A BORDO CON IL PILOTA... VTE - Genova

A BORDO CON IL PILOTA…

di John GATTI

Capo Pilota del Porto di Genova

Nelle due foto sopra: Manovra di un grande portacontenitore al VTE

Ascoltando la gente parlare di eventi che avvengono in mare, anche se, in questo caso, proprio sotto le finestre delle case dei genovesi, mi rendo conto di quanto sia sconosciuta la professione del Pilota portuale.

La colpa è soprattutto nostra. E’ nostra perché viviamo in un “mondo” a parte, perché siamo “terrestri” pur restando marittimi, perché lavoriamo in equilibrio tra efficienza e sicurezza, ma anche tra coraggio e cautela, tra presenza di spirito ed emozioni forti, tra le parole “lo faccio, o non lo faccio?”, seguite da decisioni prese in un secondo. E’ nostra perché diamo per scontato che chi ci guarda dalla finestra capisce cosa c’è dietro al movimento di una nave all’interno di un porto.

Voglio usare l’ultima, in ordine cronologico, “avventura” piuttosto eclatante discussa sulle banchine del nostro porto e riportata su molti quotidiani, ma questa volta la voglio raccontare dal “Ponte di Comando”, usando un linguaggio pratico, diretto, marinaro.

Il telefono è squillato intorno alle 23,00, e una voce ferma e decisa mi ha avvisato che la nave Cosco Africa, lunga 349 metri e di 114.000 tonnellate di stazza lorda ormeggiata nel porto di Pra-Voltri, stava strappando i cavi che la tenevano ormeggiata in banchina a causa del forte vento di Tramontana. Dall’altra parte del telefono c’era Angelo Simi De Burgis, il collega in servizio nella zona di ponente. Quella telefonata ha fatto scattare delle procedure d’emergenza, procedure scritte sulla pelle di decine di migliaia di manovre, molte di routine ma tante altre estreme. Un minuto di telefonata mi ha permesso di capire la gravità della situazione, il grado di controllo e la preparazione alla gestione di un evento che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose.

Il tempo trascorso in macchina per raggiungere la pilotina a Multedo, è servito a raccogliere tutte le informazioni possibili, ascoltando la sala Operativa dell’Autorità Marittima, la nostra Sede Operativa e quella dei rimorchiatori. L’ingranaggio, molto ben oliato, stava girando in modo perfetto. Nel frattempo Angelo era salito sulla nave e cercava di gestire la situazione: la nave aveva strappato tutti i cavi che la tenevano ormeggiata e, in quel momento, due ancore con due lunghezze di catena ciascuna e tre rimorchiatori a spingere agguantavano la Cosco Africa a circa 70 metri dalla Costa Concordia.

Nel frattempo gli ormeggiatori ci avvisavano che anche la nave MSC Vienna si stava allargando dalla banchina rischiando di strappare i cavi. Decido di imbarcare sulla MSC. Una volta raggiunto il Ponte di Comando dispongo per filare due lunghezze in acqua per essere pronti sulle ancore, faccio preparare i cavi per rinforzare gli ormeggi e mi metto in contatto con l’Autorità Marittima, la quale mi informa che hanno predisposto l’invio di altri due rimorchiatori, uno previsto arrivare in dieci minuti, il secondo in venticinque.

Effettivamente il rimorchiatore America arriva puntuale e, quando comincia a spingere, riusciamo a recuperare sul vento, riportando la nave all’ormeggio.

A questo punto Angelo, con cui ero sempre in contatto radio, mi chiede di raggiungerlo immediatamente perché la situazione stava diventando ingestibile. Il vento  superava tranquillamente i 50 nodi con  raffiche a 60.

Raggiungo il collega sulla Cosco Africa e mi trovo di fronte a una situazione veramente delicata: il Comandante, di nazionalità cinese, era molto provato dalla situazione e appariva decisamente agitato; la Costa Concordia si trovava ormai a meno di 50 metri e continuavamo a perdere acqua soccombendo, di fatto, alla forza del vento. Di poppa avevamo due rimorchiatori molto potenti che spingevano a tutta forza.

Per non finire contro la C.Concordia decidiamo di mettere la macchina avanti per cercare, in estrema necessità, di affiancare la nave alla diga nel modo meno traumatico possibile. L’abilità di tutti, la sincronizzazione perfetta delle forze e una buona dose di fortuna, hanno permesso di far rimontare la poppa al vento quel tanto che ci ha permesso, una volta raggiunti dal quarto rimorchiatore predisposto dall’Autorità Marittima, di usare con decisione la macchina indietro e di riportarci, metro dopo metro, vicini al posto d’ormeggio.

A questo punto abbiamo provato a riaffiancare la nave, ma raffiche di vento di incredibile violenza ci hanno portato più volte pericolosamente vicino alle gru, per poi riallargarci dalla banchina.

La situazione era sempre più critica: il vento sembrava aumentare di intensità, la nave si stava di nuovo allontanando dalla banchina, non avevamo più cavi a disposizione e gli avviamenti della macchina erano ormai agli sgoccioli.

Era arrivato il momento del “lo faccio, o non lo faccio?”.

Mettetevi nei nostri panni: il vento freddo di Tramontana rendeva difficile anche soltanto lo stare in piedi sull’aletta del Ponte di Comando, il rischio di finire sulla Concordia o sulla diga era diventato quasi una certezza, ma la nave ce l’avrebbe fatta a raggiungere la velocità necessaria per contrastare il vento e uscire dal porto, o avrebbe vinto lui.

Il secondo a disposizione era passato, i pochi avviamenti a disposizione avevano fatto da ago della bilancia.

“Rimorchiatori fermate la spinta!” – immediatamente la nave sente il vento e riprende ad allargarsi decisamente dalla banchina – “Comandante, avanti molto adagio!” – la macchina risponde decisa, ma gli interminabili minuti necessari a prendere velocità fanno scarrocciare il bestione di 350 metri in maniera impressionante – nel giro di una manciata di secondi passiamo dal Molto Adagio Avanti all’Avanti Tutta. Puntiamo la prua sul fanaletto rosso dell’imboccatura, ma la poppa continua a cadere. Gli ordini al timoniere vengono urlati, un po’ per superare il vento e un po’ per scuotere il Comandante seriamente preoccupato. La velocità aumenta e il controllo della nave migliora. Arriviamo ad affrontare il punto più stretto con una velocità di 14 nodi! Impressionante anche per noi.

Passiamo a una quindicina di metri dal cemento del fanaletto rosso, dove accostiamo con il timone tutto a “dritta” per mettere la prua al vento. In quel momento la poppa è a venti metri dalla diga.

Pochi minuti dopo siamo fuori. Diminuiamo la macchina, e con lei cala anche la tensione. Io e Angelo ci scambiamo lo stesso sguardo carico di soddisfatta energia che ha sottolineato numerosi momenti simili a questo.

Adesso devo chiudere con una riflessione che mi sembra oltremodo superflua, ma che comunque devo fare. Alla luce di quanto vi ho scritto, tenendo conto che in questo articolo non ho sottolineato abbastanza il ruolo avuto dall’Autorità Marittima e dagli altri servizi tecnico nautici perché  il punto di vista non lo permetteva, vi invito a pensare alla pericolosità di un controllo e di una gestione diversa da quella prevista e attuata oggigiorno.

Quando un tipo di lavoro prevede l’accadere di situazioni limite, non ci si può permettere il lusso di compromettere un equilibrio collaudato, proponendo gestioni private e concorrenza laddove la sicurezza umana, delle infrastrutture portuali e dell’ambiente, verrebbero inquinate da interessi economici.


Voltri Terminal Europa (VTE)

di Carlo Gatti

La MERIDIANA di Voltri

Voltri Terminal Europa PSA Voltri Pra (Voltri Terminal Europa S.p.A.) è il maggiore terminal contenitori del Porto di Genova e uno dei più efficienti del Mediterraneo, con una capacità attuale di 1,5 milioni di TEUs annui e con traffici che, ad oggi, si attestano oltre il milione di TEUs, che rappresentano il 50% del totale movimentato nell'intero Porto di Genova.

Inaugurato nel luglio 1992 con la partenza del primo traghetto della società Viamare e arricchitosi nell’ottobre 1993 con l’approdo della prima nave car carrier, l’attività del terminal contenitori, il core business del VTE, è stato inaugurato nel maggio 1994, cambiando in modo sostanziale e qualificando a livelli europei la capacità di servizio del Porto di Genova e di tutto il comparto dell’Alto Tirreno.

Il Terminal, che nel triennio 2011 – 2013 ha movimentato più di tre milioni di TEU, ha registrato il proprio record storico nel 2012, anno in cui con 1.249.000 TEU movimentati contribuì consistentemente al raggiungimento dei 2.000.000 di TEU movimentati dal Porto di Genova.

Il terminal VTE è dotato di una banchina di 1430 m, su fondali di 15 m ed è servita da 8 gru post panamax (16 rows) e da 4 gru super post panamax (18 rows). Si estende attualmente su circa 110 ettari di piazzali ed è dotato del parco reefer più esteso del Nord Tirreno (più di 1.500 reefer plugs).

Inoltre, ulteriori  30 ettari sono dedicati al Distripark di Voltri, area di servizi, che fa capo a PSA - Prà Distipark Europa S.p.A. e che consta di una torre uffici e servizi da 7.200 mq e di magazzini per 20.000 mq. Questi ultimi hanno a disposizione un'ampia area per la sosta e le movimentazioni dei camion e dei contenitori e svolgono attività diretta a soddisfare la domanda di servizio legata al consolidamento di carichi eccezionali, container fuori sagoma (OOG), Break Bulk, perizie, ispezioni, verifiche, magazzinaggio e distribuzione delle merci.


BACINO PORTUALE DI VOLTRI

La vera Storia

di Renzo BAGNASCO

Scrivo queste righe perché ne sono stato testimone interessato.

E’ bene fare una premessa che, da sola, farà capire il perché del bacino a Voltri, realizzato in zona che parrebbe inidonea in quanto soggetta a ventolate terribili, che scendono incanalate lungo la stretta valle del Turchino. Il fatto che le navi per accostare debbano invece compiere evoluzioni a bassa velocità, ne avrebbero sconsigliato la sua collocazione, non compatibile con il governo di una imbarcazione in quei frangenti.

Per fortuna ci pensano i rimorchiatori, veri <Gatti> dei mari.

Ma a tutto questo ha fatto agio il fatto che per le opere marittime i costi, alla fine, sono i più difficili da verificare. Il grande porto  di Genova era terminato,  Multedo, per il quieto vivere, era meglio non toccarlo e quindi per foraggiare tutti gli addetti, partiti in testa, bisognava inventarsi un qualcosa: ecco allora il bacino di Voltri dal grande impatto popolare.

Il progetto iniziale, redatto da persone altamente qualificate oggi scomparse, prevedeva un’opera gigantesca dai costi mostruosi: cosa di meglio per chi doveva finanziarsi.

In Italia, all’epoca, le ditte che potevano eseguire lavori così importanti, erano forse due, tutte fortemente ammanigliate. Le stesse, grazie ai nostri solerti e “disinteressati” Ministri, hanno anche molto lavorato all’estero, spesso finanziate da noi, sotto forma di aiuti ai paesi in via di sviluppo, un po’ come gli aerei della Piaggio “regalati” a paesi africani. Al primo guasto, quelli  li abbandonavano e noi andavamo a recuperarli, imputando i costi al nostro Governo, sempre sotto la voce <aiuti al terzo mondo>.

Con queste premesse è facile capire perché si finanziò subito la diga foranea, l’opera più incontrollabile, e poi, a seguire, sarebbe avvenuto il tombamento per creare una piattaforma, appendice della terra ferma allargatasi in mare per divenire Terminal. Il progetto infatti prevedeva che il torrente Branega, il più importante del sito, fosse prolungato e canalizzato sotto al terrapieno sino a sbucare nel canale di calma a ridosso della diga e, da li, al mare. Occorreva anche individuare, raccogliere e canalizzare tutte le innumerevoli acque nere che scaricano da sempre in mare, trasportate dai vari rigagnoli, per convogliarle in un unico depuratore,  mentre i vari ruscelli e  rivoli che sfociavano in mare, bisognava intercettarli, canalizzarli e portarli anch’essi a scaricare di fronte alla diga. Solo dopo si sarebbe potuto interrare. A seguito di questi ostacoli irrisolti, questo canale, inizialmente non previsto, rimarrà definitivamente …..provvisorio

Subito alcuni speculatori comprarono dai contadini le colline dietro Palmaro, perché era previsto di ricavarne i terreni da poi portare direttamente nel riempimento, utilizzando teleferiche che sorpassassero l’Aurelia e la ferrovia così da non  intralciare, ingorgandola, la vita del ponente cittadino. Si sarebbe evitato il disastro che poi invece ci fu, dovuto al continuo transitare di centinaia di camion al giorno provenienti dalle cave, snaturando Voltri e tutta il ponente della Città. Subito si capì che questi approvvigionamenti tradizionali sarebbero stati costosi e insufficienti: si decise anche di abbandonare l’idea di ribaltare in mare le colline retrostanti e, con una ordinanza, si impose a tutti di scaricare inerti di qualunque naturale comunque ricavati, unicamente a Voltri: da Nervi alla Val Bisagno, dal Polcevera alla Vesima, fu un via vai di automezzi e questo per anni.  Immaginarsi il caos, la polvere e i disagi nella zona di arrivo, anche ai fini della sicurezza stradale. Oggi c’è il sospetto che nel caos generale, qualcuno vi scaricò pure rifiuti proibiti.   All’inizio si era pensato di colmare, utilizzando solo il materiale “pulito” di risulta dalla contemporanea costruzione della famosa bretella autostradale, il cui progetto purtroppo è tutt’ora in itinere. Campa cavallo: il coordinamento non è fra i pregi di queste Amministrazioni di sinistra, sensibilissime ad evitare che i propri elettori, perché esasperati, chiedano spiegazioni.

