2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI
Associazione Culturale il Sestante
2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI
IL DIRETTIVO
Sabato 14 Dicembre 2024
LE NAVI CHE PORTANO IL NOME "MONTALLEGRO" NELLA STORIA
LE NAVI CHE PORTANO IL NOME
MONTALLEGRO
NELLA STORIA
Le Ricerche d’archivio che seguono sono di Pietro Berti - Storico Navale che RINGRAZIO!
Giacomo di Corte, durante la seconda quindicina del settembre 1810, si segnala la presenza del battello “Nostra Signora di Monte Allegro" di 13,78 tonn. varato a Rapallo il 15 febbraio 1806. Noi, in questo caso, opiniamo che possa trattarsi di un cantiere attivo in S. Michele. In effetti questa considerazione può essere indirettamente confermata dalla presenza del già citato mastro velaio, e che in altri documenti posti sotto la stessa segnatura si nominano altre 3 barche qui costruite….La prima di queste è un veliero di tipo non indicato, denominato “Monte Allegro”, di 9 tonnellate, ed equipaggiato di 7 persone, compreso il padrone Gerolamo Sanguineti. Lo stesso era giunto nel porto di Rapallo ed era destinato per Sampierdarena. Il secondo bastimento è il “Maria di Monte Allegro”, di 16 tonnellate, con 7 uomini d’equipaggio comandati da Luigi Costa di S. Michele. Era giunta a Rapallo da Civitavecchia il 19 agosto 1810, ed era in partenza per S. Michele. Dello stesso anno è il veliero “N. S. di Monte Allegro”, di 5,92 tonnellate, equipaggiato da 6 persone, comandato da Gaetano Canessa ed armato da Agostino Carneglia.
Schedario delle barche costruite a Rapallo
MADONNA MONTE ALLEGRO
o N. S. di Mont’Allegro.
tipo: battello. Poi detto liuto.
impostazione:
varo: Rapallo – Gen.
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 5,92
dimensioni:
storia:
23 agosto 1810 – Parte da Lerici
MARIA DI MONTE ALLEGRO
tipo: non indicato
impostazione:
varo: San Michele di Pagana
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 16
dimensioni:
storia:
19 agosto 1810 – Giunge a Rapallo con 7 marinai e 150 mine di grano. Era partito da Civitavecchia al comando di Luigi Costa di San Michele di Rapallo.
MONTE ALLEGRO
tipo: non indicato
impostazione:
varo: San Michele di Pagana.
cantiere: non noto.
macchina: assente.
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 9
dimensioni:
storia:
14 agosto 1810 – È presente nel porto di Rapallo al comando di Gerolamo Sanguineti, con 8 marinai e carico di 70 barili d’olio. Era partito dall’Isola Rossa ed è destinato a impostazione:
varo: Rapallo 1952
cantiere: Velscaf di Dario Salata – Dis. Dario Salata.
macchina:
velocità:
tsl:
tsn:
t gen.
dimensioni: 9,60 x 1,90
storia:
NOSTRA SIGNORA DI MONTE ALLEGRO
tipo: battello
impostazione:
varo: Rapallo 15 febbraio 1806 – Forse a San Michele
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 13,78
dimensioni: non note
storia:
26 settembre 1810 – È presente nel porto di S. Giacomo di Corte, con 7 marinai e merci varie. Era giunto il 4 agosto al comando del suo armatore, padron Nicola Palmieri, ed è in partenza per Bastia.
S. MARIA DEL MONTE ALLEGRO.
Tipo: tartana
Impostazione:
Varo:
Cantiere: Rapallo
Macchina:
Velocità:
Tsl:
Tsn:
Ton generico:
Dimensioni:
Storia:
1641 – 27 settembre – Viene vergato dal notaio Gio Antonio Fasciato un atto riguardante il patrone Luciano Vallebella, che riceve una somma in denaro per recarsi in Maremma e alle Romagne (Stato della Chiesa).
Articoli di Carlo GATTI sulle navi denominate: MONTALLEGRO - RAPALLO
16 MARZO 1951 – LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
https://www.marenostrumrapallo.it/16-marzo-1951-la-petroliera-montallegro-esplode-nel-porto-di-napoli/
https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/
https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/
SOTTO TRE BANDIERE
M/r RAPALLO
https://www.marenostrumrapallo.it/mastino/
RAPALLO NAVIGA SUI SETTEMARI
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo-2/
Sofia Loren tra l'armatore Gianluigi Aponte ed il Comandante della MSC RAPALLO
L’AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO
Il Varo della RAPALLO a Riva Trigoso. Fu la prima petroliera dell’AGIP
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo/
IL CRISTO DEGLI ABISSI
Un’opera venuta da lontano…
https://www.marenostrumrapallo.it/sfruttuoso/
RAPALLO
SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO: NAVI, MARINAI E LA DEVOZIONE MARIANA
https://www.marenostrumrapallo.it/navi-marinai-e-la-devozione-mariana/
UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
https://www.marenostrumrapallo.it/monty/
Madonna del Carmine chiamata in soccorso dai naufraghi
NARCISSUS
https://www.marenostrumrapallo.it/narcissus/
di CONRAD
IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE
MONTALLEGRO VELIERI NELLA TEMPESTA
Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78×57 cm. Secolo XIX.
Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.
Uragano sofferto dal Francisca nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 -Tempera su carta di Fred Wettening.
La Caracca Ragusea, Ex-Voto Marinaro molto diffuso in Croazia.
Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le ‘Feste di Luglio’
https://www.marenostrumrapallo.it/monte-2/
SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO
LA NOVENA DELL’ALBA
https://www.marenostrumrapallo.it/monte/
DUE RAPALLINI NELLE STEPPE DEL DON
LUCIO MASCARDI - UCCIO BONATI
ULTIMO EX VOTO A MONTALLEGRO
Carlo GATTI
Rapallo, Giovedì 12 Dicembre
MAGGIO 1684 - LA FLOTTA DEL RE SOLE BOMBARDA GENOVA
BOMBARDAMENTO DI GENOVA
1684
Una Storia da ricordare….
Portrait of Louis XIV of France in Coronation Robes (by Hyacinthe Rigaud) - Louvre Museum
Nel Maggio del 1684 il “re Sole” ordinò alla sua flotta navale di bombardare la città di Genova provocando distruzione e morte nei suoi vasti quartieri. I veri motivi di tanto odio e brutalità non sono facili da interpretare tra le diverse suggestive versioni popolari ed altre più articolate degli storici di professione, come vedremo.
Raffigurazione del bombardamento del 1684 in cui è ben mostrata l’imponenza della flotta
Dipinto raffigurante il bombardamento; si vedono, simili a piattaforme galleggianti, le palandre
Dipinto raffigurante il bombardamento su Genova della flotta francese nel 1684 (wikipedia)
Un fatto pare certo: la città fu attaccata senza preavviso e in modalità terroristica, si direbbe oggi, se si pensa che furono scagliate ben 13.000 bombe sulla popolazione civile: una tattica che è praticata tutt’oggi con gli stessi metodi e risultati.
Mirato a punire Genova per i suoi legami con la Spagna, l'intervento francese, evidenza la durezza della politica internazionale dell'epoca che, opportunamente, ci richiama alla mente un pensiero che non tramonta mai:
“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.” (Jean-Paul Sartre)
Vi proponiamo tre interessanti interpretazioni popolari, puntualmente documentate e ricche di fotografie che aprono orizzonti più ampi su quanto in seguito sosterranno gli affermati Storici della Superba.
Il prof. Franco Bampi, Presidente della COMPAGNA, scrive sul suo sito: mailto:franco@francobampi.it
UNA STORIA IGNORATA
liguria@francobampi.it
Quasi nessuno conosce i "veri motivi" di tale decisione francese. Noi abbiamo trovato la relativa "documentazione storica" e ve la raccontiamo.
La Repubblica di Genova aveva deciso, anticipando come sempre i tempi, che gli equipaggi delle navi fossero fatti da "uomini liberi" e non più da "schiavi legati al remo" ed aveva chiamato tali navi, "galee della libertà".Invece in Francia il "re Sole" Luigi XIV°, che aveva scatenato una vera e propria "persecuzione" contro i Protestanti, li faceva condannare a migliaia ("chiunque predicasse o ascoltasse un sermone protestante") per fornire gratuitamente le braccia, come schiavi legati al remo delle navi.L’avvento delle "galee della libertà" genovesi avrebbe posto fine allo schiavismo di bordo e la Francia di Luigi XIV° non poteva tollerare che la Repubblica di Genova inaugurasse una nuova era della Navigazione, insegnando come si poteva fare a meno degli ergastolani incatenati ai remi. |
Il "re Sole" chiese perentoriamente alla Repubblica di Genova di disarmare tali "galee della libertà". Il Senato della Repubblica respinse tale richiesta, dando praticamente il via alla "vendetta" francese che si svilupperà con i "bombardamenti navali" che sopra abbiamo raccontato. Dal 18 al 22 Maggio del 1684, Genova resistette eroicamente a tale bombardamento, respingendo anche i vari tentativi di sbarco a Sampierdarena ed a Quarto.
Avvicinandosi tali date, abbiamo voluto "ricordarle", perché gli attuali abitanti della Liguria possano essere fieri della Storia della loro Terra che, in oltre 800 anni di INDIPENDENZA, aveva saputo creare una vera e propria Civiltà Ligure (le "galee della libertà" sono state uno dei segni di tale Civiltà!)…..
In un altro sito molto visitato: Dear Miss Fletcher
7 Maggio 1684, le bombe del Re Sole sulla Superba
https://dearmissfletcher.com/2013/10/10/17-maggio-1684-le-bombe-del-re-sole-sulla-superba/
Leggiamo:
C’era una Repubblica indomita e orgogliosa e c’era un sovrano che sedeva sul trono di Francia: Luigi XIV detto il Re Sole. …..E così, nel lontano 1679, a Genova fu ingiunta una perentoria richiesta: le artiglierie genovesi dovevano rendere omaggio alle navi francesi sparando a salve al loro ingresso nel porto di Genova.
Ma figurarsi, sono i foresti che devono tributare omaggi ai genovesi!
E insomma, il Comandante della flotta francese, l’Ammiraglio Abrahm Duquesne, non la prese affatto bene e in quella circostanza si allontanò dalle coste liguri cannoneggiando Sampierdarena e in seguito Sanremo.
E gli anni passarono, giunse il 1682.
Credete che il Re Sole si fosse dato per vinto?
Manco per idea, anzi!
In quei giorni accaddero cose strane, sul territorio della Repubblica si potevano incontrare certi personaggi vestiti da pittori e da religiosi.
Nessuno sapeva che quelli in realtà erano agenti segreti inviati dalla corte di Francia con il compito di setacciare ogni angolo della Repubblica per controllare il sistema difensivo, le fortificazioni e le batterie delle quali Genova disponeva.
Ma i nemici provenivano da ogni dove, la Superba doveva difendersi.
E così c’erano quattro galee all’ancora, nel porto di Genova, quattro imbarcazioni per difendere la città in caso di attacchi barbareschi.
E queste divennero uno dei pretesti che la Francia usò per attaccar briga e poter aggredire la città.
Vennero poste alcune condizioni, tra queste il disarmo delle quattro galee, i Francesi accusavano i genovesi di averle armate contro di loro.
E poi, naturalmente, si intimò alla Repubblica di mettersi sotto la tutela della Francia e di tributare, come già richiesto, il saluto alle navi francesi.
Il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari e i senatori si trovarono concordi: le condizioni erano inaccettabili.
E giunse quella mattina di primavera, giunse il 17 Maggio 1684.
Chissà, forse era una giornata di cielo terso e luminoso come spesso accade in Liguria in quella stagione.
Quel giorno l’intera flotta francese si schierò nel mare di Genova, vascelli, galee e bastimenti coprirono la superficie dell’acqua dalla Foce alla Lanterna, 756 bocche di fuoco erano puntate contro la Superba.Giunse un ultimatum, si decidevano questi genovesi a sottomettersi al Re Sole?Come risposta dalle batterie dei forti partirono cannonate contro la flotta francese.E fu l’inizio della disfatta.La città fu bombardata per 4 giorni consecutivi, su Genova piovvero le terribili bombe incendiarie che distrussero chiese ed edifici.Una di queste bombe si trova a Palazzo San Giorgio che pure venne colpito in quei giorni difficili.
Una città devastata e aggredita, le bombe caddero sulla Chiesa delle Grazie, su San Donato, su Santa Maria in Passione, sul Ducale che era dimora del Doge e sulle case dei cittadini.
Distruzione, morte e fuoco.
E fuga, vennero aperte le porte dell’Acquasola e di Carbonara, fuggì la plebe e fuggirono i nobili.
Il Doge fu costretto a riparare all’Albergo di Carbonara, ovvero l’Albergo dei Poveri, lì si trasferì anche il Governo della Repubblica e lì vennero condotte ceneri del Battista che si trovano nella Cattedrale di San Lorenzo.
La Francia ripropose le sue condizioni ma queste vennero nuovamente rigettate. E le bombe continuarono a cadere.
La Bomba incendiaria (Santa Maria di Castello- Genova)
E le bombe continuarono a cadere, la città era un incendio.
I genovesi ebbero la forza di difendere la Superba con grande coraggio, evitando che la gran parte dei soldati francesi sbarcasse dalle navi. E lì, in quella stanza, si trova una di queste bombe.
Il dipinto che testimonia quei giorni, si trova in Santa Maria di Castello e raffigura la chiesa in fiamme a causa delle bombe lanciate dalla flotta francese.
Ne caddero in totale 13.300, il bombardamento ebbe fine il 28 Maggio in quanto i francesi avevano terminato le loro munizioni.
La storia triste e drammatica di questa vicenda ha un epilogo curioso e a suo modo divertente che vede protagonista.
II Doge Lercari.
La storia è fatta di trattati e di compromessi, a volte.
Era il mese di maggio 1685: il Doge con il suo seguito di nobili, si vide costretto a recarsi a Versailles a richiedere la clemenza del Re, che in cambio avrebbe fornito alla Repubblica i denari necessari per ricostruire gli edifici di Genova danneggiati dal bombardamento.
Fu accolto con grande sfarzo e grande sfoggio di ricchezza, attraversò le sale splendenti di Versailles e infine si trovò nel luccichio della Galleria degli Specchi.
Tutto si svolse secondo il protocollo nella splendida reggia del Re Sole.
E si narra che infine venne chiesto al Doge Lercari che cosa lo avesse maggiormente stupito di Versailles.
E lui, al cospetto del Re di Francia, pronunciò solo due parole in dialetto genovese: – Mi-chi!
E cioè, io qui.
Mentre l’intera corte si attendeva che magnificasse la grandezza e il fulgore di Versailles, il Serenissimo Doge lasciò tutti con un palmo di naso esprimendo così il suo amaro rammarico nel vedersi lì, davanti a Luigi XIV, colui che aveva ordinato l’aggressione della sua Genova.
Accadeva diversi anni fa, dopo che le bombe francesi erano cadute sulla Superba.
A Mae ZENA
Storia di… un Re… di un Doge…
… un bombardamento… una guerra e un orgoglio che non ha prezzo.
Siamo nel 1684 il Re Sole, con il pretesto di un mancato saluto (ogni nave straniera che entrava nel Porto doveva, per antica consuetudine, sparare un colpo di cannone a salve, in omaggio alla Repubblica; Il Sovrano pretendeva l’esatto contrario), di un’amicizia con la Spagna (gli armatori genovesi stavano infatti allestendo un’imponente flotta per gli iberici), di un prestito non corrisposto (Il Re, per pagare le sue truppe sparse in tutta Europa, aveva bisogno delle “palanche” dei banchieri nostrani), della mancata concessione a vantaggio di Savona (città alleata dei nemici) di un deposito del sale, dà ordine alla sua flotta di centosessanta navi schierata e 756 bocche da fuoco dalla Foce alla Lanterna, di bombardare la città.
Quattro giorni di lutti e distruzione ma la Superba resiste, non si piega e ribadisce, davanti ad un’Europa terrorizzata, la propria LIBERTA’ e proclama la propria INDIPENDENZA!
Il marchese di Segnalay infatti, comandante della spedizione dà ordine a Duquesne, ammiraglio dello stuolo reale, nella notte fra il 22 e il 23 maggio di sbarcare a Sampierdarena con 3500 soldati e, come diversivo, con un piccolo contingente in Albaro.
La milizia repubblicana genovese però con l’ausilio di numerosi volontari polceveraschi, sotto la guida del Capitano Ippolito Centurione, respinge gli invasori.
I Francesi, fallito lo sbarco e terminate le munizioni, la sera del 29 maggio rientrano a Tolone.
Re Sole infuriato per l’accaduto fa rinchiudere nella Bastiglia l’ambasciatore genovese a Parigi Paolo De Marini, il quale riesce a far giungere ai Serenissimi una missiva in cui li esorta a non sottomettersi al despota francese e a non preoccuparsi per lui dato che, per l’onore e la dignità della Repubblica, sarebbe pronto alla morte.
Il diplomatico avrà salva la vita e, incaricato dal Senato, negozierà a Ratisbona la pace, sostanzialmente alle condizioni imposte dal Monarca.
L’anno seguente il Doge Francesco Imperiale Lercari invece, convocato a Versailles, dovrà dar soddisfazione al Re e ratificare il trattato di pace precedentemente pattuito.
“Quadro raffigurante il Doge genovese accolto a Versailles dal Re Sole per ratificare la pace”. Louis 14-Versailles 1685
Ma non rinuncerà al suo orgoglio di GENOVESE, quando interrogato su cosa l’avesse più colpito (il Sovrano si riferiva allo sfarzo della reggia, allo spettacolo dei giochi d’acqua delle fontane, all’opulenza dei nobili di Corte), rispose sprezzante
“Mi chi” (di essere qui io).
Interpretati dall’autore di questo articolo: Il parere degli storici:
Gabriella Airaldi e Antonio Musarra offrono un'analisi ancora più ampia e contestualizzata. Infatti, il bombardamento di Genova può essere visto come parte di un piano più grande di Luigi XIV, che mirava a garantire il controllo del Mediterraneo, particolarmente strategico per il commercio e la guerra.
Il porto di Genova era cruciale, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo ruolo come centro di traffico commerciale e finanziario. La presenza delle banche genovesi, che sostennero gli avversari della Francia, amplificava l'interesse di Luigi XIV nel ridurre l'influenza genovese e garantire l'egemonia francese nella regione. In sintesi, la visione di un conflitto tra interessi sui porti e sul potere economico si allinea meglio con le ambizioni imperiali e commerciali di Luigi XIV, piuttosto che con motivazioni puramente locali o religiose.
La sfida, quindi, è quella di promuovere una comprensione storica che vada oltre le superficialità e che incoraggi un dialogo informato.
Riguardo all'episodio della convocazione del Doge a Versailles, è considerato emblematico della relazione tra il potere francese e quello genovese. La risposta attribuita al Doge, "mi sun chi", che in dialetto genovese significa “io sono qui”, è spesso interpretata come un gesto di coraggio e dignità.
Questo scambio è usato frequentemente per illustrare l'impatto dell'autorità e della pompa di Versailles, ma anche il valore dell'orgoglio genovese, nonostante la sottomissione alla potenza francese.
