MICOPERI 7000 - AGGIORNAMENTO - SAIPEM 7000

MICOPERI 7000

AGGIORNAMENTO

SAIPEM 7000

A questa gigantesca unità italiana, costruita presso i Cantieri Navali di Monfalcone, abbiamo già dedicato un articolo relativo alla sua costruzione e alla sua storia. Vi riproponiamo il LINK:

M-7000 - ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=385;m7000&catid=53;marittimo&Itemid=160

Costruzione n° 5824 - MICOPERI 7000

La Micoperi 7000 è una nave officina semi-sommergibile munita di due gigantesche gru dalla portata di 7000 tonnellate ciascuna; nel suo genere è la più grande e potente unità di tutto il mondo. Fa ormai a buon diritto parte della storia del Cantiere lo sforzo delle maestranze che ha reso possibile il rispetto dell'impegno: esattamente due anni di intenso lavoro la 7000 ha potuto così lasciare le acque dell'Adriatico diretta in Brasile dove ha iniziato la sua attività

Nave gru semisommergibile costruita nel 1987 (Impostazione 19. 12. 1985, varo 15. 12. 1986, consegna 15. 12. 1987).

117812 tsl - 35343 tsn - 18370 tpl - 175,00 x 87,00 x 43,50 m - propulsione diesel/elettrica - potenza installata 75600 HP (50600 kw) - 8 eliche - 9,5 nodi - capacità di sollevamento 14000 Tonnellate - alloggi per 680 persone - Equip.: 120.

La complessità delle caratteristiche costruttive e funzionali sfugge invero ad una descrizione contenuta; pure sinteticamente si potrà illustrare la struttura generale della nave come formata da due scafi, lunghi 165 metri e larghi ciascuno 33, sormontati da tre colonne ciascuno ed una piattaforma, lunga 175 metri, cui vanno aggiunte le strutture per le imbarcazioni di salvataggio per una lunghezza massima fuori tutto di 190 metri, e una larghezza massima di 87 metri.

Il torrione alloggi, sistemato nella parte poppiera, è composto da cinque ponti sovrastati dalla tuga comando e dall'eliporto, e può ospitare 800 persone.

Le due mastodontiche gru, sistemate su due virole del diametro di 28 metri, nella parte prodiera della nave, raggiungono un'altezza dal ponte di oltre 75 metri, con un braccio di 140 metri attrezzato con 4 ganci. Il gigantismo sembra essere il modulo di misura generale della nave e delle sue dotazioni. Sedici ancore da 40 tonnellate ciascuna fissate a cavi da 96 mm di diametro e lunghi 3.550 metri garantiscono il posizionamento della nave a mezzo di verricelli di dimensioni inedite (dieci metri di lunghezza per sei di larghezza ed altrettanti di altezza); un impianto di zavorra basato su quattro elettropompe della portata di 6.000 metri cubi/ora ciascuna, con collettori da un metro di diametro collegati alle casse che regolano l'assetto e l'immersione della nave (di queste, quattordici sono destinate al zavorramento rapido con prese mare munite di valvole a farfalla del diametro di due metri ciascuna: il tutto comandato e regolato da un calcolatore attraverso un impianto di telecomando delle valvole e dei macchinari).

La propulsione, le gru e tutti gli impianti di bordo sono mossi da motori elettrici, alimentati da una centrale composta da otto diesel-alternatori da 5.500 KW, due da 2.800 KW e da un generatore d'emergenza da 1.100 KW, per un totale di 50.600 KW.

La nave è munita di tutti i comfort per le persone imbarcate, compresa una grande piscina coperta, una sauna, una sala di ginnastica, dei saloni di ricreazione, le mense e due cinema oltre, naturalmente, a cabine con servizi privati, all'impianto completo d'aria condizionata ed ampi locali di servizio e agli spogliatoi.

Durante i collaudi effettuati in Adriatico la MICOPERI 7000 ha superato tutte le prove ed è riuscita a sollevare, con le due gru in tandem, 14.600 tonnellate.

15. 12. 1987 MICOPERI 7000: Micoperi S. p. A. – Milano.

1992: Saipem S. p. A. - Affittuaria Ramo di Azienda di Micoperi S. p. A. - San Donato Milanese, reg. a Palermo

199.. SAIPEM 7000: Saipem Luxembourg S. A. – Nassau.

31. 12. 2003: in servizio.

(AMA)

· Scheda tecnica

Nome:

MICOPERI 7000

Tipo:

Nave-Gru semi-somm.

Committente:

Micoperi S.p.A. - Milano

N. costruzione:

5824

N. assemblaggio:

N. complet.:

Data d'impostazione:

19/12/1985

Data varo:

15/12/1986

Data consegna:

15/12/1987

TSL:

121500

TPL:

18370

TDS:

-

Lunghezza (m):

175.00

Altezza (m):

43.50

Larghezza (m):

87.00

Motore:

DE

Potenza (CV):

75600

Propulsione:

8E

Velocità (nodi):

9.5

ALBUM FOTOGRAFICO - Uno

MICOPERI 7000

SAIPEM 7000

 

Il servizio che segue contiene un ampio Album fotografico che illustra la sua operatività.

MICOPERI 7000 - Port Elizabeth (S.A.)

CARATTERISTICHE  AGGIORNATE

S7000

TIPO DI NAVE

 

Semi sommergibile autopropulsa con posizionamento dinamico

 

CARATTERISTICHE NAVE

Lunghezza fuori tutto 197.95 m

Piattaforma di coperta 175 m x 87 m x 8.5 m

Scafi inferiori 165 m x 33 m x 11.25/15.25 m

Altezza al ponte di coperta  43.5 m

Coperta  area 9,000  metri quadri

Massimo .carico in coperta 15,000 tons

Pescaggio operativo 27.5 m

Pescaggio di sopravvivenza 18.5 m

Pescaggio di navigazione  10.5 m

Velocità di navigazione 9.5 nodi

 

SISTEMA DI ORMEGGIO

14 x 1,350 kw verricelli a singolo tamburo, ciascuno con 3350 m x 3”3/4 cavi di ormeggio e ancore ad alta presa da 40 tons ciascuna 2 verricelli  salpancore 100%  ridondanti con sistema SDPM , ciascuno con  550 m x 5 1/8”di catena con ancora da 34.5 tons.

 

PROPULSIONE E THRUSTERS

Tutti a passo fisso e a giri variabili

4 propulsori  azimutali posteriori  da  4,500 kw

4 unità anteriori da 3,000 kw retrattili e  azimutali

2 unità anteriori da 5,500 kw retrattili e  azimutali

2 bow thrusters da 2,500 kw

 

SISTEMA  ZAVORRA

Sistema computerizzato con possibilità di simulazione  composto da:

4 elettro pompe a 10 KV di zavorra da 6,000 tons/h

40 casse di zavorra x un totale di  83,700 metri cubi

14 casse di zavorra rapida  x un totale di 26,000 metri cubi

 

GRU  PRINCIPALI

2 gru gemelle Amhoist Saipem 7000 modello rotazione completa installate a prora

Massimo sollevamento in tandem : 14,000 tons

Massimo sollevamento singolo: 7,000 tons

6,000 tons con rotazione a 45 m rad./50 m in tieback

Aux. 1 : 2,500 tons

Aux. 2 : 900 tons con possibilità di scendere fino a 450 m sotto il livello del mare

Candeletta da  120 tons

 

DISPONIBILITÀ  BATTIPALI

2 Menck MHU 3,000  battipali idraulici

2 Menck MHU 1,700       “            “

2 Menck MHU 1,000       “            “

2 Menck MHU 600          “            “

1 Menck MHU 220          “            “

1 Menck MHU 195          “            “

2 Gruppi di potenza  battipali subacquei/superficie

1 hydraulic hammer compensatore “Slim” e “Free” riding mode capability

Clampe idrauliche interne ed esterne per movimentazione pali con diametri  20” a 102” i./o. dia.

2 sistemi di livellamento con diametri da  66” - 72” - 900 t. di portata

2 sistemi di livellamento esterni da 1,000 tons

 

MACCHINARI MOVIMENTO COPERTA

1 x 70 tons gru cingolata Kobelco

1 x 35 tons gru idraulica gommata da coperta

2 x 5 tons  fork lifts

 

POTENZA  INSTALLATA

Potenza totale installata 70,000 kw, 10,000 Volt

12 generatori a nafta  pesante divisi in 6 separati locali macchina

antincendio

 

ALLOGGI  EQUIPAGGIO

388 cabine climatizzate  singole o doppie per 725 persone

Palestra, cinema, internal radio/TV, sala da pranzo principale x 400 posti  e sala ufficiali da 70 posti, sale di ricreazione, bar-caffetterie

 

ELIPORTO

Certificato per due  elicotteri BV234 LR Chinook  (uno  parcheggiato)

Sistema certificato rifornimento elicotteri

 

SISTEMA  VARO  IN J-LAY

Diametro tubi da 4” a  32”

Sistema di tensionamento laying  750 tons con tensionatori  fino a 2,000 tons con clampe

Torre Laying con  angolo da  90° - 110°

Sistema di abbandono/recupero con verricello a doppio argano con capacità di tiro  di 750 tons (fino a 2,000 tons con le  clampe)

1 stazione di saldatura

1 stazione NDT e riparazione

Tubi a quattro giunti

Capacità stoccaggio tubi fino  6,000 tons

The torre è autoinstallante e smontabile con l’ausilio delle proprie gru della Saipem 700



ATTUALMENTE  LA  S7000  SI  TROVA  A  ROTTERDAM  NEL CANTIERE  DAMEN  PER  LA  SOSTITUZIONE  DEL  SISTEMA  DI  POSIZIONAMENTO  DINAMICO -  VERRA’  INSTALLATO  IL NUOVO  DP3  E LA SOSTA  PREVISTA  SARA’  DI  3

ALBUM FOTOGRAFICO - DUE

Recupero dello Shottel

D.M. Pino SORIO

Rapallo, 12 Marzo 2019


PERCHE' POSTARE IL VIDEO DI UN IMBARCO "PERICOLOSO"

PERCHE' POSTARE IL VIDEO DI UN IMBARCO "PERICOLOSO"?

 

Il video che ho postato è diventato virale in pochissimo tempo e ha scatenato commenti di ogni tipo, commenti fatti da “addetti ai lavori” e non.

Non è stata una decisione semplice quella di mettere on-line quelle immagini. Ovviamente avevo preventivato la massiccia dose di critiche, che è seguita puntualmente, ma la necessità di mandare un messaggio forte mi ha convinto a correre il rischio di non essere capito o, comunque, di non vedere condivise le mie idee anche dopo questa spiegazione.

Prima di tutto voglio puntualizzare alcuni aspetti – che non soddisferanno i più – ma in cui molti troveranno, quanto meno, un riscontro.

La prima qualità che un pilota deve avere è la capacità di vedere le cose in modo obiettivo, anche i propri limiti. Ci sono piloti anziani, piloti esperti, piloti giovani, piloti in forma e piloti sovrappeso. Ognuno, in base alle proprie caratteristiche deve imporre limiti personali agli imbarchi, alle manovre e agli sbarchi; la prospettiva varia enormemente da individuo a individuo.

La seconda riflessione che mi sento di fare riguarda la gestione degli imprevisti. Il nostro è un lavoro dove “la cosa che non ti aspetti” avviene con una frequenza tutt’altro che trascurabile: la macchina che non parte, il vento o la corrente non previsti, l’avaria improvvisa, oppure l’onda creata dal rimorchiatore proprio mentre stai imbarcando, la biscaglina rizzata male, o un dolore inaspettato nel momento meno opportuno. Per essere pronti in quelle circostanze bisogna essere allenati, imparare ad uscire dalla zona di comfort, lavorare alle emergenze quando queste non ci sono. Tutto nel rispetto dei limiti personali che, in quanto tali, non sono uguali per tutti.

Personalmente ho un’esperienza di tutto rispetto (circa 18.000 manovre all’attivo senza mai un infortunio imbarcando o sbarcando), non sono sovrappeso e mi alleno costantemente, ho sempre fatto sport, anche particolari e ad alto livello. In definitiva sono piuttosto sicuro di sapere fino a dove mi posso spingere, restando sempre bene all’interno del mio limite di sicurezza.

Ogni porto ha le sue caratteristiche e, sicuramente, non mi permetto di discutere le abitudini o i protocolli di realtà che non conosco, ma vi posso assicurare che Genova presenta difficoltà oggettive innegabili: è completamente esposta ai venti dei quadranti meridionali e la presenza di venti chilometri di diga, che creano una contro-onda incrociata anche sul lato che dovrebbe essere ridossato, crea spesso situazioni dove la possibilità d’imbarcare/sbarcare è al limite. E, a meno che non si decida di procedere solo con mare calmo, stabilire se operare o meno diventa una decisione estremamente soggettiva.

Detto questo, passo alla spiegazione del motivo che mi ha convinto a postare questo video e, mentre mi accingo a farlo, mi torna in mente il commento di una persona che ha una grande capacità di sintesi e la sfrutta in modo incisivo: “…c’è sempre una ragione…“. La sintesi di un pensiero che per me significa: il messaggio parte in un certo modo, ma non sai mai come arriva dopo aver passato i filtri di chi legge. Eppure c’è sempre un motivo.

Non è nel mio carattere né nelle mie intenzioni fare politica, ma non posso non notare che il mondo del lavoro sta seguendo una gran brutta rotta. Non esiste più nessuna certezza, tutto viene messo in discussione continuamente e le politiche del risparmio e del guadagno, protette nella forma da una burocrazia falsa e galoppante, cancellano la tranquillità della gente generando una continua preoccupazione per il futuro.

Restringo il campo e torno sul mare.

Marittimi – persone che passano tre quarti della loro vita in mezzo al mare – si vedono allungare da un giorno all’altro la loro “pena” (miraggio della pensione) di anni… mi fermo qui, perché sulla loro situazione ci sarebbe da scrivere un libro.

Perché il video?… ora ci arrivo.

