DA TRELO ALLE MERICHE ....
DA TRELO
(San Michele di Pagana-RAPALLO)
ALLE MERICHE
CON IL LEUDO
FELICE MANIN
A fine ‘800 RAPALLO aveva ancora il suo Cantiere Navale, la sua Scuola Nautica e, per dirla con Faber (F.De André), il suo “lungomare” non “ödoâva de bon”, ma diffondeva profumi di legno pregiato, di stoppa e di pece che stanno ai vecchi cantieri come l'odore d’incenso sta alle chiese, come il mosto sta alle cantine.
I rumori erano quelli degli operosi méistri d’àscia, câfàtti /calafati e dei bancâe/segantini che costruivano le loro creature con l’arte manuale imparata a còrpi de casci in to cû… dai vecchi che non sapevano né leggere né scrivere, ma sapevano insegnare i segreti del mestiere con rapidi e precisi geroglifici sulla sabbia che subito cancellavano… maniman!!! *
*MANIMAN: Termine genovese intraducibile in italiano. La traduzione più corretta è “non si sa mai” anche se con una sfumatura diversa, solitamente usato in negativo per indicare una situazione con diffidenza: “maniman c’è la fregatura”, ma si può usare anche in "maniman ti sprechi".
Pochi anni dopo, allo scoccare del ‘900, iniziò il turismo internazionale e i rapallini si vendettero l’anima marinara, i ricordi dei velieri varati, delle vele e del mare, chiusero i rumorosi Cantieri Navali, imposti dalle Autorità cittadine per 'disturbi alla quiete turistica', fallirono le officine che fornivano i legni della Val d’Aveto e gli utensili: asce, pialle, seghe, verine, raspe, magli, scalpelli, attrezzature di bordo finirono nei polverosi scantinati dei vecchi cantieri oggi ristrutturati in case di lusso.
Nel sentire comune, i rapallini diventarono rapallesi per darsi una foggia dialettale meno provinciale, si vestirono alla moda e si misero al servizio dei turisti anglo americani… la storia voltò pagina.
Ma, ancón d’assæ, (ma per fortuna) c’è chi la storia la ricorda e la fa riemergere! E’ il caso di un LEUDO Nostrano, anzi più che nostrano:
TRELO - Notare un leudo tirato in secca a sinistra nella foto
Il leudo FELICE MANIN fu varato nel 1891 a Trelo
(S. Michele di Pagana)
RAPALLO
Nel 1981, dopo un periodo di abbandono in un cantiere a Riva Trigoso, il leudo, che all’epoca portava il nome di “Padre Carlo”, venne acquistato da Luigi Cappellini che, stimolato da alcuni appassionati, ne iniziò il restauro.
Ripreso il nome originario di “Felice Manin”, il leudo venne varato il 3 luglio 1982. Fino dall’epoca del varo si pensò ad una iniziativa che qualificasse anche culturalmente l’operazione di recupero del leudo, e a proposito, prese corpo l’idea di inserire concretamente il leudo nell’ambito delle iniziative colombiane che dovevano concludersi nel 1992, in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America.
Il Felice Manin, che innalzava anche la bandiera dell’UNICEF, quale messaggero di pace, partì domenica 21 ottobre 1984 dalla darsena della Fiera di Genova.
Iniziò così l’altra grande avventura che portò il Felice Manin dallo scalo di S. Michele di Pagana, dove fu varato, fino a San Salvador, dove giunse dopo 50 giorni di navigazione il 30 gennaio 1985. Dal 1987 al 2000 il Felice Manin restò nuovamente in stato di abbandono in un cantiere a Chicago.
Il 20 maggio del 2000 dopo 480 giorni dalla fondazione dell’Associazione “Salviamo il leudo Felice Manin”, il leudo viene sbarcato sulla banchina del molo Fornelli di La Spezia. Attualmente la barca si trova nel capannone “Lance e Remi” dell’Arsenale Militare di La Spezia in attesa di fondi per il restauro. Le condizioni dello scafo richiedono un urgente intervento di restauro strutturale, l’applicazione di un nuovo motore e la completa ricostruzione dell’attrezzatura velica.
LEUDI a Rapallo - fine ‘800
Le botti del Leudo vinacciere
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo dedicato alla storia del LEUDO un ampio saggio ed altri articoli di cui riporteremo i LINK. Dalle notizie e dai dati ottenuti risulta che, agli inizi del secolo scorso, il leudo “Felice Manin” attraversò in lungo e in largo il Mediterraneo, capitanato da Emanuele Ghio. Come mostra la foto, il FELICE MANIN era una barca a vela latina di circa sedici metri di lunghezza e con una capacità di carico di una trentina di tonnellate, condotta da capitani coraggiosi che erano anche astuti commercianti. La forma affusolata dello scafo permetteva a questa imbarcazione, in una epoca in cui i porti erano in numero esiguo, di esser calata in mare e tirata direttamente sulla spiaggia. Tanto da essere considerata “il Tir del Novecento”.
Oggi l’UNESCO ha dichiarato il leudo mezzo di valore storico e culturale.
