INQUINAMENTO NAVALE Inquinamento Navale: Naturale, Volontario e Accidentale

 

INQUINAMENTO NAVALE

Inquinamento Navale: Naturale, Volontario e Accidentale

 


L’inquinamento Navale è un argomento di attualità … da molti anni.

E’ un problema che ciclicamente torna in auge e spesso ci sbatte in faccia i nostri fallimenti, insieme agli sforzi insufficienti che attuiamo per risolverli.

Dal più piccolo natante alla più grande nave passeggeri, passando per l’interminabile schiera di cargo commerciali e cisterne di ogni tipo, le navi tessono reti di scie inquinanti in mare, che si aggiungono a quelle create nei decenni da auto, camion e treni sulla terraferma; aerei, droni, razzi e satelliti in aria nella troposfera e più su nella stratosfera. *

*Ricordiamo che la TROPOSFERA è la fascia sferoidale aeriforme dell’atmosfera che si trova a diretto contatto con la superficie terrestre, di spessore variabile a seconda della latitudine: ai poli è spessa solamente 8 km mentre raggiunge i 16-20 km all’equatore. In altre parole, è la fascia di atmosfera dove si hanno i fenomeni meteorologici.
La STRATOSFERA comincia intorno ai 12 km (8 km ai poli e 20 km all’equatore) e termina a un’altitudine di circa 50 km, dove la temperatura raggiunge un massimo di -3 gradi Celsius.

Questi fenomeni di inquinamento sono in crescita esponenziale, in quanto seguono l’andamento demografico e lo sviluppo generale.

Già dal 1967 l’ONU interviene sulla problematica inerente i Diritti e le responsabilità degli Stati sull’utilizzo dei mari e degli oceani.

Il suo impegno ha dato corpo alla UNCLOS (United Nations Convention on the Law Of the Sea), conosciuta anche come “Convenzione di Montego Bay”, la quale indica le linee guida sulle quali misurare le acque interne e quelle Internazionali, stabilendo quest’ultime: proprietà di tutti. La Convenzione stabilisce inoltre le regole sull’utilizzo dei mari e precisamente: la loro giurisdizione, lo sfruttamento delle risorse, le estrazioni di ogni genere, le ricerche scientifiche, nonché il tema oggi molto sentito della protezione dell’ambiente.


(Vale la pena ricordare che prima della UNCLOS vigeva la regola dello “sparo del cannone”, secondo la quale gli Stati vantavano diritti nazionali per tre miglia nautiche dalla linea di costa, ovvero la gittata dei cannoni oltre la quale la difesa con le armi non era più possibile. Oltrepassato quel limite le acque divenivano Internazionali, ma secondo il principio di libero accesso e proprietà di nessuno).

Oggi l’ONU denuncia che un quarto delle morti premature e delle malattie in tutto il mondo è legato all’inquinamento e ai danni all’ambiente causati dall’uomo; viene inoltre dimostrato che una grande quota di responsabilità grava sull’inquinamento navale.

Già nel 2012 la WHO (World Healt Organization) aveva classificato cancerogeni i gas emessi dai motori Diesel, paragonandoli all’amianto nella scala di pericolosità.

Le navi possono inquinare in tre diversi modi: per via naturale, volontaria o accidentale.

Ovviamente è tutto molto complicato da regolamentare, per alcuni aspetti la tecnologia ci aiuta a migliorare, per altri invece, il numero di navi sempre in crescita e con nuove soluzioni tecnologiche spesso ci obbliga a lunghe ed anche vane rincorse.

Per sua natura una nave inquina con le seguenti “pollutions”:

1 - Emissioni di anidride carbonica, azoto e zolfo dei motori Diesel – Che aumentano il particolato nell’aria accrescendo l’effetto serra e il riscaldamento globale i quali, a cascata, determinano fenomeni meteorologici disastrosi tra cui siccità, inondazioni e tempeste violente, contribuendo all’innalzamento del livello delle acque marine per effetto dello scioglimento dei ghiacci. Il particolato che sappiamo cancerogeno, è causa di disturbi respiratori e neurotossici e, nelle sue forme più fini, può anche portare a mutazioni del DNA.

2 - Carico e scarico delle acque di zavorra – che determinano cambiamenti    dell’ecosistema, altrimenti impossibili, trasportando organismi animali vegetali, batteri e virus alieni in luoghi dove, spesso, si sostituiscono a specie autoctone.

3 - Emissioni acustiche – in porto attraverso i grossi generatori di corrente necessari al mantenimento dei servizi di bordo, ma soprattutto in navigazione dove, per via della facilità di trasmissione del suono attraverso i liquidi, disturbano e danneggiano la vita di molte specie marine che usano i suoni per orientarsi o cacciare.

4- Versamenti di liquami – ovvero quei liquidi derivati dagli scarichi di lavanderie, docce, bagni e tutto ciò che è legato alla pulizia degli ambienti navali. Quando le acque reflue non vengono adeguatamente trattate, possono contenere oli, grassi, idrocarburi, metalli e plastiche o anche batteri e virus, che vanno a contaminare pesci e crostacei che entrano nella nostra stessa catena alimentare.

Le navi  con i loro equipaggi, possono inquinare anche “volontariamente”.

Casi di inquinamento volontario perseguibili legalmente ce ne sono stati molti nella storia navale del dopoguerra. Si spera ne avvengano sempre meno in quanto gli sforzi per contrastarli sono stati molto implementati.

. Possiamo raggrupparli in questo modo:

1.  – Inquinamento da rifiuti solidi – Biodegradabili o meno. Carta, plastica e metallo. Spesso le grandi navi utilizzano la raccolta differenziata che poi viene smaltita nei centri a terra e molte navi sono dotate di inceneritori. Ma è spesso accaduto che parte di questi rifiuti siano stati versati in mare, inquinando in primis, ma creando, spesso, anche grandi ostacoli per la sicurezza della navigazione. Fortunatamente, la prevenzione e i controlli sempre più serrati e tecnologici della Guardia Costiera degli Stati più efficienti, producono da anni ottimi risultati per arginare questo problema. Il FLIR di cui parliamo in questo articolo è solo uno degli strumenti di ultima generazione a supporto della sorveglianza attiva.

2.  – Inquinamento da olii di sentina – Problema parzialmente risolto dall’installazione di separatori, che permettono di trattare le acque di sentina, recuperare gli idrocarburi e scaricare a mare le acque una volta ottenuta la percentuale minima richiesta dalla legge di 15 ppm.

3.  – Inquinamento da lavaggio cisterne del carico petrolifero. – La cui pratica illegale risulta molto difficile da rilevare e da perseguire penalmente.


Infine annotiamo il grande problema legato all’inquinamento accidentale, dovuto quindi a incidenti di varia natura che frequentemente accadono in mare.

Le navi possono collidere, incagliare, incendiarsi e poi affondare:

Tali eventi passano di solito alla storia sia per le perdite umane sia per i danni subiti a tutti i livelli dalle chilometriche coste inquinate … di intere nazioni.

Tralasciando il tema delle piattaforme petrolifere, che vantano un triste primato nei disastri ambientali in termini di proporzioni, in cima alla lista delle navi più pericolose troviamo il settore delle petroliere, le quali, per la natura del loro carico sono un vero e proprio pericolo per l’ambiente. A questo proposito ricordiamo che il greggio uccide in due fasi. Nella prima creando una pellicola impermeabile all’ossigeno che stermina la fauna in superficie e il plancton sottostante. Nella seconda, quando la componente leggera evapora e quella pesante precipita verso il fondale, uccide tutti gli organismi che vi hanno dimora. Sono necessari moltissimi anni per bonificare un tale inquinamento e i dati ci dicono che sono milioni le tonnellate di greggio che vengono versate in mare, in vario modo … ogni anno.

Ma da questi eventi tragici possono derivare anche inquinamenti di natura chimica o radioattiva.


Quali le difese?

L’IMO è l’agenzia dell’ONU specializzata in campo marittimo, che si impegna, tra le altre cose, per prevenire, monitorare, controllare e ridurre l’inquinamento marino e atmosferico.

La Convenzione MARPOL già dal 1973 e poi coi suoi emendamenti, ci offre una guida utile alla salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento navale. Doppio scafo, zavorra segregata, Crude Oil Washing, gas inerte, casse di raccolta e sedimentazione, addestramento del personale, raccolta differenziata dei rifiuti, inceneritori, separatori, panne costiere e d’altura o assorbenti, macchine scrematrici, norme per la prevenzione, regolamenti e divieti sono soluzioni note e sempre attuali.

Ma tante altre convenzione sono dovute all’IMO, tra le ultime: International Convention for the Control and Management of Ships’ Ballast Water and Sediments,  del 2004 e The Hong Kong International Convention for the Safe and Environmentally Sound Recycling of Ships, del 2009.

Lo stesso Parlamento Europeo ha emanato negli anni disposizioni e norme per gli Stati membri, volte a intensificare i controlli di PSC (Port State Control) e quelli di monitoraggio da parte della autorità costiere anche attraverso l’obbligatorietà del sistema AIS.

L’EMSA (European Maritime Safety Agency) nata nel 2002, fornisce consulenza tecnica e assistenza operativa per migliorare la protezione dei mari, la preparazione e l’intervento in caso di inquinamento e la sicurezza marittima. Nel 2007 ha creato il CleanSeaNet, un sistema di sorveglianza satellitare per l’individuazione di chiazze di idrocarburi fornendo supporto alle autorità locali per identificare e perseguire i responsabili dell’inquinamento volontario al largo delle coste.

Le iniziative si moltiplicano di anno in anno e molti cercano di fare la propria  parte.

Nel 2013 sono diventate obbligatorie certificazioni di conformità a nuovi standard di efficienza energetica. Sono in atto in diversi porti mondiali incentivi per le navi più ecologiche. Tasse portuali ridotte o attracchi prioritari a navi eco-friendly. La prima pilotina ibrida sarà presto sperimentata dai Piloti del Tamigi, una pilotina che potrà garantire 6 ore di autonomia elettrica a 10 nodi e potrà essere ricaricata quando supererà tale velocità usando i motori Diesel per 2 ore, potendo così operare al 90% in modalità ecologica.

Molte compagnie stanno investendo sull’elettrificazione delle future unità navali. E’ notizia recente, per esempio, che la società Grimaldi ha ordinato 6 nuove ro/ro ibride Diesel-elettrico che risolverebbero, almeno durante le soste in porto, l’emissione di inquinanti, utilizzando batterie al litio ricaricate in navigazione da motori tradizionali, meno inquinanti degli attuali. Sullo stesso fronte si stanno muovendo tutte le più grandi compagnie di navigazione. Abbiamo parlato di navi elettriche a controllo remoto anche in questo articolo: link.

Oggigiorno l’opinione pubblica mondiale è molto sensibile a questi temi, anche perchè le previsioni pessimistiche e talvolta catastrofiche di qualche decennio fa, si stanno puntualmente avverando.

Gli sforzi si moltiplicano, ma le soluzioni sembrano sempre troppo distanti.

La nuova convenzione sul clima e sull’inquinamento atmosferico, che avrà luogo nel 2020, fissa già nuove frontiere, per allora alcune emissioni inquinanti dovranno essere drasticamente ridotte e gli attori sono già in movimento.

Non sono sfide facili, ma è assolutamente necessario lottare contro l’inquinamento a tutti i livelli. Terra, aria e mare; industrie e privati.

Perché come diceva il grande principe De Curtis in arte Totò: “.. è la somma che fa il totale!


 

Comandante Maurizio GARIPOLI

Rapallo, 25 Giugno 2019


IL COMANDANTE HA SEMPRE RAGIONE?

 

IL COMANDANTE HA SEMPRE RAGIONE?

 


Le “verità” che affronto in questo articolo non valgono per tutti i contesti sociali, anzi…

I principi che evoco non sono digeribili da tutti e possono entrare in contrasto con i valori di molte persone.

La selezione naturale imposta dal mondo marittimo attraversa anche questa fase.

La morale, l’etica, i principi e gli stessi valori – in alcune circostanze – passano in secondo piano rispetto alla necessità di mantenere “indiscutibile” il concetto gerarchico.

La celebre frase “Ed io sono il Capitano del Pilcomayo, e in questo momento a bordo del mio legno comando io dopo Dio” (Emilio Salgari – Il tesoro del Presidente del Paraguay), sintetizza in modo efficace quello che deve essere accettato come un dogma.

Ebbene sì, il Comandante ha sempre ragione!

Può sembrare una frase divertente, una battuta; in realtà mettere in discussione l’autorità e il potere legati al ruolo del Capo della spedizione, indebolisce l’intero sistema di comando.

L’organizzazione del modus vivendi a bordo di una nave è l’estratto, il condensato, l’applicazione pura di questi concetti.

  • Poche persone che non si conoscono;
  • di età differenti;
  • culture politiche diverse;
  • fedi religiose diverse;
  • tradizioni e abitudini diverse;
  • convivenze coatte lontane dagli affetti e isolate dal resto del mondo, obbligate in uno spazio confinato tra lamiere, cielo e mare.

Se non esistesse una realtà così organizzata da secoli, sono convinto che risulterebbe difficile per chiunque riuscire a credere che funzioni nella sua prassi quotidiana.

La corrente spinge in un’altra direzione…

Quando ero piccolo esistevano diverse “autorità” e tutte esercitavano un potere indiscusso su di me: i genitori, la sorella più grande, gli adulti in generale, il maestro, l’istruttore di ginnastica, ecc.

La cultura era gerarchica, l’anzianità faceva grado e, in generale, ogni elemento valutativo portava a un determinato livello della scala di comando.