Che abbiano le manine un po’ sporche ???? Si vive da elezione ad elezione, senza programmare alcunché.

Intanto i lavori della diga procedevano speditamente (per quelli naturalmente i finanziamenti furono trovati) mentre per il riempimento si dovette attendere anni per racimolare tutto quel materiale. Morale: i cassoni di  contenimento furono posati senza lasciare i fori per lo sbocco al mare dei rivi; fra l’altro nessuno li progettò e la sponda a mare fu realizzata senza i “buchi”. Ben presto si formò l’attuale bacino di acqua putrida e stagnante, in attesa di completare il tombamento di quel tratto, che non potrà mai avvenire perche devono risolvere l’impossibile problema dello scarico libero dei torrentelli, il ricambio delle acque ed eliminando anche gli  scarichi non intercettati ma che ancor oggi vi si riversano tanto che la zona non è balneabile. Penso a Stoccolma dove gli appassionati possono pescare i salmoni in pieno centro della città.

Alle obiezioni d’aver creato una cloaca si rispose: <la lasciamo aperta a levante, nell’attesa di colmarla (impossibile come abbiamo visto ) così che scarichi verso Pegli davanti a quel litorale. Al ricambio penserà il vento che soffia da Voltri >. Peccato che la tramontana pulisca solo la superficie ma non crei, così sotto costa, corrente; anzi “scopando” terra, vi trasporta pure ogni sorta di “rumenta” cittadina, stradale e ferroviaria. In compenso i rivi non tracimano perché vi si riversano liberi e incontrollati.

Ci si  dimenticò però che le correnti sotto costa viaggiano da Livorno verso l’Esterel. Ne sono testimonianza i cadaveri che, caduti in mare da noi, li ritrovano poi sulla Costa Azzurra. Nel sito, quelle più a terra e meno forti,  sospingono le acque da Pegli verso il “cul de sac” creato a Palmaro, esattamente l’opposto di quanto raccontato nelle Assemblee, senza creare ricambio, anzi. La corrente che loro vantavano è quella di ritorno che, partendo dall’Esterl, corre dritta e al largo, raggiungendo Livorno. Quando il popolino se ne accorse, non poté tanto urlare perche la zona, da sempre controllata dalla  “sinistra”, era e doveva essere in piena armonia con il Comune e la Regione. Pegli fu sacrificata perché non “rossa”. Per calmare le ‘acque del dissenso’ promisero una fascia costiera dedicata allo sport e nel canale, nel frattempo formatosi fra il riempimento del Terminal e la costa, sarebbe dovuto sorgere un bacino per il canottaggio olimpico, installazione di cui Genova è da sempre priva. Poi qualcuno fece presente che il sito è spaventosamente ventoso, le acque dichiarate non balneabili sono sporche e rischiose per chi vi si bagnasse. Oltretutto le sponde del canale non erano regolamentari: non realizzate inclinate e sassose così da smorzare le ondine provocate dai canoisti: non sarebbero garantite pari acque in tutte le corsie dello specchio d’acqua. Allora, arrampicandosi sugli specchi, lo dedicarono al vecchio e desueto ( non olimpico)canottaggio a sedile fisso, cioè dei gozzi un po’ più snelli, cosa congeniale ai pescatori della zona.

Tutto dall’epoca è rimasto così indefinito. La verifica dei lavori non fu mai fatta perché a quelle Ditte tutti facevano riferimento e, d’altronde, chi si sarebbe immerso per verificare se il piede della diga era realmente di 15 o 30 metri: chi poteva controllare se le mareggiate, susseguitesi negli anni, avessero realmente distrutto, sparpagliandolo sul fondo del mare, il materiale utilizzato per quelle subacquee in itinere, obbligando ogni volta a doverle rifare?

Per fare queste opere si sono sacrificate le ultime belle spiagge di Genova, dopo aver tombato quelle di Cornigliano con l’Italsider: in quel sito di Prà, vi erano storici  palazzi di famiglie nobili genovesi che vi trascorrevano le estati.

Per parte sua l’Anas ha fatto il resto, collegandosi con ripidi tornanti, al nuovo porto. In mezzo a tutto lo smog, prodotto dai camion obbligati a innestare la “primina” per superare quei dislivelli, si coltiva il “famoso” basilico di Prà: e poi parlano di habitat vocato !!!. Un tempo la coltivazione partiva da Coronta e finiva a Pegli, perché quella era la zona dal clima idoneo: Prà era troppo fredda e ventosa. Oggi, in serra, lo si può coltivare anche sul Kilimangiaro. Basta saperla raccontare, ma non prendeteci in giro !!

Di tutte quelle imbarcazioni da diporto che si vedono dall’Aurelia ormeggiate nel canale, più della metà sono attraccate in zona abusiva e provvisoria, oltretutto irraggiungibili da grossi mezzi di soccorso, non essendovi strade di accesso. Le più a levante sono addirittura non praticabili neppure dai pedoni, in spregio all’accesso pubblico doveroso per legge, perché chiuse da cancelli non governati; da sempre corre voce che il promotore fosse amico del Governatore Burlando.

Pare che la Capitaneria non cerchi grane: per lei non sono autorizzati e quindi ……. Inesistenti.

In Italia in troppi tengono famiglia !!

(ANSA) - GENOVA, 5 MAR - La capitaneria interviene con una nota contro la possibile concorrenza tra privati e lo fa prendendo spunto dagli interventi compiuti la scorsa notte nel porto di Prà-Voltri dove tutte le componenti portuali sono dovute intervenire per mettere in sicurezza tre navi porta container minacciate da raffiche di vento fino a 125 km orari (una ha rotto gli ormeggi). "Alla vigilia dello sciopero il dispositivo di sicurezza che ha operato in queste condizioni estreme ha dato un'ulteriore dimostrazione non solo dell'alta professionalità di tutti gli operatori dei servizi tecnico-nautici - spiega la Capitaneria - ma anche di quanto il servizio pubblico da essi reso sia importante per la sicurezza, anche ambientale e l'operatività di un porto e di quanto sia indispensabile la loro valenza di servizio pubblico essenziale".

E aggiunge: "Nessun soggetto privato in posizione di concorrenza potrebbe garantire quelle prestazioni che solo la natura pubblica dei servizi tecnico-nautici, sotto il coordinamento, la regolazione e la posizione di garanzia assunta dall'Autorità marittima, possono assicurare in situazioni ordinarie e in condizioni estreme, garantendo una presenza qualificata 24 ore su 24, altissima professionalita, sicurezza, e efficienza organizzativa". (ANSA).

Il Capo Pilota John Gatti a bordo della MSC BETTINA durante l’ormeggio nello scalo di Voltri-VTE

(ANSA) - GENOVA, 20 FEB - Prima assoluta per il porto di Genova per una super porta-container da 14.000 teus. Ha attraccato oggi al Terminal Vte di Prà Voltri Msc Bettina, 366 metri di lunghezza, 51 metri di larghezza, record per il porto di Genova insieme al suo carico di 14.000 container da 20 piedi. Per il suo accosto la nave ha fatto una manovra di una tale complessità che la Capitaneria di porto di Genova l'ha definita "da letteratura marinaresca". "L'ingresso in porto di un tale gigante dei mari - ha spiegato l'ammiraglio Vincenzo Melone, comandante della Capitaneria di porto di Genova - è certo frutto delle capacità imprenditoriali di chi gestisce quel terminal, ma si avvale delle quotidiane sinergie istituzionali esistenti tra Autorità portuale, Autorità marittima e abilità dei servizi tecnico-nautici". "Non sempre - ha aggiunto Melone - competitività è sinonimo di privatizzazione, anzi, nel caso dell'ormeggio di mega-portacontainer nei porti come Genova - le cui infrastrutture necessitano di adeguamento alle nuove esigenze dello shipping mondiale - solo la presenza dello Stato, delle sue potestà di regolazione, programmazione, pianificazione, può garantire quell'efficienza, efficacia e sicurezza dei servizi che sono il vero 'sale' della competitività di un porto". (ANSA).

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Uno scorcio del VTE

Vento a 125km/h e superlavoro questa notte per l’autorità marittima e i servizi tecnico nautici nel porto di Genova-Pra’. Le raffiche, giunte fino a 125 km orari con una media sempre superiore ai 70 km/h a partire dalle 23, hanno comportato un super lavoro per l’autorità marittima e i servizi tecnico-nautici di pilotaggio, rimorchio e ormeggio. Gli effetti più critici si sono avvertiti nel bacino portuale di Pra’–Voltri, dove, oltre alla completa sospensione di tutte le operazioni e alla chiusura del terminal, delle tre navi portacontainer presenti, una, la Cosco Africa, è stata addirittura costretta a lasciare il posto d’ormeggio per essere portata fuori dal porto, alla fonda in posizione di sicurezza. Poco dopo mezzanotte, con la nave – di 349 metri e 114.000 tonnellate di stazza lorda – che stava iniziando a scostarsi di molti metri dalla banchina, sotto l’effetto del vento costantemente superiore agli 80km/h, nonostante le ancore in mare e la contro-spinta esercitata da quattro rimorchiatori appoggiati sul lato mare dell’unità, la Capitaneria di Porto insieme ai Piloti e agli stessi Rimorchiatori, ha deciso di portare la nave fuori dal porto, per posizionarla alla fonda in una zona più ridossata della rada di Voltri. Le altre due navi, la Msc Vienna (260 metri di lunghezza e 41.000 t.s.l.) e la Maersk Tukang (322 metri di lunghezza e 91.000 t.s.l.), ormeggiate sul lato di Ponente della banchina del terminal VTE, pur risentendo in misura minore degli effetti del forte vento – per la loro minor stazza e per il posto d’ormeggio meno esposto alla direzione del vento di ieri sera – hanno comunque avuto necessità non solo di rinforzare i cavi d’ormeggio ma anche della contro-spinta di un rimorchiatore ciascuna. Criticità rilevanti, seppur non della stessa intensità, si sono registrate anche nei bacini di Multedo e Sampierdarena, ove c’è stato bisogno solo di squadre supplementari di ormeggiatori per rinforzare gli ormeggi di alcune unità.

UN ALTRO COMMENTO

Per dare un'idea della vicinanza delle gru-Paceco alla nave ormeggiata nel porto di Voltri-VTE e quindi dell'impossibilità di mettere bitte alte ed idonee, o altri sistemi che possano tenere legata la nave alla banchina, allego queste foto che meglio di tante parole spiegano la situazione.

Pista dell'Aeroporto

Porto di Voltri. Sullo sfondo l'Aeroporto.

Perché hanno costruito un porto così? Ecco la spiegazione: causa la presenza dell'aeroporto, la cui pista é perfettamente allineata con la banchina del VTE, le gru non possono raggiungere una certa altezza per ragioni di sicurezza. Quindi le gru/Paceco installate al VTE sono del tipo più basso, con meno sbraccio, la distanza gru-nave é minima per una necessità operativa, quella di poter lavorare sui container più distanti (lato sinistro della nave, vedi foto), quindi i cavi d'ormeggio guardano tutti in verticale e le bitte sono quelle tradizionali. Quando c'è il vento famoso dal Turchino, la nave si allarga, i cavi si spezzano e succedono i guai di due giorni fa...

Carlo GATTI


Rapallo, 8 Aprile 2015




RMS OLYMPIC, gemella fortunata del TITANIC

LA STORIA DELLA RMS OLYMPIC

GEMELLA DELLA TITANIC

L’RMS OLYMPIC, a New York, il 21 giugno 1911

OLYMPIC, Transatlantico inglese della Compagnia White Star Line Royal Navy

 

Cantiere: Harland and Wolff, Belfast.

 

Impostata: 31 marzo 1909  – Entrata in servizio: 14 giugno1911  – Radiata: 1934

 

Demolita: 1934

 

Caratteristiche generali: Lunghezza: 269 m - Larghezza: 28 m – Altezza: 52 m

 

Pescaggio: 10.5 m – Velocità: 23 nodi – Equipaggio 899

 

La RMS Olympic era la nave gemella del RMS Titanic e della HMHS Britannic. Si può dire che fu la "'sorella fortunata'" delle tre, in quanto fu l'unica a seguire una sorte normale ed a non affondare. Fu anche la prima a essere costruita, inaugurando quindi la "Classe Olympic" della rinomata WHITE STAR Line. La Olympic e il Titanic erano praticamente identiche in lunghezza, larghezza e altezza, tranne il Britannic che era lungo 275 metri e largo 29; l'unica differenza esteriore significativa era la metà anteriore della passeggiata del ponte A, che sul Titanic e sul Britannic era coperta aumentandone conseguentemente la stazza di circa mille tonnellate.

La nave fu disegnata da William Pirrie, presidente della Harland and Wolff, e dall'architetto navale e capo progettista, Thomas Andrews.