Ora passo la parola all'amico Pietro Berti che ha profuso cospicue energie alla storia del LEUDO:
l Leudo Felice Manin fu varato nel 1891 a S. Michele di Pagana, e più precisamente in località Trelo, dallo scalo del padre del Mastro d'Ascia Attilio "Tilio" Valle. Secondo il Registro Navale del 1948 si tratta di una barca di 24,89 tonnellate di stazza lorda e 18,92 di netta, avente le seguenti dimensioni di stazza: m. 15,60 x 4,86 x 1,87.
Col Felice Manin e con le altre barche il "Cumbinemu" (soprannome da: “combiniamo affari”) trafficava in una vasta zona del Tirreno, toccando i porti di Ischia, dell'Elba, della Sicilia, della Sardegna, della Puglia ed anche dei porti francesi di Nizza e St. Raphael. Le merci trasportate di preferenza erano formaggi, vini, conserve, pesce secco e salato, legumi, lana grezza, ed anche tessuti lavorati a mano. Il Felice Manin, considerato barca solida ed ottimo veliere, fu condotto per svariati anni da Emanuele, ma l'incidente avvenuto nell'inverno del 1925-26 a Sestri Levante, segnò la sorte dell'armatore.
Dovendo ancorare a Sestri Levante, dove non aveva un ormeggio fisso, fu sistemato nel primo posto liberatosi, nei pressi del cosiddetto " Scoglio Lungo ". Avvenne che, per il montare di una burrasca il Leudo ruppe gli ormeggi e finì sugli scogli, subendo forti danni alla carena. Per recuperare i documenti e parte del carico Emanuele si tuffò parecchie volte nell'acqua gelida buscandosi una broncopolmonite che lo portò alla morte il 9 Febbraio 1926.
Il Felice Manin venne acquistato, così come si trovava, dall'armatore Rivano Giovanni Castagnola fu Giovanni del casato "Sellai". Il Castagnola impose alla barca il nuovo nome di Giovanni e Paolo e, nel 1930-31 lo iscrisse al Registro Navale Italiano. Sotto i Castagnola il nostro Leudo riprese i traffici del formaggio. Durante la Seconda Guerra Mondiale il Giovanni e Paolo fu danneggiato leggermente da una bomba. Tirato in secco nei pressi dell'officina di Stagnaro, a Riva Trigoso, sulla riva destra del torrente Petronio, fu riparato e rimesso in attività.
A parte quest'incidente il Leudo fu fortunato, perché non disponendo ancora del motore, introdotto verso il 1946, non venne mai requisito per scopi bellici. Nonostante l'applicazione del motore navigò più spesso a vela, come se il motore non esistesse poi, nel 1957, il Giovanni e Paolo fu acquistato da Carlo Schiaffino di Santa Margherita Ligure, che lo ribattezzò Padre Carlo.
Nel 1964 furono sostituiti, presso il Cantiere Canale di Lavagna, sia il timone, che il motore e l'asta del fiocco, mentre l'antenna era già stata sostituita in precedenza. Per quanto riguarda l'antenna quella vecchia s'era incrinata, quindi per rinforzarla le era stato aggiunto sul lato inferiore un prolungamento, o Lapazza.
Nel 1981 il Padre Carlo è acquistato da Luigi Cappellini che, stimolato da alcuni appassionati, ne iniziò il restauro. Il lavoro di ripristino dello scafo ha richiesto la sostituzione di diversi corsi di fasciame ed il completo ricalafataggio. Ripreso il nome originario di Felice Manin, ed assunta la nuova matricola 2 GE 4235 D, viene varato il 3 luglio 1982 alla presenza di una vasta folla di curiosi. Rinato a nuova vita il Felice Manin, che all'epoca alzava le insegne del Velamare Club di Milano, compì la prima traversata verso la Sardegna, dove partecipò alla Regata delle Barche d'Epoca a Porto Cervo, vincendo un premio quale barca più antica. In autunno il Leudo venne esposto sul piazzale antistante la Fiera di Genova, in concomitanza col Salone Nautico.
Lentamente prese corpo l'idea di inserire concretamente il Leudo nell'ambito delle iniziative Colombiane che dovevano concludersi nel 1992, in occasione del Quinto Centenario della scoperta dell'America. Nacque così l'idea di compiere la traversata dell'Atlantico sulla rotta di Cristoforo Colombo. I lavori di miglioramento della barca ebbero dunque nuovo impulso, specie per quanto riguardava la sicurezza della navigazione. Venne impiantata una nuova radio e delle più moderne apparecchiature di navigazione. Oltre a questo, in previsione di una lunga permanenza in mare, vennero sistemate a bordo delle apparecchiature frigorifere e di surgelamento, oltre ad un impianto per la desalinizzazione dell'acqua.
Dopo un primo annuncio ufficiale dell'impresa, vi fu un susseguirsi di manifestazioni preparatorie. Nei giorni 25-26-27 Agosto 1984, il Leudo partecipò come Ospite d'Onore alla seconda Regata delle Vele Latine di Stintino, in Sardegna. Immediatamente dopo mise la prora su Noli, in concomitanza con la Regata Storica dei Rioni. In questa storia, Noli assume un significato particolare, perchè fu da qui che iniziò oltre Cinquecento anni fa la grande avventura Colombiana. Colombo si imbarcò a Noli, allora Repubblica Marinara, per recarsi in Inghilterra, ma a causa di un naufragio si ritrovò in Spagna, dove in seguito si mise a cercare i finanziamenti per la sua impresa. Dopo Noli, il Leudo si trasferì a Genova, dove, attraccato alla radice di levante di Ponte dei Mille, completò i preparativi per la partenza, prevista dalla darsena del Salone Nautico.
