E-IL VITTORIALE degli Italiani: la Beffa di Buccari
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA BEFFA DI BUCCARI
10-11 febbraio 1918
MAS n.96
Un po’ di Storia...
La rotta dei MAS
L'azione svoltasi nella notte sull'11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici "tra le imprese più audaci" del conflitto con una influenza morale incalcolabile, anche se purtroppo sterile di risultati materiali. Al comando di Costanzo Ciano, all'azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D'Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.
I siluri del MAS 96
L'audacia dell'impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l'attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all'intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.
L'impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D'Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell'azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia".
Ecco come Gabriele D' Annunzio, che ne fu uno dei protagonisti, descrisse sul «Corriere della Sera» l'impresa di Buccari.
“10 febbraio 1918. ... Il mattino è nuziale. Il bacino è cangiante e soave come la gola del colombo. Le case hanno qualcosa di femineo, simili a donne che si levino sul gomito e guardino attraverso le cortine d'oro filato. Scorgo sul cilestro dell'acqua le nostre saettìe grige coi loro siluri dal muso di bronzo, che luccicano, bene uniti come i miei piedi nelle calze di carta chinese. Vedo la dirittura della riva, la vecchia pietra degli approdi e delle partenze, e lungo la riva i marinai allineati, la bella materia eroica. In piedi nel canotto sono issato vigorosamente dalla mano tesa di Luigi Rizzo che ha già la sua casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca. In un attimo la coesione si forma. Tra equipaggio e capo c'è la stessa rispondenza che tra innesco e percotitoio.
Parlo agli uomini in riga contro un muro di mattone che ha il colore del sangue aggrumato. Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un'erba trista di carcere, mai nata tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l'esca, come una sostanza che pigli fuoco subito. « Marinai, miei compagni, questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una tarantella d'allegrezza. Ma certo avete indovinato, dalla cera del nostro Comandante, che questa volta egli getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. » .....
Il MAS n.96 visto di poppa
« Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé ma più che tutto sé, deve operare non secondo le sue forze ma di là dalle sue forze. « Lo giurate? compagni, rispondetemi. » e come lo scoppio d'una fiamma repressa. « Lo giuriamo. Viva l'Italia. » ...C'imbarchiamo. Ridiventiamo taciturni e attenti. Ciascuno prende il suo posto; e nel suo posto ha poco più spazio di quello che avrebbe se fosse messo fra le quattro assi finali. Il bacino è chiarissimo, appena appena soffuso d'indaco, puro come il bianco dell'occhio d'un bimbo. Riceviamo il saluto delle siluranti ormeggiate, passando al traverso. Chi non c'invidierebbe, se sapesse? Chi, se sapesse, non ci farebbe il segno del commiato ultimo? Il comandante Costanzo Ciano ci raggiunge mentre si sta compiendo il rifornimento della benzina. Lo vediamo torreggiare sul pontile, nella sua gran casacca di pelle fosca...
Comincia l'eguaglianza della corsa, fra mare e cielo. Attenzione a ogni apparenza del mare. Attenzione a ogni apparenza del cielo. Se fossimo avvistati da una nave nemica, scoperti da un esploratore aereo, dovremmo rinunziare all'impresa; che non è se non una sorpresa, e' una sorpresa mortale. Le ore filano. Il fervore della scia accompagna la musica dei miei pensieri. Di tratto in tratto una bùccina suona nel vento. Non è quella dei Tritoni, se bene una torma di bei delfini danzi al nostro traverso di sinistra. Non è se non il nero megafono, che trasmette le correzioni di rotta. Un marinaio m'improvvisa un giaciglio a poppa, con tre salvagente. Mi distendo supino, col capo contro la gabbia delle due bombe da sommergibili. La foschia non si dirada... Non torneremo indietro‑ «Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la disciplina dei nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l'altra la matita. «Ricòrdati di osar sempre». Mi assopisco. Ho il sole in faccia. Distinguo nella trasparenza delle palpebre i ragnateli sinistri tessuti in fondo alle mie orbite. Odo, sul croscio dell'onda spumosa, un uomo accosciato accanto a me masticare il suo pane di guerra. Sento che i miei piedi si raffreddano. Ricevo uno spruzzo di sale sul viso. Apro gli occhi... Abbiamo lasciato a dritta la Levrera. Seguiamo la rotta di tramontana. La foschia è cosi fitta che non riusciamo a scorgere né la costa di Cherso né quella dell’Istria.
Postazione del timoniere di bordo
Angelo Procaccini che sta al timone, un Veneto tenuto a battesimo da Angelo Emo di San Simeon piccolo, fiutando il vento con le sue nari sagaci di corsaro legittimo, mi dice: « Non sente l'odore della terra? »...Avanti, avanti! Le coste si serrano. Riconosciamo la bocca di Fianona e il promontorio di Prestenizze. Penetriamo nella stretta fauce del Quarnaro, come tre spine aguzze. Il canale di Farasina, ben munito, ben guardato, con i suoi proiettori, con le sue batterie, con i suoi lanciasiluri, con i suoi sbarramenti, con ogni sorta di difese e di ostacoli, ecco che noi sappiamo violarlo. Ordinati a triangolo, una prua, due prue, stando noi dritti in gruppo sul ponte, neri contro la notte, tagliamo nettamente il pericolo che non s'illumina e non tuona. La prua è ben dritta contro la gola dei nemico. Avvistiamo l' isola di Unie nella sera stellata. Accostiamo per passare fra Unie e la Galiola dove incagliò Nazario Sauro. L'ombra dell'impiccato palpita per qualche attimo tra siluro e siluro, come una bandiera in gramaglia. Al traverso di Punta Sottile facciamo rotta nel canale di Farasina, aumentando la nostra velocità. L'ombra ci lascia con un gesto di promessa. Torna a Pola, per sorridere dalla sua larga faccia guatando la flotta cautelosa che senza dubbio seguiterà a covare la gloriuzza di Lissa......
11 febbraio 1918. … Nasce il nuovo giorno, con un numero di data caro alla mia superstizione. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d'uomini sopra tre piccole navi, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale, a poche miglia dalle superate difese di Farasina, a poche centinaia di metri dalle batterie di Porto Re. Un allarme, e andiamo in perdizione...
Si rallenta. Si tenta. Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la punta Sersica. Si naviga a poche braccia dalla costa di ponente. Porto Re è al buio. La vigilanza giace. La batteria tace. « Che buona gente, questi Austriaci! », mi mormora Luigi Rizzo accostando al mio orecchio quella sua bietta mal rasa che gli è servita a fendere il fianco della Wien con un colpo solo. Ma non dice « buona gente » in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando i lunghi cigli su i suoi occhi saracini. E’ il polso quieto di un Arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro bianco.. .Siamo dentro la baia nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Bùccari, nella sua estremità settentrionale, di contro all'ancoraggio, inosservati, insospettati... A Bùccari nessuna finestra è illuminata. Accostiamo ancora. Gli ordini sono dati con la voce, da bordo a bordo. Ciascuna prua prende la sua posizione per il lancio. E' un'ora e un quarto dopo la mezzanotte.
Ho le mie bottiglie sotto la mano pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di buon inchiostro. Le ho preparate io stesso... Poso la prima bottiglia nell'acqua, con le sue belle fiamme spiegate... Poso la seconda bottiglia nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri. Vedo la terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo dalla stretta e ci dirigiamo come padroni verso l'imboccatura della baia passando dinanzi alla batteria di Porto Re che s'illumina senza tuonare...
Alle due e cinque minuti accostiamo per imboccare il canale. Non abbiamo altre armi che due mitragliatrici a prua e una a poppa. Sono pronte, con le loro cassette di nastri. Ma per tutte le coste, a dritta e a manca, non appare indizio di allarme. Cerchiamo di conservare la formazione a triangolo, dando la voce. La terza silurante perde velocità, non ci può seguire. D'improvviso, all'altezza di Prestenizze, parte un fuoco di fucileria da qualche posto di vedetta. Nessuno curva il capo. Nel fosso di poppa c'è il solo timoniere. Uno scoppio di facezie risponde.
Per giunta, accendiamo il fanaletto di poppa e rallentiamo, la terza saetta non essendo più in vista dietro di noi. Che accade? un'avaria? di che sorta? Non esitiamo a invertire la rotta per ricercare la ritardante, deliberati di mandarla a picco e di prendere a bordo l'equipaggio, se non sia possibile riparare il guasto in breve. Ed ecco il meglio della beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra li mette nel dubbio che si tratti di naviglio austriaco. Per tendere gli orecchi, per meglio cogliere i rumori, ci fermiamo in mezzo al canale di Farasina ben munito, ben guardato; e restiamo là fermi, da padroni, un lungo quarto d'ora. « Memento audere semper ». Si ascolta. Nulla. Si risale ancora a tramontana. La ricerca è inutile. Non si scorge segnale di soccorso, non s'ode richiamo. E’ probabile che, riparata l'avaria, la ritardante abbia proseguita la sua rotta di ostro. E per la quarta volta passiamo sopra gli sbarramenti, ridendo delle sentinelle sbalordite...Poco innanzi le cinque, nella nebbietta brilla il segnale della terza silurante che lietamente si ricongiunge alle compagne. La trinità navale è dunque incolume... Lasciamo dietro di noi le soglie dei Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l'Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto... L'alba non è eguale per tutti. Dall'Italia navighiamo verso l'Italia.”
Padiglione che ospita il MAS n.96
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
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LE BELLEZZE E LA STORIA DEL NOSTRO MARE
LE BELLEZZE E LA STORIA DEL NOSTRO MARE
In quel lontano periodo il sub Giancarlo Boaretto (a destra nella foto) si trovava impegnato nei fondali della nordica Tromsø (Norvegia)
Quando si parla di mare, che si sia stati dei naviganti, pescatori, sub dilettanti o professionisti, apneisti, insomma chi ha vissuto il mare sopra o sotto, si ricorda immediatamente le cose che hanno colpito e affascinato maggiormente come se fosse passato solo un giorno; anche se in realtà possono esser passati degli anni.
Quando si mette la testa sotto quel fluido bagnato e molto più denso dell’aria ci si rende conto che si è entrati nel regno di Nettuno; si ha la sensazione di volare in un altro mondo, una flora e una fauna inaspettata, un mondo inatteso e affascinante dove fino a una decina di metri sotto il livello del mare i colori di ciò che si guarda restano inalterati e iniziano a sfumare in tonalità che vanno dall’azzurro al blu a breve distanza da noi.
Ma attenzione, questo “regno” molto affascinante impone le sue regole e sono ferree; occorrono molte precauzioni, prudenza e conoscenze tecniche approfondite, seguite da uno stile di vita idoneo e soprattutto: va rispettato.
IL CORALLO
Nel Golfo del Tigullio una delle attività più antiche è stata la pesca del corallo e ne parlavano già nel II secolo d.C. e anche nel XIV secolo da Fazio degli Uberti, si utilizzavano le “coralline” barche a vela molto robuste con l’equipaggio composto da 6/8 persone.
Gozzo Ligure "corallino"
Per la pesca si utilizzava un marchingegno composto da due grandi legni incrociati e zavorrati al centro, ai vertici dei bracci che si formavano dall’incrocio dei legni venivano applicate delle reti di un paio di metri ciascuna, venivano fatte sprofondare sul fondale e poi trainate con l’aiuto del vento; le reti del marchingegno strisciando sul fondo incocciavano i rami di corallo e li stappavano tenendoli incastrati nelle maglie.
La tecnica di per sé funzionava, ma con l’andare degli anni , o meglio, dei secoli di razzia dai fondali del Tigullio il corallo è praticamente sparito; da li i “corallari” hanno dovuto spostarsi verso la Corsica, la Sardegna, fino alle coste della Tunisia e Algeria e famosa è l’isola di Tabarca che divenne il punto d’approdo dei pescatori di corallo.
I coralli rossi, tipici del Mediterraneo sono colonie di microscopici polpi che si nutrono di plancton allungando i tentacoli estroflettendoli dallo scheletro che è ricoperto da una sottile pellicina che quando è raschiata via scopre il colore rosso sangue della struttura vera e propria del corallo; questo ha una crescita lentissima, si parla di decine di anni per raggiungere l’altezza di un centimetro e perciò quello fotografato sul palmo della mano non dovrebbe aver vissuto meno di cinquant’anni.
Nello stemma di Santa Margherita Ligure è raffigurato un ramo di corallo e alcuni fortunati ne trovano ancora in qualche anfratto ma ad una profondità di almeno settanta metri, e si limitano ad osservare gli esemplari rimasti, qualche volta fotografandoli ma non dicendo mai dove li hanno trovati.
Giancarlo BOARETTO
Rapallo, Sabato 18 luglio 2015
D-VITTORIALE degli Italiani: Il Teatro
VITTORIALE DEGLI ITALIANI
IL TEATRO
"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: Il Vittoriale"
(G.d'Annunzio)
"Una conca marmorea sotto le stelle": così il poeta Gabriele d'Annunzio immaginava il teatro ideale per rappresentare i propri spettacoli, naturalmente immerso nella splendia cornice del Vittoriale, sull'esempio di quello di Wagner a Bayreuth.
Avrebbe dovuto chiamarsi "Parlaggio". Fu il Vate stesso a scegliere il luogo: un punto panoramico del parco, da cui si ammirano l'Isola del Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e, soprattutto, la suggestiva Rocca di Manerba - in cui a Goethe pare di riconoscere il profilo di Dante.
Nel 1931 il Vate affidò l'opera all'architetto del Vittoriale, Gian Carlo Maroni, che mandò a Pompei perché pensasse la nuova realizzazione sull'esempio dell'anfiteatro romano più antico del mondo.
I lavori iniziarono tra il '34 e il '35 ma vennero presto interrotti per difficoltà finanziarie, aggravate dall'inizio della guerra e dalla morte del poeta. Ripresi per volontà della Fondazione vent'anni dopo, nel '52, terminarono l'anno successivo, a opera dell'architetto Mario Moretti e di Italo Maroni, fratello di Gian Carlo.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
LE AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI
LE AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI
“... Tutte le passioni tempestose dell'umanità quando era giovane, l'amore della rapina e l'amore della gloria, l'amore dell'avventura e l'amore del pericolo, insieme con il grande amore dell'ignoto e i vasti sogni di dominio e di potenza, sono passati come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare alcun segno sulla faccia misteriosa del mare. Impenetrabile e senza cuore, il mare non ha dato nulla di se stesso a coloro che ne hanno corteggiato i precari favori ...” - JOSEPH CONRAD
Benedetto Donati, (nelle foto) nato a S. Ambrogio di Zoagli e rapallese per il tempo che visse, nacque sugli scogli della Riviera di Levante nel 1916, durante la Prima guerra mondiale. Il mondo d’allora offriva solo doni di natura e fin da piccolo aveva l’unica visione del mondo che il Tigullio poteva offrirgli: una cornice di colline verdi che si chiudevano ad anfiteatro alle sue spalle. Ma al di là di quella cresta sinuosa per lui c’era il nulla. Si girava a guardarla soltanto quando neri nuvoloni carichi di pioggia salivano da scirocco per darle una lavata...
