Duardìn e il suo veliero

Duardìn e il suo veliero

Racconterò questo frammento della nostra tradizione che fa parte di una vera e propria saga marinara con i suoi personaggi, i suoi mezzi e il suo territorio.
Racconterò perciò una storia di mare vissuta, che parla di Capitani e di Camogli, alternando le vicende di una nave che ci ha lasciato qualcosa di suo con quelle dell’abile Capitano che la gestiva accuratamente. La racconto anche perchè quella stessa nave – pur essendo armata e comandata da camogliesi – non ottenne il suo giusto rilievo nella nostra tradizione marinara.

 

La nave – che è corretto chiamarla così poiché quella fu la sua effettiva costruzione iniziale – si chiamava Lake Erie, fu realizzata nel 1868 in uno degli storici cantieri del Clyde, a Glasgow in Scozia. Quell’area è così famosa per le costruzioni navali che addirittura il noto chitarrista Mark Knopfler compose anni fa uno splendido e struggente brano “So far from the Clyde”, che racconta il viaggio verso la demolizione in India di una petroliera che era stata costruita dai cantieri di quel fiume. 

Tornando alla nave, notiamo che aveva un robusto scafo in ferro di una settantina di metri, la sua prora era inoltre rinforzata poiché l’armatore committente, la Canadian Shipping Co., la destinò al traffico degli emigranti dall’Inghilterra al dominio canadese, ricco di acque ghiacciate.
La Lake Erie navigò quindi molti anni in Atlantico e si fece notare per la sua eccezionale manovrabilità e velocità in mare aperto, basta pensare che staccò andature medie anche di 9 nodi (17 km/h).
Dieci anni dopo, nel 1878, nasceva a Camogli Edoardo Figari, nomiaggio “Duardìn”.

 

Edoardo Figari ai tempi del primo comando

Nel 1885 la nave fu riarmata a brigantino a palo cioè, dei tre alberi iniziali, a quello di poppa furono allestite vele auriche (trapezoidali) al posto delle quadre. Il motivo della ristrutturazione è probabilmente il conseguimento di una maggiore manovrabilità: prima, con tutte vele quadre viaggiava spedita solo nelle aree dove pochi e forti venti spirano da direzioni periodiche; le vele auriche permettono invece al brigantino di navigare bene anche con venti più deboli e provenienti da tutte le direzioni, anche quelle prodiere. Non scordiamo che la fortuna economica di Camogli e della sua flotta ebbe la massima espansione nella seconda metà ‘800 proprio con quel tipo di alberatura.
Ritornando al Lake Erie, le sue attività continuarono sino al 1891, quando venne ceduto ad un armatore neozelandese che lo impiegò trasportando lana al Regno Unito da quella colonia autonoma.

Il “Lake Erie” in porto in Australia dopo il 1891 per il commercio di lana. Lo scafo era nero con striscia bianca longitudinale secondo i colori sociali dell’armatore neozelandese

IntantoDuardìn Figari, nel 1895 (a 17 anni), si diploma alla nostra Scuola Nautica e imbarca subito su velieri che navigano gli oceani: già da giovane possedeva l’indole del navigatore da “mar afuera”!
Si arriva così al 1902, cioè l’incontro tra i due soggetti: il Lake Erie viene acquisito dall’armatore camogliese Cap. Gaetano Olivari, detto Pisciuela (Pissorella). Le murate della nave perdono i colori bianconeri dei portelli laterali per far posto allo scafo sempre nero ma con una banda longitudinale grigia. Come tanti imprenditori dei nostri dintorni, Mortola è un ex navigante, conosce bene il mestiere e conosce bene Edoardo Figari, esperto in viaggi di lungo corso. Infatti nel 1903, Figari fresco di patente di Capitano, ottiene da Mortola il comando della nave! Iniziano così per Duardìn sei anni di imbarco pressoché continuo su quel veliero, adibito prima al trasporto di merci varie e lana da Marsiglia alla Nuova Zelanda e ritorno in Francia; poi, dalla Francia Atlantica al Brasile e i Carabi trasportando cereali e merce varia. Constatiamo qui che Figari era ben conscio d’essere un Capitano che navigava spesso verso gli antipodi: quell’obiettivo fu soprattutto raggiunto sistematicamente con la sua straordinaria professionalità.

 

La splendida linea del “Lake Erie”

Durante quel periodo, il Capitano camogliese ricevette numerosi apprezzamenti dal mondo dello shipping internazionale per le eccellenti condizioni di manutenzione col quale gestiva la sua unità. Non solo, durante il suo comando staccò i più rilevanti record di velocità negli oceani Atlantico e Pacifico!
 Nel 1909, Edoardo Figari lascia infine il Lake Erie per imbarcare su altri grandi velieri.

 

Edoardo Figari nella famosa foto dei Capitani di Camogli nel 1910 di fronte al Teatro Sociale

La nave continuerà a viaggiare tra Pensacola (Florida del Golfo) e Genova con merce varia all’andata e legname al ritorno in Italia. Il suo nuovo Capitano fu Erasmo Avegno, anch’egli camogliese. In quel periodo, Avegno sapeva che il destino della nave era segnato: i grandi, solidi e sempre operativi piroscafi stavano invadendo rapidamente il settore della navigazione. 
Nel 1913, partito dall’America a pieno carico, il Lake Erie incappò purtroppo in una furiosa tempesta. L’equipaggio riuscì a riparare provvisoriamente la coperta, gli alberi e le vele, così da poter dirigere a Genova dove scaricherà il legname e verrà demolito un anno dopo.

 

Maggio 1971: a Camogli si radunano e pranzano in Piazza Colombo i Cap Horniers!

Il Capitano Figari, dopo la Grande Guerra, imbarcò sui piroscafi fino agli anni ’50. Oltre che Capitano di grandi navi a vela e motore, ingaggiate in navigazioni oceaniche, Duardìn si fregiò del titolo di “Albatross – Cap Hornier” per aver doppiato numerose volte quell’insidioso passaggio al comando di un grande veliero.

 

Il sodalizio Amicale Internationale des Capitaines au Long Cours Cap Horniers di Saint Malo si radunò a Camogli nel maggio 1971. Segretario era il Marchese Tomaso Gropallo celebre scrittore e storico di mare che fu anche docente del nostro Istituto Nautico. Era presente per la prima volta alla manifestazione il comandante Flavio Serafini di Imperia, promotore e storico di mare anch’egli. Serafini divenne poi Segretario Nazionale dell’Amicale fino alla sua chiusura nel 2003. Da questi rinomati personaggi della storia marittima abbiamo attinto alcune notizie e immagini descritte nel presente articolo. 
Figari infine, scomparve ad ottobre dello stesso anno di quell’incontro a Camogli, aveva 93 anni e risiedeva alla Casa dei Marinai. Fece perciò in tempo a partecipare all’evento nel quale era presente un altro noto Albatross di Camogli, il Capitano Prospero Figari, nomiaggio “Sciabecco”.

Duardìn fu ricordato nel “Der Albatross” e nel “Courier du Cap” organi del sodalizio dei Cap Horniers. Nel 1972 a Copenhagen, venne citato dall’Associazione dei Capitani di Lungo Corso di Capo Horn; la commemorazione avvenne alla presenza del Principe Consorte di Danimarca e del Vescovo di Copenhagen. “Così si chiudeva la saga terrestre di uno dei più famosi marinai italiani”…

Edoardo Figari nel 1971: si accinge a partecipare al convegno dell’AICH a Camogli

Da parte sua, il Lake Erie lasciò in eredità a Camogli qualcosa visibile ancor oggi. A Genova nel 1914, anno di demolizione della nave a Calata Gadda, l’armatore Gaetano Olivari donò alla Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli un grande tavolo di lucido teak e due splendide panche con schienale reclinabile.

 

Il tavolo e le panche del “Lake Erie” conservate in Sede Capitani

Quei mobili arredavano il salone della nave sin dai primi viaggi per il Canada. 
Oggigiorno, per gli stessi Soci che discutono in Sede le attività del sodalizio, è motivo d’orgoglio utilizzare quell’arredamento che ha solcato per quasi cinquant’anni gli oceani del mondo intero! =

 

Bruno Malatesta

 

(Bibliografia/immagini:
– “Il romanzo della vela” di T. Gropallo;
– “La Città dei Mille Bianchi Velieri, Camogli” di G.B. Ferrari;
– I soprannomi (nomiaggi) dei Capitani ed Armatori di Camogli” di Pro Schiaffino;
– “Uomini e bastimenti di Capo Horn” di Flavio Serafini)
(Altre immagini da:
– Archivio Capitani Camogli;
– South Australia State Library/A.D. Edwardes Collection).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


DUE STORIE DEL MARE DEL NORD: Ostenda - Dunkerque

- 1 -

OSTENDA (Fiandre-Belgio) LA PESCA DEI GAMBERI A CAVALLO DA OLTRE 700 ANNI

PATRIMONIO UNESCO DAL 2013

 - 2 -

A DUNKERQUE (Francia) - SI SCATENO’ L’INFERNO:

OPERAZIONE DYNAMO. 2° Guerra Mondiale

 

La zona del Belgio che oggi visiteremo è quella in verde sul Canale della Manica

 CARTINA DEL BELGIO

Le Fiandre nella parte “nera” della cartina

 

La costa fiamminga è un paradiso dalle mille facce. Ben 67 chilometri di spiaggia fine, mare e dune sabbiose, arte e cultura, cibo e bevande, storia e tradizione, shopping, surf e tanto altro ancora.

Faremo una cavalcata lungo la spiaggia del Mare del Nord che si estende dal confine con i Paesi Bassi a quello con la Francia. Vedi carta e freccia sotto.

 

Ostenda (Belgio) (in olandese Oostende; in francese Ostende) è una città portuale belga di 70.274 abitanti, situata nella provincia fiamminga delle Fiandre Occidentali e affacciata sul Mare del Nord. Il territorio comunale comprende la città vera e propria e tre città minori, annesse successivamente all'istituzione del comune: Mariakerke, Stene e Zandvoorde.

Ostenda è la città principale sulla costa belga. In tempi antichi non era altro che un piccolo villaggio di pescatori costruito sulla sponda orientale (in olandese: oost-einde) di un'isola (chiamata Testerep), posta fra il Mare del Nord e un lago costiero. Benché piccolo, il villaggio guadagnò lo status di 'città' intorno al 1265, quando agli abitanti fu permesso di tenere un regolare mercato. La principale fonte di introiti era naturalmente la pesca. La costa del mare del Nord è sempre stata abbastanza instabile e nel 1395 gli abitanti decisero di costruire una nuova Ostenda alle spalle di grandi dighe e lontana dalla minaccia del mare. La posizione strategica sul Mare del Nord ha dato un grande vantaggio a Ostenda, come porto, ma si è anche rivelata fonte di problemi. La città venne spesso presa, distrutta e saccheggiata dalle armate conquistatrici. Dopo quest'epoca Ostenda si tramutò in un porto di una certa importanza. Nel 1722 gli olandesi chiusero l'entrata del porto di Anversa, e di conseguenza Ostenda crebbe in importanza perché forniva un accesso alternativo al mare.

 

OOSTDUINKERKE: LA SPIAGGIA BELGA PATRIMONIO UNESCO

 

Monumento simbolo dei  Shrimpers (pescatori di gamberetti a cavallo)

Il nome Oostduinkerke si traduce come "Dunkerque orientale"

Ogni martedì mattina, da Maggio a Settembre, sul tratto di spiaggia belga di Oostduinkerke, quasi al confine con la Francia, c’è un appuntamento imperdibile e ancora non troppo famoso, quello con gli Shrimpers!

Oggi… come nel medioevo…

 Gli Shrimpers arrivano in spiaggia con i loro cavalli, sono seguiti da una folla numerosa di curiosi, appassionati e turisti da ogni dove…

Una decina di pescatori, quindici al massimo, indossano l’impermeabile giallo e con le galoche ai piedi, siedono sul carretto trasportato dal proprio cavallo e lungo il tragitto che porta al mare fanno salire “a bordo” i bambini che sono venuti a salutarli.

Arrivano fino al bagnasciuga e anche un po' più in là per preparare i cavalli …

 

IL MOMENTO IDEALE

 

La pesca a cavallo a Oostduinkerke sfrutta il ritiro della marea.  I pescatori entrano in acqua quando il livello del mare è basso, lasciando scoperta una porzione di fondale marino.  Quando la marea è alta, l'attività è impossibile.

 

Staccano il carretto lasciandolo a riva e dopo aver sistemato due grandi ceste in vimini sul proprio destriero, sono pronti a salire in sella e a partire.

I pescatori iniziano a posizionare la rete da pesca dietro al cavallo, che servirà a raccogliere i gamberetti, specialità tipica di queste parti. 

È in questo momento, durante la bassa marea, che trainano le reti attraverso le acque poco profonde, catturando i gamberetti. 

 

Le reti iniziano a strisciare sulla sabbia ed in men che non si dica sono sott’acqua a fare il loro lavoro sul fondale mentre lo Shrimper porta a passeggio il suo fedele compagno di avventura.

 

 

 

Si portano al largo…

 

 

Il mare è molto mosso, ma sembra non infastidire i cavalli, che si muovono tra le onde con estrema facilità ed eleganza.

Dopo circa 30/40 minuti eccoli tornare di nuovo verso la spiaggia.

 

Una volta tornati sul bagnasciuga, il pescatore ritira la rete da pesca e prende dal carretto i secchi ed il setaccio che gli serviranno per mostrare il pescato: un sacco di piccoli gamberetti, mischiati a qualche conchiglia ed altri pesciolini finiti per sfortuna nella rete.

 

Tutto il resto (piccoli pesci, granchi, meduse) viene restituito al mare. Questa operazione si ripete diverse volte durante la battuta di pesca.

Circa due ore più tardi, l’alta marea inizia a salire e costringe i pescatori a smettere di pescare. I cavalli non devono essere messi in condizione di pericolo. Le reti vengono ripiegate, caricate sul calesse e si rientra alla fattoria dove tutto è pronto per godersi il meritato pasto, Bruno svuota le ceste e prepara il fuoco per cuocere i gamberi.

