LANTERNA

LANTERNA

Faro di Genova dal 1128

Genova, Italia
Lat. 44° 25' N Long. 8° 56' Est
Altezza 77 metri, Portata 26 miglia, costruzione 1543

Come “Simbolo di Genova” ha sette secoli di storia alle spalle. Nel 1316, grazie alle donazioni delle congregazioni: i Conservatori del mare, i consoli del mare divenne ufficialmente un faro...

Descrizione luce: Due lampi bianchi, periodo 20 secondi

PREMESSA

Quella dei Fari è una storia affascinante che si perde nella notte dei tempi e va di pari passo con la storia della navigazione.

Per la gente di mare di queste parti che approda a Genova dopo un viaggio più o meno lungo, LA LANTERNA dà il suo primo saluto dal cielo con quella luce proiettata sulle nuvole notturne che i marittimi vedono un po’ in alto di prora, e che li fa vociare sommessamente con una certa emozione: “si vede la scopa della Lanterna!”.

A questo punto molti di voi si chiederanno:

Ma cos’è la scopa di un FARO?

Quando un faro è molto potente, il suo fascio luminoso rotante non segue la curvatura terrestre per cui, dopo un certo percorso rettilineo, viene proiettato in alto così che, una nave che si trovi ancora sotto l’orizzonte, non vede la luce del faro direttamente, ma solo la sua scopa che disegna in cielo le sue “caratteristiche” fatte di lampi ed eclissi.

Scendiamo brevemente nel “tecnico” …

PORTATA GEOGRAFICA

è la massima distanza dalla quale può essere avvistata una luce, esclusivamente in funzione della curvatura terrestre. La portata geografica dipende quindi dall’altezza della luce e dall’elevazione dell’occhio dell’osservatore.

 

PORTATA LUMINOSA

è la massima distanza dalla quale può essere avvistata una luce in un dato istante, in funzione dell’intensità luminosa (o portata nominale) e della visibilità meteorologica (o trasparenza atmosferica) in atto.

Per definizione quindi la portata luminosa è variabile in funzione
della trasparenza atmosferica.

Nei Fari più importanti, generalmente la portata luminosa è sempre maggiore della portata geografica, così che lo "scintillio della "scopa" del faro sul riverbero dell'acqua si manifesta a notevole distanza.

Dipende dalla velocità della nave e dalle condizioni meteo, ma si può dire che la scopa, anche in epoca moderna, anticipa di ore il segnale luminoso vero e proprio del faro, ed anche la gioia “irrefrenabile che il “marinaio” prova nel sentirsi “quasi” a casa.

Tutti i naviganti, in tutte le lingue e dialetti, lo chiamano: porto cosce! E ciò accadeva già molto tempo prima che Fabrizio De André immortalasse quel “desiderio” con la meravigliosa canzone JAMIN-A.

Quanti marittimi sono transitati davanti alla LANTERNA felici all’arrivo e tristi alle partenze sulle loro navi in rotta verso i sevenseas?

Solo LEI, la LANTERNA potrebbe dirlo dall’alto della sua maestà laica ed anche religiosa con il suo stemma crociato rivolto verso la città portuale.

 

Ecco che la LANTERNA, con i suoi antichi simboli, rappresenta il calore della mamma accogliente per i marinai di tutte le razze, religioni e provenienze che si sentono guidati dal suo sguardo luminoso e protettivo mentre si avvicinano e poi, con nostalgia e tristezza quando, allontanandosi, tramontano lentamente sotto l’orizzonte.

Prima del 6 ottobre 2017, Genova non aveva mai dedicato una mostra alla Lanterna, al suo faro medievale che, sin dalle prime rappresentazioni pittoriche della città ne era, comunque, diventato il simbolo più amato dai genovesi i quali, com’è noto, sono estremamente gelosi dei propri sentimenti e non amano parlare dei propri “gioielli” in pubblico! Una storia che conosciamo da sempre!

La sua struttura eccezionale - fino al 1902 è stato il faro più alto del mondo - con la posizione di guardia sul colle di San Benigno, la vedono, fin dai suoi albori, come uno dei simboli più amati della SUPERBA.

Solo da pochi anni è visitabile (con alcuni limiti), proprio come certe Icone di cui si deve rispettare innanzitutto la sacralità.

Così ci viene ufficialmente descritta sui dotti manuali:

Eppure la Lanterna, monumento unico anche nel panorama dei porti del mediterraneo, è sempre riaffiorata prepotente quale elemento distintivo, vera e propria Mirabilia Urbis, tanto nelle carte nautiche quanto nei documenti ufficiali, sui frontespizi dei libri e nelle immagini pubbliche, a suggello dell’efficienza e della stabilità del porto, elemento cardine dell’iconografia della città intera. E che il simbolo di Genova fosse un faro, ovvero una svettante torre antica con precisa funzione pratica e intimamente legata alla navigazione, monumento che rimanda alle imprese che resero la Repubblica ricca, temuta e rispettata, rientra nello spirito più autentico della città.

Guardate attentamente le tre fotografie a seguire e vi accorgerete che:

I nostri AVI medievali avevano visto giusto

LA LANTERNA si trova ancora oggi nel CUORE del suo porto, dove navi, marinai e merci entrano in contatto tra loro per scambiare ricchezza e cultura, relazioni e pagine di storia.

La Storia della LANTERNA

Leggiamo qua e là….

Nel 1128 venne edificata la prima torre. Secondo alcune fonti non ufficiali, era alta poco meno dell’esistente e con una struttura architettonica simile all’attuale, ma con tre tronchi merlati sovrapposti. Alla sua sommità venivano accesi, allo scopo di segnalare le navi in avvicinamento, fasci di steli secchi di erica (“brugo”) o di ginestra (“brusca”).

Nel secolo XI, le prime cronache e gli atti ufficiali del nascente Comune genovese forniscono dati sicuri sulla torre di segnalazione, ma non la sua data esatta di costruzione. 

Nel 1318, durante la guerra tra Guelfi e Ghibellini la torre subì rilevanti danni alle fondamenta ad opera della fazione ghibellina.

Nel 1321 vennero effettuati lavori di consolidamento e venne scavato un fossato allo scopo di renderla meglio difendibile.

Nel 1326 venne installata la prima LANTERNA; la lucerna era alimentata ad olio di oliva ed in merito l’annalista Giorgio Stella scriveva:

 “In quest’anno fu fatta una grande lanterna sulla Torre di Capo Faro affinché con le lampade in essa accese, nelle notti oscure, i naviganti conoscessero l’adito alla nostra città”.

Nel 1340, per meglio identificare la lanterna con la città, venne dipinto alla sommità della torre inferiore: lo stemma del comune di Genova, opera del pittore Evangelista di Milano.

Al 1371 risale la rappresentazione più antica di questa prima Lanterna che appare in un disegno a penna sopra una copertina pergamenacea di un manuale dei “Salvatori del Porto”, Autorità marittima del tempo conservata all’Archivio di Stato di Genova e restaurata nel 2017 grazie al contributo del Lions Club di Sampierdarena per il progetto Insieme per la Lanterna e Adotta un Documento.

 

La Lanterna di Genova che vediamo oggi

Ci affidiamo ancora alla storiografia ufficiale

Al 1543 risale l’attuale costruzione che, con i suoi 77 metri di altezza, è il faro più alto del Mediterraneo, secondo in Europa. In quell’anno vennero anche sostituite le antiche merlature e fu posta in opera alla sua sommità una nuova LANTERNA costruita con doghe di legno di rovere e ricoperta con fogli di rame e di piombo fermati con ben seicento chiodi di rame.

Fu in quella occasione che la TORRE assunse il suo aspetto definitivo che ancora oggi vediamo.

Nel 1565 si ritornò a lavorare sulla cupola per renderla stagna.

Nel 1681 si ricostruì la cupola con legno di castagno selvatico calafatando il tutto con pesce e stoppa e ricoprendola con fogli di piombo stagnati ai bordi sovrapposti.

Nel 1684 durante i bombardamenti di Genova ordinato dall’Ammiraglio francese Jean-Baptiste Colbert de Seignelay, per ordine di re Luigi XIV, un colpo centrò la cupola distruggendone l’intera vetrata, che venne provvisoriamente ricostruita.

Nel 1692, la vetrata venne modifica aggiungendovi un nuovo ordine di vetri. Nel Portolano manoscritto del XVI secolo di autore anonimo si legge: “a miglia 14 da Peggi (Genova Pegli) città con buonissimo porto e alla parte di ponente, vi è una lanterna altissima e dà segni alli vascelli che vengono a piè di detta lanterna”.

Nel 1771, a seguito dei ripetuti danni causati dai fulmini e dagli avvenimenti bellici la torre venne incatenata a mezzo di chiavarde e di tiranti che ancora oggi sono visibili all’interno.

Nel 1778, fu dotata di impianto parafulmine che fu realizzato dal fisico P.G.Sanxais.

Nel 1791 vennero effettuati alla base della prima torre, lavori di consolidamento per renderla più stabile.

Nel 1840, in tempi più recenti, la potenza del faro aumentò notevolmente, sia per l’introduzione di più moderni sistemi ottici, sia per il sistema rotante con lenti di Fresnel, sia per l’introduzione di nuovi combustibili:

Nel 1898 si passò all’impianto del gas acetilene.

Nel 1905 al petrolio pressurizzato.

Nel 1936 all’elettrificazione.

Da allora la Lanterna superò senza gravi conseguenze i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, nonché innumerevoli momenti di intemperie naturali.

CURIOSITA’

Tutti sono d’accordo sull’anno 1128 quale data dell’erezione di una TORRE sul Capo di Faro, in passato detto anche CODEFA’.

Tutto invece s’ignora del costruttore della LANTERNA il quale, secondo una leggenda, ad opera ultimata sarebbe stato gettato nel vuoto dal suo culmine, per impedire che realizzasse altrove qualcosa di simile, oppure – ed è questa la versione più maligna – per evitare di corrispondergli il compenso pattuito. A parte la mancanza del minimo fondamento storico, v’è da considerare che ciò è narrato, negli stessi termini, per molte altre eminenti costruzioni d’Italia.