 

Fu concepita per dominare le rotte atlantiche, insieme alla gemelle Titanic e Gigantic, e contrastare le nuove navi della compagnia rivale CUNARD LINE, RMS Lusitania e RMS Mauretania . Al momento del completamento in bacino, sarebbe stata la nave più grande del mondo.

 

Nacque così l'idea dellaClasse Olympic.

 

La costruzione dell'RMS Olympic, era finanziata dall'armatore statunitense John Pierpont Morgan con la sua società International Mercantile Marine Co. Venne registrata presso ilporto di Liverpool ed assegnato il numero ufficiale di vascello 131346 e sigla telegrafica "MKC".

 

Il progetto era ambiziosissimo. Avrebbe dovuto essere uno scafo lungo 269 metri e largo 28. Alto 53,3 metri con un pescaggio di 18. Ma non solo: l'Olympic (come le gemelle) doveva essere una nave lussuosissima, con ogni comodità all'interno, ogni sfarzo possibile. Questo valeva anche per la terza classe, la quale era molto più abitabile di qualsiasi pari classe delle altre compagnie navali. Ma soprattutto stazzante all'incirca 46.000 tonnellate (contro le 31.000 circa del Mauretania, in quel momento la più grande del Mondo).

 

Tra le altre cose, avrebbe dovuto avere al suo interno, sul ponte D, una piscina, risultando così la prima nave nella storia a possederla. Ed ancora una palestra, un bagno turco, ed un campetto di squash.

 

La propulsione era a Vapore, perciò un piroscafo, con quattro cilindri contrapposti invertibili a triplice espansione (macchine alternative) più una turbina Parson a bassa pressione. Le macchine alternative dell'Olympic e del Titanic restano le più grandi mai costruite, occupavano quattro piani in altezza sviluppando quasi 38 MW (51.000 CV) di potenza e muovevano le due eliche laterali. La turbina muoveva la sola elica centrale, la quale faceva confluire l'acqua direttamente sul timone.

 

Le caldaie erano ben 29, ognuna con un diametro di cinque metri, bruciando circa 728 tonnellate di carbone giornalmente.

 

La velocità massima era di 23 nodi (43 km/h), inferiore alla velocità del Mauretania (26/27 nodi), la più veloce del Mondo.

 

Fu sempre oggetto del debutto della nuova stazione radio, che raggiungeva una portata di ben 400 miglia (650 km), con le antenne che erano collocate sui due alberi maestri ad un'altezza di 60 metri e distanti tra loro 180 metri (in caso di emergenza, il generatore elettrico poteva essere sostituito da un generatore diesel).

 

Il ponte lance era dotato dalle nuovissime gru "Welin", progettate dallo stesso Andrews, in grado di sostenere complessivamente 32 scialuppe di salvataggio e ammainarne 64, ma fu bocciata tale proposta perché si riteneva che la nave avrebbe dato un'immagine di insicurezza con tutte quelle scialuppe sui ponti, e poi perché erano antiestetiche, perciò, alla fine furono montate soltanto 16 scialuppe.

 

Alla consegna il transatlantico costò circa 7 milioni di dollari (400 milioni di dollari odierni), una spesa enorme, coperta da un'assicurazione, che pagava nel caso di gravi incidenti (affondamento) della Nave durante il suo servizio.

 

L'Olympic rappresentava un vanto per la White Star Line, che voleva dimostrare di cosa era capace e scalzare la rivale Cunard una volta per tutte.

La Costruzione

 

Venne deciso di costruire in contemporanea Olympic (prima) e Titanic (poi), così fu realizzato un grandissimo cantiere con impalcature altissime, per poter ospitare i Transatlantici, mentre la terza nave, Gigantic, verrà realizzata una volta ultimata la prima. Visti da prua, alla Olympic spettava il posto di destra, al Titanic quello di sinistra.

 

 

 

La chiglia venne impostata il 16 settembre 1909 . Poche settimane dopo, anche il Titanic veniva impostato a sua volta. Venne impiegata molta forza lavoro per la costruzione delle due navi gemelle. La priorità era la Olympic, infatti venne impiegata più manodopera su questa nave piuttosto che sul Titanic.

 

 

 

L'Olympic venne varata il 20 ottobre 1910 , pochi mesi prima della gemella. Fu portata nel bacino di carenaggio per essere completata nelle sue sovrastrutture, dotata dei caratteristici 4 fumaioli, con i classici colori della White Star Line, installati i motori, le caldaie e le eliche. Il 1911 fu portata per la prima volta in mare per le prove di collaudo. Queste andarono a buon fine e, così, si poté far entrare l'Olympic in servizio.

 

Gli interni dell'Olympic

 

È stata la prima nave della sua classe su cui siano stati inaugurati una serie di interni di lusso che non si erano mai visti prima. Decorazioni di ogni genere, grandi scalinate, ogni comodità ed anche ogni eccesso che ci si poteva permettere. A differenza di quanto avvenuto fino ad allora, anche la terza classe era piuttosto comoda. Infatti, se paragonate con le navi delle altre compagnie, la 3ª classe della Olympic valeva, se non completamente, quasi una seconda delle altre navi rivali.

 

L'entrata in servizio

Compì il suo viaggio inaugurale il 14 giugno 1911 al comando del capitano Edward Smith, lo stesso che avrebbe condotto il Titanic nel suo unico viaggio. Il transatlantico stupì tutti arrivando a New York dopo 5 giorni, 16 ore e 42 minuti (non era il primato assoluto, detenuto dal Mauretania), senza neanche accendere tutte le caldaie, cosa che sarà fatta, invece, sul Titanic). Anche questa prima traversata, però, non fu del tutto indenne da problemi: la Olympic infatti stava per affondare unrimorchiatore durante le manovre nelporto di New York.

Durante il naufragio del Titanic

 

 

La Olympic, nel giorno del fatale scontro con l'iceberg della gemella, era anch'essa in navigazione, sulla tratta opposta, ovvero New York-Southampton, ma lontanissima dal luogo dell'incidente. La nave si trovava a circa 930 Km dal luogo della collisione con l'iceberg del Titanic. La Olympic ricevette i segnali di SOS e si tenne in comunicazione col Titanic e con le altre navi perché era dotata di un telegrafo estremamente potente, allora viaggiò addirittura a 23 nodi, per tentare di raggiungere la gemella, ma non poté fare nulla per salvare i passeggeri del Titanic poiché era troppo lontano ed il tempo non bastò. Considerando che, oltretutto, l'Olympic era già carico di passeggeri per giungere in Inghilterra, sarebbe stato difficile ospitare i naufraghi, poiché il Titanic era a sua volta pieno di passeggeri.

 

 

 

Arrivò sul luogo del disastro a mattino inoltrato quando ormai il Carpathia aveva concluso le operazioni di salvataggio. Il capitano di quest'ultima considerò l'idea di trasferire i superstiti del Titanic sulla nave gemella, così da preservare la Cunard Line da un costoso ritorno a New York, ma abbandonò l'idea sia perché la vista della nave da parte dei superstiti non doveva essere molto gradita, sia per evitare loro un ulteriore stressante trasbordo in pieno oceano.

 

Le operazioni post-Titanic

Dopo il disastro del Titanic, la Olympic fu richiamata immediatamente dalla compagnia. Si decise subito di intervenire aumentando la sicurezza della nave: fu così portata nel bacino di carenaggio dove passò oltre sei mesi. Subì un importante riallestimento: il doppio scafo venne esteso anche alle fiancate e fu aumentato il numero dellescialuppe di salvataggio. Con queste modifiche, inoltre, raggiunse la stazza di 46.359 tonnellate, il che significò la riconquista del titolo di nave più grande del mondo strappandolo al Titanic (46.328 t), mantenuto fino al varo, nello stesso anno, della SS Imperator.

 

Diversamente dalla Olympic, sulla gemella Gigantic, che, però, visti i fatti del Titanic, fu rinominata Britannic, dato che era ancora in costruzione, vennero fermati i lavori e modificato, fin dal principio, il progetto della nave. Terminati i lavori nella primavera del 1913, la Olympic riprese il mare, sempre sulle rotte del Nord Atlantico.

 

Nel 1914 un temporale ruppe alcune vetrate della sala da pranzo di prima classe, ferendo alcuni passeggeri ed il Commissario di bordo.

Il tentativo di recupero della HMS Audacios

Anche dopo l'inizio della guerra la Olympic continuò ad effettuare il servizio civile. Si decise, però, come fatto sul Lusitania, di colorare i fumaioli totalmente in nero. Il 27 ottobre 1914, durante il viaggio verso New York, la Olympic si trovò a dover attraversare un campo minato. Venne avvisata dalla HMS Audacios, che poco prima era stata colpita da una mina. La Olympic recuperò i passeggeri ed in seguito provò a trainare la nave in panne, ma tutti e tre i tentativi fallirono. Alla fine sull'Audacios si verificò un'esplosione e la nave viene abbandonata al suo destino.

La conversione in nave trasporto truppe

Poco tempo dopo, la Olympic fu ormeggiato a Belfast, dove rimase ferma per quasi un anno. Poi la Royal Navy, dopo l'affondamento del Lusitania, iniziò a requisire anche navi di grosse dimensioni. Il Mauretania e l'RMS Aquitania divennero navi ospedale. Stessa sorte toccò alla gemella Britannic, ancora prima di essere completata nei cantieri.

 

La Olympic, al contrario, fu requisita come “Nave Trasporto Truppe”, con una capacità di 6000-7000 uomini: pertanto, una volta terminato il Britannic, fu riportata in bacino per poter essere adattata al nuovo ruolo di guerra.

 

La neve fu dotata di armamenti come cannoni di bordo e fu modificata per adempiere al meglio, nel suo nuovo ruolo.

 

L'affondamento del Britannic

Purtroppo la guerra fece vittima anche l'altra gemella dell'Olympic. Infatti il Britannic fu affondato da una mina navale nei pressi dell'isola di Ceo. Così la Olympic rimase l'unica nave della sua classe.

 

 

Il cambio di colori

 

Durante questa funzione, la Olympic riuscì a sfuggire ad un sottomarino nel novembre del 1915, schivò due siluri e passò indenne un bombardamento da parte di un aereo bulgaro nel gennaio del 1916.

 

Nel 1917 fu ridipinto lo scafo con classico Camuffamento Dazzle. Nel 1918 fu nuovamente ridipinta con un diverso schema di Colori.

L'affondamento dell'U-103

 

Nei due anni successivi, compreso quello appena citato, gli attacchi da parte di sottomarini alla Olympic furono quattro. Ma la nave riuscì nella storica impresa di affondarne uno, l'U-Boat U-103 .

 

Infatti, nelle prime ore del 12 maggio 1918, l'U-Boat 103, era pronto per colpire l'Olympic a poppa, con 2 siluri. L'equipaggio però fallì, così l'Olympic avvistò il nemico ed iniziò la controffensiva. Nello scontro ravvicinato, la nave ebbe ragione sul sottomarino. L'Olympic attaccò ed affondò il sommergibile, prima con un cannone di bordo e successivamente creando una falla con una delle sue eliche. il sottomarino affondò portando con sé 9 vittime, mentre 31 membri si salvarono. L'Olympic non si fermò per recuperare i superstiti, ma proseguì verso Cherbourg , dove era diretta. Questi furono salvati dalla USS Davis e portati in Inghilterra come nemici di guerra.

 

Fu un risultato eccezionale, perché, di fatto, l'Olympic conquistò un'ottima reputazione, risultando così l'unica nave mercantile a riuscire in quest'impresa. Fino al 1918, anno di restituzione alla sua compagnia, ha trasportato la bellezza di 119 000 uomini e conquistando così il nome di "Vecchio Baluardo" (In Inglese Old Reliable).

Ripristino a nave civile

Tra il 1919 ed il1920 la nave entrò in bacino per essere ripristinata al servizio civile. Durante questi lavori vennero trovate delle crepe nell'opera viva e si pensò a dei siluri, probabilmente due, rimasti inesplosi al contatto con lo scafo.

Ritorno al servizio passeggeri

La nave ritornò sulle rotte oceaniche nel 1920 e nei successivi quindici anni effettuò centinaia di traversate. Charly Chaplin se ne servì ogni volta che fece ritorno in Inghilterra, nel '21 e nel '31.

L'incidente con la Fort St. George

Il 22 marzo 1924, nel porto di New York, l'Olympic fu protagonista di un nuovo incidente con un'altra imbarcazione. La controparte del fatto fu il piroscafo Fort St.George (che, nel 1935 verrà ceduto al Lloyd Triestino col nome di Cesarea e successivamente di Arno). Quest'ultimo stava scendendo il North River, a velocità sostenuta, ed aveva previsto di passare dietro al codone di poppa dell'Olympic. Ma la sua velocità, definita successivamente eccessiva, fece finire l'imbarcazione, contro il timone della grande nave, strusciando lo scafo e danneggiando le sovrastrutture. Dal canto suo, l'Olympic, subì dei danni. Inizialmente si pensava a danni di poco conto, invece, con un’attenta verifica, si riscontrarono danni ingenti alla zona poppiera. Per questo motivo questa, fu interamente sostituita.

 

Nel processo che si tenne successivamente all'incidente, la colpa fu data al Fort St. George. L'Olympic, finite le riparazioni, tornò in servizio.

La crisi del '29

In seguito allacrisi del 1929 , i passeggeri che solcavano le rotte dell'atlantico, diminuirono drasticamente. L'Olympic non fece eccezione. La nave venne affiancata nelle rotte oceaniche, prima dal Majestic e poi dal Britannic (che portava lo stesso nome dellagemella affondata nel1916 ) e dal Georgic.