L’emozione continua ad essere grande su quel tratto di costa belga ed è grazie soprattutto ai pescatori che sono felici di essere portatori e conservatori di una tradizione secolare che li fa sentire vicini a tante persone, grandi e piccini, e sono fieri di mostrarci e spiegarci il loro lavoro e lo fanno scherzando con noi e regalando ai bambini qualche pesce strano o conchiglia appena tirato fuori dal setaccio come fosse il cilindro di un mago.

E che dire di questi mansueti cavalli che si lasciano accarezzare e coccolare da chiunque! i suoi possenti cavalli brabantini (brabançonne), una razza da tiro originaria del Belgio, ideale per questo tipo di attività. Udo è un esemplare imponente: pesa oltre una tonnellata e può tirare fino a duemila chili di peso senza sforzo. Ma non basta la stazza per diventare un cavallo da pesca. L’addestramento, infatti, inizia già ad un anno di età e, una volta terminato, una commissione valuta se il cavallo può effettivamente entrare a far parte di questa antica tradizione.

Una volta ripulite le reti, i pescatori rimontano sul loro carretto e ritornano a casa con quel bottino di pesca veramente irrisorio ma con la consapevolezza di aver raccontato e tramandato la loro storia e di aver fatto emozionare tutti i presenti, nessuno escluso!

 

Dal mare al piatto:

gli straordinari gamberetti pescati a cavallo

 

La cottura avviene in un enorme calderone pieno d’acqua bollente salata; dopo pochi minuti sono già pronti. Il sapore di questi minuscoli gamberi è eccezionale, una combinazione di sapidità e dolcezza che non ha eguali. Non ci stupisce che siano così rinomati. Assaggiare tutti insieme quello che abbiamo pescato qualche ora prima, sorseggiando una Kriek, è la perfetta conclusione di una mattinata fuori dell’ordinario.

 

….. una tradizione tanto bella quanto dura, in cui gli elementi naturali regolano l’attività dell’uomo e ne decidono le sorti; un mestiere antico, fatto di persone caparbie che, con passione e fierezza, portano avanti un’attività che li tiene ancora saldamente ancorati alle proprie origini.

 

 

Conclusione:

 L'importanza culturale:

Questa antica tecnica di pesca non è solo un metodo di sostentamento, ma un vero e proprio patrimonio culturale.

Nel 2013, la pesca a cavallo di Oostduinkerke è stata riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, sottolineando il suo valore storico, sociale e culturale unico. 

Rappresenta una connessione ininterrotta tra uomo, animale e ambiente, testimonianza di un'arte tradizionale tramandata di generazione in generazione.

 

Come funziona:

 I cavalli, guidati da pescatori esperti, (Paardevissers) trainano una rete a strascico attraverso le acque poco profonde del mare. I cavalli, con le loro gambe affondate nella sabbia fredda e bagnata, si muovono con passo costante, trainando la rete mentre i pescatori li guidano e controllano la cattura.  La forza e la resistenza dei cavalli sono fondamentali per affrontare le acque agitate e la pesantezza della rete piena di gamberetti.  Il lavoro è duro e faticoso, sia per i cavalli che per i pescatori.

 

Il futuro della pesca a cavallo:

Nonostante il suo riconoscimento e la sua importanza, la pesca a cavallo di Oostduinkerke sta affrontando molte sfide: la competizione con i metodi di pesca moderni, i cambiamenti climatici e le normative ambientali pongono dei limiti alla sua praticabilità. Tuttavia, grazie al suo status di patrimonio UNESCO e all'impegno dei pescatori e delle autorità locali, si stanno attuando iniziative per preservare questa tradizione per le generazioni future.

 

DURANTE LA 2a GUERRA MONDIALE SU QUELLE SPIAGGE SI SVOLSE

L’OPERAZIONE DYNAMO….

 

 

I movimenti durante l'accerchiamento di Dunkerque

 

L'evacuazione di Dunkerque è un evento chiave della Seconda Guerra Mondiale e un'impresa militare memorabile, nonostante le parole di Churchill… 

L'operazione, nota come "Operazione Dynamo", si svolse tra il 26 maggio e il 4 giugno 1940 e vide l'evacuazione di circa 338.000 soldati alleati, prevalentemente britannici, ma anche francesi, belgi e altri, dalle spiagge di Dunkerque. 

L'esercito britannico era stato accerchiato dall'avanzata delle forze tedesche, che avevano quasi completato la conquista della Francia.  La situazione era disperata; i soldati erano intrappolati e sotto costante attacco.

 

Un cannone navale inglese a copertura delle operazioni di evacuazione

 

Un ponte di scialuppe consente ai soldati inglesi di essere tratti in salvo

 

Il cacciatorpediniere francese Bourrasque affonda carico di truppe dopo essere stato colpito il 30 maggio 1940.

 

Le convulse fasi delle operazioni di evacuazione

 

L'evacuazione fu un miracolo logistico.  Oltre alle navi militari, una flotta improvvisata di imbarcazioni civili – pescherecci, yacht, barche da diporto, persino chiatte e zattere – parteciparono all'impresa, rischiando la propria vita per salvare i soldati. La "Little Ships" (piccole navi) rappresentano un simbolo incredibile di coraggio e spirito civico.

I tedeschi, sorprendentemente, ritardarono l'attacco decisivo alle spiagge, dando tempo per evacuare un numero di soldati superiore alle aspettative.

Nonostante il successo nell'evacuare un numero così elevato di soldati, preservandoli per future battaglie, Churchill aveva ragione a sottolineare che: “con le evacuazioni non si vincono le guerre”

Dunkerque fu una sconfitta strategica per gli alleati:  un'enorme quantità di equipaggiamento militare fu persa e la Francia era sul punto della capitolazione.  L'evacuazione, però, evitò un disastro ancora più grande: la completa distruzione del Corpo di Spedizione Britannico e una potenziale invasione della Gran Bretagna.  L'impresa salvò la spina dorsale dell'esercito britannico, che poté poi essere riarmato e contribuire a cambiare le sorti del conflitto.  Dunkerque, dunque, assunse un valore simbolico significativo, diventando un esempio di resilienza e determinazione di fronte all'avversità, un momento di speranza in un periodo buio.

 

 

CARLO GATTI

Rapallo, Giovedì 13  Febbraio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


GENOVA SVELA UNA ANTICA ARENA

GENOVA SVELA UNA ANTICA ARENA

 

Gli scavi, iniziati nel 1992 e proseguiti fino al 1996, hanno portato alla luce, oltre a numerose strutture medievali, anche una serie di muri e fondamenta più antiche che suggeriscono la presenza di un anfiteatro di epoca romana.

 

La freccia nella mappa di Genova, indica la zona dei Giardini Luzzati

 

Genova, sempre attenta al proprio patrimonio storico, ha una nuova perla archeologica da mostrare ai suoi visitatori dei Giardini Luzzati, proiettati nel cuore del centro storico.

Su questa zona, ormai da molti anni, sono puntati i riflettori di molti studiosi attirati da crescenti scoperte, evidenze, reperti e rinvenimenti archeologici che destano sorpresa, curiosità e desiderio di approfondire sempre di più la storia di Genova “romana”!

Vista d'insieme dei Giardini Luzzati  Genova

Immagini della zona oggi

Oggi, l'area è accessibile in parte al pubblico, offerto per alcuni giorni con visite guidate. L’apertura vuole anche promuovere attività culturali in questa zona e favorire la conoscenza del patrimonio nascosto sotto i nostri piedi.

 

UNA PASSEGGIATA TRA I REPERTI ARCHEOLOGICI

 

La ricostruzione digitale del reperto archeologico mostra approssimativamente l'estensione dell'anfiteatro.

 

La disposizione del sito

Muri, fondamenta e, particolarmente, una cinta muraria ellittica che presenta queste misure:

Lunghezza: circa 70 mt.

Larghezza: 40 mt.

Tale scenario architettonico, insieme ad altri interessanti ritrovamenti di resti edilizi limitrofi, sarebbe indicativo di un'area destinata a funzioni pubbliche. Gli archeologi ipotizzano la presenza di un anfiteatro.

L'ampiezza dell'area interessata, circa 5.200 metri quadrati, evidenzia l'importanza e l'estensione del sito romano in questa zona. Ancora oggi, sotto attenta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia della Liguria, l'area è oggetto di continuità di scavi e studi che potrebbero portare a nuove scoperte e a una migliore comprensione di questo sito.

 

Alla base del muro una serie di buche per pali poste ad intervalli regolari databile al I secolo d.C.

Sono anche emerse tracce di strutture di periodi successivi, come se si fosse realizzata, nel corso dei secoli, una trasformazione da spazio pubblico Romano ad un altro con nuove funzioni nel Medioevo e oltre.

 

Muro rettilineo (30 metri); l’intonaco sul lato esterno rivela un tipo di rivestimento per cisterne e vasche, e su un lato mostra le tracce di un fossato. I materiali lo datano tra: I.aC - I.dC.

 

Ci sono poi le 13 cisterne e cantine, con le pareti intonacate e altre strutture medievali. Si arriva quindi   alla prima distruzione della zona causata dai bombardamenti del Re Sole nel 1684, per finire con quelli della Seconda guerra mondiale.

 

Alla canalizzazione delle acque di epoca romana, sarebbe seguita (nel I secolo) la costruzione dell’anfiteatro. L’edificio sarebbe stato utilizzato per un paio di secoli, fino a quando l’area fu soggetta a impaludamento.

Questa scoperta aggiunge un altro tassello al mosaico del passato di Genova, invitando alla riflessione sull'importanza di preservare il nostro patrimonio archeologico e di approfondire le nostre conoscenze storiche.

 

 

L'ANFITEATRO E IL PORTO

 

La vita quotidiana, con i suoi aspetti sia laboriosi che di divertimento era strettamente legata alla portualità del porto di Genova.

Questo intenso traffico marittimo rendeva il porto di Genova un punto di incontro per i marinai di diverse provenienze e culture, un vero "crogiuolo" di persone e di idee, dove le diverse tradizioni si mescolavano e si scambiavano.

Oggi, possiamo soltanto immaginare l’emozione e la meraviglia di quei marinai stranieri che, approdando a Genova per la prima volta, vedevano stagliarsi verso il cielo un anfiteatro panoramico sulla collinetta di Sarzano che era pronto ad accoglierli simulando un fraterno abbraccio con la sua forma ellittica, per offrire loro una pausa di pace e divertimento dopo tanti affanni patiti nelle burrasche di mare.

Questa connessione tra l'anfiteatro, il porto e la vita di Genova nel periodo romano offre uno spaccato più completo e dinamico di questa parte di storia della città. La scoperta archeologica ci porta ad immaginare la vita sociale e culturale di Genova nell'antichità, andando oltre le semplici tracce materiali.

 

LA PORTUALITA’ DI GENOVA IN EPOCA ROMANA FU UN POLO ATTRATTIVO DI PRIMARIA GRANDEZZZA COMMERCIALE

 

Immagine tratta da “GENOVA ROMANA”

di Marco Milanese

Genova, oltre ad essere un fiorente centro urbano dell'epoca, era anche un vivace porto di primaria importanza.

 

Il Porto di Genova, come fulcro dell’economia romana all’epoca di Vipsiano Agrippa, (il più grande Ammiraglio della storia di Roma (63 a.C. – 12 a.C.), del quale è accertata la sua presenza a Genova, aveva un’enorme importanza strategica, non solo per il controllo militare del Nord Tirreno, ma anche come scalo d’imbarco e sbarco di prodotti commerciali.

 

Nave oneraria romana-Museo di Albenga

L'intensa attività portuale, fondamentale per la sopravvivenza e la prosperità della città, era strettamente legata alla navigazione delle navi onerarie che viaggiavano lungo tutto il Mar Tirreno cariche di merci come vino, olio, il famoso garum, e molte altre derrate alimentari. 

 

Poggi G. ci spiega:

Quanto alla qualità del vino, Marziale (III. 82) dice che i Liguri bevevano vino buono, e davano ai convitati il vino ligustico, che era sgradevole perchè sapeva di pece. Forse lo dettero a lui in ricambio della sua maldicenza, ma Plinio certifica che Genova teneva la palma del buon vino in Liguria (IV 8 7), e basta ricordare i vini squisiti di Coronata e di Quarto per convincersene. Un altro articolo di esportazione era l’uva secca che, secondo Plinio, veniva fasciata in giunchi e riposta in botti sigillate con gesso (XV 18 4).

 

 

MUSEO DELLA NAVE ROMANA DI ALBENGA

 

Diversamente dagli alimenti solidi, come il grano, il trasporto delle derrate liquide o semiliquide come il vino, l’olio e le salse di pesce (garum), era affidato a contenitori in terracotta, in particolare alle anfore (dal termine greco amphìphèro, porto da entrambe le parti, riferito alle due anse dei contenitori). Questo genere di recipienti rappresentava il mezzo più efficace per garantire la conservazione e la spedizione di grandi quantitativi di merci per via marittima o fluviale.

I numerosi relitti di navi onerarie ritrovati ancora colme di anfore nel Mar Ligure testimoniano la presenza di un intenso traffico navale, se si pensa che soltanto il Porto artificiale (ad esagono) di TRAIANO a Roma, con i suoi immensi magazzini ancora visibili, poteva ospitare oltre 500 “carrette dei mari ante litteram…”

Sulle rotte trafficate del Mar Tirreno, queste imbarcazioni trovavano pochi ridossi dove “nascondersi” dalle burrasche. Navigavano solo nei mesi ritenuti meno pericolosi, ma come sanno i marinai di ogni epoca: Il mare è amico solo di chi lo rispetta e lo teme… anche nei periodi di tempo buono assicurato.

 

Ma ora ritorniamo al tema principale di questo viaggio nella romanità

 

COS’ERA E COSA RAPPRESENTAVA UN ANFITEATRO ROMANO?

