NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE-CHIAVARI-UN ANTICO TEMPIO MARINARO
NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE – CHIAVARI
UN ANTICO TEMPIO MARINARO
Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie é al centro della foto aerea
PREMESSA
Nel nuovo millennio i Santuari Mariani sono meta di pellegrinaggi in cui, per lo più, i credenti coniugano fede e natura, storia e arte, panorami incredibili e prelibati cibi locali, quasi a rimarcare l’idea di fondazione che la leggenda assegna alla semplicità della vita contadina e marinara e alla spontaneità di iniziative nate tra il popolo e per il popolo.
I più noti Santuari Mariani sorsero in luoghi mistici collinari e montani, non solo nella nostra regione, dopo il Concilio di Trento. La linea geografica che li univa doveva essere percepita come “baluardo difensivo” contro l’espansione della Riforma Protestante di matrice calvinista.
Tale offensiva era messa in atto da mercanti di Ginevra e Lione che subdolamente penetravano nel porto di Genova a bordo di velieri commerciali con l’intenzione di fare nuovi adepti sotto la protezione di alcune famiglie della borghesia mercantile genovese: Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, che si erano già dichiarati simpatizzanti di Giovanni Calvino (Jean Cauvin). La lista di personaggi discussi e molto noti negli ambienti mercantili del capoluogo é molta lunga; numerosi furono i processi celebrati dagli enti preposti, ma anche dall’Inquisizione ad eretici e a sostenitori della Riforma Protestante in generale.
Agli ordini monastici fu affidata la gestione dei Santuari e della religiosità popolare, per rivestirla di contenuti teologici, di pratiche devozionali “guidate” in una nuova arte architettonica e decorativa che affascinasse e incantasse il fedele con visioni “celestiali” e canti estremamente suggestivi, tali da opporsi efficacemente alla liturgia piuttosto austera ed essenziale rappresentata dal luteranesimo nordico.
La protezione della Madonna “funzionò” durante e dopo lo scossone tellurico provocato dal protestantesimo, ma anche contro le numerose epidemie di peste e di colera del ‘500 e del ‘600 e, come sanno in molti borghi delle Riviere, anche contro gli assalti dei barbareschi.
Situazioni emergenziali che, specialmente in Riviera, produssero moti spontanei di grande fede che vive tuttora anche nei fedeli tiepidi… che oggi preferiscono associare la “storica tradizione mariana” con il folklore legato al turismo, forse per rimarcare una linea di confine tra fede beghina e fede moderna che tenta di ribellarsi ad un certo tipo di clero antico, alla stessa maniera con cui questo tipo di clero “rifiuta o mal sopporta” che la fede Mariana si esprima soltanto con le esplosioni cromatiche dei fuochi d’artificio, il frastuono di mortaletti che richiamano alla mente i colpi di cannoni, le guerre e le distruzioni.
Prendiamo ad esempio le Feste di Luglio di Rapallo, in cui i due modi di vivere la fede popolare si rinnovano ormai da 462 anni, tra un mugugno e un’ovazione, tra processioni di cristezzanti e il panegirico, tra le competizioni dei sestieri e l’incendio del Castello… Poi, alla fine dei giochi… tutto si risolve in quella sana rivalità che spinge i ministri della Chiesa, i massari e i fedeli ad una FESTA commovente che termina tra le braccia di Maria Regina Sovrana del Tigullio.
Le diverse visioni dei riti si sovrappongono quindi nella comune accettazione di quella fede superiore che tende alla reciproca comprensione e al tripudio dell’attesa della Madonna che scenda dal monte con l’icona bizantina per essere venerata.
I brividi di gioia che ogni anno ripropongono le FESTE DI LUGLIO hanno un solo nome:
RAPALLINITA’
Dopo questa premessa dedicata alla fede popolare del Golfo Tigullio nel Terzo Millennio, ritorniamo al vicino Santuario di Nostra Signora delle Grazie di Chiavari. Lo avevamo già visitato nel 2014 in occasione di una pubblicazione di Mare Nostrum Rapallo, nella quale raccontai il ruolo che ebbe questo antico “luogo sacro” nelle vicende della Seconda guerra mondiale.
IL CANNONE DELLE GRAZIE. (che ha raccolto nel frattempo oltre 17.000 visite)
Per capire l’importanza “strategica”, in senso generale, della posizione del Santuario, dobbiamo considerare un dato ottico-geografico di assoluta importanza navale.
Per un osservatore appostato su una collina alta 200 metri di altezza sul livello del mare, (é il caso del Santuario delle Grazie, nella foto) l'orizzonte visibile si trova ad una distanza di 70 chilometri, vale a dire 37,80 miglia nautiche.
Dalla più remota antichità sino all’invenzione della telegrafia senza fili via onde radio, i velieri navigavano da punta a punta lungo le coste per sapere sempre la propria posizione, ma anche per farsi riconoscere da terra: dai fari e fanali, ma anche da determinati conventi che avevano il compito di assistere in qualche modo i naviganti di passaggio.
A partire dal 1907, ad opera di Guglielmo Marconi, il mondo delle radiocomunicazioni e dei trasporti registrò una rivoluzione planetaria che accelerò i processi di sicurezza della navigazione e dei salvataggi in mare.
Non é quindi una fantasiosa leggenda che i Santuari situati lungo le coste abbiano assunto nei secoli un ruolo importantissimo per i naviganti che, a loro volta, attribuivano a questi edifici religiosi un potere taumaturgico che ricambiavano con un affetto devozionale molto particolare. Questo “amore” reciproco non é mai tramontato neppure quando i velieri non avevano più la necessità di passare sotto i conventi per richiamare l’attenzione con il corno da nebbia al quale i frati rispondevano con i rintocchi a festa della torre campanaria.
Farsi identificare dai frati aveva un’importanza vitale per le famiglie dei marinai che da mesi e forse da anni aspettavano notizie dei loro cari; ma era economicamente rilevante soprattutto per l’armatore che aveva il tempo di predisporre i lavori di bordo, il cambio dell’equipaggio, i nuovi noli e le relative destinazioni.
Il santuario di N.S. delle Grazie, posizionato sulla antica ss. AURELIA, aveva sicuramente il compito di vedetta, tuttora testimoniato dagli ex voto appesi ai vecchi muri in centinaia di esemplari e lasciati dai nostri avi-marinai a testimonianza della loro devozione alla Madonna.
Avvenuto il “contatto” tra il Comandante del veliero ed il Capo Guardiano, la missione proseguiva e si esauriva soltanto dopo la avvenuta comunicazione dell’avvistamento del vascello all’armatore o alle autorità portuali preposte. L’operazione si svolgeva in poche ore, alla velocità della carrozza a cavalli.
Il rettore del convento con i suoi monaci hanno rappresentato per secoli una sorta di AVVISATORE MARITTIMO ante litteram per lo shipping nazionale ed internazionale.
Il compenso per questo prezioso servizio si realizzava con offerte per il restauro del Santuario ed era molto gradito dai monaci, oltreché meritato.
Sul rapporto dei frati con i naviganti vi allego due LINK che sono correlati al tema in oggetto.
I POSTINI DEL MARE di Carlo Gatti e Nunzio Catena
I FRATI E LA POSTA DELLE SHETLAND - UN VECCHIO RITO di Carlo Gatti
Vista panoramica dal santuario di N.S. delle Grazie
Tra li archi del portico d’accesso si gode uno stupendo panorama che spazia da Sestri Levante a Portofino. Il santuario é costituito da diversi corpi: la Cappelletta, il Portico, l’Ospedale dei pellegrini, la Chiesa e l’abitazione del Rettore.
Questo piccolo santuario, di origine medioevale, ma ampliato e modificato nei secoli successivi, posto in posizione panoramica, a circa 200 di metri di quota lungo il fianco del monte, offre al visitatore uno splendido panorama con lo sguardo che spazia sul mare e sulla costa, da Portofino a Sestri Levante. Molto bello è l’interno che presenta un ciclo di affreschi che narrano alcuni momenti della vita di Gesù, datati 1539 ed opera di Teramo Piaggio e dal Giudizio Universale di Luca Cambiaso (metà sec. XVI). Giunti presso l’altare maggiore non si può non restare stupiti dalla splendida statua lignea della Madonna delle Grazie di chiara origine fiamminga.
Il Santuario è raggiungibile in auto dall’Aurelia o risalendo, senza grossi sforzi, il sentiero che attraversa una ricca macchia mediterranea, partendo dalle vicinanze della spiaggia della colonia Fara.
Venendo da Rapallo sulla Aurelia in direzione Chiavari, prima d’imboccare la galleria sotto il Monte Segnale, a 200 metri d’altezza sul livello del mare, sorge in mezzo alla macchia mediterranea il Santuario della Madonna delle Grazie.
Il Santuario è stato realizzato agli inizi del 1400.
Dai documenti storici ritrovati si rileva un atto notarile nel quale si chiede di unificare il Santuario alla Chiesa di Sant’Andrea di Rovereto.
Dal 1663 iniziarono i lavori, necessari a rendere accessibili e abitabili i locali per la residenza del custode.
L’edificio religioso assume l’aspetto attuale dopo varie operazioni di ristrutturazione, compiute tra il 1952 e il 1961, dovute a cedimenti strutturali causati dallo smottamento del terreno della collina per l’apertura di cave e scavi fatti durante la Seconda guerra mondiale.
Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.
Franco Ragazzi colloca la sua datazione tra la fine del XIV e l’inizio del XV sec. e la ritiene un’opera fiamminga, sulla base di elementi stilistici quali la posizione, il panneggio tipico del gusto “internazionale” e la raffigurazione dei volti: in particolare quello di Maria, dalla forma un po’ allungata, gli occhi verso il basso, la bocca con le labbra strette, il piccolo mento sporgente, ricorda i visi delle Madonne di artisti fiamminghi come Jan Van Eyck, Joos Van Cleve e Gerard David. Inoltre la posizione del Bambino posato sul braccio destro della Vergine è un elemento costante dell’iconografia fiamminga.
LA STORIA:
La vicenda di questa stauta lignea della Madonna si pone al centro stesso della costruzione della chiesa contigua alla cappella: le ragioni che indussero Bertone e Andrea Vaccaro a costruirla su un loro terreno nel 1416, sono state raccolte e tramandate da Agostino Busco (sec. XVII):
“…un Patrone di nave, essendo di Fiandra, vidde una immagine di rilievo di Maria Vergine col Bambino in brachio in una bottega, li venne pensiero di comprarla, ma poi non se ne curò più, e volendo partire non potea. Parendoli cosa strana et esaminando tra se stesso, li sovvenne se forse fosse perché non aveva voluto comprare detta immagine; perciò andò a comprarla, e facela portare in nave, e senza più difficoltà si partì con prospero vento; et arrivato per contro Chiavari e quando poi fu in faccia di detta cappelletta della Pinara, la nave si fermò da per sé, e parendogli cosa meravigliosa al Patrone e Marinai li venne in pensiero se forse era volontà di Dio che portassero detta Immagine a detta cappelletta, e gliela portarono e devotamente qua la lasciarono; il che fatto poi si partirono senza difficoltà per il loro viaggio. Et li Signori Vaccà di cui è la selva, lì fecero fabbricare una assai grande Chiesa col Coro in quadro verso Oriente, con la porta al Ponente, fuori dalla quale si vede anco detta prima cappelletta con una bella Piazza, Portico e Casa (…)”
Questa è la leggenda popolare tramandata “per tradizione de’ vecchi e veridiche persone” che ripete un rituale analogo a molti altri Santuari Mariani. Nel caso del Santuario delle Grazie, insieme alle sedimentazioni della tradizione orale, ci sono alcuni dati di fatto storici:
- la presenza di una antica cappelletta,
- la rotta delle Fiandre
- la statua della Madonna scolpita nel legno svuotato sul retro, ma non tamponato: la tecnica usata indica che la destinazione originaria era una nicchia o un altare. E’ alta 142 cm. compreso il plinto di appoggio.
Insieme con panni, pizzi e telerie, damaschi e broccati, nel porto di Genova sbarcavano dipinti e sculture che fecero di Genova l’emporio più importante di tutta Italia per l’arte fiamminga. Non è irrealistico dunque pensare di trovare un’opera fiamminga nel Santuario chiavarese.
Il melograno, segno di fortuna e di fertilità nella simbologia profana, è qui un simbolo della Passione di Cristo. Nella statuaria gotica è presente in molte opere francesi e dell’Europa settentrionale.
Sul sentiero d'accesso al Santuario, il pellegrino viene accolto da un bassorilievo marmoreo di pregevole fattura il quale sintetizza la devozione mariana dei naviganti che lasciano le loro imbarcazioni alla fonda per salire la collina e approdare tra le braccia della Vergine per ringraziarla della protezione ricevuta.
L’entrata della chiesa con il suo antico portico.
L’elemento più antico é la Cappelletta che risale al XII secolo. La copertura del portico é a capanna con gli abbadini di ardesia.
La Cappella, che costituisce la prima fase costruttiva del Santuario, si presenta a pianta rettangolare con una pavimentazione in buona parte autentica articolata su diversi livelli. Il piccolo altare è sorretto da una colonnina con capitello estraneo alle vicende del santuario.
La copertura consente di datare la cappella intorno al XII-XIII secolo. Una serie di capitelli pensili in ardesia (gli originali) e in pietra calcarea (di restauro) sorreggono otto archetti pensili romanico-gotici, attraverso i quali scaricano otto vele convergenti in una chiave di volta ottagonale di ardesia scolpita con l’Agnus Dei. Il capitello posto sull’arco di ingresso è a forma di testa apotropaica, che rimanda a forme analoghe presenti nell’entroterra chiavarese e nello spezzino.
GLI EX VOTO DELLA CAPPELLETTA
Il portico e i vani dell’ospitium, edificati nella fase successiva, sono gli elementi architettonici che contribuiscono maggiormente a caratterizzare l’immagine della costruzione, con le ampie volte a crociera poggiate con archi ogivali su robusti pilastri quadrangolari.