Il lavoro del pilota è poco conosciuto. Non è una frase rubata a qualche altra realtà. Il lavoro che fa il pilota non lo conoscono neanche le persone che lavorano a ciglio banchina.

Vi cito alcune frasi che vi suoneranno famigliari:

Per entrare nei piloti bisogna essere raccomandati perché fanno entrare solo chi vogliono loro“. Sapete qual’è la paura più grande durante un concorso? I ricorsi. Perché i ricorsi bloccano l’assunzione di un nuovo pilota per anni; il che significa che per tanti anni si sarebbe costretti a lavorare sotto organico con turni forzati e senza ferie (per fare un pilota, dal momento in cui si presenta la vacanza, ci vogliono in media tre anni). È anche per questo che si cerca sempre di fare tutto nel modo più pulito e trasparente possibile.

· Il pilota è una spesa inutile perché a bordo delle navi c’è già un Comandante“. Questa idea nasce dal fatto che la gente (addetti portuali o vacanzieri) hanno solamente la possibilità di vedere manovre di traghetti o navi passeggeri dove, a onor del vero, la maggior parte delle volte viene svolta dal Comandante. Premesso che su tutte le altre navi (petroliere, gasiere, contenitori, merce varia, ecc.) che sono la stragrande maggioranza, la manovra è un’esclusiva del pilota, mi preme ricordare che la funzione dell'”esperto del porto” non si limita a questo ma si aggiunge alla conoscenza del traffico e delle caratteristiche locali, tiene i contatti e coordina gli altri servizi tecnico nautici, ed è di grande aiuto (vista la vasta esperienza sul campo) nelle emergenze. Il mestiere del Comandante è complesso, ricco di responsabilità e doveri, ma il suo compito principale resta – semplificando – quello di portare un carico – che sia secco, liquido o umano – in sicurezza da un porto a un altro facendo gli interessi dell’armatore e del noleggiatore. Il pilota è estremamente specializzato nella manovra. Prima di diventare pilota facevo il Comandante su petroliere lunghe 300 metri e, nonostante questo, ho dovuto superare diversi esami, fare un anno da allievo pilota per imparare a manovrare e sono dovuti trascorrere ulteriori cinque anni prima di potermi considerare un pilota formato. (Mi rendo conto che ho sorvolato appena il 10% del punto preso in esame, ma continuando mi dilungherei troppo. Mi riprometto un approfondimento maggiore in futuro).

· Qualcuno ha scritto: “con quello che guadagnano ci saliresti anche tu a mani nude come farebbe Spiderman” (qualcosa del genere). A parte la simpatia – a dire il vero discutibile – ma pensi veramente che al mondo ci sia ancora qualcuno che regali qualcosa? Hai provato a mettere sul piatto della bilancia gli anni, l’impegno e i sacrifici che ci vogliono per arrivare a fare questo mestiere? Hai provato a pensare alla tensione che si deve affrontare dal momento in cui si sale sulla biscaglina fino ad arrivare alla manovra in acque ristrette di bestioni di quattrocento metri con condizioni meteo non sempre favorevoli? Hai provato a pensare che il nostro lavoro è legato al traffico e che pertanto lo stipendio varia con le stagioni, con la crisi e con l’andamento del mercato? Hai provato a pensare che ogni pilotina costa 4/500 mila euro e che quando dobbiamo acquistarle i soldi ce li portiamo da casa? Lo sai che ci sono piloti che sono rimasti sotto processo anche per 15 anni? Che le nostre malattie professionali sono gli infarti e gli ictus? Che svolgiamo il servizio 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno e che per la difficoltà di fare nuovi piloti non avremo ferie per i prossimi tre anni?

Potrei continuare per almeno un’altra pagina, ma il succo è che se non ci fosse un giusto ritorno economico, col cavolo che ci sarebbero persone disposte a tutto questo.

Questo video provocatorio, l’ho postato nella speranza che un filmato di un minuto e 24 secondi possa far capire che la realtà a volte è un po’ diversa da come uno se la immagina, e chi non è pilota può solo lavorare d’immaginazione.

Concludo scusandomi con voi colleghi se in qualche modo ho urtato la vostra sensibilità ma, a volte, un criticabile spezzato di vita reale, postato mettendoci la faccia, pareggia i conti con le foto di bicchierate e festini che, per quanto utili a cementare la nostra amicizia, trasmettono un messaggio decisamente fuorviante.

John Gatti

Rapallo, 13 Febbraio 2019


L'IMBARCO DEL PILOTA

 

L’IMBARCO DEL PILOTA

di John Gatti

 


Mi è stata fatta una domanda pratica sulla delicata operazione d’imbarco che vede coinvolti Pilota, Pilotino, pilotina e nave:

“Perchè, una volta che il Pilota passa dalla grisella (nel caso del pilotaggio, indica le scale metalliche sulla pilotina che permettono al Pilota di passare sulla biscaglina) alla biscaglina (scala fatta di cime e gradini di legno usata dal Pilota per salire sulla nave ) il motoscafo si allontana velocemente, invece di restare in zona fino a quando il Pilota non raggiunge in sicurezza la coperta della nave?”

In fondo all’articolo racconto l’avventura di un collega caduto in mare mentre imbarcava su di una portacontenitori.


Premessa.

La fase d’imbarco/sbarco del Pilota è delicata e presenta rischi, spesso aggravati dalle avverse condizioni meteomarine.

Il trasferimento dalla pilotina alla biscaglina prevede un gesto atletico che richiede una coordinazione particolare: si deve tenere conto del movimento della nave, del rollio e del beccheggio della pilotina  ( movimenti oscillatori trasversali e longitudinali provocati dal mare ), dell’onda che solleva e fa scendere l’imbarcazione di diversi metri e dei colpi di mare che possono investire il Pilota. Questa operazione, per essere svolta con disinvoltura, richiede esperienza e il momento giusto è quello in cui la pilotina raggiunge il punto più alto rispetto al Ponte di Coperta della nave. In quel preciso istante è importante agguantare la biscaglina con una mano mentre con l’altra si resta, ancora per un attimo, ancorati alla grisella della pilotina, questo fino a quando l’imbarcazione inizierà la discesa allontanandosi dalle gambe del Pilota.


Il passaggio dalla grisella alla biscaglina.

Per rendere più sicura la fase d’imbarco, vanno analizzati numerosi elementi: Primo fra tutti “la pilotina”. Il porto di Genova si estende per più di 20 chilometri di costa e presenta caratteristiche orografiche e variazioni meteorologiche stagionali che richiedono imbarcazioni di volta in volta diverse fra loro. Da maggio a settembre aumenta il numero delle navi che scalano il nostro porto (soprattutto traghetti e passeggeri), il traffico diportistico diventa una presenza spesso impegnativa e le condizioni meteomarine sono generalmente buone; per questo periodo dell’anno ci vogliono pilotine veloci, che consumano poco (quindi leggere) e, soprattutto, che fanno poca onda durante gli spostamenti all’interno del porto. È ovvio che l’utilizzo di questo tipo d’imbarcazioni in condizioni di mare mosso non sará l’ideale; le chiamiamo, infatti, “barche da tempo buono”. D’inverno preferiamo usare pilotine più pesanti, costruite per tagliare le onde e per essere più stabili sotto le navi. Ovviamente aumentano i consumi, si riducono le prestazioni e un’onda fastidiosa le accompagna negli spostamenti.

 





La seconda riflessione riguarda la preparazione all’imbarco: ridosso della nave e il lato di approntamento della biscaglina. Per questo punto vi rimando alla lettura dell’articolo “L’Atterraggio“.

Al terzo posto inserirei l’abbigliamento che, per quanto sembri scontato, di fatto si traduce in scuole di pensiero che variano da Corporazione a Corporazione e da Pilota a Pilota: c’è chi è meno agile e preferisce coprirsi bene, perché sa di avere poche possibilità di sfuggire agli spruzzi e alle onde, e chi invece predilige un abbigliamento leggero che favorisce la mobilità; chi usa i guanti per ripararsi dal freddo e proteggere le mani e chi invece si sente più sicuro con una presa diretta sui cavi della biscaglina; chi usa il giubbotto con il salvagente incorporato e chi preferisce quello separato. Personalmente penso che ognuno debba attrezzarsi come meglio crede, adattando l’equipaggiamento al proprio fisico e a ciò che lo fa sentire più tranquillo. Vedo, come utili accessori, un buon coltello affilato, una luce stroboscopica sulla giacca, un fischietto e una torcia, oltre a scarpe impermeabili, traspiranti e con suola antiscivolo.

Giacche tecniche.

Un altro aspetto, non meno influente dei precedenti, riguarda l’abilità e l’esperienza del Pilotino alla guida dell’imbarcazione. L’occhio, i riflessi, la padronanza del mezzo, il senso marinaro, la capacità di valutazione, ma anche lo stile, la confidenza e la temerarietà, cambiano il modo di affrontare il lavoro.

 

Vediamo ora di rispondere alla domanda “pilotina sempre sotto o pilotina staccata?”

- Quando ci si arrampica sulla biscaglina ci sono diversi pericoli da considerare: la pilotina, per effetto dell’onda che sale, può arrivare a schiacciare le gambe del pilota in arrampicata. Quindi, in presenza di mare mosso, è meglio che si stacchi dalla murata il prima possibile, restando comunque nei pressi per prestare assistenza in caso di necessità;

- con tempo buono, se per qualche motivo il pilota molla la presa e cade, si possono verificare due situazioni: potrebbe finire sulla pilotina (e se i gradini saliti fossero ancora pochi probabilmente sarebbe l’opzione migliore), oppure potrebbe finire in mare (da sette o otto metri di altezza sarebbe augurabile non avere l’imbarcazione sotto), e qui si andrebbe incontro alla pericolosa possibilità di venire risucchiati dall’elica.

Una biscaglina particolarmente lunga.

La costruzione, la certificazione e l’utilizzo delle biscagline è indicata nella Convenzione Internazionale sulla Salvaguardia della Vita Umana in Mare SOLAS 1974.

Oltre a prevederne la modalità di costruzione, la norma indica che questo tipo di scala debba essere utilizzato a una distanza minima di 1,5 mt. E una massima di 9 mt. dalla superficie dell’acqua. Qualora l’altezza del Ponte d Coperta sia superiore a quanto disposto, la biscaglina deve essere collegata allo scalandrone e prende il nome di “combinata”.


In conclusione, sta all’esperienza, all’occhio e al buon senso del Pilotino scegliere il comportamento più sicuro da tenere durante le varie fasi d’imbarco e di sbarco; valutazioni che devono tenere conto delle condizioni del mare, della pilotina che si sta usando, dell’altezza della murata, del fatto che si utilizzi la biscaglina o la combinata e, non ultimo, dell’agilità e delle caratteristiche della persona che sta imbarcando. Il Pilota, da parte sua, deve elaborare continuamente tutte le variabili, aspettando il momento giusto per passare da una scala all’altra mantenendo la situazione sotto controllo.

Per spiegare meglio quanto sopra descritto, vi racconto un’avventura a lieto fine accaduta a un collega qualche anno fa…

“Era una tarda mattinata invernale e un vento teso da Sud-Est alzava onde di qualche metro che la pilotina, una Nelson inglese “da tempo cattivo”, tagliava senza particolari problemi.

Una nave portacontenitori, la Gulf Spirit, procedeva verso il punto stabilito per l’imbarco del pilota, il quale, nel frattempo, costretto al silenzio dal rumore dei motori, ne approfittava per accendere il VHF portatile, chiudere la giacca e indossare guanti e berretto.

Il vento che soffiava dai quadranti meridionali aveva alzato di qualche grado la temperatura, ma era pieno inverno e lo ricordava lasciando strisce di sale sulle frustate del mare.

Un’ampia accostata intorno alla poppa della nave e la pilotina si ritrovò sul lato sottovento.

Era parzialmente scarica e mostrava una fiancata particolarmente alta. A metà biscaglina un’apertura consentiva l’entrata a scafo. Il motoscafo si affiancò in velocità, con il Pilota arrampicato sulle griselle e pronto per il trasbordo.

Un’onda sollevò l’imbarcazione, portandola diversi metri al di sopra del livello medio del mare. Lì si fermò un attimo e il Pilota ne approfittò per balzare da una scaletta all’altra. Subito dopo il motoscafo ricadde assecondando le onde, mentre il Pilota era impegnato in una rapida arrampicata per allontanare le gambe dalla pilotina che stava già risalendo velocemente lungo la fiancata.

A questo punto l’imprevisto: una rollata portò la biscaglina a immergersi e una bitta poppiera del motoscafo l’agganciò, tirandosela dietro. Ignaro di quanto accaduto, il timoniere aumentò la velocità. Fu un attimo! la scaletta di legno e cime si tese come una fionda, si allargò dalla fiancata e catapultò il Pilota al di là dell’imbarcazione stessa.

L’acqua gelida lo attanagliò, lasciandolo senza fiato a scalciare mentre lottava per tornare in superficie. La bocca spalancata a cercare l’aria. Di fronte lo scafo nero della Gulf Spirit.

La corrente e le onde lo attirarono contro lo scafo per poi spingerlo verso la poppa. Ci volle un attimo per capire che la grossa elica, uscendo a tratti dall’acqua per effetto del beccheggio, lo stava risucchiando inesorabilmente. A questo punto il collega cercò di artigliare la parete di ferro, ma non c’erano appigli e le mani scivolavano sui “denti di cane” (taglienti conchiglie a forma di vulcano che crescono sull’opera viva).

Poco dopo il Pilota sparì sott’acqua.

L’impotenza faceva crescere il panico, mentre avvertiva distintamente le falciate delle pale e le vibrazioni del motore.

Per fortuna l’ufficiale di guardia alla biscaglina, resosi conto del pericolo, allertò il Ponte di Comando e la macchina venne fermata appena in tempo.

Il Pilota continuò l’avventura subacquea, finendo incastrato fra l’elica e il timone, respirando nei momenti in cui la trappola riaffiorava tra le onde.

Dopo alcuni minuti di lotta disperata riuscì a sfilarsi riemergendo, miracolosamente illeso, dal lato opposto della nave.