 

Un anfiteatro romano, in poche parole, era un'arena ellittica progettata per ospitare grandi eventi pubblici. 

Differente dal teatro, che aveva una forma semicircolare, l'anfiteatro si sviluppa su una struttura ellittica concepita per permettere a un gran numero di spettatori di assistere a spettacoli di ogni genere. 

Gli anfiteatri erano luoghi di intrattenimento e spesso servivano per giochi di gladiatori, lotte tra animali selvatici (venationes), esecuzioni pubbliche e altre forme di spettacolo, che erano molto popolari nel mondo romano.

L'organizzazione di questi eventi portava un notevole flusso economico. La grande partecipazione di pubblico ne testimoniava l'importanza nel tessuto sociale dell'epoca.

La capacità di un anfiteatro romano variava a seconda delle dimensioni della città.  Questi luoghi erano spesso in un'area centrale, dove la comunità si riuniva regolarmente per condividere uno spettacolo e momenti di intrattenimento in un'unica esperienza in una grande aggregazione sociale.

Secondo Plinio il Vecchio l’anfiteatro sarebbe nato nel 53 o nel 52 a.C. a Roma: per onorare la memoria del padre defunto, Scribonio Curione, fa costruire due teatri in legno orientati in direzioni opposte e tangenti tra loro, montati su perni ruotanti; per tutta la mattinata essi rimasero separati e ospitarono rappresentazioni teatrali che non si disturbarono a vicenda. Il pomeriggio, per i combattimenti gladiatori, i due teatri girarono su se stessi fino ad allineare le loro fronti, in modo che i due emicicli formarono un anfiteatro (Naturalis Historia, 36.116-120).

In realtà, precedentemente a questo periodo, era già stato realizzato uno tra i più antichi edifici stabili per spettacoli gladiatori: l’anfiteatro di Pompei. Esso venne offerto alla città dai duoviri quinquennales C. Quinctius Valgus e M. Porcius nel 70 o nel 65 a.C., ricordati dalle iscrizioni rinvenute in prossimità degli ingressi, in una zona a sud-est della città a ridosso delle mura urbane.

 

L’ANFITEATRO DI LUNI E QUELLO “IPOTETICO” DI GENOVA SAREBBERO COEVI: II Secolo a.C.

 

 

ANFITEATRO di LUNI (nelle due immagini sopra)

Asse Maggiore=88,5 mt.

Asse minore=70,2 mt.

Numero di spettatori=7.000 spettatori

L’ANFITEATRO (ipotetico) di GENIOVA avrebbe avuto dimensioni leggermente inferiori, come abbiamo già visto.

Da incompetente, non so dire se il confronto tra i due manufatti sia pertinente, tuttavia credo che nell’attesa di futuri riscontri certi, esso possa “regalare” ai lettori un’idea più “ravvicinata” della scoperta. Perdonatemi l’azzardo!

 

Proponiamo al lettore alcuni approfondimenti sull’argomento che riteniamo interessanti.

 

LISTA DI ANFITEATRI ROMANI

IN ITALIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_anfiteatri_romani

 

GENOVA QUOTIDIANA

Ferdinando Bonora

https://genovaquotidiana.com/2016/09/24/genova-romana-visite-guidate-dellanfiteatro-oggi-fino-alle-24-e-domani-ai-giardini-luzzati/

 

YOUTUBE

L’ANFITEATRO ROMANO AI GIARDINI LUZZATI

https://www.youtube.com/watch?v=a6t8vfVLinE

 

 

GENOVA ROMANA IMPERIALE

Filippo Giunta

http://www.giuntafilippo.it/genova-2/03-genova-romana-indice/03-genova-romana/

 

 

GENOVA - LA CASA DEL BOIA

CARLO GATTI

 Conosciuta anche come la

CASA DI VIPSIANO AGRIPPA

https://www.marenostrumrapallo.it/boia/

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 13 gennaio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PESCATE QUATTRO ANFORE DI EPOCA ROMANA CACCIA AL RELITTO

PESCATE QUATTRO ANFORE DI EPOCA ROMANA

CACCIA AL RELITTO

La notizia del ritrovamento del relitto di una nave romana a SUD del promontorio di Portofino, risale al 26 maggio 2016.

 

Il faro di Portofino

 

- Le anfore del relitto di PORTOFINO sono databili tra il II e il I secolo a.C. e, vista la loro grandezza, da subito si era ipotizzato che facessero parte di un carico cospicuo caricato su di una nave piuttosto grande. I primi reperti, ancora dotati di bolli e sigle, indicano con esattezza la loro provenienza, la fornace e lo schiavo che le ha realizzate e cosa contenevano.

- Il relitto della nave romana trasportava le anfore da vino del generale Lucio Domizio Enobarbo.

 

 

I pescatori di Santa Margherita Ligure

 

Si può solo immaginare l’espressione di meraviglia di Gianni Paccagnella, comandante del peschereccio IMPAVIDO quando, durante una battuta di pesca ai gamberoni su un fondale di 700 metri, la sua rete, porta alla luce quattro anfore romane che sono ancora in grado di rivelare preziose informazioni sulla storia dei trasporti navali di Roma Antica.

Da esperto uomo di mare, Gianni sa qual’è il suo dovere civico: mettere la prora verso l’imboccatura del porto di Santa Margherita Ligure per denunciare il ritrovamento dei reperti alla Capitaneria di Porto di Santa Margherita Ligure.

Anche la posizione del relitto rimarrà un segreto da condividere soltanto con l’Autorità Marittima che sa come agire contro i “cacciatori di tesori sommersi”  noti per numerosi episodi di sciacallaggio.

Iniziava da quel momento l’iter burocratico di rito. Veniva quindi informata la competente Soprintendenza che, a seguito di una prima analisi dei reperti, disponeva la custodia delle anfore presso i laboratori dell’Area Marina Protetta di Portofino, al fine di provvedere alle necessarie e preliminari operazioni conservative.

Tuttavia era necessario stabilire la posizione esatta del relitto scoperto dall’Impavido ricostruendo un tracciato lungo una decina di miglia.

Per risolvere questo problema, la stessa Soprintendenza si rivolgeva all’ing. Guido Gay, il maggiore esperto in materia il quale, usufruendo dei dati nautici forniti dal comandante Paccagnella, riusciva a localizzare una possibile traccia compatibile con l’obiettivo ricercato.

 

L’Ing. Guido Gay col suo ROV PLUTO PALLA

 

Successivamente, con l’ausilio del ROV Pluto Palla, innovativo veicolo subacqueo filo-guidato di produzione Gay Marine, veniva localizzato il cumulo di anfore depositato su un fondale di 720 metri di profondità: si trattava quindi dell’inequivocabile testimonianza del naufragio avvenuto, secondo gli esperti della Soprintendenza, tra il II e il I secolo a.C.

 

Si tratta di una delle tante e discusse Tabella Dressel della descrizione tipologica e cronologica delle anfore recuperate lungo i litorali francesi; l’autore è un appassionato archeologo oltre che un ottimo sommozzatore.

 

ACADEMIA.edu

L’archeologia subacquea in Liguria: recenti esperienze di ricerca e valorizzazione (2014-2016)

Simon Luca Trigona

https://library.oapen.org/bitstream/id/144061ae-b019-429e-9eb9-390156264b56/14778.pdf

                     

 

COMUNICAZIONE DEL COMUNE

12 giugno 2016

Redazione

 

 

La comunicazione del ritrovamento del relitto al largo di Portofino fu data dal sindaco Paolo Donadoni (terzo da destra) nella Sala Consiliare del municipio di Santa Margherita Ligure. Per l’occasione parteciparono:

Vincenzo Tiné, Soprintendenza Archeologica belle arti e paesaggio della Liguria: presentazione

Elisa Petrosino, Circomare Santa Margherita Ligure: il recupero delle anfore e l’ordinanza di tutela

Guido Gay, GayMarine S.r.l.: la ricerca strumentale in altofondale e la scoperta del relitto

Simon Luca Trigona, Soprintendenza Archeologica belle arti e paesaggio della Liguria: la nave e il suo carico

Michele Corrado, presidente Area Marina Protetta Portofino: conclusioni

Queste furono le prime comunicazioni ufficiali:

“Sono anfore che riportano dei bolli, cioe’ delle
sigle che indicano con esattezza la loro provenienza, la fornace e lo schiavo che le ha realizzate e cosa contenevano.

 Provengono dalla Campania settentrionale. Sono le prime rinvenute in Liguria con queste caratteristiche”, ha spiegato Simon Luca Trigona della Soprintendenza archeologica della Liguria durante la presentazione dei reperti avvenuta in Comune a Santa Margherita.

 “Vista la grandezza e la loro forgia e’ possibile – ha detto Trigona, che facciano parte di un grosso carico. Quindi anche il relitto che le trasportava doveva essere di grandi dimensioni. Lo cercheremo e spero di trovarlo entro la fine dell’estate”.

Le anfore, terminati gli approfondimenti, resteranno a Santa Margherita Ligure, al neonato Museo del Mare.

 

Più di 2 mila anfore romane: il tesoro sommerso del Tigullio

La nave affondata trasportava vino dalla Toscana alla Gallia

YouTube

https://www.genova24.it/2016/10/piu-2-mila-anfore-romane-tesoro-sommerso-del-tigullio-168173/

 

YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=QDYyvto1Qfk

 

  

ARCHEOLOGIA MARINA

IL SECOLO XIX

30 Ottobre 2024 alle 10:50

Via ai lavori sul relitto romano, area off limits davanti a Portofino.

 

Iniziato l’intervento di scavo e messa in sicurezza dell’antica imbarcazione scoperta sui fondali. A bordo decine di anfore. L’obiettivo di rendere il ritrovamento un’attrazione per il turismo subacqueo

EDOARDO MEOLI

 

L’ESPERIENZA DELLA NAVE ONERARIA

DI ALBENGA

COEVA DELLA RECENTE SCOPERTA DI PORTOFINO

 

Da questi dati, osservati, il relitto potrebbe essere simile e coevo della nave romana di Albenga del quale abbiamo già scritto e riportiamo, per pura informazione, il LINK di quella ricerca la quale potrebbe essere utile per capire il contesto archeo-scientifico in cui si muovono gli scienziati di questa affascinante materia.

 

 

Nino Lamboglia (nella foto) è considerato il padre dell’archeologia stratigrafica e di quella subacquea, nel 1958 fondò il Centro sperimentale di archeologia marina, invitò studiosi da tutto il mondo, organizzò congressi e seminari e lavorò alla carta archeologica dei fondali, seguendo poi, tutti i ritrovamenti subacquei, dell’intera costa italiana.

 

MUSEO NAVALE ROMANO

ALBENGA 

LA CITTA’ DELLE 100 TORRI

 

Relitto di Albenga - Nave oneraria Romana del I-II Secolo a.C.

 

La nave romana di Albenga era lunga 40 metri e poteva trasportare 10.000 Anfore (ctr)

 

https://www.marenostrumrapallo.it/museo-navale-romano-albenga-la-citta-delle-100-torri/

di Carlo GATTI

 

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 6 Gennaio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 


BABBO NATALE - SANTA KLAUS

 

BABBO NATALE

SAN NICOLA - UN SANTO MEDITERRANEO DIVENUTO

SANTA KLAUS

SIMBOLO DEL MONDO NORDICO

 La cui popolarità internazionale si è propagata soprattutto via mare quando le distanze via terra erano immense, pericolose e disagiate.

 

 

SAN NICOLA

UN SANTO DI MARE E DI TERRA

 

SAN NICOLA di Myra, san Nicolao, san Nicolò ....

Santa Claus, Sinterklaas o Sint-Nicolaas ecc… De Sint ("Il santo"), De Goede Sint ("Il buon santo") e De Goedheiligman ("Il buon sant'uomo") in olandese; SaintNicolas in francese; Sinteklaas nel dialetto frisone occidentale; Sinterklaos in lingua limburghese; Saint-Nikloi  in fiammingo occidentale; Kleeschen e Zinniklos in lussemburghese e Sankt Nikolaus o Nikolaus in tedesco.

Il 6 Dicembre, si ricorda uno dei santi più popolari di tutta la cristianità: San Nicola, il cui nome è ampiamente diffuso sia in Oriente sia in Occidente, dove sono conservate le sue reliquie.

San Nicola è protettore di bambini, vergini, chierichetti, pellegrini e viaggiatori, commercianti, avvocati, giudici, farmacisti, notai, pescatori, marinai e zatterieri, mugnai, panettieri, macellai, mastri birrai e distillatori, contadini, tessitori, scalpellini, candelai e pompieri e prigionieri.

In tutto il mondo però c’è un merito che viene attribuito a San Nicola: la sua leggenda ha fatto nascere il mito di Babbo Natale.

Secondo la tradizione, San Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere perché potessero andare spose invece di prostituirsi e, in un’altra occasione, salvò tre fanciulli.

Nel Medioevo si diffuse in Europa l’uso di ricordare l’episodio con lo scambio di doni nel giorno dedicato al santo.

Il culto di San Nicola è molto diffuso: ogni 6 Dicembre i piccoli europei si svegliavano felici perché il Santo aveva portato loro i doni.

Nel mondo ortodosso, San Nicola non teme confronti, neppure con santi come Giorgio, Teodoro, Demetrio o Sergio.

Persino il mondo protestante, benché restio al culto dei Santi, strizza da sempre un occhio verso il culto di San Nicola.

Quando nel 1613 gli Olandesi fondarono New Amsterdam (ora New York), infatti, portarono con sé tutte le loro tradizioni ed anche la devozione a San Nicola che entrò prepotentemente nel folklore americano.

 

Nel 1821 venne dato alle stampe un libro illustrato, “L’Amico dei Bambini”, che riportava questa frase:

“Il vecchio Santa Claus con grande gioia guida la sua renna (…) per portare a te ogni anno i suoi regali”.

Si tratta della prima attestazione scritta dell’uso delle renne; mentre l’anno successivo, l’immagine del Santo subisce un’ulteriore trasformazione”.

