LA GARA PSEUDO SPORTIVA CHE CAMBIO' LA STORIA NAVALE
LA GARA PSEUDO SPORTIVA … CHE CAMBIO' LA STORIA NAVALE
I migliori bookmakers europei sono inglesi. Le prime scommesse e le prime agenzie sono nate nel Regno Unito. La popolazione anglosassone ha una cultura per il gioco nettamente differente dalla nostra.
Gli inglesi vivono la scommessa come un divertimento quotidiano e come un piacevole passatempo. Scommettono in tutti gli aspetti finanziari, economici, politici, NAVALI, sociali, musicali e sportivi. E’ possibile giocare con l’exchange online, puntare sul colore del cappellino della Regina o scommettere sulla vittoria del Liverpool nella Premier League.
Tempo fa scrissi:
I CLIPPERS – LE FERRARI DELL’800 - LA GRANDE CORSA DEL TE’ del 1866
Di cui riprendo un passo:
Nella “Londra Vittoriana”, con il consumo del tè, ci fu un vero cambiamento di costume nazionale, in pratica s’instaurò una moda che ebbe molte ripercussioni persino nei trasporti marittimi. L’annuale arrivo del primo carico di tè primaverile cinese, considerato il migliore (una pianta dava tre raccolti), veniva pagato 10 scellini ogni 50 piedi cubici, e 100 sterline di premio erano destinate al Capitano del clipper che arrivava per primo sui mercati. Questo tangibile riconoscimento diede il via ad una vera e propria “corsa del tè” che coinvolse navi e capitani famosi, in primo luogo il “Cutty Sark” che, ironia della sorte, non riusciva ad imporsi sul diretto concorrente “Thermopylae”, malgrado la sua meritatissima fama. Molte furono le coppie rivali di clippers che divisero l’opinione pubblica mondiale in vere e proprie tifoserie di scommettitori e appassionati che investivano somme ingenti sulle vittorie di questi “levrieri d’altura”. Qui si aprirebbe un capitolo lunghissimo e affascinante, purtroppo, per ragioni di spazio, non possiamo che fare riferimento soltanto a quella che fu la gara più spettacolare che sublimò le grandi corse dei clippers.
Dopo questa premessa che fa da sfondo “all’atmosfera inglese” di metà ‘800, vi racconto oggi un’altra “leggendaria sfida”, con contorno di scommesse a livelli stratosferici, che pose fine ad un’accanita discussione tecnica che aveva diviso l’opinione pubblica (marittima) inglese in due fazioni: quella rivoluzionaria a favore dell’elica come propulsore navale, e quella favorevole al sistema a pale che aveva, da par suo, molti sostenitori nel settore dei trasporti fluviali e lacustri.
Entrando nello specifico della questione, dobbiamo anche aggiungere che nel corso della prima metà del 1800 vi furono i più radicali cambiamenti nelle costruzioni navali, dal legno al metallo, dalle vele al vapore e, ultima e non meno importante, dalla ruota a pale all'elica.
In questo clima “rivoluzionario” che toccò l’Inghilterra dei Trasporti Marittimi, dobbiamo ricordare che nella “Perfida Albione” * che possedeva la più grande flotta, sia mercantile che militare, si svilupparono accese discussioni e lotte accanite, negli ambienti marittimi, tra i sostenitori dell'una e dell'altra soluzione, ed ognuna esaltava i pregi e i difetti dei due sistemi.
Per superare il problema e mettere la parola fine a tutte le teorie esistenti, gli Inglesi si affidarono, con molto senso pratico, ai risultati di due gare dal sapore molto sportivo: una di velocità ed una di potenza tra due navi identiche ma con le propulsioni in voga in quel momento.
Ora capite che il riferimento alle gare tra i CLIPPERS e al rituale delle scommesse non era casuale…
Ogni discussione su questo tema ebbe fine nel marzo del 1845, in stile tipico anglosassone, quando due fregate da 880 tonnellate, praticamente identiche, la Rattler e l'Alecto, accettarono di sfidarsi in mare aperto.
Le due navi furono entrambe dotate di una macchina da 220 hp, con la differenza che quella della Rattler azionava un'elica mentre quella dell'Alecto una coppia di ruote a pale.
Arrivò il giorno della sentenza PRATICA con le due navi che si sfidarono davanti al mondo!
Il confronto consisteva in due prove: di velocità la prima, e di potenza la seconda.
- Per la gara di velocità, su un percorso di 100 miglia, la Rattler vinse con un distacco di diverse miglia.
- Per la gara di potenza, fu deciso di prendere in prestito dalle famose Università britanniche il termine sportivo: TIRO ALLA FUNE.
Le due navi furono unite poppa a poppa con un grosso cavo e furono spinte in direzioni opposte con le macchine a tutta forza, in una sorta di tiro alla fune…;
dopo alcuni minuti la Rattler trascinava la Alecto fino a raggiungere la velocità di 2,7 nodi.
Fu la dimostrazione “pratica” e definitiva della superiorità dell'elica sulla ruota a pale.
Naturalmente in quell’ultima occasione si registrarono impennate altissime nel BETTING (scommesse) su tutti i territori della Gran Bretagna comprese le colonie di quel tempo.
Un po’ di Storia
La propulsione a vite (elica) aveva alcuni evidenti vantaggi potenziali per le navi da guerra rispetto alla propulsione a pale. In primo luogo, le ruote a pale erano esposte al fuoco nemico in combattimento, mentre un'elica e i suoi macchinari erano nascosti in sicurezza ben al di sotto del ponte. In secondo luogo, lo spazio occupato dalle ruote a pale limitava il numero di armi che una nave da guerra poteva portare, riducendo così la sua bordata. Questi potenziali vantaggi erano ben compresi dall’ammiragliato britannico, ma non era convinto che l'elica fosse un sistema di propulsione efficace. Fu solo nel 1840, quando la prima nave a vapore a propulsione ad elica al mondo, la SS Archimedes, completò con successo una serie di prove contro le più veloci imbarcazioni con ruote a pale, che la Marina decise di condurre ulteriori prove della tecnologia. Per questo scopo, la Marina costruì la HMS Rattler.
ALECTO - la sconfitta
L'HMS Rattler, (nella foto) La vincitrice del confronto
Era uno sloop in legno della Royal Navy dotato di 9 cannoni, fu la prima nave da guerra britannica ad adottare un’elica a vite azionata da un motore a vapore.
L'HMS Rattler fu varata il 13 aprile 1843 al Sheerness Dockyard e trainato nel cantiere di Maudslay per l'installazione dei suoi macchinari. Ricevette un motore a vapore verticale a quattro cilindri ad espansione singola con doppio cilindro, della potenza di 200 nhp e sviluppa 326 chilowatt (437 ihp). Un gran numero di eliche furono testate durante questo periodo su HMS Rattler per trovare il progetto di elica più efficace.
Fu ramata al Woolwich Dockyard e vennero fatta diverse prove nel corso dei due anni successivi, il suo primo giorno in mare fu il 30 ottobre 1843. L'HMS Rattler fu impegnato contro diverse imbarcazioni dotate di ruote a pale dal 1843 al 1845. Queste prove estese dimostrarono in modo conclusivo che l'elica a vite era superiore alla ruota a pale come sistema di propulsione
Il suo armamento consisteva in un singolo cannone da 20 cm e otto cannoni da 32 lb posti sulle fiancate. Fu commissionata a Woolwich il 30 gennaio 1845 e fu comandata per la prima volta dal comandante Henry Smith.
* Nota
La perfida Albione - Non fu Mussolini a inventare l’espressione “Perfida Albione” per definire spregiativamente l’Inghilterra. Le ricostruzioni storiche hanno trovato associazioni tra l’aggettivo e il nome usato dai greci per definire la Gran Bretagna già nel tredicesimo secolo. Ma la sua canonizzazione viene attribuita al Marchese Agostino di Ximenes, un francese di origine spagnola, autore alla fine del Settecento di un verso che diceva
“Attacchiamo la perfida Albione nelle sue acque”.
Da quei tempi rivoluzionari mal giudicati in Inghilterra, i francesi presero a usare l’espressione spesso in ogni occasione di tensione tra i due paesi. Ma quando – nel XX secolo – i rapporti tra i paesi migliorarono con le alleanze militari nelle due guerre, il disprezzo per l’Inghilterra fu raccolto dai regimi fascisti e in special modo in Italia da Mussolini il quale parlò di “Perfida Albione” attaccando l’adesione britannica alle sanzioni anti-italiane dopo l’invasione dell’Abissinia. E proseguì a usare l’espressione successivamente.
Dopo la fine del fascismo, le due parole sono rimaste in uso di solito ironico o hanno trovato altre vite soprattutto in campo calcistico (ma anche in Argentina per la guerra delle Falkland): Dick Cheney le usò per esprimere il disappunto degli Stati Uniti nei confronti di un incontro tra il ministro britannico David Miliband e il presidente siriano Assad.
Il disprezzo per la Gran Bretagna è rimasto però parte di un vecchio pezzo della cultura reazionaria italiana, e del comune sentire di una piccola parte ignorante degli italiani (nuove destre hanno invece sviluppato attrazioni e interessi per quel paese). È diverso dal disprezzo per la Francia, spesso condiviso dalle stesse teste microscioviniste: non è frutto di una competizione spesso perdente, ma di un complesso di inferiorità (Mussolini stesso si riferiva alle pretese inglesi di mantenere il proprio impero negandolo all’Italia).
Gli ex marittimi, ma anche i cultori della storia navale moderna, conoscono le tipologie di propulsori in uso nella nostra marina; tutto o quasi tutto sull’ELICA, ma c’è il glorioso settore dei Modellisti Navali che sul sistema di propulsione a pale ne conosce sia l’applicazione tecnica che la sua storia. Ecco cosa scrivono gli Amici dei MITI DEL MARE
Breve storia della ruota a pale
Sembra che già gli antichi romani, e successivamente i cinesi, abbiamo fatto dei tentativi con delle ruote a pale mosse da schiavi, ma alla fine convennero sulla migliore efficacia del remo. Lo stesso Leonardo Da Vinci ipotizzò un battello con ruote a pedali (Fig. 1). Fu solo verso la fine del XVIII Secolo, quando si rese disponibile un sistema di propulsione a vapore abbastanza efficiente, che furono compiuti i primi tentativi di propulsione navale con l’impiego di ruote a pale. Il primo risultato soddisfacente fu ottenuto dal battello di 17 metri Charlotte Dundas che, con una macchina a vapore da 12 HP e una sola ruota a poppa, riuscì a rimorchiare delle chiatte lungo un canale americano.
I primi successi commerciali furono conseguiti dai battelli di Fulton, il Clermont ed il Phoenix, mossi entrambi da due ruote laterali, che effettuarono anch’essi servizio negli Stati Uniti.
Anche in Europa cominciò a diffondersi questo sistema di propulsione ma i battelli erano sempre di dimensioni ridotte e destinati a navigazioni fluviali o costiere. Solo nel 1819 la nave americana Savannah, comunque dotata di un’attrezzatura velica completa, attraversò l’Atlantico usando la macchina a vapore solo per alcune ore. Negli anni successivi furono costruite navi più grandi e veloci in grado di effettuare lunghi viaggi. Ma le ruote a pale erano pesanti, ingombranti e vulnerabili. Furono quindi soppiantate dall’elica, anche se la cosa non fu priva di contrasti.
Qualche nota tecnica
Le prime ruote erano a pale fisse. Successivamente, per migliorarne il rendimento, furono costruite ruote a pale oscillanti in grado di orientarsi grazie ad un sistema eccentrico. Ma queste erano più pesanti e costose e quindi non sempre preferite. Le ruote venivano raramente sistemate a poppa dove risentivano del beccheggio. Quelle sistemate ai lati della nave erano disturbate dal rollio e, sulle navi da carico, risentivano delle variazioni di immersione. Comunque le ruote laterali furono sempre preferite per le navi d’altura. La figura 2 mostra una ruota a pale con cerchio di protezione esterno.
ALCUNI LINK PRODOTTI DAI NOSTRI SOCI
LA PROPULSIONE AZIPOD - di Giuseppe SORIO
=53:maritthttps://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=437:azipod&catidimo&Itemid=160
QUANTO E’ SLEGATA L’ANCORA DALL’ELICA E DAL TIMONE - di John GATTI
L'ABC DELLE MANOVRE PARTE DALLE ELICHE – di John GATTI
UNA MANOVRA CON L’USO DELL’ANCORA – di John GATTI
Carlo GATTI
Rapallo, 6 Gennaio 2021
NAUFRAGIO DELLA FUSINA - 50 ANNI DOPO
IL NAUFRAGIO DELLA FUSINA
50 ANNI DOPO
ALCUNI RICORDI PERSONALI…
Posizione del relitto della M/n FUSINA nelle acque a nord dell’isola di San Pietro, Sono passati 50 anni da quella sera del 16 gennaio 1970, era un venerdì in cui il Fusina, partito da Portovesme poche ore prima, affondò in meno di un’ora, forse a causa del mal tempo o per altre cause di cui parleremo. Una cosa é certa: il maestrale, il vento più sardo di tutti che nasce in Provenza e s’abbatte furioso sulle coste occidentali della Sardegna e per una settimana é in grado di sollevare onde alte anche sette o otto metri.
LA DINAMICA DELLA TRAGEDIA
La notte del 16 gennaio 1970, la nave Fusina, partita da Portovesme in serata con un carico di blenda destinato a Fusina (Porto Marghera, Venezia). C’era una discreta maestralata in corso, ma non fu solo quella la causa del naufragio, la FUSINA, come si può vedere dalla foto, era una nave solida e moderna. La causa del naufragio, come fu accertato in seguito, fu lo spostamento del carico, un carico molto pericoloso. La nave sbandò e si capovolse a nord dell’isola di San Pietro, con un bilancio drammatico. Dei 19 membri dell’equipaggio, la maggior parte di origine veneta, 18 persero la vita, compreso il minorenne Angelo Barbieri, il cui corpo non fu mai trovato. Ci fu un solo superstite, il cameriere di bordo Ugo Freguja, considerato un “miracolato” per il modo in cui riuscì a salvarsi.
M/n FUSINA
A sinistra il Comandante MARIO CATENA – A destra UGO FREGUJA
Stralcio alcune parti dell’articolo di Mauro CARTA
Il comandante Mario Catena, un veneziano di cinquantadue anni, fece di tutto per salvare le vite affidate alla sua responsabilità: lanciando due volte l’SOS (senza risultato, trovandosi all’epoca la nave in una zona ombra per i segnali radio), illuminando il cielo con tutti i razzi di segnalazione disponibili, cercando di mettere a mare le scialuppe di salvataggio, senza riuscirvi a causa del forte sbandamento, delle onde violentissime, del panico che si era scatenato a bordo. Nessuno, in quella notte di burrasca, raccolse la richiesta di soccorso. Alla fine, il comandante ordinò di lanciarsi fuori bordo, nell’acqua gelida, con i soli giubbetti di salvataggio.
Un solo uomo, dopo aver nuotato disperatamente per otto ore, riuscì a raggiungere miracolosamente la terra in un punto dove poteva allontanarsi dalle onde e dagli scogli. Era Ugo Freguja, il cameriere di ventotto anni, che alla fine sarà, su diciannove uomini che componevano l’equipaggio del Fusina, l’unico superstite. Dobbiamo proprio a lui la testimonianza di quelle ore paurose. Freguja si abbandonò al sonno una volta a terra, sfinito, si risvegliò soltanto la mattina dopo e, soccorso da un pescatore, comunicò finalmente al mondo la notizia del naufragio della sua nave.
Che cosa resta oggi del Fusina? Un relitto, adagiato sul fondo del mare, coricato sul lato di dritta, a novantotto metri di profondità, due miglia a nord di Cala Vinagra.
Negli anni 62-63 ho navigato sulla t/n FINA ITALIA da 3° e 2° uff.le di coperta. Era soprannominata “la freccia del Golfo persico”. Aveva una portata lorda di 31.500 tonn. ed una velocità superiore ai 18 nodi.
Dei miei 15 mesi d’imbarco, ben 6 li navigai con l’allora 1° Ufficiale Mario CATENA, lo sfortunato Comandante che perì 50 anni fa a bordo della FUSINA, come abbiamo raccontato con grande tristezza. Di lui mi é rimasto nel cuore un episodio che più di tanti discorsi di circostanza, rede l’idea del carattere “marinaro” della persona, ma soprattutto di quel senso “paternalistico” che a bordo delle navi mercantili é difficile esercitare perché tutto é improntato al grado e alla “antica” disciplina sintetizzata dal concetto “safety first”. Non vorrei essere frainteso: le navi funzionano molto meglio di qualsiasi altro ambiente lavorativo di terra proprio perché da millenni esiste un impianto disciplinare che conferisce ad ogni membro dell’equipaggio le responsabilità di cui risponde sempre n prima persona.
La foto della cisterna MIRAFLORES, gemella della FINA ITALIA, mostra la passerella che viene usata dall’equipaggio per collegare in sicurezza il centro nave e la poppa.
Eravamo in Atlantico, nel mezzo di una vasta depressione da cui non si poteva scappare. La nave era bassa perché carica alla marca. La coperta era battuta da onde gigantesche. Le petroliere di quel tempo avevano il Ponte di comando sopra il cassero a centro nave dove alloggiavano tutti gli ufficiali di bordo. A poppa c’era la Sala Macchine, la cucina, gli alloggi dei Sottufficiali e della Bassa forza. Quando il mare era in tempesta il cassero centrale poteva rimanere isolato, per quanto ci fosse una passerella sopraelevata che permetteva il trasferimento del personale da una parte all’altra, per il trasporto non solo del personale ma anche delle vivande nelle ore di pranzo e di cena.
Fu proprio in quella difficile circostanza, con rollate di circa 20° che il 1° Ufficiale Mario CATENA si offrì (d’autorità) per andare a poppa a ritirare il cibo per tutti gli ufficiali.
