AUTORI
Com.te Carlo GATTI – Dir. Macchina Silvano MASINI
LE BARCACCE NEL CUORE è dedicato alla Società Rimorchiatori Riuniti Genova che ha accolto, sostenuto e realizzato questa proposta.
– Ma soprattutto il libro è dedicato agli equipaggi dei rimorchiatori di ogni epoca, alla memoria di chi ha già strappato “l’ultimo cavo da rimorchio”…
– Agli eredi di questa tradizione che più nessuno chiama con il pittoresco nome di “barcassanti”, ma che hanno oggi, la responsabilità e l’onore di tramandarla nel tempo.
LE BARCACCE NEL CUORE
L’amico Silvan è già risalito, nel corso di questo libro, all’etimologia della parola barcacciante e questo ruolo è già emerso qua e là nella vicenda dei rimorchiatori genovesi. A questo punto del nostro viaggio all’interno del porto, approfondiremo il rapporto intercorso tra il Comandante del rimorchiatore e la figura di un altro antico marinaio che spesso è confuso con altri protagonisti di questo affascinate scenario della nostra città: il Pilota portuale.
Chi è quindi il Pilota portuale?
La vecchia Torre Piloti
Le biscagline
Questo interrogativo non solo incuriosisce le migliaia di turisti dell’entroterra quando si affacciano dalle murate dei traghetti per filmare l’arrampicata dell‘omino che viene da terra, ma turba da sempre anche molti abitanti della costa che confondono spesso e volentieri il pilota della nave con il comandante del rimorchiatore, con il timoniere, oppure con l’ufficiale di guardia sul ponte di comando, ma a volte anche con l’ormeggiatore portuale. Il personaggio in questione, per la verità, è rimasto chiuso nella sua antica leggenda di “esperto marinaio”, dalla quale non è mai completamente uscito per integrarsi con la gente di terra, tra la quale opera quotidianamente. Le categorie marinare appena accennate e che sono confuse con il pilota del porto, appartengono, di fatto, a rami della nautica ben distinti e gelosi, ognuno della propria identità e tradizione di corpo. Questi servizi sono necessari alla nave che ormeggia o disormeggia da una banchina ed il pilota ne rappresenta il coordinatore e direttore della manovra.
PILOTI E BARCACCIANTI
I rapporti tra le persone, in qualsiasi ambito, si modificano nel tempo in funzione di tante cause che lasciamo ad altri il compito d’indagare… In questa sede, a noi interessa soltanto ricordare “quell’angolo del porto” che è stato per trentacinque anni la nostra seconda casa, mio e di Silvan, anzi il cortile dove siamo cresciuti e che oggi, rivisitandolo a distanza di anni, lo ricordiamo popolato d’autentici personaggi che tanto ci hanno dato, sia sul piano umano che professionale. Con tutta sincerità, non sentiamo rimpianti tipo “Via Gluck”, anche perché certe sindromi da “cemento selvaggio” appartengono alla sfera dei “terrestri, i quali si dividono normalmente su tutto…con il risultato che al di là della cinta portuale c’è il caos più o meno riconosciuto da tutti, mentre al di qua, dove entra il mare, ci sono le navi che arrivano, partono e sono le uniche cellule economiche che si muovono sugli oceani, funzionano sempre e non conoscono conflittualità.
Tutto ciò non vi sembra strano? Eppure, oggi, come ieri e sicuramente come 20 secoli fa, le navi continuano a trasportare ricchezza viaggiando sicure anche quando i loro equipaggi, in terra, sono in guerra tra loro.
Ecco! Noi pensiamo che gli “specialisti della politica, della sociologia e d’altro…” dovrebbero indagare su questa cellula inesplorata: il funzionamento della nave e forse scoprirebbero che il mare, come un dio supremo e severo, costringe i suoi “sudditi” al rispetto di poche regole rendendole refrattarie alle ideologie umane, ai partiti politici e persino alle mode passeggere, perchè si basano sui valori dell’autodisciplina e della solidarietà.
Un tempo si diceva: “in mare non ci sono taverne” e s’intendeva che in mare non ci sono rifugi, neppure per i più ricchi e potenti della terra e con i primi colpi di mare in faccia s’imparava ad usare il buon senso, la modestia ed anche la paura. Già! Paura! I veri marinai hanno paura del mare e la maggior parte lo rispetta e lo teme come un dio pagano che usa vendicarsi lanciando fulmini e tempeste; per altri ancora si tratta di un Dio che non va affrontato neppure con le preghiere, ma va aggirato promettendo “voti” alla Vergine.