 

 

Clement Clarke Moor, nella sua poesia “La Visita di S. Nicola”, scrisse:

“Era la notte prima di Natale (…) Le calze erano appese al camino con cura, nella speranza che S. Nicola sarebbe arrivato presto (…), una slitta in miniatura tirata da otto piccole renne con un piccolo vecchio alla guida, così amabile e agile capii subito: quello dev’essere San Nicola (…) la barba era bianca come la neve (…), aveva una faccia larga, e un po‘ di pancia rotonda (…) Era grassottello e paffuto, proprio un vecchio allegro elfo”.

 

Nel 1931 fu la pubblicità della multinazionale americana Coca-Cola, nata dalla penna dell’illustratore Haddon Sundblom, a mettere insieme i ricordi di San Nicola e il personaggio dello “spirito del Natale presente”, descritto da Charles Dickens nel racconto Canto di Natale.

In questa circostanza nacque il Santa Claus in abito rosso bordato di pelliccia bianca che oggi tutti conosciamo.

Tuttavia, anche se un altro marchio (prima della Coca Cola) utilizzò l’immagine di Babbo Natale sulle bevande di ginger e acqua minerale, non sortì lo stesso successo ecco perchè oggi si pensa che l’affermazione di quest’immagine sia da attribuire proprio alla forza commerciale e mediatica della bibita più popolare del mondo: la Coca-Cola.

 

DUE MIRACOLI DI SAN NICOLA NELL’ARTE

Le storia di San Nicola dipinte da Ambrogio Lorenzetti (Siena, notizie 1319-1348)

 

I due episodi sono tratti dalla vita di San Nicola vescovo di Myra (270-343) narrata nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine (sec. XIII). Nel dipinto l’ordine di narrazione va dal basso verso l’alto.

 

Nella prima storia, il vescovo Nicola si reca al porto per chiedere ai marinai delle navi che stanno trasportando il grano ad Alessandria d’Egitto di darne una parte alla città di Myra, afflitta dalla carestia. I marinai eseguono l’ordine di Nicola e miracolosamente le navi si riempiono nuovamente di grano, così che, giunti a destinazione, i marinai non troveranno nessun ammanco nel carico.

 

Il secondo episodio si riferisce ad un miracolo compiuto dopo la morte. Nel giorno della festa del San Nicola santo, un bambino viene ucciso dal diavolo travestito da pellegrino, al quale il fanciullo aveva offerto l’elemosina. Invocato dal padre della vittima, devoto di San Nicola, il santo riporta alla vita il bimbo, fra la meraviglia e la gioia dei presenti.

 

Le Gallerie degli Uffizi

Ambrogio Lorenzetti (Siena, notizie 1319-1348)

 

La tavola fa parte di una coppia di dipinti con storie di San Nicola (vedi anche l’opera inv. 1890 n.8348 ), la cui struttura complessiva rimane ancora oggi ignota. La presenza di elementi di raccordo lungo uno dei due margini di ciascuna tavola fa pensare che queste costituissero gli elementi laterali di un dorsale d’altare che aveva probabilmente al centro la figura del santo. Pervenute alle Gallerie fiorentine dall’abbazia benedettina di Santa Maria a Firenze, le due opere originariamente facevano parte degli arredi di una chiesa vicina, intitolata a San Procolo. Sono una testimonianza sublime dell’attività del pittore senese Ambrogio Lorenzetti a Firenze, che dimostra, oltre alle straordinarie doti di narratore, la sua predilezione per orchestrazioni spaziali complesse e grande maestria nella raffigurazione del:

 

MIRACOLI - IL MONDO DEL MARE

 

 

https://www.basilicasannicola.it/sez/1/38/236/miracoli-il-mondo-del-mare

 

Per conoscere il Santo da vicino: clicca su ogni titolo

SAN NICOLA

 

Demetrio. “Ai nostri tempi”, racconta lo Pseudo-Metodio, un tale Demetrio navigava da Costantinopoli in Tracia per andare al villaggio di Atyr a celebrare la festa di San Nicola. Una tempesta lo fece cadere in mare e mentre veniva inghiottito dalle onde fece in tempo a dire: “San Nicola aiutami!”. Si sentì sollevare in aria e si ritrovò a casa sua (ma egli non lo sapeva e continuava a gridare “San Nicola aiutami!”). I vicini lo sentirono e andarono ad aprire. Sorpresi, poiché il giorno prima lo avevano visto partire, lo tempestarono di domande. Ma poi vedendo che tutti i suoi vestiti erano bagnati compresero il grande miracolo.
 
Il Navigatore solitario. Un saraceno egiziano in alto mare si trovò nel bel mezzo di una tempesta. Ricordando l’uso dei cristiani invocò San Nicola, promettendo in caso di salvezza di farsi cristiano. Apparve allora un uomo venerando che si mise al timone e condusse la nave fino alla rada di Antalya. Domandò se ci fosse una chiesa di San Nicola e, recatovisi, dall’icona riconobbe l’uomo venerando. Restò a vivere in quel luogo e “ancora oggi” i figli vengono chiamati “figli del navigatore solitario”.
 
 
Giovanni, padre di Metodio. Sin da giovane il padre dell’agiografo era devoto di San Nicola. Una volta navigando verso Otranto, giunto nel golfo di Taranto, la nave naufragò. I sette uomini di equipaggio si calarono in una scialuppa, ma anch’essa fu travolta dalle onde e tutti finirono in mare. Il padre grido: “San Nicola aiutami!”. E il santo lo salvò. “Che cosa sono i miracoli celebrati di Elia ed Eliseo, o i prodigi di Mosè in confronto a questi? Solo Cristo ne fece simili, salvando Giona dalla balena e il primo fra gli apostoli Pietro, sprofondato durante una tempesta”.
 
Il monaco Nicola. Simeone Decapolita, uomo di santa vita, inviò il suo discepolo Nicola a svolgere il ministero presso Catabolo. Navigando, giunto all’altezza del Tritone, scoppiò una tempesta. Tutti invocarono San Nicola che apparve proprio al monaco Nicola dicendogli: “Coraggio, adesso ci sono io”. E, tra gioiosa sorpresa di tutti, il mare si calmò.
 
Antonio naufrago.  Antonio, un monaco del monastero della Vergine di Pelekanos (a Costantinopoli), narrò quanto segue. In navigazione verso l’isoletta di Calcide per recarsi al monastero di Sàtoros, scoppiò una tempesta e la nave si rovesciò. Il superiore di Sàtoros inviò una barca con otto uomini per salvarli. Ma i passeggeri non resistettero e andarono a fondo. Antonio mentre sentiva di annegare invocò San Nicola. Ed ecco un uomo venerando lo prese per le spalle e lo risospinse alla superficie. Anche colui che lo tirò nella scialuppa di salvataggio si chiamava Nicola.
 
I ragazzi cretesi. Un venerdì santo mentre i fedeli erano in chiesa a pregare, tre ragazzi andarono sulla spiaggia a giocare. Qui trovarono un ragazzo più grande e con lui sempre giocando salirono su una barca. Un’ondata più forte li spinse in mare e la barca fu trascinata al largo. I genitori accorsi si disperavano, mentre dei marinai si sforzavano inutilmente di raggiungere i ragazzi. Questi ultimi invocarono San Nicola che apparve (visibile solo a loro), diede loro da mangiare e li fece addormentare. Risvegliatisi il giorno di Pasqua, i ragazzi si ritrovarono di fronte all’isola di Dia, poi con vento favorevole rientrarono al porto.
 
I tre cristiani. Al tempo degli imperatori Probo e Floriano (276 d.C.) su una nave che si dirigeva a Costantinopoli c’erano 500 pagani, i quali presero gli unici tre cristiani e li buttarono a mare. Due di essi finirono su uno scoglio apparso all’improvviso, l’altro finì negli abissi e fu divorato da un cetaceo, nel ventre del quale c’era una nave con tanti morti. Trovò anche una borsa preziosa. Riuscì quindi a fuggire dal ventre del cetaceo e a raggiungere i due compagni. Subito lo scoglio si mosse e raggiunsero Bisanzio accolti dal re Vatapon cui raccontarono l’accaduto. Giunsero anche i pagani e furono invitati a pranzo. Mentre mangiavano entrarono i cristiani e dal loro spavento capì che i cristiani avevano raccontato il vero. Prese i pagani e li buttò a mare.

 
Il miracolo di San Nicola

Data sconosciuta, tempera su pannello

Museo dell'Ermitage - San Pietroburgo

Lorenzo Veneziano ("Lorenzo veneziano") (attivo 1356-1372) è stato un importante pittore a Venezia durante la seconda metà del XIV secolo. Fu il primo pittore della scuola veneziana ad allontanarsi dai modelli bizantini favoriti dai veneziani in stile gotico.

 

 

BARI - La cappella delle reliquie

https://www.basilicasannicola.it/sez/2/96/la-cappella-delle-reliquie

 

Dove si trova il corpo di San Nicola?

Le sue reliquie sono conservate, secondo la tradizione, nella basilica a lui dedicata a Bari e nella Chiesa di San Nicolò a Venezia. La sua figura ha dato origine alla tradizione di San Nicolò, che passa nella notte tra il 5 e il 6 dicembre portando doni ai bambini.

Qual è la leggenda di San Nicola?

Secondo una storia diffusa nel XI-XII secolo, San Nicola diede per dote tre sfere d'oro a tre povere fanciulle, perché potessero sposarsi. Un'altra leggenda lo vede salvare tre fanciulli affamati e senza cibo, ai quali donò tre mele che il mattino seguente si trasformarono in preziosi frutti d'oro.

 

Wikipedia

SAN NICOLA DI BARI

https://it.wikipedia.org/wiki/San_Nicola_di_Bari

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 2 Gennaio 2025

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE TORRI DEI PILOTI DEL PORTO DI GENOVA Passato e Presente

LE TORRI DI CONTROLLO DEI PILOTI DEL PORTO DI GENOVA

Passato e Presente ...

 

Il porto è essenzialmente un grande supermercato, ossia il centro di smistamento delle ricchezze prodotte dalle nazioni. Nel suo ambito, i prodotti commerciati cambiano il loro mezzo di trasporto e prendono le più svariate direzioni geografiche. Intorno alla “velocità di circolazione” di questi beni - vero e proprio valore aggiunto - nasce, infatti, la competizione tra i grandi sistemi portuali. 

Il Tempo è denaro 

Questo ormai logoro motto sintetizza, ora più che mai, la “ formula economica ” che caratterizza il ritmo vertiginoso della produzione industriale ed il suo relativo commercio internazionale. Da questa prospettiva, il fattore tempo rappresenta il parametro più indicativo, ed è facile immaginare il deprezzamento che può subire qualsiasi tipo di merce che rimanga stivata a bordo di una nave, o che ristagni improduttiva in rada, in banchina, o all'interno degli appositi magazzini. L' effetto più immediato è la perdita di competitività sul mercato, e quindi di valore. 

La presenza effettiva di moderne strutture, infrastrutture e sovrastrutture all'interno ed all'esterno di un ambito portuale, quantifica la sua portata operativa , mentre la modernità che caratterizza la sua organizzazione e la diversificata tecnica degli impianti, misura invece la sua efficienza. Portata ed efficienza consentono, tuttavia, l'introduzione di un ulteriore parametro: la capacità di smaltimento del traffico in un dato periodo di tempo. Questo parametro è già in uso da molto tempo nei più trafficati aeroporti civili del mondo. A rendere significativo questo elemento contribuiscono, sia la tecnologia avanzata, meglio nota con il nome di telematica, sia il fattore umano legato alla professionalità del personale. 

L'insieme di questi fattori qualifica, in definitiva, l'importanza commerciale di un porto ed influisce, come una qualsiasi offerta di servizio, sulle scelte dell'utenza, tutt'altro che insensibile, naturalmente, anche ai costi d'esercizio.   

 

LA TORRE DI CONTROLLO: GLI OCCHI DEL PORTO 

Uno strumento che risale all'antichità più remota  

 

Le gallerie pittoriche degli artisti di marina, che precedono l'avvento della macchina fotografica, ci raccontano già nei dettagli che i piloti portuali per secoli hanno esercitato gli avvistamenti dei velieri dall'alto dei celebri fari marittimi. Il fatto in se stesso non è neppure tanto sorprendente, giacché risponde ad una logica astronomica legata alla curvatura terrestre. Il ruolo del pilota-farista ed esattore delle tariffe relative alle prestazioni effettuate, nonché ormeggiatore e tuttofare, scandì per secoli questa complessa attività che, soltanto con la rivoluzione industriale e quindi con la razionalizzazione dei servizi, prese una sua specifica connotazione. 

Con questa premessa, verrebbe spontaneo pensare ad una prima sistemazione dei Piloti genovesi presso la Torre dei Greci, sulla punta del Molo Vecchio del porto della Genova medievale. 

 

Lo specchio portuale in un dettaglio della veduta dipinta da Cristoforo Grassi nel 1597, copia di opera più antica assegnata al 1481 ca. Notare, in basso a sinistra, il Faro di Loggetta dei Greci (Genova, Civico Museo Navale)/The Genoa Port on 1597.

 

La prima Sede conosciuta dei Piloti di Genova. Erano due camerette costruite sul terrazzo della Porta del Molo (Porta Siberia) alla fine del 1879/The first Pilots building (photo S.Galleano) 

Da “ I Piloti della Lanterna ” di Stefano Galleano riportiamo: 

Nel 1901, infatti, il Capo Pilota Pietro Pescetto si rivolgeva nuovamente al Comandante del Porto di Genova affinché gli concedesse la facoltà di costruire “un casotto” sul Molo Giano “pel pilota di guardia durante la notte onde i vapori stranieri in arrivo, massime quelli provenienti dalla parte di levante, come i postali germanici e olandesi, possano in tempo essere avvistati”....

Il permesso questa volta fu concesso e la “Torretta” venne costruita a circa 160 metri dalla testata del Molo Giano.