Il mare che aveva davanti agli occhi lo attraeva e lo ammaliava come il canto di una sirena. Benedetto era e si sentiva libero come un delfino che giocava con le onde sotto il tagliamare delle navi, nuotava veloce, volteggiava per aria e poi spariva per sfidare il mare aperto verso l’ignoto ad inseguire i suoi sogni oltre l’orizzonte. Figlio di una divinità marina irrazionale era dominato dall’istinto puro, da quella forza che sentiva dentro e che cercò invano di trattenere per tutta la vita.
Benedetto ignorava Conrad, ma il grande scrittore polacco conosceva bene questi rari figli del mare, duri ma generosi, ansiosi e romantici dal carattere talvolta aspro ma sincero. Spesso diceva a suo figlio Roberto, Comandante di navi, “per essere dei buoni marinai non serve essere letterati, ma umili e timorati del dio-mare, occorre piegarsi alle tempeste senza rinunciare alla propria dignità; indietreggiare o “puggiare” per poi avanzare, non significa vigliaccheria, ma saggezza”.
Benedetto cresceva in fretta. Abbronzato tutto l’anno, era diventato un bel ragazzo, alto e atletico. In inverno studiava aspettando l’estate. Le automobili straniere lo attraevano per la raffinata eleganza e le ragazze d’oltralpe per l’emancipazione senza ipocrisie. Si sentiva un “europeo” ante litteram. Amava usare alcune infallibili frasi in francese e inglese per scardinare quei cuori che lui sapeva conquistare con le canzoni italiane e gli scorci panoramici della Riviera. Cresceva ed imparava i trucchi dello “squalo del Tigullio”, amava ed era amato senza pregiudizi e senza frontiere.
Benedetto aveva i piedi per terra e sapeva fin da ragazzo come guadagnarsi da vivere. Aveva il mare “dentro”, molti sogni nel cassetto, ma anche un’autentica passione: i motori. Li smontava e li rimontava accuratamente ridandogli vita per sentirli rombare in tutta la loro potenza.
Era il suo pane, un pane duro che portò nello zaino durante il suo pellegrinaggio di uomo di mondo. L’officina era diventata il suo regno e ben presto cilindri, pistoni, cinghie e candele non ebbero più segreti per lui. La sua specialità erano i motori marini, sia quelli veloci dei motoscafi dei ricchi sia quelli dei pescherecci, più lenti nelle mani di quei poveri cristi che partivano di notte e dovevano sempre girare per poter tornare a casa quando la stiva era piena. A poco a poco si fece largo nel vortice della vita quotidiana ed il suo nome era sempre più richiesto sui moli della Riviera. Acquistava vecchi motori, li rigenerava e li rimontava su imbarcazioni per chi di meglio non poteva permettersi.
La sua storia personale sta per voltar pagina. A 20 anni compiuti é arruolato presso il C.R.E.M. di Spezia e 15 giorni dopo imbarca sulla R.Nave CAMPANIA per il corso M.A.
L’incrociatore leggero RN Campania in movimento
Il 15 Luglio 1937 viene trasferito a Pola per imbarcare sul Ct. “QUINTINO SELLA” ed é inviato a Portolago in Egeo. Visti i suoi requisiti di valente meccanico, viene promosso Motorista A. Scelto.
Il Quintino Sella fotografato all’ancora negli anni ‘30
Il 5 marzo 1938 Benedetto sbarca a Brindisi e lo stesso giorno viene trasferito alla “Difesa” – Brindisi, Comando Militare Marittimo "Brindisi" (Brindisi) - 5^ Legione Milizia Artiglieria Marittima Territoriale (Bari) - Il 20 marzo 1938 viene trasferito all’Ufficio Circondariale di Molfetta. Il 2 maggio 1938 viene trasferito al Compamare di Bari, dove l’1 ottobre viene promosso Sottocapo M.A.
A Bari, storica e importante città portuale del basso Adriatico, Benedetto conosce Apollonia. Un colpo di fulmine, complici l’ansia e la paura di perdersi nei venti di guerra, decidono di sposarsi. Il loro primo frutto si chiama Roberto che nasce il 22 aprile 1942.
In seguito ai bombardamenti del 17.11.1940 Benedetto Donati viene decorato con la Croce di Guerra al V.M. su Azione di Guerra.
Tuttavia, per un puro gioco del destino, Benedetto si ritrovò come “prigioniero di guerra” degli inglesi anche durante il secondo, ancor più disastroso, bombardamento di Bari il 2 dicembre 1943.
A questo punto della storia inseriamo la rievocazione del “BOMBARDAMENTO DI BARI” curato dallo storico Francesco Bucca. La lettura del brano ci dà la reale consapevolezza sia dell’immane tragedia che costò migliaia tra morti e feriti per opera di bombe molto particolari, sia per comprendere lo strascico che tali esalazioni ebbero in seguito sul fisico di tanti innocenti, tra cui Benedetto.
UN PO' DI STORIA
A cura di Francesco BUCCA
BOMBARDAMENTO DI BARI : 2 Dicembre 1943
Il bombardamento del porto di Bari avvenne il 2 Dicembre 1943, a circa 3 mesi dalla resa dell’Italia agli Alleati (8 Settembre 1943) e poco tempo dopo la successiva dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania (13 Ottobre 1943).
Per le sue conseguenze e il numero delle navi alleate affondate da parte dei bombardieri tedeschi fu il maggior incidente di guerra chimica avvenuto durante la II Guerra Mondiale e fu soprannominato a ragione la “Pearl Habour del Mediterraneo” o “seconda Pearl Harbour”, in quanto, a fronte della perdita di solamente 2 bombardieri tedeschi, complessivamente 17 navi da carico alleate con più di 38.000 tonnellate di merci furono affondate e altre 8 seriamente danneggiate e il porto di Bari rimase chiuso per 3 settimane a causa dei relitti , ritardando non poco l’offensiva degli Alleati verso il Centro Italia a causa della mancanza di rifornimenti e consentendo ai tedeschi di attestarsi lungo la linea Gustav.
Il porto di Bari fu ripristinato alla piena operatività soltanto nel Febbraio 1944.
In effetti fu l’attacco aereo più distruttivo subito dagli Alleati dopo quello giapponese del 7 Dicembre 1941.
Ciò senza citare i gravissimi danni derivati alla città dai bombardamenti in se e soprattutto dallo scoppio delle bombe all’iprite trasportate dalla nave da carico americana tipo Liberty JOHN HARVEY (2000 bombe tipo M 47 per 91 tonnellate) e relativa fuoriuscita di sostanze tossiche, che causarono più di 1000 vittime tra militari e civili .
Il 2 Dicembre più di 40 navi da carico battenti bandiera americana, inglese, polacca, norvegese, olandese e italiana si trovavano nel porto di Bari.
Il porto di Bari era stato intenzionalmente risparmiato dai bombardamenti americani in quanto considerato strategico ai fini dell’approvvigionamento dei rifornimenti per le armate alleate che avrebbero dovuto risalire l’Italia e minacciare i confini meridionali della Germania ed a Bari erano tra l’altro anche stati creati diversi ospedali per la cura dei feriti al fronte.
Nella notte del 2 Dicembre il porto di Bari era completamente illuminato e stava lavorando a piena capacità per accelerare lo scarico dei rifornimenti destinati ad alimentare il fronte.
Gli Alleati infatti non si attendevano un attacco aereo e non nutrivano alcun dubbio sulla sicurezza del porto, tanto che l’avvistamento nei giorni precedenti di ricognitori tedeschi, il bombardamento di Napoli di fine Novembre e quello successivo di Manfredonia non avevano suggerito alcun provvedimento, neppure quello di decidere l’oscuramento delle luci del porto e di almeno una parte delle luci della città contigua al porto stesso.
Lo stesso 2 Dicembre era appena arrivato un convoglio proveniente dal Nord Africa e dagli Stati Uniti, senza però che esistesse la possibilità di scaricare le navi se non dopo molti giorni di attesa.
La nave tipo Liberty John Harvey
Tra le unità in porto, vi era anche, come detto, la Liberty americana JOHN HARVEY al comando del capitano Elwin Knowles, che trasportava segretissimamente 2000 bombe all’iprite, oltre ad altro materiale esplosivo, principalmente bombe d’aereo destinate alla 15.ma Air Force statunitense stanziata a Manfredonia incaricata dei bombardamenti strategici sulla Germania del sud, ed era attraccata vicino all’estremità del molo di Levante del porto.
Era arrivata il 28 Novembre e attendeva da 5 giorni di essere scaricata del suo pericolosissimo contenuto, che non era stata rapidamente sbarcato anche a causa della sua segretezza, che aveva rallentato il passaggio delle informazioni tra il comandante statunitense e le autorità portuali inglesi.
Bari - Bombe all’IPRITE recuperate
L’iprite, detto anche “gas mostarda”, era stata ampiamente utilizzata durante la Prima GM sul fronte francese e poi bandita dal trattato di Versailles del 1922, era stata trasportata solamente per essere utilizzata come atto di ritorsione ad un eventuale attacco chimico da parte tedesca alle forze alleate e in ultima analisi come deterrente. Fonti di intelligence alleate, infatti, sin dal Luglio 1943 avevano iniziato a inviare rapporti sul suo possibile uso da parte tedesca ed in effetti depositi di armi chimiche furono successivamente ritrovati in Italia.
L’iprite ancora, comunemente denominata gas, è un agente chimico vescicante con forte odore che ricorda l’aglio e si presenta allo stato liquido e non gassoso e costituisce un aggressivo chimico che può essere nebulizzato. Il termine gas è quindi improprio e il suo uso costituisce una concessione al linguaggio comune. Inoltre l’iprite è un liquido oleoso con effetto quindi più persistente rispetto agli aggressivi chimici aeriformi come ad es. il fosgene.
L’iprite risulta dunque molto pericolosa ad essere trattata e gassifica facilmente in quantità tali da produrre pericolosissimi aumenti di pressione nei contenitori delle bombe in cui viene conservata.
La sua conservazione e trattamento è quindi estremamente delicata.
Al tempo della Seconda GM, le bombe erano lunghe poco più di 1,2 metri, con un diametro di 20 cm e contenevano da 30 a 32 kg di iprite, sufficienti a contaminare un’area di 40 m. di diametro.
L’attacco aereo tedesco fu fissato per i primi giorni di Dicembre in quanto la luna crescente avrebbe consentito una sufficiente visibilità ai piloti, ma reso meno individuabili gli aeroplani.
Il giorno propizio si verificò il 2 Dicembre, quando un ricognitore Messerschmitt Me 210 tedesco, volando ad alta quota fotografò nel porto di Bari oltre 40 navi ancorate, molte facenti parte del convoglio appena arrivato.
Fu quindi immediatamente presa la decisione di attaccare.
Junker Ju 88
Al comandi del generale Wolfram von Richthfen, parteciparono all’attacco 105 velivoli, per lo più Junkers Ju 88, provenienti dagli aeroporti del Nord Italia e anche dalla Jugoslavia e Grecia.
Erano tutti armati con motobombe FFF ( dall’iniziale dei cognomi dei progettisti italiani tenente colonnello Prospero Ferri, capo disegnatore Filpa e colonnello Amedeo Fiore ), che costituivano una variante del siluro elettrico, ovvero una volta lanciate da quote comprese tra 500 e 4000 m., un paracadute ne frenava la caduta fino all’impatto con l’acqua, poi spinte da un motore elettrico iniziavano a navigare con una traiettoria a spirale a circa 12 nodi fino all’impatto con il bersaglio o al termine dell’autonomia , che era di circa 30 min.
Gli aerei volarono a bassissima quota per non essere intercettati dal radar alleato (che comunque quella notte era fuori servizio).
17 aerei per motivi tecnici dovettero abbandonare la missione, per cui solamente 88 aerei parteciparono all’azione.
Alle 19,30 iniziò il massiccio bombardamento. L’attacco fu una completa sorpresa e ciò fece si che il bombardamento potesse avvenire con grande precisione.
Seguono alcune immagini del Bombardamento di Bari
Le bombe caddero sulle navi, che affondarono rapidamente ormeggiate alla banchina, mentre quelle che trasportavano munizioni saltarono in aria, provocando danni ingentissimi. Si incendiarono pure le condutture di benzina sulle banchine, rendendo le acque del porto un mare di fiamme che distruggeva anche le altre navi non danneggiate.
Fu colpita anche la JOHN HARVEY con le sue 91 ton. di bombe all’iprite. Molte esplosero direttamente sul posto, mentre altre furono scagliate lontano in modo tale che il loro contenuto tossico venne disseminato per largo raggio.
Inizialmente il vento soffiava in direzione opposta alla città, in modo tale da agevolare la popolazione, ma successivamente cambiò direzione e i fumi tossici investirono direttamente gli abitanti e i militari.
Poiché il carico di iprite era segretissimo, nessuno ne conosceva l’esistenza e quindi anche i medici degli ospedali a cui man mano affluivano i feriti (solo i militari, in quanto i civili erano rimandati indietro per mancanza di posto), non essendone al corrente, non furono in grado di istituire subito terapie idonee , diagnosticando spesso congiuntiviti o dermatiti.
Solo dopo 3 giorni, quando la presenza dell’iprite fu scoperta, anche se non formalmente resa pubblica, pur con grandissimo riserbo, i feriti iniziarono ad essere trattati adeguatamente con terapia a base di sulfamidici.
Quando la nave scoppiò, inizialmente il vento allontanò verso il largo la nube tossica generata dalle esplosioni. Ciò comunque non impedì all’iprite di disperdersi come miscela oleosa nelle acque del porto, contaminando gli indumenti dei marinai e portuali scampati alle esplosioni e che si trovavano in acqua e che la inalarono inavvertitamente, come pure fecero i soccorritori che si adoperavano per trarre in salvo i superstiti. Le prime conseguenze visibili furono bruciore agli occhi, narici e gola, parziale cecità e vesciche sulla pelle con successivi distacchi di pelle.
In totale si stima che le vittime tra civili e militari furono circa un migliaio. Di questi circa 250 furono i civili baresi. Vi furono oltre 800 militari ricoverati con ustioni o ferite. Gli intossicati all’iprite furono 617.
Va osservato che nel successivo rapporto redatto dal colonnello Alexander della Sanità militare americana inviato sul posto, datato 27 Dicembre 1943, le ustioni riscontrate, per ragioni di segretezza, furono subito classificate per causa Not Yet Diagnosed.
Sembra sia stato lo stesso Churchill a disporre che non si facesse cenno all’iprite nei documenti che riguardavano il disastro di Bari in quanto il porto era controllato dagli inglesi e non si voleva ammettere un simile disastro.
Solo molti anni dopo la fine del conflitto i governi inglese e americano ammisero ufficialmente la presenza dell’iprite.
Infatti i documenti riguardanti l’attacco furono declassificati solamente nel 1959.
