LA GRANDE SPERANZA
LA GRANDE SPERANZA
Il presepe di BANSKY a BETLEMME. Bansky, tra gli artisti contemporanei più famosi del mondo, ha realizzato un presepe nel suo piccolo albergo a Betlemme, in Palestina. La nuova scena della natività mostra Gesù bambino, Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello davanti a un muro di cemento che ricorda quello fatto erigere dal governo di Israele per isolare la Cisgiordania. Nel muro c’é una breccia – che simboleggia la cometa – prodotta da un lancio di mortaio. Sul muro vi sono graffiti con le scritte “Love” e Pax”.
Erano passati più di duemila anni dalla nascita di Gesù a Betlemme. Da allora, ogni anno in tutto il mondo Gesù era tornato a nascere nelle chiese, durante la messa di mezzanotte portando il suo messaggio di pace e di speranza.
Da quel lontano dicembre di Betlemme qualcosa era cambiato nel mondo: era sparita la schiavitù, c’era più giustizia per le donne e i bambini, una vita più lunga per i vecchi, ma non dovunque, non abbastanza.
Quell’anno Gesù voleva tornare sulla Terra per portare il suo messaggio agli uomini che, anche tra l’incenso e le candele, sembravano ciechi e sordi.
Dialogò a lungo con il Padre e infine decise così:
- Padre quest’anno vorrei rinascere uomo vero. Non più nascosto nell’ostia o raffigurato nelle statue. Voglio essere carne, ossa, sangue: uno, dieci, mille uomini e vedere se qualcosa cambierà.-
- Veramente li avevo creati liberi di scegliere il bene o il male. Così facendo Tu limiterai la libertà di quegli uomini nei quali Ti incarnerai. –
- Solo per un giorno, Padre. Il giorno di Natale. Forse qualcosa resterà nella mente e nel cuore di quegli uomini, anzi di quei bambini, perché sceglierò dei bambini per la mia missione, Padre. – implorò Gesù.
Il Padre, come sempre, accondiscese.
Arrivò il giorno di Natale di quell’anno lontano più di duemila anni dalla prima nascita di Gesù.
In Palestina Omar, un ragazzino di undici anni sta osservando il mucchietto di pietre che ha raccolto, le soppesa ad una ad una per capire se sono giuste per un buon lancio. Gli hanno insegnato che bisogna essere sempre pronti a lanciare pietre contro gli Israeliani, se si presentassero con i loro fucili e le loro odiate divise. In verità i grandi capi stanno trattando la pace, ma il capo del villaggio non si fida e vuole che i ragazzini si mantengano allenati.
Omar ha una pietra in mano e la forte tentazione di lanciarla contro il figlio di un colono, un ragazzo antipatico che si avvicina in bicicletta.
- Omar, apri la mano e lascia cadere quella pietra. –
La voce è strana, comprensibile eppur debolissima. Omar si guarda intorno, ma non vede nessuno. La sua mano però ubbidisce al suggerimento e si apre, lasciando cadere la pietra. Intanto il figlio del colono si sta riavvicinando e, giunto alla sua altezza, sterza di colpo impolverandolo con la ruota posteriore. Omar in un altro momento l’avrebbe rincorso, afferrato e colpito. Questa volta si limita a scrollare via la polvere, scuotendo la testa. Shimon, il ragazzo israeliano, stupito dalla mancanza di reazione, abbandona la bicicletta e, fischiettando, con le mani in tasca, si dirige a zigzag verso di lui.
Omar lo guarda avvicinarsi e, per la prima volta, vede i suoi occhi, il colore dei capelli, una piccola cicatrice sullo zigomo e si stupisce nel constatare quanto gli assomigli. L’altro gli arriva davanti, gli mette una mano sulla spalla e chiede: - Giochiamo? –
Quel giorno, le pietre preparate per ferire servono per giocare a bocce.
Più a nord, nella fredda Sarajevo una donna sta per partorire un figlio, frutto della violenza e destinato all’abbandono. La ragazza non vede l’ora di sbarazzarsi di quell’essere, che l’ha invasa e fatta soffrire oltre ogni immaginazione. E Gesù diventa Irma, una bambina mussulmana, che la madre ha deciso di allontanare da sé senza uno sguardo. Ma Irma, appena nata spalanca due occhi incredibili: innocenti e saggi, come se conoscesse tutta la storia del bene e del male. Con la manina afferra l’indice della madre, che è costretta a voltarsi verso di lei. Allora, come per incanto la rabbia si trasforma in pianto: Il pianto lava via il dolore, l’umiliazione, l’odio e lascia solo la vita. La ragazza si sente mamma e stringe a sé quell’incredibile figlia dagli occhi saggi e innocenti.
E’ l’alba. Un’alba calda e umida alla periferia di Manaus, quando Conchita si sveglia. Conchita ha appena nove anni, ma già lavora. Un lavoraccio pesantissimo: il suo corpo viene usato per il piacere dei minatori della zona. Anche quel giorno il camioncino passerà e la caricherà insieme ad altre bambine e ragazzine di quella città piena di gente e di miseria. Oggi si sente diversa però, più forte e più ribelle, come scossa dal torpore nel quale abitualmente vive.
Mr. O’Connor è già nella strada e strombazza il clacson per sollecitarla. Conchita prima pensa di non andare, di nascondersi, poi pensa alla sua famiglia che ha bisogno di soldi per mangiare e alle sue compagne di sventura e decide di organizzare qualcosa con loro. Vede la situazione chiaramente e capisce che non può più sopportarla. Sale sul camion che si avventura nella foresta. Le ragazzine dietro nel cassone sono assonnate, tristi e intorpidite e si lasciano sballottare come sacchi senza vita. L’autista urla: Cantate qualcosa voi laggiù. Forza, un po’ di allegria. - Le bambine come automi iniziano una nenia, ma Conchita ordina: - Zitte, non abbiamo motivo di cantare. - Vi piace la vita che facciamo? – La nenia si smorza e qualcuna risponde timidamente: - No. - Altre aggiungono: - Ci fa schifo. – Altre ancora: - Ma moriremo di fame se non lavoriamo. – Ascoltatemi – mormora Conchita Io non ci sto più. Dobbiamo trovare una soluzione. –
Appena il camion rallenta al guado, scappiamo via. – esclama una bimba.
- E poi? Ci perderemo nella foresta. – replica una più grandicella.
- Non c’è scampo – mormora tra le lacrime la più giovane.
- No, non è vero. Non so ancora come fare. – riprende Conchita - Intanto preghiamo. Lo conoscete quell’inno alla Madonna che ci hanno insegnato alla Missione? Incominciamo a cantare. Forza! –
“Bella sei come il sole
bianca come la luna
e le stelle, le più belle
non son belle
al par di Te…”
Le voci, prima incerte e tremanti acquistano via via forza e sicurezza e le parole dimenticate ritornano in mente sull’onda della musica.