 

Un grosso problema, comunque, derivava dal fatto che oramai, l'Olympic, nonostante le manutenzioni e le migliorie del caso, risultava oramai un transatlantico superato, se confrontato con navi come il Rex, più potente e tecnologicamente avanzato.

 

Nel 1933, molti interni della nave vennero ridipinti in verde, uno di questi fu proprio la grande scalinata.

 

Nel 1934, il governo inglese impose alla White Star Line e alla Cunard Line, la fusione. Come tutte le imbarcazioni della compagnia, anche l'Olympic entrò a far parte di questa nuova realtà.

L'incidente con la Nantucket

Il 15 maggio 1934 la Olympic speronò ed affondò la piccola nave americana Nantucket Lightship LV-117 uccidendo tutto il suo equipaggio: alcuni membri sul colpo, altri morirono successivamente in ospedale.

Disarmo e demolizione

Pochi mesi dopo la Olympic fu posta in disarmo. Nel marzo del 1935 fece il suo ultimo viaggio a New York. Prima di essere venduta, fu privata degli eleganti interni e fu demolita insieme alla nave della compagnia rivale RMS Mauretania.

 

Questa demolizione, servì a finanziare la costruzione delle nuova nave ammiraglia della Cunard, ovvero la RMS Queen Mary.

A cura di

Carlo GATTI

Rapallo, 25 Marzo 2015

Bibliografia: Web Archive WP

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

di PINO SORIO


L''Olympic libero e pronto per il varo, il Titanic in fase di rivestimento del fasciame esterno


 

L'Olympic pochi istanti prima del VARO, le eliche vennero inserite in bacino

Seguono tre foto del VARO della nave.

Il 20 Ottobre 1910 l'Olympic viene varato sarà l'unica a non subire l'affondamento, ma il disarmo nel 1935.

Il 10 ottobre 1910 l'Olympic vine trasferito in bacino per il montaggio delle Eliche

Il Bacino di carenaggio poco prima dell'allagamento per consentire l'uscita del Titanic

Il Convogliatore delle caldaie dell'Olympic

Il Rotore della Turbina dell'Olympic pronto per essere imbarcato

Imbarco Caldaie

L'Incastellatura di una Valvola di scambio dell'Olympic

Il 9 Novembre 1910 sull'Olympic s'imbarcano le 29 Caldaie

Il Motore dell'Olympic

Il Casing della Turbina dell'Olympic


S-7000 - SABLE ISLAND, NUOVA SCOZIA, Canada

La S-7000 nel Porto di Halifax, Nuova Scozia, Canada

SSCV S7000: PROGETTO SABLE OFFSHORE ENERGY -  NUOVA SCOZIA -  CANADA

L’installazione delle piattaforme per l’estrazione del gas del giacimento di SABLE (capacità 85 miliardi di metri cubi) è cominciata con l’arrivo nel porto di Halifax della sscv S-7000 a marzo 1998 per sollevare due Jacket e trasferirli direttamente dal cantiere di costruzione al suo ponte. Non ci sembra fuori luogo segnalare l’interesse e l’eccitazione che la S-7000 ha suscitato sia nel pubblico che nei media durante la sua permanenza nel porto. Fino alla mezzanotte si potevano vedere moltissimi curiosi, spesso intere famiglie, che si trattenevano in prossimità del terminal del traghetto sfidando il clima canadese, per ammirare la colossale nave e scattare fotografie; i genitori portavano i loro bambini a vedere in che modo le due gigantesche gru movimentavano i “piccoli” Jacket”. Con riferimento all’impatto complessivo creato dalla presenza nel porto di Halifax della gigantesca S-7000, John Brannan, Direttore Generale della Sable Offshore Energy Inc. ha dichiarato: “l’arrivo della S-7000 è una importante pietra miliare nella vita del progetto Sable. Da tre anni aspettavamo questo giorno, questo evento fa sapere a tutti che il progetto Sable da 3 miliardi di dollari è in pieno sviluppo”. L’operazione di carico dei Jacket, al pari dell’entrata e dell’uscita dal porto sono stati notevolmente pubblicizzati dai giornali e dalle TV locali. Gli abitanti della Nuova Scozia erano sorpresi e stupiti di trovarsi nel porto, quasi a contatto delle loro case, una nave di simili dimensioni. I Jacket sono stati quindi trasportati nel campo offshore, in prossimità di Sable Island (300 chilometri al largo della Nuova Scozia) ed installati. La profondità dell’acqua era di 24-28 metri, il peso dei Jacket era pari a 1700 tonnellate. Le strutture consistono in Jacket standard del Golfo del Messico con gambe inclinate e strutture da saldare. Il lavoro in se stesso non sembrava difficile, se non per le condizioni meteorologiche. In effetti il maltempo ha creato notevoli difficoltà durante l’installazione.

 

 

 

La S-7000 lavorava, in pescaggio ridotto, in posizionamento dinamico, con grandi superfici esposte ai venti e rigide limitazioni per le onde.

Temperature estremamente rigide, grandine e nebbia, hanno rappresentato ulteriori ostacoli per lo svolgimento uniforme e continuo delle attività in mare. In marzo in queste aree il tempo può peggiorare rapidamente e la S-7000 è stata costretta a interrompere spesso il lavoro; il tempo totale di inattività per cause meteorologiche ha rappresentato circa il 45%, una percentuale che per la S-7000  è da considerarsi del tutto insolita.

Perfino il sistema automatico di posizionamento dinamico della nave è entrato in crisi a causa delle misurazioni di velocità del vento, che erano nello stesso momento di zero nodi al livello del mare e di 50 nodi a livello delle gru. Altre condizioni meteorologiche del tutto particolari sono state rappresentate dalla presenza di venti a 60 nodi con nebbia fitta oppure dalla pioggia gelata che creava l’accumulo di grandi quantità di ghiaccio a contatto dei cavi delle gru. Fortunatamente quest’ area era priva di iceberg. L’esperienza è risultata molto utile per le future installazioni previste nel 1998 e 1999. La S-7000 ha lasciato l’area il 18 di aprile per far rotta verso il Mare del Nord per svolgere altri compiti; forti venti e onde, questa volta di poppa, hanno contribuito a rendere più veloce il viaggio di ritorno.

 

STORIA DI SABLE ISLAND

 

La Sable Island è la sommità di un vasto accumulo di sabbia e ghiaia originariamente depositato dai ghiacciai in ritiro del Wisconsin tra 16000 e 45000 anni fa nei pressi del Sable Island Bank, un plateau sommerso poco profondo ubicato in corrispondenza del margine esterno della piattaforma continentale.

 

Maree, correnti e venti hanno rimescolato questi detriti glaciali, con la rideposizione di granuli di antica sabbia di quarzo, granato e magnetite sul banco in vicinanza dell’attuale Sable Island. Questa montagna di sabbia, che si estende fino ad una profondità di circa 40 metri sotto il livello del mare, poggia su un substrato che in questi ultimi tempi è stato intensamente perforato per i suoi giacimenti di idrocarburi. La Sable Island presenta problemi fisici dovuti al fatto che in prossimità dell’isola scorrono due importanti correnti oceaniche: la corrente calda del Golfo proveniente dal sud e la corrente fredda del Labrador proveniente dal nord. La miscelazione dell’aria calda e dell’aria fredda che accompagnano queste correnti crea fitti banchi di nebbia che coprono l’isola per circa 125 giorni l’anno. La nebbia e le forti correnti unitamente ai frequenti violenti temporali contribuiscono a confondere i calcoli e a vanificare gli sforzi di molti comandanti ed equipaggi. Nel corso dei secoli le pericolose condizioni meteorologiche dell’isola hanno provocato numerose vittime, una quantità di naufragi e la perdita di molti carichi. Nell’edizione aggiornata del 1972 di una mappa di Sable Island è indicata la posizione di almeno 200 relitti noti entro 3-5 miglia di distanza dall’isola. Nel 1801 l’amministrazione della Nuova Scozia aveva deciso di creare una stazione di salvataggio permanente per aiutare i naufraghi, e nel 1872, dopo che si era verificato l’incagliamento del piroscafo S.S.HUNGARIAN (230 vittime), erano stati eretti dei fari per permettere l’avvistamento delle secche. Oltre ai pochi residenti, i cavalli (vedere foto) sono gli unici mammiferi terrestri presenti su Sable. Gli altri abitanti dell’isola sono rappresentati da grandi colonie di foche grigie, da numerose specie di uccelli e da alcuni organismi che non si trovano in nessun altro luogo del mondo. I cavalli selvaggi di Sable continuano a rappresentare un mistero. Presentano caratteristiche del Berbero nord-africano, ma si continua a discutere animatamente sulla loro discendenza e su chi li abbia portati per primo sull’isola. Nel 1960, dopo animati dibattiti, il Governo del Canada ha modificato una sua precedente decisione di vendere i “pony” e ha approvato delle leggi intese a proteggere i cavalli da qualsiasi interferenza.

 

Oggi Sable Island continua ad ospitare alcune decine di mandrie che vagano in quest’isola bellissima ma poco conosciuta. (vedere foto)

 

L'isola di Sable è stata scoperta dal navigatore portoghese João Alvares Fagundes che era il capo di una spedizione  che esplorò la regione negli anni 1520 - 1521, anche se ci sono molte notizie contrastanti circa il primato della scoperta.

 

SABLE INFO

 

• Piattaforme di Thebaud, Venture, North Triumph (1998-2004) : peso totale : 24.000 tons costruite in tre fasi Profondità mare : 29 metri

 

• Piattaforma di compressione gas costruita nel 2004

 

• Deck Integrato  6801 tons

 

• Jacket 2780 tons, totale pali di fissaggio 3100 tons

 

• Passerelle di unione piattaforme e tubazioni varie 600 tons

 

• Il Sable project ha una produzione giornaliera da 140 a 175 milioni di metri cubi di gas naturale e 32000 metri cubi di gas liquido

 

Spectra è l’operatore dei due gasdotti Maritime e Northeast che trasportano il gas LNG da Sable ai mercati del Nord America

 

PIPELINES

 

• Le linee interne di collegamento tra le piattaforme vanno dai 5 ai 55 km con un diametro fino a 457 mm, sono usate per collegare le piattaforme con il centro di raccolta di Thebaud.

 

• In totale sono circa 175 km di tubazioni di collegamenti installati

 

• Il gas ed il gas liquido dall’Isola di Sable sono trasportati attraverso due gasdotti sottomarini dalla piattaforma di  Thebaud agli impianti di terra nell’area Country Harbour. Il gasdotto è lungo 225 km con un diametro esterno di 609 mm. Il percorso del gasdotto è stato scelto per evitare zone di pesca ed altri siti sensibili

 

• La posa del gasdotto sottomarino del valore di 250 milioni di dollari è stato fatto dalla nave posatubi Solitaire della Soc.Olandese Allseas (vedi foto)

 

• Tutte le tubazioni sottomarine sono state  rivestite con cemento e protette con un sistema anticorrosione

 

• Il Sable Offshore Energy Project (SOEP) si trova vicino all’isola di Sable, da 10 a 40 km a nord del limite dello Scotian Shelf, al largo della Nova Scotia, in acque con profondità da 20 a 80 metri

 

• Il SOEP è formato dai sei campi di gas di Venture, South Venture, Thebaud, North Triumph, Gleneig e Alma che contengono circa 85 miliardi di metri cubi di riserve di gas. Il progetto di Sable ha una previsione di durata fino all’anno 2025. Il gas dai giacimenti di Sable, tramite un gasdotto sottomarino, viene inviato al Country Harbour Area nella Contea di Guysborough dove viene lavorato. Nel 1990 Goldboro era stato selezionato come terminale orientale del Maritimes & Northeast Pipeline che lo collega all’impianto gas del Sable Offshore Energy Project (SOEP). Il gasdotto inizia in Goldboro dove è già stata approvata la costruzione di un nuovo terminal di ricezione LNG. Il SOEP include un impianto terrestre di frazionamento del gas (Goldoro Gas Plant). L’impianto, nella Contea di Guysborough occupa una superficie di 45 ettari ed ha la capacità di lavorare 17 milioni di metri/cubi al giorno.

 

Goldboro è stato classificato come l’Energy Hub della  Nuova Scotia, e le previsioni sono che dal 2018 possa diventare il terminal di esportazione per l’LNG

THEBAUD

 

Thebaud è usata come centro raccolta del gas. North Triumph e Venture sono state sviluppate come piattaforme satellite che inviano il gas alla piattaforma di Thebaud. Il complesso centrale di Thebaud consiste di due piattaforme collegate da una passerella. La piattaforma più grande ha alloggi per circa 40 tecnici offshore di produzione e personale di supporto. La seconda e più piccola delle due piattaforme assiste i pozzi e gli impianti di processo e raccoglie e deidrata i gas che arrivano da tutti i campi di produzione

 

NORTH TRIUMPH E VENTURE

 

Queste piattaforme sono normalmente operate via satellite senza personale. Tuttavia, solo in caso di emergenza,è previsto l’invio a bordo di personale. Le piattaforme incorporano le strutture delle teste dei pozzi e i macchinari di processo per separare l’acqua dal gas.