Mi fermo qui. Avrei potuto scrivere un testo molto più approfondito, parlare delle griselle con la passerella, di chi imbarca dalla coperta della pilotina, dei diversi sistemi di propulsione, di FLIR, di equipaggiamenti, di ausili tecnologici, ecc., ma il fatto è, probabilmente, che sarebbe stato un argomento scontato al 90% per i professionisti e ostico per i profani. Non è detto che in futuro non ci torni su.

 

JOHN GATTI

Rapallo, 10 gennaio 2019


IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA

ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA

AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

Il Comandante Carlo GATTI dell'Associazione Mare Nostrum Rapallo INTERVISTA il Comandante Ernani ANDREATTA, Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.

 

Comandante Ernani Andreatta, quale Fondatore e Curatore di uno dei più importanti Musei Marinari d’Italia, quello di Chiavari, sito presso la Scuola delle Telecomunicazioni delle Forze Armate  non pensava di trovare nel basso Piemonte tanta marineria, nascosta anch’essa tra le mura di una Cittadella militare?


E’ vero! Io ed i miei collaboratori siamo rimasti favorevolmente impressionati sia dal sito che dai suoi contenuti marinareschi di eccelso valore.

Estesa per circa 60 ettari, la Cittadella (nella foto) si trova a nord-ovest della città, sulla sponda sinistra del Tanaro, e occupa l’area su cui sorgeva l’antico quartiere di Bergoglio. Voluta dai Savoia e progettata da Ignazio Bertola nel 1732 con una pianta a stella unica nel suo genere, è la sola fortezza europea ancora oggi inserita nel suo contesto ambientale originario. Il complesso militare immenso ospitava 3.000 militari.

Utilizzata con funzione difensiva durante l’intero arco della sua esistenza, nel 2007 è ufficialmente dismessa dal Ministero della Difesa, passando di proprietà all’Agenzia del Demanio. Attualmente l’intero complesso versa in condizioni a dir poco disastrose: la mancanza di una manutenzione costante ha permesso la diffusione di una pianta invasiva di origine orientale chiamata “ailanto” che poco alla volta sta sbriciolando i fabbricati. Le sue radici, infatti, insinuandosi in profondità tra i coppi e nella malta tra i mattoni, hanno prodotto seri danni alle strutture.

 

 

Il 14 marzo 2016 Riccardo Levi scriveva: “… fa ben sperare la recente consegna (l’8 febbraio scorso) in uso governativo da parte del Demanio alla Soprintendenza, dopo la richiesta del Segretariato generale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Si spera così che possa presto prendere il via il pieno recupero di un luogo che rappresenta un elemento di eccellenza nel patrimonio culturale piemontese e nazionale”.


Oggi alla Cittadella di Alessandria si può visitare:

Da Marconi al Futuro: Museo sulla storia della Comunicazione Radio-TV della telecomunicazione.


Radioricevitore usato da Guglielmo Marconi nella PRIMA TRASMISSIONE fatta a Bologna nella villa GRIFFONE


Il Museo é stato Costituito per il Fai da Claudio Gilardenghi

Esiste un padiglione-simbolo del Museo che l’ha più colpito?

Il Museo contiene circa 800 apparati e racconta tutta la storia della Comunicazione dall'inizio ai giorni nostri. Rilievo particolare viene dato a Marconi, tutti i suoi strumenti sono presenti e funzionanti in un percorso didattico ed emozionale incredibilmente importante e preciso, un approfondimento particolare ha la comunicazione militare sia terrestre che navale. All’interno del museo è presente una copia della cabina del Titanic progettata da Marconi in grado di far rivivere attraverso un manichino animato e un lavoro d'ingegneria straordinario tutte le attività di comunicazione intraprese prima e dopo l’impatto con l’iceberg. La cabina, unica al mondo, è stata più volte richiesta dalle università italiane a scopo didattico. Sono anche presenti parte degli strumenti di Tesla e Van Der Graaf. Un settore importante è dedicato alla radio Imca, vera eccellenza alessandrina e mondiale.

Voglio precisare che il nostro gruppo formato: dal sottoscritto, da mia moglie Simonetta, dal Comandante Nino Casaretto con la moglie signora Raffaella, dai miei principali collaboratori del Museo Giancarlo e Paola Boaretto, era accompagnato da uno specialista che ci ha fatto da guida, si tratta di un socio AIRE (Associazione Italiana Radio d’Epoca) Bruno Lusuriello esperto nel mondo della Radio Comunicazione accompagnato dalla moglie e dalla figlia minore.

Avete così potuto apprezzare alcune particolari applicazioni RADIO di Guglielmo Marconi?

Abbiamo visto cose straordinarie come il rifacimento - funzionante - della Stazione Radio del TITANIC con il surreale affondamento per l’urto nel famoso iceberg. Abbiamo visto funzionare tutte le basilari apparecchiature che Marconi aveva poi applicato ai suoi studi riuscendo così a inviare i suoi famosi messaggi oltre Atlantico. Al signor Claudio Girardenghi che ha ricostruito tutte queste primordiali apparecchiature dovrebbero dargli il NOBEL PER LA FISICA o per non so che cosa …..

Ma la giornata in Piemonte é continuata con la visita di un altro MUSEO molto speciale per il vostro gruppo di esperti:

Ecco alcune foto del Museo della Cittadella di Alessandria





Donazione del CREST del Museo Marinaro di Chiavari da parte del Comandante Ernani Andreatta al Direttore del Museo della Comunicazione Andrea Ferrero Capogruppo AIRE. A sinistra Claudio Girardenghi Curatore e costruttore di quasi tutte le apparecchiature esposte. Era presente altresì, come guida al Museo della Comunicazione, Claudio Girivetto socio AIRE e già Curatore del Museo RAI di Torino.

 

Per ascoltare storie di mare e di marinai non serve arrivare sulla costa, ma basta fermarsi molto prima, nella città di Tortona, che nel suo centro storico ospita il Museo del Mare. Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona?


Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona? Lo spiegano, all’inizio di questo affascinante viaggio, il Presidente del Museo Francesco Montobbio e il Comandante Franco Pernigotti. All’epoca della Seconda guerra mondiale, nel tortonese, le fiorenti aziende metalmeccaniche (come la Orsi, la Cmt e la Graziano) fornivano la marina militare di giovani operai esperti (siluristi, motoristi, ecc.) e così molti tortonesi fecero la “leva di mare”, prima a La Spezia o a Taranto, poi nelle acque del Mediterraneo. Di ritorno dalla leva, questi ragazzi, che nel frattempo si erano ulteriormente specializzati “sul campo”, impiegavano le proprie conoscenze anche nel lavoro civile.


Da questo legame fra Tortona e il mare nel 2004 è nata l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.n.m.i.) “Lorenzo Bezzi” - Gruppo di Tortona che in questa città ha realizzato nel 2006 il Monumento ai Caduti del Mare e nel giugno 2010 il Museo del Mare. A questo luogo, ricavato dai locali messi a disposizione dal Comune di Tortona, i marinai sono molto affezionati, perché raccoglie ricordi e reperti donati da generazioni di tortonesi
All’ingresso del museo campeggia una parete colma di crest, i tappi di volata dei cannoni, diventati poi stemmi delle navi. Quello del Gruppo Bezzi contiene il simbolo della città di Tortona, quello della Marina e delle Repubbliche Marinare ed è dominato al centro dalla figura del delfino, simbolo dei sommergibilisti come lo era il capitano Bezzi
che hanno combattuto per la libertà della patria, alcuni di loro pagandola con la vita.

Ci parli della vera peculiarità, del CUORE STORICO di questo Museo.

Il Museo del Mare di TORTONA (con un passato di grandi Marinai) è anche depositario di tutti i reperti della Spedizione al polo Nord del Duca degli Abruzzi nel 1899-1900 che partì con la nave Stella Polare da La Spezia (La Spezia? … qualcuno addrizzerà le orecchie). Non raggiunse il POLO ma la latitudine di 86° 33’ 49” Nord. Il Museo di Tortona ha moltissimi reperti di questa straordinaria spedizione compreso tutta la farmacia al completo.

Non pensa che i due Musei da voi visitati ed entusiasticamente descritti debbano essere maggiormente reclamizzati? Magari anche attraverso il nostro benemerito sito di MARE NOSTRUM RAPALLO?

Certamente! Lei ha perfettamente ragione! Io ritengo che poche persone, anche nel nostro CONTESTO  MARINARO, siano a conoscenza di questi due eccellenti PATRIMONI nazionali. Per lo più la gente pensa a Tortona come una cittadina agricola del Nord – oppure alla patria del grande Tortonese nato a Castellaneta: FAUSTO COPPI, mentre la città ha una grande passato di marinai, e oggi sono riportati alla luce da un gruppo di appassionati (ex Marina Mercantile e Militare) che sta facendo conoscere al “mondo”.

Per concludere, cosa l’ha più impressionato di questi PIEMONTESI con le mani nella terra, ma con il cuore immerso nel nostro MARE?

Una cosa mi ha consolato. Entrambi questi musei si fondano soltanto sul lavoro dei soci e non hanno mai ricevuto nessun contributo da istituzioni varie. Niente da nessuno!!! Il riferimento al Museo Marinaro di Chiavari è puramente casuale!!?? ….. Però sono ospitati in sedi totalmente inutilizzate civili o militari.



La sala centrale contiene alcuni pezzi forti: la strumentazione per comunicare, tra cui un telegrafo di macchina russo; le cartoline delle “madrine di guerra”, giovani ragazze di buona famiglia che tenevano rapporti epistolari con i marinai impegnati al fronte; l’Enigma, macchina crittografica utilizzata dalla marina militare tedesca nel secondo conflitto mondiale; i dettagliatissimi diari di bordo del guardiamarina Fausto Remotti che presto diventeranno un libro; persino alcuni documenti firmati da D’Annunzio durante l’occupazione di Fiume.


Regia Nave ROMA


Sono tanti i modellini di navi celebri da ammirare, come quello della nave scuola “Amerigo Vespucci” e quello della “Regia Nave Roma”,
(nella foto) ammiraglia della flotta italiana affondata dai bombardamenti nemici il 9 settembre 1943 (con 1393 morti) e di cui sono esposte le foto originali scattate quel giorno da un marinaio tortonese. Altre “chicche” sono due pezzi di ancore romane del I secolo d.C., in parte ricostruite, una cassaforte di bordo del 1500 della flotta del Granduca di Toscana e poi l’abbigliamento: divise originali per ogni occasione, una collezione di “nastrini”, cioè le strisce contenenti il nome della nave che si applicavano sui berretti dei marinai.


“MAIALE” – (modellino)

Nella sala degli incursori subacquei si possono ammirare tre colubrine del XVI secolo completamente restaurate e un siluro a lenta corsa detto “maiale”, strumento delle imprese (im)possibili dei sommozzatori. Sono esposti anche gli omaggi dei visitatori, come una polena a forma di testa di tritone donata dall’Istituto d’Arte “Ottolenghi” di Acqui Terme (opera del professor Manfrinetti) e il mosaico di una nave fatto dai ragazzi del centro A.n.f.f.a.s di Tortona.

 


I MARINAI TORTONESI

L’ultima sala del museo entra nel vivo della storia dei tortonesi, con le avventure di alcuni personaggi che hanno reso grande la marina italiana. Si parte da Vittorio Moccagatta, (alessandrino, capitano di fregata che nel 1939 comandava la flottiglia Mas di La Spezia e i mezzi speciali d’assalto e che morì a Malta durante una missione), per arrivare a Carlo Mirabello (tortonese, ammiraglio che dopo l’Unità d’Italia divenne Ministro della Marina), senza dimenticare Pietro Achille Cavalli Molinelli (nato a Sale, medico di bordo sulle navi da guerra e amico del Duca degli Abruzzi Luigi di Savoia che seguì nelle spedizioni al Polo Nord e in Africa. Di questi viaggi è visibile nel museo tutto l’equipaggiamento originale).
Il nostro viaggio si conclude con la vicenda di un eroe tortonese, il capitano di corvetta Lorenzo Bezzi, cui è dedicata l’associazione. Nel giugno del 1940, tra la costa africana e Creta, Bezzi era alla guida del sommergibile Liuzzi che, dopo un pesante attacco nemico, presentava gravi avarie e non riusciva più a rispondere al fuoco. Data la gravità della situazione, dopo aver messo in salvo l’equipaggio, Bezzi fece affondare il sommergibile e sparì con esso nelle acque del Mediterraneo. Per questo gesto eroico gli fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria.
Il museo è il posto giusto per chi vuole “navigare” in questo importante pezzo di storia italiana ed è anche molto adatto alle scuole di ogni ordine e grado, per lezioni interattive.
Eccovi le “coordinate”: via P. Pernigotti 12, Tortona (AL), è aperto al sabato (orario 9-12 e 16-19) ma è possibile concordare visite guidate anche in altri giorni della settimana su appuntamento, telefonando ai numeri 348 1498791 e 335 6715822. Ingresso libero.


Il MUSEO DEL MARE DI TORTONA


La FARMACIA DI BORDO


A sinistra lo staff della STELLA POLARE, a destra la nave in partenza da Spezia


Carta geografica del naufragio del TITANIC

Rapallo, 27 Novembre 2018

 

 


RICORDO DEL PILOTA GIANCARLO ODDERA

 

RICORDO DEL PILOTA

GIANCARLO ODDERA

Ricorre quest’anno il ventennale della morte di Giancarlo ODDERA. E’ stato Pilota del porto di Genova ed anche Sindaco di Castel Vittorio (Imperia).

Mi scuso innanzitutto con gli amici lettori ed in particolar modo con i famigliari di Giancarlo per l’imprecisione di qualche data.

La vecchia Torre-Piloti ricostruita nel 1947 e la nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne finito in tragedia.

