ETTORE - IL FABBRO DI RAPALLO

ETTORE IL FABBRO DI RAPALLO

 


UN PO’ DI STORIA….


Efesto (Vulcano per la mitologia romana) forgia le folgori per Giove.

Quadro di Rubens (XVII secolo)

 

Efesto, nella mitologia greca, è il dio del fuoco e della metallurgia. Nell’Iliade, fonte principale della mitologia greca in coppia con l’Odissea, si narra che Efesto fosse uno degli dei più brutti “soggetti” dell’Olimpo e che avesse anche un pessimo carattere.

Efesto, fisicamente disgraziato, passava tuttavia per aver avuto donne di grande bellezza. Già l’Iliade gli attribuisce Carite, la Grazia per eccellenza. Esiodo gli attribuisce come moglie Aglae, la più giovane delle Cariti. Ma soprattutto, si conoscono le sue avventure con Afrodite, che sono riportate nell’Odissea.

Tuttavia, Efesto si era fatto un nome prestigioso come FABBRO DEGLI DEI perché aveva il dono di essere bravissimo nella lavorazione di tutti i metalli: nulla gli era impossibile! Egli, infatti, viveva in un’officina sotto il vulcano Etna, dove lavorava tutto il giorno ai suoi progetti di ingegneria, aiutato dai terribili Ciclopi.

Per questo motivo, Efesto era considerato il protettore di tutte le attività artigianali ed era venerato in tutta la Grecia. Anche nella mitologia romana esisteva un dio dalle caratteristiche simili, chiamato Vulcano.

Efesto ed Ettore (il nostro fabbro di Rapallo) hanno in comune qualcosa? Vediamo un po’…:

- qualche lettera dell’alfabeto: 4 e - 3 t

- la grande passione per il ferro battuto come meglio vedremo in seguito

- Ettore, che non é altissimo, non é neppure brutto e disgraziato come Efesto…, ma ha l’abitudine di “picchiare” il ferro dalla mattina alla sera e se avesse anche un cattivo carattere come il dio greco, sarebbe un bel guaio per chi lo frequenta regolarmente, famigliari compresi… Le sue braccia hanno assorbito e trasportato tanto ferro in 32 anni di mestiere che, per stare in tema, esplodono energia vulcanica in ogni direzione.

- Al contrario di Efesto, Ettore ha un carattere allegro e sempre accomodante, conosce tutti in città e tutti lo conoscono, lo fermano per strada e lo apprezzano per la sua disponibilità, le battute sempre amicali, ma pungenti contro chi non apprezza il “fuoco” del suo diavolo rossonero (il MILAN che ieri ha perso il derby…).

- Abbiamo letto che Efesto passa anche per il patrono dei can da donne! Anche su questo argomento le similitudini storiche tra i due campioni sono tutt’altro che provate… In ogni caso, quando Ettore si convincerà a scrivere le proprie memorie, noi riscriveremo questo articolo per amore della verità, non per curiosità o altro...!

Ora ci lasciamo la mitologia alle spalle ed andiamo a scoprire la storia di questo personaggio che porta sulle spalle il peso di un lungo passato di ferro e di fuoco, ma che possiede anche una visione realistica del futuro.

 

A domanda (in neretto), Ettore Pelosin risponde (in corsivo):

 

Tu sei figlio di commercianti molto noti a Rapallo. Come sei arrivato ad intraprendere un lavoro così particolarmente rude e mascolino?

Fui bocciato in 3° ragioneria, un corso di studi per il quale non ero assolutamente portato. Parlai con i fabbri Canessa, Cipro e Queirolo, tre soci di una officina sotto casa mia che erano amici di mio padre, ed ottenni di fare l’apprendista con il compito di guardare ed imparare. Era il 1985, avevo 17 anni ed una gran voglia di fare… solo in seguito capii la verità che stava dietro a quel: “Sta qui e guarda”. Feci quasi due anni di forgia, imparai tutto il possibile in un’epoca in cui vi erano poche macchine in officina e quindi gettavo tanto sudore in un mare di trucchi del mestiere che non sempre mi venivano spiegati. Ma si trattò di un’esperienza importante della quale ancora oggi mi sento debitore con quelle persone.

Ritornato a Rapallo dal Servizio Militare, avevo ormai scelto il mio settore lavorativo: mi assunse il fabbro Sirola il quale aveva uno spettro più largo di committenze per cui ebbi modo di imparare cose nuove e a gestirle ancora meglio.

Passò qualche anno, entrai nell’ambiente e, in quel periodo conobbi Corrado, il mio socio attuale. Avevo 23 anni e lui 27. Avevamo in comune tanta voglia di lavorare, ma anche d’intraprendere privatamente. Corrado, più esperto di me, capì subito dal mio entusiasmo che ero portato per quel tipo d’attività. Inizialmente decidemmo di lavorare insieme nelle ore serali, e poi anche al sabato, alla domenica e ogni volta che eravamo liberi dai rispettivi impegni di lavoro. Poco tempo dopo, ogni sera ci chiudavamo nel suo garage a lavorare per conto nostro, per i nostri nuovi clienti.

Nel 1991 decidemmo di diventare soci e padroni di noi stessi, della nostra passione e soprattutto della nostra nuova officina! Ancora oggi, ogni tanto, mi viene in mente quel proverbio: “Chi trova un amico, trova un tesoro!” - GRAZIE Corrado!

Sono passati un po’ di anni… l’esperienza e la passione di Ettore lo hanno portato ad essere insieme al suo socio Corrado, una affermata ditta del Tigullio.

Tuttavia, tra coloro che ancora oggi praticano l’artigianato, spesso si sente dire:

“Questa attività é solo sacrificio, mal di schiena…, orari continuati e sempre scomodi, pezzo dopo pezzo sparisce anche la nostra identità. La colpa é tutta del progresso sfrenato che non lascia più nulla alla creatività e alla fantasia… ormai si trova tutto pronto all’IKEA…”

Tu cosa ne pensi?

In effetti c’è del vero in ciò che dici – esplode Ettore –

Tuttavia c’é un forte limite sull’originalità di quei prodotti finiti: oggi li vedi all’IKEA, in seguito li ritrovi nelle case dei tuoi amici e conoscenti. Senza accorgersene siamo forse stati tutti omologati nei gusti, nelle scelte, siamo diventati vittime delle mode?

Dov’é finito quel godimento che ci hanno insegnato i nostri vecchi di possedere qualcosa di originale in casa? Noi italiani siamo considerati maestri d’arte e di buon gusto in tutto il mondo, ma pare che nel nostro Paese, a tutti i livelli, si sia rinunciato a giocare un ruolo da protagonisti, come se fossimo diventati tutti pellegrini dei nuovi frequentatissimi santuari che sono giustappunto i supermercati.

Dove sono finite l’autenticità, la fantasia, la creatività, l’estro e la stravaganza?

Hai parlato d’ARTE con palese nostalgia, come un rimpianto che forse   insegui da tempo! Come definiresti il tuo lavoro?

Io appartengo con fierezza alla categoria artigianale dei fabbri. Il mio mestiere lo definirei così:

 

L’ARTIGIANATO E’ L’ARTE DA NON METTERE DA PARTE

Se un mio cliente mi ordinasse un cancello, oppure un berceau, ma anche un semplice tavolo e mi dicesse:

Lo vorrei un po’ originale, lei ha qualche idea?

Beh! Io risponderei a quel signore: vedo che lei ha fiducia nell’artigiano! Continui a fidarsi, non la deluderò e le farò anche un prezzo d’amico!

Dalla fiducia nasce la creatività che dà spazio all’ARTE!

Quando l’arte abbraccia l’artigianato e con esso si fonde, penso al futuro di tanti giovani e intravedo un grande spiraglio nel mercato del lavoro, anche in tempi di crisi economica.

Tocchi un argomento vero ed interessante, ma delicato e pieno di trappole che evidenziano le carenze della nostra società.

In che senso?

La tua idea é giusta e sensata! Ma avviare oggi una IMPRESA per un giovane di buona volontà, talento e fantasia non é semplice. Lo Stato dovrebbe aiutarlo in tutti quei capitoli che vanno sotto il nome di Burocrazia, Fisco e Difficoltà di accedere al credito. Noi abbiamo impiegato oltre 30 anni per rendere questa officina all’altezza dei tempi, vale a dire: l’acquisto di macchinari moderni che sono costosi ed ingombranti, ma che ti danno una resa immediata nel rapporto: tempo/denaro. Aggiungo soltanto che non mi sentirei un fabbro qualificato se non sapessi lavorare alla FORGIA, lo strumento che veniva usato già 2000 anni fa per creare magari strumenti di guerra ma che, ancora oggi, mi permette di lavorare di fino…creare e realizzare quelle forme d’arte di cui si parlava prima.

Anche la scuola può fare qualcosa di utile per i giovani?

 

Oggigiorno la tecnologia digitale é lo strumento più a buon mercato che esista sia in fase di progettazione, quindi di creatività per quel tipo di oggettistica che soddisfi le esigenze del mercato, ossia i desideri della gente di oggi.

Le faccio un esempio: oggi una nave nasce dal programma di un computer molto tempo prima di entrare nel Cantiere da cui scenderà in mare. La tecnologia aiuta a   sviluppare una idea embrionale e portarla al concepimento finale.

Noi siamo gli eredi di un mestiere antico e duro, ma affascinante che c’é stato tramandato dall’età del ferro. Un tempo arrivavo a casa la sera con le schegge nelle mani, gli occhi rossi e la faccia bruciata dal calore della saldatrice; oggi abbiamo le macchine che ci piegano le lamiere e ci risparmiano tanta fatica, abbiamo attrezzi che ci evitano bruciature, piaghe e malattie professionali agli arti e agli occhi, ma finché ci saranno porte, cancelli, finestre, pareti, scale a chiocciola da fare su misura, il fabbro ci sarà sempre con le sue soluzioni pronte e supportate dall’esperienza e dal buongusto che spesso é anche artistico…

E’ davvero importante che in ALTO si capisca che l’artigiano é un maestro che deve tramandare il suo sapere ai giovani, ma il passaggio del testimone tra due generazioni, deve far parte di un programma che sia teso ad unire gli interessi di entrambe. Io per primo, farei i salti di gioia se potessi avere tre o quattro giovani che mi dessero una mano in questa officina dove c’è spazio per sei-sette persone. Pensa un po’ quante cose potrei insegnare a questi ragazzi dopo 30 anni che mangio polvere di ferro picchiando  proprio come un fabbro…!

Se poi tra questi ragazzi emergesse anche un giovane talento, allora saremmo in tanti a fare “BINGO”, in primis il Paese che langue nella mediocrità.

I cambiamenti strutturali della nostra categoria devono partire con scienza e coscienza dai Ministeri, dai Municipi, da chi ha le leve del potere in mano ed ha l’obbligo di migliorare la società.

Levami un’altra curiosità: vedo che stai costruendo una scala a chiocciola.

Per quel che ne capisco, come fai a costruire una spirale senza averla opportunamente disegnata nel rispetto delle leggi matematiche?

 

Io amo il disegno, in particolare quello tecnico che mi permette di eseguire lavori un po’ particolari. Uno di questi é proprio la scala a chiocciola, la cui realizzazione ci viene richiesta in luoghi dove c’è spazio insufficiente per le scale tradizionali.

La scala a chiocciola è il tipico esempio della SPIRALE MERAVIGLIOSA in matematica ed in natura; si costruisce attorno a un perno verticale che serve da asse all’elica che forma la successione degli scalini. Il disegno di queste scale richiede di trovare una soluzione tra la alzata tra gli scalini, l’altezza dei livelli da vincolare e gli angoli di entrata ed uscita dalla scala che determina la quantità di scalini e l’angolo di rotazione unitario tra gli stessi. Il suo asse centrale, nel caso sia presente viene chiamato “anima”.

Per realizzarla a volte mi sveglio di notte, e nel silenzio assoluto trovo sempre le giuste soluzioni. Poco fa ti dicevo che ci vuole passione e studio, infatti questi due elementi sono quasi sempre a monte della manualità vera e propria che subentra come un divertimento, una specie di premio, quando i problemi teorici sono stati risolti nella mia testa.

Ed eccoci arrivati al “punctum dolens” - Il gioco ne vale la candela?

Ti ringrazio della domanda. Spero di essere breve per dimostrarti quanto noi artigiani siamo “abbelinati e tristi”.

Il prezzo finale del manufatto che esce dalle nostre mani, non tiene conto del tempo impiegato nello studio del progetto, ma neppure delle ore che utilizzo per realizzarlo, trasportarlo e poi montarlo sul posto.

Il cliente ha solo un punto di riferimento: il prezzo di mercato del manufatto costruito in serie da macchine ultra moderne e già comprensivo delle spese di consegna e di montaggio!

La commessa del mio cliente va in porto soltanto se il prezzo concordato é ben inferiore a quello di mercato.

Se voglio lavorare mi devo confrontare con questo assurdo sistema che sottovaluta il nostro impegno e tende ad uccidere l’artigianato in generale!

ETTORE IN FAMIGLIA

Ettore e Romina al pascolo...

Ettore con i figli Greta e Cristiano nel giorno della LAUREA

Sopra e sotto

Ettore con l’inseparabile Diana nel suo bosco

 

Ricky ed Ettore, due c... in un paio di braghe!

Due cognati amici e burloni

Il fuoco vulcanico fa parte della vita di Ettore. Qui é stato ritratto dopo la seconda infornata di farinata.  Le salsicce e il castagnaccio non si vedono, ma sono sotto il controllo della "banda" famigliare che li aiuta con lo sguardo… ma non solo…

Le specialità di Ettore e Pino sono: porchetta alla forgia”, "cinghiale alla Vesuviana” - "frittura alla Stombolicchio- "salamelle alla Prometeo" - "castagnaccio alla brusciaboschi".

 

ALBUM FOTOGRAFICO PROFESSIONALE

L’officina di Ettore Pelosin e Corrado Malatesta si trova in Via del Ghiaccio 9/4 dove, nel primo dopoguerra esisteva una fabbrica del ghiaccio destinato agli alberghi ed esercizi vari di Rapallo. La zona é molto verde ed elegante perché confina con il Circolo Golf e Tennis - Rapallo. L’edicola della Madonna qui sotto rappresentata é opera del Maestro d’Ascia Franco Merello, ed é incastonata sulla parete esterna dell’officina stessa.

La Madonna del Ghiaccio

Un'ala dell'officina

 

La Forgia a gas ha sostituito quella classica a carbone vecchia di secoli

Troncatrice

 

Trapano a colonna

 

Aspiratore fumi saldatrice

 

Piegatrice

 

Ettore prende le misure per piegare la lamiera

Ettore sta per piegare una lamiera con la piegatrice

 

Ettore mostra  ad una visitatrice la piegatura di una lamiera

 

Cesoia taglia-lamiere

 

Curvatrice – Curve a tutto sesto

 

Trapano a colonna

MANUFATTI

 

Sopra e sotto Ringhiere finite

 

Ringhiera per Villa Hollander - Corrado a sinistra e Pino

 

Cancello di Protezione

 

Inferriata di Protezione

 

Sopra e sotto

Ringhiere di protezione per interni

 

Piccola libreria

Cancellata

Sopra e sotto

Intelaiature per ampie vetrate


Bancone rivestito di lamiera

 

Arredamento in ferro e legno per Bar

 

Arredamento in legno e ferro

 

Parete metallica

 

Cancello di sicurezza

 

Polleria ROSTER

 


Sopra e sotto

Arredamenti in ferro battuto

Berceau

LA SCALA A CHIOCCIOLA

Carlo GATTI

Rapallo, 21 Ottobre 2018

 


PESCA CON LA LAMPARA

PESCA CON LA LAMPARA


UN PO’ DI STORIA


Eliano
Claudio - Sofista (170 - 235 d. C.) di Preneste (Palestrina); Scrisse 17 libri: Sulla natura degli animali.