Vi segnalo il LINK di un articolo interessante. Si tratta dell’intervista fatta al Guardiano del FARO Angelo De Caro.

IL SECOLO XIX - Quella piccola lampadina, cuore della Lanterna di Genova. Firmato Licia Casali

https://www.ilsecoloxix.it/genova/2014/09/12/news/quella-piccola-lampadina-cuore-della-lanterna-di-genova-1.32072595

Angelo De Caro - Il guardiano del faro.

 

L'accensione non è l'unica tradizione a essere stata modificata dall'avvento della tecnologia. De Caro ama mostrare ai pochi che si spingono sino alla sommità, una piccola lampadina, consapevole della reazione di stupore che susciterà: «Sembra impossibile viste le dimensioni ridotte – racconta divertito – ma è quella che dà luce alla Lanterna, amplificata dai cristalli dell'enorme ottica. Sono appena mille watt, 220 volt».

Ed è proprio questa lampadina che quando cala il sole, azionata dalla fotocellula, dà vita al simbolo di Genova: un giro completo del faro dura 40 secondi con una pausa di venti: «Le sue caratteristiche sono: due lampi e 20 secondi – spiega De Caro – Pensi che illumina sino a 27 miglia marine, le navi la scorgono a quasi 50 chilometri». 

Le sale dei Fari e dei Fanali

Ubicato ai piedi del FARO, esiste ed è visitabile il Museo della Lanterna. Nelle Sale “dei fucilieri”  e in quelle “dei cannoni”, si trova un’interessante collezione di strumentazioni: qui il visitatore può comprendere il funzionamento di questi importanti riferimenti per la navigazione e non solo (la Lanterna infatti funziona anche da aerofaro per il vicino Aeroporto Cristoforo Colombo).

Gli oggetti esposti illustrano la storia dell’ingegno dell’uomo nel raffinare la tecnica di segnalamento marittimo, con video illustrativi sul loro funzionamento e testimonianze.

È possibile osservare da vicino l’affascinante funzionamento di un Sistema Orologeria Peso Motore con lenti di Fresnel, posizionate su ottiche rotanti tarate con estrema precisione, affinché i lampi di luce ed eclissi potessero mantenere la caratterista identificativa dei fari sulle carte nautiche.

Il sistema meccanico, una volta caricato manualmente, garantiva la rotazione dell’ottica per circa sette ore: la moderna tecnologia utilizza oggi invece un motore elettrico.

Ancora, è possibile studiare l’evoluzione della tecnologia dei Lampeggiatori: dal Lampeggiatore AD, a propano GG166, a propano RG 7273BBT, per proseguire con lo Scambiatore a quattro lampade ISEA, evoluzione degli strumenti precedenti nato con la luce elettrica, poi lo Scambiatore a quattro lampade Pintsch Bamag e a sei lampade Automatico Power, fino ad arrivare allo Scambiatore a sei lampade Automatico Power e allo Scambiatore 6 AGA IE/AD che, grazie alla sua efficienza ibrida, unita alla possibilità di utilizzare le lampade da 1000 watt e 120 volt, è stato utilizzato anche nelle ottiche rotanti dei fari.

INFORMAZIONI UTILI

MISURE ANTI COVID19

Gli accessi alla struttura sono contingentati, invitiamo pertanto all’acquisto del biglietto online secondo i posti disponibili nelle differenti fasce orarie.
Invitiamo i gentili visitatori a rispettare le disposizioni di contrasto al COVID19, al fine di evitare possibili contagi | Indossate la mascherina | Non toccate occhi, bocca e naso | Utilizzate i dispenser con igienizzante prima di entrare nelle sale espositive | Gli utenti che al momento dell’ingresso avranno una temperatura superiore ai 37,5° non potranno essere ammessi all’interno della struttura. Ricordiamo che qualora non vogliate sottoporvi allo screening per la temperatura non potrà essere consentito l’accesso | La durata della visita all’Open Air Museum nel parco, Museo e Torre (prima terrazza panoramica) prevista è di circa 30 minuti | Vi ringraziamo per la collaborazione.

Su indicazioni del recente Decreto per il contrasto e il contenimento del diffondersi del virus COVID 19 è possibile accedere al complesso monumentale (anche negli spazi esterni dell’Open Air Museum) solo ai possessori di SUPER GREEN PASS (o esentati con certificato medico), da esibire al personale del ticket office sito in passeggiata, per tutti gli utenti con età a partire dai 12 anni.

 

Indirizzo: Rampa della Lanterna, 16126 Genova GE

Orari: Chiuso ⋅ Apre ven. alle ore 10

Telefono: 010 893 8088

Altezza: 76 m

Visitabile: 

Funzione: Faro

Data di apertura: 1128

Provincia: Città Metropolitana di Genova

Automatizzazione: 1936

Elenco fari: nazionale: 1569; ALL: E1206; NGA: 7568

 

Anno 1126

 

 

 

 

Carlo GATTI 

Rapallo, 2 Febbraio 2022


APPUNTI DI VIAGGIO - DEL DIRETTORE DI MACCHINA PINO SORIO

APPUNTI  DI  VIAGGIO  DI  PINO

  • Primo impatto con ptf petrolifera e primo volo in elicottero: febbraio/marzo 1973:Golfo Persico Dubai- spegnimento incendio pozzo ptf jackup PENROD 5 della Conoco. Lavoro Red Adair-Hallyburton con trivellazione pozzo inclinato da altra ptf fino ad incontrare quello in fiamme.

  • Ritorno a Genova in aereo tutto al buio x risparmio energetico in seguito a guerra arabi e israeliani

  • Installate dentro una delle gambe della ptf 2 pompe Worthington tipo deepwell con colonna e asse da 90 metri di altezza per riempire le tanche da dove  aspiravano le moto pompe  della Halliburton collegate in serie  per portare la pressione di mandata a 600 bar che  sarebbe servita per tagliare il flusso di petrolio nel pozzo incendiato.

  • Vedere foto seguenti:

 

Pompe  Deep  Well  Worthington

 

Pompe Deep Well

 

Pompe  Halliburton

 

In  lontananza piattaforma Penrod dopo spegnimento incendio

 

Foto  barche nel  canale  di  DUBAI

 

  • Procedura x spegnimento incendio pozzo: da un’altra ptf gemella distante circa un miglio si è trivellato in senso obliquo fino ad arrivare con la trivella a circa un paio di metri da quello che bruciava. L’ultimo diaframma è stato rotto pompando acqua a 600 bar e tagliando il flusso di petrolio. Appena spento l’incendio la ditta Schlumberger ha iniziato a pompare fanghi e cemento a presa rapida che ha così tappato il pozzo. La stessa procedura è stata usata a distanza di 40 anni per spegnere l’incendio della Deep Water Horizon nel Golfo del Messico

  • Entrato in Micoperi a dicembre del 1975: primo imbarco su M26 nel mare del Nord e poi trasferito su M27 (Pearl Marine) per modifica e allestimento da petroliera (ex Germinal) nei cantieri Viktor Lenac di Rjeka (modifica scafo) e poi a New Orleans (cantieri Avondale) per montaggio gru Clyde da 2000 tons e di tutti i macchinari di cantiere: verricelli Skagit per ormeggio nave con 8 ancore, motocompressori aria, impianto sommozzatori, gru cingolata Manitowoc, rivestimento coperta con doppio tavolato. Vedere foto:

    Avondale 1

    Fasi montaggio braccio Gru Clyde da 2000 T

Avondale 2

 

Avondale 3

 

Avondale 4

 

Avondale 5

 

Avondale 6

 

Avondale 7

 

Avondale 8

Panoramica  Cantiere Avondale

 

Avondale 9

PM27 in navigazione sul Mississipì per trasferimento dal cantiere Avondale ad un altro cantiere prima del ponte di New Orleans per montaggio A-Frame della Gru Clyde

 

Pearl Marine completata con “A-Frame” installato

 

PINO SORIO

Rapallo, 20 Gennaio 2022


IL DISASTRO DELLA COSTA CONCORDIA IN 18 IMMAGINI

A DIECI ANNI DALLA TRAGEDIA

“SIAMO ANCORA SENZA PAROLE”

IL DISASTRO DELLA COSTA CONCORDIA IN 18 IMMAGINI

 

Itinerario della nave

L'ultima rotta della Costa Concordia

 

Il profilo del fondale marino al largo della costa dell'isola con la posizione del relitto e il punto approssimativo di impatto.

Le due zattere rimaste bloccate a prora sinistra. Sono visibili soccorritori impegnati nel salvataggio di persone rimaste intrappolate.

Naufraghi della Costa Concordia in attesa di lasciare l'Isola a bordo del traghetto Isola del Giglio

La zattera rimasta bloccata a poppa sinistra e la biscaglina usata per l'evacuazione dei passeggeri rimasti a poppa, in una foto dei giorni immediatamente successivi al disastro.

Ricerche sul relitto nelle prime ore del 14 gennaio.

 

Naufraghi della Costa Concordia sbarcati a Porto Santo Stefano.

Lance e zattere della Costa Concordia a Giglio Porto.

Vista di prora del relitto.

Il pontone Meloria, accostato alla Costa Concordia, porta le attrezzature necessarie allo svuotamento dei serbatoi della nave.

Il relitto con i cassoni montati, nel luglio 2013.

Le sommità delle torrette sostengono i martinetti idraulici (strand jacks) necessari a tirare i cavi di acciaio per ribaltare e rimettere in asse il relitto.

Rotazione conclusa.

Il lato rimasto sotto il livello del mare visibilmente danneggiato e corroso dalla salsedine. Si notano due rientranze prodotte dallo schiacciamento dei balconi contro il fondale marino irregolare.

Vista frontale della Costa Concordia durante il rigalleggiamento.