Le tappe previste per il viaggio, Genova, Barcellona, Siviglia, Palos, Lisbona, Canarie, San Salvador, Miami, Washington e New York.
Nella realtà, per motivi tecnici, Palos e Lisbona verranno saltate. A Miami il Leudo dovrà partecipare come ospite al Miami International Boat Show, gemellato per l'occasione col Salone Nautico di Genova. Inizialmente l'equipaggio doveva essere composto da Luigi Cappellini (skipper), Lucio Napolitano, Umberto Terso, Riccardo Garampi, Roberto Barbi, Alberto Venza, Franco Bevilacqua, Armando Prisco e Alvaro Mazzanti. Purtroppo in seguito Napolitano, Barbi, Bevilacqua, Prisco e Mazzanti rinunceranno e verranno sostituiti da Franco Tornambè, Maurizio Benazzo, Mauro Albonico, Adriano Borgna e Carlo Martinoli.
La partenza del Leudo destò molto interesse ed entusiasmo, ma anche molti timori, specie tra i Rivieraschi. Qui i vecchi marinai dei Leudi affermarono che il Leudo, pur essendo una buona barca, non era adatto ad una simile traversata, avendo oltretutto la bella età di 93 anni. Nonostante questo il Felice Manin, che innalzava anche la bandiera dell'Unicef, quale messaggero di pace, partì la domenica del 21 ottobre 1984 dalla darsena della Fiera di Genova, salutato da una folla numerosa, e scortato dai rimorchiatori India e Capotesta, oltre che dallo Jawl Elpis, che fu la prima barca di Sir Francis Chichester, il noto navigatore solitario. Iniziò così la grande avventura che portò il Felice Manin dallo scalo di S. Michele di Pagana, dove fu varato, fino a San Salvador, dove giunse il 30 gennaio 1985, alle ore 17,30 italiane, dove fu accolto calorosamente dalla popolazione locale.
Il leudo FELICE MANIN sulle orme di Colombo
“Genova-San Salvador” dal 21.10.1984 al 30.1.1985
Dopo San Salvador il FELICE MANIN ha continuato a navigare nelle splendide acque Caraibiche, ed è presente anche alle Celebrazioni dell’86 a New York per il Centenario della Statua della Libertà, sfilando sul fiume Hudson insieme alla Nave Vespucci in rappresentanza dell’Italia. L’avventura successiva è risalire il San Lorenzo fino a Chicago, ma l’impresa si rivela durissima per l’approssimarsi dell’inverno con venti gelidi e bufere di neve; così raggiunta Chicago gli otto dell’equipaggio sono persuasi, sicuramente con profondo malincuore, a tornarsene in aereo, lasciando l’imbarcazione abbandonata in disarmo in un piazzale sul porto. Lì vi rimarrà fino al ’99 quando l’Autorità Portuale di Chicago ne ordina lo sgombero.
A La Spezia la notizia smuove il sentimento popolare perché la gente non vuole perdere un pezzo così caro della propria storia e cultura, in cui così bene si riconosce; il Sindaco stesso si fa promotore del comitato “Salviamo il Leudo Felice Manin - Classe 1891”, raccogliendo l’adesione pure della Marina Militare; e finalmente il 20 maggio 2000 il Leudo, gravemente danneggiato, torna alla sua terra. Adesso è ricoverato in attesa di restauro presso l’Arsenale della Marina Militare a La Spezia, è oggetto di studi e di tesi di laurea, nonché “banco di lavoro” per Allievi Maestri d’Ascia e restauratori.
Ed è una sfida avvincente… Si pensi che di Leudi Rivani di quell’epoca ne sono rimasti solo quattro! Auguriamo Buon Vento al “Felice Manin”… Sarebbe un onore e una forte emozione per chiunque impugnare la barra del timone di questa imbarcazione, che ha rappresentato e ancora rappresenta la vita e il lavoro di così tante persone di generazioni diverse!
Mi scuso per la versione ridotta del racconto!
Ringrazio Pietro Berti ed Enzo Ronci per le loro preziose testimonianze.
ALCUNI APPROFONDIMENTI di Mare Nostrum Rapallo:
LEUDO, UNA MANOVRA PARTICOLARE
NEL MONDO DEI LEUDI (27.477 visite)
O LEUDO di (Fiorenzo Toso)
Carlo GATTI
Rapallo, 7 Maggio 2019
CONTROCORRENTE….
CONTROCORRENTE….
La voragine provocata dalla mareggiata del 29/30 ottobre 2018
In quel terribile episodio, come mostra la foto sopra, ad erodere gli strati sottostanti il manto stradale é stata la mareggiata da SSW. Come é potuto succedere? Perché la copertura della strada poggiava su terreno friabile e non su strati di massi pietrosi resistenti e adatti a far defluire l’acqua di mare sulla battigia sottostante.