In terra, l’uomo del terzo millennio, con le sue sicurezze scientifiche, è convinto d’essersi finalmente emancipato dal “Supremo”. In mare le “sicurezze” si chiamano “aiuti alla navigazione” e suscitano diffidenze! In mare c’è qualcosa di mistico e d’irreale che blocca il marinaio nel tempo e lo unisce ai suoi simili più lontani, creando una sola razza che forse, come dice una vecchia leggenda, … “al momento del trapasso li trasforma in gabbiani.”
Ritornando tra le calate, a noi pare che i marinai portuali non siano diversi dai marinai d’altomare perché vivono nello stesso ambiente di “gabbiani” e si distinguono soltanto alla sera, quando ritornano a casa e il mondo piomba nell’oscurità della notte.
Poco più tardi, quando tutti dormono ancora, i piloti e i barcaccianti riprendono le strade dei moli e vanno incontro alle prime navi in arrivo.
Terminata la manovra, rientrano in torretta quando le prime luci dell’alba rivelano il “rush” del traffico cittadino, ma loro sono marinai e non conoscono le code, lo smog, gli isterismi del traffico e non incontrano gli amici terrestri neppure quando vanno in franchigia, perché anche i loro turni appartengono a due emisferi opposti, proprio come il nadir e lo zenit. Mentre sulle strade si litiga e si muore per una “precedenza”, sul ponte di comando di una nave, Master e Pilot uniscono le loro forze a quella dei barcaccianti per portare la nave in banchina, in sicurezza, nel minor tempo possibile ed in grande armonia. Rispetto e disciplina sono quindi le due “ancore di salvezza” alle quali ci aggrappiamo ogni volta che vogliamo rivivere, con gli occhi chiusi, come in un sogno, una qualsiasi delle migliaia di manovre vissute sotto la Lanterna.
1939. Una rara fotografia dei Piloti del Porto di Genova a bordo della pilotina Teti–1939, a rare image of the Genoa Pilots
Si raccontava a bassaprora, che nel periodo epico, già illustrato da Silvan, il divario culturale tra i padroni marittimi al comando dei rimorchiatori portuali ed i piloti del porto era veramente notevole. I primi ne venivano dai fumi di una gavetta portuale dura, tra i campi minati della ricostruzione, dai tratti primitivi come gli arrembaggi alle navi e i ganci sicuri soltanto per chi giungeva “primo” sotto le prue, parecchie miglia al largo di Genova e a noi, ancora oggi ci vien fatto di chiederci: “Quanti Marlon Brando s’aggiravano tra le calate nel Fronte del Porto genovese?” C’era la gelosia del mestiere, la difesa estrema della propria professione, la concorrenza e la ripresa della scalata sociale.
I piloti del porto di Genova, a giudicare da quanto si sentiva nello shipping internazionle, lavoravano con molta professionalità ed “il loro miglior maestro” – si diceva allora – “era il vento, che riuscivano a farselo amico, con molta abilità.”
Questo giudizio molto lusinghiero, per la verità, era esteso anche ai comandanti-Rr, che erano nati e cresciuti nel porto della tramontana e prima d’essere utili alla nave, imparavano a governare il proprio mezzo con tutti i venti e con grande maestria. Il mestiere era un oggetto misterioso che andava “rubato” di sottecchi, spiando per lunghi anni le tecniche e le tattiche di chi la sapeva lunga…. e lo faceva giustamente pesare! Nulla di male! L’Arte marinara della manovra, come tutte le grandi tradizioni manuali del mare, si tramandava anche allora oralmente, con un impercettibile e sussurrante passaparola!
Sicuramente, a quei tempi, il tirocinio era molto lungo per i barcaccianti che erano immersi nella vera culla della tradizione, dove non c’erano professori a promuovere…, ma l’unico giudice era l’eventuale pericolo che incombeva sull’equipaggio del rimorchiatore a causa dell’immaturità del nuovo comandante. Per i piloti del porto, lo scenario era meno complesso, tuttavia i candidati erano sottoposti ad una rigida selezione che precedeva il concorso statale, che era in ogni caso molto difficile da superare, sia per le numerose prove d’esame, sia per la fitta schiera di candidati provenienti da tutta Italia.