La Costa Concordia mentre viene ormeggiata nel porto di Pra', vista dalla passeggiata di Genova/Pegli

Per Non Dimenticare

Riporto qui di seguito gli articoli del Sito di Mare Nostrum Rapallo rivolti in quei giorni alla difesa del nostro carissimo Amico e socio Com.te Mario Terenzio Palombo che fu “gratuitamente” coinvolto in quella tragica storia che gli procurò solo DOLORE e GRANDE TENSIONE EMOTIVA. Ero e sono nel dubbio se “riaprire quella ferita”, ma sono sicuro che i nostri Soci, Amici e Followers abbiano la sensibilità ed anche il DOVERE di ricordare quella immane OFFESA alla nostra MARINERIA nel ricordo, soprattutto di quelle 32 vittime innocenti e allo SHOCK, provato e si pensa mai superato, dalle migliaia di superstiti del naufragio.

Va pure ricordato che la “Battaglia di Mare Nostrum Rapallo”, condotta al fianco del suo prestigioso socio, fu condotta anche sui MEDIA dell’Isola del Giglio e non solo.

 

L’IRRAZIONALE MANOVRA DELLA COSTA CONCORDIA

“ IN MARE NON CI SONO TAVERNE “

https://www.marenostrumrapallo.it/taverne/

MARIO TERENZIO PALOMBO

Un COMANDANTE NELLA “TEMPESTA MEDIATICA”

https://www.marenostrumrapallo.it/palombo-2/

Il destino ha voluto che l’ultimo “delicato” atto della vita del relitto CONCORDIA sia stato compiuto da un nostro socio: Com.te John Gatti il quale, in veste di Capo Pilota del Porto di Genova, ha avuto il compito, brillantemente riuscito, di trasferirla dal Bacino di Voltri al Bacino di carenaggio di Genova per essere demolita.

COSTA CONCORDIA - UN INCUBO DA RICORDARE....

https://www.marenostrumrapallo.it/costa-concordia/

Carlo GATTI

Rapallo 19 Gennaio 2022

 


LE VERITA' CHE MOLTI NON SANNO. LA TRAGICA NOTTE DELLA COSTA CONCORDIA. COM.TE M.T.PALOMBO

Comandante Mario Terenzio PALOMBO

13 Gennaio 2012

NAUFRAGIO DELLA COSTA CONCORDIA

“Le verità che molti non sanno. La tragica notte che ha segnato la mia vita”!

Premessa:

Dopo la tragedia della Costa Concordia, parlando con molte persone dell’argomento, tutte erano convinte che io fossi stato il comandante che aveva preceduto Schettino al comando di questa bella nave da crociera.

Non è così! Io sbarcai, per infarto, il giorno 11 settembre 2006 dalla Costa Fortuna, in navigazione da Savona a Napoli. La Costa Concordia era stata inaugurata ed entrata in servizio proprio lo stesso anno 2006.

COSTA CONCORDIA

Durante la notte dell’11 settembre 2006 avvertii i primi disturbi al cuore, avvisai l’ufficiale di guardia sul Ponte di Comando, affidai subito il comando al valido Comandante in seconda Antonio Arcoleo, che procedette a tutta forza verso il porto. Il bravo medico di bordo, nel frattempo, provvedeva a farmi assumere alcuni farmaci per cercare di stabilizzarmi. Informai la Società del mio grave problema e all’arrivo della nave mandarono subito a bordo un cardiologo che, dopo la visita, decise immediatamente di ospedalizzarmi, con ambulanza, per sottopormi ad intervento di angio-plastica.

Il Comandante Mario Terenzio Palombo con la moglie, signora Giovanna. Sullo sfondo il mitico CONTE DI SAVOIA.

C’era anche mia moglie a bordo, che era salita a Savona, la vedevo, vicino a me piangente e molto preoccupata.  Cercavo di tranquillizzarla dicendole che sarebbe andato tutto bene. Lasciare la nave in quel modo mi provocava una morsa al cuore terribile. Mi salutarono con tre fischi lunghi di sirena. L’intervento riuscì perfettamente, mi sentivo pian, piano in forze, e dopo una settimana di degenza in ospedale rientrammo a Grosseto.

Dopo qualche mese di convalescenza ero completamente ristabilito e non avevo ancora deciso se tornare a bordo o ritirarmi definitivamente. La Società aveva lasciato a me questa importante decisione. Il 19 maggio 2007, con mia moglie Giovanna, venimmo invitati al battesimo della Costa Serena. In questa occasione ebbi il piacere di incontrare il Presidente della Carnival Corporation, Micky Arison. Lo conoscevo da tempo, aveva una grande stima in me. Dopo un abbraccio commosso e caloroso mi disse seriamente queste parole:

“Captain, capisco il tuo stato d’animo e la tua indecisione, ma ora devi pensare solo alla tua salute alla tua famiglia. Ci mancherai molto”!

Subito pensai: in base alla mia esperienza, avrei potuto rientrare e assumere nuovamente il comando, ma mi domandavo: sarei stato in grado di affrontare qualsiasi emergenza che poteva capitarmi, come avrebbe reagito il mio cuore? Decisi quindi di ritirarmi e il 30 giugno 2007, di comune accordo con la Direzione dell’Ufficio marittimo Costa Crociere, venni cancellato dal ruolo dei Comandanti della Società. Non avrei voluto finire la mia carriera in questo modo.

Avevo quasi 65 anni, avrei avuto intenzione di continuare ancora per qualche anno, navigando solo qualche mese in estate sulle nuove costruzioni, seguire le prove in mare e rilevare i Comandanti subito dopo l’entrata in servizio delle navi. Ma avevo preso la giusta decisione!

Io credo, sicuramente, che questo fatto aveva scombinato i programmi degli imbarchi dei Comandanti e chi ne aveva tratto vantaggio fu proprio Schettino che, in seguito, venne promosso al comando. Essendo io in pensione, non interpellato in proposito e non avendo più voce in capitolo, non potei far nulla per evitare o cercare di ritardare la sua promozione.  

 I protagonisti di questo tragico incidente sono:

Francesco Schettino e Antonello Tievoli.

 F. Schettino:

 

COSTA VICTORIA

 Ho conosciuto Schettino il 15 novembre 2002 in occasione del suo primo imbarco con la “Costa Crociere”, in qualità di Comandante in seconda. La nave era la “Costa Victoria”, in partenza da Genova per i Caraibi. La direzione dell’ufficio marittimo ha voluto che fossi io il suo primo comandante, con lo scopo di aiutarlo ad integrarsi con il nuovo ambiente, in quanto proveniente da navi passeggeri di piccolo tonnellaggio ed essendo al suo primo imbarco con la Compagnia Costa.

Apparentemente mi era sembrato un bravo giovane, ma dopo alcuni giorni mi sono accorto, con mio disappunto, che aveva la tendenza a non dire la verità. Il rapporto tra Comandante e Comandante in Seconda deve essere basato sulla fiducia, ma questo, purtroppo, è mancato sin dall’inizio. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che Schettino, mentre aveva delle buone qualità professionali, proprio per i suoi problemi caratteriali, sul lavoro mentiva spudoratamente cercando sempre di scaricare la colpa delle sue dimenticanze o inadempienze sugli altri. Interrogavo anche quelli che lui indicava come colpevoli, i quali mi giuravano di non essere a conoscenza di quanto da lui asserito. I miei Ufficiali e il Nostromo mi dicevano che c’era un certo malcontento nei suoi confronti. 

Dopo 3 mesi di miei continui richiami, ho riferito alla Direzione Costa questo serio problema, invitandola a farlo trasbordare su altra nave, ma la risposta è stata che dovevo essere io a completare la valutazione sino al termine del suo imbarco. Dopo varie mancanze e menzogne anche serie, chiamai Schettino e gli ordinai di comportarsi come un Comandante in seconda e non come un allievo inadempiente, sempre pronto a scagionarsi e a scaricare le colpe su altri. Al termine di ogni colloquio Schettino mi prometteva di cambiare. Comunque io, oltre a dovermi occupare della nave, dell’itinerario e dell’equipaggio, dovevo cercare di seguire quello che lui stava facendo. A un certo punto sembrava che avesse capito la lezione, e le mie serie intenzioni nei suoi confronti lo avevano un po' calmato. 

All’arrivo a Genova, il 18 maggio 2003, al momento del mio sbarco, lo salutai molto freddamente, facendo trasparire tutto il mio disappunto e la mia delusione maturati nei suoi confronti nel corso dell’imbarco e pregai vivamente la Direzione del personale Costa di non assegnarlo più alle navi sotto il mio comando e consegnai la scheda di valutazione della quale riporto la parte più importante del contenuto:

Costa Victoria, Genova, 18.05.03. Oggetto: Valutazione Com.te 2nda Francesco SCHETTINO (dal 15 nov. 2002 al 18 maggio 2003).

In questi mesi ho avuto modo di valutare attentamente le capacità professionali del Sig. F. Schettino. Posso dire che, mentre professionalmente è valido, tuttavia, ha manifestato alcune lacune relative alla gestione del Personale e Disciplina di bordo. Ho notato, sin dall’inizio, un Suo notevole impegno nel conoscere la nave e nel dedicarsi ai vari problemi tecnici e di manutenzione. Non c’è stato inizialmente con Me un buon rapporto in quanto, per orgoglio professionale o per Suoi motivi caratteriali il Sig. Schettino, in molti casi, preferiva mentirmi piuttosto che ammettere di aver sbagliato. Questo fatto, naturalmente, aveva causato una perdita della mia fiducia sino a quando, dopo il Nostro terzo serio colloquio, cominciava a capire come doveva comportarsi……omissis……...