Ancora molti decenni seguenti all’attacco furono numerosi i casi di contaminazione di pescatori baresi a causa degli ordigni di iprite inesplosi che, ormai corrosi, rilasciavano il loro contenuto.
Tuttavia negli ultimi anni tali episodi sono completamente spariti.
Va infine citato che la città pugliese fu nuovamente colpita negli ultimi giorni della guerra. Il 9 Aprile 1945, infatti, un’altra nave americana, la CHARLES HENDERSON, esplose accidentalmente mentre stava scaricando un forte quantitativo di armi chimiche, uccidendo ancora militari e civili e danneggiando gravemente le attrezzature portuali della città.
I lavori di bonifica del porto iniziarono nel Marzo 1947 e si protrassero per diversi anni, potando al rinvenimento, oltre al resto, di 2302 bombe d’aereo (più 3714 recuperate dalla CHARLES HENDERSON), 98 bombe all’iprite (94 a Bari, 2 a Barletta, 1 a Trani e 1 a Molfetta) e 157 bombette ad aggressivi chimici, ugualmente pericolose.
Durante i lavori di bonifica, il 30 Maggio 1947, si verificò addirittura lo scoppio accidentale di una bomba all’iprite di grande capacità e fu possibile evitare gravi incidenti alla popolazione e danni alla città vecchia grazie al prontissimo intervento di tutti gli operatori civili e militari, che si prodigarono con slancio, riportando personalmente gravissime lesioni da iprite.
Tutte le armi chimiche recuperate vennero di nuovo buttate a mare al largo di Bari, in fondali molto profondi dove attualmente è vietata la pesca a strascico. Ciò nella convinzione che gli aggressivi chimici sarebbero rapidamente diventati innocui, il che però, a detta delle Associazioni ambientali, è ancora tutta da verificare.Il bilancio totale delle perdite navali è evidenziato nel riquadro 1.Riassumendo furono affondate 6 navi trasporto americane tipo Liberty, 4 unità inglesi, 2 norvegesi, 3 italiane e 2 polacche per un totale di 17 unità. Altre 8 furono seriamente danneggiate, mentre un‘altra decina di unità minori (unità di uso locale, piccoli traghetti, etc) risultarono anch’esse affondate. FINE
Benedetto DONATI cambia destinazione
1 febbraio 1942 Benedetto viene trasferito al Comando Fotoelettriche di Pantelleria e vi rimane sino alla resa dell’isola.
1942 - PANTELLERIA ISOLA DI COMANDO R. MARINA
Veduta parziale isola (Foto dell'Isola prese nel 1936-Public Record Office, Londra ADM/239/463)
Isola di Pantelleria - Benedetto (a destra) appostato con un commilitone sull'AEROFONO
Benedetto amava la musica
... e pensava alla sua Riviera
... magari avesse avuto una Benelli a Rapallo
Comando Marina "Pantelleria" - 9^ Legione Milizia Artiglieria Marittima Territoriale - 13 batterie controaeree da 76/40 - 1 batteria controaerea da 76/40 (Lampedusa) - 22 mitragliatrici da 13,2 - 2 fotoelettriche di tipo moderno - 5 fotoelettriche di tipo antiquato.
Nel 1943, durante la II Guerra Mondiale, la conquista di Pantelleria fu ritenuta d’importanza strategica dalla Truppe Alleate che si preparavano ad invadere la Sicilia, tanto che l'isola fu pesantemente bombardata dal mare e dal cielo, per preparare lo sbarco delle truppe, nell'ambito di un'operazione anfibia chiamata Operazione Corkscrew. L’attacco venne sotto forma di incessanti attacchi aerei ed era già incominciato l’8 maggio. Secondo le intenzioni italiane l’isola doveva essere la nostra Malta, ma l’entrata in guerra ritardò le strutture difensive dell’isola e spesso fermò i lavori. Le principali strutture consistevano in un aeroporto in caverna, da dove però potevano operare aerei da caccia. Le batterie antiaeree erano 14 con 75 cannoni antiquati da 76 mm - 18 mitragliere da 20 mm - 500 quasi inutili mitragliatrici da 8 mm. Le batterie antinave erano 5 con 12 pezzi da 152 mm - 8 da 120 mm. I militari di stanza nell’isola erano 11.420. Le scorte di viveri erano sufficienti per 50 giorni. Sull’isola c’erano 3 radiolocalizzatori di scoperta aerea e 1 di scoperta navale germanici, ma verso la fine di maggio il personale li smontò e abbandonò con essi l’isola. Dall’8 giugno, alla pressione aerea si aggiunsero i bombardamenti navali con 4-6 incrociatori e 8 caccia. Il 10 giugno fu raggiunto il massimo della violenza: 44 attacchi aerei da parte di 1.040 velivoli anglo-americani, 1400 ton. di bombe rovesciate sull’isola. Lo stesso giorno gli alleati intimarono la resa, il Comando Italiano non dette risposta e in serata a, reparti della prima Div. Britannica di fanteria s’imbarcarono (a Susa e Sfax-Tunisia) su 3 navi da trasporto truppe, 15 mezzi LCI, 19 LCT, 4 mezzi da sbarco d’appoggio LCF, 5 vedette ML. In quelle stesse ore, considerata la situazione, il comando dell’isola affidato all’Amm. Pavesi, chiese a Roma l’autorizzazione ad arrendersi.
L'Aeroporto di Pantelleria
Hangar di Pantelleria
Soldati Inglesi occupano l'Isola di Pantelleria
Cronologia degli avvenimenti che hanno coinvolto Benedetto Donati: 10 giugno 1943 Catturato e fatto prigioniero dagli inglesi. 14 giugno 1943 Trasferito a Souse (Tunisia). 5 luglio 1943 Trasferito in un Campo di Concentramento provvisorio a Tunisi. 3 settembre 1943 Trasferito in un Campo di Concentramento provvisorio presso Algeri in attesa d’essere imbarcato per gli Stati Uniti. 7 settembre 1943 Imbarca su una nave alleata. 10 settembre 1943 Sbarca ad Orano (Algeria) in seguito all’Armistizio.11 settembre 1943 Viene riportato in un Campo di Concentramento (gabbia n.7) presso Orano (Algeria). 20 ottobre 1943 E’ destinato al Campo Lavoratori Portuali come ecoperatore. Come abbiamo già visto, il sottocapo fuochista Benedetto Donati, vantava una specializzazione di meccanico navale di cui gli inglesi ben presto si accorsero. Gli Alleati nel frattempo erano sbarcati in Sicilia e risalendo la penisola, occuparono i punti nevralgici e vi stabilirono delle teste di ponte. Gli inglesi s’impossessarono del porto di Bari e, proprio in questo porto strategico per lo sbarco della logistica USA, inviarono un contingente specializzato di P.O.W (Prisoners of war), tra cui Benedetto, per essere utilizzato nel suo ruolo di meccanico in assistenza alle numerose navi da carico militarizzate che giungevano con molte avarie e, soprattutto, con le stive cariche di armi di ogni tipo. Benedetto ne fu felicissimo perché durante quell’insperata missione avrebbe rivisto sua moglie ed il piccolo Roberto nato da pochi mesi. Tutto sembrò andare per il verso giusto, almeno fino al momento del secondo tragico bombardamento di Bari da parte della Luftwaffe il 2 dicembre 1943 che già vi é stato raccontato.
10 gennaio 1944 Benedetto Donati viene liberato dalla prigionia e imbarca sulla cisterna “Posa Rica” al servizio degli americani.
10 marzo 1945 Benedetto viene rimpatriato.
INTERVISTA al figlio maggiore di Benedetto, Com.te Roberto Donati.
I suoi genitori hanno avuto la soddisfazione di mettere al mondo due figli che hanno raggiunto il massimo livello nelle loro rispettive professioni:
Roberto, Capitano di L.C. - Comandante e Capo Pilota del Porto di Augusta
Michele, Avvocato e Generale di Divisione della Guardia di Finanza.
Mio padre avrebbe meritato questa soddisfazione, se non altro per averci indicato, con il suo esempio e i tanti sacrifici, la GIUSTA ROTTA da seguire nella nostra vita.
Mia madre, pur essendo mancata a soli settantacinque anni, riuscì a vedere i suoi figli degnamente sistemati.
Questo saggio è dedicato a suo padre, ultimo nato di undici figli, durante la Grande Guerra. Benedetto fu terribilmente coinvolto, da militare, nella Seconda guerra mondiale.
I bombardamenti di Bari gli furono sicuramente fatali sia per i fumi tossici inalati durante il primo bombardamento per cui fu anche decorato, sia per le esalazioni di gas-Yprite del secondo bombardamento che respirò durante la fase di recupero dei naufraghi nel bacino portuale di Bari per ordine degli inglesi. In queste due tragiche circostanze i suoi polmoni ne furono talmente indeboliti da costargli la vita quando aveva soltanto 47 anni.
Cosa le raccontò di quei tragici avvenimenti?
Mio padre era un simpatico ottimista, socievole, disponibile e caratterialmente molto aperto, ma anche molto determinato e coraggioso, tuttavia, ogni volta che si affrontava l’argomento “guerra”, abbassava la testa e si chiudeva in uno sconcertante silenzio. Evidentemente il film da lui vissuto come attore, era ancora troppo impregnato di ricordi e sofferenze personali che gli bruciavano dentro senza riuscire a esorcizzarli come riusciva, al contrario, con tutti gli altri eventi negativi cui in successione dovette far fronte nella vita.
Gli effetti di quei gas nocivi, fumi e nubi tossiche sparsi a pioggia su Bari nei due bombardamenti, prima di vederli su se stesso a distanza di anni, li vide sulla pelle di quelle migliaia di morti e feriti che vide galleggiare inerti nel porto di Bari e che aiutò a recuperare con le sue stesse mani. Mio padre visse quei tragici momenti come un incubo ricorrente per tutta la sua vita. Capisco quindi il motivo per cui evitava di parlarcene.
A Pantelleria Benedetto fu fatto prigioniero dagli inglesi. Cosa vi raccontò di quel periodo?
Su questo argomento ci raccontò alcuni aneddoti, ne ricordo uno in particolare. I prigionieri italiani erano trattati molto male: scarsissimo nutrimento, condizioni igieniche pessime, punizioni crudeli e disumane.
La fame costringeva i prigionieri italiani a rubare qualsiasi cosa sembrasse commestibile. Un giorno, mi raccontò, un prigioniero del reparto s’impossessò di un barattolo di burro di arachidi, ma fu scoperto e il comando del campo lo costrinse a ingerire tutto il contenuto fino alla nausea, al vomito, alla diarrea.
Mio padre fu molto deluso dagli inglesi perché a Rapallo, in Riviera, li aveva conosciuti come dei veri “gentlemen”. E’ proprio vero che la guerra trasforma e imbruttisce gli uomini.
Anche in America Benedetto Donati andò incontro a delle vicissitudini. Può farcene un cenno?
Dopo l’armistizio e alcuni trasferimenti con l’incarico di P.O.W dalla Tunisia a Orano in Algeria, il 10/01/1944 fu liberato dalla prigionia e imbarcato con la qualifica di motorista sulla petroliera “Posa Rica” nave militarizzata al servizio degli Alleati.
Dopo alcuni viaggi per gli Stati Uniti, mio padre, come tanti italiani che scalavano saltuariamente i porti della mitica America, pensò di trasferirsi in quella terra per poi richiamare la famiglia. Questo era il suo sogno nel cassetto: un sogno che non prevedeva l’importanza del capire la lingua "americana", né le conseguenze della “diserzione” in una terra ospitale e generosa, ma governata dell’US IMMIGRATION SERVICE che applicava leggi severe che lui neppure poteva interpretare.
Naturalmente, appena scoperto, fu rimpatriato in Italia mettendo così la parola FINE a quelle agognate aspettative per una nuova vita con la sua famiglia e con l’incognita della malattia che già sentiva avanzare in maniera subdola per via dei progressivi limiti respiratori.
Tuttavia, mio padre ricordava sempre con piacere il periodo passato a bordo di quella Petroliera USA di cui esaltava la qualità della vita e la mentalità aperta e sincera degli americani, che nulla aveva in comune con quella degli inglesi subita in prigionia.
Raccontava delle comodità di bordo: acqua corrente, frigoriferi, abbondanza di cibo, la pulizia, l’igiene e persino gli innumerevoli svaghi di bordo.
Ricordo sempre la sua ostinata raccomandazione: studiate l’inglese!
Che ricordo ha di suo padre nel dopoguerra?
Il 10 marzo 1943 rimpatriò in Italia, ma di guerre e campi di prigionia ne aveva fin sopra i capelli. Non solo non si schierò, ma dovette iniziare a curarsi dalle conseguenze subite nei campi di prigionia che cominciavano a insidiargli i polmoni. Per alcuni anni dovette curarsi nei sanatori regionali, prima a Bari e poi a Genova ottenendo il riconoscimento di una pensione come Grande Invalido di Guerra. Tornato in Liguria nel 1953, riprese i contatti con gli amici di sempre e nonostante la sua invalidità, per supplire alla misera pensione di guerra, riprese a lavorare come meccanico per la manutenzione dei motori marini in ricovero durante l’inverno, e nei mesi estivi, per un breve periodo, fece il conduttore motorista per la scuola di sci nautico di Hans Nobel, noto campione olimpico di sci invernale, divenuto istruttore di sci nautico presso il Grand Hotel Excelsior di Rapallo. Fu quello il periodo più gratificante per mio padre, sia per l’ambiente che frequentava la Scuola di sci nautico (noti attori, attrici, scrittori ecc.) sia per la considerazione professionale in cui era tenuto.
Anche per me fu un periodo che ricordo con piacere, infatti, lavorando con Lui imparai a guidare i motoscafi della scuola ottenendo, in seguito, il patentino nautico che mi permise di sostituirlo negli anni successivi. Purtroppo le sue condizioni di salute si aggravarono, tanto da essere necessario il suo ultimo ricovero. Fece ancora in tempo ad aiutarmi nella ricerca del mio primo imbarco da allievo nautico di coperta e a vedermi, un anno dopo per l’ultima volta, in ospedale, prima di ripartire da Genova con l’avanzamento ottenuto a 3° Uff.le di coperta. Mio padre mancò il 18 gennaio del 1963 a 46 anni, durante la mia partenza da Genova per il Golfo Persico. Morì serenamente circondato da tutte le persone che lo avevano amato e apprezzato in vita.
ALBUM FOTOGRAFICO
BENEDETTO DONATI
BOMBARDAMENTO BARI (sotto)
PANTELLERIA (sotto)
Militari italiani prigionieri degli inglesi
Carlo GATTI : LA AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI
Francesco BUCCA: IL BOMBARDAMENTO DI BARI
Rapallo, Martedì 23 Giugno 2015
C-VITTORIALE degli Italiani: La Prioria
Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA PRIORIA
Giordano Bruno Guerri, il Presidente della Fondazione
LA PRIORIA: così fu definita da Gabriele D’Annunzio la Casa-Museo che l’avrebbe accolto nella sua vecchiaia. L’ampia struttura occupa un terreno di nove ettari costellato da edifici, tra cui la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone Riviera, in provincia di Brescia. Il complesso del Vittoriale svetta sul Lago di Garda ed ospita un vero e proprio museo colmo di reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” che il poeta-vate ha dedicato e donato agli italiani.
Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico, apparentemente paradossale, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: “Io ho quel che ho donato”.
“Io ho quel che ho donato”
G. D’Annunzio
« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando. Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri. Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio. Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi. »
La stipula dell’atto che dichiara la donazione del Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio, il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza.
La casa del poeta
- Il primo nucleo della ristrutturata residenza del poeta é la cosiddetta Prioria.
Il cancello dorato si apre e iniziamo il percorso incontrando la colonnina francescana sormontata da un canestro con melograni simbolo della abbondanza e fertilità.
- Accediamo alla Stanza del Mascheraio così chiamata dai versi composti dal poeta in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925:
Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso?
Questo é piombato vetro, o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio
- Passiamo nella Stanza della musica, le pareti sono rivestite di preziosi damaschi neri e argento per favorire l’acustica. E’ dedicata ai piaceri della musica. Oltre a numerosi strumenti musicali delle varie epoche, sulle pareti si trovano i ritratti di Cosima Liszt, Wagner, e le maschere di funerarie di Beethoven e di Listz. Fanno parte dell’arredamento oggetti déco – Diana cacciatrice, statuette orientali, colonne romane, calchi in gesso di sculture greche che compongono un’alchimia di disparati simboli culturali.
- Entriamo ora nella Stanza del mappamondo che é una delle grandi biblioteche del Vittoriale. Alle pareti vediamo circa seimila libri. L’occhio cade sulla maschera funebre di Napoleone, il busto in gesso di Michelangelo (considerato da sempre il Parente del poeta). In una nicchia c’é l’altro caposaldo culturale di D’Annunzio, Dante Alighieri, Dantes Adriacus in ricordo dell’impresa fiumana.
- Giungiamo così alla Zambracca il cui significato, “donna da camera”, deriva da un antica parola provenzale. In questo studiolo raccolto il poeta trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del suo tempo; e qui D’Annunzio morì la sera del 1° marzo 1938. Sulla scrivania un prezioso scrittoio di Bucellati, orafo del Vittoriale. La testa d’aquila in argento di R.Brozzi, animali esotici in vetro di murano, la testa dell’Aurora di Michelangelo, i gessi dei cavalli di Fidia del Partenone.
- Ci avviciniamo alla Stanza della Leda, la camera da letto del Poeta che prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto – in stile Déco con nicchie dorate e statuette di origine orientale e di vetro Lalique – raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. “Genio et voluptati” é il motto che si legge sull’architrave della porta mentre sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i versi danteschi “Tre donne intorno al cor mi son venute...”.
Anche qui il vasto assortimento di oggetti é straordinario: dai piatti arabo-persiani agli elefanti in maiolica cinese, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre ai mobili in stile orientale.
- Entriamo quindi nella La Veranda dell’Apollino che fu aggiunta da Maroni per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda, e fungeva da saletta di lettura affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. La stanza é decorata da riproduzioni di ritratti famosi del Rinascimento italiano, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.
Bagno Blu
Bagno Blu-particolare
- Bagno Blu – Il bagno padronale é una specie di scrigno contenente oltre 600 oggetti. Sul soffitto si legge il motto “Ottima é l’acqua” da Pindaro, alle pareti le riproduzioni di degli ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, piastrelle persiane di ceramica e pietre preziose cinesi. Un blocco di malachite su cui si staglia un’antilope in vetro soffiato di Guido Balsamo Stella.
- Ritirata – Il piccolo ambiente contiene maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana di Rosenthal del 1927.
- Stanza del lebbroso – Fu concepita da D’Annunzio come camera funeraria, quindi é la stanza più ricca di simboli del Vittoriale. Cinque Sante (Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta di d’Ungheria, Odilla d’Alsazia e Sibilla di Fiandria) appaiono al poeta come un sogno incitandolo alla rinuncia dei piaceri del mondo. D’Annunzio affidò il suo programma iconologico di questo ambiente a Guido Cadorin che tra il 1924 e il 1925 decorò il soffitto con cinque figure femminili volanti, ma i volti sono ritratti di donne legate a D’Annunzio. Notevole il dipinto di Cristo che benedice la Maddalena e sullo sfondo il dipinto di S.Francesco che abbraccia il lebbroso, ossia il poeta stesso, il prezioso San Sebastiano del secolo XVI, le vetrate di Pietro Chiesa con iscrizioni tratte dalle laudi francescane: tutto cospira al mito ascetico di d’Annunzio che fece realizzare a Maroni il letto a forma di culla-bara, per le sue meditazioni sul misztero della vita e della morte. Qui sarà esposta la sua salma fra l’1 e il 2 marzo 1938.
- Corridoio Via crucis - Così denominato dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi.
- L’Officina, lo Studio dove D’Annunzio si ritirava a creare le sue opere, al quale si accede da una porta bassissima che costringe ad inchinarsi all’arte; é l’unica stanza in cui la luce può entrare liberamente.
- La Stanza di Cheli, così chiamata per la tartaruga morta per indigestione che campeggia, trasformata in bronzea scultura, come monito per i commensali.
- Lo scrittoio del monco, dove il poeta sbrigava la corrispondenza, chiamata ironicamente così per l’impossibilità di rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.
- La Stanza delle reliquie. Prima di divenire esclusivo ricettacolo delle "immagini di tutte le credenze", "degli aspetti di tutto il divino", la stanza delle reliquie era la stanza da pranzo e della musica, per questo veniva chiamata cenacolo, o stanza del contrappunto. Già all'origine conteneva reliquie di guerra e fiumane. Al centro del gonfalone, il serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Le pareti sono ricoperte da cortinaggi con disegno a melagrana, e da un grande arazzo di soggetto biblico, appeso alla travatura, sormontato dal motto, giustificato dal fatto che d'Annunzio escludeva dai sette vizi capitali Lussuria e Prodigalità: Cinque le dita, cinque le peccata. La luce della stanza mistica è schermata dalla vetrata policroma, che rappresenta Santa Cecilia all'organo. L'alta travatura sorregge una teoria di santi lignei, di diversa provenienza, e reca i versi: Tutti gli idoli adorano il Dio vivo tutte le fedi attestan l'uomo eterno tutti i martiri annunziano un sorriso tutte le luci della santità fan d'un cuor d'uomo il sole e fan d'Ascesi l'Oriente dell'anima immortale Due gli altari della stanza: uno composto da una piramide di idoli orientali, alla cui cima è però la Madonna col Bambino, l'altro formato da un insieme di simboli religiosi e da reliquie cruente: al centro è infatti il volante spezzato dell'inglese Sir Henry Segrave, campione dell'entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Testimoni del pericolo da egli stesso scampato sono, sotto le ali spiegate di un'aquila, il bassorilievo del Leone di San Marco, dono del comune di Genova, che commemora un discorso tenuto dal Poeta nel maggio 1915, per incitare gli italiani ad entrare in guerra; e un quadro di Marussig, dal medesimo soggetto, che ornava lo studio del Comandante a Fiume. Questo dipinto fu colpito da una scheggia di granata durante il "Natale di Sangue" (1920), ed è ora lesionato a memoria dell'incidente che avrebbe potuto costare la vita a d'Annunzio.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.2012
RICORDO DI MARCO LOCCI, PITTORE DI MARINA
RICORDO DI MARCO LOCCI
PITTORE DI MARINA
Il 5 maggio 2015 é mancato Marco Locci, grande pittore di marina, amico di molti soci di MARE NOSTRUM RAPALLO, con cui ha collaborato per quasi vent’anni con mostre personali, sempre dedicate alle navi. In questi anni Marco aveva superato momenti difficili a causa della salute un po' ballerina, ma anche quest'anno, come faceva da sempre in questo periodo, ha invitato tutti i suoi amici a S.Massimo per una giornata di ricordi e cibo del suo orto. Marco era una "persona speciale" in tutto ciò che faceva: viveva e lavorava da artista. Aveva le sue regole e per chi non lo conosceva a volte sembrava scomodo e scorbutico, ma era soltanto Marco Locci, un uomo che non sapeva nuotare, ma era un autentico uomo di mare. Parlava di qualsiasi nave del passato e del presente come se ne fosse stato il capitano oppure il nostromo. Aveva un profondo rispetto per le navi e le trattava come persone, con la loro personalità e fisionomia. Donava loro il fascino che si erano meritate in mare e le arricchiva di quella atmosfera fumosa tipica dei porti molto trafficati che lui non aveva mai visto, ma che aveva immaginato da grande lettore e cultore di letteratura e storia marinara. Marco ha illustrato molti libri e ha anche vagato in spazi "non navali" (il mondo dei Patanchi) per poi ritornare sempre al suo vecchio amore "marinaro".
Marco lascerà un vuoto artistico-culturale non solo a Rapallo e in Italia, ma per un ampio raggio che si estende da Dubai a New York dove per anni ha spedito quadri per Mostre a lui dedicate. L'ultima fu quella dedicata ai festeggiamenti del REX del 2013.
Forse qualcuno l’ha detto prima di me, non lo so, ma ci sono persone che mancano più da morte che da vive! Marco appartiene a questo ristretta categoria, ma questo concetto merita forse un chiarimento: fino a poco tempo fa lo immaginavo ritirato nel suo laboratorio ed ero sicuro che fosse lì. Oggi mi manca perché la mia immaginazione é bloccata tra il sapere che se n’é andato per sempre e la delusione che provo nel guardare i suoi quadri che oggi sono velati di tristezza, come se avessero perso significato e persino l’autore. Ma non é così! Marco continuerà a vivere in noi con le sue opere, a navigare con noi, ad approdare in porti fumosi d’oltreoceano in cui il suo spirito si esaltava nel ricordare, a suo modo, i capitoli dell’emigrazione dei nostri avi e la grande evoluzione tecnica navale di cui amava soprattutto l’architettura.
Mi piace ricordare Marco chino a disegnare il suo porto di Genova, trafficato di bettoline, bunkerine, rimorchiatori e pilotine, un mondo tramontato con le sue cornici di navi passeggeri ormeggiate ai piedi delle colline verdi battute dalla tramontana. Ricordo in particolare il periodo in cui Marco amava disegnare con lo sfondo musicale di Andreas Wollenweider. Erano i tempi in cui rifuggiva il mondo e lo guardava dal suo “rifugio” di Sallutio in Toscana.
Marco, pur essendo ben piantato con i piedi per terra, amava veramente la natura, e la viveva nel suo modo “fantastico” da artista vero: navi che navigavano ed altre che volavano, personaggi inventati come i Patanchi e carrette piene di ruggine che esprimevano viaggi duri e sofferenti. Marco poteva essere anche uno scrittore, un poeta oppure un artista in un campo qualsiasi dell'arte.
Marco arrivò alla tesi di architettura rinunciando alla laurea per inseguire i suoi sogni. Ebbe un coraggio enorme! Fece il corniciaio per molti anni e dipingeva navi per passione. Quando fece la prima “esplosiva esposizione" continuò il suo lavoro con la modestia di sempre e, solo dopo una decina di anni divenne (soltanto) pittore di marina, come se altri l'avessero spinto in quella direzione. Marco non era credente ma amava il mondo, consapevole che solo un Supremo Pittore e Architetto (Dio) poteva concepirlo. Sicuramente non era credente verso tutto ciò che fu costruito ABUSIVAMENTE intorno alla Chiesa. Quel rifiuto così ostinato lo ebbe anche verso la società, la politica ed il deterioramento dei rapporti umani inficiati dal materialismo, egoismo e bassezza d'animo in generale. Marco amava la pittura, la musica e i buoni libri. La musica era l'aria che respirava e la sua casa era impregnata di magia. Cuoco eccezionale, conosceva i segreti più intimi della terra e dei suoi frutti. Amava la buona cucina e i vini genuini, ma era l'arte di proporre i suoi piatti e la condivisione con i pochi Amici a dare sacralità agli incontri.
Carlo Gatti
Seguono alcune e-mail dei soci di Mare Nostrum - Rapallo
- Carissimi Amici di Mare Nostrum Rapallo,
Ho appreso stamattina della triste notizia di cui ci ha reso partecipi Carlo e, conoscendo Marco Locci da molti anni, sono davvero dispiaciuto e rattristato.
Non avevamo avuto molte occasioni d'incontro, ma sapere che lui "c'era" (e tantissime volte è stato presente in maniera fattiva nell'organizzazione di "Mare Nostrum") era sicuramente un elemento positivo e rassicurante.
Inoltre, alcuni anni fa, gli avevo commissionato due quadri di navi a me molto care, che aveva dipinto con le sue consuete maestria e precisione, per non parlare di quel "tocco d'artista" unico e irripetibile che continuerà sempre a vivere in tutte le sue opere che abbiamo apprezzato e continueremo ad apprezzare.
Ricordo in particolare quando, nell'ormai lontano 1998, andai a San Massimo per dargli alcune indicazioni per il primo di questi quadri, e rimasi estasiato delle numerose opere terminate o in lavorazione presenti un po' dappertutto nella sua casa.
Come tutti gli artisti di vaglia, Marco Locci continuerà vivere nelle sue opere, e noi - suoi amici "navali" - conserveremo di lui un ricordo che è difficile descrivere a parole.
Grazie, Marco, per quanto di artistico - e di umano - ci hai saputo donare.
Dott. Maurizio Brescia
- Carissimi Carlo ed Amici di Mare Nostrum, la scomparsa di un Artista è come la Luce intermittente di un Faro: indispensabile per guidare la navigazione nelle tenebre. Sentite condoglianze ai Famigliari di Marco Locci da parte di
Comandante Nunzio Catena e Prof. Gabriele Moro
Cari Amici,
- Non ho avuto il piacere di conoscere il povero Marco, ma da come ne parla Carlo, era veramente una “persona speciale”.
Mi sento di porgere alla famiglia le mie sentite condoglianze.
Cari saluti,
Comandante Mario Terenzio Palombo
Caro Carlo,
- Ho appreso con grande tristezza la notizia che ci hai comunicato.
Certamente tu sei la persona che più di tutti noi lo ha conosciuto, frequentato e apprezzato come uomo e artista.
Per questo ti sono vicino e mi dispiace non essere presente per l'ultimo saluto a Marco, che certamente ricorderemo ogni volta che vedremo le sue opere.
Con affetto,
Comandante Roberto Donati e Proff.ssa Aurelita Persi
** Si uniscono a noi nel ricordare Marco: Pino e Gunilla Lebano che erano AMICI molto stretti di Marco e naturalmente John, Manuela, Scipione, Hanna-Karen, Romina, Ettore e tutti gli undici nipoti.
Il contributo di Ernani Andreatta
- Partecipo come tutti al dolore della famiglia per la scomparsa di Marco Locci che ho conosciuto poco ma apprezzato molto. In suo ricordo invio un suo quadro che mi dipinse e che riguardava il varo nel lontano 1906 del Brigantino
Goletta CARLO nel mare degli Scogli a Chiavari. Lo stesso veliero è anche nella foto preso dal Libro Chiavari Marinara.
