Le NAVI di CALIGOLA a NEMI

LAGO DI NEMI

LE NAVI DI CALIGOLA

VISITA ARCHEO-MARINARESCA DI MARE NOSTRUM RAPALLO


Il Lago di Nemi, a destra nella foto, è un piccolo lago vulcanico, posto tra Nemi e Genzano di Roma, situato 25 km a SE dio Roma, a quota 316 m s.l.m. ben 25 metri più in alto del lago Albano da cui dista circa 2 km in linea d’aria, sui Colli Albani nel territorio dei Castelli Romani. Esso ha una forma leggermente ovale (1,15 km X 1,45 km.), ha una profondità massima di 33 metri ed é esteso per circa 1,67 km2.


Nei boschi vicini al lago esisteva un luogo di culto dedicato alla dea Diana Nemorensis (nella foto); Nemi infatti prende il nome e lo attribuisce anche al paese che sorge sopra di esso, posizionato quasi al centro dei Colli Albani, a 521 m.s.l.m. - Nemi è il comune più piccolo dell'area dei Castelli Romani, noto per la coltivazione delle fragole sulle sponde del Lago di Nemi e per la relativa sagra, che si svolge ogni anno la prima domenica di giugno. L'emissario, anch'esso di epoca romana, nel suo tratto sotterraneo è lungo 1650 metri, passa sotto Genzano attraversando il recinto craterico del Vulcano Laziale e si riversa incanalato nella Valle Ariccia. Si giunge al Museo delle navi di Caligola prendendo l’uscita n.23 sul grande raccordo anulare di Roma, direzione: “Via Appia” e dopo una ventina di KM si giunge a Nemi.

La leggenda del lago di Nemi


Ricostruzione ideale d'una delle navi di Nemi, quella che, secondo un’interpretazione degli storici, l'imperatore Caligola costruì per i suoi svaghi personali, ma anche per sbalordire i suoi ospiti. Le navi di Nemi confermano la predilezione che ebbe Caligola per l’arte, non solo navale, del periodo ellenistico e pompeiano.

Il lago di Nemi visto dall’omonimo paese che sorge sulla cresta del cratere vulcanico

Sin dall'antichità il lago di Nemi si trovò al centro di una leggenda riguardante due navi di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse di tesori sepolti sul fondo del lago per ragioni misteriose. Tale leggenda prese a circolare sin dal I° Secolo d.C., e poi per tutto il Medioevo, accreditata dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Queste voci avevano, in effetti, un fondamento di verità. Le due navi furono fatte costruire dall'imperatore Caligola, in onore della dea egizia Iside (sembra che il futuro imperatore sia cresciuto in Egitto) e della dea locale Diana protettrice della caccia. Splendidamente decorate, esse furono il frutto di una tecnica di costruzione molto avanzata; Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui sostare sul lago, ma anche simulare battaglie navali, stipulare trattati, dichiarare guerre, ricevere Capi di Stato in tutta sicurezza. Lo stesso criterio fu in seguito adottato dai nobili medievali che si rinchiudevano nei manieri circondati da fossati allagati. I black block c’erano anche all’epoca dei romani, ma avevano altri nomi. Tuttavia, in seguito alla sua morte avvenuta nel41 d.C., il Senato di Roma, di cui l'imperatore fu acerrimo avversario politico, per cancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che vennero affondate nel lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, diventò leggenda.

Tra sogno e realtà

La nostra curiosità ci porta indietro 2000 anni per immaginare due magnifiche navi che per pochi anni hanno ‘oziato’ alla fonda sul lago, poi hanno dormito due millenni nel letto del vulcano, proprio come in certe favole per bambini, ed infine sono riapparse per essere distrutte dalle fiamme e dalla stupidità dell’uomo. Di loro non si sono mai trovate tracce scritte, ma solo testimonianze di pescatori locali che hanno alimentato per secoli il mito di un tesoro di proporzioni inaudite. La spoliazione di reperti archeologici continuò per secoli nell’attesa che sarebbe maturata la ricerca scientifica, quindi una forte volontà di recuperare una parte ancora nascosta della nostra storia nazionale.

Fistule plumbee con il nome di Caligola (CAESARIS AUG. GERMANIC) che hanno consentito l’attribuzione delle navi all’imperatore.

La storia delle navi di Nemi é forse una leggenda popolata solo di fantasmi? Una favola dai contorni incerti e da un finale maledetto? Se usciamo da questo schema fantasioso scopriamo, per esempio, che dei semplici tubi di piombo, detti fistole acquariae, ci riportano immediatamente al nome del committente.

Si legge che: “Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente e si era soliti stampigliare su di essi il nome del proprietario, spesso il nome del "liberto idraulico" e a volte il numero progressivo. Fu così che si risalì all’identità di chi le volle: l’imperatore Caligola. Egli non desiderò due navi qualsiasi, perché esse dovevano avere sovrastrutture terrestri, con terme e templi coperti da tegole in terracotta, oppure in bronzo ricoperte da una patina d’oro. E poi colonne di varia grandezza e foggia, pavimenti in mosaico, statue e altre opere in bronzo finemente lavorato, e ancora statue, protomi leonine, ghiere per i timoni e tante, tante cose ancora… Fra queste, come abbiamo visto, anche le fistule plumbee che assicuravano il rifornimento idrico, partendo dalle rive del lago e arrivando fino alle navi, a tutte le numerose persone che si accompagnavano all’imperatore su quelle: ospiti illustri, dignitari, musici, soldati, amici e… nemici, vista la fine che fecero Caligola e le sue navi.

Caligola e L’Aquila Imperiale

Lascio a Svetonio, Dione Cassio, Tacito, Seneca, Giuseppe Flavio ecc... ma soprattutto agli storici moderni, il compito d’indagare sui tanti misteri dell’antica Roma, ciò non di meno, pensiamo che Caligola uomo di mare sia degno di qualche rilievo, e Plinio lo conferma con le seguenti notizie (Nat. Hist. XVI, 40,201) che si riferiscono ad un altro ‘exploit’ marinaro di Caligola:

 

“Un abete degno di particolare ammirazione fu usato sulla nave che trasportò, per ordine dell’imperatore Caligola, l’obelisco destinato al circo Vaticano (oggi ancora al suo posto n.d.r.). Nulla di più meraviglioso di questa nave fu senza dubbio visto dal mare: ebbe un carico di zavorra di 120 mila moggi di lenticchia (=1.050 tonnellate n.d.r.). Con la sua lunghezza si ricoprì quasi tutto lo spazio del molo sinistro del porto Ostiense.


Ivi infatti fu affondata dall’imperatore Claudio e sopra vi fu edificata una triplice torre (il celebre Faro di Ostia Antica) costruita con pietra di Pozzuoli...”. (vedi disegno sopra)

Trasportare l'obelisco egiziano a Roma fu un'autentica impresa costruttiva e navale. Infatti, durante la manovra d'imbarco l’opera si spezzò in due tronconi. A bordo della nave pensarono allora di riempire la stiva con delle lenticchie che facessero da imballaggio. L’obiettivo fu raggiunto grazie all’alto grado di marineria, ed al ‘sorprendente’ livello raggiunto dall’ingegneria navale romana che seppe costruire una nave lunga ben 130 metri e che fu utilizzata solo per quella missione. Infatti, una volta terminato il suo compito, la nave fu rimorchiata nel porto che l'imperatore Claudio stava costruendo ad Ostia, fu riempita di massi e affondata.

 

Su di essa fu edificato il celebre faro di Ostia Antica!

A questo punto ci viene in mente qualche paragone: l’ITALIA, il più grande veliero italiano di tutti i tempi, era lungo 100 metri e venne costruito nel 1903. La celebre carretta standard americana “LIBERTY”, simbolo della Seconda guerra mondiale, era lunga 134 metri. Tutto ciò accadde 2000 anni dopo Caligola.

Ritorniamo alle navi di Nemi cercando di capire qualcosa di più sull’Ing. Caligola e sulle sue navi speciali. L’Imperatore nacque ad Anzio il 31 agosto del 12 d.C. e morì a Roma il 24 gennaio del 41 d.C.- Il suo vero nome era Gaio Giulio Cesare Germanico (latino:  Gaius Iulius Caesar Germanicus), meglio conosciuto come Gaio Cesare o Caligola, fu il terzoImperatore ROmano, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia,  e regnò dal 37 al 41 d.C. Suo padre Germanico, nipote e figlio adottivo dell'imperatore Tiberio, era un brillante generale e uno delle figure pubbliche più amate dal popolo romano. Le fonti storiche giunte fino a noi lo hanno reso noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione, tramandandone un'immagine di despota: “in preda a manie assolutiste e di persecuzione, uccise parenti, amici e nemici, dignitari dell’Impero, si fece adorare come un dio e tra le tante stranezze riportate ci fu anche la nomina a ‘senatore’ del proprio cavallo”. L'esiguità delle fonti storiche, fa di Caligola il meno conosciuto di tutti gli imperatori della dinastia. Per amore della verità, occorre dire che qualcosa di buono la fece: limitò il potere del Senato come suo zio appoggiandosi al popolo e riducendo le tasse, concesse amnistie, restituì a romani i Comizi Centuriati e Tribuni che avevano fatto grande Roma. Il suo potere cominciò a barcollare dopo due deludenti campagne militari in Britannia e in Germania, per le quali dovette aumentare le imposte perdendo il favore del popolo. Caduto in disgrazia, si fece sospettoso, crudele e dissoluto, fu ucciso il 24 gennaio dell’anno 41 d.C. da una congiura ordita da alcuni senatori e conclusa dal tribuno Cassio Cherea e pochi altri. Il silenzio storico che da allora cadde sulle navi di Nemi e su Caligola che le realizzò, si deve alla damnatio memoriae, cioè alla consuetudine nel mondo antico, di distruggere tutto ciò che una persona malvagia (hostes) aveva compiuto in vita. Questa condanna votata dal Senato era la più temuta, e se essa colpiva un individuo ancora vivo diventava una sorte di morte civile: non fare più parte dell’Urbe, pur essendo ancora vivo. La frase che incuteva un immenso rispetto e timore “Noli me tangere, civis romanus sum” (Non mi toccare, sono un cittadino romano) non poteva più essere pronunciata.

Le due navi di Nemi volute da Caligola furono affondate con i suoi misteriosi arredi, simboli e ricchezze che saltuariamente nei secoli venivano alla luce ricordando un mito, forse una leggenda che nessuno aveva mai più raccontato.

 

Si aprono nuovi scenari culturali

Il primo tentativo di recuperare i relitti di Nemi avviene nel 1446

 

Dopo aver compiuto un salto in avanti di circa 14 secoli, toccò al cardinale Prospero Colonna, signore di quelle terre e del lago, affidare l’arduo compito al celebre architetto Leon Battista Alberti che puntò tutto sui marangoni genovesi (provetti nuotatori di superficie e in apnea) che localizzarono i relitti, diedero moltissime informazioni e misure, costruirono anche una piattaforma dalla quale tentarono di tirare a riva la nave più vicina con cime e ganci. Ma il risultato fu pessimo perché riuscirono soltanto a strappare e a danneggiare un pezzo di scafo. Il reperto impressionò i romani e soprattutto il grande Papa del Rinascimento umanistico, Niccolò V°.

Il secondo tentativo risale al 1535

 

Fu affidato all’architetto meccanico Francesco De Marchi al servizio di Alessandro dei Medici, Duca di Toscana. Non trascorse un secolo dal primo tentativo che, dai rudi marangoni si passò alla ‘campana’ inventata da Guglielmo di Lorena che insieme al De Marchi s’immersero nel lago. La descrizione tecnica della campana fu tenuta segreta. L’uomo nella ‘campana’ si spostava lentamente camminando sulla coperta infangata della nave guardando attraverso una specie di oblò. Calcolò per difetto le misure della nave più vicina alla riva. Tentò di cingere la nave con cordami vari per poterla sollevare con gli argani, ma tutto fu inutile e negli sforzi compiuti l’esploratore patì forti emorragie.

 

Tanto coraggio non era sufficiente per programmare un recupero di quelle dimensioni senza l’impiego di una valida tecnica che era ancora lontana nel tempo.

Il terzo tentativo si ripete il 10 settembre 1827

 

Passati quasi tre secoli, il nobile Annesio Fusconi si avvicinò all’impresa con l’uso di una campana ‘aggiornata’, detta di Halley che poteva contenere otto marangoni genovesi. L’impresa dei nuotatori fu limitata all’asportazione di: "due tondi di pavimento, uno di porfido orientale e l’altro di serpentino, pezzi di marmo di varie qualità, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, laterizi, chiodi, tubi di terracotta ed infine travi e tavole di legno".

 

Il cattivo tempo mise fine ai tentativi che ancora una volta furono parecchio deludenti.

 

Il quarto tentativo ha luogo il 3 ottobre 1895

 

Con l’unione: ‘privato’ - ‘pubblico’, ossia della nobile casata degli Orsini con il Ministero della Cultura dello Stato. Nel frattempo la tecnica subacquea aveva fatto numerosi passi in avanti. Un esperto palombaro esaminò accuratamente lo scafo più vicino e riportò alla luce un anello tenuto tra le fauci di un leone, e poi quello di un lupo (vedi foto sotto) e d’altre teste di felini.

 

Due famose protomi ferine dalla forma di teste di felino che stringono tra i denti un anello che in marina si chiama ‘golfare’ ed é usato tuttora nei porti per ormeggiare imbarcazioni, ma anche per sollevare pesi.

 

E poi, ancora rulli sferici e cilindrici, paglioli, cerniere, filastrini in bronzo, tubi di piombo, ancora tegole di rame dorato, laterizi di varie forme e dimensioni, frammenti di mosaici con abbellimenti in pasta di vetro, lamine di rame ed altro.

 

Il 18 novembre fu individuata la seconda nave

 

Una delle due navi é stata finalmente recuperata. Una lunga fila di fortunati visitatori circonda il relitto. L’immagine dà l’esatta proporzione delle sue immense dimensioni. Presto la nave di Nemi sarà messa al riparo nel suo Museo, ignara che un atroce destino l’attende. La Seconda guerra mondiale é alle porte e la ‘fiaba’ raggiungerà presto il suo triste epilogo...

 

Fu recuperata la decorazione del sostegno di uno dei quattro timoni raffigurante un avambraccio ed una mano, che erano simboli ‘apotropaici’ e servivano ad allontanare le influenze magiche e maligne. Se ne trovarono a volte nei sepolcri, ed il loro nome derivò da una parola greca che significava ‘allontanante’.

Fu recuperata una bellissima testa di medusa (foto sopra) e poi 400 metri in travi di ottimo legno perfettamente conservato. Altre importanti statue andarono, purtroppo, perdute nelle mani di collezionisti privati.

Finalmente interviene lo Stato

La tutela, il recupero e la conservazione dei reperti antichi furono affidati al Ministero della Pubblica Istruzione. Al Ministro della Marina Ammiraglio Morin fu affidato il compito di recuperare ‘scientificamente’ i relitti sommersi nel lago. Nacque così una vera organizzazione archeologica che si occupò della posizione delle navi rispetto ai fondali, delle loro identificazioni, dei rilievi e delle proposte di raccolta di tutto il materiale riguardante i relitti. Nella relazione si legge: “la prima nave dista dalla riva circa cinquanta metri ed è quella esplorata dall’Alberti, dal De Marchi e, probabilmente, dal Fusconi ed è adagiata sul fianco sinistro ad una profondità da cinque a dodici metri. Lontano duecento metri, ad una profondità da quindici a venti metri circa, giace la seconda nave, anch’essa adagiata sul lato sinistro ed anch’essa semi coperta dal fango”.

 

 

Nel 1926 si procede al quinto tentativo

 

Per recuperare le navi di Nemi, fu istituita una Commissione di Studio affidata al senatore Corrado Ricci. Furono esaminati tutti i progetti e studi effettuati in precedenza, ed infine fu ritenuto idoneo il metodo di lavoro proposto dal Malfatti: l’abbassamento del livello del lago fino a far emergere le due navi.

Il 9 aprile 1927 Benito Mussolini annunciò la decisione di recuperare le due grandi navi sommerse ricordando la grandezza di Roma, della sua storia e della sua civiltà, affermando che l’impegno preso era un debito d’onore verso la cultura classica e verso la dignità del nostro Paese.

 

Il Capo del Governo concluse il suo discorso proponendo il programma dei lavori: svuotamento parziale del lago intorno ai relitti, la loro messa in sicurezza, ed infine il loro trasporto e sistemazione in un museo appositamente costruito nella parte pianeggiante della sponda.

Un palombaro sta per immergersi nel lago di Nemi (Archivio LUCE 03.12.1928)

 

 

L’annunciata ‘avventura’ rappresentò il coinvolgimento ufficiale dello Stato che si assunse l’iniziativa e l’esclusiva del recupero delle due antiche e sfortunate navi romane.

Una delle due navi sta emergendo dalle acque

Idrovora impiegata per svuotare l’improvvisato bacino che racchiude la nave

La nave completamente emersa é puntellata e rinforzata per la messa in sicurezza prima del trasporto nel Museo

Ipotesi Ricostruttiva delle prima nave (da BONINO 2003)

Ipotesi Ricostruttiva delle seconda nave (da BONINO 2003)

Il MUSEO DELLE NAVI ROMANE fu costruito per ospitare i preziosi scafi appena estratti dalle acque del lago. Si tratta di una costruzione che offre un rarissimo esempio di struttura architettonica concepita in funzione del contenuto. Come si può notare, il Museo è un doppio hangar di calcestruzzo le cui dimensioni superano di poco le due navi. Il progetto fu realizzato dall'architetto L. Morpurgo. Il Museo fu costruito tra il 1933 e il 1939 sulla riva settentrionale del lago. Le due gigantesche navi imperiali, appartenute all'imperatore Caligola (37-41 d.C.), furono recuperate nelle acque del bacino tra il 1929 e il 1931. I due scafi avevano le seguenti misure: m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, e furono distrutti insieme all'edificio a causa di un incendio doloso nel 1944 di cui si é già fatto cenno.

Lo scatto fotografico ci riporta al giorno dell’inaugurazione del Museo di Nemi. In primo piano: Benito Mussolini e il ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Notare il rivestimento dello scafo che appare in buone condizione dopo 2000 anni.

Il Museo fu inaugurato nel gennaio del 1936, dopo il maledetto incendio rimase chiuso nove anni, in seguito fu ristrutturato dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, oggi ospita i modelli in scala delle due navi in scala 1:5, ma anche le ancore, le sculture e molti altri reperti che, non essendo di legno o trovandosi a Roma, si salvarono dalla furia delle fiamme.

 

Riaperto nel 1953, il museo fu nuovamente chiuso nel 1962 e definitivamente riaperto ed inaugurato nel 1988.

 

Nell’ultimo allestimento, l'ala sinistra è dedicata alle navi di cui sono esposti alcuni materiali salvatisi dall'incendio. Il museo comprende anche una sezione documentale sulla tecnica costruttiva navale: disegni e piani di costruzione ed un’eccellente documentazione fotografica.

Questo materiale sarebbe assolutamente utile per un’auspicabile ricostruzione delle due navi ad opera, si spera, di veri artisti, sotto l’egida di un Cantiere Navale altamente specializzato. In tempi di crisi economica sarebbe anche una apprezzabile iniziativa economica.

Questo é il nostro modestissimo suggerimento ed augurio!

 

L'incendio che distrusse le navi

Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1 giugno del 1944, distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L'incendio, d’origine quasi certamente dolosa, fu opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri dal museo. Fu istituita una commissione d'inchiesta composta da autorevoli esperti italiani e stranieri che giunse alla conclusione, di seguito riportata, tratta da un brano del libro indicato in calce: "con ogni verosimiglianza l'incendio che distrusse le due navi fu causato da un atto di volontà da parte dei soldati germanici che si trovavano nel Museo la sera dei 31 maggio 1944..." (Giuseppina Ghini, Museo delle Navi Romane- Santuario di Diana - Nemi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp.3, 5).

Un'altra teoria azzarda invece l’ipotesi che l'incendio potrebbe essere stato causato non dai tedeschi, ma da italiani senza scrupoli, interessati al recupero del bronzo fuso dall'incendio e della sua vendita, visto l'alto valore di quel metallo, in tempo di guerra.

 

Conclusione

 

Nonostante il senso di smarrimento che si prova al suo interno, dovuto ai grandi spazi tuttora disponibili, il Museo delle Navi Nemi suscita emozione e grande interesse, sia per i numerosi reperti archeologici che conserva, sia per la documentazione della tecnica navale romana. Tra questi, come abbiamo visto, giganteggiano i notissimi bronzi di rivestimento delle travi, con teste di leone, di lupo, di pantera, di medusa e con mani apotropaiche che dovevano tenere lontani gli spiriti maligni, di Ermes bifronte, una transenna bronzea, terrecotte ornamentali. Colpisce per la sua efficienza e modernità un’àncora di ferro a ceppo mobile che porta inciso il peso (417Kg), del tipo che tutte le marine del mondo chiamano ‘Ammiragliato’ senza sapere, forse, che Caligola le usava già 2000 anni fa. Alcuni elementi metallici si sono salvati dall'incendio: un grande rubinetto di bronzo, pompe, piattaforme girevoli, ruote dentate, tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzature di bordo originali, tubi plumbei, una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera, e preziose colonne di marmo. Ma anche fedeli ricostruzioni: timoni, modellini vari, mosaici, calchi e due fedeli modelli in scala a un quinto del vero.

Noria a manovella originale di bordo

Pompa a stantuffo

Nelle due foto (dell’autore) sopra e sotto, appare la ricostruzione di una delle due ‘Postazioni del Timoniere’ situate a poppa (a dritta) della prima nave, su cui sono state posizionate le copie bronzee delle cassette con protomi ferine.

Alcuni esemplari dei chiodi utilizzati sulle due navi, di vari tipi e dimensioni: da pochi centimetri a oltre mezzo metro; dal tipo di sezione quadrangolare e capocchia piramidale a quello con testa schiacciata fornita di piccole protuberanze che servivano a far meglio aderire le lamine plumbee di rivestimento dello scafo.

La Via Appia Antica attraversa il Museo delle Navi

 

Quattro colonne in marmo ‘portasanta’ rinvenute presso le navi. La denominazione attuale risale al Rinascimento e deriva dal fatto che di questo marmo sono gli stipiti della Porta Santa di S. Pietro in Vaticano, della Porta Santa di S. Paolo, S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano; la denominazione antica (Marmor chium) rimanda, invece, al luogo di estrazione: le cave, situate nell'isola di Chio che furono individuate nel 1887.