L’accesso alla cappelletta e alla chiesa
GLI INTERNI
GLI AFFRESCHI DEL SANTUARIO
Schema della distribuzione degli affreschi di N. S. delle Grazie
LUCA CAMBIASO - (FONTE - FINESTRE SULL’ARTE)
https://www.finestresullarte.info/Puntate/2012/01-luca-cambiaso.php
TERAMO PIAGGIO - (FONTE-TRECCANI)
http://www.treccani.it/enciclopedia/teramo-piaggio_%28Dizionario-Biografico%29/
LE OPERE D’ARTE
Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.
La chiesa fu invece costruita nel XIV secolo; ad unica navata presenta il presbiterio rialzato e più stretto. Le pareti sono tutte affrescate ad opera del pittore zoagliese Teramo Piaggio e illustrano a destra la STORIA DELLA MADONNA, a sinistra, nel lunettone del presbiterio:
l’ULTIMA CENA e sulla parete sempre di sinistra la PASSIONE DI CRISTO. La parete dietro l’altare maggiore rappresenta LA CROCIFISSIONE.
Chiavari, N.S. delle Grazie, volta a crociera del presbiterio
Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare
Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare
Sul tabernacolo dell’altare maggiore é la statua lignea della MADONNA CON BAMBINO E IL MELOGRANO di artista ignoto. Lo stato conservativo degli affreschi non é purtroppo ottimale a causa anche delle condizioni ambientali (salsedine in primis) che ne minano la sopravvivenza. Nella sacrestia sono appesi alcuni dei numerosi ex voto dedicati alla Madonna; il più antico é quello del Capitano Fontana datato 14 agosto 1600.
L'attuale copertura, costituita da un tetto ligneo a capanna rivestito da abbadini d'ardesia, risale al 1896. Il presbiterio è leggermente rialzato e poco più stretto della navata, coperto da un'ampia volta a crociera costolonata di derivazione gotica. L'arcone che divide la navata dal presbiterio poggia su due robuste semicolonne addossate alle pareti con i tipici capitelli a forma sferocubica frequenti nella Liguria medioevale.
LUCA CAMBIASO - L’insieme del GIUDIZIO UNIVERSALE (1550)
Particolare della fascia inferiore
Particolare della seconda fascia
Particolare del terzo registro
Particolare del quarto registro
Sulla parete della controfacciata del santuario, appare il pregiatissimo GIUDIZIO UNIVERSALE del genovese Luca Cambiaso, uno dei maggior pittori del ‘500.
Nel 1550, morto Franchino Vaccaro, il compito di completare gli affreschi della chiesa passò a suo figlio Andrea, che preferì affidare i lavori della controfacciata a LUCA CAMBIASO. Luca a quel tempo aveva solo ventitre anni e non aveva ancora raggiunto l’età dell’affrancamento dal padre per cui non poteva accettare incarichi professionali: è perciò probabile che gli affreschi di N. S. delle Grazie siano l’ultimo lavoro eseguito in collaborazione con suo padre Giovanni.
Giovanni Cambiaso era nato nel 1495 in Val Polcevera, dove conobbe Andrea Semino che lo avviò all’arte della pittura e lo avvicinò a Teramo Piaggio. Una testimonianza della loro amicizia è data dai ritratti dei tre pittori nel Martirio di S. Andrea realizzato da Teramo per la chiesa di S. Andrea a Genova e dal ritratto di Giovanni nella Crocifissione delle Grazie.
Luca aveva iniziato a quindici anni la collaborazione con il padre, ottenendo diversi incarichi importanti dalle grandi famiglie genovesi, soprattutto dai Doria. E’ già da questi primi lavori che Luca dimostra una personalità più spiccata di quella del padre.
Franchino Vaccaro aveva preferito una pittura legata alla tradizione quattrocentesca come quella del Piaggio per assicurare al Santuario una continuità con i caratteri popolari del culto locale. Suo figlio Andrea preferisce dimostrare di conoscere le novità dell’arte figurativa genovese e l’ideologia religiosa romana, ma soprattutto vuole testimoniare lo status sociale e politico raggiunto dalla sua famiglia scegliendo artisti apprezzati e ricercati dalle grandi famiglie genovesi.
Ispirandosi al Giudizio Universale di Michelangelo, Luca divide la parete in quattro registri orizzontali:
- nella fascia più bassa, a sinistra rappresenta la Resurrezione dei Morti, mentre a destra i dannati divorati dalle fiamme.
HECCE HOMO
Un'opera certamente curiosa è un Ecce Homo dipinto su tela (c'è chi sostiene che sia una stampa su tela e che l'originale sia a Genova), collocato in cornice, alla sinistra di chi entra, su un inginocchiatoio che funge da sostegno.
La cosa più inquietante è che girando attorno al quadro, si nota che il retro è dipinto con la schiena del Cristo, tormentata e addirittura scarnificata dalle torture inflittegli, secondo un'iconografia inusuale. E' presumibilmente un'opera ottocentesca, legata a qualche confraternita dei flagellanti, che il crudo verismo induce a collocare in ambito iberico.
Chiavari, N.S. delle Grazie, acquasantiera, XV sec.
Chiavari, N.S. delle Grazie, particolare di capitello sferocubico di una semicolonna dell’arcone del presbiterio
BIBLIOGRAFIA
- Berzero G., Gli affreschi di Teramo Piaggio nella chiesa di N. S. delle Grazie a Chiavari, in “Atti della Società Economica di Chiavari-1932”, 1933.
- Castelnovi G.V., Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, Genova, 1987, pp. 73-160.
- Grosso Orlando, Genova e la Riviera ligure, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1951.
- Magnani Lauro, Committenza e arte sacra a Genova dopo il Concilio di Trento: materiali di ricerca, in “Studi di storia delle arti”, Università di Genova, Istituto di Storia dell’Arte, 1983-85.
- Magnani Lauro, Il Giudizio Finale, scheda in Omaggio a Luca Cambiaso, catalogo della mostra, Sagep, Genova, 1985.
- Ragazzi Franco, Il Santuario delle Grazie a Chiavari. Gli affreschi di Teramo Piaggio e Luca Cambiaso, Genova, 1992
- Giovanni Meriana, La Liguria dei Santuari
Carlo GATTI
Rapallo, 12 luglio 2019
EMILIO ED IO… Le opere di Emilio CARTA
EMILIO ED IO…
LE OPERE DI EMILIO CARTA
Da sinistra: Gianni Arena, Carlo Gatti, Marinella Gagliardi Santi, Emilio Carta, Rinaldo Santi. L’Evento si riferisce alla presentazione del libro di M. Gagliardi Santi:
NON COMPRATE QUELLA BARCA.
Conobbi Emilio Carta 30 anni fa, all’epoca era responsabile dell’Ufficio Stampa, Turismo e Cultura del Comune di Rapallo.
Era appena terminata una delle prime Mostre di Mare Nostrum al Castello di Rapallo, di cui Emilio era ANIMATORE ED ORGANIZZATORE per conto dei Modellisti Rapallesi.
Lo cercai in Comune, gli raccontai del mio lavoro, della mia collezione di fotografie di navi che, in quello stesso giorno, gli mostrai a casa mia.
Si dimostrò subito un incontro SPECIALE …
Scoprimmo con un certo stupore che usavamo lo stesso LINGUAGGIO MARINARO. Emilio aveva navigato su vecchi LIBERTY e in seguito, per seguire un altro tipo di talento, riuscì a farsi assumere dal Comune di Rapallo.
Ognuno ha la sua storia! Anch’io, dopo 14 anni di mare, ero riuscito a vincere il concorso da Pilota del porto di Genova.
Alla fine, per i giochi fatui del destino…avevamo lasciato provvisoriamente la navigazione, ma il MARE ci era rimasto dentro e sprizzava fuori con nostalgia ogni volta che entravamo in argomento, specialmente nelle nostre lunghe conversazioni mattutine sul lungomare di Rapallo.
Ma Emilio aveva una marcia in più, nella sua posizione di ADDETTO STAMPA e di giornalista del Secolo XIX era un profondo conoscitore della burocrazia cittadina, delle persone più influenti, delle Autorità ed era stimatissimo nel suo lavoro di organizzatore di EVENTI.
Emilio, persona intelligentissima, capì al volo che unendo le nostre rispettive PROFESSIONALITA’ con “il comune cuore rapallino”, avremmo potuto dare molto alla nostra città.
Non solo, ma ben presto scoprimmo anche di “ragionare” con un comune cervello! Mai alcun contrasto, mai una divergenza tra noi in tanti anni di continue scelte di persone e di obiettivi. Le nostre sinergie e competenze erano del tutto COMPLEMENTARI.
Da quel momento io lo trascinai per gli oceani con le mie storie di mare e lui me le fece scrivere fin da subito sulle riviste che dirigeva: (IL MARE, IL NUOVO LEVANTE, PENISOLA).
Anno dopo anno MARE NOSTRUM RAPALLO diventava una specie di Università del mare nella quale si fondevano ricerche storiche e testimonianze di grandi personaggi della cultura marinara italiana ed internazionale. La collaborazione con altre Associazioni nazionali e i grandi Musei del Mare ci hanno permesso di entrare nel giro del grande “sapere marinaro” che ci ha permesso di redigere circa 600 importanti saggi, vere piattaforme di lancio per le nostre Mostre infarcite di numerosi eventi di qualità.
Un’espressione gioiosa di Emilio Carta mentre riesce a sciogliere un “gruppo” proposto dal “Mago dei nodi” Andrea Maggiori durante l’Evento “La storia dei nodi marinari e le loro funzioni” (2015).
Carlo Gatti accanto a Nicola Costa durante l’evento:
COSTA, un pianeta che parla Rapallino. (2012)
Insieme abbiamo dato vita a circa 30 mostre, 200 eventi legati al mare, e circa 300 incontri culturali dedicati a fatti storici navali, convegni, presentazioni dei nostri libri, delle numerose pubblicazioni di Mare Nostrum, dibattiti e numerose richieste di collaborazione da parte di Associazioni che ci invitavano da tutta la Liguria, da Spezia a Savona, eravamo degli abituè di Palazzo Ducale a Genova e di molte altre importanti sedi culturali del capoluogo e della Regione. Ogni sabato o domenica eravamo ospiti da qualche parte…per portare la storia di Rapallo, sia in estate che in inverno e le ferie le facevano nello stesso mese di settembre, lui in Sardegna ed io in Svezia.
Le nostre rispettive mogli: Marziana e Guny ci hanno sempre assecondato e l’ascesa di M.N. fu merito loro, della loro infinita pazienza e dell’amore per la nostra città!!!
La vita di Emilio possiamo raccontarla anche così:
EMILIO - IL CARATTERE
Ormai pensionati, accadeva spesso che facessimo delle “vasche” in “caruggio drito”, e che poi c’infilassimo in qualche ufficio del Comune per le pratiche di M.N. dove Emilio aveva lavorato per tanti anni, ed ogni volta mi rendevo conto di quanto la gente semplice della città ed i suoi ex colleghi lo amassero per quel suo carattere semplice, gioviale, sincero e scanzonato! Il suo indirizzo elettronico BATTUBELIN… rispecchiava fedelmente il suo “essere LIBERO, senza vincoli e soggezioni”; quel suo AMARE LE PERSONE SEMPLICI che mai gli avrebbero dato ORDINI o imposto qualcosa; quell’affetto aveva un ritorno di SAGGEZZA popolare che lui usava per “colorare” i suoi scritti …
In Emilio il senso dell’umorismo era innato, ricorderete gli scherzi che s’inventava ogni Primo di Aprile: le Pepite d’oro nel Boate… il Cannone del galeone ed altri…
EMILIO - RADIOTELEGRAFISTA navigante
Il Marconista di bordo é un personaggio anomalo e “misterioso” perché é sempre a conoscenza dei segreti tra l’Armatore ed il Comandante, tra il marittimo imbarcato e la sua famiglia; l’RT é il testimone operativo della trasmissione radio perché la regola e la migliora. Ovviamente é tenuto al segreto professionale. Ha il grado di Secondo Ufficiale, ma il lavoro che lui svolge col tasto Morse e le cuffie lo conosce solo lui. Nessuno sarebbe in grado di sostituirlo.
La notte della LOCARNO incagliata sulla passeggiata di Rapallo, era il gennaio 1961, intervenne un radio telegrafista di Rapallo che si mise in comunicazione con la nave, in pieno blackout, tramite il clacson della propria auto parcheggiata a ridosso della nave. Un fatto eccezionale!
Emilio aveva 15 anni ed era presente al “Naufragio in salotto”. Tante volte in seguito mi sono chiesto quanto la prima scelta professionale di Emilio sia stata condizionata da quel piccolo ma significativo “intervento provvidenziale e molto marinaresco!” - Chi scrive era appena sbarcato dal suo secondo imbarco da Allievo Ufficiale di coperta ed era presente anche lui in quella notte di tregenda. Scrivere con Emilio quella pubblicazione tanto gradita ai rapallini, oggi é per me uno dei ricordi più belli della nostra Storia di Amicizia.
EMILIO - GIORNALISTA e ADDETTO STAMPA del Comune
A bordo dei Liberty Emilio capì che la sua futura professione di terra doveva avere le stesse caratteristiche del “radiotelegrafista” di bordo: essere sempre in ascolto con il massimo fiuto e comunicare liberamente senza troppi vincoli esterni.
Questa sua filosofia esistenziale lo portò a diventare ben presto GIORNALISTA professionista e addetto Stampa nel Comune della nostra città.
Da giornalista “vecchio stampo”, interpretò la sua nuova professione senza avere padroni, ma OPINIONI che esprimeva liberamente senza sudditanze politiche o di altro tipo. Per scrivere i suoi servizi, prima ascoltava, annusava ed usava il buon senso di cui era fortemente dotato!
Il suo modo di scrivere era lineare, diretto e coinciso; usava pochi avverbi e superlativi. La sua scuola era quella personificata da Indro Montanelli, il quale sosteneva che le Leggi, o qualsiasi Normativa, persino i bugiardini dei medicinali dovessero essere scritti dai giornalisti per ottenere la comprensione di tutti.