All’autista, per un attimo, sembrò di tornar bambino a Dublino, quando sua madre lo teneva per mano nella chiesa tra i fumi dell’incenso e la musica dell’organo. Quanto tempo era passato? Più di una vita gli sembrava. Era talmente cambiato un’altra persona. Quelle stupidelle gli facevano venire il nodo alla gola, come si permettevano? Le avrebbe messe a posto lui adesso.
O’ Connor frena, scende dal camion e di nuovo i ricordi lo subissano. E’ Natale oggi. Questo pensiero lo fulmina e gli impedisce di mettere in atto le sue intenzioni. Lentamente guarda le ragazzine ad una ad una, mentre cantano, e vede le loro facce, la loro età, la loro miseria.
Ragazze, torniamo indietro. Oggi ve la pago io la giornata e.. tra quindici giorni non so. Arrangiatevi perché io non passerò più a prendervi per portarvi alla miniera. -
A Mogadiscio il camion della Croce Rossa distribuisce pane, zucchero, latte e frutta. La ressa e il vociare attorno sono assordanti e permettono solo ai più forti di avvicinarsi.
Alì è stanco morto, cammina non sa più da quanto. Ha abbandonato il villaggio, la sua capanna bruciata, i suoi genitori morti, ha camminato verso la speranza di sopravvivere. Ormai non ha neanche più fame, vorrebbe solo stendersi e dormire. Qualcuno vicino a lui lo fa, cade a terra senza più forze. E’ un bambino più piccolo di lui, più malconcio. Alì si fa forza, si trascina verso quelle donne con la cuffia in testa e il sorriso sul viso. Allunga una mano, riceve pane frutta, latte. Di colpo gli è tornata la fame, vorrebbe mangiare tutto subito, non fare neppure un passo, ma non può. Una forza sconosciuta lo fa tornare indietro. Raggiunge il bambino a terra, a fatica gli bagna le labbra con il latte, poi sempre di più, finché quello apre gli occhi e beve. Ora anche lui può mangiare e bere. Anche Alì sorride, come le donne con la cuffia, chissà perché, si chiede.
E Gesù quell’anno a Natale fu Omar, fu Irma, fu Conchita, fu Alì.. fu Salvatore, Enrico, Annamaria e… Chissà forse Gesù sei stato anche tu. Non te ne dimenticare.
di DA BOTTINI
Rapallo, 23 Dicembre 2019
TAGAN - IL COLTELLO GENOVESE
TAGAN
IL COLTELLO GENOVESE
Il coltello é, probabilmente, lo strumento più antico nella storia dell’uomo.
Il coltello (dal latino cultellus, diminutivo di culter (cioè coltello dell’aratro). La lama é stata utilizzata come utensile ed arma dall'età della pietra, all'alba dell'umanità. Gli antropologi ritengono che il coltello sia uno dei primi attrezzi progettati dagli esseri umani per sopravvivere.
Le prime lame erano di selce o di ossidiana, scheggiata o levigata ad un bordo, a volte dotate di un manico. Più tardi con gli sviluppi della fusione e della metallurgia le lame sono state sostituite prima dal rame, poi dal bronzo, dal ferro e infine dall’acciaio.
L'importanza dei coltelli come arma è un po' oscurata dalla nascita di armi più efficienti e specializzate, ma una lama è in dotazione dei militari di qualsiasi esercito al mondo.
Dopo questa inevitabile premessa, si può tranquillamente affermare che ogni nazione al mondo abbia sviluppato nel tempo un proprio originale coltello che sopravvive nella tradizione popolare e nella propria storia.
Lo sapevate che il TAGAN fa parte della Storia di Genova?
A partire dal X secolo, a Genova si formò una
Scuola di Scherma Genovese
che prevedeva l’uso di armi tipiche come appunto il coltello genovese, la spada d’abbordaggio genovese e lo spadone genovese.
Questa é la versione moderna del TAGAN
TAGAN - Coltello genovese di lusso
Versione originale di un TAGAN ritrovato e restaurato
Fonti archivistiche riportano la presenza, fin dalla seconda metà del XII secolo, di un'arte dei coltellieri.
In latino l'arma veniva chiamata cultellus januensis. Coltelli di foggia simile si trovano anche in altre parti d'Italia e Corsica e nelle colonie genovesi d’oltremare, tanto così che spesso l'arma viene denominata coltello alla genovese o all’uso Genovese. Si tratta di un coltello che, oltre che essere stato utilizzato nelle varie attività della vita quotidiana dei genovesi, rappresentava anche un'arma di facile impiego e che spesso veniva utilizzata, purtroppo, in episodi delittuosi sia da persone comuni che da malavitosi. Proprio per questo il suo uso venne in varie occasioni limitato o proibito dalle autorità cittadine. Ad esempio il 9 settembre 1699 il Consiglio dei X della Serenissima Repubblica di Genova assunse uno specifico provvedimento per rinnovare la proibizione dell'uso di tale coltello nella zona del porto.
I genovesi dell’epoca cercarono di camuffare da utensile questo tipo di coltello, ad esempio facendolo passare da attrezzo per conciatori o sellai, in modo da eludere le leggi che vietavano la produzione nella Repubblica di "ferri taglienti". Tale produzione, nonostante le limitazioni, era però diffusa e anche piuttosto apprezzata. Il coltello genovese è caratterizzato da un manico privo di “guardia” con la base marcatamente stondata (smussata, arrotondata).
La lama può essere di varie lunghezze ed è dritta, appuntita ed in genere a un filo e mezzo, ovvero affilata oltre che nella parte inferiore anche nella zona anteriore di quella superiore. Per realizzarne il manico a volte veniva utilizzato il legno di bosso.
Se volete saperne di più su quest'arma, vi segnaliamo la principale opera sull'argomento: A. Buti, "Il coltello genovese. Storie di lame, di armi proibite e di caruggi", Genova 2011.
Orgoglioso senese della "contrada del Nicchio", genovese d'adozione e collezionista da sempre, il professor Andrea Buti, già docente di tecnica delle costruzioni presso la facoltà di architettura, ha ricostruito attraverso la storia di un oggetto particolare, il coltello genovese, una parte inedita e misconosciuta della storia della Superba.
“Nel 1600 e nel 1700, ma già da prima, Genova fu al vertice della produzione e commercializzazione di armi da taglio proibite. I coltelli genovesi appunto, lame micidiali, simili a stiletti, furono messe al bando dal governo della Repubblica e da molti antichi Stati italiani. Vi fu un tempo in cui l'arte dei coltellieri, fondata a Genova nel 1262, annoverò fino a 329 iscritti. Esisteva in città il molo dei coltellieri in fondo a via S.Lorenzo, ma anche una ripa e una loggia dei coltellieri che pullulavano di botteghe in cui si affilavano le lame forgiate con l'acciaio delle ferriere dell'entroterra, a loro volta rifornite col ferro dell'Elba.