Come ben sapete, il crollo della Torre piloti, avvenuta il 7 maggio 2013 alle 23.05, ha trascinato con sé sul fondale di Molo Giano 9 vittime, strappate in un attimo all’affetto dei loro cari e di tutti noi. Con loro é scomparso un mondo reale, ma anche l’archivio storico: la memoria di ogni Pilota del porto, come se un lungo pezzo della vita del porto fosse scomparso insieme a loro, insieme alle tante vicende che li videro protagonisti sia sulla Torre quella notte come “sentinelle” appostate sull’imboccatura, sia come protagonisti di migliaia e migliaia di eventi e manovre destinate ad accogliere le navi e portarle in banchina con qualsiasi tempo.

L’archivio perduto, risaliva al primo dopoguerra. In precedenza, dal 1940 al 1945, per due volte la Torre piloti cadde sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e fu ricostruita sempre nello stesso posto, a tempo di record in situazioni economiche e logistiche disastrose.

Il senso marinaresco della classe politica di allora poggiava su un altissimo piedistallo che si specchiava con la LANTERNA e sapeva guardare lontano!

L’archivio del Corpo Piloti della prima Torre bombardata, conteneva la documentazione storica dei vecchi piloti che risaliva alla lontana epoca medievale.

I piloti esistono, come istituzione, dai tempi del re Salomone.

La vita del pilota portuale non é semplice, e proprio Giancarlo Oddera né fu testimone con l’incidente che lo vide gravemente infortunato durante una manovra portuale, il cui esito influì non poco sulla sua successiva carriera. Abbiamo recuperato nel Museo Marinaro di Chiavari del Com.te Ernani Andreatta, suo amico e compagno di Accademia Militare a Livorno, l’articolo del giornale che descrive dettagliatamente la dinamica dell’incidente.

Si consiglia di ingrandire il testo con l'apposito tasto.

Giancarlo Oddera rientrò in servizio dopo aver superato la visita medica, erano passati quattro o cinque mesi durante i quali fu sottoposto a difficili interventi agli avambracci con l’innesto di barre di titanio e relativi chiodi.

Arrampicarsi sulle biscagline in quelle condizioni sembrava un azzardo, anche per i suoi collaudati colleghi in servizio, ma Giancarlo era un “marinaio” intrepido, un atleta forte, scattante e deciso nel carattere, nel pensiero e nell’azione.

In occasione del suo ritorno in Torretta, diede a tutti una lezione di attaccamento al Corpo Piloti che nessuno poté mai dimenticare. Il suo rientro in servizio fu un grande stimolo, specialmente per le giovani leve che videro in lui un mitico esempio di dedizione e coraggio.

Da sinistra: Giancarlo Oddera, Carlo Gatti, Fausto Bonomi

L’organico dei piloti portuali é diviso in squadre di tre o quattro membri ed é regolato dall’andamento sinusoidale del traffico navale del porto, dai pensionamenti, dalle malattie, dagli incidenti e da altri fattori tecnico-politici. La squadra di Giancarlo Oddera (nella foto sopra) é rimasta invariata per oltre 20 anni.

Giancarlo, dal tipico aspetto di un “marine” della USS Navy, coltivava nel suo intimo i grandi valori di un tempo: figlio di un maresciallo dei carabinieri aveva l’imprinting della divisa, dell’onore, del lavoro, dell’amicizia, ma soprattutto della famiglia.

Chi scrive, senza saperlo, fece gli stessi passi “marinari” di Giancarlo prima di vincere il concorso da pilota a Genova.

In tempi diversi imbarcarono sulle petroliere “FINA ITALIA” e “MARIO MARTINI”, in seguito diventarono Comandanti con la RIMORCHIATORI RIUNTI-Genova.

Ma ciò che caratterizzava Giancarlo Oddera agli occhi della comunità portuale, sia quella operativa tra le calate, sia quella che sta alle sue spalle ed é interscambiabile con la prima, era la SEMPLICITA’, L’UMILTA’, LA DISPONIBILITA’, ma soprattutto il senso d’AMICIZIA che per lui era la visione di sé con gli occhi dell’altro!

Portuali, barcaccianti (RR), ormeggiatori, agenti, armatori ecc… erano i personaggi che animavano il suo mondo marinaro, un mondo fatto di tante lingue, dialetti, modi dire, esperienze di terra e di mare. Giancarlo era un personaggio delle mitiche canzoni di FABER.

Detto questo, non é difficile immaginare che tra noi ci sia stato un feeling particolare!

Non é neppure difficile accettare l’ironia del destino che proprio a me fosse toccata l’ultima guardia con lui; quella notte “senza ritorno” che lui volle sfidare ancora una volta quando il suo fisico, in qualche modo, si era ormai inesorabilmente modificato e indebolito dopo l’incidente. Quella notte rimane tra i ricordi più sofferti della mia vita lavorativa.

Castel Vittorio (Imperia)

Da pensionato visse felicemente fino al 1998 con l’amata famiglia: sua moglie Anna, la figlia Cristina (medico) ed il figlio Gian Stefano, attuale sindaco di Castel Vittorio come lo fu suo padre.

Ciao Giancarlo! Quando leggerai queste righe starai “navigando” nei dintorni di Piazza Banchi e ti verranno in mente quelle pause tra un vapore e l’altro, quando parlavamo di navi, di caccia e di storia…

Un caro abbraccio ovunque tu sia!

Da sinistra: Giancarlo Oddera, GianCarlo Cerutti, Carlo Gatti in Sala Operativa

Ringrazio gli Amici Comandanti Ernani Andreatta ed il collega GianCarlo Cerutti (che voi tutti conoscete attraverso i miei scritti), per avermi suggerito la stesura di questo “ricordo” dedicato al compianto collega Giancarlo Oddera. Un OMAGGIO che estendo a tutti i Piloti del passato e del presente affinché non vada persa del tutto la “memoria” di tante Persone che hanno contribuito con la loro dedizione a far “grande” Genova ed il suo PORTO!

Seguono alcuni LINK di articoli presenti sul sito di Mare Nostrum Rapallo il cui unico scopo é quello di tenere una fiaccola accesa su un piccolo mondo, poco conosciuto e quasi dimenticato dal suo stesso impietoso destino!

CHI E’ IL PILOTA PORTUALE

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=202;pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

LA CADUTA DELLA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA

Una Tragedia annunciata?

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=282;tc&catid=34;navi&Itemid=160

 

§§§

 

TRENT'ANNI DI TECNOLOGIA PORTUALE

Tra le pieghe dei ricordi personali.

Dai fischi del pilota…alla Torre di Controllo del porto.

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=171;trentanni-di-tecnologia-portuale&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

PROGETTO TORRE PILOTI

PRESENTAZIONE

Palazzo San Giorgio - Genova

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=419;torre-piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=499;piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=461;pil&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

UNA GIORNATA DA PILOTA

Il racconto della prima manovra della giornata

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=575;una-giornata-da-pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

GENOVA (Porto Petroli Multedo) 12.7.1981

INCENDIO ESPLOSIONE della super-petroliera giapponese

“HAKUYOH MARU”

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=549;maru&catid=34;navi&Itemid=160

 

§§§

 

Ricordando la HAVEN

vent’anni dopo...

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=150;haven&catid=41;sub&Itemid=162

 

§§§

 

Da Mathausen a Rapallo

L'INCREDIBILE STORIA  DI BENEDETTO BOZZO

PILOTA DEL PORTO DI GENOVA

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=126;da-mathausen-a-rapallo&catid=52;artex&Itemid=153

Carlo GATTI

Rapallo, 24 Settembre 2018


HELEANNA - Una ferita che brucia ancora

M/n HELEANNA - UNA FERITA CHE BRUCIA ANCORA

Il comandante Dimitrios Anthipas, un pessimo esempio di Comandante

 

Il 28 agosto 1971, a 15 miglia da Monopoli, un incendio scoppiò a bordo del traghetto greco “Heleanna”. Si trattò della più drammatica e funesta sciagura marittima accaduta in Adriatico nel dopoguerra. La tragedia costò la vita a 25 turisti imbarcati; 16 furono i dispersi, 271 feriti tra i 1089 i superstiti.

Sono trascorsi 42 anni dall’incendio della HELEANNA, ma il ricordo é sempre vivo, specialmente tra coloro che seguirono da vicino le operazioni di salvataggio, ma anche da tutti coloro che ben presto si resero conto che a bordo del traghetto viaggiavano 1174 passeggeri, quasi il doppio dei 620 consentiti, e duecento automobili. A quel punto l’apprensione si trasformò in pura rabbia e la stampa di allora definì “negrieri del mare” il comandante Antypas Dimitrios ed il suo armatore Efthymiadis.

 

Da dove uscì quel maxi-traghetto con la ciminiera a poppa come una petroliera?

 

 

Negli anni ’60 l’armatore greco Constantino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per convertirle in traghetti passeggeri:

la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;

la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;

la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;

la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.

Nel 1954 la nave cisterna Munkedal fu costruita dai cantieri Götaverken di Göteborg-Svezia. Ma il suo destino fu segnato dalla chiusura del Canale di Suez* che costrinse le petroliere a compiere il lungo e costoso periplo dell’Africa, linea che sarebbe risultata economica soltanto con l’introduzione del  “gigantismo navale”. Così fu, e tutte le stazze minori, tra cui le petroliere svedesi sopra citate, furono messe fuori mercato. 

 

Nota: Dopo la GUERRA DEI SEI GIORNI del 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).

 

Da sempre i greci sono considerati validissimi marinai, ma anche un po’ spregiudicati. L’armatore C.S.Efthymiadis era un fedele garante di questa tradizione. La sua intuizione gli permise, infatti, di trasformare e reclamizzare la nuova unità come “il più grande traghetto del mondo”. 

Nel 1966, mantenendo il suo aspetto esteriore, la petroliera Munkedal fu ridisegnata al suo interno per la sistemazione di numerose cabine/passeggeri, mentre sulle fiancate dello scafo furono installati portelloni con rampe di nuova concezione per l’imbarco/sbarco di auto al seguito e mezzi pesanti. Rinominata Heleanna, il traghetto entrò in linea sulla rotta Patrasso–Brindisi-Ancona e ritorno. 

 

La cronaca dell’incidente

Al momento del disastro l’Heleanna si trovava 25 miglia nautiche a Nord di Brindisi, a 9 miglia al largo di Torre Canne, più verso Monopoli. Proveniva da Patrasso ed era diretta ad Ancona con 1174 passeggeri e 200 mezzi  (auto, tir e autobus). 

Tutto ebbe inizio alle 05.30 del 28 agosto 1971 quando una fuga di gas dai locali della cucina, fra la panetteria, la riposteria ed il locale ristoro provocò un  incendio a poppa. Si parlò di un corto circuito, forse una manovra errata di accensione dei polverizzatori della cucina, oppure di uno spandimento di gas liquido, ma anche di una possibile fuoriuscita di nafta dalla cassa di alimentazione della calderina.

Alcuni testimoni affermarono che l’incendio prese il sopravvento solo quando il fuoco lambì le bombole di ossigeno facendole esplodere. Poco dopo successe un fatto molto anomalo: in una cala di poppa vicino al timone, scoppiò un’altra bombola d’ossigeno che bloccò istantaneamente l’organo di governo che era, in quel momento, posizionato 15° a dritta. Il traghetto, ormai in panne, ma ancora abbrivato, compì un’ampia accostata in cui il vento  propagò l’incendio a tutta la nave. 

L’Heleanna aveva in dotazione 12 scialuppe di salvataggio sufficienti per 600 persone, la metà delle persone imbarcate. Le inchieste promosse dalle Autorità dimostrarono che metà delle lance erano inutilizzabili per via degli argani bloccati dalla ruggine. Tra quelle calate a mare, una si ribaltò e precipitò in mare probabilmente per il sovraccarico.

Gli idranti antincendio e i tutti i sistemi di soccorso non erano funzionanti. Le inchieste che seguirono dimostrarono che il traghetto, dal punto di vista della sicurezza, era da considerarsi sub-standard. 

Il disastro causò 25 morti, 16 dispersi e 271 feriti, alcuni anche in modo grave. Le vittime erano di nazionalità italiana, greca e francese. Non appena il Comandante della nave lanciò l’SOS, soccorsi aerei e navali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli e Grottaglie.

I soccorsi aeronavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (LauraMadonna della MadiaAngela DaneseNuova VittoriaS. Cosimo) che si attivarono con molta efficacia nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi.

L’incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto fu rimorchiato verso porto di Brindisi e fu ormeggiato nei pressi del castello Alfonsino.

I feriti sarebbero stati più numerosi se non fosse scattata con grande tempestività l’opera dei soccorritori. Il personale dei rimorchiatori locali della Società Barretta dovette avvicinarsi fino a pochi metri dalla nave per rendere efficace il getto delle proprie spingarde, sfidando temperature altissime e respirando gas di scarico e fumi micidiali, ma dovettero farlo per domare le lingue di fuoco che fuoriuscivano da tutta la nave minacciando di far esplodere i serbatoi di benzina degli oltre 200 mezzi che si trovavano nel garage. Fatto che purtroppo avvenne con tutte le sue tragiche conseguenze.

Anche la città di Monopoli si prodigò per confortare i superstiti, dando una dimostrazione di grande generosità offrendo aiuto e accoglienza ai naufraghi dell’Heleanna.

 

Il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d’Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.

 

Quando siamo arrivati sul posto” – raccontò il proprietario di un peschereccio – “ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo agghiacciante. Lunghe lingue di fiamme uscivano dalla poppa impedendoci di avvicinarci troppo. Sul ponte del traghetto dilagava il panico. Centinaia di persone tentavano di calare le scialuppe senza riuscirvi, altre che scendevano con le barche liberate, rimanevano poi sospese e bloccate a mezz’aria. Altre barche ancora, arrivavano in mare ma non sapevano come governarle. I più si gettavano direttamente in mare saltando dal ponte. Su decine di corde, calate dalle fiancate, c’erano grappoli di uomini appesi, molti erano senza salvagente. Diversi battellini di gomma, sparpagliati in mare, erano difficili da raggiungere ma anche più difficile riuscire a salirvi dentro. Dalle navi che erano accorse – racconta un altro marinaio – erano state calate delle scialuppe, ma rimanevano vuote perché la gente in mare, sfinita non riusciva a raggiungerle. Allora, molti di noi, si sono buttati in acqua per aiutarli. Mai avevo visto tanta gente disperata, annientata dal dolore per aver perso, magari un attimo prima, un amico, un congiunto. Intanto, sulle banchine dei porti di Monopoli, Brindisi e Bari, viene predisposto un imponente servizio di soccorso”. 