ALBUM FOTOGRAFICO

 

Nuova Scozia, Il Primo Ministro

 

Halifax, Pilot's Pub


S-7000, I "Riggers"

Rowan Gorilla - Halifax

S-7000, Caricazione dei Jackets: VENTURE e NORTH TRIUMPH

S-7000 - Halifax

Sable Island - Conservation Oil and Gas

Sable Island - Horizontal Drilling

S-7000 - Sable Island

Sable Island

Sable Island

The Galaxy II-Jack-up Rig prior to deployment on the Sable Field

The lifting of the Venture Jacket bu one of the S-7000 cranes

The Venture Jacket being installed offshore

ALBUM FOTOGRAFICO - NATURA

HALIFAX NUOVA SCOZIA - CANADA - SABLE ISLAND -

 

I CAVALLI DI SABLE ISLAND


 

 

PINO SORIO

Rapallo, 2 Marzo 2015

webmaster  Carlo Gatti

 

 

 

 

 


M(S)7000, ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

M-7000 - ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

La M7000 nacque nel lontano 1986 nei cantieri di Monfalcone e fu fortemente voluta dall'allora proprietario della MICOPERI, il Dr. Makaus. Sebbene a conduzione familiare e senza aiuti statali, la Micoperi è stata quella società ad entrare nell'offshore del Mare del Nord con i mezzi più moderni. La M7000 è stata progettata nel 1985, iniziata la costruzione nel 1986 e consegnata nel 1987. Le due gru sono dell'American Hoist, come progetto, però costruite in Italia dalle Officine Reggiane. Il colpo d'ingegno del Dr. Makaus, per battere la concorrenza, è stato questo:

 

siccome le compagnie petrolifere nell'assegnare i progetti davano la preferenza a quelle società che disponevano sul mercato dei mezzi di sollevamento più potenti (costruzione di moduli ptf più pesanti e quindi minor tempo nello start up della piattaforma), dato che a quel tempo anche gli americani della McDermott stavano costruendo una sscv con due gru da 6000 T, chiamata DB6000, il Dr. Makaus nel firmare il contratto per le gru si fece promettere dall'American Hoist che la notizia da divulgare sarebbe stata che anche le due gru per la Micoperi sarebbero state da 6000 T. Quindi tutto il mondo dell'Offshore sapeva che sul mercato ci sarebbero state due nuove unità da 6000 T.

 

Quando furono presentati i due progetti all' O.T.C. (Offshore Tecnology Conference) di Houston il Dr. Makaus svelò a tutto il mondo che le sue gru non erano da 6000 bensì da 7000 lasciando tutti di stucco.

 

Purtroppo, dopo qualche anno dalla sua entrata in servizio, nel 1989  iniziò la crisi dell'offshore e tutte le Soc. Petrolifere ridussero drasticamente i progetti (in particolar modo nel Mare del Nord). La Micoperi, non avendo grosse riserve, dovette dichiarare fallimento e la M7000 fu messa in disarmo a Rotterdam. Fu una fortuna che la Saipem la acquistò (cambiando il nome nell'attuale S7000 e grazie alle sue immense risorse nel corso degli anni la fece diventare quella che è oggi.

 

La DB6000 fu acquistata dagli olandesi dell'Heerema diventando l'attuale THIALF e venne potenziata portando le due gru a 7100 T. C'è però da fare una precisazione a favore della S7000. Mentre la THIALF ha una capacità di sollevamento di 14200 T con il braccio delle due gru a 31.2 metri, la S7000 ne può sollevare solo 14000 ma con un braccio a 42 metri.

 

Il THIALF ha sei propulsori retrattili da 5.5 MW per mantenersi in D.P. mentre la S7000 ha:12 eliche (4 azimutali da 4.5 MW + 2 retrattili da 5.5 MW + 4 retrattili da 3.5 MW + 2 bow thruster da 2.5 MW)- Il THIALF ha 12 ancore da 22.5 tons con cavo d'acciao da 2500 metri per un diametro di 80 mm mentre la S7000 ha 12 ancore da 40 tons con 3500 metri di cavo d'acciaio per un diametro di 96 mm.  Potenza totale installata sulla S7000: 75 MW a 10 KV

 

Impianto zavorra composto da 54 casse per un totale di 109.000 tons - 4 pompe zavorra da 6000 mc cad. - 2 impianti ROV (Remote Operated Vehicol) per lavori subacquei fino a 3000 metri di profondità

 

Per concludere si può dire che, mentre le gru del THIALF sono già state modificate portandole da 6000 a 7100 T, quelle della S7000 hanno ancora margine per essere potenziate portandole a 8000/8100.

 

Pino SORIO

ALBUM FOTOGRAFICO

 


Pino SORIO

18 Febbraio 2015

Webmaster Carlo GATTI

 


NAVIGARE TRA I GHIACCI -3 -

ROMPIGHIACCIO ATOMICO AL POLO NORD

Con decreto del Presidente russo Dmitry Medvedev  la Flotta di rompighiaccio atomico russa e le banchine di servizio sono state escluse dalla lista dei beni proibiti all’esportazione.  Il documento consente di riconvertire in società per azioni l’impresa unitaria “RosAtomFlot”, proprietaria ed operatrice  della flotta atomica. Con questo il pacchetto di controllo resterà nelle mani dello Stato.

 

La Russia è l’unico paese al mondo a possedere la flotta di rompighiaccio atomici. In particolare, hanno a disposizione sei rompighiaccio, una nave porta-chiatte a propulsione nucleare, cinque basi tecniche galleggianti di servizio. Negli ultimi tempi l’interesse per le imbarcazioni del genere è notevolmente cresciuto in relazione al prossimo sfruttamento degli enormi giacimenti di petrolio e di gas sulla piattaforma continentale artica. Sta crescendo l’interesse delle Società straniere anche per la Grande Via Marittima del Nord che consente di ridurre notevolmente il tempo per il trasporto  dei carichi  dall’Europa verso i paesi della regione Asia-Pacifico e viceversa   rispetto al loro trasporto attraverso il Canale di Suez.

 

 

I rompighiaccio oggi operativi appartengono a due classi distinte: Arktika e Taymir. I rompighiaccio atomici appartenenti alla Arktika sono utilizzati per mantenere aperti, in ogni stagione, i collegamenti con le principali città della Russia Artica. In particolare, grazie a queste navi, è possibile navigare dai grandi porti della Russia Europea (ad esempio, Murmansk e Arcangelo) fino alloStretto di Bering, passando per altri importanti porti della Siberia Settentrionale (ad esempio, Dikson e Pevek).

 

I rompighiaccio atomici della Classe Taymir, invece, sono stati costruiti per operare in acque basse, e sono solitamente usati sul fiume Enisej nella tratta che va da Dikson ad Igarka. Queste navi svolgono un ruolo molto importante, perché permettono, in tutte le stagioni, il passaggio delle navi cargo cariche di merci varie per l'approvvigionamento delle città sul fiume. Inoltre, consentono il passaggio anche delle imbarcazioni contenenti i metalli provenienti da Norilsk (che vengono imbarcati a Dudinka, a cui Norilsk, che non ha un porto, è collegata tramite ferrovia). Queste navi sono attrezzate anche per compiti antincendio.

 

Irompighiaccio atomici russi sono stati inoltre utilizzati anche per parecchie spedizioni scientifiche nell'Artico. Il 17 agosto1977 il rompighiaccio NS Arktika fu la prima unità di superficie al mondo a raggiungere ilPolo Nord . Dal 1989 alcuni rompighiaccio sono utilizzate anche per il turismo artico.

 

Complessivamente, in Russia sono state costruite dieci navi a propulsione nucleare con compiti non militari. Nove di queste sono rompighiaccio, la decima è una nave cargo con scafo rompighiaccio: la Sevmorput.

Nome

Nome in codice NATO

Tipo

Entrato

in servizio

NS Lenin

Lenin

rompighiaccio atomico

1959

NS Arktika

Arktika

rompighiaccio atomico

1975

NS Sibr

Arktika

rompighiaccio atomico

1977

NS Rossiya

Arktika

rompighiaccio atomico

1985

NS Sevmorput

Sevmorput

cargo atomico

1988

NS Taymir

Taymir

rompighiaccio fluviale

1989

NS Vaigach

Taymir

rompighiaccio fluviale

1990

NS Sovetskiy Soyuz

Arktika

rompighiaccio atomico

1990

NS Yamal

Arktika

rompighiaccio atomico

1993

NS 50 Let Pobedy

Arktika

rompighiaccio atomico

2007

IL TURISMO ATOMICO

Dal 1989 i rompighiaccio atomici sono utilizzati per crociere turistiche al Polo Nord. La crociera dura tre settimane e costa circa 25.000 $. I più attrezzati a scopo turistico sono gli ultimi due esemplari varati, la NS Yamal e la NS 50 Let Pobedy.

A cura del Webmaster Carlo GATTI

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

CURRICULUM VITAE PINO SORIO

 

  1. Nato a Milano il 01.1939

  2. Durante gli anni bellici abitato a Bolzano, Venezia, Voghera, Varese e Milano

  3. Terminata la guerra trasferito prima a Bari e poi a Santa Margherita Ligure nel 1948 dove ho frequentato le scuole Elementari e Medie

  4. Diplomato Capitano di Macchina luglio 1959- Nautico C.Colombo-Camogli

  5. Nota: nei periodi estivi lavorato su motoscafi Riva , Star e yacht a vela e come aiutante fotografo per l’Agenzia Publifoto di Milano

  6. Nell’estate del 1956 imbarcato come mozzo sullo yacht a vela YALI di proprietà della famiglia Leopoldo Pirelli

  7. Ai primi di settembre 1959 iniziata la mia carriera sulle navi petroliere, chimiche e trasporto metano

  8. Cantieri N.D.S.M. di Amsterdam : seguita la costruzione della petroliera CEUTA della Soc.Gulf di Philadelfia con il grado di Allievo Ufficiale di Macchina (1959-1961)

  9. Anno 1961 imbarcato da allievo ufficiale di Macchina sulla nave s.s. Marine Chemist della Soc. Marine Transport Lines e sbarcato nel 1963 con il grado di Primo Ufficiale di Macchina

  • Imbarcato sulla petroliera Liburnia della Soc.Cameli di Genova da primo Ufficiale di Macchina da fine 1963 a tutto il 1965

  • Nel 1966 fino alla metà del 1968 effettuati diversi imbarchi su petroliere della Soc.Esso (Libia, Milfordhaven, Trieste e Nicaragua)

  1. Dalla metà del 1968 a Dicembre 1969 lavorato all’allestimento delle metaniere Esso Brega, Portovenere, Liguria alla Fincantieri di Genova

  • Da gennaio 1970 a metà luglio 1974 lavorato come Field Engineer ai montaggi di tutti i macchinari prodotti dalla Worthington International : compressori alternativi e a turbina, turbine a vapore e a gas, pompe alternative e rotative, generatori di gas inerte, pompe deep well in impianti quali: piattaforme petrolifere a Dubai, raffinerie petrolchimiche, centrali elettriche, stabilimenti farmaceutici, automobilistici (Fiat, Lancia, Alfa Romeo), Pneumatici Pirelli, GoodYear e Firestone, Cartiere, Italsider, Fonderie Falk Dongo, Pietra Brescia e Delta Serravalle Scrivia, Piattaforme a Dubai, Tturbopompe del carico su petroliere, Centrale nucleare di Trino vercellese, Microfusione di Pieve Emanuele,

  • Alla fine di luglio 1974 lasciata la Worthington e ripreso a navigare sulle petroliere della Soc.Amoco di Chicago con il grado di Primo Ufficiale di Macchina e poi Direttore di Macchina

  • A dicembre 1975 entrato in Micoperi con il grado di D.M. sulle navi M26 e Pearl Marine seguendo nei cantieri navali di Fiume e Avondale New Orleans la conversione della petroliera francese Germinal in quella che sarebbe poi diventata la seconda nave gru della Micoperi, la M27.

  1. Per oltre 20 anni lavorato alla costruzione di piattaforme petrolifere in tutto il mondo di cui gli ultimi 10 anni, sempre da Direttore di Macchina sulla sscv M7000.

  • Nel 2000, lasciata la Saipem e iniziata una nuova carriera da Ispettore seguendo la costruzione di navi passeggeri nei cantieri Daewoo a Okpo nella Korea del Sud, in centrali elettriche in Irlanda del Nord (Ballylumford), rimorchiatori nei cantieri UNV di Valencia, rimorchiatori rompighiaccio nei cantieri STX di Braila in Romania, ispettore RINA nei cantieri di Chernomolsky a Nikolayev in Ukraina e nel Mar Caspio in Kazakhistan

  • Nell’anno 2011 (11 Ottobre 2011) causa incidente (tre mesi in rianimazione più altri 11 mesi di ricovero in ospedali diversi, chiuse tutte le mie attività lavorative !!!!!!

 

 

ESPERIENZE  E  SPECIALIZZAZIONI  PINO SORIO

 

  • Diplomato Capitano di macchina (giugno 1959-Istituto Nautico Cristoforo Colombo-Camogli)

  • Da settembre 1959 a gennaio 1970 imbarchi su petroliere e metaniere delle Soc. Gulf, Marine Transport Lines, Cameli, Esso, Amoco

  • Costruzione, allestimento petroliere, navi chimiche, metaniere, passeggeri, rimorchiatori, rompighiaccio, trasformazione e costruzione mezzi navali per il lavoro offshore (piattaforme petrolifere, oleodotti e gasdotti) nei cantieri navali: Fincantieri Genova-Palermo-Riva Trigoso-Trieste Monfalcone, NDSM Amsterdam, Avondale New Orleans, BeethlemSteel Baltimora, Daewoo Okpo Korea, STX Braila Romania, Damen Rotterdam, Chernomolsky Mikolayv Ukraina, Viktor Lenac Fiume, Chantiers Naval de la Ciotat Marseille, U.N.V. Valencia, Ethiad Abu Dhabi, Sembawang Singapore e Rio de Janeiro.

