DUE STORIE DEL MARE DEL NORD: Ostenda - Dunkerque

- 1 -

OSTENDA (Fiandre-Belgio) LA PESCA DEI GAMBERI A CAVALLO DA OLTRE 700 ANNI

PATRIMONIO UNESCO DAL 2013

 - 2 -

A DUNKERQUE (Francia) - SI SCATENO’ L’INFERNO:

OPERAZIONE DYNAMO. 2° Guerra Mondiale

 

La zona del Belgio che oggi visiteremo è quella in verde sul Canale della Manica

 CARTINA DEL BELGIO

Le Fiandre nella parte “nera” della cartina

 

La costa fiamminga è un paradiso dalle mille facce. Ben 67 chilometri di spiaggia fine, mare e dune sabbiose, arte e cultura, cibo e bevande, storia e tradizione, shopping, surf e tanto altro ancora.

Faremo una cavalcata lungo la spiaggia del Mare del Nord che si estende dal confine con i Paesi Bassi a quello con la Francia. Vedi carta e freccia sotto.

 

Ostenda (Belgio) (in olandese Oostende; in francese Ostende) è una città portuale belga di 70.274 abitanti, situata nella provincia fiamminga delle Fiandre Occidentali e affacciata sul Mare del Nord. Il territorio comunale comprende la città vera e propria e tre città minori, annesse successivamente all'istituzione del comune: Mariakerke, Stene e Zandvoorde.

Ostenda è la città principale sulla costa belga. In tempi antichi non era altro che un piccolo villaggio di pescatori costruito sulla sponda orientale (in olandese: oost-einde) di un'isola (chiamata Testerep), posta fra il Mare del Nord e un lago costiero. Benché piccolo, il villaggio guadagnò lo status di 'città' intorno al 1265, quando agli abitanti fu permesso di tenere un regolare mercato. La principale fonte di introiti era naturalmente la pesca. La costa del mare del Nord è sempre stata abbastanza instabile e nel 1395 gli abitanti decisero di costruire una nuova Ostenda alle spalle di grandi dighe e lontana dalla minaccia del mare. La posizione strategica sul Mare del Nord ha dato un grande vantaggio a Ostenda, come porto, ma si è anche rivelata fonte di problemi. La città venne spesso presa, distrutta e saccheggiata dalle armate conquistatrici. Dopo quest'epoca Ostenda si tramutò in un porto di una certa importanza. Nel 1722 gli olandesi chiusero l'entrata del porto di Anversa, e di conseguenza Ostenda crebbe in importanza perché forniva un accesso alternativo al mare.

 

OOSTDUINKERKE: LA SPIAGGIA BELGA PATRIMONIO UNESCO

 

Monumento simbolo dei  Shrimpers (pescatori di gamberetti a cavallo)

Il nome Oostduinkerke si traduce come "Dunkerque orientale"

Ogni martedì mattina, da Maggio a Settembre, sul tratto di spiaggia belga di Oostduinkerke, quasi al confine con la Francia, c’è un appuntamento imperdibile e ancora non troppo famoso, quello con gli Shrimpers!

Oggi… come nel medioevo…

 Gli Shrimpers arrivano in spiaggia con i loro cavalli, sono seguiti da una folla numerosa di curiosi, appassionati e turisti da ogni dove…

Una decina di pescatori, quindici al massimo, indossano l’impermeabile giallo e con le galoche ai piedi, siedono sul carretto trasportato dal proprio cavallo e lungo il tragitto che porta al mare fanno salire “a bordo” i bambini che sono venuti a salutarli.

Arrivano fino al bagnasciuga e anche un po' più in là per preparare i cavalli …

 

IL MOMENTO IDEALE

 

La pesca a cavallo a Oostduinkerke sfrutta il ritiro della marea.  I pescatori entrano in acqua quando il livello del mare è basso, lasciando scoperta una porzione di fondale marino.  Quando la marea è alta, l'attività è impossibile.

 

Staccano il carretto lasciandolo a riva e dopo aver sistemato due grandi ceste in vimini sul proprio destriero, sono pronti a salire in sella e a partire.

I pescatori iniziano a posizionare la rete da pesca dietro al cavallo, che servirà a raccogliere i gamberetti, specialità tipica di queste parti. 

È in questo momento, durante la bassa marea, che trainano le reti attraverso le acque poco profonde, catturando i gamberetti. 

 

Le reti iniziano a strisciare sulla sabbia ed in men che non si dica sono sott’acqua a fare il loro lavoro sul fondale mentre lo Shrimper porta a passeggio il suo fedele compagno di avventura.

 

 

 

Si portano al largo…

 

 

Il mare è molto mosso, ma sembra non infastidire i cavalli, che si muovono tra le onde con estrema facilità ed eleganza.

Dopo circa 30/40 minuti eccoli tornare di nuovo verso la spiaggia.

 

Una volta tornati sul bagnasciuga, il pescatore ritira la rete da pesca e prende dal carretto i secchi ed il setaccio che gli serviranno per mostrare il pescato: un sacco di piccoli gamberetti, mischiati a qualche conchiglia ed altri pesciolini finiti per sfortuna nella rete.

 

Tutto il resto (piccoli pesci, granchi, meduse) viene restituito al mare. Questa operazione si ripete diverse volte durante la battuta di pesca.

Circa due ore più tardi, l’alta marea inizia a salire e costringe i pescatori a smettere di pescare. I cavalli non devono essere messi in condizione di pericolo. Le reti vengono ripiegate, caricate sul calesse e si rientra alla fattoria dove tutto è pronto per godersi il meritato pasto, Bruno svuota le ceste e prepara il fuoco per cuocere i gamberi.

L’emozione continua ad essere grande su quel tratto di costa belga ed è grazie soprattutto ai pescatori che sono felici di essere portatori e conservatori di una tradizione secolare che li fa sentire vicini a tante persone, grandi e piccini, e sono fieri di mostrarci e spiegarci il loro lavoro e lo fanno scherzando con noi e regalando ai bambini qualche pesce strano o conchiglia appena tirato fuori dal setaccio come fosse il cilindro di un mago.

E che dire di questi mansueti cavalli che si lasciano accarezzare e coccolare da chiunque! i suoi possenti cavalli brabantini (brabançonne), una razza da tiro originaria del Belgio, ideale per questo tipo di attività. Udo è un esemplare imponente: pesa oltre una tonnellata e può tirare fino a duemila chili di peso senza sforzo. Ma non basta la stazza per diventare un cavallo da pesca. L’addestramento, infatti, inizia già ad un anno di età e, una volta terminato, una commissione valuta se il cavallo può effettivamente entrare a far parte di questa antica tradizione.

Una volta ripulite le reti, i pescatori rimontano sul loro carretto e ritornano a casa con quel bottino di pesca veramente irrisorio ma con la consapevolezza di aver raccontato e tramandato la loro storia e di aver fatto emozionare tutti i presenti, nessuno escluso!

 

Dal mare al piatto:

gli straordinari gamberetti pescati a cavallo

 

La cottura avviene in un enorme calderone pieno d’acqua bollente salata; dopo pochi minuti sono già pronti. Il sapore di questi minuscoli gamberi è eccezionale, una combinazione di sapidità e dolcezza che non ha eguali. Non ci stupisce che siano così rinomati. Assaggiare tutti insieme quello che abbiamo pescato qualche ora prima, sorseggiando una Kriek, è la perfetta conclusione di una mattinata fuori dell’ordinario.

 

….. una tradizione tanto bella quanto dura, in cui gli elementi naturali regolano l’attività dell’uomo e ne decidono le sorti; un mestiere antico, fatto di persone caparbie che, con passione e fierezza, portano avanti un’attività che li tiene ancora saldamente ancorati alle proprie origini.

 

 

Conclusione:

 L'importanza culturale:

Questa antica tecnica di pesca non è solo un metodo di sostentamento, ma un vero e proprio patrimonio culturale.

Nel 2013, la pesca a cavallo di Oostduinkerke è stata riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, sottolineando il suo valore storico, sociale e culturale unico. 

Rappresenta una connessione ininterrotta tra uomo, animale e ambiente, testimonianza di un'arte tradizionale tramandata di generazione in generazione.

 

Come funziona:

 I cavalli, guidati da pescatori esperti, (Paardevissers) trainano una rete a strascico attraverso le acque poco profonde del mare. I cavalli, con le loro gambe affondate nella sabbia fredda e bagnata, si muovono con passo costante, trainando la rete mentre i pescatori li guidano e controllano la cattura.  La forza e la resistenza dei cavalli sono fondamentali per affrontare le acque agitate e la pesantezza della rete piena di gamberetti.  Il lavoro è duro e faticoso, sia per i cavalli che per i pescatori.

 

Il futuro della pesca a cavallo:

Nonostante il suo riconoscimento e la sua importanza, la pesca a cavallo di Oostduinkerke sta affrontando molte sfide: la competizione con i metodi di pesca moderni, i cambiamenti climatici e le normative ambientali pongono dei limiti alla sua praticabilità. Tuttavia, grazie al suo status di patrimonio UNESCO e all'impegno dei pescatori e delle autorità locali, si stanno attuando iniziative per preservare questa tradizione per le generazioni future.

 

DURANTE LA 2a GUERRA MONDIALE SU QUELLE SPIAGGE SI SVOLSE

L’OPERAZIONE DYNAMO….

 

 

I movimenti durante l'accerchiamento di Dunkerque

 

L'evacuazione di Dunkerque è un evento chiave della Seconda Guerra Mondiale e un'impresa militare memorabile, nonostante le parole di Churchill… 

L'operazione, nota come "Operazione Dynamo", si svolse tra il 26 maggio e il 4 giugno 1940 e vide l'evacuazione di circa 338.000 soldati alleati, prevalentemente britannici, ma anche francesi, belgi e altri, dalle spiagge di Dunkerque. 

L'esercito britannico era stato accerchiato dall'avanzata delle forze tedesche, che avevano quasi completato la conquista della Francia.  La situazione era disperata; i soldati erano intrappolati e sotto costante attacco.

 

Un cannone navale inglese a copertura delle operazioni di evacuazione

 

Un ponte di scialuppe consente ai soldati inglesi di essere tratti in salvo

 

Il cacciatorpediniere francese Bourrasque affonda carico di truppe dopo essere stato colpito il 30 maggio 1940.

 

Le convulse fasi delle operazioni di evacuazione

 

L'evacuazione fu un miracolo logistico.  Oltre alle navi militari, una flotta improvvisata di imbarcazioni civili – pescherecci, yacht, barche da diporto, persino chiatte e zattere – parteciparono all'impresa, rischiando la propria vita per salvare i soldati. La "Little Ships" (piccole navi) rappresentano un simbolo incredibile di coraggio e spirito civico.

I tedeschi, sorprendentemente, ritardarono l'attacco decisivo alle spiagge, dando tempo per evacuare un numero di soldati superiore alle aspettative.

Nonostante il successo nell'evacuare un numero così elevato di soldati, preservandoli per future battaglie, Churchill aveva ragione a sottolineare che: “con le evacuazioni non si vincono le guerre”

Dunkerque fu una sconfitta strategica per gli alleati:  un'enorme quantità di equipaggiamento militare fu persa e la Francia era sul punto della capitolazione.  L'evacuazione, però, evitò un disastro ancora più grande: la completa distruzione del Corpo di Spedizione Britannico e una potenziale invasione della Gran Bretagna.  L'impresa salvò la spina dorsale dell'esercito britannico, che poté poi essere riarmato e contribuire a cambiare le sorti del conflitto.  Dunkerque, dunque, assunse un valore simbolico significativo, diventando un esempio di resilienza e determinazione di fronte all'avversità, un momento di speranza in un periodo buio.

 

 

CARLO GATTI

Rapallo, Giovedì 13  Febbraio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


ATLANTIS - LA NAVE CORSARA PIU' CELEBRE DELLA STORIA

ATLANTIS

L’INCREDIBILE MISSIONE DI UNA NAVE CORSARA TEDESCA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 Navigò sotto dieci Bandiere…

AFFONDO’ O CATTURO’ 22 NAVI

 

Atlantis con il secondo fumaiolo aggiunto

 

Il distintivo degli equipaggi delle navi corsare

 

LA SUA CARRIERA DI KILLER DEI MARI DURO’

 VENTI MESI, ALLA FINE INCAPPO’ NEL

SUO GIUSTIZIERE

Il 22 novembre 1941

L'incrociatore britannico HMS Devonshire mise fine alla sua fama leggendaria.

 

Perché era identificata come NAVE CORSARA?

Il suo obiettivo principale era di avvicinarsi, “sotto mentite spoglie”, il più possibile ad una nave mercantile nemica, esponeva improvvisamente la bandiera da guerra, scopriva le armi mimetizzate per coglierlo di sorpresa e lo costringeva alla resa.

- Durante la Seconda guerra mondiale, la celebre nave corsara tedesca ATLANTIS venne impiegata nella guerra di corsa.

- Nella lunga crociera in cui fu impegnata: circa 100. 000 miglia, affondò o catturò:

22 navi per 144. 384 t.

- L'Atlantis, dopo l’incredibile BOTTINO DI GUERRA, venne affondata il 22 novembre 1941 dall'incrociatore britannico HMS Devonshire.

ATLANTIS, conosciuta anche come HSK (Hilfskreuzer) 2, o Schiff 16, era in origine la nave da carico Gedenfels, della Hansa Line.

Tra il 1939 e il 1940 fu convertita in nave corsara, nei cantieri navali di Kiel e di Brema. Ecco le sue caratteristiche nautiche:

Stazza L. - 7.900 tonnellate,

Lunghezza - 155 metri

Larghezza - 18 metri

Pescaggio - 8,7 metri.

Velocità - 16 nodi

Autonomia - 60.000 miglia nautiche

Equipaggio-era 366 uomini, 19 ufficiali e 347 marinai.

 

Durante i lavori di conversione fu aggiunto il carico bellico, in particolare:

  • 6 cannoni da 150 mm;

  • 1 cannone da 75 mm a prua;

  • 2 cannoncini antiaerei binati da 37 mm;

  • 2 cannoncini antiaerei binati da 20 mm;

  • 4 tubi lanciasiluri da 533 mm sotto la linea di galleggiamento;

  • 92 mine navali in un apposito compartimento.

I due cannoni poppieri da 150 mm erano nascosti da una gru e da un finto cassero, dietro finte murate mobili e potevano essere rapidamente approntati per “sorprendere” il mercantile nemico.

Aveva in dotazione due idrovolanti Heinkel He-114C alloggiati in una stiva, dei quali uno era sempre pronto al decollo.

La nave corsara portava anche materiale adatto per la mimetizzazione per assumere 26 shapes diversi  di navi battenti bandiera di paesi neutrali, in particolare:

  • un finto fumaiolo;

  • alberatura e picchi di carico ad altezza variabile;

  • teloni e vernice;

  • bandiere di nazioni non belligeranti;

  • costumi per l'equipaggio.

 

Il suo comandante, cap. di fregata Bernhard Rogge, era uomo esperto e deciso, che si fece presto la fama di agire nella sua guerra di corsa con spiccata umanità, date le circostanze.

 

LA SUA INCREDIBILE CROCIERA 

DURO’ 20 MESI

 

 

Il testo che segue (Wikipedia) è stato revisionato e riscritto dall’autore di questo articolo.

 

Era il dicembre del 1939, a causa del ghiaccio, il comandante Rogge non poté lasciare il porto di Brema.

Quell’inverno fu molto freddo e lungo! Soltanto il:

 31 marzo 1940 iniziò la sua “diabolica” crociera

Solo grazie all’intervento della corazzata tedesca HESSEN, utilizzata come rompighiaccio, l’ATLANTIS poté affrontare il mare aperto, superare i campi minati tra Norvegia e Gran Bretagna, attraversare il Circolo Polare Artico ed entrare nell’Oceano Atlantico attraversando il Canale di Danimarca.

Mimetizzata per somigliare alla nave sovietica Krim sventolava la bandiera dell’Unione Sovietica (al tempo neutrale) mostrando la falce e martello.

Il 25 aprile passò l’Equatore e assunse un’altra mimetica: quella del cargo giapponese Kasii Maru: una K venne dipinta sul fumaiolo rosso come una nave della Kokusai Line.

 

In Atlantico

 Il 2 maggio Kapitan Rogge incrociò una nave passeggeri UK la SS City of Exeter, ma temendo una strage di passeggeri civili, decise di non affondarla. Tuttavia, subito dopo, il marconista di Rogge intercettò una comunicazione alla Royal Navy: “attività sospetta di un mercantile giapponese”.