Si può ipotizzare che non ci fosse uomo del popolo o dell'aristocrazia genovese che non possedesse un tipico coltello a stiletto, infilato nei calzoni, o celato dentro un'altra arma a punta stondata e apparentemente inoffensiva, magari camuffato da attrezzo per cucire le vele. Il coltello genovese, fu la "spada del popolo", l'arma dei sicari molto prima delle pistole. La statua della Vergine, posizionata per la prima volta nel 1654, era in bilico. Quando fu rimossa sotto due tonnellate di marmo furono ritrovati incastrati alcuni coltelli. Erano stati lasciati come atto votivo dalle maestranze del '600. Li consegnai al museo Diocesano. Ma è l'unico esempio, - si duole Buti- di coltelli genovesi musealizzati”.
Per il resto nulla, questa città continua a ignorare la storia di una sua antica e significativa industria manifatturiera. Lo ha fatto anche quando ho proposto a enti locali di patrocinare il mio volume che peraltro aveva già un editore. Niente, la città è fatta così.
Buti si riferisce a "Il Coltello genovese: Storia di lame, di armi proibite e di caruggi", il volume di cui è autore, appena pubblicato dalla Casa d'aste San Giorgio (100 €), specializzata in armi antiche. Non un catalogo, ma un "mixage", composto da 146 pagine di testo divulgativo, in cui vengono definite le caratteristiche tipiche del coltello genovese rispetto ad altre armi bianche, si ricostruisce la storia materiale dell'oggetto attraverso documenti, spesso inediti, degli Archivi di Stato di Genova e Savona e si rievocano celebri delitti del passato come gli omicidi del pittore Pellegro Piola e del compositore Alessandro Stradella.
Seguono 263 pagine di schede di esemplari di collezioni private o appartenenti a musei, non genovesi. Il volume è illustrato da foto e raffinati disegni. E' in vendita alla casa d'aste a palazzo Boggiano-Gavotti in via S.Lorenzo.
Nella prefazione Vito Piergiovanni, professore di storia del diritto medievale e moderno alla facoltà di giurisprudenza, scrive:
"Sul pesto non avevamo dubbi, sui cantautori anche, ma che si potesse vantare una peculiarità anche negli oggetti da taglio, utensili ed armi volta a volta, in realtà ci sfuggiva. Davvero Genova antica non finisce di stupire!
Il coltello a lama mobile fu sempre arma popolare: a causa dell'ingombro limitato e del costo ridotto, e a causa delle discriminazioni sociali o legali che riservavano il porto delle armi bianche lunghe ai soli nobili. Il “fenomeno” divenne macroscopico quando le autorità decisero, invocando ragioni di pubblica sicurezza, che il popolo non potesse portare armi. Ma, nel caso dei coltelli, divenne arduo stabilire il limite oltre il quale cessavano di essere utensili e diventavano armi, né dall'altra parte il popolo poteva rinunciare, oltre che a un utensile di indubbia utilità, a un'arma da difesa cui si era ormai abituato. Ne seguì una lunga diatriba che vide l'autorità impegnata a proibire le lame eccedenti una certa lunghezza e il popolo industriarsi per forgiare lame sempre più corte, ma di fogge all'occorrenza estremamente pericolose. Come quelle a foglia di salvia, veri pugnali larghi e a doppio taglio, o quelle a foglia di olivo, strette e molto acuminate. Un tipico esempio fu il coltello “alla genovese” che ebbe larga diffusione nell'Italia del XVII secolo e che in pratica riprendeva la spada “alla frantopino” bandita in numerosi Paesi d'Europa per l'insidiosità. Il coltello aveva un'impugnatura in legno o corno e una lama larga al tallone, che si assottigliava decisamente nel debole a formare uno stiletto a quattro facce con punta acutissima. Venne bandito anch'esso, ma poi riprese forma con una cruna che attraversava la punta e destinazione d'uso - ufficiale - di strumento da sellaio. Poteva perciò essere portato da chiunque dal momento che il cavallo era l'abituale mezzo di locomozione. In Italia i centri di produzione di coltelli, soprattutto a lama mobile, a causa della frammentazione politica del Paese e anche della scarsa circolazione dei prodotti, furono numerosi e ognuno creò proprie tipologie. La ricchezza di forme “italiane” non trova riscontro in altri Paesi europei, sia per il coltello con caratteristiche offensive sia per quello inteso come strumento di uso quotidiano. La scherma di daga e stiletto, insegnata dai maestri d'armi nel periodo che andava dal XIV secolo all'XIX, nel XVII secolo condizionò la creazione di metodi di maneggio che poi si svilupparono in un'arte raffinata ed efficace, continuando poi a evolversi nei miglioramenti sino ai primi decenni del XX secolo. Le regioni del nord Italia, in parte quelle centrali, alcune meridionali e insulari, erano prive di maestri, ma esistevano persone che possedevano solo la conoscenza di poche, definitive, azioni tecniche. L'apprendimento di tali tecniche era detenuto sia dalla malavita, sia dalla normale popolazione. Lo sviluppo di una vera arte di maneggio del coltello si verificò invece in sei regioni: Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Corsica. Nelle scuole (ovviamente clandestine) dove s'insegnava ad adoperare il coltello, si seguiva un preciso metodo diverso da regione a regione. Spesso poi gli allievi elaboravano nuove interpretazioni delle azioni tecniche che differivano da quelle dei maestri e capiscuola. Accadeva così che in una stessa città o cittadina, oltre a uno o due metodi principali, ve ne potevano essere altri “contaminati”. Il ritardo, rispetto a vari altri Paesi europei, nel passaggio all'industrializzazione (o almeno a una produzione semi-industriale) nel settore della coltelleria, ha consentito una più lunga sopravvivenza di tipologie legate alla fabbricazione artigianale. I centri di produzione ancora attivi sono Maniago (Pn), sicuramente il più fertile oggi (ma quasi privo di connotazioni tradizionali), nato intorno al 1400, Premana (Co), specializzato soprattutto nelle forbici, Scarperia (Fi), che risale al 1400 fin da principio con la coltelleria, i cosiddetti “ferri taglienti”, Campobasso e Frosolone (Is), anch'essi molto antichi, Pattada (Ss), molto più recente (fine XIX secolo)”.
CARLO GATTI
Rapallo, Mercoledì, 11 Dicembre 2019
METTITI CON LA SCHIENA AL VENTO NELLA POSIZIONE DEL CROCIFISSO…
METTITI CON LA SCHIENA AL VENTO NELLA POSIZIONE DEL CROCIFISSO…
Pochi giorni fa, verso le 15, Rapallo fu investita da una burrasca fortissima che ha prodotto danni ingenti e smottamento di massi per i quali ancora oggi siamo costretti a girare per le colline prima di poter scendere a valle. Ma questo non vuole essere un MUGUGNO… e poi contro chi?
Per fortuna quella serie di bombe d’acqua durò solo due ore…
La cosa più strana, ma non troppo, é che secondo l’ARPAL meteo di Genova, in quel pomeriggio stava splendendo il sole …
Nulla di nuovo sotto le stelle! Alcuni anni fa si diceva che le Previsioni del tempo basate su modelli matematici indovinavano soltanto una percentuale del 40%. Per cui si disse con qualche ironia e molte verità, che il problema poteva essere in parte risolto diffondendo previsioni opposte e contrarie a quelle emesse tramite i dati satellitari ottenendo in questo modo almeno il 60% di verità.
