LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO - Fu inventata a Camogli!
LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO
FU INVENTATA A CAMOGLI!
La magica serata si svolge sui piani alti di Camogli, ospiti del comandante Nino Casareto e della sua gentile consorte Raffaella, ormai é un rito che si protrae da molti anni per salutare l’estate che se va. Gli ospiti del "cenacolo" sono Ernani Andreatta con sua moglie Simonetta, Giancarlo Boaretto con sua moglie Paola e lo scrivente con sua moglie Guny.
Ma quest’anno, il comandante Nanni Andreatta e la sua cara Simonetta, ci danno l’occasione per entrare in punta di piedi all’interno dei lontani segreti che avvolgono ancora oggi l’origine della cosiddetta “Focaccia al formaggio di Recco”.
Lo spunto per questa anomala digressione deriva dall’incontro che essi hanno avuto di recente con un grande personaggio, il più noto maestro focacciaro al mondo:
Il camoglino GIULIO CASSINELLI
di cui ci occuperemo tra breve.
Cosa c’é di nuovo da scoprire?
La risposta é semplice, tutt’insieme siamo stati trasportati nella storia di questo FAVOLOSO nonché “antico” piatto locale che nacque, secondo fonti sacre ed accertate..., nel monastero Benedettino di San Fruttuoso di Capo di Monte (Camogli) nel 1189 per merito, appunto, di un Monaco originario di Camogli.
REGNO, SCRIGNO E TABERNACOLO DELLA FOCACCIA AL FORMAGGIO
1951 - Gilberto Govi nel saio di frate Angelo durante le riprese del film:
“IL DIAVOLO IN CONVENTO”
di Nunzio Malasomma liberamente tratto dalla novella “il miracolo” di Mario Amendola.
San Fruttuoso a fine 800. La spiaggia si formerà con l'alluvione e la conseguente frana del 1915.
In questo scrigno di natura incontaminata, si sono susseguiti nei secoli innumerevoli eventi: devastanti mareggiate, assalti saraceni e persino naufragi. Da qui sono passati santi e furfanti, eroi e tanti pescatori che mai si sono arresi alle avversità. Grazie a loro il borgo vive ancora, e fa sognare ogni anno migliaia di turisti che rimangono incantati dalla sua indescrivibile bellezza.
L’abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte vista in tutta la sua estensione. Intorno all'anno 1000, il Monastero passò ai monaci Benedettini per volere di Adelaide di Borgogna, vedova dell’imperatore Ottone I°.
San Benedetto da Norcia è il patriarca del monachesimo occidentale.
«Dovremmo domandarci», dice lo storico Jaques Le Goff, «a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce?».
Nel solco della sua Regola - Ora et Labora - sorsero nel continente europeo centri di preghiera, cultura e ospitalità per i poveri e i pellegrini, ma questa operazione venne compiuta ed esaltata con l’assorbimento graduale del mondo barbarico, che invadeva l’Europa, non da straccioni… ma con eserciti armati fino ai denti che passarono alla storia per le loro crudeli barbarie.
Paolo VI proclamò il Santo di Norcia:
Patrono d'Europa il 24 ottobre 1964
Già, tutti lo sanno, ma pochi lo ricordano!
Un monaco un giorno mi disse:
“La tua vita è fatta per fare cose grandi, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano le grandi cattedrali in totale anonimato…”
La focaccia al formaggio é solo una piccola tessera di un mosaico ampio come l’Europa, la cui valenza storica va oltre l’arte culinaria locale e le simpatiche dispute campanilistiche tra piccoli centri montani e non… che ne vantano la paternità. San Benedetto da Norcia ed i suoi seguaci c’insegnano ancora oggi che un “umile” focaccia cotta al forno senza lievito ed infarcita di stracchino può essere il crisma del simbolo unitario dell’Europa.
Perché si arriva a tanto?
Si narra che questo prodotto esisteva già all’epoca della terza crociata. “Era la Pentecoste di rose dell’anno 1189… la cappella dell’Abbazia di San Fruttuoso accoglieva i crociati liguri per un solenne Te Deum prima della partenza della flotta per la Terra Santa… Sulle bianche tovaglie di lino ricamate facevano bella vista i piatti di peltro e di rame, zuppiere di ceramica e di coccio colme di ogni ben di Dio: pagnotte di farro ed orzo impastate con miele, fichi secchi e zibibbo, carpione di pesce, agliata, olive e una focaccia di semola e di giuncata appena rappresa (la focaccia col formaggio)…”.
In tempi lontanissimi le popolazioni del Golfo Paradiso si rifugiavano nell’immediato entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni. Si narra che grazie alla possibilità di disporre di olio, formaggetta e farina, cuocendo la pasta ripiena di formaggio su una pietra d’ardesia coperta, venne “inventato” quel prodotto gastronomico che oggi conosciamo come “Focaccia di Recco col Formaggio”.
Sul finire del 1800, quando Recco contava circa 3.000 abitanti, ritroviamo la “Focaccia di Recco col Formaggio” nei cinque forni cittadini che campavano alla meglio vendendo esclusivamente le focacce liguri, uno di essi esiste ancor oggi (forno Moltedo). Alla fine dell’800 aprono a Recco le prime trattorie con cucina, ed a quei tempi la “Focaccia col Formaggio” veniva proposta unicamente nel periodo di celebrazione dei morti.
Grazie all’intraprendenza di “rechelini doc”, abili osti e fornai di allora divenuti importanti professionisti panificatori e ristoratori di oggi, la focaccia col formaggio vide il suo sviluppo commerciale e d’immagine. Con le loro capacità attirarono nelle osterie e nei forni recchesi il bel mondo d'inizio secolo diffondendo questo prodotto “principe” della gastronomia cittadina, (di quei tempi si ricorda che persino Guglielmo Marconi e l’Infanta di Spagna degustarono la focaccia col formaggio venendo appositamente a Recco).
GIULIO CASSINELLI
E’ il MITICO maestro panificatore camoglino nato nel 1936, maestro di intere generazioni di panificatori liguri.
Il “maestro” Giulio Cassinelli ripreso con la prima sfoglia trasparente…
Non ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Cassinelli, lascio quindi la parola ad una brava giornalista di Repubblica che lo ha intervistato e, naturalmente, al Comandante Nanni Andreatta che di recente lo ha filmato.
Fonte: Repubblica 2012 mettere il nome della giornalista
“DUE mattarelli di olivo, un tegame in rame e il "suo stracchino". Sono gli attrezzi del mestiere, gli ingredienti indispensabili che Giulio Cassinelli, il maestro della focaccia al formaggio di Recco, porta da sempre con sé in ogni angolo del mondo, quando deve preparare la sua storica e personale ricetta. Ha le mani in pasta da sessantaquattro anni, migliaia le persone tra clienti, amici e famigliari che hanno assaggiato la sua focaccia; un uomo che ha saputo portare un po' di made in Italy in giro per l'Europa. «Dalla Francia all'Olanda passando per la Germania - ricorda Cassinelli - ma abbiamo preparato la focaccia di Recco anche al Salone del Gusto per racconta la storia della nostra terra». Oggi a 83 anni il maestro continua a sfornare quella sfoglia sottile per rispondere alle richieste di amici di vecchia data o per insegnare ai giovani l'arte di un mestiere che porta con sé la storia di una cittadina e dei suoi abitanti. «I ragazzi sono il nostro futuro e vanno incentivati - ribadisce Cassinelli - mi piace poter trasmettere ai giovani il sapere di una vita e offrir loro una possibilità per la loro vita professionale». Tanti gli allievi che hanno seguito le sue tracce come i titolari del ristorante "Lo zio Erasmo", il forno della focaccia al formaggio di Voltri. Proprio da domani, e per ogni giovedì, prenderanno il via da qui i "giovedì bianchi" in cui si mangerà solo focaccia al formaggio, secondo la ricetta di Giulio Cassinelli che ha scelto il sedicenne Alessio Lo Piccolo, figlio del titolare del ristorante, come allievo e continuatore della tradizione legata alla focaccia. Un prodotto nato prima della scoperta dell'America che resiste indenne al trascorrere del tempo e agli effetti della crisi economica. «Una volta la focaccia al formaggio la chiedevano solo in occasione della festa dei Santi e per il due novembre - ricorda il fornaio - la portavo direttamente a casa dei clienti. Erano anni in cui si lavora sette giorni su sette ma oggi si producono quantitativi di gran lunga maggiore, non paragonabili a qualche decennio fa». Quando si sente definire maestro ride, un po' incredulo ma soddisfatto del soprannome che si è guadagnato dopo tanti anni di lavoro trascorsi davanti al forno. «A Recco sono in tanti i maestri che hanno trasformato la capacità di fare la focaccia al formaggio in un' arte - ci tiene a precisare Cassinelli - ma io ho sempre partecipato alle manifestazioni e alle fiere così la gente si ricorda di me più facilmente». Guardandosi indietro tanti ricordi, tante persone conosciute davanti al forno e tante storie da raccontare. «La cosa più strana che mi è successa? Una coppia mi lasciò diecimila lire per un pezzo di focaccia che ne valeva a malapena cento - ricorda Cassinelli - erano gli anni Sessanta e guadagnavo mille lire al giorno». Storie di una vita di passione che riprende vita ogni volta che il maestro prende il suo mattarello di olivo e si rimette all' opera”.
Noi forse siamo dei ROMANTICI impenitenti… e preferiamo pensare che tanti impareggiabili camoglini come Raffaella e Nino siano, anzi sono, tuttora, i veri “conservatori” della ricetta benedettina dell’antico Monastero di San Fruttuoso.
Perché? Vi domanderete. Perché i “gioielli di famiglia” non si regalano a nessuno, ma si conservano nel cuore di questi liguri radicati nei propri orti, su quel terreno che dà gli ingredienti giusti, il profumo, la manualità dei vecchi, quel sapore antico di faggio stagionato che brucia emanando il giusto calore che si sente sulla pelle e ti dà il segnale che la focaccia é pronta…
Al centro di questo “miracolo" c’é la famiglia che insegna le tradizioni, i SEGRETI da tramandare solo per via “di lor sangue”.
La focaccia al formaggio é un matrimonio indissolubile tra queste colline che scendono profumate dai fiori del Monte, dagli ulivi, dai pini marittimi, dai lecci e l’effluvio salmastro del mare che sale dagli abissi.
Qui nacque l’Europa!
Al termine di questo viaggio nelle nostre tradizioni, allego il filmato realizzato da Ernani Andreatta.
mmta533 - Focaccia al Formaggio ma chi l’ha inventata ?
ALBUM FOTOGRAFICO
La “Focaccia di Recco col formaggio Igp” è un prodotto da forno ottenuto dalla lavorazione di un impasto a base di farina di grano tenero (senza uso di lievito), olio extravergine di oliva, acqua, sale. Una volta prodotta, la focaccia – composta da due sottilissime sfoglie – viene farcita con formaggio fresco a pasta molle. Alla vista si distingue facilmente dalle focacce tipiche della tradizione italiana e dalle altre liguri in quanto, oltre ad essere farcita con formaggio, è estremamente sottile. L’altra particolarità è rappresentata dal formaggio, cremoso, dolce ma con una leggera e gradevole nota acidula. La sua zona di produzione comprende l’intero territorio dei comuni di Recco, Avegno, Sori e Camogli.
Guny e Paola
In primo piano Simonetta, Raffaella e Nino
Il grande MAESTRO focacciaro, nonché Comandante e Pilota
Nino Casareto
Un prodotto semplice e sano, solo farina, sale, olio extravergine e formaggio fresco, difficile da fare solo se manca la manualità che permette di tirare la sfoglia sottile sottile con le mani e se non si dispone a casa di un forno che raggiunge almeno 250°C.