 

PRIMA VITTIMA

Si chiamava Scientist e trasportava minerali di ferro e iuta.   Era il 13 maggioLa nave corsara tedesca issò la bandiera della Kriegsmarine e intimò di fermare le macchine e di non usare la radio. Sparò anche un colpo di avvertimento.

Il comandante inglese, non ubbidì ed iniziò ad inviare segnali di soccorso, Rogge reagì con una cannonata che colpì il locale caldaie, solo così la nave si arrese. Vi fu soltanto una vittima tra i 78 membri dell'equipaggio, gli altri 77 vennero recuperati, imprigionati e la nave fu affondata dopo il trasbordo.

 

 

Capo Agulhas

 il 10 maggio - l’Atlantis doppiò il Capo di Buona Speranza e raggiunse il Capo Agulhas con la missione di minare tutta la zona fino ad esaurire il quantitativo di ordigni imbarcato. Il risultato non fu dei migliori a causa della propaganda nazista che, vantandosi di alcuni successi di quel campo minato, ne favorì la scoperta… Successivamente fu intercettato un messaggio di allerta proveniente da Ceylon, in cui si segnalava la presenza di un corsaro tedesco camuffato da nave giapponese.

L'Atlantis si trasformò subito nella nave mercantile olandese MV Abbekerk e fece rotta per l’Oceano Indiano.

 

Oceano Indiano

 SECONDA VITTIMA

 Il 10 giugno 1940 l'Atlantis intercettò e catturò la motonave norvegese Tirranna dopo un assalto a cannonate durato 3 ore. La “preda” era carica di rifornimenti per le truppe australiane che combattevano nel Medio Oriente e venne quindi inviata in Francia come preda di guerra.

 

TERZA VITTIMA

L'11 luglio abbordò la nave di linea City of Baghdad, a bordo della quale i marinai tedeschi trovarono documenti contenenti codici importanti ad uso delle navi mercantili alleate, oltre ad una descrizione dettagliata della nave corsara tedesca. Il comandante Rogge rimodellò subito il profilo della nave installando due nuovi picchi di carico.

 

QUARTA VITTIMA

Il 13 luglio l'Atlantis incrociò la nave passeggeri Kemmendine, diretta a Burma, il cui equipaggio aprì il fuoco con un cannone da 75 mm, ma fu rapidamente sopraffatta dalla corsara tedesca. Tutti i passeggeri e l'equipaggio furono presi prigionieri e la nave venne affondata.

 

QUINTA E SESTA VITTIMA

In agosto l'Atlantis affondò la Talleyrand, una gemella dellTirranna. Qualche giorno dopo la sesta vittima fu la carboniera King City.  La nave venne duramente colpita da tre cannonate che causarono cinque morti.

 

SETTIMA- OTTAVA-NONA VITTIMA

Durante il mese di settembre la corsara tedesca catturò le navi Athelking, Benarty e Commissaire Ramel, che vennero affondate dopo il trasferimento di prigionieri, rifornimenti e documenti.

 

DECIMA VITTIMA

In ottobre venne catturata la nave iugoslava Durmitor, che trasportava un carico di sale. La Jugoslavia era neutrale al tempo, ma il comandante Rogge doveva liberarsi di molti prigionieri di guerra, ne trasbordò 260 prigionieri con un equipaggio tedesco di 14 uomini, venne inviata verso la Somalia, controllata dagli italiani. La nave giunse a destino in ben 5 settimane di viaggio dense di molti problemi, tra cui la mancanza di combustibile.

 

UNDICESIMA E DODICESIMA VITTIMA

Nella prima metà di novembre l'Atlantis, presentandosi come HMS Anthenor, catturò due petroliere norvegesi, la Teddy e la Ole Jacob.

 

TREDICESIMA VITTIMA - (La più importante)

La cattura della Automedon ed il suo carico segreto

 

L'11 novembre il corsaro tedesco intercettò il cargo Automedon a 250 miglia a nordovest di Sumatra. Sparò un colpo di avvertimento. Il marconista inglese trasmise immediatamente l’emergenza: siamo sotto l’attacco di una nave corsara! La quale non ebbe scelta ed iniziò un pesante cannoneggiamento che colpì il ponte di comando, le scialuppe di salvataggio dell'Automedon, causando sei morti e dodici feriti.

I tedeschi abbordarono la nave ferita e fecero un interessante bottino: quindici sacchi di posta per il British Far East Command, Top Secret: tabelle di decodificazione, report dell'intelligence della marina, ordini di flotta ed istruzioni di artiglieria e una piccola borsa segnata come “Altamente confidenziale” contenente un report per il Comandante in Capo dell'Estremo Oriente, Robert Brooke Popham.

La borsa doveva essere gettata fuori bordo se la nave fosse stata a rischio di cattura, ma i responsabili erano feriti o deceduti e non erano riusciti ad adempiere il loro dovere.

“Il report conteneva una valutazione della potenza militare dell'impero giapponese nell'estremo oriente, dettagli relativi agli squadroni della RAF, valutazioni di potenza navale e note sulle difese di Singapore. Il report dipingeva un quadro a tinte fosche sulle capacità militari marine e terrestri inglesi nell'estremo oriente e dichiarava che l'Inghilterra era troppo debole per rischiare la guerra con il Giappone”.

L’Automedon fu affondata ed il comandante, vista l’importanza dei documenti, li trasferì sulla petroliera Ole Jacob  precedentemente catturata e diede il comando al tenente Paul Kamenz con la direttiva di fare rotta per Kobe, dove arrivarono il 4 dicembre 1940 senza ulteriori problemi.

La documentazione fu spedita dall’Ambasciata di Tokyo dall'attaché navale Paul Wenneker, il quale ne spedì un sunto a Berlino via telegrafo, mentre l'originale venne portato a mano dallo stesso Kamenz attraverso la Ferrovia Transiberiana. Una copia venne data ai giapponesi, che ne trassero un grande profitto nella pianificazione delle ostilità contro le potenze occidentali. Per questa motivazione Rogge venne ricompensato con una spada Samurai finemente decorata, un dono di grande prestigio che venne elargito solamente a Hermann Göring ed al feldmaresciallo Erwin Rommel.

 

L’IMPORTANZA DI QUELLA CATTURA

Successivamente alla lettura del rapporto catturato, il 7 dicembre 1941 l'ammiraglio giapponese Yamamoto scrisse al ministro della marina affermando che, se il Giappone avesse ridotto all'impotenza gli Stati Uniti d'America, le altre forze Alleate nel teatro del Pacifico sarebbero state troppo deboli per resistere. Si crede che tra le conseguenze della cattura dei report sull'Automedon vi siano l'attacco a sorpresa di Pearl Harbor e la battaglia che portò alla caduta di Singapore.

 

 Isole Kerguelen ed Africa

Nel periodo di Natale del 1940 l'Atlantis trovò rifugio e un po’ di riposo nell'arcipelago delle Isole Kerguelen, al tempo disabitate. L’occasione fu propizia per effettuare lavori di manutenzione ed approvvigionarsi di acqua.

 

 

QUATTORDICESIMA-QUINDICESIMA-SEDICESIMA VITTIMA

Verso la fine di gennaio del 1941, l'Atlantis riprese la guerra di corsa ed affondò la nave inglese Mandasor e catturò la Speybank al largo delle coste orientali dell'Africa. Successivamente, il 2 febbraio, venne catturata la petroliera norvegese Ketty Brøvig, il cui carico venne utilizzato per rifornire la stessa Atlantis.

In seguito avvennero due incontri in alto mare con L’incrociatore tedesco Admiral Scheer ed il sommergibile italiano Perla

Il Perla era partito dal porto di Massaua  al comando del tenente di vascello Bruno Napp e stava cercando di raggiungere la base Betasom  nei pressi di Bordeaux  doppiando il Capo di Buona Speranza.

Il comandante Rogge annotò nelle sue memorie che, vedendo il piccolo sommergibile costiero ed il suo equipaggio emaciato, espresse le sue perplessità sulla missione, suggerendo di raggiungere il Brasile o l'Argentina ed arrendersi. Nel racconto del comandante tedesco, Napp declinò con gentilezza il suggerimento, affermando che avrebbe fatto tutto il possibile per obbedire agli ordini, ottenendone grande ammirazione.

 

Ritorno in Atlantico

 DICIASSETTESIMA VITTIMA

 In aprile la corsara tedesca ritornò nell'Oceano Atlantico, dove catturò, il giorno 17, la nave egiziana Zamzam, che però fu erroneamente scambiata per una Q-ship e cannoneggiata da grande distanza. Furono presi oltre 200 prigionieri di guerra, tra cui missionari ed autisti di ambulanza. Tra i prigionieri vi erano anche Charles J.V. Murphy, editore del giornale Fortune, e David E. Scherman, un fotografo della rivista Life. I tedeschi permisero a Scherman di fare fotografie e, nonostante fosse stato perquisito allo sbarco, riuscì fortunosamente a rientrare a New York  portando con sé quattro rullini. Le fotografie aiutarono in seguito l'ammiragliato inglese ad identificare ed affondare l'Atlantis.

 

Oceano Pacifico

ALTRE CINQUE VITTIME

Come conseguenza della caccia alla corazzata tedesca Bismarck da parte degli Alleati, il Nord Atlantico era affollato di navi da guerra, per cui il comandante tedesco abbandonò il piano originale di ritornare in Germania e si diresse nell'Oceano Pacifico. In questo periodo affondò le navi inglesi Rabaul, Trafalgar, Tottenham e Balzac.

 Il 10 settembre, ad est della Nuova Zelanda venne catturata la motonave norvegese Silvaplana.

 Successivamente incrociò nella Polinesia Francese tra le isole Tubuai e l'arcipelago Tuamotu. All'insaputa delle autorità francesi, marinai tedeschi sbarcarono sull'isola di Vanavana e scambiarono beni con i suoi abitanti. La zona di caccia venne quindi spostata nell'area tra le isole Pitcairn e Henderson, dove l'idrovolante della nave effettuò numerosi voli di ricognizione senza avvistare alcuna nave. Il 19 ottobre l'Atlantis fece rotta verso l'Oceano Atlantico, doppiando Capo Horn dieci giorni dopo.

 

 Ultime azioni

 A metà ottobre venne ordinato all'Atlantis di incontrarsi con il sommergibile U-68 500 miglia a sud di Sant’Elena per rifornirlo e successivamente di procedere all'incontro con il sommergibile U-126 a nord dell’Isola di Ascensione.

L'incontro con il primo sommergibile avvenne il 13 novembre e con il secondo tra il 21 ed il 22 novembre. Le istruzioni inviate all'U-126 tuttavia furono intercettate e decifrate dal servizio di decrittazione alleato operante a Blethchley che ne informò l'ammiragliato inglese, il quale a sua volta ordinò all'incrociatore pesante HMS Devonshire di intercettare il corsaro tedesco.

 

 

Affondamento DELLA NAVE CORSARA TEDESCA ATLANTIS

 

All'alba del 22 novembre 1941 l'Atlantis, mentre era impegnata nelle operazioni di rifornimento del sommergibile, avvistò la nave da guerra inglese. L'U-126 si immerse, lasciando il proprio comandante a bordo della nave corsara, la quale si identificò come la nave olandese Polyphemus. Tuttavia, dopo meno di un'ora, l'incrociatore britannico ricevette la conferma della falsa identità fornita dalla nave ed attaccò con i suoi cannoni da 200 mm da una distanza di circa 9 miglia, al di fuori della portata dei cannoni dell'Atlantis. La seconda e la terza bordata colpirono la nave tedesca, causando la morte di sette marinai. Il comandante Rogge diede ordine di abbandonare la nave che egli stesso lasciò per ultimo. Successivamente le munizioni esplosero e la nave affondò di prua.

 

L'incrociatore inglese lasciò l'area per timore di essere a sua volta attaccato dal sommergibile presente in zona, che effettivamente riemerse e prese a bordo tutti gli uomini possibili, mentre gli altri furono costretti sulle scialuppe che vennero prese a rimorchio.

Il convoglio fece rotta per il Brasile, che era neutrale, e due giorni dopo si incontrò con la nave rifornimento tedesca Python. Il 1º dicembre, mentre la Python stava rifornendo due sommergibili, l'U-126 e l'U-A, avvistò la HMS Dorsetshire, un altro incrociatore pesante inviato alla ricerca delle navi corsare tedesche. I sommergibili si immersero prontamente mentre l'equipaggio della Python autoaffondava la nave.

 La Dorsetshire lasciò la zona e l'equipaggio fu recuperato al largo delle isole di Capo Verde dall'azione congiunta del sommergibile italiano Enrico Tazzoli, comandato da Carlo Fecia di Cossato, e di altri tre sommergibili italiani: il Luigi Torelli, al comando di De Giacomo, il Pietro Calvi del comandante Olivieri, ed il Giuseppe Finzi, del comandante Giudice, oltre ai sommergibili tedeschi  U-Boot 126, U-Boot 124 e U-Boot 129.

 

Per gentile concessione di BETASOM

Smg. TAZZOLI in rientro a Bordeaux con i naufraghi del ATLANTIS

 

MARINA MILITARE

Una storia di Natale - Il salvataggio dei superstiti dell’Atlantis e del Python

 

https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/notizie/Pagine/20141219_atlantis.aspx

https://www.lericiin.it/la-nave-corsara-atlantis-e-i-sommergibili-oceanici-italiani/

 

Racconto di Flavio Testi

 

 

 

La crociera dell’Atlantis non fu esente dal provocare vittime innocenti. Particolarmente penosa fu la vicenda del piroscafo Zamzam, creduto inglese e, invece, appartenente al governo egiziano, che l’aveva adibito al trasporto di civili, il quale venne duramente cannoneggiato dalla nave corsara. La Somalia fu teatro di guerra a terra come in mare e il popolo somalo fu coinvolto in guerra non sua.

 

Ne segue la mia libera traduzione, dall’inglese in italiano, di una breve parte dell’interessante racconto:

 

THE ATLANTIS GERMAN CORSAIR SHIP IN SOMALIA DURING THE SECOND WORLD WAR – THE DEATH ROUTE AND THE SKELETONS LANDFALL IN MOGADISHU.

LA PRESENZA DELLA NAVE CORSARA TEDESCA ATLANTIS IN SOMALIA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE- LA ROTTA DELLA MORTE E LO SBARCO DEGLI SCHELETRI A MOGADISCIO.

 

© Abdullahi Elmi Shurie  

 

LA PRESENZA DELLA NAVE CORSARA TEDESCA ATLANTIS IN SOMALIA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE - LA ROTTA DELLA MORTE E LO SBARCO DEGLI SCHELETRI A MOGADISCIO.

 

La nave corsara tedesca Atlantis operava nel Mar Rosso durante la seconda guerra mondiale, principalmente nelle acque della Somalia. Nascosta nelle isole Bagiuni, effettuava rifornimenti e riparazioni, da lì poi partiva per le sue scorrerie. La maggior parte delle sue catture avvenivano lungo le coste somale. Nel 1940, la nave Atlantis catturò il piroscafo Durmitor e lo convogliò verso la Somalia italiana per poterlo depredare e poi scaricarvi i prigionieri.  Il Durmitor, carico di oltre 300 prigionieri, fu spinto verso la costa della Somalia, raggiungendo un luogo vicino a Mogadiscio. 

Il viaggio, descritto da un testimone oculare, Libero Accini, nell'opera "The Death Route," fu una vera e propria tragedia, con una scena di disperazione e sofferenza a bordo del Durmitor, soprannominato la "Nave del Diavolo", a causa delle condizioni disumane in cui venivano tenute le sue cariche. 

Molti morirono durante il trasferimento…..

 

…. Un'ultima nota: anche se la Somalia era coinvolta nella seconda guerra mondiale, la guerra aveva un impatto devastante anche sulla popolazione civile che era trascinata dentro gli eventi senza essere parte attiva dei conflitti.

 

Captain Rogge

 

Frank-Rogge, W.-B.

HK 16 Atlantis. Le gesta della celebre nave corsara narrate dal suo comandante Libro+CD

Lingua ITA (Italiano) -

Prezzo: 35.00 €

 

Bibliografia

- Wikipedia – Atlantis (HSK 2) - Navi corsare tedesche della seconda guerra mondiale

- Ammiraglio Andrea Mucedola: La storia della Atlantis: incrociatori corsari tedeschi nella seconda guerra mondiale

- Centro Studi LA RUNA: La crociera della nave corsara Atlantis.

-  il GIORNALE -Atlantis, la nave corsara nazista che dettò la caduta di Singapore. L'ultima nave corsare tedesca entrò in possesso di documenti classificati di altissimo livello, così Singapore cadde in mano ai giapponesi, alleati di Hitler e Mussolini nelle fila dell'Asse.