Eliano, fra i quattro diversi metodi di pesca da lui dettagliatamente descritti, non contempla l’impiego del tridente, ma al contrario dell’arpione, per il quale conia un termine derivato da quello che indica l’asta. A suo parere questo metodo é il più nobilitante per il pescatore perché: richiede le doti più virili, il pescatore deve essere molto robusto; deve avere un’asta dritta di abete, corde di sparto*, legnetti di pino ben uniti per accendere il fuoco; gli occorre anche una piccola imbarcazione fornita di vigorosi rematori, dotati di buone braccia.

Da questo passo di Eliano, oggi sappiamo che già 2000 fa esisteva la tecnica di cattura del pesce azzurro pressoché simile a quella attuale:

1) - l’arpione veniva recuperato mediante corde di sparto.

2) - la pesca si svolgeva utilizzando la fiamma prodotta dai “legnetti di pino ben uniti” per illuminare l’area di pesca.

*sparto: Erba perenne (Lygeum spartum) della famiglia Graminacee che cresce in alcune zone aride e più o meno salmastre della regione mediterranea (Italia merid., Spagna, Africa boreale ecc.). Ha foglie giunchiformi, lunghe fino a 60 cm. Le fibre della pianta, tenaci e resistenti, sono usate per farne cordami o stuoie e nella fabbricazione della cellulosa da carta.

Facciamo un salto in Egitto …


Nell’antico Egitto la pesca veniva praticata preferibilmente con enormi reti, spesso rappresentate nei bassorilievi tombali: un esempio eclatante é nel basso rilievo di una tomba rinvenuta nei pressi delle Piramidi, (foto sopra) nel quale sono raffigurati sette uomini e un sorvegliante, intenti a manovrare le funi di una grande rete, analoga alle moderne reti a strascico e dotata di galleggianti a doppia coda di rondine, probabilmente realizzati in legno, e di pesi in piombo a forma di goccia allungata.

 


Questa tipologia di pesi avrà una continuità d’uso immutata fino all’epoca moderna, tanto da creare ancora oggi non pochi problemi di datazione nei contesti subacquei, frequentati per secoli dai pescatori…

In un breve tratto della costa d’Israele, nei pressi di Haifa, sono stati recuperati oltre 1200 pesi da pesca, sia in piombo che in pietra distinguendone il materiale, ma anche la forma e il metodo di realizzazione; i siti hanno anche restituito altri materiali connessi direttamente all’esercizio della pesca come gli ami, oppure come gli aghi da rete, gli scandagli e i residui di lavorazione del piombo per la realizzazione dei pesi.

Questa premessa ha semplicemente lo scopo di ricordare agli appassionati dell’argomento che i pescatori vengono da lontano e ci hanno lasciato in eredità la tecnica di pesca e gli attrezzi che sono usati ancora oggi alla stessa maniera.

OGGI

Acciughe e sardine sono pesci pelagici molto diffusi in tutto il Mediterraneo e nelle acque europee ed africane dell’Oceano Atlantico; in Italia le zone più frequentate da questi pesci "azzurri" sono la Sicilia e il medio basso Adriatico. Un metodo per catturarli, ovvero una tecnica ancora in uso oggi é la pesca con la lampara che viene effettuata da un’imbarcazione madre, e da 3-4 piccole barchette o gozzi che hanno delle grosse “lampare” installate ed alimentate a batteria oppure a gas.

Arrivati sul luogo di pesca nottetempo, i piccoli gozzi vengono ammainati e i marinai, a lento moto di corte bracciate,  azionano la lampara per attrarre dal fondale marino: banchi di sardine,  piccoli sgombri, alici, acciughe e anche calamaretti, "sedotti" dal forte bagliore della luce artificiale della lampara.

Una volta "radunati" i diversi banchi di pesce azzurro sotto le loro chiglie,  i gozzi si avvicinano quasi a toccarsi, a questo punto entra in gioco la barca-madre con il compito di gettare in mare il cianciolo: una rete tesa in verticale che ha sul lato alto dei sugheri  galleggianti, mentre nella parte inferiore  porta dei piccoli piombi che la stendono formando una parete  mobile che lentamente  circonda il pesce ammassato in un piccolo spazio.

Chiuso il cerchio, le lampare escono dalla rete e il pesce rimane intrappolato.

Da bordo della barca-madre, tirano delle cime per chiudere la rete sul fondo e trasformarla in un sacco pieno di pescato che  viene finalmente viene issato a bordo.

Questo tipo di pesca con la lampara può essere praticata durante tutto l’arco dell’anno, fatta eccezione per le notti di luna piena.

Sono passati molti secoli dalla tecnica appena descritta; oggi la pesca ha assunto connotati industriali che si effettua con pescherecci sempre più accessoriati per l’impiego di moderne tecnologie: radio, radar, sonar; imbarcazioni sempre più grandi che si portano sempre più al largo per la cattura di pesce sempre più grande e pregiato.

Si tratta ormai da tempo di una cattura “industriale” per la quale il “rustico” marinaio pescatore locale di un tempo  si é trasformato in un lontano parente "oceanico" che si sposta tra le latitudini e longitudini di due emisferi come una qualsiasi nave dello shipping.

MA NOI NON VOGLIAMO ALLONTANARCI DAL NOSTRO GOLFO.....

A noi é rimasta la curiosità di sapere cosa sia rimasto degli antichi saperi, di quei gesti antichi che ancora si tramandano da padre in figlio lungo le nostre coste.

Anni fa si diceva che il vero pescatore non esce dalle scuole, ma sale sul gozzo del padre per conoscere sulla sua pelle come si governa una barca con il vento e con la corrente, come si prende confidenza con i colpi di mare, come s’interpretano i segnali meteo che ti indicano il peggioramento del tempo, come manovrare le lenze, gli ami e come conoscere le astuzie e le malizie dei pesci, insomma come “fregarli”.

Un tempo il superamento della gavetta lasciava i suoi segni sul volto bruciato dal sole e dalla salsedine, parliamo di uomini fieri che amavano la libertà senza quei limiti imposti dalla terraferma, erano uomini innamorati del mare, e dei loro gozzi che chiamavano per nome in ricordo dei famigliari ai quali si sentivano legati nel mestiere, nella fatica e nel modo si sopravvivere.

LA LAMPARA - Una pesca in estinzione?

 


Per chi non abbia dimestichezza con questo attrezzo da pesca, spieghiamo che la lampara è un tipo di lampada molto grossa e potente, montata su di una barca che viene usata dai pescatori di notte per illuminare la superficie dell'acqua, al fine di attrarre i pesci in superficie per poi intrappolarli nella rete o catturarli con la fiocina. Per estensione viene chiamato lampara anche il peschereccio che monta tali attrezzature e la rete usata per questo tipo di pesca.

Le lampare possono essere alimentate ad acetilene* o con corrente elettrica.

*L'acetilene è il più semplice degli alchini, idrocarburi,  con un triplo legame carbonio-carbonio.  Fu scoperto nel 1836 dal chimico inglese Edmund Davy. E’ un gas incolore ed estremamente infiammabile. Ha una temperatura di autoaccensione di circa 305°. È un gas estremamente pericoloso perché può esplodere anche con inneschi minimi e per questo è normalmente diluito nell’acetone.

Dedichiamo oggi la nostra attenzione alla pesca con la lampara delle nostre parti che non tutti conoscono e che ancora oggi, può regalare poca ricchezza… ma tanta soddisfazione nello sfidare con pochi mezzi, un po’ di astuzia e mestiere, l’antico rivale dell’uomo: il pesce azzurro che, detto tra noi, scusandoci per la cacofonia, é l’unico pesce che sa di pesce del nostro mare…

Si vive in democrazia e ognuno é libero d’inseguire i propri sushi … e potersi così sentire uno “esotico stravagante” a migliaia di chilometri di distanza dall’Estremo Oriente… di cui non sa nulla, ma prova a capirlo attraverso la scienza ittica….

 

 

La pesca alla lampara é oggi praticata da pochi appassionati, almeno nella nostra regione Liguria, e dire quanti ce ne siano in servizio...  é molto facile, basta gettare lo sguardo sul litorale di qualsiasi spiaggia o alla fonda in un qualsiasi porticciolo. Contarle di notte é ancora più facile, sembrano stelle cadute nel golfo in una notte di mare “forza olio” (come dice il mio amico Nunzio) e rigorosamente senza luna.

Ciò che stiamo per dirvi l'abbiamo in parte già visto, ma un conto é la letteratura... un'altra cosa é sentire le voci pittoresche di Nando e Ciccio che me la spiegano così, nei loro dialetti: che sono difficili da scrivere...

Il trucco é antico e facile da capire. Il pesce, abbagliato da una fonte luminosa intensa, sale imbambolato in superficie - racconta Nando sdraiato a pancia in giù sul copertino del gozzo, e si possono anche prendere con le mani. La posizione di cattura, come vedi é scomoda, ma tutto ha un prezzo… e nessuna te la dà gratis...

In effetti non sarebbe giusto e nemmeno educato...! Ribatto seriosamente...

Per dirla tutta, esiste anche un certo gioco di squadra. Nando ha un amico di nome Ciccio, un pescatore siciliano importato negli anni ’50 nel Tigullio, il quale gli fa da battitore a bordo di un altro gozzo senza luce. Il suo compito é quello di precedere la lampara battendo la superficie del mare con uno strumento che lui chiama maglio.

Mi rivolgo direttamente a Ciccio per una spiegazione:

- Se non mi fai capire questo fatto, giuro che vado a farmelo spiegare da uno psicanalista per animali!!! Dimmi come e perché il pesce deve essere scosso dal suo torpore per predisporlo all’esca della lanterna. Se ho ben capito, il pesce,  va pre-anestetizzato?

Ciccio mi guarda un po' stranito pensando sicuramente: ma cu é qistu, ma che minchia va cercanne...

- ma che sacciu de sti cose... Tu sai che vo dicere "cugghione"?

Credo di si!

Lu pisci é nu cugghione, ma cu a lampara diventa  più cugghione ancora!

Finalmente ho capito! In altre parole  l'acciuga viene “rincoglionita” dalla luce, e va a mettersi in posizione come fosse una modella  davanti alla fiocina, arpione, lambrogo o retino di Nando , il quale  vanta una eccellente rapidità ed una mira infallibile anche se, con molta umiltà, sostiene che il merito della cattura é di Ciccio che glieli manda già pronti da cucinare o da conservare sotto sale!

Abbiamo accennato alla luna piena! Ma come funziona?

Nando mi spiega, nel suo gergo marinaro antico:

- la presenza in cielo della luna piena proietta l’ombra del gozzo sul fondale e sputtana la presenza del pescatore alla lampara. Da cui si deduce che il pianeta romantico é amico dei pesci e un po’ stronza con i pescatori!

Che non é proprio una bella poesia... ma rende l'idea!

Come funziona, o meglio funzionava la pesca alla lampara in Adriatico?

Ce lo racconta il com.te Nunzio Catena di Ortona

Era bello vederle nelle notti d’estate, quando dalla nostra spiaggia
i lumini delle lampare disegnavano, a intervalli regolari, un lungo viale
che univa le due sponde dell’Adriatico. Le lampare incantavano i pesci ma anche noi che dalla spiaggia le guardavamo estasiati.

Spesso di notte avevo delle visioni nel sonno: vedevo i pescatori sui gozzi e mi affannavo a chiamarli ad alta voce. Mia madre si svegliava di soprassalto … ed in preda alla delusione le dicevo che non mi rispondevano… Allora si sedeva accanto a me e cominciava a cantare una nenia per farmi addormentare di nuovo.

 

LE LAMPARE DI UNA VOLTA….

La pesca funzionava così

Ogni peschereccio portava a rimorchio tre battelli che venivano dati fondo, poco lontano uno dall'altro, ad un certa distanza dalla costa. Su queste barche venivano sistemate le grosse lampade che con la loro luce richiamavano il pesce che poi il peschereccio circondava con la rete che successivamente veniva virata a bordo.

Una brutta avventura…

Un tempo i pescherecci erano piccoli e i battelli con la lampara venivano portati a rimorchio e, come spesso accade anche oggi; una notte improvvisamente si scatenò un violento temporale, con forte vento che sollevò onde di qualche metro, al punto che una di quelle barche strappò la cima da rimorchio e quei poveretti del peschereccio, per salvare le altre due, la lasciarono scarrocciare sottovento.

Alle prime luci dell’alba, il tempo era tornato al bello e ci accorgemmo che il mare aveva spinto quella barca, riempita di sabbia ed acqua, sulla spiaggia proprio vicino le nostre case.

Ricordo che ci lavorai quasi tutta la giornata per ripulirla poi, nel pomeriggio, vedemmo un peschereccio che proveniva da Pescara, con rotta parallela alla costa.

Immaginammo subito che erano i proprietari della barca che avevano perduto. Andai a nuoto verso il largo e quando mi giunse vicino gli raccontai l'accaduto e che eravamo pronti a restituirgli la lampara senza nulla pretendere, se non un 'giretto' con il peschereccio, (durante il quale feci timone con mia grande gioia). In quella occasione qualcuno scattò la foto qui sotto.


Il ragazzo fieramente impettito per l’impresa, al centro della foto, é il Comandante Nunzio Catena.

RIEPILOGO

Nando e Ciccio ci danno la situazione in tempo reale:

I pescatori rimasti in attività sono pochi e dimenticati. Hanno canottiere da pirati e tecniche uniche, che nessuno imparerà. Dal porto più grande d’Italia ormai partono soltanto tre barche per la pesca a strascico, cinque a circuizione, sette con le reti da posta: totale 42 imbarcati. L’Aquila Pescatrice è l’unica barca in servizio per 11 mesi all’anno. In Italia il settore segna: -38 % rispetto al 2000. Il registro della capitaneria di porto di Genova testimonia, anno dopo anno, la fine di una storia: 2662 iscritti dal 1972 ad oggi. Si sono arresi quasi tutti. Ma quarantadue pescatori ancora resistono nella darsena del porto antico, in mezzo ai turisti. Vanno a cercare “il pesce buono”.

 

CARLO GATTI

Rapallo, 16 Ottobre 2018


LA CHIESA E L'ORATORIO DI S.MARIA DEL CAMPO

LA CHIESA DI SANTA MARIA

DEL CAMPO

RAPALLO


Primo piano del "LEONE" facente parte della scalinata realizzata nel 1920

L'ORATORIO DI SANTA MARIA ASSUNTA IN CIELO


MUSEI DELLA DEVOZIONE, DELLA CONSERVAZIONE E DI CONTINUITA’ NELLA FEDE

Iniziamo il nostro percorso rivolgendo lo sguardo verso la tradizione popolare, quella da cui proveniamo, nel ricordo dei nostri vecchi i cui gesti di fede ci hanno illuminato per tutta la vita.

 

LE CASACCE E LE CONFRATERNITE OGGI

Reperti di numerose confraternite liguri rimangono in molti Oratori ormai dismessi e trasformati ad uso civile specialmente nel nostro capoluogo. Parte dei loro beni, come gli artistici crocifissi, rimangono a disposizione delle altre confraternite, che per devozione, possono chiedere il permesso di portare in processione le casse processionali o i maestosi crocifissi.

Alle Casacce è intitolata una via del capoluogo ligure, via delle Casaccie, situata nel quartiere centrale di Piccapietra.