Veduta della nave all’interno del Museo

Mosaico dell’ancora

Ancora tipo “Ammiragliato”

Rivestimento bronzeo del ‘dritto di prora’ (tagliamare) di una delle navi di Nemi

Segnalazioni:

 

Echi di manovre dal porto di Roma antica...” –

 

(Vedi saggio dell’autore sul sito di Mare Nostrum)

 

You tube - Indagine Archeologica di Alberto Angela (RAI)

 

Google-PASSAGGIO A NORD OVEST – LE NAVI ROMANE DEL LAGO DI NEMI

 

Segnalo inoltre altri ottimi filmati-You Tube (RAI) su Porti di Claudio e Traiano.

 

Ringrazio infine gli autori di due Ottimi Saggi da cui ho tratto spunti e foto a scopo divulgativo:

 

Le Navi di Marina e Massimo Medici

Nemi - Le navi del Mito ARCHEOGUIDA di Saverio Malatesta

Carlo GATTI

Rapallo, 07.05.12


DIMMI, dimmi marinaio

Illustrazione di Patrizia Bianchi


Dimmi, dimmi marinaio

cosa ti spinge a navigare?

Bella domanda ragazzina,

la vita devo pur guadagnare

Dimmi, dimmi marinaio,

non c’è forse del lavoro

sulla terra, per le strade

o nei bei campi d’oro?

Sei insistente piccolina

Ognun lavora secondo natura

io non amo l’officina

ho bisogno d’aria pura.

Dimmi, dimmi marinaio

non sarà mica l’avventura

che ti spinge in mezzo al mare?

Una donna in ogni porto

Senza far fatica ad amare?

Cosa dici impertinente?

Chi ti ha messo per la mente

queste fandonie di origine antica?

Sulla terra ho la mia vita

moglie, figli, mamma, fratelli

a casa mia ho gli affetti più belli.

Dimmi, dimmi marinaio

con che coraggio ti puoi allontanare

se a casa tua hai tanta gente da amare?

Ragazzina insofferente

non capisco cos’hai in mente

le mie risposte non sono d’aiuto

sento che in te c’è un rifiuto

per la mia scelta di vita

forse qualcosa ti ha ferita.

Hai indovinato, marinaio

il tuo bel mare dall’aria pulita

a mio papà ha rapito la vita

neanche il corpo ci ha ridato

a noi che tanto l’abbiamo amato.

Ora io odio la scelta di vita

che lui ha fatto senza pensare

che così ci poteva lasciare.

Piccolo cuore gonfio di pianto

come vorrei per un poco soltanto

farti capire che tuo padre ti ha amato

non per il mare ti ha abbandonato.

L’amore è grande non si divide.

Anche a terra mia piccola amica,

a un certo punto finisce la vita.

Nel breve tempo molto ti ha dato

se tanto rimpianto in te ha lasciato.

Sei sicuro marinaio

sei sicuro che così è stato?

Solo un triste, crudele destino

Impedì a mio padre di tornarmi vicino?

Certo piccina, ma se tu lo vorrai

una lunga vita a lui donerai.

Se ami le cose che lui ha amato

se nel tuo cuore sarà ricordato

mentre il mare lo cullerà

egli in te ancora vivrà.

 

ADA BOTTINI

 

Rapallo, 2 Gennaio 2015

 



Canale di PANAMA

CANALE DI PANAMA

La costruzione del Canale di Panama ha avuto un effetto fluidificante per tutti i commerci a cavallo tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. La via d’acqua artificiale permette di giungere in poche ore dall’uno all’altro con un risparmio di 26.000 km e circa 30 giorni di navigazione rispetto alla rotta obbligata di Capo Horn percorsa fino al 1914, primo anno di operatività del Canale.

Non sarà mai abbastanza riconosciuto il sacrificio compiuto dalla gente della marineria velica sulle rotte oceaniche più lunghe e sperdute del mondo. Tra i velieri obbligati a doppiare Capo Horn per passare dall’Atlantico al Pacifico, uno su quattro naufragava in quel punto cruciale e perennemente sconvolto dalle tempeste. Cosa fu l’apertura del Canale di Panama per gli uomini di mare se non la fine di un incubo?

Nel 1513 l’esploratore spagnolo Vasco Nuñez de Balboa attraversò lo “stretto” di Panama da levante e scoprì l’Oceano Pacifico. L’istmo da allora risultò decisivo per il transito di oro, argento, perle e altri tesori che furono portati dal Perù a “Panamá La Vieja” (Pacifico) e, attraverso il “Camino de Cruces” e il fiume Chagres, fino a Portobelo (Atlantico), per poi essere caricati sulle navi che li avrebbero trasportati in Spagna. Ma le difficoltà furono insormontabili per i mezzi tecnici d’allora e si dovette attendere il XIX secolo per rielaborare un vecchio progetto del canale che nel 1879 fu caldeggiato dal Congresso Internazionale di Parigi ed ebbe tra i suoi promotori Ferdinand de Lesseps, già costruttore del Canale di Suez e, in seguito, da Gustave Eiffel. Nel 1901 gli Stati Uniti ottennero dal governo colombiano (all'epoca Panamá faceva parte della Grande Colombia) l'autorizzazione per costruire e gestire il Canale per 100 anni. Nel 1903 però il governo della Colombia, in un sussulto di orgoglio nazionale, decise di non ratificare l'accordo. Gli USA allora non esitarono a organizzare una sommossa a Panamá e a minacciare l'intervento dell'esercito. Panama divenne una Repubblica indipendente ma sotto la tutela degli Stati Uniti che ottenne l'affitto della Zona del Canale e l'autorizzazione a iniziare i lavori. I Trattati stipulati concedevano agli USA una striscia di territorio la “canal zone” larga 5 miglia, all’interno della quale fu costruito il canale per un compenso di 10 milioni di dollari e un affitto annuo di 250.000 dollari, in seguito portato a 1.930.000 nel 1955.

Nel 1904 furono ripresi i lavori, dapprima per la costruzione di un canale a livello del mare, ma la difficoltà di scavare una trincea così profonda attraverso il passo di Culebra, fece mutare i progetti, e nel 1906 fu decisa la costruzione di chiuse (vedi cartina sotto).  I lavori iniziarono nel 1907 per opera del Genio Militare USA e si conclusero il 3 agosto 1914.

Il Canale di Panama é lungo 81 chilometri e rappresenta il simbolo dell’importanza strategica che l’istmo ha rivestito fin dal XVI secolo costituendo ancora oggi una delle vie di comunicazioni più importanti al mondo. Le navi possono percorrerlo in circa 5/8 ore (dipende dalla velocità e dal traffico), avvalendosi del citato sistema di chiuse-locks*. La sua profondità (pescaggio) varia tra 12,5 a 13,7 metri, la larghezza massima é di 240 e 300 mt nel lago Gatún, mentre la minima è di 90–150 mt nel tratto finale della Culebra. Il sistema comprende 6 chiuse, che permettono alle navi di superare il dislivello totale di 28 mt. Le navi provenienti dall’Atlantico "salgono" per mezzo di queste prime tre chiuse e “scendono” grazie ad altre tre chiuse. All’interno dei locks le navi vengono trainate da gru e locomotive molto tipiche (vedi foto nave Ancona). Le chiuse sono a doppio sistema e sopportano il transito contemporaneo nei due sensi, fino al livello del lago Gatun. Il Canale fu inaugurato il 15 agosto 1914, ma la cerimonia ufficiale fu rinviata al 1920, a causa dell'insorgere della Prima guerra mondiale.


Siamo nel 1915. Alla nave Ancona si attribuisce storicamente il primo passaggio del Canale da un oceano all’altro, riducendo a otto ore la traversata, che prima durava più di sessanta giorni via Capo Horn.

Il Canale di Panama è una delle opere di ingegneria più importanti al mondo trattandosi della struttura di cemento armato più imponente mai costruita prima d’allora.

Il canale interoceanico che attraversa l’istmo di Panama inizia nel mar delle Antille, e dopo 23 km al livello del mare raggiunge le Chiuse/Locks di Gatùn, che lo portano a 26 metri d’altezza s.l.m. Attraversa quindi il grande lago di Gatùn (424,8 km2) e all’altezza di Darièn penetra nella trincea della Culebra, il cosiddetto “taglio di Gaillard” (dal nome di uno dei costruttori), fino a raggiungere Pedro Miguel, dove altre chiuse lo fanno scendere a 16,50 mt, finchè le chiuse di Miraflores lo riportano al livello del mare. Il lago Gatun, le cui acque sono fondamentali per il funzionamento della via interoceanica, è stato per svariati decenni il lago artificiale più grande del mondo.


In questa fotografia la freccia indica la corsia su cui si espanderà il nuovo Canale di Panama per rispondere alle nuove esigenze del Gigantismo Navale che risponde al concetto economico: meno navi e più merci, meno spese e più produttività.

La Commissione del Canale ha passato le sue funzioni al governo della Repubblica di Panama il 31 dicembre 1999.

L'importanza economica e strategica di questa via di comunicazione è incalcolabile; il traffico attraverso il canale ha avuto, dalla sua inaugurazione, un continuo aumento e oggi emerge tutta la sua inadeguatezza, tanto che sono allo studio progetti per il suo raddoppio (vedi foto). Per il pagamento del pedaggio le navi sono divise in tre classi: le unità mercantili, i trasporti militari, le navi ospedale, le navi appoggio e gli yachts con passeggeri o carico pagano 2,21 dollari per tsn; se invece sono vuote pagano 1,76 dollari per tsn; gli altri tipi di unità invece sono assoggettati ad un pedaggio di 1,23 dollari per tonnellata di dislocamento. L’accesso al Canale delle grandi navi portacontainer, che ne sono le maggiori utilizzatrici, è condizionato dalle misure della nave (vedi note). Questo limite è dettato dalla capienza massima delle chiuse lungo il percorso. Si parlava di inadeguatezza, infatti le navi moderne sono ormai di stazza superiore rispetto alla capacità massima del canale e si parla ormai di navi PostPanamax**. Nell’anno 2010 il Canale è stato attraversato da oltre 14.000 navi, e ha movimentato merci per oltre 200 milioni di tonnellate. Gli introiti derivanti dal Canale costituisono la prima fonte di ricchezza dello Stato di Panama.

Sta cambiando lo scenario del Canale di Panama.

Nell'aprile 2006 si è concluso lo studio durato cinque anni per un ampliamento del Canale per le navi PostPanamax. L'ampliamento é stato deciso da un referendum popolare ha dato l'approvazione al progetto. Nel settembre 2007 il governo di Panama ha iniziato i lavori per un progetto di espansione del Canale di 5 miliardi di dollari e dovrebbero essere terminati entro il 2014 (centenario dell'apertura del canale) e permetterà il passaggio di quasi tutte le navi in circolazione in questo momento nel mondo. Il progetto prevede l’aggiunta di una terza linea di transito con la costruzione di due nuove serie di chiuse, parallele a quelle esistenti, in corrispondenza di ciascuno degli imbocchi del Canale. La nuova soluzione consentirà l’attraversamento alle navi di dimensioni maggiori, incrementando di più del doppio l’attuale volume di traffico. Gas naturale liquefatto e carbone proveniente dalla Colombia troverebbero la loro strada facilitata da questo nuovo passaggio. Il progetto prevede di portare al raddoppio della capacità di navigazione del canale entro il 2025. Il traffico, soprattutto quello mercantile, sarà rivoluzionato evitando l'attuale lungo periplo dell'America meridionale. Benefici ne otterranno anche le compagnie crocieristiche, che potranno ridisegnare nuove mete, utilizzando tutto il naviglio a disposizione, che si trasformerà da Panamax a Postpanamax, già nel giro dei prossimi due anni, con la possibilità di transito alle navi passeggeri oltre le 110.000 ton di stazza. Grandi lavori saranno destinati anche al Lago intermedio di Gatun, dove saranno costruite nuove dighe per l'accumulo dell'acqua destinata alle chiuse di maggiori dimensioni, e a tutto il tracciato, che sarà portato alla profondità di 15 metri. Si aprono quindi nuovi scenari anche per la Marina Militare degli Stati Uniti, che ne beneficerà in termini logistici e di veloce spostamento delle ‘flotte’ da un Oceano all'altro, comprese le grandi portaerei oggi in servizio. I lavori saranno conclusi nel 2014, in occasione del centenario della sua inaugurazione.

La Panama Canal Authority prevede rialzi delle tariffe di transito nel canale centroamericano

Il piano include aumenti in vigore dal 1° luglio 2012 e un'ulteriore incremento dal 1° luglio 2013

Il consiglio di amministrazione della Panama Canal Authority (ACP) ha approvato un piano di aumento delle tariffe per il transito delle navi nel canale panamense che prevede tra l'altro l'incremento del numero delle tipologie di navi in cui suddividere il naviglio che attraversa la via d'acqua centroamericana al fine del pagamento dei pedaggi.

In particolare, il piano prevede che il segmento delle navi cisterna venga suddiviso in tre differenti tipologie, prevede l'istituzione del nuovo segmento delle navi container/breakbulk e l'incorporazione delle navi ro-ro nel segmento delle navi porta-automobili. La nuova suddivisione include le seguenti tipologie: full container (nuovo segmento), reefer, portarinfuse, passeggeri, porta-auto e ro-ro (fusione di due segmenti), cisterne(segmento riorganizzato), chimichiere (nuovo segmento), LPG (nuovo segmento), general cargo e altre navi.

Actual Standard Canal Fees – Panama Canal Tolls – Revised January 2005. In U.S. dollars.

Transit

Inspection

Buffer

Total

 

Up to 50'

$550.00

$50.00

$850.00

$1,450.00

From 50' - 80'

$850.00

$50.00

$850.00

$1,750.00

From 80' - 100'

$1,050.00

$50.00

$850.00

$1,950.00

100' +

$1,500.00

$50.00

$850.00

$2,450.00

125' +

$2,450.00

locomotives

$2,220.00

(obligatory)

NOTE - * Gli inventori delle chiuse furono gli architetti ducali Filippo da Modena e Fioravante da Bologna. La prima ‘conca’ costruita fu quella del 1439, in via Conca dei Navigli a Milano su ordine di Filippo Maria Visconti.

** Con la sigla Panamax si indicano le navi le cui dimensioni permettono il loro passaggio nelle chiuse del canale di Panama. Le chiuse del canale misurano 304,8 m di lunghezza, 33,5 m di larghezza e 25,9 m di profondità. Pertanto le dimensioni massime delle navi Panamax sono di 294 m di lunghezza, 32,3 m di larghezza e 12,04 m di pescaggio. Si può facilmente capire, confrontando le misure delle chiuse con le dimensioni delle navi, che il margine ad eventuali errori di manovra è ridottissimo. Attualmente queste navi vengono considerate di medie dimensioni. Infatti molte moderne navi militari (portaerei) e mercantili (portacontainer e petroliere) superano, alla ricerca del miglior rapporto costo/efficienza, abbondantemente queste dimensioni. Queste navi vengono appunto chiamate Post-Panamax o super post-Panamax. Per ovviare a questo problema sono state progettate nuove chiuse, più grandi, per il canale di Panama. In questo modo verrebbe migliorato anche il traffico che vi si svolge.

Carlo GATTI

Rapallo, 19.04.12


La scomparsa DI STEFANO "NITTI" RISSO

STEFANO RISSO "NITTI"

E' MANCATO!

Dicembre 2014 - L'ultima Conferenza di Nitti alla Lega Navale di Chiavari

Taranto 1934 - Sestri Levante 2014

 

INGEGNERE NAVALE E UOMO DI GRANDE CULTURA, ERA SICURAMENTE UN CHIAVARESE DOC

 

Da tempo era socio-conferenziere di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 

Dopo un male incurabile che ha avuto il  lungo decorso di un anno è mancato all'ospedale di  Sestri Levante l'Ing. Stefano Risso, per tutti "Nitti". E' mancato la  mattina del 28 Dicembre 2014,  di buonora alle 5,  quando nessuno se lo aspettava, anche se ormai le sue condizioni erano gravissime.

 

Era nato  a Taranto nel 1934,  per "ragioni belliche", diceva scherzosamente,  da Luigi Risso, Tenente di Vascello della Regia Marina, e Lina Canepa, Chiavaresi doc del rione Scogli.  Il padre Luigi era figlio di Stefano Risso detto "Pedrin Troppaciappi” per i suoi infiniti impegni che spesso non riusciva a portare a termine appunto per le sue troppe occupazioni. I Risso, erano  una delle tante famiglie che hanno fatto la storia degli Scogli, la vera storia, non quella dei "furesti",  per il loro lavoro nelle  costruzioni navali e non solo.   I Risso erano 7  tra fratelli e sorelle. I fratelli del “Troppaciappi”, cioè di suo Nonno, figura mitica del Rione Scogli, erano il  fratello  Luigi Risso detto “Scruscin”,  Bartolomeo detto “Caachin”,     Stefano (altro Stefano) detto “Mamun” deceduto a 25 Anni; e poi c'era  Ida, coniugata a Paggi Pietro, Angelo detto "Cialan" famoso Calafato e Maria coniugata Tommasino Vittorio detto Cicìa.  Ma tra le varie parentele c’erano anche  i Ruocco (ricordiamo Emilio deceduto nella tragedia della Regia Corazzata Roma il 9 Settembre 1943) così come  i Moladuri  e come detto anche i Paggi e i Tommasino, questi ultimi legatissimi al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari per via del Co-fondatore Franco detto "Mario".

 

"Nitti" parlando degli antenati diceva che il nome Stefano e Luigi era sempre presente e ricorrente in qualche ramo della famiglia portando a volte confusione nelle varie parentele. Diceva schezosamente che i suoi parenti nei nomi non avevano molta fantasia. Infatti notiamo anche che Stefano Risso "Troppaciappi" era padrino del fratello più piccolo anche lui di nome Stefano detto "Mamun" ! A parte poi che "Nitti" si chiamava Stefano e molti altri cugini portavano il nome di Luigi o Stefano ! Un vero ginepraio per chi non è di famiglia.

 

"Nitti" da bambino trascorre qualche anno a Taranto, dove appunto suo padre era destinato come ufficiale di Marina, poi Venezia, Pola e, allo scoppio della guerra, a Chiavari, presso la nonna Oliva Sarmoria, moglie appunto del "Troppaciappi".

 

Passano pochi mesi dallo scoppio della guerra il 10 Giugno del 1940 e Luigi Risso, suo padre, Comandante della Torpediniera Palestro, scompare in mare con la sua nave, silurata da un sommergibile nemico nel basso Adriatico del Settembre 1940. Medaglia d’Argento al Valor Militare,  a lui è intitolata Via Luigi Risso proprio nel suo rione, gli "Scogli".

 

Al Comandante  Luigi Risso,  Medaglia d’Argento al Valor Militare viene intitolato il "Concorso Narrativa 2008" col patrocinio dell'UNUCI  di Chiavari – Scuola Telecomunicazione FF.AA. –  del  Comune di Chiavari - Comitato d’Intesa Associazioni Combattentistiche – Comune di Lavagna – Comune di Sestri Levante.

 

Per la cronaca si classificherà al primo posto Ernani Andreatta con l'elaborato "Falciato da ordigno infame - e .... già era la pace" - Un storia terribile in memoria di Silvio Santini detto "Muneggia", perito in mare per un atto di solidarietà,  che è anche uno spaccato di come si viveva nel Rione Scogli prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

 

 

La tragedia di suo Padre influisce molto sulla vita di Nitti, soprannome datogli da uno degli attendenti del padre, in quanto gli sarà ostacolata,  sempre,  dalla mamma,  la sua ambizione di continuare in Marina le tradizioni di famiglia.

 

Orfano di padre, già appena maggiorenne, "Nitti" mostra subito il suo ingegno e capacità dando lezioni di matematica ai giovani laureandi di Ingegneria. I soldi erano pochissimi - diceva - dopo la guerra e mia madre faceva i salti mortali per mantenere me e mia sorella Luciana, ormai deceduta. Così anch'io mi arrangiavo con qualche ripetizione.  La pensione di mio Padre "morto per la Patria" diceva con rispetto e malinconia,  tardò molti anni e poi era una vera e propria ben "misera pensione".

 

Segue quindi la classica routine degli studi, fino alla laurea in ingegneria ottenuta con 110 e lode, e i primi impieghi in grandi società internazionali.

 

Col passaggio ad una terza società americana, a quei tempi ogni tipo di lavoro era a portata di mano, avviene il cambio di indirizzo professionale, da tecnico a commerciale.

 

Seguono le nozze con Andreina Varani, - ieri 27 Dicembre compivano 43 anni di matrimonio -  al quale era legatissimo e lo ha assistito in questo suo ultimo anno di vita con una straordinaria e commovente dedizione.

 

Nitti, in seguito, cambia ancora professione in un certo qual modo   e passa ad una quarta società - questa volta tutta italiana - col grado di direttore commerciale e un incarico tutto particolare, cioè la creazione dal nulla di reti commerciali in territori "vergini" .

 

La nuova società si interessa di progettazione e costruzioni di impianti di poliuretano o materiali similari.   Incarico un po' difficile, e molto complesso, ma molto attraente e di grande soddisfazione - "quando riusciva", diceva, "ma riusciva quasi sempre".

 

Continuano così le peregrinazioni per il mondo, cominciate già con la società americana, ma ora in modo più intenso, in Europa, Medio Oriente, Estremo Oriente tra cui Singapore di cui parlava spesso e gli ultimi tempi, Sud America.

 

Parlava molte lingue "Nitti" a parte l'Inglese, il Francese e lo Spagnolo, non disdegnava nemmeno il Tedesco e il Russo, che sapeva anche scrivere o il Croato che era un pò la sua passione.

 

Dopo 44 anni di lavoro, arriva la meritata pensione, ma gli impegni personali non diminuiscono, anzi. I famosi calendari di Nitti disegnati tutti a mano e a colori, per l'ultima società, sono dei capolavori di spaccati di storia di grandi avvenimenti interpretati a modo suo con una infinità di micro figure incredibili a realizzarsi tutte a mano libera,  come solo lui sapeva disegnare e spesso "inventare", ma il risvolto storico non mancava mai.

 

Una dote che stupiva tutti e che i tanti amici potevano ammirare senza mai poter capire come potesse realizzarli.

 

L'ultima sua opera, il calendario  del 2015 ha per tema la costruzione della Torre Eiffel a Parigi. Anche se ormai molto malato è riuscito a partarlo a termine nel novembre scorso con incredibili sforzi fisici e non solo.