Paola Boaretto
Guny spia le mosse del Maestro e dei suoi assistenti
Due Piloti in confessionale ...
Ernani e Giancarlo
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Agosto 2019
FUTURO
FUTURO
Pietra su pietra
con costanza e pazienza
ogni pietra è una storia
di sconfitta e vittoria
ma occorre pulire
per ricostruire.
Come il germoglio
la vince sulla corteccia e il cemento
così la speranza
se
come il germoglio
ha radici ben salde.
di ADA BOTTINI
La bottega di Marco Locci
BABEL
FUTURO -1-
FUTURO - 1 –
Riposerò su strati di nuvole
navigherò tra onde di vento
sempre più libera, leggera e pura
verso l’Amore e la Sapienza
e finalmente anch’io conoscerò
l’Essenza della vita.
di Ada BOTTINI
dipinto di Marco Locci
Rapallo, 1 Agosto 2019
CAPPELLA DI SAN GIOVANNI SPOTA’- RAPALLO
CAPPELLA DI SAN GIOVANNI
SPOTA’- RAPALLO
Giovedì 16 maggio 2019, alle ore 21, rinnovando una radicata tradizione, numerosi fedeli delle comunità parrocchiali di Santa Maria del Campo e San Martino di Noceto si sono incontrate presso la Cappella di S. Giovanni, in località Spotà per la recita del Santo Rosario a cura di don Davide Sacco che é poi passato alla consueta “benedizione della campagna”.
Ci troviamo immersi in un quadro mistico: l’incantevole posizione della chiesetta nascosta tra gli ulivi collinari che frullano tenui in un magico silenzio, ci avvolge in una speciale atmosfera che rapina il nostro sguardo e lo induce a scivolare giù verso il mare tra le mute luci di Rapallo che appaiono come lumini lontani che vibrano al nostro saluto.
L’annuale appuntamento con questa preghiera notturna ci spinge, ogni volta, a pensare a quei lontani Amici che su questa collina vollero ardentemente scrivere la storia di questa pievetta.
Scartabellando qua e là troviamo qualche traccia:
In questa località sulle alture di Rapallo chiamata "Spotà" vi è una bella chiesetta dedicata a San Giovanni Battista costruita nel lontano 1665 per volere di Giuseppe e Rolando Valle, lì residenti, che secondo documenti storici chiesero alle autorità religiose di poter costruire una chiesetta per poter pregare, data la difficoltà di poter raggiungere il paese, infatti all’epoca non vi era la strada oggi carrozzabile.
Avuto il parere favorevole dall’Arcivescovo di Genova iniziarono così i lavori voluti e pagati dai Signori Valle e ultimati nel 1688. La chiesetta fu benedetta soltanto nel 1697 a seguito di vari contrasti, questo perché la chiesetta sorgeva in un territorio di confine fra Santa Maria e San Pietro altra frazione Rapallese.
Allora la zona era molto popolata da contadini, basti pensare che si contavano ben trentasei nuclei famigliari e la chiesetta rimase sempre aperta e sino al secolo scorso veniva organizzata anche una bella festa. Oggi invece la chiesetta viene aperta solamente il giorno della ricorrenza di San Giovanni Battista il 24 di giugno e il parroco di Santa Maria vi celebra la S. Messa al mattino.
Da contatti avuti con discendenti dei Valle, che sono tuttora proprietari di gran parte di questa collina e forse anche della cappella (?), abbiamo saputo che un ramo della stirpe immigrò a Conception (Argentina) ma la cosa straordinaria é che questi parenti lontani, non solo portano ancora con sé tradizioni ligustiche importanti, ma quasi ogni anno in estate ritornano a Rapallo per onorare le loro radici. Ci é stato detto che quel ramo argentino dei Valle potrebbe avere conservato atti e documenti relativi la Cappella di S. Giovanni e dei suoi contenuti. La ricerca é quindi aperta insieme alla speranza di saperne di più al loro arrivo a Rapallo.
Tra il 1849 ed il 1853, ben 6252 emigranti partirono dalle nostre zone rivierasche diretti in America del Sud, di cui solo 419 rientrarono a casa. Tra il 1854 e il ’63, sempre dalla riviera di levante emigrarono, sempre verso il Sudamerica, più di 47.000 persone (di cui il 25 per cento dal solo circondario di Chiavari), per la maggior parte, maschi tra i 19 e i 29 anni, d’estrazione artigiana e contadina. Queste cifre non tengono conto dell’emigrazione clandestina che il quel periodo raggiunse 13.000 individui. Le migrazioni continuarono anche negli anni successivi e si può affermare, dati alla mano, che dal 1876 al 1925 sono quasi 300.000 nostri compaesani abbandonarono la Liguria in cerca di lavoro e di fortuna.
Genova - Tenaci, coraggiosi, intelligenti, con un forte spirito imprenditoriale e un ancora più forte attaccamento alla loro terra: questo l’identikit dei liguri che sin dalla prima metà del 1800 decisero di lasciare la patria alla volta dell’America, per scoprire nuove terre e far fortuna all’estero contando solamente sulle proprie forze e su piccole somme di denaro messe da parte appositamente. «L’emigrazione dei liguri fu precoce rispetto ad altre, ma soprattutto non indigente, e urbana - sottolinea Giuliani - I liguri, che fossero originari del Tigullio, di Genova o dell’estremo ponente, non si muovevano verso le campagne, ma verso le città, e portavano con sé i loro risparmi per creare qualcosa». A oggi in Argentina, spiegano gli storici, il 60% della popolazione ha antenati liguri,
I Porta-Cristo argentini al raduno delle Confraternite liguri nel Mondo
dal 3 al 6 giugno 2004
Per i liguri nel mondo è stata molto significativa la presenza, per la prima volta a Genova da oltre un secolo, dei “cristezanti” giunti dall’Argentina.
SANTUARIO DI N.S. DELLA GUARDIA, 5 giugno 2004
Giunti al Santuario, i Porta-Cristo hanno provato il
Cristo che la Confraternita di Busalla ha messo a loro
Disposizione e posano insieme per la foto.
SANTUARIO DI N.S.DI MONTALLEGRO – RAPALLO
7 giugno 2004 – I Porta-Cristo argentini e familiari
Nella foto davanti alla Chiesa.
Secondo la tradizione, il termine cappella viene dalla chiesa di San Martino di Tours, nella quale era conservata come una reliquia la cappa di san Martino che, come sappiamo é uno dei Santi più venerati in Occidente specialmente nei secoli passati. 4.000 parrocchie in Francia portano il suo nome. In molte regioni d'Italia l'11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio "A San Martino ogni mosto diventa vino") ed è un'occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti (salvo nei paesi dove san Martino è protettore), la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale. Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto, mezzadria, ecc) avevano inizio (e fine) l'11 novembre, data scelta in quanto i lavori nei campi erano già terminati senza però che fosse già arrivato l'inverno. Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l'11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all'altro, facendo "San Martino", nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord "fare San Martino" mantiene il significato di traslocare.
L’interno della cappella di S.Giovanni
La CAPPELLA DI S.GIOVANNI può ospitare circa 40 fedeli seduti ed un’altra decina in piedi ed altri sul piccolo sagrato.
Utilizziamo il seguente ALBUM FOTOGRAFICO (da noi curato) per descrivere nelle didascalie alcuni “particolari” interessanti.
La cappella di San Giovanni ripresa da varie posizioni
Un affascinante dipinto un po’ scolorito dal tempo e dall’oblio si trova sopra l’altare
La GRAZIA Divina proietta la sua candida luce dall’alto verso il basso illuminando la Madonna, il Bambino Gesù e l’Agnello sacrificale. A sinistra per chi guarda é raffigurato San Giovanni Battista, sulla destra San Pietro che regge le chiavi del paradiso con la mano destra mentre poggia affettuosamente la mano sinistra sulla spalla del “committente”. Il mantello sospeso sopra il capo di Maria potrebbe rappresentare la “volta celeste” o forse il MANTELLO di San Martino… il mantello della Provvidenza…
La fotografia del dipinto situato sopra l’altare é stata ripresa dal basso e con scarsa luce per cui risulta schiacciata e poco definita. Tuttavia a detta di alcuni appassionati, non certo da periti o da esperti, il dipinto potrebbe appartenere alla scuola di Luca Cambiaso. Parecchi sono gli indizi … In ogni caso, il parere di un esperto che non ha visto il quadro, ma soltanto la foto, é il seguente: “Di solito quando viene raffigurato il committente, si tratta di un dipinto importante”. Una restauratrice molto esperta, che non ha visto il quadro, ma solo la foto, si é così espressa: “Questi dipinti sono passati attraverso 15 generazioni di pseudo pittori che, forse, nell’imminenza di Feste Patronali, hanno pensato di renderlo più presentabile togliendo macchie e difetti maturati nel tempo a causa di tantissime cause naturali e non solo…
Un prezioso reperto
Il bellissimo calice, il vaso liturgico in cui viene versato il vino che diventa il Sangue di Cristo.
Rare immagini dipinte delle corazzate:
LEPANTO (varata nel 1876)
DANDOLO (varata nel 1873)
Molto probabilmente alcuni discendenti dei VALLE fecero parte della Regia Marina.
Visti i numerosi ex voto presenti nella cappella-santuario di S. Giovanni, il quadro potrebbe
rappresentare un ulteriore Per Grazia Ricevuta legato a vicende belliche di particolare pericolo.
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Luglio 2019
RESTAURO CRISTO BIANCO-S.M.del CAMPO-RAPALLO
VIAGGIO NELL’ARTE DEL RESTAURO
“CRISTO BIANCO”
SANTA MARIA DEL CAMPO - RAPALLO
Una suggestiva immagine della basilica di San Salvatore dei Fieschi
La basilica fu costruita nel 1244 ad opera DEL PONTEFICE Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi, discendente del ramo nobiliare della famiglia FIESCHI che in tale periodo storico dominò l'intera vallata della Fontanabuona e buoina parte della Val d'Aveto.
Il vicolo conduce al laboratorio di Restauro artistico di Maria Rosa Sambuceti e Giustina Adreveno che sono impegnate nel restauro del Cristo Bianco appartenente all’Arciconfraternita Nostra Signora del Suffragio di Santa Maria del Campo di Rapallo (riconosciuta dalla Curia Romana il 7 dicembre 1601 come risulta dallo Statuto conservato con tanta cura. Il 12 maggio 1617 Monsignor Domenico De Marini, Arcivescovo di Genova accolse la delegazione di parrocchiani di Santa Maria ai quali concesse la facoltà di costruire un oratorio).
Questo é il portone d’ingresso del laboratorio situato all’interno di una antica casata a pochi passi dall’affascinante Abbazia.
Come si evince dalla relazione approntata dalle restauratrici Giustina Adreveno e Maria Rosa Sambuceti, “Lo stato sanitario complessivo del bene risulta buono, fatta salva una ridotta erosione del supporto ligneo localizzata nell’alloggio dei chiodi del Cristo e determinata dall’azione di insetti xilofagi, qualche lieve perdita della pellicola pittorica e una rottura in corrispondenza del polso destro rappezzata con un rudimentale incollaggio”.
Matteo Capurro (Consulente storico dell’arte Arciconfraternita di N.S. del Suffragio) si é così espresso:
“Viste le condizioni non compromesse dell’opera, si prevede un’azione blanda mirante ad eliminare lo strato superficiale di deposito accumulato nel tempo, risolvere il problema dei tarli con opportuna disinfestazione del supporto, consolidamento ove necessario, reintegrazione delle lacune del supporto stesso e della pellicola pittorica, stesura di protettivo.