 Firmato:             Comandante Mario Terenzio PALOMBO  

A.Tievoli:

Conoscevo Tievoli in quanto i suoi genitori erano amici di famiglia. Egli era intenzionato ad imbarcarsi sulle navi Costa e aveva presentato domanda di assunzione inviando il suo CV.  Quando venne chiamato per il colloquio gli avevo suggerito come presentarsi e di far capire, a chi lo stava interrogando, oltre alle sue esperienze professionali, anche le sue serie intenzioni di voler far parte della Costa Crociere. Il colloquio andò bene e dopo qualche mese venne imbarcato come Primo Cameriere. Dimostrate le sue capacità, dopo qualche imbarco, venne promosso Restaurant Manager. Ad ogni suo sbarco mi telefonava per salutarmi ed aggiornarmi riguardo al lavoro.

La collisione:

Ogni anno la mia famiglia si trasferisce all’Isola del Giglio, da metà giugno a metà settembre, per poi rientrare a Grosseto. La sera del 13 gennaio, intorno alle 21.35, mentre stavo guardando la TV nella mia casa di Grosseto, venivo contattato da Tievoli. Sul display del mio cellulare, apparendo un numero sconosciuto, chiesi chi fosse l’interlocutore. Mi disse che era Antonello e si trovava al traverso del Giglio. Gli risposi che cosa ci facesse lì e lui mi precisò di essere sul Ponte di Comando della “Costa Concordia” e che il comandante era intenzionato a deviare la rotta per passare vicino al Giglio.

Gli feci subito notare che a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi in servizio in sala da pranzo e che non c’era alcun motivo di passare vicino all’isola in inverno. Mi passò al telefono Schettino, che con sfacciataggine, si permetteva di disturbarmi senza alcun motivo, ben sapendo che i nostri rapporti erano stati tutt’altro che buoni e non ci eravamo più sentiti.

Il comandante mi disse che voleva accontentare Tievoli passando ad una distanza di circa 0,3 – 0,4 miglia dall’isola e mi chiese come erano i fondali. Gli feci presente che i fondali a quella distanza erano buoni, ma anche a lui ripetevo che non c’era motivo di avvicinarsi troppo in quanto, essendo inverno, l’isola era deserta. Gli consigliai di limitarsi ad un saluto, girando al largo, ma purtroppo, non mi diede ascolto!

 

Dopo qualche minuto venivo chiamato da alcuni amici del Giglio, i quali mi comunicavano che c’era una nave passeggeri nelle vicinanze dello scoglio della Gabbianara e sentivano dall’ altoparlante della nave alcuni incomprensibili annunci. Facevo loro presente che si trattava della “Costa Concordia” e che se la nave era ferma probabilmente era successo qualcosa. Poco dopo venivo contattato da Tievoli che, con voce molto turbata, mi diceva di sentirsi in colpa, avendo la nave urtato contro lo scoglietto de “Le Scole”. Non sapeva se la collisione avesse interessato il timone, le eliche o la carena. Cercai di calmarlo, ma lui continuava a dire che era sul Ponte come ospite e non pensava che il comandante passasse così vicino agli scogli.  Finì la concitata conversazione dicendomi che doveva correre al suo posto.

Questa notizia mi turbò molto, sentii il dovere di chiamare Ferrarini (responsabile dell’unità di crisi “Costa Crociere”), il quale mi confermò l’incidente, ma lo sentivo molto adirato nei miei confronti, soprattutto per i passaggi che non si sarebbero dovuti fare.  Mi chiese il numero di cellulare del Sindaco del Giglio, per organizzare l’emergenza. Il giorno dopo, però lo stesso Ferrarini, che era corso al Giglio, si scusava con me in quanto aveva pensato che io fossi sull’isola a vedere il passaggio mentre ero a Grosseto ed ero del tutto estraneo a quanto era accaduto.

Il Comandante Mario Terenzio Palombo sulla nave “Costa Fortuna”

Passai la notte molto turbato, credevo mi venisse un altro infarto in quanto ero sbarcato il giorno 11 settembre 2006 dalla “Costa Fortuna” proprio per infarto.

Nei giorni successivi venni convocato presso la Procura di Grosseto come “persona informata sui fatti” e poi fui attaccato e denigrato senza motivo da giornalisti cinici e senza scrupoli più interessati a colpevolizzare piuttosto che accertare la verità dei fatti.

Nessuno riusciva a spiegarmi quale sarebbe stata la mia colpa e quale relazione avrebbe avuto con me questa tragedia che aveva causato 32 morti ed era stata una grave onta per la Marina Italiana, per l’immagine di una Società rispettabile e per la categoria dei Comandanti. Ho pensato ai passeggeri morti durante quella che doveva essere una vacanza e ai parenti disperati, alcuni dei quali erano in attesa del ritrovamento dei dispersi.

Per molti giorni ho avuto giornalisti sotto casa, telefonate continue e proposte di partecipazione in TV a varie trasmissioni.  Non mi davo pace, non meritavo che capitasse tutto questo a me che nel corso della mia carriera avevo sempre agito con massima trasparenza e professionalità e con un grande senso di responsabilità nei confronti dei passeggeri, delle mie navi e soprattutto forte di un infinito rispetto del mare. Ho avuto un grande supporto e comprensione dai miei concittadini gigliesi che hanno alzato la voce prendendo le mie difese di fronte a bieche speculazioni giornalistiche.

Per due anni, finché la “Costa Concordia” è rimasta adagiata sullo scoglio della Gabbianara, non ho messo più piede sull’isola. Mi sentivo il cuore ferito, proprio come quella nave e come le anime di tutte le persone che in quel tragico venerdì notte avevano perso i propri cari.

Ho cominciato ad avere dei disturbi cardiaci specialmente la notte. Dagli esami risultavano essere fibrillazioni atriali parossistiche. Il disturbo mi veniva sempre più spesso e improvvisamente, prima ogni due o tre mesi, poi ogni mese e poi continuamente. Sono stato sottoposto per due volte alla cardioversione che ha eliminato il problema solo per alcuni giorni. Finalmente il giorno 8 giugno 2021 l’intervento di ablazione eseguito con successo, ha eliminato il problema e sino ad oggi non ho più avuto recidive.

Sono rimasto amareggiato e turbato dalle dichiarazioni di Schettino e di Tievoli nei  miei confronti. Subito dopo l’impatto con lo scoglietto, Schettino diceva al telefono a Ferrarini, per scagionarsi: “Roberto, non mi dire niente, sono al Giglio, c’è stato il com.te Palombo, che mi ha detto passa sotto, passa sotto…”

Qualche giorno dopo, sentendo queste parole di Schettino trasmesse anche alla TV non riuscivo a calmarmi per l’amarezza e l’inquietudine che sentivo dentro di me.  Che falsità! Ho letto negli atti del processo, che già a Civitavecchia Schettino adduceva, come scusa, di aver tracciato la rotta vicino al Giglio in quanto mi aveva promesso che sarebbe passato di lì per omaggiarmi. Altra menzogna!

In realtà, sicuramente, non voleva far sapere agli Ufficiali che il “passaggio” era dedicato al Restaurant Manager Tievoli. Conoscendolo posso capire che per lui mentire è una consuetudine.

Tievoli è stato veramente un vile nei miei confronti. Quando Schettino gli aveva chiesto, in prossimità dell’isola, di chiamarmi, avrebbe dovuto dirgli che io non c’ero, ma che ero a Grosseto, invece non lo ha fatto. Mi domando se, in quel momento, avesse avuto il timore che forse Schettino avrebbe rinunciato. Inoltre Tievoli, più volte, interpellato dai giornalisti, avrebbe detto vigliaccamente:

“l’inchino non era per me!”

La cosa mi aveva molto amareggiato, tanto che gli avevo fatto sapere di non chiamarmi più e di stare alla larga da me.

Ora, a distanza di dieci anni sono più sereno, ma ancora oggi quando vengo presentato da alcuni amici ad altre persone c’è sempre quello che sgarbatamente e con ironia pungente mi dice: “Ah lei è il Commodoro, quello della tragedia della Concordia”.

Certo che dopo 44 anni di vita vissuta in mare con 24 anni di comando di navi passeggeri prestigiose, non meriterei certe insinuazioni.

Mi conforta il fatto che la mia coscienza è senza macchia,  i miei amici e chi mi conosce lo sanno e di questo vado fiero!

 

Webmaster : CARLO GATTI

Rapallo,17 Gennaio 2022


M/n RAPALLO NELLA STORIA DEL MONDO MARINARO

M/n RAPALLO NELLA STORIA DEL MONDO MARINARO

 M/n RAPALLO

Una bella nave da carico degli Anni ‘60

- Bandiera Inglese -

Sulla murata della M/n RAPALLO è leggibile WILSON LINE

 

La M/n RAPALLO

con i suoi colori (livrea) originali

 

Lunghezza fuori tutta: 111,5 mt.

Larghezza: 16,6 mt.

Stazza Lorda stimata intorno alle 5.000/7.000 ton.

Categoria: General Cargo

Costruita nel 1960 a Edimburgo (Scozia)-Inghilterra dal Cantiere Robb Caledon Leith

Per l’Armatore: Ellersman’s Wilson Line, Compartimento Hull/Inghilterra

Nel 1975 cambiò nome e bandiera - diventò CITY OF LIMASSOL (CYPRO)

Nel 1977 fu venduta alla Associated Levant Lines e rinominata BEITEDDINE

Nel 1986 fu demolita

ELLERMAN LINES  - Segnalo LINK -  In cui potrete leggere la straordinaria storia di questo Armatore inglese che fu proprietario di una Flotta considerevole.

https://en.wikipedia.org/wiki/Ellerman_Lines

 

Propongo agli interessati al tema alcuni LINK di ricerche che ho effettuato a suo tempo:

L’AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO

https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo/

R.RE RAPALLO – SOTTO TRE BANDIERE

https://www.marenostrumrapallo.it/mastino/

RAPALLO NAVIGA SUI SETTEMARI

https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo-2/

Carlo GATTI

Rapallo, 15 gennaio 2022

 

 


NEW YORK - L'altra sponda del nostro Amato NEW WORLD

NEW YORK

L’ALTRA SPONDA DEL  NEW WORLD

QUANDO UN NOSTRO LONTANO PARENTE ERA SEMPRE LI’

AD ASPETTARCI AL PIER 84

IN NANOVRA OCCORRONO NERVI D’ACCIAIO…

 

Il Porto di New York, come possiamo veder nelle immagini che oggi proponiamo, presenta oggettive difficoltà nell’attracco delle navi in banchina, specialmente in inverno quando alla solita corrente di marea del fiume Hudson, si aggiunge la neve che presto si trasforma in ghiaccio e tiene le navi scostate dalla banchina come si nota nella foto sopra. Le abbondanti nevicate che possono raggiungere i due metri d’altezza, lo rendono a volte molto pericoloso, specialmente quando è accompagnato da forti venti artici. Per quanto possa sembrare strano, il passaggio di cicloni tropicali nei pressi della grande metropoli è un evento tutt’altro che raro.