- BETASOM

 

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, Venerdì 7 Febbraio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 


GENOVA SVELA UNA ANTICA ARENA

GENOVA SVELA UNA ANTICA ARENA

 

Gli scavi, iniziati nel 1992 e proseguiti fino al 1996, hanno portato alla luce, oltre a numerose strutture medievali, anche una serie di muri e fondamenta più antiche che suggeriscono la presenza di un anfiteatro di epoca romana.

 

La freccia nella mappa di Genova, indica la zona dei Giardini Luzzati

 

Genova, sempre attenta al proprio patrimonio storico, ha una nuova perla archeologica da mostrare ai suoi visitatori dei Giardini Luzzati, proiettati nel cuore del centro storico.

Su questa zona, ormai da molti anni, sono puntati i riflettori di molti studiosi attirati da crescenti scoperte, evidenze, reperti e rinvenimenti archeologici che destano sorpresa, curiosità e desiderio di approfondire sempre di più la storia di Genova “romana”!

Vista d'insieme dei Giardini Luzzati  Genova

Immagini della zona oggi

Oggi, l'area è accessibile in parte al pubblico, offerto per alcuni giorni con visite guidate. L’apertura vuole anche promuovere attività culturali in questa zona e favorire la conoscenza del patrimonio nascosto sotto i nostri piedi.

 

UNA PASSEGGIATA TRA I REPERTI ARCHEOLOGICI

 

La ricostruzione digitale del reperto archeologico mostra approssimativamente l'estensione dell'anfiteatro.

 

La disposizione del sito

Muri, fondamenta e, particolarmente, una cinta muraria ellittica che presenta queste misure:

Lunghezza: circa 70 mt.

Larghezza: 40 mt.

Tale scenario architettonico, insieme ad altri interessanti ritrovamenti di resti edilizi limitrofi, sarebbe indicativo di un'area destinata a funzioni pubbliche. Gli archeologi ipotizzano la presenza di un anfiteatro.

L'ampiezza dell'area interessata, circa 5.200 metri quadrati, evidenzia l'importanza e l'estensione del sito romano in questa zona. Ancora oggi, sotto attenta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia della Liguria, l'area è oggetto di continuità di scavi e studi che potrebbero portare a nuove scoperte e a una migliore comprensione di questo sito.

 

Alla base del muro una serie di buche per pali poste ad intervalli regolari databile al I secolo d.C.

Sono anche emerse tracce di strutture di periodi successivi, come se si fosse realizzata, nel corso dei secoli, una trasformazione da spazio pubblico Romano ad un altro con nuove funzioni nel Medioevo e oltre.

 

Muro rettilineo (30 metri); l’intonaco sul lato esterno rivela un tipo di rivestimento per cisterne e vasche, e su un lato mostra le tracce di un fossato. I materiali lo datano tra: I.aC - I.dC.

 

Ci sono poi le 13 cisterne e cantine, con le pareti intonacate e altre strutture medievali. Si arriva quindi   alla prima distruzione della zona causata dai bombardamenti del Re Sole nel 1684, per finire con quelli della Seconda guerra mondiale.

 

Alla canalizzazione delle acque di epoca romana, sarebbe seguita (nel I secolo) la costruzione dell’anfiteatro. L’edificio sarebbe stato utilizzato per un paio di secoli, fino a quando l’area fu soggetta a impaludamento.

Questa scoperta aggiunge un altro tassello al mosaico del passato di Genova, invitando alla riflessione sull'importanza di preservare il nostro patrimonio archeologico e di approfondire le nostre conoscenze storiche.

 

 

L'ANFITEATRO E IL PORTO

 

La vita quotidiana, con i suoi aspetti sia laboriosi che di divertimento era strettamente legata alla portualità del porto di Genova.

Questo intenso traffico marittimo rendeva il porto di Genova un punto di incontro per i marinai di diverse provenienze e culture, un vero "crogiuolo" di persone e di idee, dove le diverse tradizioni si mescolavano e si scambiavano.

Oggi, possiamo soltanto immaginare l’emozione e la meraviglia di quei marinai stranieri che, approdando a Genova per la prima volta, vedevano stagliarsi verso il cielo un anfiteatro panoramico sulla collinetta di Sarzano che era pronto ad accoglierli simulando un fraterno abbraccio con la sua forma ellittica, per offrire loro una pausa di pace e divertimento dopo tanti affanni patiti nelle burrasche di mare.

Questa connessione tra l'anfiteatro, il porto e la vita di Genova nel periodo romano offre uno spaccato più completo e dinamico di questa parte di storia della città. La scoperta archeologica ci porta ad immaginare la vita sociale e culturale di Genova nell'antichità, andando oltre le semplici tracce materiali.

 

LA PORTUALITA’ DI GENOVA IN EPOCA ROMANA FU UN POLO ATTRATTIVO DI PRIMARIA GRANDEZZZA COMMERCIALE

 

Immagine tratta da “GENOVA ROMANA”

di Marco Milanese

Genova, oltre ad essere un fiorente centro urbano dell'epoca, era anche un vivace porto di primaria importanza.

 

Il Porto di Genova, come fulcro dell’economia romana all’epoca di Vipsiano Agrippa, (il più grande Ammiraglio della storia di Roma (63 a.C. – 12 a.C.), del quale è accertata la sua presenza a Genova, aveva un’enorme importanza strategica, non solo per il controllo militare del Nord Tirreno, ma anche come scalo d’imbarco e sbarco di prodotti commerciali.

 

Nave oneraria romana-Museo di Albenga

L'intensa attività portuale, fondamentale per la sopravvivenza e la prosperità della città, era strettamente legata alla navigazione delle navi onerarie che viaggiavano lungo tutto il Mar Tirreno cariche di merci come vino, olio, il famoso garum, e molte altre derrate alimentari. 

 

Poggi G. ci spiega:

Quanto alla qualità del vino, Marziale (III. 82) dice che i Liguri bevevano vino buono, e davano ai convitati il vino ligustico, che era sgradevole perchè sapeva di pece. Forse lo dettero a lui in ricambio della sua maldicenza, ma Plinio certifica che Genova teneva la palma del buon vino in Liguria (IV 8 7), e basta ricordare i vini squisiti di Coronata e di Quarto per convincersene. Un altro articolo di esportazione era l’uva secca che, secondo Plinio, veniva fasciata in giunchi e riposta in botti sigillate con gesso (XV 18 4).

 

 

MUSEO DELLA NAVE ROMANA DI ALBENGA

 

Diversamente dagli alimenti solidi, come il grano, il trasporto delle derrate liquide o semiliquide come il vino, l’olio e le salse di pesce (garum), era affidato a contenitori in terracotta, in particolare alle anfore (dal termine greco amphìphèro, porto da entrambe le parti, riferito alle due anse dei contenitori). Questo genere di recipienti rappresentava il mezzo più efficace per garantire la conservazione e la spedizione di grandi quantitativi di merci per via marittima o fluviale.

I numerosi relitti di navi onerarie ritrovati ancora colme di anfore nel Mar Ligure testimoniano la presenza di un intenso traffico navale, se si pensa che soltanto il Porto artificiale (ad esagono) di TRAIANO a Roma, con i suoi immensi magazzini ancora visibili, poteva ospitare oltre 500 “carrette dei mari ante litteram…”

Sulle rotte trafficate del Mar Tirreno, queste imbarcazioni trovavano pochi ridossi dove “nascondersi” dalle burrasche. Navigavano solo nei mesi ritenuti meno pericolosi, ma come sanno i marinai di ogni epoca: Il mare è amico solo di chi lo rispetta e lo teme… anche nei periodi di tempo buono assicurato.

 

Ma ora ritorniamo al tema principale di questo viaggio nella romanità

 

COS’ERA E COSA RAPPRESENTAVA UN ANFITEATRO ROMANO?

 

Un anfiteatro romano, in poche parole, era un'arena ellittica progettata per ospitare grandi eventi pubblici. 

Differente dal teatro, che aveva una forma semicircolare, l'anfiteatro si sviluppa su una struttura ellittica concepita per permettere a un gran numero di spettatori di assistere a spettacoli di ogni genere. 

Gli anfiteatri erano luoghi di intrattenimento e spesso servivano per giochi di gladiatori, lotte tra animali selvatici (venationes), esecuzioni pubbliche e altre forme di spettacolo, che erano molto popolari nel mondo romano.

L'organizzazione di questi eventi portava un notevole flusso economico. La grande partecipazione di pubblico ne testimoniava l'importanza nel tessuto sociale dell'epoca.

La capacità di un anfiteatro romano variava a seconda delle dimensioni della città.  Questi luoghi erano spesso in un'area centrale, dove la comunità si riuniva regolarmente per condividere uno spettacolo e momenti di intrattenimento in un'unica esperienza in una grande aggregazione sociale.

Secondo Plinio il Vecchio l’anfiteatro sarebbe nato nel 53 o nel 52 a.C. a Roma: per onorare la memoria del padre defunto, Scribonio Curione, fa costruire due teatri in legno orientati in direzioni opposte e tangenti tra loro, montati su perni ruotanti; per tutta la mattinata essi rimasero separati e ospitarono rappresentazioni teatrali che non si disturbarono a vicenda. Il pomeriggio, per i combattimenti gladiatori, i due teatri girarono su se stessi fino ad allineare le loro fronti, in modo che i due emicicli formarono un anfiteatro (Naturalis Historia, 36.116-120).

In realtà, precedentemente a questo periodo, era già stato realizzato uno tra i più antichi edifici stabili per spettacoli gladiatori: l’anfiteatro di Pompei. Esso venne offerto alla città dai duoviri quinquennales C. Quinctius Valgus e M. Porcius nel 70 o nel 65 a.C., ricordati dalle iscrizioni rinvenute in prossimità degli ingressi, in una zona a sud-est della città a ridosso delle mura urbane.

 

L’ANFITEATRO DI LUNI E QUELLO “IPOTETICO” DI GENOVA SAREBBERO COEVI: II Secolo a.C.

 

 

ANFITEATRO di LUNI (nelle due immagini sopra)

Asse Maggiore=88,5 mt.

Asse minore=70,2 mt.

Numero di spettatori=7.000 spettatori

L’ANFITEATRO (ipotetico) di GENIOVA avrebbe avuto dimensioni leggermente inferiori, come abbiamo già visto.

Da incompetente, non so dire se il confronto tra i due manufatti sia pertinente, tuttavia credo che nell’attesa di futuri riscontri certi, esso possa “regalare” ai lettori un’idea più “ravvicinata” della scoperta. Perdonatemi l’azzardo!

 

Proponiamo al lettore alcuni approfondimenti sull’argomento che riteniamo interessanti.

 

LISTA DI ANFITEATRI ROMANI

IN ITALIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_anfiteatri_romani

 

GENOVA QUOTIDIANA

Ferdinando Bonora

https://genovaquotidiana.com/2016/09/24/genova-romana-visite-guidate-dellanfiteatro-oggi-fino-alle-24-e-domani-ai-giardini-luzzati/

 

YOUTUBE

L’ANFITEATRO ROMANO AI GIARDINI LUZZATI

https://www.youtube.com/watch?v=a6t8vfVLinE

 

 

GENOVA ROMANA IMPERIALE

Filippo Giunta

http://www.giuntafilippo.it/genova-2/03-genova-romana-indice/03-genova-romana/

 

 

GENOVA - LA CASA DEL BOIA

CARLO GATTI

 Conosciuta anche come la

CASA DI VIPSIANO AGRIPPA

https://www.marenostrumrapallo.it/boia/

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 13 gennaio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE TORRI DEI PILOTI DEL PORTO DI GENOVA Passato e Presente

LE TORRI DI CONTROLLO DEI PILOTI DEL PORTO DI GENOVA

Passato e Presente ...

 

Il porto è essenzialmente un grande supermercato, ossia il centro di smistamento delle ricchezze prodotte dalle nazioni. Nel suo ambito, i prodotti commerciati cambiano il loro mezzo di trasporto e prendono le più svariate direzioni geografiche. Intorno alla “velocità di circolazione” di questi beni - vero e proprio valore aggiunto - nasce, infatti, la competizione tra i grandi sistemi portuali. 

Il Tempo è denaro 

Questo ormai logoro motto sintetizza, ora più che mai, la “ formula economica ” che caratterizza il ritmo vertiginoso della produzione industriale ed il suo relativo commercio internazionale. Da questa prospettiva, il fattore tempo rappresenta il parametro più indicativo, ed è facile immaginare il deprezzamento che può subire qualsiasi tipo di merce che rimanga stivata a bordo di una nave, o che ristagni improduttiva in rada, in banchina, o all'interno degli appositi magazzini. L' effetto più immediato è la perdita di competitività sul mercato, e quindi di valore. 

La presenza effettiva di moderne strutture, infrastrutture e sovrastrutture all'interno ed all'esterno di un ambito portuale, quantifica la sua portata operativa , mentre la modernità che caratterizza la sua organizzazione e la diversificata tecnica degli impianti, misura invece la sua efficienza. Portata ed efficienza consentono, tuttavia, l'introduzione di un ulteriore parametro: la capacità di smaltimento del traffico in un dato periodo di tempo. Questo parametro è già in uso da molto tempo nei più trafficati aeroporti civili del mondo. A rendere significativo questo elemento contribuiscono, sia la tecnologia avanzata, meglio nota con il nome di telematica, sia il fattore umano legato alla professionalità del personale. 

L'insieme di questi fattori qualifica, in definitiva, l'importanza commerciale di un porto ed influisce, come una qualsiasi offerta di servizio, sulle scelte dell'utenza, tutt'altro che insensibile, naturalmente, anche ai costi d'esercizio.   

 

LA TORRE DI CONTROLLO: GLI OCCHI DEL PORTO 

Uno strumento che risale all'antichità più remota  

 

Le gallerie pittoriche degli artisti di marina, che precedono l'avvento della macchina fotografica, ci raccontano già nei dettagli che i piloti portuali per secoli hanno esercitato gli avvistamenti dei velieri dall'alto dei celebri fari marittimi. Il fatto in se stesso non è neppure tanto sorprendente, giacché risponde ad una logica astronomica legata alla curvatura terrestre. Il ruolo del pilota-farista ed esattore delle tariffe relative alle prestazioni effettuate, nonché ormeggiatore e tuttofare, scandì per secoli questa complessa attività che, soltanto con la rivoluzione industriale e quindi con la razionalizzazione dei servizi, prese una sua specifica connotazione. 

Con questa premessa, verrebbe spontaneo pensare ad una prima sistemazione dei Piloti genovesi presso la Torre dei Greci, sulla punta del Molo Vecchio del porto della Genova medievale. 

 

Lo specchio portuale in un dettaglio della veduta dipinta da Cristoforo Grassi nel 1597, copia di opera più antica assegnata al 1481 ca. Notare, in basso a sinistra, il Faro di Loggetta dei Greci (Genova, Civico Museo Navale)/The Genoa Port on 1597.

 

La prima Sede conosciuta dei Piloti di Genova. Erano due camerette costruite sul terrazzo della Porta del Molo (Porta Siberia) alla fine del 1879/The first Pilots building (photo S.Galleano) 

Da “ I Piloti della Lanterna ” di Stefano Galleano riportiamo: 

Nel 1901, infatti, il Capo Pilota Pietro Pescetto si rivolgeva nuovamente al Comandante del Porto di Genova affinché gli concedesse la facoltà di costruire “un casotto” sul Molo Giano “pel pilota di guardia durante la notte onde i vapori stranieri in arrivo, massime quelli provenienti dalla parte di levante, come i postali germanici e olandesi, possano in tempo essere avvistati”....

Il permesso questa volta fu concesso e la “Torretta” venne costruita a circa 160 metri dalla testata del Molo Giano.

 

Pianta e prospetto della Torre Piloti del 1901 costruita sul Molo Giano/Plan of the Pilots tower on 1901(Corpo Piloti Genova

 

La nuova Torre, costruita nel 1913/The tower as built on 1913 

 

La nuova Torre, costruita nel 1913. Il C.Pilota Pescetto, con farfalla, bombetta e mani sui fianchi, in una foto un po' asimmetrica per la verità del 1916. La costruzione in secondo piano era la Stazione d'arrivo, con annesso ristorante, della Tolfer, una ferrovia monorotaia che collegava il Molo Vecchio al Giano durante la Fiera del 1914/The tower as built on 1913.

 

Trafiletto d'archivio 

 

Nell'agosto del 1928 il C.A.P. (Consorzio Autonomo del Porto), approva il progetto di una costruenda sede per i piloti in testata al Molo Giano. La costruzione misura metri 8,50x6,50 è fiancheggiata da una torre scalare a sezione ottagonale, ha quattro piani con un terrazzo praticabile. La nuova torretta fu presa in consegna dai piloti nel 1931. Dovette essere veramente un avvenimento straordinario perché i piloti avevano finalmente una sede degna di questo nome…..”