“E’ inutile rischiare tutti. Vado solo io! Mi legate la vita con una cima lunga e siate pronti a virarla qualora mi vedeste decollare…”
Appena il Primo giunse al centro della passerella fu investito da un’onda alta almeno 10 metri, sparì totalmente nella schiuma e nel panico totale non ci rimase che tirare con forza la cima legata al suo corpo e sentimmo, grazie a Dio, che era ancora attaccato anche se la caduta gli aveva procurato molte ferite. L’uomo era forte e coraggioso, pertanto riuscì ad agguantare i candelieri e con la forza della disperazione, come lui stesso ci raccontò, si era salvato dal decollo…
Lo raggiungemmo per riportarlo a centro nave, ma lui insistette di voler andare a poppa… Era dolorante e claudicante ma non desistette dal compiere la missione per la quale si era offerto per tutti noi. Completammo insieme il tragitto e poi raggiungemmo finalmente la riposteria a centro nave.
Ecco chi era il Comandante Mario Catena: un padre che sentiva un grande senso di protezione verso il suo equipaggio che a bordo rappresentava la sua stessa famiglia, un uomo di mare che non temeva nulla, neppure le situazioni più difficili che in mare non mancano mai.
Nella mia carriera ho avuto modo di rivivere scene di quel tipo, anche peggiori, ed ogni volta ho pensato al coraggio di quel 1° Ufficiale il quale, con un gesto d’altruismo per lui del tutto “normale”, modificò il mio concetto d’umanità che ancora oggi, a distanza di quasi 60 anni, ricordo con grande emozione.
Ugo FREGUJA, L’unico superstite del naufragio
M/n ANNA MARTINI
LA TRAGICA SORTE TOCCATA ALLA FUSINA MI RIPORTA ALLA MENTE ALCUNI ALTRI RICORDI PERSONALI CHE MI SPINGONO AD APRIRE UNA BREVE PARENTESI …
Nel 1967, tre anni prima del naufragio della FUSINA, chi scrive era imbarcato sulla M/n ANNA MARTINI come 1° Ufficiale di coperta.
Il mio Comandante era un “viareggino” vicino alla pensione. Il tipo aveva un caratteraccio che si attenuava solo dopo irruenti esplosioni di bestemmie irripetibili … Lui e questa “carretta” letteralmente tirata su dal fondo nel primo dopoguerra, furono la migliore palestra professionale per la mia successiva carriera. Quel Comandante si era forgiato e temprato sui bovi e le paregge del suo paese, navigava a vista e vedeva i pericoli con largo anticipo, i suoi calcoli astronomici non erano precisamente i frutti raccolti all’Istituto Nautico, ma erano sempre originati da osservazioni acute del colore del mare e delle nuvole, dal volo dei gabbiani, dall’umore del vento che lui percepiva sul nasone avvinazzato, una specie di sensore a parabola che non lo tradiva mai, così diceva lui…, ma io penso tuttora che la sua vera capacità di navigare fosse il risultato di una grande esperienza maturata nella lotta contro i colpi di mare … e quindi dalle paure sofferte nell’arco della sua vita di uomo di mare.
Su quella carretta piena di buchi tamponati col cemento, il nostro solito viaggio era la traversata Genova-Cagliari con 90 auto FIAT caricate anche sulla “normale” …. ed il ritorno con 2.500 tonnellate di sale (dello Stato e dei Conti Vecchi) per calata Bengasi a Genova.
Quando in banchina non c’erano le FIAT… (a causa degli scioperi di quel periodo…), si navigava alla busca anche fuori dagli Stretti, come pirati a caccia di “noli”, senza radar, girobussola e con un radiogoniometro finto… Scalammo Siviglia per carbone, Safì (Marocco atlantico) per fosfati, Casablanca (merce varia), e ancora La Nouvelle (Golfo del Leone) per grano, a Porto Empedocle per salgemma (sale di miniera) e poi Marsiglia per caolino e molti altri scali minori con attrezzature prinordiali.
Nel nostro vagabondare per il Mare Nostrum praticando il contrabbando per rimpinguare il magro salario del Navalpiccolo, non mancarono i viaggi per caricare minerale proprio a Portovesme (Sardegna), carico destinato all’industria della nostra penisola.
Quando giunse l’ordine di fare rotta per quel primo viaggio di blenda, il Comandante mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Lei ha fatto esperienze su petroliere e navi passeggeri, ma sa cos’é la BLENDA?”
– Con un certo imbarazzo confessai la mia totale ignoranza. Ed il Comandante viareggino rinverdì le sue “memorie” con un certo abbrivo che tornava a galla come fosse successo il giorno prima….
“Allora le racconto brevemente del mio incontro/scontro a Portovesme con questo minerale bastardo. Ovviamente fui informato che il minerale andava caricato entro certi limiti di umidità, ma nessuno mi spiegò mai il motivo. Dovetti impararlo a mie spese…
A caricazione terminata con la supervisione di tecnici e periti chimici, mollai gli ormeggi e quando fummo sull’imboccatura eravamo già sbandati 10° a dritta. Mi resi subito conto del problema ma pensai ad una falla sul lato dritto di una stiva. Accostai immediatamente a sinistra e rientrai in porto a tutta forza. Ormeggiammo col lato più alto, il sinistro, ed i cavi in tensione ci salvarono dal rovesciamento. Lo sbandamento aveva superato i 30°. Le Autorità, il caricatore e tutti gli addetti ai lavori erano ancora in banchina… Tutti sapevano cos’era successo eccetto il sottoscritto col quale tutti però si complimentarono per la riuscita manovra che evitò il naufragio nel salotto di casa…. Nessuno ebbe il coraggio di salire a bordo”.
“Comandante, metta la nave in sicurezza, la leghi con tutti cavi di bordo in banchina e poi venga nel mio ufficio insieme al Perito chimico e al caricatore”. - Mi urlò il Capitano del porto –
Giunto nella “camera caritatis” dell’Autorità Marittima, notai che ce l’avevano tutti con il Perito chimico perché non avrebbe controllato correttamente l’umidità della blenda… e che avrebbe dovuto sospendere la caricazione ecc… ecc…”
“Qual è il punto? Cosa succede quando il carico é bagnato? – Chiesi quasi infastidito –
“Succede che appena si mette in moto, dal motore si sprigionano vibrazioni in ogni angolo della nave che ovviamente si propagano nelle stive che, in brevissimo tempo, si trasformano in giganteschi frullatori. A questo punto l’umidità diventa acqua, monta sulla superficie del carico e appena la nave accosta, per esempio a dritta, l’acqua scorre verso la paratia di dritta facendola sbandare… per farla affondare senza pietà… e giù bestemmie…!
Io ho avuto la fortuna di poter rientrare in porto prima che potesse accadere l’irreparabile!
Sior, ora lei é informato. Lei é il responsabile del carico, ma io le sarò sempre vicino, notte e giorno e le mostrerò come va trattata certa gente… e se poi ci sarà da “menare” entrerà lei in gioco con la sua esuberante giovinezza…”
Questo racconto, basato sui miei ricordi personali di oltre 50 anni fa, vuol solo dimostrare quanto siano insidiosi i pericoli che l’uomo di mare incontra non solo nel mare in tempesta, ma anche sulla terraferma dove gli interessi comuni degli addetti ai lavori convergono sulla necessità che la nave parta al più presto senza perdite di tempo! - “TIME IS MONEY” – Questa é la regola in ogni porto del mondo grande o piccolo che sia.
Ho ancora un brevissimo ricordo da raccontare, proprio sul Comandante Mario Catena della FUSINA. Era il 1964
MA COSA E’ IN REALTA’ QUESTA BLENDA? A COSA SERVE?
Ci siamo informati!
LA BLENDA
La sfalerite o blenda è il minerale dal quale si estrae industrialmente lo zinco, come sottoprodotto anche cadmio (Il cadmio è un metallo bianco-argenteo, abbastanza tenero; il cadmio metallico è impiegato nell'industria per la produzione di acciaio e plastiche. I composti sono usati nella produzione di batterie, di componenti elettronici e di reattori nucleari), gallio (Il gallio è usato per tenere insieme alcuni nuclei di bombe nucleari. Tuttavia, quando i nuclei sono tagliati e si forma polvere di ossido di plutonio, il gallio rimane nel plutonio. Il plutonio diventa quindi inutilizzabile come combustibile perché il gallio è corrosivo per parecchi altri elementi, indio (L'indio è usato principalmente per la fabbricazione di leghe bassofondenti, di cuscinetti e altre parti in movimento nell'industria automobilistica; alcuni suoi composti (arseniuro, antimoniuro e fosfuro) hanno assunto una certa importanza come semiconduttori).
I giacimenti italiani più significativi del minerale BLENDA sono quelli della Sardegna, in particolare Montevecchio nel Medio Camidano, Monteponi nell’Inglesiente e "Sos Enattos" di Lula (Nuoro). Vi sono altri giacimenti nel Nord Italia.
Il nome deriva dal greco σφαλερός (sfalerós, ingannatore) poiché anticamente il minerale era ritenuto ingannevole per i minatori. L'elevato peso specifico ed il fatto di trovare questo minerale associato con altri minerali metalliferi, tra cui la galena, faceva ritenere il minerale utile per estrarre metalli utili ma nessuno riusciva poi ad ottenerli. Tuttavia lo zinco venne ottenuto dai cinesi e, con la mediazione degli arabi, il metodo di estrazione dello zinco arrivò in Europa solamente nel medievo.
SFALEROS – Ingannatore…
M/n FUSINA – DATI NAVE
Nome |
: |
FUSINA |
Anno di costruzione |
: |
1957 |
Cantiere |
: |
Cantiere Navale Pellegrino – Napoli (Italia) |
Armatore |
: |
Società Armatrice S.A.N.A. – Trieste (Italia) |
Nazionalità |
: |
Italiana |
Stazza lorda |
: |
2.706 tonnellate |
Stazza netta |
: |
1.474 tonnellate |
Portata lorda |
: |
4.275 tonnellate |
Lunghezza |
: |
95,60 metri |
Larghezza |
: |
13,45 metri |
Altezza |
: |
7,06 metri |
Immersione |
: |
6,68 metri |
Apparato motore |
: |
1 motore Fiat diesel ( 2 tempi – 7 cilindri) |
Cavalli asse |
: |
1.750 |
Eliche |
: |
1 |
Velocità massima |
: |
14,20 nodi |
Stive |
: |
3 x 4.517 metricubi |
Data affondamento |
: |
Venerdì 16 gennaio 1970 |
Causa affondamento |
: |
Spostamento del carico |
Rotta |
: |
Da Porto Vesme a Venezia |
Equipaggio |
: |
19 |
Morti |
: |
18 |
Mare |
: |
Mediterraneo |
Stato |
: |
Italia |
Regione |
: |
Sardegna |
Località |
: |
Isola di San Pietro |
Ubicazione |
: |
39° 12’ 12” N – 8° 14’ E |
Profondità |
: |
- 98 metri |
CARLO GATTI
Rapallo, 4 Agosto 2020
JOSEPH CONRAD UN ESPLORATORE DELLO SPIRITO MARINARO
JOSEPH CONRAD
UN ESPLORATORE DELLO SPIRITO MARINARO
PRIMA PARTE
Il 17.2.2012 dedicai un articolo per Mare Nostrum al veliero NARCISSUS il cui capitano, Joseph Conrad, divenne il celebre scrittore che tutti noi conosciamo. Sullo sfondo del racconto emerge il dipinto del famoso veliero (opera dell’artista G. Roberto) che é appeso sui muri della fede nel santuario di Montallegro (tanto caro a Emilio Carta), ma sulle vele di quel VELIERO c’é anche il marchio della marineria camoglina che porta il nome di Vittorio Bertolotto che ne fu il suo ultimo armatore.
NARCISSUS - IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE - di J. CONRAD
SECONDA PARTE
IL NEGRO DEL NARCISSUS di Joseph CONRAD
Avventura e metafore di vita ancora attuali in un racconto autentico e avvincente
Nel sottotitolo della copertina c’é la chiave di lettura della SECONDA PARTE del nostro lavoro. Secondo i critici e gli studiosi, il racconto è visto come un’allegoria del tema della solidarietà e dell’isolamento, con il microcosmo della nave che rappresenta una versione in scala ridotta della società umana.
“The Nigger of the Narcissus”- (A Tale of the Sea), è un racconto di Conrad del 1897 considerato come l’inizio della sua carriera letteraria. Lo si indica talvolta come rappresentante dell’impressionismo in letteratura: il mare e le navi con i suoi equipaggi sono spesso raccontati, ieri come oggi, dai pennelli di grandi artisti che sanno cogliere lo spirito avventuroso dei marinai. La prefazione, scritta direttamente dall’autore, è considerata una sorta di manifesto letterario di Conrad.
Il protagonista, James Wait, è un marinaio nero delle Indie Occidentali imbarcato sul veliero mercantile “Narcissus”, lo scenario è la navigazione tra Bombay e Londra. Durante il viaggio Wait viene colpito da una grave malattia polmonare (tubercolosi?), forse contratta poco prima dell’imbarco. Cinque membri dell’equipaggio rischiano la vita per salvarlo durante una tempesta, al contrario il Capitano Allistoun ed il vecchio marinaio Singleton dimostrano freddezza e indifferenza preferendo concentrarsi sulle proprie funzioni di governo della nave…
Ma chi era Joseph Conrad ?
(1857-1924)
Vita–e-Opere
Joseph Conrad Theodor Naleçs Korzenioowski nasce da genitori polacchi nella Ucraina occupata dai russi nel 1857. Nel 1868 i suoi genitori muoiono e lui va a vivere con uno zio che aveva una grande passione per la letteratura inglese. All'età di diciassette anni viene impegnato sulle navi francesi come marinaio e visita le Indie Occidentali e l’America Latina. Nel 1878 lo scrittore si reca in Inghilterra per la prima volta e nel 1886 ottiene la cittadinanza britannica, cambiando il suo nome in Joseph Conrad.
Il Capitano-scrittore serve per sedici anni nella Marina mercantile britannica prima di ritirarsi nel 1894. Nel 1883 fa parte dell’equipaggio della nave Narcissus a Bombay, un viaggio che ispirerà il suo romanzo del 1897 Il Negro del Narcissus.
Nel 1889, Conrad soddisfa il suo sogno raggiunge lo Stato Libero del Congo. Diventa Capitano di un battello a vapore in Congo, e assiste ad atrocità che sono riportate sia in Diari del Congo e in Cuore di tenebra nel 1902.
Gravemente malato, è costretto a lasciare il mondo delle navi e nel marzo 1896 si sposa con una signorina inglese, Jessie George. Vivranno per lo più a Londra e vicino a Canterbury, Kent. La coppia avrà due figli. Muore nel 1924. Le sue esperienze sul mare - la solitudine, la corruzione e la spietatezza umana - convergono a formare una visione cupa del mondo. Alla popolarità di Conrad non corrispose un analogo successo finanziario, la sua salute fu cagionevole ma molto intensa dal punto di vista letterario per il resto della sua vita. Questo scrittore di mare si é calato come pochi nell’animo umano in quella platea composita degli uomini di mare obbligati a convivere tra razze e religioni diverse, tra culture e opinioni politiche opposte. Ancora oggi i suoi libri sono studiati nelle maggiori università del mondo nelle facoltà di psichiatria. Morì nel 1924 per arresto cardiaco e fu seppellito nel cimitero di Canterbury (Kent, England), col nome di Korzeniowski
Conrad ha scritto tredici romanzi, ventotto racconti, due volumi di memorie e un gran numero di lettere. Tra le sue opere più significative sono
La Follia di Almayer (Almayer’s Folly, 1895).
Un reietto delle isole (An Outcast of the Island,s 1896), sullo sfondo di in paesaggi esotici uomini emarginati sono distrutti da sogni di potere e di ricchezza.
Il Negro del Narcisso (The Nigger of the Narcissus, 1897) è la storia di un marinaio nero morente su una nave e il comportamento del personale di bordo.
Gioventù (Youth, 1902) è il racconto di un lungo viaggio che diventa simbolo del passaggio dalla giovinezza alla maturità.
Cuore di tenebra (Heart of Darkness, 1902) è un romanzo che racconta un viaggio sul fiume Congo per salvare un commerciante d'avorio.
Tifone (Typhoon, 1903) parla di un capitano che riesce a guidare la sua nave durante un tifone.
Lord Jim, (1900) narra di un uomo che, dopo una vita vile, si redime con una morte eroica.
Nostromo (1904) è un romanzo politico ambientato durante la rivoluzione americana.
L'agente segreto (The Secret Agent, 1907), storia di una spia mediocre che costringe il fratello di sua moglie a un atto di terrorismo.
Sotto gli occhi dell'Occidente (Under Western Eyes, 1911) racconta il conflitto interiore di un rifugiato russo in Svizzera.
Chance (1913) è insolitamente centrata su un personaggio femminile, che sposa un capitano di aiutare il padre imprigionato; la narrazione è complessa con diversi narratori prendono e vari punti di vista.
Vittoria (Victory, 1915) è un romanzo tragico nei mari del Sud.
La Linea d’ombra (The Shadow Line, 1919) riferisce di un viaggio difficile, simbolo della crescita di un giovane uomo.
“Il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l’immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce”
J. Conrad
Monumento a Joseph Conrad a Gdynia, sulla costa del mar Baltico in Polonia
“Era calmo, freddo, imponente, maestoso. I marinai si erano avvicinati e stavano alle sue spalle. Sovrastava il più alto di mezza testa. Rispose: ‘Faccio parte dell’equipaggio.’ Scandì le parole con sicurezza e decisione. Il tono profondo e sonoro della sua voce si diffuse sul cassero nitidamente. Era beffardo per natura, come se dall’alto della sua statura, avesse contemplato tutta l’entità della follia umana e si fosse convinto di voler essere tollerante.”
Secondo la critica più autorevole, il romanzo è un'allegoria sul tema della solidarietà e dell'isolamento, con il microcosmo della nave a rappresentare una versione in scala ridotta della società umana.
Il “Negro del NARCISSUS” è una storia di mare ma è anche un’indagine sulla natura psicologica dell’uomo che reagisce con le sue passioni nello stesso contesto dove altri uomini pensano ed agiscono secondo le loro origine antropologiche.
La descrizione della tempesta raggiunge la bellezza dei grandi poeti antichi, ma il fortunale è anche nei cuori dell’equipaggio.
Il gigantesco marinaio negro Jimmy Wait imbarca sul Narcissus che é in partenza da Bombay per Londra. Il nativo delle West Indies si ammala pochi giorni dopo la partenza. A bordo emerge subito il dubbio che fosse già ammalato o peggio ancora che stia fingendo... Tante domande, nessuna risposta!
