SMART CONTRACT THROUGH BLOCKCHAIN

 

SMART CONTRACT THROUGH

BLOCKCHAIN

di Arrigo Garipoli

 


 

Smart Contract through BLOCKCHAIN – di Arrigo Garipoli
Oltre alle
Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo.

Potrei riempirVi di numeri e grafici sul valore del commercio marittimo; sulla sua crescita costante nel tempo su scala globale; su quante tonnellate di merce in container, alla rinfusa, in forma solida, liquida o gassosa sono state trasportate o movimentate nei porti di tutto il mondo in questi ultimi anni.

Per darvi un’idea delle cifre in gioco, mi basta dirVi che la flotta mondiale, secondo la stima della International Chamber of Shipping, ammonta a 1.9 miliardi di tonnellate di DWT. – 50.000 navi mercantili. – 1.2 milioni di marinai provenienti da tutto il mondo.

E’ quindi facile comprendere come la nave sia a tutt’oggi e lo sarà presumibilmente per i prossimi decenni, un mezzo di trasporto di primaria importanza per l’economia globale. Secondo l’IMO (International Maritime Organization) l’industria marittima internazionale è responsabile del trasporto di circa il 90% del commercio mondiale.

L’ONU prevede che nell’anno 2030 sul nostro pianeta ci saranno circa 8,5 miliardi di abitanti. Successivamente, si stima che la popolazione continuerà a crescere raggiungendo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100.

La ricerca delle migliori, sicure ed economiche vie di trasporto, non potrà che portare all’abbandono del trasporto su gomma per convergere su un maggiore impiego di quello aereo e marittimo.

Nessun Governo o impresa privata potrà ignorare questi aspetti che, inevitabilmente, cambieranno l’attuale sistema economico.

Stiamo vivendo tempi di rapida evoluzione, a causa di crisi economiche o per politiche di privatizzazioni di imprese di interesse nazionale, abbiamo assistito allo sgretolarsi di grandi società di Navigazione (Italia, Agip, Tirrenia ecc.) e allo sviluppo di nuove grandi compagnie che oggi monopolizzano il mercato. L’impresa di navigazione è per sua natura vulnerabile e i grandi cambiamenti della globalizzazione hanno influito pesantemente sulla sua struttura e, indirettamente, su tutto ciò che le gravita attorno.

Abbiamo assistito alla graduale diminuzione degli equipaggi che componevano la tabella d’armamento “tipo”, per una nave di grande tonnellaggio di qualche decennio addietro, che contava sino a 32 unità, per arrivare a quelle odierne, composte a volte da soli 9 membri di equipaggio incluso il Comandante. Alcune categorie di marittimi sono addirittura scomparse, sostituite da macchine e tecnologie sempre più avanzate.

Abbiamo assistito alla riduzione degli stipendi, dei privilegi, delle tariffe portuali per i servizi tecnico-nautici, di quelle destinate agli operatori portuali, ai raccomandatari marittimi ecc.

Nell’epoca dei grandi cambiamenti, a volte confusi, abbiamo assistito alla privatizzazione di interi porti, come è accaduto in UK a Southampton, Hull o Grimsby Himmingam, dove sono sparite figure storiche come gli Stevedores Unions e i Piloti della Trinity House, che sul Fiume Humber e Southampton fin dall’eta di 16 anni imparavano il mestiere tramandato dalle generazioni precedenti.

In questo preciso momento nuove tecnologie si stanno sviluppando, alcune potranno essere rallentate nella loro diffusione, ma il progresso che le accompagna non potrà mai essere fermato.

Per questo vorrei affrontare con Voi un argomento ancora poco diffuso, ma di impatto potenzialmente enorme e, per farlo, porrei la seguente domanda: Può una moneta virtuale cambiare lo scenario mondiale dei traffici marittimi?

La rivoluzione tecnologica legata al Bitcoin, e alle criptovalute in generale (destinate a detta di molti a sostituire nei prossimi decenni le valute monetarie globali, USD, EUR, YEN ecc.), unita al veloce progresso dell’intelligenza artificiale AI (destinata a sostituire l’impiego umano in tantissimi settori lavorativi) permetterà, in avvenire, l’adozione di tecnologie futuristiche, oggi impensabili.




Tecnologie la cui applicazione sarà ostacolata unicamente dall’eventuale inadeguatezza strutturale piuttosto che della volontà/speranza di una loro applicazione.

Oltre alle Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo e, allora, è di strategica e fondamentale importanza lo studio, la ricerca e la sperimentazione delle tecnologie ad esse direttamente collegate oltre a quelle che con esse possano interagire.

Non vorrei cambiare ritmo e annoiarVi con tecnicismi, neologismi o ragionamenti contorti, ma è di fondamentale importanza capire cosa sia una Blockchain (tecnologia alla base delle criptovalute) prima di proseguire.

Per approfondimenti sull’argomento Vi rimando al WorldWideWeb:

https://www.blockchain4innovation.it/esperti/blockchain-perche-e-cosi-importante/#Blockchain_come_evoluzione_del_concetto_Ledger_Libro_Mastro

In poche parole:

La blockchain è un ledger distribuito, ovvero un database di informazioni condivise con le seguenti dirompenti caratteristiche:

  • Immutabilità delle informazioni in esse contenute e impossibilità di cancellazione delle informazioni grazie alla distribuzione di queste e alla loro condivisione su scala globale.
  • Decentralizzazione del database, di tipo peer-to-peer.
  • Sicurezza.
  • Trasparenza.

Legati alla blockchain possiamo avere Smart Contract, Criptovalute, Token.

La blockchain è alla base di un democratico processo di transazioni che sta rapidamente espandendosi nel mondo.

L’interazione tra Blockchain e AI sarà determinante e anche l’intelligenza artificiale è già una realtà in fase di consolidamento.

Esistono società ed applicazioni che sono riuscite in parte e a diversi livelli a riprodurre le capacità del cervello umano. Nel campo della robotica e della bioingegneria i progressi ci fanno comprendere come l’avvento dei cosiddetti cyborg non sia poi cosi lontano.

Quale sviluppo si può ipotizzare per il trasporto marittimo?


Grazie alla semplificazione dei processi, agli Smart Contract inseriti negli sviluppi di piattaforme Blockchain, all’innovazione nello sviluppo dei Droni e nell’evoluzione massiccia dell’Intelligenza Artificiale, l’impiego umano nell’ambito dei trasporti e della sua logistica sarà sempre più limitato.

Le figure professionali di una volta (di bordo e di terra) spariranno o si evolveranno e nuove opportunità di lavoro nasceranno.

Sarà importante creare ed addestrare “squadre di intervento rapido” in grado di intervenire per risolvere ogni tipo di problematica, anche raggiungendo il mezzo o il sito da ripristinare. Il Comandante di domani, dopo essere stato l’ultimo membro rimasto a bordo, potrà essere impiegato nella programmazione e nel controllo della nave Drone, mentre la figura del Raccomandatario Marittimo si dovrà evolvere, acquisire tecnologie da Server di Sistema per permettere alla Blockchain di sviluppare gli Smart Contract e monitorare la fluidità dei processi da trasmettere all’Armatore.

Anche le dogane con lo sviluppo del fascicolo elettronico FI (già oggi in atto) semplificheranno le procedure burocratiche, interfacciandosi con la stessa blockchain del vettore per l’applicazione delle tariffe, mentre i magazzini doganali potranno lasciare spazio a siti generici, se dichiarati all’interno della blockchain per tempo.

Ai giovani che si affacciano oggi al mercato del lavoro conviene accettare la sfida. Le figure professionali che verranno formate dovranno avere dimestichezza con una nuova terminologia, apprendere il linguaggio macchina, essere aperte e flessibili.

Le Blockchain in ambito marittimo, potranno trovare applicazione per assicurare velocità e sicurezza alle transazioni che coinvolgono il sistema nave-trasporto e l’uomo potrà (e dovrà) controllare tutti i processi di integrazione AI (Artificial Intelligence), Robotica, Droni nel Trasporto Marittimo Integrato.

I vantaggi saranno:

  • Ottimizzazione e velocizzazione dei processi delle attività dei trasporti marittimi, grazie alla natura decentralizzata della piattaforma.
  • Calo dei prezzi dei noli navi/carico, grazie alla trasparenza che la blockchain garantisce attraverso la sua tecnologia peer to peer.
  • Ottimizzazione dei costi e delle risorse, offrendo una criptovaluta dedicata esclusivamente al settore.

L’avvento della Blockchain con l’introduzione del concetto di Virtual Community, collegata attraverso la criptovaluta, non dovrebbe spaventare gli operatori legati ad usi e consuetudini rafforzatesi nel tempo e nemmeno creare una rottura nel modo di concepire il trasporto marittimo e l’intermediazione.

Saggi e avvezzi operatori marittimi troverebbero nella Piattaforma Blockchain Marittima un sistema per integrare i valori acquisiti nel tempo riportati al mondo digitale di domani.

La moderna figura del sistema introdotto dalla tecnologia blockchain può coadiuvare quella dell’Armatore, Comandante, Raccomandatario, Spedizioniere Marittimo, Vettore di oggi, per traghettarlo nel domani.

Attraverso la piattaforma programmata, gli operatori del futuro potranno raccogliere una maggiore quantità di clienti dando un impulso nuovo al settore dei trasporti, oggi appesantito dalla burocrazia e da interessi privatistici che, unitamente alla crisi economica, ne deprimono la capacità di rinnovamento.



Le Blockchains non potranno sostituire i rapporti umani di amicizia creati tra gli operatori nel mondo, che rimarranno tali anche nelle loro dinamiche di connessioni consolidate nel tempo, ma potranno garantire che tali rapporti si moltiplichino esponenzialmente, con la coscienza che la tecnologia applicata ai vari processi umani serva ad aumentare la qualità di vita degli stessi.

La corsa è già iniziata (*), lo sviluppo di queste tecnologie non può che vederci coinvolti per permetterci di dare il nostro contributo per una migliore gestione del 90% degli scambi commerciali che oggi avvengono tramite il trasporto marittimo.


 

(1) Industria marittima (numeri)

http://www.ics-shipping.org/images/Shipping-Facts/predicted-increases-in-world-seaborne-trade-gdp-and-population

http://www.ics-shipping.org/shipping-facts/shipping-and-world-trade/world-seaborne-trade

(2) blockchain

https://www.gartner.com/it-glossary/blockchain

https://www.i-cio.com/big-thinkers/don-tapscott/item/from-the-internet-of-information-to-the-internet-of-value

(3) cryptocurrency

https://en.wikipedia.org/wiki/Cryptocurrency

https://www.statista.com/statistics/377382/bitcoin-market-capitalization/

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

(4) AI

http://www.dhl.com/en/about_us/logistics_insights/dhl_trend_research/robotics_in_logistics

https://www.wired.co.uk/article/rolls-royce-autonomous-cargo-ships

https://www.forbes.com/2017/11/06/the-future-of-the-transport-industry-iot-big-data-ai-and-autonomous-vehicles

(5) Cina

https://www.zerohedge.com/china-central-bank-prepares-regulate-bitcoin-mining

(6) Venezuela

https://qz.com/bitcoin-trading-in-venezuela-is-skyrocketing-amid-14000-inflation/

(7) Tokenizzazione

https://medium.com/asset-tokenization-on-blockchain-explained-in-plain-english

https://medium.com/fintech-weekly-magazine/how-tokenization-is-transforming-real-world-assets-on-the-blockchain

https://bitcoinmagazine.com/articles/op-ed-how-tokenization-putting-real-world-assets-blockchains

(8) Europa

http://www.europarl.europa.eu/news/en/headlines/world/virtual-currencies-the-technology-is-rapidly-evolving-and-we-must-follow-it

(9) NASDAQ + Gemini

https://www.cnbc.com/2018/04/25/nasdaq-is-open-to-becoming-cryptocurrency-exchange-ceo-says

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

Di Maurizio Garipoli| 2018-08-25T16:41:41+00:00 25 agosto 2018|Attualità, News|1 Commento


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Rapallo, martedì 28 agosto 2018

A cura di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 



LE GRANDI NAVI

 

Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.