28 aprile 2019 - Strada provinciale 227 - Ecco come si presentava la voragine (2mt X 3 mt X 1mt prof.) provocata dalla pioggia all’inizio della strada carrabile che da Paraggi porta a Portofino.
Il problema é che i nostri figli, nipoti ed amici che lavorano nel borgo di Portofino non si fidano più a transitare su quella strada che, paradossalmente, é riparata dai “quadranti pericolosi” del mare, ma non dagli effetti disastrosi della pioggia che scende a picco dalle pareti di roccia cercando il mare. Nella sua rovinosa caduta, la pioggia scava e scioglie il terreno che si trova sotto il manto stradale, come dimostrano le fotografie sopra.
Gli ingegneri del 1890-1900 che costruirono questa strada, avrebbero dovuto assimilare scienza e conoscenza dagli esempi lasciati in eredità dai loro avi “romani” che operarono a partire dal IV secolo a.C.
Sappiamo benissimo che la viabilità agli inizi del ‘900 era prevalentemente equestre… ma non é un alibi che regge, in quanto é noto che gli ingegneri dell’epoca erano i progenitori degli attuali Morandi…
UN PO' DI STORIA...
“I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono dai Greci neglette, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache”. Plinio il Vecchio
Le strade furono pensate dagli Antichi Romani per durare a lungo e, sicuramente, questo intento ha avuto enorme successo dal momento che ancora oggi numerose strade costruite all’epoca dell’Impero Romano sono tuttora funzionanti ed utilizzate. Volutamente evitiamo di soffermarci sugli acquedotti, ponti, cloache, fontane e monumenti romani che ancora oggi tutto il mondo c'invidia.
STRADE ROMANE TUTTORA ESISTENTI
- Salaria: antichissima via romana, il cui tracciato era già percorso dal IV sec. a.C., deve il suo nome dal trasporto del sale effettuato dall'Adriatico a Roma.
- Cassia: strada consolare romana, che da Roma conduceva a Luni nell'Etruria settentrionale.
- Aurelia: antica strada romana, iniziata nel II sec. a.C., che univa Roma ad Arelate (Arles) lungo la costa tirrenica, passa per Civitavecchia, Pisa e Genova.
- Flaminia: Strada romana da Roma andava ad Ariminum (Rimini); la sua costruzione fu iniziata dal censore Flaminio nel 220 a.C.
- Postumia: Strada romana costruita dal console Postumio Albino nel 148 a.C.; collegava Genova a Concordia Sagittaria passando per Piacenza, Cremona, Verona e Vicenza.
- Claudia Augusta Altinate: Antica via romana che conduceva da Altino al Danubio.
- Emilia: Strada romana aperta nel 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido tra Piacenza e Rimini, per collegare i territori del Nord con la via Flaminia.
- Appia: Antica strada romana che conduceva da Roma a Capua, poi prolungata fino a Brindisi, iniziata nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio.
Ma come venivano costruite le strade nell'antichità?
Dalla ricostruzione virtuale si notano, a partire da sinistra, i quattro strati della sede stradale, composta di pietre e pietrisco che permettevano il defluire dell’acqua piovana da ambo i lati.
§ - Statumen, uno strato più profondo di sassi e argilla;
§ - Rudus, un secondo strato composto da pietre, resti di mattoni,sabbia, mischiati con calce;
§ - Nucleus, un terzo strato con pietrisco e ghiaia;
§ -Summum dorsum o pavimentum, una copertura di lastre levigate generalmente in massi di pietra basaltica di eccezionale durezza e indistruttibile (il basolato che indica appunto la nota pavimentazione romana).
La foto della voragine di Paraggi é simile a quella del tratto stradale spaccato dalla mareggiata a meno di un KM di distanza in direzione Santa Margherita. Si può facilmente notare che sotto il manto stradale c'era solo terra che nel tempo l’acqua piovana ha trascinato in mare, per cui sotto quei 20/30 cm di manto stradale non é rimasto più nulla a sorreggerlo.
Quante voragini sono pronte ad aprirsi? Questa é la domanda che tutti si pongono da queste parti! Ma la cosa peggiore é che il passaggio di auto, corriere, furgoni e camion che utilizzano la strada provinciale 227 é sempre in aumento e sotto … non c’è più nulla a sorreggerne il peso. I crolli saranno inevitabili? Chi vive vedrà!
Pertanto si ritorna sempre a parlare della fragilità del nostro territorio, se non piove si paralizza l’economia, se piove le frane sono accettate ormai come eventi normali… come succede a due passi dalla casa di chi scrive… sia dal lato di ponente che dall’altro versante di levante di Via sotto la Croce.
Con l’attuale Amministrazione Comunale, per fortuna, la reazione di ripristino é stata immediata, ma i lavori fatti a regola d’arte prendono molti mesi di tempo e di non pochi disagi.
Il 14 dicembre 2018 avevo scritto nell’articolo:
PORTOFINO COM’ERA… ma come sarà???