In questa seconda immagine mostriamo invece il VOLTO UMANO della New York festosa e accogliente in tutti i sensi mentre festeggia il “maiden voyage” della MICHELANGELO addobbata per le grandi occasioni col gran pavese, sirene spiegate… e scortata sul fiume da decine e decine di rimorchiatori “urlanti” che sparano acqua in tutte le direzioni.

 

Omaggio alla favolosa UNITED STATES

 

 

ANDRE DORIA nel suo viaggio inaugurale

 

 

UNITED STATES

Andando ancora più indietro nel tempo

 

LINERS DI LUSSO, 1964 LUGLIO

 

Qui vediamo una vista estiva di Luxury Liner Row a New York City nel luglio del 1964.

Ormeggiato da sinistra a destra nella foto: L'INDIPENDENCE delle American Export Line e LEONARDO DA VINCI della Soc. ITALIA al Molo 84; la potente UNITED STATES al Molo del 86; e l'OLYMPIA della Linea Greca al molo successivo

La Cunard's QUEEN ELIZABETH viene ripresa mentre ha già la prua verso casa, diretto a Cherbourg e Southampton.

 

MICHELANGELO-RAFFAELLO-QUEEN ELIZABETH

Dall'alto in basso: EMPRESS OF SCOTLAND; FRANCONIA; MAURETANIA; the QUEEN MARY; CARONIA; ILE DE FRANCE; AMERICA; ANDREA DORIA; CONSTITUTION.

CHIUDIAMO LA RASSEGNA CON

L’ARRIVO DEL REX A NEW YORK CON IL SUO TROFEO PIU’ AMBITO

BLUE RIBAND (NASTRO AZZURRO)

11-16 Agosto 1933

La velocità massima consentita per la navigazione sull'HUDSON è di 10 nodi, anche se un vero limite non esiste e la Sicurezza del traffico è lasciata al buon senso del Pilota ed ovviamente del Comandante. Tuttavia, si deve tener conto che in certe situazioni meteo, così come in determinati periodi dell'anno, sul fiume Hudson si può verificare una forte corrente da Nord verso Sud che può rendere molto difficoltosa qualsiasi manovra.

 

UNA FOTO CHE MERITA QUALCHE COMMENTO

 

2 Febbraio 1964 - New York - Una bella immagine aerea della nostra Cristoforo Colombo (in primo piano) e la inglese Queen Elizabeth (più in alto) che attraccano in banchina senza l'assistenza dei rimorchiatori.... erano in sciopero in quel momento ( Foto: Getty images ).

N.B. - Il vento teso da sinistra spinge al traverso la Q.E. che sembra in grande difficoltà, essendo estremamente sottoventata, e praticamente ormai affiancata sulla testata (non operativa) di uno dei celebri Piers.

- La C. Colombo sembra aver impostato la curva (l’accostata) in modo più corretto e la manovra si presenta più realizzabile perché ha la poppa più al vento: poppa al vento meno vento”. Ho provato ad ingrandire l’immagine, ma non pare che la Colombo abbia dato fondo l’ancora di dritta, per cui si suppone che andrà a strisciare sullo spigolo del pontile in costruzione o in rifacimento, sebbene abbia la macchina di dritta “indietro” e quella di sinistra “avanti” nel tentativo di portare la poppa al vento.

Il vento teso è visibile dai fumi delle ciminiere delle imbarcazioni presenti in zona ed anche sulla superficie del fiume.

Ciò che non si può stimare è la corrente presente sull’Hudson… I Piloti del porto sicuramente hanno consigliato ai Comandanti la scelta del momento più favorevole per l’attracco: la “stanca di marea”.

Le rispettive manovre non paiono essere andate a buon fine… nel senso che, come minimo, avranno riportato bugne e danni ai rispettivi scafi.

Ultima annotazione: Le navi di quel tempo non avevano le eliche trasversali di prora e di poppa (Bow Trust e Stern Trust) che oggi sostituiscono in gran parte i Rimorchiatori.

Le navi passeggeri, specialmente, erano tutte turbonavi che, come sanno gli addetti ai lavori, erano/sono molto meno potenti in manovra e molto lente nelle inversioni di marcia.

Le turbonavi avevano molti altri vantaggi tra cui la potenza che potevano esprimere, quindi consumavano più carburante di una motonave, ma all’epoca i prezzi del petrolio erano molto convenienti.

Infine:

I “rischi” che si prendevano i Comandanti in quelle occasioni dipendevano dalle rispettive “pressioni armatoriali” tendenti ad evitare le denunce/cause dei passeggeri che altrimenti sarebbero sbarcati con ritardi che avrebbero danneggiato i loro affari privati.

Purtroppo questo “commento” lo pubblicherò sul nostro sito solo per qualche giorno, e solo a scopo didattico, perché la foto “eccezionale” su cui si basa, ha il copyright della gettyimages.

 

Carlo GATTI

Rapallo, Mercoledì 12 Gennaio 2022

COMMENTO:  Posso dire, con orgoglio, che ho vissuto quei momenti della manovra per l'attracco ai Pier di New York, con il grado di Primo Ufficiale, Com.te 2nda e Comandante. Ricordo che, prima dell'avvicinamento al pontile, saliva a bordo il Pilota (Dock Master) che sostituiva il River Pilot. Il Dock Master è un Pilota Comandante di Rimorchiatori che viene promosso dopo anni di anzianità. Per la manovra si doveva aspettare il  momento della stanca della marea sia essa Ebb (uscente) o Flood (entrante). Mezz'ora prima le navi, specialmente al sabato, dovevano presentarsi in fila, con Pilota bordo e pronte per entrare. Se si entrava al momento della stanca si riusciva ad infilarsi direttamente allineati con il Pier, in caso contrario, la manovra più difficile e mozzafiato  era quella di poggiarsi su un apposito parabordo (cammello) al Pier e si sfruttava il filo della corrente uscente o entrante a seconda della posizione del  Pier, che spingeva la nave verso la banchina con l'ausilio del  rimorchiatore a poppa.

Ai miei tempi, dal 1972 al 1987, le principali navi in esercizio erano:

Oceanic- Atlantic - Rotterdam - Statendam- Quen Elisabeth 2 - Britanis - Amerikanis- Doric-Homeric

Nel 1987 la Home Lines è stata venduta e io sono stato subito contattato dalla COSTA CROCIERE per il Comando

          Comandante Superiore di  Lungo Corso

           Mario Terenzio PALOMBO


IL NAUFRAGIO DELLA NAVE PASSEGGERI INGLESE TRANSYLVANIA

Questo rimane ancora oggi l’affondamento più tragico mai avvenuto nell’Alto Tirreno. Il ritrovamento del relitto: Il 7 ottobre 2011, dopo 94 anni dall’affondamento, i sommozzatori del Centro Carabinieri Subacquei di Genova, coadiuvati dalla ditta Gaymarine di Lomazzo hanno ritrovato il relitto, al largo di Bergeggi, adagiato ad una profondità di 630 metri.

 

 

La sera del 3 maggio 1917 la nave era partita da Marsiglia, al comando di Samuell Breuell, diretta al fronte turco della Palestina. A bordo circa 3000 fanti inglesi di diversi reggimenti: ussari, Royal Engineers, Royal West Surrey, Suffolk, Royal Irish, Royal Welsh, Cheshire, Essex, fanteria leggera del Duk of Cornwalls, Royal North Lancashire ed altre famose formazioni. Inoltre 64 crocerossine della British Red Cross Society e un numeroso equipaggio. In tutto 3500 uomini. La meta era Alessandria d’Egitto, la velocità di 16 miglia.

La nave pax UK TRANSILVANIA aveva messo la prora su Genova, procedeva a 16 nodi di velocità ed era preceduta da due cacciatorpediniere Giapponesi di scorta: “Matsu” e “Sakaki”Costruz. 1915 che appartenevano all’11a flottiglia di cacciatorpediniere della classe “Kaba”.

 

On May 4, the destroyers «Sakaki» and «Matsu» took part in the escort of the British ship used to transport troops, the «Transylvania» -. However, the ship was sunk, it was torpedoed by the German U-63 commanded by Otto Schulze. The Transylvania sank with 3000 people on board that were rescued by the Japanese destroyers. Only 413 people lost their lives. However, the actions of the Japanese sailors were positively evaluated by the allied command:

 

 

Il giorno dopo, il 4 maggio 1917, intorno alle 10.45 il vento di grecale spazzava la costa increspando le onde, la gente di mare del ponente stava per assistere alla più grande tragedia mai vista da quelle parti.

La nave stava procedendo a zig zag per evitare l’agguato degli U-BOOT tedeschi che il giorno prima avevano silurato il piroscafo inglese WASHINGTON.

https://portofino.it/italy/il-relitto-del-washington-a-portofino/

 

Sicuramente l’U-Boot tedesco, U-63. Era ancora in zona. A bordo, molti passeggeri avevano indossato il giubbotto di salvataggio.