La dott.ssa Giustina Adreveno é la curatrice del restauro del CRISTO BIANCO che risale probabilmente, secondo gli esperti, ad un periodo compreso tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento.
Giustina, così vuole essere chiamata la gentile signora, dopo aver compiuto scuole d’arte importanti, si é specializzata a Firenze presso Istituti d’Arte dedicati al restauro conservativo delle opere d’arte del nostro paese
“Il nostro lavoro necessita di periodici aggiornamenti scientifici presso le scuole d’Arte per il costante miglioramento dei prodotti chimici che usiamo, ma anche e soprattutto per le nuove tecniche di restauro che costituiscono una vera scienza in piena evoluzione”.
La signora Giustina é un fiume in piena di dati e informazioni, per cui chiudo la mia agenda colma di domande e mi metto all’ascolto…
La parte posteriore del Cristo, solitamente poco curata perché non visibile, in questo caso appare artisticamente perfetta e non danneggiata, per cui necessita solo di una accurata pulizia.
Anche il volto del Cristo é in discrete condizioni. Non necessita di grandi restauri conservativi.
PRIMA DEL RESTAURO
L’avambraccio del Cristo evidenzia una frattura trasversale che necessita ancora di una approfondita analisi per decidere l’eventuale inserimento di una lamina metallica per ricomporre e consolidare la frattura.
DOPO UN PRIMO RESTAURO
IL PANNEGGIO DOPO IL RESTAURO
PRIMA DEL RESTAURO
PRIMA DEL RESTAURO
DOPO IL RESTAURO
RESTAURO: Per il consolidamento della zona tarlata é stata usata la resina Parralloid B 72 in Essenza di Petrolio.
La dott.ssa Maria Rosa Giustina Adreveno al computer
MATERIALE USATO PER IL RESTAURO: Antitarlo in gel – Inchiostri particolari – Paste di legno – Pennarelli speciali – Pasta epossidica - Colori per vetro Vitrali – Gomma siliconica – inchiostri Acrilici – Colori acrilici – ecc…
Il paziente lavoro di restauro del Cristo Processionale presto riporterà in auge la sua originaria bellezza.
I NOSTRI CROCIFISSI PROCESSIONALI
SIMBOLOGIA ESSENZIALE
Nella nostra regione Liguria, la tradizione di portare i Crocifissi in processione risale al XVI secolo.
La cura con cui viene conservato ogni Crocifisso é improntata ad una fervida venerazione in particolar modo negli Oratori dove esistono antichissime organizzazioni (Confraternite) nelle quali si tramandano: devozione, passione e conoscenza.
Queste sacre testimonianze di fede religiosa sono scolpite da VERI ARTISTI: scultori ed ebanisti. La croce, su cui è deposto il corpo ligneo di Gesù, é decorata in argento battuto. Alle estremità superiori della Croce sono collocati i “canti”, decorazioni costituite da foglie dorate o d’argento.
Nel sentire popolare i Crocifissi si classificano in base al peso ed alle dimensioni:
· Piccoli: dai 30 ai 80 kg
· Mezzani: da 80 a 110 kg
· Grandi: dai 110 kg in su
Oggi ci occupiamo in particolare del CRISTO “BIANCO” denominato così dai portantini (CRISTEZZANTI) per il colore dell’immagine di Gesù. Pesa circa 110 kg. I suoi “canti” sono ormai ingialliti dal tempo in quanto l’ultimo restauro è datato 1975. Attualmente, dall’inizio del mese di maggio é sotto osservazione.
- La figura di Cristo crocifisso con le braccia aperte simboleggia l’abbraccio del figlio di Dio all'umanità.
- L’angelo con il calice che raccoglie il sangue versato ci ricorda il sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza.
- Sulla stella che ricopre il ventre di Gesù ci sono molte versioni… quella che noi preferiamo é la seguente:
- Il Messia annunciato dai Profeti é evocato come una nuova stella: Una stella nata da Giacobbe. I Magi seppero riconoscere questa stella e la seguirono fino a Betlemme. Il manifestarsi di questo astro prodigioso é il segno dell’avvento del Figlio di Dio.
Se guardiamo con superficialità il nostro grande Crocifisso, ci apparirà come una opulenta costruzione barocca ricca di indorature, fregi e fiori argentati, ma se passiamo ad una più attenta contemplazione ci renderemo conto che tutto ciò su cui posiamo lo sguardo ha un significato ben preciso: i nostri grandiosi Crocifissi celebrano il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana.
Dai tre bracci della Croce scaturisce una lussureggiante fioritura della pianta d'acanto dalla quale si diramano numerosi e sottili girali con i loro fiori; la vitalità di questa pianta è data dalla Croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell'umanità e del cosmo. Lateralmente affiora da un lato la palma del Martirio e dall'altro il ramo di ulivo della pace. Tra questi due simboli é incastonata l'effige della Madonna alla quale é dedicata la Chiesa. Una corona dorata avvolge il TITULUS CRUCIS: «Gesù il Nazareno, Re dei Giudei ».
Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della Sua passione, morte e risurrezione, fa rifiorire l'umanità, riconciliandola col Padre.
In alto, sopra il cartiglio "I.N.R.I." è posta la corona di gloria per la vittoria sulla morte nel mistero pasquale, oltre è la colomba dello Spirito-Santo.
La Croce da strumento di morte viene vivificata da Gesù, vero albero di vita.
Il CANTO SINISTRO
IL CANTO DESTRO
I CANTI sono i tre lati superiori della croce che appaiono in questa tipologia di Crocifissi con una luminosa infiorescenza di fiori e foglie d’oro e d’argento. La Croce da simbolo di supplizio si trasforma in luce di speranza e di gloria annunciando la Resurrezione di Cristo.
Il quarto CANTO, quello inferiore, nella processione dei Cristi viene alloggiato nel CROCCO, (foto sopra), una specie di robustissimo calice di cuoio fissato, con cinghie adatte allo scopo, sull’addome del CRISTEZANTE. E’ il canto della Croce che poggia sull’umanità anelando al suo diretto contatto fisico. Il “portatore” sente e vive questo peso che non é solo materiale, allegorico, a volte festaiolo, ma anche un peso morale carico di responsabilità. Si tratta di un film antico che non finisce mai di emozionare e di stupire il fedele.
La responsabilità cui ci riferiamo é la PAURA di non farcela a sopportare quel peso, e spesso il “portatore” dialoga con Cristo per acquisire la forza di continuare ancora per qualche metro… poi chiama i suoi fidati stramoei ed avviene il passaggio ad un altro CRISTEZANTE.
Il simbolismo religioso é presente anche in questo delicato frangente: l’uomo da solo non può farcela, deve aver fiducia nel prossimo, in quel rapporto d’amore che proprio Cristo ci ha insegnato!
Il CRISTEZANTE in quel momento riflette l’immagine di quel SIMONE DI CIRENE detto il CIRENEO che si legge nel Vangelo di Marco:
“Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio”.
Io credo sia proprio la figura del Cireneo, il primo Cristezante della bimillenaria storia del Cristianesimo a dare continuità e significato ai riti processionali celebrati dalle circa 130 Confraternite sparse per la nostra terra di Liguria.
L’immagine sofferente del CRISTEZANTE è una vera e propria personificazione, non solo con Simone di Cirene ricordato dal Vangelo, ma con tutta la passione di Cristo.
IL CRISTO “NERO”
IL CRISTO “BIANCO”
IL CRISTO “PICCOLO”
Sono custoditi e curati dalla ARCICONFRATERNITA N.S. DEL SUFFRAGIO presso L’ORATORIO DI NOSTRA SIGNORA DELL’ASSUNTA di cui vediamo l’interno
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Luglio 2019
NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE-CHIAVARI-UN ANTICO TEMPIO MARINARO
NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE – CHIAVARI
UN ANTICO TEMPIO MARINARO
Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie é al centro della foto aerea
PREMESSA
Nel nuovo millennio i Santuari Mariani sono meta di pellegrinaggi in cui, per lo più, i credenti coniugano fede e natura, storia e arte, panorami incredibili e prelibati cibi locali, quasi a rimarcare l’idea di fondazione che la leggenda assegna alla semplicità della vita contadina e marinara e alla spontaneità di iniziative nate tra il popolo e per il popolo.
I più noti Santuari Mariani sorsero in luoghi mistici collinari e montani, non solo nella nostra regione, dopo il Concilio di Trento. La linea geografica che li univa doveva essere percepita come “baluardo difensivo” contro l’espansione della Riforma Protestante di matrice calvinista.
Tale offensiva era messa in atto da mercanti di Ginevra e Lione che subdolamente penetravano nel porto di Genova a bordo di velieri commerciali con l’intenzione di fare nuovi adepti sotto la protezione di alcune famiglie della borghesia mercantile genovese: Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, che si erano già dichiarati simpatizzanti di Giovanni Calvino (Jean Cauvin). La lista di personaggi discussi e molto noti negli ambienti mercantili del capoluogo é molta lunga; numerosi furono i processi celebrati dagli enti preposti, ma anche dall’Inquisizione ad eretici e a sostenitori della Riforma Protestante in generale.
Agli ordini monastici fu affidata la gestione dei Santuari e della religiosità popolare, per rivestirla di contenuti teologici, di pratiche devozionali “guidate” in una nuova arte architettonica e decorativa che affascinasse e incantasse il fedele con visioni “celestiali” e canti estremamente suggestivi, tali da opporsi efficacemente alla liturgia piuttosto austera ed essenziale rappresentata dal luteranesimo nordico.
La protezione della Madonna “funzionò” durante e dopo lo scossone tellurico provocato dal protestantesimo, ma anche contro le numerose epidemie di peste e di colera del ‘500 e del ‘600 e, come sanno in molti borghi delle Riviere, anche contro gli assalti dei barbareschi.
Situazioni emergenziali che, specialmente in Riviera, produssero moti spontanei di grande fede che vive tuttora anche nei fedeli tiepidi… che oggi preferiscono associare la “storica tradizione mariana” con il folklore legato al turismo, forse per rimarcare una linea di confine tra fede beghina e fede moderna che tenta di ribellarsi ad un certo tipo di clero antico, alla stessa maniera con cui questo tipo di clero “rifiuta o mal sopporta” che la fede Mariana si esprima soltanto con le esplosioni cromatiche dei fuochi d’artificio, il frastuono di mortaletti che richiamano alla mente i colpi di cannoni, le guerre e le distruzioni.
Prendiamo ad esempio le Feste di Luglio di Rapallo, in cui i due modi di vivere la fede popolare si rinnovano ormai da 462 anni, tra un mugugno e un’ovazione, tra processioni di cristezzanti e il panegirico, tra le competizioni dei sestieri e l’incendio del Castello… Poi, alla fine dei giochi… tutto si risolve in quella sana rivalità che spinge i ministri della Chiesa, i massari e i fedeli ad una FESTA commovente che termina tra le braccia di Maria Regina Sovrana del Tigullio.
Le diverse visioni dei riti si sovrappongono quindi nella comune accettazione di quella fede superiore che tende alla reciproca comprensione e al tripudio dell’attesa della Madonna che scenda dal monte con l’icona bizantina per essere venerata.
I brividi di gioia che ogni anno ripropongono le FESTE DI LUGLIO hanno un solo nome:
RAPALLINITA’
Dopo questa premessa dedicata alla fede popolare del Golfo Tigullio nel Terzo Millennio, ritorniamo al vicino Santuario di Nostra Signora delle Grazie di Chiavari. Lo avevamo già visitato nel 2014 in occasione di una pubblicazione di Mare Nostrum Rapallo, nella quale raccontai il ruolo che ebbe questo antico “luogo sacro” nelle vicende della Seconda guerra mondiale.