Nonostante non ci siano documenti certi che confermino in modo inconfutabile questo scambio, la leggenda riflette comunque il senso comune di resistenza e l'icona di dignità che i genovesi cercarono di mantenere anche di fronte a una situazione così umiliante.
Questa narrazione ha alimentato il folklore locale e ha contribuito a formare un'immagine di resilienza e fierezza.
Il terribile bombardamento stoicamente subito evidenzia, da ogni prospettiva lo si guardi, la dignità e il coraggio dei genovesi di fronte all'oppressione francese in quel particolare quadro storico, la cui stupenda cornice rappresenta il valore aggiunto dell'identità culturale locale che, puntualmente documentata con ricerche e testimonianze scritte, arricchisce il contenuto narrativo più generale.
Di quel tristissimo evento bellico che costò tanti morti e macerie, rimangono tuttora, dopo 340 anni, le ferite sui muri della Superba, come abbiamo visto.
Per completezza riporto da wikipedia i particolari militari dell’assedio:
* La bombarda (detta anche palandra, o balandra, fino al XVI secolo, dall'olandese bylander, attraverso il francese balandre, bélandre)[1] fu un tipo di nave da guerra a vela di non grande stazza e concepita non per operare contro altre navi, ma contro bersagli terrestri. Si trattava di scafi privi di alberatura, con una fiancata gremita di cannoni di grosso calibro e mortai, mentre l'altra era disarmata. Di solito venivano trainate da lance o da altre navi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1684)
La mattina del 17 maggio 1684, i genovesi poterono vedere schierate davanti alla loro città 160 navi da guerra francesi, a formare uno schieramento che andava dalla Lanterna alla foce del Bisagno.
In tutto dieci palandre guardate ai lati da grosse imbarcazioni piene di moschettieri in assetto di guerra, erano pronte a far sentire il loro potere offensivo; e a mezzo miglio di distanza 20 galee e 16 vascelli con al centro la nave ammiraglia minacciavano il porto pronte a intervenire.[4]
Si aggiungevano 8 navi da trasporto, 17 tartane e 72 imbarcazioni a remi per il rifornimento delle polveri da sparo, per una flotta che contava in tutto 756 bocche da fuoco posizionate contro la Repubblica.
Il giorno seguente la giunta di guerra presieduta dal Doge, per ritardare il massiccio bombardamento, ordinò al Maestro di Campo generale di intimare alle navi nemiche di allontanarsi, con spari a salve, ma ciò non ebbe alcun effetto, così alcune delle artiglierie costiere diressero il proprio fuoco verso le palandre francesi più vicine, colpendone alcune e costringendo le altre a indietreggiare.
La risposta fu immediata, e verso sera l'artiglieria navale francese mise in mostra la sua superiorità[5], e se anche la replica genovese fu rabbiosa, i pezzi di artiglieria costiera non crearono molti danni alla flotta del Re Sole.
Il 19 maggio il bombardamento fu più violento, e i nuovi mortai da 330 mm[6], furono una tragica scoperta per i genovesi: con il loro effetto devastante, terrorizzarono gli abitanti e causarono molti danni, colpendo il salone del Palazzo Ducale, che finì devastato dalle fiamme in quanto usato come deposito di polvere da sparo.
La Dogana fu distrutta, la casa di Colombo, palazzo San Giorgio, il Portofranco e le chiese di Sant'Andrea, Santa Maria in Passione e Santa Maria delle Grazie subirono gravi danni.
Molte abitazioni e ville furono danneggiate, via san Bernardo, via Giustiniani e via Canneto subirono danni ingentissimi; la notte tra il 19 e 20 maggio i tiri francesi non cessarono, e le temute palandre, protette dall'oscurità dal tiro delle batterie genovesi, avanzarono verso la costa, allungando il loro tiro verso l'interno.
Il Tesoro di San Lorenzo e quello della Banca di San Giorgio furono trasferiti al sicuro fuori dalla linea di fuoco, il Doge si trasferì nei locali dell'Albergo dei Poveri, Don Carlo Tasso ordinò di trasferire quante più truppe possibili nei luoghi dove era più probabile uno sbarco, e operai e i camalli furono arruolati con il compito di contrastare crolli e incendi.
Il 25 maggio furono affondate alcune imbarcazioni all'imboccatura del porto, in città erano ormai piovute circa 6.000 bombe, che:
«Pareva ormai che la città si convertisse in un totale incendio, ma che l'Inferno stesso vi avesse aggiunto parte delle sue fiamme»
. Così scriveva Filippo Casoni dopo il quarto giorno di cannoneggiamenti, ma la Repubblica di Genova tramite il tono orgoglioso del Doge Francesco Maria Imperiale Lercari, non accettò le pesanti condizioni di resa, e rigettò l'intimidazione, rispondendo che la repubblica non era disposta a trattare sotto il fuoco nemico.[3]
Lo sbarco
Per tutta risposta il Marchese di Seignelay intensificò il fuoco dei cannoni, prima di coordinare una simulazione di sbarco verso il litorale di levante, nei pressi della Foce, allo scopo di distogliere le difese genovesi dal vero sbarco che avrebbe dovuto prendere terra a ponente, fra Sampierdarena e la Lanterna.
Le milizie locali sbaragliarono le truppe che misero piede sul litorale della Foce, ma i 3.500 fanti sbarcati a Sampierdarena, protetti dal fuoco di alcune palandre, misero comunque a dura prova le difese della città. Solo l'intervento di volontari della val Polcevera, con un intenso fuoco di fucileria, mise in fuga i francesi che ripresero il largo. Alcuni di loro però dovettero fuggire verso l'interno, impossibilitati a riprendere il largo, per via del furore dei polceveraschi, come raccontato molti anni dopo dal sacerdote Giacomo Olcese:
«[...] i vecchi della nostra parrocchia raccontano che alcuni videro alla Torrazza[7] i francesi, alcuni si nascosero, altri andavano armati in cerca di qualche francese da uccidere[8]»
Una strenua resistenza
Medaglia commemorativa del bombardamento
Nonostante i chiari limiti delle batterie costiere, il cannoneggiamento fu sospeso il 29 maggio, quando la maggior parte della flotta riprese il mare in direzione di Tolone, desistendo dal tentativo in quanto le scorte di polvere da sparo e munizioni erano terminate, e lo sbarco fallito.
Genova mostrava i segni del martellamento navale: oltre 16.000 bombe caddero sulla città, circa la metà rimase inesplosa, circa un terzo degli edifici evidenziò danni anche ingenti, giacché la città fu colpita fino al quartiere di Oregina dal tiro delle palandre spintesi quasi alla costa.
L'orgoglio dei Genovesi però non cessò mai, venne eletta a protettrice della città santa Caterina Fieschi Adorno, subito iniziarono i lavori di ricostruzione per riportare la città al consueto splendore e le opere di rafforzamento delle difese della città e dell'ingresso del porto.
Il poeta genovese Giovanni Battista Pastorini scrisse per l'occasione il sonetto Genova mia, compreso nella raccolta Poesie, pubblicata postuma a Palermo, nel 1684.
Il Doge Francesco Lercari trattò l'arruolamento di 2.000 fanti svizzeri e 300 cavalli, il tratto dello sbarco fu al centro di particolari rafforzamenti, e si scavarono trinceramenti avanzati allo scopo di dissuadere ogni tentativo futuro.
LA PACE
Nel timore di un nuovo attacco francese, il governo della Repubblica si rivolse perfino a papa Innocenzo XI per esortare Luigi XIV ad abbandonare i suoi progetti bellicosi nei confronti di Genova, anche per il timore della Santa Sede che un nuovo bombardamento avrebbe scosso le coalizioni diplomatiche, spingendo la Repubblica e la sua cerchia di alleanze a stringere commerci con paesi «barbari dove non sono Chiese né Monasteri di vergini»[9], ossia l'Impero ottomano.
Così il compito fu affidato al cardinale Ranucci, rappresentante della Santa Sede a Parigi, che si recò alla corte del Re Sole:
«Rappresentando il gran dolore concepito da Sua Santità per il suddetto accidente e i gravissimi danni patiti dalla Repubblica e il sommo disturbo che riceveva l'Italia e la guerra contro il turco, pregando però S.M. di tralasciare risentimenti così pregiudiziali anco a pubblico bene, e deponer ogni sinistro concetto formato contro quel Governo e reintegrarlo nella Real Gratia[9]»
Note
1. ^ Luigi XIV, Memorie, Bordigheri, Torino, 1962
2. ^ Pierre Goubert, Luigi XIV e venti milioni di francesi, Bari, Laterza, 1968
3. Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova
4. ^ Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova, p. 224
5. ^ L'impiego francese delle artiglierie rappresentava la massima evoluzione del periodo: già nel 1683 a Parigi fu stampato L'Art de jetter les Bombes, scritto dal Maresciallo François Blondel, opera indicativa sui progressi raggiunti nella teoria e sperimentazione del tiro e dei materiali d'artiglieria
6. ^ Già utilizzati dalla flotta francese due anni prima contro Algeri, con risultati molto efficaci, che indussero i francesi a moltiplicarne i pezzi e le tecniche
7. ^ Frazione di Sant'Olcese
8. ^ Giacomo Olcese, Storia civile religiosa di Casanova, tipografia della Gioventù, Genova, 1900
9. Manoscritto Ristretto del Ministero del Sig. Cardinale Angelo Ranucci [...] nelle quali si tratta del bombardamento di Genova [...]- Biblioteca Civica Berio, Genova
Concludo segnalando un articolo-riepilogo dei principali bombardamenti subiti da Genova nella sua lunga storia.
BOMBA SU BOMBA …. ((Il secondo di tre articoli)
https://www.amezena.net/tag/recco/
Carlo GATTI
Rapallo, 12 Dicembre 2024
UN BELL'ARTICOLO RITROVATO - O Gôrfô di nescii - IL Mare–23 novembre 1929
UN BELL'ARTICOLO RITROVATO
O Gôrfô di nescii
IL Mare–23 novembre 1929
Pezzi di Storia - 18 ottobre 2015
La proverbiale ed equivoca antifrase (1)
Quando, non è molt'anni il Mare sciorinò quello stelloncino fluido, brioso e commemorativo dal titolo «Michelin ó Nescio» vi fu più d'un lettore di detto periodico marino, che spontaneamente esclamò: Siamo nella Capitale del Gôrfô di Nescii ed il Mare ne ricorda uno, come se si trattasse di un caso raro e di un'avis-unica?
E giù una risata di buon sangue! coronata dall'eco degli uditori.
E la trovata quasi peregrina si propagava presto, divenendo lepido argomento di pubblico ciarliero dominio nelle brigate e nelle adunanze amichevoli tanto nell'alta casta come nel basso ceto. Sappiamo però che una volta saltò finalmente fuori uno, che - alla meraviglia di ignoranza figlia - quasi celiando rispondeva ad uno di cotali interlocutori: Sarà! ma io, che sono un giovane ed autentico rapallino, sospetto, che questa frase sia stata tirata fuori extra-Rapallum a modo di antifrasi assai significativa, volendosi cioè con tal motto darsi ad intendere, che la bocca dicea così ma che nella mente c'era tutt'altro concetto e portava in proposito qualche esempio: Caronte, secondo la mitologia greco-romana, portava le anime dei delinquenti al Tartaro cioè all'Inferno, e, secondo Dante, avea occhi di bragia, eppure il nome di Caronte voleva dire (dal verbo greco chairo) grazioso! Le Dive Parche, Cloto, Láchesi ed Atropo, che presiedevano alla vita degli uomini erano dette Parche cioè Perdonanti perché non la perdonavano a nessuno (la morte). I Razionalisti si dicono tali perché non ragionano, i Russi si chiamano Ortodossi cioè di religione dritta appunto perché sanno che invece l'è storta e così questo Golfo di Tigullia è stato chiamato tale perché in realtà gli abitanti sono troppo furbi!…
Si può ammettere questa spiegazione oppure se ne deve dare un'altra?
Ecco ciò che togliamo noi a dimostrare.
Volgeva nella sua quarta decade il Secolo XIX p. p. ed un'eccitazione psicologica popolare cominciava ad accendersi in Italia con orizzonti, e miraggi, ansie e speranze, tendenze e spasimi di Rinascenza, di Indipendenza, di Libertà, di Nazionalità e di Romanesimo, in poche parole, di una futura vita novella. Le adunanze, i cortei, le acclamazioni erano diventate cerimonie di ogni giorno; sorgevano qua e là bande e filarmoniche, musiche, crocchi e processioni laiche che davano a quando a quando in rapsodie e canti popolari di questo tono:
Sorgete Italiani
A vita novella
d'Alberto la Stella
Risplende nel ciel!
Senonché l'esaltazione non si conteneva nei limiti dell'estrinsecazione di sensi, di voti e di anelazioni di progresso, di unità, e di indipendenza patriottica ma si evolvea in ben diverse maniere. Da per tutto si vedevano strade romane, si costumava coniare nomi di romana provenienza, si dettavano iscrizioni sopra battaglie avvenute tra le legioni romane e le liguri popolazioni famigliarizzate con le alture dell'Apennino, si denominavano località, ponti, e campi da Gneo, da Pompeiano, da Annibale, da Marte, da Ermete ecc. e si apponevano lapidi commemorative in proposito di tanti sognati avvenimenti; si indossavano marsine verdi, coccarde tricolori e persino venditori con angurie o cocomeri (pateche) verdi, tavolo bianco e carta bianca per fasciarla bene. Sembrava un'epoca di concordia nazionale per un'aspirazione di un interesse comune: la Patria.
Eppure il vecchio regionalismo italiano, che durò tanti secoli non volle dimostrare di essere cenere o resto di sepoltura, perché una pioggia di nomignoli, e di titoli disprezzativi si diffondeva tra una provincia e l'altra, non so se per accendersi meglio di emulazione e di entusiasmo l'una con l'altra, o per censurare la sociale condotta di disunione politica ed amministrativa tenuta fino allora da esse davanti agli stranieri che si servivano del frazionamento italiano per discendere spesso tra di noi… ad ungere le nordiche basette!
Di fatti i Comachi erano definiti per altrettanti Cipollati o Cigolati, i Pistoiesi per pattonai, i Pratesi per ranocchïai, i Fiorentini per Mangia-fagiuoli, i Milanesi per buseconi o trippai. I Pisani a lor volta riesumavano i nomignoli del sec. XIII di scopa-boca o stoppabocca ai Genovesi ed a quei di Portovenere, di streppa borsello ai Lucchesi ecc. Dalle città il dispregiativo passava ai borghi ed ai villaggi ed ecco i cigolli, i belât, i meizanne pinne, i sueli, i gli erbo-de gabba, i putaê, côppaî, tegoin, fiori de succa, axi, baggi, ecc. ecc. Ai nomignoli vezzegiativi succedevano poi le frasi grottesche v. g. Zeneise riso raëo! (sulla bocca marinaresca del Genovese il riso o sorriso è raro), Piemonteise R… corteise; ladri de Pisa e tra queste quelle la citata antifrasi ô Gorfô di Nescii per indicare il Golfo del Tigullio, specialmente da Portofino a Zoagli.
In quel tempo scorrevano ancora i mari per i viaggi di cabotaggio, Maremme, Civitavecchia, Corsica, Sardegna, Sicilia ecc. navi di costruzione non progredita benché cominciasse già – la febbre delle macchine – e si erigesse già qualche cantiere navale di importanza sulle Liguri spiaggie per la costruzione in legno tipo moderno.
Or bene avveniva di sovente, che tra i capitani di secondo corso alcuni più audaci e forti, giunti dinnanzi a Rapallo ed a S. Margherita, nell'infuriar del libeccio affrontavano il capo di Portofino e continuavano per alla volta di Genova, mentre altri invece più pavidi e più cauti dicevano: un giorno più un giorno meno torna lo stesso…! e in così dire atterravano a S. Margherita ed a Portofino, poco curanti dei rimbrotti della consorte o degli amici, o dei motteggi di qualche ozioso scaldacalate del porto di Genova.
Arrivando i primi (cioè i più coraggiosi) a Genova nelle ore vespertine o sul cadere del giorno erano salutati da ovazioni intronanti dagli aspettatori.
Bravi! Bravi'! Pensavamo, di non vedervi ancora oggi… avevamo paura che… temevamo che il mare agitato così vi potesse arrestare… Bravi! Voi… che siete uomini coraggiosi… e valorosi capitani…!
Per contro certe donne e molti figli, non vedendo comparire le barche dei loro aspettati, facevan ressa attorno agli arrivati e li tempestavano di domande: e la barca N. e la scônnia F. e la tartana M. e il cutter G… dove sono? Ah! essi, rispondevano gli interpellati, sono stati più furbi di noi… si sono fermati per via ed arriveranno forse domani…
Ah! Ah! Abbiam capito tutto! Zà! Zà! si saran fermati al solito in tó Gôrfô di Nescii (cioè dove per paura approdano tutti i paurosi, i timidi, gli inesperti) e così tartagliando se ne tornavano dolenti e quasi disillusi alle bicocche loro.
Ecco la spiegazione ovvia, facile, naturalissima dell'antifrase «ô Gôrfô di Nescii» fra le varie puerili e insignificanti soluzioni che ci pervennero all'orecchio.
Nescii (1)
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sarebbero quindi, per equivoco, gli estranei al Golfo, perché timidi profittano nell'occasione di temibile procella o di eccessivo ondeggiamento dello specchio acqueo del mare genovese e cercano volentieri riparo nel porticciuolo di Portofino o di S.ta Margherita per una breve precaria sosta. E' dunque un'antifrase, che in sostanza vuole significare il contrario, cioè che ha una contraria relazione con ciò che letteralmente prova la pronunciata voce.
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Eppoi coloro che per una prudenza forse eccessiva atterravano a S. Margherita od a Portofino erano davvero nescii o davvero asperti? E' questo un problema nautico, che suole essere deciso dagli effetti del dopo e non prima.
Basti ricordare
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che la storia del Golfo Tigullio fa i nomi di valenti capitani di lungo corso, di Ammiragli di flotte abbastanza celebrati, e persino di qualche Pontefice, che amarono mettersi al sicuro nel Golfo dei Nescii a Portofino ed a S. Margherita che andare incontro por un viaggio pericoloso ed una probabile disfatta nelle scogliere della Riviera.
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che una sfuriata straordinaria di libeccio fece rientrare di un metro per la lunghezza di circa 50 metri un pezzo dell'avambraccio colossale del nuovo molo della Lanterna di Genova nel 1898; sollevò dal fondo del mare gli adiacenti blocchi di 30 tonnellate l'uno, mandando con un urto terribile dei marosi, colonne furenti di acqua fino a 60 ed a 100 metri di altezza. Il mondo marino sarà stato sempre lo stesso anche nel tempo che ricordiamo, con la sua alea capricciosa di bonaccia e di tempeste.
Per conseguenza il facile sarcasmo era di sua natura individuale e non sociale cioè non localizzato al paese benigno, che accoglieva i più prudenti ed i meno audaci.
Il Golfo Tigullio non fu ad altri secondo nel dare figli e lupi di mare, capitani e nocchieri esperti e profondi in nautica cultura ed in pratica di viaggi di cabotaggio e di lungo corso da sentirsi meritevoli di tale dispregiativo.
Non rievochiamo i fasti storici navigatorii dei capitani, piloti, padroni ed armatori di navi e di triremi ai lettori, che ne sanno più di noi.
Come nacque il dubbio della antifrase?
