INVERNO IN RIVIERA (Poesia)
SCRITTORI IN RIVA AL MARE
INVERNO IN RIVIERA
Nell’ardesia
di cielo e mare
opaca bruma
chiude
l’orizzonte della mente
–lapide di granito
la memoria
soffoca l’anima -
Poi
una mattina
un presagio di sereno :
l’azzurro
si apre vivido,
nei colori,
nella seta cangiante
dell’onda
e
dal muro,
improvviso,
il miracolo della mimosa.
Maria Grazia BERTORA
(febbraio 2014)
Inserita nella plaquette dell’Associazione “Il gatto certosino”:
Tra gli ulivi e le mimose … il mare
Rapallo, 17 Gennaio 2019
DA QUALCHE PARTE (poesia)
SCRITTORI IN RIVA AL MARE
DA QUALCHE PARTE
C’è da qualche parte
la casa che mi aspetta
Si erge rossa
di mattoni vecchi
abbracciata
a una pergola di vite
Respira il salso
Non si è mai stancata
di scrutare il mare
di condividerne
le metamorfosi
impetuose
rilassanti…
Con un occhio
cura la baia
che resti libero il posto
dove dondolerà pigro
il mio guscio di vela
Mi chiama
tra i suoi limoni
e le sue erbe profumate
Devo solo
chiudere gli occhi
seguire il vento
e raggiungerla
Marinella GAGLIARDI
Rapallo, 17 Gennaio 2019
LA FATA DELLE BARCHE. FAVOLA DI CAPODANNO
LA FATA DELLE BARCHE
Favola di Capodanno
di Carlo Lucardi
-Anche quest’anno Camilla non è venuta a casa per Natale, Laura - sussurrò il maresciallo Della Rosa - è rimasta in Indonesia a studiare i rinoceronti in estinzione,
-Non te la prendere, Ciro!-
-Ah! Io non me la prendo!- sospirò lui
Della Rosa Ciro e la dolce Laura erano a casa loro, in Riviera. Natale era passato e mancava qualche manciata di ore alla fine dell’anno.
-Tu lo sapevi, Ciro, che ogni barca viene assistita dalla fata delle barche? –
-Cosa c’entra questo con Camilla, Laura mia?-
-Così. Lo dicevo per distrarti un pochino, perché vedo che patisci…-
-Io non patisco, Laura- sospirò lui- ci rimango semplicemente male!-
-E dai…-
-Cos’è questa storia delle barche?-
-E’ una leggenda che sto leggendo, un’antica leggenda Vichinga, attribuita a Olaf il Rosso, raccolta in questa antologia!-
Mostrò il libro. Era di uno di quegli autori nordici molto bravi che hanno i nomi con le O tagliate da una / e i circoletti sulle A.
-E’ una bella storia, è quasi commovente-
La dolce Laura era facile alle commozioni.
-E’ una delicata leggenda dei Vichinghi, grandi costruttori di barche e grandi navigatori dell’oceano. Dice che ogni barca ricorda gli alberi con cui è stata fatta, e che gli alberi della foresta ricordano lei. Così Rhaphalaf, la fata degli alberi, accorre a consolare la barca quando fa naufragio e il mare la inghiotte. L’accompagna sul fondo gelido e rimane con lei per consolarla! Non è una storia commovente?-
-La fata Rhaphapa… cosa ci trase con noi, scusami tanto! Laura mia, la fata Camilla mi ci vorrebbe a me, altro che Raphalà e Raphaquà, insomma, ecco!-
Il cuore partenopeo del maresciallo si squagliava sempre nel periodo di Natale, quando la sua bambina non veniva a casa.
-Scusa., Ciro, era per distrarti un po’. Non lo dico più, promesso…-
-Per carità, scusami tu, Laura. E già che ci sei, per favore, non parlarmi di barche!-
Laura ridacchiò.
-Non ti pare- proseguì il maresciallo- che ne abbiamo avuto abbastanza, di barche rotte? Io ne ho fin sopra ai capelli, Laura mia!-
Il mare pareva una tavola da biliardo, in quegli ultimi giorni dell’anno. Come un drago sornione, in agguato, non pareva neanche parente di quello che era stato in quel giorno spaventoso…
-Ne abbiamo avuto assai di guai! Un battaglione di fate ci vorrebbe, per consolarle tutte!-
Un mare spaventoso, sollevato da un vento che non si era mai visto a memoria d’uomo, aveva sfondato la diga del porto e in un pomeriggio di tregenda aveva seminato la distruzione.
La diga del porto era crollata sotto il peso di un’onda di dieci metri e la tempesta di mare ci s’era infilata dentro come un mostruoso clistere.
-Tutte le barche nel porto hanno rotto gli ormeggi, Laura, e da allora è cominciata questa disgrazia!-
La forza del mare aveva fatto schizzare via le barche come tappi di sughero e le aveva cacciate fuori dal porto a fracassarsi sugli scogli della passeggiata, spiaggiate, squartate, semi-sommerse. Barche che poi erano yacht e mega-yacht, del peso di decine di tonnellate!
-Una catastrofe, Laura mia, per i ricchi proprietari e soprattutto per quelli che ci lavoravano sopra, che ricchi non sono!-
Così era cominciato anche il calvario delle forze dell’ordine, costrette a sorvegliare i relitti h-24, per scoprire ladri e sciacalli. Certo, l’integrazione dei comandi permetteva di avere un certo ricambio, ma anche nelle migliori famiglie ci sono dei fetentoni.
E in ogni anno ci sono delle nottate no, nelle quali nessuno vorrebbe lavorare
La notte di Capodanno sopra tutte le altre. Tutti volevano evitare di lavorare la notte di Capodanno, in primis lavativi e fancazzisti.
Perciò quell’anno Della Rosa temeva fortemente che la temuta notte di Capodanno,che sarebbe toccata al Comando centrale, rimbalzasse invece nelle mutande a uno dei suoi.
Per distrarsi guardò il lungomare, con le barche contorte, accavallate come pesci morti.
Della Rosa era nato a Napoli e come tutti i nati sul mare nutriva sentimenti speciali per i natanti.
Quelle barche ferite, squarciate e semi-affondate gli mettevano tristezza.
Gli parevano dei cadaveri col costato aperto, che mostravano il cuore alla voracità del mare, il grande predatore.
Lo rattristavano ancor di più i turisti che facevano del catastro-turismo, anzi, del catastro-turismo-proletario, nel senso che partivano da centinaia di chilometri per farsi un selfie davanti alle barche semi sommerse, inneggiando alla giustizia proletaria.
Organizzavano veri e propri pellegrinaggi mordi-e-fuggi per inneggiare alla rovina dei barco-capitalisti.
Sorridevano, i vittoriosi radical-chic, con radical-orgoglio, davanti alle barche ferite a morte, soprattutto al “Falco di mare”, il ketch del notissimo plutocrate Trash Vermer, produttore di fictions, che giaceva lì, semiaffondata, al centro del Golfo.
La carena del “Falco di mare”, squarciata dalle onde, mostrava all’esterno specchi e arredi, preziosi legni, modanature.
“Ci vorrebbe proprio la fata delle barche, quella Rhaphaciccia” pensò mentre ci passava davanti con l’auto “che l’andasse a consolare il povero Falco di mare in queste notti fredde, quando il mare ci sciaguatta dentro e la dilania sempre di più!”
Quando pensava al freddo del mare gli venivano in mente i calamari, le bianche creature delle profondità, che salivano di notte in superficie per cacciare i pesci coi loro vischiosi tentacoli e risucchiarli vivi verso il dente crudele.
Bisogna dire che sotto la dura scorza Della Rosa aveva un cuore di poeta, partenopeo e un po’ piagnucolone.
Le barche a vela gli facevano più pena di quelle a motore, i cosiddetti “ferri da stiro “, perché secondo lui avevano più anima.
E il Falco di mare era stato una magnifica barca a vela.
-Sarà una scemenza, quella della fata- sogghignò passando davanti al macello della passeggiata- ma se la fata Rhaphaciccia ci fosse per davvero, le chiederei di far sparire ‘sta fetenzia di anarco-chic, che gode della disgrazia di quel meraviglioso veliero!-
-Che desolazione! Che triste Natale e Capodanno, senza Camilla e cò ‘sta canaglia in circolazione! Che poi di notte, magari va a bordo, a prendersi qualche “ricordino!” del grande Trash Vermer!-
Entrò in caserma dove l’aspettava Cajazzo.
-Buon giorno, maresciallo!-
L’appuntato Cajazzo lo guardava con la faccia sconsolata.
Lui capì al volo.
-Non dirmi che è successo, Cajazzo!-
-Ebbene si, maresciallo. Il capitano Trombetti ha telefonato or ora per dare la notizia!-
Il nuovo capitano era un giovane di quelli che ragionano per schemi e diagrammi e spaccano il capello in quattro, ma ancora una volta non era stato capace di imporsi ai suoi.
-Mannaggia Cajazzo! mi vuoi forse dire che ci affibbiano Capodanno?-
Cajazzo abbassò gli occhi:
-Eh, si, purtroppo, maresciallo. Il carabiniere che doveva fare la guardia a Capodanno si è ammalato. D’influenza!-
-Ma che, ma quale?-
-Suina!-
-Suino?-
-No, suina, nel senso dell’influenza, maresciallo!-
Della Rosa s’incazzò per bene.
-Dobbiamo sempre cavargliele noi le castagne dal fuoco, a quelli? Noi siamo in sei, e loro sono uno più di mille!-
-Siamo troppo buoni, maresciallo!-
-Cajazzo, se non la finisci di dire stupidaggini ti arresto!-
Privilegio del comando delegato, disgrazia italica! Della Rosa doveva scegliere fra i suoi cinque a chi far fare la guardia alle barche, la notte di Capodanno!
Il guaio era che aveva chiesto molto ai suoi, negli ultimi tempi, e non sapeva proprio a chi inviare quell’ignobile ordine di servizio.
Si chiuse nel suo ufficio, sbatté la porta e tirò una raffica di moccoli.
-Bel guadagno! Bella forza!- esclamò rivolto idealmente al capitano Trombetti- A comandare così sono capaci tutti!-
Tirò le somme della vicenda e realizzò che l’unico a poter fare la notte a Capodanno era il giovane Efisio Orrù, la cui fidanzata però era già partita col treno da Muro Lucano (PZ) per trascorrere con il Capodanno col suo Efisio.
-Mannaggia a’ stratosfera. Glielo devo dire proprio io, a Orrù? E come faccio?-
Ammenoché… ammenoché… un pensiero diabolico gli si affacciò alla mente. Lo ricacciò subito indietro come un pensiero-carogna, ma si rese conto che poteva essere una soluzione geniale.
Anzi, LA soluzione geniale.
Due piccioni con una fava, la gratitudine eterna di Orrù e uno schiaffetto a quel capitano un po’ troppo paraculo.
Il tutto nasceva dal fatto che Capodanno per lui era sempre una festa imbarazzante.
Laura lo trascorreva invariabilmente con alcune colleghe dell’ospedale, accompagnate da tre dottori supponenti, Sfaccenda Clericetti e Cacamazzi, dei quali Silvio Cacamazzi, buro-dottore amministrativo, era tanto spocchioso che il suo amico Giulio Baldi l’aveva battezzato il dottor Spok.
Sarebbe stata una noia mortale, e una scarogna sicura, cominciare l’anno proprio col dottor Spok-
-Quindi…quindi…-
“Perché no?” pensò “Potrei mandare Laura a passare il Capodanno con le amiche e i dottori!”
Due piccioni con una fava.
Avrebbe evitato la trappola di Capodanno che cominciava appena le signore si appartavano a parlare di pettegolezzi, cucina e bambini.
Cioè quasi subito.
I dottori Sfaccenda, Clericetti e Spok allora iniziavano ad avvolgerlo in discorsi vischiosi, come i calamari del fondale, cercando di risucchiarlo nell’abisso della noia!
E lui, Della Rosa, si sentiva preciso al “Falco di mare” circondato da bianchi calamari.
Inoltre come partenopeo era superstizioso, e di conseguenza convinto che cominciare l’anno con quelli lì portasse una sfiga mortale. Infatti si cacciava sempre in tasca un corno rosso e non smetteva di stringerlo per tutta la notte!
Per cui prese il telefono:
-Ciro, cosa succede?
-Un’indagine improvvisa, Laura mia. Una ribalderia. Scusami con le tue amiche, con Spok, cioè Cacamazzi e gli altri… ma il dovere mi chiama fuori a Capodanno, quest’anno!-
Lei rise apertamente nel telefono, un riso con lo sbuffo che gli rintronò l’orecchio:
-Ma dai, furbacchione. Dì che l’hai studiata per evitare la serata con Cacamazzi!-
Lui arrossì:
-Beh, in un certo senso hai ragione. Non è proprio questione di vita o di morte, ma qualcosa d’ importante ci trase per davvero! Hai presente Orrù, quel carabiniere coi baffi da sergente Garcia?-
Raccontò in toni lacrimevoli del viaggio della bella di Orrù da Muro Lucano alla Riviera.
-Ma che belle cosa che fai, Ciro- disse la generosa emiliana- Ti ammiro-
-Per carità…ma no, che dici?- si schermì Della Rosa
-Sono fiera del mio maresiallone. Dirò a tutti che l’eroico Della Rosa deve sorvegliare la fata Rhaphalaf che consola le barche.
Va bene, Ciro caro?-
-E dai, Laura, non scherzare! Non ti secca, per davvero?-
-Che cosa? Avere un marito che è quasi un eroe? Certo che non mi secca!-
Clic..
***
La sera di Capodanno Ciro s’intabarrò ben bene e si recò sul lungomare con la sua Panda personale, insospettabile per qualunque mariuolo, perché era color verde diarrea, del tutto privo di marzialità.
-Etcì!-
L’unico problema era quel raffreddore coi fiocchi che stava dilagando verso le vie aeree. Si sentiva i brividi dappertutto, e aveva già consumato i due fazzoletti puliti che si era portato dietro.
Quasi subito si era reso conto subito di aver avuto un’idea balorda… almeno in rapporto alla esecuzione pratica dell’appostamento.
Da anni non faceva più guardie notturne e si era dimenticato di quanto fossero nere e fredde le notti d’inverno passate in un abitacolo di macchina!
-Che stupido che sono stato a non pensarci!- si disse- Comincerò l’anno con la bronchite! Etcì!…Mannaggia a ‘sto moccolo che mi cola dal naso!-
Il sedile dell’auto era troppo stretto, il naso e le orecchie troppo freddi, ma soprattutto non si ricordava di aver mai avuto le palpebre così pesanti.
-E’ questo moccio, che mi sale dal naso agli occhi- gemette- mi lacrimano tanto che li chiudo, ma se li chiudo finisco per addormentarmi!-
Per star più sveglio inforcò il suo binocolo night vision, ricordo della guerra del Golfo.
La luce verdolina faceva scoprire cose impensabili come coppie infrattate dietro le cabine o gatti che cacciavano topi sugli scogli.
C’era perfino una vecchia donna seduta sullo scoglio, una barbona, probabilmente. Lui conosceva tutti gli homeless di riviera, comunitari e non, ma quando lei si girò, non la riconobbe.
Era una nuova.
Prima di voltarsi di nuovo a guardare il mare gli parve pure che sorridesse, con la bocca sdentata.
-Cos’hai da ridere- mormorò lui- col freddo che fa?-
Lei parve vacillare e quasi cadde, ma restò impigliata con la casacca unta alla griglia di recinzione e annaspò un poco senza riuscire a districarsi dalle maglie della rete .
Della Rosa vide tutto e scese dall’auto.
-Aspetta un attimo, ti aiuto a liberarti!-
In due salti fu presso di lei e la aiutò a togliersi d’impiccio.
Mannaggia, quant’era brutta, e magra, e puzzava di vino e di capra!
-Come state? Vi sentite male?-
-No, no…- si schermì lei .
Era tutta gelata, e ossuta. Praticamente era un sacchetto d’ossa che camminava.
-Siete sicura?-
Lei annuì senza parlare.
Il maresciallo pensò generosamente che sarebbe stato meglio portarla al ricovero dei vecchi, per farla dormire al caldo.
-Vuoi venire al ricovero, per stanotte?-
-No!-
Si liberò dal suo braccio e se n’andò confabulando per la sua strada.
-Vattene via allora, vecchia matta, etcì. E mannaggia ai fazzoletti zuppi-
Quando rientrò nell’auto si ricordò di avere un pacchetto di fazzolettini di carta nel cassettino. Si chinò a prenderli e proprio mentre si soffiava il moccio iniziarono le sarabande dei botti di Capodanno.
Era passata da un pezzo la mezzanotte quando la sarabanda di luci si smorzò, e lui potè di nuovo inforcare il night vision.
Guardò il mare e rimase di stucco.
A tutta prima non riuscì a distinguere bene, poi si accorse che vicino al Falco di mare c’era qualcuno!
Subito sembrava un sacco nero di vele rimasto in coperta, ma dopo un po’ comparve un braccio e poi una testa col cappuccio, pure lui nero.
Si mosse ancora e s’infilò con una certa fatica nello squarcio della barca!
La procedura prevedeva che lui chiamasse la volante e restasse lì a tracciare il malvivente, ma lui sapeva che prima che arrivassero gli altri il malvivente si sarebbe dileguato nella confusione della festa.
Vide l’ombra nera sparire nella barca dilaniata e aspettò paziente che uscisse di nuovo, ma proprio mentre la testa del ladro ricompariva, sfortuna volle che un fascio di fari allo iodio saettasse sulla Panda .
La luce fortissima lo accecò e per lunghi minuti non vide più nulla.
-Maledizione ai tuoi fari!- sbottò rivolto all’automobilista.
Quando potè di nuovo distinguere le cose, vide che il tipo si allontanava dalla barca, dal lato opposto a lui, verso la riva est del golfo. Non faceva alcun rumore, pareva addirittura che volasse sull’acqua.
-Che strano! Che mezzo usa? Va troppo veloce per remare, e non si sente nessun rumore di motore, nel sottofondo dei fuochi!-
Corrugò le sopracciglia.
-Sarà mica la Fata Rhaphaciccia?-
A dire il vero c’era ancora parecchio fracasso per le feste di piazza quindi un rumor di motore poteva essere coperto dallo schiamazzo, ma Della Rosa pur aguzzando l’orecchio non sentì nulla.
Si rese conto che quel tipo lì non faceva proprio NESSUN RUMORE.
Restò a guardare quella strana figura che pareva volare sul pelo dell’acqua. Vedeva solo la testa, perché il resto era nascosto dietro lo scafo del “Falco di mare”.
-Va verso levante- esclamò- Bene, è l’ora che mi muova, se lo voglio pizzicare!-
A levante c’era solo l’approdo del Castello, ghiaia e scogli, abbastanza in ombra da non dare nell’occhio.
-E se fosse davvero la fata Rhaphaciccia?-
Sogghignò per fugare le ombre della superstizione e avviò la Panda sulle strade della movida che costeggiavano il borgo, fino a piazzarsi sul lato orientale della magnifica semiluna di mare. Le feste di piazza erano dappertutto, birra e vino, musica, canti stonati, schiamazzi.
Sull’approdo del Castello, di quell’ombra che aveva visto volare sull’acqua non c’era più traccia.
Non aveva previsto che il tipo potesse approfittare della gazzarra per non essere individuato e dileguarsi a terra, confuso tra la folla.
Non c’era più niente, sulla spiaggia dell’approdo, solo la risacca che bagnava i ciottoli e portava bolle di schiuma a terra. Ma sulla sabbietta della risacca, nitida, c’era un’orma che i binocoli del maresciallo individuarono subito!
-Ecco qua dove sei sceso, furfante! Eccoti qui, calamaro!-
Sulla strada fremevano le attese di un concerto. Un gruppo di giovani con bottiglie e bicchieri in mano attendeva le nuove meraviglie musicali.
Della Rosa rifletté.
Il misterioso ladro non poteva essere andato via in macchina, perché le auto erano tutte bloccate dalla piazza piena di gente.
Doveva per forza aver lasciato lì almeno il canotto o il gommone che l’aveva portato.
Cercando sulla sabbia con gli infrarossi vide infine un segno di trascinamento di qualcosa di liscio e largo.
-Un gommone. E’ certamente un gommone. Non può averlo già portato via!-
Dietro lo scoglio infatti scoprì un gommone nero con motore elettrico Intex ultimo modello.
-Ecco come faceva per spostarsi senza rumore! Ha approfittato del rumore della festa per coprire anche lo sciaguattare del gommone! Chissà cos’è andato a rubare, sulla barca!-
Dentro il gommone c’era una grossa sacca nera.
Della Rosa quando la vide si prese un grosso spavento.
Era una sacca di plastica di quelle che i militari americani usavano per chiuderci le salme. Le aveva viste bene durante la guerra del Golfo!
-Oh, no! Questa poi non me l’aspettavo…- bisbigliò- Mannaggia, speriamo che non ci sia dentro quello che penso!-
Si guardò bene in giro ed estrasse la Beretta dalla fondina. Controllò il caricatore e tolse la sicura.
Si acquattò alla meglio dietro gli scogli e con mano incerta agguantò la cerniera della sacca, poi la tirò di lato per aprire di colpo la zip.
Appena l’ebbe fatto si ritrasse inorridito perché dalla sacca erano usciti dei capelli biondi, bagnati; un’abbondante capigliatura bionda!
Non ebbe il coraggio di fare altro e si ritirò dietro la roccia, in attesa.
“Devo chiamare rinforzi” pensò “devo chiamare la Volante”
Sapeva che quello era il suo dovere, ma qualcosa lo tratteneva. Erano quei capelli biondi che fuoriuscivano dalla sacca.
“Una prostituta, o una drogata. Morta a Capodanno per soddisfare le perversioni di qualcuno. Forse l’ha ammazzata sulla barca, a mezzanotte!”
La cosa gli fece saltare la mosca al naso .
-Voglio prenderlo, quel dannato assassino. Lo aspetterò qui finché non torna-
“Non può essere andato via” rifletté “dovrà per forza tornare per far sparire il cadavere!”