 

Centinaia di privati misero a disposizione i loro mezzi, altri portarono in Capitaneria indumenti e coperte. L’incendio fu domato prima di notte e l’Heleanna fu tenuta prudentemente in rada mentre gli inquirenti tentarono di accertare le responsabilità dell’accaduto. 

Pare che nella confusione generale, il Comandante del traghetto sia stato il primo a perdere la testa. Alcuni testimoni, infatti, affermarono che il capitano Anthipas abbia lasciato la nave subito dopo l’allarme, mentre la moglie, che era con lui sul traghetto, sostenne il contrario. Per la verità, un’evidenza ci fu e molti la testimoniarono in diverse sedi: il comandante Dimitrios Anthipas, giovanissimo e senza esperienza, giunse “asciutto” sulla banchina di Brindisi, e il 29 agosto del 1971 cercò addirittura la fuga, ma venne arrestato al varco frontaliero del porto di Brindisi, poco prima d’imbarcarsi furtivamente con la moglie su una nave diretta in Grecia. Il comandante venne arrestato con l’accusa di omicidio colposo e per abbandono della nave. 

Dimitrios Anthipas sarà poi estradato in Grecia mentre chi ha perso tutto: auto, bagagli, valori, la stessa vita di moglie, figli, genitori e parenti non sarà neppure risarcito. Gli assicuratori si rifiuteranno di pagare per l’evidente violazione, da parte della nave, delle norme stabilite nelle polizze assicurative.

All’epoca del “sinistro”, le acque territoriali comprendevano una fascia di 6 miglia nautiche (11.112 KM), poi modificate per legge in 12 miglia dal 27 febbraio 1973), per cui il disastro avvenne in acque internazionali. Ma le Autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave poiché alcune vittime del disastro erano perite in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Anche le autorità greche furono interessate al processo, in quanto la nave batteva bandiera ellenica.

 

L’Heleanna in fiamme

 

Notare la vicinanza del rimorchiatore che punta le spingarde antincendio sulla poppa dell’Heleanna

 

 

 

Targa commemorativa del naufragio a Monopoli

 

 

 

Dopo due anni e mezzo di sosta forzata nel porto di Brindisi, per il relitto dellHeleanna giunse il momento del congedo, dell’ultimo trasferimento verso un Cantiere di Spezia che aveva il compito di demolirne una parte e trasformarne il resto in una chiatta portuale multipurpose.

 

 

 

Il rimorchiatore  genovese ESPERO in navigazione

Rimorchiatore incaricato dell’ultimo viaggio apparteneva alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, si chiamava ESPERO, era l’ultimo nato della  flotta, 5.000 CV di razza, con una strumentazione d’avanguardia: elica intubatatowing winch(troller) modernissimo, elica di manovra a prora(bowthruster) ed una elettronica up to date applicata a tutti i suoi apparati. Chi scrive, era già stato per sette anni al comando di rimorchiatori portuale d’altomare; per motivi d’anzianità toccò a lui collaudare questo moderno “fuoriclasse”. Come? Per un puro caso, si presentò una duplice occasione. 

Si trattava di rimorchiare in successione, due relitti, entrambi da Brindisi a La Spezia che all’epoca era il primo porto nazionale della demolizione navale.

Il primo era la petroliera SAN NICOLA della famosa Società Garibaldi, che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante.

La seconda era il traghetto passeggeri HELEANNA di cui ci siamo occupati in questo drammatica ricostruzione.

 

Lo squarcio in coperta della petroliera San Nicola

 

Testimonianza dell’autore:

Quando salii a bordo del “traghettone” per controllare la situazione generale e studiare gli attacchi di rimorchio, cercai invano di trovare un metro di lamiera liscia ed intatta.

In pratica, l’interno dello scafo era stato devastato completamente dalle altissime temperature provocate dall’incendio. Le lamiere dei ponti erano ondulate e bugnate come la pelle di un lebbroso. Delle 200 autovetture ancora presenti nel lunghissimo garage, erano rimasti gli scheletri deformati da un fuoco impietoso che era durato a lungo causando, purtroppo, vittime e sofferenze indescrivibili.

Avevo già compiuto un’ottantina di rimorchi in tutto il mondo, ma non mi ero mai trovato davanti a tanta devastazione, desolazione e tristezza.

 

 

Manovra d’uscita della HELEANNA da Brindisi

 

1° Problema

Quando andai sul castello di prora per approntare gli attacchi di rimorchio mi trovai di fronte ad una strana situazione: non sapevo dove attaccarmi. Il copertino deformato aveva piegato le bitte, sollevato il salpancore e indebolito ogni centimetro del castello. 
Alla fine decisi di far passare alcune grosse cravatte d’acciaio da quei due passacavi in alto che sembrano 
due occhi ai lati del tagliamare (vedi foto). Era come prendere un toro per le narici e vi assicuro che non 
c’era altro da fare. Come attacco di riserva presi al  “lazo”  tutto il castello di prora evitando  gli spigoli con coppi di gomma, legno, tanto grasso e sacchi di juta.

 

2° Problema

In precedenza ho accennato all’esplosione di una serie bombole di ossigeno sistemate vicino al timone 
della nave; fu proprio questa la causa che bloccò l’organo di governo 15° a dritta costituendo un grande problema per la navigazione a rimorchio.

La soluzione del problema era nelle mani di un’officina specializzata che avrebbe raddrizzato il timone, ma dentro un bacino di carenaggio che nessuno era disposto a pagare….. 
Mi dovetti rassegnare, pur sapendo che avevamo davanti 800 miglia di “navigazione manovrata”.

Infatti, appena allungammo il cavo e ci mettemmo in tiro, il rimorchio accostò sulla sua dritta.

Quando doppiammo Santa Maria di Leuca, il vento rinforzò e ci accompagnò fino all’arrivo.

Riuscimmo a tenere una velocità intorno alle 6 miglia, ma quando il vento aumentava nelle golfate, l’Heleanna ce la vedevamo al traverso e per rimettercela di poppa dovevamo allascare le bozze, far venire il cavo da rimorchio in bando e poi dovevamo ripartire “alla gran puta”  per andare a riprendere il toro per le corna e rimettercelo  di poppa.

Questa era la navigazione manovrata in cui si rischiava di strappare sia le bozze che il cavo da rimorchio.

 Pendolammo per 20 ore a ridosso dell’Isola di Ischia, sia per controllare l’attrezzatura, ma soprattutto per 
far scivolare verso Est una forte depressione che spingeva il rimorchio fino a sorpassarci, costringendoci 
a vere acrobazie per non farci “prendere per il c…” Un’espressione marinara che rende perfettamente
l’idea di ciò che può succedere quando il rimorchio, non essendo in assetto di navigazione, prende il sopravvento, infrangendo quelle poche ma importanti regole 
marinaresche, che si dovrebbero sempre rispettare.

 
Il 16.2.74 arrivammo finalmente a Spezia, e quando il mio amico pilota Nino Casaretto, il quale aveva subito l'esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante, venne a bordo per la manovra di consegna del relitto ai rimorchiatori locali, mi disse in dialetto: 
“Ma non ti vergogni d’andare in giro con questo accidente... attaccato al sedere” ?
“Vergogna no! – gli risposi –  A brindisi non vedevano l’ora di levarselo dal sedere  e trovarne un altro 
disposto al sacrificio. Dicono che nella vita bisogna provarle tutte! Eccomi qui, felice e contento d’essere arrivato!”

 

APPENDICE: 

Rapporto Viaggio

 

 

Mi spiace! L'immagine non è leggibile, i numeri sono lì... fidatevi! Purtroppo i morti sono altrove. Che Dio li benedica!

 

 

UNO SCAMPATO PERICOLO....

La nostra socia Marinella Gagliardi Santi, notissima scrittrice e Skipper di lungo corso, dopo aver letto questo articolo, ha voluto rilasciarci la sua ESISTENZIALE TESTIMONIANZA. per la quale non possiamo che unirci felicemente a questa fantastica coppia di “marinai” per lo scampato pericolo!

"Il ricordo di quella tragedia mi ha toccato da vicino ancora di più, perché Rinaldo ed io, allora non ancora fidanzati, avremmo dovuto imbarcarci proprio sull'Heleanna! Mi aveva invitato ad andare in Grecia insieme a lui ma gli avevano detto che non c'era posto sull'aereo: al ritorno non ci sarebbe stato alcun problema perché avremmo preso proprio quel traghetto! Così io non sono partita con lui, lui si è imbarcato su un aereo in realtà completamente vuoto, e per il ritorno ha preso nuovamente l'aereo.

Pericolo scampato per un pelo, la sorte ha voluto così!"

 

Carlo-GATTI

Rapallo, 21.3.2013 / Rielaborato nella nuova versione del sito, venerdì 17 Maggio 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


SMART CONTRACT THROUGH BLOCKCHAIN

 

SMART CONTRACT THROUGH

BLOCKCHAIN

di Arrigo Garipoli

 


 

Smart Contract through BLOCKCHAIN – di Arrigo Garipoli
Oltre alle
Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo.

Potrei riempirVi di numeri e grafici sul valore del commercio marittimo; sulla sua crescita costante nel tempo su scala globale; su quante tonnellate di merce in container, alla rinfusa, in forma solida, liquida o gassosa sono state trasportate o movimentate nei porti di tutto il mondo in questi ultimi anni.

Per darvi un’idea delle cifre in gioco, mi basta dirVi che la flotta mondiale, secondo la stima della International Chamber of Shipping, ammonta a 1.9 miliardi di tonnellate di DWT. – 50.000 navi mercantili. – 1.2 milioni di marinai provenienti da tutto il mondo.

E’ quindi facile comprendere come la nave sia a tutt’oggi e lo sarà presumibilmente per i prossimi decenni, un mezzo di trasporto di primaria importanza per l’economia globale. Secondo l’IMO (International Maritime Organization) l’industria marittima internazionale è responsabile del trasporto di circa il 90% del commercio mondiale.

L’ONU prevede che nell’anno 2030 sul nostro pianeta ci saranno circa 8,5 miliardi di abitanti. Successivamente, si stima che la popolazione continuerà a crescere raggiungendo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100.

La ricerca delle migliori, sicure ed economiche vie di trasporto, non potrà che portare all’abbandono del trasporto su gomma per convergere su un maggiore impiego di quello aereo e marittimo.

Nessun Governo o impresa privata potrà ignorare questi aspetti che, inevitabilmente, cambieranno l’attuale sistema economico.

Stiamo vivendo tempi di rapida evoluzione, a causa di crisi economiche o per politiche di privatizzazioni di imprese di interesse nazionale, abbiamo assistito allo sgretolarsi di grandi società di Navigazione (Italia, Agip, Tirrenia ecc.) e allo sviluppo di nuove grandi compagnie che oggi monopolizzano il mercato. L’impresa di navigazione è per sua natura vulnerabile e i grandi cambiamenti della globalizzazione hanno influito pesantemente sulla sua struttura e, indirettamente, su tutto ciò che le gravita attorno.

Abbiamo assistito alla graduale diminuzione degli equipaggi che componevano la tabella d’armamento “tipo”, per una nave di grande tonnellaggio di qualche decennio addietro, che contava sino a 32 unità, per arrivare a quelle odierne, composte a volte da soli 9 membri di equipaggio incluso il Comandante. Alcune categorie di marittimi sono addirittura scomparse, sostituite da macchine e tecnologie sempre più avanzate.

Abbiamo assistito alla riduzione degli stipendi, dei privilegi, delle tariffe portuali per i servizi tecnico-nautici, di quelle destinate agli operatori portuali, ai raccomandatari marittimi ecc.

Nell’epoca dei grandi cambiamenti, a volte confusi, abbiamo assistito alla privatizzazione di interi porti, come è accaduto in UK a Southampton, Hull o Grimsby Himmingam, dove sono sparite figure storiche come gli Stevedores Unions e i Piloti della Trinity House, che sul Fiume Humber e Southampton fin dall’eta di 16 anni imparavano il mestiere tramandato dalle generazioni precedenti.

In questo preciso momento nuove tecnologie si stanno sviluppando, alcune potranno essere rallentate nella loro diffusione, ma il progresso che le accompagna non potrà mai essere fermato.

Per questo vorrei affrontare con Voi un argomento ancora poco diffuso, ma di impatto potenzialmente enorme e, per farlo, porrei la seguente domanda: Può una moneta virtuale cambiare lo scenario mondiale dei traffici marittimi?

La rivoluzione tecnologica legata al Bitcoin, e alle criptovalute in generale (destinate a detta di molti a sostituire nei prossimi decenni le valute monetarie globali, USD, EUR, YEN ecc.), unita al veloce progresso dell’intelligenza artificiale AI (destinata a sostituire l’impiego umano in tantissimi settori lavorativi) permetterà, in avvenire, l’adozione di tecnologie futuristiche, oggi impensabili.




Tecnologie la cui applicazione sarà ostacolata unicamente dall’eventuale inadeguatezza strutturale piuttosto che della volontà/speranza di una loro applicazione.

Oltre alle Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo e, allora, è di strategica e fondamentale importanza lo studio, la ricerca e la sperimentazione delle tecnologie ad esse direttamente collegate oltre a quelle che con esse possano interagire.

Non vorrei cambiare ritmo e annoiarVi con tecnicismi, neologismi o ragionamenti contorti, ma è di fondamentale importanza capire cosa sia una Blockchain (tecnologia alla base delle criptovalute) prima di proseguire.