 

Pianta e prospetto della Torre Piloti del 1901 costruita sul Molo Giano/Plan of the Pilots tower on 1901(Corpo Piloti Genova

 

La nuova Torre, costruita nel 1913/The tower as built on 1913 

 

La nuova Torre, costruita nel 1913. Il C.Pilota Pescetto, con farfalla, bombetta e mani sui fianchi, in una foto un po' asimmetrica per la verità del 1916. La costruzione in secondo piano era la Stazione d'arrivo, con annesso ristorante, della Tolfer, una ferrovia monorotaia che collegava il Molo Vecchio al Giano durante la Fiera del 1914/The tower as built on 1913.

 

Trafiletto d'archivio 

 

Nell'agosto del 1928 il C.A.P. (Consorzio Autonomo del Porto), approva il progetto di una costruenda sede per i piloti in testata al Molo Giano. La costruzione misura metri 8,50x6,50 è fiancheggiata da una torre scalare a sezione ottagonale, ha quattro piani con un terrazzo praticabile. La nuova torretta fu presa in consegna dai piloti nel 1931. Dovette essere veramente un avvenimento straordinario perché i piloti avevano finalmente una sede degna di questo nome…..”

 

Cerimonia Ufficiale in occasione del trasferimento della Madonna di Città dall'Oratorio di S.Antonio della Marina alla testata del Molo Giano, il 20 Giugno 1937/Ceremony of the shifting of the Lady statue. 

Questa Torretta dei Piloti crollò due volte sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale e fu ricostruita nel 1947, nella stessa posizione e con le stesse caratteristiche. Tuttavia, nell'ultimo trentennio, la gloriosa costruzione fu letteralmente “accecata” della presenza del mastodontico Superbacino galleggiante, posizionato proprio sulla visuale dell'imboccatura di levante e perse inesorabilmente la sua principale funzionalità.

 

La Madonna dei Piloti: la Madonna, Regina di Genova, 11 Maggio 1952, ricollocata nella presente posizione. Scolpita da Bernardo Carlone nel 1638. La sua originale collocazione era sulla porta della Lanterna (accesso occidentale della Città). Nel 1937, fu collocata sulla testata del Molo Giano. Nel 1944, precipita in mare a causa dei bombardamenti. In seguito, viene recuperata e in data 11 Maggio 1952, ritorna al suo posto/The Lady statue close by the Pilots building.

 

La “Torretta”, ricostruita dopo gli eventi bellici, nel 1947/The pilot tower after 1947

Nel primo dopoguerra, su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico, i vincitori del conflitto, disponendo del giusto entusiasmo e di notevoli mezzi finanziari, poterono realizzare, a dire il vero con occhio lungo, la costruzione d'imponenti Torri di controllo per gli atterraggi navali. Gli Anglo-Americani non fecero un gran sforzo di fantasia, ma capirono, già d'allora, la necessità di adottare la stessa filosofia funzionale, sperimentata dall'Aviazione militare e civile. Le nuove Torri di Controllo nacquero quindi con l'obiettivo strategico di realizzare una moderna regolazione dei crescenti flussi navali da e per l'Europa, in quel tempo affamata ed interamente da ricostruire e rilanciare. 

GENESI DI UNA MODERNA TORRE DI CONTROLLO 

Già dai primi anni '80 l'autore, per ragioni familiari e per pura curiosità professionale, aveva visitato, fotografato e studiato le Torri di Controllo dei principali porti del Nord Europa. Le relazioni tecniche che ne seguirono, ottennero l'effetto di sensibilizzare le Autorità competenti del Porto di Genova sul gap tecnologico che vedeva i Piloti genovesi confinati ai margini della più avanzata portualità internazionale. 

 

(photo John Gatti) 

Alla metà degli anni '80, spirò sul Porto un vento nuovo. L'allora Presidente del C.A.P. Roberto D'Alessandro presentò e realizzò in parte, la sua “rivoluzione portuale”, che era stata anticipata nei suoi celebri “Libri Blu”. Gli effetti salvifici, davvero innovativi, come la privatizzazione delle banchine, decollarono da ogni calata del porto e sono tuttora in corso.

 

La sequenza fotografica che vi proponiamo, rappresenta le classiche fasi d'abbordaggio di una nave da parte del Pilota (Com.te Giovanni Lettich) con tempo buono. Quando la pilotina compie 4/5 metri d'escursione in altezza e poi precipita, a causa del moto ondoso, il Pilota deve fare appello a tutto il suo coraggio, alla sua condizione atletica, ed all'amore per il suo lavoro/The sequence of a pilot boarding a ship .

 

Anche i Piloti s'inserirono in quel filone di brezza fresca ed innovativa e trovarono nel Presidente D'Alessandro il giusto interlocutore. Il loro desiderio fu recepito immediatamente, e ciò che sembrava un sogno, fu subito interpretato come una necessità primaria che s'inquadrava perfettamente nel progetto di rilancio del Porto di Genova. La dinamicità del Presidente diede, nel giro di qualche mese, dei frutti insperati e la sorpresa fu immensa quando giunse in Torretta, all'improvviso, con il modello ligneo di una nuova Torre di Controllo, progettata dall'Italimpianti che s'impegnava, fatto eccezionale, a realizzarla a proprie spese. 

Purtroppo, gli avvenimenti che seguirono quel breve periodo d'euforia, gettarono il Porto di Genova nella sua fase più oscura dalla fine della seconda guerra mondiale. Il decisionismo del Presidente D'Alessandro non riuscì a rimuovere gli ostacoli che si frapponevano al suo progetto integrale, a causa –forse- del mancato sostegno della politica locale e nazionale, in perenne stato di conflittualità. Lasciamo agli storici il compito di analizzare le “lotte” portuali degli anni '80, tuttavia, indugiamo ancora brevemente sull'argomento soltanto per registrare che, d'allora, nel Porto cambiarono attori e registi, ma il disegno del nuovo Sistema Portuale Integrato, immaginato ed esposto dal Presidente D'Alessandro, cadde in piedi e fu fedelmente realizzato dopo la sua uscita di scena. Altri –forse- ne presero il merito e qualora giudicassimo gli avvenimenti dal pesante silenzio che ha rimosso il suo nome nel tempo, ne rimaniamo, ancora oggi, sorpresi e amareggiati.

La pilotina “Pegaso”, cavalcando l'onda di libeccio, porta il Pilota all'arrivo di un'altra nave/A pilot boat on the top of waves 

 Dal punto di vista dei Piloti, il seme di un'avveniristica Torre di Controllo era stato gettato. Passò qualche anno e la ripresa dei traffici aumentò di pari passo con la stabilità politica e l'organizzazione amministrativa del Porto. 

Torre di Controllo dei Piloti del Porto di Genova, 1996: La serie fotografica, che segue, mostra le fasi “salienti” della sua costruzione.

 

 

Abbiamo appositamente affiancato queste due foto (sopra e sotto) per evidenziare l'angolo dello stesso porticciolo dei Piloti dove ha iniziato a salire la Torre di Controllo del traffico/The various stages of the building of the new Pilots tower.

 

Montaggio dei moduli abitativi (Servizi, Uffici e Cabine)/Building of the living quarters

 

La Torre verso il suo completamento/The tower towards its completion

 

Siamo nel 1996, l'opera è compiuta. La Torre sarà operativa nel 1997/On 1996, the building is completed; it will be operative on 1997 

LA TORRE DI CONTROLLO DEL TRAFFICO NAVALE DEL PORTO DI GENOVA COMPIE DIECI ANNI DI VITA  

Dall'alto dei suoi 55 metri, dal 1997 simboleggia il fiore all'occhiello, nonché l'anello strutturale e tecnologico che pone il Porto di Genova tra gli empori più importanti del mondo. La T.C. rappresenta, nella realtà portuale moderna, la cabina di regia, il cervello operativo, il punto di contatto di tutti i soggetti presenti nel sistema, che intendono effettuare operazioni commerciali. 

La T.C. è pertanto lo strumento che, in ultima analisi, dà il via alle varie fasi operative, determina il ritmo produttivo del porto, razionalizza l'impiego dei servizi, elimina i tempi d'attesa, velocizza la rotazione dei vettori in uscita ed in entrata, disciplina le direttive, le molteplici informative ed infine stabilizza e regola l'intera movimentazione navale sulla base di un unico e affidabile concetto di sicurezza. Dall'abilità dei suoi operatori, nel coordinare e snellire i flussi navali, utilizzando al meglio le risorse disponibili in un dato momento, si può comprendere, ora, il significato della “ capacità di smaltimento del traffico ” di cui si è accennato all'inizio.

 

La nuova Torre per il controllo del traffico costruita dall'Autorità Portuale, funziona dal 1997 e costituisce anche la nuova sede dei Piloti. A destra, la vecchia Sede dismessa/Inside the tower, besides the Pilots, also the Coast Guard is up there. 

La Direzione del Traffico Navale costituisce materia assai delicata anche per i più esperti rappresentanti dello shipping marittimo navigante che in seguito hanno ottenuto la licenza di pilotaggio. Si tratta in definitiva di acquisire una nuova specializzazione per svolgere il pilotaggio di una o più navi a distanza. L'obiettivo da raggiungere è rappresentato da una formula: “Snellire il traffico in sicurezza”. La formazione di detto personale non è stata ancora regolamentata da una normativa internazionale, tuttavia, gli Stati con maggiore tradizione marinara richiedono da tempo, per questa attività, standards elevatissimi di cultura navale a base universitaria, unita all'esperienza acquisita nella condotta della navigazione e della manovra. 

 

Carlo Gatti 

Presidente della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli

Camogli, Estate 2006

 

 

 

Si pensa subito alla nuova

TORRE PILOTI

 

 

PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

https://www.marenostrumrapallo.it/pil/

di John GATTI

 

TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO

https://www.marenostrumrapallo.it/piloti/

di Carlo GATTI

 

Nuova Torre Piloti

https://www.portsofgenoa.com/it/pianificazione-e-sviluppo/programma-degli-interventi/interventi-di-sviluppo/tutti-interventi/nuova-torre-piloti.html

 

PROGETTO TORRE PILOTI

Dell’ Architetto Renzo Piano

Genova, palazzo san Giorgio. la presentazione del progetto della nuova Torre Piloti. da sx l'ammiraglio vincenzo Melone, Renzo Piano, Luigi Merlo, John Gatti e Giovanni Toti,

 

TEMPISTICHE

Inizio Lavori: luglio 2022

Fine Lavori Prevista: Febbraio 2025

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 2 Gennaio 2925

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LA FAMIGLIA CANEVARO DI ZOAGLI - Quando il Mare era il Trampolino di Lancio per entrare nella Storia

LA FAMIGLIA CANEVARO DI ZOAGLI

QUANDO IL MARE ERA IL TRAMPOLINO DI LANCIO PER ENTRARE NELLA STORIA

 

Zoagli  (Genova) è una perla preziosa nota per la sua scogliera ed altre splendide attrazioni naturali e turistiche, ma quanti sanno, per esempio, che per tutto l’800, la ridente cittadina rivierasca era ancora immersa nella sua antica attività marinara che vantava un cospicuo patrimonio di velieri, valenti capitani ed equipaggi? Del resto, soltanto un paese dalla consumata tradizione sui sette mari poteva ricordare i suoi figli chiamando Passeggiata dei Naviganti un tratto del suo splendido lungomare.

Ma si rimane ancora più sorpresi quando, nel vicoletto che porta alle incantevoli spiagge del ponente cittadino, si sfiora una bacheca poco visibile, direi riservata, proprio come il cuore dei marinai cui è dedicata nel simbolo della Madonna del Mare. Vi si legge: 

Tanti gli zoagliesi che soprattutto nell’Ottocento erano un tempo, comandanti e armatori. I Chichizola, i Merello, i Vicini, i Raggio, i Peirano ed i Canevaro hanno battuto i mari dell’America Meridionale doppiando Capo Horn per raggiungere il Cile e il Perù dove molti conterranei si erano trasferiti per lavoro…….Tra le tante navi a vela zoagliesi ricordiamo il Marinin un veloce brigantino che tante cavalleresche sfide ha consumato con i Clipper inglesi sulle rotte del riso e del teak a Rangoon. La famiglia più celebre quella dei Canevaro, oltre che per i traffici commerciali, si distinse per il ruolo svolto nella storia dell’Italia Risorgimentale….

 

 Giuseppe CANEVARO un Pioniere dell’Emigrazione Italiana

 

Monumento in bronzo situato nella piazza di Zoagli dedicato a Giuseppe Canevaro, opera dello scultore Carlo Filippo Chiafarino

 

Giuseppe Canevaro nasce a Zoagli nel 1803 da una famiglia di modeste condizioni. All’età di otto anni inizia a navigare col padre, il capitano Giacomo e, a dodici imbarca sul veliero Calipso alla volta di Cuba. A ventanni è capitano di un bastimento e si trasferisce a Lima (Perù).

 Nel 1830 sposa Francesca Valega, dalla quale avrà dodici figli.

 

GIUSEPPE CANEVARO

Il Fondatore di un notevole Impero commerciale

 

Un Viaggiatore del Mare

Coraggio e Determinazione

Come abbiamo appena visto, mi è caro   sottolineare che Canevaro, fin da giovanissimo, dimostrò una straordinaria audacia nello sfidare il Mare Oceano diventando Capitano marittimo a soli vent'anni. Questo eccezionale spirito avventuroso fu, probabilmente, la molla che lo spinse ad affrontare anche le sfide dell'emigrazione e tante altre come vedremo a seguire.

Sotto la guida di esperti capitani, acquisì conoscenze preziose, sia pratiche che umane, diventando un navigatore esperto.

L’Ignoto in Perù - Trasferimento in un Nuovo Mondo

 Nel 1835, lasciò l'Europa per stabilirsi a Lima, affrontando un ambiente culturale e sociale radicalmente diverso dal suo.

La sua capacità di integrarsi e comprendere il nuovo contesto gli permise di prosperare e costruire relazioni significative con la comunità locale e con altri emigranti.

