Milano e sono figlio di Carlo Alberto Ferretti del 331 reggimento di fanteria della divisione Brennero aggregato nel 1942 come truppa di occupazione alla divisione Regina a Rodi. Questo eroico reggimento, al comando del Capitano Venturini, fu il primo ad opporre resistenza alle truppe tedesche della Sturmdivision Rhodos equipaggiata con i temibili carri "Tigre", ma dopo tre giorni di combattimenti furono costretti alla resa...per mio padre ebbe cosi inizio la "prigionia" prima nei campi dei Tedeschi ed in seguito nei campi "Inglesi" e fu proprio in questo periodo che ebbe luogo la tragedia "mai ricordata" delle navi Donizetti, Petrella ed Oria.....tragedia per la quale mio padre, oggi 86enne, ed altri reduci di allora stanno cercando di portare alla ribalta della opinione pubblica per ricordare quei martiri, si parla di 17.000 vittime, caduti per la Patria, messi nel dimenticatoio e catalogati con un semplice "dispersi"...Uno fra tutti questi reduci il Sig. Carnevali intimo amico di mio padre ha fatto di questa vicenda una vera "crociata" recandosi decine e decine di volte a Rodi per dare un nome a tutti questi caduti e per rendere a loro tutti gli onori delle armi!!! è riuscito anni or sono, tramite il cappellano militare del 331 regimento Don Giuseppe della Vedova, a mettersi in contatto con il frate di Rodi Don Cesare Andolfi, il quale fu l'unico ad entrare in possesso delle liste dei prigionieri Italiani imbarcati anzi stivati come sardine in queste carrette del mare e lasciati annegare come topi, silurati come nel caso del Donizetti e del Petrella dagli "Inglesi" che erano perfettamente al corrente che erano ‘trasporti’ carichi di inermi prigionieri Italiani!!!! Ora la cosa più disdicevole di questa immane tragedia è che lo Stato Italiano ha sempre voluto dimenticare tutto questo ed è veramente assurdo che la TV di stato Greca lo scorso anno ha invitato il Sig. Carnevali mio padre, ed un altro reduce di Rodi ad una trasmissione televisiva per ricordare tutto questo, e non dimentichiamoci che per i Greci non eravamo come oggi graditi turisti, ma truppe di occupazione, mentre lo Stato Italiano nega persino a questi reduci la possibilità di deporre un monumento pagato da loro nel parco di Bresso, a ricordo di quei figli morti per l’Italia...è una vergogna!!!!
Amici di "Betasom" aiutate se potete questi reduci, oggi tutti di 86 anni, perchè il tempo per loro ormai è tiranno, alla fine cercano solo un Comune che gli conceda 10 metri quadrati in un parco per porre il loro monumento ai caduti e sarebbe l'unico monumento in Italia a ricordo dei 17.000 naufraghi....sono lieto a chi lo desidera di inviare gratuitamente una copia del libro scritto da Carnevali (non a scopo di lucro 100 copie stampate e pagate da lui per i reduci ed i conoscenti) che si intitola 17.000+1 dove 17.000 sono le giovani vittime di questa tragedia e l'1 rappresenta il Sig,Carnevali che racconta tutta la verità su questa triste vicenda o se volete una copia del CD dell'intervista fatta a Rodi per la TV nell'agosto 2007.
Ringrazio lo staff di Betasom per questa opportunità e porgo a tutti i miei più cordiali saluti.”
Guido Ferretti
Dal sito DODECANESO: il sito italiano sulla storia antica e moderna delle isole dell’Egeo, riportiamo:
AGGIORNAMENTO DEL GENNAIO 2011
Gli oltre 4.000 militari italiani deceduti ora non sono più anonimi. dopo un oblio durato decenni la tragedia dell'Oria viene finalmente alla luce grazie all'impegno di alcuni subacquei greci coordinati da Aristotelis Zervoudis. Essi compiono numerose immersioni sul sito dell'affondamento documentando l'entità della tragedia, l'impatto emotivo ed umano di quello che vedono è così forte che li spinge a coinvolgere la comunità locale indagando presso gli anziani dell'isola. Riescono così ad identificare il luogo della pietosa sepoltura dei corpi spiggiati dopo l'affondamento e decidono di costurire un monumento sulla spiaggia del naufragio. Tutta la comunità locale partecipa a quest'iniziativa ed il sindaco decide di mettere a disposizione dei fondi. Contemporaneamente alcuni parenti dei militari italiani deceduti nel naufragio, riesce a rintracciare la lista di tutti i militari imbarcati dopo lunghe e difficili ricerche. Questa lista è uno dei misteri dell'Oria, ritenuta inesistente era in realtà scomparsa nei polverosi archivi italiani, ne vennero trovati indizi negli archivi della Marina mentre alcuni sostenevano che una copia fosse stata custodita presso i francescani di Rodi. Finalmente la sig.ra Barbara Antonini, il cui nonno era scomparso nel naufragio, riuscì a rintracciare la lista presso la Croce Rossa. Grazie alla sua determinazione ed al supporto fornito dal coordinamento dei parenti, molte famiglie dei dispersi in Egeo (circa 15.000 militari) potranno almeno cercare il nome del proprio congiunto e se lo scopriranno in questa lista sapranno almeno dove poter depositare un fiore. Il sito Dodecaneso divulga pubblica per la prima volta, con l'autorizzazione delle famiglie, la lista completa degli imbarcati sull'Oria, si tratta di un documento di eccezionale importanza storica oltrechè umana.
Si ringrazia sentitamente i dirigenti del sito www.piroscafooria.it per le ricerche storiche effettuate che hanno permesso di arrivare alla conoscenza di fatti importantissimi della nostra storia.
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 Aprile 2013
IL MARE E L'UOMO
IL MARE E L’UOMO
Non posso cambiare la direzione del vento ma posso sistemare le vele in modo da poter raggiungere la mia destinazione.
Tanto, tanto tempo fa, quando tu non eri ancora nato, quando ancora nessun uomo, nessuna donna erano ancora nati, il mondo, era grande, fresco, pulito.
C’erano il Sole e la Luna che si davano il cambio per illuminare quello spettacolo tutto nuovo e le stelle curiose che adocchiavano da lontano.
Il mare poi, oh Dio, cos’era il mare! Immenso, colorato con tutti i colori dell’arcobaleno più l’oro e l’argento oppure trasparente ed anche poco abitato e questo era il guaio. Il mare si sentiva tanto bello e gli dispiaceva che non ci fosse nessuno ad ammirarlo.; così un giorno chiamò Dio con il vocione possente delle tempeste e gli disse: ”Signore, Tu mi hai creato forte, possente, magnifico. Hai messo in me le prime forme di vita, ma questi esseri che abitano nel mio grembo neanche si accorgono delle mie doti, pensano solo a mangiare e a riprodursi. Crea un essere diverso che sia capace di ammirarmi”
Il Signore fece il sordo a quella proposta un po’ prepotente e neanche gli rispose.
Passarono ancora tanti anni. Il mare si sentiva sempre più solo e poco valorizzato, si sentiva depresso e triste, non aveva neanche più voglia di imbizzarirsi e di scagliarsi contro gli scogli tutti nuovi che aveva incominciato a rompere con le sue ondate gigantesche. Un giorno, mentre era calmo, calmo, parlò di nuovo al Signore con il sussurro dell’onda sulla spiaggia.
Signore, Dio creatore di tutte le cose, io ho bisogno di qualcuno che mi parli, che giochi con me, che si diverta tra le mie onde. Ti prego, Signore, crea un essere intelligente, che sappia di essere vivo e apprezzi la Tua creazione.”
E il Signore così gli rispose: “Oh mare brontolone e incontentabile, perché vuoi che il mondo sia abitato da esseri diversi dagli animali e dalle piante? Questi non ti fanno alcun male, ma un essere diverso potrebbe avere il desiderio di diventare il padrone di tutto, di servirsi di te per i suoi comodi e di danneggiarti..”
“Può essere Signore, ma voglio tentare lo stesso, la solitudine è troppo brutta!”
Così Dio creò l’uomo.
Chissà se il mare si è pentito di quell’antica richiesta….
ADA BOTTINI
Rapallo, 3 Maggio 2016
T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE, un eroe ligure
T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE
Un Eroe Ligure
Nasce a Noli (Savona) il 6 ottobre 1906.
Arruolato nella Regia Marina per obbligo di leva ed ammesso, dal 1° gennaio 1928, alla frequenza del Corso Ufficiali di complemento consegue, nel novembre dello stesso anno, la nomina a Guardiamarina. Imbarca prima sull'incrociatore QUARTO e poi su nave appoggio aerei MIRAGLIA e nell'agosto 1933, promosso Sottotenente di Vascello, viene in congedo per fine di ferma.
Dopo aver ripreso gli studi, nel 1935 consegue la laurea in Scienze Economiche presso l'Università di Genova e nel settembre dello stesso anno, per esigenze di carattere eccezionale, é richiamato in servizio ed assegnato alla Squadriglia MAS di La Spezia con la quale poi partecipa ad alcune missioni durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna. Nel 1937 consegue la nomina a Tenente di Vascello e nel gennaio dello stesso anno é destinato a Massaua, presso il Comando Superiore in Africa orientale.
Il 24 aprile 1940 ottiene il comando della torpediniera CALATAFIMI con sede a La Spezia. Il 14 giugno dello stesso anno contrasta efficacemente con quel mezzo una forte formazione navale francese diretta a colpire importanti obiettivi militari ed industriali nel Golfo Ligure.
Insignito della massima decorazione militare per l'audace azione, mantiene il comando del CALATAFIMI fino all'8 settembre 1943 quando, rifiutando ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I., viene internato in Germania. Rimpatriato nel settembre 1945 e conseguita la promozione a Capitano di Corvetta con anzianità 1.1.1944, nel febbraio 1947, a domanda, viene collocato in ausiliaria, passando poi nella riserva nel 1955, nel grado di Capitano di Fregata.
Muore a Genova il 30 luglio 1992.
Il giorno 6 ottobre 2006 é stato celebrato a Noli (pochi km da Savona) il centenario della nascita del C.te Giuseppe Brignole.
La torpediniera CALATAFIMI rientra in porto dopo l’azione contro la Squadra francese.
Al comando del cacciatorpediniere Calatafimi il 14 giugno 1940 riesce con ardita manovra a far ripiegare le navi francesi che avevano l'obiettivo di bombardare le installazioni industriali della zona Savona-Vado e Genova. Per tale azione viene insignito della M.O.V.M. (la prima concessa dopo l'inizio del conflitto mondiale) con la seguente motivazione:
"Comandante di torpediniera di scorta ad un posamine, avvistata una formazione di numerosi incrociatori e siluranti nemici che dirigevano per azioni di bombardamento di importanti centri costieri, ordinava al posamine di prendere il ridosso della costa ed attaccava l'avversario affrontando decisamente la palese impari lotta. Fatto segno ad intensa reazione, manovrava con serenità e perizia attaccando fino a breve distanza con il siluro e con il cannone, le unità nemiche. La sua azione decisa e i danni subiti dalle forze navali avversarie costringevano questa a ritirarsi.
"Esempio di sereno ardimento, di sprezzo del pericolo, di consapevole spirito di assoluta dedizione alla Patria"
(Mar Ligure, 14 giugno 1940)
(R.D.19 luglio 1940)
Altre Decorazioni e Riconoscimenti per merito di guerra:
Motivazione M.B.V.M.-
(1° concessione) "sul campo"
"Comandante di torpediniera, di scorta ad una pirocisterna, colpita con due siluri e incendiata da aerosiluranti nemici, impartiva rapidamente efficaci disposizioni al fine di arrecare soccorso ai naufraghi dell'unità sinistrata. Nonostante l'opera di salvataggio fosse resa estremamente difficile a causa della benzina in fiamme, riversatasi nella zona di mare circostante, riusciva in breve tempo a trarre in salvo tutti i naufraghi, dimostrando serena noncuranza del pericolo ed elevato spirito di abnegazione".