A dire il vero, il barcacciante non aveva complessi d’inferiorità e nonostante sapesse che soltanto i suoi marinai lo chiamavano con deferenza “Comandante”, ostentava autorità e imponeva disciplina. Per esempio: non tutti potevano salire sul ponte di comando e proprio nessuno durante la manovra. Egli conosceva esattamente la tecnica per raddoppiare la potenza del suo mezzo, perchè la nave doveva essere fermata e piegata ad ogni costo e se non bastavano l’elica e il timone, interveniva di slancio lo scafo con il suo folle peso e quando riusciva a strappare un cavo della nave, non ne era poi tanto dispiaciuto… Il barcacciante difendeva il suo piccolo mondo con la strenua filosofia di “ogni scarrafone è bbello a’ mamma suia.
Guai a toccargli l’equipaggio! Guai a criticargli la barca! In fondo in fondo, una piccola parte d’eredità del vecchio detto del tempo velico: “dopo Dio ci sono io”, toccò anche a lui…e ancora oggi non sappiamo quanto la barca appartenesse agli armatori…perché il barcacciante la gestiva come un proprio “feudo” famigliare! Forse l’intendeva come una insostituibile compagna provvista d’anima e di propria personalità che possedeva una propria vita.
I barcaccianti erano perfettamente consapevoli di saper ormeggiare in porto qualsiasi nave, anche senza pilota; l’avevano già fatto più volte in quelle non rare occasioni che capitano nei grandi porti, ma il loro metodo era da barcacciante, da uomo senza volto, da operaio capace, ma anonimo, lontano dalla sfera psicologica che coinvolge il comandante di una nave ed il pilota portuale. La sua abilità era tuttavia confermata ogni volta che il pilota taceva e gli affidava per lunghi periodi la nave in manovra.
Il pilota conosceva le lingue, era un diplomatico ed anche un uomo di cultura che portava sul ponte di comando i commenti e le novità internazionali del giorno e godeva di un prestigio personale presso gli armatori, le agenzie di navigazione, le autorità del porto e della città. Il pilota era una sorte d’ambasciatore che riceveva la nave straniera in anteprima e stabiliva con il suo equipaggio, i primi rapporti d’amicizia, talvolta anche di contrasti. I due mestieri erano simili nella sostanza ma diversi nello stile.
REX-CONTE DI SAVOIA-ROMA-GIULIO CESARE
In questa foto d’epoca degli anni ‘30 si possono notare gli esigui spazi vuoti nel porto. Ogni metro è sfruttato per l’ormeggio di navi molto spesso di punta/1930: the just suffiecient spaces of the Genoa harbor.
Anni ’30 – Il “Rex” in arrivo a Genova sta per essere preso in consegna dal pilota e dai rimorchiatori/The Rex, arriving at Genoa: the pilot is on stand-by.
Negli anni ’30, quando le navi si chiamavano “Rex” e “Conte di Savoia” ed erano lunghe 250 metri, i barcaccianti operavano con gli stessi risultati dei loro successori degli anni ’60-’70, che ormeggiavano la “Andrea Doria” e “Cristoforo Colombo” (nella foto) e, in seguito:
la “Michelangelo”, la “Raffaello”, l’Eugenio C. Di una cosa siamo certi: se si andasse a comparare i tempi di manovra di queste grandi unità nell’arco di 50 anni, saremmo sorpresi della loro similitudine, perché il grande regolatore della manovra è “l’ammiraglio vento” che sa aiutare i marinai più “esperti” che sanno come sfruttare a proprio vantaggio il suo enorme potenziale di cavalli, secondo la scuola che essi stessi si sono tramandati.
Foto n.3 – La M/n “Raffaello” ha compiuto una completa rotazione davanti a Ponte dei Mille e procede all’attracco di Ponte Andrea Doria con l’assistenza di quattro rimorchiatori/The Raffaello at Genoa, assisted by four tugs.
La meravigliosa linea (shape) dell’EUGENIO C. in un quadro del pittore di marina Marco LOCCI
Il Porto Vecchio con il consueto panorama di liners
Di questo notevolissimo fatto n’era consapevole soprattutto il pilota che molto spesso, rientrando in torretta con il rimorchiatore ringraziava il suo comandante con una stecca di Marllboro, dono della nave, per aver lavorato bene e qualche volta per avergli salvato la prua o la poppa…
C’era una volta … quando il pilota aveva il potere di rovinare, con una semplice telefonata di biasimo, un qualsiasi dipendente-RR. Era un’epoca in cui i piloti erano considerati “i signori del porto” e godevano di un meritato prestigio e grande peso politico, perché sapevano vendere bene il loro mestiere, che era fisicamente rischioso e di grande fascino ed alcuni di loro furono anche stimati armatori. Orbene, non ci risulta che tale potere sia mai stato usato dai piloti contro chicchessia. Al contrario sappiamo che i più “chiacchierati” tra i piloti, sono stati i più generosi nel sistemare… figli in tutto l’ambiente portuale.