 

E poi i  modelli di navi, perfette riproduzioni in scala di mitici bastimenti  come il Cutty Sark, la Victory ecc. Delle attrezzature di grandi velieri e vascelli, conosceva tutta la numenclatura a memoria e ne snocciolava i nomi come se li stesse leggendo in un manuale. Nessuno poteva competere con la sua memoria. Era una vera e propria enciclopedia vivente e con riluttanza accettò di comprarsi poi un computer dato che lui "internet" diceva scherzando, ce l'aveva in testa, ma non era una presunzione,  era praticamente la verità. E poi, le conferenze alla Lega Navale di Chiavari che erano attesissimi avvenimenti per gli appassionati di storia e non solo,  anche per la verve e la simpatia con la quale sapeva parlare di storia naturalmente navale o marinara. L'ultima conferenza che ha svolto è stato uno sforzo non da poco tenuta il 13 Dicembre ultimo scorso alla Lega Navale,  sul tema del confronto tra il rigalleggiamento delle navi tedesche autoaffondare a SCAPA FLOW e il rigalleggiamento della COSTA CONCORDIA all'isola del Giglio. Uno sforzo immane perchè il male lo stava ormai divorando, ma lui ha voluto ed è stato sempre lui, "Nitti" uno straordinario personaggio, irripetibile, per intelligenza e simpatia non comuni e soprattutto nell'arte figurativa,  che non ha riscontri. Non disdegnava conferenze anche in altre associazioni come a Novembre 2014 a Mare Nostrum Rapallo e così come dibattitti in Televisione a Entella TV in compagnia dell'amico Mino Orbolo per l'Associazione Culturale "O Castello" di Chiavari a volte   in duetto  con Ernani Andreatta.

 

Dal 2011 al 2013 è Presidente dell'Accademia dello Stoccafisso e del Baccalà "Rinaldo Zerega" fondata nel 1999.

 

E poi ancora i suoi  viaggi, finalmente per turismo! Con l'inseparabile Andreina,  ultimamente quasi sempre in Europa,  dove la Spagna e la Francia erano le sue mete preferite spesso per ragioni "gastronomiche"  dato che era anche un cultore del mangiar bene e bere ancora meglio,  con visite a Musei o Mostre Navali di tutte le nazionalità per vedere cosa facevano gli altri nel settore della storia navale, perchè il mare ce l'aveva sempre  dentro.

 

Il DNA del "Troppaciappi" o dei suoi molti parenti o di suo padre Luigi Risso era incancellabile.

 

Per molti anni fu appassionato di vela e con la sua barca andava per mare con perizia, dove effettuava piccole crociere sempre con l'inseparabile "Andreina". Poi alcuni anni fa la vendette dicendo che "non era più il caso".

 

Crediamo anche di fargli piacere a "Nitti"  di nominare il suo ultimo cane,  "la Sheila" una bestiola un pò ingombrante ma alla quale entrambi i coniugi erano molto affezionati  e che gli è mancata alcuni anni fa.

 

 

Ultimamente con il suo computer si era dedicato  alla catalogazione delle migliaia di fotografie fatte in giro per il mondo, che diceva lui "richiederebbero giornate di 48 ore invece delle normali di 24".

 

Nitti era un vero genio sia per  sua capacità di memoria di qualsiasi avvenimento storico, sia per l’arte della riproduzione figurativa con sua propria inventiva a corollario delle sue opere. I suoi disegni, i suoi quadri, sono straordinari,  suo anche il Presepe con personaggi degli Scogli in statue di legno del 2007 e poi ripristinato nel 2012 dagli "Amici del Mare e degli Scogli" nonostante alcuni "vandali" come li chiamava lui,  avessere buttato via e distrutto tre delle sue bellissime statue.

 

Lascia un vuoto incolmabile "Nitti", non solo alla sua amata “Andreina” o “Gigia” come la chiamava affettuosamente lui dove non faceva nulla senza la sua approvazione, senza il suo parere. La sua “Gigia, nell’ultimo anno di vita non lo ha lasciato un minuto, anche se lui, sempre imprevedibile se n’è andato alle 5 di mattina.

 

Molti amici si sono recati al suo capezzale specialemnte negli ultimi tempi. Marina, Bianca, Francesco, Aldo, Carmen,  Marisa e il sottoscritto. Ma da "Nitti" ci si andava volentieri perchè anche malato era sempre lui, "Nitti",  col suo sorriso buono e simpatico e lo sguardo negli occhi che tutti ricorderemo sempre.

 

Forse non voleva dare "fastidio" o troppo dolore alla sua "Gigia" perchè tra le altre cose era anche un gran signore ed un uomo molto educato.

 

Ma il vuoto di Amico, di grande Amico,  di uomo di grande cultura,  arte e intelligenza, sarà molto difficile da dimenticare.

 

Da notare che già a verso Marzo - Aprile scorsi certi ospedali gli avevano dato poche settimane di vita, ma lui ha resistito sino a ieri e qualcuno diceva che "Nitti" aveva 7 vite come i gatti. Poi purtoppo anche il suo robustissimo fisico ha ceduto.

 

E’ mancato alle 5 di Mattina appunto, quasi in punta di piedi per non disturbare,  all’ospedale di Sestri Levante,  dove era stato ricoverato dieci giorni prima  dopo infinite peripezie tra Genova,  i vari ospedali della Riviera e casa sua naturalmente.

 

Ora riposa nella camera mortuaria di Sestri Levante con il Rosario che sarà recitato  alle 18 e i funerali che si svolgeranno oggi  alle ore 15.00 del 29 Dicembre 2014 nella Chiesa di San Giovanni a Chiavari. Dopo l'omelia, riposerà per sempre,  nel Cimitero di Chiavari.

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

I QUATTRO che hanno organizzato il Presepe nel 2006

Il Presepe costruito da NITTI

Maggio 2007 - Dipinto Murale di NITTI

NITTI e la moglie ANDREINA

 

ERNANI ANDREATTA

 

 

Chiavari 28 Dicembre 2014

Webmaster Carlo GATTI


 

 

 

 


L'ARMAMENTO COSTA, un Pianeta che parla "rapallino"

COSTA ARMATORI

Un Pianeta che parla Rapallino

 

Nei primi anni ’50, il molo di Langano

fu la nostra “palestra e piscina”. Ogni

estate Marò ci radunava davanti al

villone dei Costa e quei nomi ben presto

diventarono i punti di riferimento per i

nostri appuntamenti sportivi e, in seguito,

anche di lavoro e soddisfazioni

professionali.

Una Scalata di Successi che dura da centocinquantanni

EUGENIO C.

L’Emblema della Flotta Costa

Sotto il nome del suo fondatore “Giacomo Costa fu Andrea”, nel 1854 iniziò l’attività di questa grande famiglia distinguendosi inizialmente nel commercio di tessuti e, soprattutto dell’olio di oliva. La storia del famoso marchio “Olio Dante” cominciò a Genova proprio in quegli anni, quando il suo capostipite fece salpare le prime navi verso i Paesi d’oltreoceano dove vivevano tanti nostri connazionali. 
Infatti, già alla fine del XIX secolo, il massiccio flusso d’emigranti italiani verso Australia, Nord e Sud America, diede un forte incremento alla domanda di generi alimentari nazionali. Il nome del Sommo Poeta fu scelto per dare agli italiani un prodotto che richiamava non solo la “patria” ma anche il simbolo del genio e della cultura italiana nel mondo.

La necessità di esportare rapidamente i propri prodotti, portò Giacomo Costa ad acquistare, in un primo tempo, navi da carico noleggiate, ed in seguito a farle costruire direttamente creando così lavoro per migliaia di rivieraschi occupati nella cantieristica, nell’indotto commerciale-turistico, oltre ai numerosi equipaggi imbarcati. Da queste solide fondamenta, basate su coraggio e lungimiranza, nacque quella operosa Linea “C” che fu presente su tutti i mari come massima espressione dell’Armamento Privato Italiano, fino a tutti gli anni ‘60 del novecento, e quando lo storico ciclo delle navi di linea giunse al capolinea, i Costa se ne avvidero in tempo. I nuovi vettori dell’aria chiamati “JUMBO” (primo volo nel 1970) erano ormai in grado di trasportare passeggeri e merci in tempi rapidissimi. Purtroppo, non tutte le famose Compagnie di Navigazione seppero “cambiare rotta” in tempo e quasi la totalità fu travolta dall’onda supersonica degli aerei e chiuse i battenti.

La Linea “C” fu tra le prime Società di navigazione, se non la prima, a prendere atto dello strapotere dell’Aviazione Civile e, con eccezionale tempismo, adattò le proprie navi al nuovo mercato crocieristico. Sotto questo segno, nacque una nuova filosofia, fu imposta una nuova moda e venne inaugurato un nuovo stile di vita. Con queste premesse nacquero le “FUN SHIP”, le navi del divertimento, di cui Costa diventò, senza alcun ripensamento o cedimento negli anni, uno dei massimi esponenti. In quegli anni ’70 la nave non rappresentava più l’ultimo viaggio dell’emigrante in cerca di fortuna nel “nuovo mondo”, non era più il cordone ombelicale che univa gli italiani dispersi tra gli stati d’oltremare e neppure il veicolo per lo scambio di merci che cambiò sistema e trovò nel container il suo mezzo ideale di trasporto. Il miracolo economico esplose improvvisamente e spinse la gente a trovare l’evasione nel viaggio di mare, a combattere lo stress vivendo la vita di bordo con le visioni di albe, tramonti, burrasche, isole esotiche. La nave diventò improvvisamente un romanzo d’avventure da vivere in prima persona. La tristezza per l’abbandono della patria e dei propri cari apparteneva ormai al passato, alla storia che oggi ci appare ancora più lontana e per certi versi già dimenticata.

Le Navi dei Costa

Simbolo e Prestigio

dell’Armamento Privato Italiano nel Mondo

P/f Ravenna

Il modesto piroscafo Ravenna di 1.148 t. diede inizio all’’avventura della famiglia Costa sui mari del mondo. La nave fu costruita nel porto di Leith (Edimburgo) in Scozia nel 1888.

Facciamo un passo indietro. Il 7 agosto 1924 i fratelli Federico, Eugenio e Enrico Costa, con l’acquisto della piccola carretta Ravenna (1.148 t.s.l.), entrarono a tutto campo nel mondo degli imprenditori marittimi.

P/f Langano

Una rara fotografia del Langano dell’Armatore Giacomo Costa, ripresa nel porto di Ancona. Nel suo “epitaffio ideale” c’è scritto: Il piroscafo varato nel 1894, aveva una stazza lorda di 1.267 tonnellate. Sopravvisse a due guerre mondiali e, come un umile servo, si adattò a qualsiasi mansione...ma quando fu necessario, dimostrò d’essere anche un indomito combattente. Con la sua modesta, ma frenetica attività costituì la base di partenza per una faticosa ripresa, rappresentando il trampolino di lancio per un’interminabile storia di successi imprenditoriali. Nel 1950, dopo cinquantasei anni di duro lavoro, umiliazioni, ribellioni e tanti colpi di mare, cadde sotto i colpi del demolitore ed entrò nell’oblio della storia navale.

Quattro anni più tardi entrò in linea il già citato Langano. Negli anni ’30 iniziò la tradizione di battezzare le navi con i nomi di famiglia: Federico (’31) - Eugenio ed Enrico (’34) – Antonietta, Beatrice, Giacomo (’35). Queste navi collegavano i porti principali del Mediterraneo. All'inizio della Seconda guerra mondiale la flotta dei Costa contava 27.534 tonnellate di stazza suddivise tra otto navi.

 

Solo il Langano sopravvisse alla distruzione della flotta Costa durante la Seconda guerra mondiale, ma la famiglia non si arrese e ripartì costruendo e acquistando altre navi destinandole al cabotaggio in Mediterraneo. Ma nuovi fattori politici ed economici caratterizzarono la nuova Italia: in particolare, prese corpo il flusso migratorio transoceanico che stimolò la famiglia Costa ad intraprendere nel 1947 un “servizio passeggeri” a due classi, dotando la più lussuosa di aria condizionata. I primi passeggeri/emigranti a scegliere la Costa, imbarcarono sulla Maria C. e sulla Giovanna C. ma il primo transatlantico ad attraversare l’Atlantico Meridionale, dopo il conflitto, fu l’Anna C., seguita nel 1948 dall’Andrea C. ambedue sulla linea del Brasile e del Plata.

La Società Giacomo Costa fu Andrea diventò “Linea C”. Anche le linee da carico verso il Nord America si aprirono nel 1948 con la Maria C. affiancata dalla Luisa C. (dotate di ampie stive per il carico). Nel 1953 la Franca C. aprì nuove rotte verso il Venezuela e le Antille.

Maria C.

Maria C. Ex-Pommern (Germania-1913), ex-Rappahannock (USA-1917), ex-W.Luchenbach (USA-1933). La nave fu acquistata dai Costa nel 1947 e, dopo alcune trasformazioni logistiche per i passeggeri, le fu assegnata una stazza l. di 8.550 T. Ribattezzata Maria C., partì per il Sud America il 24 .2.1947 come prima nave passeggeri dei Costa. Nel marzo del 1948 fu trasferita sulla linea del Nord America toccando Lisbona, Filadelfia, Baltimora e New York. Navigò fino a tutto il 1952 e fu poi demolita a Savona.

Giovanna C.

Giovanna C. Ex-Eastern Trader (Giappone-1919/USA-1920), ex-Horace Luckenbach (USA-1922), fu messa in vendita alla fine della Seconda guerra mondiale. Costa l’acquistò nel 1947 e la rinominò Giovanna C. La nave arrivò a Genova il 28 agosto 1947. Subì alcune trasformazioni e dopo un mese ripartì come nave passeggeri per il Sud America per scalare Rio de Janeiro, Santos, Montevideo e Buenos Aires. Nel 1949 fu trasformata a Genova in nave passeggeri per emigranti destinati alle Americhe. La sua stazza fu portata a 8.339 t. e con il suo nuovo look, la nave partì da Genova l’8 giugno 1949 per il Sud America con 1300 pax-emigranti. Continuò la linea del Plata fino al 1953. Al suo ritorno a Genova, dopo 33 anni d’intenso servizio, fu destinata alla demolizione a La Spezia.

Luisa C.

Luisa C. Ex-Eastern Merchant (Giappone-1919/USA-1920), ex-Robert Luckenbach (USA-1922), Il 25 luglio 1947 fu acquistata dai Costa e diventò italiana con il nome di Luisa C. Iniziò il suo nuovo servizio con il trasporto degli emigranti in Sud America. Fu noleggiata dalla Compagnia Ignazio Messina dall’11 ottobre 1948 al 26 febbraio 1949 ed impiegata sulla rotta per l’India. Il mese dopo partì per la linea-emigranti del Nord America dove rimase fino a tutto il 1950, alternando qualche viaggio per il Sud America. Dopo aver compiuto il suo ultimo viaggio Rientrò a Genova il 13 marzo 1951 e fu messa in disarmo. Fu venduta con il nome di Sula ad una Società Panamense. Navigò fino al 1959. Fu demolita in Giappone nella stessa regione dove fu varata 40 anni prima.

Andrea C.

Andrea C. (ex-Ocean Virtue-1941) fu praticamente ricostruita a Genova nel 1946 con una stazza di 7.800 t. e battezzata con il nuovo nome nel marzo 1948. Partì per il suo primo viaggio il 26.6.48 con destinazione il Brasile e il Plata. Nel 1959 subì radicali trasformazioni a Genova, cambiò i motori e persino la prua e la sua lunghezza raggiunse i 142 metri. Con il nuovo shape ritornò a navigare verso il Plata per tutti gli anni ’60. Nel dicembre del 1970 fu sottoposta ad importanti lavori strutturali di ammodernamento e di condizionamento in tutti i locali e la sua nuova stazza fu portata a 8.604 t. Rimase prevalentemente in Mediterraneo per tutti gli anni ’70. Portò a termine la sua ultima crociera nell’ottobre 1981 e fu quindi messa in disarmo. Fu demolita a La Spezia nel 1983.

Anna C.

Anna C. (ex-Southern Prince-1928) acquistata nel 1947, entrò in linea per Rio de Janeiro e Buenos Aires l’anno successivo, dopo aver compiuto importanti lavori strutturali. La prima nave passeggeri della Flotta Costa iniziò il servizio di linea da Genova per Buenos Aires il 31 marzo 1948. Innovativa e pionieristica, era dotata di aria condizionata in tutti gli alloggi per i passeggeri. Con Anna C. inizia un sodalizio professionale con l’architetto Giovanni Zoncada e per trent’anni gli interni delle navi Costa porteranno la sua firma. Tre anni dopo sostituì i motori principali e la nave raggiunse i 20 nodi di velocità. Nel 1959 aumentò la capacità-passeggeri e portò la propria stazza a 12.030 grt. Per quasi tutti gli anni ’60, la Anna C. trascorse i mesi invernali ai Caraibi e quelli estivi nel Mediterraneo. Fu demolita a La Spezia nel 1972.

Franca C.

Franca C. (ex- Roma, ex-Medina-1914), fu acquistata dai Costa nell’aprile 1952. Fu convertita in nave passeggeri e messa in linea nel Mar dei Caraibi con una stazza lorda di 6.549 t. Partì per il suo “maiden voyage” il 31 gennaio 1953. Fu sottoposta ad un nuovo look e con la stazza ritoccata a 6.822 grt, riprese il mare nel luglio 1959 con la firma di molti artisti come Zoncada e Mascherini, negli anni seguenti navigò tra la Florida e le Bahamas. Il 4 .11.1977 cambiò armatore e fu ribatezzata Doulos. Con questo nome pare sia tuttora in servizio: un vero primato di longevità.

 

Una recente foto della Doulos (ex-Franca C)

La Doulos, ovvero ex Medina, ex Roma, ex Franca C. è stata la nave passeggeri, forse, più longeva al mondo. Da appassionati di navi storiche, ci giunge notizia che il 31 dicembre 2009 si è concluso il suo servizio. La Franca C. è andata a riposare nell’Olimpo delle navi famose.

Nel 1957 si verificò una svolta importante nella storia degli armatori Costa: fu impostata la Federico C. - la prima nave commissionata dalla famiglia ai Cantieri Ansaldo di Genova. Ancora divisa in tre classi, la nave era dotata di ristoranti, saloni, piscine all’ultima moda. Questo impulso verso la modernità, spinse l’Armamento Costa ad un ulteriore sforzo di ammodernamento della flotta e anche le anziane Bianca, Enrico, Andrea, Flavia, Fulvia, Columbus e Carla furono ristrutturate nell'ottica di uniformare la flotta sul piano dell’accoglienza sempre più raffinata ed esigente dei passeggeri.

Nel 1959 la Costa tentò un nuovo esperimento mettendo sul mercato delle vacanze la prima nave al mondo completamente dedicata alle crociere di svago negli Stati Uniti e nei Caraibi. Il suo nome era Franca C., a cui venne affiancata nei mesi invernali la Anna C., che realizzarono mini-crociere da tre o quattro giorni da Port Everglades alle Bahamas. I primi anni '60 furono addirittura trionfali e alle ormai consuete rotte in Sud America o ai Caraibi si affiancarono le crociere in Mediterraneo, Mar Nero, Brasile, Uruguay e Argentina, fino allo stretto di Magellano e all’Antartico.

Eugenio C. e Federico C.

due autentiche fuoriclasse

Il successo delle crociere Costa fu tale che nel 1964 la Compagnia ordinò la costruzione della"Eugenio C., subito ribattezzata “la nave del futuro" per l'equipaggiamento e l'eleganza. Una nave non più formalmente distinta in tre classi, ma concepita con un ponte unico, su cui si affacciavano tutti i saloni. Un chiaro indizio del fatto che l'Eugenio C. sarebbe stata completamente adibita al servizio crocieristico, il futuro scelto da Costa Armatori. La prima nave ad esclusivo uso-passeggeri, la Franca C., nel 1968 inaugurò la formula di viaggio “volo+nave", destinata a cambiare completamente il modo di concepire la vacanza, proponendo, anche a chi aveva poco tempo a disposizione, crociere brevi all'altro capo del mondo. Ancora una volta l'evoluzione dei tempi diede ragione alla Costa, che nel corso degli anni '70 arricchì la propria flotta con alcune navi prese a noleggio o comprate. Spiccarono così le splendide gemelle Daphne e Danae, che solcarono il Mediterraneo d'estate e i Caraibi d'inverno, con alcune puntate in Alaska, Scandinavia, Sud America, Africa ed Estremo Oriente.

Con il superamento della crisi economica, per la famiglia Costa si aprirono nuovi scenari.

Vi fu un gradito ritorno dei maggiori artisti contemporanei verso l’arredamento navale, proprio com’era già accaduto nel ventennio tra le due guerre con i grandi transatlantici della Società Italia. Giò Ponti, direttore della rivista Domus, dedicò la sua arte, agli arredamenti, agli aspetti decorativi e alla nuova architettura navale dei Costa. Una magica tradizione che continua ancora oggi.

Pertanto, le navi diventarono lussuose, confortevoli, eleganti e fu l’Italian Style ad attrarre un crescente numero di passeggeri per l’ospitalità, il confort e la tradizionale cucina del nostro Paese.

In questo periodo le navi dei Costa disponevano di tre classi  (1° - 2° e cl. turistica) e si distinguevano dalle altre concorrenti per l’intrattenimento, giochi e svaghi dei passeggeri.

Federico C.

Federico C. segnò un passaggio importante nella storia della Costa Line che entrò come protagonista in competizione con le navi più blasonate già presenti sul mercato sudamericano. La nave, varata ed allestita a Genova, partì per il suo viaggio inaugurale il 22.3.1958 per Rio de Janeiro e Buenos Aires. Le sue linee erano armoniose slanciate ed eleganti e rispecchiavano perfettamente l’Italian Style tanto apprezzato nel mondo dello shipping internazionale. Aveva una stazza di 20.416 t. Poteva trasportare 8.520 t. di carico e sviluppare una velocità standard di 21 nodi. 1300 passeggeri suddivisi per classi (243-321-736) e 270 d’equipaggio. Grande cura fu dedicata all’eleganza dei saloni, cabine, piscine, ballrooms con le decorazioni, sculture e pitture dei grandi artisti già citati. Dopo dieci anni dalla sua entrata in servizio, la Federico C. subì lavori di trasformazione e adattamento alle nuove esigenze nel mercato delle crociere, come la conversione delle tre classi in una classe unica d’eleganza standard. Nel 1983 fu venduta alla Premier Cruise con il nome di Starship Royale e, all’inizio del 1989 fu venduta alla Dolphin Cruise Line e ribattezzata Seabreeze. Il 17 dicembre 2000 è affondata 200 miglia al largo delle coste della Virginia, non aveva passeggeri a bordo e i 34 uomini d’equipaggio furono tratti in salvo dalla Guardia Costiera.