(Mediterraneo Orientale, notte sul 26 ottobre 1942)
(Determinazione del 22 marzo 1943)
(R.D.10 maggio 1943)
Motivazione M.B.V.M.-
(2° concessione) "sul campo"
"Comandante di torpediniera, ha compiuto numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque insidiate dal nemico. Animato da elevato sentimento del dovere, ha dimostrato in ogni circostanza sereno coraggio, capacità professionali ed elevato spirito combattivo ".
(Mediterraneo, 22 giugno 1942 - 8 settembre 1943)
(Determinazione del 20 marzo 1946)
(D.L.12 aprile 1946).
Da "Le Medaglie di Bronzo al V.M." - U.S.M.M.
Torpediniera CALATAFIMI
Il Bollettino di Guerra qui riportato riguarda un’azione della nostra Marina Militare ed é riportato con la sua sequenza numerica e con la loro data di diramazione.
Il Quartier Generale delle Forze Armate comunica :
4)-15 giugno 1940-XVIII
..........All'alba del giorno 13, unità della nostra marina si scontravano con una
formazione navale nemica composta di incrociatori e siluranti. Ne è seguito un
combattimento durante il quale sono entrate in azione anche le difese costiere
della R.Marina. La torpediniera CALATAFIMI ha colpito con siluri due grosse cacciatorpediniere, una delle quali è affondata. Località della Riviera Ligure sono state colpite dal tiro delle navi nemiche: si contano alcuni morti e feriti tra la popolazione civile.
Incrociatore francese ALGERIE
Incrociatore francese FOSCH
L’AZIONE - Descritta dal com.te Torricelli
"Alle ore 20 del 13 giugno la Calatafimi esce dalla rada della Spezia scortando il posamine Gasperi. Destinazione: posa campi di mine nelle acque antistanti la costa fra Genova e Savona. Nel frattempo le navi francesi navigano compatte per qualche ora, per separarsi poi in due sezioni: il "gruppo Vado", composto dagli incrociatori Algerie e Fosch, con i caccia Vauban, Lion, Aigle, Tartu, Chevalier Paul e Cassard che dirige per Vado Ligure, ed il "gruppo Genova" composto dagli incrociatori Dupleix e Colbert ed i caccia Vautour ed Albatros, che fa rotta su Genova, con i caccia Guepard , Valmy e Verdun in avanscoperta versi sud-est.
Alle 4,10 una vedetta del Calatafimi individua con il binocolo alcune unità nemiche. Brignole le riconosce immediatamente come caccia francesi. Ordina con il megafono al Gasperi di riparare alla massima velocità possibile verso Genova, rimanendo sotto costa. La nave inverte la rotta e si butta sottocosta dove la foschia lo protegge da un avvistamento che potrebbe risultargli fatale.
Sulla Calatafimi viene battuto il posto di combattimento, le macchine vengono spinte a tutta forza e viene assunta la rotta convergente sulle navi francesi. Nonostante non si abbia conoscenza della consistenza delle forze nemiche, il C.te Brignole muove risolutamente contro di esse. Poco dopo vengono individuate altre cinque navi: due sembrano incrociatori, gli altri caccia (si trattava del "Gruppo Genova"). Non importa. La manovra di attacco viene proseguita. La formazione francese è composta dai due incrociatori al centro e dai caccia ai lati, in funzione di scorta e protezione. Una volta comunicato via radio a Supermarina l'avvistamento, tutto a bordo viene preparato al combattimento: i cannoni sono in punteria, i tubi di lancio brandeggiati verso le navi nemiche”.
Dal Giornale di Chiesuola n. 234 della Calatafimi si riporta:
“Date le condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli a noi, io speravo di non essere scorto dal nemico e poter lanciare i siluri alla distanza minima con maggiori possibilità di colpire.
Questa manovra, oltre alla forte foschia ed alla sottile pioggia, era favorita anche dalla mia posizione, sperando che la mia ombra si confondesse con quella della costa.
Quindi potevo tentare di avvicinarmi il più possibile. Ho pensato anche di desistere dall'attacco alle unità sottili per rivolgerlo agli incrociatori che sempre più si profilavano e davano la prospettiva di maggior bottino. Però, per non essere visto, avrei dovuto agire con le sole macchine senza variare eccessivamente la mia rotta. Questa manovra non mi dava eccessivo affidamento. Ho continuato l'attacco sulle prime unità. Intanto preparavo i dati da trasmettere ai tubi di lancio con l'aiuto dell'Ufficiale di Rotta. Nessuno di noi pensava di tornare incolume da una siffatta impari lotta. Ma sono sicuro che in ogni cuore, come nel mio, c'è solo un proposito: difendere i paesi della costa. La nostra vita sarà perduta, ma sarà pagata a caro prezzo.”
Poco dopo le navi francesi modificano la loro formazione: "linea di rilevamento" passano in formazione "linea di fila" in modo da poter utilizzare tutte le artiglierie di maggior calibro.
Il "gruppo Vado" inizia la sua azione di fuoco contro gli obiettivi stabiliti, controbattuti dalle batterie costiere di Savona ed Albisola. Anche le batterie di Genova sono allertate. Interviene inoltre la 13a Squadriglia MAS di base a Savona che con una azione portata in fondo in modo deciso, lancia numerosi siluri che, pur non andando a segno, costringono le navi francesi, che già avevano bersagliati con successo alcuni obiettivi a vado e Savona, ad una precipitosa accostata infuori, interrompendo l'azione.
In mare i rapporti di forza sono drammatici: uno contro nove. Alla distanza di 6 - 7.000 metri il "gruppo Genova" apre il fuoco contro gli obiettivi assegnatigli. Anche i pezzi della Calatafimi entrano in azione, ma sulle prime, Brignole si rende conto che i francesci non hanno ancora avvistato la piccola Torpediniera. Passano pochi secondi e intorno all'Unità scoppia il finimondo. Le salve francesi cadono nutrite e centrate intorno alla Nave che prosegue, pur con continui zig-zag, nella sua rotta convergente sul nemico. Ad una distanza inferiore ai tremila metri, Brignole dà l'ordine di lanciare la prima coppiola di siluri, mentre il pezzo di prora continua a fare fuoco. Le continue accostate della Torpediniera fanno si che il tiro sia poco preciso. La distanza continua a diminuire e Brignole ordina, dopo un'accostata più pronunciata, il "fuori" di altri due siluri. Passa poco tempo ed un proietto della batteria Mameli di Genova colpisce il caccia Albatros. A bordo della Calatafimi l'equipaggio non può sapere cosa sia realmente accaduto, chi abbia colpito la nave, ma la gioia esplode irrefrenabile, punteggiate da urla di "Viva l'Italia, viva il Re!". Brignole, megafono in mano, riporta l'equipaggio alla calma: l'azione non può essere interrotta e deve essere proseguita senza distrazioni, rischiando altrimenti la perdita della nave. Sconcertati dalla reazione violentissima ed ignorando la consistenza dell'avversario che si trova di fronte, nel timore di essere attirato in una trappola il "gruppo Genova" inverte la rotta e si allontana rapidamente. A questo punto la Calatafimi si trasforma addirittura in inseguitrice. Brignole ordina di brandeggiare i tubi di lancio verso gli incrociatori. La distanza e velocità in gioco danno poche speranze, ma l'ordine del "fuori" viene impartito ugualmente. Un siluro, a seguito di un'accostata troppo rapida, va fuori punteria, mentre il secondo non fuoriesce regolarmente e rimane appeso, mezzo fuori e mezzo dentro il tubo, per un difetto del sistema di lancio. A questo punto l'equipaggio, pieno di entusiasmo, vorrebbe proseguire l'inseguimento, ma il C.te Brignole sa che lo scontro è giunto al termine e che è inutile rischiare ulteriormente, anche perchè la sua Nave non ha subito danni e apparentemente nessuna salva nemica ha raggiunto Genova ed il porto. La Calatafimi inverte la rotta, ma, mentre dirige su Genova, il suo pezzo poppiero continua imperterrito, per qualche tempo, a far fuoco sulle navi francesi in allontanamento. Quando queste ormai sono troppo lontane, la Calatafimi, esaurita la scorta di siluri, con la Bandiera di Combattimento a riva con il gran pavese, dirige verso il porto di Genova."
In questo foto sono visibili i tubi lanciasiluri ed il pezzo prodiero del CALATAFIMI mentre manovra per andare all’ormeggio
L'8 settembre 1943, come abbiamo già annotato all’inizio di questa rievocazione, Giuseppe Brignole rifiuta ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I e viene internato in Germania. Durante questa “pesante” parentesi della sua vita, a detta di molti, G. Brignole compie il “vero capolavoro”, quando viene nominato “fiduciario” per i rapporti con i tedeschi nei campi di prigionia in Germania. Già a Leopoli nasce il “mito” di questo Ufficiale della Regia Marina: la sua tempra ed il suo carattere gli permettono di affrontare con grande dignità e fermezza i tedeschi ed allo stesso tempo di essere punto di riferimento per i commilitoni. A Deblin i tedeschi sanno che Brignole è “amato” dagli Ufficiali Italiani, sia per il modo di affrontare i problemi sia per l'esempio limpido di come ci si dovesse comportare da prigionieri: dignità, rispetto della disciplina e del regolamento. Molti Ufficiali tedeschi, quando Brignole entra nel loro ufficio, scattano in piedi e salutano militarmente. Il periodo nei campi in Germania é il più duro, soprattutto quello dell'inverno ‘44-‘45. Anche l'atteggiamento dei tedeschi peggiora, la sopravvivenza all'interno dei campi é difficilissima e molti Ufficiali periscono. Ma, come sempre, G. Brignole riesce ad essere esempio di forza ed allo stesso tempo di correttezza. La situazione sembra precipitare con l'avvicinarsi degli Alleati, ma alle 18 del 16 aprile 1945, finalmente, arriva la liberazione sotto forma di due carri inglesi che abbattono i cavalli di frisia e le recinzioni del campo. Questo passa sotto la responsabilità del capitano francese Pichegrou. La tempra del C.te Brignole ha modo di manifestarsi anche a guerra finita. Il 18 aprile, quando in tutti i lager del campo si svolge l'alzabandiera, l'ufficiale transalpino fa diffondere un messaggio: “In conformità agli ordini impartiti si ricorda che la Bandiera Italiana non deve sventolare sul campo”. Gli Ufficiali italiani s'indignano, Brignole si altera ed il foglio d'ordini viene stracciato da un colonnello americano anch'egli ex prigioniero.
Militari italiani internati a Fallingbostel il giorno dopo la liberazione.
Inverno 1945 a Fallingbostel. Scrive Vialli: “Numerose famiglie di lavoratori ucraini alloggiano accanto a noi in misere baracche.
E così, sul pennone del campo di Fallingbostel sventola il tricolore, l'unico esistente nel campo, la Bandiera di Combattimento della Calatafimi che Brignole era sempre riuscito a sottrarre alle ispezioni dei tedeschi.
Se oggi siamo liberi, lo dobbiamo anche a questi uomini che hanno combattuto per salvare i valori della nostra civiltà illuminando il significato della parola democrazia che oggi sta salvando l’Europa da altri conflitti.