Scriveva lo storico Federico Donaver nel suo Vie di Genova (1912) riguardo a questa via:

« Fu istituita a ricordo delle casaccie, processioni di confraternite, recanti costumi variati, a volte ricchissimi, e crocifissi colossali, una volta molto diffuse in Genova e in tutta la Liguria; ora, almeno in città, andate in disuso. Qui era famosa la casaccia di S. Giacomo delle Fucine. Nella scalinata era l'oratorio di S. Stefano, ed altri ne esistevano nei vicoli vicini, parte dei quali scomparsi, tutti formanti casaccie. »

Nel 1972, la fondazione CARIGE finanziò una ricerca storica sulle casacce che ha portato alla realizzazione dell'omonimo libro, considerato da molti la più grande produzione sul mondo delle confraternite liguri attuali e passate. Alla fine della sua ricerca Fausta Franchini Guelfi scriverà:

« ... chi giudica il Portar Cristi come un fenomeno ormai superato, incompatibile con la civiltà moderna, appare in tutta la sua superficialità non appena si tocchi con mano in qual misura ancora oggi il rito processionale casaccesco e l'attività comunitaria della confraternita esprima valori e soddisfi esigenze profondamente radicate nella cultura popolare ligure. C'è alla base, l'antica fratellanza: ieri fondata sul bisogno della mutua assistenza, oggi isola confortante di solidarietà e amicizia nel disperato mare di anonimi della società massificata. ... In quest'ambito gli oggetti tipici di questa cultura continuano a trasmettere un messaggio straordinariamente vivo: e intorno ad essi, nel grande spettacolo processionale, continuano a svolgersi i gesti di sempre, immutabili e sicuri come il trascorrere degli anni e delle generazioni. »

Nel 2004, in occasione dell'anno in cui Genova è stata Capitale Europea della Cultura fu scritto un testo Portatori di Cristo, con alcune interviste riguardante il tema attuale delle confraternite.

Il presidente della Provincia di Genova, Alessandro Repetto, scrisse:

« ... le Confraternite hanno come elemento caratterizzante quello dell'immutabilità e della fedeltà al rito e alla sua declinazione concreta (dai canti ai paramenti indossati) trattandosi, in sostanza, di una eredità morale e materiale che trovava, e tuttora trova, proprio nel passaggio fra generazioni di fedeli, la ragione del suo resistere all'usura del tempo. »

Nella stessa occasione, l'allora cardinale Arcivescovo di Genova Tarcisio Bertone scrisse:

« ….Tra le pratiche penitenziali, quella di portare nelle processioni una grande croce sulle spalle. Tale forma venne nel tempo mutando e si trasformò in processioni devozionali nella quali il Cristo veniva innalzato ancora con la volontà di presentare al mondo il grande sacrificio di amore con cui Cristo aveva redento l'uomo. »

I NOSTRI CROCIFISSI PROCESSIONALI

Nella nostra regione Liguria, la tradizione di portare i Crocifissi in processione risale al XVI secolo.

La cura con cui viene conservato ogni Crocifisso é improntata ad una fervida venerazione in particolar modo negli Oratori dove esistono antichissime organizzazioni (Confraternite) nelle quali si tramandano: devozione, passione e conoscenza.

Queste sacre testimonianze di fede religiosa sono scolpite da VERI ARTISTI: scultori ed ebanisti. La croce, su cui è deposto il corpo ligneo di Gesù, é decorata in argento battuto. Alle estremità superiori della Croce sono collocati i “canti”, decorazioni costituite da foglie dorate o d’argento.

Nel sentire popolare i Crocifissi si classificano in base al peso ed alle dimensioni:

  • Piccoli: dai 30 ai 80 kg
  • Mezzani: da 80 a 110 kg
  • Grandi: dai 110 kg in su

Il Crocifisso più pesante ancora visibile in processione è il Moro della Ruta di Camogli (conosciuto anche come il Mignanego) del peso stimato di oltre 180 kg.

 

La confessione di un anonimo cristezante:

“Per poter mantenere e migliorare le proprie capacità di cristezante, i confratelli si riuniscono nei propri oratori, o in quelli di altri, per provare i Crocifissi almeno una volta o più a settimana durante tutto il periodo dell'anno. Se la forza può aiutare il cristezante, questa da sola non basta, si deve apprendere una grande capacità di equilibrio, una buona tecnica, tanto spirito di devozione e sacrificio, che dipende molto dalla fede che uno possiede, oltre che la passione con la quale uno diventa e si impegna ad essere un cristezante. Si inizia solitamente in età adolescenziale, cioè intorno ai 15 anni, anche se alcuni anche da bambini; l'esperienza di cristezante non ha termine, anche se la tarda età sopraggiunge, i vecchi cristezanti seguono la processione e la vita della confraternita. Non è raro trovare in processione un cristezante con più di 70 anni”.

Il cristezante possiamo anche definirlo: ATLETA DI DIO. La definizione risulta ambigua se vista soltanto dal punto di vista sportivo che naturalmente é insita nella forza prodotta per sollevare il peso del Crocifisso, ma se ci accostiamo al personaggio riflettendo sul contesto storico da cui proviene, allora ci accorgiamo che il nostro interlocutore é l’antidivo per eccellenza! E’ l’erede dello spirito che ha animato per secoli la confraternita medievale attraverso il culto della carità anonima, del sacrificio non dichiarato, dell’umiltà senza volto che si celava nel caratteristico cappuccio che lo metteva al sicuro dalle tentazioni della gloria, della fama e del potere.

Targa marmorea - Ortorio dei Bianchi

Quando questo è calato sul volto non permette di essere riconosciuti indicando l'anonimato delle buone opere: nessuno sa chi deve ringraziare per il bene ricevuto; sono accumunati il ricco col povero, l'istruito col meno colto.

I CRISTI DI SANTA MARIA DEL CAMPO

RAPALLO

La chiesa parrocchiale

UN PO’ DI STORIA

Le origini dell'odierna frazione di Santa Maria del Campo sono riferibili intorno all'XI secolo quando vengono citate per la prima volta le attuali località di Cassottana, Cavagino e Peragallo, queste ultime richiamanti due tipici cognomi rapallesi. Risale infatti ad un atto del 7 aprile 1049 il testamento di un certo Raimondo del fu Tommaso dove si attesta la sua ultima volontà di donare i propri beni, siti proprio nella località di Gausotana (Cassottana), alla chiesa di Santa Maria di Castello di genova. Le località di Cavalixi e Perogallo (Cavagino e Peragallo) sono invece citate quasi quarant'anni dopo, nel testamento datato al 20 aprile 1089 di un certo Ingo, dove proprio quest'ultimo lascia alla nipote Vida beni nel terreno della località campese.

Un documento del 1184 attesta invece la presenza della locvale chiesa intitolata a Sanctæ Mariæ de Planis, Santa Maria del Piano. La chiesa è ancora segnalata il 19 luglio del 1261 nell'elenco della parrocchie o chiese annesse al "Lodo per tasse al clero". Un dato preciso sulla rettoria di Santa Maria del Campo - anticamente citata come Nostra Donna del Campo - viene indicato nel XVII secolo dove la comunità è composta da 155 famiglie per un numero di 695 abitanti.

Contemporanei scritti descrivono l'urbanizzazione del quartiere degli Amandolesi (Mandulexi nel dialetto locale) - storico nucleo di Rapallo dove furono compresi i nuclei di Santa Maria del Campo, San Pietro di Novella, San Martino di Noceto e in parte Cerisola - caratterizzato dalla folta presenza di nuclei sparsi, maggiormente concentrati lungo la piana del torrente Santa Maria, e dediti alla coltivazione agricola e all'allevamento del bestiame. Secondo i registri parrocchiali, sia nel 1750 che nel 1880, la popolazione della sola comunità di Santa Maria del Campo superava gli 800 abitanti.

Da ragazzino, durante le processioni con i Cristi, i miei genitori si preoccupavano che non mi avvicinassi troppo ai “cristezanti” in movimento che, per quanto forti, coraggiosi ed esperti, erano soggetti anche loro a “defaillance” pericolose per sé stessi e per i fedeli troppo vicini.

In seguito passai tanti anni sulle navi e non ebbi più occasione di vedere un Cristo processionale da vicino.

La rivelazione di questo mondo devozionale l’ho scoperta da anziano, dopo molti anni di frequentazione della chiesa di Santa Maria Assunta della frazione di Santa Maria del Campo, e devo dire un GRAZIE di cuore a don Davide per la sua iniziativa di trasferire due Cristi processionali dall’Oratorio soprastante all’interno della parrocchia.

La presente “modestissima” testimonianza é frutto di una impetuosa curiosità che mi ha spinto a raccogliere qua e là racconti, foto e ricordi di persone che, al contrario dello scrivente, hanno vissuto a Rapallo in quest’angolo di paradiso dove la modernità non ha scalfito minimamente il significato antico della conservazione dei valori cristiani.

IL CRISTO NERO

Sui diversi colori dei Cristi processionali (Bianco, Moro, Nero e Rosso) sono state scritte migliaia di pagine nei secoli; tutte le idee sono rispettabili quando non sono contaminate dalla politica di parte e dalle ideologie razziste. Per chi volesse approfondire il tema, segnalo il Link di un saggio del noto storico Franco Cardini:

LA FESTA. UN MODELLO ANTROPOLOGICO E UNA PROMESSA DI SPERANZA.

https://turismo.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/24/2016/11/Cardini_La-festa.pdf

Ma noi ci accontentiamo della versione più semplice. Un giorno, un celebre scultore delle nostre parti volle usare il suo legno preferito, l’EBANO, un legno nero pregiatissimo, duro e pesante, resistente alle intemperie e alle muffe. L'ebano nero è molto apprezzato in ebanisteria, tanto da aver "decretato" il nome di quest’arte.

La sua scultura, da quel giorno fu chiamata: Il Cristo Nero!


IL CRISTO NERO é stato restaurato nel 2000, il più grande presente nell’oratorio, pesa circa 130 kg. La benedizione dopo il suo restauro è avvenuta nel mese di gennaio del 2001 alla presenza di S. E. Mons. Alberto Maria Careggio.

La figura di Cristo crocifisso con le braccia aperte simboleggia l’abbraccio del figlio di Dio all'umanità.




L’angelo con il calice che raccoglie il sangue versato ci ricorda il sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza.

Sulla stella che ricopre il ventre di Gesù ci sono molte versioni… quella che noi preferiamo é la seguente:

Il Messia annunciato dai Profeti é evocato come una nuova stella: Una stella nata da Giacobbe. I Magi seppero riconoscere questa stella e la seguirono fino a Betlemme. Il manifestarsi di questo astro prodigioso é il segno dell’avvento del Figlio di Dio.


Se guardiamo con superficialità il nostro grande Crocifisso, ci apparirà come una opulenta costruzione barocca ricca di indorature, fregi e fiori argentati, ma se passiamo ad una più attenta contemplazione ci renderemo conto che tutto ciò su cui posiamo lo sguardo ha un significato ben preciso: i nostri grandiosi Crocifissi celebrano il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana.
Dai tre bracci della Croce scaturisce una lussureggiante fioritura della pianta d'acanto dalla quale si diramano numerosi e sottili girali con i loro fiori; la vitalità di questa pianta è data dalla Croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell'umanità e del cosmo. Lateralmente affiora da un lato la palma del Martirio e dall'altro il ramo di ulivo della pace. Tra questi due simboli é incastonata l'effige della Madonna alla quale é dedicata la Chiesa.

Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della Sua passione, morte e risurrezione, fa rifiorire l'umanità, riconciliandola col Padre.

In alto, sopra il cartiglio "I.N.R.I." è posta la corona di gloria per la vittoria sulla morte nel mistero pasquale, oltre è la colomba dello Spirito-Santo.
La Croce da strumento di morte viene vivificata da Gesù, vero albero di vita.

Il CANTO SINISTRO


IL CANTO DESTRO

I CANTI sono i tre lati superiori della croce che appaiono in questa tipologia di Crocifissi con una luminosa infiorescenza di fiori e foglie d’oro e d’argento. La Croce da simbolo di supplizio si trasforma in luce di speranza e di gloria annunciando la Resurrezione di Cristo.


Il quarto CANTO, quello inferiore, nella processione dei Cristi viene alloggiato nel CROCCO, (foto sopra), una specie di robustissimo calice di cuoio fissato, con cinghie adatte allo scopo, sull’addome del CRISTEZANTE. E’ il canto della Croce che poggia sull’umanità anelando al suo diretto contatto fisico. Il “portatore” sente e vive questo peso che non é solo materiale, allegorico, a volte festaiolo, ma anche un peso morale carico di responsabilità. Si tratta di un film antico che non finisce mai di emozionare e di stupire il fedele.

La responsabilità cui ci riferiamo é la PAURA di non farcela a sopportare quel peso, e spesso il “portatore” dialoga con Cristo per acquisire la forza di continuare ancora per qualche metro… poi chiama i suoi fidati stramoei ed avviene il passaggio ad un altro CRISTEZANTE.

Il simbolismo religioso é presente anche in questo delicato frangente: l’uomo da solo non può farcela, deve aver fiducia nel prossimo, in quel rapporto d’amore che proprio Cristo ci ha insegnato!

Il CRISTEZANTE in quel momento riflette l’immagine di quel SIMONE DI CIRENE detto il CIRENEO che si legge nel Vangelo di Marco:

“Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cranio”.

Io credo sia proprio la figura del Cireneo, il primo Cristezante della bimillenaria storia del Cristianesimo a dare continuità e significato ai riti processionali celebrati dalle circa 130 Confraternite sparse per la nostra terra di Liguria.

L’immagine sofferente del CRISTEZANTE è una vera e propria personificazione, non solo con Simone di Cirene ricordato dal Vangelo, ma con tutta la passione di Cristo.

IL CRISTO “NERO”

IL CRISTO “BIANCO”

IL CRISTO “PICCOLO”

Sono custoditi e curati dalla ARCICONFRATERNITA N.S. DEL SUFFRAGIO presso L’ORATORIO DI NOSTRA SIGNORA DELL’ASSUNTA  di cui vediamo l’interno


A Santa Maria del Campo, sul poggio nelle vicinanze della Chiesa Parrocchiale, si trova l’Oratorio dedicato alla Natività di Maria Vergine, e sede dall’Arciconfraternita di N.S. del Suffragio. L’Arciconfraternita fu riconosciuta dalla Curia Romana il 7 dicembre 1604 come risulta dallo statuto conservato con tanta cura. Il 12 maggio 1617 Monsignor Domenico De Marini, Arcivescovo di Genova accolse una delegazione di parrocchiani di Santa Maria ai quali concesse la facoltà di costruire un oratorio.

L’Oratorio fu costruito nel 1618 probabilmente sulle fondamenta di un primitivo oratorio datato 1300, infatti la diversità dei nomi dati all’Oratorio e alla Confraternita confermerebbe la tesi che in un primo tempo venne costruito e dedicato alla Natività di Maria e in un secondo tempo, nel 1618, ricostruito per la Confraternita di N.S. del Suffragio. L’Oratorio è ad un’unica navata con l’altare centrale dietro al quale si trova un dipinto raffigurante un confratello che sotto la protezione di N.S. del Suffragio getta acqua sulle anime del purgatorio nell’intento di purificarle. Il dipinto fu restaurato nel 1905 dal pittore Luigi Antonio Torniene. L’arciconfraternita, che conta all’incirca seicento iscritti è parte integrante della parrocchia, partecipa attivamente durante il corso dell’anno a diversi appuntamenti ed è sempre presente quando un confratello o consorella tornano alla casa del padre, partecipando in raccoglimento e preghiera ai funerali. Sono sempre presenti alle processioni parrocchiali, indossando “cappa” e “tabarro”, antichi vestiti di grande valore storico e portando sempre le “Argentine” che sono antiche icone in argento. Insieme alla parrocchia partecipano ogni anno al pellegrinaggio al Santuario di Montallegro.