Il NARCISSUS fa rotta contro una furiosa tempesta sull’ormai vicino Capo di Buona Speranza. La navigazione si fa difficile e la malattia di Jimmy peggiora. Quando la tempesta si scatena in tutta la sua violenza le condizioni di Jimmy si aggravano e la sua sorte sembra segnata, ma nessuno capisce se la tempesta sta inseguendo proprio il povero Jimmy oppure la nave.
“Lo curiamo o le gettiamo in mare?” Pare essere questo l’atteggiamento dell’equipaggio che é vittima dell’irrazionale paura d’incorrere nell’eventuale contagio di un cadavere a bordo!
A bordo del Narcissus – scrive Conrad – “La falsità trionfava. Trionfava grazie al dubbio, la dabbenaggine, la pietà, il sentimentalismo… La pervicacia con la quale Jimmy si ostinava nel suo atteggiamento insincero di fronte alla verità inevitabile, aveva le proporzioni di un enigma mostruoso, di una manifestazione iperbolica che a volte suscitava un meravigliato, timoroso stupore… L’egoismo latente che si annida in tutti noi di fronte alla sofferenza si rivelava nella crescente preoccupazione che ci rodeva nel non volerlo veder morire… Era assurdo al punto da sembrare ispirato. Era unico e affascinante… Stava diventando irreale come un’apparizione… La sua presenza ci avviliva, ci scoraggiava…”.
Il capitano Alliston, da abile uomo di mare, salva la nave con i suoi ordini decisi e precisi, mostra grande coraggio nell’infondere all’equipaggio quella sua stessa forza che diventa decisiva per salvarsi.
Con il suo romanzo Conrad sembra dirci che la tempesta è necessaria per rivelare ad ognuno la sua parte più profonda, per ricordare ad ogni uomo la piccolezza della natura umana.
“Agli uomini ai quali, nella sua sdegnosa misericordia, esso concede un istante di tregua, il mare immortale offre nella propria giustizia, e pienamente, il privilegio, ambito del resto, di non riposare mai. Nell’infinita saggezza della sua grazia non consente loro di poter meditare con calma sull’acre e complesso sapore dell’esistenza, per tema che abbiano a ricordare e forse a rimpiangere la ricompensa di una tazza d’ispiratrice amarezza, tanto spesso assaggiata e altrettanto spesso sottratta alle loro labbra già irrigidite, ma pur sempre riluttanti. Questi uomini devono senza un istante di requie giustificare la propria vita all’eterna pietà…”.
Conrad non troverà mai le risposte alle sue domande esistenziali…
“…in balia del grande mare …del mare che tutto sapeva, e che avrebbe col tempo infallibilmente svelato a ciascuno la saggezza nascosta in ogni errore, la certezza latente del dubbio, il regno della salvezza, e della pace al di là delle frontiere del dolore e della paura”.
La visione che Conrad ha della nave e del suo equipaggio è racchiusa nelle righe che seguono e che svelano il segreto di quel delicato equilibrio che ognuno a bordo deve stabilire con sé stesso e con gli altri; si tratta dell’unico target che nessuno t’insegna a terra perché appartiene al mondo del mare: partire ed arrivare in sicurezza! Il traguardo lo si può raggiungere soltanto con quella disciplina interiore che nasce e si sviluppa nel rispetto e nella paura del Dio Mare. Forse è questo il vero collante dell’equipaggio per la riuscita della spedizione: uomini di mare, difficili da guidare ma facili da esaltare!
Il marinaio anche se rozzo ed ignorante quando entra in sintonia con il giusto spirito marinaresco diventa un professionista insostituibile nella sua mansione.
“(…) la nave, frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile frontiera. (…) Essa aveva il suo futuro; viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti; come la terra che l’aveva confidata al mare, essa trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti … Essa correva schiumeggiando verso il Sud, come guidata dal coraggio di un’altra impresa. La ridente immensità del mare rimpiccioliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro, rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, e le notti, movimentate e brevi, parevano fuggevoli sogni..."
Qualcuno ha scritto con molta acutezza:
“Amato e odiato, James Wait lascia la terraferma per non ritrovarla più, perché certi viaggi durano per sempre, soprattutto quando resi immortali da una penna sincera, al punto da risultare crudele, come quella di Joseph Conrad”.
“Mentre odiavamo James Wait. Non riuscivamo a liberarci dal sospetto orribile che quel negro sorprendente facesse finta di essere malato, fosse stato testimone insensibile della nostra fatica, del nostro disprezzo, della nostra pazienza, e ora insensibile alla nostra solidarietà di fronte alla morte. Il nostro senso morale, per quanto imperfetto e vago, reagì con disgusto di fronte alla sua vile menzogna. Ma lui continuava a sostenere il suo ruolo con coraggio sorprendente. No! Non era possibile. Era stremato. Il suo temperamento insopportabile era solo il risultato dell’ossessione invincibile della morte che sentiva prossima. Chiunque si sarebbe indignato per una simile imperiosa compagna. Ma allora che razza di uomini eravamo noi con i nostri sospetti! Indignazione e dubbio erano in conflitto dentro di noi, travolgendo ogni nobile sentimento. E noi lo odiavamo a causa del nostro sospetto, lo detestavamo a causa del nostro dubbio. Non potevamo disprezzarlo impunemente e neppure compiangerlo senza ledere la nostra dignità. Così lo odiavamo e ce lo passavamo con cura di mano in mano”.
Per gli appassionati lettori di Conrad aggiungo anche LA LINEA D’OMBRA: “Come in guerra, anche sulla nave, l'unica speranza di salvezza sta nel fare con abnegazione e sacrificio ognuno la propria parte”.
Pochi giorni fa sono stato invitato a partecipare a un gioco su F/B: postare per 10 giorni dieci copertine di libri che ho amato particolarmente, senza spiegarne il perché.
Martedì ho scelto The Nigger of the NARCISSUS per la reminiscenza del suo messaggio morale che mi rimase impresso come l’allegoria della solidarietà….
Oggi stiamo vivendo la storia della pandemia Covid-19, e ho rivisto il negro James Wait, il misterioso reietto del Narcissus, ricoverato in una delle nostre RSA per gli anziani. La sua sorte é segnata perché una società “malata, cinica e crudele” ha deciso che la morte sia la soluzione di tanti problemi reali e psicologici. Una sorte di liberazione che in breve tempo sarà archiviata e dimenticata nelle celebrazioni che seguiranno la VITTORIA sul Virus…
The show must go on nella sua eterna attualità!
Vi segnalo un approfondimento su questo tema.
La strage silenziosa di anziani nelle RSA - “Macelleria messicana” nelle residenze per anziani
“Persone fragili, alcune anche affette da altre patologie, diventate terreno fertile per il virus che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Uomini e donne che per troppo tempo hanno dovuto subire il triste clichè che toglieva dignità alle loro vite. "Tanto muoiono solo i vecchi", pensavano in tanti. Era come diventato una sorta di scudo per chi ancora si aggirava per le strade delle città indisturbato, senza protezioni, convinto che, quella del coronavirus, fosse tutta una bufala gonfiata dai media. Eppure, nonostante gli anziani fossero già stati individuati come la preda più facile da attaccare per il virus la realtà sembra raccontare che qualcuno non li ha protetti abbastanza”.
Termino proponendovi l’articolo di una brava giornalista che senza citare IL NEGRO DEL NARCISSUS ne é comunque una fedele interprete.
Redazione CDN (Calabria Diretta News)
21 Aprile 2020
Non c’è la violenza, non c’è la premeditazione, non c’è l’orrore del sangue ma quella che si va consumando nelle residenze per anziani è una mortalità che evoca gli stermini della rivoluzione messicana, diventati metafora di ogni mortalità di massa ingiustificata, incontrollata e incontrastata.
Non è soltanto la vicenda di Villa Torano col suo crescente numero di contagiati, dentro e fuori la struttura, con i comportamenti omissivi, le negligenze del personale, la superficialità irresponsabile della gestione, le compiacenze con la Protezione Civile e il Mater Domini di Catanzaro a rappresentare il luttuoso fenomeno di una mortalità anagrafica. E’ tutta l’Italia che rivela nei confronti delle residenze per anziani un atteggiamento di sistema senza controlli adeguati e una pressoché totale privatizzazione del settore che rappresenta uno dei business più redditizi sulla vecchiaia e sul bisogno di assistenza degli anziani.
Ci sarebbe un aspetto etico da considerare e cioè che gli anziani di oggi sono la generazione che ha conosciuto nella sua infanzia la guerra ma, soprattutto, che ha vissuto e realizzato la “ricostruzione”, il boom economico e la modernizzazione del Paese con governi a base democratica. Strappati agli affetti familiari, ricoverati come pazienti ad alto rischio e a bassa possibilità di guarigione, morti in solitudine in corsie congestionate e scaricati nelle loro bare, da camion militari, in spazi cimiteriali improvvisati, questi anziani se ne sono andati, comunque la si voglia mettere, portandosi dietro una percezione di ingratitudine che non meritavano. C’è una responsabilità morale che è ben diversa dalle responsabilità che la giustizia, a volerla considerare tale, avrà il compito di accertare.
Si sapeva che erano i più esposti e per i quali, quindi, bisognava predisporre e intervenire per tempo con dispositivi di protezione, mascherine e tamponi in primis. Invece, oltre a lasciarli indifesi, si è consentito che venissero infettati dall’esterno, per negligenza, incompetenza, cialtroneria politica e irresponsabilità di chi avrebbe dovuto agire.
Ognuno di noi sa, nella propria coscienza, quanto ha valutato, nella paura dilagante, il diritto alla vita degli over 70 se non over 65. Pare, addirittura, che in alcune fasi dell’emergenza e della penuria di ventilatori polmonari sia stato preso in considerazione il codice di guerra secondo il quale, presentandosi l’alternativa ineludibile di salvare un vecchio o un giovane, prevede che sia il vecchio a essere sacrificato. E si può tragicamente capire ma parliamo di codice di guerra, ovvero bombardamenti, massacri indiscriminati, ospedali da campo e carneficine da affrontare.
Niente di tutto questo nell’anno del Signore 2020 dove la “macelleria messicana” nelle residenze per anziani parte e si consuma nelle realtà ritenute eccellenti della sanità italiana, modello – a quanto si dice – invidiatoci a livello internazionale, per espandersi progressivamente in tutto il Paese.
Tutto questo in presenza di una pandemia che ha preso alla sprovvista l’intero pianeta, senza risparmiare le potenze mondiali più ricche, a partire dagli Stati Uniti. Ma il problema delle residenze per anziani esiste da prima che facesse irruzione il coronavirus.
Mettendo da parte, in questa analisi, le “case di riposo” oggetto di incursioni dei carabinieri, rivelatrici di condizioni sub-umane di trattamento paragonabili ai lager nazisti, è il caso di riportare alcuni numeri per comprendere perché le residenze per anziani rappresentano un business redditizio “anticiclico”, dove anticiclico significa che il settore non è soggetto a oscillazioni e crisi di mercato perché la “senilizzazione” ovvero l’invecchiamento della popolazione è una dinamica in espansione non compensata dalle nascite.
Una distinzione preliminare va fatta fra RSA (residenze sanitarie assistenziali) RA ( case di riposo o comunque di assistenza agli anziani ) e “pensioni” di iniziativa privata che sfuggono ad ogni autorizzazione e controllo. Le RSA che non sono a gestione pubblica sono a gestione privata e, nella maggior parte, convenzionate col servizio sanitario nazionale. Percepiscono per ogni paziente una retta mensile valutabile nell’ordine di 140/150 euro al giorno per paziente ma esistono anche quotazioni più basse fino ad arrivare alle “pensioni” più povere dove la retta può essere di 1.200 euro al mese.
Secondo l’Agenas, che opera per conto del governo nazionale, in Italia tutte le residenze per anziani, escluse quelle clandestine e fuorilegge, assommano a oltre 6 mila per complessivi 287.532 posti letto di cui centomila 282 a gestione pubblica e 171mila 445 a gestione privata. Le RSA in senso stretto sarebbero 2.475 per 220mila e 700 utenti.
Ma c’è molta confusione sui dati poiché il sommerso è difficilmente quantificabile.
Quello che è certo è che il settore è progressivamente finito negli appetiti di gruppi imprenditoriali, finanziariamente agguerriti, che ne hanno preso il controllo. Si va da realtà come quella di Villa Torano, capofila di altre residenze gestite dallo stesso gruppo, alle 55 residenze gestite dalla CIR di Carlo De Benedetti in molte regioni con un fatturato che si può immaginare.
Per quanto riguarda Villa Torano, la polemica esplosa riguarda,oltre all’espandersi incontrollato del contagio, il ruolo giocato nella vicenda dalla politica atteso il coinvolgimento di un esponente politico di Forza Italia, tal Parente, la cui consorte detiene il 40 per cento del pacchetto azionario del gruppo che gestisce più residenze per anziani. Al politico in questione e alle protezioni su cui può contare vengono ricondotte le anomale agevolazioni ottenute dalla Protezione Civile con la fornitura di 200 tamponi e con le controverse risultanze dei tamponi effettuati.
Nella polemica esplosa sui controlli non effettuati e sulle negligenze emerse è intervenuto Enzo Paolini che da anni, senza essere titolare di alcuna struttura sanitaria, rappresenta in Calabria, dopo averla rappresentata a livello nazionale, l’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) ovvero quelle comunemente chiamate cliniche o case di cura che prevalentemente sono convenzionate col servizio sanitario e rappresentano “l’altra gamba” del servizio sanitario pubblico.
Paolini, in effetti, non rappresenta le RSA che sono un settore a parte ma ha ritenuto di dover intervenire sulla polemica esplosa su Villa Torano per chiarire cosa debba intendersi per sanità privata e cosa rappresentano le RSA, interessato alla distinzione per diversificare ruoli e responsabilità e scoraggiare ogni strumentalizzazione contro la sanità privata, generalizzando con Villa Torano. Intanto, per Paolini, nessuna indulgenza per chi opera fuori dalle regole e dai protocolli previsti dalla legge, sia che si tratti di cliniche private che di residenze per gli anziani.
Nessuna indulgenza e nessuna giustificazione ma sbaglia chi generalizza e dalla vicenda di Villa Torano trae giudizi sommari sulla sanità privata “tout court”, facendo così torto a chi opera con onestà e trasparenza. Semmai Paolini, superando le affermazioni del sindacato infermieri e le dolenze giustificate per la mancanza di dispositivi di protezione, chiama in causa chi deve esercitare i necessari controlli dovuti, sia che si tratti di cliniche che di RSA. E qui sta il punto, dove emergono le supposte connivenze con la malapolitica .
Nessuno, né a destra né a sinistra, ha mai chiesto una verifica di quanti politici, tramite familiari o prestanome, hanno interessi nella sanità. Alcuni casi sono venuti alla luce, altri sono occultati o adeguatamente mascherati. Nelle residenze per anziani si stava male anche prima del coronavirus ma nessuno è andato a vedere.
Ora sembra che la magistratura inquirente abbia scoperto che qualcosa non va, che l’assenza di controlli nasconda qualcosa di più grave, che sulla pelle dei nostri vecchi siano state costruite rendite di posizione che, né a destra né a sinistra, si avverte la necessità di tenere sotto controllo rispetto alla qualità dei servizi e ai requisiti da osservare. In questo la mafia non c’entra o c’entra in compartecipazione di minoranza.
Non sarebbe un eccesso di zelo se, a parte i cartelli colombiani della droga e il coronavirus che incrementerà l’usura, ci fosse un giudice che avesse a cuore le ignominie consumate da gruppi di colletti bianchi, fra di loro collusi, a danno dei nostri vecchi. Ci sono i silenzi colpevoli di chi, ai vari livelli, facendo finta di non sapere, copre e protegge. Verosimilmente sono gli stessi ambienti che, a 60 giorni dal coronavirus, non hanno detto una parola sull’insabbiamento dei quattro nuovi ospedali di Gioia Tauro, Vibo, Sibari e Cosenza. Anche i calabresi, increduli su Villa Torano, tacciono.
Rassegnati al peggio.
https://www.calabriadirettanews.com/author/stefania/
CARLO GATTI
Rapallo, 23 oprile 2020
L'OCEANOGRAFIA: fotografa e preserva i noistri mari
Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.
L’OCEANOGRAFIA: fotografa e preserva i nostri Mari
Copernicus, la tecno-sentinella dei mari
Il 4 Aprile 2014 L’Europa ha lanciato il primo satellite ambientale del programma COPERNICUS. Il satellite, del peso di 2,3 tonnellate, è decollato ieri sera a bordo del lanciatore Soyuz dallo spazio porto europeo di Kourou, nella Guyana francese, alle 23:02 (21:02 GMT). La separazione del primo stadio è avvenuta 118 secondi più tardi, seguito dalla separazione del fairing (a 209 secondi), del secondo stadio (287 secondi) e del gruppo superiore (526 secondi). Dopo 617 secondi di spinta, lo stadio superiore Fregat ha messo il satellite Sentinel nell'orbita eliosincrona ad un'altitudine di 693 km. Il satellite si è separato dallo stadio superiore dopo 23 minuti e 24 secondi dal lancio. "Il Sentinel-1A apre una nuova pagina nell'implementazione di Copernicus, la seconda iniziativa spaziale dell'Unione Europea, dopo il sistema di posizionamento Galileo" ha detto il Direttore Generale dell'ESA, Jean-Jacques Dordain.
Nave Magnaghi (A 5303) è la prima nave idro-oceanografica progettata e costruita in Italia. Prende il nome dall'ammiraglio Giovan Battista Magnaghi, per ...
Dal prossimo anno prima di uscire in barca, di prendere un traghetto o di fare una regata si potrà conoscere lo stato attuale e prossimo del mare consultando il servizio d’informazione COPERNICUS. Finanziato dall’Unione Europea dal 2014 al 2020, eseguirà un monitoraggio accurato della terra in tutti i suoi cinque domini, mari compresi: di questi ultimi l’Italia, attraverso il Gruppo nazionale di oceanografia operativa (Gnoo) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), gestirà il Mare Mediterraneo per l’Europa. <<Si tratterà di un servizio regolare e sistematico, accessibile gratuitamente a tutti, che consentirà di stimare le condizioni del mare al meglio delle tecnologie attuali (satelliti e misure in situ) e di fare la migliore previsione di tutte le sue componenti, dalle correnti alla biochimica marina, dal moto delle onde alla salinità e alle temperature dell’intera colonna d’acqua>>, ci spiega Nadia Pinardi, docente di Oceanografia all’Università di Bologna, direttrice dello (Gnoo) e autrice del libro “Misurare il mare” edito da Bonomia University Press.