Bianca C.

Bianca C. La Seconda guerra mondiale ritardò l’inizio della sua attività di circa 10 anni. Il 30 .6.1949 con il nome di Marseillaise, bandiera francese, entrò in linea per l’Estremo Oriente. Nel 1954 terminò il periodo coloniale e la nave fu dirottata in Mediterraneo. Nel 1957 fu acquistata dalla Arosa Line Inc. e si chiamò Arosa Sky. Nel 1958 fu acquistata dai Costa che la sottoposero ad importanti lavori per aumentarne la stazza lorda, la capacità passeggeri (1252 in totale) e la chiamò Bianca C. Alla fine del 1959 fu destinata alle crociere nei Caraibi. Una grave tragedia interruppe la sua splendida carriera nell’ancoraggio di St.George a Grenada, il 23.10.1961 quando esplose lo starter dell’avviamento del motore sinistro, provocando un terribile incendio che si propagò a tutta la nave. Due furono le vittime tra i macchinisti di guardia. I 362 passeggeri e l’equipaggio evacuarono la nave in meno di mezz’ora sotto la regia del suo comandante Francesco Crevato, che fu l’ultimo ad abbandonare la nave. La bella nave affondò sotto rimorchio il giorno dopo, davanti a Punta Salina nel Mar delle Antille. Una statua del Cristo degli Abissi fu eretta sull’entrata del porto di St. George per ricordare la tragedia, ma soprattutto i suoi generosi abitanti che in quella occasione si prodigarono alacremente per aiutare i passeggeri e l’equipaggio quasi completamente composto da rivieraschi e nostri concittadini come era nella tradizione dei Costa.

Enrico C.

Enrico C. Varata nel 1950 con il nome Provence, navigò con bandiera francese per la SGTM di Marsiglia fino al 1965 quando fu venduta alla Costa, che la trasformò in nave di linea (High Standards) per il Sud America. Nel 1976 inaugurò importanti crociere alle Isole Falkland, Amazzonia e Manaos. Nel 1979 Costa fermò la nave a Genova (Cant. Mariotti) e la convertì in nave da crociera. Con la nuova stazza di 16,495 tonn. navigò in Mediterraneo tra Venezia e la Grecia. Nel 1984 la Enrico C. diventò Enrico Costa. Nel novembre 1989, ancora una volta, la nave fu ormeggiata a Genova e sottoposta a grandi lavori: la sostituzione delle vecchie turbine con nuovi motori W.Wasa diesel-engines di 8.050 HP – Furono installati nuovi assi, eliche a passo variabile ed un Bow Thruster (elica di prora). Alle prove di macchina raggiunse i 22 nodi di velocità. Il 15 settembre 1992, durante una crociera, la nave s’incagliò al largo di Katakolon, un’isola del Peloponneso, ma riuscì a disincagliarsi con le proprie forze dopo tre giorni di tentativi. Costa la mise in vendita nel 1994 quando ordinò la sua prima “giant ship”, la Costa Vittoria. Verso la fine dell’anno la Enrico Costa fu venduta alla Starlauro di Napoli che la ribattezzò Symphony.

Eugenio Costa

Eugenio C. Aveva un elegante caratteristica: la prua a collo di cigno (Swan-neck bow)

Progettata dal celebre “carenista” ing. Niccolò Costanzi, l’Eugenio C. è stata, in assoluto, la più grande nave passeggeri realizzata in Italia per l’Armamento non sovvenzionato. Fu costruita dal C.R.D.A di Monfalcone con la seguente sequenza: 4.1.1964, impostazione chiglia – 21.11.64, il varo, - 19.8.66, prove in mare – 31.8.66 primo viaggio con partenza da Genova. Fu l’ultimo transatlantico “classico” di Linea costruito in Italia, ma il suo disegno costruttivo era stato studiato anche per l’impiego crocieristico. Le sue misure erano L=217,39 mt. x l= 29,30 mt. Nel 1987 al termine di un refitting, la sua nuova stazza lorda raggiunse 32,753 tonn. Le sue turbine le impressero la straordinaria velocità di 28.43 nodi alle prove in mare.

214 passeggeri x la 1° classe, 1.445 in classe turistica. Il famoso architetto Nino Zoncada disegnò la maggioranza degli interni della nave e contribuì al disegno definitivo del suo profilo sulla base degli studi del progettista N. Costanzi. Pittori, scultori e decoratori del calibro di Massimo Campigli, Emanuele Luzzati, Marcello Mascherini ed altri... lasciarono la loro impronta artistica su questo “museo galleggiante” che fu come tale visitato da migliaia di turisti, anche non naviganti, in tutto il mondo. L’Eugenio C. seguì le rotte del Sud Atlantico per circa dieci anni, (1967-1977) per essere in seguito impiegata come nave da crociera nel famoso “giro del mondo” scalando i più noti porti d’interesse turistico. Navigò alternativamente sulle rotte del Nord e Sud America per una decina di anni. Nel 1987 e 1994 fu sottoposta ad importanti lavori anche strutturali, e nel 1996 compì l’ultima crociera e fu posta in disarmo a Genova. L’Eugenio C. fu una nave fortunata, felice e molto amata sia dai passeggeri che la conobbero da vicino, ma soprattutto dai suoi equipaggi che, riuniti nel Club Eugenio C., ogni anno s’incontrano per mantenere vivo il ricordo della nave e di un periodo per loro irripetibile. Come tutte le navi longeve (37 anni) ebbe degli alti e bassi, ma la sua vendita per demolizione ad Alang, avvenuta nel 10.2003, fu dolorosa per migliaia di “amici” che avrebbero fatto qualunque cosa pur di rivederla in tutta la sua bellezza, ormeggiata magari a Genova, come Museo galleggiante in ricordo perenne della tradizione navale italiana.

Carla Costa

Carla C. Fu varata il 31 ottobre 1951 in Francia con il nome di Flandre e fu il primo transatlantico francese del dopoguerra. Il 21 febbraio 1968 segnò il passaggio alla Costa Line. Dopo ben 10 mesi di lavori, con il nuovo nome di Carla Costa, la nave prese il mare completamente rifatta. Il suo nuovo look era firmato dai più grandi artisti dell’epoca: Lele Luzzati, Nino Zoncada, Guido Marangoni ed altri. Fu destinata su due differenti rotte: Coste messicane e Caraibi. Durante una di queste crociere, la scrittrice americana Jeraldine Saunders trovò l’ispirazione per la serie TV “The Love Boat” e la Carla C. divenne il suo teatro naturale. Continuò a navigare per il mercato crocieristico americano fino al maggio ’74, quando sostituì le vecchie turbine con potenti motori diesel. Ritornò ai Caraibi e vi rimase fino al 1982 per poi ritornare a Genova sottoponendosi a nuovi lavori di “refit” che le avrebbero permesso di essere competitiva per molti altri anni ancora. Nel 1992 la Compagnia varò un nuovo piano generale e la Carla Costa fu la prima ad essere venduta alla Epirotiki Lines SA di Atene che la battezzò Pallas Athena. Il 24 marzo 1994 subì un grave incendio al Pireo e fu portata ad arenarsi vicino all’isola di Salamina. Fu demolita in Turchia nel dicembre 1994.

Flavia Costa

Flavia. Varata nel 1946 con il nome di Media (Cunard Line). Entrò in linea Liverpool-New York nell’agosto 1947 con una stazza di 13.345 t. Appartenne all’italiana GO.GE.DAR. con il nome di Flavia e fu impiegata sulla linea dell’Australia. Fu noleggiata dai Costa nell’ottobre 1968, che decise il suo acquisto nel maggio 1969. Continuò il suo servizio nei Caraibi con ottimi risultati economici per la Compagnia, fece anche crociere settimanali in Mediterraneo. Nel 1982, ritenute ormai vecchie e superate le sue originali turbine, fu venduta ad un Gruppo di Taiwan. Fu demolita a Kaohsiung nel 1989.

Fulvia

Fulvia. Considerati i successi della Flavia, l’Armamento Costa decise l’acquisto di una “running mate” da affiancarla nelle crociere ai Caraibi. La scelta cadde sulla M/n Oslofjord che diventò Fulvia dal maggio 1969. La nave norvegese, splendida nello shape, fu varata nel 1949 in Olanda. Aveva una stazza di 16.844 t. ed una lunghezza di 175,86 mt. ed un’ottima velocità, superiore ai 20 nodi. Noleggiata ai Costa, la nave aveva il marchio “C” sulla ciminiera, ma mantenne per contratto la bandiera e l’equipaggio norvegese, eccetto i 200 membri “Hotel staff” che erano italiani della Costa Line. Nel dicembre del 1969 la Fulvia parti da Oslo verso i Caraibi dove il Federico C. e alla Flavia erano già operativi con crociere settimanali. Nel giugno del 1970 la nave venne in Mediterraneo per dieci crociere ma, alle 02 del 19 luglio, mentre era in navigazione tra Funchal e Tenerife, scoppiò un incendio in seguito all’esplosione di un generatore diesel. Molto presto l’incendio avvolse tutta la nave e, due ore dopo, il comandante ordinò ”Abbandono Nave”. L’S.O.S fu colto dalla nave passeggeri Ancerville che avvistò le lance di salvataggio e dalle 09.30 alle 12.00 raccolse i passeggeri e l’equipaggio e li portò a Tenerife. Nonostante l’assistenza di un rimorchiatore spagnolo, la nave affondò il 20 luglio, senza perdite umane, su un abisso di 3.000 mt.

Italia

Italia fu ordinata dalla Sunsarda SpA nel 1963, al cantiere Felszegi Muggia e fu varata il 28.04.1965. L’Italia è stata la prima nave italiana costruita appositamente per le crociere, infatti, sia il design che la collocazione delle lance di salvataggio sui ponti inferiori, offrivano un maggiore spazio all'aperto sul ponte superiore. Il suoi interni furono progettati da due rinomati artisti: Gustavo Finali e Romano Boico. Per motivi economici la nave fu varata soltanto nell’aprile del 1965 e consegnata nel 1967. Iniziò la sua carriera noleggiata dai Fratelli Cosulich (Genova) che la impiegarono in crociere nel Mediterraneo, in seguito fu noleggiata dalla Princess Cruises, che la impiegò in crociere tra il Messico e Los Angeles. Dopo un parziale ammodernamento, nel febbraio 1974 la nave fu noleggiata dalla Costa, che la acquistò nel 1977, con questa società la nave effettuò crociere in tutto il mondo, e nel settembre 1983 fu venduta alla Ocean Cruise Lines che la rinominò Ocean Princess.
 Oggi naviga ancora con il nome di Sapphire.

Danae

Danae Precedenti denominazioni: ex-Port Melbourne, ex-Therisos Express, ex-Danae ‘92, ex-Starlight Princess ‘92, Anar ‘92, Danae, fino al 1994, Starlight Princess ‘94, Baltica ’94-’96. La Danae insieme alla gemella Daphne furono costruite nel 1955 come navi da carico veloci che avevano una s.l. di 10.501 tons. Con una velocità di servizio di 17 nodi erano tra le navi da carico più veloci dell'epoca. Fu proprio per questa caratteristica che nel 1972 furono trasformate in navi passeggeri. All'inizio la Danae fu utilizzata come nave traghetto. In seguito fu trasformata in nave da crociera di lusso ma l'operazione non ebbe successo e la nave fu noleggiata per le crociere commerciali alle Linee Lauro tra il 1978-1979. Nello stesso anno, la Costa Armatori noleggiò per cinque anni le due gemelle, e nel 1984 le acquistò definitivamente. La Danae fu impiegata nelle crociere estive in Mediterraneo e quelle invernali ai Caraibi e Sud America. Si distinse inoltre per le successive crociere estive – autunnali da Venezia alla Grecia, Turchia, Israele ed Egitto, ma diventò celebre per quelle invernali intorno al mondo: “World Cruise” con partenza da Genova in dicembre e ritorno a marzo. Nel 1989 la Danae modificò il proprio itinerario intorno al mondo con le Crociere Grand Cruise Of The Orient (39 scali-102 giorni)

Nel 1990, le due gemelle passano alla Prestige Cruise di Curaçao in Joint Venture con la stessa Costa e la Comp. Sovietica Sovcomflot AKP, ma l’operazione venne interrotta dalla caduta dell’U.Sovietica. Nel dicembre 1991, alla vigilia dell’ennesima World Cruise, la Danae subì un grave incendio mentre si trovava in bacino di carenaggio nel porto di Genova. Fu dichiarata la perdita totale e fu messa in vendita. Il 9 luglio 1992 fu rinominata Anar e raggiunse il Pireo a rimorchio. Navigò ancora con il nome Starlight Princess e nel 1994 prese il nome Baltica.

Daphne

Daphne Precedenti denominazioni: ex-Port Sydney, ex-Akrotiri Express, ex-Daphne, Ex- Ocean Odissey (2002), ex-Switzerland (2002), ex-Ocean Odissey (2002), ex-Ocean Monarch (2008). Lunga 162,4 x 21,3.

Nel 1977 fu temporaneamente noleggiata alla Starlauro di Napoli per viaggi in Mediterraneo. Il 25 aprile 1979 Costa la noleggiò per 5 anni, e come la gemella Danae, fu impiegata in crociere invernali ai Caraibi ed estive in Mediterraneo. Nel 1981, nel mese di febbraio compì una crociera intorno all’Africa. Nel 1984 Costa comprò le due gemelle e la Daphne fu impiegata prevalentemente nei mari Nord Americani, compiendo crociere estive Alaska-Vancouver e cociere invernali ai Caraibi. Come la gemella, diventò famosa per le sue crociere World Cruise. Nel 1990 vendette, come abbiamo già riferito, le due navi gemelle alla Prestige Cruise e la Comp Sov. Sovcomflot AKP che collassò insieme alla U.Sovietica. Di questa squadra facevano parte anche le belle Feodor Dostoyevsky e la Maxim Gorky. Nel 1996 la Daphne fu noleggiata a scafo nudo alla Swiss Company Flotel per cinque anni. Il 25.2.1997 fu ribattezzata Switzerland per il suo nuovo Armatore Leisure Cruises.

Costa Riviera

Costa Riviera La società Lloyd Triestino ordinò nel 1960 due nuovi transatlantici ai Cantieri Riuniti dell'Adriatico per il servizio verso l'Australia. Le due navi gemelle vennero battezzate in onore degli scienziati Galileo Galilei e Guglielmo Marconi ed entrarono in servizio nel 1963 introducendo nuovi standard di confort nei viaggi per immigrati. La G. Marconi fu varata il 24 settembre 1961 partì per il suo viaggio inaugurale il 18 novembre 1963, Entrambe le navi navigarono con successo fino alla fine degli anni sessanta, ma la crisi petrolifera mondiale all'inizio degli anni settanta ebbe un impatto negativo per la navigazione, con una sensibile diminuzione del numero dei passeggeri e costi di esercizio crescenti e per tale motivo la Marconi fu ritirata dal servizio di linea per l'Australia. Nel 1976, la G. Marconi, nell'ambito dei mutamenti avvenuti a quell'epoca nelle società del gruppo Finmare, venne trasferita dal LLoyd Triestino alla Italia di Navigazione SpA, destinata sulle rotte per il Sud America, in servizio tra Napoli il Brasile e Buenos Aires. Nel 1979 la nave fu ceduta alla società Italia Crociere Internazionali, una joint-venture costituita dalla Italia Navigazione e da alcuni armatori privati per il servizio crociere, per essere impiegata in crociere tra porti del Mar dei Caraibi. L'operazione Italia Crociere Internazionali non ebbe il successo sperato e nel 1983 la nave, in seguito ai nuovi assetti societari dovuti allo smantellamento della I.C.I, rimase alla compagnia genovese Costa Crociere, una delle società che avevano partecipato alla joint-venture. Dopo due anni di lavori, nel 1985, la nave, trasformata e notevolmente ingrandita, fu ribattezzata Costa Riviera. La nave alternò crociere tra Caraibi e Alaska fino al 1993, anno in cui entrò a far parte della flotta American Family Cruise, una joint-venture tra Costa Crociere e Bruce Nierenburg, per essere utilizzata per crociere nel mercato americano rivolte a giovani famiglie con bambini, ribattezzata American Adventure. Anche questa operazione non ebbe il successo atteso e la nave, nel settembre 1994, rientrò a Genova, riprendendo il nome Costa Riviera e venne destinata al servizio di crociere in Europa, con partenze dal porto di Genova. Nel 2001 la nave fu venduta per demolizione ai cantieri di Alang in India e, a detta di autorevoli osservatori, pare che questa unità, nel lungo corso della propria attività, sia la nave italiana che ha percorso il maggior numero di miglia nella storia degli ultimi 70 anni della marineria italiana.

 

Costa Playa

Costa Playa Il traghetto nordico Finlandia fu varato nel 1965. In seguito subì numerose trasformazioni, proprietà e nomi. Nel 1995 la nave fu ribattezzata Costa Playa e nell’ottobre dello stesso anno fu sottoposta a massicci lavori di trasformazione presso il Cantiere Mariotti di Genova che la adattò a nave da crociera per i mari caldi. Fu infatti destinata a navigare tra la R. Dominicana e Cuba, diventando così la prima nave da crociera a riaprire il mercato turistico in quella zona nel dopo - “Guerra Fredda”. Il 28 novembre 1995 iniziò la sua prima crociera. La sua appartenenza ai Costa durò fino al 1998, quando fu venduta a Eurasia International.

Columbus

La bella nave (ex-Kungsholm) in uscita da un porto

Columbus. Già negli anni ’60, i Costa avevano visto giusto, inaugurando le prime Crociere nei Caraibi e negli anni ’80 furono ancora tra i primi ad afferrare la nuova evoluzione del mercato delle vacanze: il concetto di nave come vero e proprio albergo galleggiante; la nave come luogo di vacanza; il superamento della divisione dei passeggeri in classi. Tutto a bordo si uniformava, tutto era a disposizione di tutti. Con questi presupposti esplose l’industria crocieristica e con essa, nel 1986 nacque la COSTA CROCIERE. In vista di questo cambiamento epocale, nel 1981 Costa comprò la Kungsholm della Swedish American Line e la chiamò Columbus. Purtroppo, durante la manovra d’entrata nel porto di Cadice, la nave urtò gli scogli della diga foranea, sbandò rapidamente ma riuscì a raggiungere la banchina. Toccò il fondale e fu recuperata, ma i danni subiti erano troppo ingenti per evitare la demolizione che avvenne nel 1984.

Le navi dei Costa tuttora in servizio

La Compagnia conosce un enorme sviluppo acquistando, adattando e trasformando navi appartenenti a Società che hanno visto corto e sono fallite. É il momento dell’entrata in campo della Costa Riviera (ex-Guglielmo Marconi) ristrutturata nel 1985 e poi ancora nel 1998. Ma negli anni ’90 si verifica un altro salto di qualità con l’innesto delle gemelle Costa Marina e Costa Allegra, e delle nuove costruzioni genovesi Costa Classica, Costa Romantica e Costa Victoria che preludono ad un nuovo ciclo di grandi costruzioni come la splendida Costa Victoria nel 1996.

Senza dimenticare la Mermoz e la già citata Costa Playa (successivamente cedute), acquisite nel 1993 con la divisione Paquet Cruises dei gruppi francesi Chargeux e Accor.

Costa Marina

 

 

 

 

Tipo

Nave da crociera

Costrutt.

Oy Wärtsilä Ab

Cantiere

Turku, Finlandia

Varo

16 gennaio, 1969

Entrata in servizio

14 giugno 1969

Proprietà

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

25.558 t

Lungh.

174.2 m

Larghezza

26 m

Pescag.

7.90 m

Propuls.

due 16PC2-V + due 12PC2-V Wärtsilä-Pielstick 19136 Kw

Velocità

20 nodi

Equip.

391

Pax

963

Note

Porto di registrazione Genova

 

 

Note: Costa Allegra-Costa Marina, Navi gemelle.

 

Ha nove ponti, di cui otto per i passeggeri, che sono nominati: Corallo, Bolero, Aurora, Venezia, Marina, Laguna, Sports e Sun.
È la più piccola nave di Costa Crociere.

È stata varata nel giugno 1969 come portacontainer, con il nome Axel Johnson, per la Johnson Line. Nel 1987 è stata convertita in nave da crociera e ribattezzata Regent Sun; nel 1988 è stata ribattezzata Italia e nel 1990 è stata acquistata da Costa Crociere che, dopo averla sottoposta a un totale e radicale riammodernamento, l'ha ribattezzata Costa Marina.

Ha 383 cabine, di cui 8 suite con balcone, 3 ristoranti, 4 bar, 2 piscine, 4 vasche idromassaggio, 1 percorso jogging esterno (200 m), 1 centro benessere con palestra e sauna, 1 teatro con circa 360 posti, 1 casinò, 1 discoteca, 1 Internet Point, 1 biblioteca, 1 sala carte e 1 Shopping Center.

Costa Allegra

Annie Johnson

Costa Allegra

 

La Costa Allegra a Shanghai

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Oy Wärtsilä Ab

Cantiere

Turku, Finlandia

Varo

29 aprile 1969

Entrata in servizio

4 dicembre 1969

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

28.500 t

Lunghezza

187 m

Larghezza

26 m

Pescaggio

8,20 m

Propulsione

4 x 6R46 Wärtsilä diesel Kw 19.139

Velocità

20,5 nodi

Equipaggio

400

Passeggeri

984 (massimo)

Note

Soprannome

La nave di cristallo

Porto di registrazione Genova

 

Costa Romantica

 

 

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Fincantieri

Cantiere

Marghera (VE), Italia

Varo

28 novembre 1992

Entrata in servizio

22 settembre 1993

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

53.049 t

Lunghezza

220,62 m

Larghezza

31 m

Pescaggio

8,20 m

Propulsione

4 x Sulzer 8ZAL40S diesel 21.120 Kw

Velocità

18.5 nodi

Equipaggio

600

Passeggeri

1.697

Note

Porto di registrazione Genova

 

Note

Costruita nel 1993 come nave della gemella della Costa Classica è stata rinnovata nel 2003. I suoi spazi pubblici sono rifiniti in legno pregiato, marmo di Carrara e con costose opere d'arte.
Ha 14 ponti e i nove riservati ai passeggeri hanno i nomi di famose città europee quali: Lisbona, Biarritz, Monte Carlo, Madrid, Vienna, Verona, Parigi, Londra, Copenaghen ed Amsterdam.