L'interno della chiesa parrocchiale di Nostra Signora Assunta

(Prima dei lavori di restauro)

SANTA MARIA DEL CAMPO - RAPALLO


Il secondo Crocifisso denominato dai portantini CRISTO “BIANCO” per il colore dell’immagine di Gesù, é sotto osservazione, pesa circa 110 kg. I suoi “canti” sono ormai ingialliti dal tempo in quanto l’ultimo restauro è datato 1976.


Il Crocifisso “piccolo” pesa circa 50 kg e sulla croce lignea risalta una stupenda immagine antica di Gesù contornata da “canti” scintillanti e di adeguate proporzioni, i ragazzi più giovani portano questo crocifisso nelle nostre processioni.


 



Canto Destro

Canto Sinistro

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Dal sito dei Sestieri di Rapallo

Riportiamo

I “Cristi” e la processione  -  di RAPALLO


I crocefissi processionali o meglio ” i Cristi” sono  una delle principali attrattive delle feste di luglio. Nella Processione della sera del 3 luglio, durante la quale l’Arca Argentea della Madonna viene trasportata nelle principali vie cittadine fra tutte le componenti che la animano si segnalano soprattutto i “portatori di Cristi“.

I Crocifissi sono in genere da cinque a dieci; i più pesanti arrivano sui 170 KG.

I portatöei avanzano lentamente in cappa bianca e il tabarro” con i colori della Confraternita cui appartengono. Ogni tanto la processione si ferma, perché si fanno avanti gli stramöei”, cioè le persone che operano il trasferimento del Cristo da un portatore all’altro; è il momento più difficile e pochi lo sanno.

Il mantinente (maniglione di sollevamento)

Gli stramöei sono i più forti. Essi con una mano sul calcio e l’altra sul chiodo, con uno strappo molto deciso sollevano il corpo del Cristo e lo posano nel crocco del nuovo portatore, cioè in quella tasca di cuoio sorretta dal cinturone e dalle bretelle, in cui si colloca il calcio del Cristo. La tradizione delle Confraternite e dei Cristi è ancora molto forte in tutta la Liguria e continua a resistere al tempo e al mutare delle usanze e dei costumi.


Rapallo – Piazza Cavour


La processione si é fermata dinnanzi alla basilica arcipresbiteriale-collegiata dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo

 

Lo stramôôu che si accinge a fare la sua parte durante una processione indossa la sola cappa legata in vita da un cordone che può avere i colori della confraternita o del tabarino. Al cordone è legato un fazzoletto che serve per asciugarsi le mani dal sudore che potrebbe essere il nemico di una salda tenuta del cristo durante la fase di cambio del camallo. Afferra il mantinente, cioè un manico di acciaio incastrato ortogonalmente alla croce all'altezza dei piedi dell'immagine, a circa 120 cm di altezza da terra. Nella fase di cambio lo stramuo si avvicina al camallo, quando questo sente che la croce è in equilibrio si distacca un poco in quell'istante lo stramuo si avvicina afferrando con la mano principale il mantinente e con l'altra il pessin (la parte finale della croce verso terra), tenendolo in equilibrio sulle sue braccia. La base della croce viene posizionata nel “crocco” una specie di bicchiere in cuoio collegato alle cinghie che s’incrociano sulle spalle dei portatori.

 

Come si può ben capire, per portare il Crocifisso servono braccia robuste e doti di forza congiunte e capacità d’equilibrio, sia i portatori che i “stramuoi” si devono esercitare periodicamente per poter così portare nelle processioni i “Cristi”.
Le ultime foto sopra riportate, riguardano i Cristi dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Campo. Si tratta di tre bellissimi Crocifissi processionali, questi vengono portati in processione in occasione della festa dedicata alla Madonna di Caravaggio l’ultima domenica di maggio e per la festa patronale dell’Assunta a ferragosto.

Inoltre un Crocifisso viene portato in processione al Santuario di Montallegro quando la parrocchia vi si reca per adempiere al voto fatto la prima domenica del mese di maggio.


CURIOSITA’ STORICA

Il fatto che i Cristi vengano portati rivolti all'indietro ha origine da un privilegio concesso da Papa Pio V (Michele Ghisleri da Bosco Marengo) canonizzato nel 1723. Il Pontefice al termine della vittoriosa battaglia di Lepanto avvenuto il 5 ottobre del 1571 concesse ai liguri di poter issare il Crocefisso con l'immagine voltata all'indietro. Questo perché nel corso della battaglia navale tutti i crocefissi che erano issati sulla prua delle galee genovesi vennero voltati all'indietro affinché il sacro legno non venisse visto dagli infedeli e fosse ispiratore di coraggio e infondesse la forza per poter vincere nelle truppe cristiane. In realtà esiste anche una motivazione pratica per tale orientamento, ovvero l'immagine rivolta al portatore garantisce un migliore controllo ed equilibrio al portatore stesso, in quanto il peso è rivolto verso di sé. Questo vale soprattutto per i Crocifissi di medio-grande dimensione.

LA STORIA DEL CAMALLO GENOVESE

I l camallo pourtou è colui che porta il crocifisso in equilibrio. Il termine probabilmente deriva dai portatori di Cristo del Porto di Genova. I portuali che caricavano o scaricavano navi venivano chiamati i camalli del porto, difatti le confraternite con i Crocifissi più antichi appartengono proprio alle zone del porto antico. Il camallo prende il Cristo dallo stramôôu e lo porta finché non comincia a sentire la stanchezza, quindi chiama uno stramôôu che possa trasportare il Cristo ad un altro camallo. Il fatto che i camalli più esperti portano il Cristo senza toccarlo con le mani lo si deve all'esperienza, oltre a garantire un migliore bilanciamento.

I crocifissi possono essere portati dal camallo in diverso modo, in primis se si appoggia sulla spalla destra o sulla spalla sinistra, inoltre a seconda delle preferenze del camallo e del posto in cui lo si porta: lo si può portare di taglio, di mezzacosta o di piatto. I "portoei" e gli "stramoei" "chiamano" il cambio del crocifisso con l'espressione dialettale ligure "vegni" (vieni), a volte contratta in "ve'", o col più arcaico "vegna", per richiamare il "purtou" o lo "stramuou" di turno a fare il cambio.

Pratica usuale (anche se deprecata più volte anche con documenti ufficiali per la sua pericolosità) soprattutto nel Genovesato è quella di far "ballare" i cristi al termine delle processioni al suono della banda. Questo ballo, fatto dai cristezanti più abili di solito con il crocifisso più grande della confraternita "di casa", consiste nel girare in tondo (in dialetto "fare la rionda") e far oscillare il crocifisso a tempo di musica ed è grande prova di abilità, forza ed equilibrio da parte del cristezante. Più difficile ancora (e ciò viene fatto solo da pochissimi cristezanti) è il "ballo" fatto ruotando su sé stessi ("elica") con il crocifisso in crocco.

Franco Casoni: intagliatore e scultore chiavarese, é ritenuto oggi tra i più esperti restauratori di Cristi da processione.

Il 12 gennaio 1829 Antonio Maria Gianelli - arciprete della parrocchia di S. Giovanni Battista a Chiavari – fondò “l’Istituto delle Figlie di Maria SS. dell’Orto”.

Oggi – nell’ambito dei festeggiamenti organizzati dalle suore “gianelline”, in occasione del primo centenario della fondazione dell’omonimo Collegio, “a monte” - L’Associazione Culturale Nuova Eos, ha donato all’Istituto una Croce, sulla quale l’artista Franco Casoni ha intagliato un crocifisso.


Franco Casoni, S. Croce e SS. Crocifisso, Chiavari Istituto Gianelli,  2013, (ripresa al momento della benedizione, sotto il pronao della Cattedrale)
(Foto di E. Panzacchi)

Foto prese dal sito della Confraternita dei Disciplinanti Bianchi di
San Giovanni Battista di Loano - Fondata nel 1262

I canti (i tre lati del Crocifisso) sono opera dello scultore Franco Casoni di Chiavari.

Un ricordo di Umberto Ricci

(a destra nella foto)

MIO PADRE E LE FESTE DI LUGLIO

Tra pochi giorni inizierà la Novena dell’Alba che “apre” le nostre feste patronali… E’ impossibile per me non pensare ancora di più a mio padre, che tanto vi era legato.

Da quando non c’è più, rivivo ogni attimo trascorso con lui durante i tre giorni e la tristezza ha lasciato posto a una sottile malinconia….

Il 1 luglio si è sempre svegliato molto presto per poter essere di aiuto in Basilica per la cerimonia della “Madonna in cassa”. Quando l’organo della chiesa iniziava a suonare e nell’aria si sentiva il profumo dell’incenso, lo vedevo dirigere la processione del Parroco e del Vescovo fino davanti all’Arca argentata. Conoscendo il cerimoniale a memoria, stava attento che tutto si svolgesse senza intoppi e lo aspettavamo all’uscita della Basilica per andare a vedere in passeggiata il “saluto dei ragazzi”.

Al termine, è sempre stata tradizione fare colazione tutti insieme in un bar cittadino; poche volte però si tratteneva con noi a scambiare due parole perchè: ”…Sono iniziate le feste! Ci sono tante cose da fare!”

Il 2 luglio invece la sveglia suonava ancora prima…Nei giorni precedenti in casa si sentiva il ticchettio della sua macchina da scrivere perchè preparava i biglietti con i nomi delle Autorità da sistemare nei posti a loro riservati durante la Messa Solenne e poi per il tradizionale pranzo presso il ristorante Da Marco. Lo incontravo che camminava frettoloso per le vie cittadine ed era impossibile scambiare due parole con lui! Alcune volte riuscivo a rubargli 5 minuti per comprare insieme un po’ di croccante sulle bancarelle: gli piaceva tanto e per noi era un momento tutto nostro per stare insieme.
Negli ultimi anni, alle 11:55, ci davano appuntamento dal ponte Ricci (sul fiume Boate) per assistere insieme al panegirico. Impossibile non pensare a lui ogni anno quando i mortaretti risuonano nell’aria….Chiudo gli occhi e lo vedo felice e commosso… Ci teneva troppo ad essere presente, a non perderli per nessuna ragione al mondo!

Il 3 luglio, invece, era tutto preso dall’organizzazione della processione con l’arca della Madonna. Spesso a casa da noi, all’ultimo momento, portava il Vescovo o qualche prete arrivato da lontano a pranzare. Non avvertiva prima; così, mentre eravamo a tavola, lui entrava con l’ospite inatteso! Santi i miei nonni e mia mamma che riuscivano a non lasciare trapelare la voglia di “strozzarlo” ma aggiungevano un piatto…..!

Alla sera invece non veniva mai a cena perchè doveva preparare il percorso della processione che seguiva con attenzione….lo si vedeva andare avanti e indietro per le strade cittadine e, da quando non c’è più, moltissime persone mi fermano dicendo che notano ogni anno la sua mancanza!

Le nostre feste erano per lui un tesoro prezioso da conservare, da tramandare ai giovani. Erano per lui una dimostrazione di fede in Nostra Signora di Montallegro che mi ha dimostrato in moltissime occasioni. Anche nelle sue ultime volontà ha lasciato scritto di essere accompagnato nel suo ultimo viaggio con le note di “Splende in alto”…

Da quando non c’è più, guardo i colori dei fuochi nel cielo illuminato dalla luce della luna e lo immagino seduto su una nuvola mentre si sta godendo lo spettacolo insieme agli altri angeli!

ELISABETTA RICCI

LE CONFRATERNITE NELLA STORIA

Le Confraternite sono associazioni cristiane fondate con lo scopo di suscitare l'aggregazione tra i fedeli, di esercitare opere di carità e di pietà e di incrementare il culto. Sono costituite canonicamente in una chiesa con formale decreto dell'Autorità ecclesiastica che sola le può modificare o sopprimere ed hanno uno statuto, un titolo, un nome ed una foggia particolare di abiti. I loro componenti conservano lo stato laico e restano nella vita secolare; essi non hanno quindi l'obbligo di prestare i voti, né di fare vita in comune, né di fornire il proprio patrimonio e la propria attività per la confraternita.

Le Confraternite furono antiche nella Chiesa cattolica, onde se ne trova menzione nel quindicesimo canone del concilio di Nantes celebrato nell'anno 895, e se ne fa parola nella vita di San Marziale scritta da uno dei suoi discepoli. Recenti studi comproverebbero l'esistenza di Confraternite in Europa forse già nel quarto secolo, sicuramente in Francia nell'ottavo ed in Italia nel secolo successivo.

Le Confraternite si assunsero inoltre numerosi altri compiti sociali quali l'assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati, agli incurabili, ai carcerati, ai condannati a morte, alle giovani a rischio, si prodigarono per il recupero delle persone deviate e delle prostitute pentite, si impegnarono nel riscatto dei cristiani caduti schiavi dei saraceni. Di grande valore umanitario fu poi l'assistenza agli ammalati contagiosi e la pietosa opera di sepoltura dei morti abbandonati, degli assassinati, dei poveri, delle vittime nelle epidemie, degli stranieri, degli sconosciuti, vero grande problema di quegli oscuri e tumultuosi tempi al quale le Confraternite diedero sempre adeguate risposte. Per l'adempimento di quelle pietose opere di notevole contenuto cristiano, morale e civile, ma ancora per testimoniare fede, umiltà, carità e penitenza, fu necessario indossare un saio e non mostrarsi pubblicamente, nascondere la propria identità, negare il proprio volto coprendolo con un cappuccio, annullando in tal modo completamente la propria personalità, da cui la tradizione tuttora in uso in molte congregazioni.

Le Confraternite ebbero grande sviluppo tra il quattordicesimo ed il diciottesimo secolo, diffondendosi in modo capillare in tutta l'Europa

L'importanza delle confraternite nella Chiesa Cattolica è stata di notevole incisività in particolar modo nei tempi più difficili della sua storia, nel Medioevo e più segnatamente durante il periodo della Riforma protestante ed il loro contributo fu determinante nel battaglia per contrastare il protestantesimo in Italia, nella lotta alle eresie ed in tutte le altre vicende interne ed esterne alla Chiesa Cattolica.

La funzione delle Confraternite resta dunque importante per il lungo cammino percorso sulla via della speranza, per il patrimonio di esperienze acquisite nelle opere di apostolato, per la secolare presenza nella Chiesa e nella società e per la funzione di raccordo svolta tra di esse, bagaglio prezioso non facilmente sostituibile, né tanto meno surrogabile.

Esse vengono da lontano e sicuramente andranno lontano.

Tra i maggiori artisti di statue per gli artistici crocifissi c'è Domenico Bissoni,* autore di alcuni dei più antichi crocifissi processionali di grandi dimensioni, tra cui il più famoso, il Cristo delle Fucine, appartenente alla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine e attualmente conservato presso L’Oratorio di Sant’Agostino Abate (Genova) detto della Marina; il figlio di Domenico Giovanni Battista Bissoni; Anton Maria Maragliano*, che ha prodotto anche molte statue processionali, Pasquale Navone e nella metà del XIX secolo è molto laborioso lo scultore savonese Antonio Brilla.

*Domenico BISSONI

di Francesco, detto Veneziano. - Scultore. Operava già nel 1597 a Genova, ove morì nel 1645. Intagliò, tra l'altro, un gruppo processionale di quindici statue, poi distrutto. per l'oratorio della Santa Croce a Genova, e soprattutto crocefissi d'avorio e di legno, fra i quali notevoli sono quelli dell'oratorio di S. Giacomo Maggiore e di S. Maria d'Albaro a Genova. Aggraziata è la sua Madonna del Rosario nella chiesa di S. Stefano di Polcevera. Nel 1608 con Daniele Casella e G.B. Carloni eseguì gli ornamenti marmorei delle nicchie della cappella del Battista in S. Lorenzo (sempre esistenti).