LE GRANDI NAVI



Oscurano i tramonti di Venezia, gettano un’ombra sul Vesuvio di Napoli e nascondono la vista della Lanterna di Genova. Sono le navi da crociera che con un carico di 5 mila passeggeri e una stazza di oltre 130.000  mila tonnellate passano sempre più spesso nelle zone aeroportuali di molte delle nostre città, determinando un forte impatto ambientale. <<In laguna ogni loro passaggio fa diminuire il livello della superficie marina di 20 cm per il risucchio e bruciando petrolio di scarsa qualità provocano un inquinamento da zolfo combusto pari in quantità a quello prodotto da 14 mila vetture>>, precisa Salvatore Mauro, ricercatore all’Istituto Nazionale per lo Studio ed esperienze di architettura navale Insean del Cnr di Roma.

I danni che provocano

Il traffico marittimo, solo per il fatto che esiste e si muove in aree naturali, è associato a un effetto antropomorfico più o meno grande a seconda delle dimensioni di queste grandi imbarcazioni e del luogo del loro transito. <<Basti pensare che per mantenere il proprio assetto devono imbarcare tonnellate d’acqua che prelevano in ogni dove nel mondo per poi scaricarle con tutte le specie microbiche aliene in esse sospese nelle nostre acque costiere>>, ci riferisce Salvatore Mauro. <<Le stesse incrostazioni che si formano sulle superfici sommerse di queste città galleggianti inquinano: diventando dei veri e propri scogli di un metro e mezzo di spessore, trasportano organismi viventi che entrano in competizione con le nostre specie locali>>. Le onde che generano possono inoltre spostare masse d’acqua anche di 130 mila tonnellate che come secchiate d’acqua si riversano nelle strutture murarie costruite sulla costa.

I sistemi di controllo

Eppure organi addetti al controllo del loro passaggio esistono. Uno di questi è la Capitaneria di Porto che governa il traffico nei corridoi marini. Ma non solo. Il Vessel Trafic Service (VTS), il sistema di monitoraggio del traffico marino, consente di avere in tempo reale i dati sulla rotta delle navi: grazie a radar posizionati sulla costa (in Italia se ne contano otto dislocati in altrettante aree ad alta densità di traffico) collegati a un sistema informatico, permette di risalire velocemente all’imbarcazione che insiste su quella determinata zona geografica. Esiste inoltre l’International Maritime Organization (IMO), un’emanazione dell’ONU presente in 158 nazioni che legifera su norme relative all’adeguamento tecnico delle navi, all’aggiornamento del personale di bordo e alla sicurezza. Il RINA, il Registro Italiano Navale, s’interessa che le norme IMO vengano rispettate: fa adeguamenti tecnici e dà certificazioni mentre la Capitaneria di Porto controlla il suo operato. L’ECDIS (Electronic Chart Display and Information System), il sistema informatico di navigazione basato su computer che soddisfa i regolamenti IMO, visualizza le informazioni provenienti da carte elettroniche o nautiche digitali e integra le informazioni di posizione, rotta e velocità attraverso sistemi d’informazione d’acqua e altri sensori. L’Automatic Identification System (AIS) trasmette infine targa, bandiera, tipo di carico e nome dell’imbarcazione nella zona in cui la nave passa e a tutto il mondo.

Idee ecologiche

Nonostante queste “sentinelle” tecnologiche i disastri succedono, vedi la sciagura della Costa Concordia. Oltre alle navi da crociera, i nostri mari sopportare però anche il 25 per cento del traffico petroliero mondiale e il passaggio di moltissime navi da trasporto. Come ridurre il loro impatto ambientale? Rallentando la loro andatura per esempio. <<Diminuendo di 14 miglia all’ora la velocità delle navi cargo, si ridurrebbero del 60 per cento il diossido di carbonio e del 55 per cento gli ossidi di azoto contenuti nei loro gas di scarico>>, propone il California Air Resource Board sulle pagine della rivista Environmental Science & Techonolgy. Oppure attivando provvedimenti e indirizzi politici volti a garantire un uso più diffuso dei gas naturali GPL e GNL, come è stato suggerito al Forum Internazionale dedicato all’innovazione tecnologica per lo sviluppo del cluster marittimo, tenutosi di recente a Genova. Se infatti per il primo esiste già una rete di distribuzione, per il secondo mancano infrastrutture per il suo approvvigionamento. Queste fonti energetiche a basso impatto ambientale ma con un’elevata densità energetica e una notevole versatilità d’impiego, renderebbero la navigazione più sostenibile e concorrerebbero a raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di diminuire del 60 per cento la quota dei gas con effetto serra. In particolare il GNP una volta refrigerato e liquefatto si ridurrebbe in volume di ben 600 volte permettendone d’immagazzinare una grande quantità in poco spazio.

Mezzi sicuri

Non mancano neppure iniziative volte a controllare con estrema precisione i movimenti di queste grandi navi. Vincitrice del premio “Red dot award 2013” per il design di prodotto, è per esempio la leva di comando Azimut, un’interfaccia distintiva che permette di manovrare le imbarcazioni da crociera con una precisione al decimetro, controllando la velocità delle eliche di propulsione e l’angolo di virata: luci regolabili massimizzano inoltre la visibilità di notte e durante le giornate di sole intenso. Questi e altri accorgimenti sono volti a rendere più sicuro il traffico marittimo che, non dimentichiamolo, è tuttavia la modalità di trasporto a più basso impatto ambientale. Se le navi sono costruite con tecnologie idonee, si avvalgono di manutenzioni adeguate e ospitano personale di bordo ben addestrato, sono senz’altro più sicure e meno inquinanti dello stesso traffico aereo.

Manuela Campanelli

Rapallo, 29 luglio 2018


TRASPORTO SU CHIATTA

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A. Dopo l'interessante pezzo sulle riparazioni navali, oggi punta i riflettori sopra un'altra realtà poco conosciuta: le chiatte.

J.G.

TRASPORTI SU CHIATTA

di Fausto Mazza

 

LE CHIATTE UN SETTORE DI NICCHIA


Le chiatte pontate sono galleggianti privi di propulsione, pressoché a forma di parallelepipede, caratterizzati da portate elevate, grande robustezza strutturale, ampie coperte libere da ingombri e pescaggio ridotto. Internamente il guscio dello scafo risulta suddiviso in compartimenti stagni, di capacità e numero adeguati ai fini della gestione dell’assetto.

Un ulteriore declinazione di questi mezzi di trasporto sono le chiatte semisommergibili. Queste sono mezzi specializzati che, mediante la gestione della zavorra, possono immergersi, appoggiandosi sul fondo e riemergere.

* La chiatte semisommergibili sono utilizzate per l’esecuzione delle seguenti operazioni: Analogamente alle chiatte normali, per il trasporto marittimo di grandi manufatti in relazione a opere in ambito civile, portuale, navale, offshore o, nell’ambito dei lavori marittimi, come piattaforme galleggianti in abbinamento all’utilizzo di mezzi di sollevamento terrestri quali gru semoventi ruotate o cingolate.

* Varo di costruzioni navali e moduli offshore mediante immersione parziale o totale della chiatta sia in acqua libera che dentro a un bacino di carenaggio.

* Presa in carico e messa a secco di unità navali o altri manufatti galleggianti in maniera del tutto analoga ad un bacino galleggiante.

La caricazione può avvenire mediante carrelli multiruota idraulici, sistemi di traslazione con verricelli, sollevamento verticale tramite gru o affondamento e successiva emersione della chiatta.

Le chiatte sono iscritte nel Registro del Naviglio Minore e dei Galleggianti e tipicamente sono prive di equipaggio imbarcato a ruolo. Non essendoci un ruolo equipaggio a bordo delle chiatte non esiste il Comandante. L’operatore incaricato della gestione della zavorra viene indicato con il termine anglosassone, mutuato dall’ off-shore, di Ballast Engineer o in maniera ancora più impropria con quello, preso a prestito dalle petroliere, di Tankista. Non esistono requisiti specifici per la qualifica di Ballast Engineer che, ai fini dell’Autorità Marittima, non esiste proprio. Il Ballast Engineer può essere un CLC (Capitano di lungo Corso)  o un CDM (Capitano di Macchina) ma può anche benissimo essere un perito industriale o un geometra o semplicemente una persona con esperienza pratica, in grado di governare il mezzo e di seguire le istruzioni per la zavorra preparate da terzi. E’ ovvio che, in relazione alle competenze specifiche, il profilo ideale per ricoprire questo ruolo sia quello del Capitano di Lungo Corso.

A seconda delle loro caratteristiche costruttive, le chiatte possono essere abilitate alla navigazione a rimorchio anche Internazionale Lunga. I trasferimenti avvengono sempre in assenza di personale a bordo; durante la navigazione le chiatte sono sotto la responsabilità del Comandante del rimorchiatore che ne effettua il trasferimento.

I sistemi di bordo di una chiatta semisommergibile non presentano aspetti tecnici di spicco. L’operazione nevralgica è sempre una sola: la movimentazione della zavorra per permettere la gestione di assetto, immersione ed emersione. Il macchinario di bordo si riduce ad un generatore che alimenta gli impianti di bordo, pompe di zavorra ove presenti, un compressore che fornisce l’aria compressa necessaria per lo spiazzamento della zavorra e per l’utilizzo del verricello salpancore.

Su una chiatta di moderna concezione troveremo un sistema di tele-livelli che consente all’operatore di conoscere la quantità d’acqua presente all’interno delle singole casse di zavorra; un sistema telecomandato di valvole di presa mare e valvole per la gestione della zavorra; un sistema di pompaggio della zavorra per mantenere l’assetto; un ulteriore sistema di spiazzamento della zavorra mediante aria compressa, utilizzato per emergere a seguito di un’immersione.

Purtroppo, molte unità ancora in servizio sono di concezione antiquata, con impiantistica ridotta al minimo, quindi caricazione e discarica della zavorra avvengono per sola gravità, nessuna possibilità di trasferire la zavorra a bordo, espulsione della zavorra mediante spiazzamento con aria compressa e nessuna indicazione remota dei livelli delle casse.

Le sistemazioni di ormeggio di questi mezzi sono minime a prua e pressoché inesistenti a poppa, dovendo quest’ultima essere lasciata libera per il transito dei carichi. A prora, oltre all’ancora con relativo verricello salpancore dotato di campane di tonneggio, troviamo gli attacchi Smit per i rimorchi, le bitte di ormeggio e i passacavi. Ulteriori bitte di ormeggio saranno presenti in coperta lungo i fianchi fino a poppa. Sulla prora o lungo il fianco, troveremo festonato il cavo di rimorchio d’ emergenza.

Lavorare su questi mezzi, in particolare su quelli più vecchi, costringe il personale ad aguzzare l’ingegno per superare tutti i problemi che si possono presentare nel corso dell’operazione. In queste circostanze è fondamentale conoscere molto bene le caratteristiche tecniche del mezzo, i suoi limiti tecnici, le sue magagne, in essere e probabili, e il suo comportamento nelle varie fasi dell’operazione. Questa conoscenza permetterà all’operatore di riconoscere eventuali anomalie e di porvi rimedio.

L’assenza di sistemazioni di manovra sulla poppa ed in coperta costringe all’adozione di sistemi alternativi, spesso poco ortodossi, per poter mettere in forza le cime d’ormeggio. Generalmente si ovvierà alla mancanza del verricello a poppa, imbarcando un mezzo ruotato in grado di tirare con forza adeguata, tipicamente un muletto o una piccola semovente. La cima verrà collegata al mezzo ruotato tramite una bozza, messa in forza con la dovuta attenzione e successivamente abbozzata e voltata in coperta. Si tratta di manovre che, oltre a comportare un discreto impegno fisico, richiedono perizia marinaresca, prudenza ed una buona manualità.

In maniera del tutto analoga al naviglio maggiore, anche le chiatte si trovano ad operare in porti diversi sia in Italia che all’ estero. La manovra di arrivo può essere suddivisa nelle seguenti fasi: imbarco in rada del personale addetto all’ormeggio e del pilota, rilascio del rimorchio d’altura e connessione dei rimorchiatori portuali, passaggio dalla rada all’ormeggio e manovra di ormeggio vera e propria.

Generalmente il personale addetto all’ormeggio si compone di una squadra di ormeggiatori locali assistita dal personale della chiatta. Data la natura particolare di questi mezzi, la buona collaborazione con i servizi portuali è essenziale. Se il pilota, il rimorchiatore di altura e i rimorchiatori di porto fanno un buon lavoro, la vita del personale addetto all’ormeggio è resa decisamente più facile. In caso contrario le manovre di arrivo e di partenza, in particolare la disconnessione / connessione del rimorchio d’altura, possono tramutarsi in un incubo, sia dal punto di vista del tempo impiegato che da quello della sicurezza sul lavoro.