I servizi già esistenti
Se si è potuto mettere a punto uno strumento così completo, il merito va all’oceanografia operativa, la disciplina che si avvale di tecnologie avanzate che raccolgono dati in tempo reale, li fanno arrivare sul deskop dei computer di un centro di calcolo per essere elaborati e li immettono in un modello di monitoraggio globale ad alta risoluzione che li controlla e li confronta con modelli numerici che fanno previsioni. Chi è però appassionato di navigazione, o chi per professione se ne deve interessare, può obiettare che a tutt’oggi esistono già il bollettino delle previsioni dei Mari dello Gnoo consultabile sul sito dell’INGV all’indirizzo http://gnoo.bo.ingv.it/mfs/web_ita/contents.htm e il servizio del progetto di tecnologie avanzate visionabile su www.see.conditions.it.
Un confronto costruttivo
Quali differenze hanno i servizi d’informazione marina attuali con il futuro servizio COPERNICUS? <<Innanzitutto non garantiscono una consegna tempestiva dei dati e delle previsioni e pur essendo di dominio pubblico da essi non si possono prendere le informazioni e farle proprie per scopi economici. Tra l’altro elaborano previsioni solo di alcune componenti del mare e dell’atmosfera>>, ci aggiorna Nadia Pinardi. In particolare il servizio see-conditions diventerà privato. Il suo sistema di erogazione delle previsioni sul web è già realizzato dall’azienda Links S.p.a., mentre l’attività di ricerca e la rielaborazione dei modelli oceanografici sono svolte dal centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti Climatici (CMCC) e dall’Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero (IAMC) del Cnr. COPERNICUS sarà invece un servizio pubblico e darà molte informazioni in più. Permetterà pure di far crescere la cosidetta economia “blu” e di creare occupazione: le aziende potranno infatti prendere i dati oceanografici e metereologici da COPERNICUS e fare loro le previsioni.
I vantaggi di COPERNICUS
Oltre ad aggiornarci su “che mare sarà”, COPERNICUS permetterà di avere rotte più sicure in mare e di gestire al meglio le emergenze che avvengono nelle nostre acque. <<Già il servizio di previsioni dello Gnoo aveva supportato l’azione delle guardie costiere della protezione Civile Italiana per l’incidente della Concordia sia nel 2012 per un eventuale sversamento del carburante e sia quest’anno per la rimozione della nave>>, ci ricorda Nadia Pinardi. Le informazioni sui componenti chimici e biogeochimici marini ottenuti con COPERNICUS saranno inoltre utili per il monitoraggio della qualità dell’acqua e per il controllo degli inquinanti; quelle relative al livello del mare aiuteranno a valutare l’erosione costale; e quelle sulla temperatura superficiale dell’acqua marina, uno dei primi parametri che fa la spia dell’impatto fisico del cambiamento climatico, renderanno conto della diretta conseguenza sugli ecosistemi marini.
A supporto di molte applicazioni marine
COPERNICUS contribuirà anche a migliorare la sicurezza marina, la difesa del territorio per uno sviluppo sostenibile e la protezione delle coste da eventi estremi, a esercitare un controllo sulla pesca e sul pescato per salvaguardare questa risorsa alimentare e a facilitare il lavoro di scienziati e di ricercatori che avranno a disposizione una rappresentazione dello stato del mare su cui studiare la dinamica marina. Molti dei dati distribuiti dal servizio, quali temperatura, salinità, livello del mare, correnti, venti e ghiacci in mare, giocheranno un ruolo cruciale nel dominio del meteo, del clima e delle previsioni delle stagioni. La meteorologia non è infatti disgiunta dall’oceanografia: c’è infatti uno scambio di informazioni tra le previsioni atmosferiche e le previsioni del mare. Al momento COPERNICUS è disponibile in modalità pre-operativa e consultabile dagli utenti registrati su www.marine.copernicus.eu o www.MyOcean2.
Manuela Campanelli
Rapallo, 28 Luglio 2018
STUDIARE LA MANOVRA DELLE NAVI
STUDIARE LA MANOVRA DELLE NAVI
L'importanza di un programma di studio efficace
https://www.standbyengine.com/studiare-la-manovra-delle-navi/
BY JJOHN GATTI•16 FEBBRAIO 2021•9 MINUTI
Per chi vuole imparare a manovrare;
Per chi sa manovrare e vuole migliorare;
Per chi si preparara al concorso da pilota del porto.
In questo articolo scriverò di studio e di preparazione, proporrò idee e pensieri.
Il focus sarà centrato sulla preparazione all’esame per diventare aspirante pilota, ma i concetti sono applicabili a chiunque voglia migliorare le proprie capacità.
In SBE stiamo lavorando intensamente a un progetto che prevede la realizzazione di un corso di manovra attentamente bilanciato, secondo la nostra esperienza, tra teoria e pratica. Ad oggi sono usciti 4 video con relativi Ebook, contiamo di proseguire con nuove pubblicazioni ogni 2 mesi.
Siamo nell’epoca dell’informazione!
Anzi, siamo sommersi dalle informazioni.
Sembrerebbe una cosa positiva, almeno per certi versi, se non fosse che…
Ti è mai capitato di cercare materiale di studio ma trovarlo inquinato da troppe nozioni non pertinenti?
Nello specifico, hai mai passato ore e ore alla ricerca di informazioni di qualità utili alla prepararazione del concorso da pilota? Sei rimasto soddisfatto da queste ricerche?
Si trova molto su internet e sui libri, ma spesso lo sforzo si concretizza in un aumento della confusione.
È difficile valutare la qualità e decidere cosa serva veramente.
Gli esami cambiano da porto a porto nonostante il programma sia lo stesso, perché la difficoltà oggettiva varia a seconda di chi vi esamina e della mentalità che ha maturato; ma una cosa è certa, il capo pilota del porto sede di concorso non è un teorico.
L’esperienza accumulata negli anni condiziona inevitabilmente le domande e il giudizio sulla qualità delle risposte. È per questo che diventa importante filtrare le informazioni ottenute dallo studio con un occhio da “pilota”.
È un esame impegnativo, dove i concorrenti hanno raggiunto un certo livello e sono decisi – proprio come te – a lottare per raggiungere il risultato che gli cambierà la vita.
Un punto importante da considerare, è che il pilota è un esperto dell’area presso cui presta servizio. Vuol dire che, al di là della preparazione generica, è un esperto in un porto ben definito.
Se è vero che l’esame non è specifico, è pur certo che chi prepara le domande ha più familiarità con argomenti relativi a situazioni che affronta abitualmente: la nebbia per Venezia e Ravenna ad esempio, il vento per Genova e Livorno, le grandi navi per Gioia Tauro, o l’utilizzo degli Escort Tugs piuttosto che i tradizionali, ormeggi in andana o affiancati, nei canali o in spazi aperti, navi passeggere o petroliere, e così via.
Il punto chiave è che le domande avranno comunque una matrice legata all’esperienza locale, anche se sostenute da evidenze teoriche.
È un lavoro di nicchia, dove la preparazione all’accesso va studiata setacciando i contenuti, scartando il superfluo e studiando quello che resta con occhio marinaresco.
Nella valutazione di una manovra, gli ingredienti da miscelare vanno oltre le formule e gli effetti, coinvolgendo strategie che tengono conto dell’esperienza del comandante del rimorchiatore, della nazionalità dell’equipaggio, dei ridossi offerti dall’orografia locale, dall’abitudine o meno di utilizzare l’ancora… la risposta che si attende dall’interrogato è inevitabilmente “inquinata” dall’aspettativa di un ragionamento pratico, da pilota appunto.
Questo è un aspetto della preparazione difficile da affinare.
Conosco esattamente le sensazioni che prova chi si prepara al concorso, visto che – a suo tempo – è una cosa a cui ho dedicato diversi anni della mia vita.
Libri, quaderni, appunti, formule, regole, esempi.
La vera svolta, nel mio caso, c’è stata quando ho cominciato a studiare con un pilota: disegnava sulla carta e mi spiegava i ragionamenti che portavano alla scelta della manovra da eseguire, al numero di rimorchiatori da utilizzare, a come impiegarli e la via per ottimizzare le opzioni disponibili al raggiungimento del miglior risultato.
Sembrava semplice, lineare, ma il modo di legare i pensieri tra loro era lontano anni luce dalla mia mentalità.
Considerate che – come molti di voi – erano anni che navigavo e, ben prima del passaggio al comando, avevo già maturato il sogno di diventare un pilota del porto. Avevo un obiettivo e non perdevo occasione per studiare e manovrare.
Solo molto tempo dopo mi sono reso conto che fare il comandante – senza nulla togliere a questa professione di grande prestigio e alta professionalità – è un lavoro diverso dal fare il pilota.
La specificità del manovrare navi tutti i giorni per anni, porta a seguire dei ragionamenti selettivi distanti dalla psicologia maturata navigando.
Incertezze, errori, strategie sbagliate, paure, ma anche determinazione, coraggio, scelte giuste, obiettivi realistici (seppure ambiziosi) e una rotta.
Una rotta chiara, precisa, da correggere quando necessario.
Lavorare sui punti deboli.
La natura umana ci porta a sfruttare i nostri punti forti nascondendo quelli limitanti. Motivo per cui troviamo persone con qualità incredibili ridimensionate dall’emergere dei difetti su cui non hanno lavorato.
Io, per esempio, soffrivo di un problema comune a molti giovani: ero impulsivo. Riflettevo poco prima di agire e non prestavo attenzione alle conseguenze. Ero sempre in attesa di un ritorno immediato come risposta ai miei sforzi. Succedeva che, per quanto studiassi, non avvertivo nessun cambiamento, mi sembrava di non progredire mai, di non ricordare le cose. Avevo la sensazione di perdere le giornate a guardare l’erba crescere… non mi rendevo conto che, in realtà, l’erba cresceva, aveva solo bisogno di tempo, di costanza, di impegno.
Piano piano si cambia, si cresce, ci si forma. L’importante è non smettere di studiare, di imparare, di migliorare, di lavorare sui punti critici.
Questa è la base.
Applicato al nostro caso, significa che è inutile dedicarsi allo studio della manovra di una superpetroliera di pescaggio, senza prima aver appreso i fondamentali.
Nel corso SBE questa fase l’abbiamo indicata come l’ABC della manovra: Eliche, Timoni e Ancore.
Si deve imparare la teoria ma, soprattutto, capire come usarla nella pratica; cominciare a ragionare con la mentalità di chi lo fa per mestiere. Per questo abbiamo inserito numerosi esempi ed esperienze realmente vissute.
Dopo aver imparato e digerito la parte essenziale, si è pronti a entrare nel vivo della materia e ad apprezzare le sfumature degli argomenti che seguono. Arriva infatti il momento di parlare dei rimorchiatori: una componente essenziale della manovra, un argomento da padroneggiare, da sfruttare appieno. Seguito dal vento, dalle correnti, dalle interazioni e da tanti altri aspetti, che vanno poi miscelati per arrivare a elaborare ragionamenti concreti supportati da solide basi.
StandByEngine nasce per diradare il fumo delle cose inutili, per concentrare quello che ti serve e per aiutarti a spostare il punto di vista: da spettatore esterno alla manovra a spettatore dentro la manovra.
Rapallo, 2 Marzo 2021
LA CHIESA DI SAN SIRO-LA PRIMA CATTEDRALE DI GENOVA
CHIESA DI SAN SIRO
LA PRIMA CATTEDRALE DI GENOVA
Per la sua vicinanza alle calate interne del Porto Vecchio, è stata per 17 secoli il primo approdo religioso per un numero imprecisato di marinai e pellegrini che sono giunti via mare nel grande scalo genovese.
UBICATA NEL CENTRO STORICO DELLA CITTA’
Sino a qualche tempo pensavo che Genova fosse la città in Europa col più grande centro storico mentre non è così, si direbbe una definizione impropria, cosa assolutamente non vera, con i suoi 113 ettari, dimensione molto minore rispetto, ad esempio, a Venezia o Napoli.
La città ha il centro storico più denso perché è cresciuta all'interno delle sue mura e così le case, separate da stretti caroggi, sono cresciute in altezza.
Il centro storico di Genova è un dedalo di viuzze e di vicoli ed è un piacere perdersi tra di essi, sempre con la dovuta cautela, scoprendo angoli suggestivi ammirando edicole votive agli angoli dei palazzi.
Genova è nota col soprannome di la Superba e il primo a soprannominarla così fu Francesco Petrarca, che nel 1358 scrisse:
Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare
Questo soprannome si pensa sia dovuto alla conformazione della città che sembra protendersi verso il mare.
Pensando però ai suoi bellissimi palazzi, situati proprio nel centro storico, direi che superba si può considerare anche un sinonimo di altera e orgogliosa, ovvero considerare Genova come una città ricca di palazzi stupendamente affrescati che si possono vedere in occasione dei ROLLI DAYS.
I PALAZZI DEI ROLLI – GENOVA di Carlo GATTI
Insomma, non ci sono parole per spiegare "i caroggi di Genova". Ogni angolo di questa miriade di viuzze svelano qualcosa di questa città. Dalle più turistiche vie, tenute ora veramente bene, zeppe di localini, musicisti, artisti di strada e controllate dal forse dell'ordine che vigilano sui numerosi turisti a quelle meno trafficate dove gli abitanti sono perlopiù nord africani, ecuadoriani e sembra di essere in qualche casbah di Marrakech o di Tunisi con bancarelle e ristorantini etnici di ogni tipo e comunque decisamente caratteristici i caroggi, sicuramente da visitare quando si decide di fare un viaggio a Genova
Ma la sorpresa che ogni volta ci sbalordisce di questo affascinante centro storico è la ricchezza di chiese meravigliose, veri musei d’arte la cui storia viene da molto lontano.
Perché la Chiesa nel ‘600 cambiò il suo stile originale e si vestì quasi ovunque di BAROCCO? La risposta a questa domanda ci permetterà di capire alcune cose importanti della sua bimillenaria storia.
La Chiesa cattolica è l’unica religione monoteista che non abolì mai le rappresentazioni della divinità in tutte le sue forme artistiche che conosciamo. Al contrario, questo rapporto si rafforza nel clima “particolare” della Controriforma vedendo nel mondo dell’Arte lo strumento più idoneo per rimarcare la differenza con l’ambiente culturale protestante. La contestazione, forse più profonda di Lutero, si esprime proprio sulla ricchezza scenografica rinascimentale delle Chiese italiane considerata eccessiva e lontana dalla povertà delle origini, se non addirittura offensiva della rappresentazione della divinità.
In pratica, tutto ciò che la Riforma luterana mette alla berlina, nella Controriforma fissata dal Concilio di Trento (1545-1563), viene amplificata gettando più o meno inconsapevolmente le linee guida del BAROCCO, ossia la messa in scena in modo strabiliante del grande spettacolo della fede. Questo fenomeno si manifestò in misura maggiore nelle regioni come la Liguria, più esposte, via mare, al “contagio” protestante.
Oggi parliamo di
SAN SIRO
l'antica Cattedrale
Diciamo subito che il nome di questo santo rievoca principalmente il celebre stadio milanese, il cui nome è dovuto in realtà ad un altro santo omonimo, vescovo e martire presso Pavia nel IV secolo e festeggiato al 9 dicembre, il cui culto si è esteso sino a Milano.
La basilica di San Siro, è un edificio religioso situato nell'omonima via, nel quartiere della Maddalena. Eretta secondo la tradizione nel IV secolo. Vi fu seppellito il santo vescovo Siro e divenne la prima cattedrale di Genova. La sua comunità parrocchiale fa parte del vicariato "Centro Ovest" dell'arcidiocesi di Genova.
LA PIU’ ANTICA CHIESA DI GENOVA
Si trova a pochi passi dall’Acquario - Porto Antico
(In alto a sinistra della mappa)
Chiesa di San Siro di Struppa, Genova (Molassana). Pannello centrale del polittico raffigurante episodi dell'agiografia di San Siro, vescovo di Genova, con l'immagine del santo che scaccia il basilisco.
LA LEGGENDA DEL BASILISCO
Al nome del santo è legata la leggenda del Basilisco, stando alla quale il vescovo genovese avrebbe snidato il mostro dal suo nascondiglio, situato in fondo al pozzo a lato della chiesa. A ricordare l'evento sono un bassorilievo medioevale murato tra le arcate di un portico duecentesco nello slargo dinanzi al lato meridionale della chiesa e all'interno, nel catino absidale, un affresco seicentesco di Giovanni Battista Carlone.
Secondo le storie dell'epoca, a quei tempi a Genova c'era un grosso basilisco che si nascondeva in un pozzo collocato presumibilmente dalle parti di vico San Pietro della Porta. Il rettile terrorizzava i genovesi e appestava la città con il suo fiato, e per sconfiggerlo i cittadini si rivolsero a San Siro, il loro vescovo.
Il santo si avvicinò al pozzo, vi calò un secchio e ordinò al rettile di entrarvi dentro. L'animale obbedì, e allora San Siro prese una barca, andrò in mare, e ordinò nuovamente al basilisco di tuffarsi e nuotare via. E così fu.
In vico San Pietro della Porta c'è tuttora una lapide, risalente al '500, che raffigura San Siro e il basilisco. L'iscrizione dice: «Qui si trova il pozzo dal quale il Beatissimo Siro, arcivescovo di Genova, fece uscire il terribile serpente di nome basilisco». Il Santo viene raffigurato mentre sconfigge il rettile anche nella chiesa di San Siro di Struppa (vedi foto). In realtà, probabilmente, la leggenda indicava la lotta di San Siro non contro un rettile vero, bensì contro gli eretici ariani, simboleggiati dal basilisco.
L’ingresso della chiesa
UN PO’ DI STORIA
L'antica chiesa di San Siro fu eretta nel IV secolo; originariamente dedicata ai Dodici Apostoli, nel VI secolo cambiò la propria intitolazione in favore del vescovo Siro.