 

Cerimonia Ufficiale in occasione del trasferimento della Madonna di Città dall'Oratorio di S.Antonio della Marina alla testata del Molo Giano, il 20 Giugno 1937/Ceremony of the shifting of the Lady statue. 

Questa Torretta dei Piloti crollò due volte sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale e fu ricostruita nel 1947, nella stessa posizione e con le stesse caratteristiche. Tuttavia, nell'ultimo trentennio, la gloriosa costruzione fu letteralmente “accecata” della presenza del mastodontico Superbacino galleggiante, posizionato proprio sulla visuale dell'imboccatura di levante e perse inesorabilmente la sua principale funzionalità.

 

La Madonna dei Piloti: la Madonna, Regina di Genova, 11 Maggio 1952, ricollocata nella presente posizione. Scolpita da Bernardo Carlone nel 1638. La sua originale collocazione era sulla porta della Lanterna (accesso occidentale della Città). Nel 1937, fu collocata sulla testata del Molo Giano. Nel 1944, precipita in mare a causa dei bombardamenti. In seguito, viene recuperata e in data 11 Maggio 1952, ritorna al suo posto/The Lady statue close by the Pilots building.

 

La “Torretta”, ricostruita dopo gli eventi bellici, nel 1947/The pilot tower after 1947

Nel primo dopoguerra, su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico, i vincitori del conflitto, disponendo del giusto entusiasmo e di notevoli mezzi finanziari, poterono realizzare, a dire il vero con occhio lungo, la costruzione d'imponenti Torri di controllo per gli atterraggi navali. Gli Anglo-Americani non fecero un gran sforzo di fantasia, ma capirono, già d'allora, la necessità di adottare la stessa filosofia funzionale, sperimentata dall'Aviazione militare e civile. Le nuove Torri di Controllo nacquero quindi con l'obiettivo strategico di realizzare una moderna regolazione dei crescenti flussi navali da e per l'Europa, in quel tempo affamata ed interamente da ricostruire e rilanciare. 

GENESI DI UNA MODERNA TORRE DI CONTROLLO 

Già dai primi anni '80 l'autore, per ragioni familiari e per pura curiosità professionale, aveva visitato, fotografato e studiato le Torri di Controllo dei principali porti del Nord Europa. Le relazioni tecniche che ne seguirono, ottennero l'effetto di sensibilizzare le Autorità competenti del Porto di Genova sul gap tecnologico che vedeva i Piloti genovesi confinati ai margini della più avanzata portualità internazionale. 

 

(photo John Gatti) 

Alla metà degli anni '80, spirò sul Porto un vento nuovo. L'allora Presidente del C.A.P. Roberto D'Alessandro presentò e realizzò in parte, la sua “rivoluzione portuale”, che era stata anticipata nei suoi celebri “Libri Blu”. Gli effetti salvifici, davvero innovativi, come la privatizzazione delle banchine, decollarono da ogni calata del porto e sono tuttora in corso.

 

La sequenza fotografica che vi proponiamo, rappresenta le classiche fasi d'abbordaggio di una nave da parte del Pilota (Com.te Giovanni Lettich) con tempo buono. Quando la pilotina compie 4/5 metri d'escursione in altezza e poi precipita, a causa del moto ondoso, il Pilota deve fare appello a tutto il suo coraggio, alla sua condizione atletica, ed all'amore per il suo lavoro/The sequence of a pilot boarding a ship .

 

Anche i Piloti s'inserirono in quel filone di brezza fresca ed innovativa e trovarono nel Presidente D'Alessandro il giusto interlocutore. Il loro desiderio fu recepito immediatamente, e ciò che sembrava un sogno, fu subito interpretato come una necessità primaria che s'inquadrava perfettamente nel progetto di rilancio del Porto di Genova. La dinamicità del Presidente diede, nel giro di qualche mese, dei frutti insperati e la sorpresa fu immensa quando giunse in Torretta, all'improvviso, con il modello ligneo di una nuova Torre di Controllo, progettata dall'Italimpianti che s'impegnava, fatto eccezionale, a realizzarla a proprie spese. 

Purtroppo, gli avvenimenti che seguirono quel breve periodo d'euforia, gettarono il Porto di Genova nella sua fase più oscura dalla fine della seconda guerra mondiale. Il decisionismo del Presidente D'Alessandro non riuscì a rimuovere gli ostacoli che si frapponevano al suo progetto integrale, a causa –forse- del mancato sostegno della politica locale e nazionale, in perenne stato di conflittualità. Lasciamo agli storici il compito di analizzare le “lotte” portuali degli anni '80, tuttavia, indugiamo ancora brevemente sull'argomento soltanto per registrare che, d'allora, nel Porto cambiarono attori e registi, ma il disegno del nuovo Sistema Portuale Integrato, immaginato ed esposto dal Presidente D'Alessandro, cadde in piedi e fu fedelmente realizzato dopo la sua uscita di scena. Altri –forse- ne presero il merito e qualora giudicassimo gli avvenimenti dal pesante silenzio che ha rimosso il suo nome nel tempo, ne rimaniamo, ancora oggi, sorpresi e amareggiati.

La pilotina “Pegaso”, cavalcando l'onda di libeccio, porta il Pilota all'arrivo di un'altra nave/A pilot boat on the top of waves 

 Dal punto di vista dei Piloti, il seme di un'avveniristica Torre di Controllo era stato gettato. Passò qualche anno e la ripresa dei traffici aumentò di pari passo con la stabilità politica e l'organizzazione amministrativa del Porto. 

Torre di Controllo dei Piloti del Porto di Genova, 1996: La serie fotografica, che segue, mostra le fasi “salienti” della sua costruzione.

 

 

Abbiamo appositamente affiancato queste due foto (sopra e sotto) per evidenziare l'angolo dello stesso porticciolo dei Piloti dove ha iniziato a salire la Torre di Controllo del traffico/The various stages of the building of the new Pilots tower.

 

Montaggio dei moduli abitativi (Servizi, Uffici e Cabine)/Building of the living quarters

 

La Torre verso il suo completamento/The tower towards its completion

 

Siamo nel 1996, l'opera è compiuta. La Torre sarà operativa nel 1997/On 1996, the building is completed; it will be operative on 1997 

LA TORRE DI CONTROLLO DEL TRAFFICO NAVALE DEL PORTO DI GENOVA COMPIE DIECI ANNI DI VITA  

Dall'alto dei suoi 55 metri, dal 1997 simboleggia il fiore all'occhiello, nonché l'anello strutturale e tecnologico che pone il Porto di Genova tra gli empori più importanti del mondo. La T.C. rappresenta, nella realtà portuale moderna, la cabina di regia, il cervello operativo, il punto di contatto di tutti i soggetti presenti nel sistema, che intendono effettuare operazioni commerciali. 

La T.C. è pertanto lo strumento che, in ultima analisi, dà il via alle varie fasi operative, determina il ritmo produttivo del porto, razionalizza l'impiego dei servizi, elimina i tempi d'attesa, velocizza la rotazione dei vettori in uscita ed in entrata, disciplina le direttive, le molteplici informative ed infine stabilizza e regola l'intera movimentazione navale sulla base di un unico e affidabile concetto di sicurezza. Dall'abilità dei suoi operatori, nel coordinare e snellire i flussi navali, utilizzando al meglio le risorse disponibili in un dato momento, si può comprendere, ora, il significato della “ capacità di smaltimento del traffico ” di cui si è accennato all'inizio.

 

La nuova Torre per il controllo del traffico costruita dall'Autorità Portuale, funziona dal 1997 e costituisce anche la nuova sede dei Piloti. A destra, la vecchia Sede dismessa/Inside the tower, besides the Pilots, also the Coast Guard is up there. 

La Direzione del Traffico Navale costituisce materia assai delicata anche per i più esperti rappresentanti dello shipping marittimo navigante che in seguito hanno ottenuto la licenza di pilotaggio. Si tratta in definitiva di acquisire una nuova specializzazione per svolgere il pilotaggio di una o più navi a distanza. L'obiettivo da raggiungere è rappresentato da una formula: “Snellire il traffico in sicurezza”. La formazione di detto personale non è stata ancora regolamentata da una normativa internazionale, tuttavia, gli Stati con maggiore tradizione marinara richiedono da tempo, per questa attività, standards elevatissimi di cultura navale a base universitaria, unita all'esperienza acquisita nella condotta della navigazione e della manovra. 

 

Carlo Gatti 

Presidente della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli

Camogli, Estate 2006

 

 

 

Si pensa subito alla nuova

TORRE PILOTI

 

 

PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

https://www.marenostrumrapallo.it/pil/

di John GATTI

 

TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO

https://www.marenostrumrapallo.it/piloti/

di Carlo GATTI

 

Nuova Torre Piloti

https://www.portsofgenoa.com/it/pianificazione-e-sviluppo/programma-degli-interventi/interventi-di-sviluppo/tutti-interventi/nuova-torre-piloti.html

 

PROGETTO TORRE PILOTI

Dell’ Architetto Renzo Piano

Genova, palazzo san Giorgio. la presentazione del progetto della nuova Torre Piloti. da sx l'ammiraglio vincenzo Melone, Renzo Piano, Luigi Merlo, John Gatti e Giovanni Toti,

 

TEMPISTICHE

Inizio Lavori: luglio 2022

Fine Lavori Prevista: Febbraio 2025

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 2 Gennaio 2925

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI

 

Associazione Culturale il Sestante

2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI

 

 

 

 

IL DIRETTIVO

Sabato 14 Dicembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


BENEDETTO ZACCARIA - Un Orgoglio Genovese

BENEDETTO ZACCARIA

 UN ORGOGLIO GENOVESE

 

BENEDETTO ZACCARIA

AMMIRAGLIO

Benedetto Zaccaria l’eroe della Meloria

Genovamarzo 1240? – Isola di Chioagosto 1307

 

Nato a Genova nel 1240, è una figura straordinaria del XIII secolo, spesso ingiustamente trascurato. Riconosciuto tra i più abili Ammiragli del Medioevo, Zaccaria fu il vero artefice della vittoria nella battaglia della Meloria nel 1284, dove le sue abilità strategiche e il comando esperto delle flotte genovesi portarono a una decisiva sconfitta della flotta pisana, consolidando così l’egemonia marittima di Genova.

 

Galea genovese alla Meloria

 

La sua carriera si distingue per l’abilità nautica e le conquiste militari, tanto da servire re Filippo IV di Francia nelle sue campagne navali contro gli inglesi.

Inoltre, l‘esperienza e competenza del Grande Ammiraglio, furono apprezzate anche al di fuori di Genova: uno dei principali Stati marittimi europei, l'Olanda, gli commissionò l'organizzazione della propria flotta militare, evidenziando la sua reputazione internazionale come esperto navale.

Nel 1924 lo storico francese Charles de la Roncière  aveva ipotizzato che Benedetto Zaccaria fosse il principale responsabile dello sviluppo della cartografia nautica medievale (mappe e testi  portolani).

 

 

BENEDETTO ZACCARIA

MILITARE E POLITICO

 

 

Contea di Tripoli fu l'ultimo degli stati feudali latini   ad essere fondato nel Levante in seguito alla Prima crociata. Conquistata dalle forze cristiane nel 1109, fu inizialmente governata da Bernardo II di Tolosa, come vassallo del re di Gerusalemme Baldovino I. Era situata nella parte settentrionale del Libano.

Nel 1287 i mercanti genovesi si ribellarono a Lucia di Poitiers, nota come Lucia di Tripoli, fu l’ultima esponente della dinastia regnante e, sostenuti dall'ammiraglio Benedetto Zaccaria, cercarono di far eleggere un Podestà di loro gradimento alla guida della città, mentre i nobili proclamarono la fine della dinastia ed istituirono il libero Comune, eleggendo Bartolomeo Embriaco come sindaco. 

Nel 1288, il governo genovese gli affidò una missione cruciale a Tripoli (Libano), dove dimostrò il suo valore militare e strategico, nonostante la successiva caduta della città per mano dei Mamelucchi.

Infatti, temendo che Tripoli diventasse definitivamente una colonia genovese, gli emissari veneziani e pisani chiesero l'intervento del sultano mamelucco Saīf al-Dīn Qalawūn al-Ālfī al-Manṣūr, il quale conquistò la città nel 1289

 

Turchia mediterranea. Chio e Focea

La sua eredità è ricca di conquiste e innovazioni, e nonostante un destino segnato dall’ostracismo genovese, Zaccaria continuò a operare attivamente da Focea e Chio, dove morì nel 1307.

 

ZACCARIA

CAPITANO D’INDUSTRIA E DIPLOMATICO

 

Zaccaria ha avuto un’influenza significativa nei governi del Mediterraneo, contribuendo allo sviluppo di strategie commerciali che hanno rivoluzionato lo scambio di materie prime e amplificato la sua reputazione, potenzialmente rendendolo un bersaglio per coloro che temevano la sua crescente influenza.

Zaccaria e il suo strategico approccio al commercio ha fatto di lui un pioniere nel settore dell'allume, una risorsa preziosa all'epoca per cui fu considerato il "primo Imprenditore della storia" per le sue pratiche innovative nel commercio di questo minerale, essenziale per il settore tessile, per la produzione di colori e molto altro, come vedremo, che ha richiamato l’interesse del mondo di allora fino al secolo scorso.

Benedetto Zaccaria era noto per il suo carattere forte e determinato, qualità che si riflettevano nelle sue azioni audaci in mare e nella sua abilità come leader.

La sua natura avventurosa lo portò a percorrere il Mediterraneo e a impegnarsi in battaglie cruciali, dimostrando coraggio e strategia. Era anche un abile diplomatico, capace di tessere alleanze e gestire trattative complesse, come dimostrato nelle sue interazioni con vari governi e principati del tempo.

Tuttavia, la sua ambizione e il suo desiderio di affermazione lo portarono a entrare in conflitto con la Repubblica di Genova, culminando nel suo esilio. Questa complessità caratteriale, che abbinava audacia a una certa impulsività, lo ha reso una figura affascinante e controversa della storia genovese.

Inoltre, la sua influenza nel commercio e nella marina, insieme alla sua capacità di ispirare le truppe e i mercanti, denotano un leader carismatico, capace di lasciare un segno duraturo nel suo tempo.

Sembra plausibile che Benedetto Zaccaria abbia suscitato gelosia e timore tra alcuni politici e altri leader del suo tempo.

La sua reputazione come Ammiraglio di successo, un abile diplomatico e un mercante innovativo lo portò a risaltare in un periodo di intensa competizione tra le potenze marittime italiane e nel Mediterraneo.

La sua autorità e le sue capacità potrebbero aver destabilizzato l'equilibrio di potere nelle relazioni genovese e con altre Repubbliche marinare, come Venezia e Pisa. La sua influenza significativa presso vari governi, unita alla sua capacità di attirare il sostegno di altri Stati, potrebbe aver suscitato timori di una crescente eccellenza genovese sotto la sua guida.

 Nel periodo in cui operava Benedetto Zaccaria, Genova era un importante centro marittimo e commerciale, e diversi personaggi di spicco contribuirono a plasmare gli eventi della sua epoca. Ecco alcuni dei più rilevanti:

Giovanni di Vignolo Boccaccio: Un altro Ammiraglio genovese, noto per le sue imprese nel Mediterraneo e per i suoi successi contro le flotte avversarie. La sua rivalità con Zaccaria può aver contribuito a tensioni politiche.

Pietro Doria: Un altro importante comandante navale e membro della potente famiglia Doria. I Doria erano tra i principali sostenitori della Repubblica di Genova e giocarono un ruolo significativo nella politica marina.

Francesco Sforza: Anche se non genovese, Sforza, il signore di Milano, influenzò le dinamiche italiane dell'epoca. La sua crescita di potere rappresentava una minaccia per gli equilibri esistenti, inclusi quelli di Genova.

 Luca e Costantino Doria: Figure importanti tra i mercanti e nobili genovesi, che avevano rilevanza nelle dinamiche politiche e commerciali della Repubblica.

Papa Bonifacio VIII: Anche se non direttamente coinvolto nella politica genovese, la sua influenza sulla Chiesa cattolica e il supporto a diversi nobili e città marinare furono determinanti nel contesto politico dell'epoca.

Niccolò Machiavelli: Un pensatore influente del tempo, sebbene il suo lavoro sia più noto successivamente, le dinamiche politiche e le operazioni navali del tempo erano oggetto di interesse per i suoi futuri scritti.

La presenza di queste figure, insieme a Zaccaria, evidenziava un ambiente pieno di rivalità e alleanze, dove il potere marittimo e commerciale di Genova giocava un ruolo cruciale nelle politiche mediterranee e italiane.