Ma negli anni la “corrente sociologica” ha spinto in modo costante verso un’altra rotta.

Il risultato è la messa in discussione di tutti i ruoli e il conseguente appiattimento dei concetti di autorità e autorevolezza.

Non esiste la soluzione perfetta.

Tutti i sistemi politici e giuridici hanno una matrice umana che ne decreta l’imperfezione ma, nelle organizzazioni di qualsiasi livello, via via che il sistema si allontana dal concetto di gerarchia, la situazione diventa ingestibile.

Perché è importante scindere la persona dal ruolo?

A molti non piace l’idea di “gerarchia” e come dargli torto?

Se riflettiamo bene, pur esprimendo un concetto chiaro e lineare, spesso si è portati ad associare questo termine a ideologie non democratiche. Il nodo della questione è che la gerarchia, quando non è vincolata a un’idea chiara e funzionale delle regole sulle relazioni, scivola inesorabilmente verso rapporti squilibrati.


A questo punto il discorso si allarga e dalle navi si allunga sulle banchine per espandersi sulla terraferma…

Essere a capo di un’organizzazione, ricoprendone la figura verticistica, riconosce una posizione di responsabilità e di autorità, ma non stabilisce un’indiscutibile superiorità in termini di confronto, di ragione universale e, sicuramente, non dà il diritto di accanimento verso i dipendenti o di prepotenza nei confronti dei collaboratori.

Allo stesso modo il collega, o il dipendente, che vivono il rapporto di lavoro a senso unico, pretendendo senza dare, giudicando senza mettersi in discussione obiettivamente e ignorando i punti di vista delle altre persone coinvolte, contribuiscono a generare un clima diffidente e pesante se non, addirittura, di scontro aperto.

E qui abbiamo un altro nodo importante: una mentalità chiusa, concentrata sul proprio essere, presuntuosa ed egoista, porta a rapporti squilibrati.

La gerarchia, anche non formalizzata, è un concetto naturale sempre presente. A volte è dettata dall’anzianità, altre dal carisma, altre ancora da un’evidente superiorità oggettiva in un determinato campo, ma è difficile trovare un contesto dove, anche in modo alterno e provvisorio, non sia presente una qualche forma di competenza organizzata su differenti livelli.

A volte i problemi assumono, ai nostri occhi, dimensioni enormi; ci appaiono irrisolvibili e destinati a cambiare il nostro stato d’animo in modo permanente.

Eppure, se allarghiamo la cornice del problema e la consideriamo in un quadro temporale più ampio, la pressione comincia a calare d’intensità e diventa facile capire come lo scorrere del tempo sia il fattore chiave imprescindibile.

Dove voglio arrivare?

Si sente dire spesso: “la vita è una ruota che gira a scatti”: ogni click è una fase unica e irripetibile, dove per qualche istante hai la possibilità di esprimerti, ma mai di tornare indietro. Ogni click crea, distrugge o consolida una parte di te, contribuendo alla determinazione del tuo “io sono”.

È qui, secondo me, che assume una grande importanza la scala personale dei valori, libera di essere pensata e svincolata dalle convenzioni.

Più siamo consapevoli di ciò che è importante per noi, più diventa facile applicarlo nei click quotidiani.

Detto questo, e collegandolo a quanto scritto prima, osserviamo come, per quasi tutte le persone, buona parte del “tempo” sia occupata e influenzata dalle relazioni sul luogo di lavoro.

Se quello che ho scritto è vero, allora assume un’importanza enorme la considerazione e il rispetto reciproco – capo o subordinato che sia – e il diritto di autonomia decisionale, teso allo sviluppo di un interesse generale, pur in un contesto gerarchico che tenga conto della qualità della vita del singolo.

Incutere paura, usare la leva del terrorismo psicologico, applicare un controllo oppressivo, sono le strategie usate da chi non ha le qualità e le capacità di unire, condividere e guidare verso un piano di crescita collettiva.

Purtroppo succede spesso che chi dirige è ossessionato dalle sue paure e le attribuisce all’altro creando una situazione di oppressione e minaccia. Tutto questo porta a uno stato mentale in cui diventa difficile distinguere i pericoli dalle opportunità e le verità dalle falsità.

È possibile riconoscere questo tipo di persona anche da semplici atteggiamenti, quali, ad esempio, il fatto che tenderà a dare risposte certe su tutti gli argomenti, piuttosto che a fare domande per valutare gli altri punti di vista, ignorando che quello che dice già lo sa e perdendo la possibilità di accedere a un nuovo livello, dove gli potrebbe venire mostrata una parte più profonda, un punto di vista differente.

Una mentalità poco aperta pregiudica la conoscenza, porta a errate valutazioni e a porre giudizi che falsano la realtà.

In definitiva, il concetto gerarchico secolarmente applicato sulle navi di tutto il mondo, soffre certamente di una crescita lenta, forse non al passo con i tempi e certamente migliorabile lavorando sul piano personale.

La figura del leader deve essere capita per arrivare a sostituire, laddove ce ne fosse ancora bisogno, quella del “capo che ha sempre ragione a prescindere”.


Riporto quanto scritto da Kipling che, anche se non perfettamente attinente all’argomento, è indiscutibilmente bello e porta a riflettere.

“Se” di J. R. Kipling (1895)

Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te

la perdono e ti mettono sotto accusa.

Se riesci ad avere fiducia in te stesso

quando tutti dubitano di te,

ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare.

Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare

o essendo calunniato a non rispondere con calunnie,

o essendo odiato a non abbandonarti all’odio,

pur non mostrandoti troppo buono,

né parlando troppo da saggio.

Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni.

Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine.

Se riesci ad incontrare il successo e la sconfitta

e trattare questi due impostori allo stesso modo.

Se riesci a sopportare di sentire le verità

che tu hai detto distorte da furfanti

che ne fanno trappole per sciocchi o vedere le cose

per le quali hai dato la vita distrutte e umiliarti

a ricostruirle con i tuoi strumenti oramai logori.

Se riesci a fare un solo fagotto delle tue vittorie

e rischiarle in un solo colpo a testa e croce

e perdere e ricominciare da dove iniziasti senza

mai dire una sola parola su quello che hai perduto.

Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi,

i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo

che non te li senti più e a resistere

quando ormai in te non ce più niente

tranne la tua volontà che ripete “resisti!”

Se riesci a parlare con la canaglia

senza perdere la tua onestà

o a passeggiare con i re

senza perdere il senso comune.

Se tanto nemici che amici non possono ferirti

se tutti gli uomini per te contano

ma nessuno troppo.

Se riesci a colmare l’inesorabile minuto

con un momento fatto di sessanta secondi

tua è la terra e tutto ciò che è in essa

e quel che più conta sarai un Uomo, figlio mio.

 

John GATTI

 

Rapallo, lunedì 17 Giugno 2019



 


 


DOVE E' DIRETTO IL PILOTAGGIO?

 

DOVE E’ DIRETTO IL PILOTAGGIO?

di Massimiliano M. Gazzale

 


Camminando in banchina è facile incontrare il Pilota del Porto mentre ritorna alla base dopo un ormeggio, lo si intravede mentre sale o scende dal traghetto che ci porta in vacanza. Si tratta dello stesso personaggio che a inizio 900 guidava dentro e fuori dai porti bastimenti a vela e poi a vapore. Lo si incontra in ogni porto degno di questo nome, dove spontaneamente si è creata la necessità di organizzare un servizio per le navi che scalano quel porto.

In ogni angolo del mondo toccato dal mare, dove una comunità di uomini ha ritenuto di costruire e beneficiare delle possibilità di avere un luogo dove scambiare merci, si è formato un manipolo di specialisti: i piloti del porto.

Ogni pilota è da solo quando opera: passa dalla pilotina alla nave da solo, prende contatto con il Comandante da solo, da solo comunica le preziose indicazioni per raggiungere in sicurezza l’approdo. I piloti possono anche essere raccolti in società, in gruppi, possono essere reclutati da privati, da società governative o in qualsiasi altro modo lo si voglia inquadrare, tuttavia il reclutamento è singolo e personale.

Il pilota si trova volontariamente a far parte di un gruppo di cui non ha potuto e non potrà scegliere i componenti, riceve in eredità un bagaglio di informazioni, di punti di vista senza prezzo, frutto dell’esperienza di tutti quelli che lo hanno preceduto e, sulla scorta delle informazioni tramandate in vari modi e acquisite in modi ancora diversi e personali, svolge il proprio servizio e si prepara a trasmettere le stesse a chi lo raggiunge nel gruppo strada facendo.

Spesso non esistono modalità formalizzate per imparare a fare e a essere un pilota nel proprio porto, anche queste sono frutto di consuetudini, di tradizioni, e ogni pilota può senz’altro snocciolare tutta una serie di aneddoti su come è condivisa l’esperienza dalle sue parti, i racconti al rientro da manovre avventurose, i discorsi in mensa, le considerazioni in pilotina, le veloci battute quando ci si scambia posto in pilotina. Ogni frase racchiude ore e ore di esperienza intraducibile se non condividendone alcuni aspetti, magari durante le medesime condizioni meteo o relative alla stessa nave o allo stesso ormeggio. Il pilota che ascolta, legge tra le righe del gergo, e intuisce quale sia il punto della questione su cui focalizzare l’attenzione al ripresentarsi dello stesso scenario, lo incamera, lo fa proprio e alla prima occasione lo verifica e lo interpreta, pronto per essere trasmesso a  un altro pilota.

“Quella nave non si ferma!” “Ha un bel bow” “ Ha un bel timone efficace” “Non cammina” “Sembra una foglia” “Cerca il fondo” “Non gira” “È uno scoglio!”. Queste affermazioni fanno parte di un gergo che traduce semplicemente concetti che partono da fenomeni anche complessi di interazione tra nave, condimeteo, fondali e banchine; ognuno di noi sa esattamente quale sarà l’aspetto da cercare durante quella manovra, da valorizzare e verificare, poco importa quelle che sono le regole della fisica applicate alla teoria della manovra se poi per qualche motivo vengono disattese in favore di un comportamento tutto da scoprire.

Un pilota americano mi disse una frase che ricordo sempre: “Seamen are conservative persons and pilots are conservative seamen”, in queste parole, elette ad aforisma, si comprende come il bagaglio di esperienza sia fondamentale quando si tratta di pilotaggio.


Intendendo questo mestiere come un’arte, una sensibilità acquisita, un’abilità fortemente legata al luogo dove viene svolto e inquadrandola in come si è evoluto il trasporto marittimo, è interessante ragionare sull’attualità e sull’utilità di questo servizio.

Le associazioni internazionali di rappresentanza raccolgono quasi tutti i piloti del mondo (tramite le proprie associazioni nazionali), ed è interessantissimo notare come rappresentino i piloti iscritti come singoli e mai come società o imprese economiche, aspetto facile da scorgere quando si parla di altre realtà; anche questo elemento è indicativo di come sia la persona, il singolo professionista al centro.

Nello stesso porto, il servizio è regolato da piloti – in definitiva self employed, lavoratori autonomi, – la cui licenza è personale, non cedibile e revocabile solo dall’Autorità Governativa. La stessa rappresentanza del gruppo (in Italia Corpo) è meramente di tipo amministrativo, soggiacendo a regole e discipline dell’Amministrazione e con pochi o nulli spazi per la cosiddetta attività imprenditoriale.

La “necessità del Servizio” (a tutela della Sicurezza) prevale su qualsiasi altro tipo di interesse, si esplicita anche nella possibilità per il Corpo di poter scegliere chi sia il proprio “camerlengo” indicando una terna di soggetti tra cui l’Autorità Marittima si riserva di poter indicare il designato, sulla scorta di titoli e di anzianità e valutandone l’attitudine e la capacità, pur non prevalendo nella scelta. In questo modo si rivela uno scenario che, al giorno d’oggi ancora più che in passato, sembra discutibile (basare la scelta di un ruolo dirigenziale sulla scorta di titoli unicamente tra tre soggetti sembra anacronistico per un moderno reparto di profilazione HR) ma che evidenzia ancora di più la marginalità della rappresentanza, indirizzata verso compiti di amministrazione e contabilità, individuando sempre e comunque nel pilota che svolge il servizio il centro della discussione.

Con poche varianti il servizio di pilotaggio viene svolto in questo contesto, laddove la parte amministrativa sia gestita autonomamente o sia demandata ad agenzie dell’Amministrazione nazionale, non cambia comunque la stessa modalità operativa: al pilota è assegnata una nave da pilotare e, per questo servizio, l’utente versa una tariffa.

I portavoce internazionali dei piloti si esprimono sempre in termini molto chiari con alcuni capisaldi ben noti come:

  • il Pilotaggio sia un servizio di Interesse Pubblico;

  • il Pilotaggio tutela la nave e anche tutto il resto del porto dove questa transita;

  • il Pilotaggio non sia un business, un’impresa economica;

  • il Pilotaggio sia una attività per la quale rispettare le premesse di efficienza ed efficacia (Sicurezza) non sia un opzione;

  • il Pilotaggio sia fornito da esperti che possano permettersi di dare giudizi e informazioni avulse dal contesto economico, libero da pressioni commerciali.

Questi elementi, spunti di riflessione, o vere e proprie rivelazioni per chi non sia pratico del mondo marittimo, sono particolarmente chiari per i piloti e sono preziosi punti di partenza per non rischiare di puntare l’attenzione verso considerazioni di impatto ma di poca sostanza, questa è la spina dorsale del pilotaggio.