“Agli amici di Portofino “allungo” qualche amichevole pensiero personale:
Non temete l’isolamento! Voi residenti di Paraggi, Portofino e San Fruttuoso ritornate a pensare all’antica, da isolani. Chi viene da voi é un pellegrino alla ricerca di Santuari Naturali dove trovare la pace, i colori ed i profumi più rari del mondo. Amate il vostro isolamento e condividetelo con i turisti che vi raggiungeranno via mare e dai sentieri montani perché sarete ancora più RARI ed AMBITI nel panorama mondiale della mediocrità divorata dal traffico, dagli schiamazzi, dalla pazzia, dalla velocità e dal consumismo.
Tenetevi stretto quel traghetto "furesto" che non é un intruso… ma una necessità oggettiva che vi rende estranei e LIBERI da un mondo impazzito!
Nelle innumerevoli isole del globo terracqueo, così come nelle terre che confinano col mare e sono divise dai fiumi: si vive, si commercia, si lavora, ci si sposta regolarmente sui traghetti dove spesso in inverno ci sono nebbie, neve e tempeste. Ci sono nazioni che esistono GRAZIE all’operosità multipurpose dei traghetti. Le baie delle più grandi città del mondo pullulano di questi mezzi che sono sempre più raffinati, pratici, comodi e rapidi. Pensate soltanto alle 10.000 isole che orlano la Scandinavia e che sono abitate soltanto grazie al servizio continuo dei traghetti.
In una decina di minuti di viaggio infinitamente bello e panoramico, siete raggiungibili da Santa Margherita e dalle altre località del Tigullio in un tratto di mare che é famoso per le sue bonacce!
Per voi del promontorio, trasferirvi via mare, deve essere il vostro modo di vivere che riflette i vostri caratteri, il vostro DNA. Liberatevi di quelle centinaia di camion, corriere e furgoni che impestano l’aria, creano ingorghi e deturpano il vostro paradiso terrestre.
Mettete la parola FINE a quell’assalto quotidiano della cosiddetta civiltà dei consumi.
Ritornate all’antico, a ragionare come i vostri avi! Reagite alla “triste” sconfitta subita dall’uragano del 29 ottobre 2018 rimettendo in ordine la vostra vita quotidiana!
Amate e difendete i doni ed i privilegi naturali che avete avuti dal Padreterno.
So di navigare controcorrente, di urlare nel deserto… ma il silenzio é complice … e sappiamo tutti di chi … !!! “
Cari Portofinesi, oggi, alla luce di altre voragini causate dalla pioggia, ribadisco con maggior convinzione: la strada più sicura ed economica… é quella via mare!!!
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Aprile
QUELLA FAMIGERATA POLENA!
QUELLA FAMIGERATA POLENA
Il lettore genovese Pino Pesce, dopo aver letto il mio articolo:
NOSTRA SIGNORA DELLA FORTUNA-UNA POLENA MARIANA
apparso sul sito di Mare Nostrum - Rapallo il 13 marzo 2019, mi ha scritto:
“A proposito di Polene, tempo fa lessi di quell'ufficiale di Marina, credo tedesco, che finì in manicomio per il suo perduto innamoramento di una Polena, allora custodita nel Museo Navale di La Spezia (Arsenale). Questi poveri uomini di mare!!!
Il periodo era quello della WW2? Hai qualche notizia al riguardo? O, io ricordo male?”
Ringrazio l’amico Pino che mi ha ricordato quell’episodio che fu oggetto, nel lontano 1959, di una “curiosa” discussione con il nostro professore di italiano G. Benedetti al Nautico di Camogli in seguito ad un articolo pubblicato sulla Polena ATALANTA/ATLANTA in quei giorni dalla Domenica del Corriere. Ricordo infine che la curiosità dell’opinione pubblica su quel tema si trasformò in morbosità a tal punto che venne aperta un’indagine giornalistica sui quei suicidi provocati da magiche quanto irrazionali esplosioni d’amore e il caso prese un nuovo titolo:
“la famigerata polena”
Uno dei pezzi forti della collezione del Museo Navale della Spezia è la polena Atalanta. Di lei si dice che sia tanto bella da innamorare gli uomini fino a farli impazzire.
Un consiglio quasi scherzoso: se andate al MUSEO NAVALE DELLA SPEZIA, fate attenzione a non fissare per troppo tempo la polena Atalanta. Perché? Perché vi farà innamorare e poi impazzire. E se succedesse non sareste i primi. Secondo quanto si racconta, infatti, la bellezza di Atalanta ha già fatto alcune vittime in passato…
A lei è legata la leggenda secondo la quale chi la fissa a lungo rimane affascinato e si innamora perdendo la testa fino ad impazzire e a togliersi la vita.
La "polena" riproduce una classica figura di donna, alta e maestosa mentre indossa una specie di drappo che le lascia completamente scoperto il seno destro, i capelli sono fluenti e la mano destra é vista nell'atteggiamento un po’ civettuolo di sollevare il manto fino all'altezza del ginocchio. Sul piccolo basamento c'è una dicitura: "Atlanta". Ma a quale nave fosse appartenuta non si seppe mai.
E’ in discussione ancora oggi se l’attrazione fatale sia dovuta a quel seno scoperto mentre il braccio sinistro solleva con un movimento molto sinuoso il lembo della gonna sino al ginocchio, oppure allo sguardo intenso del suo volto che non sorride ma rapisce… si dice che ancora oggi abbia un grande potere di seduzione.