ONORI AL COMANDANTE BRIGNOLE ED ALLA CALATAFIMI
Descrizione generale |
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Tipo |
cacciatorpediniere (1924-1938) torpediniera (1938-1943) |
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Classe |
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Proprietario/a |
Regia Marina (1924-1943) Kriegsmarine (1943-1944) |
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Identificazione |
CM |
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Costruttori |
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Impostata |
1º dicembre 1920 |
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Varata |
17 marzo 1923 |
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Entrata in servizio |
29 maggio 1924 |
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Destino finale |
catturato il 9 settembre 1943, incorporato nella Kriegsmarine come TA 19 Achilles, affondato dal sommergibile RHN Pipinos il 9 agosto 1944 |
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Caratteristiche generali |
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standard 953 o 966-967 t normale 1170 t a pieno carico 1214 t |
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Lunghezza |
tra le perpendicolari 84,90-84,94 m fuori tutto 84,6-84,9 m |
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Larghezza |
8,02 m |
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Pescaggio |
in carico normale 2, 90 (o 2,6, o 2,46) m a pieno carico 3,00 (o 3,1) m |
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Propulsione |
4 caldaie Thornycroft 2 turbine a vapore Zoelly 2 eliche |
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Velocità |
32 (o 34) nodi |
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Autonomia |
1395 miglia a 10 nodi 1800 miglia a 15 nodi 390 miglia a 28 nodi |
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Equipaggio |
117 tra ufficiali, sottufficiali e marinai Altra fonte: 6 ufficiali, 102 tra sottufficiali e marinai poi 134 tra ufficiali, sottufficiali e marinai |
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Equipaggiamento |
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Sensori di bordo |
radar FuMo 28 (dal 1943) |
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Armamento |
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Alla costruzione: • 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 2 pezzi da 76/30 (o 76/40) mm Armstrong 1914 Dal 1940: • 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939 • 2 mitragliere da 8/80 mm Dal 1943: • 2 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 1 pezzo da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1917 • 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939 • 4 mitragliere da 20/65 mm Breda 1935 • 2 mitragliere da 8/80 mm Dal 1944: • 2 pezzi da 102/45 mm • 1 mitragliera da 37/83 mm SK C/30 • 5 mitragliere da 20/65 mm Breda Mod. 1939 |
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Alla costruzione: • 6 tubi lanciasiluri da 450 mm Dal 1943: • 2 tubi lanciasiluri da 533 mm |
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Altro |
• attrezzature per il trasporto e la posa di 16 (o tra le 10 e le 40) mine • 2 scaricabombe di profondità (dal 1940) |
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Note |
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Motto |
Con una nuova fede e con lo stesso ardire |
Carlo GATTI
Rapallo, 21.3.2013
IL CASTELLO DI RAPALLO, UN UNICUM???
IL CASTELLO DI RAPALLO
un UNICUM???
Per noi studenti degli Anni ’50 prendere la Messa di mezzogiorno in parrocchia era un’abitudine. Si entrava da una porta laterale, regolarmente in ritardo, e ci si riparava dietro il coro tra pochi intimi e Pippo il sagrestano. La funzione durava solo mezz’ora, e poco prima della Benedizione sgusciavamo via verso l’uscita. La mattinata si concludeva con due “bordi” in passeggiata prima del pranzo domenicale. Il tema della domenica era quindi la SS.Messa, ma il vero problema era un altro e sempre lo stesso: svegliarsi in tempo! Nostro padre Amedeo, da musicofilo accanito, possedeva uno strumento molto efficace, verso le 11.00 faceva esplodere la villetta con la 9° di Beethoven, oppure con certi rumorosi concerti pianistici di Sergei Prokofiev, ma se il risultato era scarso, allora mandava in onda la Cavalcata delle Walkirie.
Nel corso degli anni diventammo tutti musicofili non solo per passione, ma perché eravamo sempre in ritardo...
Quel periodo spensierato lasciò delle tracce indelebili in ognuno di noi fratelli e relative famiglie, uno di questi ricordi ci portò, molti anni dopo, a visitare la terra dei Nibelunghi in ricordo di Amedeo. C’imbarcammo su un lussuoso battello fluviale a Strasburgo, e per tre giorni navigammo sul Reno verso Koblenz facendo poi ritorno nella capitale d’Europa con gli occhi pieni di castelli, fortezze e favole da raccontare ai figli e nipoti.
La mappa dei castelli nella Valle del Reno
Nella parte fra Rüdesheim e Coblenza (65 km), il fiume entra in una valle più stretta, nota come Gola del Reno, famosa per essere la più suggestiva arteria fluviale della Germania. Bellezza e ricchezza culturale motivarono nel 2002 il suo inserimento nel patrimonio mondiale dell’UNESCO. Questo tratto del fiume è noto per i tanti castelli e manieri che, nel medioevo, erano spesso in guerra tra loro per il controllo del fiume. Circa 40 di queste splendide fortezze si possono ancora visitare. La navigazione si snoda verso Nord facendo apparire ad ogni ansa del fiume paesaggi mozzafiato che parlano di miti, di leggende e profumano di vigneti e vini doc. Su questo sinuoso nastro azzurro, “L’Industria Germanica” ha lasciato il posto alla spiritualità nazionale. Tra le rocce a picco riecheggiano ancora le saghe dei Nibelunghi e le parole del grande scrittore Goethe che amava visitare questi luoghi.
Se le fortezze potessero parlare...
Qui rivivono i gnomi di Colonia, le gesta di Sigfrido sul monte Drachenfels. Bingen ospita la "Torre dei topi", Coblenza “l'uomo dallo sguardo truce sotto l'orologio", Braubach “la leggenda dietro il nome della fortezza Marksburg”. Una delle saghe più famose al mondo è quella dell'affascinante Lorelei, con la famosa roccia a picco sul Reno vicino a St. Goarshausen che, risalendo il fiume incontriamo sulla riva destra.
Nella valle della Lorelei
La Lorelei, dipinto di Emil Krupa-Krupinski (1899)
A destra la rupe della Lorelei
Al centro la rupe della Lorelai
La Lorelei è una roccia in ardesia che si trova nella valle medio-superiore del Reno presso St. Goarshausen e che si innalza fino a 132 metri sul fiume. La bellissima sirena è il simbolo del Reno romantico; la leggenda racconta che mentre cantava una canzone pettinava i suoi lunghi capelli biondi distraendo i marinai di passaggio che erano così rapiti a morte dai gorghi del fiume. Questa leggenda ispirò molti poeti; la più famosa poesia sulla Lorelei è quella di Heinrich Heine. Dalla cima della Lorelei, si gode una vista fantastica sull’intera Valle del Reno. La leggenda di Lorelei, come quella nostrana di Scilly e Cariddi, nasce dalle difficoltà reali che i naviganti incontrano sulla propria rotta. Questa ansa del fiume, di soli 113 metri di larghezza, per una profondità di 25 metri, segna la minima larghezza del fiume nel suo tragitto di 1327 Km, tra la Svizzera e il Mare del Nord. Questo imbuto ricurvo dà vita a correnti e controcorrenti che rendono arduo il governo di un’imbarcazione non proprio moderna.
Richard Wagner ebbe il merito letterario e musicale di riscrivere, tra il 1848 e il 1874 la tetralogia: L'anello dei Nibelunghi, in cui si fondono le saghe islandesi e scandinave. Quest'opera immane nasce nel clima del '48: il ribelle Sigfrido che spezza la lancia di Wotan padre degli Dei, accende simbolicamente la speranza di un cambiamento politico radicale. Lo scrittore irlandese George Bernard Shaw vide in Siegfried la trasposizione artistica del rivoluzionario anarchico russo Bakunin.
Il Castello di Reichenstein
La guida del gruppo, salita con un microfono volante su uno zatterino di salvataggio, richiama l’attenzione e spiega:
“Il Castello di Reichenstein che vedete sulla nostra sinistra, é stato costruito intorno al 1100 per proteggere il villaggio sottostante di Trechtingshausen dalle invasioni, ed è uno dei più antichi della Valle del Reno. I suoi proprietari erano conosciuti come “Baroni della truffa” perchè erano diventati molto ricchi derubando i mercanti di passaggio sul fiume maltrattandoli con violenza”.
La guida prosegue con la leggenda del fantasma. “Si dice che di notte un uomo “senza testa” si aggiri minaccioso nei dintorni del castello. Si tratterebbe dello spirito inquieto di Dietrich von Hohenfels, signore avido e violento, condannato nel 1282 da re Rudolf von Habsburg alla decapitazione insieme ai nove figli. Il sovrano disse che avrebbe salvato i giovani solo se, a testa mozzata, il padre li avesse raggiunti camminando. “Dietrich senza testa, prima di cadere superò tutti i figli messi in fila e il re dovette graziarli.”
Mentre la guida continua a raccontare di saloni, armature, biblioteche, trofei di caccia ecc...lo sguardo mi cade basito su un piccolo castello situato poco distante da quell’enorme costruzione del 1000. Mentre ci avviciniamo inforco il binocolo e, forse per l’emozione, il “fratello minore del Castello di Rapallo”, mi appare ora come la sua fotocopia. Interrompo l’erudita spiegazione della guida e le mostro la straordinaria somiglianza delle due costruzioni sullo smartphone. La gentile signora sbarra gli occhi ed esclama stupita: “Chi dei due vanta la primogenitura? Sarà sicuramente lo stesso architetto che operò anche a Rapallo nel 1500. Mi dispiace! So tutto della storia del castello maggiore, ma di questa Torre di Guardia posso solo immaginare che sia stata costruita per proteggere il Reichenstein. La sua posizione sopraelevata garantiva una maggiore visibilità circolare, mentre le sue merlature superiori ed inferiori costituivano delle ottime postazioni per cannoni, archibugi, balestrieri, arcieri ecc... La ringrazio per questa interessante segnalazione. Informerò la Soprintendenza...” I turisti francesi e tedeschi inseriti nel nostro gruppo promisero di venire a Rapallo per verificare la “somiglianza” dal vivo. Gli altri turisti del gruppo erano di Rapallo...
Carlo GATTI
Rapallo, 4 Aprile 2016
ITALNAVI Società di Navigazione - Genova
ITALNAVI
Società di Navigazione – GENOVA
Un po’ di Storia:
Desideriamo iniziare questa panoramica storica con l'Introduzione del Comandante PRO SCHIAFFINO ex Italnavi, che cita le prime cinque navi della Società Commerciale di Navigazione da cui trasse origine la ITALNAVI.
La Società Commerciale di Navigazione, con sede a Genova in Vico Giannini 2, fu costituita dalla FIAT nel 1924 con lo scopo di divulgare i Motori Marini Fiat costruiti a Torino dall’Ing. Chiesa.
La S.C.N acquistò sul mercato cinque navi con motrici a vapore che vennero sostituiti dal “motore marino”.
Dopo la guerra cambiò il nome in ITALNAVI e chiamò le sue navi con nomi composti con il prefisso “ITAL”, oppure con nomi di paesi montani piemontesi.
I Comandanti e i Direttori di macchina provenivano da tutte le parti d’Italia ed erano stati scelti in modo particolare.
Quando la SESTRIERE andò in America, con il comandante Pastorino e gli equipaggi dei 50 liberty Americani acquistati dall’Italia, il Com.te camoglino Giuseppe Ferrari, purtroppo mancato l’anno scorso, imbarcò poi sui Liberty della Flotta Lauro diventandone in seguito il Capitano d’Armamento.
Le navi della “Commerciale” erano quindi tutte motonavi:
GHISONE, 1922-Bagnoli, 6.168 t.s.l. - Affondata a Tolone il 29.4.1944.
Ricuperata dopo la guerra, fu rinominata ITALVALLE dall’ITALNAVI.
JUVENTUS, 1920-Taranto, 4.920 t.s.l. - Affondata a Kuriat il 16.1.1941.
PELLICE, 1920-S.Ponente, 5.350 t.s.l.-catturata a Newcastle il 10.6.1940, affondata il 12.1940.
RIV, 1921- N.Castle, 6.630 t.s.l. Affondata nei pressi di Tripoli il 31.8.1941
VILLARPEROSA, 1921-Piombino 6.255 t.s.l. catturata a Willington nel 1941. Affondata il 4.1944 .