Nel pullulare di varie interpretazioni puerili, cervellotiche e gratuite di tale proverbio rivierasco, tra le quali una lo originerebbe dai pesci, che nello specchio acqueo di Rapallo si lasciano prendere all'amo più che in altri seni di spiaggia!! (in tal caso i pesci e non gli abitanti sarebbero i veri nescii!) e l'altra che nel Golfo Tigullio spesseggiano troppo i mentecatti, e la terza che il clima è debole e quasi effeminato, la quarta che è una zona quasi morta alla vita commerciale ecc. ci voleva un fatterello, che mettesse sulle orme di un senso di interpretazione più oggettivo imparziale, ermeneutico della tradizione e della storia e venne davvero nel pomeriggio del 24 aprile del 1926.
Il piroscafo Menfi partito da Tripoli (toccate Tunisi, Cagliari, Civitavecchia ed in ultimo il porto di Livorno) arrivava dinnanzi il Tigullio, verso le ore 17. Uno infuriamento di scirocco facea ondeggiare bruscamente il mare… sì che non pochi viaggiatori e viaggiatrici temevano, che quel ferravecchio di piroscafo fra il rullìo ed il beccheggio, che più volte ci fece dondolando provare… ci rinnovasse qualche quarticello d'ora penoso. Ne fu interpellato il Comandante il quale, additandoci il capo di Portofino, ne disse: Attendano Signori un pochino, ché, oltrepassata quella punta, vedranno la calma! E perché? Ah! perché Portofino è un riparo per le sfuriate di libeccio, ma per contro è un Alt! contro le ondate di scirocco proteggendo la Riviera di Genova da Camogli a Capo di Faro.
Fu allora, che per una logica induttiva e semplice intendemmo chiaramente, che i Nescii del proverbio così balbettato da persone ignare (dell'origine di detto nomeaggio, di pratica e di teoria nautica e di patrie tradizioni) erano troppo asperti ricorrendo al riparo sicuro contro l'ira perversa del garbino o libeccio, che sfuria sovente tra ponente e mezzogiorno e sotto il nome portoghese di Monçào, e spagnuolo di Monzondomina nei mari delle Indie e propriamente il vento che soffia a sud-ovest.
(1) Figura retorica che consiste nell'esprimersi con termini di significato opposto a ciò che si pensa, o per ironia o per eufemismo
COMMENTO di Carlo GATTI
Il Golfo dei Nescì
Un’Antifrase Piena di Storia e Ironia
Una precisazione è d’obbligo!
In questo commento all’articolo del MARE, ripreso dalla Gazzetta di Santa, con il termine “rapallini” mi riferisco ai cittadini e marinai costieri che nulla hanno a che fare con i marittimi rapallini naviganti sui velieri d’altura dell’800 che furono superbi ATTORI, perfettamente inseriti in quella grandiosa storia conosciuta come EPOPEA DELLA VELA al pari, per capacità e valore, dei loro contemporanei colleghi di Zoagli, Camogli e Chiavari.
E’ quindi utile qui ricordare che Rapallo ebbe una delle prime Scuole Nautiche d’Italia ed un Cantiere Navale, (oltre ai tantissimi minori a carattere famigliare), che varò Brigantini Oceanici.
L'articolo del 23 novembre 1929 della rivista Il Mare di cui non si riporta l’autore, esplora con acume e ironia il noto soprannome "Golfo dei Nescì". Questo termine, derivante da "nesci", ovvero "senza sale", evoca non solo un senso di scemenza, ma riflette anche la storica rivalità tra le comunità marinare del Golfo di Tigullio. Il goliardico gioco di parole si è trasformato nel tempo in un simbolo di astuzia e furbizia locale, tanto che la sua diffusione era palpabile in ogni angolo del golfo, avvolgendo chiunque vi fosse immerso in un'atmosfera di ironia condivisa.
Ricordiamo come il contesto storico del 1929 fosse intriso di fervore patriottico, dato il panorama politico e sociale italiano.
L’articolo fa riferimento a un periodo in cui le antiche rivalità regionali si mescolavano a un rinnovato senso di identità nazionale. In questo gioco di parole e metafore, l'audacia dei marinai che sfidavano il mare tempestoso si contrapponeva alla prudenza di quelli che cercavano rifugio nei porti sicuri di Portofino, Santa Margherita e Rapallo.
L'ironico richiamo agli "autentici rapallini", che consideravano il termine un'ironia degli estranei, evidenzia il costante gioco tra coraggio e paura che trascende il tempo e lo spazio. Queste delicate dinamiche tra marineria e geografia si riflettono in una serie di storie, aneddoti e nomignoli che, attraverso i secoli, hanno contribuito a costruire l’identità del Golfo.
La metafora dell’antifrase viene ripresa efficacemente in un contesto più ampio: l’idea che la stessa furberia che viene ridicolizzata possa in realtà essere una virtù, un'abilità necessaria per sopravvivere non solo in mare, ma anche nel tessuto sociale di una comunità che si evolve.
ASTUZIA E MARINERIA
La splendida foto sotto rispecchia l’Astuzia ed il senso marinaresco di chi sa andare per mare!
PORTOFINO - Tra le due “carrette” gemelle dello stesso armatore, in un romantico quadretto centrale, appare un leudo, tra una Scuna (brigantino goletta) a sinistra. ed una Goletta a destra.
Il Golfo, quindi, non è solo un luogo di rifugio, ma un crogiolo di storie di audacia, ingegno e, a volte, di una certa ironica follia.
Il “Golfo dei Nescì” non è solo il risultato di un gioco di parole, ma un simbolo della ricca tradizione marinara e culturale che abbraccia l’essenza del Tigullio. La sua narrativa è un invito a riflettere su come le parole, con la loro storia e il loro peso, possano esprimere verità più profonde sulla vita e sulla comunità.
La Fortuna dei Rapallini: Naviganti in un Golfo Protetto nel panorama marittimo della Liguria.
Rapallo emerge come una perla, ben riparata dal temuto vento di Libeccio grazie al promontorio di Portofino che salendo sino a 600 mt s.l.m. la ripara anche dal vento di Maestrale. Questo vantaggio geografico ha permesso ai rapallini di diventare i fortunati custodi di un microclima favorevole, che li differenzia nettamente dagli abitanti delle altre località esposte alle vessazioni del mare.
Secondo antiche NESCE credenze, i rapallini sono considerati i "meno marinai" dell’arco ligure per il contesto che si sono trovati a vivere. La protezione offerta dal promontorio di Portofino non solo garantisce riparo, ma ha anche contribuito a generare una cultura che, sebbene affondando le radici nel mare, ha saputo svilupparsi in modo diverso rispetto ai loro vicini più esposti. Essere meno marinai non significa essere meno capaci; anzi, implica una saggezza maturata nella comprensione delle dinamiche del mare e dei suoi capricci. Gli antichi rapallini, con il loro testimoniato spirito di naviganti d’altura, hanno imparato a valorizzare ciò che il mare offre, senza esserne schiacciati. Questa adattabilità ha creato una comunità resiliente, che sa convivere con le sfide del mare e della vita.
Nel contesto attuale, questa riflessione diventa emblematicamente significativa, poiché ci ricorda l’importanza di riconoscere e apprezzare le peculiarità culturali e ambientali di ogni luogo. Oggi i rapallini, con la loro fortuna e il loro ingegno, hanno forgiato un'identità che celebra la relazione tra uomo e mare, facendo di Rapallo non solo un porto sicuro, ma anche un simbolo di astuzia e armonia.
QUANDO IL LIBECCIO NON FA SCONTI A NESSUNO…
UN CICLONE DA LIBECCIO DEVASTÒ IL PORTO DI GENOVA (19.2.1955)
Frantumò oltre 400 metri di diga, irruppe nello scalo genovese e fece strage di moli e di navi.
(Dalla Relazione sui Pilotaggi effettuati nel Porto di Genova durante il Ciclone del 19 febbraio 1955).
https://www.marenostrumrapallo.it/ciclone/
di Carlo GATTI
IL DRAMMA DELLA LONDON VALOUR IN TRE PUNTATE
1a
IL GIORNO DEL DIAVOLO
https://www.marenostrumrapallo.it/il-giorno-del-diavolo/
di Carlo GATTI
2a
"LONDON VALOUR"
GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE …
https://www.marenostrumrapallo.it/lbeccio-vento-di-eroi-e-di-morte/
di Carlo Gatti
3a
“LONDON VALOUR”
LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE
https://www.marenostrumrapallo.it/london-valour-la-nave-che-affondo-due-volte/
di Carlo Gatti
Carlo GATTI
Rapallo, Giovedi 5 Dicembre 2024
IN VIAGGIO CON LE ANGUILLE
IN VIAGGIO CON LE ANGUILLE
Perché a Natale si mangia il capitone?
Molto simile al serpente, rappresentazione nelle Sacre Scritture del demonio tentatore che avrebbe indotto al peccato Adamo ed Eva, il capitone mangiato alla vigilia della nascita di Gesù Cristo annullerebbe il male, un vero atto simbolico portato avanti ormai da secoli.
L'allevamento ha radici antiche – dall'antica Grecia alla civiltà romana, di cui v'è traccia in Plinio – ed è tuttora praticato non solo nelle lagune venete e di Comacchio ma anche in Lombardia, Toscana e Sardegna.
L'anguilla, un misterioso abitante delle profondità marine che ha sempre catturato l'attenzione degli studiosi e degli appassionati di marineria.
I DUE ENIGMATICI VIAGGI DELLE ANGUILLE
Una caratteristica unica delle anguille è la loro capacità di effettuare migrazioni incredibili.
Dopo aver trascorso diversi anni nelle acque dolci della laguna di Comacchio, le anguille raggiungono la maturità sessuale in vista del lungo viaggio di ritorno verso il Mar dei Sargassi dove sono nate. Ma questo viaggio lo dedicheranno per la riproduzione.
Abbandonato l’habitat di acqua dolce, intraprendono il viaggio attraverso l'Oceano Atlantico nuotando per migliaia di chilometri fino alle acque calde del Mar dei Sargassi.
“Lungo il percorso, le sguscianti anguille tentavano in tutti i modi, ma invano, di sfuggire alla loro sorte e di riprendere il loro istintivo viaggio di ritorno verso il Mar dei Sargassi, dove da sempre vanno a riprodursi (ci impiegano tre anni)”.
Questa migrazione riproduttiva è un vero e proprio tour de force. Le anguille trasformano il loro corpo, sviluppando occhi più grandi, muscoli potenti e organi riproduttivi completamente funzionanti.
Una volta raggiunto quel lontano mare americano, le anguille si accoppiano e depongono le uova, un evento affascinante che non è stato ancora completamente compreso dagli scienziati.
Una volta raggiunto quel lontano mare americano, le anguille si accoppiano e depongono le uova, un evento affascinante che non è stato ancora completamente compreso dagli scienziati.
INIZIA IL VIAGGIO PER L’EUROPA
Dopo la deposizione delle uova, gli adulti muoiono, mentre le larve, leptocefali, emergono dalle uova e iniziano il loro viaggio di ritorno verso le coste europee.
La loro vita inizia quindi nel lontano Mar dei Sargassi, un vasto mare situato nell'Oceano Atlantico occidentale. È qui che le larve di anguilla, chiamate leptocefali, prendono forma e intraprendono un lungo viaggio alla ricerca di nuovi territori.
Durante questa fase si trasformano gradualmente in anguille giovanili, chiamate glass eels, caratterizzate da un corpo trasparente e fragile. È un periodo di grande vulnerabilità, in cui molti di loro cadono vittima di predatori o di condizioni ambientali avverse.
Restano in queste acque marine da uno a due anni, poi, trasportate dalle calde acque della Corrente del Golfo, partono per il loro viaggio di andata verso le coste europee. Qui giungono dopo un viaggio di quasi un anno allo stadio di cieche (piccole anguille trasparenti da 6 a 12 cm).
Inizialmente, rimangono negli estuari dei fiumi in cui si nutrono di plancton per poi colonizzare progressivamente fiumi, laghi e stagni di pianura. In questi luoghi assumono la tipica colorazione giallo/verdone e crescono fino a raggiungere la maturità sessuale.
Le leptocefali affrontano una migrazione incredibile nuotando attraverso le mutevoli correnti oceaniche per raggiungere le coste europee.
Questa migrazione è un vero enigma della natura. Come le larve di anguilla riescono a trovare la strada attraverso l'oceano fino alle coste europee, rimane ancora un mistero. Si ipotizza che siano in grado di percepire le correnti oceaniche, i campi magnetici o altre indicazioni ambientali per orientarsi e raggiungere le destinazioni desiderate.
Una volta raggiunte le coste europee, il ciclo di vita delle anguille si ripete, dando inizio a una nuova generazione di avventure e sfide.
La storia delle anguille è intrisa di mito e leggenda, ed è stata oggetto di studi scientifici approfonditi. Queste creature affascinanti sono state oggetto di interesse per biologi, ricercatori e scrittori di tutto il mondo. La loro storia è stata raccontata in romanzi, documentari e persino in opere d'arte.
LE TANTE SFIDE….
Il mondo delle anguille, che si estende dal Mar dei Sargassi a Comacchio, è un'interessante sinfonia di adattamento, sfide e speranza. Queste creature affascinanti continuano a stimolare la curiosità degli scienziati e la passione dei pescatori, mentre il loro destino rimane legato alla salute dei nostri ecosistemi marini e d'acqua dolce.
Riprendiamo il viaggio….
Raggiunte le coste europee, il ciclo di vita delle anguille si ripete, dando inizio a una nuova fase di incertezze e pericoli.
Tuttavia, per coloro che sopravvivono, aumenterà la speranza di avvicinarsi alla laguna di Comacchio lungo fiumi e canali, in un ambiente ricco di mangrovie, paludi e canneti, ideale per il loro sviluppo. Le anguille, ormai diventate elvers, si adattano alla vita di acqua dolce e iniziano a migrare verso l'entroterra.
Una volta giunte a Comacchio, le elvers iniziano a esplorare le vie d’acqua che si snodano nella laguna. Qui si nutrono di una vasta gamma di organismi acquatici, tra cui piccoli pesci, crostacei e insetti, che forniscono loro l'energia necessaria per crescere e svilupparsi.
A misura che le anguille crescono, il loro colore diventa più scuro e il loro corpo si ricopre di una patina di muco protettivo. Questo muco, insieme alla forma allungata e snella del loro corpo, consente loro di muoversi agilmente sia in acqua dolce che salmastra.
Il pericolo di estinzione
Negli ultimi decenni, il mondo delle anguille ha attraversato una serie di traversie. Le popolazioni di anguille sono diminuite drasticamente a causa della pesca eccessiva, dell'inquinamento e delle modifiche ambientali. Questo ha portato a restrizioni nella pesca e all'implementazione di misure di protezione per preservare questa specie.
Oggi, l'anguilla è diventata un simbolo della lotta per la conservazione della biodiversità e della tutela degli ecosistemi acquatici. Attraverso programmi di ricerca, monitoraggio e sensibilizzazione, si cerca di comprendere meglio la biologia delle anguille e di promuovere pratiche sostenibili per la gestione delle loro popolazioni.
La sopravvivenza delle anguille è minacciata da una serie di fattori. Tra questi, la pesca eccessiva è stata una delle principali cause del declino delle popolazioni di anguille in tutto il mondo. La loro carne pregiata e la crescente domanda hanno portato alla pesca intensiva, mettendo a rischio la sopravvivenza di queste creature. Per mitigare questo problema, molti paesi hanno introdotto restrizioni sulla pesca dell'anguilla e hanno adottato pratiche di gestione sostenibile.
Ma la pesca non è l'unico pericolo che le anguille affrontano. L'inquinamento delle acque è un'altra minaccia significativa per la loro sopravvivenza. Sostanze chimiche, rifiuti industriali e agricoli, nonché inquinanti provenienti dalle attività umane, possono contaminare gli habitat delle anguille, danneggiando la loro salute e compromettendo la loro capacità riproduttiva.
Inoltre, le modifiche ambientali e la distruzione degli habitat sono un'altra grave minaccia per le anguille. La costruzione di dighe, la canalizzazione dei fiumi e la distruzione delle zone umide riducono le opportunità di migrazione e alterano gli ecosistemi di acqua dolce in cui le anguille dipendono per la loro sopravvivenza.
Tuttavia, non tutto è perduto. Negli ultimi anni, sono stati fatti sforzi significativi per la conservazione delle anguille. Programmi di ripopolamento e di monitoraggio delle popolazioni sono stati implementati in molti paesi. Inoltre, l'educazione e la sensibilizzazione del pubblico sono diventate parti cruciali degli sforzi di conservazione, al fine di promuovere la comprensione dell'importanza delle anguille negli ecosistemi acquatici.
I ricercatori stanno anche cercando di comprendere meglio la biologia delle anguille attraverso studi approfonditi sul loro ciclo di vita, il loro comportamento migratorio e la loro ecologia. Queste informazioni sono fondamentali per sviluppare strategie di gestione efficaci e per proteggere le popolazioni di anguille a lungo termine.
La conservazione delle anguille non riguarda solo l'importanza ecologica di questa specie, ma anche l'equilibrio degli ecosistemi e la sostenibilità delle comunità umane che dipendono da esse. Le anguille svolgono un ruolo cruciale nella catena alimentare, contribuendo alla diversità e all'equilibrio degli ambienti acquatici.
La conservazione delle anguille richiede anche la cooperazione internazionale. Poiché le anguille migrano attraverso le acque di diversi paesi, è fondamentale collaborare a livello globale per proteggere le loro rotte migratorie e garantire la sopravvivenza di questa specie preziosa.
Inoltre, i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia significativa per le anguille. L'aumento delle temperature dell'acqua e l'acidificazione degli oceani possono influire sul loro ciclo di vita e sulle loro abitudini alimentari. Ciò potrebbe avere conseguenze negative sulle popolazioni di anguille e sull'equilibrio degli ecosistemi che esse abitano.
Per affrontare queste sfide, gli scienziati stanno cercando di sviluppare strategie innovative. Ad esempio, la tecnologia dei passaggi per pesci viene utilizzata per facilitare la migrazione delle anguille attraverso le barriere artificiali come le dighe. Questi passaggi consentono alle anguille di raggiungere gli habitat di riproduzione e di evitare ostacoli che potrebbero limitare il loro movimento.
L'importanza delle anguille va oltre la loro ecologia e biologia. Esse hanno anche un valore culturale e storico significativo. In molte comunità costiere e fluviali, la pesca delle anguille è stata una tradizione radicata da secoli. Ha fornito sostentamento, identità culturale e conoscenze tradizionali tramandate di generazione in generazione. Preservare le anguille significa preservare anche il patrimonio culturale di queste comunità.
In conclusione, le anguille ci offrono uno spaccato affascinante del mondo naturale, delle sue meraviglie e delle sue fragilità. Sono creature straordinarie che affrontano sfide straordinarie lungo il loro ciclo di vita. La loro conservazione richiede un impegno collettivo per preservare gli habitat acquatici, ridurre la pesca eccessiva e combattere l'inquinamento.
Solo attraverso sforzi congiunti. Attraverso la collaborazione, la ricerca e l'educazione, possiamo lavorare insieme per proteggere le anguille e garantire la loro sopravvivenza per le future generazioni.
LA GENTE SI CHIEDE…
Perché si chiama Mare dei Sargassi?