Il nolo giornaliero della chiatta, del rimorchiatore e delle attrezzature per la movimentazione comporta un esborso significativo per il noleggiatore, quindi tutte le lavorazioni vengono effettuate nell’ottica di evitare tempi morti, per terminare l’operazione nel minor tempo possibile. Spesso queste operazioni sono vincolate da limitazioni ai fini della sicurezza, quali l’esecuzione del lavoro in orario diurno, o limiti in relazione alle condizioni di vento e mare.

Non appena ormeggiati, cominciano le predisposizioni propedeutiche all’operazione vera e propria.

Il personale di bordo fa l’assetto secondo le istruzioni ricevute dal noleggiatore, assiste il perito chimico di porto per il rilascio del certificato di non pericolosità, assiste il personale del noleggiatore incaricato della realizzazione delle predisposizioni necessarie all’imbarco del manufatto o delle operazioni di derizzaggio dell’eventuale manufatto da sbarcare. La chiatta diventa un cantiere vero e proprio, popolato da persone indaffarate: tecnici del noleggiatore, manovali, carpentieri e saldatori, tecnici della ditta incaricata della movimentazione, ispettori del proprietario dei manufatti, periti dell’assicurazione e della classe solo per dirne alcuni. La corrente per il funzionamento di tutta l’attrezzatura elettrica, tipicamente saldatrici e smerigliatrici angolari, può essere fornita da un generatore mobile, dal generatore della chiatta o più raramente da terra.

Durante questi giorni di attività frenetica, la casamatta della chiatta, con la sua puzza di gasolio, offre al personale, oltre alla possibilità di bere un caffè o un sorso d’ acqua in pace, un riparo sempre gradito, sia dai raggi del sole d’estate, che dal vento e dalla pioggia d’inverno. In queste circostanze il caffè, abbinato al necessario spirito di cooperazione, mantiene oliato il meccanismo dei lavori.

Una volta completata la preparazione comincia il lavoro vero. Che sia l’imbarco o lo sbarco di una grande gru portuale o il varo di un supply vessel o di un manufatto di carpenteria metallica destinato all’off-shore, l’attenzione è massima.

Movimentando carichi su ruote si deve lavorare in sintonia con il responsabile della movimentazione. Gestendo oggetti molto pesanti, l’assetto della chiatta varierà in maniera notevole al variare della posizione del convoglio in coperta; sarà cura del responsabile della movimentazione evitare il più possibile movimenti inutili che costringano a continue variazioni di assetto e cura dell’operatore della chiatta assecondare la movimentazione. L’aver predisposto al meglio l’assetto della chiatta e la distribuzione della zavorra a bordo consentirà di sveltire la movimentazione, la presenza di personale esperto sia a bordo che dalla parte della ditta incaricata della movimentazione è di importanza strategica per la buona riuscita del lavoro.

Quando si vara, la manovra di affondamento viene gestita dal personale della chiatta con particolare attenzione alla stabilità trasversale. A meno che non siano dotate di cassoni stabilizzatori, le chiatte semisommergibili non possono affondare con assetto longitudinalmente dritto. Questo fa sì che l’affondamento debba avvenire entro certi limiti di profondità, che permettano alla chiatta di appoggiarsi sul fondo in sicurezza. Per evitare che la chiatta, immergendosi libera, possa veder compromessa la sua stabilità trasversale, si deve avere cura di mantenere un assetto positivamente appoppato fino al raggiungimento dell’appoggio dello specchio di poppa sul fondale. Una volta soddisfatta questa condizione, si potrà completare l’allagamento delle casse di zavorra prodiere fino al raggiungimento della massima immersione. L’emersione, che sia a seguito di un varo o per mettere a secco una piccola unità navale o un manufatto galleggiante è un operazione altrettanto delicata. Si pompa aria per espellere la zavorra e far emergere la prua fino a quando non si è in grado di garantire la stabilità trasversale della chiatta, dopodiché si espelle zavorra dalla poppa per provocarne il distacco dal fondale. Una volta avviata, l’emersione della poppa è molto rapida e non può essere arrestata. Sui fondali fangosi, l’effetto ventosa del fondale rende l’emersione ancora più subitanea e meno controllabile.

Alternativamente all’effettuazione delle operazioni con immersione ed emersione in acqua libera, varo e messa a secco possono essere effettuati dentro ad un bacino di carenaggio di dimensioni adeguate. La chiatta in questo caso sarà poggiata sullo scalo del bacino ed il livello dell’acqua in vasca gestito dal personale del bacino su indicazioni del personale della chiatta.


Mentre le operazioni di varo e presa in carico sono sempre vissute dentro la dimensione tecnico-nautica tipica della cantieristica navale o dell’offshore, nei grandi trasporti ci si ritrova ad operare in una dimensione terrestre, dove il personale della chiatta spesso è costretto ad interfacciarsi con persone che non hanno la minima idea di cosa sia un trasporto marittimo. In questi casi, i comportamenti dinamici dell’insieme chiatta / carico causati dalle maree, dal vento e dalla risacca del porto, generano nel terrestre il bisogno irrefrenabile di fare domande:

* Perché la chiatta sta affondando? Non stiamo affondando è la bassa marea.

* Perché la banchina è piu’ bassa della chiatta? Siamo in alta marea, il livello del mare è salito.

* Perché la chiatta prima era dritta e adesso è sbandata? Portiamo una struttura alta 70 metri, il vento ci fa sbandare.

* Perché non riuscite ad impedire che si muova quando passano le navi? Perché non siamo un camion posteggiato in un piazzale.

Se il personale del noleggiatore è completamente nuovo a questo tipo di operazioni, alla fine della giornata si torna a casa o in albergo con un bel mal di testa. Quando si lavora fuori sede, il protocollo serale è quello di tutte le trasferte: doccia, rendicontazione della giornata, aperitivo e/o telefonate, cena e giretto in città, quattro chiacchere con i colleghi prima di andare a dormire anche per organizzare le attività del giorno dopo.

Quando si lavora a bordo di queste cenerentole dell’armamento navale le giornate sono lunghe ma le soddisfazioni non mancano. Vedere l’ultimo asse di un grande convoglio che scende a terra o sale a bordo, completare il varo oppure mettere a secco una costruzione navale, vedere la chiatta che si allontana dalla diga trainata dal rimorchiatore d’altura è sempre appagante. Umili quanto versatili, le chiatte semisommergibili possono vantare una flessibilità d’ impiego che non teme paragoni.

 


 

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A.

 

Rapallo, 26 Luglio 2018

 

A cura del webmaster Carlo Gatti


L'AVVENTUROSA MANOVRA DELLA "TUBUL"

L'AVVENTUROSA MANOVRA

DELLA "TUBUL"

di Massimiliano GAZZALE - Pilota del Porto di Genova

 

Nel nostro lavoro la possibilità di un'avaria è sempre in agguato. Ogni Pilota del porto di Genova esegue diverse centinaia di manovre all'anno. Nel momento in cui si agguanta una biscaglina, oppure quando si posa il piede sullo scalandrone di una nave, deve diventare automatico girare l'interruttore che scollega i pensieri e i problemi che non riguardano la manovra che si sta per affrontare: pena la mancanza della "presenza" necessaria ad affrontare gli imprevisti. In questo articolo il Com.te Gazzale ci porta con lui durante una di queste avventure. Uno degli obiettivi del sito SBE è quello di far conoscere realtà portuali/marittime poco comuni. E' questo il motivo per cui  trovate numerosi articoli scritti da persone provenienti dalle più disparate realtà. Invito chiunque si riconosca in questa filosofia a farsi avanti con storie, avventure e/o descrizioni, per raccontare il loro mondo visto e vissuto dall'interno. A presto!

J.G.

Quella mattina di Maggio il vento era debole e l’aria iniziava a essere tiepida. Il debole chiarore a levante annunciava l’allungarsi delle giornate.

Nella Stazione Operativa, i piloti montanti guardavano alternativamente gli schermi della programmazione dei lavori e la lavagna elettronica che riportava la cartina e i segnali AIS delle navi, mentre l’operatrice notturna smontante descriveva il traffico in corso e quel che si prevedeva accadesse di li a poche ore.

Lo schermo AIS mostrava una sagoma sulla linea delle 7 miglia. Dirigeva verso l’imboccatura di levante e ci colpì per la bassa velocità mostrata dal target.

Era una portacontenitori e, solitamente, queste navi arrivano in fretta, ma non sono mai abbastanza veloci agli occhi degli interessati alle operazioni commerciali. Per noi non fa nessuna differenza: quando arriva noi la portiamo dentro.

L’operatrice radio ci disse che la nave aveva avuto alcuni problemi, non meglio precisati, alla macchina durante la notte, ma sembrava li avesse risolti. Il VTS (Vessel Traffic Service) era stato informato dalla nave stessa e nessuna indicazione, o richiesta di azione, era stata avanzata verso i piloti. La nave stava regolando il suo ETA autonomamente. Era tutto chiaro.

Questo tipo di nave, per entrare in porto, richiede la presenza di 2 piloti e un certo tipo di garanzia sullo stato di efficienza generale. Chiunque di noi fosse andato a bordo avrebbe fatto più di una domanda al Comandante per essere rassicurato sull’effettiva risoluzione dell’avaria denunciata.

La TUBUL è una nave portacontenitori costruita nel 2011 in Corea del Sud, di circa 90.000 tsl per una lunghezza di quasi 300 m e una larghezza di 45. Considerando gli spazi a disposizione per raggiungere l’ormeggio assegnatole, possiamo dire che è una grossa nave.

Raggiunta la distanza di tre miglia dall’imboccatura, la Tubul fu assegnata a me e al collega che mi seguiva nell’ordine. Contattai la stazione rimorchi per predisporre due “pezzi” per l’arrivo.

La nave e il VTS confermarono le buone condizioni operative per la manovra. Non avevamo idea di quali problemi avesse avuto in macchina ma, evidentemente, non erano stati tali da provocare allerte particolari.

La pilotina uscì in anticipo per andare incontro alla nave: volevamo imbarcare un po’ prima del solito per “annusare” la nave, l’equipaggio e il Comandante.

Girando intorno alla nave con la pilotina, notammo che era molto carica, e che lo specchio di poppa toccava quasi in acqua.

La manovra di ormeggio può essere interpretata in modi diversi e, manovrando in due piloti, si ha l’indubbio vantaggio di poter discutere su diversi punti di vista. Questa volta non avevamo dubbi, non avremmo usato calata Gadda per l’evoluzione (nonostante la praticità che offriva questa scelta) optando per una manovra leggermente più lunga, ma sicuramente più sicura in caso di dubbi sull’efficienza della macchina: l’avamporto.


Un giovane Comandante ci accolse cordialmente sul Ponte di Governo, dove iniziammo lo scambio delle informazioni.

Dopo le formalità circa i dati statici e dinamici, l’ormeggio e la manovra che si intendeva proporre al Comandante, il mio collega venne al sodo chiedendo le condizioni della macchina. Il Comandante ci spiegò che il sistema di allarme li aveva costretti a ridurre la velocità di navigazione, ma che per la manovra non ci sarebbe stato nessun problema.

La conduzione della manovra fu lasciata a me e iniziai a suggerire al comandante rotta, velocità e indicazioni su come "voltare" i rimorchiatori a prua e a poppa.

Girare in avamporto ha vantaggi e svantaggi. In questo caso preferivamo fermare la nave prima di quanto avremmo fatto girando alla Gadda ed evoluire in un bacino più ampio, anche se, in termini di tempo, avremmo impiegato diversi minuti di manovra in più. La manovra in avamporto si esegue ruotando la nave al contrario della via dell’elica, e questo comporta una maggiore resistenza, ampiamente compensata dall’utilizzo di ottimi rimorchiatori e di una buona elica prodiera.

Fermare la nave prima significa scoprire in anticipo come agisce la potenza del motore sul peso della nave e, in quel contesto, verificare se la macchina sarebbe partita indietro, che poi era il dubbio presente nelle nostre menti dal momento in cui ci fu assegnato quel lavoro.

Tutto procedeva regolarmente: il rimorchiatore Svezia era stato voltato a prua e il Germania a Poppa; la macchina partì regolarmente indietro e con un’efficienza tale che non fu neanche necessario mettere il Germania in bozza a frenare. Due “barche” potenti portate da due voci note, eravamo in buone mani.

L’evoluzione iniziò con Svezia e Germania che vogavano più o meno al traverso, aiutati dal bow thruster che, con la sua lunga scia mostrava i muscoli. Avevamo ancora un leggero abbrivo in avanti, e questo mi piaceva: il Germania lo avrebbe smorzato di lì a poco, perché vogando al traverso di poppa, in realtà il rimorchiatore è sempre un pò sguardato e questo lo fa agire anche da freno.