Sarà anche retorica, ma le pressioni economiche la fanno da padrone, esercitate direttamente o indirettamente tramite la politica, sono la spinta che fa muovere la portualità.

Le innovazioni tecnologiche tendono evidentemente a limitare il peso dell’intervento dell’uomo, con la doppia utilità di sfruttare l’assenza di errore umano dovuta alla meccanicità delle attività ripetitive e la relativa economicità dell’impiego su vasta scala di apparati il cui costo è ampiamente ripagato nel tempo.

La tecnologia interviene sulle navi: equipaggi ridotti fino a farli sparire, impianti di governo e gestione con automazione spinta, user friendly e facile utilizzo, ogni aspetto è razionalizzato in un’ottica di contenimento dei costi e di massima efficienza economica; stessa cosa a terra: terminals container con sistemi telecomandati per la movimentazione, l’imbarco e lo sbarco delle merci. Si tratta di esercizi interessantissimi dal punto di vista scientifico e geniali dal punto di vista pratico, ma che ovviamente peccano della consueta razionalità relativa tipica degli imprenditori: ridurre i costi riducendo il personale impiegato è ottimo relativamente a quel settore economico, usando un’ottica più ampia probabilmente l’utilità, entro certi margini, decresce. Tuttavia il contesto è questo, possiamo discuterne per mesi e mesi ma è chiara quale sia la tendenza.

Collocare il pilotaggio, per intravedere cosa riserva il futuro, diventa un esercizio particolarmente complesso.

Serviranno servizi portuali più attenti e preparati, in caso di navi senza equipaggio, o forse si potrà fare a meno anche di questi; forse le navi saranno condotte all’interno di bacini stretti e canali senza persone a bordo, probabilmente non serviranno i rimorchiatori e le tecnologie DP saranno installate e controllate in remoto su tutte le navi. Immagino un operatore asiatico che pilota a distanza, da una control room, una nave di 400 metri in porto a Genova, la fa girare e la ormeggia a parabordi magnetici. Forse sarà necessario diventare operatori portuali telematici: chi pilota la nave, chi la scarica, chi controlla la manutenzione, chi le fa rifornimento di metano e chi, magari, collega un cavo elettrico per alimentarla. Le banchine diventeranno slot in cui le navi sostano, operano e partono come formiche in un formicaio.

Probabilmente lo sviluppo tecnologico andrà anche oltre, creando le merci di cui abbiamo bisogno direttamente in casa con stampanti 3D, contraendo la necessità di trasporto di un gran numero di beni e riducendo, di conseguenza, il numero di navi. Insomma lo scambio economico sarà ridimensionato/sostituito da uno scambio informatico.

In questa prospettiva, oltre a riconsiderare il ruolo dei servizi portuali, probabilmente servirà anche un cambio completo di mentalità, di cultura, di attitudine; se questa è la direzione verso cui ci si sta dirigendo, verso cui si preme per ottimizzare il ciclo economico, per migliorare l’efficienza dello scambio, per raggiungere sempre maggiori utenti, allora c’è ben poco da discutere.

Tuttavia, anche in questo contesto, trovo margine per consolidare la posizione del pilotaggio: un’arte analogica, molto razionale, tesa a preservare la vita umana, l’ambiente e le infrastrutture, ma non solo. Infatti il limite dei punti di forza sopra citati è proprio la loro forza. I piloti sono molto attenti alle variazioni dei traffici, sono molto sensibili alle novità tecnologiche e alle modifiche che le pressioni economiche esercitano sul porto infatti le sperimentano direttamente in prima linea.


Il pilotaggio esiste solo e unicamente per se stesso, slegato com’è da qualsiasi logica di mercato. Il punto di vista privilegiato e l’indipendenza di giudizio sono la risorsa utile, preziosa e unica: oggi i piloti sono la diga che non si è ancora spostata, sono gli spazi che non sono allargati, sono i parabordi non ancora sostituiti, sono la consulenza diretta e disinteressata di chi conosce perfettamente la dinamica del porto, una risorsa per tutti gli operatori con interessi economici che trovano dei professionisti il cui unico scopo dichiarato è quello di operare per la sicurezza del porto.  Sarebbe quindi facile speculare in merito osservando che è semplice fare i paladini della sicurezza e porre dei limiti ridondanti tali per cui la sicurezza viene garantita al limite dell’impossibile. Tuttavia, quel che deve essere chiaro è che, oltre alle prerogative proprie del tipo di servizio, i piloti non sono e non saranno mai il bottleneck del porto: le problematiche in discussione, le verifiche di fattibilità, i problemi ancora non emersi, sono stimoli per una discussione efficace tesa a fornire soluzioni e non ostacoli, volta a chiarire il quadro e a fornire elementi semplici per problemi dai grossi e spesso sconosciuti risvolti con ricadute economiche tanto rilevanti quanto spesso distanti dal porto stesso. Qualora i piloti diventassero “untori” di complicazioni e complessità irrisolvibili, ciechi tutori di interessi personali, apatici portatori di problemi, operatori disinteressati presuntuosi e prepotenti, si renderebbe senz’altro necessaria una revisione, una correzione in corsa, un riallinemento delle priorità, degli obiettivi, delle prerogative, condivise con chi consente che il servizio sia svolto.

Facile intuire chi siano i fruitori di questa professionalità; si parte dai grandi operatori commerciali che gestiscono terminal e navi, per arrivare alla stessa Autorità Marittima, ai lavoratori portuali, fino alla filiera che beneficia dei traffici che si instaurano o meno se la nave entra o non entra, se la linea si può fare o meno.

Ragionando in questi termini, mi sento di sostenere la tesi che il pilotaggio, a prescindere da chi sia rappresentato, gestito e controllato, è una risorsa per i traffici e per l’economia, un piccolo ingranaggio in un enorme sistema di cui spesso si fa fatica a comprenderne la grandezza, ma di cui si intravede la prospettiva positiva per il proprio porto, per il quale semplicemente non esiste la rendita di posizione, ma bensì la consapevole partecipazione propositiva e positiva in ragione di essere solo e soltanto un servizio di interesse generale.

 

di Massimiliano GAZZALE

GENOVA 19 Maggio 2019

 

 



LA MARCA DI BORDO LIBERO

LA MARCA DI BORDO LIBERO

UNA MAGISTRALE LEZIONE CI VENNE DALL’INGLESE SAMUEL PLIMSOLL

 


I genovesi, così come tanti turisti provenienti da ogni parte, oggi possono avventurarsi entro i limiti consentiti tra le calate del porto di Genova in cerca di qualche “scatto” marinaro da portarsi a casa e mostrare agli amici come ricordo di una giornata passata tra le “case” dei naviganti.

Si tratta di un incontro vivo e reale tra realtà esistenziali che fino a poco tempo fa, non solo si ignoravano, ma erano divise dalla cinta portuale interrotta soltanto da pochi varchi doganali presidiati dalle forze dell’ordine.


Scalandrone di una Nave scarica


Scalandrone di una Nave carica


Scalandrone di una nave passeggeri

Poi, una volta giunti sottobordo, i turisti in transito scoprono che la scala a murata, chiamata scala reale o scalandrone (foto sopra), é presidiata da un marinaio che nega, ovviamente, l’accesso a bordo agli estranei, e allora i nostri amici si accontentano di perlustrare la fiancata lato banchina con l’intento di catturare qualche curiosità che subito non capiscono ma che intendono svolgere in seguito, in tutta tranquillità, come certi “compitini” dei figli o dei nipoti…

Questa volta la signora Maria col marito Ernesto si sono soffermati incuriositi dinnanzi ad uno strano insieme di “segni bianchi stampati” a centro nave sulla murata della nave di cui non hanno capito nulla. Hanno visto anche un ufficiale avvicinarsi a questo strano simbolo e scrivere qualcosa sullo smartphone subito dopo aver sentito la sua voce gridare alla radio portatile: “Siamo alla marca!” (foto sotto).


Ecco come si presenta la Marca di BORDO LIBERO su ciascun lato della nave.

In questo caso la nave é alla marca. Il livello del mare lambisce la linea orizzontale che taglia in due il disco di Plimsoll.

Giunti a casa Ernesto, un impiegato di banca che conosco da molti anni, mi ha telefonato chiedendomi lumi su quella frase pronunciata in quella circostanza dall’ufficiale di guardia della nave.

Ai miei amici dedico questo articolo il cui unico scopo é quello di trasferire qualche “infarinatura nautica” alla loro legittima curiosità. Null’altro!

COS’E’ LA MARCA DEL BORDO LIBERO?

Tutte le navi impegnate in viaggi internazionali e battenti bandiera di paesi aderenti alla Convenzione Internazionale sul Bordo Libero devono avere un marchio visualizzato sul fasciame esterno (di solito realizzata a mezzo di lamierini saldati) e chiamato:

OCCHIO (anche Disco) DI PLIMSOLL

Esso indica fino a quale livello la nave, una volta caricata, può immergersi e navigare in sicurezza. In fin dei conti indica assai semplicemente quanto carico può portare la nave.

UN PO’ DI STORIA:

Fin dall’antichità i capitani di navi onerarie greco-romane dovettero combattere contro l’ingordigia dei caricatori portuali che insistevano per appesantire il più possibile la nave, la quale doveva però misurarsi con il serio problema della “sicurezza della navigazione”, cioè la possibilità di conservare una quota di Bordo Libero, cioè di galleggiabilità, di riserva di spinta che le avrebbe garantito la sopravvivenza nelle burrasche del Mare Nostrum.

I capitani più duri e determinati a non farsi “sopraffare” dall’ingordigia dei “terrestri” (armatori, noleggiatori, caricatori ecc..) furono di sicuro i più longevi della loro epoca…!

 

Passarono molti secoli prima che un “ILLUMINATO” personaggio entrasse sulla scena del mondo marittimo, l’uomo ideale dotato di coraggio e determinazione che facesse giustizia su questo millenario problema che dovette inspiegabilmente protrarsi fino alla seconda metà dell'800.

Quel grande amico della gente di mare si chiamava Samuel Plimsoll e fu un deputato del Parlamento britannico.

Questo grande politico si era fortemente indignato per la strage di marinai dovuta al cinismo di molti armatori che facevano navigare vecchie carrette stracariche, spesso con l'unico scopo di intascare il premio dell'assicurazione dopo il naufragio delle stesse…

“I marinai non avevano alcun diritto, addirittura venivano arrestati se, dopo aver verificato le pessime condizioni di navigabilità, rifiutavano l'imbarco. Nonostante gli ostacoli frapposti da parecchi membri della Camera (che era folta di armatori) e dallo stesso Disraeli*, riuscì, dopo parecchie lotte (13 accuse per diffamazione, perdita della casa, ecc.) ad imporre nel 1876 la presenza di tale marca.

Ma, inizialmente, la legge prevedeva una linea di carico a cura dell'armatore, che la posizionava dove gli pareva. Addirittura un capitano la mise (per scherno) sul fumaiolo…!

Ci vollero altri 14 anni per regolare definitivamente la faccenda, dopodiché Plimsoll si dedicò a regolamentare anche i carichi sul ponte (legname)”.

L'opinione pubblica era ovviamente schierata con lui!

*- Benjamin Disraeli, I° conte di Beaconsfield (Londra, 21 dicembre 1804 – Londra, 19 aprile 1881), è stato un politico e scrittore britannico. Ha fatto parte del Partito Conservatore ed è stato Primo Ministro del Regno due volte: dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868, dal 20 febbraio 1874 al 23 aprile 1880.

UNA CURIOSITA’

Il celebre logo della Underground di Londra riproduce appunto la Plimsoll mark, quella che oggi é stampata su tutte le navi che circolano per i sevenseas.

Dal 1876, a bordo di ogni nave, deve essere presente ed in corso di validità il Certificato di Bordo Libero rilasciato per conto dello Stato del quale la nave batte bandiera da una società di classifica, in Italia dal REGISTRO NAVALE ITALIANO - RINA. Sul certificato sono riportate le posizioni geometriche della marca; la nave dovrà essere caricata in modo tale che la linea orizzontale dell'occhio di Plimsoll non venga mai immersa.

In questo modo si definisce un volume stagno che va dal piano di galleggiamento fino al ponte di bordo libero, e che costituisce la riserva di spinta dell'unità.


Oltre alla linea di fede principale che taglia il disco (riferita alla navigazione in acque marine in estate), l'occhio di Plimsoll ne può riportare altre poste leggermente sopra o sotto alla principale; queste linee supplementari si riferiscono alle navigazioni in acque dolci o acque dolci tropicali (linee poste sopra la principale) oppure navigazione invernale o invernale nord atlantico (per le linee poste sotto quella principale); le prime tengono in considerazione la salinità del mare che fa salire o scendere la linea di galleggiamento della nave, le seconde: le condimeteo più pericolose delle varie zone geografiche.

La posizione verticale della marca di bordo libero è stabilita da apposite tabelle ed è funzione della lunghezza e del tipo di nave.

Le lettere che compaiono sulla marca di bordo libero indicano da quale Società di Classifica è certificata la nave, pertanto:

RI indica una unità classificata dal Registro Italiano Navale

BV una del Bureau Veritas.

……..


LA SCALA DEI PESCAGGI

Oltre che a centro nave, come abbiamo visto finora, anche sulle estremità della prora e della poppa esiste una scala graduata, composta da cifre bianche aventi ordine pari (2,4,6,8,ecc.); tali cifre sono alte un decimetro e lo spazio tra un numero e l'altro è anch'esso di un decimetro. Lo scopo è quello di misurare l’immersione della nave, ossia il PESCAGGIO DELLA NAVE a prora, nel caso della fotografia, oppure quello similare a poppa.