Oggi ci rimangono in eredità i suoi libri, vere testimonianze di quella scrittura chiara e lineare che, aimè, si sta modificando pesantemente… tra le fronde dei socials…
EMILIO – SCRITTORE di mare e di romanzi storici a sfondo navale e giallistico che inizia, combacia e si conclude con la navigazione trentennale di Mare Nostrum in mare aperto!
Mare Nostrum Rapallo esiste sempre. La teniamo VIVA anche e soprattutto nel RICORDO dello spirito marinaro e libero di Emilio CARTA; la teniamo viva insieme a quei soci che scrivono sul sito con me ogni venerdì per accrescerne il suo patrimonio culturale. Tra i 600 articoli, poesie e saggi custoditi nel suo grande ARCHIVIO, ci sono articoli che portano la sua firma: il sigillo di EMILIO CARTA che vi invito a leggere.
Io sono dell’idea che sia impossibile indagare tra la PRODUZIONE LETTERARIA di Emilio CARTA senza fare riferimento a MARE NOSTRUM nel cui bacino culturale Emilio s’immerse totalmente nel pieno della sua maturità lasciandoci innumerevoli ricerche e testimonianze anche personali sull’antica e moderna storia di Rapallo.
EMILIO - UNO SPORTIVO
Di GRANDE FEDE SAMPDORIANA, Emilio era in grado di sfoderare, nelle giuste occasioni, un repertorio infinito di battute gustosissime… contro i GENOANI (io ero uno di quelli).
Come tutte le persone intelligenti, Emilio aveva la grande capacità di adattarsi al suo interlocutore. Posso dire d’averlo conosciuto sia in versione intellettuale che in quella di pescatore, di storico, di velista, di tennista, di sub… e, da ognuno di questi “personaggi” incontrati, mai casualmente, riusciva a trarre argomenti che lui prima fiutava e, talvolta, percepiva come “realta” che potevano avere un seguito. Mi riferisco in particolare alla scoperta dell’UBOOT tedesco che giace sul fondale al largo di Portofino e venne alla luce proprio da una sua intuizione carpita ad un pescatore di Santa… un certo Pastorino.
EMILIO - UN ANCHORMAN DI TALENTO
Quando gli dicevo: “data la tua capacità di parlare senza intoppi, la presenza che piace in particolar modo al pubblico femminile, la tua cultura ecc… sei l’unico rapallino che potrebbe condurre una rete-TV con il minimo sforzo e con la massima audience”.
Mi guardava di sottecchi come se lo stessi prendendo per il c… lui era così: modesto e felice per ciò che aveva già avuto dalla vita: la LIBERTA’.
EMILIO – UOMO MITE, ONESTO E GENIALE
In 30 anni di amicizia fraterna l’ho sempre visto evitare le polemiche sterili e le discussioni che non avrebbero approdato a nulla. A volte era taciturno, pensieroso, parlava molto meno di quanto pensasse e poi, senza preavviso, sfoderava il colpo di genio…
Emilio era un SIGNORE, da lui non ti saresti mai aspettato “il colpo basso”, era leale e affidabile in tutte le situazioni.
Per la verità Emilio mi disse molti NO…! Un NO per ogni anno, e sempre per lo stesso motivo.
“Emilio sono anni che ti scongiuro di darmi il cambio alla presidenza di Mare Nostrum…”
Ed ogni volta mi rispondeva:
“La formazione che vince non si tocca! Io nasco “battitore libero sampdoriano”, e un giorno ce ne andremo in ritiro insieme con questa squadra!”
Il risultato di questo nostro comune modo di pensare, cioé la mancanza totale di ambizione, fu che sulle locandine e sui programmi di M.N. ecc… non compariva mai il mio ruolo di presidente. Il nostro obiettivo comune era la divulgazione della cultura marinara, una vera fissazione! Tutto il resto per noi era vacuità…
Per molti anni avevamo continuato a ripeterci: Insieme lasceremo Mare Nostrum ma non sapevamo che il destino avesse già deciso per noi!
Emilio era piuttosto riservato, ma lo ero anch’io, i nostri caratteri coincidevano perfettamente e la nostra AMICIZIA durò tre decenni e s’interruppe con la fine del suo CALVARIO e con la morte di mio genero Scipione D’Este: un figlio ed un amico che lasciò questo mondo pochi giorni prima di Emilio, dopo due anni di malattia incurabile.
La loro perdita é stata una doppia tragedia che colpì entrambe le nostre famiglie. Ad Emilio tenni nascosta la malattia di mio genero fino all’ultimo per non aumentare le sue pene… erano molto amici essendo Scipione Tesoriere e commercialista di Mare Nostrum.
Emilio ha vissuto, anzi convissuto fin dal 2003 con i suoi problemi fisici fino all’ultimo giorno della sua esistenza, con uno stoicismo direi EROICO, sfidando il suo destino cadenzato da 33 interventi operatori con un coraggio ed una volontà di risorgere che, ogni volta, mi lasciavano senza parole. Fino all’ultimo non poteva e non voleva rinunciare a qualsiasi cosa avesse programmato.
Lo vidi pochi giorni prima di morire e mi disse: Carlo ogni giorno perdo un pezzo… sto crollando, però oggi voglio andare a suonare la batteria… ci vediamo sabato per la presentazione del MANCINO…
EMILIO UN MUSICISTA DILETTANTE
Da giovane navigò con il suo fedele SITAR, un antico strumento musicale a corde dell’India settentrionale. Emilio amava rifugiarsi nella musica e lo fece fino al compimento del suo destino andandosene da protagonista, come é apparso in questi giorni su Facebook durante uno dei suoi ultimi concerti in una piazza di Rapallo.
La musica era per lui ciò che per tanti é la preghiera: il linguaggio universale che ci innalza verso il CIELO.
Venne quel fatidico giorno… e mentre lo aspettavamo a Villa Queirolo per la presentazione del suo ultimo libro, lui partiva con l’ambulanza per il suo ultimo viaggio. La fine giunse improvvisa quando molti di noi s’illudevano che il suo ineffabile senso di sfida contro la morte avrebbe potuto vincere ancora una volta.
Io ero uno di quelli e, ancora oggi, lo voglio ricordare così… massacrato nel corpo ma con il sorriso beffardo dell’indomito eroe sulle labbra che sale verso il cielo ritmando un blues con le bacchette del batterista.
In 19 giorni se ne sono andati TRE amici fraterni: Eddo Pelosin (mio consuocero), Scipione D’Este (mio genero) ed Emilio (mio fraterno amico).
TRE rapallini doc, TRE esempi di forza interiore, di attaccamento alla vita, TRE gladiatori che hanno sfidato il loro destino col sorriso sulle labbra fino all’ultimo istante.
LE SUE OPERE
Emilio Carta ha collaborato con Pierluigi Benatti e la dott.ssa Bacigalupo alla stesura dei volumi RAPALLO SACRA MINORE
- Nel 1989 EX VOTO A MONTALLEGRO
Maria Angela Bacigalupo, Pierluigi Benatti e Emilio Carta
- Nel 1994 MONTALLEGRO E IL MARE
Maria Angela Bacigalupo, Emilio Carta, Umberto Ricci, Francesco Maria Ruffini
- Nel 1999 ha pubblicato “NAVI E RELITTI TRA IL PROMONTORIO DI PORTOFINO E PUNTA MESCO” – N.1
Scritto in collaborazione con il tecnico sonar Andrea Maggiori e il foto sub Adriano Penco.
- Nel 2000 NAVI E RELITTI TRA MONTECARLO E PORTOFINO N.2
scritto insieme ad Adriano Penco
- Nel 2007 IL SEGRETO DI CALA DELL’ORO
- Nel 2008 NAVI E RELITTI TRA SESTRI LEVANTE E SPEZIA N.3
Scritto in collaborazione con Adrea Maggiori e Adriano Penco
- Nel dicembre 2008 BANDIERA GIALLA, COLERA A BORDO
- Nel dicembre del 2010 I MISTERI DEL FREDOM
- Nel 2010 “U BOOT 455” - IL SOTTOMARINO DELLA LEGGENDA
scritto insieme al Sub: Lorenzo del Veneziano
Emilio Carta è al suo quarto romanzo, tutti accomunati dalla passione per il mare.
- Nel 2012 - IL COLLEZIONISTA D’ARMI
- Nel 2013 - LOCARNO – NAUFRAGIO IN SALOTTO
- Nel 2013 - RAPALLIN E FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
- Nel 2014 - RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
- Nel 2015 – RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini
E Parolle dö Gatto, antiche ricette, proverbi e modi di dire...”
Le tre pubblicazioni sono tradotte anche in Italiano e in Inglese
Nel 2016 ASSASSINIO A MONTALLEGRO
- Nel 2015 DRAGUT – AMMIRAGLIO E CORSARO OTTOMANO
- Nel 2018 IL TESORO DI VALLE CRISTI
- Nel 2018 IL MANCINO – LE OSSESSIONI DI UN KILLER
LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM:
Autori: Emilio Carta, Maurizio Brescia, Carlo Gatti, Ernani Andreatta (2013-2016)
- 2002 – IL TIGULLIO, UN GOLFO DI EROI
- 2003 - I LIBERTY
- 2004 - FUOCO A BORDO
- 2005 - DAL GOLFO LIGURE AL MAR DELLA CINA
- 2006 - MARE NOSTRUM COMPIE 25 ANNI
- 2007 - MONTALLEGRO UN FARO SU MARE NOSTRUM
- 2008 - POLENE, SOMMERGIBILI E TRANSATLANTICI
- 2009- IL TRATTATO DI RAPALLO-IDROVOLANTI, DIRIGIBILI E SOMMERGIBILI IN LIGURIA
- 2010 - COSTA, UN PIANETA CHE PARLA “RAPALLINO”
- 2011 - GARIBALDI, UN UOMO DI MARE
- 2012 - REX – ALLA CONQUISTA DEL NASTRO AZZURRO
- 2013 - RIVA TRIGOSO, MILLE VARI UN SOLO INCIDENTE…
- 2014 - TIGULLIO, UN MARE DI PAURA …
- 2015 - MARE NOSTRUM – NON SOLO MARE…
- 2016 - GENTE DA RIVEA, GENTE DA GALEA
Chiudo questo “ricordo” di Emilio Carta dedicando a sua moglie Marziana e alla loro figlia Valentina un profondo sentimento di affetto per quanto hanno fatto per il loro caro Emilio in tutti questi anni accompagnandolo in ogni istante con amore e dedizione dividendo con lui la stessa sofferenza, lo stesso dolore che ora é anche certezza che lo spirito di Emilio veleggi nel suo amato mare e le protegga da lassù con la serenità di chi ha amato ed é stato ricambiato con la stessa intensità.
Carlo GATTI
Rapallo, 24 Giugno 2019
SAN ROCCO DI CAMOGLI - TERRA DI ARMATORI, CAPITANI E MARINAI
SAN ROCCO DI CAMOGLI
Terra di Armatori, Capitani e Marinai
Carta del Monte di Portofino
La Chiesa di San Rocco di Camogli
San Rocco è una frazione di 233 abitanti del comune di Camogli, nella città metropolitana di Genova. Posizionata a 221 m sul livello del mare, dista circa 4,5 km dal capoluogo comunale. San Rocco di Camogli svetta tra boschi di castagni e panorami mozzafiato, distese di aghi di pino e terrazze coltivate a ulivi. Lungo un sentiero a picco sul mare, si gode un incomparabile frescura in estate e ci si scalda al sole in inverno. Dal sagrato della chiesa si ramificano sentieri che vanno alle Batterie della Seconda guerra mondiale oppure si scende fino a Punta Chiappa, per proseguire verso San Fruttuoso e Portofino.
San Rocco di Camogli è un belvedere sul mare; piccolo borgo sulle colline di Camogli, a circa 28 chilometri da Genova. Arroccata su un picco roccioso offre una incomparabile vista su Camogli, Genova e ancor più a levante e a ponente, nelle giornate limpide anche fino a capo Mele. Si trova lungo il percorso di itinerari panoramici immersi nel verde del Monte di Portofino.
Chiesa di San Rocco - Abside
Sul pavimento della chiesa di San Rocco é raffigurato un brigantino dell’armatore Mortola Giuseppe fu Giobatta. La cornice policroma é di pregiatissimo marmo ligure.
GIUSEPPE MORTOLA é stato il maggiore armatore di Camogli e uno dei più importanti a livello nazionale. Il suo percorso professionale é emblematico delle vicende della vela. Nato nel 1852 a SAN ROCCO DI CAMOGLI, da qui il soprannome di “SANROCCHIN”, naviga da ragazzo verso la Maremma per effettuare carichi di carbone di legna da portare a Genova o in altri porti del tirreno. Alterna gli imbarchi agli studi nautici, diplomandosi Capitano di lungo corso a 24 anni; comanda poi per un decennio velieri sui mari dell’Atlantico e del Pacifico. Nel 1889 é Capitano di un brigantino a palo di cui ha rilevato con i suoi risparmi la maggioranza dei carati; nel 1890 decide di essere solo un Armatore.
Nave EURASIA - Armatore Mortola (Sanrocchin) - in fase di attracco - 1908
La sua flotta cresce col tempo, é proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli. Conta anche numerosi velieri in ferro, e Mortola l’amministra praticamente da solo recandosi quotidianamente da Camogli a Genova. Si ritira definitivamente dall’attività con la Prima guerra mondiale, quando molte delle sue navi sono silurate e affondate dagli U-Boote tedeschi, dopo una vita di lavoro e di attaccamento a una tradizione, la cui profondità é pari solo ai legami che lo uniscono alla famiglia e lo portano a battezzare due dei suoi velieri COGNATI e DUE CUGINI.
Vite esemplari di un mondo di imprenditori che trova proprio nella tradizione e nelle relazioni parentali la capacità di resistere, ma anche il suo limite…
Una poesia dipinta in perfetta lingua genovese si trova all’interno della chiesa ed é il gesto d’amore di un pellegrino che é rimasto affascinato dallo scenario naturale e religioso di San Rocco di Camogli.
Il Golfo Paradiso
che scorcio...
… uno sguardo sul Golfo Paradiso…
La tonnara di Camogli
La tonnarella di Camogli oggi, come centinaia di anni fa ,viene sempre cucita e distesa lungo la diga che ripara il porto di Camogli, e calata nello stesso punto della costa racchiuso tra Camogli e Punta Chiappa.