Non solo, nel 2013 Amedeo Devoto rappresentò i velieri CARLO e il GIGINO mentre salvavano migliaia di "emigranti illegali" salvati dallo sterminio nazista. Questi due grandi artisti: Marco Locci e Amedeo Devoto pertanto sono uniti da un veliero storicamente importante, il CARLO appunto, che rappresentarono entrambi in diversi periodi della loro vita terrena.
Anche il materiale a seguire é stato inviato dal com.te E.Andreatta
Le tappe terrene di MARCO LOCCI
Nasce a Genova nel 1951
Allievo della facoltà di architettura di Genova, inizia l’attività artistica aderendo ai fermenti della cultura visiva, e non, dei primi anni settanta.
Fonda il gruppo MILOTO, particolarmente interessato ai rapporti tra fotografia e pittura.
Nel 1969 inizia ad esporre a Genova.
PRINCIPALI MOSTRE:
1976 “Ipotesi di volo” al Crippa Art Centre S. Margherita Ligure
1977 “Dalle parole ai fatti” Galleria Civica d’Arte Moderna Castello di Portofino.
1978 Prosegue l’attività con il gruppo della galleria “Cenobio Visualità” Milano
1979 Inizia “Storie dal paese dei Patanchi” creando un mondo che esplora sino ad oggi
1980 Inizia ad esporre annualmente all’antico Castello sul mare di Rapallo
opere a tema marinaro
1994 Interventi alla cava “La piana” a Carrara. Espone “Balenavela” per
“Paraxo” in una mostra su Thor Heyerdahl
1995 “Dipingere l’aria del grande cielo” Chiesa di S. Francesco a Chiavari
1996 “Minotauro, Prometeo Ulisse”, Andora
1998 “Marco Locci anche pittore di navi” Chiavari Galleria Busi
2000 “Storie dal paese dei Patanchi” Gallerie “Il Bostrico” Albissola Marina
2001 “Esercizi di stile” La Spezia Palazzina delle Arti
“Il santuario dei Cetacei” San Fruttuoso di Camogli
“Marco Locci fa il draghetto” Galleria Cristina Busi di Chiavari
2002 “… e del navigar mi è meraviglia” Galleria il Bostrico Albissola
La Via dell’Arte “Il ponte sulle nuvole”
2003 Mostra dedicata ai piloti navali a Genova
Mostra internazionale dei Cartoonist di Rapallo
2004 “Patanchi”, Museo Nazionale dell’Antartide, Genova
2005 “Marco Locci”, L’atelier d’Emmnuelle, Liegi, Belgio
“Il Lungo Orizzonte”, Galleria Cristina Busi, Chiavari
2006 “Mare Nostrum” mostra al Castello sul transatlantico Andrea Doria
2007 “Mare Nostrum” mostra al Castello l’Apparizione della Madonna di Montallegro
2008 “Esposizione presso il museo Luzzati dall’Oblò a Genova
“ Svolge un corso di elaborazione con la carta presso la Comunità Montana Ingauna”
“Presentazione ed istallazione in piazza ad Albenga di un albero eseguito in carta”
.... Sempre in quegli anni prende forma l’epopea dei Patanchi, immaginario popolo lillipuziano che affolla, come un esercito di nere formiche, tavole e tavole di una mitologia personale colma di meraviglia e di sorridente ironia. Locci descrive l’universo dei Patanchi con la minuzia di un etnografo dell’Ottocento sbarcato su un’isola remota oltre l’orizzonte. Questo gusto del viaggio per mare, e attraverso le insidie e l’incanto del mare, a partire dagli anni Ottanta dominerà la pittura di Locci. Le navi diventano protagoniste, anzi, il pittore diventa “ritrattista” di navi, personaggi che con carni di legno e di acciaio solcano il mare oscuro. Spavalde e fragili. Sole come tutti noi.
“Perso per mare” è il titolo che Marco Locci aveva scelto per la Mostra appena inaugurata alla galleria Busi di Chiavari. Cristina Busi conosceva Locci da almeno venticinque anni: «Fummo presentati da Claudio Costa: Marco aveva esposto nell’ex chiesa di San Francesco un’enorme balena di legno. Stava sospesa in mezzo alla navata. Fu così che imparai a conoscere il suo gusto per il fantastico, il suo senso della magia. In galleria, senza contare le mostre collettive cui partecipava sempre, allestimmo almeno cinque personali: una si intitolava: “Locci, pittore non solo di navi”. C’erano tante invenzioni colme di umorismo surreale. Ricordo una cassettina di legno piena di rimasugli di gomma per cancellare: “La polvere degli errori”. Non riesco a credere che lui se ne sia andato». La mostra non chiude, il desiderio della famiglia di Locci è che la rassegna, che raccoglie opere di diverse stagioni creative, continui a essere visitabile. Sandra, moglie dell’artista, ha spiegato a Cristina che lui avrebbe preferito così.
A San Massimo, intanto, non smette di piangere Fausto Oneto, U Giancu, titolare del famoso Ristorante dei Fumetti, amico fraterno di Locci. Quando ha sentito l’ambulanza, Fausto è sceso subito a casa di Marco e Sandra: «Era il mio migliore amico, il più grande, una persona bellissima, un artista straordinario. Le nostre famiglie si frequentano da sempre e con lui ho passato tanti bellissimi momenti e ho condiviso tante passioni, come la musica di Tom Waits, la pittura di Rothko… fu Marco a farmeli conoscere. Qualche giorno fa ero passato da lui, dovevo fotografare alcune sue opere per una pubblicazione, la serie dei transatlantici, ma Marco era tutto preso dal suo giardino, non parlava d’altro. Adorava il suo giardino, che era disordinatissimo, quasi selvaggio. “Guarda la mia rosa bianca”, mi diceva. Era così orgoglioso del suo roseto. Vorrei che le sue ceneri riposassero proprio lì, sotto quella bellissima rosa bianca».
ALBUM FOTOGRAFICO
Il 5 maggio 2015 Marco é salito a bordo per l’ultimo viaggio, il più misterioso, senza nemmeno avere il tempo per preparare il suo baule da marinaio. Così, all’improvviso, tradito da un insulto cardiaco nella sua casa di San Massimo, l’altra notte se ne è andato Marco Locci, pittore di navi e non solo.
Marco Locci nel suo “eremo” di San Massimo (Rapallo)
L’ultima Mostra di Marco Locci
“PERSO PER MARE”: MOSTRA DI MARCO LOCCI ALLA GALLERIA "CRISTINA BUSI"
MOSTRA: MARCO LOCCI “perso per mare” LUOGO: Galleria Cristina Busi - Chiavari DATA: Dal 18 Aprile al 17 Maggio 2015 orario di apertura dal martedì al venerdì 16.00/19.30; sabato e domenica 10.00/12.00 e 16.00/19.30; chiuso l'intera giornata del lunedì INAUGURAZIONE: Sabato 18 Aprile ore 17
Marco Locci nasce a Genova nel 1951, vive e lavora a Rapallo. Allievo della facoltà di architettura di Genova, inizia l’attività artistica aderendo ai fermenti della cultura visiva e non, dei primi anni ’70.
Marco Locci perso per mare. Marco Locci non sa nuotare molto bene ma i suoi occhi si. Galleggiando tra le barbe grigie di Capo Horn e i suoi dolci flutti del mediterraneo osservano. Le albe e i tramonti si rincorrono e gli occhi cercano di mettere ordine nella sequenza delle immagini testimonianza dell’eternità del tempo. Sono le onde, gli spruzzi nel loro continuo inseguirsi che scandiscono il sapere che l’acqua ci trasmette. Così come i porti ci fanno riposare finché non riprendiamo il vagabondare e vediamo il sole, la luna, le navi volanti, i mostri, i promontori, le balene, le vele all’orizzonte come bianchi icebergs sino a che il mare torna a stendersi come si stendeva cinquemila anni fa.
Mare, cielo e navi sono i personaggi principali di racconti fantastici, metafore di una memoria storica personale.
Questa mostra è una raccolta di immagini che vanno dal 1992 ad oggi. Vari periodi e vari modi di affrontare la narrazione, varie idee collegate dal filo blu del mare, che diventa interprete e testimone silenzioso delle nostre azioni e col suo ipnotico movimento ci riflette e fa riflettere.
Marco Locci, Cento, acrilico su tela.
Il 14 Marzo 2014 ricorre il Centenario dalla fondazione della Società di Calcio AC Entella Chiavari.
La MAURETANIA a New York
Genova – Transatlantici della N.G.I – a Ponte dei Mille
REX a New York – Manovra sotto la spinta dei rimorchiatori MORAN
NORMANDIE in evoluzione
L’ ELETTRA di Guglielmo Marconi all’ancora a Genova
Le navi degli emigranti
Il Porto Vecchio di Genova negli Anni ‘50
Genova Vecchia - Le Terrazze di marmo - 1875
... mentre tutti i cittadini sono occupati dalle compere nessuno si accorge che il povero vecchio....
“Il lungorizzonte" con le opere del pittore Marco Locci, artista attento e poliedrico che da anni porta avanti una profonda riflessione sul paesaggio marino.
Locci costruisce una storia fatta di miraggi e visioni fantastiche, oniriche ed a volte ironiche. Saranno presenti anche altri lavori di Locci, dalle famose navi alle fantastiche “Storie dal Paese dei Patanchi", fino alle recenti sculture, che fanno di Marco Locci un artista completo, dalle innumerevoli ed inaspettate sfaccettature.
La nave invisibile (dipinto acrilico su carta)
La Costa Concordia, ultimo “sguardo” al Tigullio
MARCO LOCCI e i Piloti
Nella copertina di questo volume, il pittore Marco LOCCI ha raffigurato il gesto eroico del pilota genovese Giancarlo Cerruti durante l’incendio, l’esplosione e l’affondamento della petroliera cipriota HAVEN, avvenuto l’11 aprile 1991 davanti ad Arenzano.
“...In un attimo pezzi di lamiera incandescente vennero scagliati come palle di fuoco, con traiettorie orizzontali e velocissime a pochi metri dalla pilotina e siamo riusciti a raccogliere diciotto naugraghi.”
Marco Locci aveva dedicato anni di collaborazione ai Piloti del Porto di Genova con bozzetti, quadri, disegni di crest, medaglie, mostre ecc... conosceva molto bene l’ambiente ed il lavoro di ormeggio e disormeggio delle navi. Quando fui incaricato dalla Federazione dei Piloti Porti Italiani di scrivere il libro: GENOVA: STORIE DI NAVI E DI SALVATAGGI
(Edizione bilingue: Italiano-Inglese) - Nuova Editrice Genovese
Marco Locci decise di seguirmi in quell’avventura ed illustrò con molti suoi dipinti quel libro che fu subito scelto per la diffusione in Europa di “Genova Città della Cultura-2004”.
La pubblicazione di questo volume avvenne in occasione del 37° GENERAL MEETING EMPA (European Maritime Pilot Association), durante il quale fu celebrato, allo STAR HOTEL di Genova, il 40° di vita dell’Associazione dei Piloti Europei. Proprio in quell’occasione, io allestii una mostra fotografica sugli ultimi 200 anni di storia dei piloti e, sullo stesso argomento, Marco allestì una Mostra di quadri dedicati alla storia delle Pilotine genovesi, britanniche e americane. Marco ebbe un successo strepitoso e insieme fummo invitati a proporre la stessa Mostra in una successiva importante occasione a Roma presso l’Hotel Parco dei Principi.
Su quel libro scrissi nei Ringraziamenti:
MARCO LOCCI, strano a dirsi, non é uomo di mare, ma un autore che ha navigato in tutti gli oceani dell’arte figurativa. Tuttavia chi lo conosce ed ora sono in molti, non riesce idealmente a separarlo dallo scenario popolato di velieri, transatlantici, gabbiani e “patanchi” che si muovono con tanta eleganza tra i suoi cieli accesi e onde cariche di vita ed energia.
MARCO LOCCI vive sul mare e pensa in modo marinaro, inconsapevole forse, della gioia che ci dà ogni volta che ci caliamo nella scia delle sue navi, o quando ci perdiamo tra le luci e le ombre di quei vellacci gonfi di vento in un tramonto intensamente ligustico. Dello stereotipo marinaro, a quest’originale artista manca soltanto la manualità del vecchio nostromo che riesce, con una cima in mano, a risolvere tutti i problemi in una coperta in manovra, ma di contro, egli sa cogliere, con poche pennellate, la spiritualità, la sacralità e l’immensità di quel vecchio mondo nel quale i vivi ed i morti sono così vicini da sembrare già uniti nell’eternità. A questo grande artista porgiamo un particolare ringraziamento per essersi unito a noi in questo lavoro ed averlo illustrato e tratteggiato con una parte emblematica delle sue opere.
Ciao MARCO, grazie per quel che ci hai donato!
Carlo GATTI
Rapallo, 28 Maggio 2015
B-VITTORIALE degli Italiani: Monumenti Esterni
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
MONUMENTI ESTERNI
Il Vittoriale degli Italiani non è solo la stupefacente casa di Gabriele D'Annunzio, costruita a Gardone Riviere sulle rive del lago di Garda dal poeta-soldato con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, ma un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938 a memoria della sua "vita inimitabile" e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.
Ingresso del Vittoriale
Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio: “Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale”. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano:
“Io ho quel che ho donato”
PILO DEL PIAVE – Costruito in pietra di Torri del Benaco, viene eretto tra il 1934-1935A rappresentare simbolicamente l’arcata spezzata di un ponte a ridosso del Piave. Sulla sommità venne collocata nel 1935 una versione della Vittoria del Piave incatenata ai piedi ma con le ali frementi, simbolo della volontà di resistenza dell’esercito italiano dopo la rotta di Caporetto.
Piazza Dalmata
Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla Nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.
Palazzo Schifamondo contiene il Museo della Guerra
Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938 ). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di Palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto G. Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'Auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA del celebre Volo su Vienna . Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio de Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina , Jonathan Meese, Luigi Ontani.
La Prioria e Lo zoccolo del Pilo Dalmata é composto da due pietre di macina provenienti da un antico frantoio locale, sulle quali sono incastonate, come una corona, otto teste barbute cinquecentesche. Una lunga scritta ricorda i nove anni dell’entrata in guerra dell’Italia (XXIV Maggio 1915) e i sette anni della battaglia avvenuta, il 27 Maggio 1917, alle foci del Timavo. A questa battaglia prese parte anche D’Annunzio, tra le cui braccia morì il comandante dei Lupi di Toscana il maggiore Giovanni Randaccio.
Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi , il Pilo del Dare in brocca, cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'Anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patty Smith .
Subito dopo il Pilo del Piave, vi é un altro simbolo di riscatto allusivo alle vittorie italiane della Prima Guerra Mondiale: Il Pilo del “Dare in brocca”. Significa “colpire nel segno” ed appunto al bersaglio centrato allude il medaglione in marmo, con le frecce, disegnato da Guido Marussing. Il pilo veniva utilizzato per issare bandiere e gonfaloni.