La lettura dei Pescaggi di Prora, di Poppa, e del Centro (occhio di Plimsoll) permettono di capire in qualsiasi momento se la nave é appruata, appoppata, o in linea (heaven keel).


Memorial to Samuel Plimsoll on Victoria Embankment, London


UN’ALTRA CURIOSITA’


SCARPE DA GINNASTICA

“Indossate scarpe da ginnastica il 10 febbraio e pagate £ 1 per RNLI - Royal National Lifeboat Institution perché il 10 febbraio è il compleanno di Samuel Plimsoll.

Questa campagna, che si ripete il 10 febbraio 2019, è guidata da Nicolette Jones, autrice di: The Plimsoll Sensation

La grande campagna per salvare vite in mare (vincitore del Premio marittimo di Mountbatten).

Samuel Plimsoll, 'The Sailor's Friend', ha salvato e continua a salvare innumerevoli vite introducendo la linea di carico che porta il suo nome sul lato delle navi mercantili. S. Plimsoll fece una campagna instancabile per la sicurezza dei marinai, e fece quasi cadere il governo di Disraeli e divenne un eroe nazionale e un nome familiare per tutto lo SHIPPING internazionale. Nacque a Bristol il 10 febbraio 1824 e morì a Folkestone il 4 giugno 1898.

Il 10 febbraio è stato riconosciuto come "Plimsoll Day" nel calendario britannico per decenni dopo la sua morte.

Scarpe da ginnastica

“Siamo stati nominati in suo onore nel 1876 (quando la sua campagna di denuncia per un loadline lo aveva reso celebre) da un rappresentante della Liverpool Rubber Company, perché, essendo la tela sopra e la gomma sotto, le scarpe potevano essere tranquillamente immersi nell'acqua solo fino a un certo punto - come una nave mercantile”.

Per raccogliere fondi per le RNLI (scialuppe di salvataggio) il 10/11 febbraio viene chiesto di indossare scarpe da ginnastica a casa, a scuola e sul lavoro e donare £ 1 …...

 

Negli ultimi anni, gli studenti delle scuole di Folkestone, dove è sepolto Plimsoll, hanno indossato scarpe da ginnastica e raccolto questi fondi del Plimsoll Day per donarli alla Littlestone Lifeboat Station che li destina all’addestramento dei giovani al salvataggio in mare.


Il RNLI costa 385.000 sterline al giorno per essere gestito con donazioni pubbliche, anche se i suoi
lifeboatmen sono volontari. 22 vite vengono salvate ogni giorno.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 20 Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


MICOPERI 7000 - AGGIORNAMENTO - SAIPEM 7000

MICOPERI 7000

AGGIORNAMENTO

SAIPEM 7000

A questa gigantesca unità italiana, costruita presso i Cantieri Navali di Monfalcone, abbiamo già dedicato un articolo relativo alla sua costruzione e alla sua storia. Vi riproponiamo il LINK:

M-7000 - ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=385;m7000&catid=53;marittimo&Itemid=160

Costruzione n° 5824 - MICOPERI 7000

La Micoperi 7000 è una nave officina semi-sommergibile munita di due gigantesche gru dalla portata di 7000 tonnellate ciascuna; nel suo genere è la più grande e potente unità di tutto il mondo. Fa ormai a buon diritto parte della storia del Cantiere lo sforzo delle maestranze che ha reso possibile il rispetto dell'impegno: esattamente due anni di intenso lavoro la 7000 ha potuto così lasciare le acque dell'Adriatico diretta in Brasile dove ha iniziato la sua attività

Nave gru semisommergibile costruita nel 1987 (Impostazione 19. 12. 1985, varo 15. 12. 1986, consegna 15. 12. 1987).

117812 tsl - 35343 tsn - 18370 tpl - 175,00 x 87,00 x 43,50 m - propulsione diesel/elettrica - potenza installata 75600 HP (50600 kw) - 8 eliche - 9,5 nodi - capacità di sollevamento 14000 Tonnellate - alloggi per 680 persone - Equip.: 120.

La complessità delle caratteristiche costruttive e funzionali sfugge invero ad una descrizione contenuta; pure sinteticamente si potrà illustrare la struttura generale della nave come formata da due scafi, lunghi 165 metri e larghi ciascuno 33, sormontati da tre colonne ciascuno ed una piattaforma, lunga 175 metri, cui vanno aggiunte le strutture per le imbarcazioni di salvataggio per una lunghezza massima fuori tutto di 190 metri, e una larghezza massima di 87 metri.

Il torrione alloggi, sistemato nella parte poppiera, è composto da cinque ponti sovrastati dalla tuga comando e dall'eliporto, e può ospitare 800 persone.

Le due mastodontiche gru, sistemate su due virole del diametro di 28 metri, nella parte prodiera della nave, raggiungono un'altezza dal ponte di oltre 75 metri, con un braccio di 140 metri attrezzato con 4 ganci. Il gigantismo sembra essere il modulo di misura generale della nave e delle sue dotazioni. Sedici ancore da 40 tonnellate ciascuna fissate a cavi da 96 mm di diametro e lunghi 3.550 metri garantiscono il posizionamento della nave a mezzo di verricelli di dimensioni inedite (dieci metri di lunghezza per sei di larghezza ed altrettanti di altezza); un impianto di zavorra basato su quattro elettropompe della portata di 6.000 metri cubi/ora ciascuna, con collettori da un metro di diametro collegati alle casse che regolano l'assetto e l'immersione della nave (di queste, quattordici sono destinate al zavorramento rapido con prese mare munite di valvole a farfalla del diametro di due metri ciascuna: il tutto comandato e regolato da un calcolatore attraverso un impianto di telecomando delle valvole e dei macchinari).

La propulsione, le gru e tutti gli impianti di bordo sono mossi da motori elettrici, alimentati da una centrale composta da otto diesel-alternatori da 5.500 KW, due da 2.800 KW e da un generatore d'emergenza da 1.100 KW, per un totale di 50.600 KW.

La nave è munita di tutti i comfort per le persone imbarcate, compresa una grande piscina coperta, una sauna, una sala di ginnastica, dei saloni di ricreazione, le mense e due cinema oltre, naturalmente, a cabine con servizi privati, all'impianto completo d'aria condizionata ed ampi locali di servizio e agli spogliatoi.

Durante i collaudi effettuati in Adriatico la MICOPERI 7000 ha superato tutte le prove ed è riuscita a sollevare, con le due gru in tandem, 14.600 tonnellate.

15. 12. 1987 MICOPERI 7000: Micoperi S. p. A. – Milano.

1992: Saipem S. p. A. - Affittuaria Ramo di Azienda di Micoperi S. p. A. - San Donato Milanese, reg. a Palermo

199.. SAIPEM 7000: Saipem Luxembourg S. A. – Nassau.

31. 12. 2003: in servizio.

(AMA)

· Scheda tecnica

Nome:

MICOPERI 7000

Tipo:

Nave-Gru semi-somm.

Committente:

Micoperi S.p.A. - Milano

N. costruzione:

5824

N. assemblaggio:

N. complet.:

Data d'impostazione:

19/12/1985

Data varo:

15/12/1986

Data consegna:

15/12/1987

TSL:

121500

TPL:

18370

TDS:

-

Lunghezza (m):

175.00

Altezza (m):

43.50

Larghezza (m):

87.00

Motore:

DE

Potenza (CV):

75600

Propulsione:

8E

Velocità (nodi):

9.5

ALBUM FOTOGRAFICO - Uno

MICOPERI 7000

SAIPEM 7000

 

Il servizio che segue contiene un ampio Album fotografico che illustra la sua operatività.

MICOPERI 7000 - Port Elizabeth (S.A.)

CARATTERISTICHE  AGGIORNATE

S7000

TIPO DI NAVE

 

Semi sommergibile autopropulsa con posizionamento dinamico

 

CARATTERISTICHE NAVE

Lunghezza fuori tutto 197.95 m

Piattaforma di coperta 175 m x 87 m x 8.5 m

Scafi inferiori 165 m x 33 m x 11.25/15.25 m

Altezza al ponte di coperta  43.5 m

Coperta  area 9,000  metri quadri

Massimo .carico in coperta 15,000 tons

Pescaggio operativo 27.5 m

Pescaggio di sopravvivenza 18.5 m

Pescaggio di navigazione  10.5 m

Velocità di navigazione 9.5 nodi

 

SISTEMA DI ORMEGGIO

14 x 1,350 kw verricelli a singolo tamburo, ciascuno con 3350 m x 3”3/4 cavi di ormeggio e ancore ad alta presa da 40 tons ciascuna 2 verricelli  salpancore 100%  ridondanti con sistema SDPM , ciascuno con  550 m x 5 1/8”di catena con ancora da 34.5 tons.

 

PROPULSIONE E THRUSTERS

Tutti a passo fisso e a giri variabili

4 propulsori  azimutali posteriori  da  4,500 kw

4 unità anteriori da 3,000 kw retrattili e  azimutali

2 unità anteriori da 5,500 kw retrattili e  azimutali

2 bow thrusters da 2,500 kw

 

SISTEMA  ZAVORRA

Sistema computerizzato con possibilità di simulazione  composto da:

4 elettro pompe a 10 KV di zavorra da 6,000 tons/h

40 casse di zavorra x un totale di  83,700 metri cubi

14 casse di zavorra rapida  x un totale di 26,000 metri cubi

 

GRU  PRINCIPALI

2 gru gemelle Amhoist Saipem 7000 modello rotazione completa installate a prora

Massimo sollevamento in tandem : 14,000 tons

Massimo sollevamento singolo: 7,000 tons

6,000 tons con rotazione a 45 m rad./50 m in tieback

Aux. 1 : 2,500 tons

Aux. 2 : 900 tons con possibilità di scendere fino a 450 m sotto il livello del mare

Candeletta da  120 tons

 

DISPONIBILITÀ  BATTIPALI

2 Menck MHU 3,000  battipali idraulici

2 Menck MHU 1,700       “            “

2 Menck MHU 1,000       “            “

2 Menck MHU 600          “            “

1 Menck MHU 220          “            “

1 Menck MHU 195          “            “

2 Gruppi di potenza  battipali subacquei/superficie

1 hydraulic hammer compensatore “Slim” e “Free” riding mode capability

Clampe idrauliche interne ed esterne per movimentazione pali con diametri  20” a 102” i./o. dia.

2 sistemi di livellamento con diametri da  66” - 72” - 900 t. di portata

2 sistemi di livellamento esterni da 1,000 tons

 

MACCHINARI MOVIMENTO COPERTA

1 x 70 tons gru cingolata Kobelco

1 x 35 tons gru idraulica gommata da coperta

2 x 5 tons  fork lifts

 

POTENZA  INSTALLATA

Potenza totale installata 70,000 kw, 10,000 Volt

12 generatori a nafta  pesante divisi in 6 separati locali macchina

antincendio

 

ALLOGGI  EQUIPAGGIO

388 cabine climatizzate  singole o doppie per 725 persone

Palestra, cinema, internal radio/TV, sala da pranzo principale x 400 posti  e sala ufficiali da 70 posti, sale di ricreazione, bar-caffetterie

 

ELIPORTO

Certificato per due  elicotteri BV234 LR Chinook  (uno  parcheggiato)

Sistema certificato rifornimento elicotteri

 

SISTEMA  VARO  IN J-LAY

Diametro tubi da 4” a  32”

Sistema di tensionamento laying  750 tons con tensionatori  fino a 2,000 tons con clampe

Torre Laying con  angolo da  90° - 110°

Sistema di abbandono/recupero con verricello a doppio argano con capacità di tiro  di 750 tons (fino a 2,000 tons con le  clampe)

1 stazione di saldatura

1 stazione NDT e riparazione

Tubi a quattro giunti

Capacità stoccaggio tubi fino  6,000 tons

The torre è autoinstallante e smontabile con l’ausilio delle proprie gru della Saipem 700



ATTUALMENTE  LA  S7000  SI  TROVA  A  ROTTERDAM  NEL CANTIERE  DAMEN  PER  LA  SOSTITUZIONE  DEL  SISTEMA  DI  POSIZIONAMENTO  DINAMICO -  VERRA’  INSTALLATO  IL NUOVO  DP3  E LA SOSTA  PREVISTA  SARA’  DI  3

ALBUM FOTOGRAFICO - DUE

Recupero dello Shottel

D.M. Pino SORIO

Rapallo, 12 Marzo 2019


PERCHE' POSTARE IL VIDEO DI UN IMBARCO "PERICOLOSO"

PERCHE' POSTARE IL VIDEO DI UN IMBARCO "PERICOLOSO"?

 

Il video che ho postato è diventato virale in pochissimo tempo e ha scatenato commenti di ogni tipo, commenti fatti da “addetti ai lavori” e non.

Non è stata una decisione semplice quella di mettere on-line quelle immagini. Ovviamente avevo preventivato la massiccia dose di critiche, che è seguita puntualmente, ma la necessità di mandare un messaggio forte mi ha convinto a correre il rischio di non essere capito o, comunque, di non vedere condivise le mie idee anche dopo questa spiegazione.

Prima di tutto voglio puntualizzare alcuni aspetti – che non soddisferanno i più – ma in cui molti troveranno, quanto meno, un riscontro.

La prima qualità che un pilota deve avere è la capacità di vedere le cose in modo obiettivo, anche i propri limiti. Ci sono piloti anziani, piloti esperti, piloti giovani, piloti in forma e piloti sovrappeso. Ognuno, in base alle proprie caratteristiche deve imporre limiti personali agli imbarchi, alle manovre e agli sbarchi; la prospettiva varia enormemente da individuo a individuo.