La festa proseguiva. La gente era sempre più eccitata ed ebbra.
D’improvviso il fiume di persone si spostò alla piazzetta più ad occidente, dove i musici attesi avevano cominciato a scaldare gli strumenti per lo spettacolo clou.
Fu proprio allora che lo sentì tornare giù per la scaletta di cemento. Faceva un sacco di rumore, come uno che non ha un pensiero al mondo.
Fischiettava!
Doveva essere stato sempre lì vicino, probabilmente si era messo in mostra per bene, aveva comprato birra e dolcetti per costruirsi un alibi! Aveva cantato canzoni…
“Sto fetente…” pensò Della Rosa.
L’assassino scese sulla spiaggia e si mise ad urinare contro lo scoglio dietro il quale stava acquattato Della Rosa. Continuava a fischiettare il motivetto della canzone di piazza.
-Ti faccio fischiettare io quando t’acchiappo- sussurrò Della Rosa -fetuso, assassino di donne!-
Il tipo raccattò con calma la muta che aveva lasciato sul gommone e il cappuccio nero che l’aveva reso invisibile. Poi si avvicinò alla sacca e fece per mettersela in spalla.
Allora Della Rosa saltò fuori con la Beretta spianata:
-Fermo, carabinieri! Mani in alto! Sei in arresto! Non fare scherzi, hai una la pistola puntata addosso!-
Lui lo guardò in faccia, stralunato, e nell’istante successivo accaddero due cose:
1) Della Rosa lo riconobbe :
-Ma voi…siete…-
2) L’altro semplicemente venne meno e cadde a terra come un sacco.
Il maresciallo gli sollevò le gambe per farlo rinvenire e lo prese anche a schiaffi. Quando infine si riebbe lo ammanettò alla ringhiera della scaletta di cemento.
-Dove sono, chi è lei?-
Della Rosa lo ignorò e prese in mano il cellulare per fare il numero dell’emergenza.
-No, aspetti, non telefoni. Aspetti . Mi può dire chi è? Posso pagare!-
-Pure tentata corruzione di pubblico ufficiale, sei in grossi guai assassino!-
-Assassino? Ma no, ha capito male. Posso spiegarle tutto! Lei chi è, mi scusi?-
Della Rosa faceva fatica a credere che quello lì fosse davvero il gran personaggio pubblico, brillante e sciupafemmine che si vedeva in TV in mezzo a stuoli di belle donne.
Era una mezzasega, e tremava dalla fifa.
-Sono Della Rosa, maresciallo della stazione dei carabinieri, di Riviera, signor Trash Vermer!-
-Mi ha riconosciuto?-
Era compiaciuto di essere stato riconosciuto!
-E’ in arresto per assassino. Se ne stia buono lì. Ora chiamo la pattuglia, che venga a prenderla. Purtroppo ha il diritto di stare in silenzio, e io, mannaggia, ho il dovere di rispettarla!-
Trash Vermer provò a ridacchiare :
-Ma no, aspetti, lei non immagina!-
-Ho visto che cosa c’è dentro quel borsone, Vermer!-
-Ah, ha visto Kate. Bene! Le piace?-
“Chist’è pazzo!” pensò il maresciallo.
Si disse che trattandosi di vip, e molto ricco, avrebbe fatto bene ad affidarlo al più presto al capitano. Era meglio evitare che la rabbia che quello gli faceva salire dalla pancia, aggravata dall’indifferenza con cui parlava della vittima, gli facesse commettere qualche abuso.
-Sta zitto, balordo!- disse
Poi si ricordò che gli dava del lei:
-Non aggravi la sua posizione, Vermer! Mi dia i documenti!-
-Non ho documenti, li ho lasciati a Milano!-
“Sta fetenzìa!” pensò Della Rosa “Credono di poter fare tutto quel che vogliono grazie ai quattrini!”
Prese di nuovo il telefono.
-Aspetti maresciallo, no, non telefoni!-
Quasi lo implorava, ora.
-Ancora? Cosa devo aspettare? Lei è un assassino preso in fragrante!-
-Aspetti, le dico, prima di chiamare!-
Della Rosa gli sussurrò in napoletano:
-Statti cittu, strunzo: aje voglia ‘e mettere rumma, non sarai mai babbà!-
-Come dice?-
-Niente di importante!-
-No, fermo, non telefoni. Non è come pensa, c’è un equivoco!-
-E Kate allora? E’ anche lei un equivoco?-
-Ecco, è proprio così, maresciallo. E’ Kate l’equivoco. Mi avvicini la sacca, prego!-
La sacca era molto leggera-
-Ci hai messo dentro solo la testa, fetente? Il corpo l’hai lasciato sulla barca, ai calamari?-
Trash Vermer incredibilmente rise, mentre con la mano libera dalle manette apriva la zip della sacca.
-Ecco Kate, maresciallo, la mia Kate!-
“Chist’è pazzo, completamente pazzo!”
-Ecco Kate- disse lui- la mia principessa, la mia Musa! Solo con lei… solo con lei io riesco… solo con lei, capisce?-
Fece il gesto dello stantuffo, e quasi piangeva di gioia.
Della Rosa per poco cadde dallo scoglio.
Kate era una bambola gonfiabile ultimo modello, made in PRC, molto somigliante, con una gran capigliatura di lunghi capelli, probabilmente naturali.
S’infuriò:
-Ti venga un colpo, deficiente!…E…e …etcì! Mannaggia, a te, te ne vengano due, uno per te e uno per lei!…E …e… etcì!-
Dopo l’adrenalina gli era tornato il raffreddore, e si sentiva di nuovo uno straccio umido da lavandaia, partecipe di un’umanità di calamari .
Quel pazzo sussurrava ancora al pupazzo:
-La mia Kate, come mi sei mancata, cara!-
Le lisciava i capelli con la mano libera, cercava di sbaciucchiarla
-L’avevo lasciata a bordo, maresciallo. Le barche erano sotto sequestro, non avevo più potuto riprenderla…capirà. In questi mesi mi pareva d’impazzire, senza di lei. Avevo paura che il mare se la portasse via-
-Non potevi mandare qualcuno a prenderla, co…quaglione?-
-Ma no, la mia Kate? Nessuno sa di lei. Solo io e lei, solo con lei, vede, posso, riesco a… Della Rosa, la prego, non telefoni…-
Il maresciallo era rimasto di stucco. Pensare che i giornali descrivevano Trash Vermer come un solidissimo “ tombeur de femme!”
Restò per un poco col dito sul telefono, poi decise di chiudere la comunicazione.
Controllò il contenuto della sacca. Non c’era altro, neanche una cosa che facesse sospettare un trucco.
Un buco nell’acqua, niente di fatto, niente che potesse uscire dai limiti di un articolo di gossip, e niente che lui potesse raccontare senza far la figura del pirla!
“E ora?” pensò “Che faccio? Telefono a “Scandali al sole?
Ma no. Per quello stronzo? Che si tenga pure la sua Kate e se ne vada all’inferno!”
Si accorse all’improvviso che le lacrime che gli salivano agli occhi non erano tutte causate dal raffreddore. Si sentiva umiliato, Della Rosa, e triste, preciso a quando passava Capodanno a subire il dottor Spok.
-Va bene, gua…quaglione, il resto me lo spiegherai in caserma dopodomani. Ti aspetto in caserma alle dieci. Bonanotte!-
Gli diede l’indirizzo e il telefono e cominciò a salire le scale…
ma quando era già a metà Vermer strillò:
-Aspetti!-
Si era già tutto ringalluzzito.
-Era proprio necessario farmi prendere tutto quello spavento? Per poco non morivo! Ne parlerò coi miei avvocati!-
Ciro aveva già il piede sullo scalino superiore, ma dopo queste frasi si bloccò e ridiscese con calma sulla spiaggetta.
-Non ti muovere!- disse, e tornò a mettergli le manette.
Prese il cellulare e chiamò:
– Signor capitano-
-Dica, Della Rosa!-
Trombetti gradiva sempre essere informato in tempo reale.
-Capitano, ho beccato un ladro che rubava sul Falco di mare, lo Yacht, sa… è senza documenti!-
-Ah…-
-L’ho preso in fragrante mentre saliva sulla barca, una di quelle sottoposte a sequestro. Ha della refurtiva. Volete occuparvene voi o volete che io…-
-No…me ne occupo io, li mando subito!-
-Bene. Allora aspetto la Volante. Rimango qui finché non è arrivata! Buon anno, capitano Trombetti-
-Anche a lei, Della Rosa! Tanti auguri!-
“Ora troverai chi t’interroga per bene e ti fa passare il Capodanno in Caserma, calamaro del mio…” pensò “e son quasi sicuro che Trombetti lo zelante tratterrà la refurtiva nei corpi di reato per un bel pezzo!”
Quando arrivò la Volante, Della Rosa tornò a fare la guardia sul lungomare.
C’era poca gente sulla passeggiata, soprattutto ragazzotti ubriachi e pulzelle. E lì accanto era tornata la barbona di prima, accasciata sullo scoglio con delle coperte sbrindellate. Canticchiava e gesticolava rivolta al mare.
“Speriamo che non scenda sugli scogli, e non si rompa qualche osso” pensò “Non vorrei proprio che la notte finisse con un’altra fetenzìa: per stanotte ne ho avuto abbastanza, di matti!”
-Chista è peggio di quell’altro, mi sa- sussurrò- Mi toccherà davvero arrestarla, perché se finisce in mare ci scappa un cadavere vero, questa volta! –
Era sorto il giorno, e la vecchietta non era caduta.
Finalmente però era arrivato il suo cambio.
La vecchia confabulò ancora un poco e ridacchiò rivolta verso di lui.
-Che hai da ridere, vecchia cornacchia?- sibilò Della Rosa
Aveva le traveggole? La vecchiaccia gli aveva fatto L’OCCHIOLINO!
No! Questa poi! Doveva pure subire l’adescamento di una barbona!
-Chissà che catastrofe sarà, quest’annata, se comincia così!-
Loro due se ne andarono più o meno assieme, una di qua, lui agli antipodi.
-Vecchiaccia zozza!- disse
Ingranò la prima.
-Se almeno la fata delle barche fosse stata qui avrei potuto chiederle di far tornare Camilla… almeno per Capodanno!-
Mentre si immetteva nello scarsissimo traffico gli squillò il cellulare:
-Pronto!-
-Papà!-
-Camilla, Camillina! Dove sei?-
-Sono all’aeroporto. Sono venuta per passare assieme almeno Capodanno. Puoi mica venirmi a prendere? Ho molti bagagli!-
-Se, posso, se posso?- urlò lui- Certo che posso, mannaggia atomica!-
Mancò poco che uscisse di strada per la felicità.
Dietro di lui la vecchia rivolse un’ultima occhiata al Falco di mare, lo consolò ancora e infine si allontanò.
-A stasera, Falco!- disse.
Era ormai sorto il giorno.
Fine
Capodanno 2019, Carlo Giuseppe Lucardi.
Rapallo, 8 Gennaio 2019
LO YAWL DI MUSSOLINI SI AUTOAFFONDO’ A RAPALLO NEL 1943
LO YAWL DI MUSSOLINI
SI AUTOAFFONDO’ A RAPALLO NEL 1943
Yacht di 23,70 metri di lunghezza e 4,70 di larghezza, e 40,70 tonn. di stazza. Fu costruito nel 1912 in Germania con legno di teak stagionato e mogano, alberi e bompresso in pitch pine e scafo foderato in rame. La sua linea era e resta elegante e decisa, con un lungo slancio di poppa a cui se ne contrappone uno di prua corto e arrotondato, in onore dell’architettura nautica dell’epoca. Accogliente e raffinata dentro, agile e possente fuori.
Lo “YAWL” KONIGIN II fu costruito nel 1912 dai cantieri tedeschi Abeking & Rasmussen per i Barone Von Dazur.
Dopo aver passato la prima guerra mondiale nel porto della Maddalena, il gerarca fascista Alessandro Parisi Nobile, fedele amico del Duce, lo acquistò nel 1935 e lo ribattezzò FIAMMA NERA e lo donò a Mussolini. Il Duce, come si sa, era un aviatore e tante altre cose, ma non era un uomo di mare con progetti croceristici e lo utilizzò per i suoi incontri più o meno segreti con la sua amante storica Claretta Petacci senza mai allontanarsi troppo dalla costa.
Momenti di relax prima della tempesta...
Alla vigilia della caduta del regime, in quel demoniaco passaggio storico, Fiamma Nera fu affondata dal suo armatore davanti a Rapallo per impedire che finisse nelle mani dei tedeschi o degli americani, ma con l’intento e la speranza fondata di recuperarlo a “tempesta” passata.
Si tratta in fondo di usare le stesse parole: tempesta (bellica), Yacht affondato, relitto e recupero che oggi, a distanza di 75 anni, usiamo per decifrare la recente “apocalisse” che ha colpito la nostra città tra il 28 e il 29 ottobre 2018.
Nel 1943 fu un affondamento astutamente programmato e scientificamente realizzato. Questa fu l’unica e sostanziale differenza tra quel naufragio volutamente provocato e la tempesta naturale che ha colpito, come mai era successo prima, la nostra città.
La scaltra iniziativa del Conte Sereni funzionò e lo YAWL fu recuperato nell’immediato dopoguerra, quindi restaurato e rinominato SERENELLA. Nel 1956 fu comprato dal Principe Cremisi che lo ribattezzò ESTRELA DE GUARUJA’.
Per completare la sua storia possiamo solo aggiungere che l’imbarcazione rimase fino al ‘62 ormeggiata a Fiumicino ed impiegata come nave-scuola dal Circolo della Vela di Roma. Negli anni '70 fu acquistata dall'ingegner Fonsi che la portò a navigare in Adriatico. Nel 2002 ricomparve in precarie condizioni a Viareggio dove tornò agli antichi splendori e fu anche attrezzata della più moderna strumentazione grazie a un progetto di tre amici: Augusto Gori, Carlo Meccheri di Pietrasanta e Giorgio Mazzoni. Nello stesso anno prese parte alle Vele d’Epoca di Imperia e venne noleggiata dal Cts Ambiente per una campagna di monitoraggio delfini nel Mare Tirreno, sino all’ultimo restauro (2006-2010) a Fiumicino.
Qualcuno si chiederà: “chissà se il FIAMMA NERA fu testimone di successivi incontri amorosi di celebri coppie sulle orme nostalgiche del Duce e della Petacci”?
Si parla di un matrimonio mancato: George Clooney e Elisabetta Canalis avrebbero voluto sposarsi sulla barca del Duce, ma sono voci di corridoio che nessuno ha mai confermato.
Il KONIGIN II sta oggi vivendo il suo ennesimo restyling guardando ad una nuova vita con il supporto del prestigioso Duck Design e dell’antico Cantiere tedesco che lo costruì nel 1912.
ALCUNI RICORDI DEL COMANDANTE
NUNZIO CATENA
ORTONA
Zì Tumassin ripreso mentre cuce una vela a bordo dell’ESTRELA
l'Ingegnere ci teneva moltissimo a conservare sia il look che le tradizioni di quella barca famosa. Aveva alle dipendenze "Zì Tumassin" (di 'Pizzicarello', nomignolo), un anziano ma esperto marinaio in pensione che la curava come fosse, e di fatto lo era, una sua creatura.
Ricordo che a bordo della ESTRELA, una troupe della RAI aveva girato anche un filmato pubblicitario per il celebre Carosello con la cantante 'Giovanna' in auge a quel tempo.
Questa foto, con lo scafo bianco, é stata scattata nel porticciolo turistico di Ortona.
La ESTRELA, aveva uno scafo dalle linee meravigliose, ed anche gli interni erano molto raffinati: bellissima la coperta sgombra e con pochissima sovrastruttura. Se devo essere sincero, non mi piace armata con la vela MARCONI all'albero di maestra, molto più bella si presentava con le vele auriche, ma era più impegnativa da governare; quello fu forse il motivo per cui la cambiarono.
Quando arrivò dal Mar Tirreno da noi in Adriatico, aveva il bompresso e la polena sfasciati completamente, perché durante il trasferimento, a causa della nebbia, erano andati a sbattere contro una scogliera a picco, per fortuna non ebbero danni allo scafo e poterono proseguire il viaggio senza interventi esterni.
Carlo GATTI
Rapallo, 4 Gennaio 2019
PORTOFINO COM’ERA… ma come sarà???
PORTOFINO COM’ERA…
ma come sarà???
Agli inizi dell’800 Portofino, con i suoi 1300 abitanti-sudditi della Repubblica di Genova, si trovava al centro di aspre contese tra i Fieschi e i Doria. Il Congresso di Vienna (1815) sistemò un po’ di cose… e, come tutta la Liguria, anche il piccolo Borgo rientrò tra i possedimenti del regno Sardo Piemontese.
Si tratta di una data molto importante per buona parte dei portofinesi che decide di ritornare alla sua vocazione originale: il MARE! Che é duro da masticare…” Il pane dalle sette croste”, ma forse é meno duro da digerire che le tasse agricole imposte dai Savoia!
I PORTOFINESI VOLGONO LO SGUARDO VERSO L’OLTREMARE…
Alcuni residenti diventano armatori di legni sempre più importanti perché sono anche astuti ed esperti commercianti che sanno comprare e vendere in tutto il mondo.
Sono ottimi “marinai” fin da ragazzini, oppure lo diventano andando a navigare per periodi di due o tre anni senza fare ritorno a casa. I loro sacrifici vengono investiti in case e terreni che ancora oggi appartengono ai loro discendenti.
Una parte di loro, forse i più anziani, si dedicano alle barche da diporto chiamate LORD, come i loro padroni inglesi che avviano questa nuova forma di turismo marinaro.
Sulle guide turistiche d’epoca si legge: Sul finire del XIX secolo, così com'era accaduto per altri centri rivieraschi, anche Portofino cessa di essere un borgo isolato raggiungibile solo via mare: infatti tra il 1880 e 1890 viene costruita la strada che lo collega a Santa Margherita Ligure, favorendo così l'affluenza di un numero ancor maggiore di visitatori che da questo momento possono raggiungere la località usufruendo del calesse, e successivamente delle carrozze trainate da cavalli con vetturini, per effettuare il giro panoramico, andandosi cosi ad affiancare ai barcaioli, che durante la stagione estiva prestavano anch'essi lo stesso servizio con l'impiego d'imbarcazioni a remi e a vela.
Nel 1889 il celebre scrittore francese Guy De Maupassant approdò a Portofino a bordo del suo veliero Bel Ami: colpito dalla bellezza del borgo, nel suo diario di viaggio La Vie Errante osserva: "Un'insenatura nascosta, dove entra il mare, quasi introvabile, fitta d'abeti, ulivi e di castagni. Un piccolo villaggio, Portofino, si allarga come un arco di luna attorno a questo calmo bacino. Mai ho forse sentito una impressione eguagliabile a quella che ho provato nell'entrare in quell'insenatura verde, e un eguale senso di riposo, di appagamento...".
Tra le due “carrette” gemelle dello stesso armatore, in un romantico quadretto centrale, appare un leudo, tra una Scuna (brigantino goletta) a sinistra ed una Goletta a destra.
Grazie a questa foto del compianto Claudio Molfino, oggi possiamo conoscere un altro importante dettaglio di Portofino “com’era nel 1914”. Ve l’aspettavate di vedere due navi da carico ormeggiate all’interno del suo borgo? Io no! Questa é la testimonianza della vocazione marinara di una stirpe di marinai che non dovrebbe temere l’isolamento causato dalle recenti disastrose conseguenze del recente passaggio dell’uragano.
Tuttavia, la conversione al turismo é stata irreversibile e direttamente proporzionale alle stesse bellezze del borgo! Infatti, con l’apertura del casello autostradale di Rapallo il 15 dicembre 1965, le coste liguri e Portofino vengono raggiunte in tempi rapidi e con estrema facilità.
Se fino agli anni Cinquanta Portofino aveva goduto quasi esclusivamente di fama internazionale, negli anni successivi, grazie a Raffaele Calzini e Salvator Gotta, acquisirà anche fama nazionale, in quanto questi due scrittori e giornalisti, attraverso le pagine del Corriere della Sera, incominciano ad esaltare le incantevoli bellezze del borgo. In particolare Salvator Gotta dichiarava spesso in varie interviste che "Portofino ed il suo golfo devono la loro fortuna al giornalismo che ne mise in rilievo le bellezze panoramiche, il silenzio e l'austerità del suo piccolo mondo marinaro, la pace del suo mare raccolto, la grandiosità del suo monte selvoso”.
Portofino oggi
Il traghetto sardo ICHNUSA ha completato l’ormeggio di punta al molo maxi-yacht.
Grazie all’intervento del traghetto cargo-passeggeri e porta macchine, Portofino é ritornata quasi subito alla normalità.
La comunità di Portofino é ancora isolata via terra a causa dei danni provocati dall’uragano che si è abbattuto sulla costa ligure provocando il crollo della statale che la collega a Santa Margherita Ligure. La nave passeggeri/cargo ICHNUSA, normalmente impiegata nel collegamento fra Sardegna e Corsica, sulla linea marittima fra i porti di Santa Teresa di Gallura e Bonifacio, ha effettuato alcuni viaggi per portare camion cisterna contenenti gas per il riscaldamento delle abitazioni di Portofino, oltre a riportare nei Comuni limitrofi le auto ed altri i mezzi che erano rimasti imprigionati nel borgo.
Lunedì 29 ottobre 2018 - L’uragano ha distrutto completamente la strada statale sotto lo sguardo ineffabile del Pino di Aleppo… (foto sotto)
Il mare non cambia mai e il suo operare, per quanto ne parlino gli uomini, è avvolto nel mistero. (Joseph Conrad)
Il detto di Conrad é sempre di attualità specialmente quando l’uomo, con una buona dose di stupidità, lo sfida sul terreno preferito di Nettuno …
Agli amici di Portofino “allungo” qualche amichevole pensiero personale
Non temete l’isolamento! Voi residenti di Paraggi, Portofino e San Fruttuoso ritornate a pensare all’antica, da isolani. Chi viene da voi é un pellegrino alla ricerca di Santuari Naturali dove trovare la pace, i colori ed i profumi più rari del mondo. Amate il vostro isolamento e condividetelo con i turisti che vi raggiungeranno via mare e dai sentieri montani perché sarete ancora più RARI ed AMBITI nel panorama mondiale della mediocrità divorata dal traffico, dagli schiamazzi, dalla pazzia, dalla velocità e dal consumismo.