Fin dall’origine è salpata a mano e le maglie in filato di cocco oltre ad inzupparsi di acqua di mare raccolgono il sudore e la fatica dei tonnarotti.
Insomma tutto è identico, anche i movimenti e la tecnica di pesca sono rimasti quelli.
Ogni mossa ripetuta dall’equipaggio e comandata dal “rais” è un balzo a ritroso nel tempo vecchio quanto il fondale marino sottostante, l’unico nell’Area Marina Protetta di Portofino da considerare praticamente “vergine”.
LINK:
LA GALLETTA DEL MARINAIO - SAN ROCCO DI CAMOGLI
Carlo GATTI
Rapallo, 21 Giugno 2019
Il LAZZARETTO DI BANA-SAN LAZZARO (RAPALLO)
Il LAZZARETTO DI BANA-SAN LAZZARO (RAPALLO)
L’ANTICO OSPEDALE
Sull'antico percorso della strada consolare Aurelia, lungo l'argine di destra del torrente Santa Maria, si incontra una modesta casupola di campagna dall'intonaco vivace, che richiama l'attenzione per un affresco che ne ricopre la parete verso levante.
E’ grave; quanto rimane dell'ospedale destinato ai lebbrosi, dedicato a S. Lazzaro é sorto verso la meta del XV secolo per volere di un tale Giacomo d'Aste.
Dopo un iniziale periodo di particolare attività, il lazzaretto ha conosciuto una fase di abbandono.
Nel 1582 il visitatore apostolico monsignor Francesco Bossio, accertato il degrado dell'edificio, che includeva un ambiente destinato alle sacre funzioni, ordinava: "domus hospitalis instauretur... per administratores hospitalis Pammatoni Genue cui asseritur unitum". E’ grave; stata questa decisione che, con ogni probabilità, ha portato alla trasformazione del lebbrosario in una modesta cappella.
Riportiamo da ITALIA NOSTRA:
Indirizzo/Località: Bana/S.Lazzaro via di Bana Rapallo
Tipologia generale: lazzaretto o lebbrosario
Tipologia specifica: hospitale/cappella
Configurazione strutturale: bene di proprietà privata – casa rurale lungo l’antica via di Bana (o via Aurelia) presente ancora con un breve tratto acciottolato
Epoca di costruzione: sec. XV
Uso attuale: la situazione è sempre più pericolante e tragica e un intervento risulta indispensabile
Uso storico: hospitale e poi casa rurale
Condizione giuridica: proprietà privata – bene è vincolato dal 1938, vincolo 00108602, aggiornato al 2006
Segnalazione: del 14 febbraio 2017 –Sezione del Tigullio di Italia Nostra-
Non sono stato all’ufficio del catasto per verificare… ma il casale di Bana, conosciuto come il LAZZARETTO di Rapallo, é tra le costruzioni più antiche di Rapallo ancora in piedi e recuperabili.
Perché LAZZARETTO? dal nome dell'isola veneziana di Santa Maria di Nazareth, su cui nel XV secolo sorse un posto di quarantena chiamato Nazaretto, che per sovrapposizione col nome del personaggio evangelico Lazzaro, appestato per antonomasia, mutò in "lazzaretto".
Icona russa della RISURREZIONE DI LAZZARO: Cristo a sinistra circondato dagli apostoli fa risorgere Lazzaro avvolto in bende a destra, mentre le sorelle Marta e Maria si prostrano in ringraziamento.
Il cartello recita: SITUATO SULL’ANTICA STRADA DI BANA, OSPITAVA I LEBBROSI PER I QUALI FU COSTRUITO NEL XV SECOLO PER INIZIATIVA DEI SIGNORI D’ASTE. L’AFFRESCO DELLA STESSA EPOCA RAFFIGURA NELL’ORDINE SAN GIACOMO, SAN LAZZARO, LA VERGINE COL BAMBNO, SAN BIAGIO.
IL LAZZARETTO DI BANA (Fonte Rapallo Turismo)
Nel 1450, in seguito a una epidemia di lebbra manifestatasi nelle podesterie di Rapallo e Recco, Giacomo d'Aste, facoltoso cittadino rapallese, donò alla comunità un appezzamento di terreno situato in località Bana, tra le frazioni di San Massimo e Santa Maria del Campo, dove venne edificato l'edificio destinato ad accogliere i malati locali. La gestione del ricovero, dedicato a San Lazzaro di Betania, e per questo definito “Lazzaretto”, venne affidata ai Protettori dell'Ospedale di Pammatone di Genova, secondo l'ordinanza di Papa Sisto IV in una bolla del 1471. L'edificio quattro anni dopo accolse gli appestati (fra i quali anche il figlio di Giacomo d'Aste) ammalatisi nell’epidemia che nel 1475 flagellò Genova e le Riviere.
Nel 1505 il Lazzaretto, che versava in precarie condizioni, fu oggetto di un primo restauro; ed anche nel 1582 monsignor Francesco Bossi, visitatore apostolico e vescovo di Novara, doveva lamentare il cattivo stato dell'edificio, chiedendo ai responsabili di Pammatone di porvi rimedio. Ma questi considerarono eccessiva la spesa per i restauri e così non se ne fece nulla.
Il dipinto quattrocentesco che appare sulla parete esterna dell'edificio raffigura, oltre la Madonna con Bambino, i Santi taumaturghi Lazzaro, Giacomo e Biagio.
Quanto rimane del Lazzaretto di Rapallo risalente al XV secolo. L'edificio venne costruito dopo un’epidemia di lebbra grazie alla donazione di un terreno da parte di un cittadino di Rapallo di cognome D'Aste, ma risultò utile anche durante le frequenti epidemie di peste.
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Giacomo il maggiore
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Lazzaro
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante la Vergine con il Bambino
Particolare dell'affresco del lazzaretto di Rapallo raffigurante S. Biagio
La parete con l’affresco è parte di una casa rurale diruta. Adibita in passato anche a pollaio, il tetto è crollato nel 2007. Le finestre sono aperte sul vuoto e si intravedono nell’interno le travi del solaio del primo piano crollato. All’esterno anche segni di fuochi.
Recentemente fu messo in vendita ma né Comune né Sovrintendenza né Regione si sono interessati.
Nel 2015 il presidente della Proloco “Terraemare” propose una colletta per acquistare l’edificio e farne sede della Proloco e centro per mostre, ed eventualmente fattoria didattica. Ma senza esito.
Nel 2014 la sezione Tigullio di Italia Nostra scrisse in merito a Comune e Sovrintendenza chiedendo un urgente intervento di messa in sicurezza, prima che tutto crollasse, Lazzaretto, affreschi e memoria storica. Nessuna risposta.
Il contesto è di zona agraria ai margini della città in progressivo abbandono. Intorno al Lazzaretto segni di attività agricola ben curata. Ma per il resto, diverse belle case rurali abbandonate, il rio Bana in cattive condizioni, con diversi depositi di materiali edili, piccole discariche abusive e un bosco misto non curato.
Preminente l’importanza di salvare l’edificio e l’affresco con possibile acquisto da parte della Regione o del Comune.
Solo successivamente pensare ad una destinazione preferibilmente culturale, sede di associazioni, centro di cultura contadina, ecc. didattica, anche sede distaccata di enti.
Il bene è vincolato dal 1938, vincolo 00108602, aggiornamento nel 2006.
Benché sia stato inserito, nel 2011, nella “Guida” del Sistema Turistico Locale Terre di Portofino, la conoscenza dell’esistenza di questo bene è prossima allo zero.
Farlo conoscere prima dell’inevitabile collasso, sarebbe una grande conquista per la nostra Storia locale e regionale.
UN’ALTRA BRUTTA PAGINA...
La Peste e il voto della Comunità
Negli anni 1579-80 la Liguria è investita dalla peste che miete quasi centomila vittime. 28.250 a Genova, 50.000 nella riviera di ponente, 14.000 in quella di levante.
A Rapallo morirono soltanto 76 persone nel 1579 e 24 nel 1580. Tutte di morte naturale, nessuna di peste.
Nel 1590-91 la peste fece ancora la sua comparsa nella Riviera orientale e, nuovamente Rapallo ne fu preservata.
Per meglio comprendere il significato, da un lato, della deliberazione assunta il 29 agosto 1657 dal Consiglio della magnifica Comunità di Rapallo e, dall’altro, del perché ancor oggi, ogni anno “infra l’ottava” dell’Apparizione si rinnovi il voto del 1657, riportiamo di seguito i dati forniti da P. Antero Maria di S. Bonaventura:
“Li morti in Genova sono più di 60 e meno di 70 milla e quelli dei suburbii cira 4000. In S.Per d’Arena e Cornigliano più di 6000. Nella valle di Polcevera non giungono a 4000. Quelli di Sestri e delle sue Ville eccedono di poco, 5000. Quelli di Pegli, Prà, Voltri, Voraggine e Savona, non sono in tutto 2000. Quelli di Recco con le sue Ville sono 1016. Quelli di Chiavari con i suoi borghi non giungono a 2000”.
E alla luce di quanto sopra leggiamo un frammento dell’atto che il Notaio cancelliere del Comune, Bartolomeo Costaguta redige in Rapallo il 29 agosto 1657 in occasione dell’adunanza convocata nella sala del capitano Gio. Pietro Grimaldo, mentre infuriava la peste che portò a morte oltre un quinto della popolazione del genovesato:
“Considerato etiam prima d’ora la protezione attenuto e tiene del presente luogo la SS. Vergine Maria del Monte Allegro, e tante e sì innumerevoli gratie avute da essa, quale da 100 anni in qua, che sono trascorsi li 2 luglio passato che si è ritrovata in quell’avventurato monte, ha con così evidente miracolo conservato intatto questo luogo da ogni avversità, massima di contagio di peste, dal quale al presente, siccome altre volte è stato da per tutto circondato… cosa veramente di gran speculazione et evidente miracolo…”.
Ne scaturirà il voto solenne della Comunità guidata dal priore Gio. Batta Lencisa che, ogni anno, da allora si rinnova.
Ancora oggi, ogni anno, infra l’ottava dei festeggiamenti, la Civica Amministrazione guidata dal Sindaco e dal Parroco di Rapallo, insieme al popolo raggiunge il Santuario per lo scioglimento del Voto fatto dai Padri.
Un rito secolare che risale al 29 agosto 1657. Rapallo scampò alla peste e i suoi abitanti, in segno di riconoscenza alla Madonna, fecero VOTO SOLENNE di recarsi in processione al Santuario "in un dì dell'ottava del 2 luglio" (giorno dell'Apparizione della Madonna al contadino Giovanni Chichizola nel 1557), di celebrarvi una MESSA e di offrire un OBOLO in segno di gratitudine alla Vergine. Da allora il rito si ripete ogni anno.
Vi propongo il LINK dell’articolo che ho scritto nel 2018 sull’argomento che tratta del RINGRAZIAMENTO:
Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le “Feste di Luglio”
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=610:monte&catid=52:artex&Itemid=153
Ricerche a cura di
Carlo GATTI
FONTI:
- Rapallo Turismo
- Cultura in Liguria
- Italia Nostra
- Area Marina Protetta di Portofino
- Liguria - Touring Club Italiano
- Santuario Basilica di N.S. di Montallegro
BULGAKOV NELLA BURRASCA
BULGAKOV NELLA BURRASCA
“Guarda che nero sul mare, e poi il vento, senti come fischia e come fa sbattere le drizze, si ha la sensazione che la pioggia sia imminente, cosa vuoi andare da Pegli a Santa Margherita solo per partecipare a una regata che oltre tutto si terrà tra due giorni? Lasciamo perdere!”
Ma il mio discorso di estremo buon senso non sortisce alcun effetto, Rinaldo è determinato a partire, fa finta di non sentirmi, anzi, comincia a preparare la barca per mollare gli ormeggi.
Mi do per vinta e mi rassegno; partiamo, e come imbocchiamo l’uscita del nostro Marina, ci viene incontro un'onda che promette una navigazione tormentata: “Nessuna meraviglia per il mare mosso, le onde le avevo già adocchiate prima dalla strada! E che freddo che fa!”
Rinaldo però non demorde: “È vero, fa un po’ freddo, ma tu stai dentro nella dinette, così sarai riparata dal vento. Sto io al timone, tanto c'è poco da fare... il vento spira esattamente contro di noi, perciò non possiamo nemmeno issare la randa, sbatterebbe. Saremo costretti a farcela tutta a motore.”
Di bene in meglio! Quattro ore di sofferenza tra le onde per noi e per la barca, e per di più una navigazione a secco di vele. Ma non me la prendo granché, ormai siamo in ballo e ci tocca per davvero di ballare, questa volta. Mi rintanerò di sotto e mi metterò a leggere il romanzo che mi sono portata. Stando fuori rischierei di ammalarmi, anche se è il 2 di maggio e la stagione potrebbe essere davvero un po' più clemente.
“Che libro avevi in mano poco fa?”
“Il Maestro e Margherita di Bulgakov” il romanzo scelto per questo mese dal nostro circolo degli Amici del libro.
In realtà l’ho già letto e io preferirei sempre qualcosa di nuovo, ma è la maggioranza che decide, e per questa volta la scelta non mi dispiace, ricordo bene quanto avessi apprezzato quel romanzo in gioventù.
La barca sale e scende dalle onde senza sosta e ogni tanto si sente un botto secco perché batte su un’onda più alta delle altre, ma io sono fortunata perché non soffro il mare, posso procedere imperterrita nella lettura.
Ogni tanto mi affaccio dal tambucio: “Hei, tutto bene là fuori? Non è che stai prendendo troppo freddo?”
Rinaldo, imbacuccato nella sua cerata, mi sorride dal timone. È di ottimo umore. Come può essere contento di navigare con un tempo simile? Merita una foto che lo immortali col cielo nero e con il sorriso stampato in faccia. Gliela scatto subito.
“Tranquilla, continua pure a leggere, dove sei arrivata?”
