PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

Quando una nave deve uscire da un bacino di carenaggio, galleggia al centro di una vasca e, per imbarcare il pilota, si utilizza una gabbia aperta, che viene sollevata da una gru per permettergli di raggiungere il Ponte di Comando.

Fino a quando la gabbia è a terra, con lo sguardo si abbraccia la vita del cantiere confinata tra gli edifici e gli ostacoli che la vista incontra.

A venti metri di altezza si intravedono il Molo Vecchio, la testata di Ponte Assereto, le gru della Sanità…

A quota quaranta "ci si affaccia alla finestra": i monti spariscono nell’acqua a Capo Mele, il palazzo della Nira nasconde gli yachts della marina; s’intuisce appena  l'esistenza  dell’imboccatura e, alle spalle, una fetta del Porto Antico.

A sessanta metri di altezza si apre un nuovo mondo e tutto appare sotto controllo: Punta Chiappa sullo sfondo a Levante, le navi che atterrano con la prua su Punta Vagno, i vapori alla fonda a sud della Diga, la Sanità e  l’intero arco del Porto Antico, il canale di Sampierdarena e oltre, fino alle gru del Porto Contenitori VTE prossime all’imboccatura  di ponente.

Si vedono le navi evoluire tra le testate dei pontili e le bettoline transitare da una banchina all’altra, mentre le cicatrici bianche che serpeggiano tra le calate fanno intuire a colpo d'occhio l'intensità e la direzione del vento, che per motivi orografici fa breccia e rimbalza con angolazioni diverse.

Dall'orientamento delle navi alla fonda si percepisce la direzione e la forza della corrente, e con uno sguardo si riesce a valutare la dinamica e il potenziale pericolo per una nave in uscita che andrebbe a incrociarne un’altra in entrata nel punto più stretto.

Da quell’altezza appare chiara l'importanza di un punto di vista che abbracci tutto il golfo di Genova.

Nonostante la strumentazione abbia assunto un ruolo determinante e abbia alzato il livello di sicurezza, mettendo a disposizione  numerose informazioni estremamente importanti, è pur sempre fondamentale che questi imput vadano interpretati e utilizzati come ausilio alla formazione pratica costruita sull'esperienza.

Renzo PIANO: Il Progetto della Torre Piloti del Porto di Genova

I maggiori porti del mondo hanno reti anemometriche, correntometri, un'adeguata illuminazione delle banchine e un programma periodico di dragaggio con monitoraggio sistematico delle quote dei fondali; e ovviamente dispongono di una Torre di Controllo che, oltre a raccogliere i dati e a utilizzarli per la sicurezza della vita umana, delle strutture portuali e a salvaguardia dell'ambiente, permette all'uomo la visione diretta e l'utilizzo coerente, dopo le giuste valutazioni, di tutti gli ausili tecnologici e informatici di cui deve essere giustamente dotata.

Tutti i 25 chilometri di porto soffrono di un mancato adeguamento degli spazi, e ci si trova a gestire navi tre volte più grandi di quelle per cui è stato costruito il porto.

La posizione geografica, la direzione presa dallo sviluppo economico marittimo, le concrete possibilità che, con un’adeguata e oculata gestione delle risorse, potrebbero dar vita a uno scenario che vedrebbe Genova La Superba protagonista dello shipping in tutte le sue sfaccettature e, non ultima, l’ambizione che dovremmo avere quando si parla di Mare, di Lavoro e di Futuro, ricordando quello che siamo stati in passato, dovrebbero bastare a convincerci a guardare avanti; dovrebbero bastare a convincerci a guardare oltre; oltre alla burocrazia, oltre alle posizioni di partito, oltre ai cavilli amministrativi, drasticamente capaci di bloccare lo sviluppo di un intero paese.


I terminalisti stanno portando avanti ingenti investimenti per adeguare le strutture esistenti alle dimensioni delle nuove navi, il che vuol dire, tradotto in parole povere: quello che possono lo stanno facendo.

Gli Armatori, gli Agenti Marittimi e i portuali in genere, hanno condiviso con noi la difficile strada che ha messo la città in condizione, rispettando i parametri di sicurezza, di restare in gioco sulla piattaforma europea.


La Capitaneria ha saputo cavalcare i cambiamenti, restando arbitro e direttore di una partita complessa, giocata sul filo del rasoio.
Noi Piloti, in seguito al tragico evento del 2013, abbiamo trasferito la Stazione Operativa a Ponte Colombo che, oltre ai limiti già descritti, è dotata di una strumentazione insufficiente e permette una visione limitata a una piccola porzione del Porto Vecchio.
La posta in gioco, in termine di posti di lavoro e di affermazione di identità/risorsa economica per l’Italia e l’Europa, è molto alta.

Da sinistra: Amm. Vincenzo Melone - Arch. Renzo Piano - Dott. Luigi Merlo - C.P. Jhon  Gatti.

Nell’attesa della costruzione della nuova Torre, il destino ci ha costretti a una revisione totale del sistema Porto/Piloti/Controllo. Un progetto partito  dall’impulso deciso dell’Ammiraglio Melone e del Presidente Merlo, due persone dotate di grande senso pratico e di una lucida visione d’insieme.

Sono questi i motivi che ci devono  spingere a cogliere l'opportunità che ci è stata offerta dall'Architetto Renzo Piano come una priorità, come la possibilità di far partire il cambiamento di cui tanto ha bisogno il porto di Genova, agendo sulla parola Sicurezza, seguita dalla parola Efficienza e chiusa dalla parola Professionalità.

Dobbiamo partire dalla nuova Torre di Controllo, biglietto da visita e strumento indispensabile  per il Porto di Genova!

JOHN GATTI

Capo Pilota del Porto di Genova

Socio Fondatore dell'Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO

Questo articolo é apparso il 17 marzo 2016 sul quotidiano SECOLO XIX di Genova.


Rapallo, 20 Marzo 2016

 


MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA CHIAVARI

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA  CHIAVARI

ANTICA CASA GOTUZZO

Il Nonno era Veneto, di Segonzano in provincia di Trento, ma la madre, Gotuzzo Adele, discendente da costruttori di grandi velieri,  aveva gli antenati originari  di Portofino e Recco che si insediarono nel Rione Scogli di Chiavari ai primi dell’800. In tre generazioni, dal 1838 al 1935 il Cantiere Navale dei Gotuzzo ha costruito e varato, nel cantiere navale agli Scogli,  oltre 120 velieri oceanici. I Gotuzzo erano strettamente imparentati con i Tappani, noti costruttori nell'epoca della costruzione in legno. Sia i Tappani che i Gotuzzo provenivano da Recco dove avevano anche impiantato un cantiere navale. Matteo Tappani, "u sciu Mattè" imparò l’arte del costruire proprio da quel Francesco Gotuzzo, detto “Mastro Checco” che quando morì nel 1865 aveva ben 9 velieri in costruzione nel rione Scogli. Non solo, Matteo Tappani sposò Giulia Gotuzzo, figlia di “Mastro Checco” e sorella di Luigi. Pertanto i due più grandi costruttori di Chiavari era parenti essendo cognati. Tra i Gotuzzo, i Tappani ed altri costruttori navali come i Briasco, i Brigneti, i Piceni Gessaga, i Copello, i Sanguineti, i Beraldo ecc. a Chiavari furono costruiti e varati altre 200 velieri oceanici.

Ernani Andreatta è nato  a Chiavari nel 1935 e ha conseguito il grado di Sottotenente di Vascello della Marina Militare dopo aver frequentato l'Accademia Navale di Livorno. Passato poi alla Marina Mercantile, raggiunse il Comando di superpetroliere della Texaco Oil Co. a soli 29 anni. Terminò la sua carriera con il grado di Capitano Superiore di Lungo Corso.

Nel 1997 fonda il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta che prende il nome anche dal suo Co-fondatorre Franco Tommasino  detto “Mario”.  Sino al 2001 viene ospitato nei locali sottostrada dell’Antica Casa Gotuzzo a Chiavari. Dal 2001 sino al 2008 il Museo è stato ospitato presso gli uffici della Promoprovincia a Calvari, in Val Fontanabuona. Nel 2008, la Scuola Telecomunicazioni FFAA di Chiavari, consapevole della rilevanza storica e tradizionale del Museo Marinaro e allo scopo di preservarne e valorizzarne il patrimonio culturale decise di ospitarlo al suo interno assieme alla notevole biblioteca, principalmente di mare,  che raccoglie oltre 6.000 volumi.

Proprio nel 2013 il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta ha avuto il riconoscimento dello (SMM) Stato Maggiore della Marina e nel completamento della pratica di acquisizione da parte del Ministero della Marina, sarà affiancato ai Musei Navali di Venezia e di La Spezia.

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, accertato l'interesse culturale della raccolta ne ha proposto la  tutela e la valorizzazione con modalità da concordare.

Ernani Andreatta fu in gioventù un nuotatore di buon livello conquistando tre campionati Italiani (ragazzi-allievi-juniores) nelle file della Chiavari Nuoto, nella quale ricoperse in seguito anche cariche di dirigente sino alla Vicepresidenza.

A 40 anni, dopo 11 anni di comando svolse, sempre fedele alla TEXACO Oil Co., incarichi ispettivi della durata di tre anni a Taiwan (Formosa), Singapore, Hong Kong. Concluse infine il suo proficuo rapporto di lavoro con un mandato di dirigente di sei mesi presso l’Ufficio-Armamento di Montecarlo.

Il Comandante Ernani Andreatta lasciò definitivamente il mare per iniziare la carriera di Imprenditore nel settore chimico navale che lo vide grande protagonista fino al 2001. Lasciò l’attività professionale,  con la carica di Presidente e Amministratore Delegato nella UNISERVICE INTERNATIONAL: Multinazionale del settore chimico navale, da lui fondata, con uffici dislocati in tutto il mondo, con  sede finanziaria a Ginevra  e 747 porti di Assistenza Tecnica e Servizi alle navi di qualsiasi tonnellaggio.

In questi anni Ernani Andreatta acquistò grande esperienza nel settore dello Shipping partecipando ogni anno, con l'azienda di cui  sopra, al  SEATRADE SHOW di MIAMI, dove venne in contatto con il mondo delle crociere in grande crescita da molte decine di anni.

Andreatta è  socio UNUCI (Ufficiali in Congedo),  ANMI (Marinai d’Italia), Società Economica di Chiavari, Accademia dei Cultori di Storia Locale:  “O Castello” e Società Capitani e Macchinisti Navali con sede a Camogli.  E’ fondatore di altre Associazioni tra le quali il ROTARY CLUB Chiavari-Tigullio, del quale è stato presidente nel 91-92,  Associazione  Culturale "MARE NOSTRUM" di Rapallo, della Associazione  Culturale  "IL SESTANTE"  e della  simpatica Accademia dello Stoccafisso e del Baccalà della quale, orgogliosamente, si fregia di possedere la tessera n. 1. E' socio fondatore dell'Associazione "Amici del Mare e degli Scogli". Ha scritto libri sulla marineria Chiavarese e Ligure come "Chiavari Marinara dall'Epoca Eroica della Vela" e "Memorie dal Mare", un pesante volume di circa 6,5 Kg.  I proventi di queste pubblicazioni (40 Milioni del tempo), alla fine degli anni '90,   furono devoluti a Don Nando Negri, Fondatore del Villaggio del ragazzo. Andreatta é anche autore di  Libri sportivi insieme ad altri due autori, Enrico Paini ed Andrea Ferro,  come "Il Palio Marinaro del Tigullio". Da anni partecipa a conferenze, dibattiti e relazioni sempre su temi legati al mare. Ultimamente ha annoverato una vasta collezione di 4200 DVD storici e marinari. Di cui 1500 sono stati curati, montati diventandone di fatto il vero REGISTA.

“Nanni non intende mollare...!”

Questa é la frase che i suoi amici più stretti si lasciano scappare di nascosto... vergognandosi per non riuscire a tenergli il passo... Anche se gli anni non sono più “verdi”, Nanni sembra aver fatto quel celebre “patto con il diavolo...”. La sua irriducibile tenacia e passione per la storia e i valori marinari della Riviera, non accenna a placarsi e la sua verve di trascinatore implacabile contagia tutti, anche coloro, non più in tenera età, che vorrebbero finalmente dedicarsi alle passeggiate con i nipotini...

Nel 2012 dall'Associazione Culturale " o Leudo" di Sestri Levante gli è stato conferito il titolo di "Nonno dell'Anno". L’ANPAI, Associazione Nazionale Poeti e Artisti,  gli ha  conferito nel 2004 il premio “GENTE DI LIGURIA” con la seguente motivazione: "per l’impegno a favore della cultura, della valorizzazione, della tradizione e della storia della terra ligure".

L'ultima sua proposta culturale, insieme ad Enrico Paini, coautore, è stata quella di colmare un vuoto sulla vita e le imprese di quel grande Chiavarese che fu Enrico Millo. Il 15 Dicembre 2015 c.a. all'auditorium  San Francesco di Chiavari è stato  presentato  il volume, "ENRICO MILLO la Vita e le Imprese", di 560 Pagine e centinaia di fotografie d'epoca. Il volume ha avuto il patrocinio del Comune di Chiavari e dello Stato Maggiore della Marina assieme alla Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari.

Come nacque il Museo che ci accingiamo a visitare?

A questo punto della ricostruzione storica, entra in scena il signor Franco “Mario” Tommasino, un caro amico di Nanni, tecnico raffinato della RAI di Genova, esperto costruttore di modelli navali radiocomandati.

Preso atto della volontà di Nanni di far riemergere “il passato imprenditoriale della sua famiglia”, ma soprattutto la grande storia della costruzione navale e armatoriale legata al mare il 7 Luglio 1997 viene fondato il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta.

Il materiale emerso da quei sottofondi dell’Antica Casa Gotuzzo e dalla Casa di Corso Buenos Aires,  a quel tempo N. 31, costruita dal Comandante Ernani Andreatta Senior su terreni dei Gotuzzo, (ora non più della famiglia Gotuzzo/Andreatta) aveva conservato lo stesso profumo salmastro del mare e del Cantiere. Ogni angolo era rimasto intriso del suo odore di un tempo: pece, pitture, diluenti, derivanti del catrame usato dai calafati, seste di pini tagliati dai segantini, di sudore e vite vissute tra legni di querce sagomate dai maestri d’ascia, tra i cordami degli attrezzisti e pezzi di tela pronta per essere tagliata dai velai. C’era ancora tanto materiale pronto per riprendere a ricostruire navi d’altri tempi, magnifiche da vedersi, ma diventate ormai improponibili con l’avvento del motore e dello scafo in ferro. Putroppo, anche l’uomo nel frattempo era cambiato, non viveva più sulla spiaggia dove in gran segreto spiegava alle maestranze, con disegni improvvisati sulla sabbia, le “linee d’acqua” che subito dopo venivano cancellate con una pedata per non diffondere i segreti dell’arte di famiglia.

Ma il museo ha avuto anche straordinarie donazioni dai discendenti dei Maestri d’ascia, Calafati, Carpentieri ecc, che per molti anni avevano prestato la loro opera nei cantieri navali dei Gotuzzo che operarono dal 1838 al 1935, anno in cui il l’attività cantieristica, purtroppo, fu venduta a Mariano delle Piane, un imprenditore tessile di Novi ligure.

Tutto questo oggi é quasi inspiegabile se non fosse per questo “mondo sommerso” che riaffiora in modo direi “archeologico” per urlare finalmente il loro pezzo di storia al mondo distratto dai computer, dai loro programmi di costruzione già predisposti, che partono dal risultato finale per risalire all’impostazione della chiglia, senza neppure un calcolo aritmetico ...

Così iniziò l’opera di salvataggio di migliaia di testimonianze, piccole gemme di un universo legato al canto del cigno del mondo della vela; ultime pagine di un libro che le nuove generazioni devono leggere per comprendere quanto l’uomo moderno sia DEBITORE in fatto di MARINERIA verso i loro avi. Uomini veri, professionisti del mare non solo “oceanico”, ma soprattutto “costiero”, dove si aveva la capacità di CREARE con l’ingegno, la fantasia e tanta umiltà ricoperta di sudore.

Carlo GATTI

 

MISSIONE E SCOPI DEL MUSEO MARINARO

TOMMASINO-ANDREATTA

STORIA, TRADIZIONI E CULTURA MARINARA

Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta come detto,  viene fondato a Chiavari, nell’Antica Casa Gotuzzo in Piazza Gagliardo 19,  il 7 Luglio 1997 da Franco “Mario” Tommasino, deceduto nel 1998, e da Ernani Andreatta. Il Museo nasce come iniziativa privata per il grande contributo di Franco Tommasino che dona al museo quasi 30 modelli navali e altri rari reperti nel campo della radio d’epoca Marconiana ma anche  sull’onda del successo ottenuto con la pubblicazione dei libri “Chiavari Marinara dall’Epoca Eroica della Vela - Storia del Rione Scogli”, esaurito nonostante le 4600 copie di due edizioni 1993 e 97, e “Memorie dal Mare - L’immenso libro di Papà Lucerna”, edito nel 97 in 6700 copie del quale ne rimangono pochi esemplari, con la relativa video cassetta o DVD in lingua Italiana, Inglese, e Spagnolo. Attraverso queste pubblicazioni ed il Museo,  viene operato uno straordinario “salvataggio storico” di tradizioni, di cultura e di lavoro che si sarebbe altrimenti perduto. Nel 2013, Ernani Andreatta  assieme ad Enrico Paini e Andrea Ferro presentava   il libro “IL PALIO MARINARO DEL TIGULLIO”.  IL 15 Dicembre 2015, da Ernani Andreatta ed Enrico Paini, veniva presentato il libro "“ENRICO MILLO la Vita e le Imprese” che ha avuto anche la consulenza storica di Enzo Gaggero e Carlo Gatti con la presentazione del Sindaco di Chiavari, Ing. Roberto Levaggi, del Com.te Giuseppe Cannatà della Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari e del Presidente della Società Economica Roberto Napolitano. Il libro era patrocinato dal Comune di Chiavari e dallo Stato Maggiore della Marina.

Gli ultimi lavori di Ernani Andreatta sono sempre corredati di DVD  che valorizzano ulteriormente l’opera presentata in cartaceo.

Il Tigullio ha una lunga e gloriosa storia marinara, che data sin dal Medioevo. In Chiavari e Lavagna sono stati costruiti e varati oltre 200 velieri oceanici, mentre Sestri Levante e Riva Trigoso erano più specializzati nella costruzione e armamento di leudi.

Il nucleo del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta è costituito quindi da modelli di navi a vela e modelli naviganti radiocomandati oltre che da apparecchi radioriceventi costruiti o raccolti da Franco Tommasino, da strumenti nautici antichi anche del  1700 e da preziosi  utensili da lavoro. In questo museo trovano spazio anche gli  attrezzi da pesca dato che il  Rione Scogli all’inizio del secolo scorso diventò un centro importante del settore mutando la sua indentità da quello della costruzione navale a quello della pesca. Gli stessi pescatori degli Scogli hanno lasciato un patrimonio di tradizioni importantissimo anch’esso oggetto  di salvataggio attraverso le opere sopra menzionate.

Molti  reperti museali provengono  da donazioni o lasciti di privati e da acquisti sul mercato antiquario, come l'importante collezione di rare conchiglie di mare e di terra, provenienti da tutto il mondo,  che conta più di 3000 pezzi, tutti rigorosamente catalogati. Non ultimo  l’importantissimo archivio storico fotografico e la biblioteca con oltre 4000 volumi per la maggior parte di argomento marinaro e una importante videoteca di filmati d’epoca.

Un altro importante salvataggio storico del Museo è quello effettuato da Amedeo Devoto, noto artista e progettista navale del Rione Scogli, dei piani di costruzione di molti grandi velieri costruiti sia a Chiavari nell’800, che a Riva Trigoso ai primi del 900: un incredibile patrimonio che lega al mare il Tigullio e Chiavari in particolare. Il Museo vanta su questo tema un ulteriore arricchimento dovuto all’acquisizione di importanti piani di costruzione, circa un centinaio,  provenienti  da  tutto il mondo e che riguardano velieri e grandi imbarcazioni del 1800.

E Chiavari, come centro di costruzioni navali e armatoriale raggiunse il suo apice nell’Ottocento, grazie all’opera di costruttori come Matteo Tappani, tre generazioni di Gotuzzo, Francesco detto “Mastro Checco”, Luigi ed Eugenio, i Briasco, i Piceni Gessaga, i Milesi, i Brigneti,  i Copello, i Sanguineti, i Beraldo  e di armatori come i Dall’Orso, i Raffo, i Beraldo i Sanguineti, i Borzone, i Copello, i Bianchi, i Chiarella, i Rocca, Fratelli Ghio, i Gagliardo, i Roncagliolo, i Raggio Porcella, i Carniglia, i Milesi, i Cuneo, i Devoto, i Marana, i Casaretto e altri, che porteranno il nome di Chiavari in tutti i mari del mondo. Innumerevoli navi camogline e genovesi presero forma sugli scali del Golfo del Tigullio, a sottolineare la capacità e la tenacia dei costruttori locali che sapevano tener testa alla migliore concorrenza internazionale.

Non vanno dimenticati i maestri d’ascia e i calafati come i Tirone,  Maccianti, i Risso, i Solari, I Bertuletti, i Della Pietà, i Moladuri, i Raffo, i Dall’orso, e tutte le maestranze che, con la loro operosa attività, hanno contribuito a costruire il patrimonio di valori di questa zona. Per conservare la memoria di queste vicende e degli uomini che ne furono protagonisti ci è sembrato utile dar vita ad un’esposizione permanente sulla marineria Chiavarese e del Tigullio.

Brevi note sui co-fondatori e collaboratori del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta.

Franco “Mario” Tommasino

Co-fondatore del Museo Marinaro  (1915-1998)

Era nato a Chiavari nel cuore dello storico Rione Scogli. La maggior parte dei modelli navali e degli apparecchi radio-riceventi che costituiscono il Museo sono frutto del suo ingegno e del lavoro appassionato di tutta la sua esistenza.

La sua vita professionale:

Tecnico della Rai, sede Regionale di Genova. Di lui si racconta che negli ultimi mesi del 1945, salvò dalla vendetta nazista, a rischio della propria vita, le principali apparecchiature RADIO della Rai che furono in grado, di trasmettere il 25 Aprile, grazie a lui, i bollettini della LIBERAZIONE. Legatissimo al Rione Scogli, effettuò sempre a Chiavari le prove in mare dei suoi straordinari modelli galleggianti e naviganti che fanno ora parte del Museo Marinaro che porta anche il suo nome. La sua storia è ampiamente documentata in alcuni capitoli del volume "MEMORIE DA MARE” edito nel 1997 da Ernani Andreatta, come abbiamo già annotato.

Aldo Caterino

ha catalogato tutti i reperti del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta.

E’ nato a Genova nel 1965. Dopo la laurea in Storia Moderna, è diventato Assistente Scientifico del Museo Navale di Genova, ruolo  che ricopre tutt’ora assieme alla carica di Direttore Editoriale presso una casa editrice genovese. In tali vesti  ha contribuito alla realizzazione di importanti progetti, come l’allestimento del Padiglione del Mare e della Navigazione e delle mostre temporanee Dal Mediterraneo all’Atlantico, Capitani Coraggiosi, Genova e i velieri e Storie di Polene. Successivamente si è dedicato a varie attività editoriali e artistiche, lavorando per aziende prestigiose come Pineider, Nazareno Gabrielli e Franco Maria Ricci. Autore di articoli e saggi sulla storia della marineria, nutre una profonda passione per la cartografia antica e possiede una collezione di carte geografiche del continente americano. Tra le sue pubblicazioni: Le navigazioni transoceaniche nel Seicento, La via olandese per le Indie Orientali, La cartografia nautica portoghese nell’età delle scoperte, Il calcolo della longitudine e la nascita del cronometro da marina, La pittura di yachting.

Giancarlo Boaretto

addetto al  restyling e alla conservazione dei reperti del Museo Marinaro.

E’ nato a Bosco Marengo (Alessandria) nel 1945 di professione palombaro ad alta profondità con un passato di navigante. Durante l’alluvione di Firenze il 4 Novembre 1966 poco più che ventenne, aiuta la popolazione  a uscire dall’acqua e dal fango. E’ uno dei tanti “Angeli del Fango” che salvano quasi tutte le opere d’arte di Firenze. Poi una serie di corsi professionali per imparare ad andare sott’acqua, la sua passione,  ed operare a profondità eccezionali dove la testa sembra scoppiare. Consegue molte abilitazioni e impara a lavorare nel regno dei pesci, a meno 20,  a meno 50, a meno 300 metri! E’ la professione della sua vita !  Dopo alcune missioni su navi locali in Sardegna o in Grecia partecipa alla costruzione di piattaforme petrolifere come la gigantesca  “Garaupa” della Petrobras Brasiliana che poggia sul fondo a 120 m. di profondità. Uno dei primi seri contratti di Boaretto è quello sull’Artic Seal”, una enorme nave appoggio,  in giro per il Mare del Nord, Mar di Norvegia, Mar Glaciale Artico. In Scozia a Fort William ottiene così il brevetto di “Deep Diver” (alto fondalista). Poi “decolla” o meglio “sprofonda” sempre più negli abissi marini lavorando per la Esso e la Shell in tutto il mondo: Tailandia, Singapopre, Malaysia, Norvegia, Hong Kong, Mare di Barentz, Brasile, Borneo, Oceano Indiano, Mar Cinese, Stati Uniti ecc. Partecipa alla costruzione di piattaforme petrolifere, recupera pezzi di  navi o aerei, installa condotte marine e costruisce cisterne in cemento prefabbricato,  i cosidetti “Igloo” dove sopra vi poggiano le piattaforme petrolifere e fanno da primo deposito all’oro nero che sgorga dalle viscere della terra, ma sempre sott’acqua! Per anni, 21 giorni al mese, a turno, vive là sotto,  tra fondali impossibili e camere iperbariche per la decompressione, dove il sangue si satura di azoto e bisogna ripristinare il bilanciamento dei vari componenti gassosi. L’ultimo suo impegno professionale è con la Barracuda Sub di Genova. Per hobby ha sempre fatto il modellista navale. Nel 1966, quarant’anni fa a Firenze era un “Angelo del Fango”, ora è l’”Angelo del Museo” dato che tutti i reperti sono stati da lui rimessi in ordine, riparati e ripuliti facendoli ritornare agli splendori di quando uscirono dalle mani straordinarie di Franco Tommaso.

Enrico Paini

Curatore, aggiunto, del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta

Nato a Lavagna il 21 novembre 1965, dal 1987 é "Ormezou" nel porto di Lavagna. Enrico é sposato con la signora Gabriella Campodonico ed padre di tre figli: Yannick, 13 anni - Andreas, 9 anni -  Anna Stella 6 anni. Il merito di questo giovane uomo di cultura, é quello di trovare il tempo, nonostante gli innumerevoli ed inevitabile impegni famigliari, di dedicarsi anche al Museo Marinaro. Paini è dirigente e fondatore della A.S.D. COMPAGNIA REMIERA LAVAGNESE, società di Canottaggio a sedile fisso di Lavagna. Consigliere della ASSOCIAZIONE AMATORI PALIO DEL TIGULLIO e membro del collegio dei Probiviri. Autore, assieme a Ernani Andreatta e Andrea Ferro (del Secolo XIX), del libro sulla "Storia del Palio Marinaro del Tigullio" (2013) e del Libro presentato a Chiavari il 15 Dicembre 2015, “ENRICO MILLO la Vita e le Imprese” che ha riscosso uno straordinario successo di pubblico e critica. Collaboratore di Ernani Andreatta, per la realizzazione di DVD a tema storico e marinaro, per la ricerca storica e la realizzazione dei testi.

Informatizzazione del Museo

Tutti i reperti museali sono informatizzati, ivi compresa la biblioteca fornita di oltre 4000 volumi di argomento marinaro con le documentazioni storiche e le schede dei reperti che contengono tutte le informazioni tecniche relative. In pratica, la catalogazione di tutto il complesso museale è stata effettuata.  La biblioteca, così come la vastissima videoteca del Museo Marinaro (DVD e video cassette come fotografie e documenti storici)  hanno ancora sede nell’Antica Casa Gotuzzo in Piazza Gagliardo (Piazza dei Pescatori) - Chiavari. Molti dei reperti museali sono dotati del "QR CODE” per una immediata visione video della loro storia e origine.

MEMORIE DEL MARE


Scrive Aldo Caterino - in Memorie dal mare: l'immenso libro di Papà Lucerna, a cura di Ernani Andreatta - "I più importanti musei marittimi vennero creati all'inizio del Novecento per iniziativa di privati cittadini appassionati di mare e di storia locale, che misero a disposizione i materiali da essi raccolti nel tempo. Ciò non avvenne solo nelle grandi città marittime, centri di traffici e industrie, ma anche nei piccoli porti della costa, che nel periodo velico avevano magari armato ingenti flotte di bianchi velieri.

Il valore di tali musei non risiede tanto nella rarità o nella preziosità dei cimeli esposti, ma nella loro importanza come memorie storiche vive e palpitanti di un passato che non tornerà più.

Questo è anche il caso del Museo Marinaro "Tommasino - Andreatta", fondato il 7 luglio 1997. Frutto dell'impegno del comandante Ernani Andreatta, è oggi ospitato presso l'Antica Casa Gotuzzo, nel cuore stesso della storia marinara chiavarese.


Il Comandante Ernani Andreatta racconta: “Che cos'è? 
Ma c’era, il fax, molto tempo fa? Non c’era, però state a sentire qualcosa che molta gente non sa 
e così, poi, glielo potrete raccontare. 

In Francia, quasi un secolo fa, 
l’ingegnere Edouard Belin inventò un congegno 
che trasformava l’elettricità 
in segni di scrittura o di disegno. 
Così, in pace, e purtroppo in guerra, 
fu usato per trent'anni, e inviava 
i suoi messaggi per tutta la terra. Quel fax antico, come si chiamava? È il belinografo!


La foto mostra una delle prime Sale dei modelli della Scuola Telecomunicazioni di Chiavari Caperana
Istituita nel 2012 all'interno della Caserma "Giordano Leone" di Caperana (Chiavari), conserva apparecchiature e strumenti di comunicazione di tutte le epoche, con particolare attenzione a quelle utilizzate presso la Scuola dalla sua fondazione (1952) con lo scopo di tramandare le tradizioni e le memorie del Reparto: dagli strumenti utilizzati da Guglielmo Marconi nei suoi primi esperimenti di inizio '900, avvenuti proprio nel Golfo del Tigullio (chiamato appunto Golfo Marconi), al fonografo di Edison (1886) fino ai moderni apparati di telecomunicazione militare, passando attraverso le prime macchine cifranti, le radio campali dell'Esercito Italiano, le telescriventi e i sistemi satellitari.

Due sale sono dedicate ad approfondimenti particolari: la prima é dedicata all'Amm. Enrico Millo, ove è conservata la “sciabola d'onore” offerta all'eroe dalla sua città natale, Chiavari, in memoria dell'impresa dei Dardanelli insieme a cimeli appartenuti ad altri militari decorati; l'altra, intitolata ad Aldo Gastaldi "Bisagno", raccoglie calchi in gesso dell'artista Nicola Neonato, commemorativi delle vicende del partigiano genovese, in servizio presso la Caserma al momento dell'armistizio, e materiale originale del campo di prigionia di Calvari, tra cui le schede del personale detenuto nel periodo bellico e il diario del campo redatto dall'Aiutante Maggiore Ten. Filippo Zavatteri.

Nelle sale del Museo sono esposti numerosi “strumenti nautici” databili dal '500, una vasta collezione di modelli navali militari e mercantili, antichi e moderni, una ricchissima raccolta di immagini e di strumenti di lavoro originali in uso nei cantieri navali "Tappani - Gotuzzo" di Chiavari, attivi dalla metà dell'800 fino agli anni '30 del secolo scorso. Una sala di carattere etno-antropologico descrive, attraverso grandi riproduzioni pittoriche di foto originali, la vita e l'ambiente del rione Scogli di Chiavari, il vecchio borgo dei pescatori ove sorgeva il cantiere navale. Interessante é la riproduzione fedele della plancia di comando di una nave. Ci si immerge inoltre nella realtà della navigazione tramite un simulatore che ne riproduce le manovre e le sensazioni. Il tutto é corredato da numerosi video descrittivi degli oggetti e della storia che essi vogliono raccontare.


INAUGURAZIONE
Nuova Sede del Museo Marinaro: TOMMASINO-ANDREATTA

Riportiamo da un quotidiano locale:


4 dicembre 2009. In occasione della Festa di Santa Barbara, alla Scuola Telecomunicazioni FF AA di Via Parma 34, verrà aperto al pubblico, dalle ore 14.30 alle ore 18.00, il rinnovato Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, presentato in una veste completamente nuova, e con un notevole arricchimento di spazi e reperti. Dopo l’ampliamento e l’acquisizione di nuovi spazi, con l’esposizione delle opere di Amedeo Devoto, degli antichi velieri dell’Epoca Eroica della Vela, delle storiche navi Mercantili e Militari e di nuovi importanti reperti museali come un antico argano per Leudi, oltre la sala “multimediale” e i nuovi servizi di ricevimento, Chiavari ritrova il suo museo marinaro. Un avvenimento straordinariamente importante per i preziosi e unici reperti – modelli navali naviganti, strumenti, radio antiche ecc – collezionati nel corso degli anni dal Com.te Ernani Andreatta dopo la donazione da parte di Franco Tommasino, al tempo, tecnico della RAI di Genova, di modelli Navali Naviganti e radio dell’Epoca Marconiana. Una sala è stata intitolata a Guglielmo Marconi e tra le molte cose della sua epoca prendono posto un bellissimo modello dell’Elettra, e una cuffia per l’ascolto radio donata a Tommasino da Adelmo Landini che era il Radio Telegrafista della nave laboratorio di Marconi.

Il Museo Marinaro, integrandosi con quello della “Sala Storica delle Telecomunicazioni”, spostata in un edificio vicino al Museo Marinaro, acquista un’importante valenza per i suoi contenuti storici nel ricordo e nel rispetto del passato. Il Museo, fondato nel 1997 a Chiavari nel Rione Scogli, fu prima ospitato sino al 2001, nella casa paterna dei Gotuzzo, grandi costruttori navali, dell’epoca eroica della vela. In seguito il museo trovò, nel 2001, ospitalità nell’edificio della Promo Provincia Genova a Càlvari, in Fontanabuona e nel 2008, dopo oltre un anno di allestimenti e ampliamenti, ha stabilito la sua definitiva sede alla scuola Telecomunicazioni FF AA a Chiavari, grazie alla disponibilità del Past-Comandante, C.V. Giuseppe Bennardi. I Comandanti che si sono succeduti ogni due anni al Comando della Scuola Tlc hanno sempre cercato di mantenere e valorizzare questa rara collezione marinara. C.V. Francesco Scarpetta, C.V. Silvano Benedetti, C.V. Luigi Ciriello sino all’ attuale Comandante Giuseppe Cannatà.

il 4 Dicembre 2008, con taglio del nastro da parte della Signora Gabriella Andreatta in Westermann, figlia di Ernani, alla presenza di Sandro, figlio di Franco Tommasino e delle autorità religiose, amministrative e militari del Tigullio anche nelle persone del Vescovo di Chiavari Alberto Tanasini, l’ammiraglio Santarini proveniente da La Spezia, sindaci e assessori del Tigullio. Alfredo Provenzali, che fu grande amico di Franco Tommasino, lo commemorò essendo stato suo collega alla Rai nel dopoguerra. Erano presenti alla cerimonia molti dei suoi parenti provenienti, oltre che da Chiavari, anche da Voghera e da Roma.

Il manifesto realizzato in occasione dell'inaugurazione del Museo

ALBUM FOTOGRAFICO E SCHEDE

Modelli di navi militari a vela

• Vascello francese di terzo rango “Le Mirage”

• Vascello inglese di primo rango “Sovereign of the Seas”

Vascello francese di terzo rango

“Le Mirage”

Modello costruito a Genova nel 1970

Dimensioni: cm 88x38x80

Materiali:

legno, ottone e acciaio; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 001

Scala: 1:75

 

Scafo a ossatura e fasciame; tre alberi a vele quadre; trinchetto e maestra con trevi, gabbie e velacci; mezzana latina; bompresso con civada e controcivada; manovre e attrezzature complete; mancano le vele; due ancore per parte; polena a forma di donna; specchio di poppa decorato con lo stemma dei Borboni; tre fanali di coronamento rossi; una scialuppa sul ponte di coperta; una scala reale per parte. Costruita alla metà del Seicento, nel periodo di massimo splendore della marina francese, la nave apparteneva alla fase di transizione che segnò il passaggio dal grande e pesante galeone al pi funzionale e perfezionato vascello di linea. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 55; larghezza m 12; pescaggio m 5,80; dislocamento tonn. 1.245. Il ponte di coperta, che si estendeva fino al castello di prua, era rivestito con tavole di pino e di teak, ed accuratamente calafatato, per assicurare una buona impermeabilità. Le tavole erano fissate ai bagli per mezzo di chiodi di ferro, la cui testa veniva ricoperta con un tappo di legno. Lo spessore delle tavole dei ponti era di cm 12,50 per la batteria inferiore, cm 10 per la batteria superiore e cm 7,50 per il terzo ponte, in proporzione al peso dei pezzi d’artiglieria. Il fasciame interno e il fasciame esterno avevano spessori differenti a seconda delle zone dello scafo, arrivando fino al massimo di un metro. L’armamento comprendeva: 28 cannoni da 32 libbre per la prima batteria; 24 cannoni da 24 libbre per la seconda batteria; 8 cannoni da 18 libbre e 18 da 9 libbre per la terza batteria. L’equipaggio era formato da 543 uomini. Il vascello era la nave ammiraglia della flotta del Mediterraneo.

I costruttori navali francesi erano apprezzati ovunque per la loro maestria e abilitˆ. Essi avevano saputo trarre profitto dalla lezione degli Olandesi, che all’inizio del XVII secolo avevano rivoluzionato le tecniche di costruzione navale introducendo una serie di importanti innovazioni, e ne avevano sviluppato le idee e le concezioni, grazie anche all’ottima organizzazione della ricerca scientifica applicata. Lo studio approfondito della forma della carena, della chiglia, delle estremitˆ, dei castelli e dell’alberatura costituiva l’orgoglio dei cantieri e degli arsenali francesi, che impiegavano manodopera altamente qualificata.

Scienziati e ingegneri famosi venivano incaricati di migliorare le caratteristiche delle navi, eseguendo complicati calcoli di stabilità e idrodinamica, per adattarle alle mutevoli esigenze della guerra e del commercio, mentre gli artisti pi affermati si dedicavano all’elaborazione di complicate decorazioni per le prue e per le poppe. Pierre Puget, ad esempio, uno dei migliori scultori europei del Seicento, lavorò a lungo presso l’Arsenale di Tolone, contribuendo all’abbellimento di numerose unità costruite sui suoi scali. Il preciso rilevamento delle coste, lo sviluppo di perfezionati strumenti nautici e idrografici, la redazione di carte aggiornate erano tutte attività promosse e gestite dallo Stato, che intendeva così avere a disposizione una documentazione completa ed esauriente sulle caratteristiche del territorio. Grazie all’impegno di uomini di governo come Richelieu e Mazzarino, la Francia si trasformò in pochi decenni nella principale potenza marittima del continente, capace di contendere il primato all’Inghilterra. Il culmine di questa evoluzione si ebbe sotto Luigi XIV, il cui Ministro delle Finanze Colbert, aveva molto a cuore lo sviluppo della marina, vista come il mezzo migliore per proiettare all’esterno le formidabili energie del paese. Egli mirava a estendere l’influenza francese su tutti i mari del globo, per garantire sicurezza e prosperità ai commerci e arricchire le casse del regno, secondo le teorie mercantilistiche allora in voga. A questo scopo diede notevole impulso alla ricerca scientifica, finanziò l’esplorazione delle terre e dei mari sconosciuti, fondò numerose colonie in Oriente e in Occidente, rivaleggiando con le altre potenze europee, istituì compagnie commerciali privilegiate con il monopolio dello sfruttamento delle aree tropicali e promosse lo sviluppo della produzione agricola per il mercato. Inoltre dotò la marina militare di basi sicure ed attrezzate, collocate nei punti strategici e capaci di offrire tutta l’assistenza necessaria alla flotta. Riformò il sistema di reclutamento degli equipaggi; creò scuole nautiche avanzate per l’addestramento degli ufficiali; permise anche ai borghesi di accedere alle cariche più elevate; diede impulso alla formazione di uno stato maggiore efficiente e preparato. In poche parole, fece della Francia la maggiore rivale dell’Inghilterra, dopo aver nettamente superato l’Olanda. L’armonia e l’eleganza dei vascelli costruiti negli arsenali di Tolone, Brest e

Rochefort erano tali da suscitare l’invidia delle altre potenze europee che cercavano di imitarne le linee, per trarre profitto dalle innovazioni applicate dai maestri d’ascia transalpini. Quando capitava di catturarne uno in battaglia, lo si riportava trionfalmente in patria, allo scopo di studiarne le caratteristiche e apportare miglioramenti alle nuove costruzioni. Se era in buono stato, lo si incorporava anche nella flotta come ambita preda di guerra. Le artiglierie dell’epoca non sparavano proiettili esplosivi, introdotti solo nell’Ottocento, ma palle piene di ferro, palle incatenate o frammenti a mitraglia, che erano in grado di sterminare l’equipaggio e di immobilizzare la nave in attesa dell’abbordaggio, ma non di affondarla direttamente, per cui l’uso di riciclare i bastimenti era abbastanza comune.

Vascello inglese di primo rango

Sovereign of the Seas”

Modello costruito a Chiavari nel 1970

Dimensioni: cm 107x45x87

Materiali: legno, ottone e acciaio; su basamento di legno e plastica.

Donazione di Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 002

Scala: 1:100

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; tre alberi a vele quadre; trinchetto e maestra con trevi, gabbie, velacci e contro; mezzana latina; bompresso con civada e controcivada; manovre e attrezzature complete; mancano le vele; polena a forma di re a cavallo; specchio di poppa ornato con lo stemma degli Stuart; un grande fanale di coronamento a poppa; timone decorato con testa di leone coronata.

Probabilmente non c’era nave più famosa che solcasse i mari europei nella seconda metà del Seicento. Progettata dal famoso ingegnere navale inglese Phineas Pett, su espresso desiderio del re Carlo I, e battezzata “Sovereing of the Seas”, fu varata nell’ottobre del 1637. Rispetto agli altri vascelli dell’epoca aveva una caratteristica particolare: tre ponti di batteria completi, invece di due, il che aveva permesso di aumentare il numero dei cannoni da 90 a 102. Era un bastimento di grande prestigio, che valeva 40.000 sterline dell’epoca: somma sufficiente a costruire sei unità da 40 cannoni. Il costo della decorazione ammontava a 7.000 sterline. Dopo un periodo di prova, Peter Pett, figlio del progettista, lo trasformò in un due ponti, per renderlo più stabile e maneggevole, e lo ribattezzò “Royal Sovereign”. I lavori di ricostruzione si svolsero fra il 1654 e il 1660 e comportarono innanzitutto il rafforzamento dei ponti, per distribuire meglio le artiglierie. I cannoni più pesanti vennero collocati nella batteria inferiore, per aumentare la stabilità dello scafo, la quale era sovente compromessa dalla penetrazione di acqua marina attraverso i portelli, quando venivano aperti per il combattimento. Era un difetto comune a molte unità inglesi, che tendevano a essere alte sull’acqua e a pescare troppo, il che impediva loro di penetrare nei bassi fondali, al contrario di quelle francesi e olandesi, più basse e più larghe, che godevano di maggiore stabilità. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 71; larghezza m 14,75; pescaggio m 7,16; dislocamento tonn. 1.541 come “Sovereign of the Seas” e tonn. 1.637 come “Royal Sovereign”. L’armamento comprendeva: 24 cannoni da 42 libbre nella prima batteria; 20 cannoni da 24 libbre nella seconda; 22 cannoni da 18 libbre nella terza, o ponte di coperta; più vari pezzi minori da 9 e da 12 libbre. L’equipaggio era composto da 780 uomini. Il 10 giugno 1690, nella battaglia di Beachy Head, il “Royal Sovereign” alzava l’insegna dell’ammiraglio Arthur Herbert, conte di Torrington. La flotta francese era al comando dell’ammiraglio Tourville, uno dei migliori comandanti di mare di quel periodo. Con il passare delle ore il combattimento volse decisamente a favore dei transalpini, che appoggiavano le rivendicazioni dello spodestato re d’Inghilterra Giacomo II Stuart. Nello scontro il “Royal Sovereign” fu impegnato da varie unità nemiche, tra cui il “Content”, lo “Entreprenant” e lo “Apollon”, tutte da sessanta cannoni. Malgrado l’inferiorità dell’armamento, i vascelli francesi si difesero con tale accanimento da costringere l’ammiraglio inglese a rompere il contatto. Herbert fu giudicato colpevole della sconfitta, nonostante la sua appassionata difesa di fronte alla corte marziale, e non gli fu più affidato alcun comando. Il “Royal Sovereign” venne distrutto da un incendio nel 1696.

 

Modelli di navi mercantili a vela

 

• Nave-goletta italiana “Fidente”

• Goletta a palo italiana “Giovanni” (Ernani) a vele spiegate

• Nave a palo italiana “Gabriella” a vele spiegate

• Brigantino a palo italiano “Luigi” (“Ciuilli”)

• Nave danese “Jytte” a vele spiegate

• Nave-goletta italiana (o barco bestia) “Ernani III ” (Vittorio) a vele spiegate

• Brigantino a palo italiano “Maria Luisa” a vele spiegate

• Pareggia italiana “Marietto Solari”

• Brigantino a palo italiano “Rina Corte” con vele terzaruolate

• Tartana ligure del 1700 “Patrizia”

• Goletta Yacht a motore “Gloria”

Nave-goletta italiana di Lorenzo Carniglia

“Fidente”

Modello costruito a Chiavari nel 1965

Dimensioni: cm 65x22x43

Materiali:legno, ottone, corda e acciaio;

su basamento di

legno, in teca di vetro.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 003

Scala 1:70

 

 

Scafo in legno pieno; il modello presenta un errore nella velatura, perché è armato a brigantino a palo invece che a nave-golettacome il bastimento originale; castello a prua; cassero a poppa; tre tughe; due boccaporti; due scialuppe sul cielo della tuga prodiera; timoneria; verricello; campana; argano; due barili; due ancore; due torrette con le luci di via; sartie con griselle; polena a forma di uccello; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco, con strisca azzurra orizzontale. La nave-goletta “Fidente”, di 392 tonnellate, fu varata il 14 giugno 1922 presso il cantiere Gotuzzo, per conto dell’armatore R. Garofalo, ultimo grande veliero in legno costruito nel Rione Scogli. Durante i primi anni di attività navigò al comando del capitano De Matteis, un vero lupo di mare. In seguito cambiò nome in “Basilio” e nel 1938 divenne la “Giuseppina”. All’inizio del 1942 fu requisita dalla Regia Marina e dotata di un motore Diesel marca Deutsche Werke A.G, per impiegarla nel trasporto di rifornimenti alle truppe italiane in Nord Africa. Il 12 febbraio dello stesso anno, mentre era diretta da Tripoli a Tunisi, fu attaccata da navi britanniche, a 15 miglia a Sud della boa di Kerkenah. Le poche armi di bordo e la fragilità dello scafo non le permisero di difendersi e, dopo mezz’ora di agonia sotto il fuoco nemico, affondò con un vasto incendio a bordo. Non si hanno notizie circa eventuali superstiti dell’equipaggio. L’autore del modello, dopo aver navigato per lunghi anni, divenne Nostromo del Porticciolo Duca degli Abruzzi a Genova. Nella foto anche il primo libro su Chiavari Marinara e sulla destra la riproduzione in ardesia dello stesso, opera dello scultore Danilo Giusti, donata dal quartiere Scogli a Ernani Andreatta.

Goletta a palo italiana

“Giovanni” (Ernani) a vele spiegate

Modello costruito in Italia nel secondo quarto del XX secolo

Dimensioni: cm 51x11x35

Materiali: legno, corda, stoffa e acciaio; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 004

Scala 1:120

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; un albero a velatura mista (quadra e aurica), due alberi a vele auriche, più bompresso e fiocchi; castello a prua; cassero a poppa; due tughe; un boccaporto; due gru di capone; due ancore; una scialuppa sospesa a poppa; polena a forma di testa di guerriero con elmo; due barili; campana; verricello, argano; i boma delle vele auriche si possono issare per terzarolare o ammainare le vele; opera viva di colore verde; opera morta di colore bianco; specchio di poppa decorato con fregio e scudo araldico. La goletta, in inglese “schooner”, nacque sulle coste della Nuova Inghilterra, come evoluzione di precedenti imbarcazioni costiere olandesi. Grazie alla sua attrezzatura composta da due alberi a vele auriche più bompresso e fiocchi, era in grado di raggiungere velocità elevate anche con venti sfavorevoli e poteva muoversi agevolmente fra le insenature e le foci dei fiumi. Inoltre richiedeva un equipaggio più ridotto rispetto alle navi a vele quadre, perché le rande poteva essere manovrate direttamente dal ponte con l’ausilio di verricelli. Gli armatori americani la usavano soprattutto per il commercio con le Indie Occidentali, il contrabbando e la guerra di corsa. La Royal Navy ne acquistò alcuni esemplari per usarli nella lotta al al contrabbando e nel pattugliamento costiero. Durante la Guerra di Indipendenza, i ribelli la impiegarono largamente per mantenere i collegamenti fra i vari settori di operazioni e per contrastare l’arrivo dei rifornimenti alle truppe inglesi. Appresa la lezione, questi ultimi se ne servirono in età napoleonica per mantenere il blocco alle coste sottomesse dai Francesi e per pattugliare le rotte oceaniche. Nella goletta, l’albero di maestra ha la stessa altezza o è più alto dellalbero di trinchetto, al contrario del ketch o dello yawl. In passato, sopra le rande venivano issate anche delle controrande, o frecce, che avevano lo scopo di aumentare la superficie velica e di bilanciare il bastimento. Nel corso dell’Ottocento, la goletta si diffuse come veliero da trasporto per navigazioni di corto e medio raggio. La lunghezza dello scafo poteva variare fra i 15 e i 40 m e la forma non si discostava molto da quella delle navi coeve, anche se aveva linee più slanciate. Con il passare del tempo e l’evoluzione delle tecniche costruttive, la grande poppa quadra venne sostituita da una a specchio e a volta più piccola, che successivamente divenne tonda, mentre la prora larga venne rimpiazzata con una dritta o a clipper. L’attrezzatura a tre alberi a vele auriche non era molto comune. In genere si preferiva adottare una velatura mista, a vele quadre e auriche, per combinare i vantaggi che offrivano entrambi i tipi. Ma la manovra delle vele quadre richiedeva un equipaggio numeroso, con un considerevole aggravio dei costi, mentre il livello dei noli non garantiva sempre il giusto margine di guadagno, specie per il trasporto di merci a basso valore unitario. Per questo molti armatori preferivano accontentarsi delle modeste prestazioni offerte dalle pesanti golette a due alberi. Tuttavia la progressiva crescita delle dimensioni dei bastimenti imponeva un aumento proporzionale della superficie velica, per non compromettere troppo le qualità nautiche. Ma il problema non poteva essere risolto confezionando delle vele auriche enormi, che avrebbero creato problemi di governabilità. Inoltre il centro velico si sarebbe spostato troppo in alto, facendo perdere stabilità al bastgimento.

Allora prevalse la soluzione di ottenere un congruo aumento della superficie velica accrescendo il numero degli alberi. In molti esemplari vennero collocate da una a tre vele quadre, le “gabbiole”, al posto della controranda di trinchetto, che venne sostituita da uno strallo di controvelaccino. L’idea si rivelò così soddisfacente da indurre molti costruttori a realizzare golette sempre più grandi, a quattro, cinque, sei e addirittura sette alberi, come l’americana “Thomas W. Lawson” (costruita a Quincy, Massachusetts, nel 1902), che potevano trasportare carichi pesanti e raggiungere elevate velocità pur con un equipaggio ridotto. La manovra delle vele era facilitata dall’adozione di cavi d’acciaio al posto di quelli di canapa e dall’uso di verricelli a vapore al posto di quelli manuali. Furono gli ultimi grandi velieri a percorrere le lunghe rotte oceaniche a scopo commerciale, quando ormai le navi a motore dominavano su tutti i mari.

Nave a palo italiana

“Gabriella” a vele spiegate

Modello al galleggiamento costruito in Italia nel secondo

quarto del XX sec Collezione Ernani Andreatta

Dimensioni:cm 50x7x34

Materiali: legno, corda, stoffa e acciaio; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 005

Scala 1:150

 

 

Modello al galleggiamento; scafo in legno pieno; tre alberi a vele quadre e uno a vele auriche, più bompresso e fiocchi; vele di strallo; corto castello a prua; lungo cassero a poppa; due tughe; un boccaporto; due gru di capone; due ancore; una scialuppa; due argani; un verricello. Le navi a palo rappresentarono il canto del cigno della marina mercantile a vela, quella gloriosa “Ultima Vela” che ebbe come centri di armamento principali Aland in Svezia, Amburgo in Germania, Brest in Francia, Genova, Camogli, Sorrento e Trapani in Italia. Fra il 1902 e il 1904, grazie all’aumento dei noli per i traffici con l’America del Sud, il Sud-Est asiatico e l’Australia, e ai benefici che le leggi accordavano alle costruzioni nazionali, diversi armatori ordinarono ai cantieri liguri splendide e poderose unità, con scafo e alberature in ferro o in acciaio, per nulla inferiori ai celebrati bastimenti stranieri contemporanei. I piroscafi

dominavano ormai su tutte le rotte oceaniche, grazie alla sicurezza, puntualità e velocità del servizio che offrivano. Lo sviluppo delle macchine a vapore e delle caldaie aveva eliminato il loro principale difetto: la necessità di fare continuamente rifornimento di carbone, con gli alti costi che ciò comportava. Tuttavia esistevano ancora dei traffici marginali, con beni voluminosi a basso valore unitario, come il rame e i nitrati cileni, il guano peruviano, la lana e il grano australiani e il riso birmano, che non richiedevano tempi celeri di trasporto e puntualità di consegna, ma costi bassi e infrastrutture portuali ridotte. Era questo il regno delle maestose navi a palo, tre alberi a vele quadre e la mezzana a vele auriche (con randa e controranda), più bompresso e fiocchi, che tenevano alto il nome della marineria italiana. Esse battevano i mari oltre i capi (Horn e Buona Speranza), in mezzo alle tempeste e ai ghiacci antartici, condotte da pochi uomini coraggiosi e disperati, gli ultimi sopravvissuti di una razza in via d’estinzione. L’Italia arrivò a possedere una decina di unità del genere, di cui sette costruite nel nostro paese: “Edilio Raggio”, “Emanuele Accame”, “Erasmo”, “Regina Elena”, “Italia”, “Principessa Mafalda” e “Gabriele D’Alì”. Tre vennero acquistate all’estero: “Balmoral”, “Fratelli Beverino” e “Augustella”. Tutti i velieri di costruzione italiana furono realizzati in Liguria, soprattutto dai cantieri Ansaldo di Sestri Ponente e Odero di Sestri Ponente e della Foce, che avevano gli

impianti e le strutture necessari per produrre grandi scafi in metallo. Uno degli armatori più noti fu Pietro Milesi, di Genova, che ebbe al suo servizio il “Balmoral”, lo “Australia” e il “Regina Elena”, divenuto poi il famoso “Ponape” dell’armamento Eriksson. La fine di queste gloriose flotte di bianchi gabbiani venne con la Prima Guerra Mondiale, quando i sommergibili tedeschi fecero strage dei velieri mercantili, lenti e male armati, impiegati come unità ausiliarie. Negli Anni Venti e Trenta ci fu ancora qualche armatore nostalgico che tentò di perpetuare la tradizione, ma si trattava di un sogno destinato a svanire nel giro di qualche lustro, inesorabilmente superato dal progresso.