Ha 679 cabine di cui 34 suite, e di queste 10 con balcone privato, 3 ristoranti, 7 bar, 2 piscine, 4 vasche idromassaggio,un percorso jogging esterno lungo 170 m, un centro benessere dotato di palestra, sale trattamenti, sauna e bagno turco; un teatro da 600 posti su due piani (il "Teatro L'Opera"), un casinò, una sala giochi su 2 corridoi (mondovirtuale), una discoteca, un "Internet Point", una biblioteca, un centro shopping e un Squok Club (Squok è la mascotte di Costa Crociere). Dispone di 14 scialuppe (2+4+4+4)

Costa Classica

 

Costa Classica

 

 

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Fincantieri

Cantiere

Marghera (VE), Italia

Varo

2 febbraio 1991

Entrata in servizio

7 dicembre 1991

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

52.926 t

Lunghezza

221 m

Larghezza

31 m

Pescaggio

7,30 m

Propulsione

4 x Sulzer 8ZAL40S Diesel Kw 21.120

Velocità

18.5 nodi

Passeggeri

1.680

Note

Porto di registrazione Genova

Note:

Ha 654 cabine di cui 10 suite con balcone privato, 2 ristoranti, 7 bar, 2 piscina, 4 vasche idromassaggio, un percorso jogging esterno lungo 170 m, un centro benessere dotato di palestra, sale trattamenti, sauna e bagno turco; un teatro da 600 posti su due piani (il "Teatro L'Opera"), un casinò, una discoteca, un "Internet Point", una biblioteca, un centro shopping e un Squok Club (Squok è la mascotte di Costa Crociere).

In totale ha 14 ponti, e nove per i passeggeri che sono dedicati a importanti località turistiche italiane: Venezia, Pisa, Amalfi, Genova, Roma, Firenze, Portofino, Capri, Ravello, Cortina D’Ampezzo.

Costa Victoria

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Bremer Vulkan Werft und Maschinenfabrik GMBH

Cantiere

Bremerhaven, Germania

Varo

2 settembre 1995

Entrata in servizio

10 luglio 1996

Proprietario

Costa Crociere

Caratteristiche generali

Stazza lorda

75.166 t

Lunghezza

250,97 m

Larghezza

32 m

Pescaggio

6,80 m

Velocità

22 nodi

Passeggeri

2.394

Note

Porto di registrazione Genova

Note:

Su un totale di 14 ponti, nove sono per i passeggeri e sono dedicati alle grandi opere liriche della musica classica: Nabucco, Bohème, Traviata, Manon, Carmen, Otello, Tosca, Norma, Rigoletto, Butterfly più il ponte Solarium. Tra le caratteristiche principali sono degne di note la panoramica Concorde Plaza, terrazza sul mare, la piscina interna del centro termale Pompei e la hall centrale Planetarium con le sue grandi vetrate sul mare e i quattro ascensori panoramici che corrono per 10 ponti.

Cinque i ristoranti: Sinfonia e Fantasia con menù a la carta; il buffet Bolero, ; il ristorante Club Il Magnifico dove vengono servite le ricette dei grandi chef italiani.

In totale dispone di 964 cabine, di cui 242 con balcone privato e 20 suite, di cui 4 con balcone privato. Inoltre ha 10 bar, 4 vasche idromassaggio, un campo polisportivo, un percorso jogging esterno, il grande teatro Festival su due piani, un casinò, una discoteca, l'internet point, una biblioteca, uno shopping center e lo Squok Club.

Nicola Costa è stato l’ultimo Presidente della famiglia armatoriale genovese. Nel 1997 la proprietà dell’azienda passò in forma paritaria all’americana Carnival (50%) e all’inglese Airtours (50%), accrescendo la capacità di investimento della compagnia genovese, ma mantenendo inalterata la sua identità di azienda italiana. 
Il settore crocieristico è tuttora in costante crescita e poche, ma potenti Compagnie di navigazione, si fregiano di antichi e famosi “marchi” dello shipping per dividersi, con pochi rischi economici, la concorrenza del mercato.

Carlo GATTI

Rapallo, 23.02.12


RITORNO A GANNA

RITORNO A GANNA

Panorama di Rapallo Anni ‘50

L’infanzia è un luogo o un tempo?

Questo si chiedeva Gianna quando pensava a quei giorni della sua vita così pieni e gratificanti da alimentare un rimpianto invincibile.

Il mare di una volta....

Tempo è l’infanzia a Rapallo. I giochi con gli amici, le battaglie, i rischi, gli scontri che avevano reso così vitali quegli anni.

Tempo perché il luogo non esiste più. Distrutto dall’avidità.

Rapallo, Torre Civica

Castello cinquecentesco, simbolo di Rapallo

La bella villa genovese gialla, rettangolare a due piani, ferma sul poggio dominante il golfo, la Torre civica e il Castello.

Parte del Golfo Tigullio visto dalla collina di S.Agostino

La collina di S.Agostino vista dal mare

La grande casa non c’è più.

Circondata dal giardino, il cortile, il berceau e giù l’orto e il frutteto.

E’ distrutta.

Anche il rustico per il contadino allora già disabitato.

E’ sparito.

Era rifugio per il gioco dei ragazzi nelle giornate piovose., Lì si sentivano tutti Tarzan, sospesi alla scala orizzontale procedevano, un braccio dopo l’altro, fingendo che sotto scorressero fiumi gialli, tane di coccodrilli e serpi.

E la grande falegua fornitrice di infiniti proiettili per le battaglie con le cannucce contro la banda di nemici che provenivano dal centro a profanare il loro territorio.

E’ stata tagliata.

La Cappella di S.Agostino

Tutto questo non esiste più, se non nel ricordo.

Anonimi condomini hanno occupato il frutteto e tutto il resto. Alti, sgraziati, addossati, quasi a coprirsi l’un l’altro per la vergogna, hanno fagocitato tutto. Il luogo non esiste più.

Gianna vorrebbe che la sua mente proiettasse i ricordi, le visioni vivide in fotografie, in qualche documento che restasse, dopo di lei a testimoniare quei giorni felici.

Pretese inutili, quei luoghi, quei giorni furono felici a lei, indifferenti agli altri.

Due femmine, quattro maschi tutti i giorni insieme a riempire le ore di giochi, di esperienze, di litigi, di rappacificazioni.

Accanto, al di là della stradina pedonale, l’orto di Cagaspago, dove la banda si concedeva il diritto di razzia dei frutti acerbi, delle primule e delle viole, che raccoglievano con attenzione in minuscoli e profumati mazzetti per depositarli con riguardo sulle tombe abbandonate del cimitero, al quale arrivavano per prati e muri scavalcati, trascurando la strada.

C’è un altro cimitero nei suoi ricordi. Un cimitero di fronte al lago con alle spalle i binari a scartamento ridotto per il trenino di Ganna.

Ricorda la bisnonna come un quadro di Monet, luminosa nel vestito lungo e chiaro di chiffon, l’ombrellino di seta e avorio aperto ad ombreggiare il viso rotondo, incorniciato di riccioli bianchi, ferma al cancello in attesa che lei bambina finisse di raccogliere, con grande stupore, dei fiori gialli e viola.

- Che fiori sono, nonna? –

- Viole del pensiero, nascono qui, vicino ai morti per farli ricordare.-

- Sì, mi ricorderò per sempre.-

E così è stato, pensa Gianna, sorridente.

Chissà perché certi particolari insignificanti si fissano nella memoria così vividi, colorati come se fossero appena successi.

Se Rapallo è il tempo, Ganna è il luogo.

Dopo l’infanzia c’era ritornata da giovane riluttante, solo per accompagnare la mamma che ci ritornava volentieri. La visita non l’aveva emozionata. In quel momento l’infanzia non era importante per lei. Perennemente innamorata odiava allontanarsi da Rapallo anche per una sola settimana e, durante i giorni della lontananza, il suo pensiero tornava ossessivo al suo ragazzo, senza vivere la realtà presente.

Da quando era diventata anziana era emersa la nostalgia dell’infanzia e il desiderio di rivederne i luoghi.

Per Rapallo sarebbe stato semplice se il luogo fosse sopravvissuto alla speculazione edilizia, perché Gianna viveva lì.

Per Ganna invece avrebbe avuto bisogno di un compagno più disponibile, ma Franco era riluttante a muoversi. Così Gianna aveva coltivato a lungo questo suo desiderio, senza mai realizzarlo. Ogni tanto lo rispolverava come un ricatto o una lusinga.

Sì, io ti accompagno a Lugano alla mostra dei coltelli, ma ci fermiamo per il week-end, così facciamo in tempo a passare da Ganna. Vorrei tanto rivederla.-

- Figurati, ma cosa c’è a Ganna da vedere! Andiamo a Lugano in giornata guardiamo la mostra e facciamo un giretto lì.-

- Non se ne parla, vacci da solo. A me non interessa la mostra, a me interessa Ganna. Come io vengo incontro a te, tu potresti venire incontro a me e saremmo contenti tutt’e due. –

- E’ che tu hai sempre dei desideri così stravaganti. Ganna, un paesino di campagna, sperduto. Mi toccherebbe fare un giro... No, no non me la sento.-

Così le occasioni sfumavano e il desiderio cresceva.

Finalmente arrivò la coincidenza giusta. Un cugino di Gianna doveva recarsi urgentemente a Lugano per un affare, ma aveva l’auto dal meccanico. Le  chiese in prestito la sua macchina. Gianna acconsentì chiedendo in cambio di poter andare anche lei.

Il cugino non fece storie e. al ritorno, percorsero la vecchia strada Ponte Tresa Ganna.

Già sul ponte di Tresa Gianna si rivide piccolina, con le tavolette di cioccolato goffamente nascoste sotto il cappotto e, pur senza averla in bocca gustò il sapore della cioccolata svizzera che da piccola la faceva impazzire.

Ecco il lago di Ghirla. lo rivide ghiacciato come nell’inverno del ’45, quando ci si andava a pattinare a turno, perché i pattini erano solo un paio. E la voce degli adulti: - Attente, non andate al centro. E’ sottile, potrebbe rompersi. -

Poi Ganna, un po’ diversa sulla provinciale. Manca l’edicola con i tre scalini, il macellaio, ma c’è l’ufficio nuovo della Posta.

Posteggiano, scendono e si affrettano nella stradine centrali. Sono asfaltate. Gianna ricordava i blocchi di porfido, le dalie al bordo degli orti, l’odore di stalla, proprio lì, nel centro del paese. Scende verso quella che era la stazione del trenino, non c’è più, lo sapeva, ma l’immagine globale è simile a quella del suo ricordo, tanto da farle trattenere il fiato. Il torrentello dove pescava gamberetti trasparenti gustosissimi. Sullo sfondo il campanile quadrato, dietro la Martica, davanti il monumento ai caduti.

Gli occhi si velano di commozione, la bocca sorride.

Si ricorda bambina con Lucia e Federico. Insieme giocano a saltare l’inferriata di ferro che circonda il monumento. Il primo salto va bene, ci prendono gusto. La seconda volta lei salta troppo basso, non supera bene la cancellata ed una lancia di ferro le taglia profondamente la coscia, in alto vicino alla natica. Risente il calore del sangue che esce abbondante sulla sua mano che cerca di chiudere la ferita, il suo pianto spaventato, la fatica di risalire fino a casa accompagnata dai due amici che la sorreggono, uno per lato.

Rivive lo spavento della mamma che deve gestire una ferita così importante, senza l’aiuto di un dottore.

La prima medicazione non regge. Qualcuno va a cercare il medico a Marchirolo Arriva, le sembra un orco. Parla a voce alta, decide di chiudere la ferita con i punti a graffetta, sottolinea il pericolo dell’infezione tetanica, ma anche il pericolo del siero antitetanico. Lascia ventiquattro ore di tempo alla mamma per decidere da sola sul da farsi.

La povera donna non sa cosa decidere. Di fronte alla casa colonica dove abitano Gianna , la mamma e la famiglia di Lucia e Federico, c’è una bella villa bianca. Villa Campiotti appartiene a una famiglia di Varese, benestante e numerosa. Sembra che qualche figlio studi da dottore. La mamma si fa coraggio e va a chiedere consiglio al giovane studente. Si decide di fare l’antitetanica. A questo punto gli urli di Gianna superano il muro del suono. Ha una irrecuperabile paura degli aghi e delle iniezioni.

Se pensa a quello che le è successo nella vita, sorride di quella bambina spaventata per così poco. Quante ne ha passate e superate negli anni! La paura però è rimasta: ogni visita, accertamento, intervento le procurano insostenibili ansie e malesseri.

- Signora, lei somatizza. – le dicono i medici.

Bella scoperta, almeno le insegnassero a sbloccare questo meccanismo malvagio.

Ora il monumento e la recinzione le sembrano meno maestosi e alti, ma l’emozione di ritrovarli è potente.

La badia di San Gemolo

Da lì in su è tutto come allora. La strada in salita con i blocchetti di porfido, la badia di San Gemolo bella e triste come si conviene ad un martire decapitato  Sulla destra il convento, le scuole delle suore, nel giardino ancora intatta la grotta di Lourdes con la Madonnina bianca e le mani giunte.

- Com’è kitsch! – esclama Gianna guardando la grotta in calce e cemento. – Da bambina mi affascinava,  sarei stata ore a guardarla..-. E’ felice di ritrovare tutto tale e quale.

Ecco alla fine della salita la casa colonica con il grande terrazzo in legno scuro, coperto dalla tettoia, dove venivano appese le pannocchie di granoturco raccolte nel campo  davanti a casa.

A questo punto Gianna lascia che l’emozione prenda il sopravvento e piange di gioia, di commozione, tutto il suo corpo vibra come fosse percorso da una scossa. Ricorda con gli occhi della memoria il giallo delle pannocchie, risente il cigolio dell’altalena anch’essa appesa alla trave del terrazzo. Quante ore trascorse su quell’altalena: da sola, in due, in tre. Federico seduto e lei in piedi sull’altalena a dare la spinta piegando ritmicamente le ginocchia. Ad ogni spinta avvicinava il bacino al viso di Federico, che sceglieva sempre quella posizione, in un inconsapevole gioco sensuale.

Davanti alla casa c’è ancora il sentiero, grigio di ghiaia, che porta alla sorgente di San Gemolo. Un posto che l’attirava per l’acqua e l’impauriva per la salma incartapecorita del Santo conservata nella cappelletta vicino alla sorgente.

Non c’è tempo per salire i sentieri della Martica per vedere se ci sono ancora i ciclamini così profumati. Sulla via del ritorno verso l’auto incontrano il cimitero. Gianna entra e, come guidata da un istinto, si dirige a destra. Una, due, tre, cinque tombe. Si ferma. E’ la tomba della sua bisnonna. La fotografia ancora nitida, il marmo in ordine. Nonna Carlotta, il pensiero è sempre più forte della realtà in lei. E Gianna la ricorda paziente sotto l’ombrellino a dirle delle viole del pensiero.

Ne cerca una in giro, la trova, anche loro sono rimaste. Ne raccoglie una con delicatezza e l’appoggia sulla tomba della nonna.

Il cerchio dei ricordi si chiude in questo gesto antico: come faceva a Rapallo, così a Ganna.


Ada BOTTINI


Rapallo, 30 Dicembre 2014




Le vere TALL SHIPS

DALL'EPOPEA DELLA VELA ALLE VERE TALL-SHIPS

 

Con il Congresso di Vienna ritornò la pace e la stabilità politica nel Mediterraneo. Vittorio Emanuele I di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna, reintegrato nei suoi antichi domini, poté annettere la Repubblica di Genova. Da quel giorno la Capitale ligure tornò a vestirsi alla marinara e la gloriosa bandiera di S.Giorgio riprese a sventolare sui pennoni dei grandi velieri e dei primi clipper ad elica, in tutti i mari del mondo.

In seguito Genova sviluppò la sua celebre industria cantieristica che coinvolse, nella sua sfolgorante espansione, quasi ogni borgo delle due riviere. In seguito, verso la metà del secolo, apparvero sulla scena le grandi figure armatoriali: Gattorno, Rocca, Frassinetti, Barabino, Danovaro, Mainetto, Costa, Drago, Vaccaro, Gazzolo, Balestrino, Fravega, Consigliere, Risso, Stagno, Berardo, Picasso, Cordano, Canevaro e molti altri.

Ma fu  Camogli, quel piccolo borgo rivierasco, a dare il più alto contributo, prima alla Marineria Sarda e poi a quell’Italiana. Tra il 1860 ed il 1915 Camogli armò 1200 velieri, tutti d’altura, quando già era sorta nel 1853 la prima Associazione di Mutua Assicurazione Marittima. Non fu quindi un caso che, proprio tra questa formidabile gente di mare, si affermò questo principio etico-commerciale che fu ben presto imitato anche all’estero.

Ma la storia della vela raggiunse, come tutti i cicli della vita, il suo apice e poi fatalmente il suo tramonto. Durante il 1916 – nel mezzo della Prima guerra mondiale – fu scritto l’epitaffio sulla tomba di migliaia di velieri. Soltanto l’Italia ne perdette oltre cinquecento unità sotto i colpi dei cannoni e delle mine dei sommergibili tedeschi che poche volte usarono il siluro, ben più costoso delle disarmate navi a vela. In seguito la storia, presa nel vortice di nuove guerre e allettanti tecnologie, dimenticò per lungo tempo le silenziose e romantiche vele bianche e delegò la cronaca per registrare, nel settembre del 1957, la tragica fine del Pamir, l’ultimo clipper del nitrato e poi veliero granario, scomparso in uno spaventoso uragano nell’Atlantico.

Oggi ben poco è rimasto di quella singolare epopea velica, legata ai ricordi di quei trasporti commerciali. Per fortuna, grazie alle donazioni di alcuni speciali Armatori nordici, citiamo fra tutti Gustaf Erikson, possiamo ancora ammirare nel loro antico splendore alcune navi a palo che galleggiano solitarie, fuori dal tempo, e sono in perfetta “good shape”.

Ecco i loro nomi:

Pommern. Sottoposto ogni anno a bacino di carenaggio, pitturazioni e alle manovre marinaresche dei suoi vecchi comandanti, il veliero (nave a palo) continua a vivere nel porto di Marienhamn (Åland-Arcipelago finlandese). Con l’importante Museo Navale, il Pommern rappresenta la tradizione e la cultura marinara di un popolo che ha tratto per secoli il proprio sostentamento dall’attività sul mare.

Viking. Ormeggiato in un’ansa del porto di Göteborg, tra le modernissime stazioni marittime della città, la nave a palo richiama ogni anno migliaia di visitatori che amano rivivere la vera tradizione velica del Nord Europa.

Alf Chapman. Nave-Museo e perla incastonata tra le isolette del porto di Stoccolma, a baluardo della “gamla stan” (città vecchia). E’ sempre in perfetta manutenzione e reso navigabile nelle ricorrenze delle grandi feste nella corta estate nordica.

Passat. La grande nave a palo saluta ogni giorno migliaia di passeggeri che transitano tra la Germania e la Danimarca ed è visitabile nel porto-traghetti di Lubeck-Travemunde.

Per la verità anche l’America può vantare, tra le unità della U.S.Coast Guard, la nave scuola

Eagle. Questo splendido brigantino a palo fu impiegato durante la Seconda guerra mondiale nel trasporto di merce varia nel mar Baltico. Ma, strano a dirsi, anche per il trasporto  truppe.

Oggi, quasi tutti i velieri superstiti sono impiegati come navi scuola come la nostra gloriosa

Amerigo Vespucci e la Tall Ships Race (la gara tra le navi alte) che li raggruppa è diventata, fin dalla sua nascita nel 1956, l’occasione per ammirare queste uniche testimonianze del passato e per ricordare ai nostalgici della vela, le competizioni commerciali e fors’anche sportive che riempirono le cronache marittime per gran parte dell’800 e che resero celebri i clipper del té, del grano, coloniali ecc...

Nel lungo elenco di queste navi della tradizione, meritano la citazione le due belle navi a palo della marina russa:

Sedov e Kruzenstern che possono vantare, con orgoglio, il nobile pedegree di vere navi da trasporto commerciali. I due anziani velieri, tuttavia, reggono ancora magnificamente il confronto con le giovani Tall-Ships del nuovo millennio, non solo sul piano estetico, ma anche su quello della velocità.

La Kruzenstern appare addirittura imbattibile.

Le Tall Ships a Genova: “pochi spettacoli sono più emozionanti dell’armoniosa bellezza di una flotta di grandi velieri che scivola silenziosa fuori del porto, lungo una linea sinuosa e policroma che avanza e si estende”. Questo è l’indelebile ricordo che ci accompagna dalla Pasqua del 1992, quando furono celebrate le Colombiadi nel cinquecentenario della scoperta dell’America, in onore del grande navigatore genovese. In quella splendida giornata  d’antichi revival, oltre mezzo milione di turisti estasiati si unirono ai genovesi per ammirare l’immensa rada che si era improvvisamente trasfigurata in un sogno vero.

Era il giorno di Pasqua, il passato sembrava risorto nelle sembianze di una processione solenne che sgusciava lentamente, con la prora in direzione del santuario della tradizione: la Camogli dei mille bianchi velieri.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22.02.12


 


NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

In questa immagine si nota una nave della P&O alla fonda nel Tigullio. Notare i simboli delle due eliche prodiere di manovra. La nave é ultra moderna. La sicurezza é assicurata.

Chi ebbe l’ardire di emettere l’ordinanza post-Giglio, forse ha cambiato idea. Nel frattempo, qualcuno del ramo deve avergli consigliato di farsi  una crociera nell’arcipelago di Stoccolma, dove le stesse navi da crociera che sostano a Venezia, sbucano improvvisamente dal nulla svettando tra le betulle degli isolotti e poi si “sfiorano in controcorsa” con altre navi di simili dimensioni. Ma, attenzione: gli svedesi non sono degli incoscienti e concedono il passaggio soltanto a quelle navi, anche superiori ai 250 metri di lunghezza, che hanno particolari ed eccezionali caratteristiche di manovra e di tecnologia.