Al centro dell'Oceano Atlantico settentrionale, tra gli arcipelaghi delle Azzorre e delle Antille, s'incontrano ammassi fluttuanti, spesso assai estesi, di alghe, dette in portoghese sargaços; da ciò il nome dato a questa zona di Mare dei Sargassi.
Perché le anguille si riproducono nel Mar dei Sargassi?
Al centro dell'Oceano Atlantico settentrionale, tra gli arcipelaghi delle Azzorre e delle Antille, s'incontrano ammassi fluttuanti, spesso assai estesi, di alghe, dette in portoghese sargaços; da ciò il nome dato a questa zona di Mare dei Sargassi.
Perché le anguille si riproducono nel Mar dei Sargassi?
Ancora non si sa per quale motivo le anguille scelgano per riprodursi proprio questa zona. Si sa, però, che è un'area davvero singolare: è un mare delimitato non da coste ma dalle correnti oceaniche. A nord la Corrente del Golfo, a sud le varie correnti che scorrono lungo il Tropico del Cancro.
Che differenza c'è tra l'anguilla e il capitone?
Che cos'è l'anguilla? L'anguilla (Anguilla anguilla) è una specie della famiglia Anguillidae. A volte la femmina – che può superare il metro di lunghezza – viene chiamata capitone, mentre il maschio – molto più piccolo – è detto ceca.
Quanti anni vive l'anguilla?
Fino a 85 anni! Nel corso della loro vita, le anguille (che possono vivere fino a 85 anni di età) passano attraverso quattro stadi di metamorfosi: nascono nel Mar dei Sargassi come minuscole larve; poi, raggiunte le coste dei luoghi d'origine dei genitori, si trasformano in anguille di vetro, così chiamate perché sono trasparenti.
Dove vivono le anguille in Italia?
L' anguilla è diffusa in tutte le acque dolci collegate con l'Oceano Atlantico ed il Mar Mediterraneo. In Italia possiamo trovarla nelle acque di tutte le regioni con concentrazione decrescente con l'aumento della distanza dal mare.
A cosa fanno bene le anguille?
L'anguilla è un buon alleato della salute cardiovascolare, delle ossa, dei denti e della vista. Presenta inoltre proprietà antiossidanti e aiuta la sintesi dell'emoglobina, il metabolismo dei grassi, il buon funzionamento del sistema nervoso e del sistema immunitario. Inoltre aiuta cuore, reni e muscoli.
In Italia le anguille si trovano prevalentemente a COMACCHIO
La loro presenza a Comacchio è stata fondamentale per l'economia locale. Infatti, la pesca delle anguille è stata una tradizione millenaria, con pescatori che hanno sviluppato tecniche e conoscenze tramandate di generazione in generazione. Le anguille, una volta pescate, venivano affumicate o conservate per poi essere vendute in tutto il paese.
L'anguilla vive un po' in tutta Italia, ma è nelle Valli di Comacchio che il suo allevamento e la sua lavorazione hanno modalità senza uguali. Comacchio è una «piccola Venezia» del primo entroterra ferrarese: 12 isolette circondate da corona di lagune salmastre dove si alleva pesce pregiato fin dall'antichità.
Parco Delta Del Po
Anguilla delle Valli di Comacchio
Nelle valli di Comacchio l'anguilla trova il proprio habitat naturale che le permette di vivere e svilupparsi. Sfruttando l'influenza delle maree sull'istintivo spostarsi delle anguille, ancora oggi si utilizzano le antiche tecniche di pesca come il semplice e geniale lavoriero, un intricato sistema di sbarramenti e griglie mobili, anticamente realizzato in legno e canna, a forma di freccia, posto in prossimità dell'imbocco dei canali che collegano le valli al mare. Vi sono quarantotto differenti piatti di anguilla, che vanno dal delicatissimo risotto fino alla griglia sulla quale l'anguilla sprigiona tutto il suo intenso aroma che la rende un rito gastronomico a cui è impossibile resistere.
Sapori forti, quelli del Delta, sapori che vengono dalla intensa, millenaria convivenza tra la terra e l'acqua, tra il secco e l'umido, tra la gente e il mare.
L'”Anguilla marinata delle valli di Comacchio” costituisce la lavorazione più tipica del pesce di valle. Per questo l'antico metodo di lavorazione dell'anguilla (previsto da un regolamento del 1818) è stato ripristinato all'interno della Manifattura dei Marinati, in centro a Comacchio.
Oggi la Manifattura dei Marinati si articola su oltre milleseicento metri: presenta la Sala dei Fuochi, il cuore dell'intero complesso, in cui sono conservati dodici camini intervallati da nicchie, in cui avveniva, e avviene tutt'oggi la lavorazione dell'”Anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio”.
L'anguilla marinata è riconosciuta anche come Presidio Slow Food, un progetto operativo per la tutela della biodiversità alimentare.
UNO SGUARDO SU COMACCHIO
La Manifattura dei Marinati
https://www.imarinatidicomacchio.it/manifattura-dei-marinati
Basilica di San Cassiano
TREPPONTI - Simbolo di Comacchio
Manifattura dei Marinati
La Loggia del Grano
Ponte dei Trepponti
Torre dell’Orologio di Comacchio
Museo Delta Po
Capanno Garibaldi
A TAVOLA......
Carlo GATTI
Rapallo, Venerdì 20 Dicembre 2024
VILLA SAN FAUSTINO - RAPALLO - VI DIMORO' F. NIETZSCHE
VILLA SAN FAUSTINO
RAPALLO
VI DIMORO’ IL FILOSOFO
FRIEDRICH NIETZSCHE
LE DIMORE STORICHE MENO CONOSCIUTE
Friedrich Nietzsche: lo spirito dionisiaco, la "Gaia scienza", il superuomo. Figura emblematica del passaggio tra Ottocento e Novecento, Friedrich Nietzsche giunge davvero come un punto di rottura (probabilmente non più sanabile) nella filosofia occidentale.
L’attacco alla tradizione cristiana, al pensiero socratico e all’intera metafisica occidentale, condotto col brillante e provocatorio stile aforistico nietzschiano, è radicale, così come sono nette e perentorie le affermazioni di Nietzsche - ormai passate anche alla cultura popolare - sulla “morte di Dio” o sull’avvento del Superuomo. E questa ricerca filosofica, prima di precipitare nelle tenebre della malattia mentale, si rivela in tutto il suo geniale fascino nel percorso accidentato che va dalla Nascita della tragedia (con le sue suggestioni wagneriane e la fiducia catartica nell’arte) alla definizione dello spirito dionisiaco, approdando poi alla fase illuministica di Umano, troppo umano e della Gaia scienza, per chiudersi con la nuova “parabola” terrena del sapiente Zarathustra.
Sulla via Aurelia, provenienti da levante, nella curva dopo le ORSOLINE, si erge villa San Faustino, preceduta da un notevole portale barocco e da un parco incantevole e molto ben curato, nella zona denominata Castello dei Sogni ad un centinaio di metri dal famoso Hotel Bristol.
La villa di raro fascino fu edificata nel 1745 ed ospitò Friedrich Nietzsche che come tutti "i romantici" veniva in Italia, sulle orme di Goethe, a ricercare un tipo di paesaggio che lo affascinava per la sua somiglianza con quello greco, così come veniva immaginato. Egli scrisse in questa villa, incantato dal paesaggio marino, la prima parte del "Così parlò Zarathustra" e "L'eterno ritorno".
L'immobile si trova in un elegante contesto privato e gode di un incantevole vista sul golfo di Rapallo.
L'appartamento dove alloggiò Friedrich Nietzsche, è sito all'ultimo piano della villa misura circa 105 mq è disposto su un unico piano, composto ingresso con corridoio che separa le tre camere da letto, doppi servizi finestrati, cucina e ampio salone con zona lettura. Il salone si affaccia sulla terrazza che permette di godere di una vista assolutamente impareggiabile su Santa Margherita Ligure e Portofino.
GLI INTERNI DELLA VILLA
LA VISTA SU PORTOFINO
I I GIARDINI DELLA VILLA
FRIEDRICH NIETZSCHE
RAPALLO
da
HELLORAPALLO - PEARL OF TIGULLIO
Riportiamo:
Quando l’ispirazione ti assale!
Il filosofo tedesco Nietzsche giunse a Rapallo nel rigido novembre del 1882 alloggiando in “un alberghetto proprio in riva al mare”, che si trovava in quella che oggi è Piazzetta Est. Nel tentativo di liberarsi delle terribili emicranie di cui soffriva e convinto che “tutti i pensieri veramente grandi sono concepiti camminando”, percorreva in solitudine i ripidi sentieri da Rapallo verso Portofino o Zoagli. Nel suo Ecce Homo scriverà: “Su queste due strade mi venne incontro tutto il primo Zarathustra, […]: più esattamente, mi assalì…”. E’ infatti durante questo soggiorno che prenderà forma la prima parte di Così parlò Zarathustra, una delle sue opere più celebri.
Curiosità: “Talora mi diverto ad accendere grandi fuochi” racconta Nietzsche in una lettera ad un amico… fortunatamente questa attività spericolata non causò incendi sulle colline!
Per Francesca: nell’alberghetto a Rapallo c’era un caminetto e N. ne era felice. Viveva in modo molto spartano. Lettera da Rapallo “L’inverno seguente vivevo vicino a Genova, in quell’insenatura quieta e graziosa di Rapallo, intagliata tra Chiavari e il promontorio di Portofino. Non ero nel miglior stato di salute […] Eppure, quasi a riprova del mio principio, secondo cui tutto ciò che è decisivo nasce “nonostante tutto”, il mio Zarathustra nacque in quell’inverno e in quelle sfavorevoli circostanze. La mattina andavo verso sud, salendo per la splendida strada di Zoagli, in mezzo ai pini, con l’ampia distesa del mare sotto di me; il pomeriggio, tutte le volte che me lo consentiva la salute, facevo il giro di tutta la baia di Santa Margherita, arrivando fin dietro Portofino. […] Su queste due strade mi venne incontro tutto il primo Zarathustra, e soprattutto il tipo di Zarathustra stesso: più esattamente, mi assalì”.
Lettera scritta da Ruta anni dopo
Caro amico,
un saluto da questo meraviglioso angolo di terra (…).
Si figuri un’isola dell’arcipelago ellenico, su cui montagne e foreste si alternino capricciosamente, che un giorno, chissà per quale fenomeno, abbia navigato verso la terraferma e vi si sia ancorato senza poter più staccarsene. Senza dubbio, questo luogo ha qualcosa di ellenico, e d’altra parte ha qualcosa di piratesco, di improvvisato, di nascosto, di pericoloso. Laggiù in fondo, a una svolta solitaria, ecco una pineta “tropicale” che dà l’idea di essere lontani dall’Europa (…).
E mai quanto ora ho girovagato e mi sono sentito come in un’isola dimenticato alla maniera di Robinson. Talora mi diverto ad accendere grandi fuochi. La pura irrequieta fiamma che si protende verso il cielo senza nubi col suo gran ventre d’un bianco grigiastro, tutt’intorno l’erica e quella beatitudine dell’autunno che si stempera in cento gradazioni di giallo – oh amico! – questa felicità di estate tardiva sarebbe davvero adatta per Lei, forse anche più che per me!
All’albergo d’Italia (che ha camere squisitamente pulite, purtroppo cucina italiana alla “veneziana”) vivo per due franchi e mezzo al giorno, “tutto compreso”, anche il vino… (…).”
Sul lato opposto della piazza, quella posta nel 1981 ricorda invece il soggiorno di Friedrich Nietzsche; nel 1882, nella Locanda della Posta poi Hotel Ristorante Rapallo et de la Poste, egli compose la prima parte di "Così parlò Zarathustra", com’ebbe a dichiarare in un suo scritto.
Lapide affissa dal Comune
IL PUNTO DI VISTA DELL’AUTORE …
Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco, è noto per le sue idee provocatorie che sfidano le convenzioni del pensiero tradizionale. La sua opera "Così parlò Zarathustra" introduce la figura del "superuomo”, un ideale di individuo che trascende le norme sociali e morali, creando i propri valori.
Nietzsche critico della religione e del sistema morale dell'epoca, afferma che la vita deve essere vissuta con autenticità e passione, abbracciando la Babele dei tempi e l’incertezza.
Per la “gente di mare” come noi, le sue idee possono riflettersi profondamente: la nave, simbolo di libertà e avventura, può rappresentare il viaggio della vita, dove ognuno deve affrontare tempeste e bonacce sul proprio cammino. La volontà di potenza, concetto centrale nel suo pensiero, invita ad affermarsi e a combattere per le proprie aspirazioni, senza lasciarsi influenzare da canoni esterni.
Nietzsche incoraggia a riscoprire la gioia di vivere, a celebrare l’individuo come CAPITANO della propria esistenza. In un mondo in continuo cambiamento, la sua filosofia stimola a trovare significato e creatività anche nei momenti più difficili, proprio come il marinaio che affronta il mare tempestoso.
Ringraziamenti:
Ringrazio l'Agenzia Immobiliare.it per averci concesso la pubblicazione delle fotografie usate in queso articolo a scopo culturale.
MARE NOSTRUM RAPALLO - Associazione Culturale no profit.
Carlo GATTI
Rapallo, 13 Novembre 2024
L’ORATORIO DI SANT’ERASMO Santa Margherita Ligure
L’ORATORIO DI SANT’ERASMO
Santa Margherita Ligure
I FUOCHI DI SANT’ELMO
Sant'Erasmo di Formia, detto Sant'Elmo, fu vescovo e martire torturato ed ucciso alla fine del III secolo, durante le persecuzioni di Diocleziano.
La tradizione di Sant’Erasmo (Sant’Elmo)
Sant’Erasmo - Patrono dei naviganti
Fu Vescovo di Antiochia e Martire. Visse attorno al 300 d.C. Pare che la sua venerazione sia stata, inizialmente, diffusa nel X secolo dai marinai di Gaeta e, ben presto, si estese in tante località marinare liguri e del Mediterraneo occidentale. Da Lerici, a Bonassola, da Quinto al Mare, a Sori, da S. Margherita Ligure a Sestri Levante, da Rapallo, a molte località del Ponente Ligure. Ed ancora, a Formia a Barcellona, a Lloret de Mar ed in paesi del sud della Francia.
La tradizione vuole che Sant’Elmo sia stato raccolto naufrago da una nave, salvato e condotto a terra. Il capitano non volle altra ricompensa che una prova della potenza che, in quanto Santo, egli doveva possedere. Sant’Elmo gli promise di avvertirlo con un fuoco dell’imminenza di una burrasca, affinché egli potesse farvi fronte. Il Santo mantenne la promessa e, da quel momento, cominciò a far apparire i suoi “fuochi” per salvare i naviganti.
I Fuochi di S.Elmo: un fenomeno naturale che si manifestava anticipando di poco le burrasche. Apparivano sugli alberi dei velieri con luci bluastre che venivano interpretate come un “avviso imminente di pericolo”. Ciò faceva credere ai marinai che fosse un segno del Santo che era presente e proteggeva la nave ed il suo equipaggio.
Questa devozione religiosa sopravvive ancora nella tradizione marinara dei Borghi citati in cui si accendendo fuochi in onore del Santo.
I Fuochi di Sant’Elmo in un’immagine del The Aerial World, di Dr. G. Hartwig, London, 1886 (da wikipedia)
'Guardate lassù!'
Strillò Starbuck.
'I fuochi di Sant'Elmo! I fuochi di Sant'Elmo!'
(H. Melville, Moby Dick)
Il nome del Santo, protettore dei naviganti viene, come abbiamo visto, associato a quel bagliore bluastro che si manifestava sulla sommità degli alberi ed anche all’estremità dei pennoni dei velieri di un tempo, un fenomeno che veniva interpretato dai marinai come un “avviso di burrasca imminente” inviato dal cielo. Un monito quindi a “ridurre velocemente le vele per salvare la nave e l’equipaggio”.
L’iniziale superstizione legata ai fuochi di Sant’Elmo, diventò ben presto tradizione religiosa che si radicò in ferrea credenza che durò molti secoli fino al sorgere della scienza la quale spiegò finalmente che: il fuoco di Sant'Elmo è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale, all'interno di un forte campo elettrico.
Quei fenomeni elettrici della natura spiegati con nuove parole e nuovi concetti scientifici, non cancellarono del tutto quei “ricordi miracolosi” (ex voto) costruiti dagli AVI naviganti che vollero tramandare e conservare negli Oratori sul mare che oggi possiamo ammirare.
Anche noi rivieraschi di Levante abbiamo una testimonianza diretta della presenza spirituale di Sant’Erasmo-Sant'Elmo L’Oratorio si trova a Santa Margherita Ligure, a pochi metri dall’ormeggio dei pescherecci nel quartiere di CORTE.
Il Comune di Santa Margherita Ligure ce lo racconta così:
I marinai di Corte, nel 1347, sullo scoglio detto di Sant'Elmo, lambito in origine dal mare, costruirono una Cappella e la dedicarono a Sant'Erasmo, Vescovo Martire del secolo IV, protettore delle genti di mare, patrono dei pescatori e dei marinai.
Il Santo è chiamato anche Sant'Elmo, da cui deriva la definizione "fuochi di Sant'Elmo", quelle fuggevoli luci che di notte i marinai scorgevano talvolta sulle cime degli alberi dei velieri (un fenomeno dovuto alla presenza di elettricità nell'atmosfera).
L'Oratorio fu ricostruito nel secolo XVII e l'odierna facciata è settecentesca; dal 1638 esso è la sede dell'Arciconfraternita di Sant'Erasmo che si occupa della sua conservazione e lo arricchisce di opere d'arte e d'artigianato di gran valore storico e culturale. Interessante il sagrato a "risseu" fatto di piccoli sassi di mare, irregolari, bianchi, rossi e grigi recentemente restaurato nel 2016.
La Confraternita di Sant'Erasmo di Corte anticamente era composta da marinai, pescatori, costruttori di barche e maestri d'ascia; la sua missione principale era quella di tutelare i suoi membri e le loro famiglie dai rischi del lavoro in mare in un tempo in cui, ad esempio, molti pescatori si dedicavano anche alla pesca del corallo compiendo viaggi lunghi, spesso pericolosi. L'Oratorio di Sant'Erasmo ha quindi un legame stretto e profondo con il mare e in esso vi sono conservati molti modelli di velieri in legno costruiti a mano dai naviganti durante i lunghi viaggi.
Nel mese di giugno si celebra la festa Patronale con la Processione in mare, e poi sulla banchina ocn i tradizionali Cristi di tutte le Confraternite.
Ogni Santo Natale la Confraternita allestisce all'interno dell'Oratorio un bellissimo presepe con figure e ambientazioni tipiche del quartiere di Corte.
UN ORATORIO CHE GUARDA IL MARE E PROTEGGE I MARINAI
Santa Margherita Ligure
La freccia mostra la vicinanza dell'Oratorio al mare
Facciata dell’Orartorio di Sant’Erasmo
RISSEU DI LIGURIA
Sagrato dell’Oratorio
Il rissêu è un termine genovese usato per identificare il mosaico acciottolato tipico del sagrato delle chiese e rappresenta una parte importante del paesaggio urbano e della stessa storia della Liguria.
Abside dell’Oratorio
L’Oratorio lato mare
GLI INTERNI DELL’ORATORIO
Nei giorni 3 e 4 giugno si celebra la Festa di Sant'Erasmo, patrono della gente di mare.