Tenetevi stretto quel traghetto che non é un intruso… ma una necessità oggettiva che vi rende estranei e LIBERI da un mondo impazzito!
Nelle innumerevoli isole del globo terracqueo, così come nelle terre che confinano col mare e sono divise dai fiumi: si vive, si commercia, si lavora, ci si sposta regolarmente sui traghetti dove spesso in inverno ci sono nebbie, neve e tempeste. Ci sono nazioni che esistono GRAZIE all’operosità multipurpose dei traghetti. Le baie delle più grandi città del mondo pullulano di questi mezzi che sono sempre più raffinati, pratici, comodi e rapidi. Pensate soltanto alle 10.000 isole che orlano la Scandinavia e che sono abitate soltanto grazie al servizio continuo dei traghetti.
In una decina di minuti di viaggio infinitamente bello e panoramico, siete raggiungibili da Santa Margherita e dalle altre località del Tigullio in un tratto di mare che é famoso per le sue bonacce!
Per voi del promontorio, trasferirvi via mare, deve essere il vostro modo di vivere che riflette i vostri caratteri, il vostro DNA. Liberatevi di quelle centinaia di camion, corriere e furgoni che impestano l’aria, creano ingorghi e deturpano il vostro paradiso terrestre.
Mettete la parola FINE a quell’assalto quotidiano della cosiddetta civiltà dei consumi.
Ritornate all’antico, a ragionare come i vostri avi! Reagite alla “triste” sconfitta subita dall’uragano del 29 ottobre 2018 rimettendo in ordine la vostra vita quotidiana!
Amate e difendete i doni ed i privilegi che avete avuti dal Padreterno.
So di navigare controcorrente, di urlare nel deserto… ma il silenzio é complice … e sappiamo tutti di chi … !!!
UN PARERE AL SINDACO DI RAPALLO
MOTOBARCA PRIMERO VII
Lungh. f.t. mt. 27,60 - Largh. max mt.6,68;
Portata max passeggeri: 348;
Questo molo di 30-35 metri di lunghezza prospiciente Villa Porticciolo potrebbe essere, viste le conseguenze del cambiamento del clima con le sue improvvise tempeste e le costanti variazione dei fondali, la soluzione d’emergenza per togliere Rapallo dall’isolamento dei collegamenti marittimi locali.
In Capitaneria dispongono dei fondali dello specchio acqueo di cui ci occupiamo. Dal ricordo delle mie nuotate compiute in quei dintorni, ritengo che ci sia un fondale sufficiente per operare con un Primero del tipo scelto sopra come modello.
Ritengo inoltre che la risacca sia nulla o quasi, e che la zona in questione si trovi al riparo dell’interramento provocato dal lontano Boate e dalle mareggiate che passano oltre.
Non sono evidenti danni causati dal passaggio dell’uragano. Questo molo potrebbe essere sfruttato anche per l’attracco dei Tender delle navi passeggeri ancorate in rada a Rapallo-Santa M. da marzo a ottobre.
Notare l’ampiezza dello specchio di evoluzione, anche dalla prospettiva della foto sotto.
I Capitani dei traghetti del Tigullio, abituati ad ormeggiare con la risacca (tra gli scogli) a San Fruttuoso, sarebbero ben felici di godere della “normalità” di una così ampia calata a Villa Porticciolo. La parte rettilinea del molo é lunga 30 metri ed é facilmente allungabile con qualche modifica. La zona del parco é collegata al centro città dai mezzi del Comune.
Da questa immagine si nota il progresso compiuto per liberare la passeggiata a mare di Rapallo
Molto resta ancora da fare…
Carlo GATTI
Rapallo, 14 Dicembre 2018
TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM - RAPALLO…
TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM - RAPALLO
Lunedì 29 ottobre 2018
La Liguria é stata devastata da una mareggiata storica: venti a 180 km/h - onde alte più di 10 metri (ARPAL). Nella scala Beaufort corrispondono al numero 12 (fondo scala), il cui termine descrittivo corrisponde a URAGANO. Nella nostra città sono naufragate 221 imbarcazioni (TG Regionale data odierna).
Approfittando del sole beffardo, ieri mattina sono andato a fare un po’ di foto al CIMITERO delle imbarcazioni ammucchiate nel golfo ed in passeggiata. Uno spettacolo surreale simile ad un bombardamento aeronavale… tanti fantasmi bianchi ammucchiati … tante facce in giro senza espressione… senza speranze… volti che ogni tanto alzavano lo sguardo verso il Santuario di Montallegro e mormoravano qualcosa… odore di gasolio e di rumenta salata… a montagne… tante braccia di volontari che mulinavano giubbotti, sacchi di plastica, pezzi di scafo, di legna, parabordi… decine di ruspe che ricordavano nei loro movimenti cadenzati i paesi terremotati di questi ultimi anni.
221 sono i relitti visibili ed invisibili, una strage di ricchezza e di lavoro, di spensieratezza e di vacanze…(odore di buono… diceva DE ANDRE’) - pare sia morto tutto! eccetto l’uomo che é rimasto miracolosamente vivo, in piedi, risparmiato proprio da quella Madonna che da lassù vede tutto e forse ha voluto aiutare solo i poveri, i disoccupati… perché ora ci sarà molto lavoro per tutti!!!
Di tutto questo occorre prendere atto e smetterla di sognare… per ricominciare a ricostruire il litorale, i porti, gli esercizi e le case a prova di URAGANO, perché questi fenomeni sono ripetibili!
Nei giorni seguenti il crollo del Ponte Morandi scrissi per Mare Nostrum che occorreva pensare “alla marinara”: sfruttare il mare per spostarci tra le città del Golfo Tigullio. Oggi questi paesi sono isolati, per il crollo delle strade sul litorale; come dire che la NATURA ha voluto ribadire quel concetto e ci ha costretto a pensare “alla marinara”.
Un mare così violento si ricorda a Rapallo nel 2000, quando creò uno squarcio nella diga del porto Carlo Riva e distrusse numerosi panfili.
Sono passati 18 anni, all’epoca nessuno parlò di URAGANO, le previsioni e le osservazioni dei fenomeni meteo in corso erano basate su strumenti tradizionali, oggi esistono sensori dappertutto che misurano la forza effettiva del vento e del mare nell’impatto con la terraferma.
LA LUNGA ESTATE CALDA
DEL TIGULLIO
Lunedì, il giorno del disastro, la Pressione Atmosferica era MOLTO BASSA, non so di preciso, ma ricordo che i due barometri di casa misuravano un valore intorno ai 960-970 mm.
Pressione atmosferica Bassa significa meno peso dell’aria sul mare che infatti si alza, si gonfia; nel caso specifico pare si sia alzato, in certe zone controllate al largo, di quasi tre metri sul livello medio. Questo primo dato spiega come si siano verificate ONDE ALTE 10 METRI, (un valore normalmente di pertinenza Atlantica) la cui caduta, da una altezza appunto superiore al normale, ha aumentato il potere di sfondamento… contro le dighe, i porti, i pontili e le imbarcazioni.
La lunga estate calda a cui mi sono riferito, concerne il fatto che il giorno del disastro, la temperatura del mare era intorno ai 25°, valore molto elevato per la media del periodo che, naturalmente ha condizionato l’aria soprastante spingendola verso l’alto.
Nel frattempo, come da previsione meteo, é arrivata una forte depressione atlantica composta di aria fredda che, incontrando la massa di aria calda del nostro mare, che ormai si può definire TROPICALE, ha provocato un vortice CICLONICO, cioè un avvitamento delle due masse d’aria a temperature molto diverse che si é dimostrato devastante per la sua forza e velocità!
NESSUNA VITTIMA
Non so quanti saranno gli ex voto che saliranno al Santuario di Montallegro!
Ma non possiamo pensare che la Madonna continui a metterci una pezza… Era già successo a Santa Margherita nel 1996 e a Rapallo nel 2000. Per non parlare del 2008 a Genova quando fu distrutta dal libeccio l’Isola artificiale al largo di Multedo, mentre a Genova il traghetto FANTASTIC sfiorò la tragedia sull’imboccatura del porto.
Qualche pillola di meteorologia applicata al nostro golfo Tigullio, forse ci aiuta a capire, in qualche misura, l’eccezionale fenomeno meteo del 29 ottobre: il lunedì nero!
Prendiamo a riferimento il passaggio di una BURRASCA “da rottura dei tempi” che, pur essendo di livello ben inferiore all’URAGANO registrato, é molto simile nella sua dinamica.
La cartina mostra la circolazione “antioraria” del vento intorno ad una BASSA PRESSIONE.
Inizialmente il vento soffia da SE (scirocco-frecce rosse) poi gira a SUD, prosegue la sua corsa a SW (Libeccio) rinforzando, infine sfonda a NORD OVEST con il vento di Maestrale (frecce bianche). Quando il vento passa a NORD (Tramontana), la depressione é passata e dirige verso Levante.
I naviganti di un tempo si appostavano sull’aletta di plancia e rilevavano la direzione del vento per seguirne l’evoluzione. Anche l’osservazione costante del barometro é utilissima perché segna il valore della pressione dall’inizio del fenomeno a Scirocco, fino alla sua conclusione a Tramontana quando la Pressione Barometrica rientra nella normalità.
Come abbiamo già detto, nel 2000 si era verificata una situazione meteo tragicamente simile a quella di lunedì, anche per quanto riguarda la sua rotta assassina.
Come tutti sanno Rapallo, situato al centro del Golfo Marconi, ha nel monte di Portofino un potente scudo naturale che lo protegge dal famigerato Libeccio (SO); tuttavia, nei casi citati, il Vento Ciclonico non ha proseguito la sua corsa oltre il Monte di Portofino, ma si é fermato nel quadrante meridionale il tempo necessario per entrare nel Tigullio e devastarci.
Gli scienziati hanno spiegato che una concomitante Bassa Pressione sul Veneto e sulla Liguria, ha creato un corridoio nefasto tra le due regioni che ha moltiplicato gli effetti distruttivi. Pare che la nostra città si sia trovata su questo asse.
E’ successo due volte in 18 anni, quindi il fenomeno, pur essendo raro, é ripetibile! Di questo é difficile incolpare oggi soltanto il destino avverso!
Quell’evento ormai lontano, evidentemente é stato sottostimato e registrato come evento eccezionale, quindi fuori statistica! Quindi non ci ha insegnato nulla… e le riparazioni della diga del porto Carlo Riva di Rapallo sono così risultate vane, costose ed inutili in rapporto allo scopo che dovevano raggiungere!
A proposito poi di fenomeni ripetibili, gli Album Fotografici della storia di Rapallo editi dal Comune di Rapallo riportano numerosi racconti illustrati di Tempeste e Burrasche che hanno stretto Rapallo in una morsa di allagamenti e mareggiate che l’hanno messa in ginocchio più volte. Certo, nel Molo Langano di quell’epoca non c’erano le maxi-imbarcazioni di oggi e chi aveva un gozzo se lo metteva per tempo in secco, al riparo dalle inclemenze invernali.
Le mareggiate ci sono sempre state, oggi sono più pericolose, a causa del surriscaldamento del clima che ormai é riconosciuto da tutti!
Forse é proprio per questa “spada di Damocle” che ci vuole meno RED CARPET e più prevenzione a partire dalle colline che franano, ai torrenti che esondano ai litorali che sprofondano, ai porti che sono diventati trappole per le imbarcazioni.
Con questo discorso mi riferisco all’intero comprensorio nel quale, gli Amministratori di Rapallo si sono sempre dimostrarti i più sensibili verso il fattore SICUREZZA!
DUE OSSERVAZIONI
- Durante la “tempesta perfetta” di lunedì 29 ottobre, non é affondata alcuna nave nel Mar Ligure, né grande né piccola!
- L’impianto di Itticoltura di Lavagna del rapallese Roberto Co’, il più esposto al mare aperto, a quasi due chilometri dalla costa non ha subito danni pensando, da buon marinaio, fin dal suo esordio, di ancorare l’impianto al fondale con enormi catene.
CONCLUSIONE
Il mondo del mare e delle navi sembra essere più preparato ad affrontare le sfide del cambiamento del Clima. I porti e la viabilità, dovranno dare risposte adeguate in tempi rapidi e non mi riferisco soltanto ai porti turistici… pena uscire dall’Europa per “manifesta inferiorità”!
ALBUM FOTOGRAFICO
Questa é l'immagine del Yacht del famoso imprenditore Televisivo
In altri tempi, I Lloyd's di Londra avrebbero suonato la CAMPANA della LUTINE per informare gli interessati del disastro di Rapallo...
Commento del Comandante Nunzio Catena
Vedi LINK:
LA CAMPANA DELLA FREGATA H.M.S.LUTINE
EX FREGATA FRANCESE LA LUTINE
"I LLOYD'S di LONDRA
COMMENTO SULLA SITUAZIONE DI RAPALLO
FINE NOVEMBRE 2018
Siamo giunti ormai alla fine di novembre e la visione “spettrale” della passeggiata a mare di Rapallo é desolante…
Siamo stati tutti colpiti, l’elenco é molto lungo, ma noi “rapallini doc” ci sentiamo anche traditi e violentati dentro, come se fossimo stati presi per il collo e sbattuti sugli scogli come impertinenti fuscelli alla deriva …
Finora sono state tolte un centinaio di piccole imbarcazioni ormai sfondate e da buttare, ma rimangono quelle più grandi che sono incastrate come cozze sugli scogli.
A causa della pioggia, non si vedono grandi movimenti in azione lungo il litorale, e mi vien fatto di pensare che soltanto la piovra burocratica sia all’opera sul nostro golfo paralizzando con i suoi tentacoli ogni tentativo di ripulire il salotto buono che tanta fama si era guadagnato nel tempo.
Le inchieste in corso sono numerose e chissà quante perizie dovranno essere svolte dai vari Enti interessati per dipanare le responsabilità dei proprietari dei mezzi nautici e del porto Riva, in un groviglio di pratiche in cui emergono le bandiere ombra aventi legislazioni diverse e non sempre coincidenti con la nostra.
Una montagna di problemi in cui saranno protagonisti centinaia di avvocati, ingegneri e periti di ogni tipo che ruberanno la scena e, speriamo di no, anche la stagione estiva 2019…
L’Amministrazione del Comune di Rapallo dovrà prendere importanti decisioni sulla ricostruzione di nuove infrastrutture a difesa della città: moli, dighe, attracchi per i traghetti, bonifica dei fondali e, quasi certamente una diversa organizzazione portuale che tenga conto che Rapallo e dintorni non possono più essere considerati SICURI come prima dell’incursione di questo immane uragano.
Ciò che abbiamo sotto gli occhi guardando verso il mare non é un brutto sogno, un nightmare che si allontana col risveglio improvviso; ciò che oggi scrutiamo basiti é la realtà con la quale avremo a che fare nel prossimo futuro, un futuro che é già arrivato senza chiederci il permesso cogliendoci impreparati.
Sarebbe demenziale continuare a pensare all’antica:
Rapallo “la perla del Tigullio”… la più riparata località della Riviera …
Rapallo esposta solo allo scirocco che non porta onde altissime perché arriva frenato dalla piattaforma continentale che si estende lungo la costa italiana.
Rapallo difesa dalle colline…
Rapallo riparata per millenni dal libeccio e dal maestrale che s’infrangono sullo scudo del monte di Portofino…
Purtroppo si é giunti al “si salvi chi può” - altro che vecchi slogan turistici conditi da discorsi rassicuranti…
Occorre lasciarci di poppa tutti i progetti “sognati” e fatti in assenza di vento e con il sole negli occhi …
CHE FARE?
Alla luce di questo disastro ambientale che ha colpito tutti i settori economici della città, dovranno essere prese in esame, con rapidità, iniziative e normative che siano in linea con i nuovi eventi catastrofici e riguardino soprattutto: dighe, moli, bitte, catene, cavi da ormeggio, ancore, personale marinaro di pronto intervento nell’ambito portuale, previsioni meteo rapide e attendibili.
Qualcuno ha detto: BELIN, non esageriamo, Rapallo non é mica Capo Horn! Qualcuno che aveva letto male i nostri articoli e non ha capito che nei secoli passati un veliero su 3 affondava nel doppiare “l’inferno dei marinai”.
Di quella pagina di storia occorre soprattutto cogliere una sottile differenza che assume dimensioni enormi in questo momento:
Allora c’era più capacità marinara che sicurezza sui quei vecchi bordi di legno.
Oggi c’é più tecnologia, quindi più sicurezza, ma meno scienza e coscienza marinara.
Dobbiamo essere consapevoli che tutto ciò che s’intende progettare e costruire lungo i nostri litorali DEVE essere realizzato con nuovi parametri in grado di contrastare la forza degli uragani, delle trombe marine, delle bombe d’acqua e dei tornado: questo é il conto da pagare che ci presenta, ormai da anni, il cambiamento del clima di cui si parla in tutto il mondo!
-Ma chi conosce gli uragani?
-Chi ha esperienza di questi fenomeni naturali?
-Come si può contrastare un fenomeno che sulle nostre coste non si conosce?
-Come si possono prevedere?
-Con quanto anticipo si può organizzare una difesa per allertare il mondo nautico, ma anche le città nelle loro parti più esposte?
Per dare risposte a questi interrogativi necessitano gli “specialisti”! Le nostre città di mare sono il REGNO dei Professionisti del mare, ma nessuno li cerca, li stana e vengono ignorati dalla burocrazia “chiacchierona” che si occupa d’altro …
Per AMORE verso la mia città avanzo qualche “punto di vista” non richiesto:
- A similitudine di quanto accaduto per il Ponte Morandi di Genova, AUGURO al nostro Sindaco di assumere la carica di COMMISSARIO con ampio potere decisionale sulle pratiche di sgombero degli scafi spiaggiati.
- Con questa “carica istituzionale” penso che il Primo cittadino possa by-passare i freni burocratici di qualsiasi tipo. Salvare l’economia della città (compito prioritario della sua Amministrazione).
- La passeggiata a mare può essere sgomberata totalmente con gru di terra che certamente non mancano.
- E necessario trovare i capannoni e/o Cantieri Navali dove sistemare gli scafi da affidare ai periti di tutti gli enti statali e privati affinché possano svolgere i compiti a cui sono preposti.
- Non vedo un senso logico per cui la CITTA’ debba essere paralizzata dallo svolgimento di pratiche burocratiche che possono essere attuate in un tranquillo capannone di S. Pietro dove le imbarcazioni sarebbero messe in sicurezza ed ispezionate con maggiore facilità.
- La città deve essere ASSOLUTAMENTE LIBERATA al più presto. Il suo lungomare deve essere rifatto in tante parti che oggi risultano danneggiate e non agibili. Quanti giorni lavorativi ci sono rimasti prima di affrontare la stagione estiva?
- La città rischia lo svuotamento “antropico” ? Questa é la domanda che ognuno si pone nella sua coscienza.
PER NON DIMENTICARE ……. Con Mare Nostrum abbiamo scritto molto in questi 30 anni di lavoro appassionato per sensibilizzare la CULTURA MARINARA: studi, saggi, mostre, convegni e lavorando anche ad una collezione di articoli (circa 600) che oggi compongono una apprezzata ENCICLOPEDIA del Mare.Allego alcuni LINK - Per ricordare a chi ci legge che DI TEMPESTE ce ne sono state tante nel tempo, anche da noi e vicino a noi…
Finché avremo voce urleremo come gabbiani nel vento!
URAGANO "EMILY"
Comandante CSLC Mario Terenzio Palombo
Genova, 19.2.1955
UN INFERNALE CICLONE DA LIBECCIO
LONDON VALOUR
IL GIORNO DEL DIAVOLO
LA ROTTURA DEI TEMPI
LONDON VALOUR
GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE
“LONDON VALOUR”
LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE
LE TROMBE D’ARIA
UN INCUBO PER L’ARCO LIGURE ED IL PORTO DI GENOVA
RAPALLINO NELLA TEMPESTA
QUELLI DEL m/r VORTICE
Carlo GATTI
Rapallo, Novembre 2018
ETTORE - IL FABBRO DI RAPALLO
ETTORE IL FABBRO DI RAPALLO
UN PO’ DI STORIA….
Efesto (Vulcano per la mitologia romana) forgia le folgori per Giove.
Quadro di Rubens (XVII secolo)
Efesto, nella mitologia greca, è il dio del fuoco e della metallurgia. Nell’Iliade, fonte principale della mitologia greca in coppia con l’Odissea, si narra che Efesto fosse uno degli dei più brutti “soggetti” dell’Olimpo e che avesse anche un pessimo carattere.
Efesto, fisicamente disgraziato, passava tuttavia per aver avuto donne di grande bellezza. Già l’Iliade gli attribuisce Carite, la Grazia per eccellenza. Esiodo gli attribuisce come moglie Aglae, la più giovane delle Cariti. Ma soprattutto, si conoscono le sue avventure con Afrodite, che sono riportate nell’Odissea.
Tuttavia, Efesto si era fatto un nome prestigioso come FABBRO DEGLI DEI perché aveva il dono di essere bravissimo nella lavorazione di tutti i metalli: nulla gli era impossibile! Egli, infatti, viveva in un’officina sotto il vulcano Etna, dove lavorava tutto il giorno ai suoi progetti di ingegneria, aiutato dai terribili Ciclopi.
Per questo motivo, Efesto era considerato il protettore di tutte le attività artigianali ed era venerato in tutta la Grecia. Anche nella mitologia romana esisteva un dio dalle caratteristiche simili, chiamato Vulcano.