Brigantino a palo italiano

“Luigi” (“Ciuilli”)

Modello costruito in Italia nel secondo quarto del XX secolo

Dimensioni: cm 62x20x40

Materiali: legno, corda e acciaio; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 006

Scala: 1:100

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; due alberi a vele quadre e uno a vele auriche; più bompresso; castello a prua; cassero a poppa; due tughe; una scialuppa; due gru di capone; opera viva di colore bianco; opera morta di colore verde; serpa, mascone e specchio di poppa decorati con volute vegetali di colore giallo. Il brigantino era un veliero leggero a due alberi, con attrezzatura mista a vele quadre e auriche, che permetteva di sfruttare i vantaggi di entrambi i tipi. Le prime erano più utili alle andature portanti, con i venti provenienti dai quadranti poppieri, e garantivano spinta e velocità, le seconde permettevano di sfruttare meglio i venti al traverso, e assicuravano agilità e maneggevolezza. Il brigantino era nato in nel tratto di mare compreso fra le coste dell’Inghilterra, della Francia e dei Paesi Bassi, quella sorta di “Mediterraneo del Nord” dove ebbero origine le principali innovazioni nautiche dell’età moderna. Le sue più dirette progenitrici erano quelle imbarcazioni olandesi tozze e panciute, armate con vele al terzo, che servivano al trasporto di merci e passeggeri da un porto all’altro, lungo le coste o i canali dell’entroterra. Nel Settecento venne utilizzato come unità veloce per il pattugliamento costiero, i servizi doganali, la lotta al contrabbando e il piccolo cabotaggio. Durante le guerre napoleoniche, gli Inglesi impiegarono con successo i brigantini per mantenere il blocco delle coste europee soggette al dominio francese e impedire i collegamenti marittimi fra una regione e l’altra dell’impero. Dopo la Restaurazione, questo tipo di nave si impose ovunque per la sua versatilità e robustezza, fino a diventare il mezzo più diffuseo per il commercio a corto e medio raggio in tutte le marinerie europee. Ne esistevano innumerevoli versioni con diverse combinazioni di velatura, a seconda delle necessità e della convenienza degli armatori. Un campionario

completo dei diversi modelli si può vedere nei santuari italiani e francesi, dove esistono decine di ex voto che li raffigurano. Il brigantino giocò un ruolo fondamentale nella ricostruzione delle marinerie mediterranee, alla ricerca di un tipo di natante economico e di facile costruzione, che permettesse di riprendere i traffici da lungo tempo interrotti, senza avere i costi esorbitanti delle navi a vapore. Lo scafo corto e basso sull’acqua e l’attrezzatura mista lo rendevano particolarmente agile e sicuro, facile da governare anche attraverso i passaggi più stretti, nell’estuario dei fiumi o in mare aperto. La sua caratteristica fondamentale era la presenza di una grande vela aurica trapezoidale, la cosiddetta “brigantina” (un termine che finì per estendersi a tutto il bastimento), una randa inferita alla maestra in sostituzione del trevo, che permetteva di stringere bene il vento senza gli incovenienti della vela latina e non richiedeva così tanti uomini addetti alle manovre come la vela quadra. In inglese era conosciuto come “brigantine” e in francese “brigantin”. Negli anni 1830 se ne diffuse una versione dotata di trevo anche all’albero di maestra, onde sfruttare meglio il vento in poppa e conferire maggior equilibrio al natante, ottenendo così spunti migliori alle andature portanti. Essa veniva chiamata “brig” in inglese, “brick” in francese, termine che passò poi nel gergo italiano, e “bricche” in genovese. Per facilitare le manovre, spesso la vela aurica era inferita a un secondo alberetto collegato posteriormente alla maestra e alto sino alla coffa, il “senale”, che diede il nome a un altro modello particolare di brigantino, lo “snow”. Nelle sue varie versioni, esso divenne lo strumento principale della rinascita delle marinerie italiane, che proprio in quel periodo si accingevano a riprendere le rotte oceaniche, dopo la lunga pausa delle guerre napoleoniche, alla

ricerca di nuovi sbocchi per le merci e la manodopera nostrane. Alcuni esemplari, invece di avere gli alberi formati da tre fusti sovrapposti in maniera sfalsata, li avevano in un sol pezzo, ossia a “pible”, e si chiamavano “polacche”. Lo scafo dei brigantini non differiva molto da quello dei tre alberi, se non per la lunghezza minore, che poteva andare dai 20 ai 40 m. Negli anni 1860, con l’aumento dei traffici, l’allungamento delle rotte e la necessità di trasportare carichi sempre più pesanti, si rese necessario aumentare considerevolmente le dimensioni dei velieri. L’unificazione del Paese infatti, aveva portato alla creazione di un vasto mercato nazionale, nel quale la richiesta di generi alimentari e di prodotti industriali si faceva ogni giorno più pressante. L’armamento a due alberi non era adatto a spingere natanti di grossa stazza, per cui il brick fu modificato con l’aggiunta di un terzo albero, il “palo”, dotato di una o due vele auriche, la randa e la controranda, che permetteva di percorrere agevolmente le lunghe rotte oceaniche senza i costi elevati dei tre alberi a vele quadre. Questo nuovo tipo fu chiamato “brigantino a palo” in italiano, con un termine non del tutto appropriato, “bark” in inglese, “trois-mats barque” in francese e “scippe” in genovese, un’evidente corruzione dell’inglese “ship”. Esso raggiunse una notevole diffusione fra il 1860 e il 1880, grazie alle eccellenti qualità nautiche e al buon equlibrio fra costi e ricavi. Una nave del genere poteva costare dalle 150 alle 200 mila lire dell’epoca, armamento compreso, e in quattro viaggi era in grado di ripagare le spese di costruzione, a patto che tutto filasse liscio. Da quel momento in poi le sue crociere avrebbero rappresentato un utile per l’armatore. Tenendo conto che ciascun viaggio durava in media un anno, che ogni campagna poteva rendere sulle 40-50 mila lire e che la vita media di un bastimento era di 15-20 anni, salvo incidenti, possiamo immaginare quale fosse la redditività delle imprese armatoriali. Questo spiega perché gli armatori liguri continuarono a costruire navi in legno a vela sino alla fine dell’Ottocento, specie quando il Parlamento votò una legge in favore della cantieristica nazionale che garantiva un contributo statale per ogni natante messo in mare dagli stabilimenti nazionali. Alcuni brigantini a palo avevano dimensioni ragguardevoli, come il “Lazzaro” del 1892, che stazzava 1.246 tonnellate ed era lungo 63 metri, o il “Precursore”, varato a Lavagna nel 1899, di ben 1.486 tonnellate. Centinaia di navi di questo tipo rappresentavano il nerbo della flotta mercantile italiana. Robusti, capienti e abbastanza veloci, potevano operare nei mari più lontani e battere con sicurezza le lunghe rotte oceaniche. Essi venivano costruiti un po’ in tutta la penisola, ovunque ci fossero un arenile adatto al varo, una manodopera capace e materiali a buon mercato, ma il centro principale era la Liguria, dove operavano cantieri di grandi dimensioni, come quello dei Fratelli Cadenaccio a Sestri Ponente, che ebbe sugli scali fino a venti unità contemporaneamente. Anche i velieri acquistati di seconda mano sul mercato inglese, in genere armati con tre alberi a vele quadre, venivano trasformati in brigantini a palo, allo scopo di risparmiare sui costi di gestione, secondo il costume nazionale. Lo stesso accadde al famoso clipper “Cutty Sark” quando venne acquistato da un armatore portoghese.

Nave danese

“Jytte” a vele spiegate

Modello al galleggiamento costruito in Danimarca nel primo

quarto del XX secolo

Dimensioni: cm 30x4,5x24

Materiale: legno, corda e acciaio; su basamento di legno

ricoperto di stucco

Collezione Ernani Andreatta

 

 

Scafo in legno pieno; tre alberi a vele quadre; bompresso con fiocchi; vele di strallo fra gli alberi; le vele sono in lamierino zincato e verniciato; castello a prua; cassero a poppa; tre tughe; due scialuppe; a poppa scritta con il nome della nave e il porto di armamento: Copenhagen; opera viva di colore verde; opera morta di colore bianco; basamento ricoperto di stucco colorato di azzurro e bianco per simulare il mare; il modello probabilmente faceva parte di un diorama, nel quale manca la calotta in vetro. Nel linguaggio comune il termine “nave” ha il significato generico di natante di grandi dimensioni. Quindi, in rapporto alla vita del mare, si rendono necessarie diverse specificazioni per distinguere i vari tipi di nave. Ma nel mondo della vela, il termine nave sta a indicare un bastimento con tre alberi a vele quadre, dei quali quello di mezzana, sovente senza trevo, porta anche una vela aurica, nonché vele di strallo tese fra gli alberi e fiocchi sul bompresso. Un armamento del genere fa riferimento alla situazione del secolo scorso, quando la nave a vela raggiunse l’apice della sua millenaria evoluzione. In passato, l’albero di mezzana aveva una vela latina al posto della randa e a prua vi erano due vele quadre, la civada e la contro-civada, poste una sopra e una sotto il bompresso, che svolgevano la stessa funzione dei fiocchi. I ritocchi e i miglioramenti apportati grazie alle sperimentazioni compiute sulle rotte oceaniche permisero di arrivare ad un modello perfezionato che sarebbe rimasto sostanzialmente immutato sino alla fine della vela mercantile. L’attrezzatura a nave era quella tipica dei velieri di lungo corso che battevano le rotte oceaniche trasportando merci di valore, come tè, lana e passeggeri. Inoltre era molto diffusa presso le marinerie atlantiche, ricche di uomini e di mezzi, mentre quelle mediterranee preferivano adottare modelli meno costosi. Fra i bastimenti più famosi occorre ricordare i velocissimi clipper inglesi e americani che in certi tratti potevano raggiungere le fantastiche velocità di 18-20, prestazioni di tutto rispetto per natanti a vela. Ciò spiega perché fino all’inizio del Novecento il vapore non riuscì a prendere completamente il sopravvento. L’alto prezzo del carbone, la necessità di avere basi attrezzate per il rifornimento lungo la rotta e le frequenti rotture delle macchine lasciavano ancora qualche margine agli armatori notalgici della vela. Ma con la Prima Guerra Mondiale tutte le illusioni scomparvero e gli ultimi velieri vennero mestamente posti in disarmo, quando non furono distrutti dai sommergibili.

 

Nave-goletta italiana (o barco bestia)

“Ernani III ” (Vittorio) a vele spiegate

Modello al galleggiamento costruito in Italia

nel primo quarto del XX secolo

Materiali: legno, carta, stoffa, corda e acciaio; su base di

legno e ottone, ricoperta di stucco.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 008

Scala1:150

Materiali:

Dimensioni: cm 40x9x26

 

 

Scafo in legno pieno; un albero a vele quadre e due alberi a vele auriche, più bompresso e fiocchi; vele di strallo tese fra gli alberi; le vele sono fatte di cartoncino; castello a prua; cassero a poppa; una tuga a centro-nave; due boccaporti; timoneria; una scialuppa sul cielo della tuga; due ancore; serpa con fregio a volute; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco con striscia orizzontale blu; a prua una pilotina si sta avvicinando alla nave per condurla in porto; basamento di legno e ottone ricoperto di stucco, colorato di azzurro e bianco per simulare il mare; probabilmente faceva parte di un diorama, nel quale manca la copertura in vetro. La nave era il bastimento di maggior tonnellaggio presente nelle marinerie europee e americane nel corso dell’Ottocento. Il governo della sua complessa attrezzatura richiedeva un equipaggio numeroso e addestrato, in cui avevano un ruolo preminente i gabbieri, addetti alla manovra delle vele quadre. Quando il comandante dava ordine di spiegare o ridurre le vele, essi dovevano salire velocemente “a riva”, cioé sugli alberi, per mezzo delle scale di corda tese fra il sartiame, appoggiare i piedi sul “marciapiede”, un robusto cavo sotteso al pennone, e la pancia sullo stesso e poi sciogliere o terzarolare i gradi trapezi di tela bianca. Per ridurre il personale e quindi i costi di gestione, i costruttori italiani pensarono di sostituire le vele quadre con vele auriche, che potevano essere manovrate direttamente dal ponte e richiedevano un equipaggio meno numeroso e specializzato, lasciando solo il trinchetto con la vecchia configurazione. Da questo idea nacque nel 1840 la prima nave-goletta, la “Cavallo Marino”, di 300 tonnellate di stazza, armata da Giuseppe Dall’Orso di Chiavari. Questo tipo di attrezzatura era particolarmente adatto alle marinerie minori, che avevano penuria di capitali e di personale e che potevano contare su traffici meno redditizi. La nave-goletta si diffuse notevolmente in Italia, specie in Toscana e in Campania, ma anche all’estero, a esempio fra i velieri normanni usati per la pesca del merluzzo nei banchi di Terranova. Nel gergo ligure veniva chiamata “barco-bestia”, una corruzione del termine inglese “best-bark”, con riferimento alle sue eccellenti qualità nautiche. Le dimensioni variavano a seconda del tipo di traffico cui venivano destinate, ma in genere corrispondevano a quelle dei brigantini a palo.

Brigantino a palo italiano

“Maria Luisa” a vele spiegate

Modello al galleggiamento costruito in Italia nel primo quarto

del XX secolo

Dimensioni: cm 38x5,5x24

Materiali: legno, carta, corda e avorio;

su basamento di legno ricoperto di stucco.

Collezione Ernani Andreatta

 

 

Scafo in legno pieno; due alberi a vele quadre e uno a vele auriche, più bompresso e fiocchi; vele di strallo tese fra gli alberi; le vele sono fatte di cartoncino; castello a prua; cassero a poppa; due tughe sul ponte di coperta; opera morta di colore bianco con falsa batteria al livello del ponte di coperta; a prua, una pilotina a vapore sta guidando la nave verso il largo; basamento in legno ricoperto di stucco di verde per simulare il mare. Il modello probabilmente faceva parte di un diorama di cui è andata perduta la copertura in vetro.

Il diorama è un tipo di modello decorativo di carattere popolare che combina la tecnica del pittore di marina e quella del

modellista. La nave è posata su un’imitazione del mare e si distacca su un fondo con paesaggio dipinto. Il tutto è racchiuso entro una cornice di legno dorato, che serve per appenderlo, spesso ornata con bassorilievi in gesso. Quando è collocato in una teca, invece, diventa un elegante soprammobile. Normalmente la nave è presentata con tutte le vele spiegate, che possono essere di legno o di metallo. Come i ritratti di navi, molti di questi modelli portano il nome del marinaio o della persona cui sono stati offerti, il che esclude qualsiasi possibilità di identificazione del bastimento. In genere, a poppa sventola la bandiera del paese di armamento, il che permette una sia pur sommaria classificazione. Un tempo la costruzione di diorami era un passatempo tipico dei marinai in guardia franca, che dovevano trovare un sistema per ingannare la noia del servizio a bordo. Essi utilizzavano i poveri materiali che riuscivano a scroccare al carpentiere ma non per questo tralasciavano di riprodurre fedelmente la nave in tutti i suoi particolari. In seguito divenne una forma di artigianato diffusa presso i marinai in pensione, che vi si dedicavano una volta sbarcati. Non sempre i destinatati dei diorami erano parenti e amici. A volte si trattava di prodotti da vendere agli abitanti dei porti che si toccavano durante i viaggi, per arrotondare il magro salario. Per chi smetteva il servizio, invece, era un modo per attrarre curiosi e turisti a cui raccontare le storie dell’ultima vela.

Pareggia Italiana di Marietto Solari

“Marietto Solari” del 1900

Modello costruito a Chiavari nel 1960

Dimensioni: cm 112x26x67

Materiali: Legno, ferro, spago, stoffa

Collezione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 204

Scala: 1:25

 

 

La pareggia era attrezzata con due alberi a vele latine. La maestra, a calcese e inclinata verso prua, era situata al centro dello scafo e aveva le sartie mobili per poter eseguire la complessa operazione del cambiamento di bordo. A poppa si trovava un corto alberetto, la cui scotta agiva su un lungo buttafuori sporgente dallo scafo. A prua l’asta di fiocco portava una grande vela triangolare detta “polaccone”. Nelle statistiche le paregge figuravano sempre insieme ai bovi, per cui risulta impossibile stabilire la loro esatta consistenza numerica nell’Ottocento. All’inizio alcuni modelli presentavano strani ombrinali di forma quadrangolare lungo le fiancate, che fanno pensare più a portelli per i remi. Queste imbarcazioni erano particolarmente diffuse nelle zone di Sestri Levante e Riva Trigoso, dove venivano usate per il trasporto di merci generali, olio, vino e passeggeri (prima che venisse costruita la strada ferrata lungo la Riviera di Levante) e per la pesca. Per il trasporto di vino, nella stiva trovavano posto 8 grandi botti della capacità di 25-30 ettolitri ciascuna, servite da pompe per il carico e lo scarico. Le imbarcazioni adibite al trasporto di vino avevano anche un bolzone più accentuato, e spesso qualche botte veniva appesa lungo le fiancate. Erano legni di ottime qualità nautiche, capaci di reggere bene il mare anche in condizioni proibitive. Ecco le caratteristiche di due paregge degli ultimi decenni del secolo scorso. “Nuova Caterina Desiderata”: lunghezza m 19; larghezza m 5,25; puntale m 2,05. “Montallegro”: lunghezza m 15; larghezza m 4. La portata variava fra le 30 e le 40 tonnellate e la forma, pur richiamando quella del bovo, era più affinata.

Brigantino a palo italiano

“Rina Corte” con vele terzaruolate

Italia, terzo quarto XIX secolo.

Dimensioni: cm. 212x47x140

Materiali: legno, ferro, corda e stoffa,

su basamento di legno. Scala 1:20

Collezione Rina Corte Cattani

M.M.T.A. - Invent. n. 215

 

 

Di particolare interesse la polena a forma di sirena. Le figure di animali fantastici scolpite sulle prue dei drakkar e quelle riprodotte sulle navi da guerra o da trasporto mediterranee, furono certamente le antenate delle polene che, abbandonate per secoli, ricomparvero sulla scena nel XV secolo. La loro forma subì diverse modifiche nel corso del tempo, a causa dell’evoluzione della struttura della prua. Intorno al 1610, il tagliamare dei bastimenti si slanciava dritto e orizzontale come uno sperone, per cui sembrava naturale collocarvi dei motivi ornamentali in verticale, come statue equestri o in piedi. Era il caso, ad esempio, del vascello inglese “Prince Royal” (1613), sul quale un personaggio a cavallo affrontava impavido i flutti. Verso la fine del XVII secolo, il tagliamare cominciò a rialzarsi e allora la polena venne posta a coronare la parte alta della ruota di prua. Stando in piedi, con il corpo proteso in avanti e la testa inclinata all’indietro, il personaggio o l’animale simbolico che decorava la prua aveva un aspetto rigido, impettito e maestoso. Il leone fu il motivo preferito sulle unità inglesi sino alla fine del Settecento, quando apparvero dei gruppi scultore i più elaborati che sostenevano lateralmente lo stemma reale. Gli stessi scudi si ritroveranno, contornati da ricci e volute, sulle navi in ferro. La seconda metà del XIX secolo, quando nacquero i clipper, fu l’epoca d’oro della produzione di polene. La ruota di prora inclinata dei velieri di quel periodo si prestava a meraviglia per stimolare la fantasia degli scultori. Negli Stati Uniti, l’aquila con le ali spiegate era il motivo più diffuso per le polene delle unità da guerra, mentre i mercantili preferivano un soggetto che richiamasse il più possibile il nome del bastimento. Tale soluzione aveva anche uno scopo pratico: nei porti affollati, quando decine di prue simili tra loro si allineavano lungo le banchine e il tempo era nebbioso, i marinai, quasi tutti analfabeti e quindi incapaci di leggere il nome, avrebbero avuto difficoltà a riconoscere la loro nave, se non fosse stato per la caratteristica polena che la ornava, quasi una personificazione dello scafo stesso. Così il “Lightning” aveva la prua decorata con la figura di una giovane donna alata che aveva il braccio teso e stringeva in mano una minacciosa saetta. Più prosaicamente, dei dignitosi signori in rendigote rappresentavano gli armatori o i loro congiunti. Infine c’erano romantiche fanciulle, più o meno vestite, che offrivano generosamente il loro seno alle carezze della schiuma con un braccio proteso verso l’orizzonte e la gamba rivolta a poppa. Molte polene nordiche venivano dipinte completamente di bianco, come quella del “Cutty Sark”, e tutta la loro grazia era data dal movimento del corpo e dal drappeggio del vestito. Con questi scultori, gente del popolo che aveva la mano felice e sapeva cogliere le tendenze del mercato, grazie a una vena artistica di tipo naif, siamo lontani dai grandi maestri del passato, come Pierre Puget, William Savage o Gérard Christmas. Tuttavia, alcune loro opere sono di tale qualità da poter stare alla pari con i capolavori dei più celebrati scultori in legno. A Genova le botteghe erano concentrate soprattutto a Sampierdarena e a Sestri Ponente, dove si trovavano anche i principali cantieri navali. In Riviera un centro rinomato era Recco, che produceva polene per i costruttori di Chiavari e Riva Trigoso.

Tartana ligure del 1700

“Patrizia”

Modello realizzato a Chiavari nel 1995.

Dimensioni: cm. 64x15x70

Materiali: legno, ferro, corda e stoffa, su basamento di legno. Scala: 1.25

Donazione Carlo Rossi

 

 

La tartana era un battello da carico tipico del Mediterraneo occidentale, lungo da 15 a 20 metri, con la poppa a volta e la serpa molto sporgente. Tali caratteristiche la rendevano simile allo sciabecco, pur avendo scafo più largo e dimensioni più ridotte. Il ponte di coperta presentava una forte insellatura. L’attrezzatura comprendeva maestra e mezzana o maestra e trinchetto, tutti a vele latine. Verso la fine del XIX secolo, la sua struttura venne notevolmente semplificata: sparirono la lunga serpa e la poppa a volta e la velatura si ridusse a un solo albero, con l’aggiunta di un polaccone teso da una lunga asta di fiocco. Lo scafo aveva sezione maestra a U, stellatura ridotta, ginocchio tondo, fianchi leggermente inarcati sulla chiglia, poppa slanciata e insellatura più modesta, salvo che nei modelli spagnoli. La ruota di prua era convessa e a cascata; la poppa era aguzza con il dritto a cascata e lineare. L’attrezzatura aveva assunto un nuovo aspetto: l’albero, piuttosto alto e verticale, si trovava spostato leggermente in avanti rispetto al centro nave e portava una grande vela latina inferita su un’antenna molto inclinata. La vela di prua fissata al lungo bompresso contribuiva a dare slancio e velocità al bastimento. Alcune tartane avevano una freccia sopra la maestra e alzavano una vela di gabbia triangolare fra l’albero e l’asta della vela latina. I modelli più grandi alzavano talvolta una corta

mezzana latina molto spostata a poppa. Intorno al 1900, l’armamento della tartana divenne ancora più semplice: l’antenna della maestra venne fissata all’albero per formare una specie di pennone da vela a tarchia, come nel caicco. Con questa configurazione continuarono a svolgere la loro attività mercantil sino agli anni Cinquanta. Le ultime tartane erano spesso attrezzate con rande al posto delle vele latine e avevano un motore ausiliario. Molte di esse erano dotate di prua a clipper e avevano un’asta di buttafuori a fianco del bompresso, per poter armare un secondo fiocco.

Goletta Yacht a motore

“Gloria”

Modello realizzato a Genova nel 1975.

Dimensioni:cm. 64x14x79

Materiali: legno, ferro, corda, stoffa e ottone, su

basamento di legno.

Donazione Edvige Tosi e Margherita Vecchi

M.M.T.A. - Invent. n. 222

Scala: 1:30

 

 

L’imbarcazione è dotata di motore entrobordo ausiliario. Il modello fu eseguito dal marinaio di bordo e riproduce lo yacht appartenuto alla famiglia Vecchi, costruito nel cantiere di Gian Marco Traverso a Pegli.

 

Modelli di barche a vela

 

• Leudo italiano “Ernani I” (Antonio)

• Leudo italiano “Nanni Ceglie”

• Leudo italiano “Alessandro Nicolini”

• Leudo italiano “Rita” in secca sulla spiaggia

• Leudo vinacciere italiano “Podestà”

• Ketch da diporto italiano “Palma” a vele spiegate

• Monotipo italiano “Lin” (classe Dragone) a vele spiegate

• Ketch da regata italiano “Valentina”

• Gozzo ligure “Nico”

• Leudo Italiano “Giannina Solari”

 

 

Leudo italiano

“Ernani I” (Antonio)

Modello costruito a Chiavari intorno al 1975

cm 66x17x47.

legno, corda, plastica, acciaio e ottone; su

basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

Scala: 1:50

Scafo a ossatura e fasciame; un albero con pennone parzialmente ammainato; bompresso; una tuga poppiera; due boccaporti con quartieri sollevabili; un’ancora; una pompa; sette barili sul ponte di coperta; timone a barra, mobile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco.

Un tipo di nave minore del Medioevo, denominata “liuto” o “lembo”, diede origine a tutta una serie di piccoli legni a vela latina per il trasporto costiero. L’attrezzatura comprendeva due alberi a vela latina, entrambi a calcese e inclinati verso prua, specie quello di trinchetto. Quando nel Settecento fu introdotto l’uso dei fiocchi, l’albero prodiero scomparve, lasciando il posto a un grande fiocco, il “polaccone”, disteso da una lunga asta che sporgeva oltre la ruota di prua, e nel contempo aumento l’inclinazione in avanti dell’albero di maestra. Tale trasformazione comportò anche la diminuzione del cavallino, che permise un aumento della velocità. Il leudo, con la tipica poppa a cuneo derivante dalle imbarcazioni medievali, e la prua, senza tagliamare, inclinata in avanti, si diffuse notevolmente nelle marinerie mediterranee durante l’Ottocento. Il suo pregio principale risiedeva nell’attrezzatura, semplice e maneggevole, talvolta ulteriormente ridotta con l’abolizione del grande fiocco. In questa configurazione veniva chiamato più propriamente “latino”. In caso di forte vento, la vela latina poteva essere sostituita con una vela quadra, di piccole dimensioni, denominata “trevo”. Alcuni leudi venivano adibiti al trasporto del vino lungo le coste della Liguria, della Toscana e della Provenza. I più grandi si spingevano fino in Campania, Sardegna e Catalogna. Le botti venivano caricate sia sul ponte sia sottocoperta. Gli esemplari destinati ai carichi secchi avevano una semplice stiva. Altri ancora venivano adibiti alla pesca. In genere, i tipi mercantili avevano un bolzone più accentuato rispetto a quelli da pesca. In via eccezionale, il leudo poteva anche armare da due a quattro remi, che servivano per virare di bordo o manovrare nei porti. La lunghezza era di 12-18 metri, la larghezza di 4-5 metri, il puntale di 1-2 metri e la stazza di 15-20 tonnellate.

 

Leudo italiano

“Nanni Ceglie”

Modello costruito a Chiavari intorno al 1970

Dimensioni: cm 45x10x34

Materiali:legno, corda e acciaio; su vaso di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 011

Scala: 1:35

Scafo in legno scavato; un albero con vela latina; pennone mobile; bompresso; ancorotto a quattro marre; due boccaporti; una scialuppa sul cielo del boccaporto poppiero; timone a barra, mobile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco, con striscia orizzontale gialla al cintone; capodibanda di colore azzurro; ponte di coperta di colore arancione.

 

Leudo italiano

“Alessandro Nicolini”

Modello costruito a Chiavari intorno al 1970

Dimensioni: cm 28x8x21

Materiali: legno, corda e acciaio; su vaso di legno.

Collezione Ernani Andreatta

Scala: 1.100

M.M.T.A. - Invent. n.012

 


Scafo in legno scavato; un albero a vela latina; pennone mobile; bompresso; due boccaporti; una lancia sul cielo del boccaporto poppiero; timone a barra, mobile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco, con striscia gialla al cintone; capodibanda di colore azzurro; ponte di coperta di colore arancione.

 

Leudo italiano

“Rita” in secca sulla spiaggia

Modello costruito a Chiavari nel terzo quarto del XX secolo

Dimensioni: cm 56x14,5x40

Materiali: legno, corda e ottone; su basamento di legno

ricoperto di stucco.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 013

Scala: 1:60

 

 

Scafo in legno pieno; un albero a vela latina con pennone ammainato; bompresso; una tuga poppiera; due boccaporti; una lancia; una pompa per l’acqua; sei barili; un’ancora a due marre; un ancorotto a quattro marre; timone a barra, mobile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco; vaso di costruzione; basamento ricoperto di stucco per simulare la spiaggia.

Franco Tommasino

Leudo vinacciere italiano

“Podestà”

Modello galleggiante costruito a Chiavari nel 1970

Dimensioni: cm 143x36x90

Materiali: legno di cirmolo, stoffa, corda, ottone e

acciaio; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 014

Scala: 1:20

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; un albero a vela latina; bompresso con fiocco; una tuga a poppa, con copertura sollevabile; due boccaporti con quartieri sollevabili; timone a barra, mobile; elica girevole; ancorotto a quattro marre; cucina; opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco, con striscia orizzontale verde; ponte di coperta di colore rosso.

Il modello riproduce un leudo costruito nel cantiere di Mario Gotuzzo, agli Scogli, nel 1934, dai maestri d’ascia Cicia, Menelicche e Maccianti, per conto dell’armatore Podestà di Recco. Fu il primo dotato di un motore ausiliario FIAT da 50 CV, costruito su licenza della Balinder. I leudi erano tipiche imbarcazioni a vela latina che servivano per il piccolo cabotaggio nel Mediterraneo. Collegavano il continente alle isole, Corsica, Sardegna, Elba ecc., trasportando i prodotti tipici di quelle zone come vino e formaggi. Svolgevano servizi settimanali e potevano anche trasportare dei passeggeri. Scomparvero dalla scena con l’avvento del turismo di massa e l’entrata in servizio dei traghetti negli anni Cinquanta. Oggi ne sopravvivono pochi esemplari, ridotti a imbarcazioni da diporto, o abbandonati su qualche spiaggia. Il costruttore del modello in un primo tempo lo aveva battezzato “Maria Fortunata”.

 

Luciano Devoto

Ketch da diporto italiano

“Palma” a vele spiegate

Modello costruito a Chiavari intorno al 1970

Dimensioni: cm 50x13x47

Materiali: legno, corda, stoffa, ottone e acciaio; su

basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 015

Scala:1:60

Scafo a ossatura e fasciame; due alberi; maestra con randa aurica e fiocco, mezzanella con randa Marconi; una tuga centrale; un’ancora; elica poppiera girevole; timone a barra, mobile. E’ un tipo di imbarcazione attrezzato con un albero e mezzo, cioè una maestra di altezza normale e una mezzana molto più piccola. Diversamente dallo yawl, la mezzana è situata entro la linea di galleggiamento della costruzione, ossia a proravia della losca. A parte un’eventuale gabbiola al trinchetto, entrambi gli alberi sono armati con vele di taglio, rande auriche o bermudiane, raramente con vele a tarchia. A prua sporge un corto bompresso con uno o due fiocchi.

 

Monotipo italiano

“Lin” (classe Dragone) a vele spiegate

Modello costruito a bordo della T/N panamense “Texaco

London” nel 1969

Dimensioni: cm 73x13x95

Materiali: legno, stoffa, corda, rame e ottone; su

basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 016

scala1:40

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; attrezzatura a cutter; un albero con randa Marconi, fiocco e trinchettina; una tuga; due boccaporti; timone a barra, mobile. La classe “Dragone” ebbe origine da un concorso promosso nel 1929 dal Royal Goteborg Yacht Club, in Svezia, su progetto dal norvegese Johan Anker. Quando fu ammessa ai Giochi Olimpici del 1948, era già stata sperimentata dalla maggior parte delle nazioni veliche. Anche se in origine era prevista una piccola cabina, la classe venne usata esclusivamente per le regate. Fu esclusa dalle Olimpiadi nel 1972, in favore della classe “Soling”. L’armamento e le regole di classe si sono fortemente evoluti e oggi esistono flotte di Dragoni attive in tutto il mondo. La Dragon Gold Cup è un trofeo molto noto, che si disputa ogni anno in Scandinavia o in Scozia sin dal 1937, eccetto che nel periodo 1939-46.

 

Franco Tommasino

Ketch da regata italiano

“Valentina”

Modello navigante costruito a Genova nel 1970

Dimensioni: cm 217x34x238

Materiali: legno, alluminio, nylon; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 017

Scala: 1:10

 

 

Scafo a deriva fissa; due alberi con rande bermudiane, più fiocco a 7/8; tuga centrale; doppia timoneria nel pozzetto poppiero. Il radiocomando aziona timone, rande e fiocco. L’albero, che può ruotare liberamente, è inserito in una boccola al centro dello scafo. Si orienta da solo nella direzione migliore per prendere il vento. La manovra delle vele è regolata da un solo verricello. Nata come barca da regata classe A nel 1960, partecipò ai campionati italiani del 1970-71. Aveva scafo in legno, a ordinate e fasciame, e chiglia in piombo da 15 Kg. Oggi si chiama “Valentina” ed è armata a ketch, con due alberi e un grande Genoa. Questa imbarcazione è dotata del sistema “Balestrone”, sul quale sono fissati la randa e il fiocco.

 

Gozzo ligure

“Nico”

Modello costruito a Chiavari nel 1990

Dimensioni: cm 48x16x12

Materiali: legno compensato, ottone, corda e acciaio; su

basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 018

Scala 1:25

 

 

Scafo a ossatura e fasciame; timone a barra, mobile; due remi; due boe; una rete da pesca; due cassette; un ancorotto a quattro marre; opera viva di colore rosso; opera morta di colore legno naturale, con due striscie orizzontali bianche.

 

Marietto Solari

Leudo Italiano

“Giannina Solari”

Modello costruito a Chiavari nel 1965.

Dimensioni: cm 92x22x64

Materiali: legno, metallo, spag:o, stoffa

Collezione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 205

Scala: 1:24

 

 

Tipica imbarcazione di Riva Trigoso adibita al trasporto di vino in barili o di sabbia per le costruzioni.

 

Modelli navi in bottiglia

• Brigantino-goletta italiano “Isa” a vele spiegate, affiancato da una pilotina

• Brigantino a palo italiano “Bacci” a vele spiegate.

• Nave a palo italiana “Nini” a vele spiegate.

• Bovo ligure “Federico” a vele spiegate. Entro lampadina

 

Brigantino-goletta italiano

“Isa” a vele spiegate,

affiancato da una pilotina. In bottiglia

Modello costruito in Italia nel secondo quarto XX secolo

Dimensioni: bottiglia: lungh. cm 29; diam. cm 8,5

Materiali: legno, corda, cartoncino e stucco;

in bottiglia di vetro, su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 019

Scala: 1:190

 

 

Il modello presenta un armamento a due alberi, con maestra quadra e mezzana aurica, bompresso, fiocchi e strallo; la pilotina, fatta di cartoncino, è attrezzata a sloop, con randa aurica, controranda e fiocco; sullo sfondo, paesaggio roccioso tipicamente ligure. Pare che la tradizione di realizzare modelli di navi in bottiglia risalga all’inizio dell’Ottocento, quando il colore del vetro dei contenitori divenne più chiaro, lasciando intravedere meglio il contenuto, il collo più largo e più corto, permettendo un più facile inserimento all’interno delle parti, e il corpo più regolare, adatto quindi ad accogliere le forme di una nave. La tecnica di costruzione si è conservata quasi immutata nel tempo e viene seguita ancora oggi dai modellisti per fabbricare ricordi in serie da vendere i turisti. Si inizia con il colare il mastice all’interno della bottiglia per simulare il mare, lo si modella con delle piccole spatole per imitare le onde e infine lo si colora di azzurro intenso. Poi si crea la scenetta del diorama: porto, molo, pontile, faro, case, alberi ecc., evitando di intasare troppo lo sfondo. Da ultimo viene il momento di posizionare la nave, spesso più di una. Sullo scafo è già stata collocata l’attrezzatura, ma gli alberi, muniti di sartie e stralli, sono fissati al ponte per mezzo di un pernetto e sono abbattuti nel senso della lunghezza. I pennoni sono tenuti accostati ad essi per mezzo degli amantigli. Il tutto è già dipinto con gli opportuni colori e viene introdotto nella bottiglia con la poppa in avanti. Si affonda lo scafo nel mastice ancora fresco con l’ausilio di una spatolina, si tirano le manovre degli alberi per raddrizzarli e li si fissa nella loro posizione con una puntina di colla. Poi si tendono i cavi con un filo di ferro uncinato, si incrociano i pennoni e si blocca il sartiame. Indi si mettono al loro posto le vele di carta, iniziando da quelle di poppa. Completate queste operazioni, si ritocca il mare con dei pennelli, disegnando due baffi di schiuma a prua e la scia a poppa, e si imbandiera la nave. Quando tutto è pronto e ben asciugato, si mette il tappo di sughero alla bottiglia e lo si sigilla con la ceralacca. In apparenza si tratta di operazioni abbastanza semplici, ma in realtà occorre una grande abilità per poter far combaciare tutte le piccole parti che compongono il diorama. L’arte di costruire navi in bottiglia era il passatempo dei marinai imbarcati sui velieri di lungo corso, che trasportavano merci di ogni genere da un capo all’altro della terra. Specie durante i lunghi viaggi oltre i capi, nelle ore di franchigia o in bonaccia, occorreva trovare qualcosa da fare per ingannare l’attesa, scaciare la noia e non lasciarsi prendere dallo sconforto, il nemico peggiore dei marinai. Ciascun membro dell’equipaggio coltivava un suo hobby particolare: c’era chi leggeva la Bibbia o altri libri edificanti, chi suonava o strimpellava uno strumento, chi dipingeva ritratti di navi o di persone, chi confezionava abiti o accessori d’abbigliamento, chi costruiva cassapanche o piccoli mobili, chi incideva ossi di balena o denti di capodoglio. I più abili realizzavano stupendi modelli, diorami e navi in bottiglia, usando i poveri materiali che recuperavano a bordo. Questi lavori artigianali, oltre a permettere un piccolo arrotondamento della paga, distoglievano la loro mente dal ricordo della casa e degli affetti lontani. In alcune vecchie fotografie della fine del secolo scorso, si vedono gruppi di marinai allineati sul ponte che mostrono orgogliosamente i loro manufatti. Ciò che contraddistingue la loro opera da quella degli artigiani di oggi è l’amore incondizionato che nutrivano per le navi e per il mare, nonostante i pericoli cui andavano incontro tutti i giorni. Sarà forse per questo motivo che le navi in bottiglia autentiche non hanno una vela, una tavola o una manovra fuori posto, pur nelle ridotte dimensioni dell’oggetto.

 

Brigantino a palo italiano

“Bacci” a vele spiegate.

In bottiglia

Modello costruito in Italia nell'ultimo quarto del XX secolo

Dimensioni: bottiglia: lungh. cm 36; diam. cm 11

Materiali: legno, corda, cartoncino e stucco; in bottiglia di vetro, su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 020

Scala: 1:180

 

 

Il modello presenta un armamento con due alberi a vele quadre e uno a vele auriche, più bompresso, fiocchi e stralli; castello a prua; cassero a poppa; due tughe; due fanali di via; opera viva di colore rosso; opera morta di colore verde; sullo sfondo, un’isola vulcanica tropicale.

 

Nave a palo italiana

“Nini” a vele spiegate. In bottiglia

Modello costruito in Italia nel terzo quarto del XX secolo

Dimensioni: bottiglia: lungh. cm 30; diam. cm 8

Materiali: legno, corda, cartoncino e stucco;

in bottiglia di vetro, su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 021

Scala: 1:260


Il modello presenta un armamento con tre alberi a vele quadre e uno a vele auriche, più bompresso, fiocchi e stralli; castello a prua; cassero a poppa; due tughe; un boccaporto; due scialuppe; opera viva a strisce verde, bianca e nera, con falsa batteria.

Bovo ligure

“Federico” a vele spiegate.

Entro lampadina

Modello costruito in Italia nel secondo quarto del XX secolo

Dimensioni: lampadina: lungh. cm 20; diam. cm 8

Materiali: legno, corda, cartoncino e stucco; in lampadina

di vetro e ottone, su basamento di legno

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 022

Scala: 1:160


Il modello presenta un armamento con due alberi a vele latine e polaccone. Il bovo era un legno da cabotaggio caratterizzato da una grande vela latina all’albero di maestra, verticale e non a calcese, e da un piccolo albero a poppa estrema, sempre a vela latina, la cui scotta agiva su un lungo buttafuori. Inoltre armava un grande fiocco, il “polaccone”, con relativa asta sporgente oltre la prua. Questi elementi fondamentali erano suscettibili di variazioni e di adattamenti, a seconda delle circostanze e dei pericoli per la navigazione. Poteva accadere, ad esempio, che venisse montata una gabbiola sull’albero principale, o due fiocchi al posto del polaccone, per resistere meglio alle tempeste. La poppa era a specchio, con notevole slancio, almeno nei modelli più antichi. La prua, inclinata in avanti, era munita di tagliamare. Seguendo l’evoluzione delle altre unità mercantili, negli ultimi esemplari la poppa divenne tonda. In rapporto al carico trasportato, lo scafo poteva assumere configurazioni particolari. I bovi da vino, ad esempio, che eseguivano il trasporto a mezzo di grandi botti poste nella stiva, avevano un bolzone molto accentuato. Questo tipo di natante era diffuso soprattutto nel Tirreno. La lunghezza poteva variare da 16 a 25 metri, la larghezza da 5 a 7 metri, il puntale da 2 a 3 metri e la stazza da 20 a 40 tonnellate.

 

Modelli di navi da guerra a motore

• Corazzata giapponese “Yamato”

• Sottomarino lanciamissili nucleare americano “Andrew Jackson”

• Portaerei americana “Enterprise”

• Incrociatore lanciamissili italiano “Vittorio Veneto”

• Fregata antisommergibili italiana “Lupo”

• Incrociatore portaeromobili italiano “Giuseppe Garibaldi”

• Motosilurante tedesca “Wiesel”

• Mas italiano lancia siluri della Marina Militare Italiana

• Yacht Guardiamarina “Marti”

 

Franco Tommasino

Corazzata giapponese

"Yamato"

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1985

Dimensioni: cm 131x21x28

Materiali: plastica, ottone, rame e gomma; su basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 031

Scala:1:200

 

Il motore elettrico aziona le quattro eliche, i timoni, i cannoni di grosso calibro e il radar. Tuga sollevabile per accedere al vano interno; quattro proiettori che illuminano i settori di tiro.

La “Yamato” e la gemella “Musashi” furono le uniche navi da battaglia costruite dal Giappone nel periodo fra le due guerre mondiali. Il programma ne prevedeva quattro, ma le ultime due furono trasformate in portaerei, di cui solo la “Shinano” venne completata, mentre l’altra fu cancellata. Esse rappresentavano l’esasperazione del concetto di “Super-Dreadnought”, con dislocamento, corazzatura, armamento e velocità superiori a quelli di tutte le avversarie, ma furono anche l’esempio lampante dell’inutilità di navi di questo tipo, perché vennero distrutte entrambe da bombe e siluri lanciati da aerei, senza che potessero opporre altra resistenza che non fosse la loro straordinaria capacità di incassare colpi. Infatti, per affondare la “Yamato” furono necessari 11 siluri e 23 bombe e per la “Musashi” 11 siluri e 20 bombe. L’unità capoclasse venne impostata nell’Arsenale di Kure il 4 novembre 1937, varata l’8 agosto 1940 e consegnata il 16 dicembre 1941. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 263; larghezza m 38,9; immersione m 10,4; dislocamento tonn. 72.809. Era la più grande nave da guerra che fosse mai stata costruita. Aveva lo scafo a ponte continuo e una grande sovrastruttura a torre, contenente tutti i locali comando. Il fumaiolo era inclinato verso poppa e munito di plance laterali, alcune delle quali si collegavano con quelle del torrione. Anche l’albero poppiero era inclinato all’indietro ed aveva la parte inferiore a tripode. A poppa vi era un secondo torrione, più basso del primo. La corazzatura di murata non era verticale, ma inclinata di 20° verso l’interno. Nella sua parte inferiore penetrava nello scafo e veniva inglobata nella controcarena. Le piastre della cintura avevano uno spessore di 410 mm nella parte alta, che si riduceva a 200 mm nella parte più bassa e a 80 mm al livello della carena. I depositi delle munizioni erano protetti da una corazza spessa 250 mm nella parte bassa, che si ripiegava orizzontalmente passando sotto i locali con uno spessore di 76 mm nella parte centrale e 51 mm in quelle laterali di raccordo. Il ponte di coperta era corazzato con piastre da 35-50 mm, ma solo nella parti fuori ridotto. Il ponte di protezione aveva uno spessore di 230 mm al centro e 200 mm nelle parti inclinate laterali. Le torri principali erano protette da 650 mm di acciaio; le barbette da 560 mm e la torre comando da 500 mm. L’armamento comprendeva 9 pezzi da 460 mm, il più grosso calibro mai imbarcato su una nave, disposti in tre torri trinate: due a prora e una poppa. I 12 cannoni da 155 mm erano sistemati in quattro torri trinate, di cui una fungeva da terza torre soprelevata prodiera e un’altra da seconda torre soprelevata poppiera. Le altre due, sistemate in coperta ai lati del fumaiolo, vennero sbarcate nel 1943 per potenziare l’armamento antiaereo, che salì da 12 a 24 pezzi da 127 mm, collocati in 12 postazioni binate ai lati della sovrastruttura. Sia i cannoni da 155 mm, sia quelli da 127 mm potevano sparare con un alzo fino a 45°. Le mitragliere da 25 mm crebbero di numero sino ad arrivare a 150 nel 1945, quasi tutte sistemate nella zona centrale. Vi erano però anche 3 torrette a prora estrema e quattro a poppa estrema, come sulle navi americane. L’apparato motore era composto da quattro gruppi di turbine, alimentate da 12 caldaie, che azionavano quattro eliche, per una potenza di 150.000 CV e una velocità massima di 27 nodi.

I due timoni, uno più grande e uno più piccolo, erano posti entrambi nel piano di simmetria. Le cisterne potevano contenere fino a 6.300 tonnellate di nafta, per un’autonomia di 10.000 miglia a velocità di crociera. L’equipaggio era formato da 2.500 uomini. La “Yamato” divenne l’ammiraglia di Yamamoto, Capo di Stato Maggiore della Flotta Imperiale Giapponese. Nel dicembre del 1943 fu silurata dal sommergibile americano “Skate”, subendo lievi danni. Durante la battaglia di Samar, nell’ottobre del 1944, affondò una portaerei e tre cacciatorpediniere nemici. Il 7 aprile

1945 fu attaccata da velivoli partiti dalle portaerei americane e affondata con bombe e siluri.

 

Sottomarino lanciamissili nucleare americano

“Andrew Jackson”

Modello navigante costruito a Genova nel 1970

Dimensioni: cm 180x16x38

Materiali: vetroresina, cemento, piombo, alluminio; su

basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 032

Scala 1:70

 

 

Il modello pesa 30 Kg. Ha 5 litri di riserva d’aria e riserva di spinta. Quando naviga in superficie restano emerse una parte dello

scafo e la torretta. Può arrivare sino a 5 metri di profondità. Il radiocomando aziona il motore, i timoni di direzione e quelli di profondità. Questi ultimi si dispongono a emergere anche quando sta per raggiungere il limite di sicurezza.

“Quando decisi di realizzare un sottomarino, la costruzione di questi natanti era appena agli inizi. Prima tentai con il “Nautilus”, in scala 1:100, ma mi accorsi che in uno scafo lungo un metro non c’era abbastanza spazio per le macchine e le batterie, per cui lo abbandonai. Ripresi il tentativo con lo “Andrew Jackson”, raddoppiando la lunghezza, in modo da avere più spazio. Anche la stazza cambiò: se per immergere il “Nautilus” occorrevano 12 Kg di zavorra, per lo “Andrew Jackson” ce ne volevano 30. Lo realizzai in scala 1:70, con scafo in vetroresina, prua in legno e poppa in ottone. Saldate le tre parti e montata la torretta, iniziai le prove in acqua e fu proprio in tale occasione che mi accorsi della quantità di zavorra necessaria a farlo immergere. Calcolai che il volume era di 30 litri, ovvero circa 30 Kg. Per vederlo affiorare dovevo lasciare all’interno 5 litri d’aria. Finito lo scafo esterno, con assi portaelica e timoni, misi una zavorra di 12 Kg di piombo, cui aggiunsi del cemento fino ad arrivare a 20 Kg, altri 5 Kg per il motore, le batterie e i comandi e arrivai a 30 Kg. Nel corso della prima immersione, una bolla d’aria rimasta all’interno dello scafo si spostò a poppa, facendo capovolgere lo scafo, che si mise in posizione verticale con l’elica fuori dall’acqua. Per questo dovetti chiudere le aperture di poppa e di prua con del polistirolo e finalmente potei dare inizio alla prima uscita. Vedere in azione lo “Andrew Jackson” era un vero spettacolo! La costruzione di questo modello mi insegnò che l’acqua di

mare può avere densità diverse a seconda della zona. A Chiavari, alla foce dell’Entella è poco densa; media nel porto e alta presso gli Scogli. La zavorra deve essere cambiata a seconda del luogo di immersione”.

Il sottomarino “Andrew Jackson” (SSBN 619), terza unità della classe “Lafayette”, venne impostato nel cantiere navale di Mare Island il 26 aprile 1961, varato il 15 settembre 1962 e consegnato il 3 luglio 1963. Le sue caratteristiche sono: lunghezza m 129,5; larghezza m 10,1; altezza m 9,6; dislocamento a vuoto tonn. 6.650; dislocamento a pieno carico tonn. 7.250; dislocamento in immersione tonn. 8.250. L’apparato motore si basa su un reattore nucleare pressurizzato ad acqua, modello S5W, che alimenta delle turbine a vapore, per una potenza di 15.000 CV su un’elica. La velocità massima è di 20 nodi in superficie e 25 in immersione. L’equipaggio comprende 12 ufficiali e 129 tra sottufficiali e comuni. L’armamento missilistico è composto da 16 tubi per il lancio di missili balistici intercontinentali Poseidon C-3 SLBM o Trident C-4 SLBM. Inoltre vi sono quattro tubi lanciasiluri prodieri da 533 mm per ordigni Mk 65. La classe cui appartiene comprende in tutto 31 unità. Esse furono progettati per trasportare i missili Polaris, poi vennero modernizzate per accogliere i Poseidon. Gli ultimi dodici sottomarini della serie sono stati recentemente modificati per lanciare i Trident. Operano tutti nelle aree del Mediterraneo e dell’Atlantico. Per quanto riguarda il design, si tratta di una versione ingrandita e aggiornata della precedente classe “Ethan Allen”, con scafo a goccia, torretta sottile spostata verso prora e munita di timoni di profondità, tubi lanciamissili scaglionati in due file da otto a poppavia della stessa, e un’elica poppiera, in corrispondenza dei timoni di direzione. La particolare forma dello scafo, a parità di potenza sviluppata, permette di raggiungere una maggior velocità in immersione che non in superficie. Di solito le loro crociere durano una sessantina di giorni, con qualche sosta lungo il percorso per concedere un po’ di riposo agli equipaggi e rompere la monotonia delle lunghe navigazioni in immersione.

 

Portaerei americana

"Enterprise"

Modello navigante costruito a Genova nel 1965

Dimensioni: cm 142x36x35

Materiali: compensato, ottone, plastica, rame e gomma;

su basamento di legno e ottone.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 034

Scala 1:240

 

I motori elettrici azionano due eliche, due timoni, un radar, tre ascensori due catapulte, l’impianto luci e i segnali di via. Una parte del ponte di volo può essere sollevata per accedere al vano interno.

La “Enterprise” (CVAN 65) prima portaerei a propulsione nucleare della storia, fu costruita a Newport News, in Virginia, per conto della marina americana. Impostata il 4 febbraio 1958, fu varata il 24 settembre 1960 e consegnata il 25 novembre 1961. Le sue dimensioni sono: lunghezza m 341,30; larghezza m 40,50; immersione m 10,80; dislocamento tonn. 89.600. Al momento dell’entrata in servizio era la nave da guerra più grande del mondo, con le sue 12.000 tonnellate in più rispetto alla portaerei “Forrestal”. Per il suo costo di 451,3 milioni di dollari era anche la più costosa mai costruita. La U.S. Navy aveva iniziato lo studio di una portaerei a propulsione nucleare nel 1950, contemporaneamente a quello dei sottomarini. Quattro anni dopo fu realizzato un impianto pilota e nel 1958-59 entrarono in funzione i primi due reattori. Il progetto derivava da quello della “Forrestal”, salvo una diversa sistemazione degli elevatori e una forma particolare dell’isola. Il ponte di volo, più ampio rispetto alle unità precedenti, è costituito da una zona prodiera poco più larga dello scafo e da una centro-poppiera sensibilmente più larga, sostenuta da mensole laterali. Il ponte di volo angolato è delimitato da strisce pitturate nella zona centro-poppiera. L’isola, priva di fumaiolo e di notevoli dimensioni, ha una curiosa forma a cubo. Sulle sue facce sono applicati dei giganteschi pannelli, le antenne dei radar, fissi e non rotanti, per avere un maggior campo di azione. Sul cielo del cubo si trovano le plance, contenute in una sovrastruttura cilindrica, e un albero per altre antenne radar. Gli elevatori sono quattro, di cui tre sul lato destro, due a proravia e uno a poppavia dell’isola, e uno a sinistra, verso poppa. Essi hanno forma trapeizodale per accogliere gli aerei con le ali ripiegate. Vi sono quattro catapulte a vapore, due nella zona prodiera e due nella zona centro-poppiera, e quattro cavi di arresto tesi attraverso il ponte. All’inizio la nave non era dotata di armamento fisso e basava la sua difesa esclusivamente sulla componente aerea. Nel 1966, per respingere eventuali attacchi dal cielo, vennero installati tre lanciatori per missili Sea Sparrow antiaerei. Normalmente la nave imbarca una novantina di aerei: due squadriglie da caccia, due da bombardamento, una antisom, una da ricognizione, una da contromisure elettroniche e una da rifornimento, più alcuni elicotteri per i servizi generali.

Ma la configurazione può variare a seconda delle condizioni operative e delle necessità del momento. L’apparato motore è costituito da quattro gruppi di turbine, alimentate dal vapore generato da 32 scambiatori di calore, che ricevono energia da otto reattori nucleari, per una potenza di 280.000 CV e una velocità massima di 35 nodi. La prima sostituzione del nucleo venne effettuata dopo tre anni di funzionamento e 207.000 miglia percorse. La seconda ebbe luogo dopo altri quattro anni e un percorso di 300.000 miglia. L’equipaggio comprende 5.500 uomini, tra ufficiali, sottufficiali e comuni, una vera città galleggiante.

 

 

Fregata antisommergibili italiana

“Lupo”

Modello navigante costruito a Genova nel 1978

Dimensioni: cm 121x23x42

Materiali: vetroresina, compensato, ottone e plastica; su

basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 042

Scala 1:100

 

 

Il motore elettrico aziona le due eliche, i due timoni e il radar di scoperta navale. Tuga sollevabile per accedere al vano interno; saracinesca dell’hangar sollevabile per ricoverarvi l’elicottero.

La fregata antisommergibili “Lupo”, costruita dai Cantieri Navali Riuniti di Riva Trigoso (GE), fu impostata l’11 ottobre 1974, varata il 29 luglio 1976 e consegnata il 12 settembre 1977. Le unità di questa classe, dotate di elevate caratteristiche e prestazioni in rapporto al costo e al dislocamento contenuti, hanno riscosso un notevole successo commerciale, specie presso le marine del Sud America, rinverdendo i fasti della cantieristica italiana. Le sue dimensioni sono: lunghezza m 113,50; larghezza m 12; immersione m 4; dislocamento a pieno carico tonn. 2.500. Lo scafo è a ponte continuo, con accentuata insellatura prodiera. La sovrastruttura centrale è divisa in tre parti: quella prodiera sostiene la plancia, quella mediana è sormontata dal largo fumaiolo e quella poppiera contiene l’aviorimessa. La poppa è a specchio, con ampie sfinestrature quadrangolari. Il ponte di volo è lungo m 24 e largo m 12. L’albero è a forma di tronco di piramide. Il fumaiolo è costituito da una gigantesca struttura parallelepipeda, con visiera parafumo rivolta verso poppa. L’armamento comprende otto lanciamissili superficie-superficie antinave Teseo, sistemati quattro per lato, due sul castello a fianco della plancia e due su plancette ai lati del fumaiolo. Per la difesa antiaerea dispone di un lanciamissili Sea Sparrow a otto celle, situato sul cielo dell’aviorimessa. Il cannone da 127/54 è collocato in una torre a

proravia della plancia. Le quattro mitragliere da 40 mm si trovano in due complessi binati ai lati dell’aviorimessa. L’armamento antisommergibili è costituito da due lanciasiluri trinati, sistemati in coperta, a poppavia della sovrastruttura, e da due elicotteri Agusta-Bell AB-212 ASW. L’aviorimessa, di tipo rientrabile, può contenere un solo apparecchio; l’altro rimane allo scoperto sul ponte di volo. L’apparato di propulsione è del tipo misto. Vi sono due motori Diesel, che servono per la navigazione di crociera e possono sviluppare una velocità massima di 21 nodi. Per le alte prestazioni, si scollegano i Diesel e si innestano due turbine a gas, permettendo di arrivare a 35 nodi. La potenza è di 50.000 CV per i Diesel, più 7.800 per le turbine. L’autonomia è di 4.350 miglia a 16 nodi. I timoni sono due, uguali e paralleli, posti dietro le eliche. Tutte le unità sono dotate di pinne stabilizzatrici.

L’equipaggio comprende 16 ufficiali e 169 tra sottufficiali e comuni. Quattordici unità dello stesso tipo vennero costruite nel periodo 1974-87 per le marine del Perù (4 esemplari), del Venezuela (6 esemplari) e dell’Iraq (4 esemplari). Queste ultime non furono mai consegnate al paese committente a causa dello scoppio della guerra con l’Iran e del conseguente embargo sull’esportazione di armamenti verso i paesi belligeranti. Dopo essere rimaste a lungo in disarmo a La Spezia, sono state acquistate dalla Marina Militare Italiana che le ha sottoposte a un radicale programma di trasformazione per adeguarle allo standard tecnico-operativo dell’arma, con interventi sui sistemi di comando, controllo e telecomunicazioni, e sui sensori di scoperta radar e acustici. Nonostante che il loro equipaggiamento non si discosti molto da quello delle unità precedenti, non sono state classificate come fregate, ma come pattugliatori di squadra, assimilabili quindi alle unità di minori dimensioni.

Incrociatore portaeromobili italiano

“Giuseppe Garibaldi”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1985

Dimensioni: cm 149x30x47

Materiali: compensato, ottone, plastica, rame e gomma.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 043

Scala 1:100

 

Motto: Obbedisco.

Il motore elettrico aziona le eliche, i timoni, gli ascensori, il radar e i lanciamissili.

L’incrociatore portaeromobili “Giuseppe Garibaldi” venne costruito nel Cantiere Navale di Monfalcone (TS) per conto della Marina Militare Italiana. Impostato il 20 febbraio 1978, fu varato il 4 giugno 1983 e consegnato il 30 settembre 1985. E’ un’unità concepita per servire come nave comando di task force e fornire un adeguato supporto a operazioni di controllo strategico, pattugliamento costiero, sbarco di truppe e operazioni di polizia marittima. Pur avendo un limitato dilocamento, permette l’utilizzo ottimale dei sistemi d’arma aeromobile e missilistico, in funzione antinave, antiaerea e antisom. Infatti può imbarcare elicotteri leggeri antisom ed elicotteri medi destinati al contrasto antinave o alla guerra elettronica. Inoltre ha le predisposizioni tecniche necessarie per accogliere aerei a decollo corto o verticale tipo Harrier II AV-8B PLUS, capaci di assicurare l’interdizione antiaerea e antinave a distanza superiore rispetto ai sistemi d’arma fissi. Unità estremamente versatile, è dotata dei più moderni equipaggiamenti attivi e passivi per l’autodifesa. Inoltre può fornire alloggio a reparti di incursori destinati a raggiungere il teatro di operazioni per mezzo di elicotteri da trasporto. Le sue dimensioni sono: lunghezza fuori tutto m 180,2; lunghezza ponte di volo m 173,8; larghezza massima al galleggiamento m 23,4; larghezza massima ponte di volo m 30,4; immersione m 6,7; dislocamento a pieno carico tonn. 13.370. All’estremità prodiera è stato realizzato uno “sky-jump” (non previsto nel progetto originale), una sorta di scivolo inclinato applicato per la prima volta sulle unità britanniche della classe “Invincible”, che serve a facilitare il decollo corto dei velivoli imbarcati. Lungo 28,5 m e con un angolo di uscita di 6,5°, permette loro di aumentare notevolmente il carico bellico, migliorandone le capacità operative. Per il trasferimento degli aeromobili dall’hangar al ponte di volo, sono disponibili due elevatori, ciascuno con una superficie di circa 180 mq e una portata massima di 15 tonnellate, sistemati rispettivamente a proravia e a poppavia dell’isola, in posizione tale da lasciare il ponte di volo sgombro per il decollo contemporaneo di sei elicotteri. L’interno dello scafo si eleva per sette livelli. Ai lati e alle estremità dell’hangar (che si sviluppa in altezza su due livelli e il cui cielo corrisponde al ponte di volo) si trova la maggior parte dei locali di vita dell’equipaggio e di controllo degli apparati. Al di sotto del ponte hangar lo spazio è prevalentemente occupato dall’apparato motore e dagli impianti ausiliari di bordo. Le sistemazioni relative al reparto di volo comprendono, oltre all’hangar (con una superficie di 1.700 mq, servito da un impianto di condizionamento e diviso in tre settori da due paratie tagliafiamme), una rete per l’erogazione del combustibile, un sistema di guida per l’appontaggio e tutte le attrezzature necessarie per effettuare a bordo la manutenzione delle macchine. La grande isola è situata sul lato destro del ponte di volo. Si sviluppa in altezza per sette ponti e contiene le plance comando e servizio volo e le plance comando e controllo della navigazione. Inoltre serve da supporto per le alberature, i radar e i sensori elettronici. Alle due estremità si trovano i lanciatori a otto celle per missili Albatros/Aspide, con i relativi depositi munizioni e sistemi per la ricarica. Il fumaiolo, piuttosto corto, è situato a poppavia dei due

alberi. L’apparato motore è composto da quattro turbine a gas FIAT/General Electric LM 2500, che sviluppano una potenza di 80.000 CV, per una velocità di 30 nodi e un’autonomia di 700 miglia a 20 nodi. Il propulsore è diviso in due parti, collocate in locali separati, protetti da paratie stagne. Questo accorgimento permette di avere una disponibilità residua di forza motrice anche in caso di falla estesa a tre compartimenti contigui. La nave è dotata di un sistema Prairie/Masker per l’insufflazione di aria attorno allo scafo e alle eliche, in modo da contribuire all’abbattimento della

segnatura acustica. Le eliche sono due, a cinque pale, a passo fisso e inversione del moto per mezzo di due giunti riduttori-invertitori Franco Tosi. L’armamento comprende 18 elicotteri Agusta-Sikorsky SH-3D o Agusta-Westland EH-101, oppure 16 cacciabombardieri V/STOL Mc Donnell-Douglas Harrier II AV-8B PLUS, oppure una combinazione fra questi due tipi di aeromobili. Per la difesa di punto ci sono otto lanciamissili antinave Teseo, due lanciatori a otto celle Albatros (con missili superficie/aria Aspide), tre sistemi antimissili/antiaerei Dardo, con torrette binate da 40/70, due lanciarazzi SCLAR da 105 mm e due lanciasiluri trinati Mk 32 per siluri leggeri. L’equipaggio è composto da 825 uomini, tra ufficiali, sottufficiali e comuni, di cui 230 del gruppo di volo.