A quel punto, un familiare che si fida ciecamente dei dati forniti dal suo cellulare ultimo tipo mi ha chiesto:
Ma come hai fatto a ritornare sempre a casa dai tuoi viaggi con queste indecenti previsioni del tempo che lo Stato (Regione) fornisce e che, sicuramente, ai tuoi tempi erano ancora peggiori?
Ai miei tempi il Comandante si fidava solo di quello che vedeva: onde, vento, colore del mare, tipo di nuvole, volo dei gabbiani ecc…, ma soprattutto era un barometro dipendente. Per lui quello strumento era la voce di Dio. Ne aveva uno sul Ponte di Comando: il barografo, che gli metteva per iscritto l’andamento del tempo, uno in cabina e un altro nella sala da pranzo. Se la lancetta dello strumento tendeva ad abbassarsi faceva una smorfia preoccupata perché, secondo lui, stavamo andando verso una bassa pressione che era da evitare, specialmente se la rotta della nave poteva incrociare il suo centro.
OK! Ma chi vi forniva il Bollettino del tempo? E su cosa si basava?
Le grandi città marittime italiane e straniere disponevano di Stazioni Meteo Costiere che emettevano bollettini del tempo su date frequenze e a determinati orari. I dati emessi erano basati sulle osservazioni effettuate da specialisti dell’Aeronautica Militare per ogni zona del Mediterraneo oppure degli Oceani. Anche le navi oceaniche erano considerate Stazioni Meteorologiche ed avevano l’obbligo di compilare accuratissimi moduli meteo (OBS-AMVER ecc…) che dovevano essere inviati, via Radio, a ben noti Centri Internazionali che elaboravano i dati ricevuti e li trasformavano nelle previsioni del tempo che poi venivano diffuse e captate dalle navi in navigazione.
Mi stai dicendo che l’uomo di mare, prima dell’era satellitare, si fidava di ciò che un osservatore vedeva, elaborava e riferiva?
“Proprio così! Ma il Comandante di una nave, solo in mezzo al mare, doveva fidarsi soprattutto di sé stesso, con le sue personali osservazioni basate esclusivamente sulla propria esperienza”. I Bollettini Meteo che il Marconista (R.O.) di bordo riceveva e consegnava al Comandante erano di grande aiuto e affidabilità, tuttavia, chi ha navigato lo sa bene: esistono aree costiere, ma anche atlantiche in cui le condizioni meteo locali subiscono notevoli “variabilità” dovute a correnti aeree e marine fredde oppure calde, aree cicloniche che si formano velocemente e prendono direzioni poco prevedibili che vanno seguite in tempo reale”.
Ritornando dalle nostre parti, tutti sanno quanto il Mediterraneo sia insidioso un po’ dappertutto specialmente con la “rottura dei tempi”. Ma era davvero così importante il barometro? Possibile che non ci siano anche segnali visivi, premonitori che mettano in guardia il marittimo su cosa può capitargli?
“La materia é vecchia migliaia di anni… ma devi sapere che dopo ogni naufragio la gente di mare sopravvissuta ha imparato qualcosa… forse di non scritto, ma sicuramente di tramandato ai posteri. Di questa materia é formata l’ESPERIENZA… alla quale mi riferivo all’inizio.
Ricordi un aneddoto di quei tempi?
La motonave Vulcania in procinto di partire dalla stazione marittima di Trieste alla fine degli anni Venti; in servizio dal 1928 al 1972, fu una delle navi di linea più longeve della storia.
“1962, ero al mio secondo imbarco da Allievo ufficiale sul transatlantico VULCANIA, abbastanza datato, ma di grande prestigio, per di più era dotato di una strumentazione up-to-date per l’epoca: Loran, Omega e due enormi Radar Raytheon. Il Comandante Peranovich, in pieno Atlantico Nord Atlantico abbastanza incazzato, mi ordinò di rilevare il vento servendomi del ripetitore della bussola sull’aletta di plancia.
Visto che gli Allievi Ufficiali non contavano granché… ho pensato che mi prendesse per il c… Poi capii che faceva sul serio perché ordinò al 3° Ufficiale di venirmi a controllare…
Da poco uscito da scuola, avevo la testa piena di Rette di Altezza, formule trigonometriche imparate a memoria ed una infinità di nomi di stelle che in parte ormai conoscevo, ma nessuno mi aveva mai ordinato di rilevare il vento in quel modo e con quella precisione maniacale!
Vista la mia sorpresa, il 1° ufficiale anziano a cui ero stato assegnato, mi prese da parte e mi diede la seguente lezione di meteorologia.
PREMESSA:
In meteorologia la legge di Buys Ballot (dal nome del fisico olandese Christophorus Buys Ballot) afferma che un osservatore nell'emisfero boreale piazzato spalle al vento si trova l'area di depressione davanti a sinistra e di alta pressione dietro a destra, il che significa che l'aria circola in senso antiorario ...
N.B. Nell’emisfero SUD é tutto il contrario.
“Hai mai sentito parlare della legge di BUYS BALLOT?”
“Ho avuto degli ottimi professori, ma nessuno di loro aveva navigato!”
“Si tratta della legge scientifica che per la sua praticità serve maggiormente a chi va per mare in qualsiasi parte del globo terracqueo; già anche in terra! Siamo nell’emisfero Nord.
Se ti metti con le spalle al vento, nella posizione del Crocifisso, l’ALTA PRESSIONE E’ A DESTRA E LA BASSA PRESSIONE E’ A SINISTRA.
Se t’infili nell’area depressionaria ciclonica, il vento ti spinge verso il centro, nell’occhio del ciclone. Devi quindi cercare di evitarla, cioè devi eventualmente correggere la tua rotta ed allontanarti.
Al contrario, l’Anticiclone (alta pressione) tende ad allontanarti dal suo centro: si può dire che é una forza centrifuga ottimale che ruota nel senso delle lancette dell’orologio.
Quindi anche quando sono in casa, in base al vento che soffia, se mi metto con la schiena al vento so sempre dove si trova la Bassa Pressione che, specialmente di questi tempi, fa paura…
CONCLUSIONE
Forse anche nel campo Meteorologico bisognerebbe ritornare un po’ all’antico e anziché guardare il cellulare verso il basso, sarebbe meglio scrutare gli elementi variabili del creato, allo stesso modo come quando “fissiamo” una persona in faccia per capire di che umore sia …
di CARLO GATTI
Rapallo, Venerdì 6 dicembre 2019
I DEFUNTI DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO
I DEFUNTI
DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO
SILVANO MASINI
Nacque a Genova nel 1935. Con Silvano abbiamo scritto a quattro mani: “CON LE BARCACCE NEL CUORE”. Silvano ci ha lasciati il giorno della 1° presentazione del nostro libro. Era il 27 luglio 2007. Gli telefonai e con un fil di voce mi disse: “Carlo mi dispiace di non poter venire, ma proprio non ce la faccio. Mi raccomando il nostro libro, pensaci tu”. Dopo qualche ora partì per il suo ultimo viaggio. Quel giorno lo ricordo come uno dei più tristi della mia vita. Silvano aveva appena compiuto 73 anni. Direttore di macchina con la Soc. RR, era una persona molto colta, amava il mare, i rimorchiatori, la musica classica.