Il Martyrologium Romanum cita anche: “un San Siro coevo del precedente e perciò talvolta con esso confuso. Questi fu vescovo del capoluogo ligure, ove si dedicò con grande zelo alla cura delle anime sottoposte alla sua cura. Pochissimo sappiamo delle sue origini, ma alcuni studiosi lo vorrebbero nativo del fondo vescovile di Molliciana, odierna Molassana, e quindi più precisamente nella zona di Struppa, ove infatti sorge una grande ed antica basilica a lui dedicata. Non a caso il santo è talvolta citato come “San Siro di Struppa”.
Nel periodo del suo ministero pastorale, collocabile approssimativamente tra il 349 ed il 381, la vita cristiana della città di Genova progredì a tal punto che i suoi contemporanei tramandarono ai posteri il nome di Siro abbinandolo meritevolmente al ricordo di un pastore santo e vigilante. In età ormai avanzata e circondato da un’indiscussa fama di santità. Siro morì il 29 giugno di un anno imprecisato, forse proprio il 381 che viene considerato l’ultimo del suo episcopato.
Ricevette sepoltura nella basilica genovese dei Dodici Apostoli, che in seguito prese il suo nome. In seguito le sue spoglie vennero traslate nella attuale Cattedrale ad opera del vescovo Landolfo ed in tale anniversario, il 7 luglio, l’arcidiocesi di Genova ne celebra la festa.
La prima ricostruzione
Nel 1006 (o nel 1007) il vescovo Giovanni II la eresse in Abbazia, assegnandola ai Benedettini che grazie a generose donazioni (tra l'XI e il XII secolo) fecero costruire una grande basilica romanica a tre navate, sul luogo della chiesa originaria. Da quel momento quell’area, il cosiddetto “Burgus”, cominciò ad espandersi.
La basilica fu consacrata il 9 agosto 1237 dall'arcivescovo Ottone II, alla presenza di numerose autorità ecclesiastiche tra cui il patriarca di Gerusalemme Geroldo di Losanna; i Benedettini vi rimasero fino al 1398, quando, sotto il pontificato di Bonifacio IX, dopo un periodo di declino protrattosi per tutto il XIV secolo, la chiesa venne data in Commenda. L'arciprete Oberto Sacco fu il primo abate commendatario.
Due secoli dopo, il 5 agosto 1575, con il definitivo abbandono degli ultimi benedettini, papa Gregorio XIII affidò la chiesa ai Padri Teatini, presenti a Genova dal 1572 nella vicina chiesa della Maddalena; il titolo di abate venne invece trasferito al vescovo pro-tempore di Genova, ed è tuttora attribuito all'arcivescovo in carica.
Chi era Gaetano da Thiene? (ordine religioso fondato da Gaetano di Thiene)
SUL CASTELLO DI RAPALLO SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO
di Carlo GATTI
Il rifacimento cinquecentesco
Nel 1580 l'intera ala meridionale della chiesa fu distrutta da un incendio e i Padri Teatini ne decisero la totale ricostruzione. La paternità del progetto del nuovo edificio barocco, strutturato secondo le forme previste dalla Controriforma, è incerta: dagli storici è alternativamente attribuito al Vannone (al quale si deve con certezza la cappella Pinelli all'interno della chiesa), al padre teatino Andrea Riccio o a Daniele Casella. Accanto alla chiesa furono realizzati anche il convento e il chiostro.
I lavori, iniziati nel 1584, si protrassero fino al 1619, quando fu completata la cupola, ma già nel 1610 vi si celebrò la prima messa solenne, mentre nel 1613 vennero completate le principali strutture murarie; le decorazioni interne furono realizzate nel corso di tutto il XVII secolo mentre la facciata principale, in stile neoclassico, sarebbe stata realizzata solo nell'Ottocento.
I Teatini chiesero inutilmente un finanziamento pubblico per la ricostruzione della chiesa, mentre le sovvenzioni non mancarono da parte di varie famiglie patrizie genovesi.
Nel XVIII secolo, l'apertura della Strada Nuovissima (attuale via Cairoli), comportò un ridimensionamento del convento e del chiostro. Nel 1798, per le leggi di soppressione degli ordini monastici emanate dalla Repubblica Ligure napoleonica, i Teatini dovettero abbandonare il convento e la chiesa, che fu affidata al clero diocesano.
Dall'Ottocento ai giorni nostri
Nel 1821 fu finalmente realizzato il prospetto principale, in stile neoclassico, su disegno di Carlo Barabino. architetto genovese al cui nome sono legati numerosi edifici pubblici nei primi decenni dell'Ottocento ed il piano di espansione urbanistica della città.
Ai lati del portale d'ingresso, statue in stucco della Fede, di Nicolò Traverso, e della Speranza, di Bartolomeo Carrea. Sotto al timpano si trovano dei bassorilievi raffiguranti vari episodi della vita di San Siro. La chiesa subì gravi danni a causa di bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale e fu restaurata negli anni immediatamente successivi. In particolare furono distrutte due cappelle della navata di sinistra e l'altare di nostra Signora della Provvidenza.
Tra il 2007 e il 2008 sono stati eseguiti restauri delle decorazioni e degli affreschi delle cappelle e del presbiterio
La chiesa di San Siro oggi è senza il campanile che, come già accennato venne demolito nel 1904 per timore di un crollo, avendo evidenziato grosse crepe nella struttura. Alto 50 metri, era simile a quelli della vicina chiesa delle Vigne e della Commenda di Prè ed era stato innalzato nell'XI secolo, all'epoca della prima ricostruzione della chiesa. La decisione di demolire la quasi millenaria torre campanaria romanica fu presa sull'onda emotiva suscitata dal crollo del campanile di San Marco a Venezia, avvenuto il 14 luglio 1902, ma a differenza di questo non venne più ricostruito.
Del campanile resta solo la parte più bassa, fino all'altezza del tetto della chiesa, non visibile perché affacciata su un cortile privato.
Chiostro
Il chiostro di S. Siro fu fatto edificare dai Padri Teatini nel 1575, in occasione del rifacimento della chiesa. In parte ridimensionato nel XVIII secolo per l'apertura della "strada nuovissima" (via Cairoli) è oggi semiabbandonato e non visitabile. Al centro, dove un tempo si trovava il pozzo del convento, sorge una struttura circolare, sormontata da un tetto a pagoda sostenuto da una serie di colonne in ghisa, edificata nel 1907 ad uso di bagni pubblici e rimasta in funzione fino agli anni trenta del Novecento.
L’INTERNO DELLA CHIESA
Abbiamo già accennato al Barocco genovese, ma ora entriamo nella chiesa per aggiungere qualche dettaglio in più alle notevoli opere d’arte di cui faremo un breve sommario nella speranza che possa essere utile al lettore intenzionato a visitarla.
Irregolare, contorto, grottesco: erano questi i termini con cui inizialmente si soleva qualificare il BAROCCO che nacque a Roma nella prima parte del Seicento. Gli stessi aggettivi, alquanto dispregiativi, erano stati pronunciati secoli prima anche per lo stile Gotico...
La diffusione dello Barocco nel contesto genovese è legata a una fase particolarmente fiorente e fortunata della Repubblica di Genova. Alcune famiglie nobili tra cui le dinastie Doria, Spinola, Pallavicini, Adorno, Balbi, Grimaldi, Lomellini, Durazzo, Pallavicini, Sauli, Negrone, Brignole Sale, Giustiniani, Imperiale, Lercari, Cattaneo, Centurione e poche altre che vollero mostrare la propria “magnificenza” commissionando ritratti, ma soprattutto facendo costruire e decorare tante chiese nonché palazzi cittadini e ville.
All’interno di questo prodigioso contesto economico e artistico, fondamentale fu l’attività del pittore genovese Gregorio de Ferrari.
L’artista decorò la volta e la cupola della Basilica di San Siro. Al suo interno, nel 1676 il pittore affrescò “La gloria di s. Andrea Avellino e tele con Estasi di s. Francesco e Riposo durante la fuga in Egitto”.
SAN SIRO: Le opere BAROCCHE DELLA SCUOLA GENOVESE DEL ‘600
L'interno, a tre navate su colonne binate, è uno scrigno di tesori.
La decorazione fu realizzata quasi interamente dai Carlone.
Tommaso intervenne come stuccatore, mentre Giovanni Battista realizzò gli affreschi della navata centrale, della cupola ("Gloria di San Siro") e del coro ("Miracolo del basilisco"), in collaborazione col quadraturista Paolo Brozzi.
Infine una curiosità dal punto di vista storico: nella chiesa di San Siro il 23 giugno 1805 fu battezzato Giuseppe Mazzini.
GLI ARTISTI CHE OPERARONO IN SAN SIRO
§ Navata centrale: Affreschi di Giambattista Carlone e Carlo Brozzi. Nel tondo: La cattura di Cristo e le Tre Virtù Teologali. Le tre Medaglie (Invocazione di San Pietro, Martirio, Caduta di Simon Mago) alludono alla prima intitolazione della Chiesa ai dodici apostoli, opera di G. B. Carlone.
§ Presbiterio e coro: Nel catino San Siro che tira fuori dal pozzo il basilisco di G.B. Carlone. Sopra all’altare maggiore, in un quadrato: San Siro portato in cielo da angeli e santi, sempre ad opera di G.B. Carlone. Fra gli ornamenti realizzati dal Brozzi ci sono varie figure, da notare gli angeli che sorreggono gli scudi di cui uno è lo stemma Pallavicini (promotori delle opere di restauro). L’altare maggiore, in marmo nero e bronzo, è opera dello scultore Puget. Realizzato tra il 1669 e il 1670, è stato pensato come oggetto isolato, che può essere aggirato dai e visibile dai quattro lati. La sua collocazione comportò probabilmente l’abbattimento del muro della clausura.
§ Cupola: Il Paradiso, dipinto da Carlone, si rovinò e fu restaurato nel 1760 circa da Gio. Battista Chiappe.
§ Volta: Nel punto in cui la navata si allarga a crociera, in due medaglie laterali sono rappresentati l’Imperatore Eraclio che sale al calvario con la croce e Costantino il Grande che prevede la vittoria. Secondo l’Alizeri, anche queste figure sarebbero state restaurate dal Chiappe, mentre Giuseppe Passano ha rifatto i putti rovinati dal tempo.
§ Sacrestia: È molto grande e ospita opere che provengono dalla Chiesa dei PP. Teatini in Sampierdarena e dall’oratorio di Santa Maria.
- Dall’oratorio:
- Annunciazione, di Domenico Piola.
- Parto e Presentazione della Vergine, di Giacomo Antonio.
- Sant’Andrea Avellini, di Giuseppe Canotto.
- Sant’Anna e San Gioachino, di Giuseppe Galeotti.
- La Salita al Calvario, di Bernardo Castello.
- Sant’Anna in contemplazione di Gesù, forse opera del De Ferrari.
Dalla chiesa in Sampierdarena, quattro tavole sulla parete di sinistra:
- Martirio di Giovanni Battista e SS. Gaetano e Sant’Andrea Avellini, di Domenico Piola.
- San Francesco e Il Riposo nella fuga d’Egitto, su commissione della Famiglia Centurione.
§ Fonte Battesimale
Si colloca tra la prima e la seconda cappella, risalente al 1445 e proveniente dalla San Siro benedettina.
Capelle
Furono realizzati nel 1641 da Rocco pennone, con il sostegno economico da Agostino Pallavicino, rappresentato nella statua sopra l’ingresso di cui non è noto l’autore; probabilmente si tratta di seguaci dei Carlone o di artisti provenienti da ambito lombardo.
Navata Sinistra
Annunciazione di Orazio Gentileschi
§ I Cappella: Annunciazione di Maria: Disegno di Daniello Casella, allievo di Taddeo Carlone.
Tavola d’altare: Annunciazione, di Orazio Gentileschi da Pisa. Ai lati: SS. Pietro e Paolo Sulla volta: tre misteri della Vergine, di Giovan Luca e Gerolamo Celle.
§ II Cappella: San Gaetano di Tiene La cappella era di giuspatronato dei Lomellini, che la ultimarono nel 1673. Marmi neri di Como sulle pareti, bronzi dorati sulle colonne e sull’altare. Nella nicchia: immagine del Santo. Volta della cappella (da sin.): San Gaetano in preghiera, Apparizione di Cristo Santo, Il Santo aiuta Cristo a portare la croce: tre tele di Domenico Piola, come l’affresco della volta con la Gloria di San Gaetano.
§ III Cappella: Sant’Andrea Avelllino. Il Santo assalito dai demoni e Transito del Santo di Orazio De Ferrari, alle pareti. Nella piccola volta, tre tele (sec. XVIII), pure con Storie del Santo. La volta della navatella: Gloria di Sant’Andrea Avellino di Gregorio De Ferrari.
Sull’altare, Transito di Sant’Andrea Avelllino di Domenico Fiasella.
§ IV Cappella: Madonna della Guardia, già Nostra Signora delle Grazie. (giuspatronato della famiglia Spinola, 1610-1639). L’altare attribuito a Tommaso Carlone. Sui lati, due quadri: la Nascita di Maria di Aurelio Lomi e la Decollazione di San Giovanni Battista di Carlo Bonone da Ferrara.
Sulla volta, Annunciazione, Incoronazione della Vergine, Visitazione (scuola di G.B. Carlone). Sulla volta esterna: Santa Rosa in adorazione di Maria, di Gio. Battista Carlone e altri.
§ V Cappella: Sacro Cuore (giuspatronato della famiglia Centurione, 1640-1642) L’Alizeri attesta che la cappella era intitolata a San Niccolò di Bari e presentava Cristo e Maria impongono il palio al Santo Vescovo, probabilmente opera del Sarzana.
Sull’altare, in marmi policromi scolpiti ed intarsiati, la recente tela col Sacro Cuore dei fratelli Rossi (sec. XX). Lunette: Miracolo di San Nicola e San Nicola distribuisce elemosine, attribuite a G.B. Carlone.
§ VI Cappella: Sant’Antonio (giuspatronato della famiglia Pinelli, 1588 progetto architettonico) Sull’altare, in marmi e pietre dure scolpiti ed intarsiati, è collocato un Crocefisso ligneo. L’Alizeri attesta che la cappella era intitolata al Santissimo Crocefisso.
Taddeo Carlone fu architetto della Cappella e scultore delle statue. Successivamente fu introdotta l’immagine di Sant’Antonio che risana la gamba, opera del Lomi, a sostituzione della Crocifissione, del Lomi, che venne portata in sacrestia e che era collegata tematicamente con le altre due opere, di Gio. Domenico Cappellino, che rappresentano Cristo flagellato e Cristo incoronato di spine e si trovano ai lati. Nelle nicchie (da sin.) statue raffiguranti San Gregorio, San Giovanni Battista, San Francesco da Paola, San Carlo Borromeo, attribuite a Taddeo Carlone e opere di bottega.
La cappella della Natività di Cristoforo Roncalli (Pomarancio)
La cappella è arricchita dagli intarsi di Giuseppe Carlone, nella chiesa c’è una legenda che spiega come questo altare sia impreziosito da corniola, ametista, diaspro rosso e lapislazzuli, alla base della grande Croce c’è un calvario di pirite e due magnifici angeli reggono con grazia l’altare.
§ VIII Cappella: Natività di Gesù Cristo (giuspatronato della Famiglia Lomellini dal 1598)
Finanziata da Giacomo Lomellini, presenta putti di Giuseppe Carlone. All’altare la Natività di Gesù di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio (1552-1626). Cupoletta: dipinti di Angeli di scuola genovese del XVII secolo.
§ IX Cappella: Santa Caterina da Siena (giuspatronato dal 1598 di Barnaba Centurione)
Volta esterna: La Santa con Gesù, di G. B. Carlone. Tre lunette interne rappresentano tre episodi della vita di Maria. Tavola d’altare: Nozze mistiche di Santa Caterina attribuito ai fratelli Semino Quadri laterali: SS. Battista e Gerolamo attribuiti ai fratelli Semino. La volta adiacente della navatella: Comunione di Santa Caterina da Siena di G.B. Carlone.
§ X Cappella: San Giovanni in Bosco, già di San Matteo. (giuspatronato della famiglia Gentile dal 1599-1603)
La recente statua di San Giovanni Bosco ha sostituito il Martirio di San Matteo, stravolgendo il ciclo delle Storie del Santo. Volta interna: tre lunette con episodi della vita del santo, opera del cav. Ventura Salimbene. Da sin.: Miracolo, Scrittura del Vangelo, Predicazione (affreschi del senese V. Salimbeni, volta piccola); Vocazione e Miracolo (dei fratelli Montanari, alle pareti); Predicazione (di G. B. Carlone, volta della navatella).
§ XI Cappella: San Pio X, già della Pietà. (giuspatronato di Lorenzo Invrea dal 1600) All’altare San Pio X e i fanciulli di F. Torsegno (1958). Della bottega dei Carlone i Profeti nelle nicchie laterali; attribuiti a Bernardo Castello, gli affreschi della volta soprastante: Il serpente di bronzo, Dio Padre benedicente, Giona rigettato sul lido, Teste di Cherubini.
§ XII Cappella: di San Matteo, già della Disputa coi Dottori. (giuspatronato di Gian Giacomo Imperiale dal 1599). All’altare, molto danneggiata dall’ultima guerra, è stato collocato il Martirio di San Matteo di Agostino e Giò Battista Montanari, prelevata dalla cappella di San Giovanni Bosco.
§ Organo a canne
§ L'organo a canne della chiesa è stato costruito nel 1950 dalla ditta organaria Parodi e Marin riutilizzando la cassa e parte del materiale fonico del precedente strumento. A trasmissione meccanica, ha due tastiere e pedaliera.
§ Persone legate alla basilica di S. Siro
§ Come abbiamo già visto, in questa chiesa il 23 giugno 1805 venne battezzato Giuseppe Mazzini, figlio del medico Giacomo Mazzini e di Maria Drago (il fondatore della Giovine Italia era nato il giorno prima nell'abitazione della famiglia in via Lomellini, oggi sede del Museo del Risorgimento).
Navata Centrale
Particolare del Presbiterio con moderna illuminazione alogena
Il presbiterio con l'altare maggiore di Pierre Puget
VOLTA e cupola
Cupola: Il Paradiso, dipinto da Carlone, si rovinò e fu restaurato nel 1760 circa da Gio. Battista Chiappe.
Nel punto in cui la navata si allarga a crociera, in due medaglie laterali sono rappresentati l’Imperatore Eraclio che sale al calvario con la croce e Costantino il Grande che prevede la vittoria. Secondo l’Alizeri, anche queste figure sarebbero state restaurate dal Chiappe, mentre Giuseppe Passano ha rifatto i putti rovinati dal tempo.