  • Da gennaio 1970 a fine luglio 1974 lavorato per la società Worthington di Buffalo (USA) ai montaggi e riparazioni dei

seguenti macchinari: compressori aria, ossigeno e gas,   pompe centrifughe e a pistoni, turbine a vapore e a gas in impianti petroliferi, impianti a gas inerte, raffinerie chimiche, stabilimenti automobilistici (Fiat-Lancia-Alfa Romeo), pneumatici (Pirelli – GoodYear – Firestone), farmaceutici LePetit TorreAnnunziata,  Siderurgici Italsider Genova e Taranto, Fonderie Pietra Brescia, Falk di Dongo, Delta Serravalle, Microfusione Pieve Emanuele, Alimentari (Saiwa,Cirio,DelMonte), Cartiere, Centrali Elettriche di Trino Vercellese (nucleare), Ballylumford Irlanda del Nord, SISAS (Soc.Italiana.Serie.Acetiche.Sintetiche-Pioltello Limito)

  • Titoli: Capitano Superiore di Macchina

  • Frequentato i seguenti corsi di specializzazione:

  • APT Pavia: pronto soccorso avanzato, capolancia su scialuppe di salvataggio, antincendio di base e avanzato, sopravvivenza e salvataggio, capisquadra antincendio, metodi di uscita emergenza elicotteri in mare, soccorso in mare con motoscafo veloce, operatore D.P. , Amos per Windows  (manutenzione programmata), WHMIS (Workplace  Hazardous Materials Information System), Qualified  Vibration Analyst (IRD Mechanalysis inc.)

  • Ispettore per i seguenti enti di classificazione: Lloyd’s Register, Rina, Rina Industry, A.B.S., D.N.V., BureauVeritas

  • Da gennaio 1976 a fine dicembre 1999 lavorato alla costruzione di piattaforme petrolifere con le Soc.Micoperi e Saipem in qualità di Direttore di Macchina sulle navi Micoperi 26, e Pearl Marine (trasformazione da petroliere a navi gru) e M7000 (costruzione).

 

 

Pino SORIO

Rapallo, 16 Febbraio 2015

Carlo Gatti-webmaster

 


ESTRAZIONE DI GREGGIO NEL MAR CASPIO

ESTRAZIONE DI GREGGIO  NEL MAR CASPIO

Nota del D.M. Pino SORIO:

Questo Album fotografico sarà di sicuro interesse per chi non si è mai trovato a lavorare nel Mar Caspio. Premetto che il greggio estratto in questo mare contiene una percentuale altissima di idrogeno solforato (H2S) che letale se viene inalato. Ogni volta che i rilevatori di H2S ne segnalano la presenza, tutto il personale delle ptfs deve indossare le maschere in dotazione e raccogliersi in appositi locali. I mezzi di evacuazione IBEEV (Ice Breaker Emergency Evacuation Vessel) possono trasportare fino a 180 persone + 2 di equipaggio, possono navigare sul ghiaccio e tra le fiamme, l'aria per la ventilazione interna è a circuito chiuso e viene prelevata da pacchi bombole, sono dotate di una camera di decontaminazione dove il personale vi deve transitare prima di andare a prendere il posto assegnato. Il gas H2S viene separato dal greggio e poi ripompato nel pozzo a pressione altissima. Questa operazione viene eseguita da particolari impianti costruiti dal cantiere spezzino NAVALMARE e montati su chiatte.

 

D.M. Pino SORIO

Rapallo, 11 Febbraio 2015

webmaster Carlo GATTI

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NEL MONDO DELLE PIATTAFORME PETROLIFERE

NEL MONDO DELLE PIATTAFORME PETROLIFERE

Pino Sorio racconta: "...da ex Micoperi (25 anni di collaborazione),  dopo il lavoro svolto da queste persone davvero competenti e molto speciali, sono contento che questa società si sia risollevata a tal punto da competere di nuovo a livello mondiale. La prima Micoperi, pur essendo una società a conduzione quasi familiare, è stata la prima ad entrare nel Mare del Nord (costruzione ptf petrolifere) con i mezzi più all'avanguardia (M25-M26-M27 ed infine con il gioiello M7000 con le sue due gru da 7000 tons)".

Il nostro socio Pino Sorio, DM di lungo corso e di grande esperienza mondiale nel settore delle piattaforme petrolifere e non solo, come vedremo, gratifica i nostri followers con un ampio ALBUM FOTOGRAFICO dedicato a questi "mostri" dell'ingegneria navale. Ringraziamo Pino Sorio che ci accompagnerà in questo percorso a tappe che pochi conoscono, ma che tutti sono interessati a scoprirne i segreti.

 

Saipem è oggi leader mondiale nel settore dei servizi per l’industria petrolifera onshore e offshore. La società ha cominciato ad operare negli anni '50. Durante gli anni '50 e '60 ha maturato competenze nella posa di condotte onshore, nella costruzione di impianti e nella perforazione, inizialmente come divisione dell’Eni e in seguito su base stand-alone, diventando definitivamente autonoma nel 1969. Saipem ha iniziato le attività offshore nel Mediterraneo nei primi anni '60 e ha esteso le operazioni al Mare del Nord nel 1972. La società ha iniziato ad offrire servizi all’esterno del gruppo Eni nei primi anni '60 e da allora ha progressivamente ampliato la propria base clienti, che oggi annovera quasi tutti i colossi del petrolio e le maggiori compagnie petrolifere, sia private che di stato, di tutto il mondo. Alla fine degli anni '90, con lo spostamento delle attività verso le acque profonde e in paesi in via di sviluppo, Saipem ha realizzato un piano di investimenti per adeguare alle sempre più sfidanti condizioni di mercato le capacità dei propri mezzi navali nella perforazione e nello sviluppo dei giacimenti in acque profonde, nella posa delle condotte, nel leased FPSO (Floating Production Storage and Offloading) e nella robotica sottomarina.
Saipem è stata tra le prime a dare risalto al contenuto locale sviluppando imponenti strutture nell’Africa Occidentale, nei paesi dell’ex Unione Sovietica e in Medio Oriente, ed impiegando un numero di lavoratori locali senza pari nell’industria.
Contemporaneamente al potenziamento della flotta e allo sviluppo del contenuto locale, la Società ha iniziato a rafforzare le proprie competenze ingegneristiche e di project management, per affrontare un altro importante trend verso i grandi progetti integrati di tipo EPCI e EPC, prima in ambito offshore e successivamente in ambito onshore. L’obiettivo per quanto riguarda l’offshore è stato raggiunto attraverso una serie di acquisizioni, culminate in quella di Bouygues Offshore nel 2002. Questa operazione va considerata come la più rilevante acquisizione effettuata tra società di paesi diversi in Europa nel settore dei servizi per l’industria petrolifera. Successivamente, in risposta alla tendenza del settore verso grandi progetti EPC onshore, tra cui quelli relativi alla valorizzazione del gas naturale e dei greggi difficili (quali oli pesanti, sabbie bituminose, ecc.) e al fine di rafforzare la propria posizione in Medio Oriente e la propria base clienti, nel 2006 Saipem ha acquisito Snamprogetti, una delle maggiori società di ingegneria e costruzioni attiva sul mercato internazionale della progettazione ed esecuzione di grandi impianti a terra per la produzione ed il trattamento di idrocarburi e la valorizzazione del gas naturale.

Il risultato è stato la creazione di un eccezionale contrattista, con un forte orientamento verso le attività oil & gas in aree remote e in acque profonde, leader a livello mondiale nella fornitura di servizi di ingegneria, di procurement, di project management e di costruzione, con distintive capacità di progettazione ed esecuzione di contratti offshore e onshore anche ad alto contenuto tecnologico quali la valorizzazione del gas naturale e degli oli pesanti.

Saipem ha recentemente portato a termine l’impegnativo programma di investimenti, iniziato nel 2006, volto a rafforzare ed espandere gli asset delle Perforazioni e delle Costruzioni Mare, oltre ad asset richiesti nell’ambito di progetti di rafforzamento del local content, in particolare mezzi navali d’avanguardia progettati avendo in mente le sfide che porranno la produzione e il trasporto di idrocarburi in acque ultra-profonde e in ambienti di frontiera.

Saipem è quotata alla Borsa Valori di Milano dal 1984 (in precedenza era interamente proprietà di Eni). Attualmente Eni possiede circa il 43% di Saipem.

 

 

 

(ultimo aggiornamento: 15 gennaio 2014)

 

Flotta per attività di perforazione

 

Saipem 10000

Saipem 12000

Scarabeo 3

Scarabeo 4

Scarabeo 5

Scarabeo 6

Scarabeo 7

Scarabeo 8

Scarabeo 9

Perro Negro 2

Perro Negro 3

Perro Negro 4

Perro Negro 5

Perro Negro 6 (affondata in un incidente presso la foce del fiume Congo il 1º luglio 2013)

Perro Negro 7

Perro Negro 8

Saipem TAD

 

Flotta per attività di costruzione

 

 

Castorone

 

Castoro II

 

Castoro Sei

 

Castoro 7

 

Castoro Otto

 

Castoro 9

 

Castoro 10

 

Castoro 11

 

Castoro 12

 

Castoro 14

 

Castoro 15

 

Castoro 16

 

Saipem FDS

 

Saipem FDS 2

 

Saipem 3000

 

Saipem 7000

 

Semac 1

 

S 355

 

Crawler

Bar Protector

 

Ersai 1

 

Ersai 2

 

Ersai 3

 

Ersai 4

 

Ersai 400

 

Ragno 3

 

SB 230

 

S 44

 

S 600

 

S 45

 

S 42

 

SB 103

 

S 43

 

S 46

 

S 47

 

New DSV

 

Far Sovereign

 

• Normand Cutter

 

• Far Samson

 

• Grampian Surveyor

 

• DP Reel

 

• Harvey Discovery

 

• Bourbon Trieste

 

• Miclyn Endurance

 

• Innovator 250

 

• Innovator

 

• Olympian

 

• Super Mohawk

 

• MRV

 

• Discovery/Scorpion

 

• Beluga

 

• Flexjet II

 

• Brutus

 

• Carousel

Il DM Pino Sorio racconta: "Seguono alcune foto dell'impianto per il varo in modo "Jay" (fondali fino a 3000 metri) che abbiamo installato a R'dam tra il 1998 e fine 1999 e le prove di varo fatte in un fjordo della Norvegia. Sulle foto ho inserito alcune spiegazioni. All'interno della torre erano installati tre tensionatori ciascuno con un tiro da 400 Tons, una stazione di saldatura di tipo "giostra" (brevetto Saipem)con tre macchine saldatrici a filo continuo, una sottostante stazione di controllo RX saldature ed una stazione per  eventuali riparazioni saldature. Alla base della torre a livello mare vi era una clampa idraulica per tenere tutto il peso della tubazione gia varata a mare. All'esterno della torre vi erano i bracci idraulici con clampe per sollevare le barre di tubi lunghe 45 metri dalla coperta e allinearle con la testa della tubazione già varata. I tubi venivano trasportati sulle bettoline in pacchi pre-assemblati da 5000 tons. In coperta era sistemata tutta la linea di cianfrinatura terminali tubi ed il verricello idraulico per l'abbandono a mare in caso di emergenza (condizioni meteo avverse) e successivo recupero per ripresa lavoro. Il verricello di abbandono e recupero aveva un tiro massimo di 3500 tons ed era stato costruito da una ditta della provincia di Bergamo.

 

Il primo progetto portato a termine dalla S7000 è stato il gasdotto "Blue Stream" nel Mar Nero tra la Russia e la Turchia ad una profondità di 2000 metri e con una media giornaliera di varo di 2.2 km di tubo".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chief Engeneer Pino Sorio a destra

In queste ultime foto si vede la fase di saldatura della barra di tubo da 45 metri alla sezione di sealine giò completata che viene fatta contemporaneamente da tre saldatrici che ruotano attorno al tubo, praticamente ogni saldatrice completa 120° di circonferenza e il tutto avviene nel tempo di meno di tre minuti. Quando si inzia a varare, il tubo completato viene fatto scendere lentamente a mare da tre tensionatori (costruiti vicino a Torino da ditta italianissima) ciascuno con un tiro da 400 tons (ultima foto).

Nella sezione VIDEO di questo sitoweb potete assistere sul Youtube SAIPEM 7000 all'operazione di saldatura parzialmente descritta in questo articolo.

Pino SORIO

 

Rapallo, 11 Febbraio 2015

 

Webmaster Carlo Gatti

 

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NAVIGARE TRA I GHIACCI - 2 -

NAVIGAZIONE NEI GHIACCI

 

 

L'amico e collaboratore Maurizio Brescia, Vicepresidente di Mare Nostrum, ci ha inviato una serie di interessanti immagini relative ad un viaggio nel Golfo di Botnia a fine dello scorso anno. Ecco il suo resoconto.