Efesto ed Ettore (il nostro fabbro di Rapallo) hanno in comune qualcosa? Vediamo un po’…:
- qualche lettera dell’alfabeto: 4 e - 3 t
- la grande passione per il ferro battuto come meglio vedremo in seguito
- Ettore, che non é altissimo, non é neppure brutto e disgraziato come Efesto…, ma ha l’abitudine di “picchiare” il ferro dalla mattina alla sera e se avesse anche un cattivo carattere come il dio greco, sarebbe un bel guaio per chi lo frequenta regolarmente, famigliari compresi… Le sue braccia hanno assorbito e trasportato tanto ferro in 32 anni di mestiere che, per stare in tema, esplodono energia vulcanica in ogni direzione.
- Al contrario di Efesto, Ettore ha un carattere allegro e sempre accomodante, conosce tutti in città e tutti lo conoscono, lo fermano per strada e lo apprezzano per la sua disponibilità, le battute sempre amicali, ma pungenti contro chi non apprezza il “fuoco” del suo diavolo rossonero (il MILAN che ieri ha perso il derby…).
- Abbiamo letto che Efesto passa anche per il patrono dei can da donne! Anche su questo argomento le similitudini storiche tra i due campioni sono tutt’altro che provate… In ogni caso, quando Ettore si convincerà a scrivere le proprie memorie, noi riscriveremo questo articolo per amore della verità, non per curiosità o altro...!
Ora ci lasciamo la mitologia alle spalle ed andiamo a scoprire la storia di questo personaggio che porta sulle spalle il peso di un lungo passato di ferro e di fuoco, ma che possiede anche una visione realistica del futuro.
A domanda (in neretto), Ettore Pelosin risponde (in corsivo):
Tu sei figlio di commercianti molto noti a Rapallo. Come sei arrivato ad intraprendere un lavoro così particolarmente rude e mascolino?
Fui bocciato in 3° ragioneria, un corso di studi per il quale non ero assolutamente portato. Parlai con i fabbri Canessa, Cipro e Queirolo, tre soci di una officina sotto casa mia che erano amici di mio padre, ed ottenni di fare l’apprendista con il compito di guardare ed imparare. Era il 1985, avevo 17 anni ed una gran voglia di fare… solo in seguito capii la verità che stava dietro a quel: “Sta qui e guarda”. Feci quasi due anni di forgia, imparai tutto il possibile in un’epoca in cui vi erano poche macchine in officina e quindi gettavo tanto sudore in un mare di trucchi del mestiere che non sempre mi venivano spiegati. Ma si trattò di un’esperienza importante della quale ancora oggi mi sento debitore con quelle persone.
Ritornato a Rapallo dal Servizio Militare, avevo ormai scelto il mio settore lavorativo: mi assunse il fabbro Sirola il quale aveva uno spettro più largo di committenze per cui ebbi modo di imparare cose nuove e a gestirle ancora meglio.
Passò qualche anno, entrai nell’ambiente e, in quel periodo conobbi Corrado, il mio socio attuale. Avevo 23 anni e lui 27. Avevamo in comune tanta voglia di lavorare, ma anche d’intraprendere privatamente. Corrado, più esperto di me, capì subito dal mio entusiasmo che ero portato per quel tipo d’attività. Inizialmente decidemmo di lavorare insieme nelle ore serali, e poi anche al sabato, alla domenica e ogni volta che eravamo liberi dai rispettivi impegni di lavoro. Poco tempo dopo, ogni sera ci chiudavamo nel suo garage a lavorare per conto nostro, per i nostri nuovi clienti.
Nel 1991 decidemmo di diventare soci e padroni di noi stessi, della nostra passione e soprattutto della nostra nuova officina! Ancora oggi, ogni tanto, mi viene in mente quel proverbio: “Chi trova un amico, trova un tesoro!” - GRAZIE Corrado!
Sono passati un po’ di anni… l’esperienza e la passione di Ettore lo hanno portato ad essere insieme al suo socio Corrado, una affermata ditta del Tigullio.
Tuttavia, tra coloro che ancora oggi praticano l’artigianato, spesso si sente dire:
“Questa attività é solo sacrificio, mal di schiena…, orari continuati e sempre scomodi, pezzo dopo pezzo sparisce anche la nostra identità. La colpa é tutta del progresso sfrenato che non lascia più nulla alla creatività e alla fantasia… ormai si trova tutto pronto all’IKEA…”
Tu cosa ne pensi?
In effetti c’è del vero in ciò che dici – esplode Ettore –
Tuttavia c’é un forte limite sull’originalità di quei prodotti finiti: oggi li vedi all’IKEA, in seguito li ritrovi nelle case dei tuoi amici e conoscenti. Senza accorgersene siamo forse stati tutti omologati nei gusti, nelle scelte, siamo diventati vittime delle mode?
Dov’é finito quel godimento che ci hanno insegnato i nostri vecchi di possedere qualcosa di originale in casa? Noi italiani siamo considerati maestri d’arte e di buon gusto in tutto il mondo, ma pare che nel nostro Paese, a tutti i livelli, si sia rinunciato a giocare un ruolo da protagonisti, come se fossimo diventati tutti pellegrini dei nuovi frequentatissimi santuari che sono giustappunto i supermercati.
Dove sono finite l’autenticità, la fantasia, la creatività, l’estro e la stravaganza?
Hai parlato d’ARTE con palese nostalgia, come un rimpianto che forse insegui da tempo! Come definiresti il tuo lavoro?
Io appartengo con fierezza alla categoria artigianale dei fabbri. Il mio mestiere lo definirei così:
L’ARTIGIANATO E’ L’ARTE DA NON METTERE DA PARTE
Se un mio cliente mi ordinasse un cancello, oppure un berceau, ma anche un semplice tavolo e mi dicesse:
Lo vorrei un po’ originale, lei ha qualche idea?
Beh! Io risponderei a quel signore: vedo che lei ha fiducia nell’artigiano! Continui a fidarsi, non la deluderò e le farò anche un prezzo d’amico!
Dalla fiducia nasce la creatività che dà spazio all’ARTE!
Quando l’arte abbraccia l’artigianato e con esso si fonde, penso al futuro di tanti giovani e intravedo un grande spiraglio nel mercato del lavoro, anche in tempi di crisi economica.
Tocchi un argomento vero ed interessante, ma delicato e pieno di trappole che evidenziano le carenze della nostra società.
In che senso?
La tua idea é giusta e sensata! Ma avviare oggi una IMPRESA per un giovane di buona volontà, talento e fantasia non é semplice. Lo Stato dovrebbe aiutarlo in tutti quei capitoli che vanno sotto il nome di Burocrazia, Fisco e Difficoltà di accedere al credito. Noi abbiamo impiegato oltre 30 anni per rendere questa officina all’altezza dei tempi, vale a dire: l’acquisto di macchinari moderni che sono costosi ed ingombranti, ma che ti danno una resa immediata nel rapporto: tempo/denaro. Aggiungo soltanto che non mi sentirei un fabbro qualificato se non sapessi lavorare alla FORGIA, lo strumento che veniva usato già 2000 anni fa per creare magari strumenti di guerra ma che, ancora oggi, mi permette di lavorare di fino…creare e realizzare quelle forme d’arte di cui si parlava prima.
Anche la scuola può fare qualcosa di utile per i giovani?
Oggigiorno la tecnologia digitale é lo strumento più a buon mercato che esista sia in fase di progettazione, quindi di creatività per quel tipo di oggettistica che soddisfi le esigenze del mercato, ossia i desideri della gente di oggi.
Le faccio un esempio: oggi una nave nasce dal programma di un computer molto tempo prima di entrare nel Cantiere da cui scenderà in mare. La tecnologia aiuta a sviluppare una idea embrionale e portarla al concepimento finale.
Noi siamo gli eredi di un mestiere antico e duro, ma affascinante che c’é stato tramandato dall’età del ferro. Un tempo arrivavo a casa la sera con le schegge nelle mani, gli occhi rossi e la faccia bruciata dal calore della saldatrice; oggi abbiamo le macchine che ci piegano le lamiere e ci risparmiano tanta fatica, abbiamo attrezzi che ci evitano bruciature, piaghe e malattie professionali agli arti e agli occhi, ma finché ci saranno porte, cancelli, finestre, pareti, scale a chiocciola da fare su misura, il fabbro ci sarà sempre con le sue soluzioni pronte e supportate dall’esperienza e dal buongusto che spesso é anche artistico…
E’ davvero importante che in ALTO si capisca che l’artigiano é un maestro che deve tramandare il suo sapere ai giovani, ma il passaggio del testimone tra due generazioni, deve far parte di un programma che sia teso ad unire gli interessi di entrambe. Io per primo, farei i salti di gioia se potessi avere tre o quattro giovani che mi dessero una mano in questa officina dove c’è spazio per sei-sette persone. Pensa un po’ quante cose potrei insegnare a questi ragazzi dopo 30 anni che mangio polvere di ferro picchiando proprio come un fabbro…!
Se poi tra questi ragazzi emergesse anche un giovane talento, allora saremmo in tanti a fare “BINGO”, in primis il Paese che langue nella mediocrità.
I cambiamenti strutturali della nostra categoria devono partire con scienza e coscienza dai Ministeri, dai Municipi, da chi ha le leve del potere in mano ed ha l’obbligo di migliorare la società.
Levami un’altra curiosità: vedo che stai costruendo una scala a chiocciola.
Per quel che ne capisco, come fai a costruire una spirale senza averla opportunamente disegnata nel rispetto delle leggi matematiche?
Io amo il disegno, in particolare quello tecnico che mi permette di eseguire lavori un po’ particolari. Uno di questi é proprio la scala a chiocciola, la cui realizzazione ci viene richiesta in luoghi dove c’è spazio insufficiente per le scale tradizionali.
La scala a chiocciola è il tipico esempio della SPIRALE MERAVIGLIOSA in matematica ed in natura; si costruisce attorno a un perno verticale che serve da asse all’elica che forma la successione degli scalini. Il disegno di queste scale richiede di trovare una soluzione tra la alzata tra gli scalini, l’altezza dei livelli da vincolare e gli angoli di entrata ed uscita dalla scala che determina la quantità di scalini e l’angolo di rotazione unitario tra gli stessi. Il suo asse centrale, nel caso sia presente viene chiamato “anima”.
Per realizzarla a volte mi sveglio di notte, e nel silenzio assoluto trovo sempre le giuste soluzioni. Poco fa ti dicevo che ci vuole passione e studio, infatti questi due elementi sono quasi sempre a monte della manualità vera e propria che subentra come un divertimento, una specie di premio, quando i problemi teorici sono stati risolti nella mia testa.
Ed eccoci arrivati al “punctum dolens” - Il gioco ne vale la candela?
Ti ringrazio della domanda. Spero di essere breve per dimostrarti quanto noi artigiani siamo “abbelinati e tristi”.
Il prezzo finale del manufatto che esce dalle nostre mani, non tiene conto del tempo impiegato nello studio del progetto, ma neppure delle ore che utilizzo per realizzarlo, trasportarlo e poi montarlo sul posto.
Il cliente ha solo un punto di riferimento: il prezzo di mercato del manufatto costruito in serie da macchine ultra moderne e già comprensivo delle spese di consegna e di montaggio!
La commessa del mio cliente va in porto soltanto se il prezzo concordato é ben inferiore a quello di mercato.
Se voglio lavorare mi devo confrontare con questo assurdo sistema che sottovaluta il nostro impegno e tende ad uccidere l’artigianato in generale!
ETTORE IN FAMIGLIA
Ettore e Romina al pascolo...
Ettore con i figli Greta e Cristiano nel giorno della LAUREA
Sopra e sotto
Ettore con l’inseparabile Diana nel suo bosco
Ricky ed Ettore, due c... in un paio di braghe!
Due cognati amici e burloni
Il fuoco vulcanico fa parte della vita di Ettore. Qui é stato ritratto dopo la seconda infornata di farinata. Le salsicce e il castagnaccio non si vedono, ma sono sotto il controllo della "banda" famigliare che li aiuta con lo sguardo… ma non solo…
Le specialità di Ettore e Pino sono: “porchetta alla forgia”, "cinghiale alla Vesuviana” - "frittura alla Stombolicchio- "salamelle alla Prometeo" - "castagnaccio alla brusciaboschi".
ALBUM FOTOGRAFICO PROFESSIONALE
L’officina di Ettore Pelosin e Corrado Malatesta si trova in Via del Ghiaccio 9/4 dove, nel primo dopoguerra esisteva una fabbrica del ghiaccio destinato agli alberghi ed esercizi vari di Rapallo. La zona é molto verde ed elegante perché confina con il Circolo Golf e Tennis - Rapallo. L’edicola della Madonna qui sotto rappresentata é opera del Maestro d’Ascia Franco Merello, ed é incastonata sulla parete esterna dell’officina stessa.
La Madonna del Ghiaccio
Un'ala dell'officina
La Forgia a gas ha sostituito quella classica a carbone vecchia di secoli
Troncatrice
Trapano a colonna
Aspiratore fumi saldatrice
Piegatrice
Ettore prende le misure per piegare la lamiera
Ettore sta per piegare una lamiera con la piegatrice
Ettore mostra ad una visitatrice la piegatura di una lamiera
Cesoia taglia-lamiere
Curvatrice – Curve a tutto sesto
Trapano a colonna
MANUFATTI
Sopra e sotto Ringhiere finite
Ringhiera per Villa Hollander - Corrado a sinistra e Pino
Cancello di Protezione
Inferriata di Protezione
Sopra e sotto
Ringhiere di protezione per interni
Piccola libreria
Cancellata
Sopra e sotto
Intelaiature per ampie vetrate
Bancone rivestito di lamiera
Arredamento in ferro e legno per Bar
Arredamento in legno e ferro
Parete metallica
Cancello di sicurezza
Polleria ROSTER
Sopra e sotto
Arredamenti in ferro battuto
Berceau
LA SCALA A CHIOCCIOLA
Carlo GATTI
Rapallo, 21 Ottobre 2018
PESCA CON LA LAMPARA
PESCA CON LA LAMPARA
UN PO’ DI STORIA
Eliano Claudio - Sofista (170 - 235 d. C.) di Preneste (Palestrina); Scrisse 17 libri: Sulla natura degli animali.
Eliano, fra i quattro diversi metodi di pesca da lui dettagliatamente descritti, non contempla l’impiego del tridente, ma al contrario dell’arpione, per il quale conia un termine derivato da quello che indica l’asta. A suo parere questo metodo é il più nobilitante per il pescatore perché: richiede le doti più virili, il pescatore deve essere molto robusto; deve avere un’asta dritta di abete, corde di sparto*, legnetti di pino ben uniti per accendere il fuoco; gli occorre anche una piccola imbarcazione fornita di vigorosi rematori, dotati di buone braccia.
Da questo passo di Eliano, oggi sappiamo che già 2000 fa esisteva la tecnica di cattura del pesce azzurro pressoché simile a quella attuale:
1) - l’arpione veniva recuperato mediante corde di sparto.
2) - la pesca si svolgeva utilizzando la fiamma prodotta dai “legnetti di pino ben uniti” per illuminare l’area di pesca.
*sparto: Erba perenne (Lygeum spartum) della famiglia Graminacee che cresce in alcune zone aride e più o meno salmastre della regione mediterranea (Italia merid., Spagna, Africa boreale ecc.). Ha foglie giunchiformi, lunghe fino a 60 cm. Le fibre della pianta, tenaci e resistenti, sono usate per farne cordami o stuoie e nella fabbricazione della cellulosa da carta.
Facciamo un salto in Egitto …
Nell’antico Egitto la pesca veniva praticata preferibilmente con enormi reti, spesso rappresentate nei bassorilievi tombali: un esempio eclatante é nel basso rilievo di una tomba rinvenuta nei pressi delle Piramidi, (foto sopra) nel quale sono raffigurati sette uomini e un sorvegliante, intenti a manovrare le funi di una grande rete, analoga alle moderne reti a strascico e dotata di galleggianti a doppia coda di rondine, probabilmente realizzati in legno, e di pesi in piombo a forma di goccia allungata.
Questa tipologia di pesi avrà una continuità d’uso immutata fino all’epoca moderna, tanto da creare ancora oggi non pochi problemi di datazione nei contesti subacquei, frequentati per secoli dai pescatori…
In un breve tratto della costa d’Israele, nei pressi di Haifa, sono stati recuperati oltre 1200 pesi da pesca, sia in piombo che in pietra distinguendone il materiale, ma anche la forma e il metodo di realizzazione; i siti hanno anche restituito altri materiali connessi direttamente all’esercizio della pesca come gli ami, oppure come gli aghi da rete, gli scandagli e i residui di lavorazione del piombo per la realizzazione dei pesi.
Questa premessa ha semplicemente lo scopo di ricordare agli appassionati dell’argomento che i pescatori vengono da lontano e ci hanno lasciato in eredità la tecnica di pesca e gli attrezzi che sono usati ancora oggi alla stessa maniera.
OGGI
Acciughe e sardine sono pesci pelagici molto diffusi in tutto il Mediterraneo e nelle acque europee ed africane dell’Oceano Atlantico; in Italia le zone più frequentate da questi pesci "azzurri" sono la Sicilia e il medio basso Adriatico. Un metodo per catturarli, ovvero una tecnica ancora in uso oggi é la pesca con la lampara che viene effettuata da un’imbarcazione madre, e da 3-4 piccole barchette o gozzi che hanno delle grosse “lampare” installate ed alimentate a batteria oppure a gas.
Arrivati sul luogo di pesca nottetempo, i piccoli gozzi vengono ammainati e i marinai, a lento moto di corte bracciate, azionano la lampara per attrarre dal fondale marino: banchi di sardine, piccoli sgombri, alici, acciughe e anche calamaretti, "sedotti" dal forte bagliore della luce artificiale della lampara.
Una volta "radunati" i diversi banchi di pesce azzurro sotto le loro chiglie, i gozzi si avvicinano quasi a toccarsi, a questo punto entra in gioco la barca-madre con il compito di gettare in mare il cianciolo: una rete tesa in verticale che ha sul lato alto dei sugheri galleggianti, mentre nella parte inferiore porta dei piccoli piombi che la stendono formando una parete mobile che lentamente circonda il pesce ammassato in un piccolo spazio.
Chiuso il cerchio, le lampare escono dalla rete e il pesce rimane intrappolato.
Da bordo della barca-madre, tirano delle cime per chiudere la rete sul fondo e trasformarla in un sacco pieno di pescato che viene finalmente viene issato a bordo.
Questo tipo di pesca con la lampara può essere praticata durante tutto l’arco dell’anno, fatta eccezione per le notti di luna piena.
Sono passati molti secoli dalla tecnica appena descritta; oggi la pesca ha assunto connotati industriali che si effettua con pescherecci sempre più accessoriati per l’impiego di moderne tecnologie: radio, radar, sonar; imbarcazioni sempre più grandi che si portano sempre più al largo per la cattura di pesce sempre più grande e pregiato.
Si tratta ormai da tempo di una cattura “industriale” per la quale il “rustico” marinaio pescatore locale di un tempo si é trasformato in un lontano parente "oceanico" che si sposta tra le latitudini e longitudini di due emisferi come una qualsiasi nave dello shipping.
MA NOI NON VOGLIAMO ALLONTANARCI DAL NOSTRO GOLFO.....
A noi é rimasta la curiosità di sapere cosa sia rimasto degli antichi saperi, di quei gesti antichi che ancora si tramandano da padre in figlio lungo le nostre coste.
Anni fa si diceva che il vero pescatore non esce dalle scuole, ma sale sul gozzo del padre per conoscere sulla sua pelle come si governa una barca con il vento e con la corrente, come si prende confidenza con i colpi di mare, come s’interpretano i segnali meteo che ti indicano il peggioramento del tempo, come manovrare le lenze, gli ami e come conoscere le astuzie e le malizie dei pesci, insomma come “fregarli”.
Un tempo il superamento della gavetta lasciava i suoi segni sul volto bruciato dal sole e dalla salsedine, parliamo di uomini fieri che amavano la libertà senza quei limiti imposti dalla terraferma, erano uomini innamorati del mare, e dei loro gozzi che chiamavano per nome in ricordo dei famigliari ai quali si sentivano legati nel mestiere, nella fatica e nel modo si sopravvivere.
LA LAMPARA - Una pesca in estinzione?
Per chi non abbia dimestichezza con questo attrezzo da pesca, spieghiamo che la lampara è un tipo di lampada molto grossa e potente, montata su di una barca che viene usata dai pescatori di notte per illuminare la superficie dell'acqua, al fine di attrarre i pesci in superficie per poi intrappolarli nella rete o catturarli con la fiocina. Per estensione viene chiamato lampara anche il peschereccio che monta tali attrezzature e la rete usata per questo tipo di pesca.
Le lampare possono essere alimentate ad acetilene* o con corrente elettrica.
*L'acetilene è il più semplice degli alchini, idrocarburi, con un triplo legame carbonio-carbonio. Fu scoperto nel 1836 dal chimico inglese Edmund Davy. E’ un gas incolore ed estremamente infiammabile. Ha una temperatura di autoaccensione di circa 305°. È un gas estremamente pericoloso perché può esplodere anche con inneschi minimi e per questo è normalmente diluito nell’acetone.
Dedichiamo oggi la nostra attenzione alla pesca con la lampara delle nostre parti che non tutti conoscono e che ancora oggi, può regalare poca ricchezza… ma tanta soddisfazione nello sfidare con pochi mezzi, un po’ di astuzia e mestiere, l’antico rivale dell’uomo: il pesce azzurro che, detto tra noi, scusandoci per la cacofonia, é l’unico pesce che sa di pesce del nostro mare…
Si vive in democrazia e ognuno é libero d’inseguire i propri sushi … e potersi così sentire uno “esotico stravagante” a migliaia di chilometri di distanza dall’Estremo Oriente… di cui non sa nulla, ma prova a capirlo attraverso la scienza ittica….