Questo contesto competitivo potrebbe aver contribuito ai conflitti politici che lo portarono infine all'ostracismo da parte della Repubblica di Genova, un segnale chiaro che il suo successo non era gradito a tutti. In sintesi, la sua ambizione e i suoi successi avrebbero potuto facilmente generare gelosia e timore nel panorama politico dell'epoca.

 

La caduta di Benedetto Zaccaria dall’ufficio e il conseguente ostracismo ebbero diverse conseguenze su Genova e sui suoi contemporanei. In primo luogo, il suo declino segnò un momento di instabilità politica a Genova, con un possibile indebolimento delle alleanze tra le famiglie nobiliari rivali. La sua rimozione dalla scena politica poté dare spazio a nuove figure e interessi, portando a una ristrutturazione del potere. Inoltre, l'ostracismo di Zaccaria influenzò anche l’opinione pubblica, generando divisioni tra coloro che lo sostenevano e quelli che lo avversavano. Questo episodio alimentò conflitti interni e tensioni sociali, evidenziando le fragilità del sistema politico genovese dell'epoca.

 

A cosa serviva l'allume nel Medioevo?

Blocco di allume di potassio

 

Il loro esaurimento nel 1458 mandò in crisi le industrie occidentali dei tessuti e dei pellami, fino a che non furono individuate nel 1461 le miniere dei Monti della Tolfa, vicino Civitavecchia, scoperti nel 1462 da Giovanni di Castro presso l'attuale comune di Allumiere e rimasti in uso con alterne vicende fino al 1941

 

Alcuni degli infiniti usi dell’allume di potassio:

- Nelle industrie tessili era usato come fissante per colori, il suo uso era quindi basilare nella tintura della lana, nella realizzazione delle miniature su pergamena e nella concia delle pelli. 

- Serviva alla produzione del vetro. 

- In medicina era usato come emostatico e molto usato in cosmetica ed erboristeria.

-E’ utilizzato come efficace deodorante antitraspirante.

- E’ utile per fermare piccoli sanguinamenti, quindi è perfetto dopo la barba, la depilazione o in presenza di lievi tagli, e può essere utilizzato per il benessere dei capelli come antiforfora, antisebo ecc…

Ricordo Personale: Una piccola pietra di allume ha sempre fatto parte del mio “nécessaire” quando ero imbarcato o in trasferta…

 

Allume

https://it.wikipedia.org/wiki/Allume#:~:text=Gli%20allumi%20sono%20noti%20sin,per%20rendere%20ignifugo%20il%20legno.

 

STORIA DEL COMMERCIO DELL'ALLUME

http://www.giustiniani.info/allume.html

 

Gli attori del commercio dell’allume in Mediterraneo alla fine del Quattrocento

https://books.openedition.org/efr/8158

 

 

 

 

ALCUNE RIFLESSIONI FINALI

 

Benedetto Zaccaria rappresenta un emblematico esempio di audacia e innovazione nel contesto marittimo e commerciale del XIII secolo. La sua capacità di innovare e la sua influenza sulle rotte commerciali hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia genovese e mediterranea.

È tempo che il suo nome venga riscoperto e celebrato come meritano le sue straordinarie contribuzioni, offuscate dall'ombra di altri protagonisti più noti. Solo così potremo rendere giustizia a un uomo che, con le sue strategie e il suo spirito intraprendente, ha segnato un’epoca.

Questa conclusione non solo mette in risalto l'importanza di Zaccaria, ma invita anche i lettori a riflettere sull’importanza della memoria storica e a rivalutare figure che meritano il riconoscimento.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Novembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


RMS QUEEN MARY - UNA NAVE DAL FASCINO ANTICO, MA CON LE MISURE DI UNA NAVE MODERNA

RMS QUEEN MARY

Una delle navi più grandi e lussuose del suo tempo, con una lunghezza di oltre 300 metri e una capacità di 2000 passeggeri.

 

E’ stata, ed è tuttora una delle navi più iconiche del 20° secolo, la Queen Mary è una vera meraviglia dell'ingegneria marittima tuttora visitabile come Nave Museo a Long Beach (USA).

 

 

 

La Queen Mary a New York

 

La RMS Queen Mary, simbolo indiscusso dell'eleganza e della potenza marittima, rappresenta non solo un traguardo tecnico senza precedenti, ma anche un emblema storico che ha solcato gli oceani con grande imponenza, ma con estremo coraggio e partecipazione nelle varie fasi della sua lunga vita. Questa nave passeggeri, varata nel 1934, ha incantato il mondo durante un'epoca in cui i viaggi transatlantici erano un sogno che si avverava. Con una storia ricca di successi, dai record di velocità, come il prestigioso Nastro Azzurro, a un ruolo cruciale durante la Seconda Guerra Mondiale come nave militare, la Queen Mary ha dimostrato di essere molto più di un semplice mezzo di trasporto. Da vecchio Comandante, posso attestare la sua smisurata presenza in mare: ho avuto il privilegio di vederla navigare, e l'impatto che ha avuto su di me è indelebile. Oggi, rendendo omaggio a questa straordinaria nave, esploreremo non solo le sue meraviglie ingegneristiche, ma anche il suo inestimabile contributo alla storia marittima e culturale.

L'amore che gli inglesi nutrono per la RMS Queen Mary è testimoniato dalla sua straordinaria preservazione come nave museo a Long Beach, California. Questa scelta non è solo un tributo a un'epoca gloriosa, ma una volontà di mantenere viva la memoria di un simbolo che ha attraversato generazioni.

 La Queen Mary non è soltanto una nave; è un monumento vivente che racconta storie di viaggi avventurosi, incontri indimenticabili e il fascino di un'era irripetibile. La sua presenza nelle acque di Long Beach offre a visitatori di tutte le età l'opportunità di immergersi in un’epoca di eleganza e innovazione.

 Non meno affascinante è il suo ruolo nella cultura popolare: la Queen Mary ha fatto da sfondo a numerosi film iconici e ha ispirato pagine di letteratura marinara, diventando così un personaggio a sé stante.

 Questa nave ha vissuto due vite distinte—quella come ammiraglia dei mari e quella come custode della memoria storica—e chissà, con l'evoluzione della tecnologia, potrebbe persino essere pronta per una terza vita quando le navi voleranno nei cieli come astronavi.

In ogni caso, la Queen Mary rimarrà sempre una tappa fondamentale e iconica nella storia navale, un’eredità di cui l’umanità non potrà mai fare a meno.

 

Descrizione generale

Tipo

transatlantico

Proprietà

Cunard-White Star Line(1936-1949)
Cunard Line (1949-1967)
Città di Long Beach (dal 1967)

Porto di registrazione

Liverpool

Ordine

3 aprile 1929

Costruttori

John Brown & Company

Cantiere

ClydebankScozia

Impostazione

1º dicembre 1930

Varo

26 settembre 1934

Entrata in servizio

27 maggio 1936

Intitolazione

Maria di Teck, regina consorte del Regno Unito

Radiazione

1º dicembre 1967

Destino finale

trasformata in albergo, ristorante, museo

Caratteristiche generali

Stazza lorda

81 237 tsl

Lunghezza

311 m

Larghezza

36 m

Altezza

55 m

Pescaggio

11,9 m

Velocità

30 nodi - 29,5 velocità di crociera - 32,6 nodi velocità massima registrata nodi

Equipaggio

1.101

Passeggeri

2.139: 776 prima (cabina) classe, 784 classe turistica, 579 terza classe.

 

 

UN PO’ DI STORIA


La QUEEN MARY è stata costruita dai cantieri John Brown & Company a Clydebank, in Scozia. La nave è partita per il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York il 27 maggio 1936, sotto la guida del Commodoro Sir Edgard T. Britten. Sempre nel 1936, ha vinto il Nastro Azzurro per la sua velocità di 30,14 nodi, ma nel 1937 ha perso il titolo a favore del transatlantico francese NORMANDIE. Tuttavia, nel 1938, ha riconquistato il Nastro Azzurro con una velocità di 30,99 nodi, mantenendo il primato fino al 1952, quando è stata superata dalla SS "UNITED STATES".

Con l'inizio della Seconda guerra mondiale, la QUEEN MARY è partita il 1º settembre 1939 verso New York. All'arrivo, però, ha ricevuto l'ordine di rimanere in porto, per non diventare un obiettivo facile per i sottomarini tedeschi.

Nel 1940, la nave ha fatto rotta per Sydney, dove è stata trasformata in nave da trasporto truppe. È stata verniciata di grigio e ha preso il soprannome di "Fantasma Grigio". Tutti gli arredi e i tappeti sono stati rimossi, e sono state aggiunte batterie anti-aeree. Durante la guerra, ha trasportato più di 800 mila soldati.

Nel dicembre 1942, mentre viaggiava dall'America all'Inghilterra con un numero record di 16.082 soldati americani (il massimo mai imbarcato su un’unica nave), è stata colpita da un’onda anomala alta 28 metri che quasi l’ha rovesciata. Winston Churchill l’ha usata in diverse occasioni durante quegli anni, e ci sono diversi oggetti appartenuti a lui in mostra nei tour della nave.

E’ il 20 Giugno 1945 - LaQUEEN MARY con la livrea militare sta entrando nel porto di New York con migliaia di soldati americani.

 

Nel quadro grande - la RMS QUEEN MARY militarizzata.

Ingrandendo l’immagine si nota il cavo magnetico anti-mine che parte dall’ancora di posta e corre lungo la murata di sinistra verso poppa. Lo strumento viene chiamato “degaussing”.

 

L’Opera è del pittore di marina Marco Locci, compianto membro della nostra Associazione per circa 30 anni.

Dopo la guerra, la Queen Mary subì un importante refitting (con una sistemazione interna per 711 passeggeri di prima classe, 707 di seconda e 577 di terza) e prestò servizio sulle linee transatlantiche. 

Il 27 settembre 1967, portava a termine la sua millesima traversata atlantica.

 

L'ultimo viaggio, iniziato da Southampton il 31 ottobre dello stesso anno, si concluse a Long Beach, dove la gloriosa nave, venduta alla città californiana, fu trasformata in un museo, ristorante e hotel galleggiante.

 

 

Gran parte dei macchinari, tra cui 1 delle 2 sale macchine, 3 delle 4 eliche e tutte le caldaie, furono rimosse. La nave è quotata al Registro Nazionale dei Luoghi Storici.

 

Il National Trust for Historic Preservation

 ha accettato la "Queen Mary" come parte degli Historic Hotels d’ America.

 

 

 I modelli in scala dei due famosi Liners (sister Ship)

QUEEN MARY e QUEEN HELIZABETH realizzati da John Brown & Company.

 

Il Ponte di Comando della Queen Mary nel 2005

 

Il transatlantico Queen Mary a Long Beach, California, USA nel 2009

 

Queen Mary di notte a Long Beach 

 

Fotografia della Queen Mary scattata nel 2010 a Long Beach

 

La Stazione Radio della Queen Mary in versione aggiornata

 

Il Ponte Sole di dritta, 1972

 

La nave offre sistemazioni in tre classi, due piscine interne, parrucchieri, biblioteche, negozi, mini-club per bambini, servizio telefonico e canili. Il salone da pranzo di prima classe si estendeva su tre ponti in altezza. Nella sala da pranzo principale, un modello della nave, regolarmente spostato, indicava la posizione su una grande mappa dell'Oceano Atlantico.

 

ALCUNE IMMAGINI DEGLI INTERNI DELLA QUEEN MARY A

LONG BEACH

 

Il “GRAN SALON”. – Nello sfondo il murale su cui il modello di cristallo della RMS QUEEN MARY segna il percorso compiuto ogni giorno.

 

Il Bar panoramico che fu allargato dopo il 1967

 

 

 

QUEEN MARY  e QUEEN HELIZABETH

Le Sister Ships  della Cunard Line con un destino diverso

 

 

La  Rms Queen  Elizabeth  navigò anch’essa come bastimento di lusso sulla rotta Southampton-New York,  per oltre vent'anni.

Impostata dalla John Brown & Company nella metà degli anni trenta, venne varata il 28 settembre 1938 quattro anni dopo la sua sister ship.

Il disegno era stato migliorato rispetto alla sua simile Rms Queen Mary e, essendo leggermente più grande di quest'ultima, divenne la nave più grande dell'epoca, un record che durò 56 anni.

 

La Queen Elizabeth in servizio come nave trasporto truppe con la livrea grigia. La nave fece anche servizio postale come membro del servizio espresso.

 

Entrò in servizio nel febbraio 1940 come trasporto truppe nell'ambito delle azioni della Seconda guerra mondiale; solo a partire dall'ottobre 1946 iniziò il suo effettivo compito di transatlantico.

Alla fine degli anni sessanta, a seguito della ridotta popolarità dei viaggi transoceanici, la Queen Elizabeth e la Queen Mary vennero tolte dal servizio e sostituite dalla più moderna Rms Queen Elizabeth 2. 

 

Il relitto semicapovolto della Queen Elizabeth a Hong Kong

Fu venduta e passò di mano in mano; l'ultimo proprietario fu Tung Chao Yung, un imprenditore di Hong Kong che cercò di farne un'università galleggiante. Nel 1972, al termine di un lungo viaggio di trasferimento verso il porto di Hong Kong, la nave prese misteriosamente fuoco e si capovolse; tra il 1974 e il 1975 venne parzialmente demolita.

 

LE DUE SISTERS SHIPS A CONFRONTO

QUEEN HELIZABETH

Caratteristiche generali

Stazza lorda 85 000 tsl
Lunghezza 314 m
Larghezza 36 m
Altezza 71 m
Pescaggio 11,6 m
Equipaggio 1 200
Passeggeri 2 283

 

Lunghezza 311 m
Larghezza 36 m
Altezza 55 m
Pescaggio 11,9 m
Velocità 30 nodi - 29,5 velocità di crociera - 32,6 nodi velocità massima registrata nodi
Equipaggio 1 101
Passeggeri 2 139: 776 prima (cabina) classe, 784 classe turistica, 579 terza classe.

 

QUEEN MARY

Caratteristiche generali

Stazza lorda 81 237 tsl
Lunghezza 311 m
Larghezza 36 m
Altezza 55 m
Pescaggio 11,9 m
Velocità 30 nodi - 29,5 velocità di crociera - 32,6 nodi velocità massima registrata nodi
Equipaggio 1 101
Passeggeri 2 139: 776 prima (cabina) classe, 784 classe turistica, 579 terza classe.

 

 

La classifica delle navi passeggeri più grandi del mondo

1900/2003

 

Immagine Periodo
detenzione
record
Transatlantico Stazza lorda (tonnellate) Capacità di carico (persone) Note
Questa è la moderna versione  RMS Queen Mary 2 dal 25 settembre 2003 MS Queen Mary         148528 3873
1972 - 25 settembre 2003 RMS Queen Mary 81237 3240
27 settembre 1938 - 1972 RMS Queen Elizabeth 85000 3483
29 ottobre 1932 - 27 settembre 1938 SS Normandie 79280 (poi 83423) 3317
20 giugno 1914 - 29 ottobre 1932 RMS Majestic 56551 3384
23 maggio 1912 - 20 giugno 1914 SS Imperator 50000 3547
15 aprile 1912 - 23 maggio 1912 RMS Olympic 46359 3547
31 marzo 1911 – 15 aprile 1912 RMS Titanic 46328 3547
20 ottobre 1910 – 31 marzo 1911 RMS Olympic 46000 3547
20 settembre 1906 – 20 ottobre 1910 RMS Mauretania 31938 2967
7 giugno 1906 - 20 settembre 1906 RMS Lusitania 31550 3048
1894 – ... Lucania 13000

 

 

La classifica delle navi da crociera più grandi del mondo

OGGI

1-Symphony of the Seas (lunghezza 362,15 metri)  nella foto

2-Harmony of the Seas (lunghezza 362 metri)

3-Oasis of the Seas/Allure of the Seas (lunghezza 360 metri)

4-Spectrum of the Seas (lunghezza 348 metri)

5-Quantum / Anthem / Ovation of the Seas   (lunghezza 347 metri)

 

CONCLUSIONE

La RMS QUEEN MARY incarna l'eleganza e il fascino dell'epoca d'oro della navigazione transatlantica, pur essendo dotata delle dimensioni e delle comodità moderne. Questa nave simboleggia un'epoca in cui il viaggio per mare rappresentava un'esperienza lussuosa e memorabile, contrapposta alla rapidità e alla funzionalità dei viaggi odierni. Mentre il passato evocava un senso di avventura e scoperta, caratterizzato da dettagli artigianali e un servizio impeccabile, l'era moderna si focalizza su efficienza e comfort pratico. La Queen Mary, quindi, diventa un ponte tra due mondi: conserva l'eredità storica e culturale della navigazione, pur adattandosi alle esigenze contemporanee. La sua bellezza senza tempo ci invita a riflettere su come i viaggi, sia ieri che oggi, continuino a unire le persone, offrendo un rifugio dall'ordinario e un momento di meraviglia.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 18 Novembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


CANALE DI KIEL

 

CANALE DI KIEL

 

Veduta aerea della città di KIEL

 

Quando l’argomento di conversazione si sofferma sui Canali artificiali Navigabili che hanno cambiato le rotte delle navi, rendendole più brevi ed economiche, si parla generalmente di Suez, Panama, Corinto, Canal du midi e quasi mai del Canale di Kiel che, da ricerche effettuate, pare sia attraversato nei due sensi da un numero di navi anche superiore a quello dei più blasonati Canali citati.