La poppa della nave superò il pontile Ente Bacini Esterno con abbrivo residuo zero come previsto. Poco dopo  il Comandante mi informò sulle  distanze e io gli suggerii di avviare nuovamente la macchina indietro, che partì regolarmente.

Fermati i rimorchiatori, gli indicai di restare pronti “in filo” di prua e di poppa pronti per ogni evenienza. Guadagnavamo spazio verso il punto critico della manovra: lo spigolo del fanale rosso in testata Sanità.

Questo “angolo” del porto di Genova meriterebbe paginate di considerazioni per la brutta fama che porta con sé. E’ l’ostacolo per ogni manovra del Porto Vecchio, è un guardiano implacabile, un monito per tutti, un coltello affilato puntato al fianco di navi comandanti e piloti; va trattato con rispetto, tanto più rispetto quanto più uno intende passarci vicino, perché lui non teme nulla, resta lì, sono le navi e le gambe di chi le governa che tremano guardandolo scorrere al traverso.


Fermai la macchina quando il comandante mi avvertì che avevamo circa 3 nodi di velocità indietro. La poppa era ancora all’altezza del Paleocapa Saar e a tre nodi avremmo impiegato poco più di un minuto per trovarci all’altezza del fanale “rosso”. Tutto perfetto: il giusto abbrivo indietro, macchina ferma e pronta per essere avviata in avanti, rimorchi pronti ad agire in qualunque direzione. Quando lo ritenni opportuno dissi al comandante che avremmo iniziato a ruotare per portarci paralleli alla banchina di ormeggio. Suggerii e chiarii bene le fasi successive, perché gli spazi si sarebbero fatti più stretti e i tempi più corti. Stava per iniziare l’ultima fase della manovra, quella più delicata.

Indicai al Germania di vogare in banchina, cioè verso la Sanità, il bow thruster al lavoro a sinistra e lo Svezia in voga a Nord per far “salire” la prua, valutando istante per istante la curva di evoluzione per passare alla giusta distanza dal fanaletto “rosso”. Nella rotazione la nave avrebbe perso parte della velocità naturalmente, mentre il Germania avrebbe contribuito con una forza vettoriale indietro. Tutto sotto controllo.

La velocità di rotazione della prua era superiore rispetto a quella della poppa e questo mi piaceva: la prua doveva rimontare decine di metri rispetto alla poppa per raggiungere una posizione dinamica parallela alla banchina. A un certo momento fu chiaro che la velocità di rotazione residua sarebbe stata sufficiente, così fermai lo Svezia, il BT (bow thruster) e ricontrollai la velocità indietro:  circa 2,5 nodi come previsto, sufficiente a raggiungere la posizione di ormeggio e a considerare la nave in pieno controllo. E’ una velocità che corrisponde a circa 75 metri al minuto (mi piace, quando manovro, considerare in questo modo la velocità, perché mi dice in un orecchio quanto tempo ho in base allo spazio disponibile e mi aiuta a capire cosa fare, quando farlo e se posso farlo). Calata Sanità è poco più di 520 metri – quando mi trovo al traverso del fanale “rosso” considero sempre 500 per buona misura – e a quella velocità, senza intervenire, ci sarebbero voluti circa 6 minuti per arrivare in fondo, senza tenere conto della perdita di velocità naturale della nave. Avevamo tutto il tempo che serviva. Il Comandante confermò i miei pensieri quando l’ufficiale di poppa gli comunicò la distanza di poppa, 450 metri circa, non sapeva che io stavo contando le bitte in banchina, ed ero molto più preciso di lui.

Suggerii al Comandante di liberare lo Svezia, prevedendo di usarlo alla spinta verso poppa, visto che a prua avevamo il BT e che per affiancare la nave sarebbe servita una spinta trasversale, mentre il Germania sarebbe stato pronto a vogare per allargare la poppa in caso di necessità. Concordato questo ricontrollai le bitte.

400 metri, 5 minuti circa. Dal terminal mi chiamarono via radio dicendo che la posizione questa volta sarebbe stata sulla bitta 8 invece che sulla 5, mi sembrava di ricordare la stessa cosa e confermai via radio, in quel momento feci un riepilogo della situazione al comandante:

· Germania fermo e pronto in fuori,

· Svezia in procinto di essere liberato,

· macchina ferma e BT fermo,

· timone in mezzo.

Il comandante confermò 2,3 nodi di velocità indietro.  A quel punto suggerii di dare macchina avanti, valutando che alla bitta 8 mancavano meno di 5 minuti e considerando che, visto il pescaggio della nave, un nodo di velocità e qualche minuto in più di manovra mi stavano più che bene. Inoltre avrei avuto il tempo di passare i cavi a terra in sicurezza e di avere lo Svezia pronto alla spinta verso poppa in tempo utile.

300 metri, 2 nodi, 5 minuti dalla fine della banchina.

Mr Pilot disse il comandante serio –  la macchina non parte!

Io e il mio collega, che nel frattempo mi aveva raggiunto passando dall’aletta di sinistra a quella di dritta, ci scambiammo uno sguardo che tradotto significava: piano B!

Sapevo di dover continuare a dare indicazioni al Comandante senza allarmarlo più di quanto già non fosse, e sapevo che il mio collega avrebbe avuto la calma necessaria per valutare ogni mia singola parola integrandola se necessario.

In quel momento dalla prua arrivò la notizia che il rimorchiatore era libero. Ottimo! Pensai.

Prima cosa la sicurezza delle persone e quindi avvisai gli ormeggiatori sulla barca, già pronti a prendere gli spring di prua, e lo Svezia di allontanarsi perché avremmo dato fondo alle ancore. Non appena l’area fu sgombra suggerii al Comandante di dare fondo subito a tutte e due le ancore.

250 metri, 2 nodi, 4 minuti.

Il rumore di ferro arrivò dalla prua come un tuono lontano, avvisandoci che le grosse ancore erano sul fondo e stavano chiamando la catena in acqua.

Guardai a poppa, non vidi la scia del’elica e pensai alla poppa della nave e al suo specchio tronco… guardai il mio collega.

Germania! ce la fai a spingere sullo specchio di poppa?

il Germania è uno degli ultimi modelli di rimorchiatori in forza a Genova; oltre ad una potenza micidiale ha anche una prua molto alta e ampia che si presta bene alla spinta e per questo lavoro lo specchio di poppa della Tubul era perfetto.

– Sì, se mi da due minuti mi accorcio il cavo e vado.

Non li hai due minuti Germania, fai quel che puoi, quando ci sei spingi con tutto quel che hai.

– Ricevuto, vado!

Sapevo dal tono di voce del Comandante del Germania che aveva capito perfettamente la situazione. Il mio collega annuiva e guardava il comandante che comunicava con la sala macchine e muoveva la leva del motore. L’aria per l’avviamento era a livelli alti, il problema era un altro e sconosciuto, ma sicuramente non avremmo avuto la macchina in tempi brevi.

Svezia, quando hai recuperato il cavo dirigiti a poppa e spingi insieme al Germania, puoi farlo vero?

Sì certo, sto andando!

Due rimorchiatori di quella potenza utilizzati alla spinta sono una garanzia, in più avevo le catene e le ancore che stavano mordendo il fondo

200 metri 1,7 nodi, meno di 4 minuti

La velocità stava scendendo, buona notizia, tutte le forze a nostra disposizione stavano operando correttamente. Parlando con il comandante, che era molto teso, concordammo di provare a frenare le ancore dopo che la quinta lunghezza fosse andata in acqua. Oltre 100 metri di catena sul fondo avrebbero agguantato maledettamente bene!

– Il Columbia sta arrivando!

La stazione di controllo dei rimorchiatori, che non stava affatto dormendo, aveva già mandato un altro rimorchiatore in assistenza, buona notizia.

150 metri, 1,5 nodi, 3 minuti

Quando il tempo a disposizione diminuisce meno rapidamente della distanza è sempre un sollievo e sentivo che la situazione era sotto controllo. Eravamo tutti in attesa, la velocità diminuiva più lentamente ora. Il mio collega mi informò che aveva già avvisato l’Autorità Marittima e la stazione piloti.

100 metri, 1 nodo, 3 minuti

Pensai ai 50 metri dei rimorchiatori di poppa più i 50 metri residui e immaginai la scia che dirigeva verso la banchina. Presi un’ultima precauzione.

Germania, Svezia, fischiate per avvisare se ci fosse qualcuno in banchina.

– Comandante siamo fermi!

Mi anticipò il Germania, non sapendo che l’abbrivo della TUBUL aveva tutta l’attenzione che ero in grado di avere da qualche minuto; il problema adesso era l’opposto: smorzare l’abbrivo in avanti.

Bene, Germania e Svezia fermatevi! Germania pronta a frenare con il cavo.

Con tre rimorchiatori, la nave in pieno controllo, iniziammo a salpare le catene.

Successivamente e lentamente dirigemmo in banchina, non prima di aver effettuato un paio di test positivi sul motore che partì regolarmente per il sollievo del comandante.

A nave ormeggiata era giunto il momento di congedarsi. Il Comandante ci strinse le mani ringraziandoci calorosamente  per come avevamo condotto la manovra, ben consapevole che di lì a poco sarebbe stato "intervistato" dalle autorità. Dal nostro canto ringraziammo lui e l’equipaggio per l’ottimo lavoro di squadra, e soprattutto i rimorchiatori, rivelatisi decisivi in questa emergenza.

La pilotina era già pronta di poppa. Altre navi ci aspettavano per andare all’ormeggio.

 

Rapallo, 12 Luglio 2018

webmaster: Carlo Gatti

 


 

 



LE RIPARAZIONI NAVALI DEL PORTO DI GENOVA

 

LE RIPARAZIONI NAVALI DEL PORTO DI GENOVA

di Fausto Mazza

 

Zona Industriale delle Riparazioni Navali

Negli spazi esigui delimitati fra punta molo vecchio a ponente e la marina della fiera a levante, esiste la Zona Industriale delle Riparazioni Navali, una realtà del nostro porto dove ogni giorno si attua la convivenza, spesso forzata, di importanti realtà dell’industria navale con attività storiche di aggregazione sociale e del diporto nautico.

L’attività delle Riparazioni Navali del Porto di Genova ha il suo baricentro nei bacini di carenaggio, gestiti dall’ Ente Bacini che vengono messi a disposizione delle Officine di Riparazione, dei Cantieri Navali e delle Società Armatrici per tutti quei lavori che necessitano della messa a secco della nave per la loro esecuzione.

L’ingresso di una nave in bacino è una manovra che non ammette errori, la sua esecuzione è fortemente condizionata da vari fattori fisici quali le dimensioni della nave, l’estensione della sua opera morta con il relativo effetto vela, le caratteristiche del suo apparato propulsivo e di manovra, l’ingresso della nave in vasca con la prua o con la poppa, la necessità di mantenere in vasca una posizione obbligata in relazione all’ esecuzione dei lavori o meno, l’intensità e la direzione del vento.

A seconda delle caratteristiche di manovra della nave, delle condizioni meteorologiche, e/o di particolari esigenze tecniche legate al posizionamento della nave nella vasca, il coinvolgimento dei servizi portuali potrà essere limitato al solo Pilota o esteso anche a rimorchiatori e ormeggiatori.


La nave si sta avvicinando al Bacino di carenaggio

Esaurita la fase piu’ dinamica dell’ingresso in vasca e stabilizzata la nave sugli ormeggi, inizia quella meno spettacolare, ma altrettanto importante, del centraggio della nave e successivo prosciugamento della vasca.

Durante questa fase, il Dock Master affina la posizione della nave in vasca facendo tonneggiare la nave sugli ormeggi, con l’ausilio dei sommozzatori verifica il corretto posizionamento della carena rispetto allo scalo e, coordinandosi con il personale di bordo, progressivamente svuota la vasca portando la nave ad appoggiarsi sullo scalo.

Ai fini della buona riuscita di queste manovre, la sinergia fra l’equipaggio della nave, i servizi portuali e il Dock Master, è fondamentale.