Ma ora entriamo in cronaca diretta riassumendo e integrando la puntuali descrizioni dei seguenti siti:

  • Uomini in guerra – Campionari di parole e umori: Transylvania la nave che visse due volte – Azione Mare –

Alle 11.17, mentre la Transylvania naviga sottocosta tra il promontorio di Varigotti e quello di Bergeggi, due miglia a sud di Capo Vado, viene colpita dal primo siluro lanciato, da 1.000 mt di distanza, dal sottomarino tedesco U-63. La nave è colpita sulla fiancata sinistra all’altezza della sala macchine. Alle 11,39, ventidue minuti dopo, mentre è in corso l’improvvisata opera di salvataggio, e le sirene del Transylvania lanciano ininterrottamente angoscianti richiami di soccorso, la scia di un secondo siluro, lanciato da 350 metri di distanza, si dirige verso la nave. Il Matsu retrocede a tutta forza strappando gli ormeggi che lo legano al Transylvania, che viene colpito dal siluro sulla fiancata sinistra, a prua.

Alle ore 12.20 il transatlantico, ormai agonizzante per il colpo di grazia, comincia lentamente ad affondare assistito dai due caccia, impegnati nel recupero dei naufraghi, reso molto difficile a causa del mare agitato. Alle ore 12.30, dopo un’ora e 13 minuti dal primo siluramento, la Transylvania, secondo il rapporto del comandante del sottomarino tedesco, che nel frattempo è risalito a quota periscopica, per constatare l’epilogo della sua azione e perché, allora, i sottomarini potevano navigare sott’acqua solo per un tempo limitato.

Per i testimoni oculari e la documentazione fotografica la nave cola a picco alle ore 12.35 adagiandosi su un fondale al momento ignoto, a 2 miglia al largo di Bergeggi.

Latitudine  44°14’ N., longitudine 8°30’ O. Il vapore affonda sul dritto di poppa. Per il mare mosso lo scarico della truppa fu difficile. Esso fu notevolmente disturbato dal secondo siluramento che non permise più al caccia di procedere accostato. Una gran parte della truppa annegò sicuramente.

Affondata la preda, compiuto il suo dovere militare, l’U-63 si allontana senza infierire sui caccia impegnati nella raccolta dei naufraghi: un atto di umanità –non frequente e non sempre ricambiato- nella disumanità della guerra.

La nave agonizzante tentò di dirigersi verso terra per arenarsi a Sud dell’isola di Bergeggi.

 

 

I due cacciatorpediniere di scorta iniziarono subito le operazioni di soccorso, ma la corrente marina che sale dal Tirreno e ritorna a Gibilterra, era molto forte in direzione sud-ovest e disperse i naufraghi, molti dei quali infatti vennero tratti in salvo dai pescatori al largo di Finale Ligure e soprattutto Noli.

 

La più grande tragedia del Mar Ligure si era quindi consumata al largo di Spotorno. Davanti alla cittadina storica di Noli (Savona) dove, ancora oggi si trova inviolato il relitto del transatlantico Transylvania di 14.000 tonnellate.

Le vittime accertate furono 414, molte di queste furono sepolte nel cimitero di Zinola, quartiere di Savona. Il relitto fu ritrovato il 7 ottobre 2011 dalla marina militare italiana dei carabinieri a 630 metri di profondità.

 

Molti lettori a questo punto si chiederanno: “non si potevano evitare queste stragi di uomini e mezzi vittime, peraltro, di un facile tiro al bersaglio?”  - Una possibile risposta si può dare facendo alcuni passi indietro  accennando alla “guerra sottomarina” di cui la Germania fece, nella I G.M., ampio uso.

 

UN PO’ DI STORIA

Guerra sotto i mari 1

 

La rotta delle navi inglesi verso est e le aree di agguato degli u-boot tedeschi

 

 

IL CORRIERE DELLA SERA scrive:

Fu una guerra micidiale alla quale le forze dell'Intesa non erano preparate: 540.000 ton. di naviglio affondate nel febbraio del 1917, 585.000 in marzo, 880.000 in aprile. Di fronte a questi successi, l’Intesa reagì anche definendo “corsari” e “pirati” i tedeschi, anche se la guerra sottomarina era   la reazione al blocco navale ed economico imposto alla Germania. Anche in quell’occasione, come in altre più vicine a noi, può essere interessante osservare i metodi di propaganda, informazione o controinformazione utilizzati: c'è per esempio un'interessante copertina della Domenica del Corriere del 1915.


In essa si vede un “sommergibile tedesco che nel mar d’Irlanda affonda parecchi piroscafi inglesi accordando 10 minuti di tempo per salvarsi”. Il commento del giornale è:

Questo è un gesto da corsari. E poiché l’intento dell’Inghilterra di affamare la Germania pare cominci a produrre effetti tangibili (le famiglie tedesche hanno ormai il pane a razione) la Germania ha dichiarato campo di guerra tutti i mari che bagnano l’Inghilterra”. 

Come dire che affondare navi concedendo 10 minuti agli equipaggi per salvarsi è un atto da corsari, mentre affamare famiglie di civili è un nobile modo di condurre la guerra. Basta esserne convinti. Notiamo che alla data del giornale (Febbraio’15) l’Italia era ancora, almeno formalmente, alleata della triplice Alleanza e ancora neutrale. Da qui il tono tutto sommato soft del commento.

Per meglio comprendere la scelta delle rotte navali studiate ed impiegate in quella fase della Prima guerra mondiale, riportiamo quanto segue:

L'intensa attività degli U-Boot tedeschi nel Mediterraneo obbligò gli alleati a contromisure costose e pesanti: fino a metà del '17 la principale linea di comunicazione fra Inghilterra, Francia, Italia e le truppe alleate (=inglesi) impegnate sul fronte turco fra Salonicco (o Tessalonica) e la Palestina era via mare: da Marsiglia la rotta si dirigeva verso l'Italia, passava tra la Corsica e la Liguria, scendeva lungo le coste italiane fino al canale di Sicilia oltre il quale puntava su Alessandria (per le truppe dirette in medio oriente) o sul Pelopponeso, fino oltre Corinto da dove le truppe proseguivano via ferrovia in direzione di Salonicco. Lungo la rotta erano attese dai sommergibili in agguato (in gran parte partenti dalla principale base tedesca di Cattaro, nel Montenegro) principalmente in tre zone: fra Marsiglia e Genova, lungo tutto il tratto costiero italiano fra le isole maggiori e la costa, fra la Calabria e la Grecia. A metà del '17 le perdite fra le navi alleate erano diventate così alte che fu deciso l'abbandono della "longer sea route", la rotta marittima" lunga a favore della short, la corta: le truppe arrivavano in ferrovia (via Milano-Faenza-Rimini- Bari) fino a Taranto da dove erano imbarcate per la Grecia, con un viaggio più lento e costoso, specie in per quanto riguarda i volumi trasportati, ma più sicuro. Ma per il Transylvania era ormai troppo tardi.

 

 

U-63 – Il sottomarino che affondò la TRANSYLVANIA con due siluri

Questo sommergibile apparteneva alla Ia Flotilla Mittelmeer tedesca formata da 12 imbarcazioni operanti dalla base austriaca di Pola, nell’alto Adriatico.

Impostato nel maggio del '15 nei cantieri Germaniawerft di Kiel era stato varato l'11 marzo del 1916. Largo 6,30 metri (ma solo 4,15 lo scafo resistente) e lungo 68, dislocava 810 tonn in emersione e 1160 in immersione a pieno carico. Disponeva di motori eroganti 2200 hp in superficie e 1200 in immersione, con i quali poteva raggiungere una velocità di 16,5 nodi in emersione e 9 in immersione. Dotato di 4 tubi lanciasiluri e un cannone da 88 mm. con 276 colpi aveva un equipaggio di 36 uomini ed un'autonomia di 9170 miglia a 8 nodi in superficie e 60 miglia a 5 nodi immerso. Poteva raggiungere una profondità massima di 50 m.

Comandato dal tenente di vascello Otto Schulze dal varo al 27 agosto del '17, quando passò al comando di Heinrich Metzer, ritornò sotto la guida di Schultze dal 15 ottobre alla vigilia di Natale del '17, giorno in cui arrivò a bordo il suo ultimo comandante, Kurt Hartwig mentre Otto fu promosso 1° Ammiraglio nel Comando Sottomarini del Mediterraneo, incarico che mantenne fino all'armistizio.

 

Otto Scultze, il Comandante dell’U-63

IL BOTTINO DI GUERRA DELL’U-63

Era in missione già da diverse settimane, prima nelle acque del Mediterraneo orientale, poi, attraversato lo stretto di Messina, in quelle del golfo di Genova. Si era trattato di una crociera pericolosa, audace e fruttuosa: il 25 Marzo, davanti ad Alessandria, aveva affondato con siluri e cannone il vapore armato inglese Bollore, proveniente da Glascow e diretto ad Alessandria con 7000 tonn.  di carbone: il capitano e il capo macchinista erano stati presi prigionieri. Il 26 tra Alessandria e Porto Said aveva fermato e fatto saltare il veliero egiziano Rahmanich di 79 ton. Dopo una digressione e una sosta di poche ore a Beirut per rifornirsi di armi e carburante, il 1 Aprile è di nuovo davanti ad Alessandria, dove affonda il vapore armato inglese Zambeli di 3.759 ton., il 4 aprile è la volta del vapore armato Margit di 2490 ton., affondato malgrado la scorta di due pescherecci armati, il 5 tocca al vapore norvegese Goldstad, in rotta verso l’Italia con 6400 ton. di grano australiano, affondato con siluri e cannonate. Nei giorni successivi il sommergibile tedesco si sposta verso  lo stretto di Messina e l’Italia: il 28, nello stretto, affonda con siluro il vapore armato  inglese Karonga di 4665 ton., il 28 i velieri italiani Carmelo padre (74 ton.), I due fratelli (100 ton.), Giuseppina G. (100 ton.), Natale B. (55 ton.), S. Francesco da Paola (41 ton.), Giuseppe  Padre (102 ton.): una vera strage senza sprecare un siluro, solo col fuoco di artiglieria o fatti saltare. Il 3 maggio, infine (e siamo al giorno precedente il colpo grosso), l’ultima preda, il già ricordato vapore inglese Washington, solo e senza scorta. 