IL CANNONE DELLE GRAZIE. (che ha raccolto nel frattempo oltre 17.000 visite)
Per capire l’importanza “strategica”, in senso generale, della posizione del Santuario, dobbiamo considerare un dato ottico-geografico di assoluta importanza navale.
Per un osservatore appostato su una collina alta 200 metri di altezza sul livello del mare, (é il caso del Santuario delle Grazie, nella foto) l'orizzonte visibile si trova ad una distanza di 70 chilometri, vale a dire 37,80 miglia nautiche.
Dalla più remota antichità sino all’invenzione della telegrafia senza fili via onde radio, i velieri navigavano da punta a punta lungo le coste per sapere sempre la propria posizione, ma anche per farsi riconoscere da terra: dai fari e fanali, ma anche da determinati conventi che avevano il compito di assistere in qualche modo i naviganti di passaggio.
A partire dal 1907, ad opera di Guglielmo Marconi, il mondo delle radiocomunicazioni e dei trasporti registrò una rivoluzione planetaria che accelerò i processi di sicurezza della navigazione e dei salvataggi in mare.
Non é quindi una fantasiosa leggenda che i Santuari situati lungo le coste abbiano assunto nei secoli un ruolo importantissimo per i naviganti che, a loro volta, attribuivano a questi edifici religiosi un potere taumaturgico che ricambiavano con un affetto devozionale molto particolare. Questo “amore” reciproco non é mai tramontato neppure quando i velieri non avevano più la necessità di passare sotto i conventi per richiamare l’attenzione con il corno da nebbia al quale i frati rispondevano con i rintocchi a festa della torre campanaria.
Farsi identificare dai frati aveva un’importanza vitale per le famiglie dei marinai che da mesi e forse da anni aspettavano notizie dei loro cari; ma era economicamente rilevante soprattutto per l’armatore che aveva il tempo di predisporre i lavori di bordo, il cambio dell’equipaggio, i nuovi noli e le relative destinazioni.
Il santuario di N.S. delle Grazie, posizionato sulla antica ss. AURELIA, aveva sicuramente il compito di vedetta, tuttora testimoniato dagli ex voto appesi ai vecchi muri in centinaia di esemplari e lasciati dai nostri avi-marinai a testimonianza della loro devozione alla Madonna.
Avvenuto il “contatto” tra il Comandante del veliero ed il Capo Guardiano, la missione proseguiva e si esauriva soltanto dopo la avvenuta comunicazione dell’avvistamento del vascello all’armatore o alle autorità portuali preposte. L’operazione si svolgeva in poche ore, alla velocità della carrozza a cavalli.
Il rettore del convento con i suoi monaci hanno rappresentato per secoli una sorta di AVVISATORE MARITTIMO ante litteram per lo shipping nazionale ed internazionale.
Il compenso per questo prezioso servizio si realizzava con offerte per il restauro del Santuario ed era molto gradito dai monaci, oltreché meritato.
Sul rapporto dei frati con i naviganti vi allego due LINK che sono correlati al tema in oggetto.
I POSTINI DEL MARE di Carlo Gatti e Nunzio Catena
I FRATI E LA POSTA DELLE SHETLAND - UN VECCHIO RITO di Carlo Gatti
Vista panoramica dal santuario di N.S. delle Grazie
Tra li archi del portico d’accesso si gode uno stupendo panorama che spazia da Sestri Levante a Portofino. Il santuario é costituito da diversi corpi: la Cappelletta, il Portico, l’Ospedale dei pellegrini, la Chiesa e l’abitazione del Rettore.
Questo piccolo santuario, di origine medioevale, ma ampliato e modificato nei secoli successivi, posto in posizione panoramica, a circa 200 di metri di quota lungo il fianco del monte, offre al visitatore uno splendido panorama con lo sguardo che spazia sul mare e sulla costa, da Portofino a Sestri Levante. Molto bello è l’interno che presenta un ciclo di affreschi che narrano alcuni momenti della vita di Gesù, datati 1539 ed opera di Teramo Piaggio e dal Giudizio Universale di Luca Cambiaso (metà sec. XVI). Giunti presso l’altare maggiore non si può non restare stupiti dalla splendida statua lignea della Madonna delle Grazie di chiara origine fiamminga.
Il Santuario è raggiungibile in auto dall’Aurelia o risalendo, senza grossi sforzi, il sentiero che attraversa una ricca macchia mediterranea, partendo dalle vicinanze della spiaggia della colonia Fara.
Venendo da Rapallo sulla Aurelia in direzione Chiavari, prima d’imboccare la galleria sotto il Monte Segnale, a 200 metri d’altezza sul livello del mare, sorge in mezzo alla macchia mediterranea il Santuario della Madonna delle Grazie.
Il Santuario è stato realizzato agli inizi del 1400.
Dai documenti storici ritrovati si rileva un atto notarile nel quale si chiede di unificare il Santuario alla Chiesa di Sant’Andrea di Rovereto.
Dal 1663 iniziarono i lavori, necessari a rendere accessibili e abitabili i locali per la residenza del custode.
L’edificio religioso assume l’aspetto attuale dopo varie operazioni di ristrutturazione, compiute tra il 1952 e il 1961, dovute a cedimenti strutturali causati dallo smottamento del terreno della collina per l’apertura di cave e scavi fatti durante la Seconda guerra mondiale.
Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.
Franco Ragazzi colloca la sua datazione tra la fine del XIV e l’inizio del XV sec. e la ritiene un’opera fiamminga, sulla base di elementi stilistici quali la posizione, il panneggio tipico del gusto “internazionale” e la raffigurazione dei volti: in particolare quello di Maria, dalla forma un po’ allungata, gli occhi verso il basso, la bocca con le labbra strette, il piccolo mento sporgente, ricorda i visi delle Madonne di artisti fiamminghi come Jan Van Eyck, Joos Van Cleve e Gerard David. Inoltre la posizione del Bambino posato sul braccio destro della Vergine è un elemento costante dell’iconografia fiamminga.
LA STORIA:
La vicenda di questa stauta lignea della Madonna si pone al centro stesso della costruzione della chiesa contigua alla cappella: le ragioni che indussero Bertone e Andrea Vaccaro a costruirla su un loro terreno nel 1416, sono state raccolte e tramandate da Agostino Busco (sec. XVII):
“…un Patrone di nave, essendo di Fiandra, vidde una immagine di rilievo di Maria Vergine col Bambino in brachio in una bottega, li venne pensiero di comprarla, ma poi non se ne curò più, e volendo partire non potea. Parendoli cosa strana et esaminando tra se stesso, li sovvenne se forse fosse perché non aveva voluto comprare detta immagine; perciò andò a comprarla, e facela portare in nave, e senza più difficoltà si partì con prospero vento; et arrivato per contro Chiavari e quando poi fu in faccia di detta cappelletta della Pinara, la nave si fermò da per sé, e parendogli cosa meravigliosa al Patrone e Marinai li venne in pensiero se forse era volontà di Dio che portassero detta Immagine a detta cappelletta, e gliela portarono e devotamente qua la lasciarono; il che fatto poi si partirono senza difficoltà per il loro viaggio. Et li Signori Vaccà di cui è la selva, lì fecero fabbricare una assai grande Chiesa col Coro in quadro verso Oriente, con la porta al Ponente, fuori dalla quale si vede anco detta prima cappelletta con una bella Piazza, Portico e Casa (…)”
Questa è la leggenda popolare tramandata “per tradizione de’ vecchi e veridiche persone” che ripete un rituale analogo a molti altri Santuari Mariani. Nel caso del Santuario delle Grazie, insieme alle sedimentazioni della tradizione orale, ci sono alcuni dati di fatto storici:
- la presenza di una antica cappelletta,
- la rotta delle Fiandre
- la statua della Madonna scolpita nel legno svuotato sul retro, ma non tamponato: la tecnica usata indica che la destinazione originaria era una nicchia o un altare. E’ alta 142 cm. compreso il plinto di appoggio.
Insieme con panni, pizzi e telerie, damaschi e broccati, nel porto di Genova sbarcavano dipinti e sculture che fecero di Genova l’emporio più importante di tutta Italia per l’arte fiamminga. Non è irrealistico dunque pensare di trovare un’opera fiamminga nel Santuario chiavarese.
Il melograno, segno di fortuna e di fertilità nella simbologia profana, è qui un simbolo della Passione di Cristo. Nella statuaria gotica è presente in molte opere francesi e dell’Europa settentrionale.
Sul sentiero d'accesso al Santuario, il pellegrino viene accolto da un bassorilievo marmoreo di pregevole fattura il quale sintetizza la devozione mariana dei naviganti che lasciano le loro imbarcazioni alla fonda per salire la collina e approdare tra le braccia della Vergine per ringraziarla della protezione ricevuta.
L’entrata della chiesa con il suo antico portico.
L’elemento più antico é la Cappelletta che risale al XII secolo. La copertura del portico é a capanna con gli abbadini di ardesia.
La Cappella, che costituisce la prima fase costruttiva del Santuario, si presenta a pianta rettangolare con una pavimentazione in buona parte autentica articolata su diversi livelli. Il piccolo altare è sorretto da una colonnina con capitello estraneo alle vicende del santuario.
La copertura consente di datare la cappella intorno al XII-XIII secolo. Una serie di capitelli pensili in ardesia (gli originali) e in pietra calcarea (di restauro) sorreggono otto archetti pensili romanico-gotici, attraverso i quali scaricano otto vele convergenti in una chiave di volta ottagonale di ardesia scolpita con l’Agnus Dei. Il capitello posto sull’arco di ingresso è a forma di testa apotropaica, che rimanda a forme analoghe presenti nell’entroterra chiavarese e nello spezzino.
GLI EX VOTO DELLA CAPPELLETTA
Il portico e i vani dell’ospitium, edificati nella fase successiva, sono gli elementi architettonici che contribuiscono maggiormente a caratterizzare l’immagine della costruzione, con le ampie volte a crociera poggiate con archi ogivali su robusti pilastri quadrangolari.
L’accesso alla cappelletta e alla chiesa
GLI INTERNI
GLI AFFRESCHI DEL SANTUARIO
Schema della distribuzione degli affreschi di N. S. delle Grazie
LUCA CAMBIASO - (FONTE - FINESTRE SULL’ARTE)
https://www.finestresullarte.info/Puntate/2012/01-luca-cambiaso.php
TERAMO PIAGGIO - (FONTE-TRECCANI)
http://www.treccani.it/enciclopedia/teramo-piaggio_%28Dizionario-Biografico%29/
LE OPERE D’ARTE
Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.
La chiesa fu invece costruita nel XIV secolo; ad unica navata presenta il presbiterio rialzato e più stretto. Le pareti sono tutte affrescate ad opera del pittore zoagliese Teramo Piaggio e illustrano a destra la STORIA DELLA MADONNA, a sinistra, nel lunettone del presbiterio:
l’ULTIMA CENA e sulla parete sempre di sinistra la PASSIONE DI CRISTO. La parete dietro l’altare maggiore rappresenta LA CROCIFISSIONE.
Chiavari, N.S. delle Grazie, volta a crociera del presbiterio
Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare
Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare
Sul tabernacolo dell’altare maggiore é la statua lignea della MADONNA CON BAMBINO E IL MELOGRANO di artista ignoto. Lo stato conservativo degli affreschi non é purtroppo ottimale a causa anche delle condizioni ambientali (salsedine in primis) che ne minano la sopravvivenza. Nella sacrestia sono appesi alcuni dei numerosi ex voto dedicati alla Madonna; il più antico é quello del Capitano Fontana datato 14 agosto 1600.