La seconda riflessione che mi sento di fare riguarda la gestione degli imprevisti. Il nostro è un lavoro dove “la cosa che non ti aspetti” avviene con una frequenza tutt’altro che trascurabile: la macchina che non parte, il vento o la corrente non previsti, l’avaria improvvisa, oppure l’onda creata dal rimorchiatore proprio mentre stai imbarcando, la biscaglina rizzata male, o un dolore inaspettato nel momento meno opportuno. Per essere pronti in quelle circostanze bisogna essere allenati, imparare ad uscire dalla zona di comfort, lavorare alle emergenze quando queste non ci sono. Tutto nel rispetto dei limiti personali che, in quanto tali, non sono uguali per tutti.

Personalmente ho un’esperienza di tutto rispetto (circa 18.000 manovre all’attivo senza mai un infortunio imbarcando o sbarcando), non sono sovrappeso e mi alleno costantemente, ho sempre fatto sport, anche particolari e ad alto livello. In definitiva sono piuttosto sicuro di sapere fino a dove mi posso spingere, restando sempre bene all’interno del mio limite di sicurezza.

Ogni porto ha le sue caratteristiche e, sicuramente, non mi permetto di discutere le abitudini o i protocolli di realtà che non conosco, ma vi posso assicurare che Genova presenta difficoltà oggettive innegabili: è completamente esposta ai venti dei quadranti meridionali e la presenza di venti chilometri di diga, che creano una contro-onda incrociata anche sul lato che dovrebbe essere ridossato, crea spesso situazioni dove la possibilità d’imbarcare/sbarcare è al limite. E, a meno che non si decida di procedere solo con mare calmo, stabilire se operare o meno diventa una decisione estremamente soggettiva.

Detto questo, passo alla spiegazione del motivo che mi ha convinto a postare questo video e, mentre mi accingo a farlo, mi torna in mente il commento di una persona che ha una grande capacità di sintesi e la sfrutta in modo incisivo: “…c’è sempre una ragione…“. La sintesi di un pensiero che per me significa: il messaggio parte in un certo modo, ma non sai mai come arriva dopo aver passato i filtri di chi legge. Eppure c’è sempre un motivo.

Non è nel mio carattere né nelle mie intenzioni fare politica, ma non posso non notare che il mondo del lavoro sta seguendo una gran brutta rotta. Non esiste più nessuna certezza, tutto viene messo in discussione continuamente e le politiche del risparmio e del guadagno, protette nella forma da una burocrazia falsa e galoppante, cancellano la tranquillità della gente generando una continua preoccupazione per il futuro.

Restringo il campo e torno sul mare.

Marittimi – persone che passano tre quarti della loro vita in mezzo al mare – si vedono allungare da un giorno all’altro la loro “pena” (miraggio della pensione) di anni… mi fermo qui, perché sulla loro situazione ci sarebbe da scrivere un libro.

Perché il video?… ora ci arrivo.

Il lavoro del pilota è poco conosciuto. Non è una frase rubata a qualche altra realtà. Il lavoro che fa il pilota non lo conoscono neanche le persone che lavorano a ciglio banchina.

Vi cito alcune frasi che vi suoneranno famigliari:

Per entrare nei piloti bisogna essere raccomandati perché fanno entrare solo chi vogliono loro“. Sapete qual’è la paura più grande durante un concorso? I ricorsi. Perché i ricorsi bloccano l’assunzione di un nuovo pilota per anni; il che significa che per tanti anni si sarebbe costretti a lavorare sotto organico con turni forzati e senza ferie (per fare un pilota, dal momento in cui si presenta la vacanza, ci vogliono in media tre anni). È anche per questo che si cerca sempre di fare tutto nel modo più pulito e trasparente possibile.

· Il pilota è una spesa inutile perché a bordo delle navi c’è già un Comandante“. Questa idea nasce dal fatto che la gente (addetti portuali o vacanzieri) hanno solamente la possibilità di vedere manovre di traghetti o navi passeggeri dove, a onor del vero, la maggior parte delle volte viene svolta dal Comandante. Premesso che su tutte le altre navi (petroliere, gasiere, contenitori, merce varia, ecc.) che sono la stragrande maggioranza, la manovra è un’esclusiva del pilota, mi preme ricordare che la funzione dell'”esperto del porto” non si limita a questo ma si aggiunge alla conoscenza del traffico e delle caratteristiche locali, tiene i contatti e coordina gli altri servizi tecnico nautici, ed è di grande aiuto (vista la vasta esperienza sul campo) nelle emergenze. Il mestiere del Comandante è complesso, ricco di responsabilità e doveri, ma il suo compito principale resta – semplificando – quello di portare un carico – che sia secco, liquido o umano – in sicurezza da un porto a un altro facendo gli interessi dell’armatore e del noleggiatore. Il pilota è estremamente specializzato nella manovra. Prima di diventare pilota facevo il Comandante su petroliere lunghe 300 metri e, nonostante questo, ho dovuto superare diversi esami, fare un anno da allievo pilota per imparare a manovrare e sono dovuti trascorrere ulteriori cinque anni prima di potermi considerare un pilota formato. (Mi rendo conto che ho sorvolato appena il 10% del punto preso in esame, ma continuando mi dilungherei troppo. Mi riprometto un approfondimento maggiore in futuro).

· Qualcuno ha scritto: “con quello che guadagnano ci saliresti anche tu a mani nude come farebbe Spiderman” (qualcosa del genere). A parte la simpatia – a dire il vero discutibile – ma pensi veramente che al mondo ci sia ancora qualcuno che regali qualcosa? Hai provato a mettere sul piatto della bilancia gli anni, l’impegno e i sacrifici che ci vogliono per arrivare a fare questo mestiere? Hai provato a pensare alla tensione che si deve affrontare dal momento in cui si sale sulla biscaglina fino ad arrivare alla manovra in acque ristrette di bestioni di quattrocento metri con condizioni meteo non sempre favorevoli? Hai provato a pensare che il nostro lavoro è legato al traffico e che pertanto lo stipendio varia con le stagioni, con la crisi e con l’andamento del mercato? Hai provato a pensare che ogni pilotina costa 4/500 mila euro e che quando dobbiamo acquistarle i soldi ce li portiamo da casa? Lo sai che ci sono piloti che sono rimasti sotto processo anche per 15 anni? Che le nostre malattie professionali sono gli infarti e gli ictus? Che svolgiamo il servizio 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno e che per la difficoltà di fare nuovi piloti non avremo ferie per i prossimi tre anni?

Potrei continuare per almeno un’altra pagina, ma il succo è che se non ci fosse un giusto ritorno economico, col cavolo che ci sarebbero persone disposte a tutto questo.

Questo video provocatorio, l’ho postato nella speranza che un filmato di un minuto e 24 secondi possa far capire che la realtà a volte è un po’ diversa da come uno se la immagina, e chi non è pilota può solo lavorare d’immaginazione.

Concludo scusandomi con voi colleghi se in qualche modo ho urtato la vostra sensibilità ma, a volte, un criticabile spezzato di vita reale, postato mettendoci la faccia, pareggia i conti con le foto di bicchierate e festini che, per quanto utili a cementare la nostra amicizia, trasmettono un messaggio decisamente fuorviante.

John Gatti

Rapallo, 13 Febbraio 2019


L'IMBARCO DEL PILOTA

 

L’IMBARCO DEL PILOTA

di John Gatti

 


Mi è stata fatta una domanda pratica sulla delicata operazione d’imbarco che vede coinvolti Pilota, Pilotino, pilotina e nave:

“Perchè, una volta che il Pilota passa dalla grisella (nel caso del pilotaggio, indica le scale metalliche sulla pilotina che permettono al Pilota di passare sulla biscaglina) alla biscaglina (scala fatta di cime e gradini di legno usata dal Pilota per salire sulla nave ) il motoscafo si allontana velocemente, invece di restare in zona fino a quando il Pilota non raggiunge in sicurezza la coperta della nave?”

In fondo all’articolo racconto l’avventura di un collega caduto in mare mentre imbarcava su di una portacontenitori.


Premessa.

La fase d’imbarco/sbarco del Pilota è delicata e presenta rischi, spesso aggravati dalle avverse condizioni meteomarine.

Il trasferimento dalla pilotina alla biscaglina prevede un gesto atletico che richiede una coordinazione particolare: si deve tenere conto del movimento della nave, del rollio e del beccheggio della pilotina  ( movimenti oscillatori trasversali e longitudinali provocati dal mare ), dell’onda che solleva e fa scendere l’imbarcazione di diversi metri e dei colpi di mare che possono investire il Pilota. Questa operazione, per essere svolta con disinvoltura, richiede esperienza e il momento giusto è quello in cui la pilotina raggiunge il punto più alto rispetto al Ponte di Coperta della nave. In quel preciso istante è importante agguantare la biscaglina con una mano mentre con l’altra si resta, ancora per un attimo, ancorati alla grisella della pilotina, questo fino a quando l’imbarcazione inizierà la discesa allontanandosi dalle gambe del Pilota.


Il passaggio dalla grisella alla biscaglina.

Per rendere più sicura la fase d’imbarco, vanno analizzati numerosi elementi: Primo fra tutti “la pilotina”. Il porto di Genova si estende per più di 20 chilometri di costa e presenta caratteristiche orografiche e variazioni meteorologiche stagionali che richiedono imbarcazioni di volta in volta diverse fra loro. Da maggio a settembre aumenta il numero delle navi che scalano il nostro porto (soprattutto traghetti e passeggeri), il traffico diportistico diventa una presenza spesso impegnativa e le condizioni meteomarine sono generalmente buone; per questo periodo dell’anno ci vogliono pilotine veloci, che consumano poco (quindi leggere) e, soprattutto, che fanno poca onda durante gli spostamenti all’interno del porto. È ovvio che l’utilizzo di questo tipo d’imbarcazioni in condizioni di mare mosso non sará l’ideale; le chiamiamo, infatti, “barche da tempo buono”. D’inverno preferiamo usare pilotine più pesanti, costruite per tagliare le onde e per essere più stabili sotto le navi. Ovviamente aumentano i consumi, si riducono le prestazioni e un’onda fastidiosa le accompagna negli spostamenti.

 





La seconda riflessione riguarda la preparazione all’imbarco: ridosso della nave e il lato di approntamento della biscaglina. Per questo punto vi rimando alla lettura dell’articolo “L’Atterraggio“.

Al terzo posto inserirei l’abbigliamento che, per quanto sembri scontato, di fatto si traduce in scuole di pensiero che variano da Corporazione a Corporazione e da Pilota a Pilota: c’è chi è meno agile e preferisce coprirsi bene, perché sa di avere poche possibilità di sfuggire agli spruzzi e alle onde, e chi invece predilige un abbigliamento leggero che favorisce la mobilità; chi usa i guanti per ripararsi dal freddo e proteggere le mani e chi invece si sente più sicuro con una presa diretta sui cavi della biscaglina; chi usa il giubbotto con il salvagente incorporato e chi preferisce quello separato. Personalmente penso che ognuno debba attrezzarsi come meglio crede, adattando l’equipaggiamento al proprio fisico e a ciò che lo fa sentire più tranquillo. Vedo, come utili accessori, un buon coltello affilato, una luce stroboscopica sulla giacca, un fischietto e una torcia, oltre a scarpe impermeabili, traspiranti e con suola antiscivolo.

Giacche tecniche.

Un altro aspetto, non meno influente dei precedenti, riguarda l’abilità e l’esperienza del Pilotino alla guida dell’imbarcazione. L’occhio, i riflessi, la padronanza del mezzo, il senso marinaro, la capacità di valutazione, ma anche lo stile, la confidenza e la temerarietà, cambiano il modo di affrontare il lavoro.

 

Vediamo ora di rispondere alla domanda “pilotina sempre sotto o pilotina staccata?”

- Quando ci si arrampica sulla biscaglina ci sono diversi pericoli da considerare: la pilotina, per effetto dell’onda che sale, può arrivare a schiacciare le gambe del pilota in arrampicata. Quindi, in presenza di mare mosso, è meglio che si stacchi dalla murata il prima possibile, restando comunque nei pressi per prestare assistenza in caso di necessità;

- con tempo buono, se per qualche motivo il pilota molla la presa e cade, si possono verificare due situazioni: potrebbe finire sulla pilotina (e se i gradini saliti fossero ancora pochi probabilmente sarebbe l’opzione migliore), oppure potrebbe finire in mare (da sette o otto metri di altezza sarebbe augurabile non avere l’imbarcazione sotto), e qui si andrebbe incontro alla pericolosa possibilità di venire risucchiati dall’elica.

Una biscaglina particolarmente lunga.

La costruzione, la certificazione e l’utilizzo delle biscagline è indicata nella Convenzione Internazionale sulla Salvaguardia della Vita Umana in Mare SOLAS 1974.

Oltre a prevederne la modalità di costruzione, la norma indica che questo tipo di scala debba essere utilizzato a una distanza minima di 1,5 mt. E una massima di 9 mt. dalla superficie dell’acqua. Qualora l’altezza del Ponte d Coperta sia superiore a quanto disposto, la biscaglina deve essere collegata allo scalandrone e prende il nome di “combinata”.


In conclusione, sta all’esperienza, all’occhio e al buon senso del Pilotino scegliere il comportamento più sicuro da tenere durante le varie fasi d’imbarco e di sbarco; valutazioni che devono tenere conto delle condizioni del mare, della pilotina che si sta usando, dell’altezza della murata, del fatto che si utilizzi la biscaglina o la combinata e, non ultimo, dell’agilità e delle caratteristiche della persona che sta imbarcando. Il Pilota, da parte sua, deve elaborare continuamente tutte le variabili, aspettando il momento giusto per passare da una scala all’altra mantenendo la situazione sotto controllo.