 

Lo stesso spettacolo viene offerto in Norvegia dai grandi postali super tecnologici dell’Hurtigruten che collegano il sud della Norvegia fino ai confini della Russia sfidando scogliere e altri ostacoli naturali in climi difficili e spesso ostili.

 

 

 

In questa stupenda immagine della Royal Princess (P&O) dei primi anni ’70 davanti a Santa Margherita, notiamo innanzitutto la sua vicinanza all’imboccatura del porto. La nave era di tipo tradizionale e non aveva le eliche trasversali di manovra (a prora e a poppa). Noi riteniamo che soltanto per queste navi, superate ed obsolete, dovrebbe valere l’obbligo di ancorare oltre il limite previsto dalle ordinanze. Tuttavia, occorre anche sottolineare che, in cinquant’anni di attività crocieristica nel nostro golfo,  non si é registrato neppure un incidente.

Noi italiani, malati di burocrazia, ma soprattutto d’incompetenza marinara, pur avendo la fortuna di godere del clima più bello del mondo e di spazi ampi e luminosi, ci complichiamo la vita con divieti assurdi che impediscono alle navi ultramoderne di operare e portare quei benefici economici che sono stati, per lungo tempo e per lunga tradizione la nostra più importante risorsa.

Vi siete mai chiesti dove sono finiti i nostri grandi armatori del passato? Il discorso sarebbe troppo lungo, ma vi posso assicurare che le “vie del Mare” sono lastricate di Armamenti falliti per la mancanza di una programmazione del settore trasporti.  Le tanto auspicate “riforme” del sistema MARE-Italia non sono neppure in agenda del nostro Primo Ministro, mentre il resto d’Europa ha  sistemato d’autorità,  da almeno 30 anni, le persone giuste al posto giusto.

 

Ritornando al tema, vorrei porre la vostra attenzione su un particolare che forse vi é sfuggito. Nell’incontro tra esperti tenutosi nel municipio di Rapallo nei giorni scorsi per individuare il punto di fonda per le navi passeggeri, mancava la persona che più di ogni altro avrebbe potuto parlare di navi da crociera, di punti di fonda, di problemi attinenti lo sbarco/imbarco dei passeggeri e della GESTIONE MANAGERIALE DI UNA NAVE MODERNA. Soltanto un Comandante in carriera, o a riposo da poco tempo, conosce e può suggerire soluzioni attendibili con cognizione di causa. Quel Comandante-fantasma avrebbe potuto spiegare ai presenti come queste cose funzionano in Grecia, lunghe le coste Dalmate, in Turchia, ma anche in altre decine di rade del Mediterraneo. Nei porti Caraibici di Cozumel, St. Maarten, St. Lucia, Tortola, Martinica, Gaudaloupe, St. Thomas, Grenada, Barbados, Antigua, St. Kitts, Nevis, Haiti, Jamaica, Portorico, Isla Margherita ecc... esistono banchine (anche tipo finger) completamente sconosciute dai nostri responsabili ministeriali. Inoltre,  in alcune isole, dove le navi devono rimanere  all’ancora perchè le banchine sono occupate, il servizio viene effettuato  da speciali  lance locali, munite anche di bow thruster (elica di prora).  In altre, come Grand Cayman, dove per la configurazione della costa non è possibile costruire banchine, a terra dispongono di Tenders locali (da 250 persone), sufficienti per traghettare i passeggeri di 4 navi di grosso tonnellaggio alla fonda.

 

I problemi si risolvono accogliendo le soluzioni suggerite dai Comandanti-naviganti e non bloccando “burocraticamente” i flussi crocieristici soltanto perché un imbecille é finito sugli scogli ... nonostante altri Comandanti ne avessero sconsigliato il passaggio al comando. Le navi  portano lavoro e denaro ed é un crimine mandarle via!

 

 

In questa foto di 15 anni fa, notiamo che la nave da crociera del nuovo millennio Carnival Destiny aveva già TRE eliche di prora (i tre puntini neri sono visibili a destra dell’ancora). Con questa innovazione tecnologica i Comandanti sono in grado di operare in qualsiasi condizione meteo avendo la possibilità di far ruotare la nave su se stessa, evitando di compiere curve pericolose vicino alla costa o ad altre navi all’ancora. La stessa capacità evolutiva é applicata anche sulla poppa.

Concludiamo con un breve “cenno tecnico” destinato alle orecchie di  chi ha la volontà di capire e agire: le navi moderne si avvicinano a poche centinaia di metri dai porti che non hanno strutture per riceverli, come nel Tigullio, rimangono “ferme” usando le eliche trasversali, sbarcano i passeggeri sulle lance (che dovrebbero essere Tenders locali) li trasportano a terra e poi ritornano in rada. La stessa operazione (con o senza il pilota portuale) viene eseguita per reimbarcare i passeggeri e riportarli a bordo prima della partenza nave per un’altra destinazione. I burocrati di Stato non vogliono conoscere queste opzioni, perché le temono e le respingono essendo troppo rischiose per la loro “poltrona”. Ad ognuno il suo!

Ma é da “marinai da tempo buono” fissare dei limiti senza tener conto dei cambiamenti del tempo. Solo un Comandante può scegliere la soluzione più sicura per ogni condizione ambientale.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 


GARIBALDI un uomo di mare

 

GIUSEPPE GARIBALDI

UN UOMO DI MARE

Giuseppe Garibaldi sul ponte di comando in una celebre illustrazione di Edoardo Matania

Nell’anno delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, molto si é letto sulla figura di G.Garibaldi rivoluzionario, condottiero militare, politico, agricoltore, tombeur de femmes ecc... ecc... Per noi che respiriamo da sempre atmosfere di navi e di porti, l’Eroe dei due Mondi é innanzitutto un Uomo di Mare, di questo mare, che lo ha visto arrivare, sbarcare, prendere le armi e ripartire portando nel cuore e sulle labbra una sola idea:

‘LIBERTA AD OGNI COSTO’

La difficile Partenza dei MILLE

5 Maggio 1860

Genova sulla scena risorgimentale.

Il 7 gennaio del 1815 Vittorio Emanuele I Re di Sardegna prendeva possesso del Genovesato insieme all’antico Stato Piemontese ritornatogli in forza del Trattato di Vienna. Genova unita al Piemonte partecipò attivamente alla prosperità del Regno Sabaudo con il suo commercio, il suo porto e le sue ricchezze. Da questa antica terra fertile di eroi e molto scontrosa con gli invasori, affioravano ancora vive e forti quelle idee di libertà e d’indipendenza che nel 1831 Giuseppe Mazzini raccolse nel programma dell’Unità d’Italia, quando tutti tacevano per paura dell’esilio, del carcere e del patibolo. Dalle riviere si stagliava di prepotenza Giuseppe Garibaldi facendosi il degno rappresentante di quel programma. Nel 1846, anno portatore di grandi avvenimenti, si radunavano a Genova gli scienziati italiani e si parlava coraggiosamente di Italia Unita; nel 1847 fu un altro intrepido genovese Nino Bixio che spinse Carlo Alberto a promulgare lo Statuto. Nella prima Camera Subalpina due genovesi furono chiamati da Carlo Alberto nel Consiglio della Corona: Vincenzo Ricci Ministro dell’Interno e poi delle Finanze, e Lorenzo Pareto Ministro degli Esteri, che governarono lo Stato Sardo in momenti di alta tensione per la causa italiana. Ed é bene ricordare come nella casa segnata con il n.3 in via Cairoli, abitata da Agostino Bertani, si organizzò in gran parte la Spedizione dei Mille che partita da Quarto il 5 maggio 1860 in un baleno unì l’Alta Italia, già liberata dallo straniero, alle Due Sicilie, per cui nel marzo dell’anno successivo fu resa possibile la proclamazione del Regno d’Italia.

Il Porto di Genova, teatro della storica Spedizione

Per dare un’idea delle dimensioni e della vivacità del Porto di Genova in quel periodo di grandi fermenti rivoluzionari, ci addentriamo per un attimo tra i meandri delle vecchie calate del Porto Vecchio affidandoci a impolverate statistiche che riprendono d’incanto mestieri e professioni rimaste ancorate al plurisecolare mondo della vela che lentamente andò scomparendo proprio con l’Unità d’Italia.

E scopriamo che nel periodo (1825-1870) le opere portuali effettuate sono: il prolungamento (125 mt.) del Molo Vecchio fra il 1831 e il 1846, quello del Molo Nuovo fra il 1856 e il 1868, il banchinamento del tratto fra il Palazzo del Principe e San Benigno (Calata Zingari e San Lazzarino). Dopo il 1850 la nuova politica di Cavour ridisegna l’architettura portuale. Le nuove richieste di linee con le Americhe, le imminenti aperture dei valichi transalpini, le risonanze della Rivoluzione Industriale europea, spingono verso un’unica direzione: il rinnovamento dell’assetto portuale e ad un rilancio delle attività commerciali e armatoriali.

Nel periodo 1854-1864 il numero complessivo dei barcaioli (portuali) che operano a bordo delle navi e sulle chiatte sono stabili sulle 1000 unità, e si dividono nelle operazioni di sbarco/imbarco delle mercanzie in arrivo ed in partenza dal porto. Ci sono poi gli addetti al rimorchio delle chiatte, quelli che traghettano le persone tra i Pontili ed altri che fanno servizio ai vapori. Rimangono enucleati i 100 barcaioli della Compagnia dei Soccorsi Marittimi che sono una sorta di Corpo Pubblico fornito di 100 battelli e armato con 10 squadre di 10 persone, compreso il loro rispettivo padrone. Detto corpo viene istituito nel 1823 da un R. Decreto per entrare in azione nei casi d’incendi e di procelle. La Sezione é comandata da un Capitano di lungo corso e da un Capitano di gran cabotaggio. Questo Corpo é autonomo e i suoi membri godono di uno stipendio pubblico. I piloti sono 24, divisi in due squadre, ogni squadra ha il suo capo pilota.

L’arte del piloto é di molta importanza e per diventare piloto fa d’uopo d’un esame pratico come lo prescrive il Regolamento. Questi conducono le navi in porto sotto la loro totale responsabilità, e perciò sia i capitani che gli assicuratori delle navi sono garantiti di qualunque sinistro accidente entrando in porto la nave.”

Nel 1854 Le maestranze presenti nel Porto di Genova ammontano a 4.143 unità e sono così suddivise:

100 Barcaioli della Compagnia dei soccorsi marittimi

100 Barcaioli numerari (avventizi) della comp. Soccorsi marittimi

500 Barcaioli di cui 241 con battello proprio

480 (504 Barcaioli in servizio alle navi (12 squadre da 40 a 42 uomini)

296 Barcaioli “tollerati” ossia non iscritti alla corporazione

24 Piloti pratici

750 Facchini di grano

367 Facchini di vino

300 Facchini di Ponte Spinola

200 Facchini del Ponte della Mercanzia

78 Facchini del Ponte Reale

38 Facchini del ponte Legna

250 Facchini della Caravana del Portofranco

40 Facchini al transito

40 Facchini ai salumi

350 Zavorrai ossia “minolli”140 Calafati (maestri)

30 Calafati (garzoni)

70 Carpentieri (maestri)

30 Carpentieri (garzoni)

40 Linguisti (interpreti)

6 Cadrai (fornitori di pasti caldi ai portuali)

Nel 1864 risultano 3.839 unità, per l’abolizione dei “Zavorrai”.

Tra il 1860-1863 50 sono i bastimenti che in media entrano ed escono dal porto.

Nel 1861 il tonnellaggio complessivo delle navi in arrivo oltrepassa il milione di tonnellate.

Nel 1818 le merci trafficate erano state 385.000 tonnellate.

Questo é il “teatro” scelto da Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio per intraprendere la Spedizione verso Sud destinata a cambiare il destino del nostro Paese. E non può che essere Genova, la loro terra, articolata e difficile da domare, arroccata attorno a quel grande porto internazionale animatissimo di navi e genti di ogni razza, dove é facile confondersi e nascondersi tra le merci stivate sulle calate e nei vasti e tortuosi magazzini senza lasciare traccia di sé. E poi c’é la casba con la sua misteriosa ragnatela di vicoli che inizia fuori delle Calate Interne ed é cresciuta per proteggere gli amici e ingoiare i nemici ed é proprio in quella miriade di carrogi dell’angiporto che il passaparola viaggia indisturbato per assemblare la storica Impresa. Ma occorre essere marinai genovesi per conoscere ogni metro del territorio, soprattutto del centro storico più esteso d’Europa che la storia ha ceduto da secoli al riposo del navigante. In questo contesto omertoso, i Savoia sanno... ma non devono vedere. Le spie austriache non sanno e non devono sapere, ma sono dappertutto. Occorre essere profondamente liguri per vivere intensamente le aspettative e le ansie del popolo, interpretarne i moti rivoluzionari e guidarne il vecchio orgoglio repubblicano verso una sola grande meta: l’Unità d’Italia. Garibaldi é l’uomo giusto; del ligure ha l’origine chiavarese, ma anche altri tipici connotati come il carattere coraggioso e deciso dell’uomo di mare, amante della libertà, l’attaccamento al dialetto, lo spirito d’iniziativa e la generosità. Ceduta Nizza alla Francia dov’é nato nel 1807, Garibaldi ottiene la cittadinanza genovese, e per questo motivo ha forti legami con il capoluogo che rappresenta il centro vitale di quel Partito d’Azione del quale egli é il capo militare prestigioso ed indiscusso.

Un aspetto poco noto della storica Spedizione dei Mille

La stele rostrata dell’artista genovese Giovanni Scanzi è stata innalzata per commemorare i 50 anni della Spedizione dei Mille che da quel punto del porto prese inizio.

La prima e più importante Stazione Marittima Passeggeri del porto di Genova sorse proprio qui a Ponte dei Mille. Il destino volle che da questo storico e strategico terminale partissero, in seguito, molte altre spedizioni legate all’emigrazione, alle guerre, alle linee con le Americhe ed infine alle crociere turistiche dei giorni nostri. Sulla colonna rostrata di Ponte dei Mille c'è una targa commemorativa che riporta l'evento che ebbe protagonista l'Eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi. Nella parte esposta al passaggio del pubblico si legge la poetica scritta in latino:

HEIC UBI PER TENEBRAS LUX FINISSIMA EMIQUIT ROMAM QUAE NOVIT POST FACTA RESURGIT

Ma é sul retro della stele che si nasconde il vero significato marinaro dell’avvio della grande impresa che fu redatta dallo stesso Eroe dei due Mondi:

GIUNGERE A BORDO DI DUE VAPORI NEL PORTO DI GENOVA ORMEGGIATI SOTTO LA DARSENA, IMPADRONIRSI DEGLI EQUIPAGGI, ACCENDERE QUINDI I FUOCHI, PRENDERE IL LOMBARDO A RIMORCHIO DEL PIEMONTE. SON TUTTI FATTI PIU’ FACILI A DESCRIVERE CHE AD ESEGUIRE E VI FAN MESTIERE MOLTO SANGUE FREDDO CAPACITA’ E FORTUNA.

Giuseppe GARIBALDI

IN MILLE SUL MAREPiroscafi rubati, armi da operetta, un nemico distratto e alleati che non vogliono compromettersi: eppure quella di Garibaldi fu la più grande epopea della storia d’Italia”.

A noi pare che questa frase tratta dal 4° libro di Navi e Marinai, colga pienamente lo spirito dell’impresa che non fu mai il frutto di mera incoscienza come potrebbe sembrare ad un primo esame, ma piuttosto il risultato di un rischio calcolato cui gli uomini di mare sono usi affrontare quasi ogni giorno, ben sapendo di poter contare soltanto sulle proprie forze. Quanto segue non si propone quindi d’entrare nel merito storico di uno fra i più avvincenti episodi dell'Unità d'Italia, ma piuttosto di rivisitare lo scenario genovese con i suoi principali personaggi: Garibaldi e Nino Bixio che, prima d'essere stati i valorosi combattenti che tutti conosciamo, erano Capitani di mare. Garibaldi, addirittura, ebbe la sua prima nomina a comandante su una nave camogliese; Nino Bixio fu invece l’organizzatore materiale dell'evento descritto dalla targa suddetta. La sua perizia nautica permise di iniziare con successo quella Spedizione che rimane scritta con inchiostro indelebile sui nostri testi di storia, nonostante da più parti siano in atto riletture quanto meno sconcertanti che esulano, tuttavia, dall’obiettivo del presente lavoro.

Lo Scenario Portuale e le Navi

Questa immagine rispecchia fedelmente lo scenario portuale genovese nei giorni della famosa Spedizione dei Mille.

Occorre trovare le navi per trasportare in Sicilia i Mille che stanno radunandosi a Genova da ogni parte d’Italia. Ci pensa Bixio organizzando l’evento in gran segreto con l’amico Giovanni Fauché, direttore della Società di Navigazione Rubattino. “La storia di questa prima fase del viaggio”, ci confida lo studioso com.te Bruno Malatesta “non é molto chiara. Pare tuttavia che l’armatore Raffaele Rubattino ne sia completamente all’oscuro e, scoperto il tranello, vada su tutte le furie licenziando in tronco il suo dipendente. Ma in un secondo tempo capisce che dal fatto può trarne vantaggi ed onori. Allora cambia strategia e diffonde ad arte la leggenda che lo indica come uno dei protagonisti della Spedizione. Il contratto di cessione delle navi a Garibaldi viene chiuso segretamente a Torino nei giorni precedenti la partenza, col benestare del Regno Piemontese. Va detto che questo debito sarà successivamente saldato al Rubattino con l'acquisizione della Soc. di Navig. Florio. Quell'annessione formerà il primo nucleo della Prima Flotta della Marina Mercantile Italiana”.

Ritornando alla fase iniziale della Spedizione, si scopre che Bixio e Fauché sono d’accordo, fin dal 10 aprile, di sottrarre un piroscafo alla Soc. Rubattino per destinarlo alla progettata spedizione in Sicilia. Ma ben presto emerge un nuovo problema, i volontari crescono di numero, una sola nave non é abbastanza capiente per trasportarli tutti. Decidono allora di catturarne due. La fortuna li assiste. Il Piemonte e il Lombardo si trovavano in quei giorni nel porto di Genova per mancanza di noli. All’imbrunire del 5 maggio, Bixio (fedele al motto mazziniano: Pensiero e Azione), assembla una trentina di fidati bucanieri e mette in atto un vero e proprio atto di pirateria nostrana impossessandosi dei citati piroscafi dell’armatore genovese. L’ormeggio delle due prede si trova di punta alla Batteria della Darsena, l'odierno Ponte dei Mille ed é esposto al controllo dell’Autorità portuale sabauda. Occorre quindi salpare al buio. Le due navi del Rubattino sono del tipo a motore con pale rotanti e sono anche dotate di vele quadre per tranquillizzare i passeggeri che guardano ancora con sospetto la nuova tecnologia meccanica. In mezzo a loro c’é una vecchia nave in disarmo. Si chiama Joseph e Nino Bixio l’aveva scelta come base segreta nei giorni che precedono lo scatto dell’operazione.

Nella foto il piroscafo a pale LOMBARDO in navigazione

Il piroscafo a pale PIEMONTE in un celebre dipinto d’epoca.

Ma torniamo a quella sera. Con l’appoggio di chi sa ma non lo denuncia apertamente alle Autorità, i nostri eroi salgono a bordo delle due navi, ne prendono il possesso annientando la rassegnata resistenza degli equipaggi completamente ignari degli avvenimenti in corso. Il nuovo comandante del Lombardo é Nino Bixio; Garibaldi prende il comando del Piemonte, il cui capitano, Salvatore Castiglia, é un patriota siciliano. Del commando fa parte Simone Schiaffino, l'eroe camogliese che sarà il timoniere del Lombardo.

Il piano prevede di salpare velocemente e dirigere verso il defilato Scoglio di Quarto per imbarcare il resto delle camicie rosse e proseguire per la Sicilia. Ma gli imprevisti non mancano mai! Nino Bixio viene informato dal Direttore di Macchina Giuseppe Orlando che i fuochisti non riescono ad avviare il motore del Lombardo. A questo punto il comandante garibaldino decide senza esitazioni di tentare il difficile rimorchio del piroscafo in avaria sperando che la riparazione possa concludersi durante il rimorchio o, nella peggiore delle ipotesi, durante le operazioni d'imbarco dei MILLE a Quarto.


Il Condottiero é un uomo di mare vero, cresciuto sui bastimenti a vela. Ha esercitato il comando ed ottenuto la Patente di capitano di lungo corso, proprio a Genova. Garibaldi é perfettamente consapevole dei pericoli d’affrontare quella notte. Il tragitto tra l’ormeggio della Darsena e lo scoglio di Quarto non é eccessiva (circa 5 miglia), tuttavia i rischi di far fallire la L’Impresa ci sono tutti: Possibile rottura dei cavi da rimorchio di cui nessuno conosce l’efficienza - Collisione in porto con navi alla fonda durante l’uscita con lancio di segnali d’allarme generale e accensione di fuochi in porto - Altissimo l’azzardo di essere scoperti, catturati e imprigionati dai militari savoiardi. L’inizio della Spedizione dei MILLE fa tremare i polsi anche ad esperti Capitani di l.c. come Nino Bixio (il rimorchiato) e Giuseppe Garibaldi (capo convoglio).

Il Porto Vecchio pre-industriale conservava ancora il suo impianto medievale ed era ben diverso da quello attuale. Le immagini d’epoca lo raffigurano simile ad una foresta d'alberi di velieri ormeggiati alle boe e già in competizione con altrettanti fumaioli di piroscafi che rappresentano la novità del secolo. Un nuovo modo di navigare che dovrà aspettare ancora un cinquantennio per imporsi definitivamente all’attenzione dello shipping internazionale. Lo scalo era quindi frastagliato d’imbarcazioni di ogni tipo, tantissime erano le bettoline, le maone, oltre alla presenza di quelle numerose imbarcazioni necessarie al funzionamento del porto che occupavano quasi tutto lo spazio navigabile, ridotto pertanto ad alcune canalette peraltro strette e ricche di anse.

Rimorchiatore a pale d’epoca garibaldina che, tuttavia, non potè essere impiegato nella manovra d’uscita dal porto del Piemonte e del Lombardo per non creare sospetti e allarmi nell’Autorità Portuale.

A questo punto per navigare al buio con un rimorchio senza governo occorre tanta forza d’animo. Il fallimento della Spedizione può annullare L’unità d’Italia. Ogni uomo imbarcato sul Piemonte e sul Lombardo é consapevole di vivere la Storia da protagonista e sa che porterà a compimento la sua missione lottando anche contro un avverso destino che cercasse d’insinuarsi tra le pieghe di quel colpo di mano.