*Anton Maria Maragliano

nativo di Genova, secondo alcune fonti nella zona della chiesa di Santo Stefano, fu il figlio di un fornaio genovese benestante. Sarà nel 1680 che entrerà nella bottega artigiana dello zio materno Giovanni Battista, con regolare contratto di accettazione, dove apprenderà l'arte della scultura e vi si specializzerà. Già nel 1688 è titolare di una propria bottega artigiana dove si formeranno, oltre al figlio Giovanni Battista, gli scultori genovesi Pietro Galleano e Agostino Storace.

Maragliano morirà il 7 marzo del 1739, presumibilmente nel capoluogo ligure, dove verrà sepolto all'interno della chiesa di Santa Maria della Pace di Genova.

Conosciuto soprattutto per le sue sculture lignee, fu attivo fra la fine del Seicento e i primi quattro decenni del secolo successivo, in particolare a Genova dove tenne una rinomata bottega. Ebbe il suo studio accanto alla chiesa del Rimedio di via Giulia.

Rinnovò in chiave barocca e pre-rococò l'arte del legno, operando una "riforma" collegata alla poetica di grande decorazione contemporaneamente svolta da Filippo Parodi nel marmo e Domenico Piola nella pittura e attuando un efficace compromesso tra ispirazione aulica e gusto popolaresco.

Furono interessati molti oratori e altari di chiese e di santuari.

Il suo laboratorio produsse numerose tipiche sacre rappresentazioni, raffiguranti Madonne, santi, scene bibliche e statue da presepio, diffuse in chiese, oratori e santuari di tutta la Liguria, in particolare a Genova, Rapallo (Chiesa di San Francesco, nella cappella a sinistra della navata maggiore, il gruppo ligneo del Cristo incoronato di spine), Chiavari, Celle Ligure, Cervo, Savona) ma anche in Spagna. Numerose anche le casse e crocifissi da processione prodotti per le Casacce (le potenti confraternite genovesi).

 

STATUTO GENERALE DELLE CONFRATERNITE E DEL PRIORATO DELLE CONFRATERNITE DELL’ARCIDIOCESI DI GENOVA

LINK

https://www.oratoriodelmonte.it/assets/statuto-confraternite-con-decreto2.pdf

CHIESA DI NOSTRA SIGNORA ASSUNTA

SANTA MARIA DEL CAMPO

Veduta del leccio storico e del campanile parrocchiale

 

 

Dal sito della Parrocchia riportiamo:

Nei primi giorni di ottobre 2018, il leccio secolare posto a fianco della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo è stato sottoposto ad un importante opera di potatura resasi necessaria per diminuire peso e volume della pianta.

Questa operazione ridimensionamento si è resa necessaria in quanto alcune perizie hanno constatato che il tronco del leccio è minato da un fungo che ne indebolisce la consistenza. Quindi alleggerirlo in modo significativo è diventata una scelta inevitabile per evitare il pericolo che l'albero si spezzi o che se ne verifichi uno sradicamento con conseguenze facilmente immaginabili.

Come era prevedibile l'operazione di potatura del leccio è stata accolta da qualcuno con qualche perplessità. Tuttavia questa dolorosa soluzione è la unica che consente di prolungare la vita della pianta. Naturalmente continueranno anche in futuro i monitoraggi periodici che vengono fatti ormai da anni per individuare eventuali criticità che possano far diventare l'albero un pericolo per transita e sosta nei pressi della chiesa parrocchiale.

 

L'interno della chiesa parrocchiale

Nostra Signora Assunta

(dopo i lavori di restauro)

 

14/8/2015 - Al centro, tra don Luciano e don Davide, il vescovo S.E. Mons. Alberto Tanasini benedice i lavori di restauro

Dal sito della Diocesi....

RAPALLO – Nella festa in onore di Maria Assunta in cielo, la comunità parrocchiale di Santa Maria del Campo di Rapallo ritrova lo slancio per iniziare già in terra quel cielo che vive in pienezza la Madre di Dio. Nella festa dell’Assunzione, la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo Tanasini nella Chiesa restituita alla sua primitiva bellezza dopo il devastante incendio che la distrusse nel giugno 2010. Festa nata da una intuizione profonda del popolo, ricorda monsignor Tanasini. Colei che è stata Immacolata e Vergine non poteva non entrare con il suo Figlio nella gloria.  Da qui dunque una domanda che attraversa il cuore dell’uomo: quando una vita è compiuta? Successo, soldi, l’esercizio di un potere che diventa affermazione sugli altri sono spesso le nostre risposte. Ma sono solo un grande inganno sottolinea il Vescovo.  Maria ci presenta il compimento di vita dato dall’entrare nella gloria. E nel contempo continua senza sosta il recupero dell’edificio sacro. Dopo il rinnovamento del sagrato, degli interni e della statua lignea di Maria, nel corso della festa è stato inaugurato il restauro dell’organo a canne. Lo strumento datato 1793 è stato rimesso a nuovo grazie ai fondi della Compagnia San Paolo, dell’Otto per Mille e del Comitato Festeggiamenti.

Il concerto inaugurale

L'inaugurazione dei restauri è avvenuta domenica  9 agosto 2015 con il primo concerto rapallese del XVII Festival Organistico Internazionale “Armonie Sacre percorrendo le Terre di Liguria”.

Ne sono stati protagonisti gli organisti svizzeri Gabriele e Hilmar Gertschen e l’Ensemble Rapallo Musica diretto da Filippo Torre. Il folto pubblico presente ha così avuto la rara opportunità di ascoltare dal vivo un intressantissimo e molto apprezzato repertorio per organo e orchestra.

 

La chiesa di Santa Maria Assunta a navata unica, racchiude un significato simbolico. Esso deriva non solo dalla struttura architettonica del soffitto che spesso nelle chiese romaniche e gotiche ha la forma di una carena capovolta, ma anche e soprattutto dalla "barca" da cui Gesù ammaestrava le folle (Luca 5,3), come anche dalla barca-chiesa che san Pietro Apostolo guida nella tempesta (Matteo 8, 23-27; 14, 24-34) e che i vescovi continuano a guidare ovunque ed in ogni epoca. Nell'VIII secolo san Bonifacio scriveva che "la Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com'è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare".

La statua della Madonna Assunta


Nella Chiesa parrocchiale Nostra Signora Assunta, impregnata di arte BAROCCA, ho contato un centinaio di Angeli e angioletti, arcangeli e cherubini, messaggeri celesti e guerrieri alati, ma anche putti, amorini e cupidi che popolano l'arte figurativa  di ogni tempo e paese.

Nelle Litanie lauretane, che si recitano alla fine del Santo Rosario, la Madonna viene salutata con l’appellativo di “Regina degli Angeli”. Maria, proprio perché profondamente inserita nel mistero trinitario del Verbo, si eleva al di sopra di tutte le creature, non solo terrestri, dai profeti agli Apostoli, dalle vergini ai martiri, ma delle stesse creature angeliche. Cristo Gesù, non solo come Dio è Signore e Padrone dell’universo, ma anche come uomo - Dio è re di tutti gli uomini e di tutte le creature, compresi gli Spiriti celesti che sono i “suoi angeli”. L’evangelista Marco, parlando della seconda venuta di Cristo, profetizza: “Si vedrà allora il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e grande gloria, e allora manderà i suoi angeli a riunire i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc. 13, 26). Gesù Cristo è infatti Figlio di Dio non per adozione ma per natura, mentre gli angeli non sono che servi e figli adottivi di Dio.

La pregevolissima opera lignea é opera dello scultore genovese Giovanni Battista Drago ed é stata realizzata nel 1864.

 

L'ORGANO

 

L’organo è senza dubbio una delle opere d’arte più importanti custodite all’interno della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo. Nell'agosto del 2015 la chiesa si é arricchita di una nuova importante opera restaurata: l’organo Luigi XV della seconda metà del secolo XVIII. La bottega organara DELL’ORTO e LANZINI di Dormelletto (Novara) ha curato il restauro della parte musicale mentre il laboratorio artigiano CALZOLARI – GARBARINO si è occupato di riportare all’antico splendore la cassa d’organo in essenza di pino laccata in policromia. Si tratta di un pregevolissimo esemplare di scuola settecentesca ligure, costruito da Francesco Ciurlo di Santa Margherita Ligure nel mese di maggio dell’anno 1793, come si legge sul cartigliomanoscritto incollato sul frontalino sopra la tastiera.

La struttura ad armadio centinato è composta da due parti principali: la parte inferiore è formata da quattro lesene e da due ante a pannelli poste ai lati della tastiera.

La parte superiore è composta da due lesene tra le quali vi sono quattro ante con apertura a gabbiano che racchiudono una splendida trifora riccamente intagliata. Il cappello è un trionfo di sagome centinate e modanate a sbalzo, sormontato da una splendida cimasa riccamente scolpita a motivi vegetali e floreali.

Tutte le lesene, comprese le due ad angolo, sono decorate di lacca blu, contornate da sagome e ornate con intagli a motivo flroreale decorate in lacca ocra.

Lo strumento, a trasmissione meccanica, dispone di una tastiera, una pedaliera e 12 registri più due effetti “speciali”: il Tamburo e i Rosignoli.
L’organo è stato filologicamente restaurato al fine di recuperare la piena funzionalità e le caratteristiche sonore di un tempo, pensate appositamente per la chiesa di Santa Maria.

Io sono convinto del carisma particolare con cui la musica riesce a toccare l’animo delle persone e parlare al cuore di tutti attraverso un linguaggio universale. Ma la musica é anche la via d’accesso alla spiritualità, alla riflessione su tematiche profonde come la fede e sul mistero

L’affinità tra musica e dimensione spirituale ha radici antichissime che, seppure in forme diverse, si è manifestata e si manifesta nella maggior parte delle culture umane. Ma come si raggiunge il divino? Da sempre i fedeli si pongono questa domanda ed elaborano numerosi tentativi di rispondervi. Spesso è la preghiera lo strumento privilegiato per collegarsi alla sfera del sacro e varie sono le modalità di attuarla; offerte, recitazione di parole, digiuni, astinenze, ma anche attraverso il canto e/o l’utilizzo di strumenti musicali.

Fin dalla notte dei tempi, la musica è sempre stata associata al divino. Si è sempre pensato che la musica unisse l’uomo alle divinità e tuttora si ritiene che l’universo si sia creato tramite un suono magico: AUM, da cui tutto è nato. Il suono stesso è ritenuto di origine sacra e la stessa musica è considerata qualcosa di potente e di enigmatico.

Il TRANSITO  E L'ASSUNZIONE DI MARIA VERGINE IN CIELO


Nel catino absidale abbiamo due pregiatissimi affreschi che ci mostrano: L'Assunzione di Maria Vergine in cielo.

Navata centrale della chiesa di Luigi Morgari realizzata nel 1903 e raffigurante l'incoronazione di Maria nella gloria del paradiso.

Lo sguardo missionario, universale si allarga anche al cosmo. L'artista barocco non limita mai il suo punto di vista alla chiesa terrena per quanto forte e gloriosa possa essere. Egli coglie il legame fra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante e si compiace di sottolinearlo.

SACRO CUORE DI GESU'

 

Altare barocco con colonne a tortiglione. Di lato si notano gli strumenti del supplizio di Gesù Cristo

 

 

 

Il gruppo artistico degli Angeli in posizione plastica sopra la lunetta ha un fascino sublime

 

ALTARE MAGGIORE

 

Martedì 1 novembre 2016, Festa di Ognissanti, è stato benedetto il nuovo altare della nostra Chiesa Parrocchiale.
Il manufatto, che va ad abbellire ulteriormente l’edificio di culto rimesso a nuovo in moltissime delle sue parti negli ultimi anni, è stato donato dal Comitato Festeggiamenti Santa Maria impegnando il ricavato delle sagre gastronomiche realizzate in occasione delle feste patronali degli ultimi anni.

L’altare, che riprende motivi stilisti ed elementi architettonici ricorrenti all’interno della chiesa è stato progettato dall’architetto Stefano Tassara, realizzato con la struttura lignea da Luciano Canepa e decorato con effetto marmo dalla Ditta Calzolari e Garbarino di Santa Margherita Ligure.
La decorazione riprende le tinte dell’onice rosso,  bianco statuario, grigio bardiglio e nero portoro; al centro del fronte principale è stato realizzato a rilievo e indorato lo stemma di San Bernardino IHS acronimo di Iesus Hominum Salvator.

CRISTO SENZA CROCE

La passione e morte è l'ultimo evento della vita di Cristo. Negli altri misteri (che colgono un aspetto della vita di Cristo) non si contempla in modo esplicito la croce, per quanto ogni mistero rinvii a tutti gli altri e certo alla croce. (di anonimo)

 

Altare dedicato alla

Madonna di Caravaggio

 

Le caratteristiche fondamentali dell'architettura barocca sono le linee curve, dagli andamenti sinuosi, come ellissi, spirali, o curve a costruzione policentrica, talvolta con motivi che si intrecciano tra di loro, tanto da risultare quasi indecifrabili. Tutto doveva destare meraviglia e il forte senso della teatralità spinse l'artista all'esuberanza decorativa, unendo pittura, scultura e stucco nella composizione spaziale e sottolineando il tutto mediante suggestivi giochi di luce ed ombre.

L'artista: Antonio Canepa


MADONNA DEL ROSARIO

Madonna del Rosario - Altare

Il rosario, a partire dal XIII secolo acquisì il significato religioso indicante le preghiere che formano come una "corona", ovvero una ghirlanda di rose alla Madonna.


Le sue origini sono tardomedievali: fu diffuso grazie alle Confraternite del Santo Rosario, fondate da Pietro da Verona, santo appartenuto all'Ordine dei frati predicatori, tanto che se ne attribuì la nascita ad un'apparizione della MADONNA, con la consegna del rosario al fondatore dell'Ordine SAN DOMENICO.

Interessante e di particolare valore artistico è questo dipinto raffigurante la Madonna del Rosario  fra San Domenico, San Rocco e San Giuseppe (posizionato nel secondo altare a sinistra dall'ingresso), restaurato presso il Laboratorio di Restauro della Regione Liguria nel 2013 a dell'Associazione Santa Maria del Campo, è riferibile alla pittura ligure del primo quarto del XVII secolo.

Nutritosi alle fonti disegnative di Giovanni Battista Paggi, l’autore è incline a forzature tardomanieristiche, che interessano le opere pittoriche di quegli anni e si accosta, anche per la ricercatezza cromatica, recuperata dal bel restauro, ad analoghe soluzioni sperimentate da Andrea Ansaldo, al quale rimandano anche la deformazione anatomica della gamba destra di San Rocco (si veda la Fortezza di Palazzo Ducale a Genova) e la postura in contrapposto della figura di Maria (si vedano ad esempio le Virtù cardinali affrescate nelle lunette di Villa Spinola San Pietro a Sampierdarena databili entro il 1625).

Splendida la risoluzione cromatica, ricca di sfumature, degli azzurri del manto e dei rossi della veste di Maria: una sinfonia di colori sulle note del blù e del rosso, dove ogni ombra è resa per caricamento o alleggerimento del tono, con tenui variazioni e con totale assenza del nero.

CROCIFISSIONE

Nell’area absidale della nostra Chiesa Parrocchiale si trovavano due dipinti su tela: sulla destra quello raffigurante la CROCIFISSIONE, sulla sinistra quello raffigurante l'ASCENSIONE DI GESU' CON SAN GIOVANNI BATTISTA e SANT'ANTONIO, entrambi restaurati dal Laboratorio Martino Oberto Studio Opere d’Arte di Carla Campomenosi e Margherita Levoni di Genova nel 2013 a cura dell'Associazione Santa Maria del Campo.