Per spiegare meglio quanto sopra descritto, vi racconto un’avventura a lieto fine accaduta a un collega qualche anno fa…

“Era una tarda mattinata invernale e un vento teso da Sud-Est alzava onde di qualche metro che la pilotina, una Nelson inglese “da tempo cattivo”, tagliava senza particolari problemi.

Una nave portacontenitori, la Gulf Spirit, procedeva verso il punto stabilito per l’imbarco del pilota, il quale, nel frattempo, costretto al silenzio dal rumore dei motori, ne approfittava per accendere il VHF portatile, chiudere la giacca e indossare guanti e berretto.

Il vento che soffiava dai quadranti meridionali aveva alzato di qualche grado la temperatura, ma era pieno inverno e lo ricordava lasciando strisce di sale sulle frustate del mare.

Un’ampia accostata intorno alla poppa della nave e la pilotina si ritrovò sul lato sottovento.

Era parzialmente scarica e mostrava una fiancata particolarmente alta. A metà biscaglina un’apertura consentiva l’entrata a scafo. Il motoscafo si affiancò in velocità, con il Pilota arrampicato sulle griselle e pronto per il trasbordo.

Un’onda sollevò l’imbarcazione, portandola diversi metri al di sopra del livello medio del mare. Lì si fermò un attimo e il Pilota ne approfittò per balzare da una scaletta all’altra. Subito dopo il motoscafo ricadde assecondando le onde, mentre il Pilota era impegnato in una rapida arrampicata per allontanare le gambe dalla pilotina che stava già risalendo velocemente lungo la fiancata.

A questo punto l’imprevisto: una rollata portò la biscaglina a immergersi e una bitta poppiera del motoscafo l’agganciò, tirandosela dietro. Ignaro di quanto accaduto, il timoniere aumentò la velocità. Fu un attimo! la scaletta di legno e cime si tese come una fionda, si allargò dalla fiancata e catapultò il Pilota al di là dell’imbarcazione stessa.

L’acqua gelida lo attanagliò, lasciandolo senza fiato a scalciare mentre lottava per tornare in superficie. La bocca spalancata a cercare l’aria. Di fronte lo scafo nero della Gulf Spirit.

La corrente e le onde lo attirarono contro lo scafo per poi spingerlo verso la poppa. Ci volle un attimo per capire che la grossa elica, uscendo a tratti dall’acqua per effetto del beccheggio, lo stava risucchiando inesorabilmente. A questo punto il collega cercò di artigliare la parete di ferro, ma non c’erano appigli e le mani scivolavano sui “denti di cane” (taglienti conchiglie a forma di vulcano che crescono sull’opera viva).

Poco dopo il Pilota sparì sott’acqua.

L’impotenza faceva crescere il panico, mentre avvertiva distintamente le falciate delle pale e le vibrazioni del motore.

Per fortuna l’ufficiale di guardia alla biscaglina, resosi conto del pericolo, allertò il Ponte di Comando e la macchina venne fermata appena in tempo.

Il Pilota continuò l’avventura subacquea, finendo incastrato fra l’elica e il timone, respirando nei momenti in cui la trappola riaffiorava tra le onde.

Dopo alcuni minuti di lotta disperata riuscì a sfilarsi riemergendo, miracolosamente illeso, dal lato opposto della nave.

Mi fermo qui. Avrei potuto scrivere un testo molto più approfondito, parlare delle griselle con la passerella, di chi imbarca dalla coperta della pilotina, dei diversi sistemi di propulsione, di FLIR, di equipaggiamenti, di ausili tecnologici, ecc., ma il fatto è, probabilmente, che sarebbe stato un argomento scontato al 90% per i professionisti e ostico per i profani. Non è detto che in futuro non ci torni su.

 

JOHN GATTI

Rapallo, 10 gennaio 2019


IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA

ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA

AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA

 

Il Comandante Carlo GATTI dell'Associazione Mare Nostrum Rapallo INTERVISTA il Comandante Ernani ANDREATTA, Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.

 

Comandante Ernani Andreatta, quale Fondatore e Curatore di uno dei più importanti Musei Marinari d’Italia, quello di Chiavari, sito presso la Scuola delle Telecomunicazioni delle Forze Armate  non pensava di trovare nel basso Piemonte tanta marineria, nascosta anch’essa tra le mura di una Cittadella militare?


E’ vero! Io ed i miei collaboratori siamo rimasti favorevolmente impressionati sia dal sito che dai suoi contenuti marinareschi di eccelso valore.

Estesa per circa 60 ettari, la Cittadella (nella foto) si trova a nord-ovest della città, sulla sponda sinistra del Tanaro, e occupa l’area su cui sorgeva l’antico quartiere di Bergoglio. Voluta dai Savoia e progettata da Ignazio Bertola nel 1732 con una pianta a stella unica nel suo genere, è la sola fortezza europea ancora oggi inserita nel suo contesto ambientale originario. Il complesso militare immenso ospitava 3.000 militari.

Utilizzata con funzione difensiva durante l’intero arco della sua esistenza, nel 2007 è ufficialmente dismessa dal Ministero della Difesa, passando di proprietà all’Agenzia del Demanio. Attualmente l’intero complesso versa in condizioni a dir poco disastrose: la mancanza di una manutenzione costante ha permesso la diffusione di una pianta invasiva di origine orientale chiamata “ailanto” che poco alla volta sta sbriciolando i fabbricati. Le sue radici, infatti, insinuandosi in profondità tra i coppi e nella malta tra i mattoni, hanno prodotto seri danni alle strutture.

 

 

Il 14 marzo 2016 Riccardo Levi scriveva: “… fa ben sperare la recente consegna (l’8 febbraio scorso) in uso governativo da parte del Demanio alla Soprintendenza, dopo la richiesta del Segretariato generale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Si spera così che possa presto prendere il via il pieno recupero di un luogo che rappresenta un elemento di eccellenza nel patrimonio culturale piemontese e nazionale”.


Oggi alla Cittadella di Alessandria si può visitare:

Da Marconi al Futuro: Museo sulla storia della Comunicazione Radio-TV della telecomunicazione.


Radioricevitore usato da Guglielmo Marconi nella PRIMA TRASMISSIONE fatta a Bologna nella villa GRIFFONE


Il Museo é stato Costituito per il Fai da Claudio Gilardenghi

Esiste un padiglione-simbolo del Museo che l’ha più colpito?

Il Museo contiene circa 800 apparati e racconta tutta la storia della Comunicazione dall'inizio ai giorni nostri. Rilievo particolare viene dato a Marconi, tutti i suoi strumenti sono presenti e funzionanti in un percorso didattico ed emozionale incredibilmente importante e preciso, un approfondimento particolare ha la comunicazione militare sia terrestre che navale. All’interno del museo è presente una copia della cabina del Titanic progettata da Marconi in grado di far rivivere attraverso un manichino animato e un lavoro d'ingegneria straordinario tutte le attività di comunicazione intraprese prima e dopo l’impatto con l’iceberg. La cabina, unica al mondo, è stata più volte richiesta dalle università italiane a scopo didattico. Sono anche presenti parte degli strumenti di Tesla e Van Der Graaf. Un settore importante è dedicato alla radio Imca, vera eccellenza alessandrina e mondiale.

Voglio precisare che il nostro gruppo formato: dal sottoscritto, da mia moglie Simonetta, dal Comandante Nino Casaretto con la moglie signora Raffaella, dai miei principali collaboratori del Museo Giancarlo e Paola Boaretto, era accompagnato da uno specialista che ci ha fatto da guida, si tratta di un socio AIRE (Associazione Italiana Radio d’Epoca) Bruno Lusuriello esperto nel mondo della Radio Comunicazione accompagnato dalla moglie e dalla figlia minore.

Avete così potuto apprezzare alcune particolari applicazioni RADIO di Guglielmo Marconi?

Abbiamo visto cose straordinarie come il rifacimento - funzionante - della Stazione Radio del TITANIC con il surreale affondamento per l’urto nel famoso iceberg. Abbiamo visto funzionare tutte le basilari apparecchiature che Marconi aveva poi applicato ai suoi studi riuscendo così a inviare i suoi famosi messaggi oltre Atlantico. Al signor Claudio Girardenghi che ha ricostruito tutte queste primordiali apparecchiature dovrebbero dargli il NOBEL PER LA FISICA o per non so che cosa …..

Ma la giornata in Piemonte é continuata con la visita di un altro MUSEO molto speciale per il vostro gruppo di esperti:

Ecco alcune foto del Museo della Cittadella di Alessandria





Donazione del CREST del Museo Marinaro di Chiavari da parte del Comandante Ernani Andreatta al Direttore del Museo della Comunicazione Andrea Ferrero Capogruppo AIRE. A sinistra Claudio Girardenghi Curatore e costruttore di quasi tutte le apparecchiature esposte. Era presente altresì, come guida al Museo della Comunicazione, Claudio Girivetto socio AIRE e già Curatore del Museo RAI di Torino.

 

Per ascoltare storie di mare e di marinai non serve arrivare sulla costa, ma basta fermarsi molto prima, nella città di Tortona, che nel suo centro storico ospita il Museo del Mare. Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona?


Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona? Lo spiegano, all’inizio di questo affascinante viaggio, il Presidente del Museo Francesco Montobbio e il Comandante Franco Pernigotti. All’epoca della Seconda guerra mondiale, nel tortonese, le fiorenti aziende metalmeccaniche (come la Orsi, la Cmt e la Graziano) fornivano la marina militare di giovani operai esperti (siluristi, motoristi, ecc.) e così molti tortonesi fecero la “leva di mare”, prima a La Spezia o a Taranto, poi nelle acque del Mediterraneo. Di ritorno dalla leva, questi ragazzi, che nel frattempo si erano ulteriormente specializzati “sul campo”, impiegavano le proprie conoscenze anche nel lavoro civile.


Da questo legame fra Tortona e il mare nel 2004 è nata l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.n.m.i.) “Lorenzo Bezzi” - Gruppo di Tortona che in questa città ha realizzato nel 2006 il Monumento ai Caduti del Mare e nel giugno 2010 il Museo del Mare. A questo luogo, ricavato dai locali messi a disposizione dal Comune di Tortona, i marinai sono molto affezionati, perché raccoglie ricordi e reperti donati da generazioni di tortonesi
All’ingresso del museo campeggia una parete colma di crest, i tappi di volata dei cannoni, diventati poi stemmi delle navi. Quello del Gruppo Bezzi contiene il simbolo della città di Tortona, quello della Marina e delle Repubbliche Marinare ed è dominato al centro dalla figura del delfino, simbolo dei sommergibilisti come lo era il capitano Bezzi
che hanno combattuto per la libertà della patria, alcuni di loro pagandola con la vita.

Ci parli della vera peculiarità, del CUORE STORICO di questo Museo.

Il Museo del Mare di TORTONA (con un passato di grandi Marinai) è anche depositario di tutti i reperti della Spedizione al polo Nord del Duca degli Abruzzi nel 1899-1900 che partì con la nave Stella Polare da La Spezia (La Spezia? … qualcuno addrizzerà le orecchie). Non raggiunse il POLO ma la latitudine di 86° 33’ 49” Nord. Il Museo di Tortona ha moltissimi reperti di questa straordinaria spedizione compreso tutta la farmacia al completo.

Non pensa che i due Musei da voi visitati ed entusiasticamente descritti debbano essere maggiormente reclamizzati? Magari anche attraverso il nostro benemerito sito di MARE NOSTRUM RAPALLO?

Certamente! Lei ha perfettamente ragione! Io ritengo che poche persone, anche nel nostro CONTESTO  MARINARO, siano a conoscenza di questi due eccellenti PATRIMONI nazionali. Per lo più la gente pensa a Tortona come una cittadina agricola del Nord – oppure alla patria del grande Tortonese nato a Castellaneta: FAUSTO COPPI, mentre la città ha una grande passato di marinai, e oggi sono riportati alla luce da un gruppo di appassionati (ex Marina Mercantile e Militare) che sta facendo conoscere al “mondo”.

Per concludere, cosa l’ha più impressionato di questi PIEMONTESI con le mani nella terra, ma con il cuore immerso nel nostro MARE?

Una cosa mi ha consolato. Entrambi questi musei si fondano soltanto sul lavoro dei soci e non hanno mai ricevuto nessun contributo da istituzioni varie. Niente da nessuno!!! Il riferimento al Museo Marinaro di Chiavari è puramente casuale!!?? ….. Però sono ospitati in sedi totalmente inutilizzate civili o militari.



La sala centrale contiene alcuni pezzi forti: la strumentazione per comunicare, tra cui un telegrafo di macchina russo; le cartoline delle “madrine di guerra”, giovani ragazze di buona famiglia che tenevano rapporti epistolari con i marinai impegnati al fronte; l’Enigma, macchina crittografica utilizzata dalla marina militare tedesca nel secondo conflitto mondiale; i dettagliatissimi diari di bordo del guardiamarina Fausto Remotti che presto diventeranno un libro; persino alcuni documenti firmati da D’Annunzio durante l’occupazione di Fiume.