Per approfondimenti sull’argomento Vi rimando al WorldWideWeb:

https://www.blockchain4innovation.it/esperti/blockchain-perche-e-cosi-importante/#Blockchain_come_evoluzione_del_concetto_Ledger_Libro_Mastro

In poche parole:

La blockchain è un ledger distribuito, ovvero un database di informazioni condivise con le seguenti dirompenti caratteristiche:

  • Immutabilità delle informazioni in esse contenute e impossibilità di cancellazione delle informazioni grazie alla distribuzione di queste e alla loro condivisione su scala globale.
  • Decentralizzazione del database, di tipo peer-to-peer.
  • Sicurezza.
  • Trasparenza.

Legati alla blockchain possiamo avere Smart Contract, Criptovalute, Token.

La blockchain è alla base di un democratico processo di transazioni che sta rapidamente espandendosi nel mondo.

L’interazione tra Blockchain e AI sarà determinante e anche l’intelligenza artificiale è già una realtà in fase di consolidamento.

Esistono società ed applicazioni che sono riuscite in parte e a diversi livelli a riprodurre le capacità del cervello umano. Nel campo della robotica e della bioingegneria i progressi ci fanno comprendere come l’avvento dei cosiddetti cyborg non sia poi cosi lontano.

Quale sviluppo si può ipotizzare per il trasporto marittimo?


Grazie alla semplificazione dei processi, agli Smart Contract inseriti negli sviluppi di piattaforme Blockchain, all’innovazione nello sviluppo dei Droni e nell’evoluzione massiccia dell’Intelligenza Artificiale, l’impiego umano nell’ambito dei trasporti e della sua logistica sarà sempre più limitato.

Le figure professionali di una volta (di bordo e di terra) spariranno o si evolveranno e nuove opportunità di lavoro nasceranno.

Sarà importante creare ed addestrare “squadre di intervento rapido” in grado di intervenire per risolvere ogni tipo di problematica, anche raggiungendo il mezzo o il sito da ripristinare. Il Comandante di domani, dopo essere stato l’ultimo membro rimasto a bordo, potrà essere impiegato nella programmazione e nel controllo della nave Drone, mentre la figura del Raccomandatario Marittimo si dovrà evolvere, acquisire tecnologie da Server di Sistema per permettere alla Blockchain di sviluppare gli Smart Contract e monitorare la fluidità dei processi da trasmettere all’Armatore.

Anche le dogane con lo sviluppo del fascicolo elettronico FI (già oggi in atto) semplificheranno le procedure burocratiche, interfacciandosi con la stessa blockchain del vettore per l’applicazione delle tariffe, mentre i magazzini doganali potranno lasciare spazio a siti generici, se dichiarati all’interno della blockchain per tempo.

Ai giovani che si affacciano oggi al mercato del lavoro conviene accettare la sfida. Le figure professionali che verranno formate dovranno avere dimestichezza con una nuova terminologia, apprendere il linguaggio macchina, essere aperte e flessibili.

Le Blockchain in ambito marittimo, potranno trovare applicazione per assicurare velocità e sicurezza alle transazioni che coinvolgono il sistema nave-trasporto e l’uomo potrà (e dovrà) controllare tutti i processi di integrazione AI (Artificial Intelligence), Robotica, Droni nel Trasporto Marittimo Integrato.

I vantaggi saranno:

  • Ottimizzazione e velocizzazione dei processi delle attività dei trasporti marittimi, grazie alla natura decentralizzata della piattaforma.
  • Calo dei prezzi dei noli navi/carico, grazie alla trasparenza che la blockchain garantisce attraverso la sua tecnologia peer to peer.
  • Ottimizzazione dei costi e delle risorse, offrendo una criptovaluta dedicata esclusivamente al settore.

L’avvento della Blockchain con l’introduzione del concetto di Virtual Community, collegata attraverso la criptovaluta, non dovrebbe spaventare gli operatori legati ad usi e consuetudini rafforzatesi nel tempo e nemmeno creare una rottura nel modo di concepire il trasporto marittimo e l’intermediazione.

Saggi e avvezzi operatori marittimi troverebbero nella Piattaforma Blockchain Marittima un sistema per integrare i valori acquisiti nel tempo riportati al mondo digitale di domani.

La moderna figura del sistema introdotto dalla tecnologia blockchain può coadiuvare quella dell’Armatore, Comandante, Raccomandatario, Spedizioniere Marittimo, Vettore di oggi, per traghettarlo nel domani.

Attraverso la piattaforma programmata, gli operatori del futuro potranno raccogliere una maggiore quantità di clienti dando un impulso nuovo al settore dei trasporti, oggi appesantito dalla burocrazia e da interessi privatistici che, unitamente alla crisi economica, ne deprimono la capacità di rinnovamento.



Le Blockchains non potranno sostituire i rapporti umani di amicizia creati tra gli operatori nel mondo, che rimarranno tali anche nelle loro dinamiche di connessioni consolidate nel tempo, ma potranno garantire che tali rapporti si moltiplichino esponenzialmente, con la coscienza che la tecnologia applicata ai vari processi umani serva ad aumentare la qualità di vita degli stessi.

La corsa è già iniziata (*), lo sviluppo di queste tecnologie non può che vederci coinvolti per permetterci di dare il nostro contributo per una migliore gestione del 90% degli scambi commerciali che oggi avvengono tramite il trasporto marittimo.


 

(1) Industria marittima (numeri)

http://www.ics-shipping.org/images/Shipping-Facts/predicted-increases-in-world-seaborne-trade-gdp-and-population

http://www.ics-shipping.org/shipping-facts/shipping-and-world-trade/world-seaborne-trade

(2) blockchain

https://www.gartner.com/it-glossary/blockchain

https://www.i-cio.com/big-thinkers/don-tapscott/item/from-the-internet-of-information-to-the-internet-of-value

(3) cryptocurrency

https://en.wikipedia.org/wiki/Cryptocurrency

https://www.statista.com/statistics/377382/bitcoin-market-capitalization/

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

(4) AI

http://www.dhl.com/en/about_us/logistics_insights/dhl_trend_research/robotics_in_logistics

https://www.wired.co.uk/article/rolls-royce-autonomous-cargo-ships

https://www.forbes.com/2017/11/06/the-future-of-the-transport-industry-iot-big-data-ai-and-autonomous-vehicles

(5) Cina

https://www.zerohedge.com/china-central-bank-prepares-regulate-bitcoin-mining

(6) Venezuela

https://qz.com/bitcoin-trading-in-venezuela-is-skyrocketing-amid-14000-inflation/

(7) Tokenizzazione

https://medium.com/asset-tokenization-on-blockchain-explained-in-plain-english

https://medium.com/fintech-weekly-magazine/how-tokenization-is-transforming-real-world-assets-on-the-blockchain

https://bitcoinmagazine.com/articles/op-ed-how-tokenization-putting-real-world-assets-blockchains

(8) Europa

http://www.europarl.europa.eu/news/en/headlines/world/virtual-currencies-the-technology-is-rapidly-evolving-and-we-must-follow-it

(9) NASDAQ + Gemini

https://www.cnbc.com/2018/04/25/nasdaq-is-open-to-becoming-cryptocurrency-exchange-ceo-says

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

Di Maurizio Garipoli| 2018-08-25T16:41:41+00:00 25 agosto 2018|Attualità, News|1 Commento


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Rapallo, martedì 28 agosto 2018

A cura di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 



LE GRANDI NAVI

 

Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.


LE GRANDI NAVI



Oscurano i tramonti di Venezia, gettano un’ombra sul Vesuvio di Napoli e nascondono la vista della Lanterna di Genova. Sono le navi da crociera che con un carico di 5 mila passeggeri e una stazza di oltre 130.000  mila tonnellate passano sempre più spesso nelle zone aeroportuali di molte delle nostre città, determinando un forte impatto ambientale. <<In laguna ogni loro passaggio fa diminuire il livello della superficie marina di 20 cm per il risucchio e bruciando petrolio di scarsa qualità provocano un inquinamento da zolfo combusto pari in quantità a quello prodotto da 14 mila vetture>>, precisa Salvatore Mauro, ricercatore all’Istituto Nazionale per lo Studio ed esperienze di architettura navale Insean del Cnr di Roma.

I danni che provocano

Il traffico marittimo, solo per il fatto che esiste e si muove in aree naturali, è associato a un effetto antropomorfico più o meno grande a seconda delle dimensioni di queste grandi imbarcazioni e del luogo del loro transito. <<Basti pensare che per mantenere il proprio assetto devono imbarcare tonnellate d’acqua che prelevano in ogni dove nel mondo per poi scaricarle con tutte le specie microbiche aliene in esse sospese nelle nostre acque costiere>>, ci riferisce Salvatore Mauro. <<Le stesse incrostazioni che si formano sulle superfici sommerse di queste città galleggianti inquinano: diventando dei veri e propri scogli di un metro e mezzo di spessore, trasportano organismi viventi che entrano in competizione con le nostre specie locali>>. Le onde che generano possono inoltre spostare masse d’acqua anche di 130 mila tonnellate che come secchiate d’acqua si riversano nelle strutture murarie costruite sulla costa.

I sistemi di controllo

Eppure organi addetti al controllo del loro passaggio esistono. Uno di questi è la Capitaneria di Porto che governa il traffico nei corridoi marini. Ma non solo. Il Vessel Trafic Service (VTS), il sistema di monitoraggio del traffico marino, consente di avere in tempo reale i dati sulla rotta delle navi: grazie a radar posizionati sulla costa (in Italia se ne contano otto dislocati in altrettante aree ad alta densità di traffico) collegati a un sistema informatico, permette di risalire velocemente all’imbarcazione che insiste su quella determinata zona geografica. Esiste inoltre l’International Maritime Organization (IMO), un’emanazione dell’ONU presente in 158 nazioni che legifera su norme relative all’adeguamento tecnico delle navi, all’aggiornamento del personale di bordo e alla sicurezza. Il RINA, il Registro Italiano Navale, s’interessa che le norme IMO vengano rispettate: fa adeguamenti tecnici e dà certificazioni mentre la Capitaneria di Porto controlla il suo operato. L’ECDIS (Electronic Chart Display and Information System), il sistema informatico di navigazione basato su computer che soddisfa i regolamenti IMO, visualizza le informazioni provenienti da carte elettroniche o nautiche digitali e integra le informazioni di posizione, rotta e velocità attraverso sistemi d’informazione d’acqua e altri sensori. L’Automatic Identification System (AIS) trasmette infine targa, bandiera, tipo di carico e nome dell’imbarcazione nella zona in cui la nave passa e a tutto il mondo.

Idee ecologiche

Nonostante queste “sentinelle” tecnologiche i disastri succedono, vedi la sciagura della Costa Concordia. Oltre alle navi da crociera, i nostri mari sopportare però anche il 25 per cento del traffico petroliero mondiale e il passaggio di moltissime navi da trasporto. Come ridurre il loro impatto ambientale? Rallentando la loro andatura per esempio. <<Diminuendo di 14 miglia all’ora la velocità delle navi cargo, si ridurrebbero del 60 per cento il diossido di carbonio e del 55 per cento gli ossidi di azoto contenuti nei loro gas di scarico>>, propone il California Air Resource Board sulle pagine della rivista Environmental Science & Techonolgy. Oppure attivando provvedimenti e indirizzi politici volti a garantire un uso più diffuso dei gas naturali GPL e GNL, come è stato suggerito al Forum Internazionale dedicato all’innovazione tecnologica per lo sviluppo del cluster marittimo, tenutosi di recente a Genova. Se infatti per il primo esiste già una rete di distribuzione, per il secondo mancano infrastrutture per il suo approvvigionamento. Queste fonti energetiche a basso impatto ambientale ma con un’elevata densità energetica e una notevole versatilità d’impiego, renderebbero la navigazione più sostenibile e concorrerebbero a raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di diminuire del 60 per cento la quota dei gas con effetto serra. In particolare il GNP una volta refrigerato e liquefatto si ridurrebbe in volume di ben 600 volte permettendone d’immagazzinare una grande quantità in poco spazio.

Mezzi sicuri

Non mancano neppure iniziative volte a controllare con estrema precisione i movimenti di queste grandi navi. Vincitrice del premio “Red dot award 2013” per il design di prodotto, è per esempio la leva di comando Azimut, un’interfaccia distintiva che permette di manovrare le imbarcazioni da crociera con una precisione al decimetro, controllando la velocità delle eliche di propulsione e l’angolo di virata: luci regolabili massimizzano inoltre la visibilità di notte e durante le giornate di sole intenso. Questi e altri accorgimenti sono volti a rendere più sicuro il traffico marittimo che, non dimentichiamolo, è tuttavia la modalità di trasporto a più basso impatto ambientale. Se le navi sono costruite con tecnologie idonee, si avvalgono di manutenzioni adeguate e ospitano personale di bordo ben addestrato, sono senz’altro più sicure e meno inquinanti dello stesso traffico aereo.

Manuela Campanelli

Rapallo, 29 luglio 2018


TRASPORTO SU CHIATTA

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A. Dopo l'interessante pezzo sulle riparazioni navali, oggi punta i riflettori sopra un'altra realtà poco conosciuta: le chiatte.

J.G.

TRASPORTI SU CHIATTA

di Fausto Mazza

 

LE CHIATTE UN SETTORE DI NICCHIA


Le chiatte pontate sono galleggianti privi di propulsione, pressoché a forma di parallelepipede, caratterizzati da portate elevate, grande robustezza strutturale, ampie coperte libere da ingombri e pescaggio ridotto. Internamente il guscio dello scafo risulta suddiviso in compartimenti stagni, di capacità e numero adeguati ai fini della gestione dell’assetto.

Un ulteriore declinazione di questi mezzi di trasporto sono le chiatte semisommergibili. Queste sono mezzi specializzati che, mediante la gestione della zavorra, possono immergersi, appoggiandosi sul fondo e riemergere.

* La chiatte semisommergibili sono utilizzate per l’esecuzione delle seguenti operazioni: Analogamente alle chiatte normali, per il trasporto marittimo di grandi manufatti in relazione a opere in ambito civile, portuale, navale, offshore o, nell’ambito dei lavori marittimi, come piattaforme galleggianti in abbinamento all’utilizzo di mezzi di sollevamento terrestri quali gru semoventi ruotate o cingolate.