----------------------
Un approfondito studio della FLOTTA: SOCIETA' COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE ci é nel frattempo pervenuta dal Comandante Celeste Spinelli di Trieste che ringraziamo.
FLEET LIST: SOCIETA’ COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE - GENOVA
1
1921 |
Turbonave |
VALDIERI |
Lloyd Sabaudo - Genova |
5304 tsl |
Carico generale |
2.1924 |
|
VALDIERI |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
2.1928 |
Motonave |
JUVENTUS |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
16.2.1941 Silurata da aerei inglesi mentre era in viaggio da Napoli a Sfax. Fatta incagliare e abbandonata a 3 mg NE di Kuriat. Silurata nuovamente da un somm. britannico. |
2
1921 |
Turbonave |
PIOMBINO PRIMO |
Ordine: Ilva S.A. – Genova |
6224 tsl |
Carico generale |
1921 |
|
PIOMBINO I |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
|
|
1923 |
|
VALSUGANA |
“ |
|
|
9.1924 |
|
VALSUGANA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1926 |
Motonave |
VILLARPEROSA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1941 |
|
COLIN |
U.S.Maritime Commission |
|
|
26.4.1944 Affondata dal somm. U 859 in posizione 54°16’N 31°58’W |
3
1920 |
Turbonave |
PIOMBINO SECONDO |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
6604 tsl |
Portarinfuse |
1923 |
|
VALSESIA |
“ |
|
|
9.1924 |
|
VALSESIA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
25.8.1926 Naufragata a Treharne Point. |
4
1923 |
Turbonave |
BAGNOLI |
Ilva S.A. - Genova |
6283 tsl |
Carico generale |
1923 |
|
VALTELLINA |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
|
|
1.1926 |
|
VALTELLINA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1927 |
Motonave |
CHISONE |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
29.4.1944 Affondata a Tolone da bombardamento aereo. 1947 ricuperata. |
|||||
1948 |
|
ITALVALLE |
Italnavi - Genova |
|
|
1952 |
|
CESARE BATTISTI |
Navigazione Libera Giuliana SpA - Venezia |
|
|
1962 demolita a Vado Ligure |
5
1921 |
Turbonave |
ANSALDO VIII |
Società Nazionale di Navigazione-Genova |
5380 tsl |
Carico generale |
1924 |
|
ANSALDO OTTAVO |
Società Nazionale di Navigazione-Genova |
|
|
1928 |
|
PELLICE |
Tito Campanella - Genova |
|
|
10.1928 |
Motonave |
PELLICE |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1940 |
|
EMPIRE STATESMAN |
Ministry of Transport - London |
|
|
11.12.1940 Silurata ed affondata dal somm. U 94 in navigazione da Pepel per Middlesbrough |
6
1921 |
Piroscafo |
MONTGOMERYSHIRE |
Royal Mail Steam Packet Co. London |
6630 tsl |
Carico generale |
1931 |
Motonave |
RIV |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
30.8.1941 Affondata a Tripoli da bombardamento aereo. Recuperata e demolita dagli inglesi. |
7
1942 |
Motonave |
SESTRIERE |
Società Commerciale di Navigazione - Venezia |
7992 |
Carico generale |
1947 |
|
|
Italnavi - Genova |
|
|
196.. |
|
|
Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova |
|
|
1969 |
|
|
Costa Armatori SpA - Genova |
|
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25.10.1969 Incendiata a Santos. 16.4.1970 Demolita a Vado Ligure. |
8
1948 |
Motonave |
SISES |
Italnavi . Genova |
9177 |
Trasporto emigranti |
1955 |
|
|
|
|
Carico Generale |
196.. |
|
|
Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova |
|
|
1969 |
|
|
Costa Armatori SpA - Genova |
|
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1980 Demolita alla Spezia. |
L’ITALNAVI traeva, quindi, le sue origini dalla Società Commerciale di Navigazione, costituita a Genova nel 1924 per il traffico merci, e aveva mutato la sua ragione sociale nell’attuale il 30 aprile 1947, quando si decise di estendere l’attività al traffico d’emigrazione. Ma già in precedenza la motonave SESTRIERE di 8652 t.s.l. – 5274 t.s.n., varata a Taranto nel 1942, era stata trasformata per il trasporto di 737 emigranti in cameroni ed aveva effettuato un primo lungo viaggio l’8 novembre 1946 per Philadelphia con gli equipaggi di alcune navi tipo “Liberty” cedute all’Italia dalla United States Marittime Commission,* rientrando a Napoli il 14 maggio 1947 via canale di Panama, Shanghai (dove aveva imbarcato 300 marinai del Battaglione “S.Marco”), Ta-Ku, Yokohama, Batavia, Colombo, Marmagoa e Massaua. La SESTRIERE partì quindi con i colori ITALNAVI da Genova il 5 agosto 1947 per il Brasile e il Plata restandovi adibita fino al 1955 allorché fu disarmata, riadattata per il solo servizio merci dal dicembre 1955 con il nuovo tonnellaggio di 6259 t.s.l. – 3636 t.s.n. Anche la motonave SISES di 9176 t.s.l. – 5448 t.s.n. varata a Taranto il 12 settembre 1948 e consegnata il 15 dicembre dello stesso anno, fu subito adibita al trasporto di 56 passeggeri in cabine e 510 emigranti in cameroni, effettuando la prima partenza da Genova il 29 dicembre 1948 per il Brasile e il Plata. Nel luglio-novembre 1955 venne trasformata per il solo trasporto merci, con 6422 t.s.l. – 3869 t.s.n. Entrambe le unità cessarono questa attività nel 1969 quando furono vendute al Gruppo COSTA.
In campo puramente commerciale, l’ITALNAVI mantenne le sue linee per l’America Meridionale con la motonave ALPE (ex Mario Roselli, costruzione bellica di 6893 t.s.l. – 4060 t.s.n. – affondata a Corfù e ripristinata a Monfalcone nel 1952) e con le “Liberty” ITALMARE, ITALCIELO, ITALSOLE, ITALVEGA e ITALTERRA. Queste “Liberty” furono i primi in Italia ad installare un apparato motore a ciclo diesel; la ITALTERRA fu inoltre la prima nave ad essere trasformata in trasporto autovetture destinate all’esportazione sul mercato americano, anticipando un tipo di nave che si sarebbe sviluppato solo in anni successivi.
Dopo la conversione in unità da carico delle motonavi SISES e SESTRIERE e la vendita delle “Liberty”, nel 1966 l’ITALNAVI rilevò dalla SICILNAVIGLIO S.p.A. la motonave VILLARPEROSA e dalla SIDARMA, in difficoltà finanziarie, le motonavi ENRICO DANDOLO e LORENZO MOCENIGO, ribattezzate CESANA e CERVINIA; l’anno seguente però la stessa ITALNAVI venne liquidata e incorporata nella Compagnia Marittima CARLO CAMELI, che dal 1969 vendette tutta la flotta al Gruppo COSTA.
Nota *: A questo avvenimento storico Mare Nostrum ha dedicato una pubblicazione: “LIBERTY: LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE” che potete trovare nel presente sito di Mare Nostrum, nella sezione Storia Navale.
Stemma Sociale dell’ITALNAVI
I colori sociali della Ciminiera
Un ulteriore approfondimento storico:
Dal sito Navi e Armatori:
classekilo-23/04/2012:
Il senatore Giovanni Agnelli, presidente della Fiat, nel 1924 fondò la “Commerciale di Navigazione” con sede amministrativa a Torino e Operativa a Genova. Lo scopo, oltre quello commerciale, era di sponsorizzare il motore Diesel navale, poi ci fu la guerra.... Il 30 aprile 1947 la “Commerciale di Navigazione” cambiò la ragione sociale e divenne “ITALNAVI-SOCIETA' DI NAVIGAZIONE”. Nello stesso anno, 1947, comprò 4 Liberty, rinominati ITALCIELO - ex Walter Wyman del 1944, ITALMARE - ex Henry V. Alvarado del 1943, ITALSOLE - ex Fort La Traie del 1942, ITALTERRA - ex Nelson Dingley del 1943, poi chiaramente tutti rimotorizzati FIAT. L'ITALVEGA ex Fort Udson's Hope del 1942 fu acquistato nei primi anni ‘50. L'ITALICO ex Howard Gray fu concesso (o aquistato dal Governo) alla “Società Italia di Navigazione” con altri 7 Liberty, poi rinominati: Etna, Pegaso, Stromboli, Tritone, Vesuvio, Nereide, Atlanta II. Credo di non sbagliare dicendo che facevano parte dei 50 Liberty concessi al Governo italiano, durante la famosa "SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE", guardacaso eseguita con il la m/n Sestriere al comando del capitano Giacinto Arimondi, della COMMERCIALE di NAVIGAZIONE partita l'8 novembre 1946.
M/n SESTRIERE in navigazione (foto di repertorio)
M/n SESTRIERE entra in porto (foto di repertorio)
DATI NAVE:
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M/n PORTOVADO a Venezia (Foto di repertorio)
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M/N PORTOVADO in entrata a Savona
DATI NAVE:
Costruita nel 1960 dal Cantiere Breda, Marghera, per Italnavi SpA, con il nome PORTO VADO – 11.203 tons. DWTnos 16.250, Lft=166,50 mt. Lpp 154,70 mt, Vel.15,5 nodi. Nel 1968: SAN MARTIN - 1970: SAINT ETIENNE – 1979: GUNGNIR III – 1980: SAN MARCO –
Fu demolita a Padani Beacj da Paramount Steel Industries.
TESTIMONIANZA del Com.te. Nunzio CATENA
“Nel Settembre 1962, entrai a far parte della "famiglia" ITALNAVI, proprio su questa nave in qualità di Allievo di Coperta.
Tutte le precise caratteristiche tecniche, le aggiungerà, gentilmente, successivamente chi ne sarà in possesso.
Nave nuova (bulk carrier, autostivante, casse alte per zavorra), 2 Allievi di coperta, cabina singola...il non plus ultra!!
Io posso limitarmi a descrivere l'utilizzo della Nave nel periodo in cui restai a bordo. Il primo viaggio, andammo a Norfolk per carbone (ricordo bene quel viaggio, perché ci fu la crisi di Cuba - i Russi stavano trasportando dei missili a Cuba- e aerei americani ci sorvolavano notte e giorno!!) Viaggio di ritorno per Vado Ligure, dove inaugurammo il nostro omonimo pontile, dotato di un modernissimo nastro trasportatore, alla presenza dei massimi vertici Fiat ed altre autorita'. Poi, intervallato da qualche carico di carbone, viaggi da Taranto di tubi (15\20)mt. di lung. e 91 cm. diamtr. Per costruzione gasodotto SNAM, da Patagonia a B.Aires! I tubi vevivano caricati in stiva e moltissini in coperta opportunamente rizzati. Quindi: porto Deseado, porto Madrin, Bahia blanca.... e poi a caricare mais lungo il Rio della Plata, Rosario, Villa Costitution, B.Aires per completare il carico.
Allora c'erano tempi lunghi di attesa sopratutto a Genova,(fino a30 giorni!!!!). Parliamo dell'Equipaggio, con alcuni
Sono ancora in contatto il Com.te Pegazzano, (quasi eta' della pensione..) restavo affascinato dai racconti della sua carriera! 1° Uff.le Gandolfo, 2°Uff. Nardini Aldo (con il quale facevo la guardia) al quale devo molto per il suo
insegnamento, da quello professionale a quello umano. (ha concluso la carriera con Costa, al comando delle navi piu' grandi!). 3°Uff.Ferrero Cesare, l'altro All.vo Benvevuto Francesco, amici fraterni.