E’ successo, quasi sempre, che i principianti dei due “servizi” ne abbiamo combinate di tutti i colori… durante le loro prime performances, ma in questi comprensibili casi è sempre valsa la legge del buonsenso e della compensazione. Abbiamo vissuto tre periodi lavorativi ben distinti, durante i quali i rapporti tra i piloti e i barcaccianti sono mutati a causa della tecnica, delle misure delle navi e persino da un considerevole livellamento culturale.
Nel primo periodo, quando non esisteva il VHF, il pilota emetteva gli ordini di manovra con il fischietto e indicava con la rotazione più o meno veloce del braccio, la forza del tiro. Era il periodo romantico della manovra: il pilota era in divisa e portava un cappello regolamentare. Il comandante del rimorchiatore indossava la cappotta nera ed in testa aveva il sud-ovest. Girava la ruota sul ponte più alto che era aperto ai fumi ed alle intemperie e si scaldava con la fiaschetta del rhum appoggiandosi alla ciminiera. Il pilota manovrava navi lente, con timoni piccoli e pochi avviamenti di macchina a disposizione. Affrontava la tramontana portandosi a randeggiare le testate dei moli sfruttando al massimo gli spazi a sopravvento.
Il comandante del Rr, ancora più audacemente, andava a sfiorare letteralmente il cemento delle calate per portare la nave a tiro di heaving-line rischiando di rimanere imbottigliato tra le scie delle smacchinate e i cavi delle altre navi. Spesso s’infilava in posti così angusti e pericolosi dove rischiava danni e quindi sospensioni dal servizio. Il pilota apprezzava sempre il suo coraggio e non mancava di tributargli la propria stima in tutte le sedi.
L’impossibilità del dialogo tra pilota e barcacciante in manovra, aveva sviluppato il senso del “capirsi al volo” e quando il pilota ordinava di tirare in una direzione, il più delle volte il rimorchiatore era già in lavoro. La conoscenza dell’ambiente nella sua totalità, umana e tecnica, giocava in ogni caso un ruolo decisivo. Mentre ogni pilota aveva il suo stile personale d’ormeggiare la nave e lo imponeva con fermezza, il barcacciante doveva imparare trenta stili diversi per accontentare quel pilota. L’intero capitolo non l’imparava in poco tempo, perché le manovre del porto erano circa duecento e variavano il disegno dinamico con la direzione del vento. Non era certamente un problema per i veri barcaccianti, molti dei quali si erano imbarcati sui rimorchiatori quando avevano ancora le braghe corte ed avevano imparato i trucchi del mestiere dal padre o dallo zio.
Nel secondo periodo
I piloti, nell’immaginario collettivo, appartenevano a stili e comportamenti diversi: Vi erano quelli dalla visione ampiamente “marinara”, in cui il signorile e naturale rispetto era esteso alla nave, al lavoro pericoloso dei barcaccianti e degli ormeggiatori; questi erano sicuramente i piloti più amati e stimati nell’ambiente e sono stati nel tempo, la parte più consistente del Corpo dei Piloti.
La velocità della nave può costituire un momento molto delicato per il rimorchiatore che si trova ad entrare per qualche istante sotto l’arco della prora/The tugboat is in a critic position.
Il cavo della nave sta per essere messo al gancio del M/r “Canada”. In questa fase, la scia della nave tende ad allontanare il rimorchiatore/The ship rope is almost made fast.
Il cavo della nave sta per essere messo al gancio del M/r “Canada”. In questa fase, la scia della nave tende ad allontanare il rimorchiatore/The ship rope is almost made fast.