* Varo di costruzioni navali e moduli offshore mediante immersione parziale o totale della chiatta sia in acqua libera che dentro a un bacino di carenaggio.

* Presa in carico e messa a secco di unità navali o altri manufatti galleggianti in maniera del tutto analoga ad un bacino galleggiante.

La caricazione può avvenire mediante carrelli multiruota idraulici, sistemi di traslazione con verricelli, sollevamento verticale tramite gru o affondamento e successiva emersione della chiatta.

Le chiatte sono iscritte nel Registro del Naviglio Minore e dei Galleggianti e tipicamente sono prive di equipaggio imbarcato a ruolo. Non essendoci un ruolo equipaggio a bordo delle chiatte non esiste il Comandante. L’operatore incaricato della gestione della zavorra viene indicato con il termine anglosassone, mutuato dall’ off-shore, di Ballast Engineer o in maniera ancora più impropria con quello, preso a prestito dalle petroliere, di Tankista. Non esistono requisiti specifici per la qualifica di Ballast Engineer che, ai fini dell’Autorità Marittima, non esiste proprio. Il Ballast Engineer può essere un CLC (Capitano di lungo Corso)  o un CDM (Capitano di Macchina) ma può anche benissimo essere un perito industriale o un geometra o semplicemente una persona con esperienza pratica, in grado di governare il mezzo e di seguire le istruzioni per la zavorra preparate da terzi. E’ ovvio che, in relazione alle competenze specifiche, il profilo ideale per ricoprire questo ruolo sia quello del Capitano di Lungo Corso.

A seconda delle loro caratteristiche costruttive, le chiatte possono essere abilitate alla navigazione a rimorchio anche Internazionale Lunga. I trasferimenti avvengono sempre in assenza di personale a bordo; durante la navigazione le chiatte sono sotto la responsabilità del Comandante del rimorchiatore che ne effettua il trasferimento.

I sistemi di bordo di una chiatta semisommergibile non presentano aspetti tecnici di spicco. L’operazione nevralgica è sempre una sola: la movimentazione della zavorra per permettere la gestione di assetto, immersione ed emersione. Il macchinario di bordo si riduce ad un generatore che alimenta gli impianti di bordo, pompe di zavorra ove presenti, un compressore che fornisce l’aria compressa necessaria per lo spiazzamento della zavorra e per l’utilizzo del verricello salpancore.

Su una chiatta di moderna concezione troveremo un sistema di tele-livelli che consente all’operatore di conoscere la quantità d’acqua presente all’interno delle singole casse di zavorra; un sistema telecomandato di valvole di presa mare e valvole per la gestione della zavorra; un sistema di pompaggio della zavorra per mantenere l’assetto; un ulteriore sistema di spiazzamento della zavorra mediante aria compressa, utilizzato per emergere a seguito di un’immersione.

Purtroppo, molte unità ancora in servizio sono di concezione antiquata, con impiantistica ridotta al minimo, quindi caricazione e discarica della zavorra avvengono per sola gravità, nessuna possibilità di trasferire la zavorra a bordo, espulsione della zavorra mediante spiazzamento con aria compressa e nessuna indicazione remota dei livelli delle casse.

Le sistemazioni di ormeggio di questi mezzi sono minime a prua e pressoché inesistenti a poppa, dovendo quest’ultima essere lasciata libera per il transito dei carichi. A prora, oltre all’ancora con relativo verricello salpancore dotato di campane di tonneggio, troviamo gli attacchi Smit per i rimorchi, le bitte di ormeggio e i passacavi. Ulteriori bitte di ormeggio saranno presenti in coperta lungo i fianchi fino a poppa. Sulla prora o lungo il fianco, troveremo festonato il cavo di rimorchio d’ emergenza.

Lavorare su questi mezzi, in particolare su quelli più vecchi, costringe il personale ad aguzzare l’ingegno per superare tutti i problemi che si possono presentare nel corso dell’operazione. In queste circostanze è fondamentale conoscere molto bene le caratteristiche tecniche del mezzo, i suoi limiti tecnici, le sue magagne, in essere e probabili, e il suo comportamento nelle varie fasi dell’operazione. Questa conoscenza permetterà all’operatore di riconoscere eventuali anomalie e di porvi rimedio.

L’assenza di sistemazioni di manovra sulla poppa ed in coperta costringe all’adozione di sistemi alternativi, spesso poco ortodossi, per poter mettere in forza le cime d’ormeggio. Generalmente si ovvierà alla mancanza del verricello a poppa, imbarcando un mezzo ruotato in grado di tirare con forza adeguata, tipicamente un muletto o una piccola semovente. La cima verrà collegata al mezzo ruotato tramite una bozza, messa in forza con la dovuta attenzione e successivamente abbozzata e voltata in coperta. Si tratta di manovre che, oltre a comportare un discreto impegno fisico, richiedono perizia marinaresca, prudenza ed una buona manualità.

In maniera del tutto analoga al naviglio maggiore, anche le chiatte si trovano ad operare in porti diversi sia in Italia che all’ estero. La manovra di arrivo può essere suddivisa nelle seguenti fasi: imbarco in rada del personale addetto all’ormeggio e del pilota, rilascio del rimorchio d’altura e connessione dei rimorchiatori portuali, passaggio dalla rada all’ormeggio e manovra di ormeggio vera e propria.

Generalmente il personale addetto all’ormeggio si compone di una squadra di ormeggiatori locali assistita dal personale della chiatta. Data la natura particolare di questi mezzi, la buona collaborazione con i servizi portuali è essenziale. Se il pilota, il rimorchiatore di altura e i rimorchiatori di porto fanno un buon lavoro, la vita del personale addetto all’ormeggio è resa decisamente più facile. In caso contrario le manovre di arrivo e di partenza, in particolare la disconnessione / connessione del rimorchio d’altura, possono tramutarsi in un incubo, sia dal punto di vista del tempo impiegato che da quello della sicurezza sul lavoro.

Il nolo giornaliero della chiatta, del rimorchiatore e delle attrezzature per la movimentazione comporta un esborso significativo per il noleggiatore, quindi tutte le lavorazioni vengono effettuate nell’ottica di evitare tempi morti, per terminare l’operazione nel minor tempo possibile. Spesso queste operazioni sono vincolate da limitazioni ai fini della sicurezza, quali l’esecuzione del lavoro in orario diurno, o limiti in relazione alle condizioni di vento e mare.

Non appena ormeggiati, cominciano le predisposizioni propedeutiche all’operazione vera e propria.

Il personale di bordo fa l’assetto secondo le istruzioni ricevute dal noleggiatore, assiste il perito chimico di porto per il rilascio del certificato di non pericolosità, assiste il personale del noleggiatore incaricato della realizzazione delle predisposizioni necessarie all’imbarco del manufatto o delle operazioni di derizzaggio dell’eventuale manufatto da sbarcare. La chiatta diventa un cantiere vero e proprio, popolato da persone indaffarate: tecnici del noleggiatore, manovali, carpentieri e saldatori, tecnici della ditta incaricata della movimentazione, ispettori del proprietario dei manufatti, periti dell’assicurazione e della classe solo per dirne alcuni. La corrente per il funzionamento di tutta l’attrezzatura elettrica, tipicamente saldatrici e smerigliatrici angolari, può essere fornita da un generatore mobile, dal generatore della chiatta o più raramente da terra.

Durante questi giorni di attività frenetica, la casamatta della chiatta, con la sua puzza di gasolio, offre al personale, oltre alla possibilità di bere un caffè o un sorso d’ acqua in pace, un riparo sempre gradito, sia dai raggi del sole d’estate, che dal vento e dalla pioggia d’inverno. In queste circostanze il caffè, abbinato al necessario spirito di cooperazione, mantiene oliato il meccanismo dei lavori.

Una volta completata la preparazione comincia il lavoro vero. Che sia l’imbarco o lo sbarco di una grande gru portuale o il varo di un supply vessel o di un manufatto di carpenteria metallica destinato all’off-shore, l’attenzione è massima.

Movimentando carichi su ruote si deve lavorare in sintonia con il responsabile della movimentazione. Gestendo oggetti molto pesanti, l’assetto della chiatta varierà in maniera notevole al variare della posizione del convoglio in coperta; sarà cura del responsabile della movimentazione evitare il più possibile movimenti inutili che costringano a continue variazioni di assetto e cura dell’operatore della chiatta assecondare la movimentazione. L’aver predisposto al meglio l’assetto della chiatta e la distribuzione della zavorra a bordo consentirà di sveltire la movimentazione, la presenza di personale esperto sia a bordo che dalla parte della ditta incaricata della movimentazione è di importanza strategica per la buona riuscita del lavoro.

Quando si vara, la manovra di affondamento viene gestita dal personale della chiatta con particolare attenzione alla stabilità trasversale. A meno che non siano dotate di cassoni stabilizzatori, le chiatte semisommergibili non possono affondare con assetto longitudinalmente dritto. Questo fa sì che l’affondamento debba avvenire entro certi limiti di profondità, che permettano alla chiatta di appoggiarsi sul fondo in sicurezza. Per evitare che la chiatta, immergendosi libera, possa veder compromessa la sua stabilità trasversale, si deve avere cura di mantenere un assetto positivamente appoppato fino al raggiungimento dell’appoggio dello specchio di poppa sul fondale. Una volta soddisfatta questa condizione, si potrà completare l’allagamento delle casse di zavorra prodiere fino al raggiungimento della massima immersione. L’emersione, che sia a seguito di un varo o per mettere a secco una piccola unità navale o un manufatto galleggiante è un operazione altrettanto delicata. Si pompa aria per espellere la zavorra e far emergere la prua fino a quando non si è in grado di garantire la stabilità trasversale della chiatta, dopodiché si espelle zavorra dalla poppa per provocarne il distacco dal fondale. Una volta avviata, l’emersione della poppa è molto rapida e non può essere arrestata. Sui fondali fangosi, l’effetto ventosa del fondale rende l’emersione ancora più subitanea e meno controllabile.

Alternativamente all’effettuazione delle operazioni con immersione ed emersione in acqua libera, varo e messa a secco possono essere effettuati dentro ad un bacino di carenaggio di dimensioni adeguate. La chiatta in questo caso sarà poggiata sullo scalo del bacino ed il livello dell’acqua in vasca gestito dal personale del bacino su indicazioni del personale della chiatta.


Mentre le operazioni di varo e presa in carico sono sempre vissute dentro la dimensione tecnico-nautica tipica della cantieristica navale o dell’offshore, nei grandi trasporti ci si ritrova ad operare in una dimensione terrestre, dove il personale della chiatta spesso è costretto ad interfacciarsi con persone che non hanno la minima idea di cosa sia un trasporto marittimo. In questi casi, i comportamenti dinamici dell’insieme chiatta / carico causati dalle maree, dal vento e dalla risacca del porto, generano nel terrestre il bisogno irrefrenabile di fare domande:

* Perché la chiatta sta affondando? Non stiamo affondando è la bassa marea.

* Perché la banchina è piu’ bassa della chiatta? Siamo in alta marea, il livello del mare è salito.

* Perché la chiatta prima era dritta e adesso è sbandata? Portiamo una struttura alta 70 metri, il vento ci fa sbandare.

* Perché non riuscite ad impedire che si muova quando passano le navi? Perché non siamo un camion posteggiato in un piazzale.

Se il personale del noleggiatore è completamente nuovo a questo tipo di operazioni, alla fine della giornata si torna a casa o in albergo con un bel mal di testa. Quando si lavora fuori sede, il protocollo serale è quello di tutte le trasferte: doccia, rendicontazione della giornata, aperitivo e/o telefonate, cena e giretto in città, quattro chiacchere con i colleghi prima di andare a dormire anche per organizzare le attività del giorno dopo.

Quando si lavora a bordo di queste cenerentole dell’armamento navale le giornate sono lunghe ma le soddisfazioni non mancano. Vedere l’ultimo asse di un grande convoglio che scende a terra o sale a bordo, completare il varo oppure mettere a secco una costruzione navale, vedere la chiatta che si allontana dalla diga trainata dal rimorchiatore d’altura è sempre appagante. Umili quanto versatili, le chiatte semisommergibili possono vantare una flessibilità d’ impiego che non teme paragoni.

 


 

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A.

 

Rapallo, 26 Luglio 2018

 

A cura del webmaster Carlo Gatti


L'AVVENTUROSA MANOVRA DELLA "TUBUL"

L'AVVENTUROSA MANOVRA

DELLA "TUBUL"

di Massimiliano GAZZALE - Pilota del Porto di Genova

 

Nel nostro lavoro la possibilità di un'avaria è sempre in agguato. Ogni Pilota del porto di Genova esegue diverse centinaia di manovre all'anno. Nel momento in cui si agguanta una biscaglina, oppure quando si posa il piede sullo scalandrone di una nave, deve diventare automatico girare l'interruttore che scollega i pensieri e i problemi che non riguardano la manovra che si sta per affrontare: pena la mancanza della "presenza" necessaria ad affrontare gli imprevisti. In questo articolo il Com.te Gazzale ci porta con lui durante una di queste avventure. Uno degli obiettivi del sito SBE è quello di far conoscere realtà portuali/marittime poco comuni. E' questo il motivo per cui  trovate numerosi articoli scritti da persone provenienti dalle più disparate realtà. Invito chiunque si riconosca in questa filosofia a farsi avanti con storie, avventure e/o descrizioni, per raccontare il loro mondo visto e vissuto dall'interno. A presto!

J.G.

Quella mattina di Maggio il vento era debole e l’aria iniziava a essere tiepida. Il debole chiarore a levante annunciava l’allungarsi delle giornate.

Nella Stazione Operativa, i piloti montanti guardavano alternativamente gli schermi della programmazione dei lavori e la lavagna elettronica che riportava la cartina e i segnali AIS delle navi, mentre l’operatrice notturna smontante descriveva il traffico in corso e quel che si prevedeva accadesse di li a poche ore.

Lo schermo AIS mostrava una sagoma sulla linea delle 7 miglia. Dirigeva verso l’imboccatura di levante e ci colpì per la bassa velocità mostrata dal target.