Il Canale di Kiel collega il Mar Baltico con il Mare del Nord, rappresentando una delle opere ingegneristiche più significative del XIX secolo. Sebbene abbia agevolato il commercio marittimo in Europa e avuto un impatto profondo sulla strategia navale della Germania, rimane relativamente sconosciuto. Uno dei motivi di questa scarsa notorietà è la sua specificità geografica e il contesto storico in cui è stato costruito. Mentre i canali di Panama e Suez attraggono l'attenzione globale per la loro capacità di rivoluzionare il commercio marittimo a livello mondiale, il Canale di Kiel è essenzialmente una via d'acqua regionale. Inoltre, la sua costruzione avvenne in un periodo in cui le innovazioni tecnologiche si concentravano su progetti più ambiziosi e visibili. In questo saggio, esploreremo non solo la storia e l'importanza del Canale di Kiel, ma anche i motivi che ne hanno limitato la fama e la conoscenza, al fine di mettere in luce il suo fondamentale ruolo nel panorama marittimo europeo.

 

UN PO’ DI STORIA…

Fu inaugurato il 21 giugno 1895 da Guglielmo II, nipote dell'imperatore Guglielmo I che ne ordinò invece la costruzione. Il suo nome in origine fu Kaiser-Wilhelm-Kanal ed i lavori si svolsero in 8 anni con l'impiego di 9.000 operai. Venne allargato tra il 1907 e 1914 su ordine della Marina Militare Tedesca, infatti già lo scopo iniziale della sua creazione era quello di collegare le basi della flotta tedesca del Mar Baltico con quelle del Mare del Nord, senza dover appunto circumnavigare la Danimarca.
Nel 1919, con il Trattato di Versailles, il Canale di Kiel venne internazionalizzato unitamente al fiume Reno, all'Oder, al Danubio e all'Elba.

 

Era presente anche l’Italia …

 

Accadde il 20 giugno 1895: Inaugurato il Canale di Kiel

Giovedì - Viene inaugurato il Canale di Kiel con una solenne cerimonia cui partecipano formazioni navali di numerose nazioni con quasi cento navi da guerra e seguita da una rivista navale passata dal Kaiser Guglielmo II sul panfilo reale Hohenzollern.

Per l’Italia partecipa la Squadra Speciale al comando dell’ammiraglio Tòmaso di Savoia duca di Genova sul panfilo reale Savoia e costituita dalle corazzate Re UmbertoSardegnaRuggero di LauriaAndrea Doria, dagli arieti torpedinieri Stromboli Etruria e dagli incrociatori torpedinieri Aretusa e Partenope. La formazione italiana lascerà Kiel il 24 giugno per fare rientro a Napoli il 1° agosto, dopo soste a Friedrichshafen e in alcuni porti britannici della Manica.

 Fonte: Marina Militare

 

LE CARTE GEOGRAFICHE ORIENTATIVE

 

 

Il Canale si trova su una stretta baia (Kieler Förde) a cuneo (in basso sassone kiel) del più ampio golfo di Kiel. La grande città più vicina è Amburgo, a circa 90 km a sud-ovest, mentre Lubecca dista 80 km in direzione sud-est.

 

 

Il Canale, tramite il quale si evita la circumnavigazione della penisola dello Jutland con un risparmio di 280 miglia (519 km), è la via d’acqua oggi più utilizzata. Fortemente voluto dalla Marina germanica, collega le sue basi nel Baltico a quelle del Mare del Nord evitando il periplo della Danimarca.

 

In altre parole…

Si tratta di un canale artificiale, chiamato Nord-Ostsee-Kanal, che permette di raggiungere Kiel partendo da Brunsbuttel, (vedi foto sopra e sotto) e naturalmente il viaggio contrario, senza dover circumnavigare la penisola dello Jutland come abbiamo appena visto. Praticamente collega il Mare del Nord al Mar Baltico con un viaggio che si concretizza in soli 100 Km, anziché 520 Km.


 

 

Il canale di Kiel (in tedesco Nord-Ostsee Kanal o NOK) è un canale artificiale in Germania settentrionale; lungo 98 chilometri, si trova alla base della penisola dello Jutland e, procedendo in direzione nordest-sudovest, collega le città di Kiel, sul mar Baltico, e Brunsbüttel sul mare del Nord.

 

Chi ha navigato in quei mari del Nord Europa conosce perfettamente le difficoltà legate allo scontro delle correnti marine tra il Kattegat e Skagerrak, ai venti e alle nebbie nei canali stretti tra la Svezia Meridionale e la Danimarca. Se poi si calcola il risparmio di tempo e di carburante risulta chiaro quanto sia economica la scelta di questa opzione nautica che vede ogni anno il transito di oltre 30.000 navi. Questo include navi commerciali, petroliere, e imbarcazioni da diporto.

Dimensioni: Il canale è lungo circa 98 chilometri e ha una larghezza di 102 metri in alcune sezioni. È profondo fino a 13 metri, permettendo il passaggio di navi di grande tonnellaggio.

Importanza economica: È un'importante arteria per il commercio marittimo, contribuendo significativamente all'economia tedesca e europea, facilitando il trasporto di merci tra diversi porti.

Navi militari: Il canale è anche utilizzato dalle forze navali, essendo una via strategica per le navi della NATO.

Nel 2024 sono stati ultimati importanti lavori strutturali nel Canale di Kiel che consentono il passaggio di navi di ultima generazione purché rispettino le dimensioni massime consentite. Per quanto riguarda i costi del servizio di pilotaggio, le tariffe variano in base alla dimensione della nave, al tipo di imbarcazione e alla lunghezza del transito. Generalmente, i costi possono variare da alcune centinaia a diverse migliaia di euro.

 

 

LE CHIUSE DEL CANALE DI KIEL

 

 

Brunsbuttel

 

 

 

All'inizio del Canale ci sono alcune chiuse, costruite per evitare che la marea modifichi il livello dell'acqua all'interno dello stesso. Le sue dimensioni sono: circa 100 Km di lunghezza, larghezza 162 metri a livello della superficie dell'acqua e 90 metri sul fondo, profondità 13 metri. 
E' molto trafficato, vi transitano più navi che in quello di Panama e di Suez, tanto che non è raro vedere le navi a poca distanza (poche centinaia di metri) una dall'altra. I dati del 2005 sono di 56.964 navi nel Canale di Kiel, 14.011 in quello di Panama e 18.193 in quello di Suez. In realtà si tratta di numero di transiti, perché invece il primato per le tonnellate ed i materiali trasportati spetta agli altri due.
La navigazione dura circa 7 ore ed è soprattutto di genere commerciale. Verso Ovest sono dirette materie prime (petrolio e derivati, carbone, acciaio e legname), mentre verso Est transitano container e prodotti finiti.


 

ALBUM FOTOGRAFICO

da TripAdvisor

 

 

 

 

 

Il Ponte

 

 

 

 

 

ARTICOLI SUL CANALE DI KEEL

 

Wikipedia

 CANALE DI KEEL

https://it.wikipedia.org/wiki/Canale_di_Kiel

 

DIFESA

Quaderni Marinari.     (molto interessante)

https://www.quadernimarinari.it/2010/02/il-canale-di-kiel/

 

INFORMAZIONI MARITTIME

https://www.informazionimarittime.com/post/la-germania-punta-sul-canale-di-kiel

  

Google Art & Culture

https://artsandculture.google.com/entity/m04f95?hl=it

 

Per I Velisti 

https://www.yacht.de/it/viaggi-e-noleggi/germania/canale-di-kiel-la-guida-nok-definitiva-per-i-naviganti/

 

Sponsorizzato

Kiel - Photos de stock gratuites et libres de droits de Dreamstime

fr.dreamstime.com

https://fr.dreamstime.com

Curated Stock Images, Updated Daily. Stock Photos & Royalty Free Photos by Dreamstime. All Image Formats. HD Stock Images. Unlimited Free ReDownload. Daily New Fresh Images. Fastest Search Engine. Unlimited Rollover.

‎Download Free Photos · ‎Best Images of 2024 · ‎Royalty Free Stock Images

 

https://fr.dreamstime.com/photos-images/kiel.html?gad_source=1&gbraid=0AAAAAD_aCwEvhlzpQ0Ea81PSyW94r-992&gclid=Cj0KCQjwpvK4BhDUARIsADHt9sSYnDx-4s-wyyqhtxy-yi092Qgt_R1iYKzRqzxINRrJJ30RA7Z_dI4aAiwOEALw_wcB

 

KIEL - GERMANIA - GUIDA AL PORTO CROCIERE DI OSTSEEKAI - PUNTI SALIENTI PER MUOVERSI IN AUTONOMIA - MAPPE E PERCORSI

https://www.timetraveldream.it/2022/12/kiel-guida-al-porto-crociere.html

 

 

MEMORIALE NAVALE DI LABOE

KIEL

 

 

Il Memoriale navale di Laboe (Marine-Ehrenmal Laboe), conosciuto anche come Torre di Laboe, è un memoriale situato a Laboe, vicino a Kiel, nello Schleswig-Holstein, in Germania. 

 

STORIA

Costruito dal 1927 al 1936, il monumento voleva celebrare originariamente i MARINAI della Kaiserliche Marine morti durante la Prima guerra mondiale, e successivamente al 1945 anche i caduti della Kriegmarine nella Seconda guerra mondiale. 

Nel 1954 infine il monumento venne definitivamente dedicato a tutti i marinai di ogni nazionalità periti durante le due guerre mondiali.

La torre fu disegnata dall'architetto Gustav August Munzer, il quale dichiarò che la forma non fu pensata per rappresentare qualcosa di specifico, ma solo per ispirare sensazioni positive in chi la guarda. Il monumento è frequentemente associato allo stelo di una nave vichinga o alla torre di un sommergibile. 

 

Struttura

Il monumento consiste in una Torre alta 72 metri con in cima un punto di osservazione sul tetto, situato ad un totale di 85 metri sul livello del mare, raggiungibile con 2 ascensori oppure con una salita di 341 gradini.

Il Monumento al Marinaio d’Italia situato a Brindisi (costruito in epoca fascista negli anni 1932-1933) assomiglia in parte alla torre di Laboe. (foto sotto)

 

Ai piedi del memoriale vi è un Museo Navale, che ripercorre tra l'altro la storia del sottomarino nazista U-995, ultimo esemplare rimasto al mondo degli scafi di classe U-Boot Tipo VII. 

 

 

 

U-Boot Tipo VII C - sommergibile tedesco (**)

Lunghezza fuori tutto 67,10 m     scala 1:50

Sommergibili oceanici a semplice scafo con controcarene esterne e casse di immersione principali all'interno dello scafo resistente, costruito in acciaio al carbonio dello spessore di circa 22 mm.  Gli ultimi battelli prodotti avevano una profondità di sicurezza di 280 metri, pari a 2/5 della quota di schiacciamento, ma hanno raggiunto anche i 400 metri di profondità per sfuggire alla caccia nemica.
I battelli del tipo VII, con alcune varianti, furono costruiti in circa 700 esemplari e costituirono il nerbo della flotta sottomarina tedesca.  Di essi, ben 437 furono affondati in combattimento con la perdita quasi totale dei loro equipaggi.
In base ad un accordo dell'aprile 1943, nove battelli, con la torretta modificata tipo "42" vennero ceduti all'Italia in cambio di altrettanti battelli italiani di stanza a Bordeaux che sarebbero stati impiegati per missioni di trasporto con l'Estremo Oriente, ma dopo la dichiarazione di armistizio l'accordo decadde e tutte le unità tornarono alla Marina tedesca.
In cinque tavole: piano di costruzione, vista di fianco, vista dall'alto, sezione longitudinale, sezioni orizzontali e n. 11 sezioni trasversali.  La vista di fianco mostra la torretta nella versione originale del 1940, illustrando anche la variante del 1944 con un impianto quadrinato e due impianti binati, tutti scudati, di mitragliere da 20 mm. 

 

 

UN GRAVISSIMO PROBLEMA CHE SI RIPERCUOTE SUI TRASPORTI MARITTIMI DI TUTTO IL MONDO

3 Ottobre 2024 

 

 

Dal novembre 2023 la vicenda degli houthi dello Yemen si è intrecciata alla guerra fra Israele e Hamas a Gaza, soprattutto in seguito agli attacchi alla navigazione commerciale nella regione del Mar Rosso da parte del movimento politico e armato yemenita sostenuto dall'Iran.

 

– La guerra degli Houthi - YEMEN

 

 

Gli attacchi marittimi degli Houthi dallo Yemen, iniziati nel 2016 e intensificatisi con la guerra Israele-Hamas, sono diventati un problema di sicurezza globale. Un problema, però, che rischia di danneggiare innanzitutto gli obiettivi degli Stati Uniti: stabilizzazione mediorientale e contenimento della Cina. Il Mar Rosso, che congiunge l’Oceano Indiano al Mediterraneo, è decisivo per gli equilibri energetici e commerciali mondiali: tutte le potenze –tranne l’Iran, che sostiene e arma gli houthi- hanno dunque interesse alla stabilità del quadrante.

Eppure solo gli Stati Uniti che nel Mar Rosso hanno rafforzato la presenza militare già prima del 7 ottobre – rischiano qui il logoramento strategico: la deterrenza di Washington si è finora rivelata insufficiente. Infatti, gli houthi continuano a lanciare attacchi “in solidarietà a Gaza” verso il territorio d’Israele e contro obiettivi commerciali e militari in navigazione. E nessuna risposta militare USA è seguita, neppure quando navi militari statunitensi si sono trovate nel mezzo, intercettando i droni lanciati dallo Yemen.

Attacchi e sequestri

Gli attacchi sono in crescita per numero e complessità. Secondo il Comando Centrale USA (Centcom), gli houthi hanno sferrato il 3 dicembre scorso quattro attacchi contro navi commerciali, nelle acque internazionali del Mar Rosso, stavolta a un passo dal Bab el-Mandeb. Il cacciatorpediniere USS Carney che pattugliava l’area ha risposto alle richieste di soccorso delle navi abbattendo tre droni: “non è chiaro” se essi fossero indirizzati contro la nave USA.  L’attacco multiplo è durato ore e ha coinvolto quattordici paesi considerando proprietà delle imbarcazioni, merce trasportata e bandiera. Gli houthi hanno rivendicato l’attacco “contro due navi israeliane”, ma solo una di esse avrebbe un legame con un cittadino israeliano.

Dal 19 novembre scorso, gli houthi hanno sequestrato il cargo “Galaxy Leader”, di proprietà di un uomo d’affari israeliano: la nave è ora trattenuta al porto di Hodeida (città controllata dagli houthi) insieme ai venticinque uomini dell’equipaggio. Nel 2022, gli houthi sequestrarono per quattro mesi una nave cargo degli Emirati Arabi Uniti, “Rawabi” sempre nel Mar Rosso meridionale, con undici uomini d’equipaggio. La nave, partita dall’isola yemenita di Socotra di e diretta in Arabia Saudita, trasportava secondo Abu Dhabi un ospedale da campo. 

 

 

ARTICOLI CORRELATI

LA GUERRA IN YEMEN È UN ORRORE DIMENTICATO, MA CONTINUA

https://www.oxfamitalia.org/la-guerra-in-yemen-e-un-orrore-dimenticato-ma-continua/

  

ShipMag.SHIPPING MAGAZINE

ECONOMIA E FINANZA SHIPPING E LOGISTICA

La crisi di Suez e gli effetti sul trasporto marittimo: cosa sta succedendo sul mercato.

24 Febbraio 2024 - Helvetius 

https://www.shipmag.it/suez-canale-crisi-traffici-marittimi/

 

A ricordo del nostro caro socio e compianto amico Maurizio Brescia che ci ha lasciati il 20 luglio 2022, pubblichiamo un suo articolo sul sommergibile di Portofino nel quale racconta del U-BOOT Tipo VII C di Kiel.