Regia Nave ROMA


Sono tanti i modellini di navi celebri da ammirare, come quello della nave scuola “Amerigo Vespucci” e quello della “Regia Nave Roma”,
(nella foto) ammiraglia della flotta italiana affondata dai bombardamenti nemici il 9 settembre 1943 (con 1393 morti) e di cui sono esposte le foto originali scattate quel giorno da un marinaio tortonese. Altre “chicche” sono due pezzi di ancore romane del I secolo d.C., in parte ricostruite, una cassaforte di bordo del 1500 della flotta del Granduca di Toscana e poi l’abbigliamento: divise originali per ogni occasione, una collezione di “nastrini”, cioè le strisce contenenti il nome della nave che si applicavano sui berretti dei marinai.


“MAIALE” – (modellino)

Nella sala degli incursori subacquei si possono ammirare tre colubrine del XVI secolo completamente restaurate e un siluro a lenta corsa detto “maiale”, strumento delle imprese (im)possibili dei sommozzatori. Sono esposti anche gli omaggi dei visitatori, come una polena a forma di testa di tritone donata dall’Istituto d’Arte “Ottolenghi” di Acqui Terme (opera del professor Manfrinetti) e il mosaico di una nave fatto dai ragazzi del centro A.n.f.f.a.s di Tortona.

 


I MARINAI TORTONESI

L’ultima sala del museo entra nel vivo della storia dei tortonesi, con le avventure di alcuni personaggi che hanno reso grande la marina italiana. Si parte da Vittorio Moccagatta, (alessandrino, capitano di fregata che nel 1939 comandava la flottiglia Mas di La Spezia e i mezzi speciali d’assalto e che morì a Malta durante una missione), per arrivare a Carlo Mirabello (tortonese, ammiraglio che dopo l’Unità d’Italia divenne Ministro della Marina), senza dimenticare Pietro Achille Cavalli Molinelli (nato a Sale, medico di bordo sulle navi da guerra e amico del Duca degli Abruzzi Luigi di Savoia che seguì nelle spedizioni al Polo Nord e in Africa. Di questi viaggi è visibile nel museo tutto l’equipaggiamento originale).
Il nostro viaggio si conclude con la vicenda di un eroe tortonese, il capitano di corvetta Lorenzo Bezzi, cui è dedicata l’associazione. Nel giugno del 1940, tra la costa africana e Creta, Bezzi era alla guida del sommergibile Liuzzi che, dopo un pesante attacco nemico, presentava gravi avarie e non riusciva più a rispondere al fuoco. Data la gravità della situazione, dopo aver messo in salvo l’equipaggio, Bezzi fece affondare il sommergibile e sparì con esso nelle acque del Mediterraneo. Per questo gesto eroico gli fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria.
Il museo è il posto giusto per chi vuole “navigare” in questo importante pezzo di storia italiana ed è anche molto adatto alle scuole di ogni ordine e grado, per lezioni interattive.
Eccovi le “coordinate”: via P. Pernigotti 12, Tortona (AL), è aperto al sabato (orario 9-12 e 16-19) ma è possibile concordare visite guidate anche in altri giorni della settimana su appuntamento, telefonando ai numeri 348 1498791 e 335 6715822. Ingresso libero.


Il MUSEO DEL MARE DI TORTONA


La FARMACIA DI BORDO


A sinistra lo staff della STELLA POLARE, a destra la nave in partenza da Spezia


Carta geografica del naufragio del TITANIC

Rapallo, 27 Novembre 2018

 

 


RICORDO DEL PILOTA GIANCARLO ODDERA

 

RICORDO DEL PILOTA

GIANCARLO ODDERA

Ricorre quest’anno il ventennale della morte di Giancarlo ODDERA. E’ stato Pilota del porto di Genova ed anche Sindaco di Castel Vittorio (Imperia).

Mi scuso innanzitutto con gli amici lettori ed in particolar modo con i famigliari di Giancarlo per l’imprecisione di qualche data.

La vecchia Torre-Piloti ricostruita nel 1947 e la nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne finito in tragedia.

Come ben sapete, il crollo della Torre piloti, avvenuta il 7 maggio 2013 alle 23.05, ha trascinato con sé sul fondale di Molo Giano 9 vittime, strappate in un attimo all’affetto dei loro cari e di tutti noi. Con loro é scomparso un mondo reale, ma anche l’archivio storico: la memoria di ogni Pilota del porto, come se un lungo pezzo della vita del porto fosse scomparso insieme a loro, insieme alle tante vicende che li videro protagonisti sia sulla Torre quella notte come “sentinelle” appostate sull’imboccatura, sia come protagonisti di migliaia e migliaia di eventi e manovre destinate ad accogliere le navi e portarle in banchina con qualsiasi tempo.

L’archivio perduto, risaliva al primo dopoguerra. In precedenza, dal 1940 al 1945, per due volte la Torre piloti cadde sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e fu ricostruita sempre nello stesso posto, a tempo di record in situazioni economiche e logistiche disastrose.

Il senso marinaresco della classe politica di allora poggiava su un altissimo piedistallo che si specchiava con la LANTERNA e sapeva guardare lontano!

L’archivio del Corpo Piloti della prima Torre bombardata, conteneva la documentazione storica dei vecchi piloti che risaliva alla lontana epoca medievale.

I piloti esistono, come istituzione, dai tempi del re Salomone.

La vita del pilota portuale non é semplice, e proprio Giancarlo Oddera né fu testimone con l’incidente che lo vide gravemente infortunato durante una manovra portuale, il cui esito influì non poco sulla sua successiva carriera. Abbiamo recuperato nel Museo Marinaro di Chiavari del Com.te Ernani Andreatta, suo amico e compagno di Accademia Militare a Livorno, l’articolo del giornale che descrive dettagliatamente la dinamica dell’incidente.

Si consiglia di ingrandire il testo con l'apposito tasto.

Giancarlo Oddera rientrò in servizio dopo aver superato la visita medica, erano passati quattro o cinque mesi durante i quali fu sottoposto a difficili interventi agli avambracci con l’innesto di barre di titanio e relativi chiodi.

Arrampicarsi sulle biscagline in quelle condizioni sembrava un azzardo, anche per i suoi collaudati colleghi in servizio, ma Giancarlo era un “marinaio” intrepido, un atleta forte, scattante e deciso nel carattere, nel pensiero e nell’azione.

In occasione del suo ritorno in Torretta, diede a tutti una lezione di attaccamento al Corpo Piloti che nessuno poté mai dimenticare. Il suo rientro in servizio fu un grande stimolo, specialmente per le giovani leve che videro in lui un mitico esempio di dedizione e coraggio.

Da sinistra: Giancarlo Oddera, Carlo Gatti, Fausto Bonomi

L’organico dei piloti portuali é diviso in squadre di tre o quattro membri ed é regolato dall’andamento sinusoidale del traffico navale del porto, dai pensionamenti, dalle malattie, dagli incidenti e da altri fattori tecnico-politici. La squadra di Giancarlo Oddera (nella foto sopra) é rimasta invariata per oltre 20 anni.

Giancarlo, dal tipico aspetto di un “marine” della USS Navy, coltivava nel suo intimo i grandi valori di un tempo: figlio di un maresciallo dei carabinieri aveva l’imprinting della divisa, dell’onore, del lavoro, dell’amicizia, ma soprattutto della famiglia.

Chi scrive, senza saperlo, fece gli stessi passi “marinari” di Giancarlo prima di vincere il concorso da pilota a Genova.

In tempi diversi imbarcarono sulle petroliere “FINA ITALIA” e “MARIO MARTINI”, in seguito diventarono Comandanti con la RIMORCHIATORI RIUNTI-Genova.

Ma ciò che caratterizzava Giancarlo Oddera agli occhi della comunità portuale, sia quella operativa tra le calate, sia quella che sta alle sue spalle ed é interscambiabile con la prima, era la SEMPLICITA’, L’UMILTA’, LA DISPONIBILITA’, ma soprattutto il senso d’AMICIZIA che per lui era la visione di sé con gli occhi dell’altro!

Portuali, barcaccianti (RR), ormeggiatori, agenti, armatori ecc… erano i personaggi che animavano il suo mondo marinaro, un mondo fatto di tante lingue, dialetti, modi dire, esperienze di terra e di mare. Giancarlo era un personaggio delle mitiche canzoni di FABER.

Detto questo, non é difficile immaginare che tra noi ci sia stato un feeling particolare!

Non é neppure difficile accettare l’ironia del destino che proprio a me fosse toccata l’ultima guardia con lui; quella notte “senza ritorno” che lui volle sfidare ancora una volta quando il suo fisico, in qualche modo, si era ormai inesorabilmente modificato e indebolito dopo l’incidente. Quella notte rimane tra i ricordi più sofferti della mia vita lavorativa.

Castel Vittorio (Imperia)

Da pensionato visse felicemente fino al 1998 con l’amata famiglia: sua moglie Anna, la figlia Cristina (medico) ed il figlio Gian Stefano, attuale sindaco di Castel Vittorio come lo fu suo padre.

Ciao Giancarlo! Quando leggerai queste righe starai “navigando” nei dintorni di Piazza Banchi e ti verranno in mente quelle pause tra un vapore e l’altro, quando parlavamo di navi, di caccia e di storia…

Un caro abbraccio ovunque tu sia!

Da sinistra: Giancarlo Oddera, GianCarlo Cerutti, Carlo Gatti in Sala Operativa

Ringrazio gli Amici Comandanti Ernani Andreatta ed il collega GianCarlo Cerutti (che voi tutti conoscete attraverso i miei scritti), per avermi suggerito la stesura di questo “ricordo” dedicato al compianto collega Giancarlo Oddera. Un OMAGGIO che estendo a tutti i Piloti del passato e del presente affinché non vada persa del tutto la “memoria” di tante Persone che hanno contribuito con la loro dedizione a far “grande” Genova ed il suo PORTO!

Seguono alcuni LINK di articoli presenti sul sito di Mare Nostrum Rapallo il cui unico scopo é quello di tenere una fiaccola accesa su un piccolo mondo, poco conosciuto e quasi dimenticato dal suo stesso impietoso destino!

CHI E’ IL PILOTA PORTUALE

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=202;pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

LA CADUTA DELLA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA

Una Tragedia annunciata?

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=282;tc&catid=34;navi&Itemid=160

 

§§§

 

TRENT'ANNI DI TECNOLOGIA PORTUALE

Tra le pieghe dei ricordi personali.

Dai fischi del pilota…alla Torre di Controllo del porto.

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=171;trentanni-di-tecnologia-portuale&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

PROGETTO TORRE PILOTI

PRESENTAZIONE

Palazzo San Giorgio - Genova

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=419;torre-piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=499;piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=461;pil&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

UNA GIORNATA DA PILOTA

Il racconto della prima manovra della giornata

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=575;una-giornata-da-pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

§§§

 

GENOVA (Porto Petroli Multedo) 12.7.1981

INCENDIO ESPLOSIONE della super-petroliera giapponese

“HAKUYOH MARU”

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=549;maru&catid=34;navi&Itemid=160

 

§§§

 

Ricordando la HAVEN

vent’anni dopo...

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=150;haven&catid=41;sub&Itemid=162

 

§§§

 

Da Mathausen a Rapallo

L'INCREDIBILE STORIA  DI BENEDETTO BOZZO

PILOTA DEL PORTO DI GENOVA

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=126;da-mathausen-a-rapallo&catid=52;artex&Itemid=153

Carlo GATTI

Rapallo, 24 Settembre 2018


HELEANNA - Una ferita che brucia ancora

M/n HELEANNA - UNA FERITA CHE BRUCIA ANCORA

Il comandante Dimitrios Anthipas, un pessimo esempio di Comandante

 

Il 28 agosto 1971, a 15 miglia da Monopoli, un incendio scoppiò a bordo del traghetto greco “Heleanna”. Si trattò della più drammatica e funesta sciagura marittima accaduta in Adriatico nel dopoguerra. La tragedia costò la vita a 25 turisti imbarcati; 16 furono i dispersi, 271 feriti tra i 1089 i superstiti.

Sono trascorsi 42 anni dall’incendio della HELEANNA, ma il ricordo é sempre vivo, specialmente tra coloro che seguirono da vicino le operazioni di salvataggio, ma anche da tutti coloro che ben presto si resero conto che a bordo del traghetto viaggiavano 1174 passeggeri, quasi il doppio dei 620 consentiti, e duecento automobili. A quel punto l’apprensione si trasformò in pura rabbia e la stampa di allora definì “negrieri del mare” il comandante Antypas Dimitrios ed il suo armatore Efthymiadis.

 

Da dove uscì quel maxi-traghetto con la ciminiera a poppa come una petroliera?

 

 

Negli anni ’60 l’armatore greco Constantino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per convertirle in traghetti passeggeri:

la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;

la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;

la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;

la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.

Nel 1954 la nave cisterna Munkedal fu costruita dai cantieri Götaverken di Göteborg-Svezia. Ma il suo destino fu segnato dalla chiusura del Canale di Suez* che costrinse le petroliere a compiere il lungo e costoso periplo dell’Africa, linea che sarebbe risultata economica soltanto con l’introduzione del  “gigantismo navale”. Così fu, e tutte le stazze minori, tra cui le petroliere svedesi sopra citate, furono messe fuori mercato. 

 

Nota: Dopo la GUERRA DEI SEI GIORNI del 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).

 

Da sempre i greci sono considerati validissimi marinai, ma anche un po’ spregiudicati. L’armatore C.S.Efthymiadis era un fedele garante di questa tradizione. La sua intuizione gli permise, infatti, di trasformare e reclamizzare la nuova unità come “il più grande traghetto del mondo”. 