In tarda età Silvano si laureò in Storia Medievale. Silvano, con il suo incredibile entusiasmo e professionalità, avrebbe voluto e potuto dare ancora tanto alla nostra Associazione marinara.
Ne siamo certi, da lassù Silvano continuerà a “spingere” sulla nostra vela.
STEFANO RISSO (Nitti)
STEFANO RISSO - nacque a Taranto nel 1934 per ragioni “belliche”, come diceva lui scherzosamente, in quanto suo padre in quel periodo era ufficiale di Marina in quella Base Militare. Ma la sua famiglia, da diverse generazioni, era originaria del Rione Scogli di Chiavari. E’ mancato a Sestri Levante il 28 Dicembre 2014 all’età di 80 anni.
Stefano Risso, conosciuto da tutti col nomignolo “Nitti”, era figlio di Luigi Risso, Tenente di Vascello della Regia Marina, scomparso in mare nel settembre 1940 a bordo della torpediniera Palestro. Fu insignito della medaglia d’argento al Valor Militare, a lui è intitolata via L. Risso nel suo Rione Scogli, a-Chiavari.
Laureato in ingegneria Navale, ha vissuto 43 anni di matrimonio con Andreina Varani, che lo ha assistito con una commovente dedizione fino all’ultimo istante della sua vita. Personaggio poliedrico che, oltre ad aver acquisito un indiscutibile successo professionale, ha saputo concretizzare la sua creatività per il disegno e per il modellismo navale; aveva una memoria di ferro e grazie ad essa teneva seguitissime conferenze alla Lega Navale italiana.
UMBERTO RICCI
Siamo nati lo stesso anno. Con Umberto (Berto) ho compiuto tutto il percorso scolastico, dall’Asilo, alle Medie e poi al Nautico di Camogli. La vita ci ha visti impegnati su ROTTE diverse, ma quando divenne DIACONO avevamo una specie di appuntamento settimanale … proprio in questa Chiesa, ed io prendevo l’OSTIA solo da lui e poi ci stringevamo la mano.
Umberto é mancato Venerdì 24 Gennaio 2014, aveva 73 anni, era ricoverato all’Ospedale di Lavagna.
Umberto Ricci, come tutti sanno, é stato un politico e storico che s’impegnò con AMORE per la citta di Rapallo, nacque il 29 Aprile 1940, navigò come allievo capitano di macchina, si imbarcò poi sulle navi per l’America, fu anche collaboratore di Monsignor Daneri, Arciprete di Rapallo e, per 40 anni, fu addetto sociale del Patronato e fondatore dei Volontari del Soccorso di Sant’Anna, presidente del Corpo Bandistico Città di Rapallo. La sua carriera politica nella DC lo vide anche consigliere comunale e assessore del Comune di Rapallo, conobbe anche Aldo Moro e Giulio Andreotti. Il vuoto che Berto ha lasciato non verrà mai colmato.
ELVI SBARBARO-MARTINI
La nostra cara Amica ELVI é mancata il 30 gennaio 2014 all’Ospedale di San Martino (Ge) dopo un breve ricovero. ELVI era una Camoglina doc con il sangue impregnato di tradizioni dialettali e marinare, viaggiava spesso con la nave al comando del marito Guido. Amava la sua Camogli e s’iscrisse con suo marito alla nostra Associazione perché adorava le Storie di Mare che noi le raccontavamo. Donna intelligente e simpaticissima, ci ha lasciato tanti ricordi legati ad incontri di natura culturale-marinara e di allegria conviviale. La sua casa sul porto di Camogli era diventata la sede distaccata di Mare Nostrum per gli EVENTI marinari e non solo della sua città.
MARCO LOCCI
MARCO LOCCI - È salito a bordo per l’ultimo viaggio, il più misterioso, senza nemmeno avere il tempo di preparare il suo baule da marinaio. Così, all’improvviso, tradito da un insulto cardiaco nella sua casa di San Massimo, il 5 maggio 2015 se ne è andato Marco Locci, pittore di navi e non solo. Marco é stato una delle colonne di Mare Nostrum Rapallo con le sue numerosissime mostre.
Nacque a Genova nel 1951 ed intraprese la carriera artistica all’inizio degli anni Settanta quando, giovane studente di Architettura, venne rapito dai fermenti culturali del periodo. Nel 1976 entrò nel Gruppo Miloto. Marco cominciò ad organizzare performances e installazioni, ad allestire documenti fotografici, a progettare improbabili modelli di fantasiose macchine volanti.
Sempre in quegli anni prese forma l’epopea dei Patanchi, immaginario popolo lillipuziano che affolla, come un esercito di nere formiche, tavole e tavole di una mitologia personale colma di meraviglia e di sorridente ironia. Locci descrisse l’universo dei Patanchi con la minuzia di un etnografo dell’Ottocento sbarcato su un’isola remota oltre l’orizzonte.
Questo gusto del viaggio per mare, tra insidie e incanti, domineranno la pittura di Locci a partire dagli anni Ottanta. Le navi diventano protagoniste, anzi, il pittore diventa “ritrattista” di navi, personaggi che con carni di legno e di acciaio solcano il mare oscuro. Spavalde e fragili. Sole come tutti noi. Marco vinse molti premi come pittore di navi. I suoi quadri sono famosi in tutto il mondo.
AMEDEO DEVOTO
AMEDEO DEVOTO - Il Poeta dell’immagine - Nato a Chiavari l’8 settembre 1935 si è spento nella notte del 6 Dicembre 2013. Amedeo Devoto, pittore e artista eclettico originario del Rione Scogli a Chiavari. Aveva 78 anni e da tempo era sofferente a causa di una grave malattia. Il decesso è avvenuto nell’Ospedale di Sestri L.
Amedeo Devoto aveva dedicato la sua vita artistica al Rione natio degli Scogli, con grandissima dedizione e impegno fino al punto di diventarne uno dei protagonisti più affascinanti della sua importante storia marinara.
Uomo semplice e discreto, appassionato di arte pittorica, seppe estendere la sua competenza professionale anche ad altri campi: l’incisione, la progettazione navale, la meccanica, la costruzione di strumenti musicali e la modellistica. Nel 2006 la Società Economica di Chiavari gli conferì il Premio Turio-Copello.
Fin dagli albori del nascente Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, Amedeo Devoto fu uno tra gli artefici principali della progettazione, sviluppo e realizzazione finale dell’istituzione che oggi é Museo Statale. Ha lasciato la moglie Ida, i figli Stefania, Elisa, Nicola, Renzo, e un vuoto incolmabile tra i tanti amici e conoscenti. Amedeo Devoto subentrò a Marco Locci come curatore artistico delle annuali Mostre al Castello.