Dopo piu' di un anno, mentre eravamo in attesa agli "Oli Minerali", vidi entrare una vecchia nave con lo stesso nostro fumaiolo.. Chiesi informazioni e mi risposero "quelli sono i dannati del Pacifico..!!!" dopo ormeggiata, andai a vederla....caso volle, incontrai un mio ex mio compagno di scuola, anche lui imbarcato da All.vo il quale, imprecando mi disse che sarebbe sbarcato il giorno dopo. Senza esitazione, gli proposi di fare cambio (Armatore permettendo). La mattina successiva, andai in via Fiasella, e feci la proposta al Com. Armam. Por Schiaffino che aveva avuto modo di conoscermi e gli dissi esattamente: "Comandante, io del Portovado, conosco anche quanti chiodi ha, se possibile vorrei andare sull'Italvega.."Ricordo il suo sguardo, abbozzo' un sorriso ed acconsenti'.
La mattina successiva imbarcavo sull'Italvega... Sono contento di aver fatto quella scelta oltre che dal punto di vista professionale, perche' forse e' stato l’ultimo periodo della navigazione con un po' di avventura, e l'intervento dell'uomo era ancora determinante!! Chiedo scusa per quello che ho scritto ma e' come se lo stessi scrivendo per i miei nipoti che vivono lontano...!!?”
M/n ITALVEGA (ex Liberty canadese) a Venezia (Foto di repertorio)
TESTIMONIANZA del Comandante Nunzio CATENA
ITALVEGA
“Vorrei scrivere questa testimonianza, soprattutto per i più giovani
I “Liberty” - Italvega, Italsole, italcielo, Italmare, Italterra - erano della Compagnia Italnavi (FIAT), trasformate nelle stive con la costruzione di tanti corridoi di altezza poco più di 2mt, per il trasporto di macchine Fiat (1100, 600, 500 ed infine ricordo qualche 1500 spyder decappottabile, bellissime!). Le navi, inizialmente con macchine alternative a vapore, furono trasformate in motonavi con nuovi motori, anch'essi FIAT, costruiti appunto dalla FIAT Grandi Motori e noi facevamo anche da "cavie" con questi motori, tant'é che spesso portavamo dei Tecnici FIAT per ulteriori rilievi! Anche noi eravamo forse considerati parte della "famiglia" FIAT, perché gli Ufficiali, avevamo lo sconto del 10% sull'acquisto di una macchina FIAT !
Come ho potuto constatare dopo anni, eravamo davvero una famiglia...con il massimo rispetto reciproco, ma legati da un senso di sincera amicizia (forse perché gli imbarchi non erano di pochi mesi come ora, ma per tempi molto più lunghi!) Le macchine imbarcate erano circa 1200, ma per il 1° ufficiale, caricarne una in più, magari nella sua cabina, dell'altra gemella, costituiva un merito non indifferente!
Per questo motivo, le auto venivano stivate a qualche cm. l'una dall'altra, rizzate con 4 tornichetti agli assi e cunei alle 4 ruote. Periodicamante, prima e dopo tempi cattivi, bisognava controllare il rizzaggio, mentre la tenuta dei "controllori" era la seguente: senza scarpe, (eventuali calzettoni di lana), senza cinghia ai pantaloni (a causa della fibia metallica), senza bottoni per evitare che le macchine all'arrivo risultassero minimamente rigate! Permettete che dopo tutto quello che é stato fatto, con tanti sacrifici per la FIAT, anche da noi poveri Naviganti, il fatto che qualcuno arrivi e porti via la FIAT, faccia girare le eliche anche senza motore?
Torniamo alle Liberty - L'ITALNAVI, con le 5 Liberty, oltre che trasportare le auto negli USA, gestiva una regolare linea di trasporto di merce varia, dai porti del Mediterraneo verso tutti i porti della costa del Pacifico, da Long Beach a Vancouver. Ora che sono in una particolare situazione...., riguardando su Google Hearth quei porti che vi elenco dal capolinea Nord: Vancouver, Crofton, Everet, Seattle, (navigazione simile a quella nei fiordi norvegesi), poi si riusciva nel Pacifico, diretti a Portland-Oregon (qualche centinaio di miglia lungo il Columbia River, all'uscita del quale, racconterò qualche episodio!), Eureka, Coos Bay, S.Francisco e Long beach (andata 1^ e 2^ porti, e ritorno), Ensenada, poi Golfo di California, Guaymas (Messico) e Champerico (Guatemala). Poi Canale di Panama e finalmente Atlantico in direzione Mediterraneo, se non con qualche scalo imprevisto su qualche Isola per lo sbarco di qualche malato! Finalmente il Mediterraneo: Alicante, Malaga, Barcellona, Isolele Baleari, Marsiglia, GENOVA, da dove si ripartiva per Livorno, Napoli, Venezia, Pireo, poi di nuovo GENOVA (caricazione auto) e si ricominciava il giro. (Forse ora risulterà più chiara la complessità dei piani di carico di queste navi, come ho cercato di descrivere nel commento dell'Italterra! E tutto quello che era il da fare a bordo per ognuno... Io da All.vo ne rimasi affascinato, e preso il ‘Patentino’ fui contento di andare sull'Italterra da 3° Ufficiale, dove era tutto uguale, (solo le navi erano di tipo diverso: Italvega tipo Canadese e Italterra tipo Americano!).
Come dicevo innanzi, rivedere quei posti, all'altro capo del mondo e ripensare com’erano quelle navi, fatte per compiere un solo viaggio, mentre noi le stavamo ancora navigando dopo 25 anni! Le prime navi saldate (i saldatori erano donne e uomini abilitati con un corso di 10 giorni!). Molti Liberty, specialmente all’inizio della produzione, si sono infatti spezzate, altre sono affondate per tempi cattivi in Atlantico! Anche noi avevamo imparato qualcosa dal mestiere di muratore, a forza di impastare cemento per fare le famose "cassette" che avevano il compito di tamponare le infiltrazione d'acqua! Eppure tempi cattivi ne abbiamo anche presi! Non parliamo degli “Ausilii alla navigazione”. Oggi le navi potrebbero navigare da un posto all'altro della terra, senza equipaggio, al limite, potrebbero essere comandate da una sola persona di terra. Noi avevamo: bussola magnetica, (la gyro c'era, ma quasi mai era funzionante), cronometro, sestante, (non esisteva neanche la calcolatrice), i calcoli venivano fatti con le tavole logaritmiche per trovare il punto nave (quando il sole o le stelle erano visibili!). Il radar aveva una portata limitata, ma solo il Comandante poteva metterlo in moto qualora ci fosse stata scarsa visibilità e lo lasciava scritto nelle consegne all’ufficiale di guardia. Che succedeva, quindi, se c'erano piovaschi o banchi di nebbia? Si faceva il bambino piagnucolante che ricorreva all’aiuto di papà? Eh no! Si tirava avanti... ma in quelle 4 ore di guardia, si aveva un certo patema d'animo! Oggi, sul ponte di comando, di radar accesi ce ne sono 2, e per di più anticollisione!
Per quanto riguarda le ‘Previsioni Meteo’, il Marconista, a determinate ore, portava in plancia il bollettino dattiloscritto: “una depressione di ... millibar in lat... e long. ... si muove verso... una direzione... " Ma era il Comandante, a seconda dell'andamento del barografo, la direzione del vento, e in considerazione del carico che si aveva a bordo, a decidere quale rotta seguire. Altro aiuto che si aveva erano: le Pilot Charts, in cui erano riportate, a seconda del mese, le rotte seguite negli ultimi anni dei vari cicloni che si sono susseguiti. Non era molto, tuttavia, per andare a Panama, per forza di cose dovevamo far rotta verso i Caraibi, dove nei mesi estivi e autunnali, qualcosa di brutto era facile incontrare!
Mezzi di comunicazione: il radiotelefono (era grande come un armadio a 4 ante che riusciva a comunicare al massimo fino a 300/350 mg. Dopo Gibilterra c'era solo la Radio, con la quale si riusciva a inviare telegrammi, via Roma Radio quando era possibile, altrimenti il Marconista (altra figura scomparsa da bordo) doveva fare ponte con altre stazioni europee.
Con le radio che avevamo allora, si perdeva il contatto molto presto con l'Italia, e le uniche notizie fresche erano contenute in una paginetta dell’ANSA che Marconi appendeva nella bacheca della mensa a mezzogiorno. Altro fatto molto importante, era il calcolo della stabilità della nave circa la dislocazione delle merci. Occorreva calcolare quanto carico poteva essere imbarcato in coperta, cosa sarebbe accaduto se al 1^ porto avessimo dovuto sbarcare dalla bassa stiva, un peso rilevante e tante altre situazioni che si sarebbero potute verificare? Si risolveva il problema applicando le formule teoriche imparate a scuola. Non esistevano “Lodicator” di stabilità, ecc. Si doveva calcolare con esattezza matematica dove sistemare un peso per partire o arrivare con un certo assetto.
La lettura dei pescaggi a fine caricazione era compito dell’Allievo di coperta, che si faceva ammainare la biscaglina sottile dal nostromo per verificare i pescaggi a prora e poppa. Mentre ora basta leggerli semplicemente su uno strumento posto in segreteria che ti risolve tutti i vari problemi.
Mi accorgo di avere scritto molto, ma siccome vedo che tra i lettori del sito, ci sono tanti giovani, penso che a qualcuno di loro potrebbe interessare sapere come si navigava con le navi di 50 anni fa, magari dal racconto diretto di chi lo ha vissuto in prima persona”.
TESTIMONIANZA del com.te Nunzio CATENA
2/03/1964 – “Eravamo all'uscita del Columbia River, provenienti da Portland (Oregon), con una copertata di legname (tavole -red wood-), assicurata tutto a regola d'arte (con cavi acciaio, catene, cavi ecc.). Avevamo il Pilota a bordo, il quale ci aveva avvisato che fuori c'era un po' di mare lungo. Il Com.te fece sistemare bene ancore, bighi ecc. e ad un certo punto mandava via tutti da prora. Anche io ero sul Ponte, addetto al brogliaccio e al telegrafo di macchina (ancora quello meccanico..!!). Cominciammo ad uscire e lo spettacolo che si presentava, con due tre relitti sulla spiaggia, non era allettante! All'uscita, la corrente piuttosto forte del fiume, incontrando l'onda del mare, ne provoca l'innalzamento e ne diminuisce il periodo (quindi sono alte e molto ravvicinate). Ricordo come ora, appena usciamo, la prora va giù e pesantemente riesce, la seconda ce la fa ancora, dopodiché di prora si era generato quasi..un vuoto.., la prora va giù.. giù.., mentre, a 45° Dr., si alza un'onda gigantesca ...."watch"... Il Pilota fa abbassare tutti ... Io mi son tenuto ai galletti del finestrino, dicendomi "se devo morire....lo voglio vedere!” - (e non lo dimenticherò mai!) - L'onda, facendo inclinare paurosamente la nave a Sn. frange ed avvolge quasi tutta la parte di prora, ponte comando e quasi tutta la tuga. L'Italvega, stenta... ma poi riesce finalmente a riemergere!