A Mae Zena
Cristo Moro
https://www.amezena.net/tag/cristo-moro/
Situato sul lungomare di Santa Margherita, eretto su uno scoglio detto di Sant'Elmo per volonta' di marinai e pescatori, l’Oratorio fu dedicato a Sant' Erasmo protettore della gente di mare, ha la facciata settecentesca ed un affascinante particolare: al suo interno si trovano numerosi modellini di navi e oggetti di marineria come ex voto. L’oratorio e' sede della confraternita.
LA FESTA DI SANT’ERASMO
Tradizionale processione patronale
Santa Margherita Ligure
Nei giorni 3 e 4 giugno si celebra la Festa di Sant'Erasmo, patrono della gente di mare. In questa occasione di festa, Santa e la piccola chiesetta dedicata al Santo viene decorata, compresa la piazzetta antistante e il tratto della passeggiata lungomare sulla quale si affaccia.
Interessante e coinvolgente anche la proposta di bruschette al pomodoro e acciughe ("biscotti del marinaio") vendute davanti alla chiesetta.
YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=3iTItfRSjc0
https://www.youtube.com/watch?v=HPjVrVXoLb
https://www.youtube.com/watch?v=RhCMDaCjhrc
© GenovaToday
Festa di Sant'Erasmo a Santa Margherita Ligure con processione in mare, musica e gastronomia
© GenovaToday
https://www.genovatoday.it/eventi/festa-sant-erasmo-santa-margherita-ligure-2024.html
LE CINQUE CONFRATERNITE DI SANTA MARGHERITA LIGURE
https://livesanta.it/le-cinque-confraternite-di-santa-margherita-ligure/
Il Castello di Sant’Eramo o Sant’Elmo. Venne costruito nel 1550 da mastro Antonio de Càrabo, lo stesso che aveva progettato il castello di Rapallo. La sua posizione gli consentiva di difendere simultaneamente due borghi, quello di Santa Margherita e il confinante borgo di Corte.
Al suo interno ospitò prevalentemente artiglierie medio-leggere quali sagri, falconetti, spingarde, archibugi, smerigli e mortai di bronzo.
Inizialmente era dotato soltanto della garitta di destra.
Oggi ospita l'allestimento multimediale del Museo del Mare di Santa Margherita Ligure, inaugurato il 4 luglio 2022.
Fonti:
ASGenova, Sala Senarega, Literarum Antico Senato, n. 427.
Id., Sala Foglietta, Nota dell’Artiglieria, 1144;
Id., Fortezze e Inventari, 328.
ASSanta Margherita Ligure, Periodo Genovese, F. 1, n. VI, doc. 9, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 20, 32.
A. R. Scarsella, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., Vol. I, p. 87 e 186;
https://soprintendenza.liguria.beniculturali.it/?p=3585
26 LUGLIO 1941
ATTACCO A MALTA
IL SACRIFICIO DI TESEO TESEI
IL PONTE DI SANT’ELMO
DIFESA
....Tralasciando le vicende degli altri componenti della missione, ci soffermeremo sul crollo del ponte di Sant’Elmo che è direttamente collegato alla scomparsa di Teseo Tesei e del suo secondo, Alcide Pedretti.
http://www.historicalab.it/attacco_a_malta.htm
Carlo GATTI
Rapallo, 12 Novembre 2024
UNO SGUARDO SU GENOVA NEL MEDIOEVO - 2024
UNO SGUARDO SU GENOVA NEL MEDIOEVO
2024
Cristoforo Grassi "Veduta di Genova nel 1481"
La Repubblica di Genova (Repúbrica de Zêna, /ɾe'pybɾika de 'ze:na/ in ligure, Res publica Genuensis o Ianuensis in latino; ufficialmente fino al 1528 Compagna Communis Ianuensis e dal 1580 Serenissima Repubblica di Genova) è stata una repubblica marinara, esistente dal 1099 al 1797.
GENOVA NEL MEDIOEVO - 2024
INTRODUZIONE
Il progetto "Ianua – Genova nel Medioevo" si propone di riscoprire e divulgare la storia medievale di Genova durante l'anno 2024, seguendo le linee guida del Piano Strategico della Cultura. Questo programma annuale mira a valorizzare l'eredità medievale della città, richiamando l'attenzione su come la Genova del Rinascimento e del Barocco affondi le sue radici in un periodo di straordinario sviluppo e trasformazione, che si estende dal X al XV secolo.
Numerose associazioni culturali locali hanno profuso impegno e risorse nel recupero di opere d'arte significative, nel restauro di chiese storiche e delle celebri case dei ROLLI, nonché nella realizzazione di ricerche storiche volte a chiarire le origini e le leggende che circondano la storia genovese. Questo lavoro di recupero ha messo in luce molteplici aspetti della vita medievale e il ruolo di Genova come un importante centro commerciale e culturale del Mediterraneo.
Il progetto comprende una vasta gamma di iniziative, tra cui l'apertura di siti storici e aree d'interesse, come chiese, torri e edifici storici, che saranno accessibili al pubblico. Si terranno incontri tematici, mostre, eventi teatrali, concerti e altri eventi culturali, tutti progettati per narrare la complessità della vita genovese medievale e illustrare il contributo significativo di Genova come porto commerciale d'Europa. Ogni iniziativa avrà l'obiettivo di coinvolgere i cittadini e i turisti, creando un dialogo interattivo con la storia.
In particolare, si porranno i riflettori su figure iconiche come Guglielmo Embriaco e Cristoforo Colombo e su eventi chiave che hanno segnato la storia della città, rendendo la narrazione accessibile e affascinante. Durante l'anno, verranno organizzati convegni e seminari per approfondire temi storici, archeologici e artistici, spesso in collaborazione con università e istituzioni locali, permettendo così una condivisione delle conoscenze tra esperti e pubblico.
Le iniziative includeranno visite guidate e seminari, con l’intento di offrire momenti di immersione nella storia genovese. È prevista la creazione di un calendario ricco di appuntamenti, che vedrà la partecipazione di enti e associazioni locali unite in un progetto condiviso. In particolare, si svolgeranno attività accessibili a tutti, con visite dedicate alle persone con disabilità e traduzione simultanea in lingua dei segni italiana, per garantire una fruizione inclusiva del patrimonio culturale.
Questo sforzo collettivo non solo celebra la storia medievale di Genova, ma contribuisce anche a rafforzare la sua identità culturale contemporanea, ponendo solide basi per uno sviluppo economico sostenibile attraverso il turismo. Attraverso il progetto "Ianua", la città avrà l'opportunità di mostrare al mondo le proprie meraviglie medievali, affascinando e incantando abitanti, turisti e appassionati di storia.
Per ulteriori dettagli e aggiornamenti, sarà disponibile una pagina dedicata sul sito www.visitgenoa.it - dove sarà possibile consultare il programma delle attività e seguire gli sviluppi dell’iniziativa.
La nostra Associazione Mare Nostrum - Rapallo, grazie alla ricca collezione di articoli e ricerche dedicate alla storia e alla cultura di Genova e della Liguria, può con orgoglio affermare di essere parte integrante di questa nobile civiltà repubblicana e democratica, simbolizzata dalla 'LANTERNA'.
Insieme alle altre tre Repubbliche Marinare Italiane: Venezia, Pisa e Amalfi, Genova ha svolto un ruolo fondamentale nella storia dell'Europa e del mondo occidentale.
Carlo GATTI
Past President - Mare Nostrum Rapallo
Per l’occasione, Vi segnalo una parte soltanto della lunga serie di filmati YouTube curati in gran parte dall’ Emittente Televisivo genovese PRIMO CANALE al quale potrete attingere molte altre fonti di notevole interesse.
https://www.primocanale.it/
Una Giornata nel Medioevo:
https://www.youtube.com/watch?v=PCdNU-6g7i8
https://www.youtube.com/watch?v=PurQhLjZ0sE
I Tesori di Sant’Agostino
https://www.youtube.com/watch?v=rn9Fuuym-tU&list=PLde00V2nanIQ4hTMuOyDub-Mhq2wh2IRf&index=2
“Medioevo a Genova” - La Tavola rotonda a Terrazza Colombo
https://www.youtube.com/watch?v=Lge12fmaikI&list=PLde00V2nanIQ4hTMuOyDub-Mhq2wh2IRf&index=4
Alla scoperta dei protagonisti del Medioevo di Genova
I BALESTRIERI DEL MANDRACCIO
4
https://www.youtube.com/watch?v=L1aCMT-D2C8&list=PLde00V2nanIQ4hTMuOyDub-Mhq2wh2IRf&index=4
primocanale.it
In occasione dell’evento Ianua Genova nel Medioevo, Antonio Musarra, curatore del progetto, presenta alcuni preziosi corali miniati che appartengono alla chiesa di Santa Maria di Castello. Il “Corale” è un libro liturgico che si usava nel coro, lo spazio nell’abside della chiesa in cui prendevano posto sacerdoti e monaci. Al centro si trovava un grande leggio su cui venivano collocati uno o più “corali”, orientati in varie direzioni, in modo che ciascuno dal suo posto potesse leggere il testo e la musica dei pezzi che venivano recitati o cantati ➡️ scopri di più su
primocanale.it
Un restauro lungo 4 anni per il Monumento Fieschi ricostruito proprio come un 'puzzle': il Museo Diocesano festeggia il riallestimento di una delle testimonianze più importanti del Medioevo genovese, un monumento funebre che celebra il cardinale Luca Fieschi, genovese del 1270. Qui vi raccontiamo in breve la sua storia ➡️ sul sito @primocanale.it trovate la diretta di approfondimento sui lavori e la storia di quest’opera…
primocanale.it
Il video conclusivo di "Assaggi di Medioevo"!
Viaggio nella cucina del Medioevo genovese
https://m.youtube.com/watch?v=kKpC68Rc5x0
Alessandro BARBERO
"Genova, il suo Medioevo ancora da ..."
https://www.rainews.it/tgr/liguria/video/2024/01/alessandro-barbero-genova-il-suo-medioevo-ancora-da-studiare-i-rolli-la-riscoperta-del-passato-8227e4d5-4336-444d-8237-36cfd913827b.html
"Lezioni di Storia - Teatro Nazionale Genova"
"L'Impero di Genova, quarta parte: il Mar Nero. Conclusioni di ..."
https://www.youtube.com/watch?v=NZiPsYQr2QM
Alessandro Barbero innamorato di Genova: "Sta tornando famosa in tutto il mondo"
https://www.youtube.com/watch?v=yqV3Nfi0S9E
Medioevo marinaro | Intervista ad Antonio Musarra
https://www.youtube.com/watch?v=1ekrTLTtVts
YouTube vi presenta l'incontro tra Alessandro Alfieri e lo studioso genovese Antonio Musarra, professore di Storia medievale all'Università "Sapienza" di Roma, in occasione dell'uscita del suo ultimo volume "Medioevo marinaro. Prendere il mare nell'Italia medievale" edito da Il Mulino.
Il libro ci invita alla scoperta dell’anima marittima del Medioevo; un lavoro accurato, approfondito, risultato di anni di ricerca su fonti non certo ovvie, e che si presenta anche come un lavoro “introduttivo”, nel senso che l’ambizione è quella di avviare o amplificare una nuova visione storica sul Medioevo. Spesso infatti le vicende marittime e il Mediterraneo sono stati marginalizzati rispetto alle vicende dell’Europa continentale; lo spazio geografico si confonde con quello fantastico, dal momento che il peso dell’immaginario restò a lungo preponderante fino alla crescente razionalizzazione della società. Come separare realtà e fantasia? Qual è il confine tra reale e immaginario?
Oltre a rispondere a questi interrogativi, in questo volume Musarra propone anche una ricostruzione dettagliata dello sviluppo tecnico della vita marinara, delle invenzioni, delle strumentazioni di navigazione e delle navi, fino ad arrivare all’attenzione rivolta alla dimensione normativa e giuridica.
La casa di Cristoforo Colombo
Nessun dubbio, Cristoforo Colombo era ligure. L’ultima teoria che arriva dalla Spagna in questi giorni, dopo un esame del dna, lo vuole ebreo sefardita. Ma i documenti dell’epoca parlano chiaro.
GABRIELLA AIRALDI
lunedì 14 ottobre 2024
«Sulla genovesità di Colombo esistono talmente tanti documenti che non può essere messa in discussione»,
sostiene Gabriella Airaldi, specialista di storia delle relazioni internazionali e interculturali dal Medioevo all’età moderna, insignita sabato a Genova della Medaglia Colombiana in quanto“illustre storica di fama internazionale”.
Ecco perché Cristoforo Colombo era genovese
Primocanale.it
https://www.primocanale.it/attualità/46923-ecco-perché-cristoforo-colombo-era-genovese.html
Chi è Cristoforo Colombo? Un eroe, un assassino, un mistico, un templare, il figlio di un papa, un catalano, un portoghese, un corso, un savonese? E’ di origine piacentina, monferrina o è un ebreo come oggi si torna nuovamente a proporre? Conoscere questo personaggio non è facile a cominciare dal fatto che, nonostante i molti ritratti, non ne è nota neppure la fisionomia. Se ne conosce invece bene la storia, per molti versi simile a quella di molti genovesi migrati in varie parti del mondo. Figlio di un lanaiolo, entrato in mare "in giovanissima età" come molti concittadini di ogni fascia sociale, il quattordicenne Cristoforo si forma sulle navi dei guerrieri -mercanti genovesi che da secoli visitano tutto il mondo conosciuto. Ed è attraverso questa via, come afferma egli stesso in una lettera indirizzata ai Re Cattolici, che nasce la sua curiosità e cresce il suo progetto di arrivare ad Oriente passando da Occidente. Infatti -sostiene Colombo- è la navigazione stessa a indurre “chi la segue a desiderare di conoscere i segreti del mondo”.
Nasce dunque da un’esperienza lunga e complessa e da un’inesausta curiosità il desiderio di futuro che porta Colombo a compiere il gesto destinato a cambiare la storia. Un gesto forte che conclude un itinerario umano difficile da cogliere ma che, grazie a una sterminata quantità di testimonianze di mano sua e altrui, a una cospicua serie di fonti diplomatiche e mercantili, consente di essere certi delle sue origini genovesi. Tutto nella sua vita, nei suoi comportamenti, nei suoi legami, nelle protezioni della lobby genovese di cui gode alla Corte castigliana, riconduce a una città dalla quale resterà sempre lontano ma che ricorda nella lettera indirizzata al Banco di san Giorgio nel 1502 con le note parole ‘ Benchè il corpo si unì il cuore è li di continuo’. Una città dove ha amici come l’ambasciatore Niccolò Oderico al quale consegna la copia del Libro dei Privilegi tuttora conservata a Genova. Una città da dove provengono anche i parenti meno fortunati che lo raggiungono in Spagna e che ne godranno la protezione. Una terra dove è noto il legame che unisce lui e la sua famiglia al grande nome dei Fieschi, come testimoniano l’amicizia che lo unisce a Bartolomeo, il comandante della Vizcayna che nel quarto viaggio lo salva dalle tribolazioni della Giamaica e la lettera inviata a fine vita al patriarca Luigi. Il gesto di Colombo ha cambiato la storia e l’immagine del mondo. E’ nato con lui il nuovo Occidente e, come talvolta si sostiene, è con quel gesto che si chiude l’Età medievale e si apre quella moderna. Di fatto il gesto di Colombo è un rito di fondazione. Un rito di fondazione supera la storia ed entra nella sfera del mito ed è forse per questo che si parla dell’uomo che lo ha compiuto e sempre se ne parlerà.
Gabriella Airaldi
Autrice di oltre quattrocento pubblicazioni, tra cui 13 libri e 22 curatele, è specialista di storia mediterranea e di storia delle relazioni internazionali e interculturali per l'età medievale e la prima età moderna. Premio Anthia 2004 per il libro Guerrieri e mercanti.
Uno dei tanti esempi di riqualificazione e recupero di un patrimonio artistico ...
Una gemma del centro storico di Genova, le prime immagini della riapertura della chiesa di Sant'Agostino.
Chiesa e Convento di Sant’Agostino. I monaci agostiniani costruirono il chiostro a forma triangolare ispirandosi al simbolo agostiniano della Santissima Trinità. (n.d.r)
Il complesso di Sant’Agostino, chiesa e convento, ha una storia lunga e complessa.
La chiesa, iniziata probabilmente attorno al 1260 e già in uso nel 1270, è a tre navate con copertura mista, a capriate e a volte. La facciata è a salienti, scandita in tre parti da lesene e presenta un paramento a fasce bianche e nere. Nel corso dei secoli il complesso subì diverse trasformazioni. Una serie di cappelle venne realizzata nel corso del XV secolo sfondando il muro perimetrale sinistro della chiesa, così come erano presenti anche altari e cappelle addossati al perimetrale destro.
Sul coronamento della facciata sono state collocate tre statue (oggi sono calchi, gli originali sono conservati in museo) raffiguranti la Madonna con Bambino, San Pietro e Sant’Agostino e risalenti al XIV secolo.
La torre campanaria richiama nelle forme il campanile di San Giovanni di Pré: insolito per Genova l’uso del mattone e il rivestimento in piastrelle policrome.
In una formella romboidale murata nel campanile si trovò un marmo con iscritto il nome "Pietro Bono, Magister de Antelamo" e la data 1282.
Due sono i chiostri del complesso: il primo, di forma triangolare, non usuale per l’edilizia conventuale genovese, venne costruito contemporaneamente alla chiesa ed è caratterizzato al pianterreno da un loggiato ad arcate ribassate, sostenute da colonne a rocchi di pietra e di marmi bianco e sormontate da capitelli cubici.
Il chiostro quadrato, risalente alla prima metà del Seicento, venne costruito in un’area precedentemente utilizzata come orto. Nel 1798 la chiesa venne sconsacrata e da allora non tornò mai più al culto. Dopo i pesanti danni subiti nel corso della seconda guerra mondiale gli spazi relativi al primo chiostro triangolare e la chiesa vennero ristrutturati, mentre quelli relativi al chiostro rettangolare furono completamente ricostruiti.
(Musei di Genova)
Il primo appuntamento sarà il 30 maggio quando le navate dell'antica chiesa di Sant'Agostino costruita alla fine del XIII secolo e poi sconsacrata, riapriranno i battenti per offrire a turisti e cittadini un assaggio della Genova Medievale. All'interno, infatti, tra le arcate gotiche, troveranno spazio alcuni dei capolavori del museo, a partire dalla statua di Margherita di Brabante, per riportare alla luce quei frammenti della Genova medievale che verranno poi esposti all'interno del museo una volta completati gli interventi di riqualificazione che prendono l'avvio proprio nell'anno che celebra Genova nel medioevo.
"Inizia il percorso per il recupero di Sant'Agostino, una vera e propria gemma del nostro centro storico che racconta gli antichi fasti della Genova medievale - ha detto il sindaco Bucci -. Un complesso unico nel suo genere per bellezza, arte e cultura. Dall'ex Chiesa fino al museo, la città potrà riappropriarsi dell'intero complesso che tornerà completamente rinnovato, dagli spazi fino al percorso espositivo e i servizi per i visitatori". Un intervento particolarmente complesso che prevede interventi architettonici sul chiostro quadrangolare, l'abbattimento delle barriere architettoniche, interventi architettonici per ampliare gli spazi di accoglienza e di servizio, adeguamento degli impianti, restauro completo della ex chiesa, percorso museografico aggiornato secondo criteri di attualità. "L'obiettivo è di riaprire tutto entro due anni - ha spiegato il vice sindaco Pietro Piciocchi - i costi sono, ovviamente molto consistenti, nell'ordine di una decina di milioni compresa la riqualificazione della chiesa, e le risorse le stiamo trovando".