 

Il 28 dicembre 2009 ho effettuato una navigazione di un giorno a bordo del rompighiaccio finlandese Sampo, con partenza e arrivo nel porto di Kemi (Finlandia settentrionale). La navigazione ha avuto luogo nelle acque settentrionali del Golfo di Botnia, che divide la Svezia dalla Finlandia.


Il rompighiaccio Sampo nelle acque gelate del Golfo di Botnia

(Foto Maurizio Brescia)

Il Sampo è stato varato nel 1961 dai cantieri Wartsila di Helsinki e - sin verso la metà degli anni Novanta - ha prestato servizio con l'Autorità Marittima finlandese. Successivamente è passato in gestione alla municipalità di Kemi che,oltre ad utilizzarlo per compiti "istituzionali" in zona, lo ha destinato ad un uso maggiormente "turistico" per  brevi crociere giornaliere e di durata anche più lunga.
 Il Sampo è lungo 75 mt., disloca circa 3.500 t. e dispone di un apparato motore diesel elettrico su due assi, composto da quattro motori Wärtsila e da quattro generatori, per circa 19.000 cv di potenza.

 

 

Alcune belle immagini del viaggio di Maurizio Brescia

La navigazione sul Sampo è davvero consigliabile a tutti gli appassionati di cose di mare. Per maggiori informazioni è visitabile il sito http://www.sampotours.com/ (anche in italiano).

 

Maurizio BRESCIA

webmaster Carlo Gatti

18 Ottobre 2014

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PILOTI GÄVLE - GOLFO DI BOTNIA

 

STAZIONE PILOTI BÖNAN – GÄVLE

 

GOLFO DI BOTNIA

Il porto di Gävle si trova nella parte meridionale del Golfo di Botnia. Appare nella parte alta della cartina. Le isole Åland costituiscono la porta d’accesso al golfo. I Piloti coordinano il servizio anche dei porti limitrofi e da questa stazione le navi possono imbarcare, facoltativamente, il Pilota per qualsiasi destinazione del Botten Havet.

 

 

 

 

 

 

Il Golfo di Botnia, parte settentrionale del Mar Baltico, é un'insenatura larga da 100 a 200 km e lunga 600, con coste frastagliate fronteggiate da isole spianate dalla glaciazione quaternaria. Per i molti corsi d'acqua che vi sfociano e la scarsa evaporazione, le sue acque sono pochissimo salate e il golfo gela in inverno.

 

Verso la fine degli anni ’90, durante un pilotaggio nel porto di Genova, conobbi il comandante svedese Anders Nordin, il quale mi raccontò che suo padre, pilota del porto di Gävle, morì assiderato per essere caduto in mare dalla  biscaglina di una nave. Negli anni successivi andai a trovare due volte i colleghi di quel distretto, in due stagioni diverse, per rendermi conto delle difficoltà oggettive del pilotaggio nel Golfo di Botnia. In estate il pilotaggio é addirittura piacevole, sia per la natura lussureggiante, sia per la luminosità ed il clima decisamente mite. In inverno il panorama cambia completamente e la navigazione é ostacolata dal freddo polare, dalla scarsa visibilità e soprattutto da formazioni di ghiacco che possono raggiungere il mezzo metro di spessore al Sud e raddoppiarsi nel nord del bacino.

 

Si racconta che in questa parte del mondo la navigazione sia sempre stata difficile, e addirittura interdetta per sei mesi l’anno. Questo blocco totale dei trasporti marittimi ha da sempre inciso negativamente sull’economia di questi Paesi che si affacciano sul golfo. La Svezia sfrutta ben 20 miniere di minerali ferrosi molto pregiati, le più importanti si trovano proprio nel Nord del Paese: Kiruna, Gällivare e Skellefteå. Ancora oggi, nonostante l’avvento di potentissimi rompighiaccio che hanno aperto la navigazione anche nei mesi invernali, il maggior porto d’imbarco del minerale svedese é Narvik (Nord Norvegia) dove il mare é mitigato dal passaggio della Correte del Golfo (temp. dell’acqua del mare intorno ai 6-7°) e non ghiaccia mai. E’ storicamente interessante il collegamento tra la miniera di Kiruna e il porto di Narvik tramite una linea ferroviaria di 168 km che fu costruita ai primi del ‘900 e che funziona ancora oggi. I tedeschi se ne impossessarono nel giugno del 1940 e per 5 lunghi anni di occupazione della Norvegia, sfruttarono il porto di Narvik per l’imbarco del minerale necessario a costruire armamenti bellici in patria.

LA RIVOLUZIONE COMPIUTA DAI ROMPIGHIACCIO

 

Con l’avvento dei rompighiaccio sempre più potenti ed attrezzati per guidare le navi, la navigazione commerciale di ogni tipo é assicurata, anche in condizioni estreme. Nel settore Nord del Golfo il ghiaccio può avere anche uno spessore molto maggiore di quello riportato, ma tende a calare spostandosi a sud. Non mi addentro nei particolari tecnici della navigazione con l’assistenza del rompighiaccio, li troverete leggendo il “rapporto” molto dettagliato del Comandante camoglino Michele Gazzale che ha avuto l’opportunità di navigare nel Golfo di Botnia in quelle condizioni. L’accuratissima descrizione di tutti gli aspetti nautici ed anche umani la trovate nell’articolo  che segue questa introduzione, si chiama: NAVIGAZIONE TRA I GHIACCI”

 

Le foto che seguono mostrano alcuni rompighiaccio svedesi di epoche diverse.

 

 

 

Rompighiaccio “THULE”

 

 

Rompighiaccio “HYMER”

 

 

 

Rompighiaccio “ATLE”

Luleå (nella foto) é il porto più settentrionale del Golfo di Botnia. Come si può notare, la presenza di 3 rompighiaccio moderni e molto potenti in porto, dà l’idea del lavoro che li attende nel periodo invernale. Nella foto, notiamo l’alta struttura della nave spostata verso proravia per aggiungere peso alla nave, la cui prora non taglia il ghiaccio, come erroneamente si é portati a credere, ma lo spacca scivolandoci sopra ad alta velocità.

 

Per vincere un determinato spessore di ghiaccio, (nei settori polari può raggiungere anche gli 8 metri), occorre un rompighiaccio di adeguata potenza e stazza. Affronteremo questo interessante argomento nel prossimo capitolo.

 

 

Come si può notare in questa tabella, se la temperatura dell’acqua di mare é di -5°, inizia subito la Zona Critica per un soggetto in buone condizioni psicofisiche, ma dopo circa 30 minuti d’immersione si entra nella Zona Letale.

 

 

In Svezia ci sono 220 Piloti di cui 6 sono donne. Nel Bottenhavet (Golfo di Botnia) avvengono circa 4.000 pilotaggi l’anno, di cui la metà si attuano nel distretto di Gävle,  200 km c.ca a Nord di Stoccolma.

 

I video YouTube che seguono, li potete vedere nella sezione VIDEO della Home Page di questo sito.

In questo primo YouTube vi mostriamo un piacevole pilotaggio estivo tra isolotti e villette con piscina in cui tutto appare molto “paradisiaco”.

https://www.youtube.com/watch?v=5laUCdOeTbU

In questo secondo YouTube vi mostriamo l’abbordaggio del pilota a bordo

 

https://www.youtube.com/watch?v=txIM8d2ZPoY

In questo  terzo YouTube vi mostriamo un’interessante esercitazione dei Piloti che si tuffano in mare per collaudare “tute speciali” contro l’assideramento.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LqvwnF0PrzM

In questo quarto YouTube vi mostriamo alcuni rimorchiatori-rompighiaccio in azione davanti al porto di Gävle.

 

https://www.youtube.com/watch?v=goCMe2PGkYI

Sjöfartsverket Gävle lotsstation - Autorità Portuale - Sede dei piloti di Gävle

 

 

 

BÖNAN, sede dei piloti di Gävle. A sinistra il vecchio faro del 1600 che oggi ospita il Museo dei Piloti. In centro, le abitazioni, gli uffici e la direzione del traffico. A destra un grande magazzino per le varie attrezzature. A destra (vedi foto sotto) il molo con l’ormeggio delle pilotine ed altre imbarcazioni.

 

 

 

La robusta pilotina d’altomare mostra la colorazione arancione tipica delle imbarcazioni di salvataggio. Notare il sistema d’imbarco del pilota. Ogni Corpo Piloti, in qualsiasi parte del mondo, sceglie il sistema d’imbarco più idoneo alle caratteristiche meteo marine locali

 

 

Questo tipo di pilotina  é usata principalmente in inverno. L’elica pesca 5 metri per evitare di danneggiarsi nell’impatto con il ghiaccio.

 

Uno dei due operatori del Centro Direzionale che coordina il Pilotaggio del distretto.

 

 

Il vecchio faro di Bönan, oggi Museo dei Piloti, é curato e conservato con amore per raccontare la storia dei Piloti di questo distretto.

 

 

La cucina d’epoca sistemata alla base del faro.

 

Siamo nella seconda metà dell’800. Queste sono le prime immagini di Piloti scattate da una macchina fotografica.

 

Navi e Bandiere nazionali. Le navi a motore non erano ancora in alto mare...

 

Alla base del Faro, sono custoditi i cimeli più importanti delle pilotine di un tempo.

 

 

Il cuore del Faro. La lampada con gli specchi di riflessione della luce nei suoi vari stadi. Bozzelli e redance fanno da cornice a questa significativa rappresentazione marinara.

Vista interna del Faro. Calibrato intreccio di scale, rinforzi e sostegni di legno che offrono un’assoluta sicurezza alla vecchia struttura. Al centro penzola la vela del cutter che abbordava le navi per l’imbarco dei Piloti locali.

 

 

Siamo nel 1932. Il modello della pilotina appeso sopra la ruota del timone é un campione didattico di notevole importanza. Si nota il profondo pescaggio del mezzo per evitare che le pale dell’elica si danneggino contro il ghiaccio. Il disegno complessivo dello scafo ricorda il modello norvegese “Colin Archer” che divenne celebre per la sua adattabilità al moto ondoso oceanico. Il disegno fu adottato per la costruzione di lance di salvataggio marine e sicure. La presenza di due alberi e il boma prelude ancora al possibile impiego di tela.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 17 ottobre 2014

 

 


NAVIGARE TRA I GHIACCI -1 -

NAVIGARE TRA I GHIACCI

Premessa. La nave effettua viaggi dai porti del Mediterraneo diretta verso quelli della Finlandia passando attraverso la Manica, il Canale di Kiel ed il Mar Baltico. Viaggi lunghi fino ad arrivare ad Oulu nell’estremo Nord del Golfo di Botnia: un mare stretto mediamente 110 miglia, tra la Svezia e la Finlandia, sgombro dai ghiacci della banchisa solamente da fine Maggio a metà Novembre. Il Golfo è lungo circa 440 miglia che si estendono per N-NE dal parallelo 60° fin quasi a 66° N.

Fu verso la fine del mese di aprile 2009 che ebbi il battesimo del ghiaccio; imbarcato con il grado di terzo ufficiale di coperta sulla Oil/Chemical Tanker Acquamarina battente bandiera italiana (12003 ton. Summer dwt.; 6600kw di potenza apparato motore) appartenente alla Società di Navigazione Finbeta S.p.A. di Savona: destinazione Oulu, piccolo porto in fondo al Golfo di Bothnia, lat. 65°31' N long. 25°32' E, con un carico di prodotti chimici per l’industria finlandese.
Provenienti dal Mediterraneo, dall’inizio di aprile già si respirava aria di primavera; rimasi piuttosto sorpreso quando, transitati attraverso il canale di Kiel, fummo informati sia dall’Agenzia del luogo che dai Bollettini meteorologici della presenza, sulla nostra rotta, di zone di ghiaccio con spessore non inferiore a 80 cm!
La salinità, già bassa nel Mar Baltico, decresce ancor più verso Nord nel Golfo di Botnia. La temperatura dell’aria scende di molti gradi sotto lo zero.
La navigazione fu tranquilla fino al traverso di Markeskallen Light con ingresso nel Golfo, rotta per Nord, attraverso il passaggio di Sodra Kvarken. Circa 20 miglia prima del transito per Nordvalen, in contatto con Bothnia VTS, via VHF ch 67, ricevemmo le coordinate di una serie di punti (waypoints) da seguire: ci allarmammo un poco, ciò significava che le acque non erano sicure per la navigazione. Avendo già navigato in questi mari, in stagioni diverse, avevo avuto modo di constatare le eccezionali condizioni di visibilità spesso verificabili e, dopo il tramonto, mentre rilevavo il primo ufficiale impegnato per la cena, il Comandante, salito sul ponte di comando a dare un’occhiata, mi fece notare, sulla nostra dritta, una lunga striscia bianca all’orizzonte, confusa con il cielo nuvoloso: era il riverbero dello strato di ghiaccio ammassato sulle coste finlandesi, come riscontrabile dalle carte del ghiaccio ricevute via meteo-fax: eravamo a oltre 30 miglia dalla costa ed era il segno che ci stavamo avvicinando all’area pericolosa: l’azzurro mare cambiava colore diventando grigio-verde, l’assenza di brezza ne rendeva la superficie di apparenza oleosa.
Non passarono più di due ore, a circa 14 nodi, quando avvistammo, all’orizzonte, i potenti riflettori del rompighiaccio di sentinella: attendeva noi. Informato il Comandante, fu avvisata anche la Macchina affinché potesse dare tutta potenza disponibile per evitare di rimanere presi dalla morsa del ghiaccio.
Contattati dal rompighiaccio (icebreaker), ricevemmo istruzioni di procedere, a tutta forza, nella sua direzione, rimanendo stand-by pronti per l’ascolto sul suo canale di servizio: ogni icebreaker è in ascolto sul VHF Ch 16 e in MF 2332 kHz, ma utilizza un canale differente per le operazioni con la propria assistita o il proprio convoglio per non interferire nel traffico delle radiocomunicazioni sempre intenso. I Canali di lavoro sono facilmente ricavabili dalle pubblicazioni nautiche o dalle carte meteo del ghiaccio dove si trovano, continuamente aggiornate, le posizioni di tutti i rompighiaccio in servizio e, in ultimo, dalle informazioni visualizzate attraverso l’A.I.S.
Nel momento in cui entrammo in contatto con il primo ghiaccio di una certa consistenza, ma piuttosto fragile, con mia sorpresa, data la poca esperienza in materia, notai che la nostra traccia, sul ghiaccio, era chiaramente evidenziata dal Radar, senza dubbio un grande aiuto quando ci si deve mettere nella scia del rompighiaccio. Sceso il buio e accesi tutti i proiettori che illuminavano la traccia, conducemmo navigazione a vista, seguendo il rompighiaccio che individuava, grazie all’esperienza del suo capitano, gli strati di ghiaccio più facili da spezzare.
Un carico di lavoro pesante per il nostro Comando e tutto l’equipaggio: la navigazione sotto guida può durare molte ore e giorni interi durante gli inverni più rigidi e il ghiaccio scende a basse latitudini, lo “stridolio” del ghiaccio che scorre lungo lo scafo non permette un tranquillo riposo.