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal Pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le Torri degli Archivi e il Tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria Alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.
Nella foto, l’entrata della Prioria
La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto “Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli”.
Parte di Schifamondo con lo Stemma di D’Annunzio al centro
Lo Stemma di D’Annunzio. L’ala nuova del Vittoriale, detta Schifamondo, ospita l’Auditorium; di questi, al centro del soffitto é sospeso l’aereo SVA che D’Annunzio utilizzò per il volo su Vienna il 9 agosto 1918. Il 9 Agosto 2008, novanta anni dopo, a Gardone viene ricordata l'impresa del Volo: alcuni aerei SVA dello stesso tipo di quelli dell'Impresa, volano su Gardone gettando la riproduzione dello stesso volantino che fu lanciato su Vienna.
Lasciati i giardini e percorso Viale di Aligi si giunge alla Fontana del Delfino, che con la sua forma semi-circolare richiama un po' Piazza Esedra.
Percorrendo i "sentieri delle limonaie" e del giardino si arriva al frutteto ove é collocata la Canefora opera in bronzo di Napoleone Martinuzzi.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
SANTUARIO DEI CETACEI IN LIGURIA
SANTUARIO DEI CETACEI IN LIGURIA
Chi non conosce "Flipper" il più noto tra i delfini? Qualche anno fa una serie tv lo aveva reso celebre a mezzo mondo, facendolo diventare una specie di "Lassie del mare". Il suo successo era tuttavia scontato. Da sempre infatti i mammiferi marini sono oggetto di studio da parte degli specialisti e molta curiosità da parte del pubblico. Inoltre, tra gli animali marini i delfini sono i più amati dai bambini. Basta vedere l'età media di chi frequenta i delfinari. Ecco dunque che l'interesse scientifico si coniuga con l'amore per il mare e la sua fauna.
In natura un delfino vive intorno ai 30-40 anni, mentre la metà dei delfini catturati in mare muoiono entro 2 anni e la restante parte non sopravvive oltre i 5 a causa di varie malattie strettamente correlate con la vita in vasca.
Oggi in quasi tutti i paesi occidentali, la cattura dei delfini è vietata e possono essere mantenuti nei delfinari solo animali nati in cattività. Per avere un tasso di nascita sufficiente e prevenire gli incroci, viene utilizzata l'inseminazione artificiale.
MARE NOSTRUM - RAPALLO é stata ospite del LIONS CLUB RAPALLO come da locandina che riportiamo integralmente. AMA IL TUO MARE ci ha coinvolto soprattutto per l’entusiasmo dei suoi RELATORI, preparatissimi nell’argomentare le tematiche del proprio settore di appartenenza.
In modo particolare siamo stati affascinati dalla relazione del Dott. Guido Gnone, (Responsabile della gestione del Santuario dei Cetacei), il quale ha saputo guidarci evitando le difficoltà della terminologia scientifica che normalmente “blocca” il profano.
SANTUARIO DEI CETACEI
Il Settore viola della carta sotto riportata mostra IL SANTUARIO DEI CETACEI nel Mar Mediterraneo che bagna le coste della Toscana, Liguria, Provenza e Corsica. L’ampia zona nord occidentale a Ovest di Genova è caratterizzata da una piattaforma continentale molto ristretta, che precede una scarpata incisa da numerosi piccoli canyon sottomarini. La sua profondità massima si aggira intorno ai 2600 m.
Nella sua introduzione, il dott. Guido Gnone ci ha spiegato che il Torrente Polcevera (tra Ge-Sampierdarena e Ge-Sestri Ponente) segna il confine tra le due Riviere della Liguria, almeno per quanto riguarda il Santuario dei Cetacei.
A Levante la piattaforma continentale, che comprende metà Liguria e buona parte della Toscana (Fosso Chiarone), é ampia e degrada lentamente verso il mare aperto. In questo habitat sabbioso si sono adattati i delfini Tursiopi che sono presenti in gran numero e si possono ritenere stanziali.
A Ponente del Polcevera, la piattaforma continentale é molto stretta e precipita subito verso fondali che raggiungono e superano talvolta i 2.000 metri. Questo habitat, caratterizzato da fiordi abissali, costituisce il polo d’attrazione per molti mammiferi marini che dispongono di grande capacità polmonare e sono adatti alla caccia in apnea.
Una serie di fattori caratterizzano l’area del SANTUARIO DEI CETACEI:
- l’azione dei venti di maestrale e di tramontana
- del gioco delle correnti
- la condizione di omeotermia invernale consentono il rimescolamento delle acque e la conseguente risalita in superficie dei sali nutritivi, che in altri mari rimangono in gran parte confinati nelle acque profonde.
L'apporto di tali sostanze permette lo sviluppo del fitoplancton, che si trova alla base della rete alimentare e costituisce il nutrimento dello zooplancton, a sua volta preda di pesci, cefalopodi e mammiferi marini. Il gamberetto Eufasiaceo Meganyctiphanes norvegica, infatti è l'alimento principale della Balenottera comune (Balaenoptera physalus), la quale, insieme ad altre sei specie di cetacei, frequenta regolarmente le acque del Mar Ligure.
L'abbondanza di nutrimento fa sì che, nell'ambito del Mar Mediterraneo, le acque alto tirreniche rappresentino una delle aree a maggior concentrazione di cetacei. Ognuna delle specie presenti è caratterizzata da un habitat preferenziale, strettamente correlato alla profondità del fondale; possiamo così distinguere specie costiere, di scarpata, pelagiche. Tuttavia, non esistendo in mare confini precisi, i mammiferi marini possono spostarsi liberamente ed essere talvolta avvistati in zone inusuali.
In altre parole si può dire che le particolari caratteristiche chimico-fisiche indotte dalla morfologia e dalla circolazione delle acque, rendono il tratto di mare tra Sardegna, Toscana, Liguria, Principato di Monaco e Francia una delle zone più ricche di vita del Mediterraneo. Si tratta di un’altissima concentrazione di mammiferi marini.
Una serie di studi ha rilevato che in questa zona del Mar Mediterraneo vi è una massiccia concentrazione di cetacei, grazie soprattutto alla ricchezza di cibo, come abbiamo visto. I mammiferi marini sono rappresentati da dodici specie : la balenottera comune (Balaenoptera physalus) il secondo animale più grande al mondo (secondo solo alla balenottera azzurra), il capodoglio (Physerter macrocephalus), il delfino comune (Delphinus delphis), il tursiope (Tursiops truncatus), la stenella striata (Stenella coeruleoalba) , il globicefalo (Globicephalua melas), il grampo (Grampus griseus), lo zifio (Ziphius cavirostris). Più rari, la balenottera minore (Balaenoptera acutorostrata), lo steno (Steno bredanensis) , l’orca (Orcinus Orca) e la pseudorca (Pseudorca crassidens.
Ci sono voluti dieci lunghi anni, ci hanno spiegato, affinché si giungesse alla creazione del Santuario Internazionale dei Cetacei del Mediterraneo. Sono stati anni di lavoro e impegno per molte persone che hanno creduto in un progetto e insieme sono riuscite a realizzarlo.
ALCUNE DATE IMPORTANTI
1978-1985 - Il "Progetto Cetacei"
Il primo progetto di monitoraggio a livello nazionale, denominato "Progetto Cetacei", viene coordinato dal Dr. Antonio Di Natale, con la partecipazione dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Messina, dei Musei Civici di Storia Naturale di Milano e di Venezia, dello Stato Maggiore della Marina Militare ed il WWF-Italia.
1989-1991 - Il "Progetto Pelagos"
L’Istituto Tethys propone il "Progetto Pelagos", per la creazione di una Riserva della Biosfera nel bacino Corso-Liguro-Provenzale, che mostra la più alta concentrazione di cetacei tra tutti i mari italiani e probabilmente rappresenta l’area faunisticamente più ricca dell’intero Mediterraneo. Nel bacino si trova inoltre il principale sito di alimentazione per la balenottera comune in Mediterraneo.
In territorio italiano, il Santuario per i mammiferi marini è stato istituito nel 1991 come Area Naturale Marina Protetta di interesse internazionale, e occupa una superficie a mare di 2.557.258 ha (circa 25.573 km2) nelle regioni Liguria, Sardegna, e Toscana.
1993 - Primo passo ufficiale
Il giorno 22 marzo i rappresentanti dei Ministeri dell'Ambiente di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco firmano a Bruxelles una Dichiarazione relativa all'istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei del Mar Ligure.
1999 - Il Santuario diventa realtà
L’Area marina protetta internazionale fu invece istituita IL 25 novembre 1999, con il contributo scientifico dell'Istituto Tethys, grazie all'iniziativa del Rotary Club Milano Porta Vercellina, all'intervento del Rotary International e al sostanziale contributo di AERA (Associazione Europea Rotary per l'Ambiente). Importantissima é stata la collaborazione dei tre paesi nel quale il Santuario è compreso. L’area di circa 100.000 Km2 comprende le acque tra Tolone (costa francese), Capo Falcone (Sardegna occidentale), Capo Ferro (Sardegna orientale) e Fosso Chiarone (Toscana). L'accordo verrà ratificato dal Governo Italiano nel 2001 con la L.391.
1999 - Progetto SOLMAR
Nel 1999 prende avvio il Progetto Solmar (Sound, Ocean and Living Marine Resources), la più grande ricerca sui Cetacei esistente al mondo, svolta dal Nato Undersea Research Centre in collaborazione con numerosi Istituti di varie Paesi. Il progetto, che prevede uno studio dettagliato dei cetacei e delle condizioni oceanografiche e biologiche dell'ecosistema pelagico nell'area del Santuario Pelagos, è previsto sino al 2008 ed utilizza tutte le più avanzate tecniche esistenti.
Nel 1992 venne effettuato un censimento sulla superficie di quello che sarebbe divenuto il Santuario dei cetacei da parte dell'Istituto Tethys, da Greenpeace e dall'Università di Barcellona , che consentì la stima numerica delle stenelle (32.800 esemplari) e delle balenottere comuni (830 esemplari) presenti nella zona nel periodo estivo.
Un recente rapporto di Greenpeace ha però documentato un drammatico calo delle popolazioni di cetacei presenti ed una inadeguatezza delle misure di tutela messe in atto. I dati raccolti da Greenpeace ad agosto 2008 riportano la presenza solo di un quarto delle balenottere e meno di metà delle stenelle rilevate negli anni novanta.
L'obiettivo principale del progetto è il miglioramento dello stato di conservazione del delfino tursiope (Tursiops Truncatus), essendo questa la specie costiera tra cetacei del Mediterraneo più esposta alle minacce causate dall'attività umana e dallo sfruttamento delle risorse. Il Consorzio Liguria Via Mare è l'unica compagnia di whale watching in Italia ad essere partner sostenitore del progetto.
Il progetto Arion propone la realizzazione di un sistema di prevenzione di interferenze in grado di rilevare e monitorare i delfini, di identificare le minacce e di prevenire le collisioni e altri rischi tramite la diffusione di messaggi di avvertimento presenza in tempo reale a tutte le categorie interessate (turisti, pescatori professionisti e sportivi, Area Marina Protetta). Il protocollo di comportamento per ridurre i rischi per la specie è stato sviluppato e concordato con i soggetti coinvolti, in collaborazione con la sezione locale della Guardia Costiera.
L'area selezionata per la dimostrazione del sistema può essere considerata come un "Case Study", in quanto vi si trova una popolazione residente di tursiopi, frazione importante della popolazione nord-occidentale del Mediterraneo, e la maggior parte delle attività antropiche di cui sopra sono presenti nella zona.
Il progetto intende dimostrare l'efficacia dello strumento proposto per la riduzione delle minacce ed il miglioramento della conservazione, per appurare la possibilità di essere ripetuto e portato avanti con facilità in altre aree del Mediterraneo.
Gli obiettivi specifici sono quelli di evitare il declino del numero di individui, riducendo le minacce e monitorando l'uso dell'habitat da parte dei delfini e la loro abbondanza, di minimizzare i rischi agendo tempestivamente ogni qualvolta la presenza di delfini viene rilevata nei pressi di una attività antropica in corso, 24 ore su 24 per tutto l'anno, e di fornire tutta una serie di informazioni circa la presenza e il comportamento della specie nella zona, nonché delle attività antropiche concorrenti.
Il sito del progetto Arion è www.arionlife.eu
Il progetto nasce nel 2001 con l’obiettivo principale di valutare la presenza e le abitudini dei Cetacei lungo le acque della Liguria. Particolare interesse è rivolto al tursiope (Tursiops Truncatus), un delfino dalle abitudini prevalentemente costiere e dunque più soggetto all’impatto delle attività dell’uomo.
Le ricerche vengono condotte solitamente a bordo di gommoni e l'area di studio è costituita dalle acque costiere comprese tra Genova e La Spezia. I dati raccolti durante le uscite del Consorzio Liguria Via Mare, prima compagnia di whale watching in Italia ad aver aderito, sin dal 2001, allo studio Delfini Metropolitani, vengono inseriti nel database del progetto.
Lo studio procede attraverso la raccolta di immagini fotografiche che permettono ai ricercatori di identificare gli animali avvistati (foto-identificazione). Tale metodologia permette di stimare l’abbondanza delle popolazioni, seguire gli spostamenti degli individui e valutare la loro fedeltà all’area di studio. I dati vengono inoltre periodicamente confrontati con quelli raccolti da altri gruppi di studio che operano in regioni limitrofe, partner scientifici del progetto Delfini Metropolitani. L’aumento delle conoscenze sulla biologia delle specie costiere e la valutazione dell’interazione con le attività umane, come la pesca ed il traffico marittimo, potranno fornire informazioni essenziali per lo sviluppo di programmi di conservazione e gestione dell’ambiente marino costiero.
Il sito del progetto Delfini Metropolitani è www.delfinimetropolitani.it
Delfino Comune
Delphinus delphinus
Nonostante il nome Delfino comune indichi una grande distribuzione ed abbondanza, questa specie ha subito una grave riduzione della popolazione negli ultimi anni. Nel bacino mediterraneo la causa principale di questa diminuzione è stata la caccia per scopi alimentari. Il mosciame di delfino o filetto di delfino, era servito nei ristoranti sino agli inizi degli anni ‘50. Oggi la popolazione sembra dare segni di ripresa, in particolare nell’area occidentale del Mediterraneo. La tipica colorazione ed il disegno a clessidra sui fianchi sono caratteri distintivi della specie. Il dorso è grigio-nero, la zona anteriore della clessidra è giallo vivace, mentre il ventre è bianco candido. Una ben evidente striatura nera congiunge il rostro alle pinne pettorali. Gli occhi sono contornati da una mascherina nera. Il corpo esile ed agile di questi delfini li rende degli abili nuotatori, capaci di raggiungere velocità pari a 35 nodi (70 Km/h). I delfini comuni sono particolarmente attivi nel gioco, eseguono spesso il porpoising (tuffo a testa in giù) ed il lobtailing (schiaffeggio dell'acqua con le pinne).