Persino ai giorni nostri, il movimento di una nave ‘senza macchina’ tra due banchine del porto è normalmente effettuato in ore diurne e con tempo maneggevole, per motivi di sicurezza. La manovra è affidata alla direzione del pilota portuale, che si avvale di un rimorchiatore trainante a prora che stabilisce la rotta e la velocità del convoglio, ed un rimorchiatore (girato, frenante e trascinato) a poppa che calibra l’abbrivo ed aiuta la nave ad accostare. Il numero dei rimorchiatori impiegati dipende ovviamente dalle misure della nave, dalle condizioni meteo e da numerosi altri fattori contingenti. Il rimorchiatore frenante deve ‘abbozzare’ il cavo in coperta a poppavia per evitare di traversarsi e capovolgersi durante il trascinamento. In questa innaturale ma necessaria posizione lavora con i ‘piedi legati’, ha poca manovrabilità, tuttavia, ha anche il difficile compito di doversi trovare sempre dal lato giusto per aiutare e non danneggiare il movimento del convoglio. Chi traina stabilisce la rotta e la giusta velocità in relazione al vento, alle accostate e sopratutto alla potenza frenante del rimorchiatore di poppa. Com’è facile intuire, in questa calibratissima manovra, non solo l’esperienza gioca un ruolo determinante, ma anche la concentrazione, la precisione, il tempismo e la coordinazione tra i due rimorchiatori che spesso si trovano a dover affrontare improvvise tramontanate di 20-30 nodi, tutt’altro che infrequenti nel porto di Genova specialmente di notte. Il superamento di certe difficoltà si ottiene dopo anni di scuola di manovra la cui origine risale ad epoche ben più lontane dell’Unità d’Italia, quando al posto dei primi rimorchiatori a vapore, si usavano i gozzi a remi dei barcaioli-ormeggiatori che trainavano e fermavano i velieri a colpi di remi ed usavano la stessa tecnica appena descritta.

Questi scarsi elementi d’analisi, devono quindi farci riflettere sulle difficoltà incontrate e superate dai nostri Eroi improvvisando una manovra ritenuta a tutt’oggi tra le più delicate dagli addetti ai lavori. Tutt’oggi ci chiediamo se il Piemonte al comando di Garibaldi, ed il Lombardo al comando di Bixio, siano stati aiutati ad uscire dal porto da esperti barcaioli portuali offertisi volontari (nottetempo) per la risoluzione di quell’improvviso problema nautico?

Siamo giunti così alla ‘fase operativa’ di questo racconto in cui il nostro sforzo di fantasia non è stato eccessivo, perché l’esserci immedesimati totalmente nella manovra, ci ha fatto comprendere pienamente il senso del messaggio di Garibaldi riportato sulla stele dello scultore Scanzi.

Le parole del marinaio-generale Garibaldi rivelano, infatti, l’ansia e la sofferenza del vero uomo di mare che é costretto dagli avvenimenti a scegliere una fuga d’emergenza che si è dimostrata vincente con il solo supporto di ‘un po’ di fortuna e tanto coraggio’.

La manovra

Il Piemonte salpa per primo le ancore e s’affianca al Lombardo lasciato sui cavi sottili di poppa. Una parte dell’equipaggio si dedica all’attacco di rimorchio, l’altra comincia a virare le ancore della nave in avaria. Combinate le manovre in modo da terminarle contemporaneamente, le due navi partono dalla Batteria della Darsena con l'ausilio, probabile, di compiacenti barcaioli-ormeggiatori. Sono le 2,15 del 6 Maggio 1860. Quel rimorchio rappresenta un capolavoro di tecnica marinaresca: con abili maneggi dei cavi di traino e variazioni delle motrici, le due navi scivolano via nella giungla di barche ormeggiate nello specchio d'acqua del porto. L'operazione é condotta nel massimo silenzio e nel tempo più breve possibile, senza l'ausilio dei Servizi portuali.

Nel grafico riportiamo la probabile rotta d’uscita del convoglio da Genova. E’ quasi certo l’impiego di cavi da rimorchio di cocco o canapa, sistemati a briglia e passati il più esternamente possibile dalla poppa del Piemonte e sulla prua del Lombardo. Questa attrezzatura rende sensibile il rimorchio ai richiami durante le accostate e i colpetti di macchina. Occorre smorzare l’abbrivo eccessivo e lo scarroccio laterale del rimorchio. Se i cavi da rimorchio sono corti, il Lombardo in fase d’abbrivo può toccare la poppa del Piemonte con l’albero di bompresso. Se i cavi sono lunghi il Lombardo non sente la briglia e, prendendo delle sverinate (accostate) da una parte o dall’altra, può investire ostacoli lungo il canale d’uscita. In queste rapide decisioni dettate dal vento e dagli ostacoli presenti lungo il percorso, sta la sofferenza descritta dal Generale nella targa ed il segreto della buona riuscita impresa. In ogni caso é accertato che, giunto il convoglio sull’imboccatura del porto, inizia la tortura del mare lungo da scirocco che produce agli scafi movimenti d’insidioso beccheggio. I cavi da rimorchio vengono in tiro e minacciano di strapparsi. Garibaldi dà l’ordine immediato di allungare i cavi da rimorchio passando dai 20 metri iniziali di manovra ai 40/50 metri di navigazione.

La Tecnica di rimorchio a “briglia”

Le cronache dell’epoca riportano infatti che appena giunti fuori dallo scalo genovese, il piccolo convoglio incontrò quel mare lungo che tanto fece patire certi volontari non abituati a viaggiare sulle navi.

Con i cavi di rimorchio posti in sicurezza, le due navi giungono allo scoglio di Quarto alle 3,30 di quella stessa mattina. Il motore del Lombardo viene riparato e le due navi salpano verso il SUD da liberare alle 7,15 - L'operazione preliminare dell'Unità d'Italia ha avuto successo.

….SON TUTTI FATTI PIU’ FACILI A DESCRIVERE CHE AD ESEGUIRE E VI FAN MESTIERE, MOLTO SANGUE FREDDO, CAPACITA’ E FORTUNA

Al contrario dei cosiddetti ‘terrazzani’ (uomini di terra), l’uomo di mare giustifica sempre i propri successi evocando la fortuna, proprio come Garibaldi. Ma si tratta di una pratica antica, forse superstiziosa che evita le sfide a quel caratteraccio volubile di Eolo da cui provengono tutti i guai ... Ma la verità é più semplice. Il senso marinaresco é un sentimento che viene da lontano passando da padre in figlio, proprio come nel caso del nostro Eroe Massimo cui non possono mancare gli strumenti mentali e nautici per affrontare con la giusta determinazione quel tratto di mare a rimorchio verso la grande Storia. Già! Il corso di quella Storia che sarebbe stato ben diverso se quella notte, insieme ad un pugno di marinai, l’Eroe dei due Mondi non fosse riuscito a scrivere quella difficile quanto ignorata pagina di perizia marinaresca.

Che fine fecero i due piroscafi? All'arrivo a Marsala, sia il Piemonte che il Lombardo riuscirono a sbarcare le camicie rosse, ma furono anche bersaglio dell'artiglieria borbonica. Dopo vari incagli e disarmi, il Piemonte venne avviato alla demolizione nel 1865 ed il Lombardo andò in secca alle Isole Tremiti nel 1864 durante uno dei suoi trasporti di prigionieri politici verso quelle isole adriatiche.

“Quando siamo partiti da Genova per la spedizione di Sicilia, il generale Garibaldi, calcolando in un batter d’occhio, scelse la nostra navigazione in modo che da Talamone a Marsala non incontrammo un bastimento. E credete voi che ciò lo abbia imparato nelle scuole?”

Nino Bixio alla Camera dei Deputati il 14 giugno 1861

I marinai Garibaldi e Bixio.

Garibaldi e Bixio frequentarono la Scuola Nautica di Genova verso il 1820 per imbarcarsi, al termine degli studi, come mozzi nella Marina Sabauda.

Bixio, dopo aver effettuato imbarchi come comandante di velieri, intraprese l'attività politica e patriottica e fu stretto collaboratore di Garibaldi. Dopo le vicende dell'Unità d'Italia, si dedicò all'attività di imprenditore-esploratore e, nel 1873, nel Mar della Sonda, morì di colera.


 

Giuseppe GARIBALDI (Nizza, 4.7.1807- Caprera 2.6.1882)

LE SUE NAVI

Lo scarno elenco di navi che segue é dedicato soprattutto a chi ha navigato e sa di mare. Giuseppe Garibaldi fu, prima di ogni altra cosa, un Uomo di Mare e lo rimase per tutta la vita.

Sulla Tartana “Santa Reparata” del padre Domenico – effettua viaggi di cabotaggio.

Sul Brigantino “Costanza” - effettua il 1° Imbarco ufficiale (1823-1824) Brigantino Giovanni Francesco” passa Gibilterra e naviga in oceano (1826) Successivamente parte con la Nave “Conte de Geneys” (1827) e poi con il Brigantino “ S.Giuseppe” (1827). Sul Brigantino “Cortese” Imbarca come Secondo e passa poi Scrivano. Assaliti dai pirati greci. G. Garibaldi sbarca ammalato a Costantinopoli. Sempre come scrivano imbarca sul Brigantino “Nostra Signora delle Grazie” del capitano e armatore Antonio Casabona di Camogli. Giuseppe Garibaldi passa al Comando (1832) e intraprende viaggi per il Mar Nero.

Nel febbraio del 1832 imbarca sul Brigantino “La Clorinda” – Dopo alcuni viaggi, sbarca per compiere il S. Militare e imbarca sulla “Euridice” con il nome di guerra Cleombroto” (1933) - Ricercato come appartenente alla “Giovine Italia” e ritenuto responsabile del tentativo di sollevazione della flotta organizzata da Mazzini, il 4 febbraio 1834 fugge a Marsiglia e trova asilo sul brigantino genovese “Assunta” - Vive a Marsiglia e s’imbarca sul bastimento Unione” in partenza per Odessa. Successivamente s’imbarca sul bastimento francese “Nautonier” diretto a Rio de Janeiro. Giunto in Brasile, Garibaldi partecipa alla lotta di liberazione dello Stato del Rio Grande do Sul e viene nominato Comandante della nave da guerra “Mazzini” con regolare Patente di Corsa rilasciata dal governo. Affondato il “Mazzini” in combattimento, prende il comando del “Luisa”. In questo periodo comanda con alterna fortuna le navi della flotta rivoluzionaria. Partecipa a numerosi colpi di mano come quello avvenuto con la Scuna Virgen de Recco” sul fiume Uruguay. Terminata l’avventura sudamericana, Garibaldi ritorna in Italia con 78 legionari sul brigantino Bifronte” dell’armatore Gazzolo di Nervi. La nave durante il viaggio cambia nome, diventa “La Speranza” e arriva felicemente a Genova il 23 giugno 1848. Tuttavia, dopo gli avvenimenti della Repubblica Marinara e della fuga in Romagna, l’Eroe dei due Mondi é costretto nuovamente a fuggire in America (New York). Il 31 ottobre 1851 l’armatore camoglino De Negri gli affida il comando del Brigantino a Palo “Carmen” sotto bandiera peruviana. Rimane molti mesi in Cina e rientra in Perù il 24.1.1853 dopo un viaggio avventuroso e fuori rotta attraverso l’Australia e la Tasmania. Il viaggio successivo é ancora più pericoloso. Carica lingotti di rame a S.Antonio a sud di Valparaiso e lo trasporta (via Capo Horn) a Boston (6.9.1853). Sotto la spinta dei patrioti italiani all’estero, l’Armatore ligure Fratelli Casaretto gli mette a disposizione un bastimento di 1.100 tonn. che viene chiamato “Commonwealth” . La nave carica di grano e farina parte il 6.1.1854 e arriva il’11.2.54 a Londra. 26 giorni di viaggio in quella stagione mettono in evidenza la perizia nautica di G.Garibaldi. Carica carbone e parte in aprile per Genova dove giunge il finalmente il 7.5.1854. I tempi non sono “politicamente” maturi e l’eroe ritorna a navigare. Ottenuto il Certificato di Capitano di Prima Classe, imbarca sul vapore a elica “Salvatore” e può cominciare a risparmiare denaro per la casa di Caprera dove si stabilirà nel 1858. Con il Cotre “Emma” avuto in regalo da una sua ammiratrice, si sposta tra l’isola e il continente cogliendo anche l’occasione di un buon nolo per il trasporto di un piccolo ponte metallico. Purtroppo, nel 1859 la “Emma” cola a picco, come un suo precedente Cotre “Patria” costruito a Voltri e incagliatosi proprio a Caprera. Durante quella disavventura nautica, l’equipaggio si salvò e Garibaldi conobbe e s’innamorò dell’isola. Poi ci fu l’Impresa dei Mille, ma il “Piemonte” era una nave militare ed il suo grado era quello di “Generale” e nessuno lo chiamò più Comandante.

Desidero concludere questo viaggio con una annotazione ed un ringraziamento.

- Se Chiavari vanta il primato d’aver eretto il primo monumento a Garibaldi in Liguria, Camogli può dirsi fiera d’aver onorato, per prima in Italia, un garibaldino, il suo eroe Simone Schiaffino.

- Questa 10° pubblicazione ha un merito particolare, l’aver proiettato un cono di luce su sette rapallini che seguirono G.Garibaldi nella Spedizione dei Mille. Purtroppo il ricordo delle loro gesta cadde molto presto nell’oblio. Questa rivisitazione storica é stata possibile grazie all’interessamento e al contributo del Sindaco Mentore Campodonico e della sua Amministrazione che ringrazio a nome di Mare Nostrum.

Carlo GATTI

21.02.12

Bibliografia:
Alexandre Dumas - I garibaldini
Federico Donaver - Storia di Genova – Tolozzi Editore

Denis Mack Smith - Garibaldi

Alfonso Scirocco - Giuseppe Garibaldi

Giç Bono Ferrari - Navi e Marinai di Liguria

Dario Dondero - L’Arte dei Barcaioli a Genova – graphos storia

Aldo G. Velardita - Porto- Lavoro Portuale

Secolo XIX - La mia Terra - La mia Gente

Navi e Marinai – Volume 4°

Gio. Bono Ferrari - Capitani di Mare e Bastimenti di Liguria

Diario di Bordo di G.G. – Davide Gnola

Il presente studio é stato pubblicato dall’autore, in forma ridotta, sul mensile IL MARE nel 2006 con la grafica e consulenza del C.L.C Bruno Malatesta (Vicepresidente Società Capitani e Macchinisti di Camogli) che RINGRAZIO.


RAPALLO: " MAMMA... LI TURCHI" !

Rapallo: " mamma...li turchi " !

Ogni volta che si arriva in fondo alla passeggiata di Rapallo si rivede con piacere il Castello sul mare, opera che l’architetto Antonio Carabo realizzò nel 1551 e oggi assurto a logo della città; al mattino è lui il primo a vedere sorgere il sole e, la sera, è sempre lui a crogiolarsi agli ultimi raggi, prima di dargli la buonanotte. E’ talmente compenetrato nella gente di Rapallo, i “rapallini”, che c’è un laboratorio di pasta fresca che produce i <rapallotti> sorta di ravioli a foggia di Castello

Un simile armonioso paesaggio ha fatto scrivere a Vittorio G. Rossi <I miei occhi hanno visto tante cose nel mondo; ma queste sono le immagini delle mie radici di uomo; saranno dentro di me fin che io ci sarò >.


Rapallo – Torre di Punta Pagana

Pochi però riescono ad intravedere l’altro castello, il suo dirimpettaio proprio a ponente dell’entrata del golfo, oggi diroccato e seminascosto dal boschetto di San Michele di Pagana; è tutto ciò che resta del secondo “stipite del portale” a suo tempo edificato a difesa di Rapallo. Due baluardi contro le galee, le galeotte e le fuste dei pirati tunisini e algerini e non solo che, a metà del secolo XVI, seminarono il terrore in Liguria e nel Tigullio in particolare. Qui, quelle incursioni, furono più sofferte che altrove perché la cittadina, fedele suddita della vicina Repubblica di Genova, da questa s’aspettava d’esser difesa.

Prima di edificarne due così vicini, lo stesso compito era affidato a fortificazioni assai lontane fra loro, una a Sestri Levante e, l’altra a Portofino; ma all’epoca della loro costruzione non era ancora scattata  l’emergenza pirati.

Le realizzarono in epoche nelle quali, a solcare i mari, v’erano solo le navi delle flotte ufficiali dei vari regni che, a causa della loro mole, l’evidente lentezza e la difficile manovrabilità, necessitavano di veri e propri porti attrezzati per potersi ridossare o sbarcare; i barbareschi invece, utilizzando scattanti vascelli veloci spiaggiabili, furono i primi ad attuare, in ogni anfratto abitato, veloci incursioni e subitanee ritirate.

Non a caso ancor oggi, nel dialetto genovese, evidente retaggio dell’epoca, per indicare chi, operando con frettolosa superficialità pur di trarne un qualche immediato vantaggio non dà peso ai maggiori danni che procura, lo si definisce un <töccâ e brùxa >, tocca e brucia, proprio com’erano soliti fare quei predoni del mare.

Oggi si tende a fare confusione fra Pirati e Corsari: in realtà sono ruoli ben precisi.

I pirati, masnadieri senza scrupoli, dal 1400 al 1700 e con alterne recrudescenze, fecero passare notti e giorni insicuri a tutti gli abitanti delle due Riviere così frequentemente che, soltanto quando il mare era in burrasca, si potevano permettere di dormire una notte tranquilla.

I corsari invece erano altra cosa; dettero in più occasioni fastidio alle grandi potenze navali dell’epoca, le quali però, per anni li sopportarono perché, molto spesso faceva comodo dare loro l’incarico di compiere azioni nefaste verso gli avversari, permettendo ai mandanti di raggiungere l’infame scopo senza doversi esporre direttamente.

 

 

 

Patente di Corsa di Corsa di Guglielmo 3° Re d’Inghilterra, Scozia, Francia e Irlanda, ed un corsaro del 1600.

 

In altri casi gli Ammiragliati concedevano addirittura “patenti da corsa” ( da cuicorsari’) per compiere scorribande mirate. Molte volte però i ruoli furono talmente confusi o volutamente deviati che alcuni corsari finirono per divenire rispettabili comandanti nelle varie marinerie delle Loro Maestà e, alcuni capitani di queste, si procurarono cospicue pensioni tramutandosi in ricchi corsari. In entrambi i casi si tratta sempre di eccezionali uomini di mare.

Va’ precisato che i così detti “turchi”, non erano quelli che noi oggi individuiamo come abitanti dell’Anatolia; in quei secoli, tutto l’esotico era definito “turco”, come avvenne per lo sconosciuto mais, che fu chiamato subito “grano turco”.

Algerini, Berberi, abitanti del Nord-Africa e ribaldi navigatori nostrani costituivano il nucleo dei pirati che imperversavano sulle nostre coste, mentre gli attuali Turchi erano, all’epoca, arrivati sino in Grecia; lì v'impiantarono le basi per le loro scorribande, effettuate prevalentemente “davanti a casa”, vale a dire nel meridione d’Italia, imperversando in quel tratto di mare che bagna le due sponde. Il Canale d’Otranto e l’Adriatico in generale, essendo passaggi obbligati per le ricche navi veneziane, erano le loro acque “di pesca” preferite, anche se nel 888 si spinsero fino ad Olbia, cercando di crearvi una base per poter poi attaccare Roma e, nel 934, si spinsero addirittura sino a Genova, che misero a ferro e fuoco, portandosi via ben mille donne più gli ori ed i preziosi saccheggiati nelle Chiese.

Le sempre più frequenti razzie nei luoghi sacri, contribuirono non poco a farli apparire sacrileghi più di quanto, quei predatori, in realtà non fossero; bisogna pensare che le chiese, all’epoca, godevano dell’immunità extraterritoriale, riconosciuta e rispettata da tutti gli Stati “civili” (e chi voleva inimicarsi il Papa?). Erano sempre stati i luoghi ideali dove, in emergenza, porre al sicuro le donne affidando loro la custodia dei preziosi di famiglia. Lì radunate, pregavano per sé e per i loro uomini che sulle spiagge, nelle piazzette e nei carruggi, cercavano di opporre resistenza alle razzie dei pirati, convinte le ingenue, che pure i corsari avrebbero rispettato l’inviolabile sacralità del luogo. Così, purtroppo, non fu.

 

Khair ed Din (c.1480-1546)

 

Senza voler tediare con l’elencazione di nomi d’insolita e non sempre certa grafia, specie nei casi dei più noti, ricorderemo il famoso Khair ed-Din, fratello di Horuk Barbarossa, che aveva base in Costantinopoli; in realtà, si trattava d'Ariadeno Barbarossa, prima corsaro e, poi, Ammiraglio di Solimano I, re Ottomano (inizi del XVI secolo) che fu pure alleato di Francesco I, re di Francia. Fra le tante nefandezze a lui imputabili, c’è il tentativo di rapire la bella Giulia Gonzaga, per farne un “presente” al Sultano; per fortuna lei si salvò, ancorché in camicia, fuggendo precipitosamente nottetempo. Di lui ci resta la descrizione lasciataci dall’abate/ammiraglio Alberto Guglielmotti, scrittore di marineria e compilatore dell’insuperato <Vocabolario marino e militare>, più di mille pagine dedicate ai termini e ai fatti marinareschi, là dove così lo tratteggia <Di pelame rossiccio, di barba folta, di mediocre statura, di forza erculea, era specialmente sgradevole per un labbro spenzolato all’ingiù, che lo faceva alquanto bleso nel favellare, e davagli l’aria di vero pirata. Superbo, vendicativo, spietato e traditore>

 

 

Dragut visto dall’artista  Enzo Marciante

 

Altro pirata da menzionare fu Torghud detto Dragut, il terrore delle Riviere che, spesso, è indicato sotto differenti nomi che mutano da luogo a luogo; la sua diabolica abilità e destrezza e la rapidità degli spostamenti, riuscì a creargli la leggenda dell’onnipresenza.

In fine meritano menzione Ulugh e Kiling Al o Kurtog Al: la grande spada.