CLAUDIO MOLFINO
CLAUDIO MOLFINO - All’età di 58 anni é mancato prematuramente il 4 maggio 2017, lasciando nel dolore la moglie Stefania e la sua adorata figlia Clarissa. Fu Socio fondatore di Mare Nostrum, di cui è anche il creatore del logo. “Persona tanto buona e brava quanto modesta” – Così potremmo definire Claudio, che non voleva mai apparire, ma lavorava tanto e bene dietro le quinte. Egli era molto ironico e come tutte le persone intelligenti era anche allegro e sempre di buon umore. Claudio amava definirsi un appassionato d’arte, ma i suoi scritti sul mensile IL MARE rivelarono ben presto una vasta cultura da vero esperto e critico in questo ambito; grande era l’amore che esprimeva con la divulgazione delle opere pittoriche e scultoree delle nostre chiese e persino nelle pievi più nascoste del nostro comprensorio. Claudio, anche quando non poteva esporre la sua consueta Mostra fotografica a causa di lavori in corso o per inagibilità del suo locale, amava talmente Mare Nostrum che la viveva in nostra compagnia dalla apertura sino alla chiusura del cancello, seduto accanto a noi rinunciando ai suoi numerosi impegni quotidiani. Egli era attratto dalle avventure e vicissitudini degli uomini di mare, da noi raccontate in innumerevoli conferenze, esperienze che lui amava rivivere attraverso i nostri volti e le nostre parole. Nel suo animo, Claudio aveva molte “incrostazioni di salino” e si sentiva intimamente un uomo di mare, uno di noi.
RINO CASARETO
RINO CASARETO - venerdì 25 maggio 2018 è mancato il socio Rino Casareto di Camogli, fratello del nostro caro socio Nino Casareto, entrambi Amici e Sostenitori molto presenti di Mare Nostrum Rapallo.
Rino è stato in gioventù un buon pallanuotista, un esemplare uomo di mare, un valente Comandante di navi ed in seguito, come suo fratello Nino, un MAESTRO di Pilotaggio nel Porto di Spezia. Rino era anche un grande appassionato di Storia Navale, come tutti noi, ma soprattutto uno sposo ed un padre eccezionale e, per noi uomini di mare come lui, un carissimo compagno di Avventure ed anche di sofferenze sempre condivise nelle nostre lunghe conversazioni! Rino ci manca e ci mancherà sempre!
SCIPIONE D’ESTE
SCIPIONE D’ESTE - Venezia 1963 - Rapallo 13 novembre 2018 – Il giorno della sua ascesa al cielo, l’intera città di Rapallo cadde nel più profondo dolore. Presidente del consiglio d’amministrazione della cooperativa Letizia Tallini, aveva praticamente salvato l’Istituto Gianelli quando l’Istituzione scolastica rapallese era entrata in crisi. Persona di grande sensibilità, generosità ed altruismo, era particolarmente apprezzato e stimato come professionista e per essere stato un grande Uomo, un Padre e Marito esemplare. Per il grande Amore dedicato all’Istituto Gianelli di Rapallo, così é stato scritto: “Senza la forza che hai profuso alla nostra scuola oggi non solo avremmo perso te ma, il Gianelli come lo abbiamo conosciuto, vissuto e amato non esisterebbe più”. Ha lasciato nel dolore la moglie Hanna, i figli Sofia, Camilla e Leonardo e naturalmente tutti noi parenti e amici che lo abbiamo conosciuto da vicino come tesoriere di Mare Nostrum, appassionato di storie di mare, esperto velista, collezionista di cartoline antiche di Rapallo che amava dal profondo del suo animo.
EMILIO CARTA
EMILIO CARTA - Rapallo 1946 - Lavagna 2 dicembre 2018 é mancato il giornalista Emilio Carta, colui che aveva gestito per molti anni l’Ufficio Stampa del Comune di Rapallo. E’ stato un operoso corrispondente del Secolo XIX, conosciuto e benvoluto dall’intera città di Rapallo e non solo.
Emilio Carta ha dedicato numerosi libri alla storia della nostra città e alle sue tradizioni; al mare, alle navi e alla navigazione alla quale dedicò pagine letterarie bellissime, ma volle concludere la sua esistenza con la scrittura di tanti romanzi gialli che avevano, come marchio letterario, lo sfondo storico reale ed uno scenario rivierasco. Emilio era un vulcano di idee e di progetti che poi concretizzava nonostante un male incurabile che lo martirizzò con 33 interventi. Operazioni che lui, la sua Marziana e la figlia Valentina affrontarono con estremo coraggio e stoicismo fino all’ultimo momento della sua vita. E’ stato direttore di molte testate giornalistiche, ma quella che ha amato di più é stata IL MARE.
Mare Nostrum Rapallo nacque dal nulla, per una sua idea che seppe sviluppare e portare avanti per circa 30 anni. Sul sito della nostra Associazione, si trova tutto il suo operato di giornalista, scrittore ed eccelso organizzatore di EVENTI, MOSTRE, CONVEGNI insieme ai suoi Amici e collaboratori. Rapallo non potrà mai dimenticare il suo OPERATO, la sua SIMPATIA ed INTELLIGENZA.
CONCLUDO: rivolgendo il nostro fraterno pensiero ai nostri carissimi COMPAGNI DI VIAGGIO, che hanno lasciato MARE NOSTRUM RAPALLO nel corso di questi anni per salire al CAELUM NOSTRUM che un giorno ci rivedrà ancora una volta insieme dove:
il naufragar m’é dolce in questo mare!
Cicerone diceva che “la vita dei morti sta nella memoria dei vivi”. Ebbene, cari AMICI, Voi ci avete lasciato increduli ad affrontare un enorme vuoto, ma abbiamo la certezza che rimarrete sempre nella nostra mente e nei nostri cuori!
COMUNICAZIONE
Giovedì 12 Dicembre 2019, alle 17.30 presso la Chiesa di San Francesco verranno commemorati i DEFUNTI dell’Associazione Mare Nostrum Rapallo. La Messa sarà celebrata da padre Francesco Fissori.
Alle 20.00 seguirà la CENA DI NATALE presso la nostra sede: HOTEL EUROPA
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Gennaio 2019
MATRIOSKA - Poesia
MATRIOSKA
Dipinto di Marco LOCCI
Non so quando nascerai figlio mio
E se sarai sano, forte, amato.
Posso solo tenerti qui. Avvolto. Con ogni tempo. Con ogni vento.
Nascosto agli sguardi.
Germoglio di vita.
Da quando le gru scavano la terra e le prime timide radici si scrivevano di te tra le zolle, io c’ero. E sto qui.
Stiracchiati tranquillo anche stamattina.
Allungati, trave su trave, un mattone sull’altro.
Punta il ditino al cielo, mentre gli sorridi.
Non vedo l’ora di scomparire.
Perché solo allora tu apparirai.