(Archivio N.Catena)
I danni sono evidenti, dalla coperta sono stati strappati interi settori di legnami, tutti gli altri sono stati sconnessi, come si vede bene dal gruppo di foto riportate successivamente. In stiva i danni sono ingenti. Come si vede dalla foto sopra, l'onda battendo sulla plancia, ha sfondato proprio il finestrino dove ero io, rompendomelo in faccia! Il vetro, frantumato in mille pezzi, ha picchettato la paratia dietro il timoniere! A me, la faccia l'ha ammaccata un bel po', qualche ferita, ma ne é valsa la pena !! (io non sono credente, ma credo che le continue preghiere di mia madre, siano valse a qualcosa....!!) Danni alle persone fortunatamente pochi... Alcuni marinai che si trovavano in coperta, si sono salvati attaccandosi ai tubi o altri appigli sul cielo del corridoio e la valanga d'acqua che da prora andava verso poppa non e' riuscita a travolgerli !!!! Fuori dalla barra del fiume, il mare era accettabile...la maggior parte scampato il pericolo, le solite imprecazioni e.. Io all'arrivo sbarco e non metterò più piede su una barca...! Io magari vado a fare il minatore..., ma il mare non mi vedrà più! Ed altro. Poi, piano piano, basta un porto, un bel tramonto, un po' di bonaccia... e il marinaio ricomincia, dimenticando tutto..., perché quello é il suo elemento! Magari fino alla prossima tempesta!
Segue la TESTIMONIANZA (diario) del Comandante Nunzio CATENA
(Archivio N.Catena)
(Archivio N.Catena)
Rapporto e foto dei danni riportati dalla M/N ITALVEGA in uscita alla foce del Columbia River.
Questa locandina, composta di due sezioni, é il Manifesto Pubblicitario delle 1.000 autovetture FIAT. Sotto, Modello del liberty ITALTERRA. La nave era stata modificata per il trasporto di auto.
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1943 dal cantiere New England, Portland West, USA con il nome NELSON DINGLEY –Impostata il 10.6.1943, varata il 20.7.1943. Dislocamento= 7.176 tons., Lungh.= 134,57 mt. f.t. Largh.= 17,34 mt. - Pescag.= 2,35-8,46 mt. Propuls. Macchina a triplice espans. - 2.500 hp, Velocità 11 nodi - Autonomia 14.000 n.mi a 10 nodi, Equipaggio 81, Armamento= Artiglieria alla costruz. 1 o 2 cannoni da 76 o 127 m/m, varie mitragliere.
1947: ITALTERRA, per Italnavi, Genova – 1953: motrice sostituita con un diesel FIAT 686 da 3.600 CVA – 1959: convertita per trasporto autovetture utilitarie con una capacità di 1.200 auto – 1965: BAYPORT – 07.1072: demolita a Santander (Recupetraciones Submarinas SA)
L'ITALTERRA fu acquistato dalla Società ITALNAVI di Genova. Dalla fine del 1957 il mercantile venne utilizzato per conto della FIAT per il trasporto di automobili negli Stati Uniti che raggiungeva mensilmente, partendo dal porto di Genova. La nave viaggiava carica di circa mille vetture, trasportando prevalentemente 1100, 600 e la 500 America in diverse versioni. Nel 1965 passò all'armatore Salvatores & Co con il nome di Bayport. Venne demolita nel 1972.
TESTIMONIANZA del com.te Nunzio CATENA
M/n ITALTERRA (foto di reperetorio)
“La sovrastruttura di colore marrone (sopra la plancia bianca, che si nota per i 5 finestrini centrali e probabilmente dal fanale di via, verde), é stata ricavata sulla controplancia, una nuova plancia, sala nautica, nuove alette di plancia. La plancia originale, era diventata una specie di segreteria, con un lungo tavolo, necessario per la compilazione del piano di carico, che doveva essere fatto con la massima chiarezza (nome partita, n. pezzi, peso, da.. a..., ubicazione). Tenuto conto del numero di porti di caricazione in America e tutti i porti di discarica in Mediterraneo, si provi ad immaginare tutte le varie combinazioni, fare un piano di carico era davvero difficile! Da tener presente che a quel tempo in segreteria, oltre a qualche biro, matite e gomme, c’era una sommatrice, il poligrafo e niente altro. Da considerare poi che a fine caricazione a Long Beach, l'Agente doveva prenotare il Pilota per la partenza e non si poteva rimandare di molto la partenza, ma occorreva spedire via aerea, i piani di carico ai porti mediterranei per essere pronti a ricevere il carico con tutta la documentazione: polizze di carico, annotazioni ecc. Ecco perché si era ritenuto necessario fare questa modifica, in modo che tutti, potessero collaborare. Di solito dopo poche ore, per quanto i marinai avessero preparato la nave per la navigazione (stive, bighi ecc.), era tutto finito, contenti di riprendere il mare, anche se ci attendevano 30 giorni di navigazione.
M/n ITALMARE
ITALMARE assistita da due rimorchiatori (Archivio C.Gatti)
“In quel tempo noi portavamo le macchine Fiat in America con le navi Fiat (Italnavi).....adesso, forse per eliminare le spese di trasporto, qualcuno ha trasferito la Fiat in America....!!!!!!”
M/n ITALCIELO in avamporto a Genova (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.
1969 – Luglio – Da “Bandiere ombra e armatori fantasma”, nel capitolo “Le carrette del mare”, si legge: “Nel luglio 1969, mentre la nave da carico liberiana Greenport era in rada a Norfolk, in attesa di entrare in porto per scaricare il carbone, verso l’una di notte, tre giovani italiani, che si erano imbarcati come marinai di bassa forza, si gettano nelle gelide acque del mare vestiti con maglioni, pantaloni di velluto e scarpe. Hanno deciso di abbandonare la nave cercando di raggiungere terra e fuggire. L’intero equipaggio è al corrente della fuga tanto che mentre i tre si gettano in mare il resto degli uomini trattiene un quarto giovane, anch'’gli italiano, che voleva raggiungere il suolo degli Stati Uniti persino con una valigia. Il comandante della nave dorme. Viene svegliato solo quando iniziano, da parte delle autorità portuali, le operazioni di soccorso ai tre. Purtroppo per Mauro Mastrofilippi di 23 anni, gli altri due fuggiaschi avevano 18 anni, le acque americane dovevano risultare fatali. Il suo corpo viene ripescato due giorni dopo in rada. I suoi due compagni d’avventura sono ritrovati all’alba, aggrappati ad una boa e riportati a bordo della nave liberiana. Non si può escludere che i tre giovani avessero architettato la fuga per poter entrare clandestinamente negli Stati Uniti. Quando a bordo di navi ombra scompaiono uomini d’equipaggio nessuno si preoccupa di farne denuncia alle autorità competenti; è più facile quindi rimanere nel Paese dove si è sbarcati. Questa tesi può suffragare l’ipotesi che i tre avessero qualche appuntamento sulla costa americana, ed essendo la nave in ritardo, rispetto alle previsioni, di oltre 24 ore essi avessero tentato di raggiungere a nuoto la costa per non mancare all’appuntamento.
M/n ITALCIELO va all’ormeggio a Genova con 2 RR (Archivio NEA)
M/n ITALCIELO - Il rim.re PERU’ sta per prendere il cavo a prora dritta (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.
M/n CESANA (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Cargo - Costruita nel 1956 dal Cant. Nav. Breda SpA. Marghera con il nome ENRICO DANDOLO per Sidarma SpA, Venezia. –8.520 GRTons, 10.796 DWTonms, Lft 145.3 mt., Lpp 135.0 mt., Larg ft 19.1 mt., 1 diesel, 15.5 nodi - 1964: CESANA, per Italnavi SpA, Genova – 1969: CESANA “C”, per Costa Armatori SpA - 10.1980: demolita a La Spezia (CN del Golfo).
TESTIMONIANZA del Com.te Nunzio Catena
“Nel Dicembre 1965 sbarcai dall’Italterra – motivo: “vendita della nave all’estero” e trasbordai sulla M/n CESANA (20/12/65) ai lavori a La Spezia per rinnovo e sistemazione stive e celle frigorifere. La nave era già dei Costa.
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La Nave, al termine dei lavori, eseguì tutte le prove in mare (velocità, consumi, ecc.) alle quali partecipò l'Armatore Andrea Costa! (quindi la Nave non passò prima a Cameli !). I viaggi erano interessanti: Genova, Sud America, merce varia, (a volte Cabedelo, nord Brasile, con ananas in coperta per B. Aires), Montevideo, Rosario per mais, B.Aires carne congelata e refrigerata per GE, Tenerife (dove nelle foto successive racconto di un incidente occorso nel '67) o Las palmas, (a volte caricavamo casse di pomodori in coperta per GE).
Bella nave, abbastanza veloce per quei tempi, solo che vibrava un po' troppo e quando scrivevi, sembrava di avere un pò di Parkinson!!.
Lo S.M. era così composto: Com.te Cervia Aldo, 1° Uff. Panconi Giovanni, 2° Catena Nunzio, 3° Uff. Ugo ..... All..... – Sbarcai a febb.67.
Continua la testimonianza:
“Come illustrato nella foto seguente, il giorno 19 Gennaio1967, alle ore 05.15, all'ingresso del porto di Santa Crus de Tenerife, con Pilota a bordo, entrammo in collisione con la nave passeggera Cabo San Roque per fortuna senza gravi danni per persone!
Foto dei “danni” provocati dalla collisione con m/n CABO SAN ROQUE (Archivio N.Catena)
(Archivio N.Catena)
RAPPORTO DELLA COLLISIONE TRA LE M/navi CESANA e CABO SAN ROQUE
M/n CABO SAN ROQUE della YBARRA & Cla di Siviglia (NEA)
M/N PORTOFINO (Archivio N.Catena)
Questo scatto coglie l’incontro tra la M/N Portofino, (gemella della Portovado), con la nave sociale M/N Cesana.
DATI NAVE:
Domenica 11 settembre 1960 è scesa in mare a Taranto la Motonave Portofino costruita dalle Officine di costruzioni e Riparazioni Navali di Taranto. Madrina della nave la Signora Elda Dardanelli.
La Motonave Portofino è la prima di due navi da carico gemelle che la Società di Navigazione Sicilnaviglio di Genova ha commesso ai Cantieri di Taranto ed è uguale alla M/n Portovado costruita dal Cantiere Breda di Venezia per la stessa Società entrata in questi giorni in servizio. La M/n Portofino era azionata da un motore Diesel Fiat del tipo più moderno uscito dallo Stabilimento Grandi Motori di Torino.
E' un motore a due tempi sovralimentato tipo C. 757 S costituito da 7 cilindri del diametro di 750 mm. e corsa 1320 mm. e sviluppa una potenza di 8400 Cv. con una velocità di 16 nodi.
La Portofino è del tipo autostivante, munita di 12 verricelli per il carico e di tutte le attrezzature atte a renderla, oltrechè una bulk-carrier, anche adatta per i carichi generali. Munita di tutti gli strumenti di navigazione dei tipi più moderni: radar, girobussola, giropilota, ecometro, ecc.
Gli ambienti della motonave (cabine, mense, corridoi, ecc.) hanno caratteristiche lussuose, essendo rivestiti di Plastirivmel.
La M/n PORTOFINO incontra la M/n CESANA in navigazione
1967 - Un'altra immagine dell'incontro tra M/N Portofino e la M/N Cesana, presso La Plata (Argentina prov. Buenos Aires). La terza unità, gemella delle motonavi "Portofino" e "Portovado" é la "PORTOVENERE", costruita nel cantiere di Taranto, lo stesso che costruì la "Portofino".
"LA NOSTRA" - M/n ALPE ex MARIO ROSELLI (Collez.A.C.)
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DATI NAVE:
Costruzione n° 1240 - MARIO ROSELLI
Motonave da carico costruita nel 1942 (Impostazione 22. 04. 1940, varo 25. 04. 1941, consegna 22. 04. 1942)
6835 tsl - 4017 tsn - 9100 tpl - 138,61 x 18,92 x 12,10 m - 1 diesel - 7500 CA - 1 elica – Velocità= 15,8 nodi
Compartimento Marittimo di Trieste - matricola n. 457.