LA CROCIFISSIONE ( Pittore ligure, attivo nel XVII secolo, olio su tela, cm 250 x 164) ornava in origine il primo altare a sinistra, intitolato al Santissimo Crocifisso.

Si sa infatti che nel 1605 certo Bernardo Moltedo "donava un artistico quadro per l'altare del Crocifisso".

Acquistato nel 1807 un'altro quadro la tela raffigurante LA CROCIFISSIONE venne tolta dalla sua ubicazione originaria e collocata nel presbiterio.

Importante quale testimonianza storica dell’antica devozione verso il SS. Crocifisso, il dipinto è da riferire a un artista ligure che elabora senza particolare novità stilemi tardo cinquecenteschi.

 

ASCENSIONE DI GESU' CRISTO

La tela di fronte al Crocifisso, raffigurante l’Ascensione di Cristo e i Santi Giovanni Battista e Antonio proviene secondo Casotti dalla cappella di San Lazzaro, l’antico lebbrosario di Rapallo.

La proprietà dell’opera fu oggetto di contesa all’inizio del XVIII secolo (1707) fra la parrocchia di Santa Maria del Campo, che evidentemente la spuntò, e la parrocchia di San Massimo, alla quale forse giunse la tela raffigurante la Crocifissione con la Madonna e Santa Maria Maddalena..

Il dipinto palesa l’influenza sulla pittura ligure della seconda metà del XVII secolo della cultura emiliana, in particolare correggesca, studiata e ammirata dagli artisti barocchi a cominciare da Pietro da Cortona e in Liguria frequentata soprattutto da Domenico Piola, Stefano Gaulli detto il Baciccio e Gregorio De Ferrari, dal quale sembra trarre ispirazione l’anonimo autore del dipinto di Santa Maria del Campo, forse un frequentatore della bottega di Gregorio, del quale non raggiunse tuttavia l’altissimo livello qualitativo.

L'ORGANO CON LE VOLTE DECORATE

Visto dall'ALTARE MAGGIORE

Pulpito

 

Particolare del Pulpito marmoreo

 

SANTA FLORA

 

Nicchia con statua dedicata a Santa Flora

 

Riprendendo un'antica tradizione andata in disuso per qualche anno, la comunità parrocchiale di Santa Maria del Campo, 31 luglio di quest’anno ha festeggiato Santa Flora di Cordova di cui conserva alcune preziose reliquie poste nella teca dell'altare del Sacro Cuore.

Santa Flora nacque a Cordova nella Spagna islamica, da padre musulmano e madre cristiana. Una volta morto il padre fu educata al cristianesimo insieme alla sorella Baldegoto ma fu osteggiata dal fratello musulmano. Scappò una prima volta dalla casa natale per farvi poi ritorno poiché suo fratello aveva fatto imprigionare dei religiosi e dei chierici per ricattarla. Tornata, fu brutalmente battuta. Si allontanò di nuovo da casa per anni e ne fece ritorno per volontà di martirio.  Flora sapeva del destino che l'avrebbe aspettata se si fosse consegnata al cadì. Fu imprigionata ed in carcere conobbe Eulogio, uno dei martiri di Cordova, che diede notizia del suo martirio, trafitta con la spada. In seguito, anche il martire perì decapitato per aver professato la fede cattolica.

Si disse che il corpo della Santa, dopo essere stato gettato nei campi, fu rispettato dagli animali selvatici che non se ne nutrirono. Il suo emblema è la palma.

CHIESA DI SANTA MARIA DEL CAMPO

 

 

Lo spazio parrocchiale di Santa Maria del Campo inizia  a monte con questa edicola dedicata alla Madonna

Il rissëu ligure

Il mosaico a ciottoli in Liguria è denominato ”rissëu”.

L’origine conosciuta di questi mosaici in Liguria risale all’incirca al XIV e XV secolo: questo è il periodo in cui questa arte ha cominciato a diffondersi e ad affermarsi. Sicuramente ad oggi la Liguria è la regione italiana con il più alto numero di mosaici di ciottoli.

Sicuramente, i naviganti genovesi, oltre ad  instaurare scambi e  relazioni commerciali con i popoli del Mediterraneo, importarono in patria  anche la  nobile arte del mosaico a ciottoli.

La Liguria, che è  una catena montuosa affacciata sul mare, è geologicamente ricca e quindi ha garantito nel tempo l’abbondanza e la facile reperibilità dei materiali lapidei, naturalmente presenti sulle spiagge e sui greti dei torrenti.

Inizialmente questi mosaici  decoravano i sagrati, gli spazi antistanti e vicini ad edifici religiosi, chiese, chiostri e conventi. Questi mosaici dalla forte carica simbolica, contenenti  fitte trame di segni, densi di significati metaforici e anche metafisici, fungevano quindi da luogo di passaggio della coscienza umana, dal mondo esterno alla sfera del sacro. Erano un tramite per i fedeli che entravano nel luogo di culto.

UN PO' DI STORIA:


dal sito web della parrocchia riportiamo:

Le origini di questa frazione del comune di Rapallo non sono di facile reperibilità, e i primi riferimenti storici certi risalgono all'anno Mille.

Un atto datato 7 aprile 1049 documenta la donazione a Santa Maria di Castello in Genova, da parte di un tale Raimondo (di cui non si sa molto) di terreni ed altri beni situati in località "Gausotana" (Cassottana), mentre il 20 aprile 1089 è un certo signor Ingo che lascia a sua nipote di nome Vida i beni posti in località "Cavalixi" (Cavaggin) e "Perogallo".

E' del 16 aprile 1184 l'atto di vendita, da parte dei coniugi Grimaldo e Alda, di loro terreni dal fossato di Noceto sino alla strada ; e dalla chiesa sino alla costa di Ruta, e questo conferma l'esistenza di un edificio sacro in loco, anche perché, sempre secondo quest'ultimo documento, a quel tempo esisteva una chiesa intitolata a S. Maria del Piano (" Sanctae Mariae de Planis", successivamente Santa Maria del campo).

Altro documento del 23 luglio 1201 menziona un certo Gandolfo Merlo quale rettore della chiesa di Santa Maria, e proprio quest'ultimo attesta di aver ricevuto 20 soldi da un certo Alberto per la fornitura di un barile d'olio.
La certezza dell'esistenza di una chiesa a Santa Maria la troviamo in un atto del notaio Giovanni d'Amandolesio del 19 luglio 1261 che menziona l'elenco delle Parrocchie annesse al "Lodo per tasse al clero" e tra cui troviamo appunto Santa Maria, oltre a San Massimo, Foggia, Novella e altre.

La chiesa e l'intera frazione si sviluppò nel corso degli anni, e una relazione del parroco datata 1533 indica che le anime presenti all'epoca erano 536 e secondo i registri parrocchiali raggiunsero nel 1750 la cifra di ottocento abitanti.

La chiesa era sorta in una posizione dominante su tutta la valle, e nel corso degli anni subì una radicale trasformazione.

Infatti, fu la Curia genovese a sollecitare l'esecuzione di lavori, come apprendiamo da una lettera del vicario del 26 luglio 1610 in cui si legge: "Ci vien fatto notizia che la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo di costì non è ancora del tutto restaurata  conforme a quello che fù ordinato in visita".
Pertanto, l'anno seguente l'arciprete di Rapallo potè benedire il nuovo altar maggiore dedicato alla Vergine Assunta.

Ma è nei primi anni dell'Ottocento che la chiesa si arricchisce anche dei suoi quattro altari che possiamo osservare ancora oggi; il primo, eretto nel 1807, è dedicato a Nostra Signora di Caravaggio, il secondo a Nostra Signora Addolorata , il terzo al Santissimo Rosario ed infine il quarto è dedicato al Crocifisso; in quest'ultimo altare, nel 1824 il parroco Cavagnaro fece incastonare una teca contenente la Reliquie di Santa Flora.
I parrocchiani "Campesi" si impegnarono costantemente per rendere sempre più bella la loro chiesa, e proprio per questo motivo l'arcivescovo di Genova, monsignor Luigi Lambruschini, visitò la parrocchia e la elevò a Prevostura.

È nel 1793 che, grazie a Francesco Ciurlo, la chiesa venne dotata di un organo; nel 1864 viene poi commissionato il gruppo processionale dell'Assunta a Gio Battista Drago, scultore di Genova, la cui opera verrà in seguito abbellita dal campese Antonio Canepa, artista di grandi doti al quale si deve la realizzazione della statua della Madonna di Caravaggio.

Ma l'elemento architettonico che più di tutti gli altri colpisce il visitatore che arriva a S.Maria è l'imponente scalinata costruita nel 1920 e che conferisce alla chiesa ancor maggiore risalto.
L'opera fù realizzata grazie al contributo di Francesco Cassottana, sotto la supervisione del parroco di allora Silvestro Maggiolo, che resse la parrocchia dal 1895 al 1949.
Arriviamo al 1934, quando l'edificio viene dichiarato Monumento nazionale; nel 1949 la parrocchia passa nelle mani di don Angelo Cattoni, a cui si deve la costruzione dell'asilo infantile che verrà inaugurato nel 1964 oltre ad altre opere.

L'attuale concerto di 12 campane risale agli anni 1957 - 59, e da allora il loro suono scandisce la vita di tutti gli abitanti di Santa Maria.

Nel 1970 don Cattoni lascia il posto a don Gerolamo Noziglia che guida la parrocchia sino al 1991, sostituito dall'attuale parroco Don Luciano Pane .

Da queste poche righe, si può notare come la chiesa di S.Maria rappresenti un edificio ricco di memorie per tutti i campasi e rapallesi che, il 15 agosto d'ogni anno, si danno appuntamento per una solennità mariana che, sorretta dalla forza vitale della tradizione, è festa di popolo.

In questa tabella sono elencati tutti i parroci che nel corso del secondo millennio hanno prestato il loro servizio in questa Parrocchia, dalle origini conosciute fino ai nostri tempi.

1201 - 1226

GANDOLFO MERLO

1239 - 1263

GIOVANNI di Campo

1263 - 1270

GUGLIELMO di Rapallo

1270 - 1290

ANDREA FERRARI

1310 - 1313

MATTEO

1320 - 1332

PASQUALE

1357

DOMENICO

1423 - 1466

CARLINO di Nascheto

1479 - 1480

TOMMASO GIUDICE

1480

PAMMOLEO BARTOLOMEO di Levante, poi Vescovo di Accia in Corsica

1490 - 1517

BADARACCO

1517 - 1520

GIUDICE BIAGIO

1520 - 1530

SALVAGO PANTALEO

1531 - 1564

BOERO BERNARDO di Taggia

1564 - 1568

UGOLINI FRANCESCO

1568 - 1573

BORZESE STEFANO di Rapallo

1573 - 1584

RUSTICI TOMMASO di Cavizzano - Piacenza

1585 - 1621

BERNARDINI MICHELE di Piacenza

1622 - 1640

CAFFARENA BENEDETTO

1640 - 1644

MARCONE FRANCESCO di Moneglia

1644 - 1685

PERAGALLO PROSPERO di Ruta

1686 - 1704

VASSALLO FORTE di Portofino

1704 - 1710

FLORIA GIOVANNI BATTISTA di S. Margherita Ligure

1710 - 1739

PERAGALLO FRANCESCO di Camogli

1739 - 1793

PERASSO ANTONIO MARIA di Maissana

1794 - 1822

DEMARTINI FRANCESCO di Lorsica

1822 - 1858

MINOLLI VINCENZO di Masso

1895 - 1949

MAGGIOLO SILVESTRO di Camogli

1949 - 1978

CATTONI ANGELO di S. Margherita Ligure

1978 - 1991

NOZIGLIA GEROLAMO di S. Massimo - Rapallo

1991 - 2015

2015 -

PANE LUCIANO di S. Margherita Ligure

SACCO DAVIDE di Rapallo

“QUASI OLIVA SPECIOSA IN CAMPIS”
Una gloriosa bandiera, tanti significati

L’inaugurazione del nuovo vessillo del Comitato Fuochi Santa Maria in programma il 14 agosto 2018 è l’occasione per analizzare un dettaglio molto particolare della vecchia bandiera del Quartiere Chiesa, datata 1928, che proprio quest’anno festeggia i suoi primi 90 anni.

Oltre all’immagine della Madonna Assunta dipinta a mano su stoffa, l’elemento che più incuriosisce l’osservatore è sicuramente la dicitura che campeggia ai piedi dell’effige mariana, ossia:
“Speciosa in campis”.
Trattasi di un estratto da un versetto biblico (Libro del Siracide 24,14), nel quale Maria viene chiamata “uliva” nella frase “Quasi oliva speciosa in campis”, la cui traduzione letterale sarebbe “come un ulivo che svetta maestoso nella pianura”.

Se si considera che l’olio d’oliva è citato nella Bibbia circa duecento volte, sia per quel che concerne gli usi quotidiani, che per gli usi più strettamente sacri, si capisce la rilevanza assoluta che l’albero di ulivo ha da sempre avuto nella storia dell’umanità.

Dalla sua importanza materiale deriva evidentemente la sua rilevanza sacrale, tanto da simboleggiare direttamente la benedizione di Dio, come si legge nel Deuteronomio (Dt. 11, 13-17).

Associato nei testi sacri frequentemente alla festa (Sal. 104,15), dalle notevoli proprietà terapeutiche, l’uso dell’olio d’oliva si inserisce costantemente nel contesto di situazioni aventi per protagonisti i sacerdoti, i profeti, i re e gli ospiti importanti, ai quali conferisce sacralità, onore ed autorevolezza.

La tradizione artistica delle rappresentazioni sacre e della Vergine documenta da sempre il tributo all’albero dell’ulivo ed ai suoi frutti; a tal riguardo, per restare dalle nostre parti, merita particolare rilievo quello dedicato nel 1888 dal celebre pittore genovese Niccolò Barabino con la sua splendida “Madonna dell’olivo”, celeberrimo dipinto nella parte inferiore del quale si legge, guarda caso, il predetto versetto “Quasi oliva speciosa in campis”.


A questo punto la domanda sorge spontanea, ossia quali fossero state le motivazioni che hanno indotto i committenti e/o il decoratore del vessillo del 1928 a scegliere proprio questo versetto e non altri tra i numerosissimi dedicati alla Vergine nei testi sacri.

Le motivazioni potrebbero essere molteplici soprattutto se valutate da diversi punti di vista personali, ma il primo elemento che balza all’occhio è sicuramente la parola “campis”, termine immediatamente riconducibile a “Campo”, toponimo di Santa Maria in epoca antica.
Analogamente, il riferimento all’albero di ulivo che si erge maestoso nella pianura potrebbe far pensare alla volontà di mettere in risalto la collocazione di pregio della chiesa parrocchiale in un contesto urbano all’epoca decisamente rurale; l’edificio religioso infatti, ancor prima della realizzazione della scenografica scalinata nel 1920 e della successiva realizzazione dell’attuale facciata, era ben visibile anche da molto lontano proprio per la sua posizione sopraelevata rispetto al “campo”.


Proprio sulla nuova facciata degli anni ’20, sull’altorilievo soprastante la statua dell’Assunta, è ancora possibile leggere chiaramente, accanto al monogramma mariano, il versetto biblico “Quasi oliva speciosa in campis” , iscrizione riportata sul “nastro” che lega due ben evidenti mazzi di rami d’ulivo.