“Annuska ha già comprato l’olio di girasole…”
“Cioè? Guarda che l’ho letto tanti anni fa, non me lo ricordo per niente.”
“Cioè il diavolo è già al lavoro sotto l’ombra dei tigli nei pressi degli stagni dei Patriarchi.”
“E l’olio cosa c’entra?”
“Berlioz, uno sventurato personaggio, scivolerà su quell’olio lasciandoci le penne… In compenso Gesù, anzi Jeshua è già stato giustiziato! Ma non ti dico altro, visto che vuoi rileggerlo anche tu.”
Vizcaya, la nostra barca, picchia forte su un’onda.
“Perbacco, ti sto distraendo, occhio al mare!”
“Per forza mi distrai, prima il diavolo a Mosca, poi Gesù sulla Croce! Già c’è un tempo infame, non puoi raccontarmi qualcosa di più rasserenante? E come ci stanno poi insieme il sommo bene e il sommo male? Proprio non me lo ricordo.”
“Gesù è presente in un romanzo che ogni tanto compare nel romanzo, scritto dal Maestro. Il Maestro, il grande amore di Margherita.”
Un potente mirabile affresco degli eventi, dei luoghi, dei personaggi della Palestina di quell’epoca. Pilato, il più suggestivo dei personaggi.
“A volte mi domando come fai a leggere con queste condizioni di mare. Sotto, nella dinette, per di più! Sei una mosca rara.”
“Dimentichi il mio piede marino ereditato da zii, nonni, bisnonni…”
Provo a stare seduta nel pozzetto per fare un po’ di compagnia a Rinaldo ma per il freddo non resisto più di cinque minuti. Torno alla mia lettura meravigliandomi del fatto che ricordo quasi tutto; man mano che leggo niente mi appare come una novità. È l’unico libro che ho letto in passato del quale io ricordi i dettagli con tanta precisione. Oltre tutto, a ben pensarci, sono passati… meglio non pensare quanti anni! Perbacco, se vola, il tempo! Il romanzo allora mi aveva turbato più di adesso, però anche ora questo diavolo che si vendica della corruzione dilagante in Mosca, aiutato da sinistri collaboratori, non mi rilassa particolarmente. Non mi sento del tutto a mio agio, nonostante l’umorismo di fondo grottesco, che apprezzo molto. Sarà anche il tempo grigio e la navigazione tormentata che contribuiscono a creare un’atmosfera inquietante. Il racconto, comunque, mi avvince, mi intriga, le pagine scorrono rapide con la voglia di proseguire e di non fermarmi. E quando mai ho tanto tempo di leggere come ora? Ben vengano le quattro o forse anche cinque ore che ho a disposizione (abbiamo anche una forte corrente contro!).
Rinaldo penserà che io sia arrabbiata con lui, perché mi coinvolge in queste spedizioni un po’ insensate, invece sono qui che mi crogiolo nella lettura. Una goduria, alla fin fine.
Il mare però sta davvero esagerando, esco di nuovo allo scoperto: “Potevi anche chiamarmi, stiamo passando da San Fruttuoso!”
“Cosa vuoi che ti chiami, ha iniziato a piovere!”
“Perbacco, meriti un’altra foto così intabarrato per difenderti non solo dal freddo ma anche dall’acqua. Coi guantoni, poi, ti ho visto ben di rado! Voglio riprendere anche il panorama, con lo sfondo così fumoso…”
“Vorrai dire nebbioso.”
“No, fumoso si addice meglio alle vicende del romanzo. Ti ricordi il grande ballo di Satana? Ricordo che era epico, drammaticamente epico. Non vedo l’ora di arrivarci.”
“Qui si balla alla grande anche senza il tuo Voland. Invece io non vedo l’ora di arrivare a Santa Margherita.”
“E come ti è venuto in mente come si chiamava Satana?”
“Sa il cielo… che peraltro spero sia più clemente al ritorno e ci risparmi almeno la pioggia.”
“Ti lascio al tuo tempaccio, torno da Bulgakov.”
Mentre scendo i tre gradini che portano nella dinette, penso ai milioni di persone che hanno letto questo romanzo, ma nessuno l’avrà letto, immagino, come me, nel bel mezzo di una burrasca. In fin dei conti, però, è proprio una burrasca, quella che Satana, con la sua azione vendicatrice, scatena a Mosca.
Il clou delle onde ci investe sotto il faro del promontorio di Portofino. Contemporaneamente il Maestro è investito dall’amore per Margherita.
E finalmente ci infiliamo nel porto di Santa Margherita. Le acque si placano e io sono costretta, mio malgrado, a chiudere il libro e ad abbandonare, per il momento, le malefatte di Satana. La Santa locale non ha calmato solo le acque ma anche la pioggia: la luce intensa del cielo forse non promette nuovi futuri rovesci ma qualche raggio di sole.
A più tardi, Bulgakof, il tuo ballo del plenilunio, con Margherita che ne è la regina, me lo gusterò in serata. Streghe comprese. Sempre che Santa Margherita lo consenta.
Posso immaginare come sono contenti gli ormeggiatori di venirci incontro sul pontile in una giornata come questa… Penseranno che avremmo potuto starcene tranquilli nel nostro porto, con questo tempo. Ma sono gentilissimi, come sempre. “Tempaccio del diavolo, quest’oggi - commenta uno dei due.”
Ecco, siamo in tema!
Meno male, però – penso io - il diavolo, nel corso del tragitto sino a qui, non ci ha messo lo zampino!
E allora, grazie Santa Margherita. O forse grazie Jeshua?
MARINELLA GAGLIARDI SANTI
Rapallo, 4 Giugno 2019
SEM BENELLI E IL SUO CASTELLO DI ZOAGLI
SEM BENELLI E IL SUO CASTELLO DI ZOAGLI
SEM BENELLI Filettole (Prato) 1877 - Zoagli 1949
SCHEDA:
Sem Benelli - Scrittore simbolista, amico di Marinetti, divenne celebre come drammaturgo (La cena delle beffe, 1909) scrivendo diverse tragedie e commedie di ambientazione storica.
Partecipò alla Prima guerra mondiale e fu per due volte ferito e decorato di medaglia d'argento. Nella notte del 31 ottobre 1918 fece parte dell'equipaggio che trasportò davanti al porto di Pola: Raffaele Paolucci e Raffaele Rossetti che all'alba affonderanno l'ammiraglia austriaca Viribus Unitis e fu il primo soldato italiano che recò ai cittadini di Pola l'annuncio della liberazione.
Interventista alla vigilia della Grande Guerra, fu attratto dal Fascismo fino al delitto Matteotti, quando diventò critico nei confronti del regime; questo gli attirò frequenti tagli della censura.
Lo scrittore è sepolto nel chiostro di S.Domenico (Prato).
Sem Benelli, caduto oggi in un ingiusto oblio, fu un poeta e drammaturgo italiano che conobbe uno straordinario successo nei primi cinquant’anni del Novecento. La sua vita, svoltasi sempre ai massimi livelli, ebbe inizio a Prato, in Toscana, nel 1877 e si concluse a Zoagli (Liguria) nel 1949. L’autore della famosa Cena delle beffe visse da protagonista i momenti cruciali della storia nazionale. Non solo, ma attraverso Sem Benelli è stato possibile indagare il rapporto, spesso ambiguo, che si instaurò tra il fascismo e il mondo della cultura che ebbe il suo snodo nel Ministero della cultura popolare e nelle creazioni volute dal regime: l’Accademia d’Italia, Cinecittà, la Direzione generale del teatro, le riviste, citandone qualcuna che con Benelli ebbe a che fare.
«Chi non beve con me, peste lo colga!»
(Sem Benelli, La cena delle beffe, 1908)
Il Castello di Sem Benelli al tramonto. Si erge in posizione dominante sull’intero golfo, ubicato su uno sperone di roccia a strapiombo sul mare. Il sito è contrassegnato dal toponimo “Castellaro”. L’edificio, di mole notevole, è visibile dal percorso della via Aurelia che lo affianca a nord.
Percorrendo la strada sul litorale che da Zoagli porta a Chiavari si rimane colpiti dall’improvvisa visione di un castello dallo stile molto originale, forse unico nel suo genere, il castello cosiddetto di Sem Benelli che il poeta drammaturgo volle erigere dopo il suo insediamento a Zoagli nel 1911, dove morì il 18 dicembre 1949.
La villa-Castello fu eretta su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, in località Monteprato. Fu fatta costruire dallo stesso nel 1914 su progetto del suo scenografo teatrale Giuseppe Mancini.
Durante i lavori di costruzione del castello, Sem Benelli abitò in affitto a San Pietro di Rovereto, nella villa Capitanio-Soracco.
L’edificio, nonostante sia di costruzione recente, si presenta in un aspetto eterogeneo di stile medievale e gotico, con l’utilizzo di pietra a vista, maioliche e marmi colorati. Il corpo centrale è contornato da una serie di altri moduli in un sistema complesso seppur compatto e maestoso. L’ingresso della villa è inquadrato da un monumentale arco che ricorda un fondale scenico, originale componente con cui Mancini ha voluto valorizzare la struttura.
Da una informativa del Comune di Zoagli riportiamo:
“La costruzione fu voluta dallo scrittore toscano Sem Benelli (1877-1949), che acquistò il terreno da un certo Giovannino delle Gallerie con i ricavati dei diritti d’autore della sua opera e della sua Compagnia Stabile denominata “benelliana”.
La costruzione cade un anno dopo la cosiddetta Torre Merello di Gino Coppedè, ideale pendant del Castello di Sem Benelli sul territorio zoagliese. Nel 1933 Raffaele Calzini indica il Castello di Sem Benelli come costruzione emblematica dell’anno 1914, assieme ad altri due edifici milanesi (palazzo Viviani-Cova di Adolfo Coppedè, e casa Berri-Menegalli di G. Arata).
Rispetto alla tipologia delle "ville-castello" dei Coppedè (a Genova, per esempio, il Castello Mackenzie del 1897-1902, la Villa Coppedé del 1902, il Castello Turcke del 1903, a Lido di Camaiore la Villa Rolandi-Ricci del 1909, a Lugano la Villa Cattaneo del 1913), il Castello di Sem Benelli, a pianta articolata, sembra caratterizzato da una maggiore compattezza di volumi, che si raggruppano in modo complesso attorno a un alto corpo centrale elevato sugli altri a mò di torre.
L’insieme è improntato a uno spiccato decorativismo ottenuto mediante il trattamento chiaroscurale delle superfici, la presenza in esterno di parti dipinte, soprattutto l’accostamento di materiali diversi (pietra, mattoni, marmi colorati).
Si tratta di caratteri tipici dell’architettura eclettica tra fine Ottocento e inizio Novecento, che tuttavia Mancini arricchisce, in quest’esempio, di componenti originali come l’effetto decisamente teatrale conferito all’ingresso della villa, strombato e inquadrato da un monumentale arcone a mò di fondale scenico, e il trattamento curvilineo delle superfici, realizzato soprattutto nella sommità della “torre” che assume una forma rastremata in alto, rinunciando alla larga copertura tipica dello stile Coppedè, come pure alle sue componenti neo-medievali e neo-gotiche e all’impostazione squadrata della pianta e degli alzati.
Mancini, piuttosto, potrebbe aver tratto ispirazione dalla tipologia del mausoleo novecentesco sviluppato verso l’alto, con forma a pinnacolo che ricorda certa architettura sacra orientale (gli stupa tibetani e indiani): si veda, per esempio, la Tomba Ernesto Puccio di Gino Coppedé al cimitero di Staglieno (Genova)”.
Tomba di Sem Benelli – Chiostro di San Domenico (Prato)
Tuttavia, dopo un anno, il corpo fu trasportato a Prato, presso la sua città natale; fu rispettata, invece, la volontà testamentaria che legò il suo archivio e la sua biblioteca alla Società Economica di Chiavari, oltre ad una infinita corrispondenza con personaggi del calibro di Pirandello, Emilio Treves, Mussolini, D'Annunzio ed altri.
Il lascito Sem Benelli è costituito da 3.080 volumi a stampa e 140 plichi di manoscritti. Va notato, tuttavia, che, come si rileva dalla sua opera Schiavitù, Sem Benelli aveva precedentemente venduto parte dei suoi libri; inoltre i tedeschi, perquisendo nel 1943 il suo alloggio, vi avevano manomesso molti plichi di lettere.
Riportiamo per gli appassionati un compendio delle sue opere:
Sem Benelli, come abbiamo visto, è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano, autore di testi per il teatro e di sceneggiature per il cinema. Fu anche autore di libretti d'opera.
È stato spesso considerato dalla critica un D'Annunzio in minore, ma recentemente il suo talento letterario è stato rivalutato fino a considerarlo come una fra le maggiori espressioni della tragedia moderna.
Il drammaturgo pratese fu autore del testo teatrale La cena delle beffe, tragedia ambientata nella Firenze medicea di Lorenzo il Magnifico, che ebbe un successo clamoroso e tale comunque da consegnare il suo nome alla storia della letteratura. Da questa tragedia fu tratto nel 1941 dal regista Alessandro Blasetti l'omonimo celebre film con Amedeo Nazzari e Clara Calamai. In quel film abbiamo il primo sprazzo di nudo nella storia del cinema sonoro di Cinecittà: Clara Calamai che interpreta Ginevra alla quale viene strappata la camicia da notte lasciandone intravedere il seno.
Dalla riduzione del testo a libretto, venne ricavata da Umberto Giordano l'opera omonima andata in scena in prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano il 20 dicembre 1924. La sola bibliografia teatrale di Benelli comprende una trentina di titoli, sviluppati nell'arco di una quarantina di anni e articolati tanto su drammi sociali quanto su commedie di ambientazione di tipo borghese.