La pesca alla lampara é oggi praticata da pochi appassionati, almeno nella nostra regione Liguria, e dire quanti ce ne siano in servizio... é molto facile, basta gettare lo sguardo sul litorale di qualsiasi spiaggia o alla fonda in un qualsiasi porticciolo. Contarle di notte é ancora più facile, sembrano stelle cadute nel golfo in una notte di mare “forza olio” (come dice il mio amico Nunzio) e rigorosamente senza luna.
Ciò che stiamo per dirvi l'abbiamo in parte già visto, ma un conto é la letteratura... un'altra cosa é sentire le voci pittoresche di Nando e Ciccio che me la spiegano così, nei loro dialetti: che sono difficili da scrivere...
Il trucco é antico e facile da capire. Il pesce, abbagliato da una fonte luminosa intensa, sale imbambolato in superficie - racconta Nando sdraiato a pancia in giù sul copertino del gozzo, e si possono anche prendere con le mani. La posizione di cattura, come vedi é scomoda, ma tutto ha un prezzo… e nessuna te la dà gratis...
In effetti non sarebbe giusto e nemmeno educato...! Ribatto seriosamente...
Per dirla tutta, esiste anche un certo gioco di squadra. Nando ha un amico di nome Ciccio, un pescatore siciliano importato negli anni ’50 nel Tigullio, il quale gli fa da battitore a bordo di un altro gozzo senza luce. Il suo compito é quello di precedere la lampara battendo la superficie del mare con uno strumento che lui chiama maglio.
Mi rivolgo direttamente a Ciccio per una spiegazione:
- Se non mi fai capire questo fatto, giuro che vado a farmelo spiegare da uno psicanalista per animali!!! Dimmi come e perché il pesce deve essere scosso dal suo torpore per predisporlo all’esca della lanterna. Se ho ben capito, il pesce, va pre-anestetizzato?
Ciccio mi guarda un po' stranito pensando sicuramente: ma cu é qistu, ma che minchia va cercanne...
- ma che sacciu de sti cose... Tu sai che vo dicere "cugghione"?
Credo di si!
Lu pisci é nu cugghione, ma cu a lampara diventa più cugghione ancora!
Finalmente ho capito! In altre parole l'acciuga viene “rincoglionita” dalla luce, e va a mettersi in posizione come fosse una modella davanti alla fiocina, arpione, lambrogo o retino di Nando , il quale vanta una eccellente rapidità ed una mira infallibile anche se, con molta umiltà, sostiene che il merito della cattura é di Ciccio che glieli manda già pronti da cucinare o da conservare sotto sale!
Abbiamo accennato alla luna piena! Ma come funziona?
Nando mi spiega, nel suo gergo marinaro antico:
- la presenza in cielo della luna piena proietta l’ombra del gozzo sul fondale e sputtana la presenza del pescatore alla lampara. Da cui si deduce che il pianeta romantico é amico dei pesci e un po’ stronza con i pescatori!
Che non é proprio una bella poesia... ma rende l'idea!
Come funziona, o meglio funzionava la pesca alla lampara in Adriatico?
Ce lo racconta il com.te Nunzio Catena di Ortona
Era bello vederle nelle notti d’estate, quando dalla nostra spiaggia
i lumini delle lampare disegnavano, a intervalli regolari, un lungo viale che univa le due sponde dell’Adriatico. Le lampare incantavano i pesci ma anche noi che dalla spiaggia le guardavamo estasiati.
Spesso di notte avevo delle visioni nel sonno: vedevo i pescatori sui gozzi e mi affannavo a chiamarli ad alta voce. Mia madre si svegliava di soprassalto … ed in preda alla delusione le dicevo che non mi rispondevano… Allora si sedeva accanto a me e cominciava a cantare una nenia per farmi addormentare di nuovo.
LE LAMPARE DI UNA VOLTA….
La pesca funzionava così
Ogni peschereccio portava a rimorchio tre battelli che venivano dati fondo, poco lontano uno dall'altro, ad un certa distanza dalla costa. Su queste barche venivano sistemate le grosse lampade che con la loro luce richiamavano il pesce che poi il peschereccio circondava con la rete che successivamente veniva virata a bordo.
Una brutta avventura…
Un tempo i pescherecci erano piccoli e i battelli con la lampara venivano portati a rimorchio e, come spesso accade anche oggi; una notte improvvisamente si scatenò un violento temporale, con forte vento che sollevò onde di qualche metro, al punto che una di quelle barche strappò la cima da rimorchio e quei poveretti del peschereccio, per salvare le altre due, la lasciarono scarrocciare sottovento.
Alle prime luci dell’alba, il tempo era tornato al bello e ci accorgemmo che il mare aveva spinto quella barca, riempita di sabbia ed acqua, sulla spiaggia proprio vicino le nostre case.
Ricordo che ci lavorai quasi tutta la giornata per ripulirla poi, nel pomeriggio, vedemmo un peschereccio che proveniva da Pescara, con rotta parallela alla costa.
Immaginammo subito che erano i proprietari della barca che avevano perduto. Andai a nuoto verso il largo e quando mi giunse vicino gli raccontai l'accaduto e che eravamo pronti a restituirgli la lampara senza nulla pretendere, se non un 'giretto' con il peschereccio, (durante il quale feci timone con mia grande gioia). In quella occasione qualcuno scattò la foto qui sotto.
Il ragazzo fieramente impettito per l’impresa, al centro della foto, é il Comandante Nunzio Catena.
RIEPILOGO
Nando e Ciccio ci danno la situazione in tempo reale:
I pescatori rimasti in attività sono pochi e dimenticati. Hanno canottiere da pirati e tecniche uniche, che nessuno imparerà. Dal porto più grande d’Italia ormai partono soltanto tre barche per la pesca a strascico, cinque a circuizione, sette con le reti da posta: totale 42 imbarcati. L’Aquila Pescatrice è l’unica barca in servizio per 11 mesi all’anno. In Italia il settore segna: -38 % rispetto al 2000. Il registro della capitaneria di porto di Genova testimonia, anno dopo anno, la fine di una storia: 2662 iscritti dal 1972 ad oggi. Si sono arresi quasi tutti. Ma quarantadue pescatori ancora resistono nella darsena del porto antico, in mezzo ai turisti. Vanno a cercare “il pesce buono”.
CARLO GATTI
Rapallo, 16 Ottobre 2018
LA CHIESA E L'ORATORIO DI S.MARIA DEL CAMPO
LA CHIESA DI SANTA MARIA
DEL CAMPO
RAPALLO
Primo piano del "LEONE" facente parte della scalinata realizzata nel 1920
L'ORATORIO DI SANTA MARIA ASSUNTA IN CIELO
MUSEI DELLA DEVOZIONE, DELLA CONSERVAZIONE E DI CONTINUITA’ NELLA FEDE
Iniziamo il nostro percorso rivolgendo lo sguardo verso la tradizione popolare, quella da cui proveniamo, nel ricordo dei nostri vecchi i cui gesti di fede ci hanno illuminato per tutta la vita.
LE CASACCE E LE CONFRATERNITE OGGI
Reperti di numerose confraternite liguri rimangono in molti Oratori ormai dismessi e trasformati ad uso civile specialmente nel nostro capoluogo. Parte dei loro beni, come gli artistici crocifissi, rimangono a disposizione delle altre confraternite, che per devozione, possono chiedere il permesso di portare in processione le casse processionali o i maestosi crocifissi.
Alle Casacce è intitolata una via del capoluogo ligure, via delle Casaccie, situata nel quartiere centrale di Piccapietra.
Scriveva lo storico Federico Donaver nel suo Vie di Genova (1912) riguardo a questa via:
« Fu istituita a ricordo delle casaccie, processioni di confraternite, recanti costumi variati, a volte ricchissimi, e crocifissi colossali, una volta molto diffuse in Genova e in tutta la Liguria; ora, almeno in città, andate in disuso. Qui era famosa la casaccia di S. Giacomo delle Fucine. Nella scalinata era l'oratorio di S. Stefano, ed altri ne esistevano nei vicoli vicini, parte dei quali scomparsi, tutti formanti casaccie. »
Nel 1972, la fondazione CARIGE finanziò una ricerca storica sulle casacce che ha portato alla realizzazione dell'omonimo libro, considerato da molti la più grande produzione sul mondo delle confraternite liguri attuali e passate. Alla fine della sua ricerca Fausta Franchini Guelfi scriverà:
« ... chi giudica il Portar Cristi come un fenomeno ormai superato, incompatibile con la civiltà moderna, appare in tutta la sua superficialità non appena si tocchi con mano in qual misura ancora oggi il rito processionale casaccesco e l'attività comunitaria della confraternita esprima valori e soddisfi esigenze profondamente radicate nella cultura popolare ligure. C'è alla base, l'antica fratellanza: ieri fondata sul bisogno della mutua assistenza, oggi isola confortante di solidarietà e amicizia nel disperato mare di anonimi della società massificata. ... In quest'ambito gli oggetti tipici di questa cultura continuano a trasmettere un messaggio straordinariamente vivo: e intorno ad essi, nel grande spettacolo processionale, continuano a svolgersi i gesti di sempre, immutabili e sicuri come il trascorrere degli anni e delle generazioni. »
Nel 2004, in occasione dell'anno in cui Genova è stata Capitale Europea della Cultura fu scritto un testo Portatori di Cristo, con alcune interviste riguardante il tema attuale delle confraternite.
Il presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, scrisse:
« ... le Confraternite hanno come elemento caratterizzante quello dell'immutabilità e della fedeltà al rito e alla sua declinazione concreta (dai canti ai paramenti indossati) trattandosi, in sostanza, di una eredità morale e materiale che trovava, e tuttora trova, proprio nel passaggio fra generazioni di fedeli, la ragione del suo resistere all'usura del tempo. »
Nella stessa occasione, l'allora cardinale Arcivescovo di Genova Tarcisio Bertone scrisse:
« ….Tra le pratiche penitenziali, quella di portare nelle processioni una grande croce sulle spalle. Tale forma venne nel tempo mutando e si trasformò in processioni devozionali nella quali il Cristo veniva innalzato ancora con la volontà di presentare al mondo il grande sacrificio di amore con cui Cristo aveva redento l'uomo. »
I NOSTRI CROCIFISSI PROCESSIONALI
Nella nostra regione Liguria, la tradizione di portare i Crocifissi in processione risale al XVI secolo.
La cura con cui viene conservato ogni Crocifisso é improntata ad una fervida venerazione in particolar modo negli Oratori dove esistono antichissime organizzazioni (Confraternite) nelle quali si tramandano: devozione, passione e conoscenza.
Queste sacre testimonianze di fede religiosa sono scolpite da VERI ARTISTI: scultori ed ebanisti. La croce, su cui è deposto il corpo ligneo di Gesù, é decorata in argento battuto. Alle estremità superiori della Croce sono collocati i “canti”, decorazioni costituite da foglie dorate o d’argento.
Nel sentire popolare i Crocifissi si classificano in base al peso ed alle dimensioni:
- Piccoli: dai 30 ai 80 kg
- Mezzani: da 80 a 110 kg
- Grandi: dai 110 kg in su
Il Crocifisso più pesante ancora visibile in processione è il Moro della Ruta di Camogli (conosciuto anche come il Mignanego) del peso stimato di oltre 180 kg.
La confessione di un anonimo cristezante:
“Per poter mantenere e migliorare le proprie capacità di cristezante, i confratelli si riuniscono nei propri oratori, o in quelli di altri, per provare i Crocifissi almeno una volta o più a settimana durante tutto il periodo dell'anno. Se la forza può aiutare il cristezante, questa da sola non basta, si deve apprendere una grande capacità di equilibrio, una buona tecnica, tanto spirito di devozione e sacrificio, che dipende molto dalla fede che uno possiede, oltre che la passione con la quale uno diventa e si impegna ad essere un cristezante. Si inizia solitamente in età adolescenziale, cioè intorno ai 15 anni, anche se alcuni anche da bambini; l'esperienza di cristezante non ha termine, anche se la tarda età sopraggiunge, i vecchi cristezanti seguono la processione e la vita della confraternita. Non è raro trovare in processione un cristezante con più di 70 anni”.
Il cristezante possiamo anche definirlo: ATLETA DI DIO. La definizione risulta ambigua se vista soltanto dal punto di vista sportivo che naturalmente é insita nella forza prodotta per sollevare il peso del Crocifisso, ma se ci accostiamo al personaggio riflettendo sul contesto storico da cui proviene, allora ci accorgiamo che il nostro interlocutore é l’antidivo per eccellenza! E’ l’erede dello spirito che ha animato per secoli la confraternita medievale attraverso il culto della carità anonima, del sacrificio non dichiarato, dell’umiltà senza volto che si celava nel caratteristico cappuccio che lo metteva al sicuro dalle tentazioni della gloria, della fama e del potere.
Targa marmorea - Ortorio dei Bianchi
Quando questo è calato sul volto non permette di essere riconosciuti indicando l'anonimato delle buone opere: nessuno sa chi deve ringraziare per il bene ricevuto; sono accumunati il ricco col povero, l'istruito col meno colto.
I CRISTI DI SANTA MARIA DEL CAMPO
RAPALLO
La chiesa parrocchiale
UN PO’ DI STORIA
Le origini dell'odierna frazione di Santa Maria del Campo sono riferibili intorno all'XI secolo quando vengono citate per la prima volta le attuali località di Cassottana, Cavagino e Peragallo, queste ultime richiamanti due tipici cognomi rapallesi. Risale infatti ad un atto del 7 aprile 1049 il testamento di un certo Raimondo del fu Tommaso dove si attesta la sua ultima volontà di donare i propri beni, siti proprio nella località di Gausotana (Cassottana), alla chiesa di Santa Maria di Castello di genova. Le località di Cavalixi e Perogallo (Cavagino e Peragallo) sono invece citate quasi quarant'anni dopo, nel testamento datato al 20 aprile 1089 di un certo Ingo, dove proprio quest'ultimo lascia alla nipote Vida beni nel terreno della località campese.
Un documento del 1184 attesta invece la presenza della locvale chiesa intitolata a Sanctæ Mariæ de Planis, Santa Maria del Piano. La chiesa è ancora segnalata il 19 luglio del 1261 nell'elenco della parrocchie o chiese annesse al "Lodo per tasse al clero". Un dato preciso sulla rettoria di Santa Maria del Campo - anticamente citata come Nostra Donna del Campo - viene indicato nel XVII secolo dove la comunità è composta da 155 famiglie per un numero di 695 abitanti.
Contemporanei scritti descrivono l'urbanizzazione del quartiere degli Amandolesi (Mandulexi nel dialetto locale) - storico nucleo di Rapallo dove furono compresi i nuclei di Santa Maria del Campo, San Pietro di Novella, San Martino di Noceto e in parte Cerisola - caratterizzato dalla folta presenza di nuclei sparsi, maggiormente concentrati lungo la piana del torrente Santa Maria, e dediti alla coltivazione agricola e all'allevamento del bestiame. Secondo i registri parrocchiali, sia nel 1750 che nel 1880, la popolazione della sola comunità di Santa Maria del Campo superava gli 800 abitanti.
Da ragazzino, durante le processioni con i Cristi, i miei genitori si preoccupavano che non mi avvicinassi troppo ai “cristezanti” in movimento che, per quanto forti, coraggiosi ed esperti, erano soggetti anche loro a “defaillance” pericolose per sé stessi e per i fedeli troppo vicini.
In seguito passai tanti anni sulle navi e non ebbi più occasione di vedere un Cristo processionale da vicino.
La rivelazione di questo mondo devozionale l’ho scoperta da anziano, dopo molti anni di frequentazione della chiesa di Santa Maria Assunta della frazione di Santa Maria del Campo, e devo dire un GRAZIE di cuore a don Davide per la sua iniziativa di trasferire due Cristi processionali dall’Oratorio soprastante all’interno della parrocchia.
La presente “modestissima” testimonianza é frutto di una impetuosa curiosità che mi ha spinto a raccogliere qua e là racconti, foto e ricordi di persone che, al contrario dello scrivente, hanno vissuto a Rapallo in quest’angolo di paradiso dove la modernità non ha scalfito minimamente il significato antico della conservazione dei valori cristiani.
IL CRISTO NERO
Sui diversi colori dei Cristi processionali (Bianco, Moro, Nero e Rosso) sono state scritte migliaia di pagine nei secoli; tutte le idee sono rispettabili quando non sono contaminate dalla politica di parte e dalle ideologie razziste. Per chi volesse approfondire il tema, segnalo il Link di un saggio del noto storico Franco Cardini:
LA FESTA. UN MODELLO ANTROPOLOGICO E UNA PROMESSA DI SPERANZA.
https://turismo.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/24/2016/11/Cardini_La-festa.pdf
Ma noi ci accontentiamo della versione più semplice. Un giorno, un celebre scultore delle nostre parti volle usare il suo legno preferito, l’EBANO, un legno nero pregiatissimo, duro e pesante, resistente alle intemperie e alle muffe. L'ebano nero è molto apprezzato in ebanisteria, tanto da aver "decretato" il nome di quest’arte.
La sua scultura, da quel giorno fu chiamata: Il Cristo Nero!
IL CRISTO NERO é stato restaurato nel 2000, il più grande presente nell’oratorio, pesa circa 130 kg. La benedizione dopo il suo restauro è avvenuta nel mese di gennaio del 2001 alla presenza di S. E. Mons. Alberto Maria Careggio.
La figura di Cristo crocifisso con le braccia aperte simboleggia l’abbraccio del figlio di Dio all'umanità.
L’angelo con il calice che raccoglie il sangue versato ci ricorda il sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza.
Sulla stella che ricopre il ventre di Gesù ci sono molte versioni… quella che noi preferiamo é la seguente:
Il Messia annunciato dai Profeti é evocato come una nuova stella: Una stella nata da Giacobbe. I Magi seppero riconoscere questa stella e la seguirono fino a Betlemme. Il manifestarsi di questo astro prodigioso é il segno dell’avvento del Figlio di Dio.
Se guardiamo con superficialità il nostro grande Crocifisso, ci apparirà come una opulenta costruzione barocca ricca di indorature, fregi e fiori argentati, ma se passiamo ad una più attenta contemplazione ci renderemo conto che tutto ciò su cui posiamo lo sguardo ha un significato ben preciso: i nostri grandiosi Crocifissi celebrano il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana.
Dai tre bracci della Croce scaturisce una lussureggiante fioritura della pianta d'acanto dalla quale si diramano numerosi e sottili girali con i loro fiori; la vitalità di questa pianta è data dalla Croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell'umanità e del cosmo. Lateralmente affiora da un lato la palma del Martirio e dall'altro il ramo di ulivo della pace. Tra questi due simboli é incastonata l'effige della Madonna alla quale é dedicata la Chiesa.
Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della Sua passione, morte e risurrezione, fa rifiorire l'umanità, riconciliandola col Padre.
In alto, sopra il cartiglio "I.N.R.I." è posta la corona di gloria per la vittoria sulla morte nel mistero pasquale, oltre è la colomba dello Spirito-Santo.
La Croce da strumento di morte viene vivificata da Gesù, vero albero di vita.
Il CANTO SINISTRO
IL CANTO DESTRO
I CANTI sono i tre lati superiori della croce che appaiono in questa tipologia di Crocifissi con una luminosa infiorescenza di fiori e foglie d’oro e d’argento. La Croce da simbolo di supplizio si trasforma in luce di speranza e di gloria annunciando la Resurrezione di Cristo.
Il quarto CANTO, quello inferiore, nella processione dei Cristi viene alloggiato nel CROCCO, (foto sopra), una specie di robustissimo calice di cuoio fissato, con cinghie adatte allo scopo, sull’addome del CRISTEZANTE. E’ il canto della Croce che poggia sull’umanità anelando al suo diretto contatto fisico. Il “portatore” sente e vive questo peso che non é solo materiale, allegorico, a volte festaiolo, ma anche un peso morale carico di responsabilità. Si tratta di un film antico che non finisce mai di emozionare e di stupire il fedele.
La responsabilità cui ci riferiamo é la PAURA di non farcela a sopportare quel peso, e spesso il “portatore” dialoga con Cristo per acquisire la forza di continuare ancora per qualche metro… poi chiama i suoi fidati stramoei ed avviene il passaggio ad un altro CRISTEZANTE.
Il simbolismo religioso é presente anche in questo delicato frangente: l’uomo da solo non può farcela, deve aver fiducia nel prossimo, in quel rapporto d’amore che proprio Cristo ci ha insegnato!
Il CRISTEZANTE in quel momento riflette l’immagine di quel SIMONE DI CIRENE detto il CIRENEO che si legge nel Vangelo di Marco:
“Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio”.
Io credo sia proprio la figura del Cireneo, il primo Cristezante della bimillenaria storia del Cristianesimo a dare continuità e significato ai riti processionali celebrati dalle circa 130 Confraternite sparse per la nostra terra di Liguria.
L’immagine sofferente del CRISTEZANTE è una vera e propria personificazione, non solo con Simone di Cirene ricordato dal Vangelo, ma con tutta la passione di Cristo.
IL CRISTO “NERO”
IL CRISTO “BIANCO”
IL CRISTO “PICCOLO”
Sono custoditi e curati dalla ARCICONFRATERNITA N.S. DEL SUFFRAGIO presso L’ORATORIO DI NOSTRA SIGNORA DELL’ASSUNTA di cui vediamo l’interno
A Santa Maria del Campo, sul poggio nelle vicinanze della Chiesa Parrocchiale, si trova l’Oratorio dedicato alla Natività di Maria Vergine, e sede dall’Arciconfraternita di N.S. del Suffragio. L’Arciconfraternita fu riconosciuta dalla Curia Romana il 7 dicembre 1604 come risulta dallo statuto conservato con tanta cura. Il 12 maggio 1617 Monsignor Domenico De Marini, Arcivescovo di Genova accolse una delegazione di parrocchiani di Santa Maria ai quali concesse la facoltà di costruire un oratorio.