Costruzione di un Impero Economico

Canevaro avviò attività commerciali di successo, tra cui una Casa Commerciale a Guayaquil e iniziative agricole in Perù, contribuendo all'economia locale e guadagnandosi rispetto e ammirazione.

Fu pionieristico nella promozione dell’esportazione del guano in Europa, trasformando un semplice prodotto in una risorsa economica cruciale.

Giuseppe Canevaro si arricchisce, infatti, con questo richiestissimo prodotto che si trova depositato in strati di oltre trenta metri sulle isole e le coste del Perù e del Cile.

La sua reputazione lo portò a essere nominato Console Generale del Regno di Sardegna in Perù, un ruolo che ricoprì dal 1846 al 1861, influenzando le relazioni tra i due Paesi.

Impatto Politico

Canevaro era un consigliere fidato del presidente peruviano riuscendo a tradurre le sue capacità imprenditoriali in influenza tangibile nel campo politico.

Modello di Successo

La vita di Canevaro rappresenta un esempio di resilienza e intraprendenza per emigranti e imprenditori. La sua storia dimostra come affrontare l'ignoto con coraggio possa portare a grandi traguardi.

Riconoscimento Postumo 

La sua memoria è onorata sia in Italia che in Perù, simbolo del contributo degli italiani all'estero e della loro capacità di integrarsi e influenzare positivamente le società ospitanti.

 

Conclusione:

Giuseppe Canevaro non fu solo un uomo d'affari, ma un vero e proprio pioniere che sfidò il mare e l’ignoto, costruendo un impero commerciale e acquisendo onori in ambito politico. La sua vita è una testimonianza del potere dell'intraprendenza ligure e della determinazione di fronte alle sfide, ispirando generazioni future.

 

Una bella pagina di Storia rivierasca che parla dei nostri avi emigranti nella “merica”

 

(estratto)

Giovanni Bonfiglio

Gli italiani nella società peruviana.

Una visione storica

Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli

3.5. Le province liguri di provenienza.

In Perù arrivarono pochi contadini delle zone più interne della Liguria poiché questi, alla fine del secolo scorso, si diressero prevalentemente verso il Nordamerica. La maggior parte degli immigrati liguri arrivati in Perù proveniva dai numerosi piccoli porti del Levante che nel secolo scorso avevano un’intensa attività marittima e navale: Nervi, Recco, Sori, Camogli, Santa Margherita, Rapallo, Zoagli, Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Moneglia, Levanto; tutti questi paesi nel secolo scorso erano compresi per lo più nella provincia di Chiavari (che nel 1922 fu incorporata in quella di Genova); è importante tener conto che la demarcazione territoriale delle province liguri fu modificata rispetto a quella del secolo passato.

Chiavari rimase una provincia a sé stante fino al 1922; per questo molti dei liguri approdati in Perù dichiaravano d’essere chiavaresi, quando in realtà provenivano da paesi dell’interno di questa antica provincia. Anche dalla provincia di La Spezia giunsero degli immigrati, sia dal capoluogo sia dal porto di Lerici.

Dei paesi della riviera di Ponente i centri da cui più cospicua giunse l’immigrazione dalla provincia di Genova sono Sampierdarena, Sestri Ponente, Pegli, Voltri, Cogoleto; dalla provincia di Savona, Varazze, Albissola, Spotorno, Finale, Loano, Albenga, Diano Marina. Da quella di Imperia giunsero immigrati da Porto Maurizio, Oneglia, Sanremo. Benché ceduta alla Francia alla metà del secolo passato, diversi di quelli che arrivarono dalla regione di Nizza continuarono a considerarsi italiani.

La maggior parte delle cittadine costiere è situata allo sbocco di strette valli, adiacenti alle quali, nell’entroterra di Levante, sono Uscio, Cicagna, Cogorno, Carasco, Varese Ligure. Molti immigrati in Perù venivano da questi paesi, ma ne vennero soprattutto dai paesi della valle di Fontanabuona, alle spalle di Chiavari e di Rapallo.

In conclusione, possiamo osservare che l’area geografica da cui derivò il nucleo centrale degli immigrati italiani in Perù coincide praticamente con una stretta frangia di territorio al centro della Liguria, che corrisponde all’attuale provincia di Genova. È quindi un’origine abbastanza circoscritta, che fece di questa immigrazione un gruppo omogeneo, anche culturalmente, nonostante le differenti condizioni economiche esistenti al suo interno.

 

Giuseppe Canevaro primo Duca di Zoagli

 

Un po’ di Storia famigliare …

 Nel 1849 quando scoppia la Prima Guerra d’Indipendenza, Giuseppe Canevaro manda del denaro per aiutare il Regno di Sardegna e viene inserito da Vittorio Emanuele II nell’Ordine dei Cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Nel 1856 Giuseppe Canevaro viene nominato console presso il Governo Peruviano da Vittorio Emanuele II.

 Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, Canevaro, troppo avanti negli anni per combattere, si presta volontario negli ospedali da campo. La sua flotta, con altri armatori da lui coinvolti, trasporta l’esercito e le salmerie di Napoleone III dalla Francia a Genova. Questo sorprende l’Austria e dà inizio alla campagna per conquistare la Lombardia.

Cavour e Vittorio Emanuele II, non potendo rimborsare al Canevaro le spese sostenute (350.000 lire in sterline d’oro) gli offrono i titoli nobiliari di conte di Zoagli e di duca di Castelvari. Giuseppe Canevaro è tra i fondatori della Società di Navigazione Lloyd Italiano intorno al 1903.

A Zoagli, dove finanzia la costruzione dellospedale che da lui prende il nome, Canevaro aveva acquistato nel 1870 la piana dominata Sotto l’Orto, al di sopra dello scoglio dove sorge la Torre del Ponente con la villa che era di proprietà dapprima degli Spinola e poi dei Malfanti. Fece costruire l’appendice del palazzo che, prolungando la torre verso levante, sovrasta la spiaggetta (detta oggi: ”del Duca” ).

(Il Castello Canevaro verrà, poi, bombardato il 20 giugno 1944).

Nel 1881 l’ospedale di Zoagli, per ricordare il suo benefattore, commissiona allo scultore Carlo Filippo Chiafarino una statua di bronzo che ancora oggi risiede nella piazza di Zoagli.

Il suo primogenito, Giuseppe Francesco (1836-1900), vicepresidente della Repubblica del Perù, ottiene per se’ e per i suoi discendenti, con Regio Decreto del 20 febbraio 1887, l’aggiunta al proprio cognome del predicato ”di Zoagli”. Dei dodici figli di Giuseppe Canevaro il più noto è Felice Napoleone, nato a Lima il 7 luglio 1838, che sotto Garibaldi viene onorato con la medaglia di argento per gli eroici attacchi ai vascelli borbonici nel Porto di Napoli.

Giuseppe Francesco fu Ministro della Marina per dodici anni e Ministro degli Esteri nel 1899. Era stato anche nel commando della flotta alleata che bloccò Creta nel 1896.

 

Napoleone Canevaro Duca di Zoagli

 

Statua Greca per Napoleone Canevaro Duca di Zoagli

 

Foto di Famiglia

 

Emanuele Canevaro quinto Duca di Zoagli

 

 

CASTELLO CANEVARO

La memoria storica del Comune di Zoagli

 

Il castello Canevaro e la torre di ponente

 

 

LA STORIA

Il complesso architettonico del Castello Canevaro, a Zoagli, nasce e si sviluppa nel corso dei secoli intorno alla costruzione della Torre di avvistamento del 1550 che gioca un ruolo importante anche durante la terribile epidemia di peste che colpisce Genova nel 1656-1657, essendo punto di osservazione di eventuali incursioni di imbarcazioni saracene portatrici anche del morbo. 

Con il passare degli anni, i pericoli che possono minacciare Zoagli via mare si diradano sempre più fino a scomparire e la torre viene inglobata nel complesso di edifici appartenenti alla famiglia Canevaro, noto con il nome di “Castello Canevaro”.

La seconda fase coincide storicamente con la presenza sul terreno, già nel 1640, di un edificio a blocco, di stampo tipicamente “alessiano”, come viene definito dalla bibliografia specifica.

La fortificazione e il Palazzo (o Villa), rilevata da Matteo Vinzoni, viene costruita nel 1773. Il pittore P. D. Cambiaso lo includerà nelle sue vedute ottocentesche della Riviera di Levante.

Nel 1899 il complesso del Castello Canevaro, in cui i prospetti della Torre e dell’antico Palazzo Padronale vengono ridisegnati nella facciata principale a ovest, viene arricchita dall’introduzione di due torrette di gusto eclettico.

La storia dell’edificio, che alla fine del secolo XIX raggiunge il momento di massima rilevanza, s’interrompe bruscamente con il 1943, anno in cui Zoagli viene bombardata per la presenza dell’alto ponte ferroviario che la sovrasta e che risulta essere la causa della distruzione di buone parte della Villa Padronale.

 

 

LA DIMORA STORICA

OGGI

 Raffaele IV Duca di Zoagli, nel dopoguerra rifiutò tutte le offerte ricevute dai costruttori, i quali intendevano speculare, atteggiamento tipico di quegli anni, finendo per distruggere l’ambiente. E preferì, invece, mantenere con attenti restauri il patrimonio culturale e storico tramandato da cinque generazioni, al fine di intrattenere gli esponenti della società cosmopolita con balli, pranzi, concerti e feste, come voleva la tradizione. Forte di questa esperienza ben radicata nei loro geni, i giovani della generazione nata alla fine del secolo scorso sono riusciti a ottenere una fusione ideale tra il classico e il contemporaneo in modo da potersi rivolgere alle nuove esigenze di coloro che, oggi, desiderano organizzare eventi di gusto ed eleganza.

Dal dopoguerra ad oggi, l’edificio viene utilizzato solo a scopo residenziale e per questo motivo viene diviso in appartamenti e, in seguito alla mancanza di un progetto di manutenzione, va in decadimento.

Da oltre dieci anni lo staff del Castello mette a disposizione della clientela desiderosa di organizzare i propri eventi il piano Terra, chiamato “Guarnigione” perché costruito a metà del 1700 per i Capitani della Sanità preposti ad accogliere e a mettere in quarantena gli appestati fuggiti dal Regno delle Due Sicilie.

I pavimenti della Guarnigione sono a scacchiera, composti da quadratoni di marmo di Carrara e ardesia dell’entroterra (Lavagna) come vuole la tradizione genovese. Le sale sono a forma di L e possono ospitare circa 130 persone sedute e 200 in piedi con buffet.

E in mezzo agli archi delle antiche volte sono appesi i ritratti ottocenteschi di alcuni dei dodici figli del Primo Duca. Dalle tre porte-finestre nei giorni di tempesta entrano gli schizzi del mare, come su una nave e il sottofondo più gradevole che accompagna ogni nostro ricevimento è il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.

Con il loro progetto, gli architetti C. Bruzzo, F. Gotta e M. L. Grasso riportano in auge la costruzione così come era stata definita alla fine dell’Ottocento dall’architetto Partini e dalla famiglia Canevaro, introducendo, nella Torre e nei fondi voltati del Castello, nuovi spazi espositivi, con l’intento di ristabilire quella disposizione di accoglienza e rappresentanza per la quale erano stati costruiti. 

Oggi, il Castello apre le sue porte all’organizzazione di eventi speciali quali matrimoni, battesimi, meeting e tanto altro ancora.

 

Castello Canevaro di Zoagli 1981

 

I pescatori nella baia di Zoagli

 

Castello Canevaro 2011

(Sopra e sotto) 

 

 

 

DUE LINK

 Brigantino NAPOLEONE CANEVARO

I COOLIES CINESI SI AMMUNTINANO

https://www.marenostrumrapallo.it/lammutinamento-dei-coolies-cinesi/

 Carlo Gatti

 

SULLE ROTTE DEL GUANO

https://www.marenostrumrapallo.it/guano/

 Pietro Berti

 

Fonti:

- Regione Liguria

- Comune di Zoagli

- Wikipedia

- Società Canevaro…

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, Sabato 21 Dicembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI

 

Associazione Culturale il Sestante

2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI

 

 

 

 

IL DIRETTIVO

Sabato 14 Dicembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE NAVI CHE PORTANO IL NOME "MONTALLEGRO" NELLA STORIA

 

LE NAVI CHE PORTANO IL NOME

 MONTALLEGRO

NELLA STORIA

 

Le Ricerche d’archivio che seguono sono di Pietro Berti - Storico Navale che RINGRAZIO!

Giacomo di Corte, durante la seconda quindicina del settembre 1810, si segnala la presenza del battello “Nostra Signora di Monte Allegro" di 13,78 tonn. varato a Rapallo il 15 febbraio 1806. Noi, in questo caso, opiniamo che possa trattarsi di un cantiere attivo in S. Michele. In effetti questa considerazione può essere indirettamente confermata dalla presenza del già citato mastro velaio, e che in altri documenti posti sotto la stessa segnatura si nominano altre 3 barche qui costruite….La prima di queste è un veliero di tipo non indicato, denominato “Monte Allegro”, di 9 tonnellate, ed equipaggiato di 7 persone, compreso il padrone Gerolamo Sanguineti.   Lo stesso era giunto nel porto di Rapallo ed era destinato per Sampierdarena.   Il secondo bastimento è il “Maria di Monte Allegro”, di 16 tonnellate, con 7 uomini d’equipaggio comandati da Luigi Costa di S. Michele.   Era giunta a Rapallo da Civitavecchia il 19 agosto 1810, ed era in partenza per S. Michele.   Dello stesso anno è il veliero “N. S. di Monte Allegro”, di 5,92 tonnellate, equipaggiato da 6 persone, comandato da Gaetano Canessa ed armato da Agostino Carneglia.