Benelli ebbe il pregio di saper coltivare la sua vena artistica, senza adagiarsi sugli allori del successo ottenuto con la Cena; negli anni immediatamente successivi riuscì a scrivere altri importanti lavori teatrali di impronta storica che ebbero un particolare successo anche in virtù dei multiformi apparati scenografici con i quali venivano rappresentati in scena. Si segnalano qui, in particolare, le tragedie L’amore dei tre re (1910), servita anche da libretto per un melodramma di Italo Montemezzi andato in scena nel 1913; Il mantellaccio e Rosmunda (scritte nelm1911); La Gorgona (1913), da cui furono tratti due film omonimi nel 1915 e nel 1942; ed infine Le nozze dei centauri (lavoro pubblicato nel 1915). Nel 1913 compose un poema sinfonico in onore di Giuseppe Verdi, musicato da Francesco Cilea ed eseguito al Teatro Carlo Felice di Genova, città alla quale il cigno di Busseto era molto legato.
A detta dei critici l'arte letteraria di Benelli - specie per quanto riguarda la produzione principale che va dal 1908 al 1915 - è contraddistinta da una raffinata ricchezza di simbolismi, solo in parte intaccata da un cupo erotismo e da forti connotazioni di carattere psicologico. La successiva produzione poco aggiungerà al suo valore di scrittore dalle molte sfaccettature. Meritano di essere comunque segnalate le commedie: Adamo ed Eva (del 1933), Madre Regina ed Eroi (messe in scena nel 1934) e Caterina Sforza, ispirato all'omonimo personaggio storico (1938).
Benelli fu amico di Marinetti, che aveva avuto parole di lode per le sue opere sino a dopo la fine della Prima guerra mondiale, che Benelli aveva propugnato come convinto interventista. In seguito i rapporti tra i due mutarono radicalmente, arrivando al «disprezzo reciproco».
Allo stesso modo mutò in Benelli l'ammirazione per il regime fascista, che pure aveva condiviso con Gabriele D’Annunzio partecipando con lui all’Impresa Fiumana come legionario. Dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti ad opera di fascisti nel 1924 nasce in Benelli, che fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti del maggio del 1925, un'accesa ostilità per il regime fino al punto di fondare un'organizzazione antifascista, la Lega Italica, che il governo chiuse quasi immediatamente.
La vera natura politica del drammaturgo è stata forse colta da Giuseppe Bottai nel suo Diario 1944-48 definendo non fascista ma mussoliniano Benelli che, insieme a altri come lui «davano ragione a Mussolini contro il fascismo». Un mussolinismo ideale il suo, pericoloso e dannoso per il reale regime fascista. Ma forse chi era veramente Sem Benelli lo si può cogliere in quanto egli scrisse di sé stesso:
«L'artista è l'eroe che i tiranni invidiano e che gli Stati vogliono assoggettare e deformare poiché egli vive per l'uomo ed è spesso contro lo Stato. Se mi direte anarchico, non importa: sono anarchico perché credo l'uomo più importante dello Stato.» |
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Maggio 2019
HELEANNA - Una ferita che brucia ancora
M/n HELEANNA - UNA FERITA CHE BRUCIA ANCORA
Il comandante Dimitrios Anthipas, un pessimo esempio di Comandante
Il 28 agosto 1971, a 15 miglia da Monopoli, un incendio scoppiò a bordo del traghetto greco “Heleanna”. Si trattò della più drammatica e funesta sciagura marittima accaduta in Adriatico nel dopoguerra. La tragedia costò la vita a 25 turisti imbarcati; 16 furono i dispersi, 271 feriti tra i 1089 i superstiti.
Sono trascorsi 42 anni dall’incendio della HELEANNA, ma il ricordo é sempre vivo, specialmente tra coloro che seguirono da vicino le operazioni di salvataggio, ma anche da tutti coloro che ben presto si resero conto che a bordo del traghetto viaggiavano 1174 passeggeri, quasi il doppio dei 620 consentiti, e duecento automobili. A quel punto l’apprensione si trasformò in pura rabbia e la stampa di allora definì “negrieri del mare” il comandante Antypas Dimitrios ed il suo armatore Efthymiadis.
Da dove uscì quel maxi-traghetto con la ciminiera a poppa come una petroliera?
Negli anni ’60 l’armatore greco Constantino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per convertirle in traghetti passeggeri:
la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;
la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;
la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;
la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.
Nel 1954 la nave cisterna Munkedal fu costruita dai cantieri Götaverken di Göteborg-Svezia. Ma il suo destino fu segnato dalla chiusura del Canale di Suez* che costrinse le petroliere a compiere il lungo e costoso periplo dell’Africa, linea che sarebbe risultata economica soltanto con l’introduzione del “gigantismo navale”. Così fu, e tutte le stazze minori, tra cui le petroliere svedesi sopra citate, furono messe fuori mercato.
* Nota: Dopo la GUERRA DEI SEI GIORNI del 1967, il canale rimase chiuso fino al 5 giugno 1975).
Da sempre i greci sono considerati validissimi marinai, ma anche un po’ spregiudicati. L’armatore C.S.Efthymiadis era un fedele garante di questa tradizione. La sua intuizione gli permise, infatti, di trasformare e reclamizzare la nuova unità come “il più grande traghetto del mondo”.
Nel 1966, mantenendo il suo aspetto esteriore, la petroliera Munkedal fu ridisegnata al suo interno per la sistemazione di numerose cabine/passeggeri, mentre sulle fiancate dello scafo furono installati portelloni con rampe di nuova concezione per l’imbarco/sbarco di auto al seguito e mezzi pesanti. Rinominata Heleanna, il traghetto entrò in linea sulla rotta Patrasso–Brindisi-Ancona e ritorno.
La cronaca dell’incidente
Al momento del disastro l’Heleanna si trovava 25 miglia nautiche a Nord di Brindisi, a 9 miglia al largo di Torre Canne, più verso Monopoli. Proveniva da Patrasso ed era diretta ad Ancona con 1174 passeggeri e 200 mezzi (auto, tir e autobus).
Tutto ebbe inizio alle 05.30 del 28 agosto 1971 quando una fuga di gas dai locali della cucina, fra la panetteria, la riposteria ed il locale ristoro provocò un incendio a poppa. Si parlò di un corto circuito, forse una manovra errata di accensione dei polverizzatori della cucina, oppure di uno spandimento di gas liquido, ma anche di una possibile fuoriuscita di nafta dalla cassa di alimentazione della calderina.
Alcuni testimoni affermarono che l’incendio prese il sopravvento solo quando il fuoco lambì le bombole di ossigeno facendole esplodere. Poco dopo successe un fatto molto anomalo: in una cala di poppa vicino al timone, scoppiò un’altra bombola d’ossigeno che bloccò istantaneamente l’organo di governo che era, in quel momento, posizionato 15° a dritta. Il traghetto, ormai in panne, ma ancora abbrivato, compì un’ampia accostata in cui il vento propagò l’incendio a tutta la nave.
L’Heleanna aveva in dotazione 12 scialuppe di salvataggio sufficienti per 600 persone, la metà delle persone imbarcate. Le inchieste promosse dalle Autorità dimostrarono che metà delle lance erano inutilizzabili per via degli argani bloccati dalla ruggine. Tra quelle calate a mare, una si ribaltò e precipitò in mare probabilmente per il sovraccarico.
Gli idranti antincendio e i tutti i sistemi di soccorso non erano funzionanti. Le inchieste che seguirono dimostrarono che il traghetto, dal punto di vista della sicurezza, era da considerarsi sub-standard.
Il disastro causò 25 morti, 16 dispersi e 271 feriti, alcuni anche in modo grave. Le vittime erano di nazionalità italiana, greca e francese. Non appena il Comandante della nave lanciò l’SOS, soccorsi aerei e navali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli e Grottaglie.
I soccorsi aeronavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (Laura, Madonna della Madia, Angela Danese, Nuova Vittoria, S. Cosimo) che si attivarono con molta efficacia nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi.
L’incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto fu rimorchiato verso porto di Brindisi e fu ormeggiato nei pressi del castello Alfonsino.
I feriti sarebbero stati più numerosi se non fosse scattata con grande tempestività l’opera dei soccorritori. Il personale dei rimorchiatori locali della Società Barretta dovette avvicinarsi fino a pochi metri dalla nave per rendere efficace il getto delle proprie spingarde, sfidando temperature altissime e respirando gas di scarico e fumi micidiali, ma dovettero farlo per domare le lingue di fuoco che fuoriuscivano da tutta la nave minacciando di far esplodere i serbatoi di benzina degli oltre 200 mezzi che si trovavano nel garage. Fatto che purtroppo avvenne con tutte le sue tragiche conseguenze.
Anche la città di Monopoli si prodigò per confortare i superstiti, dando una dimostrazione di grande generosità offrendo aiuto e accoglienza ai naufraghi dell’Heleanna.
Il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d’Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.
“Quando siamo arrivati sul posto” – raccontò il proprietario di un peschereccio – “ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo agghiacciante. Lunghe lingue di fiamme uscivano dalla poppa impedendoci di avvicinarci troppo. Sul ponte del traghetto dilagava il panico. Centinaia di persone tentavano di calare le scialuppe senza riuscirvi, altre che scendevano con le barche liberate, rimanevano poi sospese e bloccate a mezz’aria. Altre barche ancora, arrivavano in mare ma non sapevano come governarle. I più si gettavano direttamente in mare saltando dal ponte. Su decine di corde, calate dalle fiancate, c’erano grappoli di uomini appesi, molti erano senza salvagente. Diversi battellini di gomma, sparpagliati in mare, erano difficili da raggiungere ma anche più difficile riuscire a salirvi dentro. Dalle navi che erano accorse – racconta un altro marinaio – erano state calate delle scialuppe, ma rimanevano vuote perché la gente in mare, sfinita non riusciva a raggiungerle. Allora, molti di noi, si sono buttati in acqua per aiutarli. Mai avevo visto tanta gente disperata, annientata dal dolore per aver perso, magari un attimo prima, un amico, un congiunto. Intanto, sulle banchine dei porti di Monopoli, Brindisi e Bari, viene predisposto un imponente servizio di soccorso”.
Centinaia di privati misero a disposizione i loro mezzi, altri portarono in Capitaneria indumenti e coperte. L’incendio fu domato prima di notte e l’Heleanna fu tenuta prudentemente in rada mentre gli inquirenti tentarono di accertare le responsabilità dell’accaduto.
Pare che nella confusione generale, il Comandante del traghetto sia stato il primo a perdere la testa. Alcuni testimoni, infatti, affermarono che il capitano Anthipas abbia lasciato la nave subito dopo l’allarme, mentre la moglie, che era con lui sul traghetto, sostenne il contrario. Per la verità, un’evidenza ci fu e molti la testimoniarono in diverse sedi: il comandante Dimitrios Anthipas, giovanissimo e senza esperienza, giunse “asciutto” sulla banchina di Brindisi, e il 29 agosto del 1971 cercò addirittura la fuga, ma venne arrestato al varco frontaliero del porto di Brindisi, poco prima d’imbarcarsi furtivamente con la moglie su una nave diretta in Grecia. Il comandante venne arrestato con l’accusa di omicidio colposo e per abbandono della nave.
Dimitrios Anthipas sarà poi estradato in Grecia mentre chi ha perso tutto: auto, bagagli, valori, la stessa vita di moglie, figli, genitori e parenti non sarà neppure risarcito. Gli assicuratori si rifiuteranno di pagare per l’evidente violazione, da parte della nave, delle norme stabilite nelle polizze assicurative.
All’epoca del “sinistro”, le acque territoriali comprendevano una fascia di 6 miglia nautiche (11.112 KM), poi modificate per legge in 12 miglia dal 27 febbraio 1973), per cui il disastro avvenne in acque internazionali. Ma le Autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave poiché alcune vittime del disastro erano perite in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Anche le autorità greche furono interessate al processo, in quanto la nave batteva bandiera ellenica.
L’Heleanna in fiamme
Notare la vicinanza del rimorchiatore che punta le spingarde antincendio sulla poppa dell’Heleanna
Targa commemorativa del naufragio a Monopoli
Dopo due anni e mezzo di sosta forzata nel porto di Brindisi, per il relitto dell’Heleanna giunse il momento del congedo, dell’ultimo trasferimento verso un Cantiere di Spezia che aveva il compito di demolirne una parte e trasformarne il resto in una chiatta portuale multipurpose.
Il rimorchiatore genovese ESPERO in navigazione
Rimorchiatore incaricato dell’ultimo viaggio apparteneva alla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, si chiamava ESPERO, era l’ultimo nato della flotta, 5.000 CV di razza, con una strumentazione d’avanguardia: elica intubata, towing winch(troller) modernissimo, elica di manovra a prora(bowthruster) ed una elettronica up to date applicata a tutti i suoi apparati. Chi scrive, era già stato per sette anni al comando di rimorchiatori portuale d’altomare; per motivi d’anzianità toccò a lui collaudare questo moderno “fuoriclasse”. Come? Per un puro caso, si presentò una duplice occasione.
Si trattava di rimorchiare in successione, due relitti, entrambi da Brindisi a La Spezia che all’epoca era il primo porto nazionale della demolizione navale.
Il primo era la petroliera SAN NICOLA della famosa Società Garibaldi, che aveva subito un’esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante.
La seconda era il traghetto passeggeri HELEANNA di cui ci siamo occupati in questo drammatica ricostruzione.
Lo squarcio in coperta della petroliera San Nicola
Testimonianza dell’autore:
Quando salii a bordo del “traghettone” per controllare la situazione generale e studiare gli attacchi di rimorchio, cercai invano di trovare un metro di lamiera liscia ed intatta.
In pratica, l’interno dello scafo era stato devastato completamente dalle altissime temperature provocate dall’incendio. Le lamiere dei ponti erano ondulate e bugnate come la pelle di un lebbroso. Delle 200 autovetture ancora presenti nel lunghissimo garage, erano rimasti gli scheletri deformati da un fuoco impietoso che era durato a lungo causando, purtroppo, vittime e sofferenze indescrivibili.
Avevo già compiuto un’ottantina di rimorchi in tutto il mondo, ma non mi ero mai trovato davanti a tanta devastazione, desolazione e tristezza.
Manovra d’uscita della HELEANNA da Brindisi
1° Problema
Quando andai sul castello di prora per approntare gli attacchi di rimorchio mi trovai di fronte ad una strana situazione: non sapevo dove attaccarmi. Il copertino deformato aveva piegato le bitte, sollevato il salpancore e indebolito ogni centimetro del castello.