L’Oratorio fu costruito nel 1618 probabilmente sulle fondamenta di un primitivo oratorio datato 1300, infatti la diversità dei nomi dati all’Oratorio e alla Confraternita confermerebbe la tesi che in un primo tempo venne costruito e dedicato alla Natività di Maria e in un secondo tempo, nel 1618, ricostruito per la Confraternita di N.S. del Suffragio. L’Oratorio è ad un’unica navata con l’altare centrale dietro al quale si trova un dipinto raffigurante un confratello che sotto la protezione di N.S. del Suffragio getta acqua sulle anime del purgatorio nell’intento di purificarle. Il dipinto fu restaurato nel 1905 dal pittore Luigi Antonio Torniene. L’arciconfraternita, che conta all’incirca seicento iscritti è parte integrante della parrocchia, partecipa attivamente durante il corso dell’anno a diversi appuntamenti ed è sempre presente quando un confratello o consorella tornano alla casa del padre, partecipando in raccoglimento e preghiera ai funerali. Sono sempre presenti alle processioni parrocchiali, indossando “cappa” e “tabarro”, antichi vestiti di grande valore storico e portando sempre le “Argentine” che sono antiche icone in argento. Insieme alla parrocchia partecipano ogni anno al pellegrinaggio al Santuario di Montallegro.
L'interno della chiesa parrocchiale di Nostra Signora Assunta
(Prima dei lavori di restauro)
SANTA MARIA DEL CAMPO - RAPALLO
Il secondo Crocifisso denominato dai portantini CRISTO “BIANCO” per il colore dell’immagine di Gesù, é sotto osservazione, pesa circa 110 kg. I suoi “canti” sono ormai ingialliti dal tempo in quanto l’ultimo restauro è datato 1976.
Il Crocifisso “piccolo” pesa circa 50 kg e sulla croce lignea risalta una stupenda immagine antica di Gesù contornata da “canti” scintillanti e di adeguate proporzioni, i ragazzi più giovani portano questo crocifisso nelle nostre processioni. |
Canto Destro
Canto Sinistro
ALBUM FOTOGRAFICO
Dal sito dei Sestieri di Rapallo
Riportiamo
I “Cristi” e la processione - di RAPALLO
I crocefissi processionali o meglio ” i Cristi” sono una delle principali attrattive delle feste di luglio. Nella Processione della sera del 3 luglio, durante la quale l’Arca Argentea della Madonna viene trasportata nelle principali vie cittadine fra tutte le componenti che la animano si segnalano soprattutto i “portatori di Cristi“.
I Crocifissi sono in genere da cinque a dieci; i più pesanti arrivano sui 170 KG.
I “portatöei” avanzano lentamente in cappa bianca e il “ tabarro” con i colori della Confraternita cui appartengono. Ogni tanto la processione si ferma, perché si fanno avanti gli “stramöei”, cioè le persone che operano il trasferimento del Cristo da un portatore all’altro; è il momento più difficile e pochi lo sanno.
Il mantinente (maniglione di sollevamento)
Gli stramöei sono i più forti. Essi con una mano sul calcio e l’altra sul chiodo, con uno strappo molto deciso sollevano il corpo del Cristo e lo posano nel “crocco” del nuovo portatore, cioè in quella tasca di cuoio sorretta dal cinturone e dalle bretelle, in cui si colloca il calcio del Cristo. La tradizione delle Confraternite e dei Cristi è ancora molto forte in tutta la Liguria e continua a resistere al tempo e al mutare delle usanze e dei costumi.
Rapallo – Piazza Cavour
La processione si é fermata dinnanzi alla basilica arcipresbiteriale-collegiata dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo
Lo stramôôu che si accinge a fare la sua parte durante una processione indossa la sola cappa legata in vita da un cordone che può avere i colori della confraternita o del tabarino. Al cordone è legato un fazzoletto che serve per asciugarsi le mani dal sudore che potrebbe essere il nemico di una salda tenuta del cristo durante la fase di cambio del camallo. Afferra il mantinente, cioè un manico di acciaio incastrato ortogonalmente alla croce all'altezza dei piedi dell'immagine, a circa 120 cm di altezza da terra. Nella fase di cambio lo stramuo si avvicina al camallo, quando questo sente che la croce è in equilibrio si distacca un poco in quell'istante lo stramuo si avvicina afferrando con la mano principale il mantinente e con l'altra il pessin (la parte finale della croce verso terra), tenendolo in equilibrio sulle sue braccia. La base della croce viene posizionata nel “crocco” una specie di bicchiere in cuoio collegato alle cinghie che s’incrociano sulle spalle dei portatori.
Come si può ben capire, per portare il Crocifisso servono braccia robuste e doti di forza congiunte e capacità d’equilibrio, sia i portatori che i “stramuoi” si devono esercitare periodicamente per poter così portare nelle processioni i “Cristi”.
Le ultime foto sopra riportate, riguardano i Cristi dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Campo. Si tratta di tre bellissimi Crocifissi processionali, questi vengono portati in processione in occasione della festa dedicata alla Madonna di Caravaggio l’ultima domenica di maggio e per la festa patronale dell’Assunta a ferragosto.
Inoltre un Crocifisso viene portato in processione al Santuario di Montallegro quando la parrocchia vi si reca per adempiere al voto fatto la prima domenica del mese di maggio.
CURIOSITA’ STORICA
Il fatto che i Cristi vengano portati rivolti all'indietro ha origine da un privilegio concesso da Papa Pio V (Michele Ghisleri da Bosco Marengo) canonizzato nel 1723. Il Pontefice al termine della vittoriosa battaglia di Lepanto avvenuto il 5 ottobre del 1571 concesse ai liguri di poter issare il Crocefisso con l'immagine voltata all'indietro. Questo perché nel corso della battaglia navale tutti i crocefissi che erano issati sulla prua delle galee genovesi vennero voltati all'indietro affinché il sacro legno non venisse visto dagli infedeli e fosse ispiratore di coraggio e infondesse la forza per poter vincere nelle truppe cristiane. In realtà esiste anche una motivazione pratica per tale orientamento, ovvero l'immagine rivolta al portatore garantisce un migliore controllo ed equilibrio al portatore stesso, in quanto il peso è rivolto verso di sé. Questo vale soprattutto per i Crocifissi di medio-grande dimensione.
LA STORIA DEL CAMALLO GENOVESE
I l camallo pourtou è colui che porta il crocifisso in equilibrio. Il termine probabilmente deriva dai portatori di Cristo del Porto di Genova. I portuali che caricavano o scaricavano navi venivano chiamati i camalli del porto, difatti le confraternite con i Crocifissi più antichi appartengono proprio alle zone del porto antico. Il camallo prende il Cristo dallo stramôôu e lo porta finché non comincia a sentire la stanchezza, quindi chiama uno stramôôu che possa trasportare il Cristo ad un altro camallo. Il fatto che i camalli più esperti portano il Cristo senza toccarlo con le mani lo si deve all'esperienza, oltre a garantire un migliore bilanciamento.
I crocifissi possono essere portati dal camallo in diverso modo, in primis se si appoggia sulla spalla destra o sulla spalla sinistra, inoltre a seconda delle preferenze del camallo e del posto in cui lo si porta: lo si può portare di taglio, di mezzacosta o di piatto. I "portoei" e gli "stramoei" "chiamano" il cambio del crocifisso con l'espressione dialettale ligure "vegni" (vieni), a volte contratta in "ve'", o col più arcaico "vegna", per richiamare il "purtou" o lo "stramuou" di turno a fare il cambio.
Pratica usuale (anche se deprecata più volte anche con documenti ufficiali per la sua pericolosità) soprattutto nel Genovesato è quella di far "ballare" i cristi al termine delle processioni al suono della banda. Questo ballo, fatto dai cristezanti più abili di solito con il crocifisso più grande della confraternita "di casa", consiste nel girare in tondo (in dialetto "fare la rionda") e far oscillare il crocifisso a tempo di musica ed è grande prova di abilità, forza ed equilibrio da parte del cristezante. Più difficile ancora (e ciò viene fatto solo da pochissimi cristezanti) è il "ballo" fatto ruotando su sé stessi ("elica") con il crocifisso in crocco.
Franco Casoni: intagliatore e scultore chiavarese, é ritenuto oggi tra i più esperti restauratori di Cristi da processione.
Il 12 gennaio 1829 Antonio Maria Gianelli - arciprete della parrocchia di S. Giovanni Battista a Chiavari – fondò “l’Istituto delle Figlie di Maria SS. dell’Orto”.
Oggi – nell’ambito dei festeggiamenti organizzati dalle suore “gianelline”, in occasione del primo centenario della fondazione dell’omonimo Collegio, “a monte” - L’Associazione Culturale Nuova Eos, ha donato all’Istituto una Croce, sulla quale l’artista Franco Casoni ha intagliato un crocifisso.
Franco Casoni, S. Croce e SS. Crocifisso, Chiavari Istituto Gianelli, 2013, (ripresa al momento della benedizione, sotto il pronao della Cattedrale)
(Foto di E. Panzacchi)
Foto prese dal sito della Confraternita dei Disciplinanti Bianchi di
San Giovanni Battista di Loano - Fondata nel 1262
I canti (i tre lati del Crocifisso) sono opera dello scultore Franco Casoni di Chiavari.
Un ricordo di Umberto Ricci
(a destra nella foto)
MIO PADRE E LE FESTE DI LUGLIO
Tra pochi giorni inizierà la Novena dell’Alba che “apre” le nostre feste patronali… E’ impossibile per me non pensare ancora di più a mio padre, che tanto vi era legato.
Da quando non c’è più, rivivo ogni attimo trascorso con lui durante i tre giorni e la tristezza ha lasciato posto a una sottile malinconia….
Il 1 luglio si è sempre svegliato molto presto per poter essere di aiuto in Basilica per la cerimonia della “Madonna in cassa”. Quando l’organo della chiesa iniziava a suonare e nell’aria si sentiva il profumo dell’incenso, lo vedevo dirigere la processione del Parroco e del Vescovo fino davanti all’Arca argentata. Conoscendo il cerimoniale a memoria, stava attento che tutto si svolgesse senza intoppi e lo aspettavamo all’uscita della Basilica per andare a vedere in passeggiata il “saluto dei ragazzi”.
Al termine, è sempre stata tradizione fare colazione tutti insieme in un bar cittadino; poche volte però si tratteneva con noi a scambiare due parole perchè: ”…Sono iniziate le feste! Ci sono tante cose da fare!”
Il 2 luglio invece la sveglia suonava ancora prima…Nei giorni precedenti in casa si sentiva il ticchettio della sua macchina da scrivere perchè preparava i biglietti con i nomi delle Autorità da sistemare nei posti a loro riservati durante la Messa Solenne e poi per il tradizionale pranzo presso il ristorante Da Marco. Lo incontravo che camminava frettoloso per le vie cittadine ed era impossibile scambiare due parole con lui! Alcune volte riuscivo a rubargli 5 minuti per comprare insieme un po’ di croccante sulle bancarelle: gli piaceva tanto e per noi era un momento tutto nostro per stare insieme.
Negli ultimi anni, alle 11:55, ci davano appuntamento dal ponte Ricci (sul fiume Boate) per assistere insieme al panegirico. Impossibile non pensare a lui ogni anno quando i mortaretti risuonano nell’aria….Chiudo gli occhi e lo vedo felice e commosso… Ci teneva troppo ad essere presente, a non perderli per nessuna ragione al mondo!
Il 3 luglio, invece, era tutto preso dall’organizzazione della processione con l’arca della Madonna. Spesso a casa da noi, all’ultimo momento, portava il Vescovo o qualche prete arrivato da lontano a pranzare. Non avvertiva prima; così, mentre eravamo a tavola, lui entrava con l’ospite inatteso! Santi i miei nonni e mia mamma che riuscivano a non lasciare trapelare la voglia di “strozzarlo” ma aggiungevano un piatto…..!
Alla sera invece non veniva mai a cena perchè doveva preparare il percorso della processione che seguiva con attenzione….lo si vedeva andare avanti e indietro per le strade cittadine e, da quando non c’è più, moltissime persone mi fermano dicendo che notano ogni anno la sua mancanza!
Le nostre feste erano per lui un tesoro prezioso da conservare, da tramandare ai giovani. Erano per lui una dimostrazione di fede in Nostra Signora di Montallegro che mi ha dimostrato in moltissime occasioni. Anche nelle sue ultime volontà ha lasciato scritto di essere accompagnato nel suo ultimo viaggio con le note di “Splende in alto”…
Da quando non c’è più, guardo i colori dei fuochi nel cielo illuminato dalla luce della luna e lo immagino seduto su una nuvola mentre si sta godendo lo spettacolo insieme agli altri angeli!
ELISABETTA RICCI
LE CONFRATERNITE NELLA STORIA
Le Confraternite sono associazioni cristiane fondate con lo scopo di suscitare l'aggregazione tra i fedeli, di esercitare opere di carità e di pietà e di incrementare il culto. Sono costituite canonicamente in una chiesa con formale decreto dell'Autorità ecclesiastica che sola le può modificare o sopprimere ed hanno uno statuto, un titolo, un nome ed una foggia particolare di abiti. I loro componenti conservano lo stato laico e restano nella vita secolare; essi non hanno quindi l'obbligo di prestare i voti, né di fare vita in comune, né di fornire il proprio patrimonio e la propria attività per la confraternita.
Le Confraternite furono antiche nella Chiesa cattolica, onde se ne trova menzione nel quindicesimo canone del concilio di Nantes celebrato nell'anno 895, e se ne fa parola nella vita di San Marziale scritta da uno dei suoi discepoli. Recenti studi comproverebbero l'esistenza di Confraternite in Europa forse già nel quarto secolo, sicuramente in Francia nell'ottavo ed in Italia nel secolo successivo.
Le Confraternite si assunsero inoltre numerosi altri compiti sociali quali l'assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati, agli incurabili, ai carcerati, ai condannati a morte, alle giovani a rischio, si prodigarono per il recupero delle persone deviate e delle prostitute pentite, si impegnarono nel riscatto dei cristiani caduti schiavi dei saraceni. Di grande valore umanitario fu poi l'assistenza agli ammalati contagiosi e la pietosa opera di sepoltura dei morti abbandonati, degli assassinati, dei poveri, delle vittime nelle epidemie, degli stranieri, degli sconosciuti, vero grande problema di quegli oscuri e tumultuosi tempi al quale le Confraternite diedero sempre adeguate risposte. Per l'adempimento di quelle pietose opere di notevole contenuto cristiano, morale e civile, ma ancora per testimoniare fede, umiltà, carità e penitenza, fu necessario indossare un saio e non mostrarsi pubblicamente, nascondere la propria identità, negare il proprio volto coprendolo con un cappuccio, annullando in tal modo completamente la propria personalità, da cui la tradizione tuttora in uso in molte congregazioni.
Le Confraternite ebbero grande sviluppo tra il quattordicesimo ed il diciottesimo secolo, diffondendosi in modo capillare in tutta l'Europa
L'importanza delle confraternite nella Chiesa Cattolica è stata di notevole incisività in particolar modo nei tempi più difficili della sua storia, nel Medioevo e più segnatamente durante il periodo della Riforma protestante ed il loro contributo fu determinante nel battaglia per contrastare il protestantesimo in Italia, nella lotta alle eresie ed in tutte le altre vicende interne ed esterne alla Chiesa Cattolica.
La funzione delle Confraternite resta dunque importante per il lungo cammino percorso sulla via della speranza, per il patrimonio di esperienze acquisite nelle opere di apostolato, per la secolare presenza nella Chiesa e nella società e per la funzione di raccordo svolta tra di esse, bagaglio prezioso non facilmente sostituibile, né tanto meno surrogabile.
Esse vengono da lontano e sicuramente andranno lontano.
Tra i maggiori artisti di statue per gli artistici crocifissi c'è Domenico Bissoni,* autore di alcuni dei più antichi crocifissi processionali di grandi dimensioni, tra cui il più famoso, il Cristo delle Fucine, appartenente alla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine e attualmente conservato presso L’Oratorio di Sant’Agostino Abate (Genova) detto della Marina; il figlio di Domenico Giovanni Battista Bissoni; Anton Maria Maragliano*, che ha prodotto anche molte statue processionali, Pasquale Navone e nella metà del XIX secolo è molto laborioso lo scultore savonese Antonio Brilla.
*Domenico BISSONI
di Francesco, detto Veneziano. - Scultore. Operava già nel 1597 a Genova, ove morì nel 1645. Intagliò, tra l'altro, un gruppo processionale di quindici statue, poi distrutto. per l'oratorio della Santa Croce a Genova, e soprattutto crocefissi d'avorio e di legno, fra i quali notevoli sono quelli dell'oratorio di S. Giacomo Maggiore e di S. Maria d'Albaro a Genova. Aggraziata è la sua Madonna del Rosario nella chiesa di S. Stefano di Polcevera. Nel 1608 con Daniele Casella e G.B. Carloni eseguì gli ornamenti marmorei delle nicchie della cappella del Battista in S. Lorenzo (sempre esistenti).
*Anton Maria Maragliano
nativo di Genova, secondo alcune fonti nella zona della chiesa di Santo Stefano, fu il figlio di un fornaio genovese benestante. Sarà nel 1680 che entrerà nella bottega artigiana dello zio materno Giovanni Battista, con regolare contratto di accettazione, dove apprenderà l'arte della scultura e vi si specializzerà. Già nel 1688 è titolare di una propria bottega artigiana dove si formeranno, oltre al figlio Giovanni Battista, gli scultori genovesi Pietro Galleano e Agostino Storace.
Maragliano morirà il 7 marzo del 1739, presumibilmente nel capoluogo ligure, dove verrà sepolto all'interno della chiesa di Santa Maria della Pace di Genova.
Conosciuto soprattutto per le sue sculture lignee, fu attivo fra la fine del Seicento e i primi quattro decenni del secolo successivo, in particolare a Genova dove tenne una rinomata bottega. Ebbe il suo studio accanto alla chiesa del Rimedio di via Giulia.
Rinnovò in chiave barocca e pre-rococò l'arte del legno, operando una "riforma" collegata alla poetica di grande decorazione contemporaneamente svolta da Filippo Parodi nel marmo e Domenico Piola nella pittura e attuando un efficace compromesso tra ispirazione aulica e gusto popolaresco.
Furono interessati molti oratori e altari di chiese e di santuari.
Il suo laboratorio produsse numerose tipiche sacre rappresentazioni, raffiguranti Madonne, santi, scene bibliche e statue da presepio, diffuse in chiese, oratori e santuari di tutta la Liguria, in particolare a Genova, Rapallo (Chiesa di San Francesco, nella cappella a sinistra della navata maggiore, il gruppo ligneo del Cristo incoronato di spine), Chiavari, Celle Ligure, Cervo, Savona) ma anche in Spagna. Numerose anche le casse e crocifissi da processione prodotti per le Casacce (le potenti confraternite genovesi).
STATUTO GENERALE DELLE CONFRATERNITE E DEL PRIORATO DELLE CONFRATERNITE DELL’ARCIDIOCESI DI GENOVA
LINK
https://www.oratoriodelmonte.it/assets/statuto-confraternite-con-decreto2.pdf
CHIESA DI NOSTRA SIGNORA ASSUNTA
SANTA MARIA DEL CAMPO
Veduta del leccio storico e del campanile parrocchiale
Dal sito della Parrocchia riportiamo:
Nei primi giorni di ottobre 2018, il leccio secolare posto a fianco della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo è stato sottoposto ad un importante opera di potatura resasi necessaria per diminuire peso e volume della pianta.
Questa operazione ridimensionamento si è resa necessaria in quanto alcune perizie hanno constatato che il tronco del leccio è minato da un fungo che ne indebolisce la consistenza. Quindi alleggerirlo in modo significativo è diventata una scelta inevitabile per evitare il pericolo che l'albero si spezzi o che se ne verifichi uno sradicamento con conseguenze facilmente immaginabili.
Come era prevedibile l'operazione di potatura del leccio è stata accolta da qualcuno con qualche perplessità. Tuttavia questa dolorosa soluzione è la unica che consente di prolungare la vita della pianta. Naturalmente continueranno anche in futuro i monitoraggi periodici che vengono fatti ormai da anni per individuare eventuali criticità che possano far diventare l'albero un pericolo per transita e sosta nei pressi della chiesa parrocchiale.
L'interno della chiesa parrocchiale
Nostra Signora Assunta
(dopo i lavori di restauro)
14/8/2015 - Al centro, tra don Luciano e don Davide, il vescovo S.E. Mons. Alberto Tanasini benedice i lavori di restauro
Dal sito della Diocesi....
RAPALLO – Nella festa in onore di Maria Assunta in cielo, la comunità parrocchiale di Santa Maria del Campo di Rapallo ritrova lo slancio per iniziare già in terra quel cielo che vive in pienezza la Madre di Dio. Nella festa dell’Assunzione, la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo Tanasini nella Chiesa restituita alla sua primitiva bellezza dopo il devastante incendio che la distrusse nel giugno 2010. Festa nata da una intuizione profonda del popolo, ricorda monsignor Tanasini. Colei che è stata Immacolata e Vergine non poteva non entrare con il suo Figlio nella gloria. Da qui dunque una domanda che attraversa il cuore dell’uomo: quando una vita è compiuta? Successo, soldi, l’esercizio di un potere che diventa affermazione sugli altri sono spesso le nostre risposte. Ma sono solo un grande inganno sottolinea il Vescovo. Maria ci presenta il compimento di vita dato dall’entrare nella gloria. E nel contempo continua senza sosta il recupero dell’edificio sacro. Dopo il rinnovamento del sagrato, degli interni e della statua lignea di Maria, nel corso della festa è stato inaugurato il restauro dell’organo a canne. Lo strumento datato 1793 è stato rimesso a nuovo grazie ai fondi della Compagnia San Paolo, dell’Otto per Mille e del Comitato Festeggiamenti.
Il concerto inaugurale
L'inaugurazione dei restauri è avvenuta domenica 9 agosto 2015 con il primo concerto rapallese del XVII Festival Organistico Internazionale “Armonie Sacre percorrendo le Terre di Liguria”.