Esauriti gli aspetti tecnico nautici delle manovre di ingresso in vasca e incaglio, le attività in bacino diventano attività di natura industriale. Le lavorazioni che vengono effettuate in bacino sono quelle caratteristiche della riparazione navale:

Carenaggio vero e proprio con lavorazioni di lavaggio ad alta o altissima pressione, sabbiatura, pitturazione a spruzzo di tipo airless;

Lavorazioni di carpenteria metallica pesante, quali la demolizione mediante ossitaglio, lo sbarco di parti dello scafo e la loro sostituzione con elementi nuovi  da montare sul posto e poi saldare;

Interventi di manutenzione meccanica a carico degli apparati di propulsione e governo che possono comportare lo smontaggio la movimentazione ed il rimontaggio di parti di dimensioni e peso notevolissimi, quali eliche e assi porta eliche, timoni, pinne stabilizzatrici.


La nave é allineata sull'asse del bacino

I lavori piu’ spettacolari sono quelli che prevedono una componente di movimentazione dei carichi. Tipicamente queste lavorazioni si concretizzano negli sbarchi e/o imbarchi di grossi macchinari oppure negli smontaggi e/o montaggi di componenti meccaniche in carena quali timoni, stabilizzatori, bow thrusters, eliche e assi. In questi casi il personale addetto alle movimentazioni, i cosiddetti “marinai” di cantiere, lavorano fianco a fianco con i meccanici, fornendo loro l’assistenza necessaria a presentare e a montare pezzi di peso considerevole e grandi dimensioni con le tolleranze minime tipiche delle lavorazioni meccaniche.

Gli imbarchi di grandi macchinari più spettacolari sono caratteristici delle grandi avarie o dei lavori di trasformazione, operazione resa più complessa dalla presenza della struttura e degli impianti esistenti a bordo.

Questi lavori prevedono: una fase di preparazione, che comporta lo smontaggio degli impianti e il taglio delle strutture che potrebbero ostacolare la manovra; la manovra di movimentazione vera e propria, che può richiedere l’intervento di mezzi di sollevamento esterni al Cantiere quali pontoni o gru semoventi di grande portata; il posizionamento con successivi montaggio e collegamenti; il ripristino delle strutture e degli impianti circostanti precedentemente demoliti.

Le soste in bacino delle navi sono sempre caratterizzate dal poco tempo a disposizione. A prescindere dagli oneri derivanti dal fermo nave, il nolo della vasca comporta sempre un esborso consistente per gli Armatori, che vogliono ridurre al minimo la sosta sfruttandola al massimo. Il personale della ditta assuntrice dei lavori si trova a operare in una situazione caratterizzata da una grande pressione commerciale.  Qui entra in ballo la professionalità delle figure che intervengono a bordo, che dovranno gestire lavorazioni talvolta pericolose e spesso incompatibili fra loro, garantendo, oltre all’esecuzione delle lavorazioni nei tempi previsti e a soddisfazione del cliente e della Società di Classificazione, anche il rispetto delle normative vigenti in materia di igiene e sicurezza. Non è un compito facile.

Le professionalità che intervengono a bordo delle navi e in bacino sono varie. Carpentieri in ferro e saldatori, tubisti, meccanici, elettricisti ed elettronici, falegnami, moquettisti, piastrellisti, coibentatori, picchettini e applicatori, marinai di cantiere e ponteggiatori lavorano fianco a fianco, sotto il coordinamento del Cantiere, con in mente la data di fine lavori convenuta col cliente. Durante l’esecuzione delle lavorazioni, la teoria, spesso, deve lasciare il campo a favore della pratica. Il contributo apportato da tecnici e maestranze esperti è sempre determinante ai fini del successo, sia tecnico che commerciale, delle operazioni.

Le Riparazioni Navali sono un mondo relativamente piccolo dove tutti si conoscono.  Trovandosi spesso assieme per effettuare lavorazioni particolari in condizioni a volte al limite mette le persone alla prova e fa sì che fra di esse si sviluppi un particolare senso di appartenenza e di cameratismo. In questo ambiente particolare e, se vogliamo, un po’ antiquato, il concetto di “politicamente corretto” non ha attecchito. Per chi non è dell’ambiente, il primo impatto con questo modo di essere tipicamente portuale fatto di mugugni, sfottò, conversazioni urlate con le mani davanti alla bocca a mo’ di altoparlante, puo’ essere duro. Tuttavia, professionalità, serietà e rispetto reciproco sono in questo ambito, più che altrove, valori fondamentali per la convivenza sul posto di lavoro e per la buona riuscita dei lavori.


Il Comandante dell’Ente Bacini Antonio Lo Curzio ed il C.P. John Gatti

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è il 1° Yard Captain – HSE Manager presso T. Mariotti S.p.A. – Shipyard

 

Rapallo 22 Giugno 2018

Webmaster: Carlo Gatti

 

 

 


MSC SEAVIEW a Genova

MSC SEAWIEW

GENOVA, IN PORTO LA NAVE DEI RECORDS


7 Giugno 2018


In quest’ultimo decennio stiamo assistendo ad una massiccia espansione nel settore delle navi PASSEGGERI. Anche le loro linee architettoniche sembrano proiettate verso progetti “futuristici” in cui shape, eleganza e funzionalità si sposano con le nuove esigenze di mercato, turismo e desiderio di evasione.

Molti fattori strategici stanno giocando proprio in questi giorni un ruolo di massima importanza per il futuro del Porto di Genova e della Liguria. Possiamo solo sperare che prevalga il buon senso di tutti gli operatori di questo immenso e strategico porto che si trova al centro di due splendide Riviere, principali attrazioni del turismo internazionale.

Genova sta attirando le più grandi Compagnie di Navigazione del pianeta perché trovano in esso tutti i più moderni sistemi operativi e strutturali che sono necessari per la loro attività che, fattore importantissimo, va ad innestarsi nel tessuto economico della nostra regione e non solo.

 


 

La MSC SEAVIEW in navigazione

 


 

La MSC SEAVIEW in acque di pilotaggio

 


 

La MSC SEAVIEW prende il pilota

La MSC SEAVIEW entra in porto a Genova



Consolle di manovra. La MSC SEAVIEW in evoluzione in avamporto

 

La MSC SEAVIEW attracca a Ponte dei Mille Ponente

 


La MSC SEAVIEW é ormeggiata

 

Genova – È arrivata nel porto del capoluogo ligure alle prime luci del mattino, la nuova nave della compagnia da crociera la

MSC SEAVIEW

Sabato è in programma per lei la festa di inaugurazione alla Stazione Marittima .

La MSC SEAVIEW è la seconda delle due unità gemelle classe Seaside ordinate a maggio 2014 per la prima volta in Italia dalla compagnia di navigazione Msc Crociere, controllata del gruppo svizzero Msc di Gianluigi Aponte. Il valore della commessa è di 1,6 miliardi di euro, cui si aggiungono le già ordinate Seaside Evo, due unità più grandi (da 153 mila a 169 mila tonnellate di stazza lorda, consegna 2021 e 2023), per un investimento totale di 3,5 miliardi di euro.

La nave, come tutte le unità fatte realizzare da MSC dal 2006 in avanti, è dotata di allaccio alla rete elettrica: significa che tecnicamente è in grado di alimentare, da ormeggiata, i gruppi elettrici allacciandosi alla rete portuale (cold ironing) spegnendo i motori, evitando emissioni inquinanti e consumi. Tuttavia, da 10 anni questa parte la tecnologia è andata avanti, così oggi fonti di settore calcolano che una nave come la “Seaview”, pur essendo circa il 50% più grande delle unità mediamente prodotte due lustri fa (100-110 mila tonnellate) consuma il 25% in meno, sostanzialmente per effetto di diversi accorgimenti, il più evidente, la sostituzione dell’illuminazione tradizionale con quella a tecnologia Led).

Se però in Italia il cold ironing oggi è applicabile in via teorica nei porti di Civitavecchia e Livorno, diversa è la normativa, più stringente dal 2020, circa le emissioni: l’unità ha un sistema di pulizia dei gas di scarico (Egcs) che rimuove 97,1% del diossido di zolfo prodotto dalle ciminiere, riducendo anche il particolato. Razionalizzati anche i sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria, tra le principali fonti di consumo delle navi. Obiettivo è la distribuzione intelligente tra aria calda e fredda, anche con sistemi di recupero del calore (quello della lavanderia per esempio serve per riscaldare le piscine e altre parti della nave).

MSC SEAVIEW è una nave all’avanguardia sotto ogni aspetto. Con i suoi 323 metri di lunghezza e i suoi 18 ponti è in grado di ospitare circa 5.200 passeggeri. La nave è dotata di numerose cabine di ogni tipo, tra cui MSC Yacht Club Royal Suite, 57 metri quadrati di superficie e 33 di balcone e MSC Yacht Club Deluxe Suite, per vacanze di lusso e trattamenti riservati. Ora MSC Yacht Club è disponibile anche in cabina interna, per viverti la nave al 100% ma non rinunciare mai al comfort. A bordo, solo il meglio per te. Intrattenimento curatissimo sotto ogni aspetto: spettacoli a teatro indimenticabili, bar e lounge che soddisferanno ogni tuo capriccio, piscine e ambienti che avverano i tuoi desideri ancora prima che tu li abbia espressi. La nave di ultimissima generazione è dotata di sistema Advanced Water Treatment per rimuovere sostanze inquinanti e di sistema di illuminazione a LED per ridurre il consumo energetico e diminuire l’impatto ambientale. Lo scafo, le eliche e i timoni sono stati studiati per ridurre i consumi, per vacanze nel rispetto dell’ambiente.

Dati Tecnici

Anno costruzione: 2018

N° Ospiti: 5179

N° Equipaggio: 1413

N° Ponti: 18

Stazza: 160000 ton.

Lunghezza: 323.00 m.

Larghezza: 41.00 m.

Velocità crociera: 22 nodi

 

ALTRE FOTO DELLA NAVE

 

La nave ha evoluito in avamporto e sta indietreggiando verso la banchina

 

 

 

 

Il Ponte di Comando della nave

 

 

 

A sinistra la nave da crociera CROWN PRINCESS

della Princess Cruises

 

 


Carlo GATTI

Le foto sono di John GATTI


Rapallo, 8 Giugno 2018



LA NASCITA DI UN...ORMEGGIATORE PORTUALE

LA NASCITA DI UN…. ORMEGGIATORE PORTUALE

di Alessandro Serra

Premessa

LA MANOVRA PORTUALE POGGIA SU TRE ORGANIZZAZIONI:

Piloti-Rimorchiatori-Ormeggiatori

 

Alessandro Serra, Presidente Europeo degli Ormeggiatori, schiude la porta sul loro mondo.

 

Non c'è politica, né retorica né, tanto meno, burocrazia nel caloroso articolo scritto da Alessandro Serra. Piuttosto uno spaccato di vita raccontato con il cuore, per presentare una categoria che ha una storia ricca di avventura, di professionalità e di aneddoti che diventano una vera e propria scuola di vita.

 


Vorrei provare a rendervi partecipi di come nasce un ormeggiatore del porto, o più semplicemente di come io ritenga di essere diventato ormeggiatore.

Giova probabilmente, per il proseguo della lettura, descrivere per sommi capi cosa è e cosa fa un ormeggiatore. Figura antica quanto la navigazione, l’ormeggiatore, lo dice la parola stessa, ormeggia e disormeggia, da sempre, le navi nei porti di tutto il mondo. Un tempo collocando e trasportando le ancore dei bastimenti chiamati “legni” nella posizione opportuna all’interno della rada portuale, oggi connettendo e disconnettendo i cavi delle navi alle bitte delle banchine portuali, dei pontili in/off shore, dei campi boe, garantendo la sicurezza dell’ormeggio per tutta la durata dello stazionamento nell’ambito portuale.

Oggi gli ormeggiatori utilizzano potenti motobarche e verricelli, addirittura innovazioni tecnologiche di tensionamento e monitoraggio dei cavi delle meganavi che solcano i mari e che devono trovare approdi sicuri.

Il mio intento però è provare a tratteggiare più la componente umana che quella professionale, più quella intima e pittoresca che quella tecnica e di moderna innovazione – che comunque l’ormeggiatore ha dovuto ovviamente mettere  nel proprio bagaglio di lavoratore – più la nascita (l’essere) dell’ormeggiatore che quello che fa.

 

In Italia, il primo obbligatorio passaggio per la nascita di un ormeggiatore, e’ quello di partecipare a un bando di concorso tenuto dalla Capitaneria di porto, che seleziona i marittimi che si candidano sulla base di prove pratiche di “arte marinaresca” e di prove teoriche sulle materie tecnico-nautiche e marittime.