Alla fine decisi di far passare alcune grosse cravatte d’acciaio da quei due passacavi in alto che sembrano
due occhi ai lati del tagliamare (vedi foto). Era come prendere un toro per le narici e vi assicuro che non
c’era altro da fare. Come attacco di riserva presi al “lazo” tutto il castello di prora evitando gli spigoli con coppi di gomma, legno, tanto grasso e sacchi di juta.
2° Problema
In precedenza ho accennato all’esplosione di una serie bombole di ossigeno sistemate vicino al timone
della nave; fu proprio questa la causa che bloccò l’organo di governo 15° a dritta costituendo un grande problema per la navigazione a rimorchio.
La soluzione del problema era nelle mani di un’officina specializzata che avrebbe raddrizzato il timone, ma dentro un bacino di carenaggio che nessuno era disposto a pagare…..
Mi dovetti rassegnare, pur sapendo che avevamo davanti 800 miglia di “navigazione manovrata”.
Infatti, appena allungammo il cavo e ci mettemmo in tiro, il rimorchio accostò sulla sua dritta.
Quando doppiammo Santa Maria di Leuca, il vento rinforzò e ci accompagnò fino all’arrivo.
Riuscimmo a tenere una velocità intorno alle 6 miglia, ma quando il vento aumentava nelle golfate, l’Heleanna ce la vedevamo al traverso e per rimettercela di poppa dovevamo allascare le bozze, far venire il cavo da rimorchio in bando e poi dovevamo ripartire “alla gran puta” per andare a riprendere il toro per le corna e rimettercelo di poppa.
Questa era la navigazione manovrata in cui si rischiava di strappare sia le bozze che il cavo da rimorchio.
Pendolammo per 20 ore a ridosso dell’Isola di Ischia, sia per controllare l’attrezzatura, ma soprattutto per
far scivolare verso Est una forte depressione che spingeva il rimorchio fino a sorpassarci, costringendoci
a vere acrobazie per non farci “prendere per il c…” Un’espressione marinara che rende perfettamente
l’idea di ciò che può succedere quando il rimorchio, non essendo in assetto di navigazione, prende il sopravvento, infrangendo quelle poche ma importanti regole
marinaresche, che si dovrebbero sempre rispettare.
Il 16.2.74 arrivammo finalmente a Spezia, e quando il mio amico pilota Nino Casaretto, il quale aveva subito l'esplosione nella cisterna n.10 che squarciò la coperta della nave dando di sé una immagine terrificante, venne a bordo per la manovra di consegna del relitto ai rimorchiatori locali, mi disse in dialetto:
“Ma non ti vergogni d’andare in giro con questo accidente... attaccato al sedere” ?
“Vergogna no! – gli risposi – A brindisi non vedevano l’ora di levarselo dal sedere e trovarne un altro
disposto al sacrificio. Dicono che nella vita bisogna provarle tutte! Eccomi qui, felice e contento d’essere arrivato!”
APPENDICE:
Rapporto Viaggio
Mi spiace! L'immagine non è leggibile, i numeri sono lì... fidatevi! Purtroppo i morti sono altrove. Che Dio li benedica!
UNO SCAMPATO PERICOLO....
La nostra socia Marinella Gagliardi Santi, notissima scrittrice e Skipper di lungo corso, dopo aver letto questo articolo, ha voluto rilasciarci la sua ESISTENZIALE TESTIMONIANZA. per la quale non possiamo che unirci felicemente a questa fantastica coppia di “marinai” per lo scampato pericolo!
"Il ricordo di quella tragedia mi ha toccato da vicino ancora di più, perché Rinaldo ed io, allora non ancora fidanzati, avremmo dovuto imbarcarci proprio sull'Heleanna! Mi aveva invitato ad andare in Grecia insieme a lui ma gli avevano detto che non c'era posto sull'aereo: al ritorno non ci sarebbe stato alcun problema perché avremmo preso proprio quel traghetto! Così io non sono partita con lui, lui si è imbarcato su un aereo in realtà completamente vuoto, e per il ritorno ha preso nuovamente l'aereo.
Pericolo scampato per un pelo, la sorte ha voluto così!"
Carlo-GATTI
Rapallo, 21.3.2013 / Rielaborato nella nuova versione del sito, venerdì 17 Maggio 2024
SAN PIETRO IN BANCHI, UNA CHIESA PARTICOLARE - GENOVA
SAN PIETRO IN BANCHI
UNA CHIESA PARTICOLARE
GENOVA
San Piertro in Banchi
Piazza Banchi, a due passi dalle Calate interne del porto (oggi Porto Antico), da Piazza Caricamento e da Palazzo S. Giorgio, è stata per lunghissimo tempo la piazza principale di Genova, un importante centro d’affari animato dal continuo e intenso via vai di gente proveniente da tutto il mondo: armatori, agenzie marittime, noleggiatori, naviganti, uomini d’affari, artigiani, commercianti, banchieri, lobbisti e sensali, ma se andiamo indietro nel tempo fu popolata anche da pellegrini e crociati in viaggio per la Terrasanta.
Anticamente il mare lambiva la strada ed esisteva una chiesa chiamata San Pietro della Porta che era stata eretta sui ruderi di un antico tempio pagano. Passarono i secoli e intorno al 1100 le famiglie patrizie genovesi l’abbellirono con torri e logge. La piazza, situata in quel contesto particolare che abbiamo appena descritto, deve il suo nome all’attività dei cambiavalute che operavano sui “banchi” o casse di legno. La storia ci tramanda che la parola “bancarotta” derivi dal fallimento del cambiavalute e, quindi, dalla consuetudine di rompere il suo banco.
Era il 1398 e tra guelfi e ghibellini non correva buon sangue. A questi ultimi fu attribuita la responsabilità di un incendio doloso che devastò sia la piazza che la chiesa.
“Tra il 1572 e il 1585 il Senato della Repubblica fece ricostruire una nuova chiesa e la volle in posizione sopraelevata rispetto la piazza, per separare il sacro dal profano, e come segno di gratitudine a Dio per la fine della terribile peste che in quel periodo aveva colpito la popolazione genovese”.
La nuova chiesa prese il nome di SAN PIETRO IN BANCHI e diventò famosa e molto particolare nel suo genere per il raggiungimento di uno scopo meno devozionale e più economico…
“La ricostruzione della chiesa di San Pietro in Banchi fu dovuta a un’inconsueta forma di finanziamento che era più un investimento, fu realizzata, infatti, con lo scopo di vendere o affittare le botteghe che si trovavano, e si trovano tutt’oggi, sotto la chiesa”.
Ma c’é anche un’altra storia altrettanto veritiera: questa chiesa nasce quando Genova era stremata dalla peste arrivata via nave e sentì il dovere di costruire una chiesa per ringraziare il cielo della liberazione dalla morte quotidiana che regnava nei caruggi.
In ogni caso, vista l’importanza commerciale dell’area, si attuò una specie di “compromesso storico” tra sacro e profano, tra aristocrazia genovese e il popolo del mare che lì arrivava e trovava tutto il necessario, dai casini nei vicoli, alla chiesa dove ringraziare San Pietro che di mare e di tempeste se n’intendeva!
San Pietro in Banchi a Genova è una chiesa molto particolare, perché è costruita sopra una terrazza sotto la quale si aprono botteghe di Ferramenta, Casalinghi e Utensili. Tutta la chiesa è costruita su questo basamento-terrazza, ed è raccordata alla piazza attraverso uno scalone: tutto questo contribuisce a dare un senso di imponenza alla costruzione, accresciuto dalle due torrette campanarie che osserviamo ai lati della facciata. Una facciata divisa in tre parti, che sono segnate dai tre grandi arconi del portico, e una facciata caratterizzata dai colori rosso e verde (oltre che dal bianco delle finte architetture). Il progetto fu ideato dall’architetto Bernardino Cantone, che dimostrò di ispirarsi apertamente a un ben noto progetto del più celebre architetto perugino (ma attivo anche a Genova) Galeazzo Alessi, ovvero la Basilica di Santa Maria Assunta di Carignano, probabilmente la più imponente chiesa della città (è visibile da molte parti di Genova ed è uno dei primi edifici che si notano arrivando dal mare!). (F.Giannini-I.Baratta)
La curiosità ci spinge ad entrare nella chiesa e per l’occasione seguiamo le istruzioni della Prof.ssa Maurizia Migliorini.
STRUTTURA ARCHITETTONICA
La chiesa di San Pietro in Banchi è realizzata su un basamento costituito da botteghe e magazzini.
Attraverso uno scalone si accede ad un terrazzo che circonda la chiesa, e ad un porticato antistante la facciata principale. Il portico è diviso in tre campate con volte a crociera affrescate. La chiesa presenta due campaniletti laterali sul fronte ed uno posteriore più grande, lato mare. La copertura è costituita da un tetto a falde molto articolato e da una cupola, rivestita di ardesie sagomate a squama, impostata su un tamburo ottagono, con lanternino. La chiesa ha unica navata con quattro cappelle di ridotte dimensioni, l’abside é molto profondo ed ha un breve transetto.
La chiesa e la piazza viste dall’alto
ESTERNI - Facciata della Chiesa
La facciata principale è decorata con architetture dipinte, mentre i prospetti laterali e posteriore, che non erano mai stati completati, conservarono l'intonaco al rustico, colorato in pasta con colore neutro chiaro della gamma delle terre, e le lesene, i capitelli, le cornici sono appena abbozzati.
INTERNI
Nell’interno il rivestimento in marmo bianco è, in Genova, un bell’esempio di armonia e di classico equilibrio.
Notevoli gli stucchi della calotta absidale, ritenuti il capolavoro di Marcello Sparzo; essi rappresentano momenti della Passione di Cristo, la SS. Trinità e la consegna delle chiavi a S. Pietro, titolare della Chiesa.
Zona absidale
Sulla sinistra, la splendida cappella dell’Immacolata con la tela di Andrea Semino (1588) sovrastata da affreschi di Andrea Ansaldo (“Madonna in trono” e “Presentazione al tempio”, 1630) e statue dei santi Giovanni Battista e Giorgio (patroni della repubblica) e Rocco e Sebastiano (invocati contro la peste) opere di Taddeo Carlone e Daniello Casella.
Questa cappella fu infatti fatta erigere dalla Repubblica di Genova come voto per la cessazione della peste del 1578, come recita l’epigrafe incisa sopra la tela della Vergine. Lo stemma della città posto sopra il fastigio della cappella stessa sta a confermare che “de jure”questo altare apparteneva, ed appartiene, al Comune di Genova.
Nella cappella di fronte, dedicata a S.Giovanni Battista, la pregevole tela del martirio del Santo, opera del pittore lucchese Benedetto Brandimarte.
Decollazione del Battista di Benedetto Brandimarte
Splendidi i marmi della mensa dell’altare maggiore e a, sinistra, il crocifisso settecentesco che un recente restauro ha riportato alle sue armoniose forme estetiche ed all’intensa espressività.
Nella cappella a destra è collocata una statua in gesso (calco servito per una fusione in bronzo). Questa bella statua è stata trovata con le mani accidentalmente spezzate, nel magazzino di un marmista.
Immacolata: La tela è dominata dalla figura della Vergine che avanza; ella è connotata dagli attributi della Donna dell'Apocalisse descritti da San Giovanni nella sua visione, ovvero la falce di luna e la corona di stelle, ed incede alta in cielo, le vesti mosse dal passo e dal vento, librata sopra un paesaggio marino, verso il quale rivolge i proprio fiato mortifero un mostro dalle sette teste che è senza dubbio il dragone apocalittico, ma può assumere nel contempo anche il carattere di personificazione del morbo sconfitto grazie alla mediazione di Maria. Il dipinto del Semino è, sotto il profilo iconografico, un riferimento importante per altre pale genovesi rappresentanti il medesimo tema, ad esempio per quella di Benedetto Castello per l'altare della cappella dell'Immacolata nella Chiesa di San Francesco d'Assisi in Albaro.
Immacolata – opera di Andrea Semino
Note:
Un’antica tradizione, confermata da Jacopo da Varagine, vuole che i primi evangelizzatori dei liguri, Nazario e Gelso, proprio in questo luogo, abbiano predicato la parola di Cristo.
Bibliografia:
Chiesa di San Pietro in Banchi. Nuova chiave di lettura per San Pietro della Porta. Studi e restauri effettuati negli anni 1985-2006, a cura di Rita Pizzone, con la collaborazione di Paola Parodi e Stefano Vassallo, San Giorgio editrice.
Riccardo Navone, Viaggio nei Caruggi, edicole votive, pietre e portali, fratelli Frilli Editori, Genova, 2007
SITOGRAFIA: http://www.wikipedia.it http://www.diocesi.genova.it http://www.irolli.it
Carlo GATTI
Rapallo, 20 maggio 2019
LA FINESTRA DELL'ATTESA - Poesia
LA FINESTRA DELL'ATTESA
Solo la nube
di un’ondeggiante
tenda leggera
alla finestra dell’attesa.
Nessuno più giunge
da narrate lontananze,la valigia odorosa
di esotici umori.
Nel silenzio della stanza oscillano
le avventure di marini racconti,
sabbia dei tropici
nella clessidra del ricordo.
Porta il vento
scivoloso odore
di fritto e di porto
e lo stridore del presente.
Sul cassettone vecchi ritratti
dai vividi occhi sorvegliano
mai sopite memorie.
di Maria Grazia BERTORA
Rapallo, giovedì 9 Maggio 2019
DA TRELO ALLE MERICHE ....
DA TRELO
(San Michele di Pagana-RAPALLO)
ALLE MERICHE
CON IL LEUDO
FELICE MANIN
A fine ‘800 RAPALLO aveva ancora il suo Cantiere Navale, la sua Scuola Nautica e, per dirla con Faber (F.De André), il suo “lungomare” non “ödoâva de bon”, ma diffondeva profumi di legno pregiato, di stoppa e di pece che stanno ai vecchi cantieri come l'odore d’incenso sta alle chiese, come il mosto sta alle cantine.