 

Schedario delle barche costruite a Rapallo

 

MADONNA MONTE ALLEGRO
o N. S. di Mont’Allegro.

tipo:  battello. Poi detto liuto.
impostazione: 
varo:  Rapallo – Gen.
cantiere:  non noto
macchina:  assente
velocità:  non nota
tsl: 
tsn: 
t gen. 5,92
dimensioni: 
storia:
23 agosto 1810 – Parte da Lerici

 

MARIA DI MONTE ALLEGRO

tipo:  non indicato
impostazione: 
varo:  San Michele di Pagana
cantiere:  non noto
macchina:  assente
velocità:  non nota
tsl: 
tsn: 
t gen. 16
dimensioni: 
storia:
19 agosto 1810 – Giunge a Rapallo con 7 marinai e 150 mine di grano.   Era partito da Civitavecchia al comando di Luigi Costa di San Michele di Rapallo.

 

MONTE ALLEGRO

tipo:  non indicato
impostazione: 
varo:  San Michele di Pagana.
cantiere:  non noto.
macchina:  assente.
velocità:  non nota
tsl: 
tsn: 
t gen. 9
dimensioni: 
storia:
14 agosto 1810 – È presente nel porto di Rapallo al comando di Gerolamo Sanguineti, con 8 marinai e carico di 70 barili d’olio.   Era partito dall’Isola Rossa ed è destinato a impostazione: 
varo:  Rapallo 1952
cantiere:  Velscaf di Dario Salata – Dis. Dario Salata.
macchina: 
velocità: 
tsl: 
tsn: 
t gen.
dimensioni:  9,60 x 1,90
storia:

 

NOSTRA SIGNORA DI MONTE ALLEGRO

tipo:  battello
impostazione: 
varo:  Rapallo 15 febbraio 1806 – Forse a San Michele
cantiere: non noto
macchina:  assente
velocità:  non nota
tsl: 
tsn: 
t gen. 13,78
dimensioni: non note
storia:
26 settembre 1810 – È presente nel porto di S. Giacomo di Corte, con 7 marinai e merci varie.   Era giunto il 4 agosto al comando del suo armatore, padron Nicola Palmieri, ed è in partenza per Bastia.

 

S. MARIA DEL MONTE ALLEGRO.

Tipo:  tartana
Impostazione: 
Varo: 
Cantiere:  Rapallo
Macchina: 
Velocità: 
Tsl: 
Tsn: 
Ton generico: 
Dimensioni: 
Storia: 
1641 – 27 settembre – Viene vergato dal notaio Gio Antonio Fasciato un atto riguardante il patrone Luciano Vallebella, che riceve una somma in denaro per recarsi in Maremma e alle Romagne (Stato della Chiesa).

 

 

Articoli di Carlo GATTI sulle navi denominate: MONTALLEGRO - RAPALLO

 

16 MARZO 1951 – LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI

 

https://www.marenostrumrapallo.it/16-marzo-1951-la-petroliera-montallegro-esplode-nel-porto-di-napoli/

 

https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/

https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/

 

SOTTO TRE BANDIERE

M/r RAPALLO

https://www.marenostrumrapallo.it/mastino/

 

RAPALLO NAVIGA SUI SETTEMARI

https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo-2/

 

Sofia Loren tra l'armatore Gianluigi Aponte ed il Comandante della MSC RAPALLO

 

 

 

 

L’AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO

Il Varo della RAPALLO a Riva Trigoso. Fu la prima petroliera dell’AGIP

https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo/

 

 

IL CRISTO DEGLI ABISSI

Un’opera venuta da lontano…

https://www.marenostrumrapallo.it/sfruttuoso/

 

 

RAPALLO

SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO: NAVI, MARINAI E LA DEVOZIONE MARIANA

 

https://www.marenostrumrapallo.it/navi-marinai-e-la-devozione-mariana/

 

 

UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE

https://www.marenostrumrapallo.it/monty/

 

Madonna del Carmine chiamata in soccorso dai naufraghi

 

 

 

NARCISSUS

https://www.marenostrumrapallo.it/narcissus/

di CONRAD

IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE

 


 

 

MONTALLEGRO VELIERI NELLA TEMPESTA

 

Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78×57 cm. Secolo XIX.

 

Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.

Uragano sofferto dal Francisca nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 -Tempera su carta di Fred Wettening.

 

 

 

La Caracca Ragusea,   Ex-Voto Marinaro molto diffuso in Croazia.

 

Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le ‘Feste di Luglio’

 

https://www.marenostrumrapallo.it/monte-2/

 

 

 

SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO

LA NOVENA DELL’ALBA

https://www.marenostrumrapallo.it/monte/

 

DUE RAPALLINI NELLE STEPPE DEL DON

 

LUCIO MASCARDI - UCCIO BONATI

ULTIMO EX VOTO A MONTALLEGRO

 

Carlo GATTI

Rapallo, Giovedì 12 Dicembre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


MAGGIO 1684 - LA FLOTTA DEL RE SOLE BOMBARDA GENOVA

BOMBARDAMENTO DI GENOVA

1684 

Una Storia da ricordare….

Portrait of Louis XIV of France in Coronation Robes (by Hyacinthe Rigaud) - Louvre Museum

 

Nel Maggio del 1684 il “re Sole” ordinò alla sua flotta navale di bombardare la città di Genova provocando distruzione e morte nei suoi vasti quartieri. I veri motivi di tanto odio e brutalità non sono facili da interpretare tra le diverse suggestive versioni popolari ed altre più articolate degli storici di professione, come vedremo.

 

Raffigurazione del bombardamento del 1684 in cui è ben mostrata l’imponenza della flotta

 

Dipinto raffigurante il bombardamento; si vedono, simili a piattaforme galleggianti, le palandre

 

 

Dipinto raffigurante il bombardamento su Genova della flotta francese nel 1684 (wikipedia)

 

Un fatto pare certo: la città fu attaccata senza preavviso e in modalità terroristica, si direbbe oggi, se si pensa che furono scagliate ben 13.000 bombe sulla popolazione civile: una tattica che è praticata tutt’oggi con gli stessi metodi e risultati.   

Mirato a punire Genova per i suoi legami con la Spagna, l'intervento francese, evidenza la durezza della politica internazionale dell'epoca che, opportunamente, ci richiama alla mente un pensiero che non tramonta mai:

“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.”  (Jean-Paul Sartre)

 

 

Vi proponiamo tre interessanti interpretazioni popolari, puntualmente documentate e ricche di fotografie che aprono orizzonti più ampi su quanto in seguito sosterranno gli affermati Storici della Superba.

 

Il prof. Franco Bampi, Presidente della COMPAGNA, scrive sul suo sito: mailto:franco@francobampi.it

UNA STORIA IGNORATA

liguria@francobampi.it

Quasi nessuno conosce i "veri motivi" di tale decisione francese. Noi abbiamo trovato la relativa "documentazione storica" e ve la raccontiamo.

La Repubblica di Genova aveva deciso, anticipando come sempre i tempi, che gli equipaggi delle navi fossero fatti da "uomini liberi" e non più da "schiavi legati al remo" ed aveva chiamato tali navi, "galee della libertà".

Invece in Francia il "re Sole" Luigi XIV°, che aveva scatenato una vera e propria "persecuzione" contro i Protestanti, li faceva condannare a migliaia ("chiunque predicasse o ascoltasse un sermone protestante") per fornire gratuitamente le braccia, come schiavi legati al remo delle navi.

L’avvento delle "galee della libertà" genovesi avrebbe posto fine allo schiavismo di bordo e la Francia di Luigi XIV° non poteva tollerare che la Repubblica di Genova inaugurasse una nuova era della Navigazione, insegnando come si poteva fare a meno degli ergastolani incatenati ai remi.

Il "re Sole" chiese perentoriamente alla Repubblica di Genova di disarmare tali "galee della libertà". Il Senato della Repubblica respinse tale richiesta, dando praticamente il via alla "vendetta" francese che si svilupperà con i "bombardamenti navali" che sopra abbiamo raccontato. Dal 18 al 22 Maggio del 1684, Genova resistette eroicamente a tale bombardamento, respingendo anche i vari tentativi di sbarco a Sampierdarena ed a Quarto. 

Avvicinandosi tali date, abbiamo voluto "ricordarle", perché gli attuali abitanti della Liguria possano essere fieri della Storia della loro Terra che, in oltre 800 anni di INDIPENDENZA, aveva saputo creare una vera e propria Civiltà Ligure (le "galee della libertà" sono state uno dei segni di tale Civiltà!)…..

 

 

In un altro sito molto visitato: Dear Miss Fletcher

7 Maggio 1684, le bombe del Re Sole sulla Superba

https://dearmissfletcher.com/2013/10/10/17-maggio-1684-le-bombe-del-re-sole-sulla-superba/

 

 

Leggiamo:

C’era una Repubblica indomita e orgogliosa e c’era un sovrano che sedeva sul trono di Francia: Luigi XIV detto il Re Sole. …..E così, nel lontano 1679, a Genova fu ingiunta una perentoria richiesta: le artiglierie genovesi dovevano rendere omaggio alle navi francesi sparando a salve al loro ingresso nel porto di Genova.


Ma figurarsi, sono i foresti che devono tributare omaggi ai genovesi!
E insomma, il Comandante della flotta francese, l’Ammiraglio Abrahm Duquesne, non la prese affatto bene e in quella circostanza si allontanò dalle coste liguri cannoneggiando Sampierdarena e in seguito Sanremo.

E gli anni passarono, giunse il 1682.
Credete che il Re Sole si fosse dato per vinto?


Manco per idea, anzi!
In quei giorni accaddero cose strane, sul territorio della Repubblica si potevano incontrare certi personaggi vestiti da pittori e da religiosi.


Nessuno sapeva che quelli in realtà erano agenti segreti inviati dalla corte di Francia con il compito di setacciare ogni angolo della Repubblica per controllare il sistema difensivo, le fortificazioni e le batterie delle quali Genova disponeva.
Ma i nemici provenivano da ogni dove, la Superba doveva difendersi.
E così c’erano quattro galee all’ancora, nel porto di Genova, quattro imbarcazioni per difendere la città in caso di attacchi barbareschi.
E queste divennero uno dei pretesti che la Francia usò per attaccar briga e poter aggredire la città.


Vennero poste alcune condizioni, tra queste il disarmo delle quattro galee, i Francesi accusavano i genovesi di averle armate contro di loro.


E poi, naturalmente, si intimò alla Repubblica di mettersi sotto la tutela della Francia e di tributare, come già richiesto, il saluto alle navi francesi.


Il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari e i senatori si trovarono concordi: le condizioni erano inaccettabili.
E giunse quella mattina di primavera, giunse il 17 Maggio 1684.
Chissà, forse era una giornata di cielo terso e luminoso come spesso accade in Liguria in quella stagione.

Quel giorno l’intera flotta francese si schierò nel mare di Genova, vascelli, galee e bastimenti coprirono la superficie dell’acqua dalla Foce alla Lanterna, 756 bocche di fuoco erano puntate contro la Superba.Giunse un ultimatum, si decidevano questi genovesi a sottomettersi al Re Sole?Come risposta dalle batterie dei forti partirono cannonate contro la flotta francese.E fu l’inizio della disfatta.La città fu bombardata per 4 giorni consecutivi, su Genova piovvero le terribili bombe incendiarie che distrussero chiese ed edifici.Una di queste bombe si trova a Palazzo San Giorgio che pure venne colpito in quei giorni difficili.

 

Una città devastata e aggredita, le bombe caddero sulla Chiesa delle Grazie, su San Donato, su Santa Maria in Passione, sul Ducale che era dimora del Doge e sulle case dei cittadini.

Distruzione, morte e fuoco.

E fuga, vennero aperte le porte dell’Acquasola e di Carbonara, fuggì la plebe e fuggirono i nobili.
Il Doge fu costretto a riparare all’Albergo di Carbonara, ovvero l’Albergo dei Poveri, lì si trasferì anche il Governo della Repubblica e lì vennero condotte ceneri del Battista che si trovano nella Cattedrale di San Lorenzo.

 

La Francia ripropose le sue condizioni ma queste vennero nuovamente rigettate. E le bombe continuarono a cadere.

 

La Bomba incendiaria (Santa Maria di Castello- Genova) 

E le bombe continuarono a cadere, la città era un incendio.
I genovesi ebbero la forza di difendere la Superba con grande coraggio, evitando che la gran parte dei soldati francesi sbarcasse dalle navi. E lì, in quella stanza, si trova una di queste bombe.

 

Il dipinto che testimonia quei giorni, si trova in Santa Maria di Castello e raffigura la chiesa in fiamme a causa delle bombe lanciate dalla flotta francese.

Ne caddero in totale 13.300, il bombardamento ebbe fine il 28 Maggio in quanto i francesi avevano terminato le loro munizioni.
La storia triste e drammatica di questa vicenda ha un epilogo curioso e a suo modo divertente che vede protagonista.

II Doge Lercari.


La storia è fatta di trattati e di compromessi, a volte.
Era il mese di maggio 1685: il Doge con il suo seguito di nobili, si vide costretto a recarsi a Versailles a richiedere la clemenza del Re, che in cambio avrebbe fornito alla Repubblica i denari necessari per ricostruire gli edifici di Genova danneggiati dal bombardamento.


Fu accolto con grande sfarzo e grande sfoggio di ricchezza, attraversò le sale splendenti di Versailles e infine si trovò nel luccichio della Galleria degli Specchi.
Tutto si svolse secondo il protocollo nella splendida reggia del Re Sole.

E si narra che infine venne chiesto al Doge Lercari che cosa lo avesse maggiormente stupito di Versailles.
E lui, al cospetto del Re di Francia, pronunciò solo due parole in dialetto genovese:
 Mi-chi!
E cioè, io qui.

Mentre l’intera corte si attendeva che magnificasse la grandezza e il fulgore di Versailles, il Serenissimo Doge lasciò tutti con un palmo di naso esprimendo così il suo amaro rammarico nel vedersi lì, davanti a Luigi XIV, colui che aveva ordinato l’aggressione della sua Genova.

Accadeva diversi anni fa, dopo che le bombe francesi erano cadute sulla Superba.

 

A Mae ZENA

Storia di… un Re… di un Doge…

 

… un bombardamento… una guerra e un orgoglio che non ha prezzo.