L'attuale copertura, costituita da un tetto ligneo a capanna rivestito da abbadini d'ardesia, risale al 1896. Il presbiterio è leggermente rialzato e poco più stretto della navata, coperto da un'ampia volta a crociera costolonata di derivazione gotica. L'arcone che divide la navata dal presbiterio poggia su due robuste semicolonne addossate alle pareti con i tipici capitelli a forma sferocubica frequenti nella Liguria medioevale.
LUCA CAMBIASO - L’insieme del GIUDIZIO UNIVERSALE (1550)
Particolare della fascia inferiore
Particolare della seconda fascia
Particolare del terzo registro
Particolare del quarto registro
Sulla parete della controfacciata del santuario, appare il pregiatissimo GIUDIZIO UNIVERSALE del genovese Luca Cambiaso, uno dei maggior pittori del ‘500.
Nel 1550, morto Franchino Vaccaro, il compito di completare gli affreschi della chiesa passò a suo figlio Andrea, che preferì affidare i lavori della controfacciata a LUCA CAMBIASO. Luca a quel tempo aveva solo ventitre anni e non aveva ancora raggiunto l’età dell’affrancamento dal padre per cui non poteva accettare incarichi professionali: è perciò probabile che gli affreschi di N. S. delle Grazie siano l’ultimo lavoro eseguito in collaborazione con suo padre Giovanni.
Giovanni Cambiaso era nato nel 1495 in Val Polcevera, dove conobbe Andrea Semino che lo avviò all’arte della pittura e lo avvicinò a Teramo Piaggio. Una testimonianza della loro amicizia è data dai ritratti dei tre pittori nel Martirio di S. Andrea realizzato da Teramo per la chiesa di S. Andrea a Genova e dal ritratto di Giovanni nella Crocifissione delle Grazie.
Luca aveva iniziato a quindici anni la collaborazione con il padre, ottenendo diversi incarichi importanti dalle grandi famiglie genovesi, soprattutto dai Doria. E’ già da questi primi lavori che Luca dimostra una personalità più spiccata di quella del padre.
Franchino Vaccaro aveva preferito una pittura legata alla tradizione quattrocentesca come quella del Piaggio per assicurare al Santuario una continuità con i caratteri popolari del culto locale. Suo figlio Andrea preferisce dimostrare di conoscere le novità dell’arte figurativa genovese e l’ideologia religiosa romana, ma soprattutto vuole testimoniare lo status sociale e politico raggiunto dalla sua famiglia scegliendo artisti apprezzati e ricercati dalle grandi famiglie genovesi.
Ispirandosi al Giudizio Universale di Michelangelo, Luca divide la parete in quattro registri orizzontali:
- nella fascia più bassa, a sinistra rappresenta la Resurrezione dei Morti, mentre a destra i dannati divorati dalle fiamme.
HECCE HOMO
Un'opera certamente curiosa è un Ecce Homo dipinto su tela (c'è chi sostiene che sia una stampa su tela e che l'originale sia a Genova), collocato in cornice, alla sinistra di chi entra, su un inginocchiatoio che funge da sostegno.
La cosa più inquietante è che girando attorno al quadro, si nota che il retro è dipinto con la schiena del Cristo, tormentata e addirittura scarnificata dalle torture inflittegli, secondo un'iconografia inusuale. E' presumibilmente un'opera ottocentesca, legata a qualche confraternita dei flagellanti, che il crudo verismo induce a collocare in ambito iberico.
Chiavari, N.S. delle Grazie, acquasantiera, XV sec.
Chiavari, N.S. delle Grazie, particolare di capitello sferocubico di una semicolonna dell’arcone del presbiterio
BIBLIOGRAFIA
- Berzero G., Gli affreschi di Teramo Piaggio nella chiesa di N. S. delle Grazie a Chiavari, in “Atti della Società Economica di Chiavari-1932”, 1933.
- Castelnovi G.V., Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, Genova, 1987, pp. 73-160.
- Grosso Orlando, Genova e la Riviera ligure, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1951.
- Magnani Lauro, Committenza e arte sacra a Genova dopo il Concilio di Trento: materiali di ricerca, in “Studi di storia delle arti”, Università di Genova, Istituto di Storia dell’Arte, 1983-85.
- Magnani Lauro, Il Giudizio Finale, scheda in Omaggio a Luca Cambiaso, catalogo della mostra, Sagep, Genova, 1985.
- Ragazzi Franco, Il Santuario delle Grazie a Chiavari. Gli affreschi di Teramo Piaggio e Luca Cambiaso, Genova, 1992
- Giovanni Meriana, La Liguria dei Santuari
Carlo GATTI
Rapallo, 12 luglio 2019
EMILIO ED IO… Le opere di Emilio CARTA
EMILIO ED IO…
LE OPERE DI EMILIO CARTA
Da sinistra: Gianni Arena, Carlo Gatti, Marinella Gagliardi Santi, Emilio Carta, Rinaldo Santi. L’Evento si riferisce alla presentazione del libro di M. Gagliardi Santi:
NON COMPRATE QUELLA BARCA.
Conobbi Emilio Carta 30 anni fa, all’epoca era responsabile dell’Ufficio Stampa, Turismo e Cultura del Comune di Rapallo.
Era appena terminata una delle prime Mostre di Mare Nostrum al Castello di Rapallo, di cui Emilio era ANIMATORE ED ORGANIZZATORE per conto dei Modellisti Rapallesi.
Lo cercai in Comune, gli raccontai del mio lavoro, della mia collezione di fotografie di navi che, in quello stesso giorno, gli mostrai a casa mia.
Si dimostrò subito un incontro SPECIALE …
Scoprimmo con un certo stupore che usavamo lo stesso LINGUAGGIO MARINARO. Emilio aveva navigato su vecchi LIBERTY e in seguito, per seguire un altro tipo di talento, riuscì a farsi assumere dal Comune di Rapallo.
Ognuno ha la sua storia! Anch’io, dopo 14 anni di mare, ero riuscito a vincere il concorso da Pilota del porto di Genova.
Alla fine, per i giochi fatui del destino…avevamo lasciato provvisoriamente la navigazione, ma il MARE ci era rimasto dentro e sprizzava fuori con nostalgia ogni volta che entravamo in argomento, specialmente nelle nostre lunghe conversazioni mattutine sul lungomare di Rapallo.
Ma Emilio aveva una marcia in più, nella sua posizione di ADDETTO STAMPA e di giornalista del Secolo XIX era un profondo conoscitore della burocrazia cittadina, delle persone più influenti, delle Autorità ed era stimatissimo nel suo lavoro di organizzatore di EVENTI.
Emilio, persona intelligentissima, capì al volo che unendo le nostre rispettive PROFESSIONALITA’ con “il comune cuore rapallino”, avremmo potuto dare molto alla nostra città.
Non solo, ma ben presto scoprimmo anche di “ragionare” con un comune cervello! Mai alcun contrasto, mai una divergenza tra noi in tanti anni di continue scelte di persone e di obiettivi. Le nostre sinergie e competenze erano del tutto COMPLEMENTARI.
Da quel momento io lo trascinai per gli oceani con le mie storie di mare e lui me le fece scrivere fin da subito sulle riviste che dirigeva: (IL MARE, IL NUOVO LEVANTE, PENISOLA).
Anno dopo anno MARE NOSTRUM RAPALLO diventava una specie di Università del mare nella quale si fondevano ricerche storiche e testimonianze di grandi personaggi della cultura marinara italiana ed internazionale. La collaborazione con altre Associazioni nazionali e i grandi Musei del Mare ci hanno permesso di entrare nel giro del grande “sapere marinaro” che ci ha permesso di redigere circa 600 importanti saggi, vere piattaforme di lancio per le nostre Mostre infarcite di numerosi eventi di qualità.
Un’espressione gioiosa di Emilio Carta mentre riesce a sciogliere un “gruppo” proposto dal “Mago dei nodi” Andrea Maggiori durante l’Evento “La storia dei nodi marinari e le loro funzioni” (2015).
Carlo Gatti accanto a Nicola Costa durante l’evento:
COSTA, un pianeta che parla Rapallino. (2012)
Insieme abbiamo dato vita a circa 30 mostre, 200 eventi legati al mare, e circa 300 incontri culturali dedicati a fatti storici navali, convegni, presentazioni dei nostri libri, delle numerose pubblicazioni di Mare Nostrum, dibattiti e numerose richieste di collaborazione da parte di Associazioni che ci invitavano da tutta la Liguria, da Spezia a Savona, eravamo degli abituè di Palazzo Ducale a Genova e di molte altre importanti sedi culturali del capoluogo e della Regione. Ogni sabato o domenica eravamo ospiti da qualche parte…per portare la storia di Rapallo, sia in estate che in inverno e le ferie le facevano nello stesso mese di settembre, lui in Sardegna ed io in Svezia.
Le nostre rispettive mogli: Marziana e Guny ci hanno sempre assecondato e l’ascesa di M.N. fu merito loro, della loro infinita pazienza e dell’amore per la nostra città!!!
La vita di Emilio possiamo raccontarla anche così:
EMILIO - IL CARATTERE
Ormai pensionati, accadeva spesso che facessimo delle “vasche” in “caruggio drito”, e che poi c’infilassimo in qualche ufficio del Comune per le pratiche di M.N. dove Emilio aveva lavorato per tanti anni, ed ogni volta mi rendevo conto di quanto la gente semplice della città ed i suoi ex colleghi lo amassero per quel suo carattere semplice, gioviale, sincero e scanzonato! Il suo indirizzo elettronico BATTUBELIN… rispecchiava fedelmente il suo “essere LIBERO, senza vincoli e soggezioni”; quel suo AMARE LE PERSONE SEMPLICI che mai gli avrebbero dato ORDINI o imposto qualcosa; quell’affetto aveva un ritorno di SAGGEZZA popolare che lui usava per “colorare” i suoi scritti …
In Emilio il senso dell’umorismo era innato, ricorderete gli scherzi che s’inventava ogni Primo di Aprile: le Pepite d’oro nel Boate… il Cannone del galeone ed altri…
EMILIO - RADIOTELEGRAFISTA navigante
Il Marconista di bordo é un personaggio anomalo e “misterioso” perché é sempre a conoscenza dei segreti tra l’Armatore ed il Comandante, tra il marittimo imbarcato e la sua famiglia; l’RT é il testimone operativo della trasmissione radio perché la regola e la migliora. Ovviamente é tenuto al segreto professionale. Ha il grado di Secondo Ufficiale, ma il lavoro che lui svolge col tasto Morse e le cuffie lo conosce solo lui. Nessuno sarebbe in grado di sostituirlo.
La notte della LOCARNO incagliata sulla passeggiata di Rapallo, era il gennaio 1961, intervenne un radio telegrafista di Rapallo che si mise in comunicazione con la nave, in pieno blackout, tramite il clacson della propria auto parcheggiata a ridosso della nave. Un fatto eccezionale!
Emilio aveva 15 anni ed era presente al “Naufragio in salotto”. Tante volte in seguito mi sono chiesto quanto la prima scelta professionale di Emilio sia stata condizionata da quel piccolo ma significativo “intervento provvidenziale e molto marinaresco!” - Chi scrive era appena sbarcato dal suo secondo imbarco da Allievo Ufficiale di coperta ed era presente anche lui in quella notte di tregenda. Scrivere con Emilio quella pubblicazione tanto gradita ai rapallini, oggi é per me uno dei ricordi più belli della nostra Storia di Amicizia.