 

Franco Tommasino

Motosilurante tedesca

“Wiesel”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1985

Dimensioni: cm 108x18x50

Materiali: compensato, plastica e ottone; su basamento di

plexiglass.

M.M.T.A. - Invent. n. 044

Scala 1:50

I motori elettrici azionano le eliche e i timoni. La motosilurante è un tipo di imbarcazione militare di limitato dislocamento (50-200 tonnellate), elevata velocità (40 nodi e oltre), limitata autonomia (1.000-1.500 miglia), buona tenuta al mare, armata con armi convenzionali a tiro rapido (cannoncini e mitragliatrici) e siluri di grosso calibro. E’ idonea per l’attacco al traffico avversario in bacini ristretti o passaggi obbligati, il sostegno a operazioni anfibie minori e il contrasto alle incursioni di unità similari. Le motosiluranti tedesche furono tra le migliori imbarcazioni leggere costruite durante la Seconda Guerra Mondiale. Avevano scafi ben studiati, motori potenti e armamento completo. Parteciparono con successo a numerose operazioni contro unità britanniche, specialmente nel Mediterraneo. La tradizione costruttiva si è mantenuta anche con le moderne motomissilistiche, le quali riscuotono un buon successo commerciale presso le marine minori.

 

Marietto Solari

lancia siluri della Marina Militare Italiana

Mas italiano

Modello di cantiere costruito a Chiavari nel 1946.

Dimensioni: cm 171x37x76

Materiali: legno di teak e metallo.

Collezione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 203

Scala: 1:17

Il natante è dotato di una mitragliera a prua e di due lanciasiluri laterali. Il modello riproduce un MAS costruito nel cantiere navale degli Scogli, simile allo R.D. 149. La sua realizzazione era iniziata nel periodo fascista, ma venne ultimato solo nel 1946, dopo la Liberazione. Marietto Solari, a rischio della sua incolumità, ne aveva ritardato il completamento, adducendo come motivazione la mancanza di alcuni pezzi per il motore.

La sigla MAS è un’abbreviazione di Motoscafo Anti Sommergibile. Unità piccole e velocissime, furono ideate, costruite e utilizzate con successo dalla Regia Marina Italiana durante la Prima Guerra Mondiale. Il loro dislocamento andava da 12 a 30 tonnellate, la loro velocità variava fra 18 e 30 nodi, e il loro armamento poteva comprendere un cannoncino, due mitragliere, due siluri e bombe antisommergibili. Ne furono costruiti circa trecento esemplari, destinati a un’infinità di compiti, in uno scacchiere come quello adriatico dove i bassi fondali e le coste frastagliate facilitavano l’impiego di natanti leggeri e veloci. Effettuare scorrerie lungo le coste istriane e dalmate, tendere agguati al traffico mercantile nemico, stanare e attaccare i sommergibili austriaci, vigilare le coste e i porti italiani, scortare i convogli di truppe e fungere da ricognitori per le unità maggiori furono i loro campi d’azione più importanti. Tra le imprese più significative dei MAS italiani vanno ricordati gli attacchi contro le unità nemiche rifugiatesi nel porto di Durazzo, l’assalto a due navi da battaglia ferme a Cortellazzo, il siluramento della “Wien”, ormeggiata nel porto di Trieste, la cosiddetta “beffa di Buccari”, cui prese parte anche Gabriele D’Annunzio, e il siluramento della corazzata austro-ungarica “Szent Istvan” (Santo Stefano) ad opera del tenente di vascello Luigi Rizzo. Con le tre lettere della sigla MAS il Poeta Vate coniò il motto latino dei veloci mezzi di combattimento: “Memento Audere Semper” (ricordati di osare sempre). Le caratteristiche fondamentali di questi motoscafi erano: minimo pescaggio, per consentire un passaggio sicuro anche in zone minate; mobilità, velocità e tonnellaggio ridotto, per potersi sottrarre facilmente alla reazione

nemica, rompendo il contatto, e tornare a farsi sotto solo quando la vigilanza si fosse allentata. All’epoca della Prima Guerra Mondiale, la costruzione dei MAS venne affidata soprattutto alla SVAN (Società Veneziana Automobili Nautiche), per cui la prima interpretazione della sigla MAS fu Motobarca Armata SVAN. Lo sviluppo dei mezzi e la loro rapida diffusione, portarono in seguito alla realizzazione di unità che raggiungevano le 100 tonnellate di stazza, i 50 nodi di velocità e avevano un potente armamento, designate Vedette Antisommergibili (VAS).

 

Modelli di navi mercantili a motore

• Piroscafo misto italiano “Adele Gotuzzo”

• Pontone italiano “Giulio Cesare”

• Battello a ruote svizzero “Ville de Zurich”

• Yacht a vapore italiano “Elettra”

• Turbonave italiana “Rex”

• Turbonave italiana “Conte di Savoia”

 

Piroscafo misto italiano

“Adele Gotuzzo”

Modello navigante costruito in Olanda nel 1904.

Dimensioni: cm 166x38x84

Materiali: acciaio, stagno, zinco, stoffa e corda; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 023

Scala 1:100

Scafo in metallo; attrezzatura a goletta a gabbiole; tuga centrale con alto fumaiolo, due maniche a vento, plancia all’aperto e due scialuppe; bompresso; polena dorata a forma di voluta vegetale; due ancore; due boccaporti; timoneria; verricello; opera viva di colore verde; opera morta di colore giallo; ponte di coperta di colore verde. Il modello è dotato di una macchina a vapore

bicilindrica a doppio effetto per la propulsione. Altre piccole macchine a vapore mettevano in funzione i bighi di carico, gli alberi, le vele, il verricello salpa-ancore e la timoneria. E’ stato rinvenuto casualmente presso un vecchio antiquario, malridotto e disalberato. Grazie all’opera di valenti restauratori, è stato riportato alle condizioni originali, conservando il più possibile quanto si trovava a bordo. Il motore è stato smontato e collocato all’esterno, per poter essere ammirato facilmente dal pubblico.

Edoardo Scotto e Franco Tommasino hanno restaurato lo scafo e le macchine; Guido Cerruti ha curato l’alberatura e le manovre.

 

Franco Tommasino

Pontone italiano

“Giulio Cesare”

Modello navigante costruito a Genova nel 1985

Dimensioni: cm 40x21x60

Materiali: legno, plastica e ottone; su basamento di

plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 024

Scala 1:100

Un fumaiolo; quattro maniche a vento; tuga sollevabile per accedere al vano interno; una lancia di salvataggio sulla destra; la gru sostiene un motore elettrico. Costruito in Olanda nel 1904, prestò servizio nel porto di Genova per novant’anni. Fino alla sua radiazione, rimase il mezzo di sollevamento più potente in azione nel Mediterraneo. Poteva sollevare 150 tonn. a 30 m di altezza, con il paranco di forza, e 30 tonn. a 70 m, in punta. I verricelli che azionavano la gru erano a vapore. I più grandi transatlantici costruiti nei cantieri genovesi vennero completati con l’ausilio del “Giulio Cesare”, che collocò a bordo le caldaie, le macchine, gli alberi, i fumaioli e tutti gli altri pezzi di grandi dimensioni. Lo stesso dicasi per le corazzate, sulle quali posizionò le torrette dei calibri maggiori e minori, gli alberi e i fumaioli. Finita la Seconda Guerra Mondiale, liberò il porto di Genova dai relitti di navi che lo ostruivano e lo stesso fece dopo la grande mareggiata del 1955. Negli anni successivi venne impiegato per i soliti compiti, dando un notevole contributo

alla rinascita della cantieristica nazionale. Per conto dell’O.A.R.N. (Officina Allestimento e Riparazione Navi), contribuì a completare i transatlantici “Andrea Doria”, “Leonardo da Vinci” e “Michelangelo”. Nell’ultimo periodo venne utilizzato per l’imbarco e lo sbarco di carichi pesanti, come locomotori, vagoni, trasformatori, turbine ecc. All’inizio degli Anni Novanta fu demolito e venduto come ferrovecchio, perdendo ancora una volta l’occasione di conservare un cimelio importante della nostra storia marinara. Oggi se ne conserva ancora l’apparato motore, con la speranza di vederlo presto esposto in qualche museo marittimo.

 

Battello a ruote svizzero

“Ville de Zurich”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1980

Dimensioni: cm 119x31x33

Materiali: vetroresina, ottone, metallo pressofuso, plastica

e legno; su basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 025

Scala: 1:50

Il modello è dotato di una macchina a vapore alternativa che muove le due ruote a pale laterali. Il timone è azionato da un motore elettrico. Opera viva di colore rosso; opera morta di colore bianco; fumaiolo al centro, con due maniche a vento ai lati; plancia di comando al centro, a proravia del fumaiolo; due scialuppe di salvataggio ai lati; verricello salpa-ancore manuale a prua; panche per la sosta dei passeggeri sul ponte di coperta e su quello di passeggiata.

Il battello, costruito nel 1910, era mosso da una macchina a vapore alternativa che azionava due ruote a pale laterali. Prestava servizio sul lago di Ginevra.

 

Franco Tommasino

Yacht a vapore italiano

“Elettra”

Modello galleggiante costruito a Genova nel 1974

Dimensioni: cm 155x24x76

Materiali: scafo in vetroresina, sovrastrutture in legno,

ottone, stoffa, corda; su basamento di legno

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 026

Scala: 1:50

(varata il 25 aprile 1904 nei cantieri Ramage & Fergusson di Londra con il nome di “ROVENSKA”)

Il radiocomando aziona i motori, i timoni, le luci, i segnali di via ecc.

Si sente anche la voce di Marconi che spiega come inventò la radio. Il modello è stato realizzato in quattro esemplari: uno per la marchesa Marconi di Roma; uno per il Museo della Radio di Torino; uno per lo Yacht Club Italiano di Genova e uno per il Museo Marinaro. Questo esemplare è stato presentato in diverse manifestazioni.

Lo yacht a vapore “Elettra” venne costruito come panfilo reale dal Cantiere Ramage & Ferguson di Leith, in Gran Bretagna, per conto dell’Arciduchessa Maria Teresa d’Austria. Battezzato “Rovenska”, fu varato il 25 aprile 1904. Aveva una lunghezza di 63,40 metri, una stazza di 632 tonnellate e una macchina a vapore da 1.000 CV. Durante la Prima Guerra Mondiale, la Imperial-Regia Marina Austro-Ungarica lo impiegò come nave-civetta. Catturato dagli Inglesi, fu incorporato nella Royal Navy.

Nel 1921 Guglielmo Marconi lo acquistò per la somma di 20.000 sterline dell’epoca, allo scopo di farne un laboratorio per i suoi esperimenti sulle onde radio. Venne iscritto al Compartimento Marittimo di Genova con la sigla IBDK. Lo yacht incrociava nel Golfo del Tigullio e mandava segnali radio alle stazioni riceventi a terra, situate a Santa Margherita e a Sestri Levante. Il 26 marzo 1930, dal porto di Genova accese le luci dell’esposizione mondiale di Sidney, in Australia. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu trasferito a Zara, con la speranza di sottrarlo alla distruzione ma, durante un bombardamento aereo, venne colpito da un siluro a prua e affondato. Il relitto venne prima saccheggiato dai Tedeschi e dagli Yugoslavi e poi recuperato e demolito.

Franco Tommasino

Turbonave italiana

“Rex”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1982

Dimensioni: cm 135x17x51

Materiali: vetroresina, compensato, ottone e plastica; su

basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 027

Scala: 1:200

Due motori elettrici azionano le quattro eliche, i timoni e le luci. I ponti sono tutti illuminati, compresi quelli di paseggiata. Il “Rex” venne costruito dal Cantiere Ansaldo di Sestri Ponente per conto della Navigazione Generale Italiana. Fu impostato il 27 aprile 1930, varato il 1° agosto 1931 e consegnato il 25 settembre 1932. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 268, 20; larghezza m 31; altezza m 18,5; pescaggio m 10,07; stazza lorda tonn. 51.062. Sin dall’inizio, insieme con il gemello “Conte di Savoia”, costruito a Trieste per conto del Lloyd Sabaudo, era stato progettato per battere in velocità i migliori liners inglesi, francesi e tedeschi e conquistare il Nastro Azzurro, il trofeo destinato alla nave che avesse attraversato l’Atlantico nel minor tempo. Lo scopo era duplice: affermare il prestigio dell’Italia nel mondo, offrendo un esempio dei prodigi della tecnica realizzati dall’industria nazionale, e conquistare una fetta del mercato del trasporto passeggeri lungo la rotta più prestiosa e remunerativa, quella tra l’Europa e New York. Con il nuovo “Super Espresso”, come venne chiamata la nave, si sperava di attirare la ricca clientela nord-americana con un lussuoso esempio dello stile italiano, sottraendola ai tradizionali rivali della Cunard, della

Compagnie Générale Transatlantique e del Norddeutscher Lloyd. In tal modo si voleva pubblicizzare la cosiddetta “Rotta del Sole”, quella dal Mediterraneo agli Stati Uniti, in contrapposizione alla “Rotta del Nord”, che partiva dalla Manica, più breve ma caratterizzata da pioggia, freddo e nebbia. Il “Rex” era considerato uno dei più bei transatlantici degli Anni Trenta: aveva linee slanciate, alberi alti e sottili, due fumaioli corti ed ellittici, spostati a proravia e leggermente inclinati verso poppa, per offrire la minima resistenza all’aria. Lo scafo, del tipo a sovrastruttura completa, aveva dodici ponti, dei quali cinque continui da prora a poppa e quattro di passeggiata, e quattordici paratie trasversali che dividevano la nave in quindici compartimenti stagni. L’opera viva, risultato di lunghe esperienze nella vasca Froude, era una creazione originale dei progettisti Ansaldo: prora a bulbo, poppa ellittica, con ingrossamento al galleggiamento e timone tipo Oertz ad azione idrodinamica. Il tutto per garantire elevate prestazioni velocistiche e buoba stabilità in navigazione. L’apparato motore, costruito dallo Stabilimento Meccanico Ansaldo di Sampierdarena, comprendeva dodici caldaie a tubi d’acqua, di cui otto a doppia fronte, che alimentavano quattro gruppi di turbine Parsons-Curtiss, per una potenza di 136.000 CV su quattro assi. Le eliche quadripale di bronzo avevano un diametro di 4,74 m e un peso di 16 tonnellate ciascuna. La velocità massima era di 29,61 nodi. La nave poteva accogliere 370

passeggeri in prima classe, 378 in classe speciale, 410 in classe turistica e 866 in terza classe, per un totale di 2.032 viaggiatori. L’equipaggio comprendeva 59 ufficiali, 258 tra marinai, fuochisti e macchinisti, 90 cucinieri, 450 camerieri e uno stuolo di professionisti, tra cui 11 professori d’orchestra, due bagnini, 15 pompieri, un argentiere e 7 membri dello staff medico, per un totale di 870 persone, più alcuni impiegati statali per l’Ufficio Poste & Telegrafi. Durante la sua costruzione, la N.G.I. si fuse con il Lloyd Sabaudo di Torino e la Cosulich di Trieste, per formare la nuova compagnia Italia-Flotte Riunite, secondo il piano di ristrutturazione della marina mercantil voluto dal Governo per superare la crisi e battere la concorrenza straniera. Madrina del varo fu la regina Elena di Savoia. Per completare l’allestimento occorse più di un anno: basti pensare che per saldare tutte le lamiere del suo immenso scafo erano stati impiegati oltre sei milioni di chiodi. A bordo c’erano piscine, cinematografi, sale da ballo, saloni di ricevimento, giardino d’inverno, biblioteca e nurseries. Lo studio degli interni era stato affidato all’architetto Monti di Milano e la realizzazione alla Ditta Ducrot di Palermo. Su un numero dell’epoca della rivista “La Marina Italiana” si legge che per l’arredamento “... si è accoppiato il Settecento con il modernissimo, senza un contrasto, senza una stonatura, anzi

con un’armonia che non si può spiegare se non con il gusto dei decoratori e degli artisti”. Secondo alcuni commentatori stranieri, però, la nave non mostrava il lusso e lo sfarzo di altri prodotti della cantieristica italiana degli Anni Venti. Il motivo era che i progettisti avevano puntato tutto sulla potenza dei motori, il vero cuore del transatlantico, sacrificando un po’ le sistemazioni per i passeggeri. Comunque si trattava di sottigliezze, perché le cabine e i saloni del “Rex” erano degni di stare alla pari con quelli dei migliori concorrenti. Il viaggio inaugurale si svolse il 27 settembre 1932, con a bordo 278 passeggeri di prima classe, 378 di classe speciale, 410 di turistica e 806 di terza. Fu un vero trionfo. Erano giunte prenotazioni da ogni parte del mondo e la nave risultava al completo (per tutti gli anni in cui prestò servizio, il “Rex” viaggiò quasi sempre al completo, ma nonostante ciò i costi di gestione erano così alti che il suo bilancio fu sempre in passivo). La traversata che portò alla conquista del Nastro Azzurro iniziò da Gibilterra il 12 agosto 1933 e si concluse a New York, il mattino del 16 agosto, dopo aver percorso l’oceano in quattro giorni, 13 ore e 58 minuti, alla fantastica media di 28,92 nodi, con una punta di 29,61 nodi sulle ventiquattr’ore. Allo scoppio della guerra, la nave fu trasferita da Genova a Venezia, dove la si riteneva più al sicuro dalle incursioni aeree nemiche.

Durante il viaggio fu dirottata a Pola, una base meglio protetta. Ma nemmeno questa sarebbe stata la sua destinazione finale perché, il 15 agosto 1940, venne portato a Trieste con armamento ridotto. Il 9 settembre 1943, dopo aver occupato la città, i Tedeschi sequestrarono la nave e la svaligiarono. Il 3 maggio dell’anno successivo, la inquadrarono nella loro flotta e il 5 settembre la rimorchiarono a Capodistria. Quella stessa notte, però, un raid aereo inglese la colò a picco e i pochi resti vennero saccheggiati dalle popolazioni slave della costa.

 

Franco Tommasino

Turbonave italiana

“Conte di Savoia”

Modello al galleggiamento fabbricato a Genova; restaurato

nel 1984

Dimensioni: cm 122x16x40

Materiali: legno, ottone e argento; su basamento di legno

ricoperto di stucco per simulare le onde

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 028

Scala 1:200


Il modello venne acquistato presso un’agenzia di viaggi a Chiavari e restaurato completamente per riportarlo alle condizioni originali. La turbonave “Conte di Savoia” fu impostata nel cantiere San Marco di Trieste per conto del Lloyd Sabaudo il 4 ottobre 1930. Era la gemella del “Rex”, seppure con qualche leggera differenza. Mentre si trovava ancora sullo scalo di costruzione, la compagnia armatrice venne fusa con la Navigazione Generale Italiana, per formare la Società Italia. Varata il 1° agosto 1931, fu consegnata il 27 settembre 1932. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 248,29; larghezza m 29,30; altezza di m 9,88; stazza lorda tonn. 48.502,18; dislocamento tonn. 40.604. Aveva scafo in acciaio; quattro eliche; due alberi; tre ponti completi (D, E, F); un ponte parziale (G); dodici paratie stagne trasversali; doppi fondi con una capacità di mc 1.436 di acqua e mc 2.634 di nafta; sovrastrutture complete: 1° ordine (C), 2° ordine (B); sovrastrutture incomplete: ponte A, dei saloni, di passeggiata e degli sport; impianto elettrico; radiotelegrafo; impianto di refrigerazione; pinne stabilizzatrici tipo Sperry; due stive per una capacità complessiva di mc 1.864. L’apparato motore, costruito dalla medesima ditta, era costituito da quattro turbine (tre turbine di marcia avanti e una turbina di marcia indietro per ogni motrice), alimentate da dieci caldaie a tubi d’acqua a combustibile liquido con tiraggio forzato, per una potenza di 130.000 CV per asse, una velocità di prova di nodi 29,43 e una velocità normale di

nodi 26,5. In tutto poteva trasportare 2.060 passeggeri di cui: 360 di prima classe; 778 di seconda classe; 922 di terza classe, in cameroni comuni. L’equipaggio era formato da 990 uomini. Effettuò il viaggio inaugurale in linea Genova-New York il 30 novembre 1932, al comando del capitano Antonio Lena. La nave divenne subito famosa presso la clientela internazionale, in particolare quella americana, per il lusso dei suoi interni, il servizio impeccabile e la regolarità delle traversate. Allo scoppio della guerra, fu posta in disarmo a Venezia. Colpita da un bombardamento aereo l’11 settembre 1943, rimase gravemente danneggiata e fu demolita.

 

Motonave italiana

“Neptunia”

Modello navigante costruito a bordo nel 1951

Dimensioni: cm 65x10x19

Materiali: lamierino zincato, verniciato a mano, ottone,

legno, rame; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 029

Scala: 1:300

Il modello, composto da scatole di sardine saldate, fu realizzato a bordo da un membro dell’equipaggio e donato al comandante Ernani Andreatta senior. Alla fine degli Anni Quaranta, passata la bufera della guerra, il “Lloyd Triestino” programmò la costruzione di sette motonavi miste, destinate a sostituire quelle più vecchie e a rinverdire i fasti della compagnia sulle linee tradizionali. Tre di esse, quelle di maggiore stazza, erano destinate alla rotta australiana, la più classica della società triestina e furono tutte impostate sugli scali del cantiere San Marco. Il primo scafo scese in mare il 21 maggio 1950 con il nome di “Australia”, seguito dalla “Oceania” il 30 luglio e dalla “Neptunia” il 1° ottobre dello stesso anno. Le tre unità vennero rapidamente completate e iniziarono il servizio commerciale rispettivamente nell’aprile, agosto e settembre 1951. Le loro dimensioni erano: lunghezza m 161; larghezza m 21,1; altezza m 8,1; stazza lorda 12.839 tonn. Le navi si elevavano per sei ponti sopra la chiglia (di cui tre estesi per tutta la lunghezza) e avevano lo scafo suddiviso in dieci compartimenti stagni. La prora aveva andamento arcuato e leggermente sporgente in

avanti, la poppa era a incrociatore. Il castello risultava ben evidente, mentre il blocco delle sovrastrutture era contenuto nelle dimensioni e raccolto nella zona centrale. A poppa si trovava una bassa tuga separata dal resto. L’albero di segnalazione a tripode e il fumaiolo con il profilo aerodinamico erano anch’essi collocati a centro nave. I settori estremi erano occupati dalle attrezzature per la movimentazione delle merci, con due bighi a prua e uno a poppa. Esteticamente gradevoli e ben proporzionate, le navi denunciavano a prima vista la loro vocazione mista, a causa delle limitatezza delle sovrastrutture e della presenza del castello. Le sistemazioni per i passeggeri, divisi in tre classi, erano di buon livello, con alloggi e locali sociali arredati secondo il gusto moderno e funzionali. Esse potevano trasportare fino a un massimo di 792 persone, con un equipaggio di 235 uomini. L’apparato motore consisteva in una coppia di Diesel lenti Sulzer-C.R.d.A. (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) a due tempi e ad effetto semplice, per una potenza complessiva di circa 14.000 CV su due eliche e una velocità di servizio di 18 nodi. Dopo alcuni anni di servizio onorevole sulla lunga rotta intercontinentale, nel 1959 tutte le unità della classe “Australia” vennero mandate in cantiere per una serie di lavori di ammodernamento, riguardanti specialmente le infrastrutture per i passeggeri. Nell’occasione, le classi furono ridotte a due e vennero soppressi i pozzi di carico prodieri, prolungando i castelli fino a congiungerli con il blocco delle sovrastrutture (di conseguenza la stazza crebbe arrivando a 13.140 tonn). Così migliorate, le tre navi continuarono ad operare in linea australiana per altri quattro anni, fino al 1963 quando, con l’entrata in servizio delle più moderne e lussuose “Galileo Galilei” e “Guglielmo Marconi”, vennero trasferite in blocco alla consorella “Italia Società Anonima di Navigazione” e impiegate per il collegamenti con il Centro America e il Sud Pacifico. Con il passaggio di proprietà esse furono ribattezzate rispettivamente “Donizetti”, “Rossini” e “Verdi” e negli ambienti marittimi dell’epoca divennero note come la classe “Musicisti”. Per tredici anni consecutivi frequentarono regolarmente gli scali di Guayaquil, Callao e Valparaiso, incontrando sempre il favore della clientela che amava il loro tranquillo procedere. Ma la loro lunga carriera volgeva ormai al termine e nel 1977 furono demolite presso un cantiere spezzino.

Franco Tommasino

Nave recuperi italiana

“Artiglio”

Modello navigante costruito a Genova nel 1997

Dimensioni: cm 90x17x50

Materiali: vetroresina, plastica, ottone, acciaio, stoffa,

legno e corda; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 030

Scala: 1:100

Scafo in vetroresina con forte insellatura; tuga poppiera; alto fumaiolo sopra la tuga; un’elica a quattro pale; due scialuppe; due maniche a vento ai lati del fumaiolo; due alberi, quello prodiero munito di bighi per il carico, uno dei quali è dotato di benna e l’altro di tenaglia; due picchi a proravia della tuga, uno con scafandro e l’altro con campana; tre boe gialle; un boccaporto con la copertura sollevabile; opera viva di colore rosso; opera morta di colore nero con striscia bianca orizzontale; tuga di colore giallo; plancia di colore bianco; fumaiolo di colore nero con striscia tricolore; antenna bipolare per radiocomunicazioni tesa fra i due alberi. “In occasione dell’anniversario della memorabile impresa compiuta dalla nave recuperi “Artiglio”, che aveva coperto di fama e di gloria tutta la marina italiana, non potei ignorare il desiderio di realizzarne un modello. Nel 1934, in pieno Atlantico, aveva recuperato tutto il tesoro della Banca dell’India, che si trovava a bordo del piroscafo inglese “Egypt”, affondato in seguito a collisione. Da dieci anni quelle ricchezze giacevano sul fondo del mare, a 150 metri di profondità, e nessuno era riuscito a riportarle a galla. I palombari italiani, quasi tutti di Viareggio, ebbero successo e in sei mesi recuperarono ben 8 tonnellate d’oro, 70 d’argento, 50 casse di sterline e altri valori. L’impresa suscitò ammirazione in tutto il mondo, per la

temerarietà che avevano dimostrato quegli uomini, visto che normalmente non ci si spingeva oltre i 50 m. Essi erano muniti di speciali scafandri ad alta resistenza che permettevano di raggiungere elevate profondità. Il modello, completo di verricelli e di scafandri, è stato realizzato in due esemplari: uno per il Museo Navale Internazionale del Ponente Ligure, di Imperia, e l’altro per il Museo Marinaro. Un cimelio interessante è la scatola di metallo contenente un documentario del 1924, anno dell’affondamento della nave, recuperata insieme al tesoro e donata al Museo dal palombaro Alberto Gianni. Il piroscafo “Artiglio” era stato costruito a Glasgow nel 1906 con il nome di “Macbeth”. Poi era stato acquistato da un armatore italiano e ribattezzato “Ideale”. Infine, passato di proprietà della SORIMA, aveva assunto il nome con il quale è passato alla storia. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 46,85; larghezza m 7,01; altezza m 3,4; stazza 283,73 tonn. L’apparato motore comprendeva una macchina a vapore a triplice espansione da 650 CV e alcune caldaie. Il bastimento aveva tutte le caratteristiche necessarie per soddisfare le esigenze dei suoi armatori: non troppo grande, molto manovriero, capace di compiere rapide evoluzioni sul suo asse, dotato di robusti bighi di forza per sollevare oggetti pesanti, munito di potenti verricelli di tonneggio per spostarsi rapidamente in tutti i sensi ed equipaggiato con i più moderni sistemi di comunicazione interna ed esterna, scafandri e posti di manovra. Un duro compito lo attendeva: localizzare i relitti delle navi affondate e recuperarne il carico. Nell’agosto del 1928 il

Governo Inglese interpellò la SORIMA per affidarle l’incarico di recuperare le riserve della Banca dell’India, contenute nelle stive del piroscafo “Egypt”, affondato in seguito a collisione. Nel 1923 avevano incaricato di tentare il recupero la ditta inglese P. Sanderberg & J. Swinburne la quale, utilizzando dei rimorchiatori svedesi, aveva iniziato le operazioni di rastrellamento per trovare il relitto, ma senza successo. Nel 1926 era stata la volta della ditta francese Union d’Entreprises Sous Marines, che non aveva avuto miglior fortuna. Alla fine di agosto del 1928, la Sanderberg & Swinburne stipulò un contratto con la SORIMA per individuare il piroscafo e recuperare il tesoro. La prima operazione da compiere era un’accurata ricerca negli archivi della Prefettura Marittima di Brest, per trovare qualche documento che indicasse la posizione corretta del relitto. Fu rinvenuta l’ultima trasmissione radio della nave, ma si pensò che avessero più valore i rilevamenti radiogoniometrici, data la confusione che regnava a bordo al momento dell’incidente. L’ispezione del fondo venne compiuta per mezzo di una rete a strascico, costituita da un cavo di acciaio trainato dallo “Artiglio” e dal “Rostro”. Ogni volta che il cavo incontrava qualcosa, i palombari si tuffavano per ispezionarlo, ma si trattava quasi sempre di scogli sommersi. Solo in un’occasione sembrò di aver trovato qualcosa, quando il cavo si spezzò, indicando la presenza di un oggetto tagliente. L’equipaggio lanciò immediatamente una boa  per segnalare la posizione, ma a causa delle avverse condizioni atmosferiche, le navi dovettero abbandonare le ricerche e rientrare precipitosamente. Quando fu possibile ritornare sul posto, la boa era ormai scomparsa, per cui non si riuscì a ritrovare il punto. Durante la seconda campagna, il 30 agosto 1930 la SORIMA localizzò il relitto a 46°06’N 05°30’W. A quel punto iniziarono le operazioni di recupero: nella prima fase occorreva demolire con le mine i cinque ponti che sovrastavano la camera del tesoro. A metà settembre, i lavori dovettero essere interrotti per il sopraggiungere del cattivo tempo e rimandati all’anno successivo. Approfittando della sosta invernale, le due navi assunsero l’incarico di liberare il canale di Quiberon e l’isola di Honat dallo scafo del piroscafo “Florence”, affondato nel 1918, che rappresentava un serio pericolo per la navigazione. La nave, che trasportava centinaia di tonnellate di esplosivi destinate alle truppe americane di stanza sul fronte Occidentale, era colata a picco in seguito ad uno scoppio nelle stive prodiere. Per nulla intimoriti, i palombari dello “Artiglio” ricorsero alle mine per demolire lo scafo, facendo esplodere oltre tre tonnellate di dinamite in due mesi senza che avvenisse alcun incidente. Ma il pericolo era sempre in agguato. Il 7 dicembre si verificò la tragedia: l’ennesima mina fatta brillare provocò lo scoppio delle 200 tonnellate di esplosivo che si trovavano a bordo. Un cratere di qualche centinaio di metri si formò sulla superficie dell’acqua e inghiottì lo “Artiglio” con tutto il suo equipaggio. Dodici uomini coraggiosi perirono tragicamente. I superstiti vennero salvati miracolosamente dal “Rostro” che si trovava nelle vicinanze. Nel 1931 venne acquistato un secondo “Artiglio”, l’ex piroscafo francese “Mauritaine”, costruito a Nantes nel 1908, le cui dimensioni erano: lunghezza m 50,76; larghezza m 7,64; altezza m 4,19; stazza 385 tonnellate; macchina a vapore a triplice espansione da 450 CV. Esso avrebbe sostituito l’esemplare affondato e, grazie alle sue maggiori dimensioni, sarebbe stato più idoneo all’impiego in una zona infida e tempestosa come l’imboccatura del Canale della Manica. I lavori di recupero del tesoro dello “Egypt” durarono sei mesi. All’inizio sul ponte giunsero soltanto pezzi di seta, cartucce e banconote, lasciando tutti nel più nero sconforto. Ma il 22 giugno, alle ore 14, comparvero i primi lingotti d’oro. Prima di continuare, fu osservato un minuto di silenzio per ricordare i compagni morti che avevano permesso la realizzazione dell’impresa. Tutto il tesoro fu recuperato, consolidando la fama della società, che cominciò a ricevere richieste da tutto il mondo.

 

Scafo della turbonave italiana

“Michelangelo”

sullo scalo di costruzione.

Modello costruito a Genova nel 1964

Dimensioni: scafo: cm 143x18x27 - scalo: cm 270x32x18

Materiali: scafo: polistirolo coibentato, plastica.

scalo di costruzione: legno, ottone, acciaio.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 036

Scala: 1:200

Un motore elettrico permette di far scorrere la nave sull’invasatura. L’autore del modello ha riprodotto in scala anche le catened’acciaio che servivano a frenare lo slancio dello scafo una volta raggiunta l’acqua. Nella realtà pesavano 550 tonnellate. La “Michelangelo” e la gemella “Raffaello” furono gli ultimi transatlantici costruiti per la società “Italia di Navigazione”. Pur essendo eccellenti sotto il profilo tecnico, risentirono molto delle ragioni non propriamente “economiche” per le quali si eradeciso di realizzarli. Essi, infatti, erano stati concepiti per esigenze occupazionali e di prestigio, ossia per dare lavoro ai cantieri italiani che perdevano sempre più colpi nei confronti della concorrenza straniera, in un periodo i profonda crisi del trasporto marittimo di passeggeri, ormai soppiantato da quello aereo. A conferma di ciò, la loro vita operativa fu molto breve e terminò con un prevedibile dissesto finanziario. La costruzione di ciascuna nave costò 45 milioni di dollari dell’epoca, una cifra colossale, del tutto spropositata per chi riteneva che lo Stato non dovesse impegnarsi direttamente in operazioni economiche così costose e di scarso rendimento. La “Michelangelo” venne impostata l’8 settembre 1960, sullo scalo più grande del cantiere Ansaldo di Sestri Ponente, lo stesso che aveva accolto il “Rex”. Fu varata il 16 settembre 1962, con una solenne cerimonia alla presenza

delle più alte autorità dello Stato. La fase di allestimento si protrasse per oltre due anni. Durante le prove fece registrare la velocità massima di 29,65 nodi sulla base misurata di Portofino. Finalmente, nell’aprile del 1965 venne consegnata all’armatore. Le sue dimensioni erano: lunghezza m 275,8; larghezza m 30,1; pescaggio m 9,3; stazza lorda 45.911 tsl; stazza netta 24.572 tsl. La sua struttura si elevava per undici ponti sopra la chiglia, cinque dei quali sovrastanti il ponte di coperta, e realizzati facendo ampio uso di leghe leggere per contenere i pesi. Il progetto si distaccava nettamente dai canoni stilistici classici e suscitò animate discussioni. Alcuni sostenevano che i due transatlantici non fossero all’altezza dello “Stile Italiano”, così come era stato apprezzato nel mondo dopo l’entrata in servizio del “Cristoforo Colombo” e del “Leonardo da Vinci”. Altri approvavano la coraggiosa soluzione della struttura a traliccio che alleggeriva la massa dei due fumaioli. Gli squilibri maggiori venivano riscontrati nell’impostazione volumetrica che, nonostante l’evidente riferimento agli eleganti modelli dell’anteguerra, non risultava adeguatamente proporzionata. Le ragione di questa scelta erano molteplici. Da un lato erano il frutto dei numerosi ripensamenti avvenuti nella fase progettuale, anche in seguito all’applicazione di teorie innovative nel campo dell’architettura navale, che non erano state perfettamente maturate e collaudate. Dall’altro derivavano dall’evoluzione delle tecniche costruttive, che proprio in quegli anni videro il passaggio dallo scalo a piano inclinato al bacino a piano orizzontale allagabile.

Questa soluzione favoriva il recupero delle forme rettilinee nello scafo, a tutto vantaggio della prefabbricabilità delle parti. In sostanza ciò comportava l’abbandono del tradizionale “cavallino”, l’insellatura longitudinale che tanta grazia conferiva alle costruzioni navali. Le due gemelle subirono parzialmente l’influenza delle nuove teorie ed ebbero prua e poppa insellate e corpo centrale rettilineo. Il risultato non fu eccezionale e lasciò non pochi dubbi ai progettisti, tanto che nelle costruzioni successive si tornò alle linee precedenti. Le discussioni più aspre riguardarono i fumaioli, molto spostati a poppavia, e costituiti da tralicci che sostenevano e circondavano le condotte di scarico dei fumi. Al di sopra si trovavano due massicce piattaforme di colore nero con funzione di deflettori. La scelta, assai coraggiosa, derivava da attenti studi e da prove aerodinamiche eseguiti presso il Politecnico di Torino, e caratterizzava nettamente le navi, che risultavano immediatamente riconoscibili anche nei porti più affollati. Entrambe potevano trasportare 1775 passeggeri, di cui 535 in prima classe, 550 in classe cabina e 690 in turistica. L’equipaggio era composto da 720 persone. Tutte le cabine erano provviste di servizi igienici indipendenti e offrivano un elevato standard qualitativo, degno dei migliori alberghi italiani di quel periodo. Le sale pubbliche, una trentina in tutto, comprendevano sale da pranzo, saloni per le feste, verande, passeggiate, un cinema da 489 posti e ampi spazi all’aperto, distribuiti sui vari ponti. Sei piscine, fra grandi e piccole, due per ciascuna classe, invogliavano le attività all’aperto, consolidando l’immagine della “Rotta del Sole”, che normalmente prevedeva i seguenti scali:

Genova-Cannes-Napoli-Algesiras-New York. L’apparato motore, progettato e costruito dallo Stabilimento Meccanico Ansaldo di Sampierdarena, era costituito da due gruppi di turbine tipo Parsons (Alta Pressione e Bassa Pressione), i cui rotori trasmettevano il moto agli assi per mezzo di un riduttore a doppia azione. Il vapore che le alimentava era generato da quattro caldaie a tubi d’acqua tipo Ansaldo-Foster Wheeler, munite di surriscaldatori ed economizzatori, alla pressione di 56 Kg/cmq e alla temperatura di 490°C.

 

Franco Tommasino

Turbonave italiana

“Michelangelo”

Scala: 1:200

Materiali:Modello navigante costruito a Genova nel 1964

Dimensioni: cm 141x16x38

legno di cirmolo, balsa ricoperta di Vipla,

ottone, plastica, acciaio, stoffa; su base legno.

Il modello è dotato di motori elettrici. Il radio-comando, a quattro canali simultanei, aziona le macchine, la timoneria, i quattro stabilizzatori e il radar. Tuga sollevabile per accedere al vano interno. Un interruttore permette di accendere le luci di bordo. Ecco la storia del modello secondo le parole dell’autore: “Nel 1960, finite le Olimpiadi di Roma, durante le quali ero stato impegnato con la RAI per trasmettere le varie fasi dei giochi, ritornai al mio lavoro normale, che mi lasciava molto tempo libero. Allora si risvegliò in me un desiderio che covavo sin dall’infanzia. Volevo costruire un bel modello, tutto per me, navigante, radiocomandato, da poter varare ecc. Essendo nato in un cantiere, l’unico spettacolo che mi sarebbe piaciuto vedere era la nascita di una nave, la costruzione e il varo. Un giorno ebbi l’occasione di andare a intervistare nel Cantiere di Sestri Ponente l’ingegner Cristofori, mentre stavano progettando due nuovi transatlantici, che avrebbero preso i nomi di “Michelangelo” e “Raffaello”, e gli espressi il mio desiderio. Lui mi accontentò e

mi fece avere il trittico, cioè i disegni di quelle nuove costruzioni (sezione longitudinale, sezione trasversale e ponti, ndc.). Mi misi subito all’opera cominciando con il procurarmi un blocco di legno di cirmolo, fatto con alcune tavole incollate. Lavorando di scalpello e pialla, venne fuori il profilo dello scafo, molto bello. Ma che faticaccia per scavarlo! All’inizio usai una trivella, e poi lo scalpello per giorni e giorni, finché ridussi le pareti sottili come le fiancate di una nave. Feci le prove in acqua per saggiarne la galleggiabilità e i risultati furono soddisfacenti. Cominciai allora le sovrastrutture. Non tenendo conto che nella nave vera erano di alluminio, abbondai troppo nei pesi e mi accorsi che lo scafo non reggeva. Pesava 1.500 grammi, mentre il massimo consentito era di 900, per cui dovetti ridurlo fino a che non trovai la giusta stabilità. Il modello assomigliava alla nave vera. Ero soddisfatto del mio lavoro. Appena finito, l’Ansaldo me lo richiese per fare delle fotografie e apparve in televisione nel

documentario “Ultimo Varo”. Il modello fu portato a bordo della “Michelangelo” durante le prove e il viaggio inaugurale in America e in seguito ha partecipato a centinaia di mostre.

La “Michelangelo” partì per una crociera inaugurale nel Mediterraneo il 12 maggio 1965. Alla fine dell’anno dovettero essere sostituite le eliche, che provocavano fastidiose vibrazioni, e la sua velocità massima salì a 31 nodi. Nell’aprile del 1966, la nave fu investita da una violenta tempesta in pieno Atlantico, mentre era in navigazione verso gli Stati Uniti. Onde alte più di dieci metri la investirono di prua, tanto che fu costretta a mettersi alla cappa per alcune ore. Un maroso gigantesco, la cui altezza fu valutata intorno ai quindici metri, si abbattè sulle sovrastrutture con una tale forza da sfondare parte delle lamiere e causare danni rilevanti. Due passeggeri e un membro dell’equipaggio persero la vita in quell’occasione. Con il passare del tempo, la gestione dei due transatlantici si fece sempre più onerosa, a causa degli alti costi operativi, tanto che le perdite superavano i 700 dollari per passeggero trasportato. Per recuperare in parte questo deficit, durante la bassa stagione venivano impiegati per delle crociere nei Caraibi, con partenza da New York. In seguito alla crisi petrolifera del 1973, che portò a livelli insopportabili il costo del carburante, la compagnia armatrice decise di ridurre il servizio di linea a pochi viaggi all’anno. Nel 1975 cessò il sussidio governativo e le due navi furono poste in disarmo e lasciate affiancate nella baia di Portovenere. Iniziò così la ricerca di qualche potenziale acquirente che volesse farsi carico del loro mantenimento. Ci fu anche la proposta di utilizzarle come cliniche galleggianti per la cura e la ricerca sul cancro. L’unica offerta accettabile fu quella formulata dal Governo Iraniano, che intendeva usarle come caserme galleggianti per gli ufficiali di marina e alloggio per i tecnici stranieri impegnati nella realizzazione di infrastrutture portuali nel Golfo Persico. Il contratto di cessione venne stipulato nel dicembre 1976 e subito dopo iniziarono i lavori di trasformazione per adattarle alle nuove condizioni operative.

L’8 luglio 1977, le due unità salparono per l’ultima volta le ancore dal porto di Genova. Attraversati il Canale di Suez e il Mar Rosso, doppiarono la punta meridionale della Penisola Arabica e raggiunsero le rispettive destinazioni nel Golfo Persico: la “Michelangelo” a Bandar Abbas e la “Raffaello” a Bandar Busheir, ove furono consegnate personalmente allo Shah di Persia Reza Palhevi. Dopo l’avvento della Repubblica Islamica nel 1979, esse furono lasciate in stato di semi-abbandono, prive di manutenzione e senza protezione. Nel corso della guerra con l’Iraq furono gravemente danneggiate da attacchi missilistici. Probabilmente il relitto della “Raffaello” giace ancora su un basso fondale nel Golfo Persico. La “Michelangelo”, invece, essendo capace di galleggiare, nel 1986 venne ceduta a un demolitore pakistano che provvide a rimorchiarla fino a Karachi e a smantellarla completamente.

 

Franco Tommasino

Nave soccorso italiana

“Bruno Gregoretti”

Modello navigante costruito a Genova nel 1975

Dimensioni: cm 123x25x56

Materiali: plastica, compensato e ottone; su basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 038

Scala: 1:22

I tre motori elettrici azionano le eliche, i timoni, le luci e l’impianto di ammaraggio del battello (dopo aver aperto il portellone di poppa). Tuga sollevabile per accedere al vano interno. Anche il battello di salvataggio è dotato di un motore elettrico per la propulsione. La nave soccorso “Gregoretti” venne costruita in Germania nel 1965 per compiere salvataggi in mare in ogni condizione di tempo. E’ inaffondabile e trasporta a poppa un battello di soccorso anch’esso inaffondabile. La Marina Militare Italiana acquistò due di queste unità. La capoclasse salvò 160 persone rimaste intrappolate su un’isola durante una tempesta.

 

Franco Tommasino

Nave traghetto norvegese

“Winston Churchill”

Modello navigante costruito a Genova nel 1973

Dimensioni: cm 143x25x55

Materiali: compensato, plastica e ottone; su basamento di

legno e ottone.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 040

Scala 1:100

 

I motori elettrici azionano le eliche, i timoni e i portelloni. Tuga sollevabile per accedere al vano interno. Nella stiva possono essere alloggiati tre treni. Dal portellone di poppa si accede al primo ponte, dove si trova il garage in cui vengono ricoverati le auto e i camion. Il comportamento in acqua corrisponde a quello della nave reale, senza rollio.

La motonave “Winston Churchill” fu costruita nel cantiere di Riva Trigoso (GE) per conto di un armatore norvegese.

Collega regolarmente Oslo e Copenhagen e trasporta treni e automobili. Lunghezza m 120; larghezza m 20.

 

Franco Tommasino

Nave da crociera norvegese

“Southward”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1975

Dimensioni: cm 116x21x37

Materiali: vetroresina, compensato, plastica, ottone, rame

e gomma; su basamento di plexiglass

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 039

Scala 1:130

 

 

I motori elettrici azionano le eliche, i timoni e le luci. Inoltre avviano una musichetta e le luci psichedeliche nella discoteca. Tuga centrale sollevabile per accedere al vano interno. La motonave “Southward” fu costruita nel cantiere di Riva Trigoso (GE) per conto dell’armatore Lauritz Klosters di Oslo.

Può ospitare 500 passeggeri in classe unica per viaggi della durata di due settimane. In genere viene impiegata per crociere nei Caraibi, il più importante mercato mondiale del settore. All’interno dello scafo si trovano le cabine. La cucina e la sala da pranzo sono in coperta. Sul primo ponte si trovano cinema e teatro; sul secondo piscina, bar e discoteca.

 

Franco Tommasino

Rimorchiatore d’altura italiano

“Ciclone”

Dimensioni: Modello navigante costruito a Chiavari 1980

cm 90x20x49

Materiali: vetroresina, legno, plastica, ottone, gomma e

rame; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 046

Scala: 1:50

 

 

I due motori elettrici azionano rispettivamente l’elica e il timone. Il modello può rimorchiare un canotto con dentro un bambino di dieci anni. La nave venne costruita dal Cantiere Campanella di Savona per la flotta dei Rimorchiatori Riuniti in servizio nel porto di Genova. Dimensioni: lunghezza m 45; larghezza m 5. Si tratta del rimorchiatore d’alto mare più potente del Mediterraneo, attrezzato per i soccorsi e dotato di moderni sistemi antincendio.

 

Marietto Solari

Rimorchiatore Italiano d’altura

“Silvia” - Genova

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1970

Dimensioni: cm 113x30x77

Materiali: legno, acciaio e ottone.

Collezione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 206

Scala: 1:22

 

 

Il modello è dotato di motore elettrico con riduttore di giri. Il rimorchiatore è una nave di tipo particolare, generalmente a elica, di piccola stazza e dotata di un potente apparato motore, addetta al rimorchio di altri natanti. A seconda che il servizio venga svolto nei fiumi, in porto o in mare aperto, si hanno rimorchiatori fluviali, portuali e d’alto mare. I primi due modelli presentano caratteristiche simili, a parte il fatto che nei rimorchiatori fluviali l’albero e il fumaiolo sono abbattibili per poter passare sotto i ponti. L’ultimo invece ha uno scafo alto e robusto, destinato a sostenere il mare anche in condizioni avverse. I rimorchiatori sono muniti di un attacco ad arco, con un robusto paranco, al quale si fissa il gancio del cavo da rimorchio in modo tale che possa scorrere liberamente, consentendo perciò la massima libertà di evoluzione. Come mezzi di rimorchio si utilizzano cavi di nylon, canapa o manilla. La loro sezione deve essere tale da resistere allo sforzo di trazione, mentre la lunghezza dipende dal dislocamento del bastimento rimorchiato, dal raggio di evoluzione dello stesso e dalle condizioni del mare. In genere il cavo è corto per le operazioni nei porti, nei fiumi e nei canali, e aumenta fino a 150 m e oltre per i traini in alto mare. Quando si tratta di rimorchiare unità molto lunghe e di elevato dislocamento, operano più mezzi contemporaneamente. Per muovere una nave all’ancora, il rimorchiatore si pone a conveniente distanza a proravia. Dopo aver steso e sistemato i cavi, salpa per primo, avanza adagio e poi si ferma (in modo da vincere a poco a poco l’inerzia della nave ferma). Infine avanza nuovamente sino a a raggiungere il tutta forza. Particolari difficoltà presenta il rimorchio di una nave alla deriva al largo o con cattivo tempo. Per stabilire il collegamento, si usano razzi lanciasagole, oppure un galleggiante a rimorchio che vada a urtare contro il bordo della nave, in modo da poter essere recuperato e servire per stendere il cavo. Durante la navigazione con rimorchio, la velocità del rimorchiatore deve essere quanto più possibile uniforme e nelle accostate (che non devono superare i 10°) la nave rimorchiata deve governare in modo tale che la sua prora si allontani il meno possibile dal prolungamento dell’asse longitudinale del rimorchiatore. Quando il rimorchio viene eseguito da più battelli, quello di maggior potenza si pone il più vicino possibile al bastimento rimorchiato. Per lasciare il rimorchio, il rimorchiatore molla i cavi e il rimorchiato da fondo, oppure, se deve entrare in porto, viene assistito dai rimorchiatori portuali. Nelle manovre   in porto si seguono vari procedimenti, a seconda delle circostanze. Per brevi percorsi e nave relativamente piccola si usa un solo rimorchiatore a prora. Con nave lunga e per evoluzioni in acque ristrette, si usano due rimorchiatori, uno a prora e l’altro a poppa, con la funzione di rettificare le accostate e facilitare i cambiamenti di rotta, oppure uno a prora e due a poppa.

 

“Gritta”

Dimensioni: cm 62x19x46

Materiali: legno, corda, stoffa, ottone e acciaio; su basamento di legno.

Donazione Mauro Costa

M.M.T.A. - Invent. n. 050

Scala 1:35

Scafo a ossatura e fasciame; tuga prodiera; bigo a centro nave; boccaporto poppiero, sollevabile per accedere al vano interno; timone a barra, mobile; elica girevole; parabordi; due reti da pesca; verricello; radar; fanale; luci di via; tre maniche a vento; opera viva di colore rosso; chiglia di colore nero; opera morta di colore grigio, con striscia nera orizzontale.

 

Motonave da carico italiana

“Spiga”

Modello costruito a Chiavari nel 1960.

Dimensioni: cm 105x15x40

Materiali: legno, corda, stoffa e acciaio.

Donazione Graziella Locco

M.M.T.A. - Invent. n. 143

Scala: 1:120

L’autore del modello fu imbarcato sulla nave come elettricista durante gli anni Cinquanta.

Scafo svuotato all’interno; casseretto a poppa; cassero centrale esteso sino alle murate; castello a prua; due bighi e un picco per il carico delle merci; quattro boccaporti per l’accesso alle stive, di cui uno a due portelloni; le gru possono essere azionate a mano per sollevare i portelloni; un’elica a quattro pale; fumaiolo corto sulla tuga centrale; opera viva di colore rosso; opera morta di colore nero; sovrastrutture di colore bianco; fumaiolo di colore rosso con bordo nero in alto; a poppa sventola la bandiera panamense; due scialuppe di salvataggio sul cielo della tuga centrale e due più piccole sul casseretto di poppa.

 

Franco Tommasino

Nave antincendio italiana

“Santa Barbara”

Materiali: Modello navigante costruito a Genova nel 1975

Dimensioni: cm 92x26x48

compensato, vetroresina, ottone, plastica; su

basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 048

Scala: 1:20

I motori elettrici azionano le eliche, i timoni, il braccio mobile, gli idranti, e i proiettori. Tuga sollevabile per accedere al vano interno. La nave VF 208 venne costruita nel cantiere Campanella di Savona per conto dei Vigili del Fuoco e presta servizio nel porto di Genova. Lunga 20 metri, veloce e maneggevole, è dotata dei più moderni sistemi per spegnere incendi sulle navi. Ha un braccio telescopico che porta il getto oltre i 20 metri e altre bocche mobili per lancio o esaurimento.

 

Franco Tommasino

Nave trivella italiana

“Saipem II”

Modello costruito a Genova nel 1981

Dimensioni:

Materiali: cm: 138x29x79

compensato, vetroresina, plastica e ottone; su

basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 049

Scala 1:100

I motori elettrici azionano le eliche, i timoni, le gru, la trivella e le luci. La nave per ricerche petrolifere “Saipem II” fu costruita dall’Italcantieri di Trieste per conto della SAIPEM, società del gruppo ENI, nel 1972. Le sue dimensioni sono: lunghezza m 122,5; larghezza m 21,9; altezza m 12,2; immersione a pieno carico m 6,8. La nave può operare fino alla profondità di 2.000 piedi e può trivellare sino a 25.000 piedi. E’ dotata di un sistema di posizionamento dinamico, basato su eliche radiali e cicloidali, controllate da due computer identici. Un sistema convenzionale di ormeggio a otto ancore può essere utilizzato fino a 600 piedi di profondità. Entrambe le soluzioni hanno dato ottimi risultati nella prospezione dei giacimenti del Mare del Nord. L’equipaggio è composto da 98 persone.

 

Franco Tommasino

Hovercraft inglese

“Mario Tommasino”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1988

Dimensioni: cm 83x38x40

Materiali: compensato, vetroresina, polistirolo, nylon,

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 051

Scala 1:100

 

Il modello ha un motore a scoppio da 1 CV che aziona un’elica tripala rivolta verso il basso. Comprimendo l’aria sotto lo scafo, essa fa gonfiare il grembiule e sollevare il natante. Un’elica bipala, posta sul castello di poppa in mezzo ai due timoni, imprime la spinta in avanti. Il natante più muoversi sia in acqua sia a terra.

L’inglese Christopher Sydney Cockerell, dopo aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale come ingegnere radiotecnico, si dedicò alla progettazione di imbarcazioni ad alta velocità. Constatando come l’attrito con la superficie dell’acqua e la resistenza d’onda riducessero le prestazioni dei natanti, si chiese come risolvere il problema. Fra i suoi appunti egli annotava: “Se potessi fare della carena una superficie d’aria, l’attrito con l’acqua diventerebbe trascurabile”. Nel corso di vari esperimenti, collocò una scatoletta di cibo per gatti dentro una scatola di caffè e, con un tubo di aspirapolvere opportunamente adattato, soffiò dell’aria nell’intercapedine fra le due lattine. Misurando i risultati con una bilancia da cucina, scoprì che il getto d’aria forzato attraverso l’intercapedine, esercitava sul piatto della bilancia una pressione tre volte superiore a quella del getto d’aria emesso normalmente dall’aspirapolvere. Basandosi sullo stesso principio, progettò uno scafo sorretto da un cuscino d’aria, pompata verso il basso attraverso una serie di fessure, e lo brevettò nel 1955. La prima imbarcazione di dimensioni utili al trasporto di persone gli fu commissionata da una società inglese dell’Isola di Wight, che poi sarebbe divenuta la British Hovercraft Corporation. Chiamato SR.N1, l’hovercraft venne presentato per la prima volta al pubblico l’11 giugno 1959, destano enorme impressione. Con una stazza di 7 tonnellate, sembrava una zattera munita di fumaiolo, ma aveva un’agilità e una velocità sorprendenti. Le manovre che poteva eseguire erano veramente stupefacenti: anziché scivolare, si sollevò dalla rampa di cemento dello scalo di alaggio, si lanciò in mare, procedendo ad un’altezza di circa 20 cm dalla superficie, ruotò di 180° sul suo

asse e si spostò a marcia indietro. Quella stessa estate, munito di un motore ausiliario, raggiunse una velocità di ben 60 nodi. Il 25 luglio 1959, nel 50° anniversario del primo volo di Blériot attraverso la Manica, compì la prima traversata verso la Francia, pilotato dallo stesso Cockerell. Alla fine dell’anno, l’SR.N1 fu equipaggiato con il primo modello di “gonna” (una cintura di tessuto gommato alta 30 cm stesa intorno al fondo piatto dello scafo) che, trattenendo l’aria pompata dall’alto ed espulsa attraverso le fessure in basso, funzionava da economizzatore di energia, evitando le dispersioni, nonché da ammortizzatore e da sospensione, attutendo i sobbalzi troppo bruschi. Meno di due lustri dopo, il 31 luglio 1968, l’hovercraft N4, da 170 tonn., con 254 posti passeggeri e 30 posti auto, iniziò il regolare servizio di traghetto sulla Manica, fra Dover e Boulogne-sur-Mer. Negli hovercraft da trasporto, l’aumento di peso e di dimensioni non comporta una crescita proporzionale nei consumi di energia e di combustibile. Una versione modificata dell’N4, entrata in servizio nel 1978, era in grado di trasportare un carico maggiore del 70% rispetto alla versione normale, e cioè 424 passeggeri e 55 vetture, ad un costo superiore solo del 15%. Il tipo Mark III era munito di una gonna di forma leggermente rientrante, lunga 7 m, capace di assorbire onde alte fino a 4,5 m. Le caratteristiche anfibie dell’hovercraft ne fanno il mezzo adatto alla navigazione in zone paludose o su acque coperte da banchi di ghiaccio.