22. 04. 1942: MARIO ROSELLI: Italia S.A. di Navigazione - Genova
23. 04. 1942: requisita a Trieste dalla Marina militare italiana
16. 05. 1942: prima missione Brindisi – Bengasi - Brindisi
24. 05. 1942: danneggiata da un attacco aereo su Bengasi
23. 06. 1942: in navigazione per Bengasi venne silurata da aerei nemici a 39 miglia per 139° da Capo Rizzuto. Dopo la prima assistenza da parte dei rimorchiatori GAGLIARDO da Taranto, PLUTO e FAUNA da Crotone e PORTOFERRAIO, viene rimorchiata a Taranto dalla torpediniera ORSA sotto scorta prima del cacciatorpediniere TURBINE e della torpediniera PARTENOPE e poi dalle torpediniere ANTARES e ARETUSA
09. 1942: in cantiere a Monfalcone fino al 12. 1942
19.12.1942: rientra in servizio sulla rotta Napoli, Palermo, Biserta effettuando in totale cinque missioni fino al 03. 1943
11. 04. 1943: bombardata a Napoli
09. 1943: preda bellica tedesca
20. 09. 1943: arriva a Venezia con prigionieri italiani
27. 09. 1943: parte da Venezia per Trieste
10. 10. 1943: in partenza da Corfù con prigionieri italiani viene attaccata da aerei britannici. Colpita sbarca i prigionieri superstiti (1302 muoiono) ma affonda il giorno seguente nel corso di un secondo attacco aereo
1952: ricuperata e rimorchiata a Monfalcone per il ripristino
11. 06. 1952: ribattezzata ALPE
10. 1952 ALPE: Italnavi, Società di Navigazione - Genova (6893 tsl, 4060 tsn, 9191 tpl)
10. 1965: Compagnia Marittima Carlo Cameli - Genova
07. 1969: Costa Armatori S.p.A. - Genova (9136 tsl, 5540 tsn, 10790 tpl)
1970: Flemar - Montevideo
1972: demolita.
La m/n SISES
Quattro fotografie della M/n SISES: Nell'attesa del Pilota, in navigazione e in uscita dal porto. (Archivio C.Gatti-NEA)
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DATI NAVE:
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M/n VILLARPEROSA (Archivio NEA) DATI Nave: Costruita presso i cantieri Breda di Marghera nel 1957 per Italnavi Soc di Navigazione di Milano - Lunghezza ft 145,37 mt. - Lunghezza pp 135,21 mt. - larghezza 19,08 mt. - Bordo libero 3.04 mt.- 8642,56 tsl – 5.224 tsn - 11.977 tpl – Pescaggio 8,83 mt. - Dislocam 17.120 tons. - 5 stive 17.080 mc. - Motore diesel FIAT a 2 tempi 7 cilindri, diam. Mm 750, corsa mm 1.320, potenza 7.700 CA, 1 elica, Velocità alle prove 17,14 nodi - 1966: la Soc Italnavi è stata incorp. nella Compagnia Carlo Cameli, Genova –1968: Acquistata da Costa Armatori SpA, Genova – 1982: Intra Tribute – 09/'82: demol. a Kaoshiun |
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M/n CERVINIA (Archivio NEA) |
DATI NAVE: Nominativo Internazionale ICVL Lunghezza ft metri 145,36 - L. fra le 135,02 mt larghezza = 19,08 metri – Immersione =9,155mt. Bordo Libero= mm 1172 Stazza Lorda= 6.213,02 tons. Stazza Netta= 3.796,39 tons. Portata Lorda= 10.662 tons. Dislocamento= 15.040 tons. Volume Lordo Totale =9.741 mc. 5 stive per un volume di 18600 mc. N.2 imbarcazioni di salvatag. per 114 pers. Iscritta al Compart. di Venezia al n. 587 Iscritta al compart. di Genova al n. 3333 Costruita presso i Cant. Breda di Marghera nel '59 - Costruzione n 209. Varata a Venezia il 4 luglio 1959 per conto della Sidarma Società Italiana di Arm. Un motore diesel FIAT a due tempi 7 cilindri Sovralimentato, diametro mm 750, Potenza di 7700 CA. 1 elica-Scafo in acciaio standard N. 8 paratie stagne trasversali. 2 ponti (1+Shd) Doppi Fondi 1.416 mc - Cisterna avanti: 140 mc - Cisterna add. 320 mc - Poppa ad incrociatore. Deposito cisterna: 1600 mc Ex Lorenzo Marcello 1964- venduta alla Italnavi 1966- La Società Italnavi viene incorp. 1980 - Cortina II - 1981-Pistis -
M/n CORTINA (Storia dei Trasporti Italiani)
Dal Volume VII - TRASPORTI MARITTIMI DI LINEA - STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI: da pagina 2270 riportiamo: "Nel 1969 con l'acquisizione del numero di navi facenti parte della flotta dell'Italnavi: Cesana, Sestriere, Sises, Alpe, Cervinia e Villarperosa venne riorganizzata la linea commerciale per il Sud America mentre con l'acquisto delle nuove navi Giovanna C. - Luisa C. - Anna C. - e Cortina, venne gestita in proprio la linea del Golfo del Messico dove in precedenza avevano operato soprattutto unità noleggiate".
M/n ANTONIO VALLETTA - OBO Carrier Costr. a Monfalcone per conto della Soc. ITALNAVI S.p.a. di Navigazione (Archivio NEA)
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M/N SICILMOTOR (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Tanker – Costruita nel 1958 da Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi Soc. Nav., Genova – 20.617 tons, tdw 31.268, Lft 204.80 mt., Lpp 189.20 mt., Larg. ft 26.30 mt., 16.5 nodi – 1984: SICILMO – 09.1984: demolita a Chittagong da Nine Star Re-rolling Mills.
Varo ITALMOTOR (Archivio C.Gatti)
ITALMOTOR é scesa in mare a Sestri Ponente-Ge (Archivio C.Gatti)
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M/N ITALMOTOR (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Tanker – Costruita nel 1953 dai cantieri Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi
Soc. di Navigazione SpA, Genova – Tsl 17.174, DWT 26.278, Lft 191.3 mt., Lpp
181.0 mt., Larg ft 25.0 mt., 2 diesel, 16.0 nodi – 12.1976: demolita a La Spezia (CN del Golfo).
Riteniamo utile riportare l’interessante commento di “Mario from Genoa” del 19/5/11 sulla M/n Cesana sul sito ‘Navi e Armatori’:
“.....nel 1968, alla chiusura delle attività dell'ITALNAVI (che all'epoca aveva già assorbito la SIDARMA), le navi sono state divise effettivamente fra COSTA e CAMELI però le navi da carico secco (ad eccezione della Alpe venduta alla argentina ELMA e di qualcosa altro, forse la Sestriere, che a memoria mi sfugge), sono state acquistate da COSTA mentre le due petroliere Italmotor e Sicilmotor sono state acquistate da CAMELI. E` vero anche che una certa parte degli equipaggi é andata con la CAMELI, seguendo la sorte delle due petroliere, mentre altri sono andati con COSTA.
Dette navi erano, dal punto di vista tecnico, gestite direttamente dall'ufficio tecnico della allora COSTA Armatori S.p.A. senza alcun contatto diretto con CAMELI per la gestione. Per inciso la Cesana si chiamava in origine, come correttamente indicato da “Celeste” (pseudonimo), Enrico Dandolo ed era stato costruito per la SIDARMA che, fin dagli anni cinquanta del secolo scorso, era in servizio congiunto con la SIDARMA ed entrambe a Genova, se ricordo bene, erano, dal punto di vista commerciale, prese in cura dall'allora Agenzia Marittima Oceania”.
CONCLUSIONE:
Vorrei terminare questo importante capitolo di Storia Navale Nazionale con due considerazione: la prima di ordine generale, la seconda di ordine particolare.
- Chi vede le navi soltanto da una banchina o da una finestra, magari se ne innamora e ne parla, oppure ne scrive come fosse un’opera d’arte, una chiesa, un quadro, oppure non ne parla affatto. Chi invece calca i bordi per lavoro, parla della nave e pensa ai suoi compagni di bordo come appartenessero all’ “inventario” di quella nave. Per il navigante, la nave é un pezzo della propria storia che quasi mai rappresenta un’opera d’arte, bensì sudore e sofferenza che ha diviso con altri uomini di mare legati dallo stesso destino. Questo sentimento rimane intatto e sopravvive alla demolizione della nave. Quando la nave scompare rimangono i suoi uomini a cantarne le gesta. Pro Schiaffino, Comandante e poi Direttore Marittimo della ITALNAVI e di altri importanti Armamenti, ha scritto che nessuno chiamava la nave (ALPE n.d.a) per nome, ma con il nomignolo “LA NOSTRA”, alla quale ognuno attribuiva il suo segreto rapporto affettivo di madre, sposa, sorella, amica, compagna... chissà?
- La SESTRIERE, tra le pochissime navi sopravvissute ai siluri, bombe e mine della Seconda guerra mondiale, fu considerata, giustamente, una nave fortunata, quindi un po’ speciale, che assunse nel dopoguerra il ruolo di nave ammiraglia della ITALNAVI anche perché, come accennato in precedenza, ebbe un ruolo importantissimo nella “SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE”, titolo che diedi ad un mio saggio pubblicato nel 2003 per MARE NOSTRUM e che ho riportato su questo sito nella sezione Storia Navale.
Il carisma di questa nave fu tale da suggestionare anche i suoi equipaggi che, ancora oggi, si ritrovano per rinnovare ogni anno quelle memorie che dovranno durare lungo l’arco della loro intera esistenza. Ho conosciuto molti comandanti e ufficiali ITALNAVI, e posso affermare, senza tema di smentita, che ho sempre riscontrato in tutti loro lo stesso marchio indelebile di gentleman del mare, e fedeltà assoluta alla ITALNAVI Compagnia di Navigazione - Genova
Non ho parole per ringraziare il caro amico Comandante Nunzio Catena per avermi consegnato le sue preziosissime “testimonianze” di ex ITALNAVI che dipingono alla perfezione il “Quadro Nautico” di come si navigava in epoca scarsamente tecnologica, ma di grande fascino marinaro. Ringrazio altresì il comandante Patalano, uno dei fondatori del NEA e degli altri collaboratori del sito che hanno dimostrato una rara competenza in materia.
P.S. – Le fotografie appartengono, in parte all’archivio dell’autore, in parte sono state prese a scopo divulgativo dal sito NAVI E ARMATORI, dal sito della MARINA MERCANTILE e dal Web, mentre alcune sono firmate da fotografi professionisti ai quali rivolgo un sincero ringraziamento da parte dell’Associazione Mare Nostrum di cui mi onoro d’essere il Presidente.
A cura di:
Nunzio CATENA e Carlo GATTI
Rapallo, Sabato 16 febbraio 2013
LA PESCA DEL CORALLO NEL TIGULLIO
La PESCA del CORALLO nel TIGULLIO
Il corallo del Mediterraneo
Questa attività risale certamente a prima dell’anno mille e la si svolgeva sia nel Tigullio, specie nel Golfi di Santa, che lungo i vari capi sparsi per la Liguria.
La banchina di S. Erasmo a S. Margherita Ligure in una vecchia foto d’epoca. Come si può vedere l’aspetto del luogo quello di un piccolo borgo marinaro.
Si ha menzione che si svolgesse sui promontori di Capo Mele, Portofino, il Mesco, ecc.. perché si legge “Non ignude del lucente corallo sono le rocce del mar ligustico ove il lor piede più inoltran nell’onda”. In breve i tugullini ne divennero maestri e da qui, ricchi di questa esperienza ma poveri ormai del corallo, andarono per il Mediterraneo a esercitare la loro arte.
Davide Bertolotti, nel suo “Viaggio nella Liguria Marittima-1834” scrive “In su quei lidi dell’Africa (lungo le coste fra Bona e Biserta) vanno a pescare i marinai del seno di Santa Margherita. Lo cercano altresì sulle costiere della Sardegna: meno abbondante, ma più pregiato essendo il corallo del mare Sardo pel suo colore più porporino.” Ma non erano i soli, già i napoletani ne erano i più insidiosi competitori.