Cappelle della navata laterale
Carlo GATTI
Rapallo, 8 Febbraio 2021
Bibliografia:
- Il Centro Storico di Genova - Cassa di Risparmio di Genova e Imperia
IV edizione - Autori: E.Mazzino - T.O. De Negri - L.Von Matt - 1978
- Guida d'Italia: LIGURIA - Touring Club Italiano
- Tesori della Liguria visti da Vittorio Sgarbi - Secolo XIX 1992
- GENOVA - Secolo XIX - di Guido ARATO - 1992
Le foto sono state prese in parte dal web a scopo divulgativo.
Si ringraziano i siti:
www.irolli.it - Tripadvisor-www.vegiazena.it -
Miss Fletcher -
ceraunavoltagenova.blogspot.com
www.itinerariinitalia.com
FORTE CASTELLACCIO - GENOVA-Parte Seconda
I FORTI DI GENOVA
PARTE SECONDA
IL FORTE CASTELLACCIO
La caserma sulla Val Bisagno, vista dall’esterno delle mura
E’ stato la sede di due ENTI molto importanti per il
MONDO DELLE NAVI E DEI MARITTIMI fino agli ANNI ’50-’60
La torre vista da Nord
GENOVA RADIO E L’ISTITUO IDROGRAFICO DELLA MARINA
GENOVA RADIO
Genova-Radio (Icb), nel cuore del quartiere di Quarto, proprio davanti alla storica Via Romana della Castagna, è una ex stazione radiofonica fondata nel 1952 e all’epoca usata per comunicazioni in ambito marittimo.
Composta da due diverse stazioni: quella ricevente nel quartiere levantino, l’altra dislocata a pochi chilometri, sul Monte Righi – i suoi trasmettitori si trovano oggi all’interno dell’antico forte denominato “Il Castelaccio” (sembrerebbe che lo stesso Guglielmo Marconi abbia definito questo luogo “una delle migliori postazioni d’Italia per le radiotrasmissioni”). Entrambe le stazioni, ricevente e trasmittente, erano impiegate per adempiere a diverse funzioni: trasmissione di messaggi in codice Morse tra nave e radio; invio di telegrammi, ad esempio ai parenti, durante la permanenza in mare lontano da casa; uso del sistema telex per la trasmissione di dati commerciali; invio di chiamate di soccorso 24 ore su 24, 365 giorni l’anno.
I due tralicci di oltre 60 metri che ancora svettano nel bel mezzo dell’antico abitato di Quarto e la passione di alcuni “agguerriti” amatori, tengono in vita la memoria di questa eccellenza genovese e di un mestiere, quello del radiotelegrafista, ormai scomparso.
La radiotelegrafia a GENOVA
Forte Castellaccio e Torre Specola
Il complesso visto dal parco del Peralto
Mentre le prime operazioni erano svolte grazie allo sfruttamento di onde corte, a varie frequenze, la chiamata di soccorso sfruttava le onde medie a 500 kHz: usata per circa 90 anni nell’ambito del Servizio Radio Mobile Marittimo per la sicurezza in mare, tutte le stazioni radio che utilizzavano la radiotelegrafia in onda media avevano l’obbligo di assicurare l’ascolto continuo su questa frequenza, con un operatore preposto o tramite un ricevitore, in modo da ricevere in ogni momento SOS e messaggi di “urgenza”, per salvaguardare la sicurezza della vita umana in mare. Solo nel 1999, la 500 kHz è stata rimpiazzata da sistemi digitali satellitari. Era possibile anche sfruttare queste tecnologie per permettere a chi si trovava in mare di utilizzare un sistema radiotelefonico e fare telefonate a casa anche se, molto dispendiose in termini di consumi di corrente e di tempi di organizzazione, questo tipo di chiamate non potevano svolgersi troppo di frequente.
Gli operatori, radiotelegrafisti capaci e ben preparati, derivavano la loro conoscenza da precedenti impieghi a bordo di navi e imbarcazioni: perlopiù facevano parte di una categoria di Ufficiali della Marina Mercantile, esistente all’epoca in cui ancora le comunicazioni avvenivano per via telegrafica, ed erano chiamati “marconisti”, nome coniato in memoria dello stesso Guglielmo Marconi, padre delle radiocomunicazioni. Tutti quelli che aspiravano ad un impiego nelle radiocomunicazioni su navi mercantili o aeromobili civili dovevano conseguire un apposito brevetto, un certificato per radiotelegrafisti rilasciato dal Ministero delle Poste. Un mestiere affascinante e motivato da grande passione personale, che oggi è scomparso, dovendo soccombere ai progressi della tecnologia. Le apparecchiature utilizzate da Genova-Radio erano degne di nota e tutte di qualità: dapprima, i trasmettitori Collins BC-312 e BC-3124, poi gli italiani Allocchio-Bacchini OC-11.
Oggi Genova-Radio ha quindi perso la maggior parte delle funzioni di un tempo e, costretta a soccombere di fronte alle nuove tecnologie, resta perlopiù inutilizzata. Visto l’interesse riscontrato, l’ipotesi di creare un museo delle radiocomunicazioni in questi luoghi, con le apparecchiature di una volta, non sembra fuori luogo: un’opportunità di rilancio e promozione di un mestiere scomparso? Perché no…
ISTITUTO IDROGRAFICO DELLA MARINA
IIM - Istituto Idrografico della Marina - Italia
Passo dell'Osservatorio 4, 16134 Genova ITALY
Tel : +39 010 24431 (centralino) - Fax : +39 010 261400
Sede dell’Istituto Idrografico della Marina
Storia. L'istituto fu fondato con regio decreto il 26 dicembre 1872 e alla sua guida fu chiamato il capitano di fregata, matematico e idrografo Giovan Battista Magnaghi, con il compito di eseguire il rilievo idrografico dei mari italiani e di produrre la documentazione nautica nazionale.
FORTE CASTELLACCIO
Il Forte Castellaccio al Righi, sulle prime alture di Genova, come si presentava nei primi anni del '900.
A sinistra si nota ancora la costruzione che ospitava il Corpo di Guardia della Porta Chiappe, mentre la restante porzione ospitava un piccolo ristorante.
Venne successivamente demolita per allargare la strada di accesso.
La casamatta di sinistra alloggiava il cannone di mezzogiorno che, sino all'inizio della seconda guerra mondiale sparava un colpo ogni mezzogiorno in punto che serviva come segnale orario per la sincronizzazione dei cronometri di bordo delle navi.
Facciata della Torre Specola ottocentesca compresa all'interno del forte Castellaccio, caratteristica per l'uso del mattone rosso come materiale da costruzione. Fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, ogni giorno dalla torre veniva sparato un colpo di cannone alle 12 in punto. Oggi è sede dell'osservatorio meteorologico dell'Istituto idrografico della Marina militare.
Dietro vi è la Torre Specola, costruita a pianta ottagonale in mattoni rossi dal 1817 al 1825 dall'architetto militare Giulio D'Andreis.
Venne edificata sulla sommità di una roccia adiacente al Forte chiamata Quadrato delle forche in quanto era il luogo, ben visibile da tutta la città, dove dal Cinquecento fino a tutto il Settecento i criminali condannati a morte venivano impiccati.
Costruita inizialmente come opera autonoma con proprie mura, venne chiamata Forte Specola. Disponeva di otto piazzole armate di cannone, una per lato, dotata di apposita finestra di ventilazione e scappamento dei fumi di sparo.
Pochi anni dopo, tra il 1830 ed il 1836, furono costruite le nuove caserme del Forte Castellaccio e le due fortificazioni vennero circondate da un unico bastione, accessibile con un ponte levatoio.
Per la sua posizione panoramica, la località è meta di genovesi e turisti.
IL CANNONE DI MEZZOGIORNO
Lo storico genovese Mauro Salucci ricorda così quel rito cittadino:
Ci parla della Vecchia Genova l'usanza di fare sparare il cannone dalle alture del Righi, tutti i giorni a mezzogiorno. Quel botto univa dall'alto tutta la città, dai camalli del porto che cessavano il lavoro alle mogli che attendevano a casa e capivano che era l'ora di buttare la pasta nella pentola con l'acqua che bolliva. Chi poteva tornava a casa, chi era troppo lontano si rifugiava in una delle tante e mitiche trattorie del porto o dell'angiporto, come quella stranota de "Il Toro" della Coscia di Sampierdarena, dove ogni tanto capitava anche D'Annunzio a pranzo. A Pasqua il botto accompagnava le campane slegate che suonavano per la città, il mattino del Sabato Santo, quando al conclamare di campane e botto di cannone ci si lavavano gli occhi alle fontane, all'acqua benedetta chi poteva. Oggi, nella vastità del territorio della "Grande Genova" e del suo rumore forse un botto simile non verrebbe neppure percepito.
UN PO’ DI STORIA
Stato:……………….. Regno di Sardegna, Ducato di Genova
Tipo: …………………… Forte
Costruzione:……....... 1818-1836
Materiale:…………….. Il forte in pietra, la Torre Specola in mattoni
Condizione attuale… Parzialmente utilizzato da enti pubblici e da privati
Utilizzatore………….. Regno di Sardegna
Funzione strategica. Caposaldo integrato nel sistema difensivo
Termine funzione…. Post Seconda guerra mondiale
Forte Castellaccio è un'opera fortificata compresa nelle “MURA NUOVE” a difesa della città, costruita lungo il ramo della cinta difensiva che dal FORTE SPERONE scendeva lungo il crinale della Val Bisagno.
Il complesso del Forte Castellaccio comprende in un unico recinto bastionato due caserme e la Torre Specola. Fa parte del complesso anche la cosiddetta "Tagliata Nord", un ulteriore sistema difensivo del forte, costruito nel 1840 in direzione del Forte Sperone. Questa struttura era collegata al forte con una breve galleria, oggi murata; nei locali dell'annesso corpo di guardia è oggi ospitato un piccolo ristorante.
Il complesso verso la fine dell’Ottocento ospitava una guarnigione di 600 soldati, ai quali se ne potevano aggiungere altri 1000, alloggiati “paglia a terra”, in caso di necessità. L'imponente a dotazione d’artiglieria comprendeva 22 cannoni di varie dimensioni, cinque mortai e numerosi pezzi di dimensioni minori.
Le quattro facce sul lato esposto verso la città presentano ognuna due feritoie laterali e sono coronate da caditoie. L'interno è su due piani fuori terra, più un sotterraneo con cisterna.
La torre poteva ospitare una guarnigione di 60 soldati, ai quali se ne potevano aggiungere altri 120, alloggiati “paglia a terra”, in caso di necessità.
Sul tetto è presente un locale sopraelevato, costruito intorno al 1911 dall’Istituto Idrografico della Marina, che fino agli anni sessanta del Novecento ospitò un Osservatori Meteorologico. Utilizzata come deposito ed archivio dallo stesso Istituto Idrografico.
Oggi la Torre è abbandonata. Fra il 1875 e il 1940, da una casamatta collocata sulle mura esterne, a mezzogiorno esatto veniva sparato un colpo di cannone, con funzione di segnale orario per la sincronizzazione dei cronometri di bordo delle navi; questo sparo era comunemente chiamato “il cannone di mezzogiorno”. Sospesa allo scoppio della seconda guerra mondiale, questa tradizione non fu più ripresa.
Si hanno le prime notizie certe di strutture di difesa in questo sito dal 1319, quando vi fu costruito dai Guelfi un castello con “mura e fossi”, raffigurato in illustrazioni quattrocentesche come un recinto di mura che racchiude due torri quadrate. Fu ricostruito una prima volta nel 1530, questa volta come un unico massiccio torrione, che con la costruzione della Mura Nuove, nel 1633, fu integrato nelle stesse ed utilizzato come caserma e deposito di polveri da sparo. Una nuova ricostruzione avvenne nel secolo successivo: nelle illustrazioni dell'epoca appare come formato da due caserme parallele allineate lungo il recinto di una grossa polveriera. All'interno della fortezza a quell'epoca esistevano ancora pochi ruderi dell'antico castello, completamente scomparsi nel rifacimento ottocentesco.
Verso la fine del Settecento numerosi rapporti conservati negli archivi della Repubblica di Genova evidenziano la necessità di onerosi lavori di manutenzione, tra i quali il rifacimento del tetto della caserma, ormai fatiscente.
La caserma principale vista dal cortile interno
Dopo l'annessione della ex Repubblica Ligure napoleonica al Regno di Sardegna, il forte subì una radicale trasformazione tanto da rendere la zona su cui sorgeva una sorta di cittadella fortificata, idonea sia per una difesa delle mura da attacchi esterni sia per controbattere a possibili insurrezioni da parte della popolazione locale.
Le vecchie strutture furono completamente demolite nel 1818 e il forte fu ricostruito in accordo ai nuovi criteri dell'arte militare. A lavori in corso, il progetto fu modificato intorno al 1827: le murature già realizzate e non più previste dal nuovo progetto non furono tuttavia abbattute, ma riutilizzate come terrapieno a difesa della nuova caserma, e sono tuttora visibili. La nuova caserma, costruita intorno al 1830, è divisa in due sezioni: un lungo edificio a due piani che si affaccia sulla via Peralto, dove erano collocati anche magazzini e locali di servizio, tra i quali due grandi forni, ed un altro affacciato sulla Val Bisagno, adibito esclusivamente a camerate. Quest'ultima aveva il tetto a falde, del quale restano solo i pilastri di sostegno.
La caserma sulla Val Bisagno, vista dall'esterno delle mura
Così intorno alla metà dell'Ottocento descrive il Castellaccio lo storico Giuseppe Banchero:
«Questo era dapprima un gran torrione edificatovi dal genovese governo per difesa della città e delle valli, essendo situato sulla cresta dei monti che dividono questa vallata del Bisagno al lato orientale della città. Ne fu ampliata la fabbrica circa il 1818; in seguito fu arricchito di altre opere che lo rendono assai più importante, tanto più per la dominazione che ha sulla città e perché protegge la superior parte della vallata detta del Lagazzo, dove sono situate le fabbriche di polveri ed i magazzini di deposito delle medesime.» |
Durante i moti del 1849, i rivoltosi riuscirono a impossessarsi del forte, da dove spararono colpi di cannone contro i soldati regi. Al volgere degli avvenimenti in favore di questi, che nel frattempo avevano rioccupato la città, gli insorti abbandonarono il forte, che il 10 aprile fu ripreso in consegna dalle autorità militari.
Storia recente
Verso la fine dell'Ottocento il duplice scopo di difesa della città da attacchi esterni o di sedare possibili rivolte popolari era venuto meno. Durante la Prima guerra mondiale nel forte furono reclusi dei prigionieri di guerra austriaci.
Nel 1924 nel forte esisteva già una prima stazione radio, chiamata ITALO RADIO (nominativo morse ICB), che nel 1929 fu assorbita dal ministero delle Poste e Telecomunicazioni con il nome GENOVA RADIO, nominativo tuttora esistente. Già nel 1924 il personale civile addetto alla radio era alloggiato nei locali del forte.
Durante la Seconda guerra mondiale, il 1º febbraio 1945, nel fossato della cosiddetta "Tagliata sud", le Brigate Nere fucilarono sei partigiani; i condannati, già da tempo rinchiusi nel carcere di Marassi, furono prelevati all'alba e condotti al Forte Castellaccio dove ebbe luogo l'esecuzione; la località fu scelta perché all'epoca interdetta ai civili. Il fatto è ricordato da una targa commemorativa nel luogo dell'eccidio. Un'altra targa ricorda altri due partigiani fucilati dai nazifascisti all'interno del forte, sempre nei primi mesi del 1945.
Alcuni locali del forte sono oggi utilizzati come magazzino dall'Istituto Idrografico e altri, da qualche anno, sono affittati ad alcuni privati. La caserma affacciata sulla Val Bisagno versa in stato di completo abbandono, come abbandonata è anche torre Specola.
Il complesso non è liberamente accessibile.
Come arrivare
Il forte è raggiungibile in auto dal centro di Genova seguendo le indicazioni per il Righi e poi, superata la stazione a monte della funicolare proseguendo su via del Peralto, l'antica strada militare, oggi asfaltata; dalla strada una breve diramazione, oggi in cattive condizioni, porta all'ingresso principale del complesso, superato il quale una rampa conduce direttamente alla Torre Specola e quindi, con una conversione a "U", al cortile interno dov'è l'ingresso della caserma, distante circa 250 m dalla torre.
In alternativa è possibile raggiungere il Righi con la funicolare che parte da Largo Zecca, risalendo poi a piedi lungo le mura per qualche centinaio di metri.
Carlo GATTI
Rapallo, 17 dicembre 2020
M/T BOCCACCIO (Classe Poeti) - Finì in tragedia
M/T BOCCACCIO
(Classe Poeti)
Ebbe due vite: una fortunata in patria con la TIRRENIA e l’altra tragica con la Compagnia Saudita di Navigazione El Salam Shipping&Trading
Negli anni '60, durante il boom economico italiano (1958-1963), la richiesta di trasporto di automezzi da e per le isole italiane crebbe notevolmente. La Tirrenia, tuttavia, non disponeva di unità in grado di soddisfare questa domanda, essendo la flotta della compagnia di Stato costituita prevalentemente da navi atte al trasporto di passeggeri e solo secondariamente di autoveicoli.
La Tirrenia, che già nel 1963 reagì adeguando alcune delle navi già in flotta dotandole di garage, ordinò una serie di sei navi ro-ro gemelle alla ITALCANTIERI.
Queste prime sei navi della classe BOCCACCIO, consegnate tra il 1970 ed il 1971, erano lunghe 131 metri e larghe 20, per una stazza lorda di 6.900 tonnellate. Potevano trasportare 1.000 passeggeri e 200 autovetture e disponevano di 506 posti letto. Verga e Deledda, costruite nel 1978, avevano le stesse dimensioni.
Il traghetto BOCCACCIO fu venduto, nel gennaio 1999, alla Compagnia Saudita di Navigazione El Salam Shipping&Trading, battente bandiera panamense che la ribattezzò AL SALAM BOCCACCIO 98.