Gli N5 vennero utilizzati dai marines americani nel delta del Mekong, durante la guerra del Vietnam, inquadrati nella famosa “Riverine Force”, che aveva il compito di sostenere le operazioni terrestri e recuperare i piloti caduti in territorio nemico. La polizia di Hong Kong li utilizza per la lotta al contrabbando con la Cina, mentre l’Arabia Saudita li impiega nel pattugliamento delle acque costiere del Golfo Pesico. Gli aeroporti di San Francisco negli Stati Uniti, Vancouver in Canada e Auckland in Nuova Zelanda, circondati da acque basse o paludose, ne sono dotati per il servizio di salvataggio. Alcuni hovercraft sono ancora in servizio fra Hong Kong e Macau e fra la colonia inglese e le altre isole del delta del Fiume delle Perle, ma tendono sempre di più ad essere sostituiti dagli aliscafi, specialmente i grandi Jumbocat costruiti dalla Boeing, muniti di potenti idrogetti e molto confortevoli. In Canada si è constatato che l’hovercraft può fungere anche da rompighiaccio, se la lastra non è troppo spessa, grazie alla pressione dell’aria che viene espulsa verso il basso.

 

Franco Tommasino

Aliscafo passeggeri

“Beppino” - della classe russa “Kometa”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1985

Dimensioni:cm 125x43x40

Mteriali: alluminio, legno, rame, acciaio, ottone, bronzo,

plastica, fibra di vetro e polistirolo, base legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 033

Scala: 1:32.

Il modello rappresenta uno degli aliscafi passeggeri in servizio fra Piombino e l’Isola d’Elba. E’ dotato di un motore a scoppio da 1,2 CV e pesa circa 6 Kg. Il radiocomando aziona le eliche, i timoni, le luci e la sirena. Aumentando la velocità si solleva progressivamente sulle ali. Il primo aliscafo sovietico della classe “Kometa” fu costruito nel 1961 dai Cantieri di Leningrado (San Pietroburgo), sviluppando le concezioni dell’ingegnere tedesco von Schertel. Grazie alla linea elegante e all’economicità di esercizio, le unità di questo tipo ebbero larga diffusione nel mondo. Nel 1968-69 uscì la serie M, con modifiche ai motori, al radar e alle ali posteriori, oltre ad un miglioramento generale dell’abitabilità. La navigazione in condizioni di mare mosso è garantita sulle ali con onde fino a 2 metri di altezza e in dislocamento con onde fino a 3 metri. Dimensioni: lunghezza m 35,1; larghezza m 9,6; altezza m 6,9; dislocamento a vuoto 42 tonn.; dislocamento a pieno carico 57 tonn.; capienza 116 persone; equipaggio 5 uomini. La propulsione è fornita da due motori Diesel da 1.100 CV, per una velocità di 34 nodi. La navigazione ad alta velocità ha sempre comportato dei problemi e neppure l’introduzione dei motori a combustione interna è riuscita a risolverli. Un natante è tanto più veloce quanto più il suo scafo ha una forma adatta a vincere la resistenza dell’acqua, utilizzando il minimo della forza propulsiva. La resistenza dell’acqua all’avanzamento è la risultante di diverse resistenze parziali: quella derivante per l’attrito, quella provocata dalle onde suscitate dal passaggio dello scafo e quella causata dai vortici che si formano a poppa. Seppure in misura inferiore, anche l’aria ostacola l’avanzamento. Infine va aggiunta la cosiddetta “resistenza da propulsione”, causata dalle perturbazioni generate nell’acqua dalla rotazione delle eliche. Quindi, per guadagnare in velocità, occorrono scafi robusti e leggeri, di forme particolari, atti a sollevarsi sull’acqua, in modo da eliminare

in tutto o in parte la resistenza. In questo modo si ottiene la cosiddetta “navigazione planata”, diversa da quella immersa perché, grazie al sostentamento dinamico parziale, il natante può staccarsi dal sistema di onde che produce, lasciando l’onda lontana a poppa. A questo scopo vennero studiate delle carene speciali. Le prime erano di forma arrotondata, poi seguirono quelle con il profilo a “V” molto acuta a prua e ad angolo ottuso a poppa. In seguito furono realizzate carene con gradini trasversali (redan) che permettevano il sollevamento dello scafo, facendolo poggiare sullo spigolo del gradino. Infine vennero introdotti gli scafi a tre punti, costituiti da due elementi a forma di parallelepipedo, detti “scarponi”, posti lateralmente allo scafo a fondo piatto. Appoggiandosi sull’elica immersa e sugli spigoli degli scarponi -da cui il nome a tre punti- grazie all’aria che vi si incanalava, lo scafo aveva maggiori possibilità di sollevarsi. In base a tali esperienze, si pensò di munire le carene di piccole superfici d’appoggio, o pattini, opportunamente profilate, che consentissero allo scafo di rimanere emerso durante il moto. Chiamati “ali” per la loro somiglianza con le ali degli aerei, essi diedero il nome a un particolare tipo di scafo e di natante. L’aliscafo può avere l’ala che sfiora la superficie dell’acqua o l’ala immersa. La propulsione è fornita da eliche marine, aeree o da idrogetti. Quest’ultimo sistema consiste nel proiettare in senso contrario al moto una certa massa d’acqua, aspirata a prua e pompata verso

poppa a forte pressione, determinando una reazione che spinge in avanti l’imbarcazione. Alla fine del XIX secolo, con

l’introduzione del motore a combustione interna, si cominciò a costruire motoscafi veloci muniti di carene speciali. Ulteriori studi, compiuti nei primi anni del nostro secolo in base ai primi esperimenti aeronautici, portarono a realizzare delle imbarcazioni propulse da un’elica aerea e dotate di carena planante, chiamate idroplani. Fu un ingegnere italiano, Enrico Forlanini, famoso progettista di mezzi aerei, come l’elicottero e il dirigibile, a studiare e sperimentare per primo battelli ad alta velocità. Egli sviluppò l’idroplano con l’introduzione di alette sostentatrici che, a certe velocità, mantenevano emerso lo scafo durante la navigazione. Nacque così l’aliscafo. Tra il 1902 e il 1904, l’ing. Forlanini ne realizzò sette esemplari, con alette di forma diversa e propulsione a elica immersa o aerea, e li provò sul Lago Maggiore. Il suo idroplano N° 7, costruito nel 1904, dotato di un motore da 100 CV ed elica aerea, raggiunse la velocità di 82 Km/h. Nel 1914 ne vendette i brevetti ad Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono. Questi costruì negli Stati Uniti un grande idroplano, pesante circa 5 tonnellate, dotato di un motore da 700 CV, che era in grado di raggiungere la spettacolare velocità di 112 Km/h. Nel 1927, la compagnia di navigazione tedesca Colonia-Dusseldorf ordinò il primo aliscafo per il trasporto di passeggeri sul Reno ad Hans von Schertel. Negli anni Cinquanta ci fu un rinnovato interesse per questo tipo di imbarcazioni. Negli Stati Uniti, la Lockheed realizzò una cannoniera ad ala immersa e la Boeing ne costruì una versione a idrogetto. Anche l’U.R.S.S. fabbricò grandi aliscafi, sia a scopi militari, sia per il trasporto di passeggeri. Nel 1954, i Cantieri Rodriguez di Messina vararono il primo aliscafo ad “ali portanti” del mondo, con una stazza di 27 tonn. e una capienza di 80 passeggeri. Nel 1982, ai vari modelli che prestavano servizio lungo le coste e sui laghi italiani, si aggiunse il “Superjumbo”, costruito dal medesimo cantiere, un vero gigante nel suo genere, con una capacità di trasporto di 250 passeggeri e un sistema elettronico di stabilizzazione controllato da un computer, per assicurare le migliori condizioni di comfort e di sicurezza ai viaggiatori.

Nave cisterna italiana

“Entella”

Modello galleggiante costruito a Genova nel 1963

Dimensioni: cm 107x15x20

Materiali: lamierino zincato e legno; su basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 041

Scala: 1:200

Opera viva di colore rosso; opera morta di colore nero; sovrastrutture di colore bianco; fumaiolo di colore azzurro con strisce gialla, rossa e gialla; tuga centrale; fumaiolo poppiero; un’elica; un timone; è possibile aprire un boccaporto a prua e i portelloni di accesso alle cisterne.

Franco Tommasino

Nave antincendio tedesca

“Weser”

Modello navigante costruito a Genova nel 1976

Dimensioni: cm. 109x24x48

Materiali: vetroresina, plastica, compensato, rame e

gomma; su basamento di plexiglass.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 047

Scala 1:50

 

I motori elettrici azionano le eliche, i timoni, la gru, gli idranti e i proiettori. Tuga sollevabile per accedere al vano interno. La nave prestò servizio nel porto di Amburgo. Molto veloce, è dotata di tre bocche antincendio e di una sala di pronto soccorso per curare gli ustionati.

 

Modelli di barche a motore

• Offshore italiano “Marina Yachting”

• Offshore italiano “Franco Tommasino”

• Motoscafo d’altura italiano “Andrea” (tipo Pegasus III)

• Mezzo d’assalto italiano tipo “Maiale”

• Motoscafo d’altura italiano tipo Paraggina “Gino Solari”

• Motoscafo d’altura italiano “Erminia II”

• Motoscafo a celle solari tipo “Ansaldo”

• Motovedetta italiana della Guardia di Finanza

• Idrogetto a carena Hunt “Claudio Tommasino”

 

Franco Tommasino

Offshore italiano

“Marina Yachting”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1989

Dimensioni: cm 66x24x21

Materiali: compensato, plastica, rame, gomma; su

basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 052

scala1:10

Il modello è la copia fedele del motoscafo di Gianfranco Campolucci, vincitore dei Campionati Italiani ed Europei del 1987 Classe 3 - 2LT. Il motore elettrico è posto fuoribordo. Il termine inglese “offshore”, corrispondente all’italiano “altura”, indica un tipo di motoscafo da competizione capace di navigare ad alta velocità anche con mare mosso.

 

Franco Tommasino

Offshore italiano

“Franco Tommasino”

Modello navigante costruito a Genova nel 1970

Dimensioni: cm 123x40x25

compensato, vetroresina, plastica, ottone,

Materiali: acciaio, rame e gomma; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 053

Scala 1:35

Derivato dal modello del Campbell, è dotato di un motore a scoppio Olson Rice da 1 CV a 7.000 giri/min., che aziona l’elica e il timone, e può raggiungere la velocità di oltre 90 Km/h.

 

Franco Tommasino

Motoscafo d’altura italiano

“Andrea”

(tipo Pegasus III).

Modello navigante costruito a Genova nel 1988

Dimensioni: cm 122x26x42

Materiali: compensato, plastica, acciaio e ottone; su

basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 058

Scala: 1:20

I tre motori elettrici azionano le due eliche e il timone. Tuga sollevabile per accedere al vano interno.

 

Luigi Faggioni

Mezzo d'assalto italiano

“MAIALE”

Modello fabbricato in Italia nel 1970 circa

Dimensioni: cm 28x3x5,5

Materiali: plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 045

Scala 1:35

La parte poppiera può essere asportata per caricare la batteria, che aziona l’elica poppiera. Due incursori sono a cavalcioni del mezzo. Il termine “maiale” entrò in uso durante la Seconda Guerra Mondiale per designare un mezzo d’assalto speciale, ideato e costruito per attaccare le navi in porto. Era costituito da un siluro lungo 6,70 metri, a cavalcioni del quale montavano due operatori, il pilota e il suo aiutante, muniti di apparecchi per la navigazione subacquea. Il siluro aveva una testata estraibile con circa 300 Kg di esplosivo. Il suo motore elettrico aveva un’autonomia di 10 miglia e permetteva di navigare sia in superficie, sia in immersione. Il mezzo veniva trasportato nelle vicinanze dell’obiettivo da una nave appoggio, come accadde nell’assalto a Gibilterra, o fissato sopra la coperta di un sommergibile, come accadde nel raid contro Alessandria d’Egitto.

Marietto Solari

Motoscafo d’altura italiano tipo Paraggina

“Gino Solari”

Modello di cantiere galleggiante costruito a Chiavari nel

1975 circa.

Dimensioni: cm 184x42x64

Materiali: legno di teak, legno tamburato, metallo, stoffa

e plexiglass.

Collezione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 202

Scala: 1:11

Apparteneva alla serie “Paraggina”, progettata e costruita da Gino Solari, figlio di Marietto, nel Cantiere Navale di Chiavari verso il 1970. Poteva raggiungere una velocità di 40 nodi.

 

Franco Tommasino

Motoscafo d’altura italiano

“Erminia II”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1975

Dimensioni cm 195x34x74

Materiali: vetroresina, legno, plastica, alluminio e ottone;

su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 054

Scala: 1:10

Il natante fu costruito a Chiavari nel 1980, presso il cantiere navale di Mariano Dellepiane (ex Gotuzzo). Apparteneva alla serie Paraggina, progettata da Gino Solari, e poteva raggiungere una velocità di 40 nodi. Tuga sollevabile per accedere al vano interno. Gommone di servizio con motore fuoribordo sospeso a poppa. Il modello è dotato di un motore a scoppio da 1 CV. Il radiocomando controlla il motore, l’elica, la timoneria, il radar, le trombe e le luci. La plancia e il saloncino sono stati riprodotti fedelmente in base ai piani originali, con televisione, bar, tavoli, camere da letto ecc.

 

Franco Tommasino

Motoscafo a celle solari

tipo “Ansaldo”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1980

Materiali: Dimensioni: cm 71x25x14

vetroresina, plastica, ottone, vetro, gomma e

legno; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 055

Scala: 1:35

Pannello solare sollevabile per accedere al vano interno. Il modello ha dodici celle solari fotovoltaiche monocristalline, prodotte dall’Ansaldo di Genova, che assorbono calore dai raggi del sole e lo trasformano in energia elettrica, con una tensione di 9 Volt e un’intensità di 0,6 Amp. Esse alimentano due motori elettrici da 8 Volt e 0,4 Amp., che azionano due eliche da 45 giri/min. La corrente residua serve a caricare una batteria in tampone per il radiocomando.

 

Franco Tommasino

Motovedetta italiana della Guardia di Finanza

“V 208”

Modello navigante costruito a Genova nel 1990

Dimensioni: cm 105x26x49

Materiali: compensato, plastica e ottone; su basamento di legno.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 056

Scala 1:20


Tuga e basamento del gommone sollevabili per accedere al vano interno; il motore elettrico aziona le due eliche e i due timoni. Costruita dal cantiere Baglietto di Varazze, ha le seguenti caratteristiche: lunghezza m 20,1; larghezza m 5,2; immersione m 1,67; dislocamento tonn. 40; due motori Diesel CRM da 1350 CV; velocità massima 35 nodi; velocità di crociera 20 nodi; autonomia 600 miglia; scafo in legno; una mitragliatrice da 20 mm; equipaggio 9 uomini.

 

Franco Tommasino

Idrogetto a carena Hunt

“Claudio Tommasino”

Modello navigante costruito a Chiavari nel 1975

Dimensioni: cm 132x31x27

Materiali: legno, plastica, gomma, acciaio e ottone.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 057

Scala 1:35

Il modello monta un idrogetto Castoldi. L’idrogetto è un tipo di propulsore navale costituito da una presa dinamica, una pompa centrifuga assiale e un ugello, fisso oppure orientabile. La pompa, tramite la presa, aspira acqua dall’ambiente esterno e la espelle attraverso l’ugello, a una velocità molto maggiore rispetto a quella di avanzamento dello scafo, creando una spinta per la variazione della quantità di moto. Variando l’orientamento dell’ugello, si può cambiare anche la direzione del moto. Gli idrogetti vengono impiegati come propulsori degli aliscafi o delle imbarcazioni da diporto veloci. Per la loro sicurezza, possono essere usati vantaggiosamente in acque sporche e basse o in zone frequentate dai bagnanti. Il primo esperimento di navigazione in mare con il sistema descritto, seppure in forma embrionale, fu eseguito nel 1882 dalla nave a idromotore Fleischer.

 

Mezzi scafi

• Mezzo scafo di cantiere o Busca’ di grande veliero oceanico a 3 alberi brigantino a palo (1.200 t di stazza)

• Mezzo scafo del Brigantino a Palo “Fidente” (Cantieri Gotuzzo)

• Mezzo scafo di gozzo ligure con prora a cornigiotto

• Mezzo scafo di imbarcazione ligure a remi, a poppa quadra

• Mezzo scafo di imbarcazione ligure a remi, a poppa quadra

 

Mezzo scafo di cantiere o Busca’

di grande veliero oceanico a 3 alberi

brigantino a palo (1.200 t di stazza)

Liguria, primo quarto del secolo XIX

(c’è la scritta “Legno - epoca 1830 - 1840”)

Dimensioni: cm 100x13x18

Materiali: legno di pino verniciato.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 123

Scala 1:60

 

 

Sul pannello si trova la scritta: Legno epoca 1830-1840. Misure in pollici e piedi inglesi risultati tra le perpendicolari mt. 52,50 di lunghezza - mt. 12,50 di larghezza mt. 9,50 di puntale - Stazza 1.200 tonn.

Coefficenti di finezza, indice dei massimi. Nel XIX secolo, uno degli strumenti più importanti per la costruzione di una nave era il mezzo scafo. L’armatore e il costruttore stabilivano le dimensioni e le caratteristiche del futuro bastimento in base al catalogo delle opere realizzate precedentemente dal cantiere. L’archivio corrente della ditta era costituito dalla collezione dei mezzi modelli, che dimostravano con efficacia le capacità architettoniche e ingegneristiche dei maestri d’ascia. Nei cantieri civili di piccole e medie dimensioni, che lavoravano per armatori privati o società d’armamento, non si costruivano grandi modelli interi, sfarzosamente decorati e armati con cannoni di ottone in miniatura, ma ci accontentava di oggetti più semplici e meno costosi, che mettessero in luce soprattutto le linee d’acqua, il vero marchio di fabbrica di ogni costruttore. Linee filanti o panciute, prore dritte o arcuate, poppe tonde o quadre, cavallino accentuato o coperta quasi dritta: queste erano le caratteristiche fondamentali che dovevano risaltare da un modello. Una volta concordate le misure di massima, i falegnami del cantiere realizzavano un mezzo scafo di prova e lo sottoponevano al giudizio del committente. Se questi si dichiarava soddisfatto, i disegnatori lo prendevano in consegna e ne traevano il trittico in scala, ossia la sezione longitudinale, la sezione trasversale e la vista dall’alto. In caso contrario i falegnami apportavano tutte le modifiche necessarie a soddisfare le esigenze dell’acquirente, a forza di pialla e tela smeriglio. Solo alla fine si riportava il disegno a grandezza naturale sul pavimento della cosiddetta “sala a tracciare”, il vero cuore del cantiere, dove la nave prendeva forma prima di essere montata sullo scalo e dove venivano tagliate e sagomate le ordinate. Per i bastimenti più grandi, i mezzi scafi erano incollati su pannelli di legno lunghi da uno a due metri, a seconda delle loro dimensioni. Talvolta lo scafo poteva essere dipinto a vivaci colori, con l’opera viva, la linea di galleggiamento, la fiancata e le dotazioni (timone, assi, eliche ecc.). In altri casi era semplicemente verniciato in nero, in verde o a legno lucido. I mezzi modelli venivano costruiti con tavole di legno incollate una sopra l’altra, il cui spessore rappresentava esattamente, in scala, la misura di un metro o di una yarda. In quelli trattati a legno lucidato, si intercalavano tavole di mogano e tavole di abete, o di frassino, comunque legno scuro e legno chiaro, in modo da rendere più evidente l’andamento delle linee d’acqua da prua a poppa. Anche per il ponte non si lasciava molto spazio alla fantasia e ci si accontentava di una raffigurazione sommaria dell’argano, del castello, della cucina, della tuga a centro nave, della plancia e della timoneria sul cassero, dei vari boccaporti e delle maniche a vento. Gli alberi si riducevano a dei tronconi poco più alti del bordo. Il tutto era netto e preciso, fatto per poter prendere le misure con il compasso a punte fisse. L’unica concessione al lusso era rappresentata da una targa in ottone con su inciso il nome del bastimento, le sue principali caratteristiche, il nome del cantiere e le date dell’impostazione e del varo.

 

Mezzo scafo del Brigantino a Palo

“Fidente” (Cantieri Gotuzzo)

Chiavari, 1921

Dimensioni: cm. 106x14x15

Materiali: legno teak verniciato

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 124

Scala 1:42

Fu l’ultimo dei grandi velieri varato agli “Scogli”, nei cantieri Gotuzzo, nel 1922.

 

Mezzo scafo di gozzo ligure con prora a

cornigiotto

Chiavari, seconda metà del secolo XX

Dimensioni: cm 50x8x7

legno di mogano verniciato

Materiali: Donazione Nanni Ceglie

M.M.T.A. - Invent. n. 125

Scala: 1:20

 

Mezzo scafo di imbarcazione ligure a remi, a poppa quadra

Chiavari, seconda metà del secolo XX

Dimensioni: cm 45x8x6

Materiali: legno di mogano verniciato

Donazione Nanni Ceglie

M.M.T.A. - Invent. n. 126

Scala 1:12

 

 

Tipo di barca usata per la pesca dei polipi

 

Mezzo scafo di imbarcazione ligure a remi, a poppa quadra

Chiavari, seconda metà del secolo XX

Dimensioni: cm 34x7x7

Materiali: legno di mogano verniciato

Donazione Nanni Ceglie

M.M.T.A. - Invent. n. 127

Scala 1:18

 

Tipo di barca usata per la pesca dei polipi

 

Modelli di motori

• Macchina a vapore con pistone a doppio effetto, con eccentrico

• Macchina a vapore con cilindro oscillante

• Caldaia a vapore diretto con macchina a doppio effetto

• Caldaia a vapore

• Caldaia a vapore diretto con macchina bicilindrica a doppio effetto

Macchina a vapore con pistone

a doppio effetto, con eccentrico

Modello costruito in Italia nel 1910 circa

Dimensioni cm 10x14x26

Materiali: ottone e ferro, su basamento in piombo.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 128

 

Un apparato motore navale a vapore consiste di due parti distinte: un generatore di vapore (caldaia) nel quale si produce il fluido necessario ad alimentare la motrice, e una macchina vera e propria, in cui l’energia del vapore aziona i meccanismi atti a far girare la ruota a pale o l’elica. Nel periodo iniziale della propulsione a vapore, le caldaie, di forma parallelepipeda, erano fatte con lamiere di rame e avevano dei tiranti interni per rinforzarne la struttura. Presto si cominciò a usare il ferro come materiale da costruzione, ma l’aspetto e le caratteristiche rimasero gli stessi. Le macchine più diffuse erano quelle orizzontali, che dovevano essere collocate per madiere sulle navi, in modo che i cilindri risultassero perpendicolari all’asse dell’elica. Le macchine inglesi del tipo “a fodero”, assai diffuse, non avevano testa a croce ma uno stantuffo a semplice effetto, che veniva guidato da un fodero cilindrico e aveva la biella articolata in un perno nella testa dello stantuffo, come i pistoni degli attuali motori a benzina. Dato che le navi dell’epoca portavano una sola elica, il cui asse doveva essere montato in corrispondenza della chiglia, la corsa degli stantuffi delle macchine era piuttosto corta. Un altro tipo di macchina molto popolare negli anni 1860 era quello a cilindri oscillati, detto anche di Penn, nel quale l’asta dello stantuffo era direttamente collegata alla manovella dell’asse e tutto il cilindro oscillava in dipendenza del movimento di quest’ultima. Per aumentare la corsa degli stantuffi, nelle macchine orizzontali fu introdotto il tipo “a biella di ritorno”, nel quale l’asta dello stantuffo era munita di testa a croce e di pattino; la biella, tuttavia, invece di andare in prosecuzione dell’asta, ritornava verso il cilindro, in quanto l’albero a manovelle era sistemato fra il cilindro e il pattino della testa a croce. Le macchine a cilindri oscillanti e a biella di ritorno avevano i cilindri “a doppio effetto”, nei quali il vapore agiva su entrambe le facce e non su una sola come nelle macchine a fodero. Per condensare il vapore di scarico, dopo che questo aveva lavorato nei cilindri, si usava iniettarvi dell’acqua di mare (condensatore a miscuglio). Perciò le caldaie venivano alimentate con acqua salmastra, il che rendeva particolamente gravosa la loro manutenzione. Nel decennio 1860-70 si ebbero diversi perfezionamenti sia alle caldaie sia alle macchine. Dalle caldaie parallelepipede si passò a quelle cilindriche, che permettevano di generare vapore a pressioni più elevate. Il progresso più notevole, però, fu quello che portò all’adozione dei condensatori a superficie, con il conseguente abbandono dell’acqua di mare per l’alimentazione delle caldaie, che in tal modo non si riempivano più di incrostazioni di sale e non esigevano particolari operazioni di pulizia. Il condensatore a superficie è un involucro contenente un fascio di tubi percorsi internamente da acqua fredda e lambiti esternamente dal vapore di scarico che, a contatto dei tubi, si condensa e ridiventa acqua. La possibilità di generare vapore ad alta pressione portò all’adozione delle macchine a duplice espansione, dette in inglese “compound”, nelle quali il vapore lavorava prima in un cilindro ad alta pressione e poi in un cilindro a bassa pressione, migliorando il rendimento generale. Le macchine continuavano a essere del tipo orizzontale, anche se a due cilindri. Ma grazie all’adozione della doppia elica, fu possibile avere cilindri con biella normale, anziché con biella di ritorno, perché le motrici potevano essere collocate più lateralmente di quelle azionanti una sola elica. Le macchine verticali, cioè con i cilindri e gli stantuffi disposti verticalmente e sostenuti da un’apposita incastellatura, introdotte alla metà degli anni 1870, costituirono un’altra tappa nell’evoluzione della propulsione navale. In precedenza la loro adozione era stata ostacolata dalla notevole altezza, che comportava uno spreco di spazio in favore dei locali macchine e a discapito della capacità di carico. Nelle navi da guerra il problema era quello di mantenere le sale motori al di sotto del ponte di protezione corazzato. L’ostacolo potè essere superato solo con l’aumento delle dimensioni medie dei bastimenti. Le macchine verticali, dette anche a cilindri rovesciati, erano più bilanciate di quelle orizzontali, in quanto il movimento delle aste e degli stantuffi avveniva in direzione verticale, il che permetteva di ottenere maggiori velocità per questi organi in moto alternativo e quindi maggiori velocità di rotazione per l’asse dell’elica. Intorno al 1885, le caldaie cilindriche a tubi di fiamma cominciarono a essere sostituite da quelle a tubi d’acqua: nelle prime vi era un grande involucro pieno d’acqua, all’interno del quale venivano sistemati i tubi contenenti i focolari e i tubi attraverso i quali passavano i prodotti di combustione caldi, provocando così la vaporizzazione dell’acqua; nelle seconde, invece, c’era una grande camera di combustione dove bruciava il carbone e attraverso la quale passavano i tubi contenenti l’acqua, la quale così evaporava molto più rapidamente, in quanto assorbiva una maggiore quantità di calore. Fra i primi modelli di caldaie di questo tipo vi furono le francesi Belleville, che riscossero un buon successo commerciale anche all’estero. Altri modelli seguirono, fra cui quello prodotto dall’inglese Yarrow, che aveva tre collettori: uno alto centrale e due bassi laterali, in mezzo ai quali erano posti i fasci di tubi simmetrici che costituivano la copertura inclinata della camera di combustione. Vennero poi le Niclausse, sempre francesi, le Babcock & Wilcox, americane e le Ansaldo italiane. Le macchine, ormai tutte a duplice espansione, iniziarono ad avere tre cilindri, uno di alta e due di bassa pressione, oppure uno di alta, uno di media e uno di bassa pressione. I condensatori del tipo a superficie venivano collocati in un involucro tubolare orizzontale, a lato dei cilindri della macchina.

 

Macchina a vapore con cilindro oscillante

costruito in Italia nel 1900 circa.

Materiali: cm 14x12x17

Dimensioni: ottone, ferro

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 131

 

Caldaia a vapore diretto

con macchina a doppio effetto

Modello costruito in Olanda nel 1904.

Dimensioni: 48x19x45.

Materiali: ottone, ferro, rame e legno, su basamento in legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 130

Il rivestimento della caldaia è in legno santo. Proveniente dal modello del piroscafo misto “Adele Gotuzzo”, è stata smontata e collocata all’esterno per renderla visibile al pubblico. L’adozione delle caldaie a tubi d’acqua consentì di ottenere vapore a pressioni più elevate, per cui dalle macchine a duplice espansione si passò a quelle a triplice espansione, nelle quali il vapore lavorava in tre o quattro cilindri. Esse rappresentarono l’apice del perfezionamento raggiunto da questo tipo di motrice, intorno all’anno 1880. Il combustibile impiegato nelle caldaie era sempre il carbone. L’aria per la combustione veniva convogliata nei locali caldaie per mezzo di grandi maniche a vento, in

genere sistemate sulla sovrastruttura a centro nave, sulla verticale dei locali stessi. L’aria affluiva grazie al moto della nave e alla depressione originata dal tiraggio dei fumaioli. Se la combustione era alimentata con l’aria aspirata attraverso le maniche a vento in seguito alla depressione originata dal tiraggio del fumaiolo, si aveva il cosiddetto “tiraggio naturale”, che consentiva di bruciare solo un certo quantitativo di carbone. Per aumentare questo tiraggio, i fumaioli venivano costruiti molto alti, conferendo un aspetto caratteristico alle unità dell’epoca. Se invece di aspirare l’aria attraverso le maniche a vento per il solo effetto della depressione nei locali caldaie, si impiegavano anche degli aspiratori meccanici, ovvero delle ventole che la forzavano all’interno, si aveva il cosiddetto “tiraggio forzato”, grazie al quale le caldaie potevano bruciare molto più carbone e sviluppare maggiore potenza. Essa veniva utilizzata nei momenti di pericolo, per sfuggire una tempesta, per battere record di velocità o, nel caso delle navi da guerra, per prepararsi al combattimento. La combustione a carbone richiedeva molto lavoro manuale da parte del personale addetto alla condotta ed esigeva un enorme dispendio di manodopera nelle operazioni di rifornimento. Non è raro trovare suggestive fotografie in bianco e nero che ritraggono i caricatori di carbone mentre salgono faticosamente sulle passerelle con delle pesanti corbe di carbone sulle spalle e lo scaricano nei depositi. I fuochisti addetti all’alimentazione delle caldaie vivevano in un ambiente infernale, con temperature oscillanti fra i 40 e i 70° e un’aria resa caliginosa dalla polvere di minerale. Con un lavoro così massacrante, non stupisce che la loro vita media fosse alquanto bassa.

Anche i tecnici addetti alle macchine avevano un compito gravoso, a ogni corsa del cilindro dovevano mettere una goccia di olio negli ingranaggi, con il rischio di perdere una mano. Non tutte le nazioni disponevano di carbone in quantità sufficiente al loro fabbisogno e spesso dovevano importarlo, con un notevole aggravio nei costi di gestione. Inoltre, dato che vi erano differenti qualità di combustibile, se si voleva ottenere un buon rendimento dalle macchine occorreva affidarsi all’ottimo carbone gallese, conosciuto come “Cardiff” dal nome del porto nel quale veniva imbarcato. Solo l’Inghilterra e poche altre potenze marittime disponevano di basi attrezzate lungo le principali rotte oceaniche ed erano in grado di mantenere grandi depositi di combustibile, mentre le altre dovevano stipulare onerosi contratti di rifornimento. Un notevole passo in avanti fu compiuto con il passaggio dal combustibile solido a quello liquido, ossia dal carbone alla nafta. Il petrolio grezzo venne impiegato per la prima volta dai russi sulle navi del Mar Caspio e del fiume Volga, data la vicinanza di ricchi giacimenti, ma le altre marine continuarono a preferire il

carbone, per la sua notevole diffusione a livello mondiale. Restava il problema dell’imbarco e dello stivaggio a bordo. Come abbiamo visto, le operazioni di rifornimento erano lunghe e dispendiose, dovendo essere compiute tutte a mano. Inoltre le navi più piccole avevano carenza di spazio dove sistemare le carbonaie le quali, tra l’altro, non potevano mai essere riempite del tutto a causa della forma irregolare dei pezzi. Un combustibile liquido avrebbe facilitato enormemente il compito, perché avrebbe potuto essere caricato per mezzo di pompe e avrebbe permesso di colmare fino all’orlo i serbatoi. Il problema era particolarmente sentito nelle marine da guerra minori, che avevano un gran numero di torpediniere e di altri natanti di piccole dimensioni. La Regia Marina Italiana condusse una serie di esperimenti che nel 1890 consentirono di mettere a punto un bruciatore adatto allo scopo, ideato dall’Ingegnere Capo del Genio Navale Vittorio Cuniberti. Esso spruzzava la nafta in minutissime goccioline entro la camera di combustione, dove la temperatura veniva mantenuta a un livello tale da favorire l’accensione di questa nebbiolina. Questo tipo di bruciatore, studiato per le torpediniere, si diffuse anche sulle navi più grandi, mentre in diverse basi venivano approntati depositi di nafta. Le navi petroliere cominciavano ad assumere un ruolo determinante nelle flotte mercantili di tutto il mondo. Le caldaie a nafta producevano una quantità di vapore maggiore rispetto a quelle a carbone e la potenza sviluppata aumentava del 20-25%. Inoltre si poteva accelerare o rallentare la velocità in tempi più brevi, qualità della massima importanza per le navi da guerra. Per aumentare la velocità occorreva naturalmente mandare più vapore nei cilindri.

Nelle unità con caldaie a carbone non era possibile accendere o spegnere un certo numero di caldaie a ogni variazione di andatura, perciò alcune caldaie venivano tenute in regime di alimento con i fuochi molto bassi, che venivano attivati solo in caso di aumento di velocità e ridotti in caso di diminuzione. Con la combustione a nafta, invece, questa variazione nella produzione di vapore poteva essere ottenuta semplicemente con l’accensione o lo spegnimento di qualche bruciatore, dato che ogni caldaia ne aveva più di uno (da 3-5 per quelle più piccole fino a 13-15 per quelle più grandi). Nonostante gli indubbi vantaggi, i maggiori produttori di carbone erano restii ad abbracciare il nuovo sistema, perché temevano di perdere il vantaggio loro offerto dall’avere il quasi monopolio di un’importante risorsa strategica. All’inizio del Novecento, la macchina a vapore a triplice o a quadruplice espansione aveva raggiunto l’apice della sua evoluzione, quando l’introduzione della turbina provocò una nuova rivoluzione nel campo della propulsione navale.

Caldaia a vapore

Modello costruito in Italia nel 1920 circa

Dimensioni cm 19x7x17

Materiali: ottone, ferro

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 132

Le prime caldaie erano alquanto rudimentali, con la camera di combustione esterna e larghe zone della superficie di riscaldamento lisce. Data la loro debolezza strutturale, non potevano resistere alle alte pressioni. Con l’avanzare del progresso tecnologico, comparvero le caldaie a tubi di fiamma, che avevano la camera di combustione interna. I gas prodotti dalla combustione del carbone passavano attraverso i tubi contenuti nella camera e riscaldavano l’acqua nella quale erano immersi, che a sua volta si trasformava in vapore e veniva convogliata verso la macchina per azionare il pistone. L’aumento della superficie di riscaldamento migliorava il rendimento delle caldaie. Quelle a tubi di fiamma, altrimenti dette “caldaie scozzesi”, furono il tipo più diffuso nella marina mercantile sino all’inizio del Novecento. Successivamente vennero adottate le caldaie a tubi d’acqua, nelle quali era appunto l’acqua a circolare nei tubi, mentre i gas li avvolgevano e li riscaldavano dall’esterno. In tal modo la trasformazione in vapore avveniva più celermente, con notevoli vantaggi in termini di praticità d’uso e rendimento. Le caldaie a tubi d’acqua furono rese ancora più economiche con l’adozione del surriscaldatore, la ventilazione forzata (ossia l’insufflazione di aria ad alta pressione), gli economizzatori ecc.

 

Caldaia a vapore diretto con macchina

bicilindrica a doppio effetto

Olanda, 1904 (modello della caldaia del piroscafo misto

“Adele Gotuzzo”)

Dimensioni 25x8x22.

Materiali: ottone, ferro, rame - Basamento in legno

Isolam.ento caldaia in legno santo

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 133

 

Modelli di aeromobili e navi spaziali

• Dirigibile Hindenburg D-L2129

• Idrovolante Macchi Castoldi MC 72 - “Agello Macchi”

• Idrovolante italiano Savoia Marchetti S55X SMI 1933   “Italo   Balbo”

• Idrovolante Dornier D-1929 DOX “Umberto Maddalena”

• Razzo a tre stadi “Saturno 5”

• L’uomo sulla luna

• Navetta spaziale americana “Moonraker”

 

Dirigibile Hindenburg D-L2129

Modello costruito in Italia nel 1980 circa

Dimensioni: cm 33x6x8

Materiali: plastica, su basamento di plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 149

 

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”. Il dirigibile fu sperimentato per la prima volta in Francia nel 1852. L’Hindenburg, di costruzione tedesca, era lungo ben 245 metri. Nel 1937, nella fase di atterraggio a Lakehurst, nel New Jersey, USA, si incendiò e morirono ben 36 persone. Furono famosi anche i dirigibili tipo “Zeppelin” (tedeschi) e il “Norge”, italiano, con il quale Umberto Nobile compì nel 1926 la prima trasvolata del Polo Nord. La seconda trasvolata polare di Nobile, nel 1928, col dirigibile “Italia”, finì invece in una catastrofe. All’inizio dell’Ottocento il pallone aerostatico, o mongolfiera, aveva mostrato tutti i suoi limiti, dovuti soprattutto alla difficile governabilità. Si riusciva a controllarne la discesa, agendo sulla valvola del gas, o la salita, gettando della zavorra, ma era quasi impossibile dirigerne la rotta, a causa della mancanza di un qualsiasi propulsore. Gli ingegneri dell’epoca si applicarono alla soluzione del problema e finalmente, il 24 settembre 1852, il francese Henri Giffard riuscì a far volare un aerostato per 31,5 Km, partendo da Versailles. Il suo dirigibile, riempito di idrogeno, era lungo quasi 44 metri e spinto da un motore a vapore da 3 CV, che faceva girare un’elica lunga 3,35 metri. Tuttavia, un aeromobile di pratica utilizzazione fu costruito solamente all’inizio del XX secolo, grazie all’introduzione del motore a scoppio e delle leghe di alluminio. In quel periodo ci si rese anche conto che la capacità di sostentazione di un aerostato era direttamente proporzionale al volume di gas impiegato per riempire il suo involucro, per cui occorreva realizzare dirigibili sempre più grandi. Il celebre ingegnere navale francese S. Dupuy de Lome inserì nell’involucro il cosiddetto pallonetto, per compensare le variazioni di volume del gas causate dai cambiamenti di quota, al fine mantenere costante la forma del dirigibile. Il francese Renard ideò gli impennaggi per assicurarne la stabilità. Il tedesco Walfert nel 1897 applicò per la prima volta il motore a scoppio a un dirigibile. Nel 1900, un ufficiale tedesco, il conte Ferdinand von Zeppelin, dopo una lunga serie di studi ed esperimenti, completò un prototipo di dirigibile che battezzò con il suo stesso nome. Esso era costituito da un cilindro lungo 128 m, con un’ossatura in alluminio rivestita di cotone trattato con emaillite, una vernice speciale che assicurava tensione e resistenza all’involucro. La sua cubatura, suddivisa in 17 compartimenti stagni, era costituita da 12.000 mc di idrogeno. Due motori Daimler da 14 CV garantivano la necessaria spinta propulsiva. Dopo aver perfezionato il prototipo, fra il 1910 e il 1914 Zeppelin compì i primi viaggi commerciali in Germania. Durante la Prima Guerra Mondiale, i suoi dirigibili furono impiegati come ricognitori oltre le linee nemiche e per bombardare Londra, senza peraltro ottenere risultati di rilievo. Negli anni Trenta vennero di moda le crociere a bordo dei “più leggeri dell’aria”. Aerostati di gigantesche dimensioni, dotati di tutti i comfort, trasportavano poche dozzine di ricchi privilegiati da una metropoli all’altra dell’Europa e anche attraverso l’Atlantico. I nuovi modelli, sia tedeschi, sia americani, lunghi più di 200 m, erano chiamati “hotel volanti”, per il lusso e le comodità che offrivano a bordo. Ma l’aumento del traffico fece crescere anche il numero di incidenti, i più gravi dei quali impressionarono fortemente l’opinione pubblica, decretando la fine dell’era del dirigibile. Nel 1930, durante il viaggio inaugurale su una nuova rotta per l’India, il dirigibile inglese R 101 precipitò e fra le 48 vittime ci furono il suo progettista e il ministro inglese dell’aeronautica. Ma una tragedia ancora più sconvolgente si verificò pochi anni più tardi, nel 1937, quando il più grande e moderno dirigibile del mondo, il tedesco “Hindenburg”, si incendiò durante la fase di atterraggio a Lakehurst, nel New Jersey, Stati Uniti. Nello spaventoso rogo che ne seguì, provocato dall’enorme quantità di idrogeno con cui era stato riempito l’involucro, perirono 36 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio. Si sarebbe potuto usare l’elio, più innocuo, ma di difficile produzione, per cui risultava molto costoso. Inoltre, gli Americani ne detenevano il brevetto e, dato che lo consideravano un segreto militare, si erano ben guardati dal divulgarlo. Nella Seconda Guerra Mondiale, la marina americana disponeva di alcuni dirigibili da ricognizione, destinati alla caccia dei sommergibili tedeschi. Essi avevano il vantaggio di potersi appoggiare a strutture aeroportuali non molto attrezzate e di poter decollare in verticale, senza bisogno di pista di volo, ma con l’avvento degli elicotteri vennero superati anche in questo campo.

 

Idrovolante Macchi

Castoldi MC 72 - “Agello Macchi”

Modello costruito in Italia nel 1980 circa

Dimensioni: cm 13x13x7

Materiali: plastica, su basamento di plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 150

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”.

Nel 1934 un aereo di questo tipo, costruito appositamente per partecipare alla Coppa Schneider, conquistò il primato di velocità (711,462 Km/h) per idrovolanti con motore a pistoni, un record tuttora imbattuto.

 

Idrovolante italiano

Savoia Marchetti S55X SMI 1933

“Italo Balbo”

Modello costruito in Italia nel 1980 circa.

Dimensioni: cm 24x33x8

Materiali: plastica, su basamento di plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 151

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”. Nel 1933, dopo due anni di preparazione, 25 idrovolanti S55X, suddivisi in otto squadriglie da tre apparecchi ciascuna, più il velivolo del comandante Italo Balbo, compirono una spettacolare trasvolata atlantica da Orbetello a Chicago e New York, con ritorno al Lido di Roma, per un totale di 20.000 Km. L’impresa suscitò tanto scalpore negli Stati Uniti che una via di Chicago fu intitolata a Italo Balbo.

 

Idrovolante Dornier D-1929 DOX

“Umberto Maddalena”

Modello costruito in Italia nel 1980 circa

Dimensioni: cm 27x33x7

Materiali: plastica, su basamento di plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 152

 

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”. Questo velivolo, di costruzione tedesca, fu importato in Italia nel 1929 e ribattezzato “Umberto Maddalena”. L’intenzione era di usarlo su una linea passeggeri per gli Stati Uniti. Dato che gli aerei del tempo non avevano un’autonomia sufficiente per poter attraversare direttamente l’Atlantico, ma dovevano effettuare frequenti scali di rifornimento, e visto che non c’erano molti aeroporti attrezzati lungo la rotta, si pensava che un idrovolante avrebbe potuto assolvere più facilmente a tale compito. Esso aveva una capacità di trasporto di 50 passeggeri. Dopo qualche prova, il progetto non ebbe seguito a causa del rumore assordante dei motori, dell’elevato consumo di carburante e della scarsa affidabilità in volo.

Razzo a tre stadi

“Saturno 5”

Modello costruito in Italia nel 1980 circa.

Materiali: plastica

Dimensioni: cm 112x21

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 153

 

L’uomo sulla luna

Modello costruito in Italia nel 1980 circa

Dimensioni: cm 34x26x5

Materiali: plastica

Donazione Franco Tommasino

 

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”. Il 21 luglio 1969, gli astronauti americani Neil Armstrong e Edwin Aldrin discesero la scaletta del modulo lunare LEM, mettendo per la prima volta piede sulla Luna. Un sogno coltivato dall’uomo per millenni si era finalmente avverato. Vi restarono due ore e mezza, raccogliendo 21 kg di rocce lunari e altri campioni geologici. Gli Americani avevano così recuperato lo svantaggio e superato i Russi nella corsa allo spazio, otto anni dopo la missione di Yuri Gagarin. Altre cinque missioni Apollo si recarono sulla Luna fra il 1969 e il 1972, anno in cui si concluse il programma di esplorazioni.

 

Navetta spaziale americana

“Moonraker”

Modello costruito in Italia nel 1980 circa

Dimensioni: cm 40x17x22

Materiali: plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 155

 

Piccoli oggetti in plastica ... per ricordare “grandi eventi”. Le navette spaziali della serie “Columbia” sono state concepite per portare in orbita carichi pesanti, lanciare, riparare o recuperare satelliti e costruire stazioni orbitanti. L’idea era quella di realizzare dei veicoli spaziali capaci di rimanere in orbita per il tempo necessario a compiere le operazioni e poi tornare indietro con i propri mezzi. Per lanciarle nello spazio, vincendo la fortissima attrazione gravitazionale presente negli strati bassi dell’atmosfera, occorre sfruttare la spinta di due grandi motori laterali che bruciano un composto formato da idrogeno e ossigeno liquido. Una volta raggiunta l’orbita prescelta, i serbatoi del carburante e i motori vengono sganciati e la navetta è libera di muoversi con i suoi motori interni. Essa può atterrare direttamente su una pista preparata, avvicinandosi lentamente come un aliante. Il prototipo fu lanciato per la prima volta nel 1981, inaugurando l’era dei voli spaziali con andata e ritorno su un aeromobile pilotato dall’uomo. In futuro, le stazioni spaziali in orbita attorno alla terra e le basi sulla luna verrano mantenute in collegamento con i centri di comando per mezzo di navicelle come questa, che avranno il compito di trasportare i rifornimenti, i passeggeri e i pezzi di ricambio per le apparecchiature.

 

Oggetti

• Strumenti nautici e attrezzature di bordo

• Strumenti di calcolo

• Telegrafi, grammofoni, radio e radiocomandi

• Attrezzi da cantiere

• Attrezzi da pesca

• Supporti per archiviazione dati

 

J. HUGHES, LONDON.

Ottante di Hadley

Gran Bretagna, 1820 circa

Dimensioni: cm 36x29x8

Materiali: legno di ebano, avorio, ottone e vetro; in cassetta di legno e ottone

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 059

Strumento antenato del sestante. Serviva per misurare l’altezza degli astri dalla quale si calcolava la posizione della nave Telaio in ebano; alidada, portaspecchi, portavetri e mirino in ottone; lembo, verniero, placchetta del costruttore, manico dello stilo e placchetta per appunti in avorio; graduazione da 0 a 100°; mirino a due occhi con coprioculare; due specchi; tre vetri colorati. Cassetta di legno a forma di settore di cerchio, con coperchio munito di rialzo per contenere lo specchio dell’alidada. All’interno del coperchio della cassetta, targhetta in carta con il marchio del costruttore: J. Hughes, Real Manufacturer of SEXTANTS & QUADRANTS, COMPASSES, TELESCOPES & C. 16, Queen Str. Radcliffe Cross. LONDON. Sulla sinistra compare una figura di ufficiale intento a compiere misurazioni con un ottante.

Figlio del costruttore di strumenti James Hughes, di Shadwell, Londra, che aveva il proprio laboratorio al n° 16 di Queen Street, Limehouse, Londra, Joseph Hughes svolse il suo apprendisato nel 1800 presso William George Cook, un altro fabbricante di strumenti che aveva la bottega in Cork Street, Saint George in the East, Londra. Messosi in proprio, aprì un negozio al n° 16 di Queen Street, Ratcliffe, Londra, dove rimase dal 1818 al 1843, anno della sua morte. Era noto per la produzione di strumenti matematici, nautici, ottici e scientifici, e per la vendita di barometri.

L’ottante è uno strumento a riflessione utilizzato per misurare l’altezza sull’orizzonte di un astro di riferimento (il Sole o la Stella Polare), allo scopo di determinare la latitudine di un dato punto sulla superficie terrestre. Esso fu ideato quasicontemporaneamente, ma in maniera del tutto indipendente, dall’inglese John Hadley (1684-1744), che lo descrisse nel 1731, e dall’americano Thomas Godfrey (1704-1749). Generalmente è formato da un telaio, in ebano o altro legno resistente, a forma di settore di cerchio, graduato lungo il lembo inferiore, con un’apertura di circa 45° (un ottavo di angolo giro appunto), sul quale è imperniato un braccio mobile, l’alidada, munito di uno specchio. Sul telaio è fissato un altro specchio, parzialmente argentato. Con lo strumento è possibile traguardare direttamente l’orizzonte (attraverso la lastrina di vetro argentata) e, muovendo opportunamente l’alidada, far coincidere con esso il bordo del sole, visto per doppia riflessione sullo specchio mobile e su quello fisso. L’angolo formato dagli specchi (che nella posizione 0° dell’alidada sono paralleli) corrisponde al semi-angolo formato dall’astro e dall’orizzonte. Per questa ragione, la scala graduata ha delle suddivisioni doppie, in modo da fornire direttamente l’altezza cercata. L’ottante permetteva di misurare angoli fino a 90° e veniva utilizzato anche per compiere rilevamenti terrestri.

A.D.F. London

Sestante

Gran Bretagna, circa 1920

Dimensioni: cm 24x27x11

Materiali: ottone, argento, vetro ed ebano, in cassetta di mogano e ottone.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 060

Appartenuto a Ernani Andreatta senior. Questo tipo di sestante è stato usato sino agli anni ’50 circa. Serviva a determinare la posizione della nave mediante la misura dell’altezza. degli astri. Telaio, alidada, portavetri, portaspecchi e portacannocchiale in ottone; lembo e verniero in argento; impugnatura in ebano; due specchi; sette vetri colorati; due cannocchiali; vite micrometrica per la regolazione del verniero; microscopio per la lettura del verniero; graduazione da -5 a +160°; cassetta quadrata in mogano, con interno rivestito di panno; serratura con chiave; placca con il nome del proprietario sul coperchio. Marchio del rivenditore: buff & buff. mfg. company. quality in engineering instruments. boston. Il sestante, evoluzione dell’ottante, di cui ricalca la forma e il funzionamento, è uno strumento ottico a doppia a riflessione che serve a misurare l’angolo formato tra due astri o tra due punti a terra. In altre parole, permette di calcolare la latitudine di un luogo prendendo l’altezza sull’orizzonte del Sole o della Stella Polare. Ha un telaio a forma di settore di cerchio, con un’apertura di circa 60° (un sesto di angolo giro, da cui il nome) ed è capace di misurare angoli fino a 120°. Grazie alla maggiore ampiezza, ha una gamma più vasta di utilizzazioni rispetto all’ottante e permette di eseguire accurati rilevamenti idrografici o di determinare il punto nave per mezzo delle distanze lunari. Presentato dal capitano John Campbell della Royal Navy nel 1757, entrò nell’uso comune a partire dall’Ottocento.

 

BUFF & BUFF MFG Company Boston

Sestante

Primo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 20x21x10

ottone, argento, vetro e legno; in cassetta di

Materiali:noce e ottone

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 061

Questo tipo di sestante è stato usato sino agli anni ’50 circa. Serviva a determinare la posizione della nave mediante la misura dell’altezza. degli astri. Apparteneva al Comandante Ernani Antonio Andreatta che lo usò, da primo ufficiale, sui grandi transatlantici del Lloyd Sabaudo. Telaio, alidada, portaspecchi, portavetri e portacannocchiale in ottone; lembo e verniero in argento; impugnatura in legno; due specchi, sette vetri colorati; tre cannocchiali; vite micrometrica per la regolazione del verniero; microscopio per la lettura del verniero; graduazione da -5 a + 160°; cassetta quadrata in noce, con interno rivestito in panno e serratura in ottone.

 

C. PLATH HAMBURG 44436

Sestante

Germania, 1963

Dimensioni: cm 24x26x15

Materiali: ottone, plastica, vetro e acciaio; in cassetta di plastica.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 062

Appartenuto a Ernani Andreatta junior. Serviva a determinare la posizione della nave mediante la misura dell’altezza. degli astri. Dotato di binocolo prismatico era molto in uso negli anni ’50/’70. È stato abbandonato con l’avvento della navigazione iperbolica e satellitare. Telaio, alidada, lembo, portaspecchi, portavetri e portacannocchiale in ottone; due specchi; sette vetri colorati; un cannocchiale prismatico beck kassel 6x30; vite micrometrica per la lettura del verniero; lampada per la visione notturna; graduazione da -5 a +125°; cassetta in plastica con serratura. Questo tipo di strumento era molto apprezzato dagli ufficiali negli anni Cinquanta e Sessanta per la sua robustezza e la precisione.

 

HAMILTON. LANCASTER PENNSYLVANIA - n. 6051 -

Cronometro marino da due giorni

Stati Uniti, 1941

Dimensioni cassetta: cm18,5x18,5x18,5.

Dimensioni: Diametro quadrante: cm12.

Materiali:ottone, vetro, acciaio e rubini; in cassetta di mogano e ottone

Collezione Ernani Andreatta

L’esatta conoscenza del tempo a bordo delle navi era molto importante ai fini della determinazione del punto nave. Quadrante in ottone argentato; lancette in acciaio brunito; quadrante della carica in alto; quadrante dei secondi in basso; ore in numeri arabi; cassa, sospensione cardanica, blocco di sicurezza e chiave per la carica in ottone; movimento in ottone e acciaio, con bariletto, conoide, bilanciere bimetallico munito di pesetti di regolazione, catena di trasmissione, 14 rubini; cassetta in mogano con vetro di lettura, cerniere e serratura. Prima della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti si fabbricavano solo pochi cronometri marini all’anno. Il primo strumento di questo tipo prodotto in America era stato brevettato dal costruttore William Bond di Boston nel 1812, e realizzato in un numero limitato di esemplari. In genere, sia la marina militare, sia quella mercantile preferivano approvvigionarsi in Europa per le loro esigenze. Alcune ditte si facevano spedire le parti smontate dal Vecchio Continente e poi le assemblavano in loco, ma la maggior parte acquistava direttamente i prodotti finiti. Allo scoppio delle ostilità, la situazione cambiò: Gran Bretagna e Francia erano costrette a dedicare tutta la loro produzione alle esigenze interne e la Svizzera non poteva garantire regolari rifornimenti a causa del blocco commerciale imposto dalla Germania. Allora la Marina Americana, in previsione di un notevole aumento del fabbisogno, decise di organizzare una produzione interna di cronometri. Come modello di base fu scelto quello della ditta svizzera Ulysse Nardin, ma le esigenze di una maggior semplicità nella messa a punto e di una produzione a ritmo elevato e in grande quantità, resero indispensabili alcune modifiche. Le società che accettarono di impegnarsi in questo progetto furono la Hamilton Watch Co. e la Elgin Watch Co., ma solamente la prima riuscì a fabbricare uno strumento che, pur rispettando i criteri di regolarità e di efficienza richiesti, fosse congeniale alla logica della produzione di serie. Ciò fu possibile grazie all’adozione di tecniche costruttive particolari e di nuove leghe metalliche. I primi due cronometri furono consegnati all’Osservatorio della Marina per le prove ufficiali nel 1942. Poco dopo iniziò la produzione effettiva. Mediamente, in un mese venivano costruiti più cronometri che in tutto il resto del mondo prima della guerra. Ne furono consegnati ben 8.902 alla Marina Militare, 1.500 alla Commissione della Marina, 500 all’Esercito e all’Aviazione e 2.170 ad altre marine, in totale più di quanti la casa svizzera ne avesse prodotti in 75 anni di attività.

 

W. OTTWAY & Co. LTD. - EALING LONDON - N° 1487

Cannocchiale da marina a un allungo

Gran Bretagna, terzo quarto XIX secolo

Dimensioni: lunghezza massima cm 61; Ø obiettivo cm 3,2

Materiali: ottone, cristallo e cuoio

Collezione Arnani Andreatta

Tubi in ottone; esterno rivestito in cuoio; linguetta coprioculare; nome del rivenditore e.j. palmer. Probabilmente il costruttore era uno dei figli di John Ottway, attivo a Londra fra il 1826 e il 1870, fabbricante e rivenditore di strumenti ottici, nautici, matematici e meteorologici. L’idea del cannocchiale nacque nel XVI secolo, quando lo scienziato e letterato napoletano Giambattista della Porta (1535-1615), nel suo libro Della magia naturale, descrisse il modo per accoppiare due lenti e avvicinare gli oggetti lontani o ingrandire quelli più piccoli. Sebbene non si conosca con precisione il costruttore del primo cannocchiale, si sa che fu realizzato in Olanda, a quel tempo all’avanguardia nel campo delle scienze applicate. Alcuni ne attribuiscono la paternità a Jan Lippershey, un ottico nativo di Middelburg che nel 1608 chiese la concessione di un brevetto per un cannocchiale. Altri ritengono che fosse stato inventato da Zacharias Janssen o da Jacob Adrianssen. In ogni caso, la notizia di questo nuovo strumento giunse a Galileo

Galilei e questi, per “via di discorso”, ossia senza aver preso visione del modello originale ma solo con il ragionamento, costruì il suo cannocchiale, probabilmente nel 1610. Con questo strumento egli fece importanti osservazioni astronomiche, aprendo una nuova era nell’esplorazione dell’Universo. Fra le altre cose, dimostrò che la Terra non è al centro dei moti celesti, come pretendeva l’antica dottrina tolemaica, contribuendo così a suffragare la teoria copernicana. L’utilità del cannocchiale fu subito compresa in marina, dove la possibilità di vedere più lontano avrebbe permesso di cercare la salvezza in caso di tempesta o di attacco nemico. Nel XIX secolo, il cannocchiale di precisione venne montato sui fucili da caccia grossa, mentre su quelli da guerra fu applicato il cannocchiale di puntamento.

FUJI - HEIBO, n. 2250

Binocolo 15x80, a due oculari, brandeggiabile su piedistallo

Giappone, seconda metà del secolo XX

Dimensioni: cm 48x22x20

Materiali: cristallo, ottone, ferro.