Dopo la Transylvania toccherà ancora al Talawa (3834 ton.), al Crownof  (3391 ton.) e, ormai sulla strada del ritorno, al Volga (4404 ton.), tutti vapori armati colpiti e fatti arenare sulla costa. Come si vede una crociera micidiale. 

R.M.S.TRANSYLVANIA

ULTIMO CAPITOLO

Nel 2011 un nuovo capitolo della tragedia viene scritto con il ritrovamento del relitto da parte dei Carabinieri del Centro Subacquei di Genova con il fondamentale aiuto dell’Ing. Guido Gay, creatore del robot Pluto Palla che ha permesso di trovare il punto dove riposa la Transylvania e realizzare le suggestive immagini e video che potete visualizzare sul sito www.affondamentodeltransylvania.it.

Nel 2016, grazie all’impulso dell’amministrazione Comunale di Noli, è stato creato il Comitato per le Celebrazioni del Centenario dell’Affondamento della Transylvania, presieduto da Carlo Gambetta, ex Sindaco di Noli, che si è prodigato per far si che questo evento venga degnamente ricordato.

E’ una storia che viene raccontata di generazione in generazione, una vicenda che ormai ci appartiene – racconta Vaccarezza – l’entusiasmo del sindaco di Noli, Pino Nicoli, nel raccontare i preparativi per l’importante giornata di commemorazione è lo stesso dei nolesi, orgogliosi protagonisti di questa vicenda avvenuta durante il primo conflitto bellico. La Regione Liguria farà la sua parte per essere presente e partecipe delle celebrazioni”.

 “I pescatori nolesi non esitarono a salire sulle loro barche, sfidare il vento contrario e le onde grosse per andare a salvare quei soldati che stavano annegando – dice ancora il Presidente del Gruppo consiliare Forza Italia.

Questo grande gesto di altruismo fa parte della tradizione ligure, ci chi sin dalla nascita respira l’aria del mare. Sarà una celebrazione importante, che servirà anche a mantenere vivo il ricordo dei cittadini del borgo di Noli che accolsero i superstiti con sincero dolore per la loro sorte e li ospitarono prima che ripartissero per il fronte” - Conclude Vaccarezza.

 

Durante l’affondamento della Transylvania morirono molti soldati britannici: 414 le vittime su circa tremila persone facenti parte dell’equipaggio tra militari, marinai e crocerossine.

96 salme furono recuperate sulle spiagge di Vado Ligure, Noli, Spotorno, Pietra Ligure, fino a Bordighera. Altre 34 salme trasportate dalle correnti furono raccolte sulle coste della Francia e della Spagna. 284 vittime furono considerate disperse.

Le 85 vittime recuperate sulle spiagge del Savonese riposano, da allora, nel Cimitero di Zinola (nella foto) a Savona.

 

Oggi nel Cimitero di Zinola sono sepolte una parte delle vittime di quella tragedia, in quello che è comunemente chiamato “il campo degli inglesi”. Qui le candide lapidi contornano un’alta croce in marmo bianco, su cui sono incisi i nomi dei dispersi. In una nicchia, posta nel muretto che racchiude l’area, è presente uno sportellino. Aprendolo si trova un registro dove, chi lo vuole, può lasciare un pensiero.

Sul promontorio posto di fronte all’Isola di Bergeggi è invece posta una croce commemorativa, sulla cui lapide si legge: “A circa due miglia E.S.E. da questo punto, il quattro maggio 1917 il trasporto britannico Transylvania venne affondato dal comune nemico”. 

La lapide esposta sul lungomare di Spotorno, al “Giardino degli Inglesi”, un angolo che unisce la cittadina ligure alla Gran Bretagna (foto di Silvia Morosi)

Carlo GATTI

Rapallo, martedì 4 Gennaio 2022


HELEANNA - Una ferita che brucia ancora

M/n HELEANNA - UNA FERITA CHE BRUCIA ANCORA

Il comandante Dimitrios Anthipas, un pessimo esempio di Comandante

 

Il 28 agosto 1971, a 15 miglia da Monopoli, un incendio scoppiò a bordo del traghetto greco “Heleanna”. Si trattò della più drammatica e funesta sciagura marittima accaduta in Adriatico nel dopoguerra. La tragedia costò la vita a 25 turisti imbarcati; 16 furono i dispersi, 271 feriti tra i 1089 i superstiti.

Sono trascorsi 42 anni dall’incendio della HELEANNA, ma il ricordo é sempre vivo, specialmente tra coloro che seguirono da vicino le operazioni di salvataggio, ma anche da tutti coloro che ben presto si resero conto che a bordo del traghetto viaggiavano 1174 passeggeri, quasi il doppio dei 620 consentiti, e duecento automobili. A quel punto l’apprensione si trasformò in pura rabbia e la stampa di allora definì “negrieri del mare” il comandante Antypas Dimitrios ed il suo armatore Efthymiadis.

 

Da dove uscì quel maxi-traghetto con la ciminiera a poppa come una petroliera?

 

 

Negli anni ’60 l’armatore greco Constantino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per convertirle in traghetti passeggeri:

la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;

la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;

la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;

la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.

Nel 1954 la nave cisterna Munkedal fu costruita dai cantieri Götaverken di Göteborg-Svezia. Ma il suo destino fu segnato dalla chiusura del Canale di Suez* che costrinse le petroliere a compiere il lungo e costoso periplo dell’Africa, linea che sarebbe risultata economica soltanto con l’introduzione del  “gigantismo navale”. Così fu, e tutte le stazze minori, tra cui le petroliere svedesi sopra citate, furono messe fuori mercato. 

 

Nota: Dopo la GUERRA DEI SEI GIORNI del 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).

 

Da sempre i greci sono considerati validissimi marinai, ma anche un po’ spregiudicati. L’armatore C.S.Efthymiadis era un fedele garante di questa tradizione. La sua intuizione gli permise, infatti, di trasformare e reclamizzare la nuova unità come “il più grande traghetto del mondo”. 

Nel 1966, mantenendo il suo aspetto esteriore, la petroliera Munkedal fu ridisegnata al suo interno per la sistemazione di numerose cabine/passeggeri, mentre sulle fiancate dello scafo furono installati portelloni con rampe di nuova concezione per l’imbarco/sbarco di auto al seguito e mezzi pesanti. Rinominata Heleanna, il traghetto entrò in linea sulla rotta Patrasso–Brindisi-Ancona e ritorno. 

 

La cronaca dell’incidente

Al momento del disastro l’Heleanna si trovava 25 miglia nautiche a Nord di Brindisi, a 9 miglia al largo di Torre Canne, più verso Monopoli. Proveniva da Patrasso ed era diretta ad Ancona con 1174 passeggeri e 200 mezzi  (auto, tir e autobus). 

Tutto ebbe inizio alle 05.30 del 28 agosto 1971 quando una fuga di gas dai locali della cucina, fra la panetteria, la riposteria ed il locale ristoro provocò un  incendio a poppa. Si parlò di un corto circuito, forse una manovra errata di accensione dei polverizzatori della cucina, oppure di uno spandimento di gas liquido, ma anche di una possibile fuoriuscita di nafta dalla cassa di alimentazione della calderina.

Alcuni testimoni affermarono che l’incendio prese il sopravvento solo quando il fuoco lambì le bombole di ossigeno facendole esplodere. Poco dopo successe un fatto molto anomalo: in una cala di poppa vicino al timone, scoppiò un’altra bombola d’ossigeno che bloccò istantaneamente l’organo di governo che era, in quel momento, posizionato 15° a dritta. Il traghetto, ormai in panne, ma ancora abbrivato, compì un’ampia accostata in cui il vento  propagò l’incendio a tutta la nave. 

L’Heleanna aveva in dotazione 12 scialuppe di salvataggio sufficienti per 600 persone, la metà delle persone imbarcate. Le inchieste promosse dalle Autorità dimostrarono che metà delle lance erano inutilizzabili per via degli argani bloccati dalla ruggine. Tra quelle calate a mare, una si ribaltò e precipitò in mare probabilmente per il sovraccarico.

Gli idranti antincendio e i tutti i sistemi di soccorso non erano funzionanti. Le inchieste che seguirono dimostrarono che il traghetto, dal punto di vista della sicurezza, era da considerarsi sub-standard. 

Il disastro causò 25 morti, 16 dispersi e 271 feriti, alcuni anche in modo grave. Le vittime erano di nazionalità italiana, greca e francese. Non appena il Comandante della nave lanciò l’SOS, soccorsi aerei e navali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli e Grottaglie.

I soccorsi aeronavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (LauraMadonna della MadiaAngela DaneseNuova VittoriaS. Cosimo) che si attivarono con molta efficacia nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi.

L’incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto fu rimorchiato verso porto di Brindisi e fu ormeggiato nei pressi del castello Alfonsino.

I feriti sarebbero stati più numerosi se non fosse scattata con grande tempestività l’opera dei soccorritori. Il personale dei rimorchiatori locali della Società Barretta dovette avvicinarsi fino a pochi metri dalla nave per rendere efficace il getto delle proprie spingarde, sfidando temperature altissime e respirando gas di scarico e fumi micidiali, ma dovettero farlo per domare le lingue di fuoco che fuoriuscivano da tutta la nave minacciando di far esplodere i serbatoi di benzina degli oltre 200 mezzi che si trovavano nel garage. Fatto che purtroppo avvenne con tutte le sue tragiche conseguenze.

Anche la città di Monopoli si prodigò per confortare i superstiti, dando una dimostrazione di grande generosità offrendo aiuto e accoglienza ai naufraghi dell’Heleanna.

 

Il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d’Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.