Tutti costoro, per certo, erano prima grandi uomini di mare e, purtroppo, in egual misura, ribaldi dall’improntitudine senza pari e, in più con una gran capacità di tessere reti d’informatori a loro fedeli e sempre attendibili. Gli stessi Sovrani, che ufficialmente li ostacolavano, spesso si avvalsero, naturalmente sottobanco, delle loro capacità di saper valutare in base alle conoscenze. Altre volte li utilizzarono per verificare in anticipo, la possibilità di riuscire a portare a buon fine, certe loro mire espansionistiche; più spesso però, li usavano per infastidire o defraudare e indebolire i rivali e, senza doversi rivelare, fare sì che fossero le prede predestinate ad offrire il fianco, onde giustificare agli occhi del mondo, proditorie dichiarazioni di guerre.

Genova, purtroppo, li conobbe non appena i propri commerci suscitarono invidie e rancori fra i vari Re e Principi di mezza Europa, nonché fra i potentati arabi e del medio oriente; non è altrimenti spiegabile il perché questi corsari riuscissero, sia pure alla presenza di Stati fra loro rivali, ad imperversare, vessando tutti per ben tre secoli.

Per meglio capire il loro subdolo utilizzo, può valere quanto accadde nel 1560, ad Emanuele Filiberto, Duca di Savoia che, dopo aver recuperato nel ‘59 il proprio ducato, grazie al sostegno offertogli dalla Spagna contro la Francia, ne risanò le finanze ed, in fine, andò a riposarsi a Villefranche, nell’attuale Costa Azzurra. Non appena la cosa giunse all’informato orecchio del famoso Occhial, rinnegato calabrese che si spacciava per Algerino, con una squadra di galere e dopo aver saccheggiato Taggia e bruciato quel che rimaneva di Roquebrune del Signore di Monaco, già che era in zona e “per rientrare delle spese”, non perse le vecchie abitudini e si propose di assalire Villefranche.

Appena il Savoia fu informato di questo piano e, sapendo che Occhial con quest’ultima incursione avrebbe concluso il ciclo delle programmate empietà in zona, chiese immediato aiuto a Nizza. Prima però che dalla vicina Città arrivassero i richiesti e accordati, a parole, rinforzi, il corsaro attaccò Villefranche, segno evidente che anch’esso, perfettamente a conoscenza dei piani del Duca, poté contare sul fatto che nessuno avrebbe, di fatto, inviato gli aiuti richiesti, quantomeno sino a che lui non avesse portato a compimento il suo piano criminoso.

Da quell’attacco il solo Emanuele Filiberto si salvò grazie ad una non certo dignitosa, ma sicuramente provvidenziale, fuga a gambe levate; chi, nell’occasione, non fu ucciso fu fatto schiavo. Questa delle fughe per salvarsi pare sia un “debole” di famiglia, reiterato negli anni!

Per riscattare i suoi, il Savoia, dovette intaccare fortemente le esigue ed appena ricostituite finanze statali, sborsando ben dodicimila scudi, che, all’atto pratico, si rivelarono pure insufficienti. L’improntitudine del ribaldo fu tale che lo spinse addirittura a pretendere di voler baciare la mano, in segno di pacchiana deferenza, alla Duchessa Margherita, figlia di Francesco I, Re di Francia; facendo buon viso a cattiva sorte, fu accontentato visto che non c’era altra scelta. Corse però voce che lo sfrontato non seppe mai di aver baciato la mano ad una semplice fantesca, travestita per l’occasione: noblesse oblige!

Non solo i Monarchi sfruttarono, in determinati casi, i pirati per poter, restando nell’ombra, far con la forza risolvere ad altri i loro problemi economici, ma anche modesti popolani, n’ottimizzarono la presenza per rivitalizzare le loro eternamente vuote saccocce.

Non pochi abitanti delle Cinque terre si arruolarono al servizio di quei marrani che, operando nel Sud (Toscana e Lazio), trovavano poi riparo al Nord, negli anfratti delle Cinque terre per l’appunto.

Dopo aver partecipato per qualche tempo alle scorribande, i volontari tornavano in patria e, riassettata la casetta, pagati i pochi debiti, anche allora come oggi a chi non aveva soldi non era concesso credito e, offerto l'obolo purificatore alla Chiesa del borgo, ritornavano rispettabili contadini o pescatori ma, con davanti, un avvenire meno gramo. Il poter prendere contatto con i possibili “datori di lavoro” era facilitato dal fatto che in quelle insenature, non raggiungibili da strade percorribili, tagliate fuori dal resto del mondo e al cui isolamento va, oggi, il merito di avercele fatte arrivare intatte, trovavano sicuro riparo molti corsari; gli abitanti dei luoghi erano talmente poveri da non aver mai fatto gola ai predatori così che, questi ultimi, non risultavano neppure invisi, anzi. Infatti i pirati, durante quelle soste, rifornivano le loro poco capienti cambuse dando lavoro ai locali e, ben protetti, architettare nuove incursioni alle ricche navi che transitavano un poco più al largo dei siti nei quali si nascondevano.

E’ indubbio che in Liguria il 1500 va ricordato come il secolo del loro massimo strapotere; l’essere continuamente vessati, obbligò i paesi rivieraschi, da sempre in lite uno contro l’altro, a modificare, adattando alle nuove esigenze, oltre che la mentalità, persino le rispettive strutture urbane, se volevano proteggersi. Un esempio lo si può avere ancora oggi a Rapallo, osservando l’architettura che costeggia l’attuale bella passeggiata. Le vecchie case, all’epoca costruite al limitare della spiaggia, avevano i muri prospicienti il mare più spessi e robusti degli altri; furono aperte quelle minime indispensabili finestrelle realizzandole in alto, così da renderle meno raggiungibili e, essendo piccole, più facilmente ostruibili; solo ai piani superiori qualche utile balconcino per avvistare l’arrivo dei predatori. Questa catena di case vicine una all’altra, quasi mura di un fortilizio, erano interrotte solo per accedere al mare, da piccoli varchi da cui si dipartiva il “carruggio”, il vicolo ligure, facile da rendere inagibile scaraventandovi dalle finestre le masserizie domestiche, così da formare una barriera difficilmente scavalcabile.

Ciò nonostante tutto questo si rivelò, troppo spesso, inutile perché i predoni potevano, sempre più, contare su qualche delatore che, per un pò di danari, apriva loro dall’interno le porte della cittadina.


Stemma della Repubblica di Genova

Resisi conto dell’inutilità degli sforzi compiuti autonomamente, i capipopolo dei vari borghi sino allora fieri della loro indipendenza, dovettero chiedere protezione a Genova, accettandone le condizioni in cambio di costruzioni fortificate e relative guarnigioni armate. La Repubblica accettò ma impose che i forti che essa avrebbe costruito, fossero realizzati a spese dei richiedenti i quali, se lo volevano, potevano anche contare su di un corpo di guardia che, naturalmente, dovevano impegnarsi a pagare. Questa è anche la storia dell’Antico Castello di Rapallo e del suo dirimpettaio.

Risale a quell’epoca la creazione della catena di torri d’avvistamento distribuite lungo l’intera costa e, qua e là, realizzate pure lungo i primi tratti delle vallate che davano facile accesso all’entroterra, specie quelle che aprivano al Piemonte; un vero e proprio sistema di comunicazione visiva. Nonostante tutte queste precauzioni, purtroppo il sistema segnaletico si rivelò, in molte occasioni, inefficiente; il vero problema consisteva nel mancato controllo del mare, perché era proprio da là che bisognava assolutamente reprimere sul nascere le incursioni.

Tutte le marinerie ne lamentavano il disagio tanto che la Repubblica di Genova, a metà del 1400, noleggiò <per due mesi due navi a seimila lire > da tale Battista Aicardo, nome di battaglia <Scaranchio>, nativo dell’attuale Porto Maurizio, affinché con le sue trireme <operasse contro i mercanti > barbareschi.

Costui, estendendo arbitrariamente il mandato ricevuto e sentendosi protetto da tanta committenza, non esitò ad assalire, pro domo sua, anche legni non strettamente corsari; ne fecero le spese Pisa e Firenze che subito si lagnarono con Genova, richiedendo cospicui risarcimenti. La Repubblica, per tutta risposta, fece orecchio da mercante (e ti pareva!), forte del fatto che il mariuolo, pirata metropolitano ante litteram, effettivamente era un cittadino ligure ma non genovese e, quindi, non soggetto a rispettare ne le leggi vigenti a Genova ne gli accordi da essa sottoscritti con terzi.

Il “Nostro”, sempre più impunito, presumendo di aver sempre le spalle coperte, osò attaccare persino le navi del Re del Portogallo: apriti cielo. Scoppiò il finimondo e solo l’energico intervento del Papa, che Genova aveva sempre rispettato e la cui benevolenza le era indispensabile per essere, a sua volta, rispettata, riuscì a riappacificare gli animi.

Già allora, come ancor oggi capita quando l’Autorità rinuncia al suo ruolo, la pirateria invase quei “vuoti” e ben presto si propagò in tutto il Mediterraneo e sulla di lei scia impunita, altri si attrezzarono per solcare i mari con eguali intenti ribaldi.

Uno per tutti fu il “corso” Nando Anechino, specializzatosi nel depredare navi tunisine; in altre parole <andava a rubare ai ladri >. Un bel giorno il Bey di Tunisi si stufò e, per rappresaglia contro i danni infertigli dal corso, fece rapire alcuni abitanti di Bonifacio, città natale dell’Anechino, e pretese, per liberarli, gli fossero pagate forti somme per il riscatto.


Carlo V – Re di Spagna

 

Ammiraglio Andrea Doria

Da parte sua, Carlo V, Re di Spagna, amico personale del nostro Andrea Doria, lo incaricò di disinfestare i mari dai pirati; il Doria li combattè con tale abilità e fervore, che il suo nome, presso i barbareschi, era sinonimo di Capitano tremendo, mitico e irresistibile.

Tanto rigore per il buon nome di Genova? Certamente sì, ma non è da sottovalutare l’allettante incentivo che gli si offrì; tenersi tutto ciò che catturava. Lui, fatti rapidamente un po’ di conti, per…. obbedienza, accettò.

Il Doria, più filibustiere di loro, si arricchì a dismisura tanto che, si racconta, quando organizzò un pranzo per Carlo V, ospite sul suo galeone alla fonda davanti al suo Palazzo di Principe, dove oggi c’è la Stazione Marittima di Genova, a fine pasto fece scaraventare in mare, con la scusa di non perdere tempo a lavarlo e dimostrare così la sua potenza economica, tutto il servizio da tavola che pare fosse in oro; però il regale ospite non seppe mai che, preventivamente, tutt’attorno al vascello erano state tese reti, così da recuperare tutto ciò che, con non curanza plateale, era stato buttato a mare.

Una buona parte della sua ricchezza, derivante da quell’incarico è attribuibile al fatto che le navi corsare catturate erano sempre cariche di tesori, sovente appena sottratti ai legittimi proprietari, a volte pure spagnoli, sudditi del suo fraterno amico Carlo V. Ma questo il Doria non era tenuto, formalmente, a saperlo perché i patti erano chiari: poteva tenersi tutto il catturato ma se dall’assalto non fosse uscito bottino, i costi per effettuarlo sarebbero stati esclusivamente a suo carico. Pare che navi vuote non ne trovasse mai o, se doppiandole le riteneva tali, mai le attaccò per catturarle.

Nel caso in cui gli infedeli fossero stati più forti, il Barbarossa lo testimonia, il nostro si guardava bene dall’attaccarli anzi, se li teneva buoni con allettanti regalie, anch’esse, c’è da giurarci, frutto di razzie su navi di loro colleghi meno abili o, come diremmo oggi, privi di  “Santi in Paradiso”.

Strano condottiero questo Doria; ligure, era nato ad Oneglia a metà del 1400, rimase per anni al servizio del Re del Portogallo in veste d’Ammiraglio sino a quando, nel 1529, la Repubblica di Genova, padrona dell’intera Liguria, lo chiamò in Patria con l’arduo compito di mettere ordine in città. Era l’uomo giusto perché “furesto”, in quanto non nato in Genova città, ma comunque ligure e che, grazie all’aver vissuto all’estero, non era compromesso con le faide che dilaniavano la Repubblica e che lui era chiamato a sedare; lui accettò, ponendo alcune condizioni.

Volle essere nominato <Dittatore o Duce > e abitare al di fuori delle mura; conoscendo bene i suoi concittadini dediti a intrighi e  continue faide (la cosa non è cambiata di molto, ecco perché Genova fa fatica a decollare), si costruì un palazzo autosufficiente a Fassolo, appena fuori la porta a ponente della Città, quella di San Tomaso; oggi il suo Palazzo, il Doria Panfili, restaurato e reso efficiente dai suoi successori, è visitabile. Lo dotò di un porto, si circondò d'orti, frutteti e limoneti e si garantì l’acqua dolce, realizzando al Lagaccio, un’altura sopra il Palazzo, un laghetto, “lagaccio” per l’appunto, per contenervela.

 

 

...al centro si può notare lo stemma della famiglia

Doria. Palazzo del Principe, sulla facciata una lapide ricorda uno dei più celebri ospiti...

 

Invitava a Palazzo solo chi lui riteneva suo pari, vale a dire tutti i vari Monarchi europei, tranne che i genovesi e, ovviamente, i francesi per non dispiacere al suo amico Carlo V. Per rendere pubblico questo loro rapporto d’amicizia murò, per tutta la lunghezza della facciata del palazzo, un fascione marmoreo sul quale fece incidere, a caratteri cubitali, l’esaltazione di questa loro solidarietà che ancor oggi è leggibile. Visse sino a tarda età con la sua adorata moglie, Peretta Usodimare, ed un gatto, che volle immortalato vicino a lui, nel suo unico ritratto ufficiale giuntoci.

Ma torniamo ai pirati che, prima del suo intervento, si erano creati, sequestrando qui e rapendo là, un fiorente mercato, frutto dei riscatti che venivano loro pagati per liberare i rapiti. Questi ultimi, se non rapidamente affrancati, finivano offerti sul mercato degli schiavi nordafricano.

Nelle loro oculate razzie, rapivano di preferenza giovani, artigiani, benestanti e non esclusivamente, come a volte si crede, donne; la richiesta di riscatto avrebbe avuto più facile presa se la “merce” offerta era di maggior pregio ed il “vuoto” lasciato presso i loro padroni, difficilmente colmabile.

Gli episodi eroici da parte degli assaliti furono molti; la sera del 2 Luglio 1637, approfittando della stanchezza della gente di Ceriale, che aveva festeggiato la ricorrenza della <Visitazione della B.V.Maria>, trascorrendo la giornata fra processione, suoni e balli, otto galere <turche > sbucarono silenziosamente dal buio ormai avanzato e, giocando sull’incredula sorpresa e la rilassatezza di tutti, portarono via, oltre agli ori e alle suppellettili pregiate, anche 100, ma c’è chi ha scritto 350, cittadini. Fra loro il Capitano Tomasio con l’intera sua famiglia, il signor Lazzaro Testa e le due Carenzio, madre e figlia.

Il fidanzato di quest’ultima, figlio del signor Testa, fu ucciso sulla battigia mentre, folle di rabbia, tentava da solo di liberare i rapiti fra cui appunto la sua fidanzata: disperato gesto di un giovane generoso.

Ottant’anni prima, a Rapallo, all’alba del 4 Luglio del 1549 (in Luglio il nostro mare è abitualmente calmo), Dragut, forte di ventuno navi, decise un’irruzione; addormentatesi, dopo una notte insonne, le scolte disposte a guardia sui vari terrazzini delle case alte, da qui il nome di “terrazzani” con cui s'indicavano quegli incaricati, il pirata poté facilmente rapire oltre cento rapallini <fra i quali furono alcune vergini belle >. Le urla, il frastuono e le bestemmie degli infedeli risvegliarono anche Bartolomeo Maggiocco <grazioso giovane ventenne > che subito si precipitò dalla di lui fidanzata, Giulia Giudice, abitante dove adesso c’è la porta del Sale, una di quelle d’accesso alla città, e la trasse in salvo sulla collina, combattendo.

 

 

L’episodio, vista la conclusione felice, poteva essere ormai dimenticato se il pittore Primi, non ne avesse tratto un quadro, oggi nell’aula consigliare del Comune di Rapallo. Vi è raffigurato il giovine armato d’ascia mentre spacca la testa ad un assalitore, sorreggendo, con l’altro braccio, la fanciulla che, come ogni vergine che si rispetti, penzola ormai svenuta per il terrore, secondo i canoni della pittura romantica.

Come si può intuire, il mercato dei rapiti era fonte d’utili immediati per i pirati che trovavano, nelle nostre frastagliate coste inaccessibili da terra, ottimi ridossi; all’epoca la strada di cornice, che noi chiamiamo Aurelia, non era dove oggi la vediamo ma correva assai più in alto, arretrata e angusta e i pirati trovarono nelle inespugnabili caverne accessibili solo via mare, idonee prigioni per ammassarvi i prigionieri. Erano veri e propri <santuari > mutuando un termine nato con la guerra del Vietnam. Sistemati logisticamente come abbiamo detto, il loro non fu un mercato frettoloso, perché entro certi tempi, ci guadagnavano comunque, potendo contare sui rapiti per avere mano d’opera gratis e, dalle donne, non solo quella. Nell’ipotesi poi che nessuno si fosse fatto vivo per riscattarli, i prigionieri si potevano sempre rivendere come schiavi, l’abbiamo già visto, sui mercati del Nord- Africa.

Quelli che erano rapiti a Rapallo o a Prà, potevano essere esitati dopo qualche giorno a Sanremo e, quelli del posto, offerti a Nizza. Per i parenti di quei disgraziati era un continuo peregrinare per i vari borghi, sperando di poterli riscattare o, in mancanza di soldi, semplicemente rivedere o avere notizie di quelli che in quel momento non figuravano fra i presenti.

Per razionalizzare tutto questo e per aver maggior “peso contrattuale”, i vari Borghi si coordinarono dando il pietoso incarico alle Autorità locali, autorizzate a prelevare i fondi necessari dal montante messo loro a disposizioni da parenti o amici o dai signorotti presso i quali i rapiti prestavano servizio, sino ad arrivare, nei casi di personaggi utili alla comunità, ad attingere a speciali fondi comunali.

 

 

....nel cuore del centro abitato, denominato "dei Bianchi" per il colore delle cappe dei confratelli che, incappucciati e con in mano il flagello, vediamo effigiati nella lapide marmorea quattrocentesca murata all'esterno dell'edificio in vico della Rosa.

C’è da supporre che quest’ultima iniziativa non funzionasse a dovere (già da allora i Comuni non sempre erano efficienti) se è vero che fu necessario creare vere e proprie <Confraternite per il riscatto > a che, utilizzando anche fondi raccolti dalle varie Casacce ormai divenute importante realtà sul territorio, provvedessero a riscattarli.

La stessa Repubblica di Genova dovette istituzionalizzare quest'incombenza, istituendo il <Magistrato dei Riscatti > che non dovette, pure lui, brillare in efficienza se, come scrive il Calvini <L’attività di quest'istituzione….è quasi totalmente sconosciuta >; effettivamente racimolare soldi, per tentare il baratto, non era poi così facile in tempi in cui, troppo frequenti erano le incursioni barbaresche.

Poteva capitare che beni cointestati a più persone, rendessero difficile la loro sollecita monetizzazione, perché i soci, non sempre direttamente parenti del rapito, non volevano vendere o, come proponevano loro gli onnipresenti usurai facendo leva sull’urgenza, svendere; così sino a che la cosa non si definiva, lo sventurato, mal nutrito ed in catene, era esibito, di volta in volta sulle spiagge, attendendo che qualcuno, mentre il tempo scorreva, ne pagasse il riscatto liberatorio.

L’amore parentale non sembra essere sempre stato, neppure allora, la molla della solidarietà se è vero, com’è vero, che la comunità di Laigueglia, nel 1583, lamentava di aver riscattato quarant’anni prima alcuni suoi concittadini e di non aver ancora ricevuto il dovuto saldo, ammontante a 2000 scudi.

Per i non riscattati, l’essere venduti in Africa voleva dire abbandonare ogni speranza di poter tenere i contatti con chi avrebbe potuto, forse, pagare il richiesto; i disservizi oggi esistenti colà, ci possono dare un’idea di come potevano funzione le comunicazioni all’epoca.

Quest'andazzo, con i suoi alti e bassi, cessò soltanto alla fine del ‘700 anche se, ancora nel 1800, si ha testimonianza, sebbene eccezionale, d’un atto di pirateria per riscatto. Con certezza si sa che il primo atto di quest'attività fu l’attacco ad Otranto nel 1480, importante scalo commerciale in mano ai genovesi, sferrato per ordine del Sultano. Vi si consumò una strage così disumana che lo stesso Sultano ordinò che, Sadik Ahmed Pascià, responsabile della spedizione, fosse, a causa della ferocia e del sadismo profuso (premonizione dei nomi!), fosse impiccato in sua presenza utilizzando, allo scopo, una corda per arco; d’altro canto il suo servizio l’aveva reso, e, impiccandolo, si sarebbe risparmiato di riconoscergli il premio pattuito. Spesso fu l’orrido a decidere il pagamento dei riscatti giocando un ruolo importante nelle trattative fra i Capi responsabili; i barili d’orecchie o altre parti del corpo, mozzate ai prigionieri ed esibiti per forzare un pagamento, non si contano.

 

Ci assale un dubbio; quei reperti dei subalterni, recapitati ai rispettivi capi per indurli a muoversi a pietà non è che, una volta fattane la conta, il ricevente potesse avere una esatta percezione di quanti dei suoi aveva perduti e, conseguentemente, ne traesse le debite conclusioni, così da non ritentarci più o almeno attendere, prima di vendicarsi, di averli tutti rimpiazzati?

 

Con simili biglietti da visita è facile intuire l’alone di terrore    che circondasse i pirati. Basti pensare che quando le razzie delle galeotte erano ormai un lontano ricordo, era ancora talmente forte la psicosi che, una notte tre giovani di Pegli, oggi circoscrizione di Genova, sbarcarono da un leudo sulla vicina spiaggia di Voltri e, uno di loro, tale Rosso, per scherzo urlò <i Turchi, i Turchi > che <per fare ciò ha fatto mettere tutte le persone sottosopra > così come ha diligentemente verbalizzato il Capitano delle Guardie, certo Lazagna da Voltri.

 

 

 

Renzo BAGNASCO

 

 

Tratto dal libro: "LIGURIA, AMORE MIO"  di Renzo Bagnasco - Mursia Editore

 

 

 

Rapallo, 13 Agosto 2014

 

webmaster Carlo GATTI