UN PO’ DI STORIA…
Perché ATLANTA ?
La sua figura scopre un seno e solleva la veste per non bagnarsi. E' denominata "Atlanta" perché nelle Metamorfosi di Ovidio si parla di un'Atlanta. L’oracolo aveva profetizzato: "... tu non hai nessun bisogno di un marito, Atlanta. Evita l’esperienza coniugale. E tuttavia non vi sfuggirai e, viva, non sarai più te”. "
Molti uomini chiedono la sua mano e lei, dotata di grande velocità nella corsa dichiara che sarà moglie di chi saprà precederla in una competizione. Il giovane Ippomene riuscirà a batterla con l’aiuto di Venere e la prenderà in moglie, ma l’epilogo è tragico: il giovane si dimentica di Venere, non la ringrazia, tutto preso dalle grazie della sua compagna. Venere si vendica e li spinge, facendoli unire carnalmente, a profanare una grotta sacra dove vengono confinate le statue in legno degli dei cui non viene più tributato il culto. Le statue di legno sono sinonimo di trasformazione e di morte…” Sarà Cibele a trasformare i profanatori in leoni aggiogati al suo carro…". Le vicende legate a questa polena sono altrettanto magiche e a volte raccapriccianti.
La polena Atlanta fu chiamata così dal Comandante della VELOCE che la ritrovò nelle acque meridionali dell’oceano Atlantico nel 1864 e non si seppe mai quale potesse essere stata la sorte della nave alla quale era appartenuta. Un alone di mistero la avvolse da allora. Le polene erano quegli ornamenti a forma di statua, scolpiti nel legno, che ornavano le prue dei velieri. Raffiguravano, per lo più, figure di donne o di sirene ed erano considerate un portafortuna. La scultura rappresenta una donna con la capigliatura fluente che ancora oggi pare… abbia un grande potere di seduzione.
Fu proprio il capitano della VELOCE a consegnarla – una volta sbarcato – al Museo Navale di Genova, da dove venne trasferita nel 1870 al neonato Museo Navale di Spezia da dove inizia la maledizione della polena Atalanta, tanto bella da uccidere….
Ma andiamo per ordine:
La prima vittima:
Il Comandante della VELOCE decise di nascondere la statua nella stiva per evitare complicazioni che, purtroppo, non tardarono ad arrivare: il giovane mozzo, preso da un improvviso attacco di follia, si gettò in mare e annegò. L’episodio suscitò un notevole fermento tra l’equipaggio pervaso dalla tipica “superstizione” che ravvisò nell’evento infausto un segno dei malefici che la polena poteva esercitare. I marinai tentarono d’impadronirsi di essa e ne nacque quasi un ammutinamento. Il Comandante Aristofane Calmi sedò la rivolta con astuti sortilegi… e appena giunse a Genova se ne liberò.
La seconda vittima, così ci riferisce lo scrittore Cacciapuoti: nell’ottobre del 1895 il nostromo di una nave da carico norvegese che aveva fatto scalo a Genova, si recò casualmente a visitare il Museo. La statua esercitò su di lui un fascino terribile. Rimase a contemplarla per ore e al momento della chiusura, dovette essere allontanato con la forza. La notte stessa tentò di introdursi furtivamente all’interno del Museo col chiaro intento di impadronirsi della statua, ma fu scoperto. Interrogato sui motivi che l’avevano spinto a perpetrare un così strano furto, in preda ad un vero e proprio stato di esaltazione, dichiarò che la polena riproduceva le sembianze della sua giovane moglie, scomparsa in mare durante il viaggio di nozze. Fu rilasciato e tornò sgomento a bordo della sua nave, ove s’impiccò.
La terza vittima del fascino di Atalanta fu il custode del museo. Siamo nel 1924. Si racconta infatti che l’uomo, durante il suo servizio, incrociava ogni giorno i propri occhi con quelli della polena, rimaneva per ore e ore a guardarla… se ne innamorò perdutamente fino a impazzire. Distrutto da quell’amore impossibile, l’uomo finì per impiccarsi di fronte alla polena.
La quarta vittima fu il giovane falegname cui fu affidato l’incarico di restaurare la statua lignea. Dopo quindici giorni trascorsi chiuso nel laboratorio con la polena Atalanta, l’uomo fu ritrovato ai piedi della polena con un coltello piantato nel cuore. Nelle mani del falegname un biglietto in cui spiegava come a spingerlo al suicidio fosse stata la folle passione scatenata in lui dalla polena.
La quinta vittima: come narrano le cronache dell’epoca, per lunghi anni la statua non rivelò più i suoi influssi malefici, ma durante l’ultimo conflitto mondiale un giovane ufficiale tedesco di stanza a Spezia, il Ten. Erich Ludwig Kurz, di Dusseldorf, vide la statua esposta nel Museo e se ne invaghì a tal punto da rubarla e nasconderla nell’appartamento in cui viveva. Da quel momento nessuno lo vide più in giro fino a che, due settimane dopo, il 14 ottobre del 1944, due commilitoni sfondarono la porta della casa e lo trovarono senza vita ai piedi della polena. In un biglietto aveva scritto "poiché nessuna donna all’infuori di te può darmi la vita che sogno, io sacrifico a te, o Atalanta, la mia vita".