Coloro che risultano vincitori devono entrare nella locale organizzazione di ormeggiatori, nel mio caso il Gruppo Antichi Ormeggiatori del porto di Genova. Il giovane vincitore di concorso si presenta presso gli uffici del Gruppo, dove, insieme agli altri vincitori, è accolto dal Capogruppo con un rapido discorso di benvenuto, di presentazione della cooperativa, modalità di assunzione e formazione e soprattutto di avviamento al lavoro, in quanto “meno male che siete arrivati ci sono turni in banchina da coprire e i soci non vedono l’ora di conoscervi”. Il presagio che ci sia un forte bisogno di forza lavoro c’è, e per circa un mese tutto fila via paludato, teorico e formativo per quel che prevede la norma, a volte asettico e a volte si prova la sensazione quasi di essere coccolati: poi arriva il primo turno, la prima giornata. Si monta alle 5.30 am, ma si sa che è bene, soprattutto per i neoassunti, presentarsi un po’ prima. Sveglia alle 4.30 e via per la sede del gruppo, felici perché inizia la nuova avventura, consapevoli della propria preparazione, ma con una ragionevole dose di ansia per tutto quello che si è sentito raccontare…… E dunque……… Si entra in “sala“ dove si incontrano alcuni neo colleghi, uomini di tutte le età….. è l’ora del cambio quindi non si capisce chi monta e chi smonta…… le navi che stanno entrando in porto una dopo l’altra chiamano ai VHF…… e chiamano i piloti…… e chiamano le squadre di ormeggiatori già operative in banchina….. si ascoltano i movimenti dei rimorchiatori…….. e alcuni dei presenti nemmeno ti salutano (anche se sanno benissimo chi sei), altri ti dicono “fai veloce, cambiati che c’è da andare”….. (ma come, sono montato mezz’ora prima per fare con calma?!)…….. e alle 5.20, dopo una bella corsa in macchina per le strade di un porto ancora sonnacchioso, ti ritrovi nell’oscurità di una banchina che non sai se sia l’Etiopia o l’Eritrea, levante o ponente, radice, prolungamento o testata, (eppure avevo studiato tutto)…. cammini verso il ciglio della banchina, verso il mare e improvvisamente appare come un’astronave la nave che devi ormeggiare, che con il suo bagliore illumina tutto. Si segue come un’ombra il collega più anziano…. ci si rende conto che a prora c’è un’altra squadra di ormeggiatori…. ne arriva un’altra con il gozzo…… tutto diviene più frenetico e tu hai il cuore in gola….. la nave e’ in prossimità della postazione di ormeggio…. si comunica a voce (urla belluine) con gli uomini dell’equipaggio della nave (con un gergo marittimo portuale che sembra inglese ma che, capisci dopo, in realtà è un mix di linguaggi delle marinerie più numerose in giro per il mondo, compreso un po’ di dialetto genovese) per concordare come e quali cavi dare, si comunica con piloti e rimorchiatori via VHF per la posizione finale della nave…… ti lanciano da bordo l’heaving-line (sagola da lancio o appesantita), in genovese si traduce “u livellaine”, cui uno dopo l’altro sono voltati i cavi da ormeggio…. il gozzo con i tuoi colleghi te ne porta altri in prossimità della bitta e quasi magicamente la nave è ormeggiata!


A quel punto capisci di non aver colto quasi nulla di quello che si è fatto, di essere lì per fare l’ormeggiatore ma di non essere ancora un ormeggiatore, e un po’ di timore si insinua dentro di te e ti domandi quando sarai in grado di gestire tutto quello che hai visto solo nella tua prima ora e mezza di lavoro.

Passano i giorni, passano i mesi, a volte gli anni e il quadro a tinte fosche inizia a divenir nitido: si matura la conoscenza dei colleghi che lavorano insieme a te per turni di dodici ore, degli uomini del Corpo Piloti, dei pilotini e degli equipaggi dei rimorchiatori, si impara ad ascoltare la radio VHF quarzata sui canali marittimi dedicati ai servizi portuali e alle emergenze; si inizia ad usare la gestualità marinaresca per salutare e comunicare con gli equipaggi di tutto il mondo. Le navi chiamano, i piloti rispondono e tu riesci a calcolarne  i tempi di evoluzione e manovra a seconda della postazione di ormeggio, dell’utilizzo dei rimorchiatori e della presenza di altre navi: il porto da teorica mappa diventa il tuo habitat naturale e materiale, lo tocchi, lo vivi, ne conosci ogni angolo, ogni insidia, ogni bitta e ogni parabordo e il tuo sapere diviene “saper fare”!

Quando sali sul tuo gozzo e riconosci se il suono del motore sia o meno la musica giusta, controlli le bozze di banco per voltare anche i cavi più “maleducati”, verifichi che il tuo coltello sia alla via, quando ti muovi con destrezza tra i bulbi delle navi che vanno all’ormeggio e i remoni (scie) dei rimorchiatori che le aiutano ad arrivare in banchina, quando capisci anche dal tono di voce del pilota se e quando devi parlare al VHF e quando non devi occupare il canale, allora vuol dire che hai la consapevolezza di riuscire a lavorare riducendo al minimo le insidie che si presenteranno.

E quando poi realizzi che chi non ti aveva dato nemmeno il buongiorno il tuo primo giorno di lavoro e’ proprio colui che più di tutti  è stato attento alla tua incolumità fino a quel momento, allora torna tutto, il primo vagito, ci siamo: è nato un ormeggiatore ……e si deve solo iniziare a crescere!

 

Rapallo, 6 Giugno 2018



UNA GIORNATA DA COMANDANTE di Rossella Balaskas

 

UNA GIORNATA DA COMANDANTE

di

Rossella Balaskas


Immaginiamo una giornata di navigazione tipica, con tempo buono: sveglia tra le 7 e le 7:30, un’occhiata fuori, un’altra al GPS e al ripetitore ECDIS sopra la scrivania; bevo il caffè davanti al computer, mentre invio i messaggi di ETA (estimated time of arrival) al prossimo porto e agli eventuali porti successivi.

Poi salgo sul ponte.

Dalle 8 alle 12 è di guardia il 3°Ufficiale, solitamente una persona di giovane età e con poca esperienza di mare, quindi da seguire attentamente: rispondo alle sue domande, lo incoraggio, gli lascio qualche lavoro da fare nel pomeriggio…

Alle 9 aprono gli uffici a terra e, puntualmente, arrivano copiose le e-mail: documenti da preparare per i prossimi porti; ispezioni da organizzare; chiarimenti su materiale da ordinare; controlli da fare sulla base di osservazioni fatte ad altre navi, per essere sicuri di non avere gli stessi problemi…

Personalmente preferisco rispondere subito, in modo che il lavoro non si accumuli; così, con l’aiuto del 1°Ufficiale, controlliamo ciò che ci viene richiesto, approfittando dell’occasione per fare un giro in coperta e controllare i lavori di manutenzione.

Il Direttore di Macchina ci aiuta per la parte tecnica. La vecchia rivalità tra macchina e coperta viene superata quando le persone si conoscono e si stimano!


A mezzogiorno si pranza ed è subito il momento di mandare il Noon Report: un messaggio alla compagnia in cui sono indicate condimeteo, miglia percorse, consumi ecc.

Nel pomeriggio ci prepariamo all’arrivo.

Poiché si tratta di una nave che fa principalmente cabotaggio, tutti noi conosciamo i porti, ma un piccolo ripasso non fa mai male: dò un’occhiata alla carta accertandomi che il 2°Ufficiale abbia riportato correttamente le chiamate da effettuare a Piloti, Capitanerie ed eventuali VTS e lascio detto quando chiamarmi per la manovra (ma tanto li frego, salgo sempre prima di essere chiamata!).

La speranza che l’ormeggio non sia disponibile e che si sia “costretti” ad andare alla fonda per un giorno o due c’è sempre. Purtroppo, spesso è una speranza vana! Così anche oggi, dopo aver consultato i Piloti un’ora prima dell’arrivo, abbiamo ricevuto conferma che andremo all’ormeggio.

Telefono al Direttore, anche lui già al suo posto in Centrale Controllo Propulsione, per informarlo.

Prima dell’arrivo faremo alcune prove e controlli, di cui il più importante è il test del timone e, inoltre, qualche miglio prima di arrivare alla Stazione Piloti, ci fermeremo brevemente per testare la macchina indietro.

Il bello della nave piccola è che si ferma tranquillamente in un paio di miglia! Anche se per sicurezza e quieto vivere, quando non ci sono particolari esigenze, me la prendo più comoda.

Più tardi, richiamo quindi il Direttore per dargli l’orario ufficiale del PIM – pronti in macchina  (SBE -standby engine in inglese ndr), chiedergli di mettere in moto i generatori e informarlo che inizierò a ridurre la velocità.

Una piccola curiosità, gli orari sono sempre divisibili per 6, retaggio di quando non esistevano i computer e i conti si facevano a mano, per semplificare!

A questo punto mandiamo via e-mail la Lettera di Prontezza, comunicazione ufficiale che la nave è pronta a caricare o scaricare (in alcuni porti italiani, la prontezza si notifica anche via VHF al terminale o all’Avvisatore Marittimo).

Dopo avere diminuito la velocità e provato la macchina indietro, approcciamo la Stazione Piloti dove imbarca il Pilota.

Un altro vantaggio di stare su una nave che fa sempre gli stessi porti è che conosciamo bene i Piloti, e loro conoscono bene la nave, quindi lo scambio di informazioni è abbastanza conciso: Pescaggi, una ripassata alle caratteristiche di manovra, qualche convenevole; poi si entra nel vivo! La manovra, se il tempo è buono, dura da mezz’ora a un’ora; di norma sono presenti (obbligatoriamente, per via del carico pericoloso che trasportiamo) uno o anche due rimorchiatori.

Una volta ormeggiati, sale a bordo l’Agente Raccomandatario per ritirare i necessari documenti; in alcuni Paesi è accompagnato dalle Autorità locali (in tal caso i documenti si moltiplicano!).

Una volta sbrigate le formalità di arrivo e mandata l’ennesima e-mail, con gli orari fino all’ormeggio, scendo a fare un po’ di pubbliche relazioni con il Loading Master (rappresentante del terminale) e Cargo Surveyor (ispettore del carico); della parte tecnica si occupa il 1°Ufficiale, ma qualche firma da mettere c’è sempre e, quindi, non manco di farmi vedere.

È tardi e la cena è saltata, ma due chiacchiere in buona compagnia possono risollevare il morale! Infatti anche Loading Master e Cargo Surveyor sono, in larga parte, volti noti e amichevoli.

Ormai manca solo di vedere l’inizio delle operazioni commerciali per mandare l’ultima e-mail della giornata poi, con la nave al sicuro in banchina, potrò andare a dormire il sonno dei giusti!

In tutto questo, il mio gatto mi guarda sonnacchioso dal divano, come a dire “perché mai affannarsi?”


P.s.: Ovvio che le giornate non sono tutte identiche ne sempre idilliache: maltempo, malumore e maleducazione a volte la fanno da padroni e allora bisogna consolare, incoraggiare, a volte rimproverare… in questo aiutano molto ironia e soprattutto autoironia.

Spesso una battuta ben azzeccata scioglie le tensioni e vale più di mille discorsi!

ROSSELLA BALASKAS

Rapallo, 22 Maggio 2018


 

 

 

 

 

 

 

 



QUALCHE PAROLA SUI RIMORCHIATORI-PORTO DI GENOVA

 

Qualche parola sui rimorchiatori

John Gatti


l rapporto tra il Pilota e il Comandante dei rimorchiatori va costruito e curato nei dettagli.

Il filo che li lega deve essere il risultato di una profonda conoscenza reciproca basata sul senso marinaresco, sulla fiducia, sulla complicità, sull’abilità, sul rispetto e sulla stima.

E’ importante conoscere le differenze tra i vari rimorchiatori per apprezzarne i pregi e capirne i difetti, come lo è capire quando e come conviene usarne uno piuttosto che un altro o sapere cosa si può pretendere da loro e a cosa si deve rinunciare per non correre inutili rischi.

Tuttavia non è sufficiente.

Per entrare in sintonia con il Comandante del rimorchiatore è fondamentale vivere alcune esperienze dal Ponte di Comando di quei mezzi: solo così è possibile dare il giusto peso alle difficoltà che si hanno a voltare i cavi(assicurare i cavi alle bitte) dovendo rimanere quasi a contatto con la prora della nave in movimento, o per realizzare cosa significhi l’impatto della corrente di scarico di un’elica potente che parte all’improvviso; per non commettere imprudenze, inoltre, occorre sapere come cambia la prospettiva per chi si trova in posizione pericolosa tra la nave e un ostacolo, mentre il rapporto spazio/tempo diminuisce velocemente.