EMILIO - GIORNALISTA e ADDETTO STAMPA del Comune
A bordo dei Liberty Emilio capì che la sua futura professione di terra doveva avere le stesse caratteristiche del “radiotelegrafista” di bordo: essere sempre in ascolto con il massimo fiuto e comunicare liberamente senza troppi vincoli esterni.
Questa sua filosofia esistenziale lo portò a diventare ben presto GIORNALISTA professionista e addetto Stampa nel Comune della nostra città.
Da giornalista “vecchio stampo”, interpretò la sua nuova professione senza avere padroni, ma OPINIONI che esprimeva liberamente senza sudditanze politiche o di altro tipo. Per scrivere i suoi servizi, prima ascoltava, annusava ed usava il buon senso di cui era fortemente dotato!
Il suo modo di scrivere era lineare, diretto e coinciso; usava pochi avverbi e superlativi. La sua scuola era quella personificata da Indro Montanelli, il quale sosteneva che le Leggi, o qualsiasi Normativa, persino i bugiardini dei medicinali dovessero essere scritti dai giornalisti per ottenere la comprensione di tutti.
Oggi ci rimangono in eredità i suoi libri, vere testimonianze di quella scrittura chiara e lineare che, aimè, si sta modificando pesantemente… tra le fronde dei socials…
EMILIO – SCRITTORE di mare e di romanzi storici a sfondo navale e giallistico che inizia, combacia e si conclude con la navigazione trentennale di Mare Nostrum in mare aperto!
Mare Nostrum Rapallo esiste sempre. La teniamo VIVA anche e soprattutto nel RICORDO dello spirito marinaro e libero di Emilio CARTA; la teniamo viva insieme a quei soci che scrivono sul sito con me ogni venerdì per accrescerne il suo patrimonio culturale. Tra i 600 articoli, poesie e saggi custoditi nel suo grande ARCHIVIO, ci sono articoli che portano la sua firma: il sigillo di EMILIO CARTA che vi invito a leggere.
Io sono dell’idea che sia impossibile indagare tra la PRODUZIONE LETTERARIA di Emilio CARTA senza fare riferimento a MARE NOSTRUM nel cui bacino culturale Emilio s’immerse totalmente nel pieno della sua maturità lasciandoci innumerevoli ricerche e testimonianze anche personali sull’antica e moderna storia di Rapallo.
EMILIO - UNO SPORTIVO
Di GRANDE FEDE SAMPDORIANA, Emilio era in grado di sfoderare, nelle giuste occasioni, un repertorio infinito di battute gustosissime… contro i GENOANI (io ero uno di quelli).
Come tutte le persone intelligenti, Emilio aveva la grande capacità di adattarsi al suo interlocutore. Posso dire d’averlo conosciuto sia in versione intellettuale che in quella di pescatore, di storico, di velista, di tennista, di sub… e, da ognuno di questi “personaggi” incontrati, mai casualmente, riusciva a trarre argomenti che lui prima fiutava e, talvolta, percepiva come “realta” che potevano avere un seguito. Mi riferisco in particolare alla scoperta dell’UBOOT tedesco che giace sul fondale al largo di Portofino e venne alla luce proprio da una sua intuizione carpita ad un pescatore di Santa… un certo Pastorino.
EMILIO - UN ANCHORMAN DI TALENTO
Quando gli dicevo: “data la tua capacità di parlare senza intoppi, la presenza che piace in particolar modo al pubblico femminile, la tua cultura ecc… sei l’unico rapallino che potrebbe condurre una rete-TV con il minimo sforzo e con la massima audience”.
Mi guardava di sottecchi come se lo stessi prendendo per il c… lui era così: modesto e felice per ciò che aveva già avuto dalla vita: la LIBERTA’.
EMILIO – UOMO MITE, ONESTO E GENIALE
In 30 anni di amicizia fraterna l’ho sempre visto evitare le polemiche sterili e le discussioni che non avrebbero approdato a nulla. A volte era taciturno, pensieroso, parlava molto meno di quanto pensasse e poi, senza preavviso, sfoderava il colpo di genio…
Emilio era un SIGNORE, da lui non ti saresti mai aspettato “il colpo basso”, era leale e affidabile in tutte le situazioni.
Per la verità Emilio mi disse molti NO…! Un NO per ogni anno, e sempre per lo stesso motivo.
“Emilio sono anni che ti scongiuro di darmi il cambio alla presidenza di Mare Nostrum…”
Ed ogni volta mi rispondeva:
“La formazione che vince non si tocca! Io nasco “battitore libero sampdoriano”, e un giorno ce ne andremo in ritiro insieme con questa squadra!”
Il risultato di questo nostro comune modo di pensare, cioé la mancanza totale di ambizione, fu che sulle locandine e sui programmi di M.N. ecc… non compariva mai il mio ruolo di presidente. Il nostro obiettivo comune era la divulgazione della cultura marinara, una vera fissazione! Tutto il resto per noi era vacuità…
Per molti anni avevamo continuato a ripeterci: Insieme lasceremo Mare Nostrum ma non sapevamo che il destino avesse già deciso per noi!
Emilio era piuttosto riservato, ma lo ero anch’io, i nostri caratteri coincidevano perfettamente e la nostra AMICIZIA durò tre decenni e s’interruppe con la fine del suo CALVARIO e con la morte di mio genero Scipione D’Este: un figlio ed un amico che lasciò questo mondo pochi giorni prima di Emilio, dopo due anni di malattia incurabile.
La loro perdita é stata una doppia tragedia che colpì entrambe le nostre famiglie. Ad Emilio tenni nascosta la malattia di mio genero fino all’ultimo per non aumentare le sue pene… erano molto amici essendo Scipione Tesoriere e commercialista di Mare Nostrum.
Emilio ha vissuto, anzi convissuto fin dal 2003 con i suoi problemi fisici fino all’ultimo giorno della sua esistenza, con uno stoicismo direi EROICO, sfidando il suo destino cadenzato da 33 interventi operatori con un coraggio ed una volontà di risorgere che, ogni volta, mi lasciavano senza parole. Fino all’ultimo non poteva e non voleva rinunciare a qualsiasi cosa avesse programmato.
Lo vidi pochi giorni prima di morire e mi disse: Carlo ogni giorno perdo un pezzo… sto crollando, però oggi voglio andare a suonare la batteria… ci vediamo sabato per la presentazione del MANCINO…
EMILIO UN MUSICISTA DILETTANTE
Da giovane navigò con il suo fedele SITAR, un antico strumento musicale a corde dell’India settentrionale. Emilio amava rifugiarsi nella musica e lo fece fino al compimento del suo destino andandosene da protagonista, come é apparso in questi giorni su Facebook durante uno dei suoi ultimi concerti in una piazza di Rapallo.
La musica era per lui ciò che per tanti é la preghiera: il linguaggio universale che ci innalza verso il CIELO.
Venne quel fatidico giorno… e mentre lo aspettavamo a Villa Queirolo per la presentazione del suo ultimo libro, lui partiva con l’ambulanza per il suo ultimo viaggio. La fine giunse improvvisa quando molti di noi s’illudevano che il suo ineffabile senso di sfida contro la morte avrebbe potuto vincere ancora una volta.
Io ero uno di quelli e, ancora oggi, lo voglio ricordare così… massacrato nel corpo ma con il sorriso beffardo dell’indomito eroe sulle labbra che sale verso il cielo ritmando un blues con le bacchette del batterista.
In 19 giorni se ne sono andati TRE amici fraterni: Eddo Pelosin (mio consuocero), Scipione D’Este (mio genero) ed Emilio (mio fraterno amico).
TRE rapallini doc, TRE esempi di forza interiore, di attaccamento alla vita, TRE gladiatori che hanno sfidato il loro destino col sorriso sulle labbra fino all’ultimo istante.
LE SUE OPERE
Emilio Carta ha collaborato con Pierluigi Benatti e la dott.ssa Bacigalupo alla stesura dei volumi RAPALLO SACRA MINORE
- Nel 1989 EX VOTO A MONTALLEGRO
Maria Angela Bacigalupo, Pierluigi Benatti e Emilio Carta
- Nel 1994 MONTALLEGRO E IL MARE
Maria Angela Bacigalupo, Emilio Carta, Umberto Ricci, Francesco Maria Ruffini
- Nel 1999 ha pubblicato “NAVI E RELITTI TRA IL PROMONTORIO DI PORTOFINO E PUNTA MESCO” – N.1
Scritto in collaborazione con il tecnico sonar Andrea Maggiori e il foto sub Adriano Penco.
- Nel 2000 NAVI E RELITTI TRA MONTECARLO E PORTOFINO N.2
scritto insieme ad Adriano Penco
- Nel 2007 IL SEGRETO DI CALA DELL’ORO
- Nel 2008 NAVI E RELITTI TRA SESTRI LEVANTE E SPEZIA N.3
Scritto in collaborazione con Adrea Maggiori e Adriano Penco
- Nel dicembre 2008 BANDIERA GIALLA, COLERA A BORDO
- Nel dicembre del 2010 I MISTERI DEL FREDOM
- Nel 2010 “U BOOT 455” - IL SOTTOMARINO DELLA LEGGENDA
scritto insieme al Sub: Lorenzo del Veneziano
Emilio Carta è al suo quarto romanzo, tutti accomunati dalla passione per il mare.
- Nel 2012 - IL COLLEZIONISTA D’ARMI
- Nel 2013 - LOCARNO – NAUFRAGIO IN SALOTTO
- Nel 2013 - RAPALLIN E FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
- Nel 2014 - RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
- Nel 2015 – RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
E Parolle dö Gatto, antiche ricette, proverbi e modi di dire...”
Le tre pubblicazioni sono tradotte anche in Italiano e in Inglese
Nel 2016 ASSASSINIO A MONTALLEGRO
- Nel 2015 DRAGUT – AMMIRAGLIO E CORSARO OTTOMANO
- Nel 2018 IL TESORO DI VALLE CRISTI
- Nel 2018 IL MANCINO – LE OSSESSIONI DI UN KILLER
LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM:
Autori: Emilio Carta, Maurizio Brescia, Carlo Gatti, Ernani Andreatta (2013-2016)
- 2002 – IL TIGULLIO, UN GOLFO DI EROI
- 2003 - I LIBERTY
- 2004 - FUOCO A BORDO
- 2005 - DAL GOLFO LIGURE AL MAR DELLA CINA
- 2006 - MARE NOSTRUM COMPIE 25 ANNI
- 2007 - MONTALLEGRO UN FARO SU MARE NOSTRUM
- 2008 - POLENE, SOMMERGIBILI E TRANSATLANTICI
- 2009- IL TRATTATO DI RAPALLO-IDROVOLANTI, DIRIGIBILI E SOMMERGIBILI IN LIGURIA
- 2010 - COSTA, UN PIANETA CHE PARLA “RAPALLINO”
- 2011 - GARIBALDI, UN UOMO DI MARE
- 2012 - REX – ALLA CONQUISTA DEL NASTRO AZZURRO
- 2013 - RIVA TRIGOSO, MILLE VARI UN SOLO INCIDENTE…
- 2014 - TIGULLIO, UN MARE DI PAURA …
- 2015 - MARE NOSTRUM – NON SOLO MARE…
- 2016 - GENTE DA RIVEA, GENTE DA GALEA
Chiudo questo “ricordo” di Emilio Carta dedicando a sua moglie Marziana e alla loro figlia Valentina un profondo sentimento di affetto per quanto hanno fatto per il loro caro Emilio in tutti questi anni accompagnandolo in ogni istante con amore e dedizione dividendo con lui la stessa sofferenza, lo stesso dolore che ora é anche certezza che lo spirito di Emilio veleggi nel suo amato mare e le protegga da lassù con la serenità di chi ha amato ed é stato ricambiato con la stessa intensità.