Donazione Antonio Mancini

M.M.T.A. - Invent. n. 064

Il primo modello di binocolo fu realizzato dal frate cappuccino De Rheita nel 1643, unendo insieme due cannocchiali di cartone. I binocoli a prisma apparvero alla fine del XIX secolo. Il principio su cui si basano ha permesso di ridurre il loro ingombro, pur aumentando il campo visivo e l’ingrandimento, e per questo essi hanno a poco a poco detronizzato i cannocchiali di bordo e i binocoli ordinari. I marinai, tuttavia, a causa del loro innato conservatorismo che li porta a preferire sistemi e strumenti collaudati dalla lunga pratica piuttosto che affidarsi a nuovi ritrovati non ancora sufficientemente sperimentati, per lungo tempo hanno continuato a usare i cannocchiali, attratti dai forti ingrandimenti ottenibili con essi.

 

RICCARDO FERRO - GENOVA

Bussola a secco

Italia, ultimo quarto XIX secolo

Dimensioni: Diametro quadrante: cm 11

Dimensioni cassetta: cm 18x18x12.

Materiali: ottone, cartoncino, vetro e acciaio; in cassetta di mogano e ottone.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 067

Mortaio in ottone; rosa dei venti in cartoncino, con rombi in inglese; Nord indicato da una stella contenente un’ancora;

sospensione cardanica e blocco in ottone; cassetta in mogano, con cerniere e gancio di chiusura in ottone.

La ditta “Riccardo Ferro - Strumenti Nautici - Genova” venne fondata nel 1828 dal macchinista navale Riccardo Ferro e rimase sempre di proprietà della famiglia, per passare nel 1950 all’ingegner Sartorio, figlio di una Ferro. L’officina di produzione era situata nei fondi di Santa Maria di Castello e vi rimase sino al 1968, per essere poi trasferita nel Palazzo Celario, in Via del Campo n° 10. Il negozio era situato in Via San Lorenzo, all’angolo con la piazza omonima. Il retro veniva utilizzato come laboratorio per la fabbricazione e la riparazione degli strumenti. Nello stesso ambiente si trovava anche un salottino dove si incontravano per bere un tè gli ufficiali genovesi e stranieri in attesa di ricevere i loro strumenti. Era questa l’occasione per portare alla voce i saluti di qualche collega incontrato in navigazione o in porti lontani. Fra gli strumenti in vendita, c’erano: cronometri marini in cassetta, sestanti, barometri a mercurio o aneroidi, orologi di bordo, barometri e bussole. Inoltre si potevano acquistare carte nautiche, di produzione italiana e inglese, effemeridi, portolani e tutti gli strumenti da carteggio. Per quanto riguarda la produzione di strumenti: bussole a liquido su colonnina in legno di teak e ottone, con tutti gli accessori per la compensazione magnetica, telegrafi di macchina con trasmissione a catena e poi, a partire dal 1960, elettrica, apparati ottici a proiezione o riflessione e doppia visione, solcometri meccanici ed elettrici, indicatori elettrici dell’angolo di barra, dei giri dell’elica e dell’angolo di vento, manometri, vuotometri, anemometri, inclinometri, tachimetri e contagiri meccanici.

 

Bussola a liquido da rilevamento con sospensione cardanica

Russia, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: Ø quadrante: cm 13. - cm 26x24x23

Materiali: ottone, vetro, acciaio e liquido.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 068

Scala cm 26x24x23

Apparteneva a un rimorchiatore russo. Mortaio, sospensione cardanica e cerchio azimutale in ottone; mirino; traguardo; due vetri colorati; N° 1505 sulla corona del mortaio. Questo strumento faceva parte della dotazione di un rimorchitore russo

 

SESTREL

Chiesuola con bussola a liquido per imbarcazione di salvataggio

Gran Bretagna, terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 27x23x22

Materiali:ottone, vetro, acciaio e liquido.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 069

Mortaio e sospensione cardanica in ottone verniciato di grigio; chiesuola in ottone dorato; sul lato destro, lampada a olio per l’illuminazione notturna. Questo strumento faceva parte della dotazione di un rimorchiatore russo.

 

JOHN LILLEY & GILLIE LTD. NORTH SHIELD

Cerchio azimutale

Gran Bretagna, terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 20x20x34

Materiali: ottone e plastica

Donazione Francesco Gioia

M.M.T.A. - Invent. n. 070

Strumento applicabile sulla corona di una bussola. Serviva a individuare l’errore della bussola magnetica di bordo, mediante il rilevamento del sole all’alba e al tramonto. In astronomia si chiama “azimuth” l’arco di orizzonte compreso tra il punto cardinale Nord e la verticale dell’astro. Il termine deriva dall’arabo “as-sumuth” che significa “le direzioni”. Il cerchio azimutale serve appunto a misurare tale arco. I primitivi apparati azimutali erano formati da due traguardi fissati sulla corona della bussola e aventi la possibilità di ruotare per tutto l’orizzonte. Uno di essi portava una sfinestratura verticale per appoggiarvi l’occhio. L’altro una sfinestratura più ampia divisa da un filo verticale. In tal modo era sufficiente traguardare l’oggetto e poi leggere sulla rosa dei venti sottostante i gradi, le quarte o le quartine corrispondenti. Inoltre, per facilitare la lettura, il traguardo con il filo era dotato di un indice. Questo sistema, benché fosse ottimo per i bersagli sul piano, si rivelava insufficiente per rilevare l’azimuth degli astri. A tale scopo venne allora costruito l’apparato azimutale, munito di specchi o prismi che permettevano di riportare sul piano gli astri della volta celeste.

 

Ortosferoscopio o starfinder Del Pino

Italia, 1953

Dimensioni: Diametro dischi cm 26

Materiali: plastica, acciaio e cartoncino; in scatola di plastica.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 071

Strumento utilissimo quando si navigava col sestante. Era un mezzo rapido e sicuro per riconoscere tutti gli astri osservabili sino alla quinta e sesta grandezza. Lo sferoscopio forniva ai naviganti un mezzo rapido e sicuro per riconoscere tutti gli astri osservabili fino alla quinta e alla sesta grandezza; forniva gli elementi necessari per le osservazioni astronomiche e la preparazione dei calcoli relativi, eliminando le operazioni preliminari e la consultazione delle tabelle; forniva una rapida e abbastanza corretta soluzione meccanica ai vari problemi di astronomia nautica. Il principio sul quale si basava era semplice. Immaginiamo che sulla sfera celeste sia tracciata la rete del sistema di riferimento altazimutale relativa alla latitudine dell’osservatore e che al piede di ogni verticale e su ciascun almucantarat sia segnato il valore dell’azimut e dell’altezza ad esso corrispondente. Una stella qualunque che, per effetto della rotazione apparente della sfera celeste, con il trascorrere del tempo descrive il parallelo corrispondente alla sua declinazione, si sposterà attraverso il reticolato altazimutale occupando su di esso posizioni successive, in modo che l’osservatore potrebbe leggere direttamente le coordinate corrispondenti, istante per istante, a quelle dell’astro. Lo sferoscopio permette di realizzare questo sovrapponendo due distinte rappresentazioni piane, una della sfera locale, graduata in almucantarat e verticali, e l’altra, trasparente, della sfera celeste. La sfera locale è fissa, mentre quella degli astri è girevole e consente così di seguire la variazione delle coordinate dell’astro nel tempo. L’orientamento della sfera celeste mobile rispetto a quella fissa dell’osservatore viene eseguito per mezzo dell’angolo orario di un astro prescelto, confrontato con apposite scale incise sull’armatura dello strumento, che permettono di ricostruire la posizione relativa delle due sfere per l’istante considerato. Tale operazione può essere eseguita con grande facilità utilizzando l’ora media, l’ora vera, l’ora siderea, l’angolo orario di un astro qualunque o la sua altezza. Lo strumento si compone di tre parti principali: Basi, Diagrammi e Planisferi Celesti trasparenti. Basi: si tratta di due dischi in plastica, uno per l’Emisfero Nord e l’altro per l’Emisfero Sud, del diametro di 26 cm, con al centro un perno munito di vite. Intorno a ciascun disco sono incise due graduazioni: una scala oraria che va da 0 a 24 a partire dal meridiano inferiore dell’osservatore, con suddivisioni di 5 min., sulla quale si leggono le ore civili corrispondenti ai vai fenomeni celesti; una scala in gradi che va da 0 a 360 a partire dal meridiano superiore dell’osservatore, con doppia numerazione, una verso l’interno, sulla quale si leggono l’ora siderea e gli angoli orari degli astri, e l’altra verso l’esterno, sulla quale si leggono le loro coascensioni rette. Sul perno centrale è fissato un filo che quando viene tesato definisce un meridiano della sfera celeste. Diagrammi: consistono in 30 cartoncini stampati su entrambe le facce, metà delle quali riportano le proiezioni stereografiche polari della rete dei verticali e degli almucantarat relativa all’emisfero celeste contenente il polo elevato, per le latitudini comprese fra 0 e 58°, mentre le altre 3O riportano le proiezioni relative all’emisfero celeste contenente il polo depresso. In tutti questi diagrammi, la circonferenza esterna rappresenta l’Equatore Celeste, al centro è situato il Polo Celeste, sulla parte superiore, che rappresenta la porzione del cielo visibile al disopra dell’orizzonte, è riportata la rete dei verticali e degli almucantarat, mentre la parte inferiore, che rappresenta la porzione invisibile, è stampata in nero. La linea che divide le due parti è l’Orizzonte Astronomico. Sulla parte nera di ciascun diagramma è stampato il numero che indica la latitudine dell’osservatore, seguito dalle lettere S o C, le quali indicano se il diagramma si riferisce all’emisfero che ha lo Stesso nome o quello che ha il nome Contrario alla latitudine dell’osservatore. Le due sfinestrature bianche servono a determinare il periodo della luce crepuscolare favorevole all’osservazione delle stelle (crepuscolo nautico). Sulla parte che rappresenta la porzione di cielo visibile, sono stampati in rosso i verticali e gli almucantarat, o circoli di uguale altezza, di cinque gradi in cinque gradi. Il diametro verticale rappresenta il meridiano dell’osservatore, o meridiano locale, sul quale è segnata la scala delle declinazioni degli astri. Nella serie dei 30 diagrammi S, gli azimut relativi ai diversi verticali sono indicati con due numeri supplementari, scritti al piede dei verticali stessi, a contatto dell’orizzonte o sull’orlo del disco. I numeri esterni rappresentano gli azimut quando l’osservatore si trova in latitudine Nord; quelli interni gli azimut quando l’osservatore si trova in latitudine Sud. Le altezze sono indicate dai numeri sul primo verticale, passante per i punti estremi dell’arco dell’orizzonte.

Il punto in cui convergono i verticali rappresenta lo zenit dell’osservatore. Nella serie dei 30 diagrammi C, i numeri scritti al piede dei verticali indicano: quelli in basso, gli azimut quando l’osservatore si trova in latitudine Nord e quelli in alto gli azimut quando si trova in latitudine Sud. Le altezze sono indicate dal numero situato sopra un verticale a destra. Planisferi celesti trasparenti: consistono in due dischi trasparenti che rappresentano le proiezioni stereografiche polari (nella stessa scala dei diagrammi) delle stelle di 1^, 2^e 3^ grandezza (circa 160) comprese negli emisferi Nord e Sud. Sull’orlo di ciascun disco è segnato l’Indice Equinoziale, o Punto Gamma, che indica il meridiano del punto equinoziale di Ariete, nonché una freccia rossa distanziata dal detto punto di 180°, che serve per la lettura delle ascensioni rette degli astri quando sono espresse in tempo, come si usa nelle Grandi Effemeridi Astronomiche.

Inoltre, affinché i meridiani delle stelle rappresentate nei planisferi possano venire ben identificati, lungo l’orlo del disco sono segnate tante piccole frecce che determinano ciascuna il meridiano della corrispondente stella. Quelle più lunghe si riferiscono alle stelle più distanti dalle frecce, quelle più corte alle stelle più vicine.

 

SAN GIORGIO GENOVA-SESTRI .  MATR. N° 33136

Telegrafo di macchina

Italia, terzo quarto XX secolo.

Dimensioni: cm 36x24x135.

Materiali:ottone, vetro e plastica; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 007 Trasmettitore elettromeccanico per impartire gli ordini dal ponte di comando alla sala macchine.

Il telegrafo di macchina serve a trasmettere gli ordini dalla plancia alla sala macchine. Il primo modello, inventato dall’inglese Chadburns, era a funzionamento meccanico, con un sistema di trasmissione a catena comandato da entrambi i locali, cosicché le diverse voci di comando date dalla plancia potevano essere ripetute dalla sala macchine per confermare la ricezione. Il telegrafo elettrico, introdotto successivamente, funziona sullo stesso principio, ma la trasmissione è ad impulsi elettrici. Quando, per esempio, l’indice del telegrafo in plancia viene posto sulla voce FERMA, l’indice del telegrafo nel locale macchine si muove portandosi sulla stessa posizione. L’ufficiale di macchina risponde spostando il proprio indicatore e arrestandolo sul FERMA, per confermare il ricevimento dell’ordine. L’indice in plancia compie lo stesso movimento, attestando l’esecuzione del comando. Sulle navi a due eliche si trova un telegrafo per ogni motrice.

 

San Giorgio - Genova

Telegrafo di macchina o trasmettitore elettrico

matricola n. 33138

Italia, terzo quarto XX secolo.

Dimensioni: cm. 35x124

Materiali: bronzo e ghisa

Collezione Gianbattista ed Enrico Ravano

M.M.T.A. - Invent. n. 231

Trasmettitore elettromeccanico per impartire gli ordini dal ponte di comando alla sala macchine.

 

JOHN LILLEY & GILLIE. NORTH SHIELDS

Chiesuola con bussola a liquido

Gran Bretagna, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 60x36x124

Materiali: ottone, vetro, plastica e liquido; su basamento di legno.

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 073

Bussola con sospensione cardanica marca “F.Fuselli” di Genova (n.77136). Munita di cerchio azimutale per rilevamento.

Colonna cilindrica; chiesuola globulare, con calotta asportabile per accedere al vano interno; sul lato sinistro, lampada elettrica per l’illuminazione notturna; bussola con sospensione cardanica marca F. FUSELLI GENOVA N° 77136, munita di cerchio azimutale per rilevamento. Rosa dei venti a quadrante anulare in mica, stampata su entrambe le facce; doppia graduazione; galleggiante in ottone, sospeso su una punta di agata; due magneti in alluminio, nichel e cobalto (alnico), una lega che aveva un momento magnetico molto più elevato dell’acciaio, a parità di peso, e quindi permetteva all’ago di mantenersi più a lungo sulla posizione corretta; sotto il perno si trova una molla di sospensione che serve ad attutire le vibrazioni. I magneti sono contenuti in tubetti di ottone con le pareti sottili, per proteggerli dalle infiltrazioni del liquido in cui sono contenuti, il quale può essere formato da una soluzione di acqua distillata e alcool al 30%, per evitare il congelamento, oppure petrolio lampante (petrolio bianco bidistillato). Il galleggiante serve per alleggerire il peso del complesso magnetico. Diaframma di espansione in

tombaco (bronzo fosforoso); zavorra in piombo sotto l’anello della sospensione cardanica per mantenerla stabile; mortaio amagnetico; cerchio di sospensione cardanico, con pedini per l’appoggio sui supporti della sospensione elastica antivibrante, fissata sul tamburo della chiesuola, con cerchio terminale lavorato meccanicamente; le sfere poste ai lati della calotta, verde a destra e rossa a sinistra, in ghisa, scorrevoli lungo due apposite slitte, servono per la compensazione quadrantale, cioé per i mezzi venti (intercardinali) SW, SE, NW, NE, al fine di eliminare le deviazioni dovute alla massa metallica della nave. All’interno della colonna ci sono gli alloggiamenti per due serie di magneti longitudinali (posti secondo l’asse di simmetria della nave) e una

serie di magneti trasversali. Si tratta di barrette di acciaio magnetizzato lunghe 200 mm e con un diametro di 6/8 mm. Collocate una sopra l’altra in appositi fori a intervalli regolari, servono a compensare le deviazioni dovute alla posizione della nave nel campo magnetico terrestre. In mezzo alle barrette, si trova un cestello per la compensazione verticale, ossia per annullare gli

effetti dello spostamento del baricentro magnetico, fenomeno che si verifica quando la nave si inclina lateralmente. Esso è costituito da un tubo contenente dei magneti sospesi a catenelle, la cui lunghezza può essere variata a seconda delle necessità. Il cerchio azimutale serve per eseguire dei rilevamenti, fare il punto nave durante la navigazione a vista (basandosi su punti di riferimento notevoli) e correggere le deviazioni magnetiche. La lente serve al timoniere per poter leggere la rosa da lontano.

 

Livello a binocolo prismatico

Stati Uniti, 1941 - (n.7937)

Dimensioni: cm 13x13x21

Materiali: acciaio e vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 138

Apparteneva al sistema ottico di puntamento di una nave da guerra americana del Secondo Conflitto Mondiale e serviva per fornire la linea di mira orizzontale. Schematicamente, è costituita da una livella fissata a una traversa, ruotante attorno a un perno verticale, che serve per individuare la linea dell’orizzonte. La linea di mira è fatta in modo tale da risultare parallela alla livella.

 

Corno da nebbia a stantuffo

Olanda, ultimo quarto XX secolo

Dimensioni: cm. 20x9x57

Materiali: ottone, ferro, rame e legno

Donazione Massimo Burzi

M.M.T.A. - Invent. n. 158


Questo strumento serviva a segnalare la presenza del veliero nei banchi di nebbia, in modo da evitare collisioni con altri natanti. In genere, il marinaio addetto alla sua manovra, prendeva posizione a prora estrema, per essere maggiormente udibile a distanza.

 

Corno da nebbia a stantuffo

mancante di tromba

Gran Bretagna primo quarto XX secolo

Dimensioni: cm. 15x52x10

Materiali: ottone, ferro, rame e legno

Donazione Ernesto Borghi

 


 

Questo strumento serviva a segnalare la presenza del veliero nei banchi di nebbia, in modo da evitare collisioni con altri natanti. In genere, il marinaio addetto alla sua manovra, prendeva posizione a prora estrema, per essere maggiormente udibile a distanza.

 

Leslie Tyfon, Leslie Co. Lyndhurst N.J. - USA

Tromba di corno da nebbia di nave a vapore

USA - secondo quarto del XX secolo

Dimensioni: cm. 34x66

Materiali: bronzo

Collezione Gianbattista ed Enrico Ravano

M.M.T.A. - Invent. n. 233

Costruito dalla Leslie Tyfon, Leslie Co. Lyndhurst N.J. - USA - Matricola EE67-20346-567 - A20015611. Tromba amplificatrice dei fischi a vapore di segnalazione delle navi. È usata ancora oggi in caso di nebbia o per indicare il lato di accostata ad altre navi durante la navigazione in acque ristrette.

 

Pannello di Bozzelli doppi e semplici, divarie dimensioni e pastecche per cavi di manovra

Italia, Primo quarto XX secolo

Dimensioni: pannello cm. 50x50

Materiali: legno, ferro e corda

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 159

I bozzelli servono per cambiare la direzione di movimento dei cavi e per formare dei paranchi. Ogni bozzello si compone di una cassa, in legno o in ferro, con due facce interne parallele che formano un incavo, nel quale si muove la puleggia, una ruota scanalata sopra la quale si avvolge il cavo. La cassa è generalmente in legno di olmo. Le due facce laterali sono dette maschette. Nel caso che il bozzello abbia due o più pulegge, fra di esse sono applicate delle tramezze. Le maschette e le tramezze sono mantenute a debita distanza per mezzo di tacchi interposti alle loro estremità. I tacchi portano una scanalatura nella parte dove passa il cavo, sono collegati alle maschette tramite incastri a coda di rondine e vengono fissati con ribattini di ferro, ribaditi sopra rosette di rame. Le maschette hanno una scanalatura longitudinale all’estremità di ciascuna faccia, per accogliere lo stroppo del cavo. Quando lo stroppo è doppio vi sono due scanalature parallele. Le pulegge sono in legno santo, oppure in bronzo, per resistere meglio alle grandi sollecitazioni cui sono sottoposte. Nella parte interna viene inserito un dado di bronzo con un foro in mezzo per il passaggio del perno, in modo che non si logori con l’uso. Anticamente le casse dei bozzelli erano fatte in un solo pezzo, per garantire maggiore robustezza e durata.

 

 

Campana di bordo

della M/n polacca “Sechura”

Polonia, 1955

Materiali: Bronzo ottonato

Dimensioni: cm. 35x35x36 (senza battacchio)

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 160

Sul frontale si trovano impressi il nome della nave e l’anno di realizzazione. La campana di bordo è posizionata a prora estrema e ha diverse funzioni. In caso di nebbia, con il bastimento alla fonda, deve essere suonata ogni due minuti, per segnalarne la presenza. In fase di ancoraggio, ogni rintocco indica al ponte di comando le lunghezze di catena che sono state filate in mare. Quando si salpa, mediante un rapido tocco, serve a segnalare che l’ancora è libera, cioè ha lasciato il fondo, per cui il comandante può azionare le macchine e partire.

 

Sea Emergency Devices Co. - New York

Correttore di rotta

Acme Course Corrector

con custodia in legno

U.S.A. - New York, 1940

Dimensioni: Ø cm 26

Materiali: acciaio, in custodia di legno.

Collezione Giovanni Schiaffino

 

 

Pannello con 3 parallele da carteggio

Dimensioni: cm. 20x50

Collezione Ernani Andreatta

Dimensioni delle parallele cm 46x10 cm. 32x5 cm. 15x3

usate per carteggiare a bordo alle navi

 

 

Elica a tre pale da yacht

Italia, anni ’60

Dimensioni: cm 44 x 14

Materiali: lega di bronzo

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 187

 

 

Ruota di Timone

Taiwan, 1990 circa

Dimensioni: diametro cm 110

Materiali:legno, ottone

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 188

Copia di ruota di timone “made in Taiwan”

 

Ruota di timone a sei

razze su colonnina

con basamento in legno

USA - secondo quarto del XX secolo

Dimensioni: Ø ruota timone cm. 92. colonnina cm. 30x100

Materiali: legno, bronzo ottonato

Collezione Gianbattista ed Enrico Ravano

M.M.T.A. - Invent. n. 232

 

Guardamano per cucire le vele

Italia, primi del ’900

Dimensioni: cm 12x7

Materiali: tela olona e ferro

Donazione Elio Costanzo

M.M.T.A. - Invent. n. 218

Apparteneva al nostromo Andrea Schiaffino.

Veniva indossato per proteggere la mano durante la cucitura delle vele. Con la parte metallica veniva spinto l’ago per bucare la tela.

 

Quadro con nodi marinari di vario genere

Italia, 1970

Dimensioni: pannello cm. 86x67

Materiali: corda su pannello di legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 161

I “nodi da marinaio” hanno la caratteristica specifica di poter essere sciolti facilmente in caso di bisogno. Sulle navi circola il detto: “poca cima, poco marinaio”. Un vero marinaio, infatti, lascia una lunghezza di cima sufficiente affinché il nodo, venendo in tensione, non abbia la possibilità di sciogliersi accidentalmente. Nel linguaggio marinaresco, a bordo della nave vi è una sola corda, quella che serve a suonare la campana. Tutte le altre si chiamano cime o, quando sono di grandi dimensioni, cavi. Inoltre prendono nomi specifici a seconda dell’uso e della collocazione: sagola (per le bandiere), gherlino, gomena ecc.

 

Porta di una cabina del veliero

“Ascensione”

Dimensioni:cm. 160x47x4

Materiali:legno di quercia, ferro

Donazione Mariano Topazio

M.M.T.A. - Invent. n. 162

Il veliero Ascensione navigò per ben 48 anni sulle rotte di tutti gli Oceani. I Beraldo lo avevano acquistato a Montevideo nel 1896, mentre, disalberato, aveva appoggiato in quel porto. Nel 1906 vi moriva a bordo il Comandante Eugenio Tappani, fratello di Francesco che fu Podestà di Chiavari, come descritto nel cap. 7 del libro su “Chiavari marinara” pubblicato nel 1993. La nave Ascensione finì i suoi giorni in demolizione a Sestri Levante nel 1922. Con parte del suo legname fu arredato un Bar a Sestri Levante stesso.

Porta in legno di cabina del veliero Ascensione di 1700 tonn. appartenuto agli armatori Beraldo di Recco. La famiglia Beraldo era originaria di Recco. Le prime notizie risalgono al primo ventennio dell’Ottocento, quando un certo Padron Beraldo risultava proprietario di un pinco chiamato “Cortixella” (nome di una frazione sulle alture di Recco). Si trattava di un barco cosiddetto “romanino”, ossia di quelli che verso il 1810 trasportavano merci di valore da Genova a Roma, risalendo il Tevere e rimanendo all’ormeggio sino a che non avevano esaurito tutti i prodotti. La vera fortuna del casato ebbe inizio con il capitano Giuseppe Beraldo, nato nel 1853, che, insieme ai suoi quattro fratelli, tre dei quali erano capitani come lui, dopo aver fatto esperienza su tutti i mari del mondo, alla fine dell’Ottocento decise di costituire la società “Fratelli Beraldo”. Essa disponeva di quattro bastimenti a vela: il brigantino “Gio. Batta Beraldo”, di 167 tonnellate, costruito a Chiavari nel 1891, il brigantino a palo “Maddalena Beraldo”, di 141 tonnellate, anch’esso costruito a Chiavari nel 1891, il brigantino “Trinità” e la nave “Ascensione”, di 1.861 tonnellate, con scafo in ferro, costruita a Liverpool nel 1874 come “Mistley Hall”. Il capitano Beraldo l’aveva acquistata a Montevideo nel 1896, quando si era rifugiata in quel porto dopo essere stata disalberata da una tempesta. Molti ritenevano che non avrebbe potuto più navigare ma il capitano Beraldo, eseguite alcune riparazioni provvisorie, la caricò di grano e la portò a Genova, dove provvide a farla riattrezzare completamente. Essa continuò a navigare ininterrotamente per molti anni. Nel 1906 vi morì a bordo il comandante Eugenio Tappani, fratello di Francesco, noto ingegnere navale che divenne anche podestà di Chiavari. La nave fu demolita a Sestri Levante nel 1922 dove, con parte del suo legname venne arredato un bar.

 

Lanciasagole

Norvegia, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: Lunghezza cm. 98

Materiali: legno e acciaio

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 164

Faceva parte della dotazione di tutte le navi e veniva conservato in un’apposita cassa a poppa. In caso di emergenza (avaria) serviva a dare o a prendere una cavo da rimorchio. Prima si sparava un sottile gherlino (circa 5/6 mm di diametro) per mezzo del fucile lanciasagole. Quando questo veniva recuperato a bordo dell’altro natante, vi si attaccava una gomena (circa 2/3 cm di diametro), che a sua volta veniva issata, attaccandovi poi il vero e proprio cavo da rimorchio.

Shermuly (Supreme N° 1) - Throwing Rocket

Lanciasagole di emergenza - corredato di razzo

Gran Bretagna, 1945

Dimensioni: lanciasagole: cm 50x6 - razzo: cm 23x5.

Materiali: acciaio, ottone, legno

Donazione Giovanni Schiaffino

M.M.T.A. - Invent. n. 211

 

No. 2 pistole lanciarazzi

Italia, 1950 circa

Dimensioni: cm. 33x4

Materiali: lega metallica e ottone

Collezione Ernani Andreatta

Erano in dotazione alle lance di salvataggio negli anni 1950 e servivano a sparare razzi di diverso colore per chiedere soccorso. Gli stessi segnali sono presenti ancora oggi a bordo delle navi o delle lance di salvataggio, ma vengono lanciati per mezzo di cilindri contenitori, che sostituiscono la pistola e si gettano via dopo l’uso.

 

Testa di “Heaving line”

per le operazioni di ormeggio

Italia, 1995.

Dimensioni: cm 10x34 - Ø 12

Materiali: corda

Donazione Massimo Burzi

M.M.T.A. - Invent. n. 207

Viene collegato alla sagola da lanciare a bordo delle navi affinchè possano inviare sulla banchina il cavo di ormeggio.

 

Modelli di ancora tipo “Ansaldo”

senza ceppo e con marre mobili

Italia, 1960 circa.

Dimensioni cm. 8x15 e 8x17

Materiali: lega ottone

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 182

Uno dei rari tipi di ancore per grandi navi ideato in Italia

 

Ancora tipo “Ammiragliato”

a ceppo mobile e marre fisse

Italia, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: 64 x 100

Materiali: acciaio fucinato

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 190

È il modello più antico di ancora, usato a partire dal Medioevo sino alla metà del XIX secolo. Oggi si trova solo su qualche veliero scuola. Anticamente il ceppo era di legno e fisso. L’Ammiragliato Britannico, da cui prese il nome, fu il primo a dotarla di ceppo mobile, più comodo per sistemarla a bordo. Questo tipo di ancora è ottima su fondo sabbioso e fangoso, buona su fondo roccioso.

Ancora tipo “Ammiragliato”

a ceppo mobile e marre fisse

Italia, terzo quarto XX secolo

Dimensioni:33x12

Materiali: acciaio

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 191

Le dimensioni delle ancore variano ovviamente a seconda del tipo e della stazza delle navi, tuttavia le proporzioni tra le misure “significative” restano costanti. Altre ancore a ceppo mobile sono la “Martin” a ceppo fisso e marre snodate che ruotano di 40° sul fuso e la “Trotman” simile alla precedente.

Fanale di via di yacht

Italia, terzo quarto XX secolo

Dimensioni: 14x12x21

Materiali: ottone, vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 183

 

Oblò da nave

Italia, 1950 circa.

Dimensioni: diametro cm 40

Materiali: ottone, vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 185

Da quando esiste il metallo come elemento di costruzione navale, l’oblò ha sempre rappresentato la classica “finestra” delle cabine.

Termocoppia per il rilevamento della

temperatura a distanza

Italia, 1920

Dimensioni: cm 11x16x50

Materiali: ottone, ferro, rame.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 129

Reinmeyer

Prolunghe di strumentazione per la messa a

punto delle turbine di bordo

Germania, 1955 circa

Dimensioni: cm. 25x13x4

Materiali: lega metallo, ferro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 193

Prolunghe di strumentazione per la messa a punto delle turbine di bordo in scatola di legno con chiave.

 

Scatola di Compassi con accessori

Italia - 1950

Dimensioni: cm 16x10

Materiali: ottone e acciaio, in scatola di legno

Donazione Marco Strucchi

M.M.T.A. - Invent. n. 213

Frammento dello scafo del sommergibile

italiano “Giacinto Pollino”

Italia - 1916

Dimensioni: cm 5x9

Materiali: acciaio

Donazione Marziano Tasso

M.M.T.A. - Invent. n. 214

 

Parte del sistema ottico di puntamento

dell’incrociatore “San Giorgio”

Italia, costruito a Sestri Ponente nel 1940

Dimensioni: cm 16x4x9

Materiali: acciaio, vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 139

 

Parte del sistema ottico di puntamento di

nave da guerra giapponese

Giappone, 1943

Dimensioni: cm 8x8x23

Materiali: acciaio, vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 140

 

Spoletta con elica

per testata di bomba di aereo

Italia, 1940 circa

Dimensioni: cm 19x19x7

Materiali: acciaio

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 141

Carl Zeiss, n.360222

 

Livello per regolazione

delle turbine a vapore di bordo

Germania, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 13x9x10

Materiali: lega metallica, acciaio, vetro e bachelite

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 142

Contagiri meccanico per motori elettrici

Italia, 1930

Dimensioni: cm 11x5

Materiali: acciaio

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 144

L’esemplare è dotato di scatola e accessori. La scala dei giri va da 0 a 10.000 RPM.

The L.S.Starret Co. - Athol, Mass, USA

Termometro montato su rubini

USA, 1950 - Dial test Indicator n 196B

Dimensioni: cm 3,5x8

Materiali: acciaio e vetro

Collezione Ernani Andreatta

Contagiri meccanico per motori elettrici. Montato su rubini. Scala giri da 0 a 10.000 RPM. Dotato di scatola e accessori.

 

Contagiri meccanico per motori elettrici

USA, 1950 - (Dr E.Horn)

Dimensioni: cm 14x7

Materili: acciaio, vetro, alluminio e gomma

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 146

L’esemplare è dotato di scatola e accessori. Ha due scale di lettura che vanno rispettivamente da 0 a 3.000 e da 0 a 7.500 RPM.

 

 

James G. Biddle Co. Plymouth Meeting

Contagiri meccanico per motori elettrici

USA 1955 - Pa 19462, (Hand Tachometer n.592091)

Dimensioni: cm 15x8

Materiali: acciaio, vetro, gomma e bachelite

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 147

 

Distanziometro Marina

La Spezia - 1935 circa

Donazione Maria Marchese Gibelli

M.M.T.A. - Invent. n. 234

Appartenuto al Comandante Nicola Marchese, nato a Chiavari il 2/4/1899 e deceduto il 22/5/1986.

Questo strumento misurava la distanza che intercorre tra un osservatore e un oggetto di nota altezza. Era utile per mantenersi in formazione o per ancorarsi a determinata distanza rispetto ad un altra nave. Esso consisteva in una lente di grande curvatura fissata ad una scala circolare di distanza graduata fino a 4000 Yards (1 Yard = 3 Piedi inglesi = 0,914 mt.). La distanza dell’osservatore dall’oggetto è indicata sulla scala circolare dal punto di incrocio dell’indice con la graduazione corrispondente all’altezza dell’oggetto osservato.

 

Strumenti di calcolo

• Calcolatrice tascabile “Cervello d’acciaio” S.G.

• Calcolatrice da tavolo

• Regolo calcolatore da tavolo per studio tecnico (dotato di astuccio)

• Regolo calcolatore tascabile

• Calibro di precisione con contatore in decimi di millimetro

con custodia in legno

 

Calcolatrice tascabile “Cervello d’acciaio” S.G.

Italia, 1950

Dimensioni: cm 15x7

Materiali: acciaio.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 134

E’ dotata di astuccio e libretto d’istruzioni. Può eseguire le quattro operazioni (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione) fino al numero 99.999.999.

 

“Artieselskab - Original Odhner - Gotheborg”

Calcolatrice da tavolo

Esegue le 4 operazioni

Svezia, 1950 - Palae 8333 - KBHVN,V

Dimensioni: cm 36x15x12

Materiali: acciaio

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n.135

Modello in dotazione a banche e uffici durante gli anni 1950-60. Esegue le 4 operazioni.

Albert Nestler A-G Lahr i/B

Regolo calcolatore da tavolo

per studio tecnico (dotato di astuccio)

Germania - D.R.G.M. DR Patent - System Rietz n 23R

Dimensioni: cm 29x4

Materiali: plastica

Donazione Franco Tommasino M.M.T.A.

Invent. n. 136

Lo strumento è dotato di astuccio. Veniva utilizzato negli studi tecnici e di progettazione.

 

Regolo calcolatore tascabile

Germania, 1950 circa

Dimensioni: cm 12x2,5

Materiali: plastica

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 137


 

Calibro di precisione

con contatore in decimi di millimetro con custodia in legno

Italia - 1930

Dimensioni: cm 23,5x10

Materiali: acciaio e vetro, in custodia di legno

Donazione Marco Strucchi

M.M.T.A. - Invent. n. 212

È un oggetto interessante, con un caratteristico contatore a orologio in decimi di millimetri per le misure di precisione.

 

Telegrafi, grammofoni, radio e radiocomandi

• Telegrafo “Morse” ricevente e trasmittente

• Trasmettitore “Belinographe” tipo Amateur

• Fonografo “Edison”

• Grammofono a manovella “La Voce del Padrone” a 78 giri

• Grammofono a manovella (manca la tromba di amplificazione)

• Registratore a filo metallico “Webster Chicago”

• Registratore a cartucce “Bell”

• Mangiadischi “Philips”

• Radioricevitore a “Galena” con cuffia di ascolto

• Radioricevitore a reazione e due valvole

• Radioricevitore a tre valvole a onde medie

• Altoparlante a tromba “Brown”

• Radioricevitore a otto valvole a neutrodina

• Radioricevitore a sei valvole a neutrodina con antenna a telaio

• Radioricevitore a tre valvole a onde medie costruito da Mario Tommasino

• Radioricevitore “Radiola 33 - RCA”

• Radioricevitore a quattro valvole “Ansaldo-Lorenz” S.A

• Radioricevitore modello “City”

• Radioricevitore Marelli modello “Coribante”

• Radioricevitore Magnadyne modello “Balilla”

• Radioricevitore Marelli a cinque valvole a onde medie e corte

• Radioricevitore Marelli tipo “Fido - il compagno inseparabile”

• Radioricevitore a onde medie, corte e lunghe con giradischi a 78 g

• Microfono “Fono Vaam”

• Cuffia “Brown” (adoperata dal marconista dell’Elettra)

• Pannello di controllo per valvole termoioniche

• Pannello completo di controllo per elettrotecnico

• Radiocomandi ad impulsi e scappamento

• Cinepresa “Paillard

 

Telegrafo “Morse”

ricevente e trasmittente

Italia, 1890

Dimensioni: cm 28x20x28

Materiali:rame avvolto su ferro dolce, ottone

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 094

Fu utilizzato sino agli anni 1960 circa dalle Ferrovie e dai Telegrafi dello Stato. I messaggi venivano battuti con il tasto ad una velocità di circa 10 parole al minuto. Con questo apparecchio si potevano trasmettere fino a dieci parole al minuto e il messaggio veniva ricevuto sotto forma di segni tracciati da una punta scrivente su un nastro di carta, detto “zona”. I segni dovevano poi essere decifrati e trascritti a mano. Le lettere dell’alfabeto erano indicate da combinazioni di segnali brevi e lunghi (punti e linee). Congegni simili vennero utilizzati sino alla fine degli anni 1960 dai Telegrafi di Stato e dalle Ferrovie. Un meccanismo a molla trascinava il nastro di carta. Due elettrocalamite ricevevano gli impulsi elettrici e azionavano la penna, che tracciava i punti e le linee. Il tasto di trasmissione era un semplice interruttore che, muovendosi, apriva e chiudeva un circuito. Se rimaneva abbassato per lungo tempo, il segnale era più lungo e il ricevitore tracciava una linea; se rimaneva abbassato solo un istante, l’impulso era breve e il ricevitore tracciava un punto. Nel 1873 re Guglielmo IV d’Inghilterra concesse un brevetto per un telegrafo elettrico a William Fothergill Cooke, un fabbricante di modelli anatomici, e al fisico Charles Wheatstone. Questo telegrafo aveva cinque fili collegati a cinque aghi, che venivano deviati a due a due, in modo che ogni coppia indicasse un segnale sul quadrante. L’anno successivo, Samuel Morse registrò presso l’Ufficio Brevetti americano la descrizione di un telegrafo a un solo filo. Nel 1851 venne posato un cavo sottomarino che, attraverso il Canale della Manica, collegava Dover, in Inghilterra, con Cap Griz Nez, in Francia. Questo cavo era stato isolato con della guttaperca, una sostanza simile alla gomma ricavata da una pianta tropicale, e quindi era stato rivestito di canapa e di ferro galvanizzato. Fu l’inizio della rete telegrafica internazionale, che in pochi decenni avrebbe collegato tutti gli angoli del globo. Navi speciali vennero attrezzate per la posa dei cavi sui fondali oceanici. Una delle più famose fu la “Great Eastern”, il colosso progettato e costruito da Isambard K; Brunel, che si era rivelata un fallimento come nave-passeggeri ma ebbe grande successo nel nuovo ruolo. Nel 1855, l’americano David Hughes inventò un telegrafo scrivente, grazie al quale l’operatore poteva trasmettere i messaggi battendoli su una tastiera, in cui ogni tasto rappresentava una lettera. La macchina trasformava automaticamente le lettere in segnali elettrici e, all’altro capo della linea, un’altra macchina ricevente stampava il messaggio in chiaro. La trasmissione di telegrammi su linee sprovviste dell’apparecchiatura di Hughes divenne più rapida dopo il 1858, quando Wheatstone brevettò un sistema a nastro perforato. Gli operatori perforavano su un nastro i messaggi in alfabeto Morse, poi il nastro veniva fatto passare in un apparecchio trasmittente alla velocità di 75-100 parole al minuto. All’altro capo, una punta scrivente tracciava i segnali su un nastro di carta. Il primo sistema di telegrafia bi-direzionale, che permetteva di trasmettere contemporaneamente i messaggi nelle due opposte direzioni, venne brevettato dall’americano J. B. Stearns nel 1872. Quello stesso anno, il francese Jean-Maurice-Emile Baudot presentò un sistema di telegrafia multipla, nel quale si potevano trasmettere due o più messaggi sulla stessa linea e nella stessa direzione. Il primo servizio telegrafico per abbonati venne istituito a Berlino, in Germania, nel 1903. Una centrale gestita dall’amministrazione postale tedesca era collegata con un centinaio di aziende, ciascuna delle quali disponeva di una macchina trasmittente e ricevente, una specie di combinazione di un trasmettitore Baudot con una stampante Hughes. La macchina sulla quale si digitava il messaggio veniva collegata manualmente dalla centrale con quella del destinatario. Il telegrafo raggiunse l’apice della sua popolarità come mezzo di comunicazione alla fine del XIX secolo, poi cominciò lentamente a declinare a causa dell’introduzione di nuovi sistemi e di nuove apparecchiature, come la radio e il telefono.

 

Trasmettitore “Belinographe”

tipo Amateur

Italia, 1910

Dimensioni: cm 38x25x22

Materiali: Mobiletto in metallo e legno di mogano.

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 095

Rinvenuto fra i cimeli di un Ufficiale del Regio Esercito Italiano che partecipò alla guerra di Libia nel 1911-’12. Poteva

trasmettere messaggi e telefoto. In pratica era l’antenato del moderno fax. Questo apparecchio fu rinvenuto tra i cimeli di un ufficiale del Regio Esercito Italiano che partecipò alla guerra di Libia del 1911-12. Poteva trasmettere messaggi e telefoto, in pratica era l’antenato del moderno fax. Il mobiletto è dotato di coperchio e di chiusura per il trasporto.

L’invenzione risale al 1907, quando l’ingegnere francese Edouard Belin brevettò un sistema meccanico grazie al quale si poteva variare l’intensità della corrente in base a quella dell’immagine da trasmettere. Presentò così il suo primo “fototelegrafo” il quale, successivamente modificato, divenne il “telestereografo” Belin del 1922. I Francesi utilizzarono l’ultimo tipo di apparecchio Belin, il “Belinographe” modello 1928, per trasmettere le impronte digitali dei malviventi. Il “Belinografo” traduce in variazioni di corrente elettrica le variazioni di intensità del bianco, del grigio e del nero. Belin trovò il sistema di esplorare con un congegno elettromagnetico le fotografie, i disegni, i documenti scritti ecc. e di tradurli in impulsi elettrici, in modo da poterli inviare a chilometri di distanza per mezzo delle reti telegrafiche. Il ricevitore, simile al trasmettitore, captava i segnali e e li ricomponeva, ottenendo la riproduzione del messaggio o della fotografia.

 

Fonografo “Edison”

Italia, 1865

Dimensioni: cm 29x19x60

Materiali: Mobiletto in legno di mogano e metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 096

Thomas Alva Edison fu l’uomo che inventò il domani. Nella sua vita, lunga ed eccezionalmente cretiva, brevettò circa 1.300 invenzioni, fra cui la lampadina elettrica e il fonografo. Egli fu tra i pionieri del cinema in America.

L’invenzione del fonografo è del 1877. Notare che l’apparecchio è anche dotato di quattro rocchetti di cera dove è incisa la musica. Il mobiletto è munito di una chiave per il caricamento della molla del congegno di ascolto. L’apparecchio dispone di quattro rocchetti a cera, uno dei quali riporta incisa la “Marcia Turca”.

Sin dai tempi più antichi, l’uomo ha accarezzato il sogno di riprodurre i suoni e la voce umana. Dobbiamo a un grande erudito dell’Ottocento, l’inglese Thomas Young, studioso di fisica, medicina e altre discipline, la messa a punto delle basi teoriche che permisero in seguito l’invenzione del fonografo. Egli, infatti, fu il primo a rappresentare graficamente le vibrazioni provenienti da una fonte sonora. Il suo strumento misurava il numero e l’ampiezza delle vibrazioni e provvedeva poi a tracciare una linea ondulata su un cilindro rotante per mezzo di uno stilo. Nel 1857 un altro studioso, Leon Scott de Martinville, riprese le sue ricerche, dando finalmente la spinta decisiva. Questi, partendo dall’anatomia dell’orecchio umano, realizzò uno strumento consistente in una specie di grande corno che portava alla fine una sottile membrana grande quanto una moneta, la quale era collegata a un sistema di leve che trasmetteva le sue vibrazioni a una punta. Essa, strisciando su un cilindro rivestito di carta cosparsa di nerofumo, registrava le vibrazioni sonore grazie al movimento rotatorio del cilindro, che veniva azionato a mano per mezzo di una manopola. Era nato il “fonoautografo”, ma si trattava solo di una trascrizione grafica del suono e non di una riproduzione udibile. Leon Scott, come ogni precursore che si rispetti, morì povero e abbandonato a Parigi nell’aprile 1874. Ma la via era stata ormai tracciata. Due anni dopo, Thomas Alva Edison costruì il primo “fonografo”, che rispecchiava nelle linee generali l’apparecchio di Scott, con la novità di riuscire a riprodurre un suono finalmente udibile grazie a due modifiche sostanziali: la carta nerofumo era stata sostituita con un foglio di stagnola e la punta di registrazione veniva azionata direttamente dalla membrana. Terminata la registrazione, il cilindro veniva riportato nella posizione primitiva e la punta, ripercorrendo il solco, trasmetteva alla membrana una serie di vibrazioni che riproducevano, seppure in modo approssimato, il suono originale. Da quel momento, la tecnica di registrazione e diffusione del suono si sviluppò freneticamente. Nel 1897 Emile Berliner perfezionò l’apparecchio, utilizzando per la prima volta un disco di zinco ricoperto da uno strato di cera, mettendo così da parte il vecchio cilindro e inaugurando l’era del disco.

 

Grammofono a manovella “La Voce del Padrone” a 78 giri

Italia, 1925

Dimensioni: cm 50x38x62

Materiali: Mobiletto in legno laccato e metallo

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 097

L’apparecchio è dotato di un’elegante tromba di amplificazione e di un congegno di caricamento a manovella. Le puntine dovevano essere cambiate dopo ogni disco.

 

Grammofono a manovella

(manca la tromba di amplificazione)

Italia, 1928

Dimensioni: cm 35x35x30

Materiali: Mobiletto in legno di rovere e metallo

Collezione Ernani Andreatta

 


Il mobiletto è finemente intagliato e decorato.Registratore a filo metallico.

 

“Webster Chicago”

Stati Uniti, 1946

Dimensioni cm 31x46x61

Materiali: metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 099

Rappresenta uno dei primi tentativi per la riproduzione del suono mediante la registrazione su un filo metallico opportunamente magnetizzato. E’ l’antenato degli odierni registratori a nastro.

 

Registratore a cartucce “Bell”

Stati Uniti, 1950

Dimensioni: cm 28x15x27

Materiali: metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 100

Tra i primi registratori a nastro, antecedenti degli attuali registratori a cassette. Il suono viene riprodotto mediante la registrazione su un nastro magnetizzato.

 

Mangiadischi “Philips”

Italia, 1970

Dimensioni: cm 30x33x12

Materiali: Mobiletto in plastica e metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 101

 

Molto diffuso negli anni 1970, era in grado di suonare tutti i dischi a 45 giri.

 

Radioricevitore a “Galena”

con cuffia di ascolto

Italia, 1925

Dimensioni: cm 9x15x15

Materiali: Mobiletto in legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 104

La “Galena” è un minerale che si poteva trovare nelle miniere di carbone, in Sardegna. I segnali radio, per le speciali

caratteristiche di questo minerale, si potevano ricevere, seppure solo in cuffia, senza energia elettrica. La manopola di controllo si trova sul frontale. Le trasmissioni radio potevano essere ascoltate solo in cuffia. Il tipo di radioricevitore più semplice era quello con “rivelatore” a cristallo di galena (PbS), un solfuro di piombo, o a “carborundum” (SiC), il classico abrasivo delle mole, oppure a zincite (ZnO). Si trattava di materiali semiconduttori che avevano il potere di lasciare scorrere la corrente elettrica in una sola direzione. Ciò permetteva di rettificare le deboli correnti a radiofrequenza, captate dall’antenna, così da rivelare il segnale (voce o suono) e renderlo udibile in una cuffia telefonica. Per antonomasia, i piccoli ricevitori utilizzanti il rivelatore a galena e con spiralina di contatto (detta “il baffo di gatto”), venivano chiamati “a galena”. Le apparecchiature di questo tipo permettevano l’ascolto unicamente in cuffia, salvo il caso in cui la stazione trasmittente fosse potente e vicina.

Radioricevitore a reazione e due valvole

Italia, 1920

Dimensioni: cm 26x23x24

Materiali: Mobiletto in legno di noce

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 103

Apparecchio dotato di tre manopole di controllo. Veniva usato per compiere esperimenti di trasmissione. Un apparecchio simile era installato sul dirigibile “Norge” durante la trasvolata artica compiuta da Umberto Nobile.

Radioricevitore a tre valvole a onde medie

Italia, 1925

Dimensioni: cm 41x19x21.

Materiali: Mobiletto: bachelite e metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 107

Apparecchio dotato di cinque manopole di controllo. Funzionava a corrente continua. Circuiti reattivi con bobine a nido d’ape.

Constructions Radioelectriques Less Jannin , Paris

 

Radioricevitore modello “City”

Francia, 1925

Dimensioni: cm 53x27x21

Materiali: Mobiletto in legno di mogano

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 106

Apparecchio dotato di cinque manopole di controllo. Per accedere al vano interno ci sono due sportelli: uno sul coperchio e uno sul frontale. I circuiti elettrici, con valvole speciali a basso consumo e dispositivo per il controllo delle tensioni, sono mascherati da un elegante mobiletto. Fu una delle prime radio di lusso poste in commercio.

Radioricevitore a tre valvole a onde medie

costruito da Mario Tommasino

Italia, 1926

Dimensioni: cm 40x24x20.

Materiali: Mobiletto: bachelite e metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 112

Apparecchio dotato di cinque manopole di controllo.

 

Altoparlante a tromba“Brown”

Gran Bretagna, 1925

Dimensioni: cm 31x34x57

Materiali: Supporto in legno di faggio; tromba in metallo

e bachelite

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 108

Il meccanismo dello “spillo”, ad eccitazione elettromagnetica, è contenuto all’interno del mobiletto. Sul retro si trova la

regolazione della tonalità. In quegli anni gli altoparlanti non venivano incorporati nell’apparecchio radio, a causa delle loro ingombranti dimensioni, ma realizzati in unità esterne autonome. Dai primi altoparlanti a tromba, modellati a collo di cigno o a manica a vento e derivati direttamente dalla cuffia telefonica, si passò a quelli a cono con grande membrana, capaci di riprodurre più fedelmente i suoni. Erano il preludio a quelli elettrodinamici che sarebbero entrati nell’uso generale.

 

Radioricevitore a otto valvole a neutrodina

Gran Bretagna, 1927

Dimensioni: cm 76x29x27

Materiale del mobiletto: legno di castagno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 111


 

Radioricevitore a sei valvole a neutrodina

con antenna a telaio

Gran Bretagna, 1926

Dimensioni: cm 52x24x109

Materiali: Mobiletto in mogano con intersi in ebano

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 110

 

Apparecchiatura dotata di quattro manopole di controllo e della tipica antenna a telaio, che era divenuta il simbolo stesso della radio.

 

Radio Corporation of America Loudspeaker

Radioricevitore “Radiola 33 - RCA”

Stati Uniti, 1928 - model 100 A serial n. 1103166EE

Dimensioni: cm 39x19x28

Materiali: Mobiletto in antimonio

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 113

È dotato di altoparlante separato “RCA” (Radio Corporation of American). Schema: circuito ad amplificazione diretta con sintonia a comando unico mediante accordo di tre stadi amplificatori in AF, con tre condensatori, variabili ad aria e coassiali. Gamma d’onda OM. Sette tubi elettronici a zoccolatura americana tipo RCA. Mobiletto in ferro verniciato del peso complessivo di 25 Kg. Coperchio sollevabile per accedere ai circuiti interni. Uno dei primi modelli importati dagli Stati Uniti, funzionava a corrente alternata e aveva due comandi sul frontale, uno per il volume e l’altro per la sintonia, oltre al pulsante di accensione.

 

Radioricevitore a quattro valvole “Ansaldo-Lorenz” S.A.

Italia, 1930

Dimensioni: cm 20x45x20

Materiali: Mobiletto in metallo

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 114

Le apparecchiature di questo tipo venivano fabbricate nello Stabilimento Elettrotecnico di Genova-Cornigliano, prima che la produzione venisse trasferita a Milano. Dotato di altoparlante separato “Radiolavox” con telaio in metallo.

 

Radioricevitore Marelli modello “Coribante”.

Italia, 1930

Dimensioni: cm 40,5x21x23,5

Materiali: Mobiletto in mogano con intarsi in acero

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 115

Fu la prima radio a sei valvole con altoparlante incorporato costruita in Italia. Schema: circuito ad amplificazione diretta con sintonia a comando unico mediante accordo di tre stadi amplificatori in AF, con condensatore variabile ad aria a tre sezioni coassiali. Condensatore di compensazione posto all’interno del circuito d’antenna. Gamma di ricezione OM. Cinque tubi elettronici a zoccolatura americana. Scala di sintonia numerica. Alimentazione a corrente alternata. Due manopole di regolazione, rispettivamente per volume e sintonia. Il mobiletto a scrigno, in mogano lucidato, porta sul frontale una sottile cornice a intarsio che circoscrive un fregio in bachelite, con un motivo stellare in corrispondenza dell’altoparlante. Al di sopra dei comandi laterali, ci sono due mascherine a forma di scudo che comprendono rispettivamente il visualizzatore di scala (illuminato dall’interno) e il motto “Il meglio in radio”, che costituiva la sigla pubblicitaria della Società Anonima Radiomarelli.

Con la concessione del servizio radiofonico nazionale all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR), approvata con decreto legge il 17 novembre 1927, la radiofonia in Italia assunse il carattere (che manterrà a lungo) di un servizio pubblico affidato a una società di azionisti sotto il controllo diretto dello Stato. Quattro membri del Consiglio di Amministrazione dell’EIAR erano infatti di nomina governativa, mentre presso il Ministero delle Comunicazioni era istituito un Comitato Superiore di Vigilanza, composto di 16 membri nominati dal Capo del Governo. Lo Stato si riservava così il diritto di intervenire sulla natura e sui contenuti dei programmi, di sospendere o di limitare l’esercizio delle stazioni per ragioni militari o di ordine pubblico, di prendere possesso degli impianti o di assumere direttamente il servizio, riscattando la concessione con preavviso di un anno. Il pagamento del canone EIAR era obbligatorio per i possessori di ricevitori e per tutti i pubblici esercizi. La società concessionaria, da parte sua, corrispondeva allo Stato un canone annuo pari al 3,5% del suo fatturato lordo.

 

Radioricevitore Magnadyne modello “Balilla”.

Italia, 1935 - No. 01165E

Dimensioni: cm 32x21x34

Materiali: Mobiletto: abete impiallacciato con fascio

littorio in metallo sul frontale

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 116

Radioricevitore Marelli

a cinque valvole a onde medie e corte

Italia, 1946

Dimensioni: cm 38x20x22

Materiali: Mobiletto in legno di noce e palissandro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 117

Apparecchio dotato di quattro manopole di controllo e circuito supereterodina.

 

 

Radioricevitore Marelli

tipo “Fido - il compagno inseparabile”

Italia, 1948

Dimensioni: cm 21x12x13

Materiali: Mobiletto in bachelite

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 118

Apparecchio dotato di due manopole di controllo. Date le sue ridotte dimensioni, poteva essere trasportato ovunque, anche se non era ancora alimentato a corrente di rete.

 

Radioricevitore a onde medie, corte e

lunghe con giradischi a 78 giri

Italia, 1939

Dimensioni: cm 61x40x92

Materiali: Mobiletto in legno e radica

Donazione Maria Luisa Bacigalupo

M.M.T.A. - Invent. n. 105

Tipica radio completa degli anni ’40 con giradischi a puntina che doveva essere cambiata ogni disco. Società anonima “La voce del Padrone” - Columbia Marconiphone – Milano - Modello 1562.

 

Microfono “Fono Vaam”

Italia, 1935

Dimensioni: cm 14x14x27

Materiali: bachelite e metallo

Donazione Famiglia Tabaroni

M.M.T.A. - Invent. n. 102

È dotato di interruttore per l’accensione e di spia rossa per il funzionamento. Apparteneva all’impianto di amplificazione del Teatro Verdi di Chiavari, e rimase in funzione fino alla sua demolizione negli anni 1960.

 

Cuffia “Brown”

(adoperata dal marconista dell’Elettra)

Gran Bretagna, 1925

Dimensioni: cm 20x10x18

Materiali: metallo, bachelite

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 109

Questa cuffia, in uso presso la stazione radiotelegrafica dello yacht “Elettra”, la nave a bordo della quale Guglielmo Marconi condusse i suoi più importanti esperimenti, fu donata a Mario Tommasino da Adelmo Landini, operatore radio di bordo.

 

Pannello di controllo per valvole termoioniche

Italia, 1930

Dimensioni: cm 24x15x12

Materiali: mogano, bachelite, ottone

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 119

 

Provavalvole portatile usato da Franco Tommasino

 

Pannello completo di controllo

per elettrotecnico

Italia, secondo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 129x76x21

Materiali: Basi degli strumenti in legno teak e mogano

Donazione Famiglia Canepa

M.M.T.A. - Invent. n. 120

Provavalvole universale SIPIE per valvole americane ed europee, con ricerca dei dati per le valvole nuove o non riportate nella tabella. Apparteneva a Giovanni Bettini.

Franco Tommasino

Radiocomandi ad impulsi e scappamento

Italia, dal 1950 al 1990.

Dimensioni: varie

Materiali: vari

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 156

 

Con questi radiocomandi Mario Tommasino ha eseguito le prove in acqua dei modelli navali da lui costruiti.

 

Cinepresa “Paillard”

Francia, 1946

Dimensioni: cm. 20x20x20

Materiali: vetro, acciaio, bachelite e lega metallica

Donazione Mario Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 157

 

Con questa cinepresa Mario Tommasino realizzava i servizi filmati da inviare alla sede RAI di Milano. Quando fu necessario aggiungere il commento sonoro alle immagini, installò sui registratori una speciale testina da lui ideata, per consentire di montare subito le riprese. Infine modificò la cinepresa per adattarvela.