E’ di grande aiuto riuscire a “riconoscere” i Comandanti dalla voce al VHF (ricetrasmettitore, fisso o portatile, per le comunicazioni marine) perché con alcuni si lavora meglio che con altri e, in certe situazioni, la sintonia potrebbe essere il valore aggiunto determinante sull’ultima carta da giocare. Anche per questo è importante essere psicologicamente pronti a raccogliere i consigli giusti: l’umiltà di accettarli può aiutare a non commettere errori e un rapporto costruito su solidi basi fa in modo che, comunque, non vengano compromessi l’autorità e il controllo della manovra.

In tutto questo è ovviamente necessario considerare la figura e le competenze del Comandante della nave: un uomo di mare che potrebbe anche non parlare la nostra lingua, ma che capisce esattamente le difficoltà di una manovra impegnativa. Per questo e per molti altri motivi lo si deve informare sulla manovra che si intende fare e sui rimorchiatori che verranno impiegati.


Tramite il Tavolo Tecnico, condotto dall’apposita sezione della Capitaneria, i rappresentanti dei Servizi Tecnico Nautici, riunendosi giornalmente, hanno l’opportunità di discutere di procedure, limare incomprensioni, smussare problemi, valutare rischi e trovare soluzioni a manovre complicate, ma anche comprendere e ribadire il fatto che ogni operazione coinvolge altri soggetti e che non si può non tenerne conto.


Detto questo, e solo a scopo discorsivo, elenco alcuni punti delicati da tenere sempre a mente quando si utilizzano dei rimorchiatori in manovra:

  • Se i rimorchiatori vengono voltati (assicurati con il cavo alla bitta) fuori dalle acque ridossate (riparate) dalla diga del porto, non bisogna dimenticare che le onde li fanno rollare (movimento oscillatorio di un nave provocato dai marosi che la colpiscono trasversalmente) e che ci sono dei marinai a lavorare sul Ponte di Coperta bagnato e spazzato dal mare. E’ imperativo regolare la velocità e la rotta per rendere l’operazione più agevole e sicura.
  • La fase in cui si voltano i rimorchiatori è molto delicata: per dare o ricevere il cavo si devono avvicinare fin quasi a toccare la nave e più è alta la velocità più l’operazione diventa pericolosa. Sei o sette nodi, compatibilmente con le caratteristiche dei propulsori, è di solito il giusto compromesso, soprattutto per il rimorchiatore di prora che, nell’avvicinarsi alle grosse petroliere e alle portacontenitori di ultima generazione, sparisce completamente alla vista di chi dirige le operazioni dal Ponte di Comando.
  • Se la nave in manovra utilizza due rimorchiatori è buona norma, quando possibile, voltare prima quello di poppa e poi quello di prora; per mollarli vale il contrario: prima quello di prora e poi quello di poppa. Questo perché, nella malaugurata ipotesi di un problema al rimorchiatore di prora, si ha sempre la possibilità di utilizzare quello di poppa per frenare la velocità o per aiutare l’accostata.
  • L’effetto giratorio che agisce sul rimorchiatore, dovuto alla massa d’acqua spostata dalle grandi petroliere, è da valutare con molta attenzione: mentre lo stesso è quasi assente nella manovra di navi dalla stellatura prodiera molto accentuata (affinamento delle forme della carena, riferita soprattutto alla sezione prodiera e poppiera; in pratica: più queste forme sono tonde, meno sono stellate, portacontainer, navi passeggeri, ecc.). Pertanto, in queste condizioni e anche se non si sviluppano grandi velocità, bisogna considerare che durante le operazioni di passaggio del cavo parte del moto avanti del rimorchiatore è annullato per mantenere la direzione; effetto che sparisce allontanandosi di una decina di metri circa.
  • Avvisare sempre i rimorchiatori di qualsiasi variazione di rotta e velocità, informarli non appena sono stati voltati, se si intende modificare la manovra concordata e prima di usare la macchina o di dare fondo alle ancore.
  • Precisare al Comandante della nave dove si intendono voltare i rimorchiatori spiegandogli l’importanza di usare un heaving line (lanciasagole appesantito ad una estremità con lo scopo di facilitarne il lancio) con un peso adeguato: troppo spesso il vento porta via la messaggera (cima maneggevole di piccola sezione, usata per virare a bordo il cavo del rimorchiatore), con conseguente perdita di tempo… e più è lungo l’intervallo in cui il rimorchiatore rimane sotto la prua della nave in movimento, più alto è il rischio d’incidenti, senza considerare che nel frattempo la nave avanza con scarsa capacità di governo.
  • Prima di liberare il rimorchiatore di poppa, è necessario creare le condizioni affinché il cavo non finisca nell’elica in movimento e, anche in questa fase, gli ordini all’equipaggio devono essere chiari e tempestivi.
  • Accertarsi che il personale al posto di manovra sia a distanza di sicurezza dal cavo in lavoro del rimorchiatore.
  • Avere sempre un margine di sicurezza. Quando si parla di manovra, il senso di questo concetto è spesso legato al bollard pull (misura convenzionale riferita alla potenza di tiro) necessario a contrastare le condizioni del vento, della corrente e del moto ondoso: non bisogna dimenticare che la potenza sviluppata dai rimorchiatori dipende dalla lunghezza del cavo e dalla direzione del tiro, oppure, usandolo alla spinta, dalla direzione che avrà quest’ultima.

Ogni elemento che contribuisce alla buona riuscita della manovra ha un peso specifico relativo molto grande: le condizioni meteo-marine, la nave e la sua efficienza, il Comandante e il suo equipaggio, il Pilota, gli ormeggiatori e, ovviamente, i Rimorchiatori e chi vi è imbarcato. Armonia nel lavoro di gruppo e fiducia reciproca:

– La chiamata del rimorchiatore viene fatta dopo che il Pilota è imbarcato ed è successiva al confronto con il Comandante. Al momento della richiesta, quindi, la nave probabilmente si trova già a meno di un miglio dall’imboccatura. Dato il poco preavviso, per il rimorchiatore arrivare puntuale non è sempre né facile né possibile, ma l’impostazione della manovra dipende spesso dal momento in cui si è certi di avere il rimorchiatore voltato (legato).

  • La manovra viene vista e vissuta in modo differente a seconda della posizione da cui la si guarda: gli ormeggiatori dalla barca o da terra, gli ufficiali da prora o da poppa, i Comandanti dei rimorchiatori dai punti in cui operano. Da ognuno di questi posti si vede solo una porzione di manovra. Gli unici ad avere il privilegio di una visione d’insieme (pur considerando diversi angoli ciechi), che sanno esattamente cosa stanno facendo la macchina e il timone e che hanno un programma ben preciso della manovra, sono il Comandante e il Pilota. Per questo motivo è importante che venga dato il “ricevuto” a qualsiasi comunicazione radio d’interesse: spesso è impossibile vedere direttamente cosa sta facendo il destinatario del messaggio e il dubbio che sia stato ricevuto e capito resta attivo fino a quando non viene confermato.
  • Essere precisi nelle comunicazioni. “Tra qualche minuto sono sotto bordo…”, “Lo sto già facendo…” (come risposta a un comando), “Sto tirando/spingendo a tutta…”, ecc. A queste risposte segue un’azione. Va da sé che a risposta imprecisa seguirà un’azione errata.
  • La potenza dei rimorchiatori spesso permette di risolvere situazioni complicate ma, proprio perché può incidere così tanto sullo scenario generale, il Comandante deve stare sempre concentrato sulla manovra e prevedere le conseguenze delle sue azioni; mi viene in mente la possibilità di rompere il cavo; quella di far perdere il controllo della nave tirando o spingendo troppo; oppure quella di creare difficoltà alla barca degli ormeggiatori con le scie dei suoi propulsori; o, ancora, sottovalutando l’effetto del rimorchiatore sulla manovra non mettendo il cavo perfettamente in bando quando richiesto oppure appoggiandosi allo scafo della nave.

Per affrontare almeno parte del mondo del “rimorchio” in modo approfondito, occorrerebbe molto spazio e sarebbe necessario entrare nei tecnicismi della professione che lo circonda. Non si può non tenere conto, ad esempio, dei diversi tipi di rimorchiatori (ASD, ATD, RSD, ecc.) perché ognuno di questi ha pregi e difetti, punti deboli e punti forti da poter sfruttare; occorrerebbe parlare dei pericoli insiti nel rapporto rimorchio/nave; dei sistemi di valutazione per determinare il numero di rimorchiatori da utilizzare; della lunghezza del cavo di rimorchio, quando è meglio utilizzarlo alla spinta piuttosto che voltato; quando usare il cavo nave e quando quello del rimorchiatore; ecc…, ma andare così in profondità non è l’intento di questo articolo.


Voglio però entrare in punta di piedi nella pratica raccontando un episodio di tanti anni fa che ha contribuito efficacemente ad accrescere la mia esperienza e che fa capire l’essenzialità del lavoro di squadra.

L’importanza dell’esperienza.

Ero passato Pilota effettivo da poco e le cose stavano andando bene: mi sentivo sereno e sicuro di me. Probabilmente troppo.

Al termine di una giornata tranquilla, proprio nell’ora del cambio turno tra Piloti diurni e notturni, il caso volle che fossi io il primo di “spia (registro che riporta i nomi dei piloti in servizio e le manovre eseguite) all’arrivo di una nave di discrete dimensioni e con un pescaggio importante. Doveva andare “prua a terra”, il che significa “senza evoluzione”. In pratica si sarebbe dovuto procedere lungo il canale per poi accostare a dritta una volta raggiunta la banchina di destinazione: niente di particolarmente difficile… per chi ha l’esperienza necessaria a valutare e svolgere bene ogni passaggio.

Erano tutti contrari a mandarmi a bordo, soprattutto il Capo Pilota di allora. Ricordo infatti di aver insistito parecchio per conquistarmi la sua fiducia. Alla fine cedette, alla condizione che avrei usato due rimorchiatori; se il Comandante avesse voluto procedere con uno soltanto, allora sarei dovuto sbarcare per far salire al mio posto un Pilota più esperto.

Arrivato in plancia mi trovai di fronte un uomo di nazionalità tedesca, gentile, ma piuttosto “quadrato” e non fu facile convincerlo a prendere il secondo rimorchiatore, anche perché la nave era fornita di un bow thruster (elica di manovra prodiera, azionabile dal Ponte di Comando, che genera una forza laterale utile in manovra) discretamente potente.

Assenza di vento, niente corrente, due rimorchiatori, elica di prua, Comandante tranquillo: nulla che facesse prevedere che quella sarebbe stata una delle manovre che mi sarei ricordato meglio negli anni a venire.

In realtà l’errore che feci non fu di proporzioni enormi, semplicemente ritenni non fosse il caso di applicare una semplice regola che i Piloti più esperti mi avevano ripetuto più volte: “quando vai prua a terra con una nave di pescaggio, prima fermala e poi inizia l’accostata!”

Ricordo che durante i tre quarti d’ora necessari a raggiungere la banchina pensai più volte a come la nave rispondeva bene al timone e di come il Molto Adagio Avanti producesse una velocità perfettamente adeguata alla stazza della nave.

Fermai la macchina per tempo lasciando che l’abbrivo (impulso con cui inizia o aumenta gradualmente la velocità della nave; indica anche la quantità di moto che conserva quando cessa l’azione dei mezzi propulsivi) diminuisse piano piano, con l’intenzione di fare una manovra prudente. In effetti arrivammo tra le testate delle due banchine con una velocità di poco superiore al nodo: praticamente quasi fermi. Era quel “quasi” che non andava bene…

A quel punto avrei dovuto dare macchina indietro o, quanto meno, mettere il rimorchiatore di poppa in bozza a fermare…

La verità è che mi sembrava di andare talmente piano e che il timone rispondesse in modo così preciso che, invece di fermare la nave, feci mettere il timone a dritta per infilarmi sfruttando la poca velocità residua.

All’inizio andò bene, ma poi, all’improvviso, la nave smise di venire a dritta: sentiva maledettamente il fondale e la prua si fermò puntando direttamente il prolungamento della banchina di fronte.

Non eravamo vicinissimi e per questo motivo non mi preoccupai più di tanto. Feci mettere la macchina Indietro Adagio e il rimorchiatore di prora a piegare piano.