Ritornando al tema con un minimo di razionalità, si deve pur dire che questa successione di tragici eventi non sono stati suffragati da prove documentali scaturite da indagini governative nazionali o internazionali e come dice lo stesso Cacciapuoti:
“Grazie anche alla collaborazione del Direttore del Museo, si poté accertare che tutta la tragica e suggestiva vicenda sarebbe nata dalla fantasia di un giornalista che, molti anni prima, intrecciò il filo conduttore di tutta la storia, innestandovi dei fatti realmente accaduti, arricchiti ed interpretati molto liberamente. Scrisse così un articolo che ebbe un successo strepitoso e diede adito allo straordinario mito della polena Atalanta”.
Carlo GATTI
Rapallo, 17 Aprile 2019
LE DONNE - Poesia
LE DONNE
di Ada BOTTINI
Le donne portano bambini appesi al collo
zaini sulle spalle
borsoni tra le mani.
avanzano col sorriso
ed il saluto
non si preoccupano per il rientro
quando ogni cosa
trasportata
dovrà trovare una sua collocazione
e/o rielaborazione
Molti, notando le abilità femminili, auspicano più potere alle donne, ma più potere significa anche più lavoro, quindi organizziamo meglio questa proposta interessante e troviamo sostituzioni valide,
per le numerose attività in cui le donne sono impegnate per tradizione, cultura ed egoismo altrui.
Coraggio
Rapallo, 4 Aprile 2019
COME TE CERRO, IO VORREI... Poesia
COME TE CERRO, IO VORREI...
di ADA BOTTINI
Voglio anch’io, nel mio tardo inverno
una chioma folta e rossiccia,
capace di resistere ai venti e alle intemperie
e radici salde nella terra
incuranti del gelo.
Come te cerro
ancora vestito nel bosco spoglio
testimone testardo di continuità di vita
ma flessibile al mutare delle stagioni
io voglio essere
Insegnami a resistere.
Rapallo, 4 Aprile 2019
MEMORIA IN SERVIZIO PERMANENTE (Poesia)
MEMORIA IN SERVIZIO PERMANENTE
Per noi
Ragazzi anni '60
è la Riviera
Il volo dalla città
la bellezza del mondo
il richiamo atteso.
Sugli scogli
pizza fredda
birra calda
sapore di sale
sapore di mare.
In villa
incontri nuovi.
Tra gli ulivi
verdazzurro, giallo
di acqua, di monte, di fiore.
L'Aurelia ancora
mi porta lì
in servizio permanente
di memoria.
Gabriella VEZZOSI
Rapallo 2014
NOSTRA SIGNORA DELLA FORTUNA - UNA POLENA MARIANA
NOSTRA SIGNORA DELLA FORTUNA
UNA POLENA MARIANA
Franco Casoni, l’ultimo costruttore di polene nel suo laboratorio di Chiavari.
Una polena benaugurante per la Goletta Verde, l'imbarcazione di Legambiente che da anni attraversa il Mediterraneo per monitorare lo stato del mare italiano. L'ha realizzata lo scultore chiavarese Franco Casoni e consegnata al Comandante, che l'ha issata e legata alla barca per poi “battezzarla” prima nel mare e poi con un goccio di vino rosso. Una tradizione marinara rivisitata dagli ambientalisti quando tempo fa si sono ritrovati, prima della partenza alla volta della Toscana, sul molo del porto turistico di Chiavari.
Non solo i marinai, ma anche i “mezzi marinai” che vivono e risiedono sulla costa, sanno cos’é la POLENA di un veliero, forse per averla “ereditata” dai racconti dei nonni, oppure per averla vista in qualche oratorio vicino al porticciolo, o tra gli ex voto dei Santuari, veri e propri musei marinari che vigilano sui nostri borghi che hanno le radici sul bagnasciuga.
Oggi qualche polena viaggia ancora sotto il bompresso delle navi scuola (Tall Ships) e di qualche armatore di Yacht innamorato del passato eroico e fiabesco, irto di pericoli e di ostacoli, ma sempre avvincente agli occhi di chi ama il mare e la sua storia.
La polena era parte integrante del tagliamare delle navi di un tempo… spaccava le onde del mare, ne assorbiva la forza più viva per proteggere scafo e marinai da marosi, ma per quegli equipaggi lontani, ma mai dimenticati, era soprattutto uno scudo soprannaturale dai poteri addirittura mistici.
La polena doveva essere particolarmente robusta, forse indistruttibile perché la superstizione degli equipaggi prevedeva, in caso di lesioni o cedimenti della stessa, presagi di sventure nautiche per la spedizione.
La Polena della "STAD AMSTERDAM" (Veliero-Clipper Passeggeri)
LA POLENA ERA QUINDI UN MISTO DI SACRO E PROFANO della quale, spesso, oppure solo qualche volta… i marinai s’innamoravano, specialmente quando quel simulacro proteso verso le onde, era un volto femminile, una dea o semplicemente il busto nudo e turgido della moglie dell’armatore.