Ho sperimentato che il momento più critico si verifica quando, per le eccezionali condizioni meteo, il passaggio compreso fra l’icebreaker e la propria nave si richiude senza darti la possibilità di navigare a distanza di sicurezza: allora il rompighiaccio è costretto a prendere la nave a rimorchio: bisogna avere particolare attenzione e abilità nelle manovre quando l’icebreakear si “infila” sotto la prua della nave per formare un corpo unico (v. figure). Si diventa, praticamente, il timone dello stesso rompighiaccio; non bisogna dimenticare di rispondere con un’accostata opposta alla direzione verso cui l’icebreaker vuole dirigere: spesso il Comandante dell’icebreaker chiede un aiuto per agevolare la propria accostata.
Ovviamente si tratta di un aiuto nel dirigere la prua perché in quanto a potenza non c’è confronto fra i loro 15/16 MW e i nostri 6600 KW.

Nota del webmaster:

In questo modello del rompighiaccio SAMPO, (foto di Maurizio Brescia) si nota a poppa l'apparato descritto e disegnato nel presente articolo. Qui sotto riportiamo l'ingrandimento.

Sotto certi punti di vista è divertente manovrare nel ghiaccio, devo ringraziare il Comandante G. Russo: per la sua fiducia, ho imparato a stare al timone nella scia del rompighiaccio e, soprattutto, a non rimanere bloccato: può sembrare facile, ma bisogna imparare qualche accorgimento …! È questione di attimi!
La manovra per sbarcare il pilota, ricordo, è stata sorprendente, non mi era mai capitato di vederlo sbarcare, a piedi, sul ghiaccio ed “imbarcare” sulla pilotina costituita da una motoslitta!
Non sempre l’esperienza può bastare in certe situazioni: impossibile dimenticare l’ultimo imbarco, con un inverno più rigido rispetto agli ultimi anni, quando in uscita dal porto di Rauma (Fl), sempre dietro al rompighiaccio, lasciato il pilota, riuscimmo a navigare, forse, per un paio di miglia: poi la potente mano della Natura ci fermò. Il Comandante Failla, con l’esperienza di una brillante carriera svolta a battere questi mari, rimase sul ponte non so quante ore nel tentativo di trovare un varco in una direzione qualsiasi pur di liberarci, manovrando di macchina e timone, ma quando, oltre a noi,

Posizione di sicurezza ICEBREAKER in funzione di rimorchiatore

 

Vista Dall'alto

Sistema NAVE-ICEBRTEAKER in manovra

altre due navi, a poca distanza ebbero lo stesso problema, comprendemmo che, forse, non c’era più una via apribile: il ghiaccio si era compattato molto bene; non ci restava che chiamare l’icebreaker e rimanere in attesa. Non è piacevole rimanere in balia del ghiaccio!
Arrivò il rompighiaccio che, con la sua potenza da gigante dei mari, ci avvolse come in un materno abbraccio e, dopo un paio di evoluzioni intorno per rompere il ghiaccio, ci accolse, come la chioccia con i suoi pulcini, e in convoglio, ci fece raggiungere acque più libere. Proseguimmo da soli cercando il passaggio più sicuro attraverso gli strati di ghiaccio più sottili: più con l’abilità dell’uomo di mare che attraverso la strumentazione, io sto cercando di acquisirla e, vi assicuro, è un’esperienza indimenticabile che segnerà la mia vita per sempre!

 

Al termine della interessante conferenza gli studenti di V classe rivolgono domande.

1) Con quali criteri il V.T.S. dà le rotte ed i punti di accostata?
Risposta: in base alle varie carte meteo-oceanografiche di previsione e di situazione nelle diverse zone: sono proprio gli stessi icebreaker in stand-by, i rompighiaccio in attesa, che fanno il servizio di scorta verso ogni porto di destinazione. Icebreaker proprio alla deriva nel ghiaccio, in alcune zone strategiche, come potrebbero essere i passaggi ristretti di Nordvalen o più semplicemente ai limiti della “banchisa”, dove il ghiaccio inizia ad essere troppo compatto per una navigazione senza scorta. Nel bisogno i rompighiaccio vengono a scortare le navi ed aprire la via a chi non resta “impantanato”. Gli icebreaker danno ai VTS informazioni dirette. Le accostate possono arrivare a 30° o 40°. Quando in zona il vento viene dai quadranti orientali l’accumulo di ghiaccio è lungo la costa svedese; troviamo i WP più vicini alla costa finlandese; e viceversa con i venti occidentali.

2) A che distanza la nave segue il rompighiaccio di guida? Qual è la velocità di manovra?
Risposta: la velocità, diciamo, è sempre la massima possibile; noi avevamo una velocità con macchine “Full Ahead”(tutta forza avanti) di 14 nodi; non succede quasi mai che venga richiesto di procedere più lentamente, a meno che non si stia procedendo in convoglio … allora tutte le navi si devono adeguare a quella che ha la velocità minore, o comunque con potenza motore inferiore. Ecco!! ciò che chiede talvolta il comandante dell’icebreaker, quando si arriva in area di operazioni e prima di iniziare il convoglio: è proprio la potenza dei motori e la massima velocità della nave. Una curiosità: è capitato di ricevere la richiesta di attendere qualche ora fermi nel ghiaccio, o di aspettare l’arrivo del convoglio “in discesa” dal mar di Bothnia, o di attendere un'altra nave in modo da unirci al convoglio “in salita”. La distanza tra nave e rompighiaccio che guida una sola nave non supera 1000 metri. Il Capitano dell’icebreaker ed il Comandante della nave sono in continuo contatto radio. Se la nave ha difficoltà a mantenere la velocità perché il ghiaccio tende a ricompattarsi in breve tempo, i due Master concordano per navigare più vicini e mantenere una adeguata velocità minore: l’icebreaker si avvicina alla nave riducendo temporaneamente la velocità più di quanto l’abbia ridotta la nave. Dopo aver ridotto il corridoio di transito tra le due unità, il rompighiaccio si porta alla stessa nuova velocità della nave. Il minor tempo di transito della nave è tale da anticipare il processo di ricompattamento; la nave sfugge alla morsa della pack. Per la sicurezza del convoglio la brevità dell’intervallo vale, in tal caso, più della lunghezza del convoglio.

3) È difficile far rimanere la nave nel varco, lo stretto canale aperto dell’icebreaker? Chi sta al timone, il marinaio o l’ufficiale?
Risposta: alla seconda domanda risponderò dopo. Non è facile spiegare come intervenire per rimanere nel corridoio di transito aperto dal rompighiaccio, manovrare per non andare a strisciare il pack sotto l’azione del vento. Si è guidati dall’intuito; è necessario agire correttamente e prontamente col timone. Non sempre si riesce; c’è la corrente, talvolta; ma la corrente è subdola, non si vede. Non è piacevole portare la nave (anche se contro volontà) a strisciare contro il ghiaccio e udire lo “stridio” delle lamiere ed avvertire il rischio di traversare la nave, possibile preludio di finire attanagliati dalla banchisa.

4) Se la nave è presa dalla morsa del ghiaccio come agite? La nave ha il doppio scafo?
Risposta: la prima preoccupazione del comandante è quella di avvertire il direttore di Macchina. L’elica non deve essere bloccata dal ghiaccio; deve sempre girare perché deve smuovere l’acqua d’intorno. Se la nave ha l’elica a passo fisso si deve far girare molto lentamente l’elica, cioè con i giri (al minuto) al minimo. Se la nave ha l’elica a passo vario si mette il propulsore a passo zero. Tutte le chimichiere sono costruite col doppio scafo.

5) È importante conoscere lo spessore del ghiaccio?
Risposta: si. L’indicazione dello spessore del ghiaccio, nelle varie zone, è contenuta nelle cartine meteofax, e in quelle che si trovano sui siti internet, per le navi che hanno il collegamento con la rete; in generale il VTS, durante il contatto via VHF, dà un'indicazione sullo spessore massimo del ghiaccio; informa sulla situazione generale che si troverà lungo la rotta per il porto di destinazione. Qualche volta lo strato supera 1 metro. Sappiamo che l’acqua marina di circolazione del raffreddamento viene dalle prese: basse o alte. Se la nave, in zavorra, navigasse con le prese alte e rimanesse nell’abbraccio del pack non andrebbe incontro ad altri problemi a condizione che sia stato fatto un preventivo maggiore zavorramento per evitare l’occlusione delle prese da parte della morsa del ghiaccio.

6) Ha mai incontrato lastroni di ghiaccio isolati e non segnalati?
Risposta: se il lastrone di ghiaccio è grande, è raro che sfugga all’avvistamento e … alla segnalazione, sempre doverosa da parte di una nave. L’incontro capita spesso, verso la fine della stagione, quando il ghiaccio si disperde e inizia a dividersi in parti; perciò si naviga sempre coi proiettori accesi di notte, proprio per cercare di avvistare ed evitare il più possibile i pezzi più grossi. È vero che la nave è classificata ICE Class, ma è meglio non fidarsi; scontrare un pezzo di ghiaccio alla massima velocità non è molto … bello; meglio evitare, se possibile. Sovente si fanno accostate su accostate pur di evitare il ghiaccio!

7) Ha mai incontrato, in altri mari, un iceberg?
Risposta: no. “In altri mari” è precisazione corretta. Gli iceberg hanno un’origine precisa: si staccano dai nevai delle montagne alte, scoscese; scendono a valle e finiscono in mare, come ad esempio (lo saprete tutti) le terre della Groenlandia ed altre. Il Golfo di Bothnia è circondato da terre pianeggianti o quasi. Meglio così, un problema in meno. Ma non è esclusa la possibilità, con altri viaggi, di fare la conoscenza!

Cari giovani, le incombenze dell’Ufficiale a bordo sono numerose. Seguire alla lettera le procedure come da “check list” … le “continue Ispezioni delle maggiori Compagnie Petrolifere” … l’ufficiale rischia di perdere l’altro aspetto della professionalità, anche se poco conosciuto e riconosciuto, ma non per questo meno importante dei tanti controlli. Intendo dire non si deve perdere di vista l’importanza dell'esperienza vera dell'uomo di mare. Da Allievo non ho mai perso occasione per tenermi stretto il timone, sapendo che certe esperienze avrei rischiato di non poterle più provare direttamente. Rispondo alla domanda in sospeso. Di norma il marinaio è al timone. Ma non bisogna dimenticare che l’ufficiale è responsabile della guardia. Egli è motivato se nel tirocinio di allievo ha acquisito esperienze preziose; tra cui, ripeto, saper stare al timone (col consenso del Primo e col pretesto di dare al Marinaio un po’ di riposo …). Solamente così, da ufficiale, si è pronti a dare un tempestivo suggerimento al timoniere o rilevare il marinaio poco esperto in particolari frangenti. L’Ufficiale, nel servizio di guardia, non sta al timone perché già occupato a mettere i punti nave sulla carta nautica, seguire la navigazione e a intrattenere comunicazioni VHF con l’icebreaker, ovviamente col Comandante a sovrintendere. Solamente l’ufficiale che ha conoscenza dei problemi e possiede il senso della professionalità nell’emergenza va oltre la routine e sa fronteggiare una situazione difficile.

 

 

a cura dell’Ufficiale di Navigazione II

Michele Gazzale

Rapallo, 14 ottobre 2014

 

 

Mi complimento con il Comandante Michele Gazzale, camoglino DOC, per questa cronaca in diretta di "navigazione sul ghiaccio". Non solo é raro capitare con la nave nel Golfo di Botnia, ma é altrettanto raro che un ufficiale racconti in modo così dettagliato e avvincente questa sua esperienza, la quale é sicuramente degna di essere diffusa, con la presente documentazione fotografica e grafica, presso tutti gli Istituti Nautici Italiani.

Webmaster Carlo Gatti