Andrea Leoni
09 Aprile 2024
Desidero chiudere questa carrellata storica con un Evento simbolo della Storia medievale di Genova.
Antonio Musarra - 1284, la battaglia della Meloria
https://www.youtube.com/watch?v=-T28P2BgAok
Antonio Musarra - presentazione del libro "1284, La Battaglia della Meloria"
3 maggio 2018, ore 18 Sala del Maggior Consiglio
Il 6 agosto del 1284 è la festa di San Sisto: un giorno solitamente fausto per Pisa. Quel giorno, al largo di Livorno, nei pressi delle secche della Meloria, Genovesi e Pisani si affrontarono in una delle più grandi battaglie navali del Medioevo. La causa immediata è la contesa per il controllo della Corsica. In realtà, al centro v’è soprattutto il tentativo di affermare la propria supremazia su tutto il Tirreno al fine di salvaguardiare le rotte per la Sicilia, l’Africa settentrionale e il Levante mediterraneo. In effetti, le due città giunsero allo scontro al culmine di una serie di rivolgimenti – dalla caduta dell’Impero Latino di Costantinopoli all’ascesa della potenza angioina, allo scoppio della guerra del Vespro – che mettevano in discussione gli equilibri raggiunti a fatica. La ricostruzione del volto di questa battaglia e della sua lunga preparazione consente di riportare alla luce, oltre alla brutalità del combattimento sul mare, il profilo di un Medioevo diverso: quello marittimo e navale, dove gli orizzonti improvvisamente si allargano e dove piccole città si rendono protagoniste di rivoluzioni – da quella commerciale a quella nautica, a quella finanziaria – capaci di mutare il corso della storia.
Insieme all’autore intervengono Sandra Origone (Università di Genova), Luca Lo Basso (Università di Genova), e Emilano Beri (Università di Genova).
Edizioni Laterza
A cura di Carlo Gatti
Rapallo, 18 Ottobre 2024
LETTURE PER L'ESTATE 2024 - JEAN SIBELIUS A RAPALLO
PARTE PRIMA
Introduzione
Il MARE è sempre il filo conduttore dei nostri articoli, un elemento costante che lega storie e personaggi anche quando, come in queste Letture per l’Estate, non si parla di navi, ma di uomini e donne che dal mare hanno tratto ispirazione per deliziare l’umanità con ogni forma d’arte possibile. Questa volta, il nostro viaggio ci porta a esplorare la figura di Jean Sibelius, un gigante della musica sinfonica che trovò ispirazione proprio sulle coste della nostra amata Rapallo.
Chi più di noi tigullini può testimoniare questi eventi intrinsecamente legati alla bellezza e all’armonia di una natura che si può definire paradisiaca? Le onde che si infrangono contro le rocce, il profumo salmastro dell'aria, i tramonti che incendiano il cielo e si specchiano nel mare: tutto ciò non è forse un costante invito alla riflessione, alla creatività, alla celebrazione del bello?
In questa trilogia di articoli, esploreremo la connessione profonda tra il mare di Rapallo e l'opera di Sibelius, un legame che si è rivelato fruttuoso per l'umanità intera. Ripercorreremo i momenti salienti della vita e del soggiorno di Sibelius a Rapallo, scoprendo come il nostro mare con la sua natura, sia diventato musa e teatro per le sue composizioni e per la sua anima artistica.
Il suo lascito artistico si trova oggi nelle note dell’ORCHESTRA DI RAPALLO dedicata al grande compositore finlandese, e nella bacchetta magica del suo bravissimo Direttore rapallino Filippo Torre:
In questo Link:
https://www.orchestrasibelius.it/sibelius/index.php/it-it/
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SCRITTORI, POETI, FILOSOFI, ARTISTI E MUSICISTI NEL TIGULLIO
Nella seconda metà dell’Ottocento, tanti scrittori europei e non solo, GRAZIE alle prime navi da crociera, cominciarono a perlustrare il Tigullio alla scoperta d’una natura selvaggia densa di echi mediterranei, dando vita a un turismo d’élite e lasciando un segno indelebile nella nostra cultura.
L’elenco è molto lungo, ed ho pensato di proporvi un significativo articolo della scrittrice Laura Guglielmi che cita molti personaggi illustri tra cui figura il grande musicista finlandese: Jean SIBELIUS che soggiornò a Rapallo, e qui fu ispirato dal paradisiaco paesaggio di allora per iniziare la sua celebre 2° sinfonia.
In giro per il Tigullio con gli scrittori
BY LAURA GUGLIELMI 14/03/2022
https://www.lauraguglielmi.it/genova-e-liguria/in-giro-per-il-tigullio-con-gli-scrittori/
Laura Guglielmi scrive: “Altri artisti stranieri si innamorano del clima e delle bellezze di Rapallo: tra i tanti, il musicista Ian Sibelius …..”
UN PO’ DI STORIA MUSICALE
Nella seconda metà dell’ottocento, nell'ambito di quel periodo denominato "le giovani scuole nazionali", nell'area Scandinava: Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, nacque una corrente musicale legata al folklore nazionale.
Ma cosa sono le scuole nazionali?
Con la rivalutazione del canto popolare e delle identità nazionali i musicisti, che operano nel corso dell’ottocento, rivolgono sempre più la loro attenzione al patrimonio delle tradizioni popolari e utilizzano le risorse espressive tipiche di questo repertorio assimilandolo a quello “colto”. Il nazionalismo romantico dunque, pur conservando la sostanziale struttura musicale di tradizione occidentale, opera un rinnovamento profondo i cui effetti, al volgere del secolo, produrranno dei cambiamenti radicali. Nell’epoca romantica la ricerca e l’espressione dell’identità nazionale esercitano un ruolo determinante nello sviluppo artistico, specialmente in quei Paesi dell’Europa che avevano stabilito dei collegamenti con la cultura musicale italo-franco-tedesca.
Ciò avviene in modo particolare in Russia dove, in seguito alla vittoria sugli eserciti napoleonici, si consolida il patriottismo e la valorizzazione delle tradizioni culturali dei popoli di tradizione slava.
Il risveglio della coscienza nazionale favorisce, di conseguenza, l’emancipazione della musica dalle forme d’importazione occidentale attraverso la rivalutazione del patrimonio popolare e la valorizzazione delle diverse tradizioni storico/musicali. Nel teatro d’opera si manifestano tutti i caratteri nazionali con la scelta di argomenti storico/popolari, epico/leggendari o fantastici. Nella musica strumentale, sinfonica e cameristica vengono inseriti elementi esotici e folkloristici, motivi popolareschi e ritmi di danze popolari. Anche gli arcaismi armonico/modali e i raffinati ed esuberanti effetti orchestrali conferiscono alla musica un particolare “colore locale”. Si crea così uno stile capace di innalzare la musica della nazione e quella del canto popolare a lingua musicale d’arte infondendovi elementi nuovi e un autentico “carattere nazionale”. Tutto ciò avviene però nel rispetto e sulla scia dei modelli formali e stilistici segnati dalla cultura musicale occidentale innestandovi però tutti quegli elementi tipici delle singole realtà e tradizioni popolari.
In Danimarca spicca il musicista Niels Wilhelm Gade (1817-1890), autore della cantata “La figlia del Re degli Elfi” (1854) ricca di temi popolari.
Carl August Nielsen (1865-1931) invece è un autore di musica pianistica, da camera, di concerti e sinfonie che presentano un linguaggio nuovo vicino alle nuove tendenze musicali del novecento europeo.
In Svezia si impone Franz Berwald (1796-1868) autore di quattro sinfonie scritte tra il 1842 e il 1845 che presentano sensibilità per determinati effetti orchestrali.
In Norvegia la personalità più significativa è quella di Edvard Grieg (1843-1907) di formazione musicale tedesca con gli studi presso il Conservatorio di Lipsia, mostra un vivo interesse per il folklore musicale del proprio paese e, in seguito all’incontro con il grande drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906), scrive le musiche di scena del Peer Gynt.
La sua produzione spazia dai Lieder (150) per pianoforte e voce, numerosi pezzi brevi per pianoforte compresi nelle dieci raccolte dei pezzi lirici (1867-1901).
Caratteristiche: linguaggio ricco di spontaneità melodica, raffinate armonie con l’evidente influsso di melodie popolari e di ritmi di danze norvegesi (vedi le Danze norvegesi op. 72) e il concerto per pianoforte e orchestra in la minore (1868) e sonate per violino e pianoforte.
In Finlandia il maggior esponente musicale di quel periodo è Jean Sibelius (1865-1957). Nelle sue composizioni sono presenti temi popolari nordici e spunti melodici di derivazione popolare. Le composizioni più significative sono i poemi sinfonici come “Una saga” (1892), Karelia (1895), “Finlandia” (1899) e sette sinfonie scritte tra il 1899 e il 1924.
E’ stato scritto:
Sibelius è il grande dimenticato della musica europea. Confinato in un limbo periferico delle Scuole Nazionali, su di lui pende quell'accusa di epigonismo post-romantico che le avanguardie novecentesche (musica dodecafonica) sempre lanciarono contro i difensori dell'Umanesimo. In realtà la musica di Sibelius celebra l'eternità di una natura primigenia dove i cicli delle stagioni si rinnovano oltre ogni dramma della storia, trasceso, più che negato, in un'accettazione del Fato che sa di stoica serenità. In Sibelius la civiltà europea si confronta con le proprie origini nelle energie che modellano i ghiacci, i venti artici capaci di fissare il tempo in armonie perenni, cristalli eternamente fissi nella pietra. L'originalità del Finlandese è sottile, ardua da percorrere, come complesso è il suo linguaggio fatto di risonanze emanate dai basalti della terra, tensioni lontane dalla rassodante razionalità della civilizzazione europea. In un'epoca di transizione quale è la nostra, mentre la pretesa di assoggettare il caos cede in noi alla fascinazione del mito, Sibelius ritorna con i suoi enigmi ad incombere come inquietante profeta. Messaggero alla fine dei tempi, veggente inascoltato, siglò il proprio destino di inattuale distruggendo di propria mano la gigantesca Ottava Sinfonia che doveva coronare uno degli edifici sinfonici più tremendi, nella sua coerenza, che siano mai stati eretti. Isolandosi tra laghi e foreste, nei trent'anni della sua rinuncia a comporre trovò la via di un silenzio che la sua musica, forse, fin dal principio evoca: salvifico ritorno alla natura, divinità benigna.
LA SINFONIA N.2 in re maggiore (0p.43) di Jean SIBELIUS
E' stata composta tra il 1900 e il 1902. La seconda è la più popolare tra le sinfonie di Sibelius ed è quella maggiormente eseguita e registrata.
La composizione è iniziata durante la permanenza del compositore a RAPALLO nel 1900, viaggio finanziato dal barone Axel Carpelan, ed è poi proseguita al suo ritorno in Finlandia. La prima esecuzione, diretta dal compositore stesso, è stata fatta dall’Orchestra filarmonica di Helsinki l'8 marzo 1902. Dopo la prima, Sibelius ha apportato alcune modifiche all'opera, e la versione definitiva è stata eseguita per la prima volta il 10 novembre 1903 a Stoccolma diretta da Armas Järnefelt.
L'orchestrazione è migliore rispetto a quella della prima sinfonia, la forma è più matura e la violenza nordica è sostituita da un tocco più classico e luminosamente mediterraneo. In merito all'origine dei temi impiegati nella sinfonia, si sa che Sibelius ha improvvisato uno dei temi del finale a Ruovesi, nel 1899, in occasione del battesimo di un figlio del pittore Akseli Gallen-Kallela. Sull'origine dei temi impiegati nel primo movimento, Karl Fredrik Wasenius, editore della casa Bis, afferma che Sibelius li avrebbe improvvisati nel suo studio, in occasione di un incontro con una giovane musicista (che allora aveva solo sette anni), Irene Eneri, della quale l'editore volle sottoporgli il talento. Suonando una composizione di costei, un Capriccio Orientale, il compositore iniziò ad improvvisare, affermando di "aver trovato ciò che attendeva da settimane". I temi dell'andante invece sono stati abbozzati da Sibelius durante la sua permanenza a Rapallo, nel febbraio del 1901: nelle sue bozze uno è associato alla figura di Cristo, uno all'incontro tra Don Giovanni (il protagonista dell'omonima opera mozartiana) e la morte. Ma la sinfonia è stata completata dopo oltre un anno di lavoro, e in questo arco di tempo tali intenti programmatici sono stati messi da parte.
Riporto da Wikipedia:
MOVIMENTI
La sinfonia è strutturata in quattro movimenti.
I. Allegretto
Allegretto - Poco allegro - Tranquillo, ma poco a poco ravvivando il tempo all'allegro - Poco largamente - Tempo I - Poco allegro
Il primo movimento comincia con un tema saltellante dei legni in tonalità d'impianto su accordi ribattuti degli archi. Il primo accordo, con il frammento ascendente di tre note, costituisce il motivo portante di tutta la composizione, analogamente al ruolo svolto dall'introduzione dei clarinetti nella prima sinfonia. Segue un'alternanza fra i fiati e i corni, e gli studiosi faticano ad identificare chiaramente un secondo tema come lo si aspetterebbe nella forma sonata. Nello sviluppo il tema iniziale, terminante con una quinta discendente, ritorna sotto varie sembianze, in maniera più drammatica. L'elaborazione di questo sviluppo è molto lunga, al punto che costituisce, in contrasto alle regole classiche, la gran parte del primo movimento. Nella ripresa il materiale musicale viene efficacemente sintetizzato. Dopo momenti di carattere più scuro, il movimento si conclude con lo stesso carattere idilliaco dell'inizio.
II. Tempo andante
I temi dell'andante invece sono stati abbozzati da Sibelius durante la sua permanenza a Rapallo, nel febbraio del 1901: nelle sue bozze uno è associato alla figura di Cristo, uno all'incontro tra Don Giovanni (il protagonista dell'omonima opera mozartiana) e la morte. Ma la sinfonia è stata completata dopo oltre un anno di lavoro, e in questo arco di tempo tali intenti programmatici sono stati messi da parte.
Tempo andante, ma rubato - Poco allegro - Molto largamente - Andante sostenuto - Andante con moto ed energico - Allegro - Poco largamente - Molto largamente - Andante sostenuto - Andante con moto ed energico - Andante - Pesante
L'andante inizia con una lunga sezione di pizzicati dei violoncelli e dei contrabbassi. Il primo tema, quello che era stato concepito come la morte nel castello di Don Giovanni, viene proposto dal fagotto e si sviluppa in un contesto di ansietà crescente. In contrasto vi è il tema associato alla figura del Cristo, molto più celestiale e rassicurante. I due temi si alternano trasformandosi vicendevolmente, con giri complessi di tonalità, come l'episodio in sol bemolle maggiore, quasi a riflettere la lotta fra morte e redenzione, benché la sinfonia non abbia intento programmatico. Poco a poco il melodico secondo tema prende il sopravvento e diventa il protagonista. Il movimento si conclude con due pizzicati.
III. Vivacissimo
Vivacissimo - Lento e soave - Tempo primo - Lento e soave - (attacca)
Il vivacissimo (uno scherzo) è impetuoso, analogamente a quello della sinfonia che lo precede. Il suo primo tema è vorticoso, affidato ai violini; ad esso si contrappone subito il flauto che propone un tema secondo tema più cantabile anche se comunque ritmico, accompagnato da figurazioni molto vivaci degli archi. Il tempo rallenta arrivando al trio, che inizia con otto struggenti ripetizioni della stessa nota da parte del primo oboe, figurazione che ritorna più volte nelle misure seguenti, e porta ad una grande affermazione della stessa. Lo scherzo si ripete. Si ripete anche il trio, ma in forma abbreviata; da qui si genera un passo mosso e il solito motivo ascendente di tre note funge infine da ponte per l'attacco senza fermata del finale.
IV. Finale: Allegro moderato
Tema iniziale della IV sezione
Finale: Allegro moderato - Moderato assai - Meno moderato e poco a poco ravvivando il tempo - Tempo I - Largamente e pesante - Poco largamente - Molto largamente
Anche nel finale ritorna il tema iniziale di tre note ascendenti, in tonalità d'impianto, ma in questo caso la replica è affidata non più ai legni, bensì alle trombe. Segue il vero primo tema, affidato a tutti i violini, espansivo, cantabile, solenne; questo tema è stato ripreso, nella stessa tonalità, da Gigi D’Agostino in “L’amour toujorus”. La sua elaborazione porta al secondo tema. Il motivo introdotto dagli oboi è stato scritto da Sibelius in memoria di Elli Järnefelt, sorella di sua moglie, morta suicida. Il tema si espande poco a poco su tutta l'orchestra (quasi - sebbene assai alla lontana - come un lungo crescendo rossiniano) assume un tono maestoso e porta di nuovo agli squilli di trombe che introducono la ripresa del primo tema. Regolarmente e brevemente si ritorna al secondo tema e al suo crescendo. Che però introduce la sezione finale, sorretta vigorosamente dagli archi, con ampi squilli degli ottoni. A detta del musicologo Erkki SalmenHaara, studioso della musica di Sibelius, un particolare effetto viene ottenuto quando il motivo ascendente di tre note raggiunge finalmente, per la prima volta nella sinfonia, la quarta nota. Con questo clima solare e luminoso la sinfonia si conclude positivamente.
Accoglienza
In Finlandia la popolarità della sinfonia è legata al sentimento nazionalista che viene percepito nella stessa. Il primo e l'ultimo movimento, con il loro eroismo, il loro ottimismo ed il grandioso finale hanno toccato il pubblico finlandese, che vi leggeva un messaggio patriottico per l'indipendenza della Finlandia (l'opera è stata composta nel periodo dell'invasione russa), tanto da farla conoscere come "Sinfonia della liberazione", affermando la fama di Sibelius quale compositore nazionale finlandese. La sinfonia ha riscosso grande successo anche fuori dalla Finlandia. Il direttore finlandese George Schnéevoight associò un programma di argomento patriottico ai movimenti: il primo ritrarrebbe la vita pastorale della Finlandia, il secondo la brutalità dell'occupazione straniera, il terzo l'oppressione dello spirito patriottico e il quarto la speranza gloriosa per la liberazione dalla tirannia.
Registrazioni
La prima registrazione è stata incisa da Robert Kajanus (1857-1933) con la London Symphony Orchestra, per la casa discografica HMV, nel maggio 1930.
Sibelius: 2. Sinfonie ∙ hr-Sinfonieorchester ∙ Susanna Mälkki
YouTube
YouTube·hr-Sinfonieorchester – Frankfurt Radio Symphony·4 giu 2019
https://www.youtube.com/watch?v=iXU8EXL7a_4
PARTE SECONDA
LA VITA E LE MUSICHE DI JEAN SIBELIUS
Hämeenlinna la città di nascita di Jean Sibelius
Jean Sibelius (1913)
Jean Sibelius (1939)
Jean Sibelius nacque nel 1865 a Hämeenlinna (96 Km a Nord di Helsinki) nel Granducato di Finlandia, sotto il dominio russo. La sua famiglia, per metà svedese*, decise consapevolmente di mandare Jean in un'importante scuola di lingua finlandese. Ciò deve vedersi come parte della più ampia crescita del movimento dei fennomani, un'espressione del nazionalismo romantico che sarebbe diventata una parte cruciale della produzione artistica e delle idee politiche di Sibelius. Morì nel 1957 a causa di un'emorragia cerebrale ed ebbe funerali di Stato.