Nel 1966, mantenendo il suo aspetto esteriore, la petroliera Munkedal fu ridisegnata al suo interno per la sistemazione di numerose cabine/passeggeri, mentre sulle fiancate dello scafo furono installati portelloni con rampe di nuova concezione per l’imbarco/sbarco di auto al seguito e mezzi pesanti. Rinominata Heleanna, il traghetto entrò in linea sulla rotta Patrasso–Brindisi-Ancona e ritorno. 

 

La cronaca dell’incidente

Al momento del disastro l’Heleanna si trovava 25 miglia nautiche a Nord di Brindisi, a 9 miglia al largo di Torre Canne, più verso Monopoli. Proveniva da Patrasso ed era diretta ad Ancona con 1174 passeggeri e 200 mezzi  (auto, tir e autobus). 

Tutto ebbe inizio alle 05.30 del 28 agosto 1971 quando una fuga di gas dai locali della cucina, fra la panetteria, la riposteria ed il locale ristoro provocò un  incendio a poppa. Si parlò di un corto circuito, forse una manovra errata di accensione dei polverizzatori della cucina, oppure di uno spandimento di gas liquido, ma anche di una possibile fuoriuscita di nafta dalla cassa di alimentazione della calderina.

Alcuni testimoni affermarono che l’incendio prese il sopravvento solo quando il fuoco lambì le bombole di ossigeno facendole esplodere. Poco dopo successe un fatto molto anomalo: in una cala di poppa vicino al timone, scoppiò un’altra bombola d’ossigeno che bloccò istantaneamente l’organo di governo che era, in quel momento, posizionato 15° a dritta. Il traghetto, ormai in panne, ma ancora abbrivato, compì un’ampia accostata in cui il vento  propagò l’incendio a tutta la nave. 

L’Heleanna aveva in dotazione 12 scialuppe di salvataggio sufficienti per 600 persone, la metà delle persone imbarcate. Le inchieste promosse dalle Autorità dimostrarono che metà delle lance erano inutilizzabili per via degli argani bloccati dalla ruggine. Tra quelle calate a mare, una si ribaltò e precipitò in mare probabilmente per il sovraccarico.

Gli idranti antincendio e i tutti i sistemi di soccorso non erano funzionanti. Le inchieste che seguirono dimostrarono che il traghetto, dal punto di vista della sicurezza, era da considerarsi sub-standard. 

Il disastro causò 25 morti, 16 dispersi e 271 feriti, alcuni anche in modo grave. Le vittime erano di nazionalità italiana, greca e francese. Non appena il Comandante della nave lanciò l’SOS, soccorsi aerei e navali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli e Grottaglie.

I soccorsi aeronavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (LauraMadonna della MadiaAngela DaneseNuova VittoriaS. Cosimo) che si attivarono con molta efficacia nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi.

L’incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto fu rimorchiato verso porto di Brindisi e fu ormeggiato nei pressi del castello Alfonsino.

I feriti sarebbero stati più numerosi se non fosse scattata con grande tempestività l’opera dei soccorritori. Il personale dei rimorchiatori locali della Società Barretta dovette avvicinarsi fino a pochi metri dalla nave per rendere efficace il getto delle proprie spingarde, sfidando temperature altissime e respirando gas di scarico e fumi micidiali, ma dovettero farlo per domare le lingue di fuoco che fuoriuscivano da tutta la nave minacciando di far esplodere i serbatoi di benzina degli oltre 200 mezzi che si trovavano nel garage. Fatto che purtroppo avvenne con tutte le sue tragiche conseguenze.

Anche la città di Monopoli si prodigò per confortare i superstiti, dando una dimostrazione di grande generosità offrendo aiuto e accoglienza ai naufraghi dell’Heleanna.

 

Il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d’Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.

 

Quando siamo arrivati sul posto” – raccontò il proprietario di un peschereccio – “ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo agghiacciante. Lunghe lingue di fiamme uscivano dalla poppa impedendoci di avvicinarci troppo. Sul ponte del traghetto dilagava il panico. Centinaia di persone tentavano di calare le scialuppe senza riuscirvi, altre che scendevano con le barche liberate, rimanevano poi sospese e bloccate a mezz’aria. Altre barche ancora, arrivavano in mare ma non sapevano come governarle. I più si gettavano direttamente in mare saltando dal ponte. Su decine di corde, calate dalle fiancate, c’erano grappoli di uomini appesi, molti erano senza salvagente. Diversi battellini di gomma, sparpagliati in mare, erano difficili da raggiungere ma anche più difficile riuscire a salirvi dentro. Dalle navi che erano accorse – racconta un altro marinaio – erano state calate delle scialuppe, ma rimanevano vuote perché la gente in mare, sfinita non riusciva a raggiungerle. Allora, molti di noi, si sono buttati in acqua per aiutarli. Mai avevo visto tanta gente disperata, annientata dal dolore per aver perso, magari un attimo prima, un amico, un congiunto. Intanto, sulle banchine dei porti di Monopoli, Brindisi e Bari, viene predisposto un imponente servizio di soccorso”. 

 

Centinaia di privati misero a disposizione i loro mezzi, altri portarono in Capitaneria indumenti e coperte. L’incendio fu domato prima di notte e l’Heleanna fu tenuta prudentemente in rada mentre gli inquirenti tentarono di accertare le responsabilità dell’accaduto. 

Pare che nella confusione generale, il Comandante del traghetto sia stato il primo a perdere la testa. Alcuni testimoni, infatti, affermarono che il capitano Anthipas abbia lasciato la nave subito dopo l’allarme, mentre la moglie, che era con lui sul traghetto, sostenne il contrario. Per la verità, un’evidenza ci fu e molti la testimoniarono in diverse sedi: il comandante Dimitrios Anthipas, giovanissimo e senza esperienza, giunse “asciutto” sulla banchina di Brindisi, e il 29 agosto del 1971 cercò addirittura la fuga, ma venne arrestato al varco frontaliero del porto di Brindisi, poco prima d’imbarcarsi furtivamente con la moglie su una nave diretta in Grecia. Il comandante venne arrestato con l’accusa di omicidio colposo e per abbandono della nave. 

Dimitrios Anthipas sarà poi estradato in Grecia mentre chi ha perso tutto: auto, bagagli, valori, la stessa vita di moglie, figli, genitori e parenti non sarà neppure risarcito. Gli assicuratori si rifiuteranno di pagare per l’evidente violazione, da parte della nave, delle norme stabilite nelle polizze assicurative.

All’epoca del “sinistro”, le acque territoriali comprendevano una fascia di 6 miglia nautiche (11.112 KM), poi modificate per legge in 12 miglia dal 27 febbraio 1973), per cui il disastro avvenne in acque internazionali. Ma le Autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave poiché alcune vittime del disastro erano perite in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Anche le autorità greche furono interessate al processo, in quanto la nave batteva bandiera ellenica.

 

L’Heleanna in fiamme

 

Notare la vicinanza del rimorchiatore che punta le spingarde antincendio sulla poppa dell’Heleanna

 

 

 

Targa commemorativa del naufragio a Monopoli

 

 

 

Dopo due anni e mezzo di sosta forzata nel porto di Brindisi, per il relitto dellHeleanna giunse il momento del congedo, dell’ultimo trasferimento verso un Cantiere di Spezia che aveva il compito di demolirne una parte e trasformarne il resto in una chiatta portuale multipurpose.

 

 

 

Il rimorchiatore  genovese ESPERO in navigazione

Rimorchiatore incaricato dell’ultimo viaggio apparteneva alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, si chiamava ESPERO, era l’ultimo nato della  flotta, 5.000 CV di razza, con una strumentazione d’avanguardia: elica intubatatowing winch(troller) modernissimo, elica di manovra a prora(bowthruster) ed una elettronica up to date applicata a tutti i suoi apparati. Chi scrive, era già stato per sette anni al comando di rimorchiatori portuale d’altomare; per motivi d’anzianità toccò a lui collaudare questo moderno “fuoriclasse”. Come? Per un puro caso, si presentò una duplice occasione. 

Si trattava di rimorchiare in successione, due relitti, entrambi da Brindisi a La Spezia che all’epoca era il primo porto nazionale della demolizione navale.

Il primo era la petroliera SAN NICOLA della famosa Società Garibaldi, che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante.

La seconda era il traghetto passeggeri HELEANNA di cui ci siamo occupati in questo drammatica ricostruzione.

 

Lo squarcio in coperta della petroliera San Nicola

 

Testimonianza dell’autore:

Quando salii a bordo del “traghettone” per controllare la situazione generale e studiare gli attacchi di rimorchio, cercai invano di trovare un metro di lamiera liscia ed intatta.

In pratica, l’interno dello scafo era stato devastato completamente dalle altissime temperature provocate dall’incendio. Le lamiere dei ponti erano ondulate e bugnate come la pelle di un lebbroso. Delle 200 autovetture ancora presenti nel lunghissimo garage, erano rimasti gli scheletri deformati da un fuoco impietoso che era durato a lungo causando, purtroppo, vittime e sofferenze indescrivibili.

Avevo già compiuto un’ottantina di rimorchi in tutto il mondo, ma non mi ero mai trovato davanti a tanta devastazione, desolazione e tristezza.

 

 

Manovra d’uscita della HELEANNA da Brindisi

 

1° Problema

Quando andai sul castello di prora per approntare gli attacchi di rimorchio mi trovai di fronte ad una strana situazione: non sapevo dove attaccarmi. Il copertino deformato aveva piegato le bitte, sollevato il salpancore e indebolito ogni centimetro del castello. 
Alla fine decisi di far passare alcune grosse cravatte d’acciaio da quei due passacavi in alto che sembrano 
due occhi ai lati del tagliamare (vedi foto). Era come prendere un toro per le narici e vi assicuro che non 
c’era altro da fare. Come attacco di riserva presi al  “lazo”  tutto il castello di prora evitando  gli spigoli con coppi di gomma, legno, tanto grasso e sacchi di juta.

 

2° Problema

In precedenza ho accennato all’esplosione di una serie bombole di ossigeno sistemate vicino al timone 
della nave; fu proprio questa la causa che bloccò l’organo di governo 15° a dritta costituendo un grande problema per la navigazione a rimorchio.

La soluzione del problema era nelle mani di un’officina specializzata che avrebbe raddrizzato il timone, ma dentro un bacino di carenaggio che nessuno era disposto a pagare….. 
Mi dovetti rassegnare, pur sapendo che avevamo davanti 800 miglia di “navigazione manovrata”.

Infatti, appena allungammo il cavo e ci mettemmo in tiro, il rimorchio accostò sulla sua dritta.

Quando doppiammo Santa Maria di Leuca, il vento rinforzò e ci accompagnò fino all’arrivo.

Riuscimmo a tenere una velocità intorno alle 6 miglia, ma quando il vento aumentava nelle golfate, l’Heleanna ce la vedevamo al traverso e per rimettercela di poppa dovevamo allascare le bozze, far venire il cavo da rimorchio in bando e poi dovevamo ripartire “alla gran puta”  per andare a riprendere il toro per le corna e rimettercelo  di poppa.

Questa era la navigazione manovrata in cui si rischiava di strappare sia le bozze che il cavo da rimorchio.

 Pendolammo per 20 ore a ridosso dell’Isola di Ischia, sia per controllare l’attrezzatura, ma soprattutto per 
far scivolare verso Est una forte depressione che spingeva il rimorchio fino a sorpassarci, costringendoci 
a vere acrobazie per non farci “prendere per il c…” Un’espressione marinara che rende perfettamente
l’idea di ciò che può succedere quando il rimorchio, non essendo in assetto di navigazione, prende il sopravvento, infrangendo quelle poche ma importanti regole 
marinaresche, che si dovrebbero sempre rispettare.

 
Il 16.2.74 arrivammo finalmente a Spezia, e quando il mio amico pilota Nino Casaretto, il quale aveva subito l'esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante, venne a bordo per la manovra di consegna del relitto ai rimorchiatori locali, mi disse in dialetto: 
“Ma non ti vergogni d’andare in giro con questo accidente... attaccato al sedere” ?
“Vergogna no! – gli risposi –  A brindisi non vedevano l’ora di levarselo dal sedere  e trovarne un altro 
disposto al sacrificio. Dicono che nella vita bisogna provarle tutte! Eccomi qui, felice e contento d’essere arrivato!”

 

APPENDICE: 

Rapporto Viaggio

 

 

Mi spiace! L'immagine non è leggibile, i numeri sono lì... fidatevi! Purtroppo i morti sono altrove. Che Dio li benedica!

 

 

UNO SCAMPATO PERICOLO....

La nostra socia Marinella Gagliardi Santi, notissima scrittrice e Skipper di lungo corso, dopo aver letto questo articolo, ha voluto rilasciarci la sua ESISTENZIALE TESTIMONIANZA. per la quale non possiamo che unirci felicemente a questa fantastica coppia di “marinai” per lo scampato pericolo!

"Il ricordo di quella tragedia mi ha toccato da vicino ancora di più, perché Rinaldo ed io, allora non ancora fidanzati, avremmo dovuto imbarcarci proprio sull'Heleanna! Mi aveva invitato ad andare in Grecia insieme a lui ma gli avevano detto che non c'era posto sull'aereo: al ritorno non ci sarebbe stato alcun problema perché avremmo preso proprio quel traghetto! Così io non sono partita con lui, lui si è imbarcato su un aereo in realtà completamente vuoto, e per il ritorno ha preso nuovamente l'aereo.

Pericolo scampato per un pelo, la sorte ha voluto così!"

 

Carlo-GATTI

Rapallo, 21.3.2013 / Rielaborato nella nuova versione del sito, venerdì 17 Maggio 2024