Con Maurizio se n’è andato un pezzo importante del mondo della storiografia militare italiana ed in particolare uno dei più attenti e affidabili ricercatori nell’ambito della storia navale del XX secolo, ben noto anche all’estero per i suoi moltissimi lavori pubblicati.
Uomo di grandissima cultura e spiccata giovialità, Maurizio sapeva apprezzare la vita e mal sopportava le limitazioni imposte dal suo stato di salute negli ultimi tempi.

Ciao Maurizio! Sei sempre tra noi!

 

Il sommergibile di Portofino 

Alla ricerca 

dell’U455

https://www.marenostrumrapallo.it/portofino-uboot/

 

A cura di Maurizio Brescia 

in collaborazione con

www.betasom.it

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 1 Novembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PETROLIERA ERIKA - CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

 

PETROLIERA ERIKA 

CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

 

 

L’ERIKA è stata una petroliera monoscafo battente bandiera (di comodo) maltese noleggiata dalla TOTAL e naufragata il 12 dicembre 1999 nel Golfo di Biscaglia al largo di Penmarch, in Bretagna. 


L’ERIKA fu costruita nel 1975 in Giappone dai cantieri Kasado-Docks Ltd. di Kudamatsu codice scafo n° 2841. Originariamente chiamata Shinsei Maru, era la seconda di una classe di otto navi identiche costruite tra il 1974n e il 1976. Lunga 184 metri e suddivisa in 14 tanche, l’Erika era concepita come vettore versatile di prodotti petroliferi (grezzo e raffinato). Si componeva di tredici cisterne, di due linee di manutenzione e due cisterne di decantazione (ovvero cisterne adibite alla raccolta di residui oleosi, slop-tank). Era classificabile come "pre-MARPOL", essendo dotata di scafo semplice e non disponendo di cisterne di zavorra separata. La sua portata lorda era di 37.283 tonnellate, aveva un  pescaggio di 11 m. ed era alimentata da un motore di 13.200 CV  nella parte poppiera che le permetteva una velocità di 15 nodi. Il suo equipaggio  era composto da 26 persone.

Durante la sua carriera ha modificato otto volte nome e armatore, tre volte bandiera,  tre volte Società di Classificazione, e quattro volte gestore nautico. 

Tipo

petroliera

Proprietà

Tevere Shipping Co. Ltd.

Registro navale

RINA

Porto di registrazione

Valletta, (Malta)

 

Costruttori

Kasado-Docks Ltd.

Cantiere

Kudamatsu (Giappone)

Varo

1975

Radiazione

1999

Destino finale

naufragata il 12 dicembre 1999 al largo della Bretagna

Caratteristiche generali

Stazza lorda

37,283 DWT

Lunghezza

184,03 mt

Larghezza

28,05 mt

Pescaggio

11,027 mt

Propulsione

Un motore Diesel Sultzer con potenza di 13.200 CV, una elica

Velocità

15,2 nodi

Capacità di carico

37.283  (tpl)

Equipaggio

26 persone

 

 

 

YouTube

IL NAUFRAGIO DELLA PETROLIERA

ERIKA

https://www.youtube.com/watch?v=Tr42-A6nG9Q

53 minuti

 

- Il filmato a colori che vi propongo offre una suspense e una drammaticità rare. Le condizioni meteo del golfo di Biscaglia erano pessime, e risultavano addirittura proibitive per una nave che non possedeva più i requisiti necessari per affrontarle in sicurezza. Questa è la mia riflessione sul tragico accaduto.

- Il filmato inizia con diapositive didattiche e animazioni che facilitano la comprensione delle cause del disastro, evidenziando flessioni eccessive dello scafo sollecitato dal moto ondoso.

- Successivamente, attraverso immagini simulate di bordo, assistiamo alla coraggiosa ispezione dell'equipaggio, che segnala al Comandante numerose spaccature nello scafo. Da quel momento, dal ponte di comando scatta la richiesta di soccorso al porto francese più vicino.

- La seconda parte è dedicata alla difficile operazione di salvataggio fattibile grazie a un elicottero, che riesce a recuperare tutto l’equipaggio. Purtroppo, i tentativi dei potenti rimorchiatori di agganciare la poppa della nave spezzata in due tronconi si rivelano vani, con la restante parte prodiera della ERIKA già affondata.

- Nella parte finale, viene mostrato l'immane disastro ecologico che ha colpito le coste di ben quattro dipartimenti francesi. Le immagini e i dati proiettati dal filmato ci lasciano senza parole.

 

- A questo punto il nostro pensiero va all’affondamento della super petroliera HAVEN avvenuto l’11 aprile 1991 nel tratto di mare davanti Arenzano (Genova). Cinque furono le vittime dell’equipaggio, e si trattò del più grave disastro ecologico nel Mediterraneo. Bruciarono circa 90 000 tonnellate di petrolio greggio delle 144 000 presenti al momento dell'incidente oltre alle circa 1000 tonnellate di combustibile. Una parte del carico, stimato in una quantità compresa tra 10.000 e 50.000 tonnellate, (soprattutto le componenti più dense del greggio) è depositato tuttora negli alti fondali tra Genova e Savona. 

 

- Tra le due tragedie, HAVEN ed ERIKA, sono passati quasi 9 anni segnati da altre tragedie simili e da numerose chiacchiere sulla SICUREZZA della navigazione e delle coste, che però non trovano finanziatori. Eppure, tutti conoscono i costi elevatissimi della “linfa” che alimenta questo nostro folle mondo!

 

Lista dei maggiori disastri petroliferi

Nel seguito, ordinata a ritroso nel tempo per data di inizio, viene presentata una lista dei disastri petroliferi con una quantità di greggio disperso maggiore di 100 tonnellate. 

 

Disastri petrolifero/petroliera

                 Luogo

                Data.

        Tonnellate                di greggio

Disastro di Noril'sk

Russia

2020

21000

Disastro petrolifero di Santa Barbara

Santa Barbara, Stati Uniti

21 maggio 2015

Disastro petrolifero di Tauranga del 2011

Tauranga, Nuova Zelanda

5 ottobre 2011 

340

Piattaforma petrolifera Gannet Alpha

a 180 km da Aberdeen, Scozia

10 agosto 2011 

200

Disastro petrolifero del fiume Yellowstone del 2011

(Compagnia "Exxon Mobile", già responsabile del disastro Exxon-Valdez)

Fiume Yellowstone, Billings, Stati Uniti

4 luglio 2011

135 (>[9]

Collisione tra MSN Chitra e MV Khalijia 3

al largo di Mumbai, India 

7 agosto 2010

> 50

Dalian (2 oleodotti)

Porto mercantile di Dalian, Cina

16 luglio 2010

1.500

Collisione tra Bunga Kelana 3 (nave cisterna) e Mt Waily (nave cargo)

al largo di Singapore, Malaysia

24 maggio 2010

2.000

Disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon

Golfo del Messico, Louisiana

20 aprile 2010

414.000–1.186.000

Naufragio nave cargo cinese Sheng Neng sulla barriera corallina

Great Keppel Island, Australia

4 aprile 2010

950 (Ne è fuoriuscita solo una parte)

Disastro petrolifero della West Cork

Costa meridionale dell'Irlanda

Febbraio 2009 

300

Disastro petrolifero del New Orleans

New Orleans, Louisiana, Stati Uniti d'America

28 luglio 2008

8.800

Disastro petrolifero di Statfjord

Mare norvegese, Norvegia

12 dicembre 2007 

4.000

Disastro petrolifero di Hebei Spirit

Mare Giallo, Corea del sud

7 dicembre 2007

Disastro petrolifero dello stretto di Kerč

Stretto di Kerč, Ucraina e Russia

11 novembre 2007 

1.000

Disastro petrolifero del 2007 della Baia di San Francisco

San Francisco

7 novembre 2007

188

Disastro petrolifero di Guimaras

Filippine

11 agosto  2006

Disastro petrolifero della centrale di Jiyeh

Libano

14 luglio 15 luglio 2006 

20.000–30.000

Raffineria di Citgo

Lago Charles

19 giugno 2006 

6.500

Prudhoe Bay

Alaska North Slope

2 marzo 2006

866

MV Selendang Ayu

Isola di Unalaska, Alaska

8 dicembre 2004

Athos 1

Fiume Delaware, USA

26 novembre 2004

860

Tasman Spirit

Karachi, Pakistan

28 luglio 2003

28.000–30.000

Bouchard No. 120

Buzzards Bay (Massachusetts)

27 aprile 2003 

320

da Wikipedia - Tre anni dopo

La M/C Prestige

Petroliera Monoscafo 

 42.820 tonn. di p.lorda  e battente bandiera delle Bahamas.  Varata nel 1975 e di proprietà della compagnia Mare Shipping, la nave naufragò il 19 novembre 2002  al largo delle coste spagnole con un carico di 77 000 tonnellate di petroio, provocando un'immensa macchia nera che colpì la vasta zona compresa tra il nord del Portogallo fino alle Landes, in Francia,  e causando un disastro ambientale alla costa galiziana, episodio che viene ricordato come il più grande disastro ambientale della Spagna.

13 novembre 2002

63.000

 

Riportiamo dal POST

Mercoledì 26 settembre 2012

 

Le condanne per il naufragio della petroliera ERIKA

 

 

La Corte di Cassazione di Parigi ha confermato che la compagnia petrolifera Total è responsabile del più grande disastro ambientale mai avvenuto sulle coste francesi.

 

La Corte di Cassazione francese ha confermato ieri tutte le condanne per il naufragio della petroliera Erika, comprese quelle che ritenevano la compagnia petrolifera Total (una delle prime quattro al mondo) responsabile del disastro ambientale avvenuto il 12 dicembre 1999 al largo della Bretagna. La Corte ha anche stabilito un’ulteriore responsabilità per la Total che la corte di appello di Parigi, nel 2010, aveva invece escluso a causa di una convenzione internazionale: la compagnia che ha noleggiato la petroliera ha anche commesso un reato di imperizia perché consapevole che la nave era vecchia – aveva 25 anni – e che i lavori di manutenzione erano stati eseguiti per ridurre al massimo i costi.

Total dovrà dunque partecipare al risarcimento sul piano civile dei danni causati e pagare una multa pari a 375 mila euro: si tratta di una decisione soprattutto simbolica, ma comunque importante. Sono state confermate anche le condanne all’armatore italiano Giuseppe Savarese (proprietario della petroliera), al gestore Antonio Pollara e alla società Rina che aveva rilasciato il certificato di navigazione. 

Complessivamente Total, Rina e gli armatori dovranno versare alle parti civili (lo Stato francese, un certo numero di istituzioni locali, regionali, comunali e alcune associazioni ambientaliste) 200 milioni e 600 mila euro di danni.

Nel dicembre del 1999, la petroliera Erika, battente bandiera maltese, si era spezzata in due al largo della Bretagna a seguito di una tempesta: trasportava circa ventimila tonnellate di petrolio che si dispersero in mare, uccisero 150 mila uccelli, contaminarono circa 400 chilometri di costa ed ebbero pesanti conseguenze per l’economia degli abitanti della costa atlantica.

Con questo processo per la prima volta nel diritto francese è stato stabilito il diritto all’indennizzo per le vittime di un disastro ambientale. Gli avvocati della compagnia petrolifera, prima di ieri, speravano di cambiare il verdetto avendo chiesto l’annullamento del procedimento per difetto di procedura. La loro richiesta si basava sul fatto che Erika, di proprietà italiana, al momento del naufragio si trovava fuori dalle acque francesi e batteva bandiera maltese. Speravano dunque di limitare l’applicabilità della giurisprudenza francese e sostenevano che in caso contrario ogni decisione sarebbe stata contro le convenzioni internazionali che prevedono invece che la responsabilità degli incidenti sia dei proprietari delle navi e non delle compagnie che le noleggiano. La loro interpretazione è stata però respinta dalla Corte.

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

Una veduta aerea della petroliera Erika che affonda, 13 dicembre 1999 (AP Photo/Marine Nationale/French Navy, File)

 

 

Alcuni membri dell’equipaggio della petroliera Erika evacuano la nave a bordo di una scialuppa di salvataggio dopo il naufragio (AP Photo/Marine Nationale)

 

 

Una veduta della petroliera Erika che affonda, 12 dicembre 1999 (AP Photo/Marine Nationale)

 

Una macchia di petrolio nel luogo dove è affondata la petroliera Erika, 15 dicembre 1999 (VALERY HACHE/AFP/GettyImages

 

Una nave della marina francese dotata di pompe si avvicina a chiazza di petrolio fuoriuscita dal naufragio dell’Erika, 16 maggio 1999 (AP Photo/David Ademas,POOL)

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/Ouest-France, Marc

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio, 29 dicembre 1999 (AP

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/Ouest-France, Marc Roger)

 

Una foto scattata il 4 gennaio 2000 sull’isola di Noirmoutier mostra un uccello coperto di olio a causa del naufragio della petroliera Erika (MARCEL MOCHET/AFP/GettyImages)

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/ Bob Edme)

 

 

   LA SVOLTA

DOPPIO SCAFO PER LE PETROLIERE

 

 

Doppio scafo, dal 2015 obbligatorio per tutte le petroliere

 

Doppio scafo, entrerà in vigore il prossimo 20 luglio 2012 il regolamento 13 giugno 2012, n. 530/2012/Ue sull'introduzione obbligatoria di petroliere a doppio scafo, che abroga e sostituisce il regolamento 417/2002/Ce.3 lug 2012

Il testo prevede il divieto di circolazione delle petroliere monoscafo allo scopo di prevenire l’inquinamento causato da petrolio così come previsto nella Convenzione Marpol 73/78 di cui il regolamento è attuazione, ed è una rifusione del regolamento 417/2002. Unica novità del nuovo testo è il potere attribuito alla Commissione di adottare atti delegati (ex articolo 290 del Trattato di Lisbona) per adattarlo alle modifiche della Convenzione e purché non amplino l'ambito di applicazione del regolamento.

Ai sensi del regolamento (articolo 7) il termino ultimo per la circolazione delle petroliere con solo doppio fondo scatterà nel 2015, il giorno dell'anniversario della data di consegna della nave.

 

Nel 1992 è stata varata l'ISOLA BLU, (foto sopra) la prima nave a doppio scafo Armatore Barbaro, costruita in Italia dalla Petrotank JV, società nata dalla collaborazione con F.lli D'Amico, Rosina, Ferruzzi e Almare. Il socio John Gatti seguì la costruzione (Ancona) e in seguito ne prese il Comando.

 

 

       Carlo GATTI

         Rapallo, 25 Ottobre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


T/b MICHELANGELO - UNA TRISTE STORIA

 

LA MICHELANGELO - UNA TRISTE STORIA

 

Il 16 Settembre 1962, a causa dei numerosi cambiamenti sui progetti originali, finalmente lo scafo della Michelangelo scese in mare. Quel giorno nei cantieri navali di Sestri Ponente (Genova) fu presente al varo anche un rappresentante della Chiesa e in questa occasione Giuseppe Zuccoli, il presidente in carica della Società Italia Navigazione, la compagnia armatrice. Fu Laura Segni, la moglie del Presidente della Repubblica a dare il via al varo.

 

 

L’11 Marzo 1965 il grande liner italiano iniziò le prove in mare che superò con successo.
L’unico difetto che si presentò furono le forti vibrazioni allo scafo quando procedeva alla massima velocità. Il problema fu risolto nell’inverno successivo con la sostituzione delle eliche.

Il 21 Aprile 1965, dopo ben 5 anni dalla posa della chiglia. La Michelangelo venne consegnata. Costò complessivamente 75 miliardi di Lire di allora. L’Italia di Navigazione lo considerò un investimento conveniente.
 Come ultimo collaudo, prima del suo viaggio inaugurale, partì per una crociera nel Mediterraneo.

 

 

 

 

Il 12 Maggio 1965, l’ultimo gioiello della Marina Italiana partì con grandi festeggiamenti e con 1.495 passeggeri per il suo viaggio inaugurale da Genova a New York al comando del capitano Mario Crepaz.
Il viaggio inaugurale si svolse con un servizio perfetto. Due mesi più tardi si unì la gemella Raffaello.
La Michelangelo guadagnò molta popolarità fra i non pochi VIP che scelsero di attraversare l’Atlantico via mare.

La gente di mare si affezionò presto alla nave ed il soprannome Mic l’accompagnò nei porti e nelle traversate oceaniche.