Studiò ad Helsinki con Wegelius e l’italiano Busoni, poi a Berlino e a Vienna con Goldmark e nuovamente a Helsinki con Kajanus. Nel 1892 il successo ottenuto col poema sinfonico Kullervo ne fece il capo di un gruppo di giovani musicisti impegnati nello sviluppo della musica nazionale. Nello stesso anno divenne insegnante di composizione al conservatorio di Helsinki: nel 1900 una tournée della Filarmonica diretta da Kajanus, fece conoscere le sue musiche in Europa. Da allora, ottenuto dallo Stato uno stipendio annuo, si dedicò esclusivamente alla composizione stabilendosi nel 1904 a Järvenpää, presso la capitale. Nel 1927 cessò praticamente di produrre musica, circondato da un’enorme popolarità e da onori eccezionali, ma inesorabilmente tagliato fuori dai fermenti della nuova musica dodecafonica. Di tutta la sua vasta produzione hanno un certo rilievo le sette sinfonie e i poemi sinfonici ispirati all’antico epos finnico del Kalevala che lo collocano decisamente fra gli epigoni del sinfonismo tedesco tardoromantico ritornato alla luce dagli apporti della musica popolare finnica. Dotato di una sensibilità evocativa che lo accosta al norvegese Edvard Grieg nei vividi squarci di paesaggio nordico, e particolarmente felice nel delineare climi epici, e più incline del norvegese a convogliare la propria ispirazione in strutture compositive di vasto respiro non esenti e non sempre esenti da retorica. Accanto ad alcune sinfonie (terza, quinta e sesta) concepite secondo uno schema formale classico, lineare, misurato nei mezzi espressivi, altre (seconda, settima e i poemi sinfonici Una saga (1901), Finlandia (1899-1900); La figlia di Pohiola (1906); Pan und Echo, (1906-1909); Tapiola (1928) mostrano una costruzione più libera e complessa, basata su un’imponente e mobile elaborazione di motivi germinali alla maniera di Bruckner. E’ in tali composizioni che meglio si esprimono il suo temperamento fantasioso e rapsodico e le sue smaglianti risorse timbriche.
Scrisse ancora: un’opera teatrale: musiche di scena, fra cui quelle di Kuolema (La Morte 1903), dove si trova il celebre Valse triste, e altre come Karelia e Lemminkäinen (in cui vi è il famoso Cigno di Tuonela).
Jean Sibelius compose inoltre vari lavori sinfonici oltre ai citati: un concerto per violino e orchestra, diverse composizioni strumentali da camera (un quintetto, quartetti, trii, suonate ecc… e pianistiche; musiche corali d’ogni genere e molti Lieder.
*UNA NOTA CURIOSA
Per quanto riguarda i cognomi svedesi e nordici in generale, che finiscono in "-ius" come Wallenius, Linnaeus ed altri citati in questo articolo, la questione è interessante. Questi cognomi non sono tipicamente finlandesi, ma hanno spesso origini che possono risalire al latino. Ecco alcuni punti da considerare:
Origine Latina: Alcuni cognomi svedesi con la desinenza "-ius" possono effettivamente avere radici latine. Durante il Rinascimento e nei secoli successivi, era comune per persone colte, specialmente accademici e clero, adottare versioni latinizzate dei loro nomi. Questo fenomeno è avvenuto in molti paesi europei, inclusa la Svezia.
Influenza Finlandese: La Finlandia è stata sotto il dominio svedese per molti secoli e la cultura e i nomi svedesi hanno avuto un impatto significativo. In Finlandia, specialmente tra i finlandesi di lingua svedese, i cognomi latinizzati erano relativamente comuni, e questi potrebbero essere passati anche in Svezia.
Nomi Accademici: Nelle università e tra gli studiosi, era una prassi comune latinizzare i propri nomi. Ad esempio, un nome come "Andersson" potrebbe essere latinizzato in "Andersonius". Questo potrebbe spiegare alcuni cognomi con la desinenza "-ius".
Esempi di Cognomi: Wallenius è un esempio di cognome che può essere trovato sia in Svezia che in Finlandia e, come suggerisce, ha una connotazione latinizzata. Un altro esempio famoso è Linnaeus, il cognome latinizzato del celebre botanico svedese Carl von Linné.
In conclusione, i cognomi svedesi che finiscono in "-ius" spesso hanno radici che possono essere ricondotte a una tradizione di latinizzazione, comune tra studiosi e accademici, e possono anche essere influenzati dalla cultura finlandese-svedese. Questi nomi non sono di origine tipicamente svedese, ma riflettono un'interessante commistione culturale e storica.
PARCO SIBELIUS
Vicino al mare di Helsinki
Per le migliaia di visitatori che entrano nel parco ogni anno, è un posto meraviglioso per trovare un pezzo di natura, pace e cultura nel mezzo della capitale finlandese. Il sito è stato dedicato a "Jean Sibelius" - di gran lunga il più famoso compositore finlandese. In suo onore è stato eretto un monumento speciale di cui proponiamo alcune immagini.
Contesto storico e omonimo del Parco Sibelius
Jean Sibelius, nato come "Johann Julius Christian Sibelius", è una persona profondamente amata dai finlandesi ed è considerato un'icona della musica finlandese. Al musicista patriottico è sempre piaciuto incorporare la natura nelle sue opere. Gli elementi del compositore, il suo modo di vivere e di lavorare dovrebbero riflettersi nel Sibelius Park.
Un monumento come attrazione turistica
Il monumento è stato progettato dallo scultore Eila Hiltunen. Si estende su 8,5 x 10,5 x 6,5 metri ed è fatto di 24 tonnellate di acciaio. I 600 tubi sono saldati insieme in un modello a onda e sono caratterizzati da molti dettagli individuali. Come una canna d'organo sovradimensionata, il monumento si erge imponente nel verde. Accanto c'è una scultura della testa di Jean Sibelius. Secondo i racconti, la musica di Sibelius può essere ascoltata sopra l'organo quando soffia il vento.
Il Bellissimo parco
Il parco stesso è una calamita per molti cercatori di pace e amanti della natura. La sua bellezza è notevole. Una caffetteria proprio accanto all'acqua offre ai visitatori un luogo gradito per soffermarsi con disinvoltura davanti a un caffè e un dolce. Molti dolcetti come i panini alla cannella e la torta di mirtilli sono piatti popolari. L'atmosfera così vicina al mare emana una pace e una bellezza speciali. Il parco è un luogo popolare per gli intenditori d'arte.
Un suggerimento letterario:
Alessandro Zignani
JEAN SIBELIUS
Dei ghiacci e del fuoco. Vita e musica
PARTE TERZA
RAPALLO
CASA GARIBALDA
INTERVISTA A FILIPPO TORRE
DIRETTORE D’ORCHESTRA DEDICATA A JEAN SIBELIUS
Lungomare Vittorio Veneto – Rapallo
“Salotto buono” della città
E’ un punto caratteristico particolarmente suggestivo, dove il visitatore passeggia in riva al mare circondato da palme ed edifici di grande bellezza. Il lungomare è il centro di numerose feste ed eventi, soprattutto nel periodo estivo: da concerti ed eventi sportivi e religiosi. Si trovano qui diversi poli di interesse turistico, come il Chiosco della Musica, le statue monumentali e il castello cinquecentesco. Tra questi vi è anche la Casa Garibalda.
(vista dall’alto foto sotto)
La Casa Garibalda, dalle caratteristiche strisce bianche e grigie, oggetto di un accurato restauro terminato in questi ultimi anni. E’ uno dei palazzi più significativi dell’antico abitato rapallese, classificato anche come monumento nazionale
Nella sua facciata, lato chiosco della musica, lo stemma in marmo dell’ammiraglio Biagio Assereto ne indicherebbe la datazione al XIV secolo, mentre le case retrostanti porticate si debbono ritenere più antiche.
Le colonnine in marmo così come la decorazione a fasce bianche e nere impreziosivano l’edificio che nel XIX secolo e per molti anni seguenti accolse esercizi alberghieri ed anche un night nel giardino pensile. Una lapide all’esterno del complesso ricorda che tra gli ospiti dell’allora “Pensione Suisse” ci fu anche, nel 1901, il compositore Jean Sibelius, che qui compose la sua Seconda Sinfonia op.43. Sul palazzo di fronte, un’altra targa ricorda invece il soggiorno di Friedrich Nietzsche, che nel 1882, compose la prima parte di “Così parlò Zarathustra”.
Alcune immagini del lato di levante della Casa Garibalda
Il compositore finlandese Jean Sibelius soggiornò nel 1901 a Rapallo. Dall'8 al 12 Ottobre a Rapallo
“Finalmente ho trovato un luogo per soggiornare nel Mediterraneo...; un giardino pieno di rose in fiore, camelie, platani, cipressi, palme e mandorli fioriti; arance, limoni, mandarini...”
Così scriveva all'amico Axel Carpelan, annotando le prime impressioni (4 Febbraio 1901).
http://sib150.wix.com/festivalsibelius#!rapallo/cx5i
L'orchestra Sinfonica Jean Sibelius, fondata nel 2010, è intitolata al compositore finlandese Jean Sibelius che soggiornò a Rapallo (GE) nel 1901, componendovi la sua seconda sinfonia.
Il Direttore Musicale: Filippo Torre (nella foto) nasce a Rapallo (GE) il 29 maggio 1967. Intraprende gli studi musicali da giovanissimo, dedicandosi al mandolino e al pianoforte. In seguito, parallelamente agli studi di Fisica, frequenta il corso di Composizione presso la “Civica Scuola di Musica” di Milano. Dal 1992 al 1994 studia inoltre Direzione d’Orchestra con Ludmil Descev (direttore stabile dell’Opera Nazionale di Sofia). Ha successivamente approfondito diversi aspetti del repertorio sinfonico con il direttore polacco Bogusław Dawidow ed è stato assistente del direttore francese Emmanuel Villaume presso la Fenice di Venezia e il Regio di Torino.
Filippo Torre ha diretto l’Orchestra da Camera di Conegliano, l’Accademia Vivaldiana di Venezia, l’Orchestra da Camera di Sofia, la Filarmonica di Ploiesti, la Filarmonica Nazionale Siberiana e l’Orchestra di Rapallo “Jean Sibelius” in Italia, la Sinfonica di Schumen in Bulgaria, la Filarmonica di Tomsk e la Filarmonica della Carelia in Russia, la Filarmonica di Râmnicu Vâlcea in Romania, l’Orchestra da Camera dell’Accademia di Musica di Basilea in Svizzera, la Sinfonica di Dnepropetrovsk e la Sinfonica di Zaporozhye in Ucraina, la Filarmonica di Opole in Polonia e la Filarmonica Janáček in Repubblica Ceca. Ha diretto inoltre l’Orchestra da Camera di Bruxelles, la Sinfonia Bucarest e la Chopin Chamber Orchestra nell’ambito di tournées italiane. Nel 2004 ha partecipato alla ventiduesima edizione del Festival dell’Arte e dell’Amicizia di Pyongyang dirigendo l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Corea del Nord.
Intervista a Filippo Torre, direttore dell’orchestra Jean Sibelius di Rapallo
di Enrico Tognon
– Nel salotto di casa mia, come tutti i martedì, mi incontro con Filippo Torre per lavorare sulla fisica e la matematica fatta in classe. Oggi però prima della consueta lezione sono curioso e incomincio a fargli qualche domanda sulla sua vita e nello specifico sul suo rapporto con la musica.
Filippo mi racconta che è laureato in fisica, con una grande passione per la musica, parte indissolubile del suo percorso di vita. Vista la disponibilità a parlare, intervengo con domande più specifiche.
Quando ti è venuta l’idea di dedicarti alla musica?
“Fin da piccolo ho avuto l’ispirazione, verso i 10-12 anni ho incominciato a pensare che la musica avrebbe lasciato un segno nella mia vita futura. Non ho deciso, però, subito che la musica sarebbe stata la mia futura professione; i miei studi sono diventati seri (sorride n.d.r.) quando, dopo essermi diplomato al liceo scientifico, e essermi iscritto a Fisica, intorno ai 21 anni ho iniziato a seguire con regolarità corsi propedeutici. In questo ambito ho conosciuto il mio maestro. Quando poi è venuto a mancare, mi sono sentito un po’ spaesato, perso, senza una guida che mi aiutasse nel difficile inizio di carriera; tuttavia non mi è mai mancata la voglia di fare musica, anzi è proprio in questo periodo che ho capito che la direzione d’orchestra sarebbe stata la mia strada. La carriera come del resto la vita è una strada tortuosa; la mia si era interrotta per un periodo, però nel 2008, grazie alla collaborazione con “Rapallo Musica” ho avuto la possibilità di ritrovare un ambiente favorevole, e due anni dopo è nata la prima orchestra sinfonica di Rapallo: “Jean Sibelius”.
La luce soffusa del pomeriggio di inizio primavera crea un’ atmosfera di amicizia, tanto che il manuale di fisica rimane quasi nascosto nell’ombra della finestra. A cuor leggero decido di andare avanti con le domande.
La fisica come ha influenzato la tua carriera musicale?
“Aver studiato fisica mi ha aiutato nel modo di pensare la musica, che è un mondo molto razionale, preciso, tecnico, senza però che questi aspetti condizionassero la mia vena artistica.”
Proprio adesso il campanello suona, è Lorenzo, il mio fido compagno di studio che si appresta a lavorare con noi sull’ottica geometrica, ricordandomi l’imminente verifica, ahimè.
Filippo continua definendosi uno strano esemplare in cui gli aspetti di razionalità e creatività coesistono. “Credo”, aggiunge, “che la fisica sia la scienza che più risponde alle domande che l’uomo si è sempre posto, e sono contento di potere trasmettere quotidianamente ai miei alunni la passione per questa grande scienza”.
Rimpiangi di non avere studiato fin da subito musica?
“Sì, avrei potuto affinare alcune attitudini giovanili, ma non mi preoccupo ormai più: un musicista prima di tutto è una persona con la sua cultura, la sua storia e il suo carattere. Per fare bene il mio mestiere non bisogna aver fatto solo esperienze di carattere musicale, ma essersi confrontati con i diversi ambiti del sapere”.
Quale consiglio dai a dei giovani che si approcciano al mondo “adulto”?
“L’importante credo che sia non disperdere le proprie forze su troppi fronti, però le passioni extrascolastiche ci arricchiscono e specialmente in questo periodo storico, servono per fare le persone più motivate e felici”.
Al termine della nostra chiacchierata io, Filippo e Lorenzo ci guardiamo, lo ringrazio per la disponibilità, e come di consueto il nostro maestro: “Fisica eh? Siete mica sotto verifica?”. Ed è proprio in questo momento che realizzo che devo “mangiare ancora molta pastasciutta”, e ci buttiamo subito nei calcoli dei complicati esercizi.
Biagio ASSERETO
L’AMMIRAGLIO CHE CATTURO’ DUE RE
NATIVO DI RECCO, SUO NONNO VENIVA DA RAPALLO
https://www.marenostrumrapallo.it/biagio/
Carlo Gatti
LA RAPALLO DI ALTRI TEMPI …
LA TAVERNA AZZURRA
https://www.marenostrumrapallo.it/la-rapallo-di-altri-tempi-la-taverna-azzurra/
Carlo Gatti
27 APRILE 1846
LA PRIMA NAVE DA CROCIERA ATTRACCA A RAPALLO
S/S LALLA ROOKH
https://www.marenostrumrapallo.it/27-aprile-1846-la-prima-nave-da-crociera-attracca-a-rapallo-s-s-lalla-rookh/
Carlo Gatti
A cura di
Carlo GATTI
Rapallo, Mercoledì 10 Luglio 2024
IL 15 MARZO 2023 - LA BARCA DI PIETRO A ROMA -
IL 15 MARZO 2023 - LA BARCA DI PIETRO A ROMA
LA REPLICA RECA CON SE'
ECHI EVANGELICI DAL MARE DI GALILEA
«È davvero emozionante pensare che Pietro e Andrea gettavano le reti da una barca come questa quando furono chiamati da Gesù per diventare pescatori di uomini, che su una barca come questa, il figlio di Dio, rivelò la sua signoria sul mare anche nel mezzo della tempesta». (P.Giordani)
Il 15 marzo 2023 - Papa Francesco ha benedetto la simbolica costruzione, ricevuta in dono dalla famiglia Aponte, armatori di Nlg – Navigazione Libera del Golfo, con la collaborazione e il supporto dell’Istituto Diplomatico Internazionale di Roma.
Nella foto, da sinistra a destra, rivolti verso Papa Francesco, i coniugi Aprea, il direttore di NLG Maurizio Aponte e il presidente dell’Istituto diplomatico internazionale, Paolo Giordani.
Il Papa ha disposto che nei MUSEI VATICANI venga collocata la copia di una imbarcazione di duemila anni fa
La riproduzione perfetta della barca da pesca
L’opera è stata realizzata dagli APREA, storica famiglia di maestri d’ascia della penisola sorrentina, dopo approfonditi studi archeologici con la partecipazione di esperti della marineria antica. In particolare, gli artigiani hanno utilizzato la tecnica dei “legni a incastro” (fissati con pioli e chiodi). Una tecnica importata dall’area mediterranea, operante già dal secondo millennio a.C.
Benedicendo l’imbarcazione prima dell’udienza generale, il Santo Padre ha sottolineato come quella ricevuta sia ‘la barca di tutti’, una frase che attesta la coerenza di un uomo che fin dalla sua elezione ha dimostrato una particolare attenzione al debole e al povero, al migrante e al rifugiato.
YouTube
https://www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/eventi-e-novita/iniziative/Eventi/2023/barca-di-pietro-approda-nei-musei-vaticani/video-barca-pietro.html
L’imbarcazione è la fedele “replica” - Made in Italy - dell’antico e originale peschereccio di Pietro venuto alla luce nel 1986 dalla melma del lago di Tiberiade in occasione di un improvviso abbassamento delle acque, e custodito nel museo Yigal Allon di Ginosar, luogo indicato dai Vangeli quale sede principale delle predicazioni di Gesù in Galilea di cui ci occuperemo tra breve.
L’imbarcazione è stata sistemata alla base della rampa elicoidale dei musei Vaticani
(come mostra la foto sopra)
La Barca di Pietro accoglie, con la sua forte carica spirituale, pellegrini e turisti di tutto il mondo nella “Casa di tutti”, secondo un’espressione cara a Papa Francesco, Timoniere della Chiesa e instancabile promotore di incontro e dialogo tra popoli e culture diverse.
La Barca di Pietro simboleggia quindi la Chiesa che è guidata dai suoi successori. Gesù invita i discepoli esitanti e dubbiosi a salpare, confidando in Dio. Allo stesso modo, la Chiesa deve misurarsi con le tempeste e le difficoltà del mondo per diffondere l’annuncio del Vangelo della Grazia.