Restando in tema di olive, un ulteriore spunto riconducibile alla vita prevalentemente a carattere agreste di inizio novecento, potrebbe essere il fatto che buona parte (se non tutti) i componenti del comitato ideatore della vecchia bandiera (Giacomo Oliveri, Vittorio Valle, Giuseppe Valle, Michele Macchiavello, Silvio Costa, G.B. Schiappacasse) fossero dediti alla coltivazione delle olive.
Tra l’altro, ulteriore curiosità, dai ricordi tramandati sembrerebbe che i promotori, anziché autotassarsi come spesso accade in questi casi, avessero organizzato una specie di lotteria parrocchiale.

Restando più legati alla bandiera, questo “svettare maestoso” dal sapore biblico potrebbe essere riferito al fatto stesso che il vessillo era all’epoca (e rimane tutt’ora), uno dei più imponenti della zona, come si evince chiaramente da un pregevole documento scritto, datato 15 agosto 1928, a firma Piero Simonetti di Emilio (consultabile integralmente sul sito www.santamariadelcampo.it), in cui si legge che “….La festa ebbe inizio domenica 12 quando fu benedetta la nuova grande bandiera genovese destinata a dominare non solo sulla sparata maggiore del giorno 15, ma anche su tutta la festa. La nuova maestosa bandiera è la più grande che Rapallo abbia: misura nove metri di lunghezza per sette di larghezza…”


Detto questo, sperando di non aver annoiato, bensì incuriosito ulteriormente, l’attento lettore, con la speranza di aver fatto cosa gradita con questa mia semplice analisi, sono sicuro che anche il nuovo vessillo del Comitato Fuochi saprà offrire numerosi ed interessanti spunti di riflessione che, chissà, tra altri cento anni potranno a loro volta essere riscoperti ed apprezzati dalle nuove generazioni di sanmariesi.

Stefano Podestà

NEI DINTORNI DI

SANTA MARIA DEL CAMPO

A Santa Maria del Campo, presso la Cappella Gesù Misericordioso (ponte nuovo) nel mese di gennaio si tiene la presentazione del LABORATORIO DI PREGHIERA E VITA che si propone di accompagnare i partecipanti in un rapporto personale con Gesù accogliendo l’uomo nella sua totalità, con tutto il suo bagaglio di gioie, dolori e difficoltà, per portarlo a riscoprire l’amore del Padre.

Interno della Cappella

La cappella si trova a pochi metri dal Ponte in stile romano lungo il torrente Santa Maria


Nei primi giorni di ottobre il leccio secolare posto a fianco della chiesa parrocchiale di Santa Maria del Campo è stato sottoposto ad un importante opera di potatura resasi necessaria per diminuire peso e volume della pianta.

Questa operazione ridimensionamento si è resa necessaria in quanto alcune perizie hanno constatato che il tronco del leccio è minato da un fungo che ne indebolisce la consistenza. Quindi alleggerirlo in modo significativo è diventata una scelta inevitabile per evitare il pericolo che l'albero si spezzi o che se ne verifichi uno sradicamento con conseguenze facilmente immaginabili.

Come era prevedibile l'operazione di potatura del leccio è stata accolta da qualcuno con qualche perplessità. Tuttavia questa dolorosa soluzione è la unica che consente di prolungare la vita della pianta. Naturalmente continueranno anche in futuro i monitoraggi periodici che vengono fatti ormai da anni per individuare eventuali criticità che possano far diventare l'albero un pericolo per transita e sosta nei pressi della chiesa parrocchiale.

Il Santuario di N.S. di Caravaggio

La bianca facciata del santuario della Madonna di Caravaggio si erge solitaria sulla vetta del monte Orsena (detto anche Caravaggio) nella frazione di Santa Maria del Campo a 615 m. s.l.m. Data la sua posizione all’incontro di tre crinali, è raggiungibile con piacevoli passeggiate, anche dalla località Ruta di Camogli e dalla valle di Uscio.
Il luogo dove oggi sorge l'attuale santuario era meta di un'annuale processione degli abitanti di Santa Maria del Campo e alla metà del Seicento vi si costruì la prima cappella dedicata alla Vergine Maria, nella quale fu posto un quadretto della Madonna donato dagli abitanti. Nel 1727 la cappella fu ingrandita, anche grazie al contributo degli emigrati, ed aumentò la devozione da parte degli abitanti della frazione. Il santuario fu però chiuso dalla Curia nel 1742, forse a causa del prevalere Santuario di Caravaggiodell’importanza del Santuario di Montallegro. L'edificio cadde così in uno stato di abbandono e fu demolito nel 1790 su ordine del doge della Repubblica di Genova. Nel 1838 la parrocchia di Santa Maria del Campo, non più soggetta alla chiesa madre rapallese, decise la riedificazione di un nuovo santuario, che sopravvisse ai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, ma subì più volte pesanti danni vandalici, fino ad essere recentemente ricostruito nelle forme attuali.

CROCE DI SPOTA’


Monumento ai caduti - "Croce di Spotà". Raggiungibile dal sentiero per il Santuario della Madonna di Caravaggio, la croce monumentale è stata edificata nel 1935 sulla sommità collinare di Spotà quale monumento ai caduti della Prima guerra mondiale.  Alta 15 metri e in cemento armato, su progetto di Filippo Rovelli, sarà solennemente inaugurata la mattina del 30 maggio 1935. La "croce di Spotà" è visibile da diverse zone della città.

 

CENOBIO DI SAN TOMMASO

Sulla sommità di una piccola collina a Santa Maria del Campo sfiorati dall'autostrada Genova - Livorno, sorgono i ruderi dell'antico Cenobio di San Tommaso "XII secolo". Quello che rimane di questo antico e storico edificio sacro è molto poco, qualche muro in pietre squadrate, una colonna con base e capitelli su cui poggiano gli archi che reggevano il tetto, si vedono ancora alcune finestre allungate che sono rivolte verso la valle.

La costruzione si sviluppa su due navate distinte, questa usanza trova esempi conosciuti che si hanno solo in Liguria e in Garfagnana, infatti nel medioevo era solito che gli uomini fossero divisi dalle donne e dai bambini durante la liturgia; anche della facciata di questa antica chiesa non è rimasto molto, si vede un'antica porta d'accesso situata in corrispondenza della navata di destra.

Un restauro avvenuto nel 1924 ha consolidato un'abside ancora oggi ben visibile, altre informazioni su questi ruderi immersi nel verde fra gli ulivi e i castagneti della nostra terra di Liguria, si possono avere dagli scritti dello storico Arturo Ferretto che ha saputo ricostruire abilmente la storia della nostra Rapallo.

Ferretto dichiara che questo monastero dovrebbe essere stato costruito nel 1160, poiché vi è un atto di vendita di terre fra i confini dove sorge il cenobio da parte dei coniugi Giulia e Giovanni Malocello datato 4 febbraio 1161, altro documento significativo è un atto datato 3 febbraio 1230, nel quale il Pontefice Gregorio IX prese sotto la sua protezione le suore di San Tomaso di Genova e ne indica fra i beni la chiesa di San Tomaso a Rapallo e pare confermare l'idea che a costruire questo luogo sacro siano state proprio le suore benedettine genovesi.

In altri documenti del 1200 si apprende che il monastero ebbe una priora il cui nome era Anna e un cappellano di nome Rubaldo. Fra questi preziosi documenti rimasti, uno dei più importanti porta la data del marzo 1247 dove per la prima volta il monastero viene denominato "San Tomaso del Poggio", e si legge che le suore lo affidano al rettore Lanfranco per quindici anni, consegnandogli per un compenso di 40 soldi le terre sul poggio. Quest'ultimo è quindi un atto importante con il quale, la chiesa di San Tomaso diventa "succursale" della parrocchia di Santa Maria del Campo.

Nel difficile periodo medioevale il monastero ha attraversato non pochi problemi sino ad arrivare alla primavera del 1582, quando il visitatore apostolico Mons. Francesco Bossio vescovo di Novara, effettuato un sopralluogo, stabiliva inesorabilmente la fine di questo monastero chiedendone la vendita, essendo ormai senza più alcun reddito utile alla sua sopravvivenza, e preso atto che ormai da tempo non vi veniva più celebrata la messa. La sentenza però non venne subito eseguita e nel novembre del 1597 l'Arcivescovo di Genova Mons. Matteo Rivarola durante la sua visita a Santa Maria del Campo, ordinò invece di distruggere la chiesa oppure di restaurarla a spese del popolo. Il popolo però non riuscì a restaurare il monastero per mancanza di risorse e allora vennero vendute le case canonicali e con il ricavato venne ingrandita la parrocchia di Santa Maria e sul campanile della chiesa parrocchiale vennero accolte le due campane del monastero.

Gli abitanti armati di piccone incominciarono così la demolizione di questo edificio sconsacrato, ma per fortuna o per divina intercessione non arrivarono sino alle fondamenta, e così sono giunti sino ai nostri giorni i resti di questo monastero di San Tomaso del Poggio.
Un monumento che è bello ricordare con le parole che Arturo Ferretto scrisse sul "Mare":

"La tela che il destino ha ordito intorno alla chiesuola di San Tomaso, fu smagliante ed ingemmata di corrusca beltà ed un dramma si svolge pure presso quel nume tutelare che custodiva il poggio poetico.
I baldi ruderi che sopravvissero al tragico eccidio nereggiano ancora in un groviglio di edera, di spini, di rovi e di parietarie, in un velario freddo di muffa annosa, in un manto di lunghi capelveneri tremanti e stillanti: ma quei ruderi, non corrosi del tutto dalla ruggine del tempo, favellano tuttora d'una esuberanza che più non è, di una gloria non del tutto volta al tramonto. Dalle finestre ad imbuto che vi guardano come occhi sbarrati, in mezzo alla cornice delle cose naturali, entra ancora, nelle gaie giornate, un raggio di sole che illumina e scalda quel cimitero d'idoli infranti, e l'abside, quasi intatta, e la maestosa colonna su cui poggiano due archi minaccianti rovina, colle bozze di pietra fosca e quadrata, non riesco a distruggere del tutto ogni suggestione di memoria, sicché, nell'ora buia di angoscia , sono indizi dispersi della storia rapallese, quasi vergognosi, sono voci naufraghe e sommerse nel gran turbine d'oggi".

A conclusione di questo viaggio nella storia della Chiesa di Santa Maria del Campo, sento nel mio cuore un profondo senso di gratitudine verso i nostri avi “MAESTRI” per averci lasciato in eredità un patrimonio di così alto livello architettonico, artistico e culturale che aveva come scopo, fin dal suo nascere, l’esaltazione della fede, della religiosità e del senso di appartenenza alla comunità parrocchiale.

Un lavoro enorme che ancora oggi ci stupisce nel vedere ricoperto di FEDE ogni centimetro di quei muri che si proiettano fieri verso il cielo.

La rotta tracciata da quei CAPITANI senza volto e spesso senza nome, ancora oggi é percepita come la tradizione forte e vera che va difesa e conservata ad ogni costo, un valore per cui é doveroso lottare, sudare e partecipare affinché non si spezzi MAI quel filo della storia che ci unisce a loro dal 1600 fino ad oggi.

 

RINGRAZIO don Davide per avermi più volte aperto la porta, acceso le luci ed incoraggiato in questa modestissima iniziativa.

RINGRAZIO in modo particolare il Dott. Stefano Podestà: Artista, Fotografo e Scrittore per la sua

“Quasi oliva speciosa in campis” e non solo, da cui ho attinto foto e testi per arricchire questa mia umile ricerca.

Ricerche, commenti ed impressioni di

Carlo GATTI

Rapallo, 8 dicembre 2018

FESTA DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE

Il dogma fu proclamato da Pio IX nel 1854 con la bolla «Ineffabilis Deus»: sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.


LE SPLENDIDE CICOGNE BIANCHE SONO TORNATE A VOLARE NEI NOSTRI CIELI

 

Volo di cicogne sullo Stretto di Messina

(Album fotografico)

 

LE SPLENDIDE CICOGNE BIANCHE SONO TORNATE

A VOLARE NEI NOSTRI CIELI

di Manuela Campanelli

Progetti di reintroduzione della specie avviati con successo nella nostra Penisola hanno permesso di ristabilire la rotta italiana di questi uccelli migratori.

Le Cicogne bianche hanno ricominciato a riprodursi in Italia riappropriandosi di un passato lontano che le vedeva presenti nelle nostre terre. E se questa buona notizia oggi può essere data il merito va senz’altro a una lunga storia di passione e di professionalità per questa specie, iniziata nel 1985 dal Centro cicogne e anatidi di Racconigi in provincia di Cuneo che – grazie alla collaborazione con la Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) -, è stato il primo ad adoperarsi per riportare questi volatili a nidificare nella nostra Penisola. Di seguito si è attivato il Centro di Fagagna dell’Oasis dei Quadris in provincia di Udine e a ruota il Centro Cicogna Bianca di Goito del Parco del Mincio in provincia di Mantova. In ognuna di queste zone diverse cicogne selvatiche erano state avvistare e alcune avevano tentato pure di costruire il nido. Segno che il territorio era loro congeniale. Perché allora non avviare dei progetti scientifici per consolidarne la presenza? E così è stato.

Una questione di metodo

L’approccio seguito per incentivarne il legame con il territorio è stato sempre lo stesso e prevedeva un certo numero di esemplari stanziali, acquistati presso centri svizzeri, che giunti a maturità riproduttiva, e dopo la prima covata, venivano lasciati liberi di migrare. Con le nuove nascite si sono formati gruppi sufficientemente numerosi che, attraverso il flusso migratorio, sono stati in grado di creare anche un minimo di aggregazione di capi selvatici e quindi un ripopolamento della zona. E i risultati non si sono fatti attendere: ben 272 giovani cicogne sono per esempio nati in libertà dal 1997 a oggi lungo il Mincio e giusto l’anno scorso si sono involati 43 piccoli da 15 nidi incrementando di un quinto le nascite in Lombardia che nel 2017 sono dato alla luce 214 volatili provenienti da 96 nidi.

Un virtuoso via vai

La loro vita senza confini li porterà a partire da qui per mete molto lontane, a incontrare altre cicogne selvatiche per mettere su famiglia o a restare nei vari Centri di reintroduzione svolgendo l’importante funzione di richiamo per altri esemplari che transitano nei cieli italiani durante la migrazione primaverile. La Pianura Padana e le zone umide del Nord stanno tornando a essere un punto di riferimento per loro. Qui trovano infatti ancora cibo in abbondanza. I lombrichi, come i molluschi, gli insetti, gli anfibi, i rettili e i piccoli mammiferi che cacciano camminando, consentono di allevare la prole senza alcuna alimentazione artificiale e di raggiungere un successo riproduttivo, vale a dire un rapporto tra il numero di cicogne nate e il numero di quelle che raggiungono il volo, molto alto.

Dal Nord al Sud Italia

Tirando le somme, le coppie di cicogne presenti nel nostro Paese sono arrivate a essere 350, alcune formate da esemplari rilasciati dai centri di reintroduzione, altre completamente selvatiche e altre ancora miste, cioè composte da un individuo selvatico e da uno rilasciato dai centri. E se la ricolonizzazione della specie è iniziata dall’Italia del Nord, e precisamente da Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, il Sud si difende bene. La Cicogna bianca ha ripreso infatti a nidificare con successo anche in Calabria e in Sicilia negli ultimi quindici anni, aiutata anche da Enel che ha predisposto piattaforme artificiali sui tralicci dell’energia elettrica per favorirne la riproduzione ed evitare episodi di folgorazione. Grazie a tutti questi contributi, si può pertanto ben dire che la sua presenza nell’Europa occidentale è stata via via recuperata. Le popolazioni di Cicogne bianche sono infatti due: quella occidentale, che nidifica in Marocco, Algeria, Tunisia, Portogallo, Spagna, Alsazia, Germania dell’Ovest - e ora anche in Italia - e migra in parte attraverso lo stretto di Gibilterra e in parte attraverso lo stretto di Messina nell’Africa occidentale a sud del Sahara. Una rotta, questa, senz’altro più decimata in confronto a quella orientale, che nidifica in Germania orientale, Paesi dell’est, penisola balcanica, e passa lo stretto del Bosforo per raggiungere il Corno d’Africa, la Rifà Valles e l’Africa meridionale e che ancora sopravvive bene perché non è gravata da una significativa mortalità legata allo sversamento e alla caccia.