 

 

 

Nel gennaio 1966, la Michelangelo rientrò in cantiere per eliminare le suddette vibrazioni, apportando adeguate modifiche alle eliche che non solo eliminarono le pericolose vibrazioni, ma la resero anche più veloce raggiungendo la notevole velocità di 31,59 nodi (quinta nave più veloce al mondo dopo la Queen Elizabeth, Queen Mary, United States e France)  superando anche la Raffaello che prima delle modifiche era leggermente più veloce, grazie ad un profilo leggermente diverso dello scafo. In ogni caso la velocità di crociera venne mantenuta a 26,5 nodi, per limitare i costi di esercizio.

Nonostante avesse passato con successo la revisione nell’Aprile 1966, quell’anno si rivelò il più tragico per il servizio della Michelangelo.

 

UN’ONDA ANOMALE LA RESE FAMOSA...

Il 12 Aprile 1966, mentre aveva superato di poco la mezza traversata e si trovava a due giorni e mezzo da New York, si scontrò con un’onda anomala che sfondò la parte frontale delle sovrastrutture uccidendo due passeggeri, un membro dell’equipaggio, e facendo piu’ di 50 feriti, fra cui 10 in gravi condizioni.

 

ED ECCO LE DRAMMATICHE FOTO ....

 

 

 

 

 

Era la mattina del 12 Aprile 1966, la Michelangelo stava procedendo verso New York con 745 passeggeri a bordo.
Quel giorno si sviluppò una tempesta di enorme potenza, molte navi si trovarono in difficoltà, 5 marinai furono spazzati via dal ponte di coperta della nave da carico inglese Chuscal.
Erano circa le 10 del mattino quando un’onda anomala si presentò di fronte al transatlantico italiano proprio nel momento più sfavorevole per essere affrontata.
Il comandante Giuseppe Soletti, alla sua ultima traversata, devio’ verso sud dalla rotta standard, per evitare il centro della tempesta. Venne consigliato ai passeggeri di stare in cabina, per evitare di essere sbattuti tra le paratie dei corridoi. A bordo c’era anche lo scrittore tedesco Gunther Grass con la moglie e l’ammiraglio Giurati, il presidente dell’Italia Navigazione.


 

Claudio Suttora, il Primo Ufficiale, racconta: Le onde diventavano sempre più alte e violente, e proprio alla fine di un grande beccheggio ci siamo trovati davanti quellonda enorme. La Michelangelo, che fino a quel momento era stata in grado di risalire le onde, infilò dritta la prua in quellenorme, spaventoso e insuperabile muro dacqua nessuno di noi si rese conto di cosa stesse per succedere, quellonda ci si è formata davanti quasi allimprovviso per fortuna lurto non fu così forte da danneggiare anche il timone, così riuscimmo presto a rimettere la nave contro le onde.


Claudio Cosulich, all’epoca Comandante in 2a della Michelangelo, racconta: Quando arrivò londa, non ero sul ponte di comando, unonda precedente aveva scoperchiato una presa daria sul ponte di prua ed ero andato con quattro volontari a riparare il danno, per evitare che lacqua entrasse. Avevamo appena finito e stavamo scendendo una scaletta sotto il ponte cademmo tutti rovinosamente fu come incassare in pieno una cannonata da 305 mm.

L’onda scavalcò la prua alta circa 18 metri e sfondò le lamiere dalla parte frontale della nave, distanti piu’ di 70 metri dalla cima della prua, e molti oblo’ spessi quasi 2 centimetri fin sul ponte di comando, a 25 metri dalla linea di galleggiamento.
Due passeggeri, che avevano la cabina nella parte colpita dall’onda, morirono quasi subito, un membro dell’equipaggio morì poco dopo. I feriti furono piu’ di 50, 10 dei quali, gravi. Lo stesso Cosulich, che in seguito divenne l’ultimo comandante della Michelangelo, riportò una serie di fratture al braccio sinistro.
Poco dopo l’incidente il transatlantico venne raggiunto da una nave militare americana che fornì assistenza medica supplementare, mentre I medici della Michelangelo lavorarono ininterrottamente fino all’arrivo a New York.

A New York la Michelangelo si fermò 3 giorni per le riparazioni temporanee, consistenti nella copertura della parte colpita, mentre al ritorno in Italia venne adeguatamente riparata e rinforzata, sostituendo le lamiere della parte frontale, fatte in lega di alluminio, con lamiere di acciaio in modo da renderla più resistente in futuro. Lo stesso lavoro venne eseguito sulla Raffaello.

 

Per diminuire il peso delle navi e ridurre il consumo di carburante, l’alluminio era infatti utilizzato per le sovrastrutture di molte navi moderne negli anni ’60, così dopo l’incidente della Michelangelo anche altre navi come il France e lo United States ebbero la parte frontale rinforzata in acciaio.
Questo fu l’unico grave incidente della storia della Michelangelo.

 

 

UNA FESTA CHE I PASSEGGERI PORTAVANO NEL CUORE PER SEMPRE!

 

Il Ponte di comando

 

Negli anni in cui i due grandi LINERS italiani erano  impiegati nei viaggi di linea attraverso l’Atlantico, il momento del loro incrocio era l’attesa occasione di una grande festa per i passeggeri. Le navi viaggiavano infatti intorno ai 26 nodi, quindi si sarebbero incontrate  ad una velocità relativa di oltre 50 nodi. Nel momento calcolato del passaggio molto ravvicinato al traverso, mantenevano ovviamente una distanza di sicurezza, “le navi suonavano le sirene, i passeggeri sparavano fuochi artificiali, tiravano palloncini volanti e le possenti onde scuotevano le navi a vicenda.

 

LINIZIO DELLA FINE....

IN UN SOLO ANNO, ERA IL 1970, LA COMPAGNIA AEREA PAN AMERICA REGISTRO IL TRASPORTO DI UN MILIONE DI PASSEGGERI TRA LEUROPA E GLI STATI UNITI.

 

In quell’anno divenne sempre più chiaro che l’epoca romantica dei transatlantici era ormai tramontata.  il 96% dei viaggi transatlantici avvenivano ad alta quota.
La compagnia inglese Cunard ritirò dal servizio le sue due regine (QUEEN MARY E QUEEN HELIZABETH) rispettivamente nel 1967 e 1968. 
Nello stesso anno la United States Line ritirò dal servizio la sua unità principale, la “UNITED STATES”.

La gestione era diventata antieconomica. La cruda realtà era questa: quando la nave viaggiava con solo 400 passeggeri a bordo, erano stipendiati 1.450 persone di equipaggio, e quando l’Italia Navigazione cercò di negoziare con i rappresentanti sindacali la riduzione dei componenti l’equipaggio, i sindacati rifiutarono ogni soluzione chiedendo altresi’ di aumentare le loro paghe. Venne allora in aiuto il Governo italiano, che accettò di sovvenzionarne la gestione delle navi.

“Non aiutarono la situazione i numerosi scioperi, indetti successivamente dall’equipaggio per futili motivi come quello indetto (non sappiamo se della Michelangelo o Raffaello) perché non veniva loro servita acqua minerale in bottiglia, ma acqua del rubinetto.
L’Italia di Navigazione, cercò allora di compensare le perdite riducendo la velocità di crociera, ma non ne ebbe un apprezzabile ritorno economico. Un’altra iniziativa fu quella di offrire tariffe a prezzi speciali verso gli Stati Uniti, alla fine del 1972. Nonostante ciò, per molte persone queste tariffe stracciate non furono un incentivo sufficiente per intraprendere un viaggio turistico. Fu presto chiaro per quasi tutti che il mercato del trasporto-passeggeri transatlantico era ormai troppo piccolo per due navi così grandi.

La situazione peggiorò nel giro di una notte quando il prezzo del petrolio salì da 35$ a 95$ al barile.  Come ben sappiamo, i transatlantici di quell’epoca avevano bisogno di grandi quantità di carburante per cui i loro costi di esercizio diventarono enormi.

Nel 1974 e 1975 la Michelangelo venne impiegata per gran parte del tempo nelle crociere divenute nel  frattempo il business delle vacanze. Ma la MIC era considerata troppo grande per il mercato crocieristico di allora. Non solo, il problema che impediva lo sfruttamento al meglio delle gemelle Michelangelo e Raffaello come navi da crociera era la suddivisione interna in tre classi, non idonea ad un uso da crociera.

L’Italia di Navigazione tentò comunque di impiegare la Michelangelo in diversi tipi di crociere, dalle classiche ai Caraibi, ai viaggi speciali a Rio de Janeiro, a Capo Nord. Ma nessuna delle rotte provate ebbe successo, così il 26 Giugno 1975 la Michelangelo partì tristemente da New York, per il suo ultimo viaggio verso Genova.

“Nel 1975, i finanziamenti del governo ammontarono a 100 milioni di lire al giorno, 700 dollari per passeggero trasportato.
Intanto la stampa inizio’ a chiedersi perché mai i contribuenti avrebbero dovuto continuare a pagare per mantenere questi “monumenti galleggianti, rappresentanti di un’era ormai finita” e proclamarono che queste navi dovevano essere affondate anziché sovvenzionate. Il governo annunciò che non poteva più continuare a pagare 100 milioni di lire al giorno per tenere le due Gemelle in funzione e nella primavera 1975 comunicò allItalia Navigazione che le sue navi non avrebbero più ricevuto alcuna sovvenzione.

Questo provvedimento significò la fine per le due fantastiche Gemelle.


Lultimo viaggio fu ben lungi dallessere un addio brillante e solenne, la biblioteca e la lavanderia di bordo erano chiuse durante lintero viaggio, le sigarette e le bevande alcoliche finirono, i negozi erano chiusi, laria condizionata venne spenta in mezzo allAtlantico, il servizio di bordo era approssimativo e inefficiente, insomma tutto il contrario di quello che la rese famosa. Inoltre, accessori e suppellettili incustoditi andarono a ruba, prelevati dai passeggeri che non volevano rinunciare ad un ultimo souvenir. Prima ancora che i passeggeri potessero lasciare la nave, lequipaggio incominciò a smontare e impacchettare la posateria e tutta le ceramiche.” 

 

Nella foto. La Messa domenicale in navigazione. da sinistra Carlo Gatti, a seguire il Comandante in 2° Claudio Cosulich, il Commissario Governativo, il Comandante della M/n VULCANIA Giovanni Peranovich ed il Capo Commissario di bordo.

 

Chi scrive, è il giovane pilota del porto di Genova che si diede “volontario” per l’ultimo ormeggio della MICHELANGELO (come nave passeggeri) a ponte Andrea Doria. Non era il mio turno, ma spiegai ai colleghi che il comandante della MIC era stato il mio 1° Ufficiale sulla M/n Sarturnia ed in seguito anche il mio Comandante in 2a sulla M/n Vulcania e che sarei stato felice di salutarlo per rinnovargli la mia stima e vicinanza nel momento piu triste e difficile della sua carriera.

 

 

Il 12 Luglio 1975, il Comandante triestino Claudio Cosulich fu lultimo a comandare la Michelangelo come nave passeggeri. La manovra dormeggio ben riuscita venne salutata da voci che acclamavano gridando Bravo Capitano! sia da bordo, sia dalle migliaia di persone che accorsero per assistere dal molo.

Così dopo soli 10 anni di servizio, 121 traversate atlantiche e 245.839 passeggeri di linea trasportati, la più prestigiosa unità di bandiera italiana ammainò la bandiera.


 

 

 

Dopo un breve periodo trascorso a Genova sotto l’occhio interessato di tanti armatori dello shipping internazionale, la Michelangelo venne posta in disarmo nella baia di Portovenere a La Spezia, dove venne raggiunta poco tempo dopo dalla gemella Raffaello, malinconicamente vicine, presso i famosi cantieri demolitori situati proprio in quella zona, ma il momento della loro demolizione era ancora lontano, la loro attesa fu lunga ed estenuante: la maggior parte dei possibili acquirenti le giudicarono troppo grandi, tanto per cambiare... 



Successivamente, con molta sorpresa, entrò in scena uno strano personaggio: lo Shah di Persia (oggi Iran) che mostro subito d’essere interessato all’acquisto delle due “meraviglie” per impiegarle “squallidamente” come caserme galleggianti.
L’Italia di Navigazione accettò tra il profondo dispiacere di tutte le persone che l’avevano costruite, degli equipaggi che l’avevano avute come casa, oltre ai tantissimi passeggeri in cui era rimasto un bellissimo ed indelebile ricordo di tante traversate oceaniche.

Il 12 Dicembre 1976 vennero vendute per 35 miliardi di lire in totale, quando ne erano costate 150.

Così nel Luglio 1977 la Michelangelo e la Raffaello, private del loro arredamento originale, affrontarono lultimo viaggio spinte dalle loro potenti turbine, con destinazione Bandar Abbas.

In quell’anno, la MIC venne trasformata in nave caserma, ospitante 1.800 persone.  Per 15 anni la Michelangelo fu utilizzata in quel ruolo mantenendo il suo nome e 50 manutentori italiani inclusi nel suo equipaggio che si occupavano della cura della nave.

Quando pero alla fine degli anni 70 lo Shah di Persia venne cacciato dal potere, il personale italiano venne rimandato in Italia.  

 

“Nel 1978 fu proposta una ristrutturazione che permettesse il riutilizzo delle due unità come navi da crociera rivolte ad una clientela di lusso: la loro capacità ricettiva sarebbe stata ridotta a 1300 passeggeri e, pur rimanendo di proprietà iraniana, avrebbero navigato, sotto una conveniente bandiera di copertura nelle acque del Mediterraneo e dei Caraibi. Il progetto prevedeva anche un nuovo nome: Michelangelo e Raffaello sarebbero diventate Scià Reza il Grande e Ciro il Grande.

 

Alla commissione di esperti giunta appositamente dallItalia per verificare la fattibilità del progetto e per effettuare la manutenzione, apparve evidente il grave stato in cui versavano le strutture: gli scafi erano arrugginiti, la pavimentazione lignea dei ponti scoperti iniziava a deformarsi e gli ambienti interni erano ormai in balìa di armate di topi.Quelle che pochi anni prima erano state le ammiraglie della flotta italiana non avrebbero mai più navigato.

 

 

Purtroppo, da quelle parti del globo, non esisteva alcuna tradizione marinara degna della fama di queste due navi che caddero nella piu’ totale trascuratezza fino a ricoprirsi di ruggine e “quelli che un tempo erano saloni degni di una reggia, divennero immensi alberghi per topi!

Così, nel 1991, gli ufficiali iraniani decisero che la nave non fosse più utilizzabile in nessun modo e venne venduta a peso ai demolitori pakistani. Ma quello di cui c’era bisogno non erano l’acciaio, il rame o altre materie prime, ma la capacità e la volontà di dirigere queste navi verso nuovi impieghi e con un’amministrazione piu’ seria.


La Michelangelo fu rimorchiata fino Karachi, dove arrivò il 7 Giugno 1991 e venne demolita sulla spiaggia. Per diversi anni, i venditori ambulanti di Karachi vendettero i più svariati souvenir della Michelangelo: accessori per cucine, rubinetti, e persino i water…

Questa fu la fine della nave più grande, stupenda e innovativa della nostra Marina.

 

 

UNA TRISTE DEDUZIONE

 La storia delle navi passeggeri Michelangelo e Raffaello rappresenta non solo un’epoca d’oro per il trasporto marittimo, ma anche un monito sui danni di visioni errate e strategie manageriali inefficaci. Nonostante la loro magnificenza e l'innovazione ingegneristica, le decisioni politiche ed economiche che hanno accompagnato la loro costruzione e gestione si sono rivelate disastrose. L’overcapacity, la mancanza di una visione a lungo termine e l’incapacità di adattarsi a un mercato in rapida evoluzione hanno portato a costi enormi, che si sono tradotti in perdite miliardarie per l'Italia. Questi errori non solo hanno minato il potenziale delle due navi, simboli di orgoglio nazionale, ma hanno anche illustrato la necessità di una programmazione più attenta e lungimirante, capace di rispondere alle sfide di un’industria in continuo mutamento. La lezione da trarre è che il progresso tecnologico deve sempre essere accompagnato da una strategia ben definita e una comprensione approfondita del mercato globale.

 

 

IN RELAZIONE ALL'ARGOMENTO TRATTATO,  SUGGERIAMO LA LETTURA DEI SEGUENTI ARTICOLI PRESENTI SUL SITO DI

MARE NOSTRUM RAPALLO

 

- I FILETTI DEL MONTANA

https://www.marenostrumrapallo.it/lucardi/

di Carlo Lucardi

- LE NAVI DI IERI E DI OGGI

https://www.marenostrumrapallo.it/le-navi-di-ieri-e-di-oggi/

di Carlo Gatti

 

- NEW YORK - L’ALTRA SPONDA DEL NEW WORLD

https://www.marenostrumrapallo.it/new-york-laltra-sponda-del-nostro-amato-new-world/

di Carlo Gatti

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 21 ottobre 2024