Carlo GATTI
Rapallo, 24 Giugno 2019
SAN ROCCO DI CAMOGLI - TERRA DI ARMATORI, CAPITANI E MARINAI
SAN ROCCO DI CAMOGLI
Terra di Armatori, Capitani e Marinai
Carta del Monte di Portofino
La Chiesa di San Rocco di Camogli
San Rocco è una frazione di 233 abitanti del comune di Camogli, nella città metropolitana di Genova. Posizionata a 221 m sul livello del mare, dista circa 4,5 km dal capoluogo comunale. San Rocco di Camogli svetta tra boschi di castagni e panorami mozzafiato, distese di aghi di pino e terrazze coltivate a ulivi. Lungo un sentiero a picco sul mare, si gode un incomparabile frescura in estate e ci si scalda al sole in inverno. Dal sagrato della chiesa si ramificano sentieri che vanno alle Batterie della Seconda guerra mondiale oppure si scende fino a Punta Chiappa, per proseguire verso San Fruttuoso e Portofino.
San Rocco di Camogli è un belvedere sul mare; piccolo borgo sulle colline di Camogli, a circa 28 chilometri da Genova. Arroccata su un picco roccioso offre una incomparabile vista su Camogli, Genova e ancor più a levante e a ponente, nelle giornate limpide anche fino a capo Mele. Si trova lungo il percorso di itinerari panoramici immersi nel verde del Monte di Portofino.
Chiesa di San Rocco - Abside
Sul pavimento della chiesa di San Rocco é raffigurato un brigantino dell’armatore Mortola Giuseppe fu Giobatta. La cornice policroma é di pregiatissimo marmo ligure.
GIUSEPPE MORTOLA é stato il maggiore armatore di Camogli e uno dei più importanti a livello nazionale. Il suo percorso professionale é emblematico delle vicende della vela. Nato nel 1852 a SAN ROCCO DI CAMOGLI, da qui il soprannome di “SANROCCHIN”, naviga da ragazzo verso la Maremma per effettuare carichi di carbone di legna da portare a Genova o in altri porti del tirreno. Alterna gli imbarchi agli studi nautici, diplomandosi Capitano di lungo corso a 24 anni; comanda poi per un decennio velieri sui mari dell’Atlantico e del Pacifico. Nel 1889 é Capitano di un brigantino a palo di cui ha rilevato con i suoi risparmi la maggioranza dei carati; nel 1890 decide di essere solo un Armatore.
Nave EURASIA - Armatore Mortola (Sanrocchin) - in fase di attracco - 1908
La sua flotta cresce col tempo, é proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli. Conta anche numerosi velieri in ferro, e Mortola l’amministra praticamente da solo recandosi quotidianamente da Camogli a Genova. Si ritira definitivamente dall’attività con la Prima guerra mondiale, quando molte delle sue navi sono silurate e affondate dagli U-Boote tedeschi, dopo una vita di lavoro e di attaccamento a una tradizione, la cui profondità é pari solo ai legami che lo uniscono alla famiglia e lo portano a battezzare due dei suoi velieri COGNATI e DUE CUGINI.
Vite esemplari di un mondo di imprenditori che trova proprio nella tradizione e nelle relazioni parentali la capacità di resistere, ma anche il suo limite…
Una poesia dipinta in perfetta lingua genovese si trova all’interno della chiesa ed é il gesto d’amore di un pellegrino che é rimasto affascinato dallo scenario naturale e religioso di San Rocco di Camogli.
Il Golfo Paradiso
che scorcio...
… uno sguardo sul Golfo Paradiso…
La tonnara di Camogli
La tonnarella di Camogli oggi, come centinaia di anni fa ,viene sempre cucita e distesa lungo la diga che ripara il porto di Camogli, e calata nello stesso punto della costa racchiuso tra Camogli e Punta Chiappa.
Fin dall’origine è salpata a mano e le maglie in filato di cocco oltre ad inzupparsi di acqua di mare raccolgono il sudore e la fatica dei tonnarotti.
Insomma tutto è identico, anche i movimenti e la tecnica di pesca sono rimasti quelli.
Ogni mossa ripetuta dall’equipaggio e comandata dal “rais” è un balzo a ritroso nel tempo vecchio quanto il fondale marino sottostante, l’unico nell’Area Marina Protetta di Portofino da considerare praticamente “vergine”.
LINK:
LA GALLETTA DEL MARINAIO - SAN ROCCO DI CAMOGLI
Carlo GATTI
Rapallo, 21 Giugno 2019
Il LAZZARETTO DI BANA-SAN LAZZARO (RAPALLO)
Il LAZZARETTO DI BANA-SAN LAZZARO (RAPALLO)
L’ANTICO OSPEDALE
Sull'antico percorso della strada consolare Aurelia, lungo l'argine di destra del torrente Santa Maria, si incontra una modesta casupola di campagna dall'intonaco vivace, che richiama l'attenzione per un affresco che ne ricopre la parete verso levante.
E’ grave; quanto rimane dell'ospedale destinato ai lebbrosi, dedicato a S. Lazzaro é sorto verso la meta del XV secolo per volere di un tale Giacomo d'Aste.
Dopo un iniziale periodo di particolare attività, il lazzaretto ha conosciuto una fase di abbandono.
Nel 1582 il visitatore apostolico monsignor Francesco Bossio, accertato il degrado dell'edificio, che includeva un ambiente destinato alle sacre funzioni, ordinava: "domus hospitalis instauretur... per administratores hospitalis Pammatoni Genue cui asseritur unitum". E’ grave; stata questa decisione che, con ogni probabilità, ha portato alla trasformazione del lebbrosario in una modesta cappella.
Riportiamo da ITALIA NOSTRA:
Indirizzo/Località: Bana/S.Lazzaro via di Bana Rapallo
Tipologia generale: lazzaretto o lebbrosario
Tipologia specifica: hospitale/cappella
Configurazione strutturale: bene di proprietà privata – casa rurale lungo l’antica via di Bana (o via Aurelia) presente ancora con un breve tratto acciottolato
Epoca di costruzione: sec. XV
Uso attuale: la situazione è sempre più pericolante e tragica e un intervento risulta indispensabile
Uso storico: hospitale e poi casa rurale
Condizione giuridica: proprietà privata – bene è vincolato dal 1938, vincolo 00108602, aggiornato al 2006
Segnalazione: del 14 febbraio 2017 –Sezione del Tigullio di Italia Nostra-
Non sono stato all’ufficio del catasto per verificare… ma il casale di Bana, conosciuto come il LAZZARETTO di Rapallo, é tra le costruzioni più antiche di Rapallo ancora in piedi e recuperabili.
Perché LAZZARETTO? dal nome dell'isola veneziana di Santa Maria di Nazareth, su cui nel XV secolo sorse un posto di quarantena chiamato Nazaretto, che per sovrapposizione col nome del personaggio evangelico Lazzaro, appestato per antonomasia, mutò in "lazzaretto".
Icona russa della RISURREZIONE DI LAZZARO: Cristo a sinistra circondato dagli apostoli fa risorgere Lazzaro avvolto in bende a destra, mentre le sorelle Marta e Maria si prostrano in ringraziamento.
Il cartello recita: SITUATO SULL’ANTICA STRADA DI BANA, OSPITAVA I LEBBROSI PER I QUALI FU COSTRUITO NEL XV SECOLO PER INIZIATIVA DEI SIGNORI D’ASTE. L’AFFRESCO DELLA STESSA EPOCA RAFFIGURA NELL’ORDINE SAN GIACOMO, SAN LAZZARO, LA VERGINE COL BAMBNO, SAN BIAGIO.
IL LAZZARETTO DI BANA (Fonte Rapallo Turismo)
Nel 1450, in seguito a una epidemia di lebbra manifestatasi nelle podesterie di Rapallo e Recco, Giacomo d'Aste, facoltoso cittadino rapallese, donò alla comunità un appezzamento di terreno situato in località Bana, tra le frazioni di San Massimo e Santa Maria del Campo, dove venne edificato l'edificio destinato ad accogliere i malati locali. La gestione del ricovero, dedicato a San Lazzaro di Betania, e per questo definito “Lazzaretto”, venne affidata ai Protettori dell'Ospedale di Pammatone di Genova, secondo l'ordinanza di Papa Sisto IV in una bolla del 1471. L'edificio quattro anni dopo accolse gli appestati (fra i quali anche il figlio di Giacomo d'Aste) ammalatisi nell’epidemia che nel 1475 flagellò Genova e le Riviere.
Nel 1505 il Lazzaretto, che versava in precarie condizioni, fu oggetto di un primo restauro; ed anche nel 1582 monsignor Francesco Bossi, visitatore apostolico e vescovo di Novara, doveva lamentare il cattivo stato dell'edificio, chiedendo ai responsabili di Pammatone di porvi rimedio. Ma questi considerarono eccessiva la spesa per i restauri e così non se ne fece nulla.
Il dipinto quattrocentesco che appare sulla parete esterna dell'edificio raffigura, oltre la Madonna con Bambino, i Santi taumaturghi Lazzaro, Giacomo e Biagio.
Quanto rimane del Lazzaretto di Rapallo risalente al XV secolo. L'edificio venne costruito dopo un’epidemia di lebbra grazie alla donazione di un terreno da parte di un cittadino di Rapallo di cognome D'Aste, ma risultò utile anche durante le frequenti epidemie di peste.
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Giacomo il maggiore
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Lazzaro
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante la Vergine con il Bambino
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Biagio
La parete con l’affresco è parte di una casa rurale diruta. Adibita in passato anche a pollaio, il tetto è crollato nel 2007. Le finestre sono aperte sul vuoto e si intravedono nell’interno le travi del solaio del primo piano crollato. All’esterno anche segni di fuochi.
Recentemente fu messo in vendita ma né Comune né Sovrintendenza né Regione si sono interessati.
Nel 2015 il presidente della Proloco “Terraemare” propose una colletta per acquistare l’edificio e farne sede della Proloco e centro per mostre, ed eventualmente fattoria didattica. Ma senza esito.
Nel 2014 la sezione Tigullio di Italia Nostra scrisse in merito a Comune e Sovrintendenza chiedendo un urgente intervento di messa in sicurezza, prima che tutto crollasse, Lazzaretto, affreschi e memoria storica. Nessuna risposta.
Il contesto è di zona agraria ai margini della città in progressivo abbandono. Intorno al Lazzaretto segni di attività agricola ben curata. Ma per il resto, diverse belle case rurali abbandonate, il rio Bana in cattive condizioni, con diversi depositi di materiali edili, piccole discariche abusive e un bosco misto non curato.
Preminente l’importanza di salvare l’edificio e l’affresco con possibile acquisto da parte della Regione o del Comune.
Solo successivamente pensare ad una destinazione preferibilmente culturale, sede di associazioni, centro di cultura contadina, ecc. didattica, anche sede distaccata di enti.
Il bene è vincolato dal 1938, vincolo 00108602, aggiornamento nel 2006.
Benché sia stato inserito, nel 2011, nella “Guida” del Sistema Turistico Locale Terre di Portofino, la conoscenza dell’esistenza di questo bene è prossima allo zero.
Farlo conoscere prima dell’inevitabile collasso, sarebbe una grande conquista per la nostra Storia locale e regionale.
UN’ALTRA BRUTTA PAGINA...
La Peste e il voto della Comunità
Negli anni 1579-80 la Liguria è investita dalla peste che miete quasi centomila vittime. 28.250 a Genova, 50.000 nella riviera di ponente, 14.000 in quella di levante.