Ne sono stati protagonisti gli organisti svizzeri Gabriele e Hilmar Gertschen e l’Ensemble Rapallo Musica diretto da Filippo Torre. Il folto pubblico presente ha così avuto la rara opportunità di ascoltare dal vivo un intressantissimo e molto apprezzato repertorio per organo e orchestra.
La chiesa di Santa Maria Assunta a navata unica, racchiude un significato simbolico. Esso deriva non solo dalla struttura architettonica del soffitto che spesso nelle chiese romaniche e gotiche ha la forma di una carena capovolta, ma anche e soprattutto dalla "barca" da cui Gesù ammaestrava le folle (Luca 5,3), come anche dalla barca-chiesa che san Pietro Apostolo guida nella tempesta (Matteo 8, 23-27; 14, 24-34) e che i vescovi continuano a guidare ovunque ed in ogni epoca. Nell'VIII secolo san Bonifacio scriveva che "la Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com'è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare".
La statua della Madonna Assunta
Nella Chiesa parrocchiale Nostra Signora Assunta, impregnata di arte BAROCCA, ho contato un centinaio di Angeli e angioletti, arcangeli e cherubini, messaggeri celesti e guerrieri alati, ma anche putti, amorini e cupidi che popolano l'arte figurativa di ogni tempo e paese.
Nelle Litanie lauretane, che si recitano alla fine del Santo Rosario, la Madonna viene salutata con l’appellativo di “Regina degli Angeli”. Maria, proprio perché profondamente inserita nel mistero trinitario del Verbo, si eleva al di sopra di tutte le creature, non solo terrestri, dai profeti agli Apostoli, dalle vergini ai martiri, ma delle stesse creature angeliche. Cristo Gesù, non solo come Dio è Signore e Padrone dell’universo, ma anche come uomo - Dio è re di tutti gli uomini e di tutte le creature, compresi gli Spiriti celesti che sono i “suoi angeli”. L’evangelista Marco, parlando della seconda venuta di Cristo, profetizza: “Si vedrà allora il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e grande gloria, e allora manderà i suoi angeli a riunire i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc. 13, 26). Gesù Cristo è infatti Figlio di Dio non per adozione ma per natura, mentre gli angeli non sono che servi e figli adottivi di Dio.
La pregevolissima opera lignea é opera dello scultore genovese Giovanni Battista Drago ed é stata realizzata nel 1864.
L'ORGANO
L’organo è senza dubbio una delle opere d’arte più importanti custodite all’interno della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo. Nell'agosto del 2015 la chiesa si é arricchita di una nuova importante opera restaurata: l’organo Luigi XV della seconda metà del secolo XVIII. La bottega organara DELL’ORTO e LANZINI di Dormelletto (Novara) ha curato il restauro della parte musicale mentre il laboratorio artigiano CALZOLARI – GARBARINO si è occupato di riportare all’antico splendore la cassa d’organo in essenza di pino laccata in policromia. Si tratta di un pregevolissimo esemplare di scuola settecentesca ligure, costruito da Francesco Ciurlo di Santa Margherita Ligure nel mese di maggio dell’anno 1793, come si legge sul cartigliomanoscritto incollato sul frontalino sopra la tastiera.
La struttura ad armadio centinato è composta da due parti principali: la parte inferiore è formata da quattro lesene e da due ante a pannelli poste ai lati della tastiera.
La parte superiore è composta da due lesene tra le quali vi sono quattro ante con apertura a gabbiano che racchiudono una splendida trifora riccamente intagliata. Il cappello è un trionfo di sagome centinate e modanate a sbalzo, sormontato da una splendida cimasa riccamente scolpita a motivi vegetali e floreali.
Tutte le lesene, comprese le due ad angolo, sono decorate di lacca blu, contornate da sagome e ornate con intagli a motivo flroreale decorate in lacca ocra.
Lo strumento, a trasmissione meccanica, dispone di una tastiera, una pedaliera e 12 registri più due effetti “speciali”: il Tamburo e i Rosignoli.
L’organo è stato filologicamente restaurato al fine di recuperare la piena funzionalità e le caratteristiche sonore di un tempo, pensate appositamente per la chiesa di Santa Maria.
Io sono convinto del carisma particolare con cui la musica riesce a toccare l’animo delle persone e parlare al cuore di tutti attraverso un linguaggio universale. Ma la musica é anche la via d’accesso alla spiritualità, alla riflessione su tematiche profonde come la fede e sul mistero
L’affinità tra musica e dimensione spirituale ha radici antichissime che, seppure in forme diverse, si è manifestata e si manifesta nella maggior parte delle culture umane. Ma come si raggiunge il divino? Da sempre i fedeli si pongono questa domanda ed elaborano numerosi tentativi di rispondervi. Spesso è la preghiera lo strumento privilegiato per collegarsi alla sfera del sacro e varie sono le modalità di attuarla; offerte, recitazione di parole, digiuni, astinenze, ma anche attraverso il canto e/o l’utilizzo di strumenti musicali.
Fin dalla notte dei tempi, la musica è sempre stata associata al divino. Si è sempre pensato che la musica unisse l’uomo alle divinità e tuttora si ritiene che l’universo si sia creato tramite un suono magico: AUM, da cui tutto è nato. Il suono stesso è ritenuto di origine sacra e la stessa musica è considerata qualcosa di potente e di enigmatico.
Il TRANSITO E L'ASSUNZIONE DI MARIA VERGINE IN CIELO
Nel catino absidale abbiamo due pregiatissimi affreschi che ci mostrano: L'Assunzione di Maria Vergine in cielo.
Navata centrale della chiesa di Luigi Morgari realizzata nel 1903 e raffigurante l'incoronazione di Maria nella gloria del paradiso.
Lo sguardo missionario, universale si allarga anche al cosmo. L'artista barocco non limita mai il suo punto di vista alla chiesa terrena per quanto forte e gloriosa possa essere. Egli coglie il legame fra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante e si compiace di sottolinearlo.
SACRO CUORE DI GESU'
Altare barocco con colonne a tortiglione. Di lato si notano gli strumenti del supplizio di Gesù Cristo
Il gruppo artistico degli Angeli in posizione plastica sopra la lunetta ha un fascino sublime
ALTARE MAGGIORE
Martedì 1 novembre 2016, Festa di Ognissanti, è stato benedetto il nuovo altare della nostra Chiesa Parrocchiale.
Il manufatto, che va ad abbellire ulteriormente l’edificio di culto rimesso a nuovo in moltissime delle sue parti negli ultimi anni, è stato donato dal Comitato Festeggiamenti Santa Maria impegnando il ricavato delle sagre gastronomiche realizzate in occasione delle feste patronali degli ultimi anni.
L’altare, che riprende motivi stilisti ed elementi architettonici ricorrenti all’interno della chiesa è stato progettato dall’architetto Stefano Tassara, realizzato con la struttura lignea da Luciano Canepa e decorato con effetto marmo dalla Ditta Calzolari e Garbarino di Santa Margherita Ligure.
La decorazione riprende le tinte dell’onice rosso, bianco statuario, grigio bardiglio e nero portoro; al centro del fronte principale è stato realizzato a rilievo e indorato lo stemma di San Bernardino IHS acronimo di Iesus Hominum Salvator.
CRISTO SENZA CROCE
La passione e morte è l'ultimo evento della vita di Cristo. Negli altri misteri (che colgono un aspetto della vita di Cristo) non si contempla in modo esplicito la croce, per quanto ogni mistero rinvii a tutti gli altri e certo alla croce. (di anonimo)
Altare dedicato alla
Madonna di Caravaggio
Le caratteristiche fondamentali dell'architettura barocca sono le linee curve, dagli andamenti sinuosi, come ellissi, spirali, o curve a costruzione policentrica, talvolta con motivi che si intrecciano tra di loro, tanto da risultare quasi indecifrabili. Tutto doveva destare meraviglia e il forte senso della teatralità spinse l'artista all'esuberanza decorativa, unendo pittura, scultura e stucco nella composizione spaziale e sottolineando il tutto mediante suggestivi giochi di luce ed ombre.
L'artista: Antonio Canepa
MADONNA DEL ROSARIO
Madonna del Rosario - Altare
Il rosario, a partire dal XIII secolo acquisì il significato religioso indicante le preghiere che formano come una "corona", ovvero una ghirlanda di rose alla Madonna.
Le sue origini sono tardomedievali: fu diffuso grazie alle Confraternite del Santo Rosario, fondate da Pietro da Verona, santo appartenuto all'Ordine dei frati predicatori, tanto che se ne attribuì la nascita ad un'apparizione della MADONNA, con la consegna del rosario al fondatore dell'Ordine SAN DOMENICO.
Interessante e di particolare valore artistico è questo dipinto raffigurante la Madonna del Rosario fra San Domenico, San Rocco e San Giuseppe (posizionato nel secondo altare a sinistra dall'ingresso), restaurato presso il Laboratorio di Restauro della Regione Liguria nel 2013 a dell'Associazione Santa Maria del Campo, è riferibile alla pittura ligure del primo quarto del XVII secolo.
Nutritosi alle fonti disegnative di Giovanni Battista Paggi, l’autore è incline a forzature tardomanieristiche, che interessano le opere pittoriche di quegli anni e si accosta, anche per la ricercatezza cromatica, recuperata dal bel restauro, ad analoghe soluzioni sperimentate da Andrea Ansaldo, al quale rimandano anche la deformazione anatomica della gamba destra di San Rocco (si veda la Fortezza di Palazzo Ducale a Genova) e la postura in contrapposto della figura di Maria (si vedano ad esempio le Virtù cardinali affrescate nelle lunette di Villa Spinola San Pietro a Sampierdarena databili entro il 1625).
Splendida la risoluzione cromatica, ricca di sfumature, degli azzurri del manto e dei rossi della veste di Maria: una sinfonia di colori sulle note del blù e del rosso, dove ogni ombra è resa per caricamento o alleggerimento del tono, con tenui variazioni e con totale assenza del nero.
CROCIFISSIONE
Nell’area absidale della nostra Chiesa Parrocchiale si trovavano due dipinti su tela: sulla destra quello raffigurante la CROCIFISSIONE, sulla sinistra quello raffigurante l'ASCENSIONE DI GESU' CON SAN GIOVANNI BATTISTA e SANT'ANTONIO, entrambi restaurati dal Laboratorio Martino Oberto Studio Opere d’Arte di Carla Campomenosi e Margherita Levoni di Genova nel 2013 a cura dell'Associazione Santa Maria del Campo.
LA CROCIFISSIONE ( Pittore ligure, attivo nel XVII secolo, olio su tela, cm 250 x 164) ornava in origine il primo altare a sinistra, intitolato al Santissimo Crocifisso.
Si sa infatti che nel 1605 certo Bernardo Moltedo "donava un artistico quadro per l'altare del Crocifisso".
Acquistato nel 1807 un'altro quadro la tela raffigurante LA CROCIFISSIONE venne tolta dalla sua ubicazione originaria e collocata nel presbiterio.
Importante quale testimonianza storica dell’antica devozione verso il SS. Crocifisso, il dipinto è da riferire a un artista ligure che elabora senza particolare novità stilemi tardo cinquecenteschi.
ASCENSIONE DI GESU' CRISTO
La tela di fronte al Crocifisso, raffigurante l’Ascensione di Cristo e i Santi Giovanni Battista e Antonio proviene secondo Casotti dalla cappella di San Lazzaro, l’antico lebbrosario di Rapallo.
La proprietà dell’opera fu oggetto di contesa all’inizio del XVIII secolo (1707) fra la parrocchia di Santa Maria del Campo, che evidentemente la spuntò, e la parrocchia di San Massimo, alla quale forse giunse la tela raffigurante la Crocifissione con la Madonna e Santa Maria Maddalena..
Il dipinto palesa l’influenza sulla pittura ligure della seconda metà del XVII secolo della cultura emiliana, in particolare correggesca, studiata e ammirata dagli artisti barocchi a cominciare da Pietro da Cortona e in Liguria frequentata soprattutto da Domenico Piola, Stefano Gaulli detto il Baciccio e Gregorio De Ferrari, dal quale sembra trarre ispirazione l’anonimo autore del dipinto di Santa Maria del Campo, forse un frequentatore della bottega di Gregorio, del quale non raggiunse tuttavia l’altissimo livello qualitativo.
L'ORGANO CON LE VOLTE DECORATE
Visto dall'ALTARE MAGGIORE
Pulpito
Particolare del Pulpito marmoreo
SANTA FLORA
Nicchia con statua dedicata a Santa Flora
Riprendendo un'antica tradizione andata in disuso per qualche anno, la comunità parrocchiale di Santa Maria del Campo, 31 luglio di quest’anno ha festeggiato Santa Flora di Cordova di cui conserva alcune preziose reliquie poste nella teca dell'altare del Sacro Cuore.
Santa Flora nacque a Cordova nella Spagna islamica, da padre musulmano e madre cristiana. Una volta morto il padre fu educata al cristianesimo insieme alla sorella Baldegoto ma fu osteggiata dal fratello musulmano. Scappò una prima volta dalla casa natale per farvi poi ritorno poiché suo fratello aveva fatto imprigionare dei religiosi e dei chierici per ricattarla. Tornata, fu brutalmente battuta. Si allontanò di nuovo da casa per anni e ne fece ritorno per volontà di martirio. Flora sapeva del destino che l'avrebbe aspettata se si fosse consegnata al cadì. Fu imprigionata ed in carcere conobbe Eulogio, uno dei martiri di Cordova, che diede notizia del suo martirio, trafitta con la spada. In seguito, anche il martire perì decapitato per aver professato la fede cattolica.
Si disse che il corpo della Santa, dopo essere stato gettato nei campi, fu rispettato dagli animali selvatici che non se ne nutrirono. Il suo emblema è la palma.
CHIESA DI SANTA MARIA DEL CAMPO
Lo spazio parrocchiale di Santa Maria del Campo inizia a monte con questa edicola dedicata alla Madonna
Il rissëu ligure
Il mosaico a ciottoli in Liguria è denominato ”rissëu”.
L’origine conosciuta di questi mosaici in Liguria risale all’incirca al XIV e XV secolo: questo è il periodo in cui questa arte ha cominciato a diffondersi e ad affermarsi. Sicuramente ad oggi la Liguria è la regione italiana con il più alto numero di mosaici di ciottoli.
Sicuramente, i naviganti genovesi, oltre ad instaurare scambi e relazioni commerciali con i popoli del Mediterraneo, importarono in patria anche la nobile arte del mosaico a ciottoli.
Inizialmente questi mosaici decoravano i sagrati, gli spazi antistanti e vicini ad edifici religiosi, chiese, chiostri e conventi. Questi mosaici dalla forte carica simbolica, contenenti fitte trame di segni, densi di significati metaforici e anche metafisici, fungevano quindi da luogo di passaggio della coscienza umana, dal mondo esterno alla sfera del sacro. Erano un tramite per i fedeli che entravano nel luogo di culto.
UN PO' DI STORIA:
dal sito web della parrocchia riportiamo:
Le origini di questa frazione del comune di Rapallo non sono di facile reperibilità, e i primi riferimenti storici certi risalgono all'anno Mille.
Un atto datato 7 aprile 1049 documenta la donazione a Santa Maria di Castello in Genova, da parte di un tale Raimondo (di cui non si sa molto) di terreni ed altri beni situati in località "Gausotana" (Cassottana), mentre il 20 aprile 1089 è un certo signor Ingo che lascia a sua nipote di nome Vida i beni posti in località "Cavalixi" (Cavaggin) e "Perogallo".
E' del 16 aprile 1184 l'atto di vendita, da parte dei coniugi Grimaldo e Alda, di loro terreni dal fossato di Noceto sino alla strada ; e dalla chiesa sino alla costa di Ruta, e questo conferma l'esistenza di un edificio sacro in loco, anche perché, sempre secondo quest'ultimo documento, a quel tempo esisteva una chiesa intitolata a S. Maria del Piano (" Sanctae Mariae de Planis", successivamente Santa Maria del campo).
Altro documento del 23 luglio 1201 menziona un certo Gandolfo Merlo quale rettore della chiesa di Santa Maria, e proprio quest'ultimo attesta di aver ricevuto 20 soldi da un certo Alberto per la fornitura di un barile d'olio.
La certezza dell'esistenza di una chiesa a Santa Maria la troviamo in un atto del notaio Giovanni d'Amandolesio del 19 luglio 1261 che menziona l'elenco delle Parrocchie annesse al "Lodo per tasse al clero" e tra cui troviamo appunto Santa Maria, oltre a San Massimo, Foggia, Novella e altre.
La chiesa e l'intera frazione si sviluppò nel corso degli anni, e una relazione del parroco datata 1533 indica che le anime presenti all'epoca erano 536 e secondo i registri parrocchiali raggiunsero nel 1750 la cifra di ottocento abitanti.
La chiesa era sorta in una posizione dominante su tutta la valle, e nel corso degli anni subì una radicale trasformazione.
Infatti, fu la Curia genovese a sollecitare l'esecuzione di lavori, come apprendiamo da una lettera del vicario del 26 luglio 1610 in cui si legge: "Ci vien fatto notizia che la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo di costì non è ancora del tutto restaurata conforme a quello che fù ordinato in visita".
Pertanto, l'anno seguente l'arciprete di Rapallo potè benedire il nuovo altar maggiore dedicato alla Vergine Assunta.
Ma è nei primi anni dell'Ottocento che la chiesa si arricchisce anche dei suoi quattro altari che possiamo osservare ancora oggi; il primo, eretto nel 1807, è dedicato a Nostra Signora di Caravaggio, il secondo a Nostra Signora Addolorata , il terzo al Santissimo Rosario ed infine il quarto è dedicato al Crocifisso; in quest'ultimo altare, nel 1824 il parroco Cavagnaro fece incastonare una teca contenente la Reliquie di Santa Flora.
I parrocchiani "Campesi" si impegnarono costantemente per rendere sempre più bella la loro chiesa, e proprio per questo motivo l'arcivescovo di Genova, monsignor Luigi Lambruschini, visitò la parrocchia e la elevò a Prevostura.
È nel 1793 che, grazie a Francesco Ciurlo, la chiesa venne dotata di un organo; nel 1864 viene poi commissionato il gruppo processionale dell'Assunta a Gio Battista Drago, scultore di Genova, la cui opera verrà in seguito abbellita dal campese Antonio Canepa, artista di grandi doti al quale si deve la realizzazione della statua della Madonna di Caravaggio.
Ma l'elemento architettonico che più di tutti gli altri colpisce il visitatore che arriva a S.Maria è l'imponente scalinata costruita nel 1920 e che conferisce alla chiesa ancor maggiore risalto.
L'opera fù realizzata grazie al contributo di Francesco Cassottana, sotto la supervisione del parroco di allora Silvestro Maggiolo, che resse la parrocchia dal 1895 al 1949.
Arriviamo al 1934, quando l'edificio viene dichiarato Monumento nazionale; nel 1949 la parrocchia passa nelle mani di don Angelo Cattoni, a cui si deve la costruzione dell'asilo infantile che verrà inaugurato nel 1964 oltre ad altre opere.
L'attuale concerto di 12 campane risale agli anni 1957 - 59, e da allora il loro suono scandisce la vita di tutti gli abitanti di Santa Maria.
Nel 1970 don Cattoni lascia il posto a don Gerolamo Noziglia che guida la parrocchia sino al 1991, sostituito dall'attuale parroco Don Luciano Pane .
Da queste poche righe, si può notare come la chiesa di S.Maria rappresenti un edificio ricco di memorie per tutti i campasi e rapallesi che, il 15 agosto d'ogni anno, si danno appuntamento per una solennità mariana che, sorretta dalla forza vitale della tradizione, è festa di popolo.
In questa tabella sono elencati tutti i parroci che nel corso del secondo millennio hanno prestato il loro servizio in questa Parrocchia, dalle origini conosciute fino ai nostri tempi. |
|
1201 - 1226 |
GANDOLFO MERLO |
1239 - 1263 |
GIOVANNI di Campo |
1263 - 1270 |
GUGLIELMO di Rapallo |
1270 - 1290 |
ANDREA FERRARI |
1310 - 1313 |
MATTEO |
1320 - 1332 |
PASQUALE |
1357 |
DOMENICO |
1423 - 1466 |
CARLINO di Nascheto |
1479 - 1480 |
TOMMASO GIUDICE |
1480 |
PAMMOLEO BARTOLOMEO di Levante, poi Vescovo di Accia in Corsica |
1490 - 1517 |
BADARACCO |
1517 - 1520 |
GIUDICE BIAGIO |
1520 - 1530 |
SALVAGO PANTALEO |
1531 - 1564 |
BOERO BERNARDO di Taggia |
1564 - 1568 |
UGOLINI FRANCESCO |
1568 - 1573 |
BORZESE STEFANO di Rapallo |
1573 - 1584 |
RUSTICI TOMMASO di Cavizzano - Piacenza |
1585 - 1621 |
BERNARDINI MICHELE di Piacenza |
1622 - 1640 |
CAFFARENA BENEDETTO |
1640 - 1644 |
MARCONE FRANCESCO di Moneglia |
1644 - 1685 |
PERAGALLO PROSPERO di Ruta |
1686 - 1704 |
VASSALLO FORTE di Portofino |
1704 - 1710 |
FLORIA GIOVANNI BATTISTA di S. Margherita Ligure |
1710 - 1739 |
PERAGALLO FRANCESCO di Camogli |
1739 - 1793 |
PERASSO ANTONIO MARIA di Maissana |
1794 - 1822 |
DEMARTINI FRANCESCO di Lorsica |
1822 - 1858 |
MINOLLI VINCENZO di Masso |
1895 - 1949 |
MAGGIOLO SILVESTRO di Camogli |
1949 - 1978 |
CATTONI ANGELO di S. Margherita Ligure |
1978 - 1991 |
NOZIGLIA GEROLAMO di S. Massimo - Rapallo |
1991 - 2015 2015 - |
PANE LUCIANO di S. Margherita Ligure SACCO DAVIDE di Rapallo |
“QUASI OLIVA SPECIOSA IN CAMPIS”
Una gloriosa bandiera, tanti significati
L’inaugurazione del nuovo vessillo del Comitato Fuochi Santa Maria in programma il 14 agosto 2018 è l’occasione per analizzare un dettaglio molto particolare della vecchia bandiera del Quartiere Chiesa, datata 1928, che proprio quest’anno festeggia i suoi primi 90 anni.