Siamo nel 1684 il Re Sole, con il pretesto di un mancato saluto (ogni nave straniera che entrava nel Porto doveva, per antica consuetudine, sparare un colpo di cannone a salve, in omaggio alla Repubblica; Il Sovrano pretendeva l’esatto contrario), di un’amicizia con la Spagna (gli armatori genovesi stavano infatti allestendo un’imponente flotta per gli iberici), di un prestito non corrisposto (Il Re, per pagare le sue truppe sparse in tutta Europa, aveva bisogno delle “palanche” dei banchieri nostrani), della mancata concessione a vantaggio di Savona (città alleata dei nemici) di un deposito del sale, dà ordine alla sua flotta di centosessanta navi schierata e 756 bocche da fuoco dalla Foce alla Lanterna, di bombardare la città.

Quattro giorni di lutti e distruzione ma la Superba resiste, non si piega e ribadisce, davanti ad un’Europa terrorizzata, la propria LIBERTA’ e proclama la propria INDIPENDENZA!

Il marchese di Segnalay infatti, comandante della spedizione dà ordine a Duquesne, ammiraglio dello stuolo reale, nella notte fra il 22 e il 23 maggio di sbarcare a Sampierdarena con 3500 soldati e, come diversivo, con un piccolo contingente in Albaro.

La milizia repubblicana genovese però con l’ausilio di numerosi volontari polceveraschi, sotto la guida del Capitano Ippolito Centurione, respinge gli invasori.

I Francesi, fallito lo sbarco e terminate le munizioni, la sera del 29 maggio rientrano a Tolone.

Re Sole infuriato per l’accaduto fa rinchiudere nella Bastiglia l’ambasciatore genovese a Parigi Paolo De Marini, il quale riesce a far giungere ai Serenissimi una missiva in cui li esorta a non sottomettersi al despota francese e a non preoccuparsi per lui dato che, per l’onore e la dignità della Repubblica, sarebbe pronto alla morte.

Il diplomatico avrà salva la vita e, incaricato dal Senato, negozierà a Ratisbona la pace, sostanzialmente alle condizioni imposte dal Monarca.

L’anno seguente il Doge Francesco Imperiale Lercari invece, convocato a Versailles, dovrà dar soddisfazione al Re e ratificare il trattato di pace precedentemente pattuito.

 

 

“Quadro raffigurante il Doge genovese accolto a Versailles dal Re Sole per ratificare la pace”. Louis 14-Versailles 1685

 

 Ma non rinuncerà al suo orgoglio di GENOVESE, quando interrogato su cosa l’avesse più colpito (il Sovrano si riferiva allo sfarzo della reggia, allo spettacolo dei giochi d’acqua delle fontane, all’opulenza dei nobili di Corte), rispose sprezzante

“Mi chi”   (di essere qui io).

 

Interpretati dall’autore di questo articolo: Il parere degli storici:

Gabriella Airaldi e Antonio Musarra offrono un'analisi ancora più ampia e contestualizzata. Infatti, il bombardamento di Genova può essere visto come parte di un piano più grande di Luigi XIV, che mirava a garantire il controllo del Mediterraneo, particolarmente strategico per il commercio e la guerra.

Il porto di Genova era cruciale, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo ruolo come centro di traffico commerciale e finanziario. La presenza delle banche genovesi, che sostennero gli avversari della Francia, amplificava l'interesse di Luigi XIV nel ridurre l'influenza genovese e garantire l'egemonia francese nella regione. In sintesi, la visione di un conflitto tra interessi sui porti e sul potere economico si allinea meglio con le ambizioni imperiali e commerciali di Luigi XIV, piuttosto che con motivazioni puramente locali o religiose.

 

La sfida, quindi, è quella di promuovere una comprensione storica che vada oltre le superficialità e che incoraggi un dialogo informato.

 

Riguardo all'episodio della convocazione del Doge a Versailles, è considerato emblematico della relazione tra il potere francese e quello genovese. La risposta attribuita al Doge, "mi sun chi", che in dialetto genovese significa “io sono qui”, è spesso interpretata come un gesto di coraggio e dignità.

Questo scambio è usato frequentemente per illustrare l'impatto dell'autorità e della pompa di Versailles, ma anche il valore dell'orgoglio genovese, nonostante la sottomissione alla potenza francese.

Nonostante non ci siano documenti certi che confermino in modo inconfutabile questo scambio, la leggenda riflette comunque il senso comune di resistenza e l'icona di dignità che i genovesi cercarono di mantenere anche di fronte a una situazione così umiliante.

 

Questa narrazione ha alimentato il folklore locale e ha contribuito a formare un'immagine di resilienza e fierezza.

 Il terribile bombardamento stoicamente subito evidenzia, da ogni prospettiva lo si guardi, la dignità e il coraggio dei genovesi di fronte all'oppressione francese in quel particolare quadro storico, la cui stupenda cornice rappresenta il valore aggiunto dell'identità culturale locale che, puntualmente documentata con ricerche e testimonianze scritte, arricchisce il contenuto narrativo più generale.

Di quel tristissimo evento bellico che costò tanti  morti e macerie, rimangono tuttora, dopo 340 anni, le ferite sui muri della Superba, come abbiamo visto.

 

Per completezza riporto da wikipedia i particolari militari dell’assedio:

 

* La bombarda (detta anche palandra, o balandra, fino al XVI secolo, dall'olandese bylander, attraverso il francese balandre, bélandre)[1] fu un tipo di nave da guerra a vela di non grande stazza e concepita non per operare contro altre navi, ma contro bersagli terrestri. Si trattava di scafi privi di alberatura, con una fiancata gremita di cannoni di grosso calibro e mortai, mentre l'altra era disarmata. Di solito venivano trainate da lance o da altre navi.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1684)

 

 La mattina del 17 maggio 1684, i genovesi poterono vedere schierate davanti alla loro città 160 navi da guerra francesi, a formare uno schieramento che andava dalla Lanterna alla foce del Bisagno.

In tutto dieci palandre guardate ai lati da grosse imbarcazioni piene di moschettieri in assetto di guerra, erano pronte a far sentire il loro potere offensivo; e a mezzo miglio di distanza 20 galee e 16 vascelli con al centro la nave ammiraglia minacciavano il porto pronte a intervenire.[4]

Si aggiungevano 8 navi da trasporto, 17 tartane e 72 imbarcazioni a remi per il rifornimento delle polveri da sparo, per una flotta che contava in tutto 756 bocche da fuoco posizionate contro la Repubblica.

Il giorno seguente la giunta di guerra presieduta dal Doge, per ritardare il massiccio bombardamento, ordinò al Maestro di Campo generale di intimare alle navi nemiche di allontanarsi, con spari a salve, ma ciò non ebbe alcun effetto, così alcune delle artiglierie costiere diressero il proprio fuoco verso le palandre francesi più vicine, colpendone alcune e costringendo le altre a indietreggiare.

La risposta fu immediata, e verso sera l'artiglieria navale francese mise in mostra la sua superiorità[5], e se anche la replica genovese fu rabbiosa, i pezzi di artiglieria costiera non crearono molti danni alla flotta del Re Sole.

Il 19 maggio il bombardamento fu più violento, e i nuovi mortai da 330 mm[6], furono una tragica scoperta per i genovesi: con il loro effetto devastante, terrorizzarono gli abitanti e causarono molti danni, colpendo il salone del Palazzo Ducale, che finì devastato dalle fiamme in quanto usato come deposito di polvere da sparo.

La Dogana fu distrutta, la casa di Colombo, palazzo San Giorgio, il Portofranco e le chiese di Sant'Andrea, Santa Maria in Passione e Santa Maria delle Grazie subirono gravi danni.

Molte abitazioni e ville furono danneggiate, via san Bernardo, via Giustiniani e via Canneto subirono danni ingentissimi; la notte tra il 19 e 20 maggio i tiri francesi non cessarono, e le temute palandre, protette dall'oscurità dal tiro delle batterie genovesi, avanzarono verso la costa, allungando il loro tiro verso l'interno.

Il Tesoro di San Lorenzo e quello della Banca di San Giorgio furono trasferiti al sicuro fuori dalla linea di fuoco, il Doge si trasferì nei locali dell'Albergo dei Poveri, Don Carlo Tasso ordinò di trasferire quante più truppe possibili nei luoghi dove era più probabile uno sbarco, e operai e i camalli furono arruolati con il compito di contrastare crolli e incendi.

Il 25 maggio furono affondate alcune imbarcazioni all'imboccatura del porto, in città erano ormai piovute circa 6.000 bombe, che: 

«Pareva ormai che la città si convertisse in un totale incendio, ma che l'Inferno stesso vi avesse aggiunto parte delle sue fiamme»

. Così scriveva Filippo Casoni dopo il quarto giorno di cannoneggiamenti, ma la Repubblica di Genova tramite il tono orgoglioso del Doge Francesco Maria Imperiale Lercari, non accettò le pesanti condizioni di resa, e rigettò l'intimidazione, rispondendo che la repubblica non era disposta a trattare sotto il fuoco nemico.[3]

 

Lo sbarco

Per tutta risposta il Marchese di Seignelay intensificò il fuoco dei cannoni, prima di coordinare una simulazione di sbarco verso il litorale di levante, nei pressi della Foce, allo scopo di distogliere le difese genovesi dal vero sbarco che avrebbe dovuto prendere terra a ponente, fra Sampierdarena e la Lanterna.

Le milizie locali sbaragliarono le truppe che misero piede sul litorale della Foce, ma i 3.500 fanti sbarcati a Sampierdarena, protetti dal fuoco di alcune palandre, misero comunque a dura prova le difese della città. Solo l'intervento di volontari della val Polcevera, con un intenso fuoco di fucileria, mise in fuga i francesi che ripresero il largo. Alcuni di loro però dovettero fuggire verso l'interno, impossibilitati a riprendere il largo, per via del furore dei polceveraschi, come raccontato molti anni dopo dal sacerdote Giacomo Olcese:

«[...] i vecchi della nostra parrocchia raccontano che alcuni videro alla Torrazza[7] i francesi, alcuni si nascosero, altri andavano armati in cerca di qualche francese da uccidere[8]»

 

Una strenua resistenza

 

 

Medaglia commemorativa del bombardamento

 

Nonostante i chiari limiti delle batterie costiere, il cannoneggiamento fu sospeso il 29 maggio, quando la maggior parte della flotta riprese il mare in direzione di Tolone, desistendo dal tentativo in quanto le scorte di polvere da sparo e munizioni erano terminate, e lo sbarco fallito.

Genova mostrava i segni del martellamento navale: oltre 16.000 bombe caddero sulla città, circa la metà rimase inesplosa, circa un terzo degli edifici evidenziò danni anche ingenti, giacché la città fu colpita fino al quartiere di Oregina dal tiro delle palandre spintesi quasi alla costa.

L'orgoglio dei Genovesi però non cessò mai, venne eletta a protettrice della città santa Caterina Fieschi Adorno, subito iniziarono i lavori di ricostruzione per riportare la città al consueto splendore e le opere di rafforzamento delle difese della città e dell'ingresso del porto.

Il poeta genovese Giovanni Battista Pastorini scrisse per l'occasione il sonetto Genova mia, compreso nella raccolta Poesie, pubblicata postuma a Palermo, nel 1684.

Il Doge Francesco Lercari trattò l'arruolamento di 2.000 fanti svizzeri e 300 cavalli, il tratto dello sbarco fu al centro di particolari rafforzamenti, e si scavarono trinceramenti avanzati allo scopo di dissuadere ogni tentativo futuro.

 LA PACE 

Nel timore di un nuovo attacco francese, il governo della Repubblica si rivolse perfino a papa Innocenzo XI per esortare Luigi XIV ad abbandonare i suoi progetti bellicosi nei confronti di Genova, anche per il timore della Santa Sede che un nuovo bombardamento avrebbe scosso le coalizioni diplomatiche, spingendo la Repubblica e la sua cerchia di alleanze a stringere commerci con paesi «barbari dove non sono Chiese né Monasteri di vergini»[9], ossia l'Impero ottomano.

Così il compito fu affidato al cardinale Ranucci, rappresentante della Santa Sede a Parigi, che si recò alla corte del Re Sole:

«Rappresentando il gran dolore concepito da Sua Santità per il suddetto accidente e i gravissimi danni patiti dalla Repubblica e il sommo disturbo che riceveva l'Italia e la guerra contro il turco, pregando però S.M. di tralasciare risentimenti così pregiudiziali anco a pubblico bene, e deponer ogni sinistro concetto formato contro quel Governo e reintegrarlo nella Real Gratia[9]»

 

 

 

Note

1.   ^ Luigi XIV, Memorie, Bordigheri, Torino, 1962

2.   ^ Pierre Goubert, Luigi XIV e venti milioni di francesi, Bari, Laterza, 1968

3.    Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova

4.   ^ Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova, p. 224

5.   ^ L'impiego francese delle artiglierie rappresentava la massima evoluzione del periodo: già nel 1683 a Parigi fu stampato L'Art de jetter les Bombes, scritto dal Maresciallo François Blondel, opera indicativa sui progressi raggiunti nella teoria e sperimentazione del tiro e dei materiali d'artiglieria

6.   ^ Già utilizzati dalla flotta francese due anni prima contro Algeri, con risultati molto efficaci, che indussero i francesi a moltiplicarne i pezzi e le tecniche

7.   ^ Frazione di Sant'Olcese

8.   ^ Giacomo Olcese, Storia civile religiosa di Casanova, tipografia della Gioventù, Genova, 1900

9.    Manoscritto  Ristretto del Ministero del Sig. Cardinale Angelo Ranucci [...] nelle quali si tratta del bombardamento di Genova [...]- Biblioteca Civica Berio, Genova

 

 

 

Concludo segnalando un articolo-riepilogo dei principali bombardamenti subiti da Genova nella sua lunga storia.

 

A Mae Zena

BOMBA SU BOMBA ….    ((Il secondo di tre articoli)

https://www.amezena.net/tag/recco/

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 12 Dicembre 2024