Era una portacontenitori e, solitamente, queste navi arrivano in fretta, ma non sono mai abbastanza veloci agli occhi degli interessati alle operazioni commerciali. Per noi non fa nessuna differenza: quando arriva noi la portiamo dentro.

L’operatrice radio ci disse che la nave aveva avuto alcuni problemi, non meglio precisati, alla macchina durante la notte, ma sembrava li avesse risolti. Il VTS (Vessel Traffic Service) era stato informato dalla nave stessa e nessuna indicazione, o richiesta di azione, era stata avanzata verso i piloti. La nave stava regolando il suo ETA autonomamente. Era tutto chiaro.

Questo tipo di nave, per entrare in porto, richiede la presenza di 2 piloti e un certo tipo di garanzia sullo stato di efficienza generale. Chiunque di noi fosse andato a bordo avrebbe fatto più di una domanda al Comandante per essere rassicurato sull’effettiva risoluzione dell’avaria denunciata.

La TUBUL è una nave portacontenitori costruita nel 2011 in Corea del Sud, di circa 90.000 tsl per una lunghezza di quasi 300 m e una larghezza di 45. Considerando gli spazi a disposizione per raggiungere l’ormeggio assegnatole, possiamo dire che è una grossa nave.

Raggiunta la distanza di tre miglia dall’imboccatura, la Tubul fu assegnata a me e al collega che mi seguiva nell’ordine. Contattai la stazione rimorchi per predisporre due “pezzi” per l’arrivo.

La nave e il VTS confermarono le buone condizioni operative per la manovra. Non avevamo idea di quali problemi avesse avuto in macchina ma, evidentemente, non erano stati tali da provocare allerte particolari.

La pilotina uscì in anticipo per andare incontro alla nave: volevamo imbarcare un po’ prima del solito per “annusare” la nave, l’equipaggio e il Comandante.

Girando intorno alla nave con la pilotina, notammo che era molto carica, e che lo specchio di poppa toccava quasi in acqua.

La manovra di ormeggio può essere interpretata in modi diversi e, manovrando in due piloti, si ha l’indubbio vantaggio di poter discutere su diversi punti di vista. Questa volta non avevamo dubbi, non avremmo usato calata Gadda per l’evoluzione (nonostante la praticità che offriva questa scelta) optando per una manovra leggermente più lunga, ma sicuramente più sicura in caso di dubbi sull’efficienza della macchina: l’avamporto.


Un giovane Comandante ci accolse cordialmente sul Ponte di Governo, dove iniziammo lo scambio delle informazioni.

Dopo le formalità circa i dati statici e dinamici, l’ormeggio e la manovra che si intendeva proporre al Comandante, il mio collega venne al sodo chiedendo le condizioni della macchina. Il Comandante ci spiegò che il sistema di allarme li aveva costretti a ridurre la velocità di navigazione, ma che per la manovra non ci sarebbe stato nessun problema.

La conduzione della manovra fu lasciata a me e iniziai a suggerire al comandante rotta, velocità e indicazioni su come "voltare" i rimorchiatori a prua e a poppa.

Girare in avamporto ha vantaggi e svantaggi. In questo caso preferivamo fermare la nave prima di quanto avremmo fatto girando alla Gadda ed evoluire in un bacino più ampio, anche se, in termini di tempo, avremmo impiegato diversi minuti di manovra in più. La manovra in avamporto si esegue ruotando la nave al contrario della via dell’elica, e questo comporta una maggiore resistenza, ampiamente compensata dall’utilizzo di ottimi rimorchiatori e di una buona elica prodiera.

Fermare la nave prima significa scoprire in anticipo come agisce la potenza del motore sul peso della nave e, in quel contesto, verificare se la macchina sarebbe partita indietro, che poi era il dubbio presente nelle nostre menti dal momento in cui ci fu assegnato quel lavoro.

Tutto procedeva regolarmente: il rimorchiatore Svezia era stato voltato a prua e il Germania a Poppa; la macchina partì regolarmente indietro e con un’efficienza tale che non fu neanche necessario mettere il Germania in bozza a frenare. Due “barche” potenti portate da due voci note, eravamo in buone mani.

L’evoluzione iniziò con Svezia e Germania che vogavano più o meno al traverso, aiutati dal bow thruster che, con la sua lunga scia mostrava i muscoli. Avevamo ancora un leggero abbrivo in avanti, e questo mi piaceva: il Germania lo avrebbe smorzato di lì a poco, perché vogando al traverso di poppa, in realtà il rimorchiatore è sempre un pò sguardato e questo lo fa agire anche da freno.


La poppa della nave superò il pontile Ente Bacini Esterno con abbrivo residuo zero come previsto. Poco dopo  il Comandante mi informò sulle  distanze e io gli suggerii di avviare nuovamente la macchina indietro, che partì regolarmente.

Fermati i rimorchiatori, gli indicai di restare pronti “in filo” di prua e di poppa pronti per ogni evenienza. Guadagnavamo spazio verso il punto critico della manovra: lo spigolo del fanale rosso in testata Sanità.

Questo “angolo” del porto di Genova meriterebbe paginate di considerazioni per la brutta fama che porta con sé. E’ l’ostacolo per ogni manovra del Porto Vecchio, è un guardiano implacabile, un monito per tutti, un coltello affilato puntato al fianco di navi comandanti e piloti; va trattato con rispetto, tanto più rispetto quanto più uno intende passarci vicino, perché lui non teme nulla, resta lì, sono le navi e le gambe di chi le governa che tremano guardandolo scorrere al traverso.


Fermai la macchina quando il comandante mi avvertì che avevamo circa 3 nodi di velocità indietro. La poppa era ancora all’altezza del Paleocapa Saar e a tre nodi avremmo impiegato poco più di un minuto per trovarci all’altezza del fanale “rosso”. Tutto perfetto: il giusto abbrivo indietro, macchina ferma e pronta per essere avviata in avanti, rimorchi pronti ad agire in qualunque direzione. Quando lo ritenni opportuno dissi al comandante che avremmo iniziato a ruotare per portarci paralleli alla banchina di ormeggio. Suggerii e chiarii bene le fasi successive, perché gli spazi si sarebbero fatti più stretti e i tempi più corti. Stava per iniziare l’ultima fase della manovra, quella più delicata.

Indicai al Germania di vogare in banchina, cioè verso la Sanità, il bow thruster al lavoro a sinistra e lo Svezia in voga a Nord per far “salire” la prua, valutando istante per istante la curva di evoluzione per passare alla giusta distanza dal fanaletto “rosso”. Nella rotazione la nave avrebbe perso parte della velocità naturalmente, mentre il Germania avrebbe contribuito con una forza vettoriale indietro. Tutto sotto controllo.

La velocità di rotazione della prua era superiore rispetto a quella della poppa e questo mi piaceva: la prua doveva rimontare decine di metri rispetto alla poppa per raggiungere una posizione dinamica parallela alla banchina. A un certo momento fu chiaro che la velocità di rotazione residua sarebbe stata sufficiente, così fermai lo Svezia, il BT (bow thruster) e ricontrollai la velocità indietro:  circa 2,5 nodi come previsto, sufficiente a raggiungere la posizione di ormeggio e a considerare la nave in pieno controllo. E’ una velocità che corrisponde a circa 75 metri al minuto (mi piace, quando manovro, considerare in questo modo la velocità, perché mi dice in un orecchio quanto tempo ho in base allo spazio disponibile e mi aiuta a capire cosa fare, quando farlo e se posso farlo). Calata Sanità è poco più di 520 metri – quando mi trovo al traverso del fanale “rosso” considero sempre 500 per buona misura – e a quella velocità, senza intervenire, ci sarebbero voluti circa 6 minuti per arrivare in fondo, senza tenere conto della perdita di velocità naturale della nave. Avevamo tutto il tempo che serviva. Il Comandante confermò i miei pensieri quando l’ufficiale di poppa gli comunicò la distanza di poppa, 450 metri circa, non sapeva che io stavo contando le bitte in banchina, ed ero molto più preciso di lui.

Suggerii al Comandante di liberare lo Svezia, prevedendo di usarlo alla spinta verso poppa, visto che a prua avevamo il BT e che per affiancare la nave sarebbe servita una spinta trasversale, mentre il Germania sarebbe stato pronto a vogare per allargare la poppa in caso di necessità. Concordato questo ricontrollai le bitte.

400 metri, 5 minuti circa. Dal terminal mi chiamarono via radio dicendo che la posizione questa volta sarebbe stata sulla bitta 8 invece che sulla 5, mi sembrava di ricordare la stessa cosa e confermai via radio, in quel momento feci un riepilogo della situazione al comandante:

· Germania fermo e pronto in fuori,

· Svezia in procinto di essere liberato,

· macchina ferma e BT fermo,

· timone in mezzo.

Il comandante confermò 2,3 nodi di velocità indietro.  A quel punto suggerii di dare macchina avanti, valutando che alla bitta 8 mancavano meno di 5 minuti e considerando che, visto il pescaggio della nave, un nodo di velocità e qualche minuto in più di manovra mi stavano più che bene. Inoltre avrei avuto il tempo di passare i cavi a terra in sicurezza e di avere lo Svezia pronto alla spinta verso poppa in tempo utile.

300 metri, 2 nodi, 5 minuti dalla fine della banchina.

Mr Pilot disse il comandante serio –  la macchina non parte!

Io e il mio collega, che nel frattempo mi aveva raggiunto passando dall’aletta di sinistra a quella di dritta, ci scambiammo uno sguardo che tradotto significava: piano B!

Sapevo di dover continuare a dare indicazioni al Comandante senza allarmarlo più di quanto già non fosse, e sapevo che il mio collega avrebbe avuto la calma necessaria per valutare ogni mia singola parola integrandola se necessario.

In quel momento dalla prua arrivò la notizia che il rimorchiatore era libero. Ottimo! Pensai.

Prima cosa la sicurezza delle persone e quindi avvisai gli ormeggiatori sulla barca, già pronti a prendere gli spring di prua, e lo Svezia di allontanarsi perché avremmo dato fondo alle ancore. Non appena l’area fu sgombra suggerii al Comandante di dare fondo subito a tutte e due le ancore.

250 metri, 2 nodi, 4 minuti.

Il rumore di ferro arrivò dalla prua come un tuono lontano, avvisandoci che le grosse ancore erano sul fondo e stavano chiamando la catena in acqua.

Guardai a poppa, non vidi la scia del’elica e pensai alla poppa della nave e al suo specchio tronco… guardai il mio collega.

Germania! ce la fai a spingere sullo specchio di poppa?

il Germania è uno degli ultimi modelli di rimorchiatori in forza a Genova; oltre ad una potenza micidiale ha anche una prua molto alta e ampia che si presta bene alla spinta e per questo lavoro lo specchio di poppa della Tubul era perfetto.

– Sì, se mi da due minuti mi accorcio il cavo e vado.

Non li hai due minuti Germania, fai quel che puoi, quando ci sei spingi con tutto quel che hai.

– Ricevuto, vado!

Sapevo dal tono di voce del Comandante del Germania che aveva capito perfettamente la situazione. Il mio collega annuiva e guardava il comandante che comunicava con la sala macchine e muoveva la leva del motore. L’aria per l’avviamento era a livelli alti, il problema era un altro e sconosciuto, ma sicuramente non avremmo avuto la macchina in tempi brevi.

Svezia, quando hai recuperato il cavo dirigiti a poppa e spingi insieme al Germania, puoi farlo vero?

Sì certo, sto andando!

Due rimorchiatori di quella potenza utilizzati alla spinta sono una garanzia, in più avevo le catene e le ancore che stavano mordendo il fondo

200 metri 1,7 nodi, meno di 4 minuti

La velocità stava scendendo, buona notizia, tutte le forze a nostra disposizione stavano operando correttamente. Parlando con il comandante, che era molto teso, concordammo di provare a frenare le ancore dopo che la quinta lunghezza fosse andata in acqua. Oltre 100 metri di catena sul fondo avrebbero agguantato maledettamente bene!

– Il Columbia sta arrivando!

La stazione di controllo dei rimorchiatori, che non stava affatto dormendo, aveva già mandato un altro rimorchiatore in assistenza, buona notizia.

150 metri, 1,5 nodi, 3 minuti

Quando il tempo a disposizione diminuisce meno rapidamente della distanza è sempre un sollievo e sentivo che la situazione era sotto controllo. Eravamo tutti in attesa, la velocità diminuiva più lentamente ora. Il mio collega mi informò che aveva già avvisato l’Autorità Marittima e la stazione piloti.

100 metri, 1 nodo, 3 minuti

Pensai ai 50 metri dei rimorchiatori di poppa più i 50 metri residui e immaginai la scia che dirigeva verso la banchina. Presi un’ultima precauzione.

Germania, Svezia, fischiate per avvisare se ci fosse qualcuno in banchina.

– Comandante siamo fermi!

Mi anticipò il Germania, non sapendo che l’abbrivo della TUBUL aveva tutta l’attenzione che ero in grado di avere da qualche minuto; il problema adesso era l’opposto: smorzare l’abbrivo in avanti.

Bene, Germania e Svezia fermatevi! Germania pronta a frenare con il cavo.

Con tre rimorchiatori, la nave in pieno controllo, iniziammo a salpare le catene.

Successivamente e lentamente dirigemmo in banchina, non prima di aver effettuato un paio di test positivi sul motore che partì regolarmente per il sollievo del comandante.

A nave ormeggiata era giunto il momento di congedarsi. Il Comandante ci strinse le mani ringraziandoci calorosamente  per come avevamo condotto la manovra, ben consapevole che di lì a poco sarebbe stato "intervistato" dalle autorità. Dal nostro canto ringraziammo lui e l’equipaggio per l’ottimo lavoro di squadra, e soprattutto i rimorchiatori, rivelatisi decisivi in questa emergenza.

La pilotina era già pronta di poppa. Altre navi ci aspettavano per andare all’ormeggio.

 

Rapallo, 12 Luglio 2018

webmaster: Carlo Gatti