Oltre all’immagine della Madonna Assunta dipinta a mano su stoffa, l’elemento che più incuriosisce l’osservatore è sicuramente la dicitura che campeggia ai piedi dell’effige mariana, ossia:
“Speciosa in campis”.
Trattasi di un estratto da un versetto biblico (Libro del Siracide 24,14), nel quale Maria viene chiamata “uliva” nella frase “Quasi oliva speciosa in campis”, la cui traduzione letterale sarebbe “come un ulivo che svetta maestoso nella pianura”.
Se si considera che l’olio d’oliva è citato nella Bibbia circa duecento volte, sia per quel che concerne gli usi quotidiani, che per gli usi più strettamente sacri, si capisce la rilevanza assoluta che l’albero di ulivo ha da sempre avuto nella storia dell’umanità.
Dalla sua importanza materiale deriva evidentemente la sua rilevanza sacrale, tanto da simboleggiare direttamente la benedizione di Dio, come si legge nel Deuteronomio (Dt. 11, 13-17).
Associato nei testi sacri frequentemente alla festa (Sal. 104,15), dalle notevoli proprietà terapeutiche, l’uso dell’olio d’oliva si inserisce costantemente nel contesto di situazioni aventi per protagonisti i sacerdoti, i profeti, i re e gli ospiti importanti, ai quali conferisce sacralità, onore ed autorevolezza.
La tradizione artistica delle rappresentazioni sacre e della Vergine documenta da sempre il tributo all’albero dell’ulivo ed ai suoi frutti; a tal riguardo, per restare dalle nostre parti, merita particolare rilievo quello dedicato nel 1888 dal celebre pittore genovese Niccolò Barabino con la sua splendida “Madonna dell’olivo”, celeberrimo dipinto nella parte inferiore del quale si legge, guarda caso, il predetto versetto “Quasi oliva speciosa in campis”.
A questo punto la domanda sorge spontanea, ossia quali fossero state le motivazioni che hanno indotto i committenti e/o il decoratore del vessillo del 1928 a scegliere proprio questo versetto e non altri tra i numerosissimi dedicati alla Vergine nei testi sacri.
Le motivazioni potrebbero essere molteplici soprattutto se valutate da diversi punti di vista personali, ma il primo elemento che balza all’occhio è sicuramente la parola “campis”, termine immediatamente riconducibile a “Campo”, toponimo di Santa Maria in epoca antica.
Analogamente, il riferimento all’albero di ulivo che si erge maestoso nella pianura potrebbe far pensare alla volontà di mettere in risalto la collocazione di pregio della chiesa parrocchiale in un contesto urbano all’epoca decisamente rurale; l’edificio religioso infatti, ancor prima della realizzazione della scenografica scalinata nel 1920 e della successiva realizzazione dell’attuale facciata, era ben visibile anche da molto lontano proprio per la sua posizione sopraelevata rispetto al “campo”.
Proprio sulla nuova facciata degli anni ’20, sull’altorilievo soprastante la statua dell’Assunta, è ancora possibile leggere chiaramente, accanto al monogramma mariano, il versetto biblico “Quasi oliva speciosa in campis” , iscrizione riportata sul “nastro” che lega due ben evidenti mazzi di rami d’ulivo.
Restando in tema di olive, un ulteriore spunto riconducibile alla vita prevalentemente a carattere agreste di inizio novecento, potrebbe essere il fatto che buona parte (se non tutti) i componenti del comitato ideatore della vecchia bandiera (Giacomo Oliveri, Vittorio Valle, Giuseppe Valle, Michele Macchiavello, Silvio Costa, G.B. Schiappacasse) fossero dediti alla coltivazione delle olive.
Tra l’altro, ulteriore curiosità, dai ricordi tramandati sembrerebbe che i promotori, anziché autotassarsi come spesso accade in questi casi, avessero organizzato una specie di lotteria parrocchiale.
Restando più legati alla bandiera, questo “svettare maestoso” dal sapore biblico potrebbe essere riferito al fatto stesso che il vessillo era all’epoca (e rimane tutt’ora), uno dei più imponenti della zona, come si evince chiaramente da un pregevole documento scritto, datato 15 agosto 1928, a firma Piero Simonetti di Emilio (consultabile integralmente sul sito www.santamariadelcampo.it), in cui si legge che “….La festa ebbe inizio domenica 12 quando fu benedetta la nuova grande bandiera genovese destinata a dominare non solo sulla sparata maggiore del giorno 15, ma anche su tutta la festa. La nuova maestosa bandiera è la più grande che Rapallo abbia: misura nove metri di lunghezza per sette di larghezza…”
Detto questo, sperando di non aver annoiato, bensì incuriosito ulteriormente, l’attento lettore, con la speranza di aver fatto cosa gradita con questa mia semplice analisi, sono sicuro che anche il nuovo vessillo del Comitato Fuochi saprà offrire numerosi ed interessanti spunti di riflessione che, chissà, tra altri cento anni potranno a loro volta essere riscoperti ed apprezzati dalle nuove generazioni di sanmariesi.
Stefano Podestà
NEI DINTORNI DI
SANTA MARIA DEL CAMPO
A Santa Maria del Campo, presso la Cappella Gesù Misericordioso (ponte nuovo) nel mese di gennaio si tiene la presentazione del LABORATORIO DI PREGHIERA E VITA che si propone di accompagnare i partecipanti in un rapporto personale con Gesù accogliendo l’uomo nella sua totalità, con tutto il suo bagaglio di gioie, dolori e difficoltà, per portarlo a riscoprire l’amore del Padre.
Interno della Cappella
La cappella si trova a pochi metri dal Ponte in stile romano lungo il torrente Santa Maria
Nei primi giorni di ottobre il leccio secolare posto a fianco della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo è stato sottoposto ad un importante opera di potatura resasi necessaria per diminuire peso e volume della pianta.
Questa operazione ridimensionamento si è resa necessaria in quanto alcune perizie hanno constatato che il tronco del leccio è minato da un fungo che ne indebolisce la consistenza. Quindi alleggerirlo in modo significativo è diventata una scelta inevitabile per evitare il pericolo che l'albero si spezzi o che se ne verifichi uno sradicamento con conseguenze facilmente immaginabili.
Come era prevedibile l'operazione di potatura del leccio è stata accolta da qualcuno con qualche perplessità. Tuttavia questa dolorosa soluzione è la unica che consente di prolungare la vita della pianta. Naturalmente continueranno anche in futuro i monitoraggi periodici che vengono fatti ormai da anni per individuare eventuali criticità che possano far diventare l'albero un pericolo per transita e sosta nei pressi della chiesa parrocchiale.
Il Santuario di N.S. di Caravaggio
La bianca facciata del santuario della Madonna di Caravaggio si erge solitaria sulla vetta del monte Orsena (detto anche Caravaggio) nella frazione di Santa Maria del Campo a 615 m. s.l.m. Data la sua posizione all’incontro di tre crinali, è raggiungibile con piacevoli passeggiate, anche dalla località Ruta di Camogli e dalla valle di Uscio.
Il luogo dove oggi sorge l'attuale santuario era meta di un'annuale processione degli abitanti di Santa Maria del Campo e alla metà del Seicento vi si costruì la prima cappella dedicata alla Vergine Maria, nella quale fu posto un quadretto della Madonna donato dagli abitanti. Nel 1727 la cappella fu ingrandita, anche grazie al contributo degli emigrati, ed aumentò la devozione da parte degli abitanti della frazione. Il santuario fu però chiuso dalla Curia nel 1742, forse a causa del prevalere dell’importanza del Santuario di Montallegro. L'edificio cadde così in uno stato di abbandono e fu demolito nel 1790 su ordine del doge della Repubblica di Genova. Nel 1838 la parrocchia di Santa Maria del Campo, non più soggetta alla chiesa madre rapallese, decise la riedificazione di un nuovo santuario, che sopravvisse ai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, ma subì più volte pesanti danni vandalici, fino ad essere recentemente ricostruito nelle forme attuali.
CROCE DI SPOTA’
Monumento ai caduti - "Croce di Spotà". Raggiungibile dal sentiero per il Santuario della Madonna di Caravaggio, la croce monumentale è stata edificata nel 1935 sulla sommità collinare di Spotà quale monumento ai caduti della Prima guerra mondiale. Alta 15 metri e in cemento armato, su progetto di Filippo Rovelli, sarà solennemente inaugurata la mattina del 30 maggio 1935. La "croce di Spotà" è visibile da diverse zone della città.
CENOBIO DI SAN TOMMASO
Sulla sommità di una piccola collina a Santa Maria del Campo sfiorati dall'autostrada Genova - Livorno, sorgono i ruderi dell'antico Cenobio di San Tommaso "XII secolo". Quello che rimane di questo antico e storico edificio sacro è molto poco, qualche muro in pietre squadrate, una colonna con base e capitelli su cui poggiano gli archi che reggevano il tetto, si vedono ancora alcune finestre allungate che sono rivolte verso la valle.
La costruzione si sviluppa su due navate distinte, questa usanza trova esempi conosciuti che si hanno solo in Liguria e in Garfagnana, infatti nel medioevo era solito che gli uomini fossero divisi dalle donne e dai bambini durante la liturgia; anche della facciata di questa antica chiesa non è rimasto molto, si vede un'antica porta d'accesso situata in corrispondenza della navata di destra.
Un restauro avvenuto nel 1924 ha consolidato un'abside ancora oggi ben visibile, altre informazioni su questi ruderi immersi nel verde fra gli ulivi e i castagneti della nostra terra di Liguria, si possono avere dagli scritti dello storico Arturo Ferretto che ha saputo ricostruire abilmente la storia della nostra Rapallo.
Ferretto dichiara che questo monastero dovrebbe essere stato costruito nel 1160, poiché vi è un atto di vendita di terre fra i confini dove sorge il cenobio da parte dei coniugi Giulia e Giovanni Malocello datato 4 febbraio 1161, altro documento significativo è un atto datato 3 febbraio 1230, nel quale il Pontefice Gregorio IX prese sotto la sua protezione le suore di San Tomaso di Genova e ne indica fra i beni la chiesa di San Tomaso a Rapallo e pare confermare l'idea che a costruire questo luogo sacro siano state proprio le suore benedettine genovesi.
In altri documenti del 1200 si apprende che il monastero ebbe una priora il cui nome era Anna e un cappellano di nome Rubaldo. Fra questi preziosi documenti rimasti, uno dei più importanti porta la data del marzo 1247 dove per la prima volta il monastero viene denominato "San Tomaso del Poggio", e si legge che le suore lo affidano al rettore Lanfranco per quindici anni, consegnandogli per un compenso di 40 soldi le terre sul poggio. Quest'ultimo è quindi un atto importante con il quale, la chiesa di San Tomaso diventa "succursale" della parrocchia di Santa Maria del Campo.
Nel difficile periodo medioevale il monastero ha attraversato non pochi problemi sino ad arrivare alla primavera del 1582, quando il visitatore apostolico Mons. Francesco Bossio vescovo di Novara, effettuato un sopralluogo, stabiliva inesorabilmente la fine di questo monastero chiedendone la vendita, essendo ormai senza più alcun reddito utile alla sua sopravvivenza, e preso atto che ormai da tempo non vi veniva più celebrata la messa. La sentenza però non venne subito eseguita e nel novembre del 1597 l'Arcivescovo di Genova Mons. Matteo Rivarola durante la sua visita a Santa Maria del Campo, ordinò invece di distruggere la chiesa oppure di restaurarla a spese del popolo. Il popolo però non riuscì a restaurare il monastero per mancanza di risorse e allora vennero vendute le case canonicali e con il ricavato venne ingrandita la parrocchia di Santa Maria e sul campanile della chiesa parrocchiale vennero accolte le due campane del monastero.
Gli abitanti armati di piccone incominciarono così la demolizione di questo edificio sconsacrato, ma per fortuna o per divina intercessione non arrivarono sino alle fondamenta, e così sono giunti sino ai nostri giorni i resti di questo monastero di San Tomaso del Poggio.
Un monumento che è bello ricordare con le parole che Arturo Ferretto scrisse sul "Mare":
"La tela che il destino ha ordito intorno alla chiesuola di San Tomaso, fu smagliante ed ingemmata di corrusca beltà ed un dramma si svolge pure presso quel nume tutelare che custodiva il poggio poetico.
I baldi ruderi che sopravvissero al tragico eccidio nereggiano ancora in un groviglio di edera, di spini, di rovi e di parietarie, in un velario freddo di muffa annosa, in un manto di lunghi capelveneri tremanti e stillanti: ma quei ruderi, non corrosi del tutto dalla ruggine del tempo, favellano tuttora d'una esuberanza che più non è, di una gloria non del tutto volta al tramonto. Dalle finestre ad imbuto che vi guardano come occhi sbarrati, in mezzo alla cornice delle cose naturali, entra ancora, nelle gaie giornate, un raggio di sole che illumina e scalda quel cimitero d'idoli infranti, e l'abside, quasi intatta, e la maestosa colonna su cui poggiano due archi minaccianti rovina, colle bozze di pietra fosca e quadrata, non riesco a distruggere del tutto ogni suggestione di memoria, sicché, nell'ora buia di angoscia , sono indizi dispersi della storia rapallese, quasi vergognosi, sono voci naufraghe e sommerse nel gran turbine d'oggi".
A conclusione di questo viaggio nella storia della Chiesa di Santa Maria del Campo, sento nel mio cuore un profondo senso di gratitudine verso i nostri avi “MAESTRI” per averci lasciato in eredità un patrimonio di così alto livello architettonico, artistico e culturale che aveva come scopo, fin dal suo nascere, l’esaltazione della fede, della religiosità e del senso di appartenenza alla comunità parrocchiale.
Un lavoro enorme che ancora oggi ci stupisce nel vedere ricoperto di FEDE ogni centimetro di quei muri che si proiettano fieri verso il cielo.
La rotta tracciata da quei CAPITANI senza volto e spesso senza nome, ancora oggi é percepita come la tradizione forte e vera che va difesa e conservata ad ogni costo, un valore per cui é doveroso lottare, sudare e partecipare affinché non si spezzi MAI quel filo della storia che ci unisce a loro dal 1600 fino ad oggi.
RINGRAZIO don Davide per avermi più volte aperto la porta, acceso le luci ed incoraggiato in questa modestissima iniziativa.
RINGRAZIO in modo particolare il Dott. Stefano Podestà: Artista, Fotografo e Scrittore per la sua
“Quasi oliva speciosa in campis” e non solo, da cui ho attinto foto e testi per arricchire questa mia umile ricerca.
Ricerche, commenti ed impressioni di
Carlo GATTI
Rapallo, 8 dicembre 2018
FESTA DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
Il dogma fu proclamato da Pio IX nel 1854 con la bolla «Ineffabilis Deus»: sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.
LE SPLENDIDE CICOGNE BIANCHE SONO TORNATE A VOLARE NEI NOSTRI CIELI
Volo di cicogne sullo Stretto di Messina
(Album fotografico)
LE SPLENDIDE CICOGNE BIANCHE SONO TORNATE
A VOLARE NEI NOSTRI CIELI
di Manuela Campanelli
Progetti di reintroduzione della specie avviati con successo nella nostra Penisola hanno permesso di ristabilire la rotta italiana di questi uccelli migratori.
Le Cicogne bianche hanno ricominciato a riprodursi in Italia riappropriandosi di un passato lontano che le vedeva presenti nelle nostre terre. E se questa buona notizia oggi può essere data il merito va senz’altro a una lunga storia di passione e di professionalità per questa specie, iniziata nel 1985 dal Centro cicogne e anatidi di Racconigi in provincia di Cuneo che – grazie alla collaborazione con la Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) -, è stato il primo ad adoperarsi per riportare questi volatili a nidificare nella nostra Penisola. Di seguito si è attivato il Centro di Fagagna dell’Oasis dei Quadris in provincia di Udine e a ruota il Centro Cicogna Bianca di Goito del Parco del Mincio in provincia di Mantova. In ognuna di queste zone diverse cicogne selvatiche erano state avvistare e alcune avevano tentato pure di costruire il nido. Segno che il territorio era loro congeniale. Perché allora non avviare dei progetti scientifici per consolidarne la presenza? E così è stato.
Una questione di metodo
L’approccio seguito per incentivarne il legame con il territorio è stato sempre lo stesso e prevedeva un certo numero di esemplari stanziali, acquistati presso centri svizzeri, che giunti a maturità riproduttiva, e dopo la prima covata, venivano lasciati liberi di migrare. Con le nuove nascite si sono formati gruppi sufficientemente numerosi che, attraverso il flusso migratorio, sono stati in grado di creare anche un minimo di aggregazione di capi selvatici e quindi un ripopolamento della zona. E i risultati non si sono fatti attendere: ben 272 giovani cicogne sono per esempio nati in libertà dal 1997 a oggi lungo il Mincio e giusto l’anno scorso si sono involati 43 piccoli da 15 nidi incrementando di un quinto le nascite in Lombardia che nel 2017 sono dato alla luce 214 volatili provenienti da 96 nidi.
Un virtuoso via vai
La loro vita senza confini li porterà a partire da qui per mete molto lontane, a incontrare altre cicogne selvatiche per mettere su famiglia o a restare nei vari Centri di reintroduzione svolgendo l’importante funzione di richiamo per altri esemplari che transitano nei cieli italiani durante la migrazione primaverile. La Pianura Padana e le zone umide del Nord stanno tornando a essere un punto di riferimento per loro. Qui trovano infatti ancora cibo in abbondanza. I lombrichi, come i molluschi, gli insetti, gli anfibi, i rettili e i piccoli mammiferi che cacciano camminando, consentono di allevare la prole senza alcuna alimentazione artificiale e di raggiungere un successo riproduttivo, vale a dire un rapporto tra il numero di cicogne nate e il numero di quelle che raggiungono il volo, molto alto.
Dal Nord al Sud Italia
Tirando le somme, le coppie di cicogne presenti nel nostro Paese sono arrivate a essere 350, alcune formate da esemplari rilasciati dai centri di reintroduzione, altre completamente selvatiche e altre ancora miste, cioè composte da un individuo selvatico e da uno rilasciato dai centri. E se la ricolonizzazione della specie è iniziata dall’Italia del Nord, e precisamente da Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, il Sud si difende bene. La Cicogna bianca ha ripreso infatti a nidificare con successo anche in Calabria e in Sicilia negli ultimi quindici anni, aiutata anche da Enel che ha predisposto piattaforme artificiali sui tralicci dell’energia elettrica per favorirne la riproduzione ed evitare episodi di folgorazione. Grazie a tutti questi contributi, si può pertanto ben dire che la sua presenza nell’Europa occidentale è stata via via recuperata. Le popolazioni di Cicogne bianche sono infatti due: quella occidentale, che nidifica in Marocco, Algeria, Tunisia, Portogallo, Spagna, Alsazia, Germania dell’Ovest - e ora anche in Italia - e migra in parte attraverso lo stretto di Gibilterra e in parte attraverso lo stretto di Messina nell’Africa occidentale a sud del Sahara. Una rotta, questa, senz’altro più decimata in confronto a quella orientale, che nidifica in Germania orientale, Paesi dell’est, penisola balcanica, e passa lo stretto del Bosforo per raggiungere il Corno d’Africa, la Rifà Valles e l’Africa meridionale e che ancora sopravvive bene perché non è gravata da una significativa mortalità legata allo sversamento e alla caccia.
Una specie ancora tutelata
Una domanda stuzzica tuttavia ancora la nostra curiosità. Perché le Cicogne bianche sono diminuire drasticamente nel tempo fino a estinguersi in ampie zone europee, nonostante siano volatili eclettici e opportunisti, si adattino cioè con facilità a diversi ambienti e s’inseriscano in variegati ambiti senza scendere in conflitto con altre specie? Fattori determinanti sono senz’altro la folgorazione determinata dalle linee di alta tensione e la caccia. Le Cicogne bianche incontrano spesso i fucili lungo la rotta migratoria che le porta a svernare in Africa dove tra l’altro non trovano più cibo a sufficienza per la trasformazione di steppe e savane in coltivazioni trattate con pesticidi. Gli esemplari sopravvissuti, nella migrazione primaverile di ritorno, giungono pertanto nelle zone di nidificazione decimati e in condizioni fisiche non ottimali per iniziare la fatica della riproduzione.
Frasi per occhielli e boxini
Il Parco del Mincio ha consentito l’incremento di quasi 300 unità dal 1997, cioè dall’avvio del progetto di reintroduzione: 16 piccoli sono nati in provincia di Brescia e a Ravenna da cicogne liberate da questo Centro.
La Cicogna bianca è un patrimonio di tutti, tutelato in Europa dalle direttive emanate per conservazione delle specie selvatiche a rischio.
Due cicogne si sono conosciute in ritardo. Non portavano anelli ed erano presumibilmente selvatiche. Lei era arrivata nel nostro Paese a marzo, lui il 20 maggio. Hanno provato ad avere dei piccoli ma senza successo. Sono rimasti però insieme nelle nostre terre fino a ottobre poi – sempre insieme – hanno iniziato a migrare.
Una cicogna era nata da un nido costruito su un albero esterno del bosco Bertone nel Parco del Mincio. Era il 2006. E dopo tre anni è tornata nello stesso posto nel 2009, 2010, 2012, 2016 e 2017 per riprodursi. Quando non era qui, è stata vista volare – libera e felice – in diverse località sia Italia e sia altrove in Europa.
ALBUM FOTOGRAFICO
Foto di Marco Benedetti
Foto di Marco Benedetti
Foto di Michele Manara
Foto di Fabrizio Pasolini
Foto di Fabrizio Pasolini
Foto di Francesco Severi
Per gentile concessione a scopo divulgativo!
Un coppia di attori famosi...