Per altri invece il tempo stringeva sempre… e la pilotina ed in seguito il taxi appariva sottobordo quando la manovra era ancora in corso … questi piloti non facevano mai perdere il treno “buono” e liberavano presto le barche…ma con loro, dover prendere il cavo di poppa nella scia di un’elica sempre in moto, oppure rimanere nell’attesa del cavo a pochi centimetri dal tagliamare, a otto miglia di velocità, costituiva un azzardo inutile e si pensava quanto fossero distanti le conoscenze delle difficoltà degli altri servizi…
Per altri, infine, la manovra passava da fasi “compassate” ad altre simili alla “rassegnazione”…. Sotto la loro direzione non si rischiava nulla, il convoglio procedeva al ritmo di un “lumassun”, si perdevano i treni e si marcava un’ora di straordinario…. del tutto inutile agli effetti del sonno perduto! Per la verità, questa esigua categoria di piloti tranquilli, ebbe uno scatto d’orgoglio quando, a causa di numerosi e lunghi scioperi degli altri servizi, si adeguarono alla situazione con la stessa audacia di tutti gli altri piloti, ormeggiando navi di qualsiasi tipo, dimensione e con qualsiasi tempo. Si trattava, quindi, soltanto di un fatto caratteriale!
1955 – Sala Operativa della Torre Piloti. Da sinistra: i piloti Caso, Santagata, Longo, Raimondi, Ragazzi, Zoccola, Cavallari, Protti/Operation room of the Genoa Pilots
La smacchinata è partita. Il rimorchiatore si è defilato/The engine started, the tugboat is cleared. Una smacchinata di dieci/ventimila cv, quasi sempre involontaria e senza preavviso, poteva causare il rovesciamento del gozzo degli ormeggiatori, impegnato vicino all’elica, oppure rompere il cavo e far girare il rimorchiatore su se stesso, senza controllo, proprio come una trottola.
Sul tema degli scioperi in porto ritorneremo tra breve, per ricordare che i rapporti tra piloti e barcaccianti attraversarono anche momenti d’angoscia che furono, in ogni caso, superati e ristabiliti nel nome della loro grande professionalità. Consentiteci ora una breve digressione sulla scala dei valori dei nostri eroi: noi pensiamo che ogni manovratore poggia i piedi sui legni di una biscaglina, dove ogni tarozzo è un ipotetico valore stabilito dal buon senso marinaro. Tuttavia, quando si parla del porto di Genova, è necessario riferirsi ad una scala “accademica” molto elevata che, in un primo tempo ha forgiato e selezionato tanti marinai nella dura palestra della tramontana e in seguito ha premiato i suoi migliori “figli del vento” ponendoli ai vertici delle manovre navali del porto. Questi piloti e barcaccianti hanno avuto spesso caratteri diversi, ritmi opposti, ma sono stati tutti eccellenti manovratori.
In quest’ambiente dinamico, in continuo fermento di crescita, “vivere il porto” significava respirare con tutti pori della pelle quelle sfumature sul lavoro che ogni giorno nascevano con nuove linee e che arricchivano di esperienze e conoscenze il bagaglio di ognuno di loro. Il più adesciu tra i barcassanti era quello che per primo raggiungeva l’imboccatura ed occupava il posto “migliore” della manovra. La posizione occupata contava in funzione della “bozza”, del “fuori fascia”, “dell’attesa finale a spingere la nave ormeggiata e ritiro-pilota”, “dell’orario del treno” e quindi tutto variava in funzione del traffico, del vento e delle esigenze personali nelle varie fasi della giornata.
“Felice! se puoi, mandami in su Ragone, Scintilla, Garilli e Vittorio.. ho un lavoro impegnativo senza macchina e c’è vento..”
“Manna! vado all’Italsider per l’arrivo di una turbinaccia, mandami Marietto, Miglio, Pasqualin, Ragonetto, Florindo..”
“Enrico! Vado al Silos, avvertimi appena un “rotore” è libero.
A sinistra il pilota Schiaffino. Al centro Salomone e Maggiolo, anch’essi di recente scomparsi/Other passed out Genoa pilots
Giovanni Santagata ed Ernesto Santagata, due generazioni di piloti che hanno fatto storia/Two generations of pilots.
Il compianto Oddera a sinistra, con Gatti e Bonomi/Other pilots
Con questo tono famigliare, i piloti si raccomandavano alla torretta-RR di Molo Giano, ben sapendo che quei nomi, cognomi o soprannomi erano il paradigma, l’acronimo dell’unità speciale che in quel momento serviva. Con l’uso del VHF, si assisteva ad una strana convivenza tra due stili di lavoro differenti. Gli anziani, tra i piloti e i barcaccianti, continuavano a manovrare in silenzio, mentre i loro giovani colleghi si adeguavano rapidamente agli standard internazionali usando terminologie moderne ed appropriate via radio. In quegli anni, ci furono molti pensionamenti ed altrettanti nuovi innesti sui due fronti e ci fu una novità: il nuovo comandante-Rr non “capiva più al volo”, ma aspettava l’ordine via radio. Non tutti ovviamente avevano perso improvvisamente l’idea del mestiere, ma il dado era tratto.