 

Attrezzi di cantiere

• Pannello Utensili appartenuti a Francesco Bertuletti

• Pannello Utensili appartenuti a Francesco Bertuletti

• Pannello Utensili appartenuti a Francesco Bertuletti

• Cassa porta utensili appartenuta a Francesco Bertuletti

• Pannello Utensili appartenuti a Ambrogio, Bruno e Marco Maccianti

• Pannello utensili del cantiere navale Gotuzzo

• Pannello utensili del cantiere navale Gotuzzo

• Pannello utensili appertenuti a Vittorio Tommasino

• Pannello utensili appertenuti a Vittorio Tommasino

• Pannello utensili appertenuti a Vittorio Tommasino

• Pannello utensili appartenuti a Stefano, Luigi e Angelo Risso

• Pannello utensili appartenuti a Giuseppe Tirone

• Piccoli utensili di vario uso

•Pannello utensili appartenuti a Augusto e Giulio Moladuri

• Cassa utensili appartenuta a Augusto e Giulio Moladuri

• Pannello utensili appartenuti a Davide Solari

• Pannello utensili appartenuti a Mario e Gino Solari

• Pannello utensili appartenuti a Mario e Gino Solari

• Pannello utensili appartenuti a Mario e Gino Solari

• Pannello utensili appartenuti a Michele Sanguineti

• Pannello utensili appartenuti a Ernesto Borghi

• Pannello utensili appartenuti a Michele Dall'Orso

• Pannello utensili appartenuti a Giuseppe Raffo

• Pannello utensili appartenuti a Giuseppe Attilio Dall'Orso

• Pannello utensili appartenuti a Sabatino Puri

• Utensile smussa angoli

• Martello “timbro” appartenuto a Eugenio Gotuzzo

• Sega a due mani “Serön”

• Oggetti Appartenuti a Giovanni Tirone

• Oggetti appartenuti agli ascendenti della famiglia Benini

 

Pannello Utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 80 x 80

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione famiglia Bertuletti

M.M.T.A. - Invent. n. 166

Appartenuti a Francesco Bertuletti detto “Pein” Valente e apprezzato maestro d’ascia, Francesco Bertuletti (Chiavari 1902-1982) iniziò la sua attività lavorativa presso il cantiere navale Gotuzzo di Chiavari, dove prestò la sua opera per circa dieci anni, riparando e costruendo golette, leudi, rivanetti, motoscafi e lance. In seguito passò alle dipendenze del cantiere navale di Riva Trigoso, in qualità di capo tecnico. Nel 1936 fu mandato con una squadra di operai a Massaua, in Eritrea, per costruire dei depositi sotterranei per la nafta. Nel 1940, dopo il siluramento delle navi italiane a Taranto da parte degli aerei inglesi, si recò nella base navale per tamponare le falle delle unità colpite e consentire di riportarle a galla. Quindi ritornò a Genova per continuare i lavori di riparazione della corazzata “Duilio”, che nel frattempo era stata rimorchiata in bacino di carenaggio. Dopo l’8 settembre 1943, seguendo le disposizioni dei Cantieri Navali Riuniti, con i suoi operai contribuì a mettere in salvo alcuni importanti macchinari, trasferendoli nell’entroterra chiavarese a bordo di autocarri, per evitare che fossero requisiti dai Tedeschi. Volendo celebrare i suoi 43 anni di lavoro, il cantiere navale di Riva Trigoso lo insignì della Medaglia d’Oro al Merito.

 

Pannello Utensili

Italia, prima metà XX secolo.

Dimensioni: cm 80 x 80

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione famiglia Bertuletti

M.M.T.A. - Invent. n. 167

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Francesco Bertuletti detto “Pein”

 

Pannello Utensili

Italia, prima metà XX secolo.

Dimensioni: cm 80 x 80

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione famiglia Bertuletti

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Francesco Bertuletti detto “Pein"

 

Cassa porta utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 76x36x30

Materiali: legno e acciaio, in cassa di legno

Donazione famiglia Bertuletti

M.M.T.A. - Invent. n. 169

Cassa contenente attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Francesco Bertuletti detto “Pein”

 

Pannello Utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 48x100

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione Famiglia Maccianti

M.M.T.A. - Invent. n. 170

 

Appartenuti a Ambrogio Maccianti detto “Gigio”, Bruno Maccianti e Marco Maccianti detto “Marchin”.

Ambrogio Maccianti (Chiavari 23 giugno 1902-16 maggio 1993), di origine toscana, cominciò a lavorare nel cantiere Gotuzzo a soli otto anni. Sin da giovane, mostrò capacità non comuni che lo fecero apprezzare, prima in Italia e poi all’estero, come uno dei più valenti costruttori di barche in legno. Egli tramandò la sua arte al figlio Erminio, che continuò l’opera del padre. Dal capannone dei Maccianti, situato in fondo a Corso Buenos Aires, uscivano dei veri capolavori, gozzi e barche di ogni tipo che suscitavano l’ammirazione dei compratori. Il legno, inteso come materiale da costruzione, per i Maccianti non aveva segreti. L’armonia delle linee, la robustezza della costruzione e la perfezione del prodotto, erano di altissimo livello e difficilmente ripetibili. Marco Maccianti, fratello di “Gigio”, cominciò a lavorare in tenera età presso i cantieri Piceni e Tappani come calafato e verniciatore. Appassionato suonatore di chitarra, che era sicuramente la sua vera vocazione, aveva uno speciale strumento a nove corde con i bassi volanti.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 100 x 120

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 171


Pannello con attrezzi da lavoro del cantiere navale Gotuzzo - Rione Scogli – Chiavari.

La struttura immobiliare del cantiere fu costruita nel 1904 da Luigi Gotuzzo e demolita negli anni Settanta, quando la famiglia ne aveva ormai ceduto la proprietà. In precedenza, nel 1939, era stata demolita la caratteristica casa, situata in Piazza Gagliardo, dove si trovavano l’Ostaia do Tacchetti e il relativo orto.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Materiali: Dimensioni: cm 100 x 120

legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione Palma Andreatta in Pinasco

M.M.T.A. - Invent. n. 172

Pannello con attrezzi da lavoro del cantiere navale Gotuzzo. - Rione Scogli – Chiavari Eugenio Gotuzzo, detto “Mario” (Chiavari 1883-1935), fu l’erede e continuatore del padre Luigi. In quel periodo era in atto una vera rivoluzione nel campo delle costruzioni navali. Il metallo stava sostituendo il legno e il motore prendeva il posto della vela. L’ultimo grande veliero realizzato agli Scogli fu la nave-goletta “Fidente”, varata nel 1922. Nel 1935 il cantiere fu venduto a Mariano delle Piane di Novi Ligure. Eugenio morì il 21 novembre 1935, a pochi mesi dalla cessione. L’epoca dei Gotuzzo come costruttori di velieri era giunta al capolinea.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo.

Dimensioni: cm. 100 x 60

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 173

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Vittorio Tommasino detto “Cicìa”. Chiavari 1887-1967.

Oltre a lavorare presso il cantiere Gotuzzo, Vittorio Tommasino si dedicò spesso alla manutenzione dello “Elettra”, il famoso yacht di Guglielmo Marconi.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm. 100 x 60

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 174

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Vittorio Tommasino detto “Cicìa”

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm. 100 x 60

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. - Invent. n. 175

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Vittorio Tommasino detto “Cicìa”.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm. 48 x 100

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Donazione famiglie Tirone e Baldassarri

M.M.T.A. - Invent. n. 177

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Giuseppe Tirone detto “Pippo do Ninn-a”.

Alla fine del XIX secolo, a Chiavari si mise in luce un giovane maestro d’ascia, Giuseppe Tirone, che mostrava eccellenti capacità nell’analisi della qualità del legno, con particolare riguardo al tempo di stagionatura. Egli sapeva sfruttare il materiale nel miglior modo possibile, seguendone il cosiddetto “gaibo”, cioé la forma originaria del pezzo, e adattandolo alle diverse parti dello scafo da costruire. Per decenni prestò la sua opera nel cantiere navale Gotuzzo, poi si mise in proprio e continuò a costruire gozzi e imbarcazioni a vela minori.

 

Piccoli utensili di vario uso

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm. 40 x 40

Materiali: legno e acciaio, su pannello di legno

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 178

Pannello con piccoli attrezzi da cantiere di vario tipo

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo.

Dimensioni: cm 50 x 60

Materiali: legno e acciaio su pannello di legno

Donazione famiglia Moladuri

M.M.T.A. - Invent. n. 179

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti ai calafati Augusto Moladuri detto “Chello” e Giulio Moladuri detto “Terremoto”. I Moladuri erano originari di Virle Treponti (Brescia). Augusto Moladuri (10 ottobre 1884-16 gennaio 1966) cominciò a svolgere la sua attività come calafato presso il cantiere Gotuzzo, dove rimase sino al 1913. in seguito lavorò al cantiere di Riva Trigoso, al Consorzio Autonomo del Porto di Genova, ad Ancona, ad Andora, nella Riviera di Ponente, nei cantieri di Sampierdarena, all’Ansaldo di Sestri, nel cantiere Frassinetti di Camogli e nel cantiere Alfio di Santa Margherita.

Cassa utensili

Italia, prima metà XX secolo.

Dimensioni: 23 x 19 x 48

Materiali: legno e acciaio, in cassa di legno

Donazione famiglia Moladuri

M.M.T.A. - Invent. n. 180

Cassa contenente attrezzi da lavoro appartenuti ai calafati Augusto Moladuri detto “Chello” e Giulio Moladuri detto “Terremoto”. Giulio Moladuri, detto “Terremoto” per la sua bonaria irruenza, nacque a Chiavari il 29 agosto 1922. Allievo del padre Augusto, lavorò anch’egli nel cantiere degli Scogli, che nel 1935 era passato dai Gotuzzo a Mariano Delle Piane. Poi si trasferì a Riva Trigoso, Santa Margerita, Andora, Camogli, Sampierdarena, Ansaldo di Sestri Ponente, Sestri Levante e infine nuovamente Chiavari.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 80x40

Materiali: legno e acciaio

Donazione Gibatta Solari “l’Americano”

M.M.T.A. - Invent. n. 197

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Francesco Davide Solari detto “Il Cinquanta”.

Francesco Davide Solari prestò la sua opera di maestro d’ascia nelle prime decadi del Novecento sia presso il cantiere Gotuzzo, sia presso il cantiere Tappani. Era noto per la grande precisione dei suoi giudizi sulla qualità del legno. I cantieri genovesi e del Ponente ligure ricorsero frequentemente alla sua esperienza. I figli Andrea detto “Luigi” e Luigi detto “Gigio” continuarono la sua opera di costruttore di barche in legno. Alla scuola di questa famiglia, detti “i Cinquanta” si formarono diversi apprendisti che, imparata l’arte di lavorare il legno, divennero poi apprezzati maestri d’ascia.

 

Pannello utensili e strumenti

Italia, secondo e terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 80x60

Materiali: legno e ferro, su pannello di legno

Donazione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 199

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti ai maestri d’ascia Mario Solari detto “Marietto” e Gino Solari.

Mario Solari (Chiavari 1904-1987) a sedici anni lavorava già nel cantiere di Eugenio Gotuzzo, dimostrando subito notevoli capacità, tanto che più tardi ne divenne il Direttore Tecnico. Dopo il passaggio di proprietà a Mariano Delle Piane, la Regia Marina ordinò una serie di motoscafi velocissimi che, dotati di un motore “Carraro” da 300 CV, alimentato ad alcool, sviluppavano una velocità di 46 nodi. Durante la guerra “Marietto” rimase sempre al suo posto sino al varo, nel 1946, di un dragamine per la Marina Militare, la cui costruzione era iniziata negli anni precedenti. Alla fine del conflitto, il Conti Trossi entrò come socio nel cantiere e Mario ebbe una parte importante nella costruzione di 250 motoscafi equipaggiati con motori FIAT della “Topolino”, marinizati dalla Cattaneo. Quindi si dedicò alla costruzione dei motoscafi della serie “Utility”, lunghi quattro metri e mezzo con fasciame a clinker in mogano e ad altri tipi di imbarcazioni. Dopo il ritiro dall’attività, l’eredità tecnica passò al figlio Gino (Chiavari 1936-1997). Questi, nella sua lunga carriera, ha firmato circa 500 progetti di imbarcazioni da diporto: dalla “Paraggina” del 1959, costruita in 35 esemplari, al “Riviera”, lungo 18 metri, avversario dello “Ischia” di Baglietto, e costruito in 50 esemplari, al “Supercorvetta”, di cui furono realizzati circa 30 esemplari. Inoltre si è dedicato a modelli fuori serie o monotipo. Nel 1968, quando il cantiere fu rilevato dall’industriale milanese Gualtiero Divisi, Gino Solari fu nominato Direttore Generale. Nel 1974 si ritirò dall’azienda, un anno prima che questa chiudesse. Da allora ha continuato a progettare barche per conto di altri costruttori.

Pannello utensili

Italia, secondo e terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 80x60

Materiali: legno e ferro, su pannello di legno

Donazione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 200

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti ai maestri d’ascia Mario Solari detto “Marietto” e Gino Solari.

Pannello utensili

Italia, secondo e terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 80x80

Materiali: legno e ferro, su pannello di legno

Donazione Giannina e Marina Solari

M.M.T.A. - Invent. n. 201

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti ai maestri d’ascia Mario Solari detto “Marietto” e Gino Solari.

 

Pannello utensili

Italia, secondo e terzo quarto XX secolo

Dimensioni: cm 80x60

Materiali: legno e ferro, su pannello di legno

Donazione Michele Sanguineti

M.M.T.A. - Invent. n. 209

 

Pannello utensili

Italia, terzo quarto XX secolo.

Dimensioni: cm 40x120

Materiali: legno e ferro, su pannello di legno

Donazione Ernesto Borghi “Cocco”

M.M.T.A. - Invent. n. 216

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti a Ernesto Borghi detto “Cocco”.

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 40x50

Materiali: ferro e legno, su pannello di legno

Donazione famiglia Magnelli

M.M.T.A. - Invent. n. 220

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti a Michele Dall’Orso.

 

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 40x50

Materiali: ferro e legno, su pannello di legno

Donazione Biondi - Sanguineti

M.M.T.A. - Invent. n. 198

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Giuseppe Raffo detto “Giose”.

Giuseppe Raffo era molto apprezzato come maestro d’ascia. Eugenio Gotuzzo lo scelse anche per guidare il personale che lavorava nel cantiere. In pratica aveva il potere di decidere sulle assunzioni. Ma il direttore non mancava mai di esprimere il suo parere, sebbene non amasse molto immischiarsi in tali faccende. Così, dall’alto della scala che portava al piano superiore del cantiere, gridava spesso al Raffo: “Se i son Toscani, no ne pigià (Se sono Toscani, non ne prendere)”. Il suo comportamento era frutto della prevenzione della gente degli Scogli per i forestieri, tuttavia non si può dimenticare che molte delle famiglie che vennero a stabilirsi nel quartiere erano proprio di origine toscana.

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 40x30

Materiali: ferro e legno, su pannello di legno

Donazione Famiglia Dall’Orso

M.M.T.A. - Invent. n. 224

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al maestro d’ascia Giuseppe Attilio Dall’Orso detto “Taicin”.

“Taicin” Dall’Orso (Chiavari 17 marzo 1892-4 febbraio 1965) era molto conosciuto agli Scogli per la sua abilità di maestro d’ascia. Un documento datato 27 settembre 1921 rilasciato dall’Ufficio Circondariale Marittimo del Porto di Oneglia lo abilitava a costruire barche fino alla portata di 50 tonnellate. Questa autorizzazione era importante ai fini della certificazione dei natanti da lui costruiti, oppure soltanto visionati durante la costruzione. Come molti maestri d’ascia chiavaresi del suo tempo, fu allievo dei Gotuzzo, imparando al meglio la difficile arte di lavorare bene il legno. In seguito si recò a lavorare ad Andora, nella Riviera di Ponente. Nel 1922, in seguito alla crisi del cantiere, prese la via del mare imbarcandosi come carpentiere su piroscafi che navigavano in linea africana, fra il Congo e l’Inghilterra. Nel 1946, nei pressi dei bagni “Tirrenia” a Chiavari, costrì lo “Altair I”, un cutter a motore da 26 tonnellate. Dopo la guerra prestò la sua opera anche nel cantiere di Riva Trigoso. “Taicin” Dall’Orso (Chiavari 17 marzo 1892-4 febbraio 1965) era molto conosciuto agli Scogli per la sua abilità di maestro d’ascia. Un documento datato 27 settembre 1921 rilasciato dall’Ufficio Circondariale Marittimo del Porto di Oneglia lo abilitava a costruire barche fino alla portata di 50 tonnellate. Questa autorizzazione era importante ai fini della certificazione dei natanti da lui costruiti, oppure soltanto visionati durante la costruzione. Come molti maestri d’ascia chiavaresi del suo tempo, fu allievo dei Gotuzzo, imparando al meglio la difficile arte di lavorare bene il legno. In seguito si recò a lavorare ad Andora, nella Riviera

di Ponente. Nel 1922, in seguito alla crisi del cantiere, prese la via del mare imbarcandosi come carpentiere su piroscafi che navigavano in linea africana, fra il Congo e l’Inghilterra. Nel 1946, nei pressi dei bagni “Tirrenia” a Chiavari, costrì lo “Altair I”, un cutter a motore da 26 tonnellate. Dopo la guerra prestò la sua opera anche nel cantiere di Riva Trigoso.

Pannello utensili

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 40x50

Materiali: ferro e legno, su pannello di legno

Donazione Famiglia Puri

M.M.T.A. - Invent. n. 225

Pannello con attrezzi da lavoro appartenuti al calafato Sabatino Puri detto “Sabin”. Castel San Nicolò (Arezzo) 16 ottobre 1895-Chiavari 7 novembre 1979. La famiglia si trasferì a Chiavari quando Sabatino aveva solo cinque anni. A nove anni lavorava già come guardiafuni alle gallerie di Sant’Anna, sull’Aurelia, fra Cavi di Lavagna e Sestri Levante. Doveva controllare le corde che tenevano legati gli operai impegnati nella pulizia della collina dai massi e dalle pietre pericolanti. Poi andò a lavorare in ferrovia come addetto alla palificazione, ma perse il posto per aver rifiutato di iscriversi al Partito Nazionale Fascista. Negli anni 1937-38 trovò impiego temporaneo come bagnino alla Colonia Fara. In seguito cominciò a operare come calafato presso un piccolo cantiere di Riva Trigoso. Era particolarmente abile nell’impermeabilizzazione del ponte di coperta. Nel biennio 1943-44 fu anche alle dipendenze dei Tedeschi dai quali, ogni tanto, riceveva in regalo un prezioso sacco di farina o di grano. Si recava al lavoro in bicicletta, percorrendo tutto il tratto fra Chiavari e Riva.

Utensile smussa angoli

Italia, prima metà XX secolo

Dimensioni: cm 30x4

Materiali: legno e ferro

Donazione Tassinari

M.M.T.A. - Invent. n. 223

 

Veniva usato per arrotondare gli spigoli vivi, impugnandolo con le due mani.

Martello “timbro”

appartenuto a Eugenio Gotuzzo

Italia, 1920

Dimensioni: 33x12

Materiali: legno, ferro

Donazione Caterina e Maria Colomba Cantero

M.M.T.A. - Invent. n. 192

 

Questo martello, con le iniziali EG in rilievo, serviva ad Eugenio Gotuzzo per firmare le tavole che entravano nel suo cantiere. Bastava un colpo secco per marchiare qualsiasi tipo di legno.

 

Sega a due mani “Serön”

Italia, 1920

Dimensioni: cm. 146x28

Materiali: legno, ferro

Donazione Maria Luisa Bacigalupo

M.M.T.A. - Invent. n. 196

Tipica sega a due mani per il taglio di tronchi, anche di grosse dimensioni.

Serviva per tagliare gli alberi di alto fusto dai quali si ricavano le tavole per il fasciame. Veniva adoperata da due boscaioli, molto robusti, che eseguivano movimenti lenti e cadenzati, in modo da portare via più legno possibile a ogni passata. La lama era protetta da un fodero per evitare che perdesse il filo.

 

Oggetti Appartenuti a Giovanni Tirone

Materiali: Legno, ferro, ottone, vetro

Donazione : Maria Tirone

M.M.T.A. - Invent. n. 237

No. 2 Oblò (diam.cm 38) con vetro e galletti

No. 1 maniglia di avviamento motore Diesel (cm 22x26) della barca da pesca di Giovanni Tirone

No. 1 distanziatore in ferro (cm 20x20)- No. 1 retino (“salaio”) mancante della rete (cm 145x53)

No. 1 puleggia in metallo rotonda (diam.cm15)

No. 1 picozzo senza manico (cm.21x13,5)

No. 1 scaletta per salire da mare a bordo

No. 3 scalini (cm.104x29)

 

Oggetti appartenuti agli ascendenti della famiglia Benini

Materiali: Legno, ferro, corda

Donazione Italo Benini

M.M.T.A. - Invent. n. 238

No. 1 bozzello cm. 6,5 x 3 -

No. 1 bozzello cm. 23 x 10 -

No. 1 Bozzello cm. 53 x 19 -

No. 1 picchetta cm. 25 x 11

Attrezzi da pesca

• Lampada a petrolio per una “Lampara”

completa di rubinetteria e 3 lampadine

• Arpione per balene

• Fiocina (fuxina) per pesci e polipi

• Coppia di fiocine (fuxine) per pesci e polipi

• Galleggiante per palamiti o reti da pesca

“Sirio” - C. 6000

Lampada a petrolio per una “Lampara”,

completa di rubinetteria e 3 lampadine

Genova, prima metà del XX secolo

Materiali: Dimensioni: cm 60x60x91

lamierino smaltato (blu all’esterno, bianco all’interno) e vetro

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 122

Dato l’alto costo delle batterie e le difficoltà per ricaricarle, le lampade a petrolio furono usate per molto tempo anche nel secondo dopoguerra. Il petrolio veniva polverizzato per mezzo di una pompa a mano nelle calze delle lampadine.

 

Arpione per balene

Norvegia, secondo quarto XX secolo.

Dimensioni Lunghezza cm. 74

Materiali: acciaio

Collezione Ernani Andreatta

M.M.T.A. - Invent. n. 163

Dim. pannello cm. 100 x 60

Arpione autentico usato a bordo delle baleniere

 

Fiocina (fuxina) per pesci e polipi

Italia, 1940 circa

Dimensioni: 44x14

Materiali: lega di bronzo

Donazione famiglie Tirone e Baldassarri

M.M.T.A. - Invent. n. 186

Apparteneva a Juanin Tirone che, sin dagli anni Quaranta, armava gozzi da pesca nel Rione Scogli.

 

Coppia di fiocine (fuxine) per pesci e polipi

Chiavari, 1940 circa

Dimensioni: cm 14x28 e 16x33

Materiali: acciaio

Donazione Ernesto Borghi

M.M.T.A. - Invent. n. 217

Appartenevano a Ernesto Borghi, detto “Cocco”, ed erano usate per la pesca di pesci e polipi.

Le fiocine erano il complemento di un’attrezzatura composta anche di polpiere (arpette) secchio con il fondo in vetro (bougio), per vedere sott’acqua, e lancetta a remi con poppa quadrata. Le fiocine erano munite di asta in legno che poteva raggiungere una lunghezza di 4 o 5 metri, per colpire a distanza.

Galleggiante per palamiti o reti da pesca

Ø cm 12,5

Materiali: Vetro e retina di spago

Donazione Carmen Righetti

M.M.T.A. - Invent. n. 235

Supporti per archiviazione dati

 

• Floppy disch Digital

• Floppy disch da 5”

• Floppy disch VAX

• Floppy disch da 3,5”

Floppy disch Digital

1980

Capacità 2.000 Kb. Prezzo nel 1984 lire 200.000

Alcuni prezzi del 1982: pane lit/Kg 1.500 - paga netta di un operaio lit/g 22.000* (*) intendiamo la paga netta quella di un operaio che si mette in tasca, e lavora 220 giorni all’anno e guadagna con 13ª, ferie e liquidazione 4.400.000 lire all’anno.

 

Floppy disch da 5”

1982

Questi dischetti sono comparsi sul mercato quando sono iniziate le produzioni di personal computer Pc. Capacità 500 Kb. Prezzo nel 1982 lire 23.000 - nel 1990 lire 3.500 Alcuni prezzi del 1982: pane lit/Kg 1.500 - paga netta di un operaio lit/g 22.000* (*) intendiamo la paga netta quella di un operaio che si mette in tasca, e lavora 220 giorni all’anno e guadagna con 13ª, ferie e liquidazione 4.400.000 lire all’anno.

Floppy disch VAX

1988

Capacità 2.000 Kb. Prezzo nel 1988 lire 50.000 Alcuni prezzi del 1988: pane lit/Kg 2.000 - paga netta di un operaio lit/g 30.000* (*) intendiamo la paga netta quella di un operaio che si mette in tasca, e lavora 220 giorni all’anno e guadagna con 13ª, ferie e liquidazione 6.600.000 lire all’anno.

Floppy disch da 3,5”

1988

Questi dischetti sono comparsi sul mercato quando sono iniziate le produzioni di personal computer con grandi memorie fisse, oltre 1.000.000 di byte.

Capacità 1,4 Mb. Prezzo nel 1988 lire 15.000 - nel 1997 lire 1.200 Alcuni prezzi del 1988: pane lit/Kg 2.000 - paga netta di un operaio lit/g 30.000* (*) intendiamo la paga netta quella di un operaio che si mette in tasca, e lavora 220 giorni all’anno e guadagna con 13ª, ferie e liquidazione 6.600.000 lire all’anno.

 

I bastimenti costruiti dai Gotuzzo agli Scogli di Chiavari

Elenchiamo di seguito i bastimenti costruiti in Chiavari dalla famiglia Gotuzzo.I nomi dei capitani sono quelli che risultavano a bordo al momento del rilievo sui Libri Registri e, naturalmente soggetti a mutamenti, malgrado fosse uso comune sui bastimenti del tempo rimanere imbarcati per molti anni; sono nomi in gran parte chiavaresi e, nella totalità liguri, benché cominciassero ad affacciarsi in questo settore i primi marittimi meridionali. È consolante però che moltissimi bastimenti, costruiti da chiavaresi, gestiti da chiavaresi, fossero armati con capitani e marinai chiavaresi e della Riviera. Di alcuni bastimenti non siamo riusciti a raccogliere tutte le caratteristiche non sempre riportate sui libri registri.

 

Tipo      Nome       Armatore    Anno-Stazza  Capitano

-       BUONA FAM-----DALL’ORSO F----1838---08--- Dall'Orso.

B.P.   CONCORDIA----DALL’ORSO F.----1840---260---Dall'Orso

-       ARCHIMEDE---- RAFFO E. --------1842---312---Troia

-       WASHINGTON- MUSANTE D.-----1842---202---Musante D..

B.P.   BUON GIUSEPPE-DALL’ORSO M.-1847---320---Mazzini

B.      LAURA- --------BERTOLOTTO L.-1848--- 197---Chiesa F.

B. S.  MICHELE ------DALL’ORSO F.---1849----220---Dall'Orso.

B.      MARIA STELLA-PALLOTTI P.---- 1850-----50----Fattorini G..

B.     MONTEVIDEO---LAVAGNA GB.-- 1851---238----Lavagna G.b.

B.      VITTORIA------SAN MICHELE L.-1851---193---San Michele

B.P.   GIUSEPPE------CHICHIZOLA-----1853---181---Benno P.

B.     GIOVANNINO---LOMBARDO F.--- 1853--186----Scarinci

B.G.  ROSA------------SANGUINETI F.--1855---69----Ravenna

B.     MARIA TERESA--RAZETO F.-------1856- 204----Razeto

B.P.  MASSINISSA-----DALL’ORSO F.---1857--340----Dall'orso N.

B.G.  CARLOTTA-------DALL’ORSO F.---1857----73----Dall'orso l.

B.P.  SPARTACO-------RAFFO CASARETO-1858--444-Maglione

B.     AGIDE-----------DALL’ORSO F.-----1858---250--Dall'orso.

B.     SATURNINA-----DALL’ORSO F.-----1859---392--Dall'orso.

B.P.  LIVIETTA-------- DALL’ORSO F.-----1859----98--Bottaro

B.    DUE FRATELLI----MORTOLA A.----- 1860--346--Olivari G.B.

B.P.  FIDO--------------BOZZO A.--------1861--365-- Bozzo A.

B.G. SAN GIOVANNI---BORZONE G.-----1861---89---Borzone B.

B.P. FANNY-------------BRACCO M.-------1862---75---Vassallo F.

B.P. LIBERO------------DALL’ORSO F.----1864- 470---Mazzino T.

B.P. MARIA BORZONE- BORZONE P.-----1864--438-- Schiaffino

B.P. GIULIA P.-----------PARIS L.---------1865--401--Paris L.

B.G. ASSOCIAZIONE---DALL’ORSO L.---1865--578---Selasco

B.P. CHIAVARI----------Raffo Casareto -1865--572---Dodero N.

B.P. ITALIA LIBERA-----LAVARELLO-----1867--895---Gardella

B.G. SAN GIOVANNi---- BORZONE G.---1861--- 89---Borzone.

B.P. FRUGONI DEVOTO-SANGUINETI F.1869---503---Gallo.

B.G. ENEA---------------QUESTA G.B.---1869--105---Descalzo

B.P.  MARIA LUISA------SCHIAFFINO G.-1870-703---Schiaffino

B.P.  STEFANO-----------SANGUINETI F.-1870-314---Sanguineti

B.P.  AGOSTINO B.------BADARACCO----1870-651---Badaracci S.

B.P.  CAROLINA---------DALL’ORSO D.---1870-578---Mazzini T.

B.G. ANGELA MADRE---ABBO F.----------1870--70---Saglietto S.

B.P. LUIGIA MADRE-----DALL’ORSO F.--- 1871-593--Cassinelli

B.P. TRE SORELLE S.----SOLDI T.---------1871--622--SOLDI

B.P. GIUSEPPE----------SANGUINETI F.--1872--557--Sanguineti

B.P. INDIPENDENZA----DALL’ORSO D.---1872--598--Gavino

B.G. MARIA--------------MARANA G.-----1873--682--Marana G.

B.P. ALBATROS----------S. ARM ORNEN-1874--895--Cederbere C.

B.G. ANGELA MADRE---COPELLO F.-----1874---69---Copello M.

B.P. RINNOVATO------  DALL’ORSO B.-- 1874--712--Dall'orso.

B.P. FORTUNA----------DALL’ORSO F.----1874-1042--Chiama D.

B.P. RICORDO--------- DALL’ORSO M.---1875--948--Gherardi

B.P. STEFANO PADRE--SANGUINETI F.--1875--554--Elice V.

B.G. ANGIOLA MADRE-COPELLO F.------1875---69--Copello M.

B.P. ANGELA------------SANGUINETI F.--1876--871--Sivori

B.P. LINDA--------------COPELLO F.------1877--100--Copello F.

B.P. ATALANTA-------SANGUINETI F.-1878-342--Questa G.

B.P. MARIA-----------S.SANGUINETI-1878-220--Bonsignori

B.G. ISAURE------------MATTAT --------  1878--232--Maré Nantes

B.P. TERESA C.----------COPELLO L.----- 1878--400--Copello L.

B.P. LA MARIA---------- SANGUINETI F.--1879--269--Sanguineti

-     ANNA RIVAROLA--- RIVAROLA G.----1880--273--Rivarola G.

B.P. CECILIA MADRE----VALLE S.--------1881--627--Schiaffino G.

B.P. AFFEZIONE---------DALL’ORSO M.--1884-1.019-Stagno P.

B.G. MARIA COPELLO-- COPELLO F.-----1885---319--Copello E.

B.G. PAPA’ G.------------STAGNARO------1885----81--Biaggini

B.    GIAN BATTISTA P.-GHIO F.LLI-------1888----77--Ghio T.

B.G. LIGURIA ----------DALL’ORSO MA.--1889---112--Sanguineti L.

Bovo A. LETIZIA......... STAGNARO.........1889-----49..Toso

B.P. NEMESI------------SCHIAFFINO B.---1889--1.060-Repetto G.B.

B.G. ASSUNTA IN CIELO GHIO T.----------1891----154--Casoni

B.P. FRANCESCO -------SANGUINETI F.----1891--1.083-Mazzini

B.G. MARIA LUIGIA---- STAGNARO C.-----1891----134-Stagnaro E.

B.P. COLOMBO--------- DALL’ORSO MA.---1891-----921-Lagomarsino

B.G. ROSA-------------- SANGUINETI F.---1893-----399-Canepa

B.G. FEDE-------------- CAPURRO L.-------1895-----128-Bevilacqua

N.G. DUE SORELLE B.--BENVENUTO A.----1900--1.445--Benvenuto

N.G. SULTANA--------- MONGIARDINO G.-1901----155--Malfatti A.

B.P. ROMA-------------- MASSA F.-----------1902----568--MASSA F.

B.P. BEATRICE---------- BENVENUTO A.----1902--1.489--Chiappella

B.G. GUGLIELMO AUGUSTA-PASSAGLIA----1902----187--PassagliaV.

B.G. DEA----------------- ARDOINO F.-------1903----160--Rossi V.

B.G. FELICINA----------- TORRE P.----------1903----164-Delcarlo P.

N.G. LUISA-------------- BENVENUTO A.----1904--1.648-Masiello A.

N.G. GIOVANNINO------ LEPORINI----------1905----323--Malfatti

B.G. GIUSEPPE PADRE-- LEPORINI F.G.......1905----285--Tomei S.

B.G. CARLO---------------FABRICATTO------1906----234--Faggioni

-      APOLLONIA ---------S.ITALIANA NAV.-1908----206--Bacigalupo

-      MARCO POLO------ REGIA MARINA----1908----221   --------

-      SUD---------------- ROSINI EUG------1908-----22 ----

N.G. ANDREA PADRE--- ASTE M. ----------1910--- 184---Baghino

M.V. ROMOLO------------ SCHIAPPACASSE -1910------7------------

GO. UNIONE IT. CEMENTI- SANGUINETI----1913----222--Sanguineti

B.G. CAMPOFRANCO------ GUADAGNINI----1914----201-----------

B.G. URANIA-------------- ARDOINO F.------1914----377---Rossi V.

B.G. GIGINO-------------- MAGRINI L-------1914----200-----------

B.G. COMERCIO DE ESQUINA-BONGIORNO-1915---178---Gariglio

N.G. UTILE -------------- SANGUINETI------1915---304---Guidi A.

B.G. TRICOLORE--------- PIRRO S.----------1918---266---Padrini A.

B.G. GAETANO------------ ESPERIA----------1919---137 ------------

B.G. MONTALDO---------- DI GAETANO M.--1919----135--Cassissa A.

RIM. ALCIONE------------ ODERO N.---------1919-----11--S. Salva

RIM. AIRONE------------- NERI TITO---------1919-----11 ------------

M/N. BUSTO ARSIZIO---- SA. LIG. PIEM.----1920--1.046--Odero N.

B.G. OTTAVIA------------- TOMEI L.-----------1921---259--Partiti G.

N.G. FIDENTE------------ GAROFALO R.------1922----392--De Matheis

GO. SS. VERGINE BONARIA MORETTO S.----1923----108--Moretto G.

M.B. PESCA  G.Padre----- BIANCHI ANTONIO-1926----29-----------

BARCA CARNIGLIA -.---------------------------1928-----------Carniglia

BARCA GOVERNATORE SOMALIA -------------1930-------- Governo It.

LEUDO PODESTA’ ------------------------------1931----46------------

JAWL ALCIONE --------------------------------1933--------------------

Legenda

I bastimenti costruiti dai Gotuzzo agli Scogli - III

B.P. = Brigantino a palo;

B. = Brigantino;

B.G. = Brigantino goletta;

N.G. = Nave goletta;

M.V. = Motoveliero

GO. = Goletta;

RIM. = Rimorchiatore;

M/N = Motonave

 

 

Le costruzioni dei Gotuzzo a Lavagna

Prima che quest’opera fosse terminata siamo venuti in possesso, per nostra fortuna, dì un documento eccezionale ed inconfutabile datato Febbraio 1894 che elenca le costruzioni navali nei Cantieri di Chiavari e Lavagna dal 1 Gennaio 1884 al 31 Dicembre 1893. La preziosa pubblicazione ci è stata fornita da Pietro Berti, storico appassionato e valente ricercatore. Da questa pubblicazione, edita dal Comune dì Sestri Levante, abbiamo desunto le costruzioni eseguite da Luigi Gotuzzo a Lavagna che vanno naturalmente aggiunte alla produzione di Chiavari.

Tipo--Nome------------------Armatore-----------------------Portata T.

B.P. -- GIULIA MARIA MADRE----GHIO STEFANO---------------949

Leudo TRE FRATELLI -------------GHIO F.LLI FU DOM.-----------46

Leudo AIUTO IN DIO--------------ZOLEZZI DOMENICO FU M. --53

Bovo  MADRE ROSA---------------CHIAPPE ANTONIO FU L. -----43

Pareg. NUOVA ANTONIETTA------STAGNARO G.B. FU A. --------92

Leudo ZEFFIRO AGENO-----------SCIACCALUGA BOERO --------23

Leudo S. GIUSEPPE---------------SCIACCALUGA P. e G.----------23

Leudo GIOVANNI GUSTAVO------GHIO AGOSTINO DI G.-------- 11

Leudo MIO PADRE ---------------ANTONIO OLIVIERI F.LLI FU A.-48

Leudo NUOVO SAN GIACOMO----DIGHERO ROSA FU G.----------11

Leudo CONFIDENZA IN DIO------ZOLEZZI STEFANO FU D.-------77

Leudo ORLANDO NUOVO---------ZOLEZZI ANTONIO FU A.-------37

Leudo GIOVANNI PADRE----------CASTAGNOLA GIOVANNI FU L.--37

Come si può notare tutte le imbarcazioni sono di modeste dimensioni e nella quasi totalità leudi ad eccezione del GIULIA MARIA MADRE; infatti i Gotuzzo, forse per mancanza di spazio ai cantieri degli Scogli, hanno prodotto un gran numero di costruzioni a Lavagna; un numero abbastanza alto, tenendo anche conto che il documento in nostro possesso riporta la produzione di soli nove anni dal 1884 al 1893. In seconda ipotesi è possibile che i Gotuzzo abbiano “prestato” il nome di costruttore a qualche maestro d’ascia che non aveva le necessarie autorizzazioni a costruire in proprio.

Legenda

B.P. = Brigantino a palo;

B. = Brigantino;

B.G. = Brigantino goletta;

N.G. = Nave goletta;

M.V. = Motoveliero

GO. = Goletta;

RIM. = Rimorchiatore;

M/N = Motonave

 

I bastimenti costruiti dai Tappani

Anche per il Costruttore Matteo Tappani elenchiamo i bastimenti costruiti nei cantieri di Chiavari secondo l’anno in cui è avvenuto il varo. Anche per questi valgono le avvertenze riportate per il Gotuzzo.

Tipo Nome Armatore-----Anno---Stazza-Capitano

B.P. ELISA ------VASSALLO V.-----1861----- 621 ---  VASSALLO V.

B.P. VENEZIA----RAFFO S.-------- 1866 ---- 642 ---  PRAELI L.

N.G. IGNAZIO---LAVARELLO G. --1866 –--- 475 ---  FERRO A.

N.G. VIRGINIA- SCHIAFFINO A.--1867------498----- SCHIAFFINO

B.P. FENICE ----RAGGIO M. ------1867------593-----SOLARI L.

B.P. ERASMO--- RAFFO E.-------- 1867----- -568---- CALVO T.

B.P. PETRONILLA-VICINI G.-------1867------576---- VICINI L.

- PORTOFINO --GUERELLO E.-----1867------498-----MARCIANI G.

B.P. APPENNINO-CHIARELLA F.---1868------673-----RAVENNA A.

B.P. G.B. D’ASTE -D’ASTE G.B.--- 1868------624 --- CAFFARENA C.

B.P. LUIGIA---- SANGUINETI F.— 1868------496 ----SANGUINETI

B.P. SOLLECITO-RAFFO S.-------  1868------ 554---- FRUGONE C.

B.P. G.PADRE --DALL’ORSO F.---  1868------673---- ZOLESI D.

B.P. A.COSTA---COSTA G. ------- 1868-------622---- DACCONE G.

B.P. IRIDE---CHIARELLA F.--------1869-------617 ----ROSSI P.

B.P. TIMOLEONE-DALL’ORSO F.—-1869-------614-----CAUSI

B.P. TRIDENTE-GAGLIARDO C.--- 1869-------554---- PERASSO

B.P. ANTONIO-RAFFO E.---------- 1869-------640-----CANEPA G.B.

B.P. CARLO FRUGONI-FRUGONI1870-------643-----FRUGONI G.F.

B.P. ENRICO -----------RAFFO E---1870-------407----CANEPA F.

B.P. UNIONE RAGGIO – PORCELLA-1870----- 582---SOLARI M.

B.P. PELLICANO-------- RAFFO S.—1870----- 902--- MAGLIONE F.

B.P. SANTA GIULIA-----VASSALLO-1870----- 621----VASSALLO V

B.P. BEPPINO R.-------- REPETTO—1872----- 593----CAFFARENA F.

B.P. INDIA --------------RAFFO S.-- 1872-----802----BANCALARI A.

B.P. FRANCESCA SCOGLI-DALL’ORSO-1873--646----BARBIERI A.

B.P. EST ----------------BANCA SCONTO-1874-952--DALL’ORSO

B.P. ORION -------------AMSINELD---1874----895---ODE W.H.

B.P. FRATELLI SCARSELLA-SCARSELLA-1874- 869---SCARSELLA

B.P. SUPERBO RECCHESE-FERRO-----1875----901---FIGARI C.

B.P. LUIGIA RAFFO----- RAFFO-------1875-----972--BULASCO E.

B.P. RISSE770 C.------- CICHERO----1875-----889--GOTUSSO G.

B.P. M. TAPPANI-------- CICHERO S. 1875-----889---RITTORE T.

B.P. STELLA B.---------- BERTELL-----1876-----861--BONSIGNORE

 

B.P. SECONDO B.----- BADARACCO---1876----809 - BADARACCO

B.P. CONCORDIA------- SCERNI------ 1877- 1.079 - CELLE C.

B.P. FAMIGLIA LOPRESTI------------- 1880 --- 286 - ALIOTA

GO. IRMA--------------- DALL’ORSO 1882 ---- 97 - DALL’ORSO N.

B.G. GIULIA------------ ANSALDO---- 1883--- 104 - ANSALDO

B.P. MARIA RAFFO----- RAFFO------- 1883- 1.309 CALVO T.

LEUDO- GIULIO-------- BREGANTE-- 1886 -----13 -  -------------

BOVO-N.CATERINA D.- BREGANTE -  1887 -----31 - BREGANTE B.

B.G. ARDITA COPELLO-COPELLO M. -1889----- 84 - MAFFEI M.

B.G. ARDITA MASSA-- MASSA F.----- 1889 -----88- MASSA L.

B.P. OROMASO-------- VALLE S. ------1890--- 742SCHIAFFINO

N.G. PARANA’---------- MULTEDO G.. 1891---- 649 -MULTEDO G.

N.G. LILLY G.---------- BERTOLOTTO- 1891--- 547 -OLIVARI G.

B.G. ANGELO PADRE-- CINOLLO G.---1891---- 83 - CINOLLO A.

B.G. GIOBATTA BERALDO BERALDO G.1891—-141-  BERALDO E.

N.G. SANTA MARINELLA -------------- 1891 --- 667 ----------------

B.G. ANGELA C.--------COPELLO M.---1891--- 105 -LIZZA C.

B.P. M.D.GUARDIA---- SCHIAFFINO---1897 ---170 -SCHIAFFINO

B.G. DORIDE---------- COPELLO M.---1902 ----179 -TOMEI S.

B.G. ROSARIO--------SCARFOGLIERO 1902--- 188 - MAFFEI

B.G. NEREO----------  COPELLO M.----1905--- 285 -TOMEI S.

Legenda

B.P. = Brigantino a palo;

B. = Brigantino;

B.G. = Brigantino goletta;

N.G. = Nave goletta;

M.V. = Motoveliero

GO. = Goletta;

RIM.= Rimorchiatore;

M/N = Motonave

I due costruttori Gotuzzo e Tappani erano diventati parenti avendo il Tappani sposato Giulia, sorella di Luigi Gotuzzo. Siamo venuti in possesso di un interessantissimo documento che può essere

considerato il testamento storico e morale di “Mastro Checco” Gotuzzo. Il documento è importante perché, oltre a dimostrare inequivocabilmente che nel 1865 ben 9 velieri erano in costruzione

nel cantiere omonimo, dimostra anche che Matteo Tappani, avendo sposato una figlia di Francesco Gotuzzo, “imparò il mestiere” proprio nel cantiere del suocero.

Infatti, la “direzione lavori e l’opera prestata dal “Scio Mattè” viene compensata con i 2/5 dei costi e ricavi delle 9 navi in costruzione.

Trascriviamo (alla pagina seguente) l’atto letteralmente:

Un atto del 25 aprile 1866

“L’anno milleottocentosessantasei lì venticinque di aprile in Chiavari. Per la presente scrittura privata fatta in doppio originale viene convenuto e stabilito quanto segue fra Vittoria Gagliardi fu Nicolò vedova del Cav. Francesco Gotuzzo, Luigi Gotuzzo fu detto Francesco e Matteo Tappani di Francesco abitanti alle Saline, in senso dell’ultima volontà manifestata dal ridetto fu Francesco Gotuzzo prima di sua morte e col concorso dei sottoscritti.

- I predetti madre e figlio Gotuzzo promettono e si obbligano di dare e pagare al Tappani loro rispettivo genero e cognato la somma di Lire nuove duemila in compenso dell’opera da esso prestata nella direzione dei lavori ed assistenza pel compimento ed ultimazione dei bastimenti lasciati in costruzione dal fu Francesco Gotuzzo.

2°- Convengono e stabiliscono poi di continuare a costruire bastimenti nel comune interesse e gli utili come le perdite che ne verranno a risultare, verranno fra loro divisi come segue, cioè tre quinti verranno percepiti dalla madre e figlio Gotuzzo e gli altri due quinti da Tappani; il ricavo della legna da ardere che somministra tra la costruzione dei bastimenti verrà fra loro diviso sulla basi anzidette, e questa convenzione comprende i bastimenti Venezia già ultimato e varato, Vicini, Raggio Schiaffino, Raffo, Chiarella, Devoto Costa e D’aste che tuttavia sono nel Cantiere, degli utili dei quali come dei danni che ne risultassero spetteranno tre quinti alla famiglia Gotuzzo e due quinti al Tappani siccome sopra detto.

Nota: i bastimenti di cui sono riportati gli armatori erano rispettivamente:

BP. Petronilla, BP. Fenice, NG. Virginia, BP. Erasmo, BR Apennino, BR Sollecito, BR Antonietta Costa, BR Giambattista D’aste.

3°- Dovendo il Tappani concorrere fino a concorrenza di due quinti nelle spese, e per quanto occorre provvedere per la costruzione dei bastimenti e che è a carico del costruttore, dichiarano le

parti che esistono nel Cantiere ad uso dei bastimenti in costruzione gli oggetti infradescritti propri della famiglia Gotuzzo e che hanno d’accordo valutato come segue:

I--N.ro centocinquanta puntelli alla ragione di lire sei cadauno:-------------------------------------Lire 900

II---- N.ro venti puntelli in m3 15 in ragione di

lire qaranta al metro:-----------------------Lire 600

III---Tanti tacchi per: ----------------------Lire 250

IV---Tanteforme per------------------------Lire 100

V---- Un paio vasi vecchi:------------------Lire 500

VI---Dodici mazze di ferro, sei baglie,

quattro argani e venticinque

cavalletti in complessivo:-------------------Lire 300

VII- M3 sette legno di cerro vecchio:-----Lire 300

VIII-  15  cordami di rovere---------------Lire 225

IX---Quattro pezzi di cavi usati per alzare poppe

e prore:--------------------------------------Lire  50

Totale:-------------------------------LIRE:3.225 tremiladuecentoventicinque.

Quali oggetti resteranno d’ora innanzi comuni alle parti eparteciperà in essi il Tappani per due quinti, pagando come si obbliga alla famiglia Gotuzzo due quinti della somma anzidetta di Lire 3.225. Dichiarano inoltre che esistono pure nel cantiere come sopra centoquarantatrè puntelli, altri trenta circa che restano ancora ad aversi misurare ed altri cinquanta circa rimasti dei bastimenti costrutti nonché un paio di vasi nuovi; quali oggetti tutti già appartengono per due quinti al Tappani e per gli altri tre quinti alla famiglia Gotuzzo.

Il Tappani ed il Luigi Gotuzzo dovranno d’accordo dirigere ed assistere la costruzione dei bastimenti in modo che la stessa proceda regolarmente e con soddisfazione dei committenti come chiuderanno d’accordo i contratti relativi e d’accordo formeranno i modelli dei bastimenti a costruire.

La presente convenzione è stabilita per anni sei e partirà da questo giorno e sarà pienamente mantenuta ed eseguita nel caso che tanto il Tappani, come il Gotuzzo venissero a conseguire la patente dì costruttore.

Infine i conti fra le parti saranno aggiustati e stabiliti in ordine ad ogni e singolo bastimento che verrà ultimato e di ciascuno aggiustamento di conti se ne farà conservare su di un registro in doppio.

Firmato: Vittoria Ved. Gotuzzo, Luigi Gotuzzo, Matteo Tappani, Erasmo Raffo, Sebastiano Raffo, Francesco Raffo

Abbiamo riportato questo atto per diversi motivi:

- si ha la conferma che a Chiavari si costruivano nove bastimenti contemporaneamente;

- ambedue i costruttori utilizzavano il cantiere degli Scogli.

I costruttori eseguivano prima d’iniziare la costruzione, dei modelli di cantiere, ed aver obbligato due maestri del tempo a costruirli assieme è stata sicuramente un’opera geniale.

Commovente poi la raccomandazione ai due costruttori da parte del vecchio Gotuzzo, che certamente li conosceva bene, di collaborare almeno per sei anni a costruire bastimenti di qualità.

 

I bastimenti costruiti dai Briasco, dai Brigneti, dai Piceni Gessaga, dai Beraldo, dai Copello e da altri ignoti

Diversi bastimenti risultano costruiti a Chiavari, ma nella quasi totalità, senza alcun riferimento al nome dei costruttori. Eccone l’elenco, sempre secondo l’anno del varo:

 

 

Tipo Nome ----------Armatore---- Anno----Stazza-----Capitano

B.    EMILIA---------MORTEO C---1854-----204-------PARODI G.B.

B.    GIACOMO------LAPORTA-----1855------99-------ARENA

B.    GIUSEPPE------VICARI-------1855-----199-------SPATO’

B.    PROVVIDENZA-OLIVARI L.---1855-----299-------BOZZO F.

B. S.GIO BATTISTA SCHIAFFINO—1856----228-------MARINI R.

B.G. ELENA----------MACCIONA---1856------50-------NARDELLI

- S.  NICOLO’--------ANSALDO----1858-----307-------ANSALDO

B.G. S. GIOVANNI---ARPE N.----- 1861------75------ ARPE G.

-      AFFEZIONE---- DALL’ORSO- 1865 ------74 ------SCALA G.

-      TIRRENO------ SANGUINETI-1865-----534------ ARIMONDO

B.P.  CORSO(1)----- SCHIAFFINO-1866---- 468------ SCHIAFFINO

B.P.  ADRIATICO---- DALL’ORSO—1868---- 633------ RAFFO F.

G.P.  DIANA--------- BOLLO F. ----1870---- 435------ BOLLO

GO. PROTEO(2)------QUEIROLO---1871------ 94------ TORTELLO G.

-      JUPITER---------------------- 1874---- 875 -------AMBURGHESI

-      OPHIX------------------------ 1874 ----787------- NORVEGESI

-      VIVERNER-------------------- 1874---- 939------- AMBURGHESI

B.    LAZZARO ANNA-MAGGIOLO 1878---- 368 -------MAGGIOLO L.

B.G. PAOLINA------- SERRA N. ---1880------84------- SERRA

BOVOGEMMA PREZIOSA-ZOLEZZI 1886 -----87------- ZOLEZZI

GO.N. CATERINA---BREGANTE-- 1887 ----30 --------------------

CT.  PIETRINA M.---COSTANTINO--1887---- 36 --------------------

B.G. EMILIA C.(5)----GARRE’ F.-----1914--- 246 --------PASAGLIA C.

N.G. VERBANUS (3)-AVUTO--------1919--- 261 --------------------

G.P. MAD.BERALDO(4)-BERALDO—1920----445 -------------------

NG.  LUIGI POZZI(3)POZZI--------1921---- 476------- -RIDI V.

CT.  PAOLO USAI ---USAI R. ------1931------32-------------------

(1) Costruttore: Briasco A.

(2) Costruttore: Brigneti

(3) Costruttore: Piceni Gessaga

(4) Costruttore: Beraldo F.

(5) Costruttore: Copello M.

Legenda

B.P. = Brigantino a palo;

B.    = Brigantino;

B.G. = Brigantino goletta;

N.G. = Nave goletta;

M.V. = Motoveliero

GO.  = Goletta;

RIM. = Rimorchiatore;

M/N  = Motonave

I bastimenti costruiti dai Briasco, dai Brigneti, dai Piceni Gessaga, dai Beraldo, dai Copello e da altri ignoti

Tutti questi costruttori che, come già detto, costruivano saltuariamente nei terreni di Chiavari ove si trovavano i cantieri a cielo aperto, erano altrettanto bravi nel far scendere in mare legni di notevole tonnellaggio.

A parte i Gotuzzo i quali avevano un proprio terreno e un proprio Cantiere, tutti gli altri costruivano in località diverse che, dalle ricerche effettuate, si possono così individuare:

- davanti all’attuale stazione di Chiavari lato mare: in quel punto furono costruiti parecchi velieri, prova ne sia che esiste una magnifica fotografia datata 1882 con ben due navi pronte al varo. Probabilmente erano velieri ordinati al Tappani.

- nei terreni di levante della Trattoria Angiolina ove si trovava il Cantiere degli armatori Copello denominato "del Rissun", ubicato tra piazza Leonardi e piazza Milano;

- un altro terreno dove si costruiva era localizzato al posto dell’attuale piazza Milano, una volta chiamata Piazza Becchi;

- un altro terreno ancora era situato nel lato ponente della famosa palazzina 27 che era anche conosciuta come “Casa del Diavolo”;

- infine esisteva un cantiere anche nel terreno attualmente chiamato “Foresta”, nel quale ebbe luogo la costruzione del “Maddalena Beraldo”.

Prima che la piazza Gagliardo diventasse parte integrante della sistemazione urbana della città , si poteva costruire anche sulla piazza stessa che per lungo tempo fu usata dai Gotuzzo, da Matteo

Tappani e da altri costruttori. Di quanto affermato se ne ha prova dalla Mappa “Piano dell’abitato denominato Scogli o dei Gagliardi” del 1866 dove la superficie del cantiere appare disegnata proprio nell’attuale Piazza Gagliardo.

 

Le dimensioni dei più grandi velieri varati a Chiavari

Il MARIA RAFFO (di 1.309 Tonn.) varato nel 1883 da Matteo Tappani, misurava ben 65 metri di lunghezza ed é stata la nave più lunga costruita agli Scogli. I Cantieri Gotuzzo costruirono dei velieri di notevoli dimensioni oltre che per la lunghezza anche per la larghezza, come quelli ordinati dall’armatore Benvenuto. Il bastimento più lungo varato dai Gotuzzo é stato il BEATRICE, di

mt. 64,00, mentre quello più grande é stato il LUISA di 1.648 Tonn. di stazza, più di 3.000 Tonn. di portata. Misurava in larghezza mt. 13,40 contro gli 11,50 del MARIA RAFFO.

Riportiamo qui di seguito l’elenco dei velieri più grandi, con le loro relative misure, varati nei due maggiori cantieri navali degli Scogli.

Nota: La lunghezza di un bastimento a vela veniva misurata in coperta, pertanto erano esclusi sia il bompresso che altre strutture “fuoritutto”.