Tra il 1991 ed il 1992 tutte le unità della prima serie, ad eccezione della Leopardi, furono sottoposte ad importanti lavori di ristrutturazione in diversi cantieri navali italiani. La tuga contenente il ponte di comando fu prolungata fino a poppa e su di essa furono aggiunti altri tre ponti, (vedi foto sopra) alterando drasticamente la linea delle navi, ma aumentando la capacità passeggeri (passata a 1.300 persone), il numero di posti letto (887) e il numero di autovetture trasportabili (passato a 320 grazie all'aggiunta di alcuni car deck). Per compensare la perdita di stabilità dovuta al notevole incremento dell'altezza le navi furono dotate di due controcarene laterali. Furono inoltre saldati i due portelloni garage laterali di prua.
Per maggiore chiarezza, riportiamo qui sotto una tabella che sintetizza, per ognuna di esse, le fasi della propria esistenza in servizio dal Varo al Destino finale.
Unità della classe POETI
Nome |
Varo |
Cantiere |
Entrata in servizio |
Destino finale |
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8 giugno 1969[11] |
8 luglio 1970[11] |
Affondata nel Mar Rosso il 3 febbraio 2006, più di 1.000 vittime |
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28 luglio 1969[12] |
Castellammare di Stabia[12] |
21 settembre 1970[12] |
Demolita in India nel novembre 2006 come Carducci[13] |
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11 gennaio 1970[14] |
3 febbraio 1971[14] |
Demolita in India nel luglio 2006 con il nome di Pascoli 96 |
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14 marzo 1970[15] |
Castellammare di Stabia[15] |
24 gennaio 1971[15] |
Demolita in India nel marzo 2005 |
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12 dicembre 1970[16] |
Palermo[16] |
22 luglio 1971[16] |
Affondata al largo di Duba nel giugno 2002 |
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19 febbraio 1971[17] |
Castellammare di Stabia[17] |
29 ottobre 1971[17] |
Demolita in India nell'agosto 2006 |
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26 maggio 1977[18] |
Castellammare di Stabia[18] |
1 luglio 1978[18] |
Demolita nel 2008 in Bangladesh come Z Yuan |
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10 settembre 1978[19] |
Castellammare di Stabia[19] |
16 ottobre 1978[19] |
Demolita in Turchia nel 2011 come Dimitroula. |
La seconda vita delle navi Classe BOCCACCIO
La Leopardi fu venduta nel 1994 alla Al Salam Shipping, prendendo il nome di Santa Catherine e venendo impiegata in servizi nel Mar Rosso. Nello stesso anno la Deledda fu venduta ad una compagnia di navigazione cinese, partendo alla volta della Cina il 4 gennaio 1995 con il nome di Zhong Yuan. La Verga fu posta in disarmo a Napoli al termine della stagione estiva 1996; il traghetto fu venduto nel febbraio 1997 alla greca G.A. Ferries, prendendo il nome di Dimitroula e venendo immessa nei collegamenti interni greci. Le altre cinque unità della classe furono tutte poste in disarmo in vari porti italiani alla fine della stagione estiva 1997, venendo acquistate in blocco dalla El Salam Shipping nel 1999. Rinominate Al Salam Boccaccio 98, Al Salam Carducci 92, Al Salam Manzoni 94, Al Salam Petrarca 90 e Al Salam Pascoli 96, negli anni seguenti alternarono servizi nel Mar Rosso a noleggi, soprattutto estivi, nel Mediterraneo.
Mediamente i POETI, nella loro trentennale attività con la TIRRENIA, scalavano diverse volte la settimana il porto di Genova ed erano, per noi Piloti del porto, appuntamenti amichevoli, per non dire fraterni con tutti i Comandanti ed ufficiali che a turno ne formavano lo Staff del Comando. Erano le navi a cui eravamo maggiormente affezionati, le sentivamo anche nostre non solo perché appartenevano ad una Compagnia di Stato, ma perché erano state la PALESTRA su cui eravamo cresciuti professionalmente gomito a gomito con i loro validissimi e specializzati Comandanti. Non basterebbe un voluminoso libro per raccontare succosi aneddoti … e momenti di tensione con il vento di tramontana a oltre 60 km/h, oppure durante improvvisi blackout in mezzo al traffico contemporaneo di navi che alle 08 di mattina e alle 17/18 di sera entravano, uscivano e facevano movimenti interni al porto.
Una mattina, di ”feroce” tramontana, trovai sul ponte di comando il simpaticissimo Renato Pozzetto che conversava con il Comandante il quale me lo presentò e mi disse che il comico aveva un po’ di premura per il ritardo che la nave aveva accumulato in navigazione per via del cattivo tempo.
Gli dissi: “stia tranquillo Sig. Renato, con questo vento le manovre sono rapidissime, o vince lui o vinciamo noi, alla fine vince il più forte e, alla fine… amici come prima!”
Terminata la manovra mi disse: “… e la M….! Mi sembrava di essere su un motoscafo RIVA…nel golfo Tigullio! Complimenti… Ciao-Ciao!
Con questo simpatico ricordo, il lettore si rende conto che la classe poeti aveva una formidabile personalità, manovrabilità e che per lunghi anni diede un contributo enorme al collegamento tra i porti del continente e le nostre isole maggiori e minori.
CRONACA DI UN NAUFRAGIO 04/02/2006
Il 2 febbraio 2006 la Al-Salam Boccaccio 98 con a bordo 1272 passeggeri e 104 membri dell'equipaggio mentre navigava tra Arabia Saudita ed Egitto nel Mar Rosso naufragò causando circa 1.000 vittime tra morti e dispersi. Il naufragio della Al Salam Boccaccio 98 è considerato uno dei peggiori disastri marittimi della storia. Vennero recuperati 388 naufraghi.
Nelle foto (infrarosse) un'unità U.S. Navy in cerca dei dispersi
Il traghetto Al Salaam Boccaccio 98 è colato a picco in piena notte al largo di Hurghada. Sarebbe dovuto arrivare nel porto egiziano di Safaga, ma ha finito il suo viaggio in fondo al mare.
A bordo c’erano circa 1400 persone: 104 uomini dell’equipaggio e 1.272 passeggeri, la maggior parte dei quali egiziani emigrati in Arabia Saudita per lavoro e pellegrini di ritorno dalla Mecca. Ma la lista dei passeggeri annovera anche un centinaio di sauditi e alcuni cittadini di altri paesi mediorientali.
La nave che trasportava anche alcune decine tra automobili e Tir, era partita da Jeddah via Dubah.
Immediata fu la reazione del presidente Mubarak: “La rapidità del naufragio e il fatto che a bordo non ci fosse un numero sufficiente di scialuppe di salvataggio - disse alla tv egiziana il suo portavoce, Suleiman Awad - conferma che sulla nave c'era un problema”. L’atto successivo del capo di stato fu quello di esigere un’inchiesta urgente per chiarire la dinamica della disgrazia, e verificare i criteri di sicurezza del traghetto affondato e delle decine di traghetti identici che ogni settimana percorrono la stessa tratta.
Sono trascorsi 16 anni ma le cause della tragedia sono ancora ignote. Lo scafo potrebbe aver urtato violentemente contro una delle mille secche che rendono questo tratto di mare tra i più insidiosi, oppure contro una delle grandi torri di corallo che si alzano dai fondali vulcanici.
Ma le cause possono essere altre dovute al cattivo tempo in corso quella notte, pertanto si potrebbero essere aperte delle falle nello scafo in seguito allo spostamento del carico, oppure un incendio improvviso. Una cosa é certa: La nave s’inabissò in pochissimo tempo e, pare, che le lance di salvataggio non fossero sufficienti per tutti i passeggeri imbarcati e per l’equipaggio.
Le inchieste accertarono che da bordo partì un SOS. Le autorità egiziane negarono di aver ricevuto la richiesta di aiuto precisando che l'ultimo contatto radio era stato regolare, anche se le condizioni meteo erano cattive. Ma il Centro coordinamento soccorsi dell'aeronautica militare britannica di Kinloss, in Scozia, smentì subito la versione del Cairo. «Abbiamo raccolto l'SOS proveniente dalla nave alle 23.58. Abbiamo trasmesso l'informazione ai francesi che l'hanno girata agli egiziani».
Al momento, la causa giudiziaria é ancora in corso. Riporto gli aggiornamenti al 2020 redatti da Riviste specializzate:
SHIPPING ITALY.IT
Le vittime dell’affondamento di una nave che ha navigato sotto bandiera di Panama possono proporre un’azione di risarcimento danni dinanzi a un tribunale italiano nei confronti del registro navale (RINA) che ne aveva fornito la classificazione e certificazione. E’ questa la conclusione a cui è giunta la Corte di Giustizia Europea che ha pubblicato una nota a seguito della sentenza appena pronunciata per spiegare che quindi il gruppo guidato da Ugo Salerno non potrà godere di una sorta di immunità giuridica a casa propria. Una richiesta di chiarimenti in tal senso era stata espressamente inviata in Lussemburgo dalla Corte dal Tribunale di Genova,
Il caso in questione riguarda infatti il traghetto Al Salam Boccaccio ’98, battente bandiera della Repubblica di Panama, e affondato nel Mar Rosso nel 2006 con a bordo più di 1.000 persone che hanno perso la vita. I parenti delle vittime e i sopravvissuti all’affondamento si erano rivolti al Tribunale di Genova chiamando in causa il RINA SpA (Registro Italiano Navale) che lo controlla chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dalla responsabilità civile della società per aver fornito classificazioni e certificazioni a una nave che è poi affondata. Il RINA aveva provato appunto a opporsi al giudizio in Italia ritenendo che il tribunale di Genova non potesse essere competente sulla questione. La Corte di Giustizia Europea ha ora stabilito che così non è.
Il RINA, a seguito del pronunciamento del Lussemburgo, ha precisato quanto segue:
“In merito al comunicato stampa diffuso dalla Corte di Giustizia Europea relativo alle conclusioni sulla questione preliminare proposta dal Tribunale di Genova in un procedimento relativo all’incidente occorso nell’anno 2006 alla nave Al Salam Boccaccio, il RINA precisa che la Corte ha espresso la propria posizione esclusivamente sulla questione di carattere processuale dell’individuazione della giurisdizione competente. La Corte ha, inoltre, stabilito che le verifiche necessarie all’applicazione in concreto dei principi da essa stessa affermati dovranno essere effettuate dal giudice nazionale, al quale spetterà pronunciarsi sulla propria competenza. Resta del tutto estranea al giudizio della Corte del Lussemburgo e, quindi, alla pronuncia di oggi, ogni valutazione nel merito della vicenda. RINA in proposito ribadisce e conferma la correttezza del proprio operato”.
18/09/2019 MEDI TELEGRAPH
Naufragio del “Boccaccio”, sarà la Corte Ue a decidere sul risarcimento / GALLERY
Genova - I parenti delle vittime chiedono la condanna del RINA, ma la società genovese respinge la richiesta. L’affondamento del traghetto è avvenuto 13 anni fa.
18/09/2019
Genova - Approda davanti alla Corte di giustizia Ue la richiesta di risarcimento dei parenti delle vittime del traghetto Al Salam Boccaccio 98 ai danni di RINA (Registro Navale Italiano).
La vicenda risale al 2 febbraio 2006, quando a seguito del naufragio della Al Salam Boccaccio 98 nelle acque internazionali del Mar Rosso morirono più di mille persone. L’imbarcazione batteva bandiera panamense, ma era stata costruita in Italia e aveva ricevuto le certificazioni navali e la classificazione dal Rina.
Nel 2013 i parenti delle vittime e i sopravvissuti al naufragio si sono rivolti al Tribunale di Genova chiedendo la condanna del RINA al risarcimento danni sulla base della sua sede legale e sostenendo che le attività di classificazione e certificazione rese dal RINA sarebbero state eseguite colposamente, producendo l’instabilità della nave e l’insicurezza della sua navigazione e causandone l’affondamento.
Una richiesta respinta dal RINA, che chiede l’immunità giurisdizionale e sostiene che l’indennizzo sia da riferirsi allo Stato su cui si basa l’attività amministrative della nave, quindi Panama. Per risolvere il contenzioso, il Tribunale di Genova si è rivolto alla Corte di giustizia Ue. Le conclusioni dell’Avvocato Generale saranno lette il 3 dicembre 2019.
Il "vecchio poeta" adesso giace tuttora in fondo al Mar Rosso, con il suo spaventoso carico di morti, 37 anni dopo aver toccato per la prima volta l'acqua salata.
E ancora nessuno sa spiegarsi il perché di questa tragedia ammantata di giallo e di mistero, che ha per protagonista il traghetto "Al Salam Boccaccio 98", Vecchio, vecchissimo, battente bandiera panamense che fu inghiottito dalle acque con il suo carico di pellegrini e di emigranti egiziani – Vecchio, eppure in piena regola per la navigazione ….
Sentiamo la versione di un marittimo che il Boccaccio lo conosceva bene.
«Conoscevo bene questa nave, ho navigato a lungo come marittimo su quel bordo - racconta Amedeo Schiavone - oggi segretario regionale ligure della Filt-Cgil. Ne ho poi seguito tutta la vita, la trasformazione, la vendita, fino alla tragedia. C'è una cosa che oggi, guardando la foto d’epoca che tutti i Tg hanno trasmesso, mi ha veramente colpito. E’ il fatto che il traghetto aveva il "bordo libero" molto basso, cioè quella linea celeste che deve sempre restare fuori dall' acqua perché è il limite al carico. Bene, quella linea era semicoperta. Cos' è accaduto non lo so, ma una nave stravecchia e stracarica non dovrebbe navigare neanche nel lago di Massaciuccoli. Perché un conto è un certificato di idoneità alla navigazione e uno le condizioni in cui si naviga. E nel mare può davvero accadere di tutto».
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 27 Maggio 2020
UNA NOTTE DI TREGENDA
UNA NOTTE DI TREGENDA
M/N VULCANIA
Era la mia quarta traversata atlantica sulla M/n VULCANIA
La mia breve carriera era cominciata sulla piccola cisterna DIENAI quando ero ancora studente al Nautico di Camogli. Era usanza allora “staccare il libretto di navigazione” col grado di “mozzo” durante il periodo estivo; purtroppo finì male perché sbarcai a Bari con l’ASIATICA che nessuno ancora conosceva. Quella pandemia di origine aviaria era stata isolata in Cina nel 1954 e fece due milioni di morti.
Persi 17 kg e se sono ancora qui è per mera fortuna: in quello stesso anno fu preparato un vaccino che riuscì a contenere la malattia.
Persi un anno di scuola, ma non certo l’entusiasmo per la vita che avevo scelto. Mi diplomai e proseguii i miei imbarchi sulla petroliera NAESS COMPANION, sulla M/n SATURNIA sulla M/n MARCO POLO ed infine sulla M/n VULCANIA.
Il REX a New York (dipinto di Marco Locci)
Il MAURETANIA a New York (dipinto di Marco Locci)
L’HOMERIC a New York (dipinto di Marco Locci)
Ero felice perché l’itinerario del transatlantico VUCANIA prevedeva la sosta di 24 ore a New York il giorno di Natale! Ero l’Allievo Ufficiale più invidiato del mondo! Chi é stato nella CITY durante le feste natalizie, sa che alludo ad una atmosfera speciale … Inoltre si trattava del mio penultimo viaggio da Allievo Ufficiale prima di passare 3° Ufficiale dopo il superamento dell’esame di Patentino. Il mio futuro era delineato…
Ma l’argomento di oggi é di ben altra natura, trattandosi più propriamente di quell’atmosfera che ogni tanto trasforma le mie notti in incubi…
Com’è noto ai marinai di tutto il mondo, i cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde e si muovono verso ovest nel mare Caraibico. Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.
Le aree interessate a queste tempeste minacciano zone che hanno un raggio di circa 2.000 km e, per chi fa rotta dall’Europa al Canada, non ha modo di evitarle: se le becca tutte sul fianco sinistro!
Le anziane motonavi SATURNIA e VULCANIA erano molto collaudate per quelle rotte che raramente concedevano agli equipaggi traversate tranquille, nel senso che anche in assenza di depressioni, riservavano lunghe giornate e nottate di navigazione con nebbia, qualche volta in presenza di banchise o iceberg segnalati, e quasi sempre di pescatori che si avventuravano su grandi gozzi al largo di Terranova.
A volte capitava di passargli molto vicino e purtroppo anche d’investirli nonostante le emissioni di segnali previsti dai regolamenti internazionali. Erano quegli stessi pescatori portoghesi che le due navi citate della Italian Line imbarcavano prima della traversata atlantica: una parte a Lisbona e l’altra a Ponta Delgada (Isole Azzorre).
Una storia antica é legata alla pesca del merluzzo sui banchi di Terranova quando entrava in gioco la rivalità tra i pescatori di merluzzo di Gloucester (USA) e Lunenburg (Canada) in gare molto "accese" per arrivare primi sui Grandi Banchi di Terranova onde accaparrarsi i posti migliori. Esiste un film del 1937 (diretto da Victor Fleming con l’attore Spencer Tracy, che vinse l’Oscar per la sua interpretazione) quale trasposizione cinematografica del romanzo “Captains courageous” dello scrittore Rudyard Kipling, che riprende una di queste gare tra due autentiche golette d’epoca, genialmente ripresa dal regista, visione che costituisce oggi un prezioso e irripetibile e originale documento storico. Si racconta che la sequenza abbia strappato ad un vecchio pescatore che sedeva tra gli spettatori il grido: “Ma butè a l’orsa! No vedè che spachè duto!!”
Ancora nei primi anni ’60, quei “grandi marinai” pescavano al bolentino proprio sulle rotte dei transatlantici e quando i loro gozzi erano colmi di merluzzi, ritornavano a terra, trasbordavano il pescato su un brigantino alla fonda dietro un’isola, facevano rifornimenti di viveri e poi ripartivano per il mare aperto.
Ci trovammo nel mese di giugno sul Rio Tejo a Lisbona, quando veniva celebrata la festa dei pescatori. Una processione sul fiume tra canti e bandiere, tra colori e la memoria di tanti pescatori che non fecero più ritorno in Lusitania. Il cardinale della città, in quella suggestiva cerimonia, benediceva il brigantino che partiva per Halifax (Canada) per dare inizio alla Campagna del merluzzo.