Caratteristiche: Lunghezza 2 - 2,5 m / Peso adulto 70 - 100 kg / Peso nascita 10 kg / Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui
Morfologia e dimensioni: Il delfino comune ha le dimensioni e morfologia simili a quelle della stenella striata eccetto che per il rostro, leggermente più sottile ed allungato. Alla nascita misura 80-90 cm, mentre gli adulti hanno una lunghezza attorno ai 2 metri ed un peso di circa 90 Kg.
Colorazione: Il dorso è grigio scuro, il ventre di colore bianco. Sui fianchi è presente un peculiare disegno a clessidra,la cui parte anteriore è di color crema.
Nuoto e ritmo respiratorio: Simile a quella della stenella striata: anch’esso è in grado di compiere salti ed acrobazie e di raggiungere elevate velocità.
Alimentazione: Anche il delfino comune, come la stenella striata, basa la sua dieta su pesci, cefalopodi e crostacei. Comportamento sociale: E' un cetaceo altamente gregario, che può occasionalmente riunirsi in branchidi centinaia di esemplari. E’ facile vederlo nuotare in compagnia di stenelle o tursiopi. Anche per il delfino comune, come per la stenella striata, le informazioni su composizione e struttura sociale dei branchi sono scarse. Ciclo vitale: Non esistono dati per quanto riguarda il Mar Ligure; in altre zone del Mediterraneo, la maturità sessuale è raggiunta nei maschi fra i 5 ed i 12 anni, nelle femmine tra i 6 ed i 7 anni. La gestazione dura 10 – 11 mesi. Sembra che la specie arrivi ad almeno 20 anni di età. Riconoscimento in mare: Può essere distinto dalla stenella striata per la diversa colorazione dei fianchi. Negli ultimi decenni la sua presenza in Mar Ligure è sensibilmente diminuita, pertanto gli avvistamenti sono divenuti molto rari.
Tursiope
Tursiops truncatus (Montagu, 1821)
Il Tursiope è la specie di delfino più conosciuta. La sua grande capacità di
adattamento e quindi di sopravvivere in cattività, lo rende spesso protagonista di molti film e star di tanti spettacoli. Il corpo è particolarmente slanciato e dalle forme idrodinamiche. Il capo è caratterizzato dalla presenza del “melone”. Questo rigonfiamento ospita un biosonar (analogo a quello dei pipistrelli) utilizzato per l’eco-localizzazione, che permette ai delfini di vedere e orientarsi anche al buio. Grazie all’ecolocalizzazione un Tursiope è in grado di vedere nel buio completo una pallina di 2 cm di diametro fino a 70 metri di distanza. Il Tursiope è un delfino caratterizzato da un’elaborata struttura sociale, una grande capacità di apprendimento ed un elevato senso dell’altruismo. La sua capacità di osservazione e collaborazione è molto avanzata ed è oggetto di studio da parte degli uomini. È una specie che mostra una grande curiosità nei confronti delle imbarcazioni e spesso instaura rapporti di amicizia anche con gli esseri umani.
Caratteristiche: Lunghezza 2 - 4 m / Peso adulto 150 - 600 kg /Peso nascita 15 kg / Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 10 individui
Centinaia se non migliaia di tursiopi vivono in cattività in tutto il mondo, sebbene sia difficile stimare un numero preciso.
Morfologia e dimensioni: Di corporatura possente e muscolosa, è una specie in cui il maschio è leggermente più grande della femmina; La lunghezza media negli esemplari adulti è di circa 3m, il peso mediamente di 320 Kg. Il piccolo, alla nascita, misura circa un metro. Il capo presenta un melone pronunciato ed un rostro relativamente corto e tozzo.
Colorazione: grigia con varie tonalità e sfumature: il grigio del dorso diviene più chiaro sui fianchi, il ventre appare di colore bianco.
Nuoto e ritmo respiratorio: il tursiope ha un nuoto possente ed è in grado di raggiungere velocità che superano i 30 Km/h; possiede notevoli capacità acrobatiche e spesso si porta nei pressi delle imbarcazioni facendosi spingere dall’onda di prua. Può immergersi fino a qualche centinaio di metri restando in apnea per un massimo di circa 8 minuti.
Alimentazione: si nutre prevalentemente di pesce (cefali, acciughe, sardine, sgombri, etc.), completando la sua dieta con molluschi cefalopodi (calamari, seppie e polpi) ed all’occorrenza crostacei. Comportamento sociale: vive in piccoli branchi (di 5–10 individui) caratterizzati da forti legami sociali. Esistono gruppi di sole femmine con i cuccioli ed altri composti da solo maschi, che si uniscono alle femmine nel periodo riproduttivo. Ciclo vitale: Le femmine raggiungono la maturità sessuale intorno ai dieci anni di vita, i maschi tra i dieci ed i tredici anni. L’accoppiamento e le nascite avvengono generalmente in estate. Dopo la gestazione, di circa dodici mesi, i piccoli restano con la madre per circa due anni,fino al termine dello svezzamento. I tursiopi possono raggiungere l’età massima di circa 40 anni. Riconoscimento in mare: segnali della sua presenza possono essere la comparsa in superficie della pinna dorsale e del dorso, nel momento in cui l’animale emerge per respirare, o gli spruzzi provocati dal suo movimento nell’acqua (salti e nuoto veloce). Il tursiope è un cetaceo poco frequente in Mar Ligure, specialmente nella porzione occidentale; infatti, risulta essere una delle specie meno avvistate durante le escursioni di whale watching.
Stenella Striata
La Stenella striata è il delfino più abbondante del Mediterraneo. È assai facile avvistare gruppi molto numerosi di Stenelle durante la navigazione perfino a bordo di traghetti e navi. Questi delfini, agili e vivaci, vivono lontano dalle coste in acque piuttosto profonde, ed accettano di buon grado gli incontri con le imbarcazioni. Spesso sfruttano le onde create dalle barche per giocare, esibendosi in tuffi e straordinari salti sopra la superficie dell’acqua. I salti più spettacolari raggiungono l’altezza di 7 metri. Questo delfino è esile e slanciato, il capo appare sottile, con il rostro (muso) molto allungato. La colorazione è caratterizzata da un’evidente sfumatura chiara, a forma di fiamma, sui fianchi del corpo. Il dorso è scuro mentre il ventre appare più chiaro. Una mascherina scura contorna entrambi gli occhi, prolungandosi in una sottile striscia che arriva fino alle pinne. La colorazione particolare del capo dona un aspetto furbo e simpatico agli esemplari di questa specie.
La Stenella striata è il delfino più abbondante del Mediterraneo. È assai facile avvistare gruppi molto numerosi di Stenelle durante la navigazione perfino a bordo di traghetti e navi. Questi delfini, agili e vivaci, vivono lontano dalle coste in acque piuttosto profonde, ed accettano di buon grado gli incontri con le imbarcazioni. Spesso sfruttano le onde create dalle barche per giocare, esibendosi in tuffi e straordinari salti sopra la superficie dell’acqua. I salti più spettacolari raggiungono l’altezza di 7 metri. Questo delfino è esile e slanciato, il capo appare sottile, con il rostro (muso) molto allungato. La colorazione è caratterizzata da un’evidente sfumatura chiara, a forma di fiamma, sui fianchi del corpo. Il dorso è scuro mentre il ventre appare più chiaro. Una mascherina scura contorna entrambi gli occhi, prolungandosi in una sottile striscia che arriva fino alle pinne. La colorazione particolare del capo dona un aspetto furbo e simpatico agli esemplari di questa specie.
Caratteristiche: Lunghezza 2 - 2,5 m / Peso adulto 90 - 150 kg / Peso nascita 10 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui / Status comune
Morfologia e dimensioni: è un piccolo delfino dalla forma slanciata e dalla lunghezza massima di un paio di metri, con un peso intorno ai 100 Kg. Rispetto al tursiope, presenta un rostro più snello ed allungato. Il neonato pesa circa 11Kg. E misura quasi un metro.
Colorazione: sui fianchi sono ben evidenti le striature che danno il nome alla specie. Caratteristica è anche una “fiamma” biancastra, variabile per intensità e lunghezza, che, partendo dai lati del capo, si protende verso la base della pinna dorsale. Il dorso è di colore grigio scuro, il ventre è bianco talvolta rosato.
Nuoto e ritmo respiratorio: è uno dei cetacei più agili e veloci, in grado di raggiungere i 40 Km/he di compiere spettacolari acrobazie. Spesso si avvicinano alle imbarcazioni nuotando nell’onda di prua; non è raro vederlo in un simile comportamento anche nei pressi delle balenottere comuni. Le sue apnee possono durare qualche minuto e si ritiene che durante le immersioni raggiunga anche qualche centinaio di metri di profondità.
Alimentazione: specie “generalistica”, che può cibarsi di varie specie di pesci, calamari e crostacei a seconda delle disponibilità. La dentatura è ben sviluppata su entrambe le mascelle. Alcuni studi hanno evidenziato che, per procacciarsi il cibo, durante la notte la stenella striata tende ad avvicinarsi alla costa. Comportamento sociale: in Mar Ligure, la stenella striata vive in gruppi costituiti in media da una ventina di esemplari, la cui struttura sociale è attualmente studiata dai ricercatori del Tethys Research Institute. Ciclo vitale: probabilmente, come in altre zone del mondo, maschi e femmine raggiungono la maturità sessuale all’età di 9 anni. La gestazione dura 12 mesi, mentre le nascite sono concentrate nel periodo estivo. L’intervallo tra un parto e l’altro varia da 1,5 a 3 anni;la longevità suoera i 30 anni. Riconoscimento in mare: spesso è avvistabile anche da una certa distanza, grazie agli spruzzi provocati dai suoi salti sulla superficie dell’acqua. Le ridotte dimensioni e la colorazione dei fianchi permettono di distinguerla dalle altre specie. E’ il cetaceo più diffuso ed avvistato nel Mar Ligure; si stima che, nel periodo estivo, la sua popolazione nell’area ammonti ad oltre 30.000 esemplari.
Questo delfino è comunemente chiamato “delfino serpente”. Il capo privo della piega che separa il “muso” dalla fronte, appare molto appuntito e sottile e gli occhi decisamente grandi lo rendono simile ad un rettile. L’aspetto particolare e poco rassicurante lo rendono una specie poco amata dal pubblico. Inoltre il carattere schivo e la rarità degli avvistamenti non aiutano i ricercatori a scoprire i molti misteri che ancora circondano questo strano animale. Le sue apnee si prolungano per oltre 15 minuti e per tale motivo è assai difficile da seguire in mare aperto. Le poche osservazioni effettuate fanno tuttavia presupporre l’esistenza di gruppi numerosi, composti da individui di entrambi i sessi. Inoltre gli avvistamenti testimoniano una grande abilità nel nuoto, ed una elevata acrobaticità.
Caratteristiche: Lunghezza 2 - 3 m / Peso adulto 100 - 150 kg / Peso nascita non conosciuto / Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 15 individui / Status non conosciuto
Il Grampo è un delfino molto particolare per la colorazione, l’aspetto del capo e la mancanza di rostro. La testa appare infatti tondeggiante, con un’infossatura longitudinale che unisce l’apice del muso allo sfiatatoio, da cui deriva il nome di “delfino ariete”, che venne assegnato ai primi esemplari osservati. I rappresentanti di questa specie si riconoscono in mare piuttosto facilmente grazie al loro aspetto vissuto e combattuto. Gli individui presentano alla nascita una colorazione grigio chiara, con il dorso leggermente più scuro. Con il passare degli anni, il corpo si ricopre di estese cicatrici bianche provocate dai combattimenti con altri adulti. I Grampi più anziani appaiono spesso quasi completamente bianchi per l’abbondante presenza di graffi e lesioni. Il carattere di questi animali è socievole ed il gioco è assai frequente. Spesso si osservano lo spyhopping (emersione del capo in verticale per osservare), il lobtailing (schiaffeggio dell’acqua con la coda), ed il porpoising (tuffo di testa). Il Grampo ancora oggi, in alcuni paesi come il Giappone, viene catturato per scopi alimentari. Nel Mediterraneo i rischi maggiori sono causati dalla cattura accidentale nelle reti da pesca, dove muore per soffocamento.
Caratteristiche: Lunghezza 3 - 4 m / Peso adulto 300 - 500 kg / Peso nascita non conosciuto / Dieta calamari, pesci /Gruppo 3 - 30 individui / Status comune
Questo delfino si distingue nettamente dagli altri rappresentanti della famiglia per la forma del capo e della pinna dorsale. Il capo, come indicato dal nome, è tondeggiante con il melone molto pronunciato e bombato ed il rostro quasi del tutto assente. La pinna dorsale è caratterizzata da una base molto larga e da una forma assai ricurva e falcata. Le pinne pettorali sono allungate, con il gomito ben evidente negli esemplari più anziani. I Globicefali sono animali decisamente gregari, e i gruppi sono spesso composti da numerosi esemplari. E proprio questa tendenza alla gregarietà è forse all’origine degli spiaggiamenti di massa, tipici della specie. Ancora oggi non si è in grado di fornire delle spiegazioni adeguate ai fenomeni di spiaggiamento ma si ritiene che la coesione degli individui porti i gruppi a seguire gli esemplari in difficoltà sino allo spiaggiamento collettivo.
Caratteristiche: Lunghezza 4 - 6 m / Peso adulto 2 - 3,5 t / Peso nascita 75 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui.
Il Capodoglio è l’odontocete (Cetaceo con i denti) di maggiori dimensioni. Il suo corpo misura fino a 18 metri ed alla nascita il piccolo ha già una lunghezza di 4 metri. Il capo è molto grande, squadrato e schiacciato. La testa raggiunge un terzo della lunghezza complessiva del corpo. Al suo interno è presente lo “spermaceti”, un particolare organo composto da sostanze oleose che, per aiutare la fase di immersione, vengono compresse all’estremità del muso per sbilanciarlo in avanti come una zavorra. Il Capodoglio è il detentore del record d’immersione dei Cetacei. Può infatti raggiungere i 3000 metri di profondità restando sott’acqua senza respirare per oltre due ore. La sua dieta è costituita da pesci d'ogni genere ma la prede preferite sono i calamari. Anche i calamari giganti sono frequentemente cacciati dal Capodoglio durante le immersioni in profondità, come dimostrato dai segni di combattimento sugli esemplari studiati. In mare questo odontocete è facilmente riconoscibile per il caratteristico soffio prodotto dallo sfiatatoio. Lo spruzzo è basso, denso ed angolato verso sinistra. Durante l’immersione l’enorme coda si distende completamente fuori dall’acqua.
Caratteristiche: Lunghezza 11 - 18 m /Peso adulto 20 - 50 t / Peso nascita 1 t.
Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 6 individui
Lo Zifio è l’unico rappresentante della famiglia degli Zifidi presente nel Mediterraneo, benchè sia assai raro da avvistare. Il corpo, tozzo e robusto, appare simile ad un siluro. Osservando con attenzione il capo si nota come manchi la linea di demarcazione tra fronte e rostro ma certamente l’aspetto che maggiormente colpisce è quello della bocca. La linea boccale ha una caratteristica forma ad “S” che conferisce una sorta di perenne sogghigno ai rappresentanti di questa specie. La mandibola, inoltre, sporge rispetto alla mascella superiore. Nei maschi due piccoli denti sono ben visibili anche quando la bocca è totalmente chiusa. Questa specie racchiude ancor oggi molti segreti e poche sono le informazioni in possesso dei ricercatori. La mancanza di informazioni trova una spiegazione nel carattere timido e schivo di questo animale. Le rare notizie di cui disponiamo sono state rinvenute, purtroppo, attraverso l’analisi di animali spiaggiati.
Caratteristiche: Lunghezza 5 - 7 m / Peso adulto 2 - 3 t / Peso nascita 250 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 10 individui
Insieme alla Balenottera minore è l’unico rappresentante dei misticeti presente nel Mediterraneo. La Balenottera comune dopo la Balenottera azzurra è l’animale più grosso della terra. Il suo corpo può raggiungere la straordinaria lunghezza di 27 metri con un peso di circa 70 tonnellate. Un individuo adulto di Balenottera comune necessita di quasi una tonnellata di cibo al giorno, che viene filtrato attraverso i fanoni. La dieta è costituita da plancton, krill e minuscoli pesci. Il piccolo di Balenottera alla nascita misura più di 5 m con un peso che si aggira intorno alle 2 tonnellate. Ogni giorno il neonato si alimenta con 100 kg di latte materno. Questo nutrimento, particolarmente ricco di grassi, permette alla giovane balenottera di crescere di 3 cm al giorno, aumentando quotidianamente il proprio peso di 60 kg. In sei mesi di vita raggiunge la lunghezza di 12 m. La vita di questi grandi misticeti è assai longeva, molti individui raggiungono e superano i 100 anni di età.
Caratteristiche: Lunghezza 18 - 22 m / Peso adulto 30 - 80 t / Dieta plancton, pesci /Gruppo 1 - 6 individui
La Balenottera minore è la più piccola della famiglia dei Balenotteridi. Il suo capo, come indicato dal nome scientifico, ha una forma molto appuntita ed è dotato di una cresta sporgente che collega l’apice del muso con lo sfiatatoio (narici modificate e posizionate nella zona più alta del capo). Il corpo piccolo e tozzo è di color grigio ardesia sul dorso e bianco-rosa nelle zone ventrali. Le pinne pettorali, appuntite e lanceolate, presentano evidenti bande bianche in netto contrasto con la colorazione scura del corpo. Le dimensioni ridotte di quest’animale consentono agli individui di esibirsi piuttosto spesso in spettacolari salti fuori dall’acqua. Il tuffo può essere di pancia, di fianco o più raramente di testa. La Balenottera minore ha un carattere socievole. La sua curiosità la spinge ad avvicinarsi frequentemente alle imbarcazioni e ad interagire con l’uomo.
Caratteristiche: Lunghezza 7 - 10 m / Peso adulto 5 - 15 t / Peso nascita 350 k / Dieta Plancton, pesci / Gruppo 1 - 3 individui
Whale Watch
L’escursione: Lo scopo d’ogni escursione è di avvistare i cetacei nel loro ambiente naturale, avvicinarli ed osservarli senza recare loro alcun disturbo, seguendo un adeguato codice di condotta. La permanenza in mare è di circa 5 ore.
La ricerca: A bordo è sempre presente un biologo per commentare gli avvistamenti e per raccogliere i dati relativi. Tale impegno ci permette di collaborare con molti istituti di ricerca italiani e stranieri fra cui Woods Hole Oceanographic Institution (USA), Istituto Tethys di Milano, Università degli Studi di Siena, Milano e Genova.
Condizioni meteo: Onde garantire una buona navigazione ed affinché vi siano le condizioni ideali per gli avvistamenti, viene svolto un controllo giornaliero dei bollettini meteo, E’ comunque facoltà insindacabile del comando di bordo rinunciare alla partenza senza preavviso o rientrare in porto anticipatamente qualora le condizioni del mare presentino peggioramenti.
Consigli utili: L’abbigliamento del “Whale Watcher” è decisamente sportivo. E’ consigliata una leggera giacca a vento ed una crema protettiva. L’equipaggiamento va completato con attrezzatura foto-video adeguata binocoli.
Delfini e Balene nel Mar Ligure: Il mar di Liguria e di Corsica, dal 1993 dichiarati area protetta per la tutela dei cetacei con il nome di "Santuario Internazionale", presentano un'altissima concentrazione di questo ordine di mammiferi marini. Osservando con attenzione la superficie delle acque di questa zona è possibile incontrarne regolarmente almeno otto specie diverse.
Sono in grado di compiere delle acrobazie fuori dall'acqua, il cui significato non è ancora chiaro. Tra queste le più comuni sono:
• Leaping: saltare completamente fuori dall'acqua;
• Tailspinning: "camminare" all'indietro sull'acqua utilizzando la coda come perno;
• Lobtailing : sbattere la pinna caudale sulla superficie dell'acqua;
• Bow : saltare verticalmente completamente fuori dall'acqua.
• Bowriding: nuotare sulle onde lasciate dalla prua delle imbarcazioni;
• Breaching: effettuare dei "tuffi" fuori dall'acqua;
Focena attaccata e uccisa da un tursiope. Scozia, maggio 2005
Sono animali predatori, e spesso mostrano dei comportamenti aggressivi, che comprendono combattimenti tra maschi per le femmine e aggressioni nei confronti di altri piccoli delfini. La popolazione che vive in Scozia pratica l'infanticidio, e ricerche svolte dall'Univwersità di Aberdeen hanno dimostrato che i tursiopi uccidono le focene (Phocoena phocoena).
La focena o marsuino (Phocoena phocoena (Linnaeus, 1758)) è una delle sei specie di focena. È uno dei più piccoli mammiferi oceanici del mare. Come indica il suo nome comune inglese (Harbour porpoise, focena dei porti) risiede nei pressi delle aree costiere o degli estuari dei fiumi e per questo è la focena più familiare ai whale watchers. Spesso questa focena si avventura nei fiumi ed è stata vista a centinaia di miglia dalla costa.
Questo servizio é dedicato a mio nipote LEO amante delle Scienze Biologiche e della natura in generale!
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Maggio 2015
A-VITTORIALE degli Italiani: Gabriele D'Annunzio
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
GABRIELE D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio, principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera , 1°marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo , militare , eroe di guerra, politico e giornalista italiano , simbolo del Decadentismo italiano del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli.
Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana…» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara da famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel Collegio Cicognini di Prato distinguendosi sia per la condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica PRIMO VERE, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma , dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).
Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.
Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).
Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).
Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.
Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).
Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.
Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene “eroe nazionale” partecipando a celebri imprese, quali la Beffa di Buccari e il Volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare “repubblica”: la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel Museo-Mausoleo del Vittoriale degli Italiani.
Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
Se l’Italia é un Paese di santi, poeti, navigatori e amatori... Gabriele D’Annunzio é l’emblema che raccoglie tutte queste peculiarità. Come si fa a non amarlo?
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
GEORGES VALENTINE - Versione per IL MARE (Rivista Mensile)
GEORGES VALENTINE
IL VELIERO CAMOGLINO RITROVATO
Versione ridotta per la Rivista Mensile IL MARE - Rapallo
Com’é noto, la gente di mare di Liguria ama le montagne e spesso trascorre le vacanze frequentando i “rifugi alpini”, ma nessuno di loro, fino a pochi mesi fa, aveva mai sentito parlare di “case rifugio per naufraghi” che esistevano oltremare nei punti più pericolosi per la navigazione. Le “case rifugio”, figlie misericordiose del periodo più duro della navigazione a vela, erano lì a vegliare sui costoni rocciosi a picco sull’oceano, dove le correnti e le tempeste spingevano i “legni senza governo”. In quei cimiteri di navi finiva la loro esistenza e spesso anche il loro ricordo. I guardiani, veri angeli solitari della Provvidenza, quando era possibile accoglievano quei “POVERI CRISTI” che cadevano vittime delle tempeste e furono gli ultimi testimoni dell’epopea della vela ormai avviata al tramonto.
Costruita nel 1875, la Casa Rifugio di Gilbert's Bar é l'unica rimasta delle dieci edificate dal Governo degli Stati Uniti lungo la costa orientale della Florida per offrire assistenza ai superstiti dei tanti naufragi che avvenivano lungo quel tratto di costa. Spesso, chi riusciva a raggiungere la riva, era traumatizzato, ricoperto di ferite e generalmente moriva dissanguato per mancanza di soccorsi.
Dopo un felice periodo, il Piroscafo “Cape Clear”, fu venduto ad una compagnia di Navigazione Francese che lo trasformò in brigantino a palo. Un’idea in controtendenza: le fu tolta la parte motrice e da quel momento fu condannato a navigare a vela in mari tempestosi, come se la Rivoluzione Industriale non fosse mai passata da quelle parti... Una pazzia? Forse! Ma all’epoca non tutto lo shipping era d’accordo sull’economicità del motore.
Divenne quindi “Georges Valentine” e nel 1895 fu acquistata dagli armatori camogliesi Mortola e Simonetti e venne adibita a viaggi regolari per il trasporto del legname.
Nell'ottobre del 1904, il brigantino a palo Georges Valentine salpò da Pensacola per Buenos Aires con un carico di travi di mogano. L'equipaggio era formato da dodici uomini di differenti nazionalità, al comando del Capitano camoglino Prospero Mortola, detto “Testaneigra”.
Improvvisamente, mentre si trovava nello stretto della Florida, il brigantino fu investito da un fortunale che lo bastonò a lungo fino a costringere il Capitano al “gettito” a mare del carico che aveva in coperta: era l’ultimo tentativo di recuperare galleggiamento e stabilità.
Capitan Mortola manovrò le vele basse rimaste integre per mantenere il veliero in acque profonde, e lo fece con la perizia di un vero “lupo di mare”; ma tutto fu inutile. Il Georges Valentine scarrocciò inesorabilmente verso la costa di sottovento fin quando, verso le 20.00 del 16 ottobre, nel fragore delle onde che si rompevano contro la scogliera, la poppa urtò il fondale roccioso e in breve tempo l'intero scafo fu sospinto contro la costa disintegrandosi. Uno dopo l’altro i tre alberi d’acciaio caddero devastando il ponte e uccidendo un membro dell’equipaggio. Le sovrastrutture e le lance di salvataggio furono spazzate in mare dalle onde che poi le scagliavano sulle spiagge e sulle rocce diventando proiettili devastanti per chi si trovava nel loro raggio d’azione. In quella notte di tregenda i naufraghi del veliero di Camogli, si trovarono soli con se stessi in quel mare nero macchiato a tratti di schiuma viva e traditrice.
Qui comincia l’incredibile storia dei superstiti del Georges Valentine.
Il marinaio svedese Victor Erickson, trascinando a braccia l’esausto ufficiale Ernest Bruce, risalì l’impervia costa rocciosa fino a raggiungere la Casa Rifugio di Gilbert's Shoal. Giunto ormai al limite delle forze riuscì con eroico senso del dovere a dare l’allarme e organizzare insieme a Capitano William Rea, responsabile della struttura, l’immediata ricerca degli altri naufraghi.
Erickson non si diede per vinto. Dopo aver raggiunto la sommità del crinale roccioso, cominciò a brandeggiare la lanterna di Capitan Rea per richiamare l’attenzione dei suoi compagni ancora in difficoltà. Le ricerche durarono tutta la notte e per fortuna si conclusero con il ritrovamento di altri cinque uomini. La loro forza di volontà fu premiata, ma per il marinaio svedese e il guardiano Rea si trattò di una tremenda sfida ingaggiata contro il vento impetuoso che scagliava loro addosso le travi di bordo come fossero ramoscelli.
I naufraghi avevano riportato ferite, lacerazioni e fratture agli arti, ma furono aiutati a raggiungere la Casa Rifugio, dove furono curati e rifocillati.
Mancavano all’appello l’allievo ufficiale Prospero Modesti, il nostromo Francesco Schiaffino detto “Barbasecca” e il dispensiere Filippo Chiesa. Erano tutti di Camogli e non furono mai più recuperati. I resti del Georges Valentine divennero la loro tomba.
Il 17 ottobre 1904, quattro giorni dopo il naufragio, la nave spagnola “Cosme Calzado” s’incagliò tre miglia a nord del Georges Valentine. Dei sedici uomini d'equipaggio uno solo annegò perché rimase imprigionato nel sartiame. I superstiti riuscirono a guadagnare la spiaggia e a rifugiarsi in un capanno di fortuna. Ben presto furono ritrovati e condotti alla “Casa Rifugio” dove furono ospitati insieme all'equipaggio del Georges Valentine.
Capitan Rea e sua moglie si presero cura di tutti i naufraghi finché si rimisero in forze per intraprendere il viaggio verso le loro case. Il buon guardiano ebbe in seguito a dichiarare: “Non avevamo mai avuti tanti naufraghi ricoverati insieme nella Casa Rifugio: scozzesi, russi, italiani, spagnoli e svedesi, per la prima volta eppure, grazie a Dio tutto è andato bene e tutti hanno collaborato. Quando finalmente li ho accompagnati a Jacksonville per il rimpatrio tutti gli uomini mi hanno salutato sull'attenti e il Capitano Mortola, abbracciandomi, mi ha detto commosso “Good-bye Captain, non ci rivedremo più'”.
Gli equipaggi dei due velieri rientrarono in patria, tranne un russo, Edward Sarkenglov, che cambiò nome in Ed Smith e divenne un pescatore locale, conosciuto come “Big Ed”. Capitan Rea e sua moglie rimasero nella Casa Rifugio sino al maggio 1907.
Il Comandante Roberto VOLPI di Camogli
Un'avventura incredibile, legata a Camogli e alla sua marineria! Dopo molti decenni, per la curiosità di un Comandante di Navi da Crociera, Roberto Volpi, viene alla luce uno di quei naufragi che chiameremmo spettacolari, e che una volta, purtroppo, non erano rari quando si navigava spinti soli dal “buon vento”.
Questa è la storia del Georges Valentine, una storia drammatica per la perdita di vite umane, ma anche di grande coraggio e immensa solidarietà. Una storia sconosciuta al di qua dell’Oceano fino a pochi mesi fa persino ai conservatori della Storia Marinara di Camogli del Museo Marinaro Giò Bono Ferrari che ringraziamo per avercela fatta conoscere.
Un RINGRAZIAMENTO particolare lo rivolgiamo al socio di Mare Nostrum comandante Bruno Malatesta che, venuto a conoscenza della Casa Rifugio e dell'epilogo del Georges Valentine, é volato in Florida per raccogliere dati, testimonianze e fotografie permettendoci così di pubblicare e diffondere in modo dettagliato la sua romanzesca storia.
Carlo GATTI
Rapallo, Lunedì 4 Maggio 2015