“ C’è la radio!” – si sentiva dire tra i bordi –
Aspetto l’ordine, perchè se mi prendo un’iniziativa che non va bene, il pilota mi riprende e io faccio la figura del belinone davanti a tutto il porto. Io aspetto sempre l’ordine di tirare!”
Per la cronaca, riscontriamo che questa duplice convivenza di filosofie è tuttora in corso, perché la stessa tendenza è diffusa anche tra i piloti. A nostro parere non esiste una verità assoluta, tuttavia, dovrebbe esistere per ogni manovra, il buon “senso marinaresco” che sempre illumina le posizioni dinamiche via via da occupare con un leggero anticipo, onde poter applicare alla nave l’effetto voluto con una certa rapidità.
Ritorniamo a sfogliare l’album dei ricordi e confessiamo di non avere mai considerato, in quegli anni, il rimorchio ed il pilotaggio, attività molto distanti tra loro e quando si rimorchiava una nave in altura, il più delle volte si pilotava il convoglio sui fiumi e spesso si ormeggiava e disormeggiava in piccole anse dove neppure esisteva il servizio di pilotaggio.
Nel 1970 a New York, in occasione del rimorchio oceanico di due Liberty da Newark alla Spagna, i capitani dei due rimorchiatori della Mc Allisters’, che tenevano affiancate le due navi, usavano alternarsi al nostro fianco sul M/r Vortice per pilotare il convoglio dalla Reserve Fleet, sino alla foce dell’Hudson.
Ci trascinammo d’allora la convinzione che le due attività fossero talmente simili e complementari da essere anche intercambiabili, quantomeno lo erano già da lungo tempo nel “nuovo mondo”. Questa idea americana superava, sulla base di una conclamata praticità, antichi stereotipi di scuola anglosassone, importate anche in Italia nell’800.
La famosa “nota” dei lavori emessa di sera dall’Ufficio Accosti del porto, era studiata a memoria dai barcaccianti per prevenire le possibili mosse…del destino, ma durante la giornata intervenivano le aggiunte e le cancellazioni di navi e l’analisi dei lavori in corso… riprendeva daccapo.
Dopo qualche anno d’esperienza, anche il più giovane marinaio in coperta era in grado d’indovinare esattamente il nome del pilota che si stava avvicinando al faro di Punta Vagno; le spie principali erano la rotta e la velocità. Da quel riconoscimento visivo, sul rimorchiatore ci si poteva prefigurare ed organizzare la manovra: dove si sarebbe preso il cavo, a quale andatura, dove la nave avrebbe girato, quante smacchinate avrebbe dato ecc… Lo stile del pilota Cavallari era unico. Pur essendo un appassionato velista, credeva soltanto nella propria potenza di macchina. Tirava per la tangente, accostava in velocità ed attaccava i rimorchiatori a volte nell’ultima fase della manovra.
Ricordiamo, in proposito, una giornata di foschia densa al Porto Petroli di Multedo, agli inizi degli anni ’70. Il Porto era chiuso per ovvie ragioni di sicurezza. I rimorchiatori erano tutti legati in banchina. Improvvisamente si udì una serie di fischi. Era la petroliera Praga di 30.000 tonnellate che stava entrando senza i soliti quattro rimorchiatori attaccati ed aveva iniziato a girare in solitario per andare in banchina… Cavallari non fece scuola, tuttavia, in seguito, abbiamo avuto modo di capire che altri piloti preferivano manovrare “ liberi da qualsiasi legame ”, finchè era possibile…
La radio VHF, in effetti, aveva portato sicurezza, rapidità d’esecuzione, informazioni in tempo reale e chiarezza d’intenti, sia in manovra che in tante altre circostanze di lavoro, non solo tra piloti e rimorchiatori, ma anche tra le Autorità, gli Uffici tecnici ed i bordi in servizio, sia nella quotidianità, ma soprattutto nelle emergenze che non mancavano mai.