 

Quando siamo arrivati sul posto” – raccontò il proprietario di un peschereccio – “ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo agghiacciante. Lunghe lingue di fiamme uscivano dalla poppa impedendoci di avvicinarci troppo. Sul ponte del traghetto dilagava il panico. Centinaia di persone tentavano di calare le scialuppe senza riuscirvi, altre che scendevano con le barche liberate, rimanevano poi sospese e bloccate a mezz’aria. Altre barche ancora, arrivavano in mare ma non sapevano come governarle. I più si gettavano direttamente in mare saltando dal ponte. Su decine di corde, calate dalle fiancate, c’erano grappoli di uomini appesi, molti erano senza salvagente. Diversi battellini di gomma, sparpagliati in mare, erano difficili da raggiungere ma anche più difficile riuscire a salirvi dentro. Dalle navi che erano accorse – racconta un altro marinaio – erano state calate delle scialuppe, ma rimanevano vuote perché la gente in mare, sfinita non riusciva a raggiungerle. Allora, molti di noi, si sono buttati in acqua per aiutarli. Mai avevo visto tanta gente disperata, annientata dal dolore per aver perso, magari un attimo prima, un amico, un congiunto. Intanto, sulle banchine dei porti di Monopoli, Brindisi e Bari, viene predisposto un imponente servizio di soccorso”. 

 

Centinaia di privati misero a disposizione i loro mezzi, altri portarono in Capitaneria indumenti e coperte. L’incendio fu domato prima di notte e l’Heleanna fu tenuta prudentemente in rada mentre gli inquirenti tentarono di accertare le responsabilità dell’accaduto. 

Pare che nella confusione generale, il Comandante del traghetto sia stato il primo a perdere la testa. Alcuni testimoni, infatti, affermarono che il capitano Anthipas abbia lasciato la nave subito dopo l’allarme, mentre la moglie, che era con lui sul traghetto, sostenne il contrario. Per la verità, un’evidenza ci fu e molti la testimoniarono in diverse sedi: il comandante Dimitrios Anthipas, giovanissimo e senza esperienza, giunse “asciutto” sulla banchina di Brindisi, e il 29 agosto del 1971 cercò addirittura la fuga, ma venne arrestato al varco frontaliero del porto di Brindisi, poco prima d’imbarcarsi furtivamente con la moglie su una nave diretta in Grecia. Il comandante venne arrestato con l’accusa di omicidio colposo e per abbandono della nave. 

Dimitrios Anthipas sarà poi estradato in Grecia mentre chi ha perso tutto: auto, bagagli, valori, la stessa vita di moglie, figli, genitori e parenti non sarà neppure risarcito. Gli assicuratori si rifiuteranno di pagare per l’evidente violazione, da parte della nave, delle norme stabilite nelle polizze assicurative.

All’epoca del “sinistro”, le acque territoriali comprendevano una fascia di 6 miglia nautiche (11.112 KM), poi modificate per legge in 12 miglia dal 27 febbraio 1973), per cui il disastro avvenne in acque internazionali. Ma le Autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave poiché alcune vittime del disastro erano perite in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Anche le autorità greche furono interessate al processo, in quanto la nave batteva bandiera ellenica.

 

L’Heleanna in fiamme

 

Notare la vicinanza del rimorchiatore che punta le spingarde antincendio sulla poppa dell’Heleanna

 

 

 

Targa commemorativa del naufragio a Monopoli

 

 

 

Dopo due anni e mezzo di sosta forzata nel porto di Brindisi, per il relitto dellHeleanna giunse il momento del congedo, dell’ultimo trasferimento verso un Cantiere di Spezia che aveva il compito di demolirne una parte e trasformarne il resto in una chiatta portuale multipurpose.

 

 

 

Il rimorchiatore  genovese ESPERO in navigazione

Rimorchiatore incaricato dell’ultimo viaggio apparteneva alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, si chiamava ESPERO, era l’ultimo nato della  flotta, 5.000 CV di razza, con una strumentazione d’avanguardia: elica intubatatowing winch(troller) modernissimo, elica di manovra a prora(bowthruster) ed una elettronica up to date applicata a tutti i suoi apparati. Chi scrive, era già stato per sette anni al comando di rimorchiatori portuale d’altomare; per motivi d’anzianità toccò a lui collaudare questo moderno “fuoriclasse”. Come? Per un puro caso, si presentò una duplice occasione. 

Si trattava di rimorchiare in successione, due relitti, entrambi da Brindisi a La Spezia che all’epoca era il primo porto nazionale della demolizione navale.

Il primo era la petroliera SAN NICOLA della famosa Società Garibaldi, che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante.

La seconda era il traghetto passeggeri HELEANNA di cui ci siamo occupati in questo drammatica ricostruzione.

 

Lo squarcio in coperta della petroliera San Nicola

 

Testimonianza dell’autore:

Quando salii a bordo del “traghettone” per controllare la situazione generale e studiare gli attacchi di rimorchio, cercai invano di trovare un metro di lamiera liscia ed intatta.

In pratica, l’interno dello scafo era stato devastato completamente dalle altissime temperature provocate dall’incendio. Le lamiere dei ponti erano ondulate e bugnate come la pelle di un lebbroso. Delle 200 autovetture ancora presenti nel lunghissimo garage, erano rimasti gli scheletri deformati da un fuoco impietoso che era durato a lungo causando, purtroppo, vittime e sofferenze indescrivibili.

Avevo già compiuto un’ottantina di rimorchi in tutto il mondo, ma non mi ero mai trovato davanti a tanta devastazione, desolazione e tristezza.

 

 

Manovra d’uscita della HELEANNA da Brindisi

 

1° Problema

Quando andai sul castello di prora per approntare gli attacchi di rimorchio mi trovai di fronte ad una strana situazione: non sapevo dove attaccarmi. Il copertino deformato aveva piegato le bitte, sollevato il salpancore e indebolito ogni centimetro del castello. 
Alla fine decisi di far passare alcune grosse cravatte d’acciaio da quei due passacavi in alto che sembrano 
due occhi ai lati del tagliamare (vedi foto). Era come prendere un toro per le narici e vi assicuro che non 
c’era altro da fare. Come attacco di riserva presi al  “lazo”  tutto il castello di prora evitando  gli spigoli con coppi di gomma, legno, tanto grasso e sacchi di juta.

 

2° Problema

In precedenza ho accennato all’esplosione di una serie bombole di ossigeno sistemate vicino al timone 
della nave; fu proprio questa la causa che bloccò l’organo di governo 15° a dritta costituendo un grande problema per la navigazione a rimorchio.

La soluzione del problema era nelle mani di un’officina specializzata che avrebbe raddrizzato il timone, ma dentro un bacino di carenaggio che nessuno era disposto a pagare….. 
Mi dovetti rassegnare, pur sapendo che avevamo davanti 800 miglia di “navigazione manovrata”.

Infatti, appena allungammo il cavo e ci mettemmo in tiro, il rimorchio accostò sulla sua dritta.

Quando doppiammo Santa Maria di Leuca, il vento rinforzò e ci accompagnò fino all’arrivo.

Riuscimmo a tenere una velocità intorno alle 6 miglia, ma quando il vento aumentava nelle golfate, l’Heleanna ce la vedevamo al traverso e per rimettercela di poppa dovevamo allascare le bozze, far venire il cavo da rimorchio in bando e poi dovevamo ripartire “alla gran puta”  per andare a riprendere il toro per le corna e rimettercelo  di poppa.

Questa era la navigazione manovrata in cui si rischiava di strappare sia le bozze che il cavo da rimorchio.

 Pendolammo per 20 ore a ridosso dell’Isola di Ischia, sia per controllare l’attrezzatura, ma soprattutto per 
far scivolare verso Est una forte depressione che spingeva il rimorchio fino a sorpassarci, costringendoci 
a vere acrobazie per non farci “prendere per il c…” Un’espressione marinara che rende perfettamente
l’idea di ciò che può succedere quando il rimorchio, non essendo in assetto di navigazione, prende il sopravvento, infrangendo quelle poche ma importanti regole 
marinaresche, che si dovrebbero sempre rispettare.

 
Il 16.2.74 arrivammo finalmente a Spezia, e quando il mio amico pilota Nino Casaretto, il quale aveva subito l'esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante, venne a bordo per la manovra di consegna del relitto ai rimorchiatori locali, mi disse in dialetto: 
“Ma non ti vergogni d’andare in giro con questo accidente... attaccato al sedere” ?
“Vergogna no! – gli risposi –  A brindisi non vedevano l’ora di levarselo dal sedere  e trovarne un altro 
disposto al sacrificio. Dicono che nella vita bisogna provarle tutte! Eccomi qui, felice e contento d’essere arrivato!”

 

APPENDICE: 

Rapporto Viaggio

 

 

Mi spiace! L'immagine non è leggibile, i numeri sono lì... fidatevi! Purtroppo i morti sono altrove. Che Dio li benedica!

 

 

UNO SCAMPATO PERICOLO....

La nostra socia Marinella Gagliardi Santi, notissima scrittrice e Skipper di lungo corso, dopo aver letto questo articolo, ha voluto rilasciarci la sua ESISTENZIALE TESTIMONIANZA. per la quale non possiamo che unirci felicemente a questa fantastica coppia di “marinai” per lo scampato pericolo!

"Il ricordo di quella tragedia mi ha toccato da vicino ancora di più, perché Rinaldo ed io, allora non ancora fidanzati, avremmo dovuto imbarcarci proprio sull'Heleanna! Mi aveva invitato ad andare in Grecia insieme a lui ma gli avevano detto che non c'era posto sull'aereo: al ritorno non ci sarebbe stato alcun problema perché avremmo preso proprio quel traghetto! Così io non sono partita con lui, lui si è imbarcato su un aereo in realtà completamente vuoto, e per il ritorno ha preso nuovamente l'aereo.

Pericolo scampato per un pelo, la sorte ha voluto così!"

 

Carlo-GATTI

Rapallo, 21.3.2013 / Rielaborato nella nuova versione del sito, venerdì 17 Maggio 2024