Le motonavi VULCANIA a sinistra nella foto, e SATURNIA a destra mentre sono ormeggiate a Ponte dei Mille – Genova
I due transatlantici avevano uno scafo molto speciale; disponevano di alette anti rollio fisse di tipo antiquato, ma gli ingegneri navali degli anni ’20 del secolo scorso, avevano trovato una magica formula per cui non rollavano quasi mai, neppure con un forte mare al traverso, i loro movimenti conoscevano soltanto il beccheggio sull’asse trasversale. Ho avuto modo di conoscere passeggeri americani, anche famosi, che sceglievano queste due unità per compiere una serie di viaggi senza sbarcare, e raccontavano di privilegiare quelle navi per tre motivi: la cordialità degli equipaggi, l’amabilità di una nave che non faceva soffrire e per le godibilissime opere d’arte esistenti a bordo. L’itinerario di quegli anni era il seguente:
Venezia, Trieste, Palermo (o Messina), Napoli, Barcellona, Palma de Majorca, Gibilterra, Lisbona, Ponta Delgada (Azzorre), Halifax (Canada), Boston, New York. Il viaggio di ritorno comprendeva scali negli stessi porti del viaggio d'andata ed anche Patrasso (Grecia) e Dubrovnik (Jugoslavia).
Alette antirollio fisse
Stabilizzatori antirollio per grandi navi moderne
Retractable fin stabilizer on cruise ship MS Rotterdam
Cappella di bordo, é in corso la celebrazione della Messa domenicale. Da sinistra in prima fila: Allievo Ufficiale (A) Carlo Gatti, il 1° Ufficiale Claudio Cosulich, il Commissario Governativo, il Comandante Giovanni Peranovich e il Direttore di macchina.
A bordo del VULCANIA eravamo 4 Allievi ufficiali di coperta, due assegnati alla navigazione e al carico, gli altri due alla segreteria e alla posta diplomatica. Ogni viaggio ci scambiavamo i ruoli anche nelle manovre portuali. Le nostre cuccette, con due letti a castello, si trovavano dietro il ponte di comando sui due lati della nave e disposte nel senso trasversale.
E’ quasi mezzanotte. Il mio compagno di cabina (lato dritto della nave) é appena montato di guardia sul ponte di comando con l’incerata e il sudovest. Sono sveglio, ci salutiamo e già penso alla mia guardia, la “diana” (dalle 4 alle 08) con quel tempaccio in corso insieme al 1° Ufficiale che ad ogni difficoltà mi diceva: "Tegni duo a l'è l'arte ca intra!"
La nave sbatte, vibra e soffre sotto i colpi di mare che arrivano come mazzate sul fianco sinistro. Non riesco ad assopirmi, non per il rollio, ma piuttosto per un movimento della nave che inizia da un breve movimento di rollio sulla dritta, poi sale, si avvita e poi precipita verso il basso per impennarsi con la prora verso l’alto e ricadere velocemente con una panciata fragorosa. Si tratta di un balletto sinuoso e piuttosto ripetitivo che occorre controllare tenendosi ancorati alla difesa della branda per non cadere dalla cuccetta superiore e farsi male…
Avevo letto l’ultimo bollettino meteo e sapevo che la depressione che ci contrastava era vasta e potente, ma non avevo dubbi sulla tenuta della nave: la vecchia signora sapeva il fatto suo… la fama non la regala nessuno…lei se l'era meritata tutta e poi, ce l’aveva sempre fatta nonostante le inevitabili magagne dell'età …
M/N VULCANIA – TEMPESTA IN CORSO NEL NORD ATLANTICO INVERNO 1962
DUE NAVI IN DIFFICOLTA’ FOTOGRAFATE DALLA M/N VULCANIA
Ma ciò che non ci aspettavamo accadde!
Improvvisamente la nave viene colpita da un’onda che sembra sparata dal più potente cannone navale esistente, un’onda mostruosa, urlante e sibilante proprio come una cannonata… O forse abbiamo colpito una mina vagante nell’oceano? oppure siamo entrati in collisione con una altra nave? Penso alla collisione tra l’ANDREA DORIA e la STOCKHOLM di qualche anno prima e mi vengono in mente le immagini dell’affondamento della “signora dei mari”. Sono attimi lunghissimi. Questi pensieri mi martellano in testa nel tentativo di capirne la causa e sono più veloci delle parole che non riesco a pronunciare. Tiro un grosso respiro, cerco di rilassarmi e razionalmente penso ai possibili danni subiti dalla nave sul lato di sopravvento.
Il VULCANIA ha ancora un sussulto, si abbatte sulla dritta ed io mi ritrovo ammucchiato a paratia, con i piedi in testa … Poi, dopo alcuni movimenti inconsulti si raddrizza e si stabilizza. L’ufficiale di guardia ha accostato e si é messo alla cappa con la prua al mare. Anche i giri dei motori sono stati calati al minimo. Suonano le sirene ed i campanelli di bordo… Mi precipito sul ponte di comando e ricevo l’ordine di portarmi insieme al mio Capo Guardia nella Classe Turistica da cui giungono le prime richieste d’aiuto.
Scendiamo di corsa lungo i ponti della nave, indugiamo soltanto qualche minuto… per valutare gli allagamenti sul lato sinistro nei locali più alti a causa di vetrate andate in frantumi e altri danni materiali di poca entità.
Giungiamo infine nella zona della Classe turistica e immediatamente ci rendiamo conto di trovarci nella trincea di una battaglia in corso. Il caruggio centrale lungo circa 70-80 metri é invaso dall’acqua di mare, ma é rosso di sangue. I passeggeri che si reggono in piedi si spostano come automi sotto schock. Le cabine sono aperte e allagate.
Si sentono lamenti, urli e pianti. Il direttore sanitario, il 1° medico di bordo e i cinque infermieri di bordo sono già al lavoro. Il Comandante della nave lancia via interfonico ripetuti appelli ai passeggeri di mantenere la calma rassicurandoli: “é tutto sotto controllo”. Infine invita, in tre lingue differenti, eventuali medici e personale paramedico presenti tra i passeggeri a prestare soccorso in Classe turistica.
Il Comandante in 2° fa sgombrare i passeggeri delle cabine di dritta per far posto ai feriti che sono circa una settantina. Per fortuna, dopo un controllo di tutte le cabine ormai evacuate, non si riscontrano decessi.
Tuttavia i feriti presentano ferite anche gravi alla testa, sul corpo e sugli arti. I tagli sono larghi e profondi.
I più gravi vengono portati nell’ospedale di bordo per tamponare le emorragie, suturare le ferite più gravi e ricomporre le numerose fratture.
In breve tempo, i medici di bordo sotto la regia del Comandante in 2° riescono ad organizzare un piano molto intelligente per isolare i feriti dal resto dei passeggeri e ripristinare la tranquillità e la ripresa della navigazione che, purtroppo, non è immediata in quanto tutte le cabine devono essere riparate per poter sostenere gli urti e le intemperanze di quella depressione atlantica che ci accompagnerà ancora per 3-4 giorni fino all’arrivo ad Halifax (Canada).
MA COS’E’ SUCCESSO?
Quell’onda apocalittica aveva sfondato non solo i vetri robustissimi degli oblò, ma anche le corazza (corazzetta) dello spessore di circa 15 mm. A mezzanotte i passeggeri erano tutti in cabina, molti soffrivano il mal di mare e la cuccetta per loro era il miglior rimedio, mentre invece si é dimostrata una trappola infernale. L’urto di quell’onda altissima non solo frantumò gli oblò e le sue difese, ma mitragliò quelle schegge metalliche e di vetro concentrandole in quei pochi metri quadrati delle cabine martoriando di ferite quei poveri emigranti e pescatori portoghesi.
Per meglio comprendere la causa del disastro, propongo al lettore alcune foto che più di tante parole danno l’idea della forza esplosiva di quella ONDA ANOMALA che all’epoca nessuno chiamava in questo modo…
OBLO’ NAVALE E SUA CORAZZA dello spessore di 15 mm.
OBLO’ APERTO
A destra OBLO’ chiuso con i suoi galletti. A sinistra la sua corazza
OBLO’ chiuso e sigillato con la corazza
La foto sotto (che va opportunamente allargata) é relativa al transatlantico SATURNIA gemello del VULCANIA, in cui sono indicati i ponti della nave sul lato dritto, che corrispondo no perfettamente anche sul lato sinistro, esposto ai colpi di mare di quel viaggio dove si sono verificati i danni maggiori. Il Ponte contrassegnato con la lettera C nel cerchietto rosso, (il secondo dal basso) indica la fila di oblò della Classe Turistica della nave che sono i più vicini alla linea di galleggiamento.
SATURNIA/VULCANIA
Committente: Cosulich Line, Trieste.
Cantiere: Cantiere Navale Triestino (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) di Monfalcone, Co. 160
Impostato: 30 maggio 1925.
Varato: 29 dicembre 1925.
Viaggio inaugurale: 21 settembre 1927.
Data fine: 7 ottobre 1965.
Dati tecnici.
Lunghezza: 192,50 mt.
Larghezza: 24,31 mt.
Immersione: 8,53 mt.
Stazza lorda: 23.940 tsl.
Stazza netta: 16.710 tsl.
Propulsione: Due diesel Burmeister & Wain 8 cilindri (840x1500 mm); 24.000 hp; due eliche.
Velocità di servizio: 19,25 nodi.
Velocità massima alle prove: 21,10 nodi.
Capacità d’imbarco nel 1927: 2.197 passeggeri in quattro classi.
Prima classe: 279 passeggeri.
Seconda classe: 257 passeggeri.
Classe Turistica: 309 passeggeri.
Terza classe: 1.352 passeggeri.
Equipaggio: 510 persone.
CONCLUSIONE
Il “ricordo giovanile” che oggi vi ho proposto, non l’ho mai dimenticato, non potevo dimenticare tutto quel sangue versato in quel caruggio e neppure IL GRANDE CUORE di quei medici e infermieri che per quattro giorni, sbattuti dalle onde, non chiusero occhio per rimanere vicino ai loro passeggeri infortunati per portarli vivi a destinazione. Ricordo ancora i loro sguardi stanchi ma luminosi e fieri che sono del tutto simili a quelli che oggi sono in trincea a combattere contro l’ONDA ANOMALA che ha investito il mondo intero ed é ancora più insidiosa perché invisibile e sconosciuta.
Diciamo grazie a medici e infermieri di ogni tempo, a quelli in prima linea e a quelli che lavorano nelle retroguardie. Diciamo grazie alle loro famiglie, che li seguono a distanza e li hanno quasi ceduti in prestito a ospedali e comunità. A breve, si spera, dovremo celebrare quei 200 medici che sono morti per salvare vite umane. Di loro non conosciamo neppure i nomi. Verso di loro abbiamo un debito di riconoscenza infinito! Non dimentichiamoli MAI!
Carlo GATTI
Rapallo, 17 Aprile 2020
DARWIN DAY
Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.
DARWIN DAY: l’evoluzione a dimensione dei giovani
Avete mai chiesto a un ragazzino di farvi qualche esempio di evoluzione? Alcuni esperti intervenuti all’Undicesimo Darwin Day di Milano 2014 ci hanno provato e uno di loro si è sentito rispondere con queste parole: <<Durante la crescita è possibile che un Pokémon evolva in un Pokémon differente>>. Siete rimasti spiazzati? Probabilmente sì. Gli stessi studiosi che hanno fatto la domanda consigliano però di non demonizzare le risposte dei più giovani ma di usare i loro linguaggi e la loro immaginazione per avvicinarli a concetti scientifici corretti. Quindi ripartiamo dai Pokémon. Se è vero che queste creature immaginarie possono cambiare e salire di livello in base a qualcosa che succede nel loro ambiente, per esempio per numero di combattimenti vinti, per felicità, per conoscenza di una “mossa” o per saper tenere in mano uno strumento, è anche vero che le loro trasformazioni sono più una metamorfosi che un’evoluzione. <<La prima presuppone infatti un cambiamento che avviene nel corso della vita di un organismo secondo un percorso ben preciso dettato dai geni (come quello dal girino alla rana), mentre la seconda, cioè l’evoluzione, riguarda un cambiamento che coinvolge almeno un’intera popolazione e non un singolo individuo e avviene in tempi lunghissimi dell’ordine di milioni e milioni di anni tanto da rendere le generazioni successive diverse da quelle precedenti>>, spiega Emanuele Serrelli, ricercatore all’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Spunti di riflessione
Vi sembra di aver dato una definizione giusta di che cos’è l’evoluzione partendo tra l’altro dalle vicende dei “mostri tascabili”, i Pokémon appunto, i cartoni conosciuti da tutta la nostra gioventù e vi sentite in pace con voi stessi. Ma c’è sempre un “sì però” e a sollevarlo è stato un altro ragazzino: <<Sì però anche tra i Pokémon ci sono specie uniche, altre più rare e altre ancora più numerose>>. Come fargli capire che l’evoluzione è la storia che lega tra loro le varie specie le quali non spuntano fuori dal nulla? <<L’evoluzione, contrariamente alla metamorfosi, non è lineare, procede per ramificazioni, come nel caso cosiddetto passaggio degli organismi dall’acqua alla terra>>, suggerisce Emanuele Serrelli. <<In alcuni grandi gruppi di pesci attraverso le ere si sono infatti accumulate modificazioni che li hanno resi animali terrestri, dando origine dapprima ai rettili e poi agli anfibi: della vita di allora conservano tutt’oggi ancora dei segni>>, sottolinea Emanuele Serrelli. Portarsi “addosso” il proprio passato è comune a tutti gli esseri viventi. Come è stato ben illustrato nella sezione “Conchiglia addio …voglio nuotare” tenutasi durante il Darwin Day i polpi portano ancora le vestigia della conchiglia, persa per conquistare un habitat marino più profondo e con un minor grado di competizione, sotto forma di due piccole cartilagini presenti nella parte posteriore del loro corpo. Allo stesso modo la seppia ricorda il suo passato con l’osso di seppia, che altro non è che la vecchia conchiglia i cui setti si sono riempiti di carbonato di calcio. Noi esseri umani non siamo da meno: i nostri polmoni sono le vestigia della vescica natatoria dei pesci primordiali.
Una questione di tempi
I fumetti e i cartoni spesso sviano i loro lettori dalla scienza “vera”, ma anche i film non sono da meno. Che dire per esempio di “L’era glaciale 2: il disgelo” in cui davanti allo scioglimento di tutti i ghiacci del mondo Sid, l’antenato del bradipo, dice: <<Non possiamo fare altro che trasformarci in animali acquatici>>. Un attimo. Ma per farlo occorrono migliaia di anni, centinaia di generazioni. Più appropriata è senz’altro l’esclamazione di compatimento della tigre che scotendo la testa gli dice di rimando: <<Geniale Bradipo>. <<Il fumetto “X Men” con il suo gruppo di super-eroi mutati perché portatori del gene-X, risultato di un’alterazione del DNA che li dota di facoltà straordinarie, si avvicina un po’ di più al concetto di evoluzione biologica, cioè al concetto che la specie umana sta cambiando grazie alla diffusione di alcune caratteristiche piuttosto che di altre>>, sostiene Emanuele Serrelli.
Termini appropriati
Le animazioni, i fumetti e i corto o lunghi metraggi sono tuttavia entrati a pieno titolo tra i linguaggi riconosciuti dalla letteratura ufficiale (quest’anno al prestigioso Premio Strega sarà candidato per la prima volta un fumetto dal titolo “Una storia”, quello di Gianni Pacinotti, in arte Gipi). <<Quanto meno possono dare spunti di riflessione in materia di evoluzione che è un termine spesso usato per dare un’idea di progresso e di cambiamento, scegliendo soltanto le parti della Teoria dell’Evoluzione che interessano per ciò che si vuole dire. In questo modo ci si dimentica che la stessa teoria spiega anche i meccanismi della stasi evolutiva per la quale famiglie intere non cambiano per lunghissimi periodi di tempo>>, dice Emanuele Serrelli.
L’evoluzione “visibile”
L’evoluzione si può dunque approcciare da punti di vista diversi: partire dai singoli esempi per poi sommarli insieme o cominciare da un concetto unitario per poi dividerlo nelle sue parti. Oppure avvicinarla dal “piccolo”, cioè dalla genetica per spiegare fenomeni di ampie dimensioni o iniziare a spiegarla dal “grande”, cioè da fattori macroscopici come per esempio la deriva dei continenti, la frammentazione degli habitat, il cambiamento dei climi. Da qualunque angolazione la si avvicini, non si può prescindere dal fatto che l’evoluzione sia ovunque, che riguardi la vita di tutti i giorni e che coinvolga tutti gli esseri viventi. Già, ma come possiamo cogliere e percepire quest’”alito evolutivo” che pervade ogni oggetto animato che ci circonda? In altre parole come possiamo accorgercene oggi, qui e ora? <<Sebbene dei suoi effetti non ci possiamo rendere conto perché richiedono il passaggio di ere geologiche, in pochissime occasioni possiamo tuttavia tastare con mano l’evoluzione anche nell’arco della nostra vita. La resistenza agli antibiotici è una di queste: possiamo vedere manifestarsi gli effetti delle mutazioni comparse nel DNA dei batteri che si riproducono velocemente perché hanno un ciclo vitale molto breve.
Un’immagine del fringuello Geospiza fuligginosa, fa parte di 13 specie che si conoscono attualmente.
Oppure possiamo osservare la selezione dei fringuelli delle Galapagos a opera dei cambiamenti climatici avvenuta in un lasso di tempo di qualche decina di anni>>, dice Emanuele Serrelli.
Un fenomeno complesso
Scindere l’evoluzione biologica da quella culturale non è inoltre sempre semplice. Sul ruolo della tecnologia ci sono due correnti di pensiero: c’è chi la considera parte dell’ambiente e chi la ingloba invece nell’evoluzione grazie agli strumenti che ci fornisce per migliorare la qualità di vita, dagli occhiali alle protesi e ai pacemaker per il cuore per esempio. Una domanda è lecita: per quanto tempo potremo sostenere lo stile di vita attuale? Ripassando mentalmente la nostra storia evolutiva, ci accorgiamo che per diventare i bipedi che siamo ci sono voluti 7 milioni di anni, la specie Homo sapiens esiste da meno di 200 mila anni, e l’agricoltura da circa 11 mila anni. Non c’è che dire: l’evoluzione è imprevedibile nei suoi tempi e nei suoi modi. Con questa premessa anche chiedersi per esempio per quanto tempo lo stare seduti davanti al computer dovrà durare perché abbia un effetto tangibile sulla nostra genetica e perché possa quindi diventare un carattere ereditabile, non può avere una risposta precisa.
Manuela Campanelli
28 Luglio 2018