E sarai madre e padre di risvegli e colazioni e addii.
Risate e urla ti squarceranno le mura. I baci sulle scale te le scalderanno.
Ti coloreranno l’aria i vasi di fiori sui pianerottoli.
E i panni stesi ti accarezzeranno i balconi.
Quando sarai tu spazio per l’altro.
Allora sarai vivo, figlio mio.
SELENE CATENA
Rapallo, 20 Novembre 2019
IL QUIETO AZZURRO -Poesia-
Vecchia immagine del Golfo di Rapallo
"IL QUIETO AZZURRO..."
Il quieto azzurro
della mattina di settembre
dilaga nel marino specchio
in un sospeso tempo
di fiori perduti
al maturar dei frutti.
Più lente
le vele scorrono
sul velario dell’orizzonte.
Nella conchiglia di silenzio
sosta la memoria
in finzione
di immobile presente.
di Maria Grazia BERTORA
Rapallo, settembre 2016
PAURA
PAURA
Mare buio
Mare scuro
Mare nero
Mare ostile.
Con te
affronterò la notte
o forse la morte.
Chissà se mani amiche
si tenderanno
e, pur non amandomi,
diranno
forza fratello
aggrappati.
Ada BOTTINI
Rapallo, 28 luglio 2019
LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO - Fu inventata a Camogli!
LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO
FU INVENTATA A CAMOGLI!
La magica serata si svolge sui piani alti di Camogli, ospiti del comandante Nino Casareto e della sua gentile consorte Raffaella, ormai é un rito che si protrae da molti anni per salutare l’estate che se va. Gli ospiti del "cenacolo" sono Ernani Andreatta con sua moglie Simonetta, Giancarlo Boaretto con sua moglie Paola e lo scrivente con sua moglie Guny.
Ma quest’anno, il comandante Nanni Andreatta e la sua cara Simonetta, ci danno l’occasione per entrare in punta di piedi all’interno dei lontani segreti che avvolgono ancora oggi l’origine della cosiddetta “Focaccia al formaggio di Recco”.
Lo spunto per questa anomala digressione deriva dall’incontro che essi hanno avuto di recente con un grande personaggio, il più noto maestro focacciaro al mondo:
Il camoglino GIULIO CASSINELLI
di cui ci occuperemo tra breve.
Cosa c’é di nuovo da scoprire?
La risposta é semplice, tutt’insieme siamo stati trasportati nella storia di questo FAVOLOSO nonché “antico” piatto locale che nacque, secondo fonti sacre ed accertate..., nel monastero Benedettino di San Fruttuoso di Capo di Monte (Camogli) nel 1189 per merito, appunto, di un Monaco originario di Camogli.
REGNO, SCRIGNO E TABERNACOLO DELLA FOCACCIA AL FORMAGGIO
1951 - Gilberto Govi nel saio di frate Angelo durante le riprese del film:
“IL DIAVOLO IN CONVENTO”
di Nunzio Malasomma liberamente tratto dalla novella “il miracolo” di Mario Amendola.
San Fruttuoso a fine 800. La spiaggia si formerà con l'alluvione e la conseguente frana del 1915.
In questo scrigno di natura incontaminata, si sono susseguiti nei secoli innumerevoli eventi: devastanti mareggiate, assalti saraceni e persino naufragi. Da qui sono passati santi e furfanti, eroi e tanti pescatori che mai si sono arresi alle avversità. Grazie a loro il borgo vive ancora, e fa sognare ogni anno migliaia di turisti che rimangono incantati dalla sua indescrivibile bellezza.
L’abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte vista in tutta la sua estensione. Intorno all'anno 1000, il Monastero passò ai monaci Benedettini per volere di Adelaide di Borgogna, vedova dell’imperatore Ottone I°.
San Benedetto da Norcia è il patriarca del monachesimo occidentale.
«Dovremmo domandarci», dice lo storico Jaques Le Goff, «a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce?».
Nel solco della sua Regola - Ora et Labora - sorsero nel continente europeo centri di preghiera, cultura e ospitalità per i poveri e i pellegrini, ma questa operazione venne compiuta ed esaltata con l’assorbimento graduale del mondo barbarico, che invadeva l’Europa, non da straccioni… ma con eserciti armati fino ai denti che passarono alla storia per le loro crudeli barbarie.
Paolo VI proclamò il Santo di Norcia:
Patrono d'Europa il 24 ottobre 1964
Già, tutti lo sanno, ma pochi lo ricordano!
Un monaco un giorno mi disse:
“La tua vita è fatta per fare cose grandi, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano le grandi cattedrali in totale anonimato…”
La focaccia al formaggio é solo una piccola tessera di un mosaico ampio come l’Europa, la cui valenza storica va oltre l’arte culinaria locale e le simpatiche dispute campanilistiche tra piccoli centri montani e non… che ne vantano la paternità. San Benedetto da Norcia ed i suoi seguaci c’insegnano ancora oggi che un “umile” focaccia cotta al forno senza lievito ed infarcita di stracchino può essere il crisma del simbolo unitario dell’Europa.
Perché si arriva a tanto?
Si narra che questo prodotto esisteva già all’epoca della terza crociata. “Era la Pentecoste di rose dell’anno 1189… la cappella dell’Abbazia di San Fruttuoso accoglieva i crociati liguri per un solenne Te Deum prima della partenza della flotta per la Terra Santa… Sulle bianche tovaglie di lino ricamate facevano bella vista i piatti di peltro e di rame, zuppiere di ceramica e di coccio colme di ogni ben di Dio: pagnotte di farro ed orzo impastate con miele, fichi secchi e zibibbo, carpione di pesce, agliata, olive e una focaccia di semola e di giuncata appena rappresa (la focaccia col formaggio)…”.
In tempi lontanissimi le popolazioni del Golfo Paradiso si rifugiavano nell’immediato entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni. Si narra che grazie alla possibilità di disporre di olio, formaggetta e farina, cuocendo la pasta ripiena di formaggio su una pietra d’ardesia coperta, venne “inventato” quel prodotto gastronomico che oggi conosciamo come “Focaccia di Recco col Formaggio”.
Sul finire del 1800, quando Recco contava circa 3.000 abitanti, ritroviamo la “Focaccia di Recco col Formaggio” nei cinque forni cittadini che campavano alla meglio vendendo esclusivamente le focacce liguri, uno di essi esiste ancor oggi (forno Moltedo). Alla fine dell’800 aprono a Recco le prime trattorie con cucina, ed a quei tempi la “Focaccia col Formaggio” veniva proposta unicamente nel periodo di celebrazione dei morti.
Grazie all’intraprendenza di “rechelini doc”, abili osti e fornai di allora divenuti importanti professionisti panificatori e ristoratori di oggi, la focaccia col formaggio vide il suo sviluppo commerciale e d’immagine. Con le loro capacità attirarono nelle osterie e nei forni recchesi il bel mondo d'inizio secolo diffondendo questo prodotto “principe” della gastronomia cittadina, (di quei tempi si ricorda che persino Guglielmo Marconi e l’Infanta di Spagna degustarono la focaccia col formaggio venendo appositamente a Recco).