A Rapallo morirono soltanto 76 persone nel 1579 e 24 nel 1580. Tutte di morte naturale, nessuna di peste.
Nel 1590-91 la peste fece ancora la sua comparsa nella Riviera orientale e, nuovamente Rapallo ne fu preservata.
Per meglio comprendere il significato, da un lato, della deliberazione assunta il 29 agosto 1657 dal Consiglio della magnifica Comunità di Rapallo e, dall’altro, del perché ancor oggi, ogni anno “infra l’ottava” dell’Apparizione si rinnovi il voto del 1657, riportiamo di seguito i dati forniti da P. Antero Maria di S. Bonaventura:
“Li morti in Genova sono più di 60 e meno di 70 milla e quelli dei suburbii cira 4000. In S.Per d’Arena e Cornigliano più di 6000. Nella valle di Polcevera non giungono a 4000. Quelli di Sestri e delle sue Ville eccedono di poco, 5000. Quelli di Pegli, Prà, Voltri, Voraggine e Savona, non sono in tutto 2000. Quelli di Recco con le sue Ville sono 1016. Quelli di Chiavari con i suoi borghi non giungono a 2000”.
E alla luce di quanto sopra leggiamo un frammento dell’atto che il Notaio cancelliere del Comune, Bartolomeo Costaguta redige in Rapallo il 29 agosto 1657 in occasione dell’adunanza convocata nella sala del capitano Gio. Pietro Grimaldo, mentre infuriava la peste che portò a morte oltre un quinto della popolazione del genovesato:
“Considerato etiam prima d’ora la protezione attenuto e tiene del presente luogo la SS. Vergine Maria del Monte Allegro, e tante e sì innumerevoli gratie avute da essa, quale da 100 anni in qua, che sono trascorsi li 2 luglio passato che si è ritrovata in quell’avventurato monte, ha con così evidente miracolo conservato intatto questo luogo da ogni avversità, massima di contagio di peste, dal quale al presente, siccome altre volte è stato da per tutto circondato… cosa veramente di gran speculazione et evidente miracolo…”.
Ne scaturirà il voto solenne della Comunità guidata dal priore Gio. Batta Lencisa che, ogni anno, da allora si rinnova.
Ancora oggi, ogni anno, infra l’ottava dei festeggiamenti, la Civica Amministrazione guidata dal Sindaco e dal Parroco di Rapallo, insieme al popolo raggiunge il Santuario per lo scioglimento del Voto fatto dai Padri.
Un rito secolare che risale al 29 agosto 1657. Rapallo scampò alla peste e i suoi abitanti, in segno di riconoscenza alla Madonna, fecero VOTO SOLENNE di recarsi in processione al Santuario "in un dì dell'ottava del 2 luglio" (giorno dell'Apparizione della Madonna al contadino Giovanni Chichizola nel 1557), di celebrarvi una MESSA e di offrire un OBOLO in segno di gratitudine alla Vergine. Da allora il rito si ripete ogni anno.
Vi propongo il LINK dell’articolo che ho scritto nel 2018 sull’argomento che tratta del RINGRAZIAMENTO:
Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le “Feste di Luglio”
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=610:monte&catid=52:artex&Itemid=153
Ricerche a cura di
Carlo GATTI
FONTI:
- Rapallo Turismo
- Cultura in Liguria
- Italia Nostra
- Area Marina Protetta di Portofino
- Liguria - Touring Club Italiano
- Santuario Basilica di N.S. di Montallegro
BULGAKOV NELLA BURRASCA
BULGAKOV NELLA BURRASCA
“Guarda che nero sul mare, e poi il vento, senti come fischia e come fa sbattere le drizze, si ha la sensazione che la pioggia sia imminente, cosa vuoi andare da Pegli a Santa Margherita solo per partecipare a una regata che oltre tutto si terrà tra due giorni? Lasciamo perdere!”
Ma il mio discorso di estremo buon senso non sortisce alcun effetto, Rinaldo è determinato a partire, fa finta di non sentirmi, anzi, comincia a preparare la barca per mollare gli ormeggi.
Mi do per vinta e mi rassegno; partiamo, e come imbocchiamo l’uscita del nostro Marina, ci viene incontro un'onda che promette una navigazione tormentata: “Nessuna meraviglia per il mare mosso, le onde le avevo già adocchiate prima dalla strada! E che freddo che fa!”
Rinaldo però non demorde: “È vero, fa un po’ freddo, ma tu stai dentro nella dinette, così sarai riparata dal vento. Sto io al timone, tanto c'è poco da fare... il vento spira esattamente contro di noi, perciò non possiamo nemmeno issare la randa, sbatterebbe. Saremo costretti a farcela tutta a motore.”
Di bene in meglio! Quattro ore di sofferenza tra le onde per noi e per la barca, e per di più una navigazione a secco di vele. Ma non me la prendo granché, ormai siamo in ballo e ci tocca per davvero di ballare, questa volta. Mi rintanerò di sotto e mi metterò a leggere il romanzo che mi sono portata. Stando fuori rischierei di ammalarmi, anche se è il 2 di maggio e la stagione potrebbe essere davvero un po' più clemente.
“Che libro avevi in mano poco fa?”
“Il Maestro e Margherita di Bulgakov” il romanzo scelto per questo mese dal nostro circolo degli Amici del libro.
In realtà l’ho già letto e io preferirei sempre qualcosa di nuovo, ma è la maggioranza che decide, e per questa volta la scelta non mi dispiace, ricordo bene quanto avessi apprezzato quel romanzo in gioventù.
La barca sale e scende dalle onde senza sosta e ogni tanto si sente un botto secco perché batte su un’onda più alta delle altre, ma io sono fortunata perché non soffro il mare, posso procedere imperterrita nella lettura.
Ogni tanto mi affaccio dal tambucio: “Hei, tutto bene là fuori? Non è che stai prendendo troppo freddo?”
Rinaldo, imbacuccato nella sua cerata, mi sorride dal timone. È di ottimo umore. Come può essere contento di navigare con un tempo simile? Merita una foto che lo immortali col cielo nero e con il sorriso stampato in faccia. Gliela scatto subito.
“Tranquilla, continua pure a leggere, dove sei arrivata?”
“Annuska ha già comprato l’olio di girasole…”
“Cioè? Guarda che l’ho letto tanti anni fa, non me lo ricordo per niente.”
“Cioè il diavolo è già al lavoro sotto l’ombra dei tigli nei pressi degli stagni dei Patriarchi.”
“E l’olio cosa c’entra?”
“Berlioz, uno sventurato personaggio, scivolerà su quell’olio lasciandoci le penne… In compenso Gesù, anzi Jeshua è già stato giustiziato! Ma non ti dico altro, visto che vuoi rileggerlo anche tu.”
Vizcaya, la nostra barca, picchia forte su un’onda.
“Perbacco, ti sto distraendo, occhio al mare!”
“Per forza mi distrai, prima il diavolo a Mosca, poi Gesù sulla Croce! Già c’è un tempo infame, non puoi raccontarmi qualcosa di più rasserenante? E come ci stanno poi insieme il sommo bene e il sommo male? Proprio non me lo ricordo.”
“Gesù è presente in un romanzo che ogni tanto compare nel romanzo, scritto dal Maestro. Il Maestro, il grande amore di Margherita.”
Un potente mirabile affresco degli eventi, dei luoghi, dei personaggi della Palestina di quell’epoca. Pilato, il più suggestivo dei personaggi.
“A volte mi domando come fai a leggere con queste condizioni di mare. Sotto, nella dinette, per di più! Sei una mosca rara.”
“Dimentichi il mio piede marino ereditato da zii, nonni, bisnonni…”
Provo a stare seduta nel pozzetto per fare un po’ di compagnia a Rinaldo ma per il freddo non resisto più di cinque minuti. Torno alla mia lettura meravigliandomi del fatto che ricordo quasi tutto; man mano che leggo niente mi appare come una novità. È l’unico libro che ho letto in passato del quale io ricordi i dettagli con tanta precisione. Oltre tutto, a ben pensarci, sono passati… meglio non pensare quanti anni! Perbacco, se vola, il tempo! Il romanzo allora mi aveva turbato più di adesso, però anche ora questo diavolo che si vendica della corruzione dilagante in Mosca, aiutato da sinistri collaboratori, non mi rilassa particolarmente. Non mi sento del tutto a mio agio, nonostante l’umorismo di fondo grottesco, che apprezzo molto. Sarà anche il tempo grigio e la navigazione tormentata che contribuiscono a creare un’atmosfera inquietante. Il racconto, comunque, mi avvince, mi intriga, le pagine scorrono rapide con la voglia di proseguire e di non fermarmi. E quando mai ho tanto tempo di leggere come ora? Ben vengano le quattro o forse anche cinque ore che ho a disposizione (abbiamo anche una forte corrente contro!).
Rinaldo penserà che io sia arrabbiata con lui, perché mi coinvolge in queste spedizioni un po’ insensate, invece sono qui che mi crogiolo nella lettura. Una goduria, alla fin fine.
Il mare però sta davvero esagerando, esco di nuovo allo scoperto: “Potevi anche chiamarmi, stiamo passando da San Fruttuoso!”
“Cosa vuoi che ti chiami, ha iniziato a piovere!”
“Perbacco, meriti un’altra foto così intabarrato per difenderti non solo dal freddo ma anche dall’acqua. Coi guantoni, poi, ti ho visto ben di rado! Voglio riprendere anche il panorama, con lo sfondo così fumoso…”
“Vorrai dire nebbioso.”
“No, fumoso si addice meglio alle vicende del romanzo. Ti ricordi il grande ballo di Satana? Ricordo che era epico, drammaticamente epico. Non vedo l’ora di arrivarci.”
“Qui si balla alla grande anche senza il tuo Voland. Invece io non vedo l’ora di arrivare a Santa Margherita.”
“E come ti è venuto in mente come si chiamava Satana?”
“Sa il cielo… che peraltro spero sia più clemente al ritorno e ci risparmi almeno la pioggia.”
“Ti lascio al tuo tempaccio, torno da Bulgakov.”
Mentre scendo i tre gradini che portano nella dinette, penso ai milioni di persone che hanno letto questo romanzo, ma nessuno l’avrà letto, immagino, come me, nel bel mezzo di una burrasca. In fin dei conti, però, è proprio una burrasca, quella che Satana, con la sua azione vendicatrice, scatena a Mosca.
Il clou delle onde ci investe sotto il faro del promontorio di Portofino. Contemporaneamente il Maestro è investito dall’amore per Margherita.
E finalmente ci infiliamo nel porto di Santa Margherita. Le acque si placano e io sono costretta, mio malgrado, a chiudere il libro e ad abbandonare, per il momento, le malefatte di Satana. La Santa locale non ha calmato solo le acque ma anche la pioggia: la luce intensa del cielo forse non promette nuovi futuri rovesci ma qualche raggio di sole.
A più tardi, Bulgakof, il tuo ballo del plenilunio, con Margherita che ne è la regina, me lo gusterò in serata. Streghe comprese. Sempre che Santa Margherita lo consenta.
Posso immaginare come sono contenti gli ormeggiatori di venirci incontro sul pontile in una giornata come questa… Penseranno che avremmo potuto starcene tranquilli nel nostro porto, con questo tempo. Ma sono gentilissimi, come sempre. “Tempaccio del diavolo, quest’oggi - commenta uno dei due.”
Ecco, siamo in tema!
Meno male, però – penso io - il diavolo, nel corso del tragitto sino a qui, non ci ha messo lo zampino!
E allora, grazie Santa Margherita. O forse grazie Jeshua?
MARINELLA GAGLIARDI SANTI
Rapallo, 4 Giugno 2019