Tuttavia, mentre da un lato le comunicazioni portavano cultura marinara e maggiore conoscenza reciproca, si assisteva ad un lieve deterioramento dei rapporti umani, a causa più che altro della confusione tra il vecchio e il nuovo sistema di lavoro. L’anziano barcacciante non era abituato a sentirsi riprendere via radio da un giovane pilota ed il giovane comandante Rr aspettava l’ordine dell’anziano pilota che non era abituato a dare. I nomi dei barcaccianti, in definitiva, non rappresentavano più l’estensione della barca di un tempo, non solo, ma l’uscita di scena di tanti “senatori” delle due sponde aveva sballato il vecchio ordine, creando dubbi, incertezze e rivelando inoltre i limiti di una “timida” programmazione dei quadri.
In questo scenario, caratterizzato da un forte movimento sussultorio, si affermava il gigantismo navale dei containers e delle superpetroliere, innescato da quei sette anni di chiusura del Canale di Suez tra gli anni ’60 e ’70.
Ormai era impensabile riuscire a vedere il braccio del pilota vorticare alla distanza di 300/400 metri, e la radio ebbe la sua giusta celebrazione, anche perché il pilota non riusciva a vedere neppure i rimorchiatori attaccati di prua e di poppa, e doveva mandare un secondo pilota a prua in funzione di telemetro per le distanze dalla piattaforma di Multedo.
Era finita per sempre l’epoca romantica
Cinque generazioni di Capi Piloti, da sinistra: O.Lanzola, A.Baffo, G.Longo, A.Cavallini, A.Maccario/Five generations of pilots
In questo periodo si riscontarono forti crisi istituzionali, scioperi, cali di traffico e poi finalmente l’assestamento, ed infine la ripresa del nostro porto; questi furono i fatti che caratterizzarono buona parte degli anni ’80. I piloti si difesero da queste calamità, diminuendo l’organico da 34 a 22 unità, ma i dipendenti del Corpo Piloti da stipendiare: impiegati, pilotini, tecnici, e gli addetti ad altri servizi, rimasero in ogni caso una quindicina. Questo assillante motivo prettamente economico e legato al “rischio impresa”, poggiava tuttavia sull’antica tradizione del Corpo che era contrario a qualsiasi forma di sciopero e di sindacalismo politicizzato.
Con questi presupposti, i piloti perseverarono sulla loro strada solitaria e non aderirono, neppure per solidarietà agli scioperi degli altri servizi in corso in quegli anni. In quella situazione d’estremo disagio e contrapposizione molto sofferta su entrambi i fronti, i piloti s’assestarono in prima linea, soli sulle navi ed in banchina, durante i ripetuti scioperi del personale dei rimorchiatori. Per la verità furono anche sabotati dagli ormeggiatori, che non erano in sciopero, ma evitavano d’usare i gozzi d’ormeggio per solidarietà con il personale dei rimorchiatori. Non tutti in porto, ovviamente, capirono le necessità di sopravvivenza e rischio-fallimento dei piloti e purtroppo si aprì una ferita che impiegò molti anni a guarire e rimase come una cicatrice-ricordo nella storia portuale.
Abbiamo preso spunto da questi avvenimenti storici per ricordare che, in quelle non facili giornate, i piloti vissero, dal punto di vista professionale, paradossalmente, la fase più brillante della loro storia professionale. E’ forse giusto ricordare che dagli scioperi dei dipendenti della Società Rimorchiatori Riuniti, furono esclusi i traghetti e le emergenze, ed è altrettanto utile ricordare che, da parte dei piloti, non si cercarono atti d’eroismo e neppure lavori degni d’encomi, riconoscimenti ufficiali o cose di questo tipo. Tuttavia, escluse le manovre ritenute impossibili, a causa del consueto utilizzo di quattro o più rimorchiatori, tutte le altre navi entrarono ed uscirono regolarmente dal porto, senza il minimo danno.
Da un lavoro di routine, basato sulla velocità e la sicurezza, i piloti passarono ad un sistema più lento e studiato nei minimi particolari. Tutto ciò fu possibile perché il pilota di turno, indipendentemente dall’età e dall’esperienza maturata, s’impegnò strenuamente nella preparazione della “sua” performance, partendo da quella manovra teorica che aveva studiato a scuola e dallo sfruttamento adeguato della tecnologia della “sua” nave.
Il pilota di turno non spinse mai il comandante ad entrare in porto, oppure ad uscire senza l’aiuto dei rimorchiatori. Il pilota, ascoltava le caratteristiche della nave:
• Effetto elica, eventuale potenza del Bow Thruster (elica di prora).