La Barca di Pietro non è più soltanto una metafora
Il dono che la famiglia Aponte, gli armatori di NLG-Navigazione Libera del Golfo ha voluto fare, con la collaborazione dell’Istituto Diplomatico Internazionale di Roma, al Santo Padre, “instancabile promotore di incontro e dialogo tra popoli e culture diverse”, come ha spiegato Paolo Giordani, presidente dell’IDI, la cui “particolare attenzione al debole e al povero, al migrante e al rifugiato” corrisponde pienamente all’”antica legge del mare”. Non per caso il Papa, accettando il dono, l’ha definita “la barca di tutti”.
I Dettagli marinareschi spiegati da APONTE:
L’imbarcazione è una replica perfetta di quella conservata nel museo israeliano come doveva essere ai tempi di Gesù:
scafo: di 8,8 metri x 2,5,
albero: di 8 metri con pennone di 6,
due piccole coperte: a proravia e a poppa
velatura: vela quadra e cavi in fibra di canapa
governo: due timoni
equipaggio, in grado di trasportare fino a quindici persone.
materiale di costruzione: cedro e quercia
tecnica usata: “legni a incastro” (fissati con pioli e chiodi).
Una tecnica importata dall’area mediterranea, in vigore dal secondo millennio a.C. fino all’epoca bizantina esclusa, applicata non su un materiale ligneo unico, ma su materiali misti: cedro, quercia.
Nave EUROPA – graffito
Per le parti andate perdute, gli artigiani sorrentini si sono ispirati ai mosaici del piazzale delle Corporazioni di Ostia, al graffito della nave “Europa” di Pompei, al bassorilievo con veduta del Portus Augusti (collezione Torlonia).
“Desideriamo ringraziare - ha sottolineato Maurizio Aponte, direttore di NLG - Un grazie di cuore va al Governatorato dello Stato Città del Vaticano, che ha mostrato interesse per il progetto e ci ha consentito di realizzarlo, e all’Istituto Diplomatico Internazionale, che ha collaborato nella fase di ideazione e presentazione. Tutti ci auguriamo che il modello della Barca di Pietro possa regalarci nuove emozioni” – ha concluso il direttore di NLG.
“Con questo omaggio al Sommo Pontefice dopo dieci anni di ministero – ha dichiarato P.Giordani – abbiamo voluto dare corpo ad un’immagine di straordinario valore simbolico: nessuna nave, nella storia, ha navigato quanto l’umile barca di Pietro il pescatore, dal lago di Tiberiade fino a Roma e da Roma fino ad ogni angolo del mondo, per pescare uomini. La Barca di Pietro che consegniamo oggi non è solo un oggetto di straordinario pregio, ma un messaggio che speriamo tocchi i cuori ed esorti tutti a rifiutare la cultura dell’indifferenza e dell’esclusione. È davvero emozionante pensare che Pietro e Andrea gettavano le reti da una barca come questa quando furono chiamati da Gesù per diventare pescatori di uomini, che su una barca come questa, il figlio di Dio, rivelò la sua signoria sul mare anche nel mezzo della tempesta”.
In particolare, viene ricordato l’episodio della tempesta sul lago narrato da Marco (4,38). “Mentre i discepoli erano nel panico perché imbarcavano sempre più acqua, Gesù – dice l’evangelista – se ne stava a poppa e, adagiato sul cuscino, dormiva. Lo svegliarono a furia di grida d’aiuto e lui, destatosi, comandò al mare»: «Taci! Calmati!» (Marco 4,39) «e le acque si placarono» (Luca 8,22-25).
“Sempre il Lago di Tiberiade - rammenta Giordani - fu testimone di un'apparizione pasquale di Gesù risuscitato. Dalla riva suggerì ai discepoli, estenuati per la notte passata senza pescar nulla, di calare la rete dalla parte destra della barca. In questa maniera pescarono una gran quantità di pesci e compresero che lo sconosciuto era il “Messia”. Pietro poi si tuffò per raggiungerlo e Gesù gli disse: «adesso pasci le mie pecorelle». “Questo dialogo è considerato come il momento in cui Gesù affida a Pietro la Chiesa (Giovanni 21,1-19) - commenta il presidente dell’IDI - È da questo testo che fu attinta l’immagine della chiesa come “Barca di Pietro”.
L’apostolo infatti sottolineava che: «se al timone della Chiesa c’è Cristo, il vescovo è da considerarsi il secondo timoniere».
Aggiunge Giordani: “Durante la pandemia da Covid-19, rivolgendosi al mondo costretto ad affrontare con dolore e sacrifici un momento storico così drammatico, il Papa, timoniere della Chiesa, ci aveva fatto sentire costantemente la sua vicinanza attraverso la preghiera, dandoci la certezza che ‘Dio non ci lascia in balia della tempesta’. Ebbene, con questo omaggio al Sommo Pontefice, dopo dieci anni di ministero, abbiamo voluto dare corpo a un’immagine di straordinario valore simbolico: nessuna nave, nella storia, ha navigato quanto l’umile barca di Pietro il pescatore, dal lago di Tiberiade fino a Roma e da Roma fino ad ogni angolo del mondo, per pescare uomini. La ‘Barca di Pietro’ che consegniamo non è solo un oggetto di straordinario pregio, ma un messaggio che speriamo tocchi i cuori ed esorti tutti a rifiutare la cultura dell’indifferenza e dell’esclusione”.
Il Papa ha risposto con un sorriso: “La barca di tutti…” e sarà meta di pellegrinaggio, di “nuovi pesci da portare sulla riva del Signore”.
Lago Tiberiade - Mar di Galilea
Il RELITTO originale dell’imbarcazione di Pietro fu ritrovato nel 1986 sul fondo del lago di Tiberiade
Chi scrive, nel 2000 andò con la famiglia in Israele.
Il nostro pellegrinaggio iniziò dal Lago di Tiberiade, dove tutto cominciò…
Giuseppe Flavio (Guerra giudaica, III,7) lo descrisse così:
«Il lago di Gennesar prende il nome dal vicino territorio. Misura 40 stadi in larghezza e 140 in lunghezza. Le sue acque sono dolci ma non buone da bere. Esse sono più leggere della pesante acqua di palude, e limpide perché le sue rive sono formate da ghiaia e sabbia; ha inoltre una temperatura mite: è meno fredda di quella di un fiume o di una sorgente, ma comunque più fresca di quanto si immagini, vista l'estensione del lago. Al centro di esso scorre il Giordano, che sembra nascere dal Panion, mentre in realtà giunge al Panion attraverso un percorso sotterraneo, e nasce invece dal bacino di nome Fiale, che si trova a 120 stadi da Cesarea, sulla destra, non molto distante dalla strada che porta alla Traconitide. [...] Non si sapeva che nascesse dal Giordano fino a quando non fu dimostrato da Filippo, tetrarca della Traconitide. Egli, gettando nella Fiale della paglia, la ritrovò trasportata al Panion, dove nell'Antichità si credeva nascesse il Giordano.
Tra i tanti YouTube che ho visionato, questo che vi propongo in visione è il migliore per chiarezza, bellezza e informazioni culturali geografiche-storiche ed Evangeliche.
Il mare di Galilea chiamato il lago di Gesù
di
Adrea Candore
https://www.youtube.com/watch?v=tUyoB-wObME
Le cartine orientative
Lago di Tiberiade
Il kibbutz di Ginnosar sul lago di Tiberiade e la scoperta della “barca di Gesù”
del prof.Giancarlo Biguzzi
https://www.gliscritti.it/approf/2007/papers/barca_gesu.htm
Il relitto originale, ben conservato grazie al fango del fondale che ricopriva le strutture lignee dello scafo, è stato datato alla seconda metà del I sec. A.C. dall’esame del Carbonio 14. Si tratta quindi di un battello a vela lungo 8,8 metri x 2,5 metri con un albero di 8 metri, risalente con ogni probabilità proprio all’epoca della predicazione di Gesù. L’imbarcazione, particolarmente adatta per la pesca costiera, poteva ospitare quattro rematori e circa una dozzina di persone. È plausibile quindi che il relitto del Lago di Tiberiade appartenga alla medesima tipologia della barca di cui raccontano gli evangelisti Luca (5,1-11) e Marco (4,35-41).
Il prezioso reperto è in mostra al centro Ygal Allon nel museo di Ginosar in Galilea (Israele), un museo che permette ai turisti di osservare da vicino questa semplice imbarcazione datata 40 avanti Cristo grazie a un test a radiocarbonio effettuato alla fine degli anni ottanta quando fu rinvenuta coperta da fango e melma nel lago di Tiberiade.
Gli archeologi riferirono subito che si trattava della tipica imbarcazione che usavano i pescatori ai tempi di San Pietro. Naturalmente non vi erano evidenze di sorta che si trattasse dell'imbarcazione dei Vangeli anche se l'umile costruzione lignea non ne diminuiva il valore archeologico.
CURIOSITA’ TECNICHE DELL’IMBARCAZIONE ORIGINALE
Dal sito: BibleWalks 500+ sites
L’imbarcazione è stata datata, con il carbonio 14, intorno al 40 a.C. (più o meno 80 anni), o dal 50 a.C. al 50 d.C. sulla base delle ceramiche (tra cui una pentola ed una lampada) e dei chiodi ritrovati all’interno della barca. Questo fa ipotizzare che l’imbarcazione possa quindi risalire al tempo di Gesù Cristo. In effetti, si adatta alle molte descrizioni di barche delle Sacre Scritture, come quella nel Vangelo di Luca. Lunga 27 piedi e larga 7,5 piedi, la barca era costruita con dieci diversi tipi di legno e doveva consentire la pesca vicino alla riva. La tecnica costruttiva della barca risultò conforme altre barche costruite in quella parte del Mediterraneo tra il 100 a.C. e il 200 d.C. L’imbarcazione era stata costruita principalmente con assi di cedro, unite insieme da giunti e chiodi a mortasa e tenone fissati, adatta a navigare su bassi fondali grazie ad un fondo piatto, che le consentiva di avvicinarsi molto alla riva durante le operazioni di pesca. Gli archeologi hanno scoperto che la barca era stata costruita con dodici diversi tipi di legno, il che suggerisce diverse ipotesi: una carenza di legno o una costruzione in economia, fatta con legni di scarto, oppure che la stessa aveva subito riparazioni estese e ripetute. Delle 113 assi del fasciame della barca, 105 (92%) erano di cedro e uno di pino, entrambe conifere locali. Curioso il fatto che su 60 assi di quercia, 45 (75%) erano costituite da rami non lavorati. L’utilizzo del legno di conifere per le assi e di legno di latifoglie, di solito il rovere, per le intelaiature interne, era una pratica comune ed è seguito anche oggi nella costruzione di barche. Un interessante studio sulle tipologie di legno utilizzate può essere letto su questo sito.
La barca di pescatori era dotata di un albero, e quindi poteva alzare una vela, e aveva posto per quattro rematori sfalsati. Le sue dimensioni avrebbero permesso di trasportare 13 persone … Ovviamente, non c’è modo di sapere se questa particolare barca ebbe realmente un ruolo negli eventi raccontati nella Bibbia ma le sue strutture marinaresche trovano conferma in quanto raccontato nei libri sacri.
LA TEMPESTA SUL LAGO DI TIBERIADE (MARE DI GALILEA)
“Cristo nella tempesta sul mare di Galilea”
Rembrandt
Così si legge nel Vangelo di Matteo
« Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.
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Così si legge nel Vangelo di Marco
È interessante che, pur essendo un lago, l’evangelista Marco preferisca chiamarlo “mare”, a motivo della grandezza e della sua pericolosità, infatti spesso è battuto da venti che rendono difficile la navigazione.
La barca nella tempesta
Il Signore è a poppa, nella parte poppiera della barca, quella che affonda per prima; e dorme appoggiato ad un cuscino (Mc 4,38). La tempesta che incontra la barca non sveglia Gesù, sarà il cuore angosciato dei discepoli a far tremare la barca: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (v. 38). Di questa mancanza di fede è preoccupato Gesù.
Immaginiamo lo scompiglio su quella barca! Ma quale è il vero rischio di perdersi? Gesù non risponde alla domanda dei discepoli, ma, placato il vento e le acque, sarà lui a sollevare la domanda vera: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (v. 40).
Il mare non è una forza autonoma, come non lo è il Male, seppur ha una sua inspiegabile libertà di agire, come ci istruisce il testo “sapienziale” di Giobbe nella prima lettura: “Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso?” (Gb 38,8). C’è un limite invalicabile posto dal Signore, che è creatore e redentore: “Fin qui giungerai e non oltre, e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde” (v. 11).
La fede messa alla “prova” dal mare
L’immagine del mare, da sempre, rappresenta nella Bibbia una prova di fede.
Il popolo d’Israele liberato da Mosè è costretto a fermarsi davanti al Mar Rosso, apparentemente invalicabile. L’esercito egiziano incalza alle spalle ed è ormai vicino: “Non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto”? (Es 14,11). Con queste parole ricolme di angoscia, il popolo si rivolge a Mosè. E lui: “Non abbiate paura! Siate forti. Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli” (v. 13).
HO CHIESTO A DIO: PERCHE' MI HAI PORTATO SULLE ACQUE AGITATE?
MI HA RISPOSTO: PERCHE' I TUOI NEMICI (i demoni) NON SANNO NUOTARE ...
Papa: "siamo tutti sulla stessa barca"
Questo brano ci ricorda il momento straordinario di preghiera indetto da Papa Francesco il 27 marzo 2020, nel contesto della pandemia. Risuonano ancora le sue parole: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”.
Risulta essenziale la presenza del Signore. Con un rischio: che ognuno lo vorrebbe collocato secondo i propri schemi, alla guida, di vedetta, a rassicurare ognuno, ad evitare gli ostacoli… Ma il Signore è invece al suo posto e compie la sua opera. Lo aveva anticipato nelle parabole: il seme una volta gettato, non va perduto. “Dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce” (Mc 4,27).
Su questa barca con Gesù, che è la Chiesa
Con queste parole l’orazionale descrive la “via santa”, una vita non gettata nel nulla, non abbandonata a sè stessa.
Sulla barca della vita permane la presenza silenziosa ma efficace del Signore: “Taci, calmati!” (Mc 4,39). Al momento opportuno il Signore interviene, calma le acque e il vento, come ordina al male di non nuocere più.
Su questa barca, che è la Chiesa, possiamo attraversare sicuri il mare della vita; e la nostra fede, seppur debole e ferita, può ristorarsi alla “fonte” dei sacramenti.
La nostra fede poggia sicura sulla fede di Pietro e della Chiesa di Cristo. Lo ricorda il sacerdote nella celebrazione eucaristica: “Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”.
PERCHE' GESU' SCEGLIE I PESCATORI
Lo spiega Sant’Agostino. Discorso 250
Dio preferisce i deboli e i poveri di questo mondo.
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Il Signore Gesù ha scelto le cose deboli del mondo per confondere le forti 1, sicché, volendo adunare la sua Chiesa da ogni parte del mondo, non cominciò con degli imperatori o senatori ma con dei pescatori. Se infatti fossero stati scelti in principio personaggi altolocati, essi avrebbero attribuito la loro scelta a se stessi e non alla grazia di Dio. Questo modo di procedere di Dio, a noi occulto, questa disposizione del nostro Salvatore ce la espone l'Apostolo quando dice:Osservate, fratelli, chi tra voi sia stato chiamato. Sono parole dell'Apostolo. Osservate, fratelli, chi tra voi sia stato chiamato. Poiché non molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere le forti, e le cose ignobili e spregevoli del mondo ha scelto Dio, e le cose che non hanno consistenza - come se la avessero - per annichilire le cose dotate di consistenza; affinché nessun uomo possa vantarsi dinanzi a lui 2. La stessa cosa aveva detto il profeta: Ogni valle sarà colmata, e ogni monte e ogni colle sarà abbassato, perché si ottenga una pianura senza dislivelli 3. Veramente, oggi partecipano della grazia del Signore senza distinzione nobili e plebei, dotti e ignoranti, poveri e ricchi. Quando si tratta di ricevere questa grazia non avanza diritti di precedenza la superbia rispetto all'umiltà di chi nulla sa e nulla possiede 4 e nulla può. Ma cosa disse loro? Venite dietro a me e io vi farò pescatori di uomini 5. Se non ci avessero preceduto quei pescatori, chi sarebbe venuto a pescarci? Al giorno d'oggi uno è gran predicatore se riesce a presentare bene quello che ha scritto il pescatore.
Mescolanza di buoni e cattivi nella Chiesa terrestre
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Il Signore Gesù Cristo scelse dunque dei pescatori di pesci e ne fece dei pescatori di uomini. Col fatto stesso del pescare poi volle darci degli ammaestramenti nei riguardi della chiamata dei popoli. Notate come le pesche furono due e come occorra distinguerle e separarle. Una fu quando il Signore scelse gli Apostoli e da pescatori li rese suoi discepoli 6; l'altra è quella che abbiamo ascoltato ora quando si leggeva il santo Vangelo, quella cioè che avvenne dopo la resurrezione del Signore Gesù Cristo. L'una dunque prima della resurrezione, l'altra dopo la resurrezione. E dobbiamo sottolineare con molta attenzione la differenza fra le due pesche, poiché questa duplice pesca è una nave piena di istruzioni per noi.
Almeno 4 erano pescatori di mestiere:
Simon Pietro e Andrea suo fratello, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo…
Non sono menzionati tutti i loro mestieri. Pietro e Andrea erano pescatori, probabilmente anche altri. Matteo era in esattore di tasse, Paolo fabbricava tende per mantenersi quando predicava ma a Gerusalemme era stato educato dal dotto fariseo Gamiliele. Sapeva parlare greco ed ebraico. Nonostante Matteo avesse molta esperienza riguardo il denaro e i numeri, furono affidate a Giuda le finanze e per questo si presume che avesse una certa istruzione. Tutti comunque si mantenevano con il loro lavoro.
Invece gli apostoli non credevano per fede, ma perché avevano incontrato e mangiato insieme a Gesù per 40 giorni dopo la sua morte.
Gesù appare ai pescatori
https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/libri/impariamo-racconti-bibbia/13/gesu-appare-ai-pescatori/
PIETRO Apostolo, santo
TRECCANI
https://www.treccani.it/enciclopedia/santo-pietro-apostolo_(Enciclopedia-Italiana)/
https://www.culturacattolica.it/cultura/storia/storia-della-chiesa/il-primo-sbarco-dell-apostolo-pietro-in-italia
Tra gli scritti cosiddetti pseudo-clementini (preziosa fonte per gli studiosi dei primi secoli), composti poco dopo il 200 d.C., vi è un’opera denominata Viaggi di Pietro, che era stata adottata dai giudei ebioniti. Gli ebioniti credevano sia nell’ebraismo sia in Gesù come Messia (atteggiamento ancora oggi presente tra le migliaia di ebrei messianici d’Israele), e facevano riferimento ad un vangelo di Matteo rielaborato, ed anche all’opera Viaggi di Pietro. E’ da questo testo che fu attinta l’immagine della Chiesa come “Barca di Pietro”, perché l’apostolo ci teneva a sottolineare che, se al timone della Chiesa c’è Cristo, il vescovo è da considerarsi il “secondo timoniere”.
MARINAI E FEDE
https://www.marenostrumrapallo.it/cri/
Carlo GATTI
Rapallo, 26 Giugno 2024