UNA POLENA MARIANA
Presso la chiesa di San Carlo in via Balbi a Genova, sull’altare maggiore, fa mostra di sé la statua della Madonna rinvenuta in acque portuali il 22 gennaio del 1636 dopo una furiosa tempesta da libeccio che aveva in quei giorni devastato il porto di Genova affondando centinaia di imbarcazioni. Custodita per un periodo in casa Lomellini, le furono poi attribuiti molti miracoli e per questo motivo, con una sontuosa cerimonia, fu collocata nel sito dove oggi si trova. E’ una scultura lignea straordinaria perché, mentre è ben visibile la sua struttura originaria che è semplice, stilizzata e di una certa rigidità, riesce nel contempo ad esprimere la sua dolcezza di Madre Misericordiosa.
Ben presto gli esperti del settore si accorsero che quella statua di MARIA, monca e molto danneggiata in qualche sua parte, altro non era che l’unico reperto sopravvissuto al naufragio di un legno irlandese e si trattava proprio della sua POLENA.
Raffigurazione pittorica di un galeone nella tempesta
Sono passati 363 anni da quel sensazionale ritrovamento della polena raffigurante la Madonna scaraventata in mare dalla violenza delle onde e poi scarrocciata indenne sottovento fino alla Darsena evitando miracolosamente un galeone che ne ostruiva l’imboccatura.
A portarla in salvo fu un uomo di Levanto, un venditore di vino, a tutti noto come il Figlio del Merlo, fu lui a portare a salvamento la Statua di Nostra Signora della Fortuna, era il 22 gennaio del 1636.
IL SIMULACRO DI MARIA CHE TIENE GESU’ BAMBINO SUL BRACCIO SINISTRO E SULL’ALTRO LA CORONA DEL ROSARIO, HA ANCORA OGGI IL POTERE DI UNIRE CON UNA IMPIOMBATURA MARINARA, LA FEDE DEI MARINAI E LA VOCAZIONE MERCANTILE DEI GENOVESI.
La Madonna della Fortuna e assai venerata dai Genovesi, anche perché alla statua fu attribuito il miracoloso salvataggio di una bimba caduta da una finestra di quello stesso edificio ove era conservata. Il prodigio fu confermato dal Papa Urbano VIII e la statua, alla quale fu attributo il titolo di Nostra Signora della Fortuna, fu solennemente incoronata il 17 gennaio del 1637, primo anniversario del naufragio, ed esposta alla venerazione dei fedeli nella chiesa di San Vittore, da cui fu trasferita in San Carlo nel 1799. La tradizione popolare: il si dice dei fedeli… vuole che la statua si sarebbe mossa da sola per posarsi sul piedistallo che era stato per lei preparato.
La statua-polena della Madonna col piccolo Gesù fu restaurata da artisti famosi e poi rivestita e venerata come la Regina della tradizione Mariana amata da milioni di cristiani cattolici e ortodossi.
MADONNA DELLA FORTUNA
Primo piano
PREGHIERA ALLA MADONNA DELLA FORTUNA
Ricordati, o pietosissima Vergine, Nostra Signora della Fortuna, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al Tuo patrocinio, implorato il Tuo aiuto, chiesto la Tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da tale confidenza, a Te ricorro o Madre, Vergine delle vergini, a Te vengo e peccatore contrito innanzi a Te mi prostro. Non volere o Madre del Verbo disprezzar le mie preghiere, ma ascoltami propizia ed esaudiscimi. Amen.
Fonti:
https://www.placidasignora.com/tag/nostra-signora-della-fortuna/.
http://www.biagiogamba.it/nostra-signora-della-fortuna-una-polena-irlandese/.
http://www.genovatoday.it/eventi/cultura/leggenda-madonna-fortuna.html.
https://dearmissfletcher.wordpress.com/2017/09/11/genova-1636-i-prodigi-di-nostra-signora-della-fortuna/.
https://biscobreak.altervista.org/2018/01/nostra-signora-della-fortuna/.
https://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g187823-d9802069-r370038768-Chiesa_dei_Santi_Vittore_e_Carlo-Genoa_Italian_Riviera_Liguria.html.
https://musicasacra.forumfree.it/?t=50740573.
Un RINGRAZIAMENTO particolare a Miss Fletcher per regalarci meravigliosi spunti di riflessione ed immagini di grande pregio.
Carlo GATTI
Rapallo, 13 Marzo 2019
CHE FELICITA' (Poesia)
CHE FELICITA’
27 dicembre 2007
Questo giorno è un regalo
inaspettato
un giorno da cartolina.
Invece è tutto vero
e magico
come a teatro.
Gli attori sono
i colori delle case
i versanti ondulati
verdi rossicci dei monti
Caravaggio, bianco
lassù tra le querce
Montallegro giallo rosa
con la mia Regina
l'azzurro liquido del mare
che parlotta sui fianchi
dei panfili ancorati
e la zampata quieta
dei monti lontani
che riposa sul mare.
E io
io dentro allo spettacolo
non spettatrice
attrice penso, parlo
scrivo la mia felicità
per esserci.
ADA BOTTINI
Rapallo, 31 Gennaio 2019