Tartana corallina di Torre del Greco
La Tartana da pesca: era la tipica barca da pesca del Sei e Settecento largamente diffusa in tutti mari italiani. La tartana era un battello da carico del Mediterraneo, lungo 15/20 m., fino ai primi anni del XX secolo molto utilizzato nel settore occidentale del Bacino del Mediterraneo.
Già nel 1540 alcuni corallari di Pescino (l’attuale S. Margherita Ligure) furono catturati da Dragut, ma in realtà il mestiere dei corallari a livello locale, pur non essendovi prove certe, deve essersi sviluppato molto prima. Il corallo infatti era conosciuto in Liguria già in epoca preistorica e con il sale probabilmente rappresentava un’importante merce di scambio anche se prove certe della sua commercializzazione si hanno solo in epoca medioevale. Certo che questo materiale fosse molto apprezzato dai popoli padani e veneti che lo utilizzavano per creare monili intarsiati e, più in generale, oggetti preziosi. I primi dati sul suo utilizzo nella nostra regione sono testimoniati dal ritrovamento in una caverna del finalese, utilizzata dall’uomo dal Neolitico all’età del Bronzo, di un frammento di scheletro dell’organismo con foro di sospensione. Interessante una citazione di epoca romana dello scrittore Solino che, tradendo scarse conoscenze di biologia, in riferimento al corallo afferma: “Il Mar Ligure produce arbusti che, fintanto che rimangono nella profondità del mare, sono molli al tatto come carne, ma poi, quando sono portati in superficie, staccati dalle rocce originarie diventano pietre…” Nel Medioevo appare invece più certa la commercializzazione di corallo che veniva venduto a “cantari” (barili) e di sale. Erano soprattutto i centri costieri compresi tra Chiavari ed il Promontorio di Portofino a trarre vantaggi economici dalla vendita di questi prodotti. Probabilmente i banchi di corallo presenti lungo il Promontorio di Portofino rappresentarono per lungo tempo una risorsa ma furono pian piano abbandonati quando non si dimostrarono sufficientemente ricchi. Così molti Liguri iniziarono a cercare nuovi banchi lungo le coste del Mediterraneo. Nella buona stagione i corallari partivano con particolari imbarcazioni dette “coralline” alla ricerca di banchi, soprattutto in Sardegna e Corsica, la cui posizione geografica veniva ritrovata grazie alle armie. Per i Liguri era una buona attività soprattutto fin quando poterono disporre di colonie nelle due isole dell’alto Tirreno ed in altre zone del Mediterraneo. Nell’isola di Tabarca in africa settentrionale, che aveva fondali molto ricchi di corallo, si stabilì una colonia di Genovesi, proprio per effettuare questo tipo di pesca. Nel XVIII secolo si hanno due esempi di come già si cercassero di tutelare i fondali, forse perché si era compreso il valore della loro importanza per la vita del mare. I corallari di Pescino durante l’inverno tornavano alle loro parrocchie e cercavano comunque di occuparsi in altre attività.
Nel 1757 il Magistrato dei provvisori delle galee (una carica genovese) a domanda degli appaltatori della gabella dei pesci di Genova pubblicò una Grida (un annuncio) vietando ai pescatori di usare un attrezzo da pesca chiamato Bronzino, con la motivazione che lo stesso rovinava i fondali. Nel 1770, periodo in cui la pesca del corallo era stata quasi abbandonata dalle popolazioni vicine al Promontorio per l’eccessivo sfruttamento dei banchi e per il rischio rappresentato dai Corsi e dai Turchi, accadde una cosa quasi inaspettata: l’attuale Area Marina Protetta fu presa di mira da quattro coralline catalane che iniziarono a pescare corallo. Furono così avvisate le autorità di Rapallo (il Capitano) perché provvedessero al riguardo.
Il mare allora come oggi era una risorsa. Riportiamo integralmente le frasi che furono usate in occasione di quella vicenda:
“vengono a pescare coi raspini a’ coralli proprio in quelle acque, e con detti raspini sradicano i scogli dove nasce il corallo con pregiudizio delle persone di questa comunità”. Intorno al 1820 vi fu un tentativo di riprendere l’attività in Barberia da parte dei Sammargheritesi, che ebbe scarsi risultati. I pescatori si spingevano fin sulle coste africane rischiando spesso la vita. E’ del 1837 la notizia di alcuni corallari di S. Margherita, che furono quasi tutti trucidati, in una cala vicino ad Algeri da corsari turchi.
Nell’anno 1873 a S. Margherita Ligure erano occupati nella pesca del corallo circa 500 uomini, imbarcati su circa un centinaio di barche. Ancora nel 1877 nello stesso borgo veniva compilato un regolamento per disciplinare questo tipo di pesca. Per i corallari era ormai finita l’epoca d’oro e, a parte la parentesi rappresentata dalla scoperta e lo sfruttamento di nuovi banchi a Sciacca, venne il momento di abbandonare l’attività, comunque nefasta per l’ambiente. Oggi questa pesca vietata anche perché utilizzava attrezzi devastanti.
La Croce di S. Andrea, aveva delle specie di rampini per staccare il corallo o, più semplicemente, delle reticelle attaccate all’estremità di quattro braccia.
Consentiva di entrare negli anfratti dove il corallo cresce “a testa in giù e di sradicarlo”.
L’utensile da pesca era costituito da un palo su cui venivano fissate alcune corde che portavano, legate a varie distanze, delle reticelle. Riusciva a lavorare in condizioni diverse da quelle della Croce di S. Andrea; a profondità superiori, oltre i 40 metri, dove molto buio e il corallo si sviluppa su pareti perpendicolari a “testa in su”, o più in superficie, ma comunque in ambienti abbastanza bui, dove la forte corrente marina non consente l’accumularsi di detriti sulla superficie delle rocce e il corallo può attecchirvi e svilupparsi all’esterno degli anfratti e a “testa in su” (Bocche di Bonifacio). Le coralline erano imbarcazioni simili a quelle utilizzate per altri tipi di pesca, generalmente lunghe una decina di metri che avevano generalmente un attrezzo di pesca a poppa ed uno a prua. I corallari si muovevano lungo le coste fintanto che le reti non erano riempite a sufficienza. Queste manovre provocavano, oltre che la semidistruzione delle colonie di corallo, anche la lacerazione delle reti. Per questo motivo sulle barche non mancavano mai grandi quantità di filo per operarne la riparazione. Vale ancora la pena ricordare che a Portofino nel XII secolo grazie ai proventi derivanti dalla pesca del corallo venne eretto un piccolo tempio presso la cappella di S. Giorgio, a testimonianza della forte devozione delle genti locali.
La bilancella: era un battello da pesca e da carico del Mediterraneo nord occidentale simile alla Tartana, ma un pò più piccolo. La bilancella originaria di Napoli ma veniva utilizzata lungo tutta la costa occidentale italiana.
Il Castello genovese di Tabarka (XVI secolo) è situato sulla cima di un’isola (vedi foto sotto).
Tabarka era una vera e propria isola. La foto aerea mostra la striscia di sabbia che la collega alla terraferma. L’opera fu costruita dai francesi dopo la seconda guerra mondiale. L’area é situata nel nord-ovest della Tunisia, vicino al confine con l’Algeria.
Nel 1167 il Bey di Tunisi, Abdallah-Bockoras, cedeva ai Pisani, già operanti da anni lungo le coste Africane, l’isola di Tabarca (che poi diverrà dei Lomellini) con l’esclusivo privilegio della pesca del corallo. Per ogni battello essi pagano alle Reggenze un tributo da 100 sino a 150 pezzi di Spagna, ed in oltre 10 o 12 libbre di corallo scelto”.
Ma torniamo a noi. Dopo aver depredato il Tigullio e i promontori con degli strumenti micidiali che più avanti vedremo, falcidiarono tutto, tanto che per vivere dovettero emigrare. Scrive il Bertolotti:
“Cento o cinquanta barche (normali barche da pesca lunghe 10 mt) dette Coralline, si spiccano ogni anno in sul finire di Marzo dai vari paesetti del golfo di Rapallo. Ha sette marinai ogni battello che va in Sardegna; nove quel che va in Africa. La navigazione e la pesca li tengono fuor di patria sei, ed otto mesi talora. La felice od infelice ventura ha gran parte del prodotto della pesca del corallo, benché l’abilità la governi. La praticano generalmente nella profondità di 40 o 50 metri, e nella forma che segue:
Immagine di come veniva effettuata la pesca del corallo e del funzionamento della croce di S. Andrea.
Ogni battello ha un ordigno fatto di due panconi lunghi 4 o 5 metri ciascuno, inchiodati un sull’altro a forma di croce; i bracci della croce, armati alle quattro loro estremità di un ferro grande uncinato. Sotto gli uncini s’apre una borsa di tela, e sopra all’intorno gira una rete di cordicella. Una grossa fune regge quest’ordigno nel centro. Il navicellaio cala la macchina ove crede abbondante il corallo; la sperienza gli è guida e maestra. Come l’ordigno ha preso il fondo, egli attacca la fune alla poppa del battello e senza troppo scostarsi dal sito, si rigira vagando qua e là per ogni verso, acciocché gli uncini recidano e schiantino i coralli aderenti alo scoglio. Si ha testimonianza che, a volte, gli ordigni erano due; uno attaccato pure alla prua. La borsa riceve i viventi rami così divelti; e la rete, allargando i lembi per l’acqua, raccoglie gli altri non caduti dentro la borsa. Quindi il pescatore ritira a se la macchina, e si consola al vedere la ricca preda, o s’attrista trovando le sue speranze ite a male. Talvolta la macchina portava a bordo sino a 1 rubbo (unità variabile di peso che a Genova era pari a kg 7,919 )di coralli, altra, nulla.
La maniera con che vien condotta la parte economica di questa pesca è un antico vestigio dei metodi mercantili Genovesi. Il capitale di ogni battello è composta di quattro o cinque mila lire, e diviso in quattro o cinque “azioni” prese da altrettanti “azionari” (i poi famosi camoglini ‘carati’). Intera è la loro fiducia nel capo navicellaio e ne suoi marinai. Accade talvolta che il profitto della pesca raddoppi il capitale; ma la reputano già ben fortunata quando frutta dal 20 al 30%. Vendono il corallo dove più lor torna, in Genova (costì esistevano venti laboratori lungo il Bisagno. I lavori più raffinati si facevano solo a Genova)o in Livorno o in Marsiglia. Pochi anni fa era assai prosperevole; si computa che le fabbriche di Genova ne producessero per due milioni di lire. Forte era l’esportazione verso il Levante e le Indie. Si computa che la pesca del corallo occupi circa mille individui; e che il suo prodotto sia di circa 400.000 lire da cui s’ha da togliere i tre quarti per le spese”.
Dopo una pesca così dissennata ed estirpante, il corallo non nasceva più; per trovarlo bisognava scendere a maggior profondità dove “l’ordigno” non era passato. Oggi se lo si vuol trovare, parlo di quello pregiato del Mediterraneo e non di quello fasullo dell’Oriente, bisogna che esperti subacquei si calino a profondità proibitive e non più remunerative. L’uomo, per il denaro, è riuscito ancora una volta a devastare la natura.
Renzo BAGNASCO
Consulenza, foto e didascalie a cura di Carlo GATTI
Bibliografia:
LE ATTIVITA’ TRADIZIONALI E GLI ANTICHI MESTIERI DEL MARE: la pesca, la sua compatibilità con l’ambiente e la storia intorno al Promontorio di Portofino. Dispense definitive vere Gen nuove cap 5.pdf
Rapallo, 4 Aprile 2016