CANTIERI GOTUZZO

Tipo Nome nave -Anno Varo-Stazza--Lungh---Largh-Puntale

B.P. AFFEZIONE ----- 1884---1.019---56.20--10,85--7,48

M/N BUSTO ARSIZIO-1920---1.046---61,85--10,00--5,33

B.P. NEMESI-----------1889---1.060---54,20--10,00--7,05

B.P. FRANCESCO------1891---1.083---58,62--11,16--7,13

N.G. DUE SORELLE B-1900---1.445---60,80--13,08--7,93

B.P. BEATRICE--------1902----1.489---64,00--13,40--7,77

B.P. LUISA-------------1904---1.648---63,86--13,35--7,55

CANTIERI TAPPANI

Tipo Nome nave---AnnoVaro-StazzaLunghLargh-Puntale

B.P. LUIGIA RAFFO---1875----972-----55,60--10,20-7,80

B.P. CONCORDIA---- 1877---1.079-----54,00--10,69-7,40

B.P. MARIA RAFFO---1883--- 1.309-----65,00--11,50-7,65

Legenda

B.P. = Brigantino a palo;

B.    = Brigantino;

B.G. = Brigantino goletta;

N.G. = Nave goletta;

M.V. = Motoveliero

GO.  = Goletta;

RIM. = Rimorchiatore;

M/N  = Motonave

 

I bastimenti costruiti a Lavagna

(in ordine di anno di varo)

Tipo Nome----------Costruttore--------  Armatore-------Stazza----Anno Varo

TRB MADONNA DEL CARMINE-----------Albrizio---------------71----1851

B.P. SOLARI BRIGNARDELLO ------------Solari Brignardello 660----1864

B.P. GIULIA A..----------------------------Repetto Fu G.----- 496----1865

B.P. LAVAGNA-------D.Briasco.-----------V.Benvenuto D.S. -641----1865

B.P. BISMARCK------Borzone ------------T. Ravano fu E.-----629---1865

B.P. PAMPERITA---------------------------B.Repetto-----------369---1866

B.P. SADOWA--------D.Briasco ----------G.B. Solari ----------683--1866

B.P. DANIELE------------------------------D. Delle Piane------704---1866

B.P. NUOVA GEMMA G. Saccomano------P.Schiaffino---------399---1868

B.P. PAPA GIUSEPPE REPETTO (1) G. Briasco B.Repetto-----649---1868

B.P. LAVAGNA II (poi C.ROCCA)-D.Briasco-Giulio Piaggio-------64---1868

B.P. ENTELLA G.Saccomano--------------B.Roncagliolo-------659---1868

B.P. NINA----Pasquinucci---------------- B. Repetto-----------649---1868

B.P. GIUSEPPE REPETTO(poi SBRIGATI(2)

---------------D. Briasco----------- Caneva, Pereno -----------652---1868

B.P. BENEDETTA CAIROLI (poi ANDREINA) ---------------------------------

-----------------Carbone-----------Andrea Pertusio------------516---1869

3 Alb BIANCA BORZONE----------------A. Borzone----------- 676----1869

B.P. CATERINA BIANCHI---G.Brignole-G.Bianchi -------------561----1869

B.P. GIOBATTA REPETTO---Carbone---G.B.Repetto-----------558---1869

B.P. LEGNANO-F.Rolla-------------------G.Schiappacasse-----356----1869

B.P. LUCCHINA CICHEROSaccomanno-Andrea Cichero-------506----1869

B.P. MARINA ROCCA--------------------Rocca------------------718---1869

B.P. MARINA ROCCA D.Briasco ------- Gerolamo Rocca-------681---1869

Bovo N. SIGNORA DI MONTALLEGRO --------------------------------------

--------------------G.Brignole------Muscas e Piredda-----------24---1869

B.P. TERESA ROCCA---D.Briasco-------Frat. Rocca----------- 643---1869

B.P. ANGELO CAVALLO-----------------A.Cavallo---------------505---1870

B.P. BATTISTINA-------C F.Rolla-------Craviotto---------------440---1870

B.P. GIULIO R.--------------------------Ravenna----------------547---1870

B.P. ELENA CORDANO (3) G.Brignole G.B.Schiaffino----------515--1870

B.P. LUIGIA ROCCA----D.Briasco------G.Rocca----------------603----1870

B.P. GIOVANNI D. (poi AVO G.) (4)

---------------------G.Brignole---------Francesco Razeto----- 544---1870

B.P. PROSPERO SCHIAFFINO---------- Pro Schiaffino ----------------1870

B.P. LICETI PADRE (poi RIVIERE)----- Frat. Liceti------------ 495---1871

B.P. ROMA CAPITALE (poi MARIA ACCAME e quindi FLORIDA)

(5) --------------- D.Rolla -------------F.Schiappacasse-------703---1871

 

Altre imbarcazioni costruite a Lavagna tra il 1.1.1884 e il 31.12.1893

Nome-------------Costruttore------Armatore --------Stazza

AIUTO DI DIO-------L. N. Gotuzzo---Zolezzi Domenico---11

ANGELA G.---------Brignole---Codda Giuseppe e Angelo-31

ANTONIO PRIMO ---A.Borzone--Bo Giuseppe di Fortunato-17

ARMIDA A. ------- A.Borzone -----Borzone Andrea-------9

BATTISTA --------B.Calamaro-----Toso G.B.-----------26

BIANCA MADRE----S. Borzone-----Castagnola Lorenzo---10

CONFIDENZA IN DIO--L. N. Gotuzzo-Zolezzi Stefano -----14

DOMENICA PRIMA----A. Borzone --Castagnola Domernico-14

DUE FRATELLI-------A. Borzone---Stagnaro Efisio-Nicola-13

DUE FRATELLI C-----B.A. Calamaro-Castagnola Giovanni -15

DUE FRATELLI ROMA-S. Borzone----Bregante Giov. ------18

DUE FRATELLI Z-----B. Calamaro---Zolezzi Marco-------16

FILOMENA PRIMA----D. Brignole---Stagnaro Nicolò------30

GIOVANNI GUSTAVO-L. N. Gotuzzo-Ghio Agostino --------9

GIOVANNI PADRE----L. N. Gotuzzo-Castagnola Giovanni--18

GIULIA MARIA MADRE-L. N. Gotuzzo-Ghio Stefano ------949

GIUSTINA E LUIGI B.--Calamaro-----Lena Giustina -------16

IDEA--------------A. Borzone---Maria Ghio fu Lorenzo-19

LASCIA DIRE--------S. P. Borzone -Massa Lazzaro-------10

LE DUE MARIE-------S.P. Borzone--M.Lena M. Dentone-- 10

MADRE DI DIO------B. Calamaro---Carniglia Agostino---11

MADRE ANNA MARIA-B. Calamaro--Carniglia Gius.Enrico--33

MADRE ROSA-------L. N. Gotuzzo-Chiappe Antonio-----19

MALVINA PRIMA-----A. Borzone---Canepa Tomaso------15

MARIA ISABELLA-----S.P. Borzone -Anna Maria Stagnaro---9

MARIA MADRE BELLA STELLA-A. Borzone-Dasso Domenico-14

MIA MADRE BENEDETTA- A. Borzone-Agostino Brusco-----15

MIO PADRE ANTONIO-L. N. Gotuzzo-Olivieri Fratelli fu A---12

MONTALLEGRO------L. Figallo fu N.-Raffellini G.B -------18

NUOVA ANTONIETTA-L. N. Gotuzzo--Stagnaro G.B. ------26

NUOVA CAROLINA---L. Figallo------Stagnaro Vittorio----18

NUOVA MARGHERITA-- A. Borzone--Grisso G------------15

NUOVO BRILLANTE-----A. Borzone--Bregante Francesco---19

NUOVO NICOLÒ-------A. Borzone --Cesati Attilio-B.------15

NUOVO SAN GIACOMO- L. N. Gotuzzo-Dighero Rosa ------11

NUOVO SESTRI--------G.B. Brignole--Bo Paola e Graziana- 14

ORLANDO NUOVO-----L. N. Gotuzzo- Zolezzi Antonio ----14

PADRE DOMENICO-----A. Borzone---Dasso Domenico ----13

PAGHERAI------------A. Borzone---Chiappe Agostino----14

ROSA PRIMA----------S. Borzone---Zolezzi Maria --------18

ROSA T. -------------A. Borzone --Toso P. Antonio ------16

SAN ERASMO---------B. Calamaro--Muzio Domenico -----17

SAN GIUSEPPE---------L. N. Gotuzzo-Sciaccaluga Pietro ---15

SPARVERO DI LAURIA-- F. Dall’Orso --E.E.Carniglia----------8

SAN DOMENICO S.-----B.A. Calamaro-Bregnante Domenico -18

SAN NICOLÒ----------B. Calamaro--Muzio Domenico-----10

TOMASO RICORNO-----B.A. Calamaro-Lena Tomaso -------22

TRE FRATELLI---------L. N. Gotuzzo--Ghio fratelli --------43

TRE FRATELLI P-------B.Calamaro ----Gando Agostino -----7

VINCENZO PRIMO-----A. Borzone-----Carniglia Vincenzo--16

VITTORIA PRIMA------S. Borzone -----Zolezzi G.B. -------16

VOLONTÀ DI DIO-----B. Calamaro-----Gando Pietro ------11

ZEFFIRO------L. N. Gotuzzo-- Ageno, Sciaccaluga, Boero, Celle ----15

Infine, presentiamo i collaboratori STORICI del

MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA

CHIAVARI


In alto, da sinistra a destra:

Ernani ANDREATTA, Giancarlo BOARETTO,   Paola FERRARIS,

Simonetta PETTAZZI, Francesca PERRI,  Enrico PAINI,

Francesco ULIVI, Francesco MATERNO, Carlo GATTI,

Luciano CATTARUZZA,  Mario MURA,   Luigi SENAREGA,

Paolo SERRAVALLE.

A cura del webmaster

CARLO GATTI

22 febbraio 2016

 

 

IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA (CHIAVARI)

PASSA ALLA

MARINA MILITARE ITALIANA

COMUNICATO STAMPA

SALA STORICA DELLA SCUOLA TELECOMUNICAZIONI FF AA. DI CHIAVARI

ATTO DI DONAZIONE DI ERNANI ANDREATTA E FIGLIA GABRIELLA

Giovedi 10 Dicembre 2020 ore 16.00

Alle 16.00, di Giovedi 10 Dicembre c.a., presso il noto studio notarile del Dott. Alberto CECCHINI in Chiavari, si è concluso l’atto di donazione del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari allo Stato Maggiore della Marina.

La parte donante   era costituita dal Comandante Ernani Andreatta, fondatore e curatore del museo stesso, e dalla figlia Gabriella in Westermann che per alcuni numerosi reperti ne era proprietaria. Il Capitano di Vascello Nicola Chiacchietta, per una importante parte di reperti, ha firmato la donazione per la scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari, mentre il Capitano di Vascello Leonardo Merlini ha firmato la donazione per conto del Museo Tecnico Navale di La Spezia. In questo secondo elenco sono contemplati preziosi cimeli di epoca Marconiana   come le radio degli anni ‘20 e ‘30 e altri reperti originali appartenuti alla nave laboratorio “Elettra” di Guglielmo Marconi. Detti beni, viene specificato nell’atto di donazione, rimarranno però collocati nella sezione "MUSEO MARINARO TOMMASINO - ANDREATTA" presso la Scuola Telecomunicazioni FF.AA. di Chiavari ma potranno essere impiegati, a insindacabile giudizio della Marina Militare, in altre sedi per scopi culturali e di promozione della storia marittima e navale. Non escluso, aggiunge Andreatta anche l’importante “Cantiere della Memoria” di La Spezia semprechè questo ne faccia richiesta alla Marina Militare.

Dopo essere passati attraverso varie commissioni, in quanto il valore storico e scientifico dei reperti doveva essere valutato dallo Stato Maggiore della Marina prima dell’acquisizione, la donazione ha seguito un lunghissimo iter di quasi 10 anni ma solo nel 2020 ha subito una insperata “accelerazione” per le varie autorizzazioni grazie all’impegno del C.V.  Nicola Chiacchietta Comandante della Scuola TLC e del Capitano di Fregata Marco Rainoldi, Direttore della Sala Storica della Scuola. La donazione ha potuto aver luogo anche per l’impegno dell’Ammiraglio di Squadra Alberto Bianchi che al tempo del suo incarico di Comandante delle Scuole della Marina Militare diede per primo il suo benestare che ha potuto concretizzarsi soltanto con le importanti autorizzazioni concesse dall’Ammiraglio di Divisione Giorgio LAZIO Comandante in Capo di Marina Nord che ha sede a La Spezia.

Hanno contribuito alla concessione della donazione anche il Capo di Stato Maggiore Amm.  Isp. Davide Gabrielli.

Altre autorizzazioni sono pervenute dall’Ufficio di Consulenza Legale del Comando Marittimo Nord nella persona del Consulente Legale C.V. Giuseppe Sfacteria, dove   il Capitano di Corvetta Ludovica Sarcina era il responsabile incaricato della trattazione della pratica.

Il definitivo atto di donazione è stato quindi autorizzato dallo Stato Maggiore della Marina Militare considerando appunto l’interesse della Marina Militare ad accettare la menzionata donazione, tenuto conto del “valore culturale e storico” della stessa. Sono oltre 800 mq. di importantissimi reperti e cimeli che proiettano Chiavari in un posto di grande rilievo culturale di mare assieme al Museo Tecnico Navale di La Spezia ed al Museo Storico Navale di Venezia. Attualmente questi musei sono tutti chiusi in attesa che l’imminente vaccino ci porti fuori dalla pandemia del Covid 19.

I due Testimoni richiesti all’atto di donazione non potevano che essere Giancarlo BOARETTO e la sua gentile Consorte Paola FERRARIS che sono stati fondamentali per la conservazione del Museo Marinaro. Vorrei ricordare che il Museo Marinaro era entrato alla Scuola TLC di Chiavari in forma temporanea nel 2008 autorizzato Capitano di Vascello Giuseppe Bennardi Comandante pro tempore della Scuola a quella data. Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, è stato fondato a Chiavari nel Rione Scogli il 7 Luglio 1997.  Era stato originato da una cospicua donazione di Franco “Mario” Tommasino co-fondatore del Museo che però purtroppo è mancato un anno dopo nel 1998. Si sono aggiunti così molti preziosi utensili dei Maestri d’ascia e Calafati dei Cantieri Gotuzzo che si sono presto sommati a numerose donazioni dei nipoti delle maestranze che avevano lavorato nei Cantieri degli Scogli. La sua prima sede è stato proprio nell’antica Casa Gotuzzo, costruita nel lontano 1652, dove aveva occupato tutti i fondi disponibili. Nel 2001 il Museo veniva trasferito a San Colombano Certenoli nella balconata dell’Expò Fontanabuona a Calvari su richiesta dell’allora presidente dell’expò Dott. Angelo Barreca. Nel 2008 veniva ulteriormente trasferito alla Scuola Telecomunicazioni FF AA per lungimirante concessione, come detto, del Comandante Pro Tempore di allora C.V. Giuseppe Bennardi.  Nel 2013 subiva un altro trasloco interno alla Scuola TLC che gli destinava più idonei e congrui locali e spazi.

Il 13 Ottobre 2014 La Sala Storica ed il Museo Marinaro subivano la disastrosa alluvione che invadeva con acqua e fango, per una altezza di 60 cm di altezza tutte le sale museali. Per fortuna tutti i preziosi cimeli e reperti erano a circa 90 cm e pertanto la marea d’acqua e fango non ha distrutto fisicamente nulla. Ma le pulizie e le manutenzioni sono durate circa 6 mesi.

Con tre traslochi e una alluvione ho avuto uno straordinario aiuto da alcuni volontari che voglio qui nominare. In primo luogo i summenzionati Giancarlo BOARETTO e consorte Paola FERRARIS quindi nel tempo Enrico Paini, Francesca Perri, i giovani Francesco Ulivi e Francesco Materno, e i radio amatori Mario Mura, Paolo Serravalle e Luigi Senarega. Non ultima mia moglie Simonetta Pettazzi che ancora adesso, quando libera da impegni, continua a collaborare nei definitivi inventari dei reperti e nelle pulizie delle sale Museali.  Ultimamente la Scuola TLC ha stipulato un accordo di collaborazione con l’associazione Culturale il SESTANTE sia con il Past Presidente Enzo Gaggero, uno dei più grandi esperti d’Italia di cieli stellati, e il Nuovo Presidente Sergio Falcone coadiuvato dai soci Piergiorgio Ricotti, Debora Ottone, Domenico Canepa, Sandro Arpe e Mauro Pecorari.

Ho anche il piacere di ringraziare il Notaio Alberto CECCHINI per essere riuscito a districarsi nella impervia navigazione attraverso le istituzioni della Marina Militare dove ha naturalmente trovato un grande aiuto, come “piloti”, da parte dei Com.te Chiacchietta e Rainoldi. La sintesi dell’atto di donazione è stata da tutti molto apprezzata nonostante all’inizio ci fosse “molta nebbia all’orizzonte” come si dice in termini marinari!

In tutti questi anni ho molto apprezzato il sostegno e non solo dell’Associazione Culturale “Mare Nostrum” di Rapallo in particolar modo dal suo storico presidente Comandante Carlo Gatti e dal compianto scrittore e giornalista Emilio Carta. Da molti anni la storia del Museo Marinaro può essere immediatamente visionata nel sito www.marenostrumrapalo.it cliccando sull’icona a tendina sempre presente nel sito. Così come essendo socio UNUCI (UNIONE NAZIONALE UFFICIALI IN CONGEDO D’ITALIA) di Chiavari e socio ANMI (ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA) di Santa Margherita Ligure e Rapallo dove ho tanti “vecchi” amici come l’ex AUCD sommergibilista Luciano Cattaruzza e ne ho conosciuto e apprezzato molti altri nuovi perché tutti legati alla cultura di mare

Ma, se la storia Marinara di Chiavari è stata riportata alla luce, posso orgogliosamente affermare che soltanto per l’impegno e la disponibilità della Marina Militare ha potuto concretizzarsi grazie alla messa a disposizione dei locali della Scuola Telecomunicazioni FF. AA. di Chiavari. Voglio qui ringraziare tutti i Comandanti pro tempore della Scuola non ultimo quello che ha concluso, concretamente, questo lungo itinerario e cioè il C.V. Nicola CHIACCHIETTA. Una speciale menzione di ringraziamento al C.F. Marco Rainoldi per avermi sempre aiutato, con professionalità e pazienza, nella donazione conclusa in questi giorni. Non voglio dimenticare il Comandante Silvano Benedetti che aveva iniziato la pratica di donazione nel lontano 2011 e conclusa solo ieri, i passati aiutanti Maggiori come Luigi Pansa e Vito Casano così come i Marescialli Giovanni Maresca, Maurizio Venuto e Antimo Sternativo. Amedeo Devoto un genio del Rione Scogli ha avuto un posto preminente anche nel diorama del Rione Scogli costruito con il validissimo aiuto di Giancarlo Boaretto, così come lo ha avuto Stefano Risso detto “Nitti” anche lui un genio degli Scogli ormai scomparso.

Purtroppo, carenti se non assenti sono stati i contributi e gli aiuti da certe istituzioni civili di Chiavari. Ma voglio qui ricordare che il Comune di Chiavari con l’attuale Sindaco Marco di Capua ha intitolato a “LUNGOMARE DEI GOTUZZO” - Costruttori Navali, la passeggiata dove sino al 1935 sono stati varati tanti grandi velieri proprio dai tre GOTUZZO, FRANCESCO detto Mastro Checco, dal Figlio LUIGI e dal Nipote EUGENIO detto “Mario”. Un grande ricordo molto apprezzato da tutti che ha fatto dimenticare le costruzioni denominate in seguito “la Montecarlo degli Scogli” per la loro “esuberanza architettonica”.

Il Museo Marinaro è stata una mia fatica che ho condotto con il solo aiuto di pochi volontari   pensando che con la volontà si può arrivare a tutto. E così è stato, ringraziando ancora coloro i quali hanno partecipato volontariamente a questa impresa più che decennale e che certo non termina qui.

PRO SCHIAFFINO, presidente onorario e grande storico del Museo Marinaro di Camogli ha  spesso affermato:  "Chiavari aveva molto di più di Camogli perché aveva anche importantissimi Armatori e Cantieri Navali che Camogli non aveva per questioni di spiaggia”. Ma Chiavari,  continuava Schiaffino,  è la  prima di tutte le cittadine della riviera, anche di Camogli,  ma a Chiavari non l’avete mai capito !

Mi spiace constatarlo, ma a Chiavari manca completamente la cultura del mare  e certe  istituzione civili non hanno  mai capito l’immensa storia di lavoro e di fatica che per secoli è stata protagonista costruendo  e varando  centinaia di grandi e maestosi velieri oceanici attraverso i suoi Cantieri navali, dei  Gotuzzo, dei Tappani e dei Beraldo e  all’operato di grandi armatori, come i Dall’Orso che sono arrivati a possedere oltre 50 velieri che andavano in tutto il mondo a commerciare e a trasportare merce.

Un ultimo grande pensiero ai “miei” Pescatori degli Scogli che ho conosciuto tutti nel dopoguerra e che ho fatto conoscere attraverso il volume di “Chiavari Marinara- Storia del Rione Scogli”. Così, dopo l’epoca della grande navigazione a vela in cui Piazza Gagliardo era soprannominata “CIASSA DI BARCHI”, il suo nome popolare di “PIAZZA DEI PESCATORI” è giustamente diventato un simbolo di questa epopea che anche nei Pescatori è stata grande come “quell’epoca eroica della vela” purtroppo spesso dimenticata.  Ma basta visitare il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, che ora fa parte integrante anzi è di proprietà della Sala Storica della Scuola Telecomunicazioni FF.AA. per rendersi conto di quanto affermo. GRAZIE MARINA MILITARE!

Grazie per l’attenzione.

S.T. di Vascello  e Comandante di Marina Mercantile

Ernani Andreatta

Allegate fotografie dell’atto di donazione.

 


COMMENTO

La lettura del RAPPORTO sul passaggio delMUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA alla MARINA MILITARE ITALIANA, ci offre l’occasione di ONORARE un grande Campione: il Comandante Ernani Andreatta (foto sopra), il quale ha speso gran parte della sua vita per “conoscere il mare e amarlo profondamente”.

Ma la sua grande sfida é stata quella di traferire i suoi SENTIMENTI MARINARI a tutti noi, amici della sua infanzia che, a quel mondo di velieri e di navi ci siamo dedicati, prima da giovani e poi da adulti seguendo la sua scia luminosa che ancora oggi ci attrae come la cometa in questi giorni di festa.

Tuttavia, la sua sfida é andata oltre! Con le numerose battaglie vinte e perse, tra delusioni sofferte ma anche gratificanti é riuscito a creare un interesse intorno ai suoi reperti marinari che dal basso é salito prima lentamente, e poi vertiginosamente verso i piani alti della cultura navale italiana.

Oggi, come leggiamo nel rapporto, il nostro Nanni é felice, e noi con lui, per aver raggiunto il suo massimo obiettivo: il salvataggio di importantissimi reperti navali che saranno custoditi nelle mani della nostra Marina Militare, la quale sarà sempre VIGILE su quella storia di uomini e navi anche quando noi ce ne saremo andati a navigare tra le nuvole…

In questo “passaggio di consegne”, non solo generazionale, il testimone porta con sé sentimenti antichi e moderni che affondano le radici in due parole che si assomigliano: mare e amore, due valori che nel “duro” Nanni appaiono poco, ma noi sappiamo quanto siano presenti in ogni suo atto compiuto i tutti questi anni.

Nanni, noi ti ringraziamo per le parole che hai dedicato nel RAPPORTO a Mare Nostrum Rapallo, al suo sito che conserva i risultati del tuo immane lavoro e che oggi, con le sue 55.000 visite, é testimone del suo VALORE, del tuo VALORE!

 

Carlo GATTI

 


TORRE MARCONI - SESTRI LEVANTE

TORRE MARCONI

 

SESTRI LEVANTE

 

Il 15 giugno 1927 Guglielmo Marconi sposò Maria Cristina Bezzi-Scali. La loro figlia fu chiamata Maria Elettra Elena Anna. Anche il panfilo che ospitò molte ricerche in varie parti del mondo si chiamò Elettra.

Gli esperimenti effettuati nel golfo del Tigullio avevano come postazione a terra una TORRE, posta sulla penisola di Sestri Levante, che successivamente prese il nome di TORRE MARCONI, mentre nelle carte ufficiali della Marina italiana il golfo del Tigullio assunse il nome di: GOLFO MARCONI.

 

 


La nave laboratorio ELETTRA a Sestri Levante

Dipinto di Amedeo Devoto

 

 

Guglielmo Marconi nella sua postazione sull’ELETTRA

 

 


Sestri Levante – Baia del Silenzio

La freccia indica la posizione della TORRE MARCONI

Nominativo di chiamata 

IY1TTM

Non molti sanno che al culmine della penisola di Sestri Levante esiste la Torre Marconi dalla quale lo scienziato italiano portò a termine la parte tecnologicamente più avanzata dei suoi esperimenti.

 

 


Sentiero che porta alla Torre Marconi

 

Sulla penisola, immediatamente fuori le mura, un breve percorso conduce alla “Torre Marconi”, compresa attualmente nel Parco del Gran Hotel dei Castelli – edifici costruiti per volere dell’industriale piemontese Riccardo Gualino  e situata sul punto della penisola di massima visuale: nelle giornate limpide la vista abbraccia buona parte della costa ligure di ponente, oltre al tratto di mare verso punta Manara. Le torri costituivano certamente un elemento fondamentale di avvistamento e di segnalazione in rapporto alla fortezza. 

Il manufatto, di sezione circolare, ha un’altezza di circa 10 metri su tre piani, ed è interamente in mattoni. Nell’impossibilità di stabilire il periodo dell’originaria edificazione, si può in ogni caso ipotizzare che ricalchi una o più precedenti fondazioni: le carte e le stampe antiche indicano, infatti, un mastio al di sopra del sentiero, proprio nel punto dove oggi sorge la torre; si può anche pensare che in questa parte del promontorio esistesse più di un punto di osservazione: in un luogo più elevato della penisola,  nei pressi della torre, sono visibili i resti di un altro manufatto di epoca imprecisata, una torricella costruita con grosse pietre regolari e rovinata nella parte sud per un crollo: forse di antica origine, probabilmente utilizzata come “batteria” in tempi più recenti; apparati di questo genere sono indicati, nelle carte del settecento, in svariati punti dell’isola. 

Dopo secoli di abbandono la Torre è stata nuovamente utilizzata nel corso del Novecento, grazie alla sua posizione strategica sul mare; Riccardo Gualino, proprietario dagli anni venti di parte della penisola, amico di Guglielmo Marconi, lo invitò ai Castelli e gli mise a disposizione la torre, dove lo scienziato condusse numerosi esperimenti tra il 1932 e il 1934.

 

 

Il 30 luglio 1934, alla presenza di tecnici, ufficiali della Marina Italiana e Inglese e di numerosi rappresentanti della stampa, Marconi coronò con successo i suoi esperimenti sulla possibilità di utilizzare le microonde per ottenere un sistema di radiotelegrafia da applicarsi alle navi in condizioni di scarsa visibilità o nulla: salpata da Santa Margherita, la nave Elettra si diresse verso Sestri Levante, sul cui promontorio era stato installato il radiofaro; a circa 800 metri da questo si trovavano disposte due boe distanziate tra loro di 100 metri, tra le quali l’Elettra passò con precisione, guidata unicamente dai segnali emessi dal radiofaro. 

Dal 1971 la Torre è custodita dai radioamatori della sezione A.R.I. (Associazione Italiana Radioamatori) di Sestri Levante (IY1 e’ il nominativo speciale assegnato alla torre), grazie ai quali perdura l’originaria funzione di trasmissione, “avvistamento” e segnalazione della costruzione. Nel seminterrato ci sono due piccoli magazzinetti, al pianterreno c’è un piccolo salotto e sulle pareti sono appese diverse fotografie di Guglielmo Marconi e del panfilo “Elettra”; una scala a chiocciola porta al piano superiore dove c’è la sala radio. Si può accedere al tetto a terrazza attraverso una botola. 

Per questo motivo la storica “Torre Marconi” rappresenta da sempre la sede ideale dei radioamatori di Sestri Levante e di tutto il Golfo del Tigullio; non a caso sulle carte nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina tale golfo é riportato con il nominativo: Golfo Marconi per gli studi svolti dallo scienziato nella Riviera di Levante. Dai tempi di Guglielmo Marconi il nominativo di chiamata della stazione radio, presente all’interno della Torre, é il seguente: IY1TTM ed é conosciuto in tutto il mondo.

Bibliografia: 

-Albertella L., Fortificazioni, edifici ecclesiastici, borghi nella Liguria di Levante nel Medioevo: comune di Sestri Levante, tesi inedita, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1986/1987, relatore Prof.ssa Colette Bozzo Dufour, pp. 127-130.

-La torre Marconi, a cura della sezione A.R.I. di Sestri Levante (Associazione Radioamatori Italiani, www.radiomar.net)

 

 

 

TORRE MARCONI

 


La tromba delle scale della Torre Marconi che é accessibile da una botola sul tetto della Torre stessa.

 


Torre Marconi a Sestri Levante vista dalla Baia del Silenzio

 

 

Guglielmo Marconi

(Bologna 25 aprile 1874 – Roma 20 luglio 1937)

 

 

 

1932-Santa Margherita Ligure. Guglielmo Marconi con la moglie, marchesa Maria Cristina Bezzi-Scali (Roma, 2 aprile 1900 – Roma, 15 luglio 1994) seconda moglie dello scienziato e madre di Elettra.

 

 

 


1906 - Una Stazione Radio MARCONI, Capo Cod, Massachusetts, Stati Uniti di Marconi  

 


Antenna Marconi

 

Il giovane MARCONI

 

Museo Marinaro Tommasino Andreatta Chiavari

Cuffia “Brown”

(adoperata dal marconista dell’Elettra)

Gran Bretagna, 1925

Dimensioni: cm 20x10x18

Materiali: metallo, bachelite

Donazione Franco Tommasino

M.M.T.A. – Invent. n. 109

 


 

Questa cuffia, in uso presso la stazione radiotelegrafica dello yacht “Elettra”, la nave a bordo della quale Guglielmo Marconi condusse i suoi più importanti esperimenti, fu donata a Mario Tommasino da Adelmo Landini, operatore radio di bordo.

 

 

 

Al centro della foto la Signora Elettra Marconi a braccetto del Comandante Ernani Andreatta, Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari. La foto é stata scattata nel giardino che circonda la Torre Marconi.

 


 

Elettra Marconi, in visita al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, ammira la perfezione del modello della nave laboratorio ELETTRA che porta il suo nome. Di questo eccezionale “modello” ne esiste soltanto un’altra copia presso la  sede della RAI di Torino.

Da sinistra: Guglielmo Giovannelli Marconi figlio di Elettra, Franco Tommasino detto “Mario” (autore del modello) co-fondatore del Museo marinaro, Elettra Marconi e la signora Erminia Gueglio, moglie di Franco Tommasino.

 


 

La foto é stata scattata nel salone della Caserma di Caperana-Chiavari. Da sinistra, la signora Elettra Marconi, il Capitano di Vascello Vincenzo Rinaldi, Comandante della Scuola TLC, il Comandante Ernani Andreatta, il radioamatore Giuliano Corradi amico di Elettra Marconi, il Maggiore Gigi Pansa Aiutante del Comando.

 

 

Una bella immagine dell’ELETTRA nelle nostre acque

 

 

Guglielmo Marconi nella Stazione Radio della nave laboratorio ELETTRA

 

 

 

Guglielmo Marconi con padre Alfani all’inaugurazione della stazione di radiotelegrafica dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze

 

 

 

I RADIOAMATORI EREDI DI GUGLIELMO MARCONI 

OGGI NELLA TORRE CHE PORTA IL SUO NOME

 

 

IY1TTM – TORRE MARCONI – Interni

 


Montallegro - Rapallo

 


Scultura in rilievo della ELETTRA di G.Marconi su una parte di CARENA della nave stessa.

 

L’opera si trova a Villa Durazzo – Santa Margherita Ligure, teatro di molti esperimenti di Marconi in rada, in navigazione nel Tigullio e in porto a Santa Margherita Ligure.

 

ALCUNE ANTENNE POSIZIONATE DAI RADIOAMATORI SULLA TORRE MARCONI

SESTRI LEVANTE


 

 


 

 

BIOGRAFIA DI GUGLIELMO MARCONI

 

  • Radio radianti

Premio Nobel per la fisica nel 1909, Guglielmo Marconi nasce il 25 aprile 1874. Trascorre l’infanzia a Pontecchio, Villa Griffone, cittadina vicino a Bologna, dove sviluppa le prime curiosità scientifiche e matura la sua grande scoperta, l’invenzione della radio. E’ proprio qui infatti che lo scienziato lancia da una finestra, tramite l’invenzione di un’antenna trasmittente, il primo segnale di telegrafia senza fili, nell’anno 1895, attraverso quella che diverrà poi “la collina della radio”.

Marconi dedicherà tutta la sua vita allo sviluppo e perfezionamento delle radiocomunicazioni. Studia privatamente; ha vent’anni quando muore il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz: dalla lettura delle sue esperienze Marconi prenderà ispirazione per quei lavori sulle onde elettromagnetiche che l’occuperanno per tutta la vita.

Forte delle sue scoperte e galvanizzato dalle prospettive (anche commerciali) che potevano aprirsi, nel 1897 fonda in Inghilterra la “Marconi’s wireless Telegraph Companie”, non prima di aver depositato, a soli ventidue anni, il suo primo brevetto. I benefici della sua invenzione si fanno subito apprezzare da tutti; vi è un caso in particolare che lo dimostra in modo clamoroso: il primo salvataggio, a mezzo appello radio, che avvenne in quegli anni di una nave perduta sulla Manica.

Nel 1901 vengono trasmessi i primi segnali telegrafici senza fili tra Poldhu (Cornovaglia) e l’isola di Terranova (America settentrionale). La stazione trasmittente della potenza di 25 kW posta a Poldhu Cove in Cornovaglia, come antenna dispone di un insieme di fili sospesi a ventaglio fra due alberi a 45 metri d’altezza, mentre la stazione ricevente, posta a St. Johns di Terranova, è composta solo da un aquilone che porta un’antenna di 120 metri.

Il 12 dicembre 1901 per mezzo di una cuffia e di un coherer vengono ricevuti i primi SOS attraverso l’Atlantico. Così Marconi, non ancora trentenne, è carico di gloria e il suo nome già famoso. Queste sono state le prime trasmissioni transatlantiche.

Nel 1902, onorato e celebrato in ogni dove, Marconi compie alcune esperienze sulla Regia nave Carlo Alberto, provando inoltre la possibilità dei radiocollegamenti tra le navi e con la terra.

Pochi anni dopo, i 706 superstiti del noto disastro del TITANIC devono la salvezza alla radio e anche per questo l’Inghilterra insignisce Marconi del titolo di Sir, mentre l’Italia lo fa Senatore (1914) e Marchese (1929).

Nel 1914, sempre più ossessionato dal desiderio di allargare le potenzialità degli strumenti partoriti dal suo genio, perfeziona i primi apparecchi radiotelefonici. Inizia poi lo studio dei sistemi a fascio a onde corte, che gli permettono ulteriori passi in avanti oltre alla possibilità di proseguire quegli esperimenti che non si stancava mai di compiere. In questo periodo si interessa anche al problema dei radio-echi.

Nel 1930 viene nominato presidente della Real Accademia d’Italia. Nello stesso anno inizia a studiare le microonde, preludio all’invenzione del radar.

Guglielmo Marconi muore a Roma all’età di 63 anni, il 20 luglio 1937, dopo essere stato nominato dottore honoris causa dalle università di Bologna, di Oxford, di Cambridge, e di altre università italiane, senza dimenticare che all’Università di Roma è stato professore di radiocomunicazioni.

La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell’esistenza: sono contento di essere cristiano.

Guglielmo Marconi

 

Su questo sito di MARE NOSTRUM RAPALLO, nella sezione Storia Navale, pag.5 – Trovate l’articolo: 

QUANTE VITE SALVO’ GUGLIELMO MARCONI…– 14.115 visite circa in data odierna.

 

 

 

 

A cura di 

Carlo GATTI

Rapallo, 9 Febbraio 2018

 

 

 

 

 

 


PROPULSORI VOITH SCHNEIDER

PROPULSORI VOITH SCHNEIDER

Il propulsore Voith Schneider noto anche come unità cicloidale è uno speciale sistema di propulsione marina. È altamente manovrabile, in grado di cambiare la direzione della sua spinta quasi istantaneamente. È ampiamente utilizzato su rimorchiatori e traghetti.

Funzionamento

Principio di funzionamento del propulsore Voith Schneider

Nel fondo del rimorchiatore è presente un piatto circolare, in grado di ruotare attorno ad un asse verticale, dal quale sporgono una serie circolare di pale verticali di forma appropriata. Ogni pala può ruotare a sua volta attorno ad un asse verticale. Un ingranaggio interno cambia l'angolo di attacco delle pale in sincronia con la rotazione del piatto, in modo che ogni pala possa fornire la spinta in qualsiasi direzione. L'angolo di attacco di tutte le pale viene cambiato in modo sincronizzato, in modo tale che la spinta propulsiva di ciascuna pala vada a sommarsi a quella delle altre pale così da rendere massima la spinta stessa in una precisa direzione

Il Propulsore Voith Schneider (VSP) combina la propulsione ed il timone in una unica unità. Questa unica soluzione di propulsione è stata sviluppata più di 85 anni fa dall’ Ingegnere austriaco Ernst Schneider. Oggi i Propulsori Voith Schneider sono usati in tutto il mondo ovunque sia richiesta la precisione, la sicurezza e l’efficienza della manovra

Da specialista di sistemi di propulsione la Voith offre una vasta gamma di opzioni di controllo del sistema i cui comandi possono essere trasmessi sia meccanicamente che elettronicamente. Ciascun sistema viene adattato alle caratteristiche dell’impianto di propulsione e alle condizioni operative, garantendo sempre un ottimo controllo ed efficiente operatività della nave

Sistema di controllo elettronico

Per i propulsori Voith Schneider e per quelli radiali, la Voith offre un sistema di controllo elettronico che consiste in un insieme hardware e software con una vasta gamma di funzioni di controllo e interfaccia standardizzati. Comandi veloci ed un esatto controllo del sistema di propulsione, diagnostica remota via internet sono solo una parte dei vantaggi di questo sistema.

Sistema di controllo Meccanico

Assolutamente affidabile, semplice da usarsi e facile da manutenzionare, caratteristiche che hanno fatto il sistema meccanico di controllo dei Voith un punto fermo per decenni. Esso è principalmente usato in quelle installazioni con minima distanza tra il ponte di comando ed il propulsore, come nel casa dei Voith Water Tractors. Addizionali componenti elettronici, ad esempio l’autopilota, possono essere integrati a mezzo di attuatori. In aggiunta vari componenti optional, servomotori ausiliari, sono disponibili per aumentare la facilità di manovra.

Longevità dei propulsori VOITH

Durante il mio lavoro nel cantiere di Valencia mi era stato mostrato un nuovo rimorchiatore sul quale erano montati due propulsori Voith prelevati da un altro rimorchiatore costruito 30 anni prima e mandato alla demolizione. I due propulsori erano ancora perfettamente funzionanti e hanno avuto solo bisogno un normale intervento manutenzione con sostituzione di alcuni componenti di usura.

Pino SORIO

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Prima fabbrica VOITH

Ernst Schneider

Varo UHU prina nave con propulsori VOITH

Rimorchiatore con sistema VOITH

VSPREAL

VPS Spaccato

VOITH SCHENEIDER animation

VPS Forces

Costruzione

Blocco Prora

Allineamento blocchi sullo scalo

Posizionamento Blocco Poppa

Posizionamento Blocco Prora

Costruzione

Costruzione

Montaggio Macchina alesatrice per basamento

Lavorazione finale basamento

Montaggio Pale

Montaggio Pale

Montaggio Pale

Montaggio Pale

Particolare Pala

Inserimento VOITH

Particolare inferiore Pala

Vista Pale dopo montaggio

Insieme Pale

Parte Superiore VOITH

Spaccato Rimorchiatore

Vista Inferiore

Simulatore

Controllo meccanico

Console Comando VOITH

Manovratrice specializzata

Prove di Velocità

La Partenza

 

Segnaliamo due FILMATI interessanti che illustrano la notevole capacità manovriera del sistema:

- Outstanding Maneuverability of a Voith Water Tractor (VWT)
(2’16”)

- How a Voith Schneider or Cycloidal Drive Propulsion System Works (57’’)

 

PINO SORIO

 

Rapallo, 27 gennaio 2016

 

 

 


MANOVRA IMPORTANTE NEL PORTO DI GENOVA

 

30 novembre 2015

MANOVRA IMPORTANTE NEL PORTO DI GENOVA

YM Wondrous

CALATA SANITA’ - SECH


Genova, ecco la nave da 14 mila containers

Giornata importante al porto storico di Genova dove per la prima volta è entrata una nave da 14 mila containers. È la YM Wondrous, lunga 367 metri. Ripartita dopo poche ore senza aver effettuato alcuna operazione commerciale: il suo arrivo è stato solo un test di manovrabilità, spiega il dottor Aldo Negri (direttore commerciale di Yang Ming Italia).

Spiega Negri: «Quello di oggi è stato un test per la nave, che fa un servizio regolare tra Nord Europa e Estremo Oriente. La nave ha fatto tappa a Genova per capire se questo tipo di navi potranno essere messe in servizio regolare, già dalla prossima primavera. Oggi esiste già un servizio su questa tratta ma Yang Ming vorrebbe inserire in questo servizio navi più grandi. La necessità, per la compagnia, era quella di capire se esistevano gli spazi di manovra utili per operare con questo tipo di portacontainer e tutto sembra essere andato per il meglio».

Continua Negri: «Il mercato chiede questo tipo di navi, il porto di Genova a questo si deve adeguare: è emblematico essere riusciti ad accogliere questa nave nel porto storico di Genova. Finora navi di queste dimensioni attraccavano solo al VTE (Voltri Terminal Europa). Questo è l’ennesimo tassello che l’Italia e Genova mettono a disposizione del mercato».

SEGUE UNA INTERVISTA INEDITA DELL'ASSOCIAZIONE MARINARA MARE NOSTRUM RAPALLO AL SOCIO  COMANDANTE JOHN GATTI, CAPO PILOTA DEL PORTO DI GENOVA, SULLA MANOVRA D’ENTRATA E USCITA  A CALATA SANITA' (SECH).

1) - Gli esperimenti come quello realizzato oggi con la YM WONDROUS comportano sempre dei rischi: se l’esperimento riesce, il merito é di tutti, se l’esperimento andasse storto non ci sarebbero dubbi su chi dover “impalare”...  Il merito del successo che le si attribuisce é quindi proprio quello di aver deciso e rischiato in prima persona con molto coraggio. E’ così?

R) - In realtà il discorso non può essere circoscritto al solo tempo di durata della manovra. L’aver svolto la delicata operazione entro limiti accettabili di rischio, ha imposto uno studio accurato di tutti gli elementi critici, giornate intere trascorse su simulatori di altissimo livello alla Force Technology di Copenaghen, valutazioni precise delle caratteristiche della nave ottenute provandola dal vero ad Amburgo e confronti approfonditi, durante il quotidiano incontro al “Tavolo Tecnico”, con la Capitaneria e gli altri Servizi Tecnico Nautici.

Durante la manovra mi sono servito, inoltre, dell’ausilio di un PPU (Portable Pilot Unit), uno strumento che utilizziamo proprio per la gestione delle navi più grandi.

E’ comunque vero che tutte le manovre “sperimentali” sono caratterizzate da una percentuale di rischio difficilmente quantificabile in anticipo e che, alla fine, la componente umana è sempre quella decisiva.


2) -  Si dice che queste navi di quasi 400 metri di lunghezza abbiano una potenza ridotta al 25% nella marcia indietro, con gravi rischi sulla capacità di fermarsi entro spazi di sicurezza. Anche l’elica trasversale di prua é molto debole rispetto alla mole da spostare. Ci può spiegare il motivo per cui vengono costruite navi con queste limitazioni in piena “era tecnologica”? Ci può inoltre spiegare se ci sono ragioni economiche  dietro queste défaillances tecniche?

R) - Oggigiorno sono molte le navi che offrono una risposta a marcia indietro decisamente sproporzionata rispetto alla marcia avanti. Il motivo di questa caratteristica negativa è legato alla forma delle pale delle eliche. Contestualmente all’elevarsi del prezzo del petrolio, sono stati sviluppati studi per cercare di ottimizzare la resa nella marcia avanti legandola a consumi ridotti il più possibile. Questi studi hanno portato allo sviluppo della forma delle pale delle eliche, ottimizzandole per il moto avanti, a discapito della resa a marcia indietro. Se per certe tipologie e misure la cosa può essere comunque gestita, ben diverso è il discorso su navi sopra i trecento metri che devono evoluire in spazi ristretti. Spesso sono anche navi che hanno il “molto adagio avanti” compreso tra i nove e gli undici nodi che, in un porto come quello di Genova, dove hai tre/quattro scafi a disposizione per fermarle, si capisce bene che avere a disposizione soltanto il 25% della potenza è ben poca cosa. Nel caso della YM Wondrous, effettivamente, anche l’elica prodiera di manovra si è dimostrata piuttosto insufficiente. Tengo a precisare che, a parità di misure, le navi portacontainer presentano caratteristiche molto diverse tra loro: una buona percentuale è caratterizzata da sistemi di propulsione e di manovra assolutamente adeguati.


3) -  Si dice anche che le grosse navi ORE-OBO-BULK di 20-30 anni fa, certamente non così lunghe, installassero turbine con le stesse limitazioni di potenza nella marcia indietro, proprio come nei motori Diesel del tipo montato sulla YM Wondrous, vista oggi. Nulla di nuovo sotto il cielo?

R) - Credo che i ragionamenti di oggi seguano rotte diverse rispetto al passato. Il risparmio, l’efficienza, la competitività sono valori assoluti che vengono tradotti in progetti, cercando di mantenere la sicurezza ad un livello tale che possa influenzare il meno possibile i costi. A volte si esagera, ed escono fuori navi con limiti operativi anche importanti.


4) – Ci sono altre difficoltà tecniche di manovra oltre a quelle accennate? Equipaggi ridotti? Visibilità scarsa dal Ponte di Comando? Difficoltà nelle comunicazioni?

R) - Non amo entrare in polemica, ma è innegabile che esistono, in percentuale purtroppo ragguardevole, equipaggi impreparati anche a gestire la quotidianità. A cui dobbiamo aggiungere l’importante superficie velica offerta al vento, i pescaggi, la visibilità limitata dalla lunghezza delle navi e dai muri di container che trasportano, gli spazi ristretti consentiti da porti nati per navi lunghe la metà, e così via.


5) – Dopo il riuscito esperimento d’attracco al SECH si sono lette dichiarazioni, a nostro parere azzardate se non addirittura trionfalistiche sull’esito della manovra effettuata in bonaccia o quasi. A nostro modesto avviso, andrebbero esaminate sul campo le difficoltà imposte dai venti turbolenti che investono la nostra regione da tutti i quadranti. Avete in programma altre manovre per stabilire i limiti operativi di vento, mare e correnti?

R) - A Genova, fortunatamente, esiste un “sistema” collaudato e molto efficiente di gestione dell’operatività portuale. Intendo dire, che  tutte le parti coinvolte si sono date, e si danno, molto da fare per migliorare e rendere possibile tutto quello che fino a poco tempo fa sembrava utopia: i terminalisti hanno fatto importanti investimenti per adeguare gru, parabordi, bitte, illuminazione, dragaggi, ecc; l’Autorità Marittima, coadiuvata dai Servizi Tecnico Nautici, ha proposto e preteso importanti cambiamenti e adeguamenti da apportare nel pieno rispetto della sicurezza; da parte nostra abbiamo investito nella tecnologia, nei corsi, nelle simulazioni, nello scambio di esperienze con altre corporazioni europee e nella ricerca di manovre alternative che permettessero di spostare i limiti un po’ più in là.

Tutto questo ha permesso di arrivare fino a qui. Da queste prove escono dei risultati che vanno interpretati per decidere se l’economicità di una determinata operazione rientra in limiti accettabili. Nel frattempo si prosegue con tutti i mezzi a disposizione per cercare di ottenere e di offrire di più.


6) – Ci risulta infine che questa manovra debba essere eseguita con molta precisione, come se fosse “sui binari”, a causa dei bassi fondali prospicienti la banchina d’ormeggio. E’ così?

R) - Molte zone del porto di Genova sono caratterizzate da fondali che limitano il pescaggio delle navi in arrivo. Effettivamente, quando ho portato la YM all’ormeggio, uno dei problemi di cui dovevo tenere conto riguardava proprio una pericolosa zona di basso fondo. A onor del vero devo dire che alla fine del mese inizieranno i lavori di dragaggio per risolvere anche questo problema.

Ringraziamo il Comandante John GATTI per la sua disponbilità e per l'esclusiva.


Porto di Genova,  le  avventure di  John il pilota

Bruno Viani – IL SECOLO XIX

Genova - La sera del 7 maggio 2013, alzando i binocoli in direzione della Torre Piloti, il comandante John Gatti aveva visto il nulla. E aveva capito. «A quell’ora dovevo essere ancora là dentro, ma mi avevano chiamato per un servizio non previsto e solo per questo oggi sono qui».

Sono passati meno di due anni, Gatti oggi ha 48 anni e dal primo gennaio è il nuovo Capo pilota del porto al posto di Giovanni Lettich che è andato in pensione. E quel cambio è un segno: la storia della corporazione iniziata nel Settecento, arrivata a una tragica svolta meno di due anni fa, va avanti. Senza torre, nella nuova sede spaccata in tre. Senza dimenticare i colleghi e gli amici che non ci sono più. Ma avanti tutta, guardando avanti, come le navi accolte all’arrivo a Genova e poi accompagnate fuori dal porto ogni giorno dagli uomini di John, a cavallo delle onde.

Calata Sanità, l’altra mattina, ore 9. La bandiera sulla punta del Matitone oscilla verso sud, vento di tramontana, lo spigolo del molo è sempre più vicino. E l’immensa sagoma rossa e nera della Jazan, portacontainer della United Arab Shipping Company diretta al terminal Sek avanza lentamente e sembra sfiorarlo. Poi scivola indenne per affiancarsi all’attracco: una manovra calcolata al millimetro, compiuta da un bestione da oltre 75.500 tonnellate, lungo 305 metri. Il passaggio (che a un occhio estraneo sembra un miracolo) è la quotidianità.

A guidare le operazioni, dall’aletta di sinistra del ponte di comando è il pilota Leonardo Pignatelli, 50 anni, che per salire e scendere dalle biscaggine di corda in qualunque condizione (e il pensiero corre alla telefonata di un’altra notte e un altro luogo: «sali su quella biscaggina c....zzo») si tiene in forma facendo footing e palestra. «Perché quando il mare si alza con onde di cinque o sei metri, saltare dalla pilotina alla nave e viceversa è oggettivamente pericoloso. Ma bisogna farlo».

Nello stesso tempo, la “piccola” portacontainer Fritz Reuter, armatore tedesco e bandiera liberiana, 18.480 tonnellate di stazza, viene accompagnata fuori dall’area portuale da Danilo Fabricatore, 46 anni, neoeletto presidente nazionale di Fedepiloti.

La quotidianità dei piloti del porto, domatori di mostri d’acciaio, è una sfida che si gioca sempre sul filo dei millimetri. «Se nel corso della manovra si toccassero le gru vicinissime alla banchina sarebbe un disastro, non è come un’auto che sfiora un guard rail e si graffia: qui si parla di vite in pericolo, milioni di euro di danni e l’operatività bloccata». A garantire la sicurezza sono preparazione, esperienza, la conoscenza dei fondali e dei venti. E (non ultimo) il feeling con i colleghi che lavorano, fianco a fianco, sotto altre bandiere: gli ormeggiatori e gli uomini della Rimorchiatori Riuniti, della Capitaneria e delle pilotine.

È la vita quotidiana dei 22 piloti del porto di Genova, una corporazione che vive malgrado le lenzuolate e le scelte politiche che spingono verso un mondo di liberalizzazioni. «Siamo una corporazione necessaria ancora oggi perché, per ogni operazione che si compie in porto, i minuti valgono milioni: in un regime di concorrenza e deregulation, le pressioni per accorciare i tempi sarebbero insostenibili e la sicurezza portuale sarebbe compromessa».

Il porto non è più lo stesso, dopo quel 7 maggio e l’impatto della Jolly Nero. La vecchia sede dei piloti adesso è frazionata in tre: le pilotine attraccano ancora a molo Giano, gli uffici amministrativi sono a due passi da piazza Cavour. La sede operativa invece, ospitata nei primissimi tempi a bordo di un rimorchiatore, è a ponte Colombo, al secondo piano di una palazzina moderna dalla quale non si vede nemmeno l’imboccatura del porto. La presenza delle navi in arrivo e in partenza appare solo su tabelloni luminosi, come avviene in una grande stazione, oppure sugli iPhone dei piloti. E poi ci sono le sottostazioni di Multedo e Voltri.

«La Torre Piloti era la nostra casa, là avevamo tutto: era una struttura assolutamente all’avanguardia, in Italia e non solo. Qui ci siamo organizzati, ma è un’altra cosa». E il pensiero torna inevitabilmente a quella notte.

Scene rivissute come se fossero oggi. «Sono in cabina con l’iPhone acceso, alle 23 dovrei finire il mio turno di lavoro. Ma quando mancano venti minuti mi viene chiesto di uscire un’ultima volta: c’è una portacontainer, l’Emona, che prima di allora non avevamo mai visto a Genova e non avremmo mai più visto nemmeno in seguito: alle 22.40 esco, quando sono in mare mi chiamano via radio: aspetta a rientrare, deve essere successo qualcosa».

Il resto è la cronaca di quella notte: uomini che girano tra le macerie, si contano cercando il volto dei propri amici e colleghi tra i sopravvissuti. E cercano di indovinare, guardando le auto parcheggiate negli spazi riservati, chi era in servizio e manca all’appello.

Oggi i colleghi, fratelli, compagni d’avventura di chi non c’è più, continuano a vivere la loro vita di lavoro sotto un altro tetto. E si sentono ancora più famiglia, mentre la cuoca Angela Sartori prepara il pranzo e un po’ li vizia. Una madre, quando vede i figli arrivare a tavola nelle ore più impossibili, dice: questa casa non è un albergo. «Ma non avere orario, per questi ragazzi, è parte del lavoro, mica un capriccio: così per quelli che fanno il primo turno e sono in azione già alle quattro del mattino, il pranzo è alle 10. E poi tocca agli altri».

Se si chiede al Comandante J. Gatti a cosa serve un pilota a bordo di una nave che ha già il suo Comandante, risponde. «Quello è un altro mestiere: il pilota, che viene sempre da esperienze di comando di navi spesso di grandi dimensioni, è un manovratore che ha una formazione specifica e, alle spalle, migliaia di manovre, almeno sette o ottocento all’anno». Nulla si improvvisa. «Il lavoro di preparazione inizia il giorno prima dell’arrivo della nave che sarà presa in carico appena arriva a 7 miglia dall’imboccatura del porto».

Sul tavolo, già iniziata, c’è la torta al cioccolato della cuoca Angela che ammette. «Forse li vizio un po’, ma passo molto più tempo insieme a loro che con mio marito».

ALBUM FOTOGRAFICO

La M/n YM WONDROUS in manovra nel Porto di Genova


Il portacontenitori Yang Ming WONDROUS si trova in avamporto, ha appena compiuto una evoluzione di 180° e sta indietreggiando verso la zona d’attracco: calata Sanità.

Molo Giano-Genova - La Torre di Controllo non c’é più, ma la Statua della Madonna dei Piloti tirata su dal fondo, dopo il tragico incidente del 7 maggio 2013, é ritornata al suo posto.

La pilotina é sottobordo alla nave all’altezza dell "combinata" dove sale e scende il Pilota del porto.

In questa suggestiva immagine, la Y.M. WONDROUS  appare in tutta la sua lunghezza occupando quasi tutto l’avamporto portuale genovese. In primo piano la pilotina in manovra.

La Y.M. WOUNDROS, dopo circa due ore di sosta a Genova, é ripartita  per il suo prossimo scalo.


Suggestiva immagine dell’uscita dal porto di uno degli ultimi esemplari del “Gigantismo Navale”.


Carlo GATTI

Rapallo, 31 Dicembre 2015



 

 

 


 



CONGEDO, FESTA E RIMPIANTI PER IL COMANDANTE MARIO TERENZIO PALOMBO

 

CONGEDO, FESTA E RIMPIANTI PER IL COMANDANTE

MARIO TERENZIO PALOMBO

Questo mio messaggio venne diramato a tutte le navi e uffici Costa:

Come sapete, il giorno 11 Settembre 2006, nel porto di Napoli, sono stato costretto a lasciare il comando della COSTA FORTUNA per motivi di salute. Non credevo di finire così la mia carriera. Sbarcare in ambulanza ha provocato una ferita al mio orgoglio professionale che ha richiesto diversi mesi per rimarginarsi. Ringrazio tutti per l’interessamento nei miei confronti e l’assistenza che io e mia moglie abbiamo avuto in questa occasione. Ora mi sono completamente ristabilito, ma il cardiologo mi consiglia di evitare stress causati dal comando di una nave. Sarei tentato di non seguire questo consiglio: questo tipo di stress per me è piacevole perché deriva da un lavoro fatto con passione.

Mi auguro che gli Ufficiali che sono stati sotto la mia direzione si ricordino dei  miei insegnamenti. Ho cercato di trasmettere loro coraggio, passione e serietà professionale. Soprattutto ho insegnato loro l’arte del navigare, quella che io ho appreso da mio padre, vecchio lupo di mare, che non sarà mai superata dalla moderna tecnologia, e che fa di un Comandante un vero “Uomo di Mare“.

Cordiali saluti e buon Lavoro.

Com.te Mario T. Palombo.

Una bella istantanea degli ufficiali di coperta prima del mio sbarco

Qualche tempo dopo, ricevetti per posta elettronica,  da un mio ufficiale che ricordo benissimo  perché gli avevo dato dei preziosi consigli in quanto aveva un’ottima preparazione professionale, ma manifestava delle difficoltà ad integrarsi con la vita di bordo. La lettera mi ha molto commosso perché significava che ero veramente  riuscito, durante la mia carriera al comando, a dare un buon esempio ed insegnamenti utili ai miei ufficiali, che ne avevano fatto tesoro. Perciò ne voglio pubblicare il contenuto:

Buongiorno Comandante, probabilmente non si ricorderà subito di me, sono Simone Canessa ed ebbi l’onore di iniziare la mia carriera sul mare sotto suo comando nel 2005 e nel 2006, come allievo ufficiale di Coperta, rispettivamente sulla COSTA FORTUNA e sulla COSTA ATLANTICA. Le scrivo (ho avuto questo indirizzo dal Sig. Console d’Italia in San Juan P.R.) perché ho avuto occasione di leggere, pubblicata sulla rivista aziendale, la sua lettera. Mi è molto dispiaciuto venire a conoscenza di ciò che le è accaduto solo dopo così tanto tempo, e in questa maniera così inusuale, ma ancora di più mi dispiace per ciò che le è successo.

Spero che oggi quel problema di salute si sia completamente rimarginato e che non le impedisca di godersi con la dovuta tranquillità il suo meritato riposo.

C’e anche un’ altra parte della sua lettera che mi ha molto toccato, quella in cui parla ai suoi Ufficiali degli insegnamenti che ha dispensato nella sua lunga carriera da Comandante. Ecco, io volevo ringraziarla proprio per questo. Mi rendo conto solo ora, dopo diversi anni, di quanto sia stato importante avere una persona come Lei al Comando, e solo oggi riesco a cogliere ciò che intendeva trasmettere a me e agli altri Ufficiali.

Oggi sono riuscito a diventare Terzo Ufficiale, sono stato promosso all’esame per il titolo professionale  con i complimenti della Commissione esaminatrice, riesco a svolgere il mio lavoro con l’apprezzamento degli altri, mi sono appassionato all’astronomia, riesco finalmente a calcolare con precisione la posizione con le 4 stelle al crepuscolo e con il sole a mezzogiorno, queste e tante altre cose, e per tutto questo devo ringraziare Lei, perché anche se forse Lei non ha mai avuto modo di accorgersene, Lei mi ha sempre ispirato a diventare un Ufficiale, un Lupo di Mare, come scrive nella sua lettera. Un Ufficiale che sa guidare la sua nave anche solo grazie alle sue capacità. Certo sono ben lungi dal rispecchiarmi in queste definizioni che ho appena dato, troppe cose devo ancora imparare e tanta esperienza ho ancora da acquisire, però ci tenevo molto a dirle che se un giorno riuscirò nel mio intento sarà solo grazie a Lei  e grazie ai suoi insegnamenti. La cosa che più le ho invidiato, nel senso buono del termine, è la sua lunga esperienza, la sua professionalità che andava ben oltre le ultime innovazioni tecnologiche, quella sensazione palpabile che Lei, in ogni momento, grazie ai suoi segreti, avrebbe potuto  condurre la nave a destinazione da solo con le sue conoscenze, senza alcun ausilio moderno. E rubarle, sempre nel senso buono del termine, questi segreti è stato il mio obiettivo. Avrei voluto tanto ringraziarla di persona, e mi creda, una delle cose a cui tenevo molto era diventare il suo Primo Ufficiale un giorno, per avere l’onore di navigare con Lei in una posizione così prestigiosa e dimostrarle che la pazienza che ripose in me a suo tempo fu ben riposta. Purtroppo il destino ha deciso in maniera diversa, non so nemmeno se avrò mai l’occasione per stringerle la mano e dirle grazie di persona, per questo sono qui a scriverle questa lettera. La ringrazio di nuovo, Comandante. Mando i miei migliori saluti a Lei e alla sua gentile Signora. Buona giornata.

Simone Canessa.