GIULIO CASSINELLI
E’ il MITICO maestro panificatore camoglino nato nel 1936, maestro di intere generazioni di panificatori liguri.
Il “maestro” Giulio Cassinelli ripreso con la prima sfoglia trasparente…
Non ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Cassinelli, lascio quindi la parola ad una brava giornalista di Repubblica che lo ha intervistato e, naturalmente, al Comandante Nanni Andreatta che di recente lo ha filmato.
Fonte: Repubblica 2012 mettere il nome della giornalista
“DUE mattarelli di olivo, un tegame in rame e il "suo stracchino". Sono gli attrezzi del mestiere, gli ingredienti indispensabili che Giulio Cassinelli, il maestro della focaccia al formaggio di Recco, porta da sempre con sé in ogni angolo del mondo, quando deve preparare la sua storica e personale ricetta. Ha le mani in pasta da sessantaquattro anni, migliaia le persone tra clienti, amici e famigliari che hanno assaggiato la sua focaccia; un uomo che ha saputo portare un po' di made in Italy in giro per l'Europa. «Dalla Francia all'Olanda passando per la Germania - ricorda Cassinelli - ma abbiamo preparato la focaccia di Recco anche al Salone del Gusto per racconta la storia della nostra terra». Oggi a 83 anni il maestro continua a sfornare quella sfoglia sottile per rispondere alle richieste di amici di vecchia data o per insegnare ai giovani l'arte di un mestiere che porta con sé la storia di una cittadina e dei suoi abitanti. «I ragazzi sono il nostro futuro e vanno incentivati - ribadisce Cassinelli - mi piace poter trasmettere ai giovani il sapere di una vita e offrir loro una possibilità per la loro vita professionale». Tanti gli allievi che hanno seguito le sue tracce come i titolari del ristorante "Lo zio Erasmo", il forno della focaccia al formaggio di Voltri. Proprio da domani, e per ogni giovedì, prenderanno il via da qui i "giovedì bianchi" in cui si mangerà solo focaccia al formaggio, secondo la ricetta di Giulio Cassinelli che ha scelto il sedicenne Alessio Lo Piccolo, figlio del titolare del ristorante, come allievo e continuatore della tradizione legata alla focaccia. Un prodotto nato prima della scoperta dell'America che resiste indenne al trascorrere del tempo e agli effetti della crisi economica. «Una volta la focaccia al formaggio la chiedevano solo in occasione della festa dei Santi e per il due novembre - ricorda il fornaio - la portavo direttamente a casa dei clienti. Erano anni in cui si lavora sette giorni su sette ma oggi si producono quantitativi di gran lunga maggiore, non paragonabili a qualche decennio fa». Quando si sente definire maestro ride, un po' incredulo ma soddisfatto del soprannome che si è guadagnato dopo tanti anni di lavoro trascorsi davanti al forno. «A Recco sono in tanti i maestri che hanno trasformato la capacità di fare la focaccia al formaggio in un' arte - ci tiene a precisare Cassinelli - ma io ho sempre partecipato alle manifestazioni e alle fiere così la gente si ricorda di me più facilmente». Guardandosi indietro tanti ricordi, tante persone conosciute davanti al forno e tante storie da raccontare. «La cosa più strana che mi è successa? Una coppia mi lasciò diecimila lire per un pezzo di focaccia che ne valeva a malapena cento - ricorda Cassinelli - erano gli anni Sessanta e guadagnavo mille lire al giorno». Storie di una vita di passione che riprende vita ogni volta che il maestro prende il suo mattarello di olivo e si rimette all' opera”.
Noi forse siamo dei ROMANTICI impenitenti… e preferiamo pensare che tanti impareggiabili camoglini come Raffaella e Nino siano, anzi sono, tuttora, i veri “conservatori” della ricetta benedettina dell’antico Monastero di San Fruttuoso.
Perché? Vi domanderete. Perché i “gioielli di famiglia” non si regalano a nessuno, ma si conservano nel cuore di questi liguri radicati nei propri orti, su quel terreno che dà gli ingredienti giusti, il profumo, la manualità dei vecchi, quel sapore antico di faggio stagionato che brucia emanando il giusto calore che si sente sulla pelle e ti dà il segnale che la focaccia é pronta…
Al centro di questo “miracolo" c’é la famiglia che insegna le tradizioni, i SEGRETI da tramandare solo per via “di lor sangue”.
La focaccia al formaggio é un matrimonio indissolubile tra queste colline che scendono profumate dai fiori del Monte, dagli ulivi, dai pini marittimi, dai lecci e l’effluvio salmastro del mare che sale dagli abissi.
Qui nacque l’Europa!
Al termine di questo viaggio nelle nostre tradizioni, allego il filmato realizzato da Ernani Andreatta.
mmta533 - Focaccia al Formaggio ma chi l’ha inventata ?
ALBUM FOTOGRAFICO
La “Focaccia di Recco col formaggio Igp” è un prodotto da forno ottenuto dalla lavorazione di un impasto a base di farina di grano tenero (senza uso di lievito), olio extravergine di oliva, acqua, sale. Una volta prodotta, la focaccia – composta da due sottilissime sfoglie – viene farcita con formaggio fresco a pasta molle. Alla vista si distingue facilmente dalle focacce tipiche della tradizione italiana e dalle altre liguri in quanto, oltre ad essere farcita con formaggio, è estremamente sottile. L’altra particolarità è rappresentata dal formaggio, cremoso, dolce ma con una leggera e gradevole nota acidula. La sua zona di produzione comprende l’intero territorio dei comuni di Recco, Avegno, Sori e Camogli.
Guny e Paola
In primo piano Simonetta, Raffaella e Nino
Il grande MAESTRO focacciaro, nonché Comandante e Pilota
Nino Casareto
Un prodotto semplice e sano, solo farina, sale, olio extravergine e formaggio fresco, difficile da fare solo se manca la manualità che permette di tirare la sfoglia sottile sottile con le mani e se non si dispone a casa di un forno che raggiunge almeno 250°C.
Paola Boaretto
Guny spia le mosse del Maestro e dei suoi assistenti
Due Piloti in confessionale ...
Ernani e Giancarlo
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Agosto 2019
FUTURO
FUTURO
Pietra su pietra
con costanza e pazienza
ogni pietra è una storia
di sconfitta e vittoria
ma occorre pulire
per ricostruire.
Come il germoglio
la vince sulla corteccia e il cemento
così la speranza
se
come il germoglio
ha radici ben salde.
di ADA BOTTINI
La bottega di Marco Locci
BABEL
FUTURO -1-
FUTURO - 1 –
Riposerò su strati di nuvole
navigherò tra onde di vento
sempre più libera, leggera e pura
verso l’Amore e la Sapienza
e finalmente anch’io conoscerò
l’Essenza della vita.
di Ada BOTTINI
dipinto di Marco Locci
Rapallo, 1 Agosto 2019