Risultato: la nave non rallentò neanche un po’ e la direzione restava la stessa, solo che nel frattempo lo spazio a disposizione diminuiva.

Cominciai a preoccuparmi. Indietro Tutta, rimorchiatore di poppa in bozza a fermare e quello di prora a piegare a tutta forza!

Risultato: la nave continuava ad andare avanti e la rotazione riprese in modo quasi impercettibile.

Nel giro di qualche minuto la situazione precipitò: il Comandante saltava da un’aletta all’altra come un grillo imprecando senza sapere cosa fare, mentre io cominciavo a sudare freddo realizzando di essermi giocato tutte le carte che avevo a disposizione.

Fu a quel punto che il rimorchiatore di prora, continuando a vogare a tutta forza, si girò quasi a spring (cavo d’ormeggio che da prua guarda verso poppa o da poppa verso prora ostacolando o impedendo alla nave di avanzare o retrocedere) e quello di poppa si sguardò quel tanto che bastava per rendere il massimo nella frenata aiutando anche l’accostata.

Sfiorammo il cemento… ma passammo indenni!

I due Comandanti dei rimorchiatori sono ormai in pensione da diversi anni, ma quando mi capita di incontrarli li ringrazio ancora per l’abilità e l’occhio dimostrati quel giorno.

Sono tante le storie che potrei raccontare dove il binomio Comandante del rimorchiatore  e il suo Direttore hanno dimostrato una preparazione e una padronanza che è possibile acquisire solo dopo un percorso lavorativo molto specifico. Sono professioni che lasciano ancora spazio all’abilità personale, dove si creano equilibri che rendono difficile sostituire un uomo con un altro.


 

JOHN GATTI

Rapallo, Mercoledì 9 Maggio 2018


 

 

 


I PESCATORI DI MERLUZZI A TERRANOVA

I PESCATORI DI MERLUZZI

TERRANOVA

Charly aveva toccato almeno quindici volte Lisbona e Punta Delgado (Azzorre) con gli “evergreen” Saturnia e Vulcania.


Merluzzi al vento…

Da questi due siti portoghesi, le due navi trasportavano alcune migliaia d’isolani ogni anno; erano pescatori destinati alle campagne del merluzzo sui banchi di Terranova. Lo scambio degli equipaggi avveniva nel porto di Halifax (Nuova Scotia-Canada), scalo preferenziale della Soc. Italia.



Museo Navale di Lisbona – Un gozzo dei pescatori di merluzzo

“Era il 1962” -  racconta Charly – “… ricordo con nostalgia i racconti del mio capo guardia e carissimo amico, Baj Schiaffino di Camogli; quando mi anticipava che i nostri amici portoghesi pescavano ancora su piccoli gozzi con i classici  bolentini. La fittissima nebbia, che per lunghi mesi gravava sui banchi di Terranova, era il loro vero pericolo, ma non l’unico; le zone di pesca, infatti, si trovavano proprio sulle rotte dei famosi liners europei e americani che sfilavano a tutta velocità, preoccupati soltanto dei loro ETA (estimate time arrival).

Il corno da nebbia era l’unico strumento a disposizione dei pescatori di merluzzo per tenersi in contatto tra loro ed anche l’estrema difesa per urlare la loro presenza. Molti di loro, purtroppo, sparivano travolti nelle acque gelide dalle navi in transito, del tutto ignare dei loro drammi. Un brigantino ancorato solitamente a ridosso di qualche ansa tra i banchi, era la loro base. Quante disperate ricerche,  vane attese  e veglie in preghiera ogni anno!

Quante tragedie colpirono nei secoli i pescatori di tutto il mondo e le loro famiglie lontane! Grandi uomini ed eroi del Mare, cancellati  sull’altare dell’oblio e della modernità, sepolti troppo in fretta dalla memoria di chi oggi neppure riconosce la loro lunga scia di sangue versata sugli oceani ...

Il brigantino a palo portoghese Sagres in navigazione sul fiume Tejo a Lisbona.


TORRE DI BELEM – LISBONA

Già! Avete capito bene, si trattava proprio di un brigantino che Charly e Baj, in una splendida giornata di Giugno, videro scivolare a Lisbona con le vele gonfie di vento in processione sul fiume Tejo. A bordo c’era il Cardinale che inaugurava, con la benedizione della statua della Madonna di Fatima, la stagione della pesca”.

Carlo GATTI

Rapallo, 1 febbraio 2018

 

UN PO’ DI STORIA

Dal blog si ASPO-Italia, sezione italiana dell'associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas (ASPO) riassumiamo:


Una delle storie più emblematiche é quella dei merluzzi di Newfoundland.

Cinque anni dopo la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo, dunque nel 1497, un altro italiano, Giovanni Caboto, navigatore al soldo degli inglesi, raggiunse le coste americane. Sbarcò molto più a nord, probabilmente nell'attuale Newfoundland (Terranova), in territorio canadese. Al suo ritorno in Gran Bretagna raccontò, fra le altre cose, che "lassù il mare è coperto di pesci".

Qualche decina di anni dopo, chi sfruttò al meglio quello che Caboto aveva scoperto riguardo alla pescosità dell'Atlantico nord occidentale furono però i francesi. A metà del sedicesimo secolo, 150 imbarcazioni francesi attraversavano ogni anno l'Atlantico per raggiungere quel paradiso della pesca. Gli inglesi seguirono a ruota, espandendo quei territori di pesca più a sud, al largo di quelle che oggi sono le coste del Massachusetts. Pescavano moltissimo, e soprattutto merluzzi. Al punto che chiamarono una di quelle località, un promontorio, Cape Cod: cod è il nome inglese del merluzzo, appunto.

Nei successivi 3-400 anni la pesca continuava a prosperare, sebbene le tecniche di pesca, in qualche modo ancora artigianali, restassero più o meno immutate. Pescavano praticamente con la lenza; molte lenze per ogni barca, ma pur sempre lenza, cioè filo da pesca con in fondo un amo e un'esca. I pesci pescati venivano puliti e messi sotto sale.

Nel diciannovesimo secolo si erano ormai uniti al banchetto anche americani e portoghesi, e fu in questo periodo che le semplici lenze lasciarono il passo alle longline (in italiano sono i palamiti). Lenze lunghe anche chilometri, ognuna delle quali attrezzata con migliaia di ami. Una tecnica molto efficace che permette bottini spaventosi. Nel solo New England, nel 1895 furono pescate 60.000 tonnellate di merluzzi. Che sembravano non finire mai. Addirittura un grande biologo e ricercatore come Huxley affermava: credo che la pesca dei merluzzi, così come le altre risorse del grande mare, siano inesauribili...

Nel 1905, una nave da pesca, guardata con sospetto, se non peggio, dagli altri pescatori, salpò dal porto di Boston. Era la prima nave americana equipaggiata con uno strumento che già si usava in Inghilterra, e che per la prima volta arrivava in quelle acque: una rete a strascico. I merluzzi sono pesci che amano mangiare sul fondale, e dunque la rete a strascico, che sul fondale corre e raccoglie tutto quello che trova, serviva benissimo a pescare merluzzi. Talmente bene che nel 1914 la Commissione della Pesca degli Stati Uniti formò un comitato per indagare quali danni potesse fare agli stock ittici. La risposta fu che, almeno nel Mare del Nord, le nuove tecnologie stavano già causando un declino del pescato, anche se ancora non dei prolifici merluzzi. Non furono prese contromisure.

In quegli anni, il principale obiettivo divenne un altro pesce, l'eglefino, parente stretto del merluzzo e dal sapore simile. Negli anni '20 poi furono introdotti sul mercato i filetti surgelati (come li mangiamo ancora oggi). Era un bel salto dal classico merluzzo sotto sale, e soprattutto i pescatori del New England corsero a riempire la nuova nicchia di mercato: nel 1929 si pescarono 120.000 tonnellate di eglefino, in quella zona. Cinque anni dopo le catture saranno già crollate a 28.000 tonnellate.

I merluzzi intanto continuavano a essere regolarmente pescati, a cifre attorno alle 8.000 tonnellate all'anno. Questo fino al 1954, l'anno in cui tutto accelerò verso il baratro. Fu quando arrivò in quelle acque la Fairtry. Era una nave enorme fatta costruire da un'industria baleniera scozzese, la quale vedendo diminuire sempre più le catture dei grandi cetacei, decise di buttarsi in altri mercati. La Fairtry era una nave industria che permetteva di pulire e congelare i merluzzi già a bordo, stoccandone in grandi quantità. E le sue reti erano enormi. Talmente ampie che, in un mare ancora così pescoso, a volte si rompevano sotto al peso delle tonnellate di pesce pescato. Quella nave, e quelle che seguirono poi, poteva pescare in un'ora quanto una tipica imbarcazione del sedicesimo secolo faceva in una stagione. La Fairtry venne presto raggiunta da altre navi industria, provenienti dalla Germania, dall'Unione Sovietica e da altri paesi stranieri. Nel 1968 i merluzzi pescati raggiunsero la cifra impressionante di 810.000 tonnellate! La fine era scritta, bastava sapere leggere i segnali.

A metà degli anni '70 gli eglefini erano ormai scomparsi, e la "produzione" di merluzzi era scesa a meno di 250.000 tonnellate. I pescatori locali, impotenti e in ginocchio, implorarono l'aiuto dei loro governi, canadese e statunitense. Questi risposero estendendo il limite delle acque territoriali a 200 miglia. In pratica, il dominio delle navi straniere sui grandi banchi dell'Atlantico nord-occidentale era finito. Adesso USA e Canada avevano l'occasione per salvaguardare le loro risorse ittiche, instaurando finalmente una pesca sostenibile. Ma non lo fecero.

L'euforia dell'allontanamento degli stranieri colpì soprattutto la gente del Newfoundland, che viveva solo e soltanto di pesca. Il futuro ora sembrava roseo e il DFO (Department of Fisheries and Oceans), cioè il Dipartimento della Pesca e degli Oceani canadese, in qualche modo cavalcò l'onda e sbagliò le previsioni, calcolando che le catture di merluzzi, scese a 139.000 tonnellate nel 1978, sarebbe risalite a 350.000 nel 1985. Ma adesso, a posteriori, sappiamo che nel 1977 il numero di merluzzi in fase riproduttiva, al largo di Newfoundland, era diminuito del 94% rispetto ai valori del 1962. La catastrofe era ormai pronta.


I pescatori canadesi, nei primi anni ottanta non riuscirono mai a raggiungere la quota di pescato permessa dal governo, ma stavano comunque pescando molto più di quanto la popolazione residua di merluzzi potesse sostenere. Con la cacciata degli stranieri, la pesca aveva ripreso vigore e gli strumenti migliorarono ancora, con l'introduzione dei sonar che permettono di localizzare i grossi banchi di pesce. A metà anni '80 la DFO continuò a sostenere che gli stock sarebbero cresciuti, e il 1986 fu un anno eccezionalmente produttivo, e quindi alimentò le certezze di alcuni e le speranze di altri. Che vennero però duramente colpite dalle previsioni per gli anni successivi: i ricercatori erano certi, ci sarebbe stato un crollo. Nel 1989 biologi e studiosi cercano di convincere la DFO a dimezzare la quota di merluzzi, abbattendola a 125.000 tonnellate. Ma l'industria della pesca era all'apice dell'espansione e il Dipartimento canadese non se la sentì di infierire il colpo. La quota venne ridotta solo di un decimo.

Ma di merluzzi ne erano rimasti pochi, e per mantenere i loro guadagni i pescatori li cercavano molto più duramente, avventurandosi sempre più al largo e anche in condizioni di mare spaventose. Nel 1991 vennero pescati 180.000 tonnellate di merluzzi: erano, oggi lo sappiamo, più della metà di tutti quelli rimasti là fuori.

Il DFO stabilì questa quota anche per il 1992. Ma ogni quota era ormai inutile, la festa era finita. Non c'era più niente da pescare, e a luglio del 1992 il ministro fu costretto a chiudere completamente la pesca al merluzzo.

Dall'oggi al domani 30.000 persone persero il lavoro. Il disastro si era compiuto.

A tutt'oggi la pesca al merluzzo a Newfoundland non si è più ripresa, oggi l'economia di quel paese è basata sulla pesca alle aragoste e soprattutto sullo sfruttamento delle risorse boschive e minerarie. I merluzzi non sono più tornati. Pesci come i capelin, un tempo prede dei merluzzi, oggi sono divenuti molto comuni, e mangiano i merluzzi appena nati. Quell'ecosistema oggi è dominato da granchi e gamberi.

FINE