I rumori erano quelli degli operosi méistri d’àscia, câfàtti /calafati e dei bancâe/segantini che costruivano le loro creature con l’arte manuale imparata a còrpi de casci in to cû… dai vecchi che non sapevano né leggere né scrivere, ma sapevano insegnare i segreti del mestiere con rapidi e precisi geroglifici sulla sabbia che subito cancellavano… maniman!!! *
*MANIMAN: Termine genovese intraducibile in italiano. La traduzione più corretta è “non si sa mai” anche se con una sfumatura diversa, solitamente usato in negativo per indicare una situazione con diffidenza: “maniman c’è la fregatura”, ma si può usare anche in "maniman ti sprechi".
Pochi anni dopo, allo scoccare del ‘900, iniziò il turismo internazionale e i rapallini si vendettero l’anima marinara, i ricordi dei velieri varati, delle vele e del mare, chiusero i rumorosi Cantieri Navali, imposti dalle Autorità cittadine per 'disturbi alla quiete turistica', fallirono le officine che fornivano i legni della Val d’Aveto e gli utensili: asce, pialle, seghe, verine, raspe, magli, scalpelli, attrezzature di bordo finirono nei polverosi scantinati dei vecchi cantieri oggi ristrutturati in case di lusso.
Nel sentire comune, i rapallini diventarono rapallesi per darsi una foggia dialettale meno provinciale, si vestirono alla moda e si misero al servizio dei turisti anglo americani… la storia voltò pagina.
Ma, ancón d’assæ, (ma per fortuna) c’è chi la storia la ricorda e la fa riemergere! E’ il caso di un LEUDO Nostrano, anzi più che nostrano:
TRELO - Notare un leudo tirato in secca a sinistra nella foto
Il leudo FELICE MANIN fu varato nel 1891 a Trelo
(S. Michele di Pagana)
RAPALLO
Nel 1981, dopo un periodo di abbandono in un cantiere a Riva Trigoso, il leudo, che all’epoca portava il nome di “Padre Carlo”, venne acquistato da Luigi Cappellini che, stimolato da alcuni appassionati, ne iniziò il restauro.
Ripreso il nome originario di “Felice Manin”, il leudo venne varato il 3 luglio 1982. Fino dall’epoca del varo si pensò ad una iniziativa che qualificasse anche culturalmente l’operazione di recupero del leudo, e a proposito, prese corpo l’idea di inserire concretamente il leudo nell’ambito delle iniziative colombiane che dovevano concludersi nel 1992, in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America.
Il Felice Manin, che innalzava anche la bandiera dell’UNICEF, quale messaggero di pace, partì domenica 21 ottobre 1984 dalla darsena della Fiera di Genova.
Iniziò così l’altra grande avventura che portò il Felice Manin dallo scalo di S. Michele di Pagana, dove fu varato, fino a San Salvador, dove giunse dopo 50 giorni di navigazione il 30 gennaio 1985. Dal 1987 al 2000 il Felice Manin restò nuovamente in stato di abbandono in un cantiere a Chicago.
Il 20 maggio del 2000 dopo 480 giorni dalla fondazione dell’Associazione “Salviamo il leudo Felice Manin”, il leudo viene sbarcato sulla banchina del molo Fornelli di La Spezia. Attualmente la barca si trova nel capannone “Lance e Remi” dell’Arsenale Militare di La Spezia in attesa di fondi per il restauro. Le condizioni dello scafo richiedono un urgente intervento di restauro strutturale, l’applicazione di un nuovo motore e la completa ricostruzione dell’attrezzatura velica.
LEUDI a Rapallo - fine ‘800
Le botti del Leudo vinacciere
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo dedicato alla storia del LEUDO un ampio saggio ed altri articoli di cui riporteremo i LINK. Dalle notizie e dai dati ottenuti risulta che, agli inizi del secolo scorso, il leudo “Felice Manin” attraversò in lungo e in largo il Mediterraneo, capitanato da Emanuele Ghio. Come mostra la foto, il FELICE MANIN era una barca a vela latina di circa sedici metri di lunghezza e con una capacità di carico di una trentina di tonnellate, condotta da capitani coraggiosi che erano anche astuti commercianti. La forma affusolata dello scafo permetteva a questa imbarcazione, in una epoca in cui i porti erano in numero esiguo, di esser calata in mare e tirata direttamente sulla spiaggia. Tanto da essere considerata “il Tir del Novecento”.
Oggi l’UNESCO ha dichiarato il leudo mezzo di valore storico e culturale.
Ora passo la parola all'amico Pietro Berti che ha profuso cospicue energie alla storia del LEUDO:
l Leudo Felice Manin fu varato nel 1891 a S. Michele di Pagana, e più precisamente in località Trelo, dallo scalo del padre del Mastro d'Ascia Attilio "Tilio" Valle. Secondo il Registro Navale del 1948 si tratta di una barca di 24,89 tonnellate di stazza lorda e 18,92 di netta, avente le seguenti dimensioni di stazza: m. 15,60 x 4,86 x 1,87.
Col Felice Manin e con le altre barche il "Cumbinemu" (soprannome da: “combiniamo affari”) trafficava in una vasta zona del Tirreno, toccando i porti di Ischia, dell'Elba, della Sicilia, della Sardegna, della Puglia ed anche dei porti francesi di Nizza e St. Raphael. Le merci trasportate di preferenza erano formaggi, vini, conserve, pesce secco e salato, legumi, lana grezza, ed anche tessuti lavorati a mano. Il Felice Manin, considerato barca solida ed ottimo veliere, fu condotto per svariati anni da Emanuele, ma l'incidente avvenuto nell'inverno del 1925-26 a Sestri Levante, segnò la sorte dell'armatore.
Dovendo ancorare a Sestri Levante, dove non aveva un ormeggio fisso, fu sistemato nel primo posto liberatosi, nei pressi del cosiddetto " Scoglio Lungo ". Avvenne che, per il montare di una burrasca il Leudo ruppe gli ormeggi e finì sugli scogli, subendo forti danni alla carena. Per recuperare i documenti e parte del carico Emanuele si tuffò parecchie volte nell'acqua gelida buscandosi una broncopolmonite che lo portò alla morte il 9 Febbraio 1926.
Il Felice Manin venne acquistato, così come si trovava, dall'armatore Rivano Giovanni Castagnola fu Giovanni del casato "Sellai". Il Castagnola impose alla barca il nuovo nome di Giovanni e Paolo e, nel 1930-31 lo iscrisse al Registro Navale Italiano. Sotto i Castagnola il nostro Leudo riprese i traffici del formaggio. Durante la Seconda Guerra Mondiale il Giovanni e Paolo fu danneggiato leggermente da una bomba. Tirato in secco nei pressi dell'officina di Stagnaro, a Riva Trigoso, sulla riva destra del torrente Petronio, fu riparato e rimesso in attività.
A parte quest'incidente il Leudo fu fortunato, perché non disponendo ancora del motore, introdotto verso il 1946, non venne mai requisito per scopi bellici. Nonostante l'applicazione del motore navigò più spesso a vela, come se il motore non esistesse poi, nel 1957, il Giovanni e Paolo fu acquistato da Carlo Schiaffino di Santa Margherita Ligure, che lo ribattezzò Padre Carlo.
Nel 1964 furono sostituiti, presso il Cantiere Canale di Lavagna, sia il timone, che il motore e l'asta del fiocco, mentre l'antenna era già stata sostituita in precedenza. Per quanto riguarda l'antenna quella vecchia s'era incrinata, quindi per rinforzarla le era stato aggiunto sul lato inferiore un prolungamento, o Lapazza.
Nel 1981 il Padre Carlo è acquistato da Luigi Cappellini che, stimolato da alcuni appassionati, ne iniziò il restauro. Il lavoro di ripristino dello scafo ha richiesto la sostituzione di diversi corsi di fasciame ed il completo ricalafataggio. Ripreso il nome originario di Felice Manin, ed assunta la nuova matricola 2 GE 4235 D, viene varato il 3 luglio 1982 alla presenza di una vasta folla di curiosi. Rinato a nuova vita il Felice Manin, che all'epoca alzava le insegne del Velamare Club di Milano, compì la prima traversata verso la Sardegna, dove partecipò alla Regata delle Barche d'Epoca a Porto Cervo, vincendo un premio quale barca più antica. In autunno il Leudo venne esposto sul piazzale antistante la Fiera di Genova, in concomitanza col Salone Nautico.
Lentamente prese corpo l'idea di inserire concretamente il Leudo nell'ambito delle iniziative Colombiane che dovevano concludersi nel 1992, in occasione del Quinto Centenario della scoperta dell'America. Nacque così l'idea di compiere la traversata dell'Atlantico sulla rotta di Cristoforo Colombo. I lavori di miglioramento della barca ebbero dunque nuovo impulso, specie per quanto riguardava la sicurezza della navigazione. Venne impiantata una nuova radio e delle più moderne apparecchiature di navigazione. Oltre a questo, in previsione di una lunga permanenza in mare, vennero sistemate a bordo delle apparecchiature frigorifere e di surgelamento, oltre ad un impianto per la desalinizzazione dell'acqua.
Dopo un primo annuncio ufficiale dell'impresa, vi fu un susseguirsi di manifestazioni preparatorie. Nei giorni 25-26-27 Agosto 1984, il Leudo partecipò come Ospite d'Onore alla seconda Regata delle Vele Latine di Stintino, in Sardegna. Immediatamente dopo mise la prora su Noli, in concomitanza con la Regata Storica dei Rioni. In questa storia, Noli assume un significato particolare, perchè fu da qui che iniziò oltre Cinquecento anni fa la grande avventura Colombiana. Colombo si imbarcò a Noli, allora Repubblica Marinara, per recarsi in Inghilterra, ma a causa di un naufragio si ritrovò in Spagna, dove in seguito si mise a cercare i finanziamenti per la sua impresa. Dopo Noli, il Leudo si trasferì a Genova, dove, attraccato alla radice di levante di Ponte dei Mille, completò i preparativi per la partenza, prevista dalla darsena del Salone Nautico.
Le tappe previste per il viaggio, Genova, Barcellona, Siviglia, Palos, Lisbona, Canarie, San Salvador, Miami, Washington e New York.
Nella realtà, per motivi tecnici, Palos e Lisbona verranno saltate. A Miami il Leudo dovrà partecipare come ospite al Miami International Boat Show, gemellato per l'occasione col Salone Nautico di Genova. Inizialmente l'equipaggio doveva essere composto da Luigi Cappellini (skipper), Lucio Napolitano, Umberto Terso, Riccardo Garampi, Roberto Barbi, Alberto Venza, Franco Bevilacqua, Armando Prisco e Alvaro Mazzanti. Purtroppo in seguito Napolitano, Barbi, Bevilacqua, Prisco e Mazzanti rinunceranno e verranno sostituiti da Franco Tornambè, Maurizio Benazzo, Mauro Albonico, Adriano Borgna e Carlo Martinoli.
La partenza del Leudo destò molto interesse ed entusiasmo, ma anche molti timori, specie tra i Rivieraschi. Qui i vecchi marinai dei Leudi affermarono che il Leudo, pur essendo una buona barca, non era adatto ad una simile traversata, avendo oltretutto la bella età di 93 anni. Nonostante questo il Felice Manin, che innalzava anche la bandiera dell'Unicef, quale messaggero di pace, partì la domenica del 21 ottobre 1984 dalla darsena della Fiera di Genova, salutato da una folla numerosa, e scortato dai rimorchiatori India e Capotesta, oltre che dallo Jawl Elpis, che fu la prima barca di Sir Francis Chichester, il noto navigatore solitario. Iniziò così la grande avventura che portò il Felice Manin dallo scalo di S. Michele di Pagana, dove fu varato, fino a San Salvador, dove giunse il 30 gennaio 1985, alle ore 17,30 italiane, dove fu accolto calorosamente dalla popolazione locale.
Il leudo FELICE MANIN sulle orme di Colombo
“Genova-San Salvador” dal 21.10.1984 al 30.1.1985
Dopo San Salvador il FELICE MANIN ha continuato a navigare nelle splendide acque Caraibiche, ed è presente anche alle Celebrazioni dell’86 a New York per il Centenario della Statua della Libertà, sfilando sul fiume Hudson insieme alla Nave Vespucci in rappresentanza dell’Italia. L’avventura successiva è risalire il San Lorenzo fino a Chicago, ma l’impresa si rivela durissima per l’approssimarsi dell’inverno con venti gelidi e bufere di neve; così raggiunta Chicago gli otto dell’equipaggio sono persuasi, sicuramente con profondo malincuore, a tornarsene in aereo, lasciando l’imbarcazione abbandonata in disarmo in un piazzale sul porto. Lì vi rimarrà fino al ’99 quando l’Autorità Portuale di Chicago ne ordina lo sgombero.
A La Spezia la notizia smuove il sentimento popolare perché la gente non vuole perdere un pezzo così caro della propria storia e cultura, in cui così bene si riconosce; il Sindaco stesso si fa promotore del comitato “Salviamo il Leudo Felice Manin - Classe 1891”, raccogliendo l’adesione pure della Marina Militare; e finalmente il 20 maggio 2000 il Leudo, gravemente danneggiato, torna alla sua terra. Adesso è ricoverato in attesa di restauro presso l’Arsenale della Marina Militare a La Spezia, è oggetto di studi e di tesi di laurea, nonché “banco di lavoro” per Allievi Maestri d’Ascia e restauratori.
Ed è una sfida avvincente… Si pensi che di Leudi Rivani di quell’epoca ne sono rimasti solo quattro! Auguriamo Buon Vento al “Felice Manin”… Sarebbe un onore e una forte emozione per chiunque impugnare la barra del timone di questa imbarcazione, che ha rappresentato e ancora rappresenta la vita e il lavoro di così tante persone di generazioni diverse!
Mi scuso per la versione ridotta del racconto!
Ringrazio Pietro Berti ed Enzo Ronci per le loro preziose testimonianze.
ALCUNI APPROFONDIMENTI di Mare Nostrum Rapallo:
LEUDO, UNA MANOVRA PARTICOLARE
NEL MONDO DEI LEUDI (27.477 visite)
O LEUDO di (Fiorenzo Toso)
Carlo GATTI
Rapallo, 7 Maggio 2019