Terzo Ufficiale di Coperta M/n COSTA FORTUNA.



La M/n COSTA ATLANTICA in navigazione

"Sono certo che un giorno, in una delle mie vacanze a bordo delle navi “Costa”, incontrerò questo bravo ufficiale e potremo con piacere stringerci la mano. Ho potuto solo salutarlo e ringraziarlo del suo pensiero nei miei confronti mentre io e mia moglie Giovanna, nel novembre del 2008, eravamo ospiti d’onore a bordo della COSTA MEDITERRANEA , in occasione della crociera del 60.mo anniversario Costa. La nave  era in porto a  Malaga. Venni a sapere che lui era a bordo di una  nave Costa che stava partendo, non ci fu il tempo per incontrarci, ma ci  scambiammo i saluti per telefono.

Dopo 44 anni dedicati alla mia professione, il mare e le navi saranno  per sempre la mia passione, ma non mi resta ora che augurarmi di recuperare, vivendo in salute e serenità, gli affetti familiari che ho dovuto trascurare vivendo da Uomo di Mare".

ALBUM FOTOGRAFICO

M/n COSTA MEDITERRANEA

Le foto che seguono si riferiscono al 60.mo Anniversario di Costa Crociere

26 ottobre – 10 novembre 2008

La Signora Giovanna, moglie del Comandante M.T.Palombo

A sinistra il Comandante M.T.Palombo

COSTA MEDITERRANEA in uscita da Savona il 26 ottobre 2008

Una suggestiva immagine di Antalya

La M/n COSTA MEDITERRANEA in manovra nel Porto di Izmir



C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO


Rapallo, 30 Novembre 2015







ANNI '60 - ARTISTI SOTTO LE PRORE

 

ANNI ’60

Artisti sotto le prore...

ULTIMI CAPITANI AL TIMONE


Anni ’60. La MICHELANGELO sta uscendo dal porto di Genova. Il M/r TORREGRANDE ha mollato il cavo di poppa. In primo piano alcuni Rimorchiatori a vapore e a motore sono di guardia a Molo Giano, pronti a “scattare” alla chiamata del Pilota sull’imboccatura del porto.


Anni ’70 – l’ormeggio dei rimorchiatori a Ponte Parodi. I rimorchiatori a vapore sono stati demoliti e sono entrati in scena, già da qualche anno, i grossi rimorchiatori d’altura che, in determinate circostanze, sapevano adattarsi anche al lavoro portuale.


Colpi di Mare in Coperta...


Il rimorchiatore della classe FRANCIA (Anni ’60) in mare aperto.

MANOVRA D’AGGANCIO NEGLI ANNI ‘60


Una Petroliera carica sta entrando al Potro Petroli di Multedo (GE). Il cavo della nave, unito all’heaving-line, viene filato lentamente. Tra poco la gassa, visibile nella foto, verrà messa al gancio del rimorchiatore.

Questa istantanea, ripresa dal rimorchiatore di prora, dà l’idea della minima distanza raggiunta dalla nave in entrata. Con un ottimo lancio, l’heaving-line (sacchetto) ha stabilito il primo contatto con la nave. Tra alcuni istanti il cavo scenderà per essere messo al gancio.


Anni ’60. Come si può notare dalla foto sopra, quando il rimorchiatore si trovava a distanza ravvicinata, aveva l’albero sotto la curva del mascone di dritta della nave per prendere il cavo (Nel gergo portuale genovese, il mascone é chiamato “lasciante”). Era il momento più pericoloso. Il Comandante del rimorchiatore doveva calcolare la forza dell’onda che lo respingeva, ma anche la zona di risucchio che invece l’attraeva.

Quando la tramontana soffiava a 30-40 nodi contro la nave in entrata nel porto di Genova il Pilota, per evitare lo scarroccio verso la diga, portava la nave molto al vento, fino a  sfiorare le strutture del porto. Più il vento era forte, più la manovra risultava veloce e nervosa. Al Capitano del rimorchiatore occorreva molto sangue freddo: pochi gradi di timone erano sufficienti per avvicinarsi troppo o allargarsi troppo dalla nave e quindi fallire l’aggancio.

In quegli “anni eroici” c’erano ancora tante navi che fornivano il cavo di canapa ai rimorchiatori per la manovra. Questo tipo di cavo, purtroppo, aveva un grave difetto: si appesantiva al contatto con l’acqua di mare e affondava. Il suo recupero rendeva molto arduo il lavoro degli equipaggi.

- Quando la “barcaccia” (modo affettuoso di definire il rimorchiatore, si tratta del francesismo “barcasse”), nella sua fase d’avvicinamento alla prora, arrivava a tiro di heaving line, il marinaio più esperto effettuava il lancio.

Marinaio pronto al lancio

gaffa


Lancio heaving line da bordo


Lancio corretto


Peso che serve ad indirizzare il lancio

Se non gli riusciva al primo lancio, il Comandante si allargava e poi ripeteva la manovra d’avvicinamento, magari in modo ancora più stretto. Se il secondo lancio arrivava sulla prora della nave, i marinai legavano la cima al cavo che poi veniva “filato”, a volte “appennelato” lentamente fino a circa due metri sul livello del mare.

A questo punto il rimorchiatore si avvicinava ancora di più per agevolarne il recupero con la gaffa, (un grosso gancio), in caso di tempo buono, oppure virandolo a braccia.

Fase di avvicinamento alla nave

Due marinai virano il cavo della nave che é di tipo “maneggevole”. La gassa sta per essere messa al gancio del rimorchiatore. Notare il moto ondoso creato dalla nave e dalla “barcaccia” in movimento.

Se la manovra era eseguita secondo i canoni marinareschi, la gassa del cavo veniva portata al gancio e, al segnale che la lunghezza era quella giusta, il Comandante emetteva un fischio e a bordo della nave davano volta il cavo alle bitte. Se invece il cavo di canapa finiva in mare veniva allontanato dall’onda del tagliamare, s’allargava, s’impregnava d’acqua, diventava pesantissimo e, prima di essere mollato dal rimorchiatore per rifare la manovra, c’era un ultimo tentativo, molto pericoloso, che solo il Comandante decideva se farla o meno: - - lasciare la tuga di comando con il timone al centro

- scendere in coperta per aiutare i due marinai a virare il cavo che era impregnato d’acqua di mare, e faceva resistenza “sciabicando” nella corrente.

- Messa la gassa al gancio, il Capitano saliva di corsa sul Ponte di Comando e riprendeva in mano la manovra.

Il più delle volte le braccia del Capitano risolvevano il problema, ma se nel frattempo la “barcaccia” accostava da un parte.... beh! Non saremmo qui a raccontarvi questa manovra d’altri tempi...

Il cavo é stato “voltato” sulla nave. Il m/r AMERICA si mette in tiro, pronto a piegare la nave con l’aiuto del M/r “INDIA”, tipo Voith-Scheneider (nella foto).

Ecco come si presentava il GANCIO del m/r TORREGRANDE negli Anni ’60. Il rimorchiatore si é messo a “spring” sia per fermare l’abbrivo della nave sia per girarla e portarla con la poppa in banchina.

A scopo esclusivamente divulgativo, com’é nella logica della nostra Associazione, prendiamo a prestito questa immagine della Publifoto di Genova, per mostrare la stessa manovra 50 anni dopo. Oggi il cavo collaudato  viene fornito dal rimorchiatore che é di tipo AZIPOD, di grande manovrabilità e potenza. Tuttavia le distanze da tenere sono sempre molto ridotte ed il sangue freddo é sempre necessario, specialmente da parte di chi é più piccolo...

In cinquant’anni di tecnologia spinta, si é passati dal cavo di canapa ad un tipo “molto speciale” che si recupera con una mano.

I cavi Dyneema (Fibra polietilenica HT) hanno una eccezionale resistenza, paragonabile a quella dei cavi d'acciaio, ma con il vantaggio di resistere molto bene agli sforzi da torsione e piegamento. Il dyneema di ultima generazione è superiore al cavo d'acciaio sia alla trazione sia allo strappo, il tutto con coefficiente di allungamento minore rispetto al metallico.

Quattro cavi da ormeggio in fibra modernissima ma lavorati in stile yachting 1870. La cultura marinaresca scrive tutti i giorni pagine straordinarie in cui passato e futuro convivono. Autore Andrea Maggiori, membro della prestigiosa International Guild of Knot Tyers. Scrittore, divulgatore di storie di mare, Istruttore Sub - Istruttore Arte Marinaresca-Martedì 23 p.v. Organizzatore a Chiavari del 1° stage di Arte Marinaresca - Base. In sei appuntamenti di un paio d'ore ciascuno verranno svelati i trucchi e le abilità dei marinai e degli attrezzisti ed i partecipanti impareranno a confezionare le impiombature, le gasse, i paglietti e le fasciature. Chiavari, culla di marinai e artigiani navali rivive i gesti della marineria nella cornice millenaria di Via Entella 171 a "le Arti si Incontrano".

Andrea Maggiori <uomodeinodi@gmail.com>

Chelsie wire splicing


Carlo GATTI

Rapallo, 17 Novembre 2015




ALLESTIMENTO E COMANDO DELLA COSTA FORTUNA

 

ALLESTIMENTO E COMANDO DELLA

COSTA FORTUNA

 

di

 

C.S.L.C Mario Terenzio PALOMBO

 

 

 

COSTA FORTUNA in navigazione

 

 

 

 

COSTA FORTUNA sta prendendo il largo

 

 

 

Nel 2002 mi venne comunicato dalla Direzione Costa Crociere che ero stato assegnato al comando della nuova nave “Costa Fortuna”. Fui lusingato e onorato per questo nuovo importante incarico. Significava per me dover lasciare presto il comando della “Costa Victoria” alla quale ero molto affezionato, anche se sapevo che in futuro avrei potuto avere occasioni di  reimbarcarvi, non prossime, comunque, perché mi avevano detto che negli anni a venire sarei stato destinato alla serie di nuove navi di grosso tonnellaggio. Ero affezionato a questa bella nave, vi  avevo trascorso quasi sette anni indimenticabili, pieni di successi. Avevo incontrato i più importanti passeggeri della “Costa Crociere” e dal punto di vista nautico avrei sempre ricordato le  grandi manovre effettuate anche in tempi avversi, lasciando spesso le altre navi fuori dai porti perché non avevano la potenza per entrarvi.

 

 

 

La “Costa Fortuna” aveva subito, nel mese di marzo 2003, un incendio che aveva interessato circa cento cabine del ponte 8 a poppa, ma il cantiere  aveva garantito che non ci sarebbero stati ritardi nella consegna. Quando vidi la nave in cantiere mi sembrò imponente, rappresentava una felice sintesi del passato e del presente. Era, a quel tempo, la più grande nave passeggeri battente bandiera italiana, moderna espressione dei prestigiosi transatlantici del passato. Dal cantiere di Sestri Ponente erano usciti il mitico “Rex”, la “Cristoforo Colombo”, la “Leonardo da Vinci”, la “Federico C”, e, ultima, la prestigiosa “Michelangelo”. La “Costa Fortuna” non era solamente la più grande rispetto a  tutte quelle che l’avevano preceduta, ma anche la più innovativa nave da crociera mai realizzata. Erano stati scelti per questa nuova e modernissima nave un arredamento e un allestimento degli ambienti molto suggestivi, di gran comfort ed eleganza, in omaggio ai transatlantici italiani più belli. La nave aveva una lunghezza di 272,2 metri, una larghezza di 35,5 Metri, GRT  102.587, una capacità passeggeri di 3470 unità ed un equipaggio di 1027 persone. La potenza motori era di 40.000 KW e poteva raggiungere una velocità massima di 22 nodi, la propulsione diesel elettrica si avvaleva di sei motori GMT–Sulzer, la potenza installata  di 63,36 MW era pari al consumo di una città di 50.000 abitanti. Le eliche di manovra 3 x 1720 KW erano tre a prora e tre a poppa.

 

 

Il 25 agosto 2003 partimmo da Genova per le prove in mare. Era una giornata di mare calmo, la nave uscì dal porto, solcando il mare con grande imponenza. Era uno spettacolo vedere la scia dal ponte di comando e constatare come reagiva prontamente ai comandi dati dal timone. Tutti i controlli si conclusero con successo, ma nella prova a tutta forza, durante la quale la nave raggiunse i 22,8 nodi, fu notato un surriscaldamento alla boccola dell’asse sinistro. I responsabili del cantiere presero la decisione di andare subito in bacino a Palermo per verificare eventuali danni. Si dovette sfilare l’asse e ricalcolare l’allineamento. Nel frattempo le ditte addette agli arredi della nave si trasferirono a Palermo per continuare i lavori. Dopo una sosta di circa 20 giorni nel capoluogo siciliano la nave uscì dal bacino per rientrare a Genova. Durante il viaggio si procedette a tutta forza, eseguendo accostate molto ampie con tutto il timone a dritta e sinistra per verificare l’efficacia dell’intervento effettuato. Procedemmo in questo modo per alcune ore senza notare alcuna anomalia. A questo punto il cantiere lasciò per alcune ore la nave a me e ai miei ufficiali, perché ne provassimo la manovrabilità e tutti i comandi. Mi interessava soprattutto prendere dimestichezza, con i miei ufficiali, del passaggio dei comandi dalle varie consolle di manovra (centro – alette), tenuto conto della distanza di 44 metri da un’aletta all’altra.

 

 

Tornati a Genova, il cantiere aumentò i ritmi di lavoro perché si stava avvicinando la data della consegna che era prevista per il 14 novembre 2003. Nell’ultimo mese il lavoro fu molto intenso: il cantiere ci consegnò i locali e i depositi e iniziammo ad imbarcare i materiali delle sezioni coperta, macchina e hotel. I vari materiali da imbarcare erano già stati, di volta in volta,  sistemati in un grande magazzino a terra, numerati e suddivisi per la destinazione che poi dovevano avere a bordo. In questo modo, non c’era possibilità di errore o confusione. Giorno dopo giorno, venivano sistemate e provate le lance di salvataggio e tutto il personale che era presente in cantiere veniva addestrato alla sicurezza dagli ufficiali preposti. L’hotel director, si interessava delle aree pubbliche e aveva organizzato alcune squadre per pulire e tirare a lucido la nave. Levati i pannelli di copertura, pian piano, veniva fuori tutta la bellezza della “Costa Fortuna”.

 

Ogni giorno arrivavano gruppi di equipaggio, con la Compagnia avevamo preparato un piano per la loro sistemazione prima a terra e successivamente a bordo. La direzione del cantiere ci aveva concesso l’utilizzo di una buona parte delle aree equipaggio tra mense, cucine  e cabine che noi destinavamo di volta in volta. Il Personale di ogni reparto della nave aveva così  modo e tempo di acquisire  familiarità con le nuove apparecchiature di lavoro e con i vari locali di competenza. Si stavano, intanto, completando le rifiniture del magnifico  teatro di bordo  e venivano provate ogni giorno le varie coreografie, le luci e i sistemi elettronici,  che dovevano poi servire per gli spettacoli serali. Ciascuno di noi stava lavorando con grande impegno per portare a termine quest’opera maestosa. Ogni sera con i vari responsabili di bordo e del cantiere si faceva il punto della situazione per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Non potevamo permetterci ritardi. Dovevamo essere in grado di offrire  ai nostri passeggeri, di varie nazionalità, un ottima cucina e un eccellente servizio sin dal primo giorno di crociera. L’esperienza che avevamo acquisito con i precedenti allestimenti di navi nuove ci  permetteva di affrontare i vari problemi con piu’ tranquillità.

 

 

 

Il ponte di comando era immenso, lungo 44 metri. La strumentazione era ben distribuita, risultavano molto funzionali la consolle centrale e quelle delle alette laterali. Le avevo fatte posizionare nel punto più idoneo per la manovra. Molto utile mi era stato il corso che avevo fatto, anni prima,  ad Amburgo durante la costruzione della “Costa Victoria”, in quanto la strumentazione nautica era la stessa, sia pur con l’aggiunta dei recentissimi aggiornamenti.

 

 

 

 

LE FOTO DEL PONTE COMANDO DELLA COSTA FORTUNA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal ponte di comando c’é una visibilità di manovra eccezionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

S.Francesco da Paola é presente su tutti i ponti di comando delle navi italiane.

 

 

 

 

 

Avevo fatto sistemare, coperto da un drappo rosso, (che aveva cucito mia moglie Giovanna per la “Costa Romantica” e che  passava di nave in nave), al centro della  paratia  del lato destro, la targa di San Francesco da Paola, patrono dei naviganti. Tutto intorno alla parete c’era lo spazio per  le altre targhe offerte alla nave, come consuetudine, dalle autorità, nel corso dei primi scali nei porti. Prima di imbarcare avrei dovuto superare la visita medica biennale, in quanto mi era scaduta.

 

Mi dissero che, avendo superato i 60 anni, dovevo effettuare i controlli cardiologici e, avendo nel 1991 avuto un infarto, avrei dovuto effettuare una prova da sforzo e un ecocardiogramma. In caso di qualche anomalia, sarei stato sottoposto ad una visita presso la commissione medica che avrebbe dovuto decidere sul mio stato di abilità. La cosa mi preoccupò, infatti, al solo pensiero di queste visite, la mia pressione cardiaca incominciò ad essere più alta del normale. Decisi, prima di sottopormi a questi esami, di recarmi presso il mio cardiologo di fiducia per effettuare i controlli in privato. Il mio cardiologo constatò che tutto era nella norma e mi consegnò i referti che poi feci esaminare  dai medici della cassa marittima. Dopo una visita accurata, mi dichiararono abile.

 

 

 

Il 14 novembre imbarcai ufficialmente e assunsi il comando. Alle 11.00, alla presenza del C.E.O. della Costa Crociere Pier Luigi Foschi, del vicepresidente “Cruise Operation” Gianni Onorato, del direttore e del vicedirettore del cantiere e di altre maestranze, oltre a tutti noi ufficiali e dirigenti della “Costa Crociere”, ci fu la cerimonia del cambio di bandiera. Venne issato il guidone della “Costa Crociere” contemporaneamente alla bandiera italiana, accompagnato dal suono dell’inno nazionale. Fu un momento molto toccante per tutti i presenti, poi scrosciò un forte applauso e, al mio segnale partirono i tre lunghi fischi di saluto.

 

 

 

Avevamo messo tutto il nostro impegno e la nostra passione per raggiungere questo traguardo.

 

 

 

In serata incontrai  tutto il personale di bordo nel teatro. Vennero tutti e, in questa occasione, ringraziai il mio equipaggio per la collaborazione ed il lavoro che avevano svolto assiduamente e con professionalità, gli esortai a continuare perchè eravamo  appena all’inizio, dovevamo ancora  dimostrare la nostra efficienza e le nostre capacità di organizzazione nel gestire un numero così elevato di presenze a bordo. Alla fine del mio saluto, mi  manifestarono il loro affetto con un lungo applauso che mi fece capire che non mi avrebbero deluso.

 

 

 

Rimanemmo alcuni giorni in cantiere per espletare tutta  la documentazione necessaria e consentire le visite della capitaneria di porto di Genova. Il giorno 15, il cantiere, in accordo con la nostra direzione “Costa”, offrì una cena a tutti i dipendenti che avevano partecipato alla costruzione. Per l’occasione invitai anche mio fratello Terenzio con l’intera famiglia. Fu una bella serata. Io non avevo impegni, cenammo insieme e potei far loro visitare tutta la nave.

 

 

 

Rimanemmo altri due giorni in cantiere, mentre tutto il nostro personale stava sistemandosi nei vari locali assegnati, trasferendovi il materiale necessario per il servizio. Sulla nave c’era un va e vieni continuo, perché ogni reparto stava preparandosi al meglio. Martedì 18 novembre, alle 08.00 uscimmo dal cantiere. La manovra venne eseguita con il valido supporto del Capo Pilota del porto di Genova Capt. Oreste Bozzo. Il giorno prima venne a trovarmi, visitò la nave ed insieme concordammo i particolari della manovra. Prima della partenza feci provare tutta la strumentazione del ponte di comando e tutti i comandi. Ormai ero pratico di questo tipo di strumentazione e non trovai alcuna difficoltà. Guardando dal ponte di comando verso poppavia, la nave sembrava immensa ed imponente, ma ci feci subito l’occhio e riuscii a valutare con esattezza le distanze durante le successive manovre.

 

La nave rispose subito ai comandi e ci allontanammo lentamente dalla banchina del cantiere salutando con tre lunghi fischi di sirena. Gli operai seguirono con soddisfazione e commozione l’evento. Dentro di me provavo una gioia immensa.  Nel bacino a fianco c’era in costruzione la nave gemella “Costa Magica” che doveva essere consegnata entro un anno.

 

 

Rimanemmo in alto mare per due giorni per  effettuare tutte le prove necessarie e completare alcuni  interventi alle parti tecniche. L’intero equipaggio cenò per due sere in sala da pranzo per dar modo al personale di sala di acquisire dimestichezza con il servizio. Tutto era pronto per  il debutto della nave nel campo crocieristico e il 20 mattina entrammo in porto accompagnati dai fischi di sirena della altre navi e dal forte getto d’acqua dei rimorchiatori. La nave ammiraglia della flotta “Costa” e della flotta italiana, la nave più grande d’Europa era entrata per la prima volta nel porto di Genova.

 

 

Il giorno precedente avevo simulato varie volte  la manovra in mare aperto, evoluendo con la nave, retrocedendo e accostando per verificare il funzionamento degli strumenti.

 

 

Tutto andò per il meglio. In quei momenti di concentrazione, si può essere per qualche attimo distratti dai fischi di sirena o da improvvise emozioni, perciò bisogna essere sicuri del perfetto funzionamento delle consolle. Avevo mia moglie Giovanna a bordo con me e, quando rientravo in cabina e la vedevo, provavo una gioia immensa.

La mattina di sabato 22 novembre ci fu la cerimonia del battesimo. La madrina era la splendida, solare e mediterranea attrice Maria Grazia Cucinotta, di una bellezza classica e statuaria.

 

 

 

Per la prima volta il battesimo veniva celebrato in forma privata e riproposto poi al pubblico, alla sera, in tre repliche, nel corso della grande festa che precedeva la serata di gala.

 

 

 

La madrina recitò l’ormai classica formula: “Io ti do il nome “Costa Fortuna”, che Dio benedica te, i tuoi passeggeri, il tuo equipaggio e ti faccia solcare mari sempre tranquilli”.

 

 

 

A questo punto intervenni io dicendo con voce chiara e forte: “Madrina, in nome di Dio, taglia!” L’attrice Maria Grazia Cucinotta con un colpo di scure molto deciso tagliò la cimetta e la bottiglia di champagne si infranse sulla murata con forza gioiosa, tra gli applausi che si mescolavano ai tre lunghi fischi di sirena della nave.

 

 

 

Il direttore del cantiere Attilio Tirelli mi consegnò in forma ufficiale la campana della “Costa Fortuna” e mi venne spontaneo ringraziare ufficialmente lui per la collaborazione avuta e la “Costa Crociere” per la fiducia dimostratami nell’affidarmi un comando così prestigioso.

 

 

 

La sera, prima della cena di gala, venne presentato lo spettacolo diretto dal maestro Valerio Festi “Transatlantici. L’arte della navigazione in Italia”, un evento molto coinvolgente, sospeso tra passato e presente, realtà e immaginazione, un viaggio nella storia e nell’eredità di questa grande nave, ripercorse su un megaschermo e ricreate attraverso la magia di un balletto-musical; il tutto arricchito da giochi acrobatici ed effetti scenografici.

 

 

 

 

 

Durante lo spettacolo, ad un certo punto entravo in scena io che accompagnavo, tenendola sottobraccio, la madrina per poi, a metà passerella, incontrarmi con il presidente Pier Luigi Foschi che la prendeva a sua volta sottobraccio, per accompagnarla a bordo, mentre io seguivo i due prendendo sottobraccio mia moglie Giovanna. Durante la cena Maria Grazia Cucinotta gentilmente si complimentò per l’eleganza e la bellezza di mia moglie e con noi due, definendoci una bella coppia innamorata. Fu una serata appagante, ricca di incontri con ospiti importanti.

 

 

 

Ero veramente orgoglioso di questo comando arrivato quasi al termine della mia carriera, dentro di me provavo un gioia immensa ed una grande soddisfazione professionale. Mia moglie Giovanna mi guardava e nei suoi occhi scorgevo la felicità che provava per me.

 

 

 

 

 

Il Comandante Mario Terenzio Palombo con la moglie, signora Giovanna. Sullo sfondo il mitico CONTE DI SAVOIA.

La crociera inaugurale della “Costa Fortuna” aveva ospiti molto importanti, tra questi anche la cantante lirica Katia Ricciarelli della quale ebbi l’onore di ascoltare la  bella voce durante la sua esibizione. Le crociere inaugurali sono sempre le più difficili. I nostri passeggeri fanno i paragoni con la nave alla quale sono più affezionati e sono sempre pronti a criticare la nuova venuta. Ma la “Costa Fortuna” si presentò molto bene, tutto funzionò perfettamente, la nave piacque subito alla nostra clientela e poi teneva molto bene il mare e la navigazione era molto confortevole.

 

 

 

Tutto andò bene ad eccezione della sosta a Palma di Mallorca dove il forte vento causò la rottura di una bitta. Dovetti prontamente riattraccare la nave usando le eliche di manovra e, data la persistenza del vento, chiamai un rimorchiatore a spingere di prora per tutto il resto della sosta.  Nonostante i cavi di ormeggio fossero stati distribuiti su tre bitte, prora e poppa, la forte pressione del vento sulla superficie velica della nave aveva superato il carico di rottura della bitta. In seguito, la stessa cosa successe a Casablanca, a Santa Cruz de Tenerife e a Barcellona. Notificai tutti gli incidenti al responsabile del nostro “ufficio marine operations” per far sì che i porti si adeguassero in tempi brevi alle nuove dimensioni delle grandi navi. Da parte nostra stavamo sempre attenti in porto alla disposizione dei cavi e a tenere pronte le eliche di manovra quando il vento soffiava perpendicolarmente alle nostre sovrastrutture con forza superiore ai 25 nodi.

 

 

 

Dopo la crociera inaugurale iniziammo quelle alle Canarie.  In ogni porto dove la nave arrivava per la prima volta  c’era una cerimonia di consegna della targa da parte delle autorità locali. Nella prima crociera fui molto impegnato. L’itinerario di dieci giorni  per tutta la stagione invernale prevedeva scali a Savona, Barcellona, Casablanca, Santa Cruz de Tenerife, Arrecife (Lanzarote) e Funchal (Madeira). Si stavano avvicinando le festività natalizie e tutta la nave venne decorata. Era bellissima, mi ci stavo affezionando sempre di più. Mia moglie Giovanna mi raggiunse per Natale e Capodanno. Il 29 gennaio 2004 sbarcai a Savona per un periodo di riposo di circa due mesi.

 

 

 

Sentivo proprio il bisogno di riposarmi e di godermi l’affetto dei miei cari famigliari.  Mentre ero a casa in vacanza,  ricevetti con piacere il quadrimestrale di informazione aziendale “The World of Costa” che conteneva una mia intervista degna di essere  riportata.

INTERVISTA

 

L’emozione di un leader. Il comandante Mario Terenzio Palombo ci ha raccontato la sua emozione e il suo orgoglio e anche come è cambiato, dall’epoca dei transatlantici il ruolo del comandante.

 

 

 

 

 

 

Comandante Palombo, lei è al comando della nave più grande d’Italia

 

 

 

E’ ciò che molti in questi mesi, mi ribadiscono. E ogni volta ho sentito dentro di me una forte emozione. La stessa che ho provato quando mi è stato comunicato che mi avrebbero affidato la “Costa Fortuna”. Essere al comando della più grande nave passeggeri della storia italiana è per un ufficiale un immenso, indescrivibile onore.

 

 

 

Tanta emozione nonostante la sua lunga esperienza

 

 

 

Prendere il comando di una nave così importante e così grande mi ha procurato una sensazione indescrivibile e anche una forte soddisfazione professionale. “Costa Fortuna” è l’ammiraglia della flotta Costa, è la nave più grande della flotta italiana e, in questo momento, è anche la più grande d’Europa.

 

 

 

Costa Fortuna si ispira ai mitici Liners; le ambientazioni di bordo riprendono quelle atmosfere rivisitandole in chiave moderna. Ma dal punto di vista tecnico, la macchina come è cambiata?

 

 

 

Trovo che sia veramente  indovinato questo mix tra storia e presente per quanto riguarda il filo conduttore dell’allestimento. Dal punto di vista strettamente tecnico rispetto ad allora è cambiato molto. Quelle erano navi a turbina, molto veloci, ma con un livello di manovrabilità quasi nullo; non avevano mezzi di manovra come quelli che abbiamo noi, ma avevano bisogno di assistenza dei rimorchiatori per le manovre. E questo condizionava gli itinerari che dovevano toccare porti in grado di dare l’assistenza necessaria. Erano navi adatte a fare il lavoro di allora: trasportare passeggeri da un punto all’altro, il più velocemente possibile. La nave era un mezzo di trasporto. Poi nel viaggio c’era anche la vita a bordo, suddivisa però in classi: prima, seconda e terza, con notevoli differenze tra loro. Sulle nostre navi i nostri ospiti, indistintamente, vivono una vacanza, non un viaggio, nel massimo del divertimento e del confort. Ogni crociera è studiata anche dal punto di vista meteorologico per avere sempre bel tempo; d’inverno l’itinerario tiene conto della necessità di avere un ridosso, una costiera, per assicurare il massimo confort ai passeggeri.

 

 

 

Oggi, rispetto al passato, i nostri ospiti scendono molto di più a terra, perché è più grande la voglia di conoscenza. Sono aumentate le coppie di sposini e le famiglie con numerosi bambini a bordo. Le navi sono più imponenti, ricche di elementi architettonici e opere d’arte, sembra che dominino il mare e sono ben stabili, anche in condizioni di mare molto mosso.

 

 

 

Qual è la differenza tra comandare una nave del genere e una nave come Costa Fortuna? Quale è esattamente il ruolo del Comandante  e come e’ cambiato negli anni?

 

 

 

La figura del Comandante rispetto ai tempi in cui ho iniziato la mia carriera e’ cambiato in modo notevole. Allora la responsabilità era più per l’aspetto tecnico, della sicurezza della nave, dei passeggeri e dell’equipaggio oltre che ovviamente, della conduzione della navigazione. Oggi, invece, il Comandante è coinvolto in tutte le attività della nave ed è responsabile, con la sezione Hotel, del raggiungimento degli obiettivi posti dalla Compagnia. I Comandanti sono oggi manager che, come tali, hanno una forte autonomia e un grande senso di responsabilità, oltre a notevoli capacità di gestire un gran numero di collaboratori. E a questo si deve aggiungere anche una certa capacità di relazionarsi con gli Ospiti  a bordo .

 

 

 

Un’organizzazione molto più complessa e, quindi, un ruolo decisamente più ampio.

 

 

 

Un comandante deve saper gestire la nave e, più che altro, i collaboratori affinché le sezioni della nave interagiscano nel modo migliore per raggiungere gli obiettivi che la Compagnia ci pone. Allora, invece, la responsabilità era più che altro limitata agli aspetti tecnici della navigazione.

 

 

 

Un cambiamento professionale molto profondo; anche soddisfacente?

 

 

 

Sicuramente sì. Il riferimento a bordo per l’armatore è il comandante. Va da sé che deve essere al corrente di tutto. L’hotel director, responsabile della parte alberghiera, gestisce il suo lavoro in autonomia, ma riferisce sempre al comandante che deve essere sempre informato.

 

 

 

Il Comandante ha anche contatti con gli ospiti. Sono oggi più o meno frequenti di allora ? E per gli altri ufficiali?

 

 

 

C’era una certa tendenza da parte dei passeggeri a voler avere contatti con gli ufficiali di bordo ed era dovuta alla ridotta possibilità di divertimento. Gli ufficiali contribuivano all’intrattenimento dei passeggeri anche perché la lunghezza del viaggio lo consentiva. Nelle crociere che prevedono uno scalo al giorno è quasi impossibile per un ufficiale trovare il tempo per fare vita di bordo. Senza dimenticare che abbiamo squadre di ragazzi dedicati a creare occasioni di divertimento per gli ospiti, oltre alle innumerevoli altre situazioni: spettacoli, musica, ballo, casinò…Ho anche notato, però, in qualche ospite alla prima crociera, un qualche disagio nel vedere tante divise, tutte insieme; qualcuno ha anche chiesto a me: “Ma se lei è qui, chi è che guida la nave?”.

 

 

 

I suoi Ufficiali sono emozionati come lei ?

 

 

 

I miei ufficiali sono contentissimi, Ed io sono molto contento di loro: è un gruppo di ottimi professionisti che voglio ringraziare per il loro entusiasmo ed impegno, anche oltre l’orario di lavoro, nel curare la nave nei minimi dettagli per farci arrivare a Genova in perfetto ordine per la prima crociera.

 

 

 

 

 

Avevo anche letto, con grande piacere, l’intervista da me rilasciata, all’ufficio comunicazioni della “Costa Crociere”, per la rivista inviata ai soci del “ Costa Club”. Un’intervista  che desidero riportare per le domande interessanti alle quali io  rispondo in base alla mia esperienza di comandante.

 

 

 

A tu per tu con il Comandante Palombo.

 

 

 

 

 

Per chi ama le crociere il Comandante della nave è un personaggio mitico, quasi leggendario. Ecco perché abbiamo deciso di incontrarne uno e di rivolgergli tutte – o quasi – quelle domande che si avrebbe voglia di fargli ogni volta che si sale a bordo. Per toglierci queste curiosità siamo andati da un autentico veterano, da un uomo che ha trascorso tantissimi anni in mare e che conosce molto bene la flotta Costa: il Comandante Mario Palombo.

 

 

 

 

 

Comandante Palombo, lei ha condotto quasi tutte le navi della flotta Costa : ci svela una caratteristica particolare che le piace, per ogni nave che ha comandato ?

 

 

 

Eugenio Costa: aveva una linea elegante, da vecchia signora dei mari; Carla Costa: si respirava un’atmosfera di festa. Costa Allegra è un piccolo gioiello. La Romantica è proprio quel che ci si può aspettare da un nome così, un luogo da innamorati. Di Costa Classica amo particolarmente la bella sala da pranzo. La Victoria ha una sala di prora, Concord Plaza, davvero unica e dal punto di vista nautico ha eccezionali caratteristiche di manovra. Costa Atlantica è semplicemente mozzafiato, soprattutto nella sua hall centrale e nella sala da pranzo.

 

 

 

E che cosa ci dice di Costa Fortuna?

 

 

 

La nave è ispirata ai mitici transatlantici italiani e a bordo l’ambiente che amo di più è l’immenso salone Conte di Savoia. E poi ha il ponte di comando più bello di tutte le altre navi Costa, per visibilità, grandezza, praticità. Qualunque Comandante ne andrebbe veramente orgoglioso.

 

 

 

Ci parli della Crociera Inaugurale.

 

 

 

Per un Comandante la Crociera Inaugurale è sempre la più difficile. Siamo tutti particolarmente impegnati e attenti. Inoltre è il momento in cui la nave, una volta aperta al pubblico, dimostra che tutti i nostri sforzi per renderla efficiente, funzionale e ospitale  per i croceristi sono stati preziosi. E’ un momento emozionante sia per il pubblico che per l’equipaggio; per fare un paragone è come la prima di uno spettacolo teatrale: l’adrenalina, quando si alza il sipario è tanta, nonostante le prove e la consapevolezza che sarà un successo. Anche perché alle Crociere Inaugurali abitualmente partecipano croceristi affezionati, persone che con Costa hanno già fatto tante vacanze. Un pubblico competente, dunque, pronto a esprimerci il suo commento sulla nave.

 

 

 

E’ vero, allora, che i croceristi che scelgono le Inaugurali sono particolari rispetto agli altri?

 

 

 

Come ho detto, si tratta di Ospiti di riguardo, “fedelissimi a Costa” e per questo estremamente  attenti ed esigenti.

 

 

 

Tra le attività del Comandante, c’è anche quella di intrattenere gli Ospiti della nave: è una parte del suo lavoro che le piace?

 

 

 

E’ una parte di lavoro veramente interessante, che mi permette di valutare come sta andando una crociera. Bisogna mettere a proprio agio l’Ospite e fargli sentire la nostra spontanea ospitalità. Può capitare di ricevere commenti negativi, ma anche in questi casi, se si riescono a risolvere i problemi con tempestività, a fine crociera si riceve sempre un apprezzamento.

 

 

 

Che tipo di rapporto si instaura tra l’equipaggio e i croceristi più assidui?

 

 

 

I nostri Ospiti percepiscono subito se il nostro atteggiamento nei loro confronti è spontaneo o dettato da fredda formalità. Per questo il clima a bordo è di simpatia e cordialità.

 

 

 

Una domanda di natura tecnica. Che cosa significa essere al comando di una nave come Costa Fortuna che possiede una tecnologia veramente all’avanguardia? In che cosa è diversa dalle altre?

 

 

 

Comandare le nostre navi significa aver piena conoscenza della sofisticata strumentazione del Ponte di Comando, acquisita attraverso anni di esperienza sulle navi e attraverso corsi di simulazione di manovra in centri specializzati (Genova, Miami, Rotterdam, Copenaghen). Costa Fortuna in particolare, è diversa tecnicamente  perché è a propulsione Diesel Elettrica, ha cioè motori di propulsione elettrici. Possono essere sistemati più a poppa (per una gestione dell’energia in minor spazio) con il vantaggio di minori vibrazioni e maggior risposta in manovra. Costa Fortuna, infine, ha un grosso tonnellaggio e maggior superficie velica, caratteristiche di cui occorre tenere conto in manovra.

 

 

 

A proposito di manovre, qual è il porto del mondo che le piace di più? E quello che le piace meno?

 

 

 

Quello che preferisco è New York, quello più “antipatico” dal punto di vista delle manovre è il porto di Tunisi.

 

 

 

C’e’ un’altra domanda “tecnica” che si fanno spesso i croceristi : a che velocità viaggia la nave? Qual è la velocità massima ? E’ quella detta di crociera ?

 

 

 

Alle prove in mare la velocità massima di Costa Fortuna è stata di 22,8 nodi. La velocità di crociera è invece di 20,5 nodi.

 

 

 

Tra le mille crociere che ha fatto ce n’è una che le è rimasta particolarmente impressa?

 

 

 

Sì e risale a una decina di anni fa. Ero al comando di Carla Costa, in crociera nei Caraibi. Tra gli Ospiti c’era una giovane coppia messicana. La Signora, con un bel pancione, aspettava il suo primo bimbo, che ha deciso di nascere con un po’ di anticipo proprio a bordo della mia nave. E’ andato tutto bene, la piccola  è nata mentre mancava solo un’ora di navigazione al nostro ingresso nel porto di San Juan di Portorico. E se questo evento non fosse già abbastanza emozionante, la gioia più grande è stata che i genitori  hanno deciso di chiamare la piccola Karla, come la nave, e in mio onore Maria. Ho rivisto questa famiglia dopo dieci anni a bordo della Costa Victoria e ci siamo scambiati un abbraccio commosso che non dimenticherò mai.

 

 

 

Lei passa gran parte dell’anno in mare, che cosa fa quando ha del tempo libero sulla terra ?

 

 

 

Passo il mio tempo tra Grosseto, Isola del Giglio dove ora sono residente e Camogli.

 

 

 

Si sente più “a casa “ quando è a bordo di una nave, o quando è a casa sua ?

 

 

 

La mia casa è il mare, anche quando sono a terra.

ALBUM FOTOGRAFICO – COSTA FORTUNA

 

 

 

COSTA FORTUNA ormeggiata nel Porto di Genova

 

 

 

 

 

 

 

 

COSTA FORTUNA a Dubrovnik (Croazia)

 

 

 

 

 

 

 

 

COSTA FORTUNA a Venezia

 

 

 

 

 

 

 

 

COSTA FORTUNA in uscita da un porto italiano

 

 

GLI INTERNI CITATI... DELLA NAVE

 

 

 

 

 

 

Gran Bar CONTE DI SAVOIA 1932

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bar CONTE ROSSO 1921

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bar Classico ROMA

 

 

 

 

 

 

 

 

Bar CONTE VERDE 1923

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ristorante RAFFAELLO 1965

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ristorante Buffet CRISTOFORO COLOMBO 1954

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Teatro REX

 

 

 

 

 

 

 

Salone LEONARDO DA VINCI 1960

 

 

 

 

 

 

 

 

Discoteca VULCANIA 1927

 

 

 

 

 

 

 

 

Biblioteca GALILEO GALILEI 1963

 

 

 

 

Autore: C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO

 

 

 

Rapallo, 15 Ottobre 2015

 

 

 

 

 

 

 

 


LA PROPULSIONE AZIPOD

LA PROPULSIONE AZIPOD


Rompighiaccio Supplyvessel – Sistema propulsivo Azipod

· La propulsione Azipod è un sistema di propulsione privo di ingranaggi di timoneria dove il motore elettrico è installato in un contenitore sommerso all’esterno dello scafo.

· Nel sistema di propulsione Azipod  l’elica è a passo fisso e a giri variabili.

· Una nave con il sistema di propulsione Azipod  non necessita di timone, lunghi assi di trasmissione e propulsori trasversali

  • La propulsione Azipod provvede a:

· Maggior sicurezza e ridondanza

· Maggior efficienza combustibile e riduzione costi di manutenzione

· Sistema di propulsione meno inquinante

· Notevole aumento di comfort a bordo

· Impianto più semplice e con rendimento più alto

· Installazione più semplice e veloce

· Vantaggiosi investimenti e procedure di costruzione

In condizioni estreme di ghiaccio la propulsione Azipod si comporta con imbattibili caratteristiche in dette situazioni. Il propulsore Azipod è di costruzione molto semplice  e con un diffusore fornisce un alto rendimento di spinta.

Il consumo di combustibile e quindi le emissioni di gas sono ridotte grazie all’aumentata efficienza idrodinamica e al concetto dell’impianto.  L’aumentata efficienza idrodinamica è il risultato della ridotta resistenza dello scafo dovuta alla eliminazione dei bracci di sostegno esterni degli assi portaelica e dal miglior profilo dello scafo. L’elica di tipo a trazione lavora in migliori condizioni e con un rendimento più elevato.

L’esperienza della prima nave passeggeri con propulsione Azipod, la Carnival Elation, ha portato un risparmio di 40 tons di fuel per settimana rispetto alla sua gemella con propulsione convenzionale. Un valore del 10% può quindi essere stimato sul risparmio di fuel di una nave passeggeri con propulsione Azipod  rispetto ad un’altra con  propulsione tradizionale. Il tipo di impianto genera risparmi di combustibile ottimizzando la richiesta di potenza  dei motori diesel. Il P.M.S.(Power Management System) inserisce o disinserisce i gruppi DD/GG (diesel generator sets) in rete secondo la richiesta di carico della nave, riducendo l’inefficiente lavoro a basso carico, le ore di moto dei generatori e le vibrazioni delle eliche.  Il gruppo Azipod è un’elica di tiro che lavora in una migliore condizione e induce ad una pressione più bassa sullo scafo. Il sistema di propulsione Azipod elimina sia i propulsori di governo che i supporti esterni degli assi e i timoni. Come risultato si possono avere a bordo livelli di vibrazioni e rumorosità più bassi con aumento del comfort a bordo per i passeggeri. Il Gruppo ABB opera in circa 100 paesi ed impiega circa 150,000 persone.

AZIPOD

Cantieri Navali di Astrakhan (Russia) – Controllo propulsori Azipod

Blue Ocean II.1 - Trasporto Oil Drilling Platform

ALBUM FOTOGRAFICO (1)

Costa Luminosa

AZIPOD della COSTA LUMINOSA

Che cos'è l' Azipod?

Azipod è il marchio registrato con cui ABB (ASEA BROWN BOVERI) commercializza la gamma di propulsori azimutali elettrici per navi, il cui primo modello è stato realizzato all’incirca venti anni fa. Con l’ultima versione ABB ha lanciato sul mercato il propulsore elettrico più efficiente dal punto di vista energetico.

Background e tecnologia Il sistema di potenza e propulsione di una nave per il trasporto merci è generalmente costituito da generatori diesel che assicurano l’elettricità a bordo e da un motore diesel separato che aziona l’asse portaelica. Trattandosi di un sistema di propulsione ibrida diesel-meccanica, la stretta interdipendenza tra la velocità del motore e dell’elica comporta una diminuzione notevole dell’efficienza energetica ai bassi regimi.

La propulsione diesel-elettrica rappresenta una soluzione relativamente recente per la movimentazione delle navi e si differenzia per la presenza di un impianto di potenza di maggiori dimensioni, solitamente costituito da generatori azionati da motori diesel e da un motore elettrico accoppiato all’elica centrale. ABB è il primo produttore mondiale di propulsori elettrici.

In questo sistema, i motori elettrici che azionano le eliche, responsabili dei maggiori consumi di elettricità, sono comandati da azionamenti che assicurano un’alimentazione continua e controllano la velocità delle eliche. Il sistema di propulsione elettrica è così in grado di azionare i motori diesel con un’efficienza pressoché ottimale, indipendentemente dalla velocità dell’imbarcazione. L’impiego di cavi elettrici al posto degli organi meccanici di trasmissione contribuisce inoltre a ridurre le vibrazioni a bordo.

Azipod e l’efficienza energetica I propulsori elettrici di ABB spaziano da una serie di apparecchiature elettriche a velocità variabile all’esclusiva famiglia di sistemi Azipod ad alta efficienza. Il primo propulsore Azipod risale al 1990.

Il sistema Azipod è posizionato in un pod montato esternamente allo scafo, che combina sia la funzione propulsiva che di governo dell’elica centrale, del timone e delle eliche di manovra. La possibilità di riunire in un unico gruppo sistemi di norma installati separatamente consente di recuperare spazio a bordo da destinare a scopi diversi.

 Grazie alla collocazione del propulsore Azipod sotto lo scafo della nave è possibile ottenere un risparmio del 10% sui consumi di carburante rispetto ai sistemi di propulsione diesel-elettrici con linea alberi convenzionale.

Nel 2002 ABB ha introdotto il sistema CRP Azipod. La tecnologia CRP (contra-rotating propeller) impiega una coppia di eliche coassiali controrotanti (una destrorsa e una sinistrorsa) e si implementa installando un sistema Azipod al posto del timone su una nave con linea alberi convenzionale.

Questa soluzione è particolarmente adatta per i traghetti o altre navi veloci che necessitano di un’elevata efficienza propulsiva.
Nel 2004 il sistema CRP Azipod è stato installato su due imbarcazioni realizzate per ShinNihonkai Ferry, il principale operatore di traghetti del Giappone. L’azienda ha registrato un risparmio di carburante del 20% e un incremento della capacità di trasporto del 15% rispetto alle navi di pari dimensione equipaggiate con motori diesel.

I sistemi Azipod di ABB vengono installati su una varietà di imbarcazioni tra cui navi da crociera di lusso, yacht, traghetti, piattaforme di perforazione, petroliere artiche, navi rifornimento per le piattaforme offshore e rompighiaccio.

In questo disegno si notano le differenze tecniche tra il sistema tradizionale (a sinistra) ed il sistema AZIPOD (a destra)

Questo disegno c’illustra molto chiaramente la meccanica degli ingranaggi e quindi il funzionamento del sistema Azipod

Il sistema Azipod visto da un’altra angolazione

Le Eliche sono state montate

Azipod carenato, pronto per il montaggio

Altro esempio di Azipod pronto per il montaggio

Schema funzionamento Azipod

Joystick posizionato sul Ponte di Comando della nave

(Joystick Steering Wheel)

Nave munita di tre Azipod in bacino di carenaggio

Nave da carico con Azipod sui ghiacci


DUE TESTIMONIANZE

Comandante Mario Terenzio Palombo

Raccogliamo ora le testimonianze del nostro ormai “celebre” socio C.S.L.C. Mario Terenzio Palombo che é stato per molti anni Comandante di unità dell’Armamento Costa e di  Costa Crociere.

Comandante, la nostra lunga amicizia é nata proprio sui ponti di comando delle navi Costa durante le manovre nel porto di Genova. La tua formidabile carriera, sulle navi a due e quattro eliche tradizionali, si é evoluta insieme alla nuova tecnologia fino ad arrivare agli AZIPOD. Ci puoi dare da “tecnico” le tue valutazione su  questo rivoluzionario sistema?

Essendo andato in pensione ufficialmente nel giugno 2007, all’epoca, le due navi  di Costa Crociere dotate con AZIPOD erano le gemelle Costa Atlantica e Costa Mediterranea.

Ho comandato per ben 3 volte  la Costa Atlantica dotata di AZIPOD con potenza apparato motore 35.200 KW.

Sin da subito ho potuto constatare le sue eccezionali caratteristiche di manovra rispetto le navi dotate di eliche a passo variabile o passo fisso. Oltre a tutti i vantaggi ben descritti nel presente articolo, vorrei aggiungere che tra tutti gli strumenti di manovra che si utilizzano per la manovra, con questo tipo di propulsione AZIPOD si fa a meno dei timoni. Naturalmente in manovra bisogna abituarsi a pensare diversamente. In pratica, non si ha il timone per far evoluire la nave, ma si agisce sugli AZIPOD. Per esempio, entrando in un porto, notando una certa difficoltà nel far evoluire la nave, viene spontaneo, sulle navi tradizionali, di fermare un motore e mettere il timone alla banda. Sulle navi con azipod questo è impossibile, si  deve agire sugli AZIPOD aumentando la forza trattrice delle eliche e mettendo gli AZIPOD a dritta o sinistra a seconda della necessità. L’effetto è immediato!

Il sistema ha tre modalità e funziona nel modo seguente: “modalità navigazione” - “manovra manuale” - “manovra in automatico”. Il primo si usa in navigazione. In questo caso i due AZIPOD sono collegati e si muovono parallelamente. Sono sufficienti pochi gradi di angolo di barra (da 3° a 5°) per mantenere la rotta. Naturalmente hanno un angolo di barra sino a 40°. Il secondo, si usa in manovra. In questo caso i due azipod sono indipendenti. Uno di essi, a seconda dei casi, si dispone nel senso longitudinale per il movimento della nave in marcia avanti e indietro, l’altro si dispone lateralmente a 90°, come fosse un’elica laterale di manovra (thruster). La spinta laterale è notevole. Ricordo che sulla Costa Atlantica la potenza in "modalità manovra" é al massimo è di 10.000 KW (X Azipod). Si può così ruotare l’AZIPOD, già disposto lateralmente, anche verso prora (da 90°sino a 45° o più) o verso poppa (da 90°sino a  135°o più). In questo caso si ottiene una spinta combinata sia laterale che in marcia avanti o in marcia indietro. Un bell’effetto per la manovra! Nella terza modalità gli AZIPOD si orientano, come nel sistema manuale, ma automaticamente a seconda dell’ordine che gli viene impartito. Da notare che, in modalità manuale o automatico, gli AZIPOD ruotano velocemente su se stessi in 20 secondi.

Avendo fatto dei corsi  per l’utilizzo del Joystick, avevo messo in atto la praticità di questo strumento. Ho osservato come l’automatismo utilizzava le eliche  (dritta e sinistra), a seconda  dei casi, ed ho imparato, sfruttando lo stesso sistema, ad usare bene gli AZIPOD anche con il sistema manuale.  Però, il vantaggio dell’automatismo è che, essendo in manovra importante concentrarsi  sul movimento della  nave e il  molo  di attracco, evitando di agire su varie leve, con un solo “combinatore” (joystick), ruotandolo delicatamente, si dispone con facilità, la nave parallelamente alla banchina. Un’esperienza straordinaria!

Grazie Mario per il tuo prezioso contributo di chiarezza alla comprensione del sistema, sia da parte dei nostri lettori “specializzati”, sia da parte dei giovani studenti alle prese con straordinarie tecnologie che possono essere sperimentate solo a bordo di navi moderne, sebbene in crescita esponenziale.

Comandante C.S.L.C Garbarino (Costa Crociere)

Quali sono le innovazioni più significative di Costa Luminosa, dal punto di vista del Comandante? Le innovazioni per i nostri ospiti sono moltissime, tutte da scoprire e tutte da vivere a bordo.
Dal punto di vista del Comandante, e più prettamente tecniche, la novità è data dalla possibilità di manovra, migliorate rispetto alle altre navi dotate di Azipod come la Costa Mediterranea e Costa Atlantica.

Ci può spiegare meglio di che cosa si tratta, Comandante Garbarino? Parliamo dunque delle eliche trattrici, che sono le eliche  installate sugli azipod. Ormai sappiamo cosa sono gli azipod, in quanto sono installati su due delle nostre navi, la Costa Atlantica e la Costa Mediterranea.

A differenza delle eliche installate su assi dell'elica, dove l'elica "spinge", le eliche degli azipod la trainano, in quanto  sono posizionate di proravia al loro asse di rotazione. Allego una foto di un azipod così si può notare meglio.
Se l'elica è posizionata di poppa all'asse (come nelle navi tipo Costa Concordia, C. Serena, C. Pacifica e tutte le altre che non hanno l'azipod), l'effetto dell'elica è quello di "spingere" la nave. Se invece come sull'azipod, sono posizionate di proravia al loro asse di rotazione, allora avvitandosi nell'acqua avranno un effetto "trainate" o meglio "trattrice". 
Il vantaggio di un'elica trattrice è che non avendo nessun ostacolo di proravia, si "avvita" meglio nell'acqua.

ALBUM FOTOGRAFICO (2)

75 meter x 8 meter x 2.1 meter depth testing tank

ABB testing tank

Azipod shaft

Due Azipod imbarcati sulla coperta di una nave da carico

Internal rotor of ABB Azipod

Maestranze finlandesi ABB


D.M. Giuseppe SORIO

Carlo GATTI (Interviste)


Rapallo, 24 Settembre 2014


ICEBERG, un pericolo sotto controllo?

ICEBERG

Un pericolo sotto controllo?

Perché si vede l’ICEBERG? - Poiché la densità del ghiaccio puro è di circa 920 Kg/m3 e la densità dell'acqua è di circa 1025 kh/m3, il primo galleggia e circa il 90% del volume di un iceberg rimane sotto la superficie marina.

 

Un iceberg è una massa più o meno grande di ghiaccio che si stacca da un ghiacciaio e si muove “galleggiante” alla deriva nel mare. Il nome iceberg deriva dalle lingue nordiche isberg-ijsberg- isbjerg, Eisberg che significa montagna (berg) dighiaccio (ijs).

 

È difficile quantificare le dimensioni della parte subacquea dalla sola osservazione della parte emersa, da qui la dizione: punta dell'iceberg per indicare un problema di cui si conosce solo una piccola parte. Gli iceberg hanno dimensioni che vanno normalmente da 1 a 75 m sopra il livello del mare e pesano da 100.000 a 200.000 tonnellate .

 

I RECORDS

Il più grande iceberg mai visto nell'Atlantico settentrionale si ergeva di 168 m sopra il livello del mare, quanto un edificio di 55 piani. Nonostante le loro dimensioni, gli iceberg dell’isola di Terranova si muovono in media di 17 km al giorno. Essi hanno origine dai ghiacciai occidentali della Groenlandia e possono raggiungere temperature interne dai -15 ai -20 °C.

 

Nell'Antartico, il più grande iceberg mai registrato è stato il B-15, staccatosi dalla Barriera di Ross: fotografato dal satellite nel 2000, era lungo 295 km e largo 37 km, con una superficie di 11.000 km² e con una massa stimata di circa 3 miliardi di tonnellate.

 

Quando un iceberg si scioglie, produce un suono spumeggiante denominato Bergie Seltzer: esso è dovuto alla liberazione delle bolle di aria compressa rimaste intrappolate negli strati di ghiaccio dell'iceberg.

MONITORAGGIO

La tragedia del TITANIC, avvenuta il 15 aprile del 1912, che provocò la morte di circa 1.500 dei suoi 2.223 passeggeri, diede una forte spinta all'istituzione di organismi di sorveglianza degli iceberg, infatti, prima d’allora non esistevano sistemi di monitoraggio degli iceberg che mettessero in guardia le navi sul pericolo di possibili collisioni. La svolta si ebbe con la Conferenza Internazionale sulla Sicurezza in Mare del novembre 1913, tenutasi a Londra, nella quale fu decisa la nascita di un ente di osservazione permanente degli iceberg che nacque nel giro di tre mesi. La International Ice Patrol (IIP) ebbe il compito di raccogliere dati meteorologici e oceanografici nell'Atlantico settentrionale, misurandone le correnti, i flussi di ghiaccio, la temperatura e i livelli di salinità. Nel XX Secolo molti altri enti scientifici sono stati istituiti per studiare e monitorare gli iceberg tra cui il NIC, National Ice Center, nato nel 1955, il quale fornisce analisi e previsioni sulle condizioni del ghiaccio dell'Artico e dell'Antartico . Oltre il 95% dei dati utilizzati nell’analisi del ghiaccio marino provengono da “sensori satellitari” che orbitano sui poli e che sorvegliano queste aree solitarie della .

Il NIC è l'ente che assegna i nomi agli iceberg antartici: a ciascun iceberg che supera i 18 km lungo uno dei suoi assi viene dato un nome composto da una lettera che denota il punto di origine e da un numero progressivo. Le lettere utilizzate sono:

 

A – Longitudine 0° - 90° W (Mare di Bellinghouse, Mare di Weddell)

 

B – longitudine 90° W - 180° (Mare di Amundsen, Mare di Ross a est)

 

C – longitudine 90° E - 180° (Mare di Ross a ovest, Terra di Wilkes)

 

D – longitudine 0° - 90° E (Piattaforma di ghiaccio Amery, Mare di Weddel a est)

 

L'Iceberg B-15, staccatosi dalla Barriera di Ross nel 2000 e con un’area iniziale di 11.000 km², è stato quello più grande mai registrato. Si spaccò nel novembre del 2002: il pezzo più grande, il B-15A, con un’area di 3.000 km², continuava ad essere, nel dicembre del 2004, l’iceberg più grande sulla Terra . A fine ottobre 2005, il B-15A si divise in nove parti in seguito a ripetute collisioni con la costa. Oltre ad essere stato un pericolo diretto per la navigazione, il B-15A minacciò di creare ulteriori iceberg, scontrandosi con alcune piattaforme di ghiaccio.

 

Infine è falso che lo scioglimento degli iceberg crei un incremento del livello dei mari: infatti sciogliendosi un iceberg l'acqua che ne risulta è il 90% del volume di partenza, cioè occupa meno volume dell'iceberg originario (per la spinta di Archimede) tale volume di ghiaccio immerso si traduceva come aumento di volume dell'acqua marina). Contando che la punta di un iceberg è il 10% della parte immersa si ottiene che lo scioglimento di un iceberg in mare produca acqua per un volume pari alla sola parte immersa. L'innalzamento del livello dei mari è invece determinato dallo scioglimento del ghiaccio che riposa sulla terraferma, come quello delle calotte in Groenlandia o in Antardide .

ALBUM FOTOGRAFICO di

PINO SORIO

 

A cura del webmaster Carlo GATTI

Album Fotografico di Pino SORIO

Rapallo, 2 Luglio 2015