• Velocità timone.
• Potenza macchina alle varie andature.
• Pescaggio.
• Superficie velica.
• Caratteristica dell’ancora per l’eventuale dragaggio, o girata ecc..
Con questi dati, il pilota esponeva al comandante la “sua” soluzione, adattandola, ovviamente, alle condizioni del vento e della corrente di quel momento.
Ogni pilota che rientrava in Torretta ripeteva come un ritornello ciò che il comandante gli aveva appena chiesto:
“Pilota, se te la senti di portarmi fuori (o dentro) senza rimorchiatori, io sono a tua disposizione !”. In quelle giornate d’estrema tensione nervosa, i piloti scoprirono il loro enorme potenziale professionale.
Lasciamo il ricordo di una di quelle giornate al pilota O. Lanzola:
“Di quelle giornate, veramente stressanti, ne ricordo una in particolare. Era un sabato del giugno 1986 e il vento di scirocco soffiò dall’alba al tramonto sui 20/25 nodi. Alla fine del turno giornaliero, contammo 54 lavori eseguiti, tra arrivi e partenze. Tra cui una decina di navi passeggeri: le “vecchie” a turbina, Amerikanis, Britanis, Ellinis, girate tutte sull’ancora davanti a Ponte dei Mille, e poi Eugenio C.- Enrico C.- Ausonia ecc..
Si era così precipitati improvvisamente Nel Terzo Periodo. Le distanze erano aumentate anche sul piano umano. Erano venute a mancare le pacche amichevoli sulle spalle del barcacciante, la stecca di sigarette e quel sorriso che esprimeva stima, amicizia e simpatia. Per necessità di tempo e di traffico, i piloti preferivano rientrare dagli arrivi con il taxi, per ripartire subito dalla torretta verso l’imboccatura.
Potenza, manovrabilità, eleganza. Con l’avvento del “Modello Tractor”, il servizio di rimorchio nel porto di Genova si è allineato allo standard dei maggiori porti del mondo/The new model “tractor”.
Ed i giovani comandanti Rr, a bordo dei nuovi “tractors” con le prore alte, evitando di sbarcare i piloti, salvavano volentieri la prora dai danni contro la banchina di molo Giano. Si chiudeva così, per ragioni di servizio, un dialogo che era stato per decenni soprattutto un approfondimento, un commento, una vera lezione reciproca di manovra. I Tractors, pur avendo un nome ed un numero, erano tutti uguali nello scafo ed il pilota, nel dubbio di sbagliare gli ordini preferiva scandire l’ordine così: “ Prora a dritta, voga più in banchina!” – “Poppa a sinistra, allarga bene!” Si era finiti così nel più totale anonimato! Non c’era più tempo e spazio per i rapporti umani di un tempo, quello dei sentimenti vissuti, degli aneddoti, dei revival storici, degli scambi d’idee, degli stessi commenti alla manovra, delle notizie dei figli ecc…
In quella fase transitoria di rinnovamento tutto era trasformato in esasperata robotica, in pause vuote d’umanità, in silenzi freddi che parlavano sempre e solo di tempo perso. Si era aperta, in quella prima metà degli anni ’90, una stagione tecnologica sulla quale occorreva ricucire un tessuto nuovo, per una generazione di manovratori computerizzati, tutto sommato, più aperta, più istruita e forse anche più democratica. Anche la parola barcacciante cadeva in disuso, perchè forse neppure gli stessi comandanti-Rr, un buon numero dei quali era uscita dal Nautico, ne conosceva l’etimologia storica.
Simi de Burgis, Pignatelli, Baffo jr. Ruggeri (prematuramente scomparso), Gatti jr, Calcagno, fanno parte della generazione di piloti genovesi del terzo millennio/New generation of pilots.
Qui ci fermiamo e lasciamo ad altri il compito di raccontare le gesta degli attori e testimoni oculari della storia del nostro porto nel nuovo millennio. Ecco! Avevamo parlato all’inizio dei rimpianti della Via Gluck oltre la cinta portuale. Per la verità, mentre scorrono le ultime immagini di questo film del nostro tempo, rivediamo tanti volti di piloti e barcaccianti e sentiamo, all’interno del confine ormai “abbattuto”, una grande nostalgia della loro umanità.
Com.te Carlo Gatti (2/2007)
Rapallo, 14 Marzo 2021