Una specie ancora tutelata

Una domanda stuzzica tuttavia ancora la nostra curiosità. Perché le Cicogne bianche sono diminuire drasticamente nel tempo fino a estinguersi in ampie zone europee, nonostante siano volatili eclettici e opportunisti, si adattino cioè con facilità a diversi ambienti e s’inseriscano in variegati ambiti senza scendere in conflitto con altre specie? Fattori determinanti sono senz’altro la folgorazione determinata dalle linee di alta tensione e la caccia. Le Cicogne bianche incontrano spesso i fucili lungo la rotta migratoria che le porta a svernare in Africa dove tra l’altro non trovano più cibo a sufficienza per la trasformazione di steppe e savane in coltivazioni trattate con pesticidi. Gli esemplari sopravvissuti, nella migrazione primaverile di ritorno, giungono pertanto nelle zone di nidificazione decimati e in condizioni fisiche non ottimali per iniziare la fatica della riproduzione.

Frasi per occhielli e boxini

Il Parco del Mincio ha consentito l’incremento di quasi 300 unità dal 1997, cioè dall’avvio del progetto di reintroduzione: 16 piccoli sono nati in provincia di Brescia e a Ravenna da cicogne liberate da questo Centro.

La Cicogna bianca è un patrimonio di tutti, tutelato in Europa dalle direttive emanate per conservazione delle specie selvatiche a rischio.

Due cicogne si sono conosciute in ritardo. Non portavano anelli ed erano presumibilmente selvatiche. Lei era arrivata nel nostro Paese a marzo, lui il 20 maggio. Hanno provato ad avere dei piccoli ma senza successo. Sono rimasti però insieme nelle nostre terre fino a ottobre poi – sempre insieme – hanno iniziato a migrare.

Una cicogna era nata da un nido costruito su un albero esterno del bosco Bertone nel Parco del Mincio. Era il 2006. E dopo tre anni è tornata nello stesso posto nel 2009, 2010, 2012, 2016 e 2017 per riprodursi. Quando non era qui, è stata vista volare – libera e felice – in diverse località sia Italia e sia altrove in Europa.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Foto di Marco Benedetti

Foto di Marco Benedetti

 

 

 

 

 

Foto di Michele Manara

Foto di Fabrizio Pasolini

Foto di Fabrizio Pasolini

Foto di Francesco Severi

Per gentile concessione a scopo divulgativo!

 

Un coppia di attori famosi...


27.7.2018-ECLISSI DI LUNA-A RAPALLO CON IL SESTANTE

 

ASSOCIAZIONE CULTURALE IL SESTANTE

Presidente: STV Enzo GAGGERO

https://www.facebook.com/groups/1573617516264192/?ref=group_header

Occhi puntati al cielo: il 27 luglio un’insolita eclissi lunare

Sarà più lunga del solito, il buio totale durerà 1 ora e 43 minuti



ECLISSI TOTALE. LA TERRA SARA’ AL BUIO PER OLTRE 103 MINUTI, SI CHIAMA: “LUNA DI SANGUE”SARA’ L’ECLISSI PiU’ LUNGA DEL SECOLO.



Dal Secolo XIX riportiamo:

Genova - La notte del 27 luglio si verifica una eclissi di luna. Che si presenterà rossa. Uno spettacolo straordinario perchè contestualmente ci sarà una performance anche di Marte. Dunque occhi rivolti al cielo, dai terrazzi, dalle spianate, dalle spiagge ma anche dai due osservatori astronomici di Genova che si trovano sul Righi e sulle alture di Sestri Ponente.

Dove gruppi di volontari, per lo piu ingegneri ma non solo, affiancheranno coloro che vorranno meglio cogliere, mediante telescopi all’avanguardia, lo spettacolo di Luna e Marte danzanti l’uno “vicino” all’altro. Volontari che sono a disposizione degli appassionati per tutto l’anno con attività anche di divulgazione, per grandi e piccini. L’eclissi di lun sarà lunghissima, quasi due ore. C’è solo da sperare che Giove Pluvio abbia altro da fare.


ECLISSI DI LUNA ROSSA TUTTA PER NOI

testo di Donata Bonometti

Lo sapete già vero? Quella del 27 luglio sarà una nottata che si fissa nella mente e non la lascia più Nuvole permettendo. Si verificherà una eclissi totale di Luna di lunghissima durata, un'ora e 43 minuti. La Luna sorgerà già rossa perchè parzialmente in eclissi, e "nei pressi" della Luna sorgerà Marte. Due fenomeni astronomici straordinari casualmente nella stessa nottata: l'eclissi  totale di Luna e contestualmente Marte nel periodo di migliore osservabilità degli ultimi 15 anni,  la cosiddetta opposizione di Marte perché sorge dalla parte opposta al  Sole rispetto alla Terra. Un cielo che riserverà emozioni a non finire. In questi giorni i media dispenseranno spiegazioni certo più dettagliate delle mie. Io intendevo puntare il "mio" telescopio, approfittando di questa...congiunzione astrale, su chi ci aiuta da sempre a prendere confidenza con gli spettacoli del cielo.

A Genova ci sono due squadre di volontari pronti a mettersi a disposizione con i loro strumenti e il loro sapere  fino a notte fonda per tutti coloro (e si immagina che sarà un bel numero) che vorranno osservare, e stupirsi, e percepirsi al centro del cielo e della vita stessa mentre Marte e Luna ballano lassù. E del resto non era forse Platone a sostenere che l'astronomia  ci trasporta da questo mondo ad un altro? Vi sembrerà quasi di toccarlo quel mondo  grazie a strumentazioni all'avanguardia come, fra gli altri, il telescopio Nexstar 11 pollici che i volontari sanno gestire come  veri scienziati.

Walter Riva, geografo e giornalista scientifico, è il responsabile dell'Osservatorio Astronomico del Righi, un gruppo di venti volontari, tranne la responsabile della didattica che di professione é  planetarista. Metà circa sono donne, tre i pensionati, gli altri volontari giovani o di mezza età, una passione sconfinata ad unirli e a trasformarli in diligenti turnisti per affiancare chi vuole immergersi nello spettacolo notturno. E sono più di seimila all'anno i visitatori...

Tra i volontari  c'è un pensionato, ex bancario, che è il piu ferrato sulla luna di cui conosce cratere per cratere, e numerosi sono gli ingegneri elettrici, elettronici, informatici la cui competenza è essenziale, e insieme ci sono degli artisti che  disegnano le storie che animano i racconti nel planetario. Insomma un ensemble di grande raffinatezza che  anche gli astri apprezzerano. "L'abbiamo tutti la passione per le stelle, riflette Walter Riva, se uno é indifferente al mondo dell'astronomia é perché ha dentro di sè il rifiuto o la paura delle grandi dimensioni. Perché l'astronomia ti fa sentire naturalmente piccolo, inadeguato, l'astronomia che è fatta di micro dimensioni, le particelle, o di macro dimensioni, i corpi celesti. Se ci pensa è l'uomo che si trova nel mezzo  e ciò gli comunica, davanti al cielo stellato, un  naturale senso di straniamento ..." L'Osservatorio del Righi, aperto negli anni Trenta, dopo aver vissuto anni di abbandono, è rinato grazie ad una associazione  di cacciatori  nel 2001, affidandolo quindi all'odierno gruppo di volontari. La didattica e la divulgazione sono  attività e  passioni prevalenti, ma  si fa anche ricerca. Soprattutto sui meteoriti.

Spostiamoci a ponente di Genova sulle alture di Sestri. Spostiamoci anche indietro nel tempo  sbarcando nel 1961 quando, dopo una eclissi di sole  indimenticabile (per chi c'era, io c'ero e ancorchè piccola avverto ancora sulla pelle la sensazione impressionante di freddo e di buio) l'Università Popolare Sestrese ( dal 1907 a disposizione di chi vuole arricchire il proprio tempo libero e le proprie conoscenze) decise di fondare l'Osservatorio Astronomico di Genova. Oggi è una onlus con una cinquantina di iscritti:  si occupano delle aperture mensili, il primo sabato del mese, e degli eventi come quello del 27 luglio che vedrà una organizzazione con vari punti di avvistamento con strumenti raffinatissimi. Si occupano di ricerca e  didattica  per adulti e bambini. Non solo trattando  tematiche  confinate alla ”volta celeste”, ma tutto ciò che riconduce alla materia astronomica; come la sensibilizzazione dei ragazzi al problema sempre più incombente dell’inquinamento luminoso nelle città, oppure il rapporto delle antiche civiltà con l’astronomia, di cui resta traccia per esempio nelle costellazioni celesti  dai nomi mitologici.

Commenta il direttore Enrico Giordano, ingegnere "L'astronomia chiede divulgazione, perchè è materia spesso travisata, vittima di un certo pressapochismo...l'astronomia che potrebbe essere un modo di vivere se solo si imparasse a rivolgere gli occhi al cielo più spesso. Una abitudine che rivoluzionerebbe il modo di vedere il nostro stesso mondo. Cosi piccolo davvero...."

L'Osservatorio Astronomico del Righi è in via Mura delle Chiappe 44 rosso, email: osservatoriorighi@gmail.com.

Cell divulgazione 3475859662

L'Osservatorio Astronomico di Genova è in via Superiore al Gazzo, telefono 0106123090, sito web www.oagenova.it


Rapallo, 26 Luglio 2018


A cura di Carlo Gatti (webmaster)

 

 


SUL CASTELLO DI RAPALLO SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO

SUL CASTELLO DI RAPALLO

SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO


Il Castello, simbolo per eccezione della città, sorge sullo specchio d'acqua del golfo di Rapallo, sul lungomare Vittorio Veneto. Il castello sul mare è una postazione difensiva di Rapallo, nella città metropolitana di Genova. È denominato anche come “castello medievale”, definizione errata visto che la costruzione è risalente alla seconda metà del XVI secolo.

I lavori per la sua costruzione, si conclusero sotto il Podestà Benedetto Fieschi Raggio nel 1551. All'interno è presente anche una piccola cappella dedicata a San Gaetano, costruita nel 1688, con la caratteristica cupoletta con campana ben visibile all'esterno. Nella sua storia il Castello è stato sede di importanti organi statali fino al secolo scorso, quando è stato dichiarato "Monumento Nazionale" e ceduto al Comune.

Una locale tradizione, inserita tra gli eventi più celebri durante le festività patronali in onore di Nostra Signora di Montallegro, nei primi tre giorni di luglio, vede il Castello cinquecentesco protagonista di un fantastico spettacolo pirotecnico.

In ambito territoriale è il simbolo per eccezione della cittadina rapallese e dichiarato monumento nazionale italiano dal Ministero dei Beni Culturali.

SAN GAETANO

in un dipinto di Giambattista Tiepolo

Vicenza, ottobre 1480 - Napoli, 7 agosto 1547

Fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini; nel 1671 è stato proclamato santo da papa Clemente X - E’ detto il Santo della Provvidenza.



All'interno del castello era presente, sino alla metà degli anni ’50, una piccola cappella dedicata a San Gaetano costruita nel 1688 con la caratteristica cupoletta con campana, ben visibile all'esterno del castello, ancora oggi, come mostra la freccia.

Perché fu scelto San Gaetano?

Non siamo certo noi a poter dare questa risposta, tuttavia, spulciando qua e là… abbiamo ritenuto che fosse importante segnalarvi alcuni passaggi della sua vita che lo collocano molto in alto nelle gerarchie della chiesa per il valore delle sue imprese…

San Gaetano fu uno dei più significativi riformatori della Chiesa del Cinquecento.

. Papa Giulio II lo nominò protonotario apostolico e suo segretario particolare.

. Fondò la Compagnia del Divino Amore

. Fondò l’Ospedale Nuovo degli Incurabili

. Fu uno dei fondatori dell’Ordine dei Teatini

. Fondò l’Ordine dei Somaschi

. Ideò ed istituì il Monte di Pietà (l’odierno Banco di Napoli)

. Diede un impulso formidabile al presepe partenopeo

. Realizzò il primo presepe vivente

. San Gaetano anticipò e mise in pratica molte delle riforme che il Concilio di Trento avrebbe deciso in seguito.

Assieme a San Gennaro, è compatrono di Napoli, e patrono di Chieti.

Il Giubileo dei carcerati

«Attraversare la Porta santa è un gesto simbolico, carico di significato, vuol dire andare al di là della posizione in cui si era un attimo prima”.

San Gaetano dedicò la propria esistenza a lottare a favore degli orfani, degli incurabili, dei carcerati, dei poveri; preferì sempre la compagnia dei meno abbienti e dei derelitti. Questo amore infinito che provava per gli sfortunati trovò espressione anche in un gioco semplice poi battezzato "Il gioco di San Gaetano": un gioco che amava fare con chiunque e nel quale scommetteva preghiere o rosari che avrebbe compiuto un servizio per loro - ci riusciva sempre, ed essi dovevano sempre 'pagare' con preghiere.


San Gaetano fu uno dei più significativi riformatori della Chiesa del Cinquecento, Gaetano da Thiene, nasce a Vicenza nel 1480, da famiglia-nobile.
Da giovane dava tutto ciò che poteva ai bisognosi e spesso chiedeva a parenti e amici di donare anch'essi ai poveri. Era umile, obbediente e sottomesso; ma, al momento opportuno, sapeva anche essere fiero delle sue credenze e risoluto nell’affermarle.

Studiò diritto a Padova, dove non cedette alle molte tentazioni tipiche di una grande città. Tutte le mattine si recava a messa, poi frequentava le lezioni all’Università e si dedicava alle visite prolungate ai poveri nei tuguri, negli ospedali e nelle carceri.

 

A differenza di altri giovani della sua età, gli anni trascorsi a Padova gli rinforzarono il sentimento religioso e Gaetano decise che sarebbe diventato sacerdote. E tale sarebbe stata la sua dedizione pastorale che sarebbe diventato una roccia di fede alla quale molti si aggrapperanno saldamente. Eppure, celebrerà la sua prima Messa soltanto a trentasei anni e la sua umiltà era così grande che gli ci vorranno parecchi mesi di preparazione e di preghiera prima di riuscirci: considerava una "gran superbia" l'essere salito all'altare.

 

Terminò brillantemente gli studi con la doppia laurea in diritto canonico e civile e gli fu conferita la "corona d’alloro", sogno di tutti i laureandi del tempo. Poi, nel 1506, mentre cercava di vivere umilmente, tra i poveri a Roma, fu chiamato dal  Papa Giulio II (di Albisola), il quale non tenne conto di vari aspiranti più anziani e lo nominò a protonotario apostolico e suo segretario particolare, posizione che terrà per 13 anni.

Fu allora che iniziò la sua riflessione sugli usi e costumi della Chiesa che sarebbe sfociata in propositi di riforma, e con il futuro Papa Paolo IV, Gian Pietro Carafa, si unì alla Compagnia del Divino Amore, un ristretto cenacolo di sacerdoti e di laici impegnati nella carità verso il prossimo.

Gaetano, pur essendo di famiglia ricchissima, vestiva con semplicità, e il suo alloggio era una semplice cameretta spoglia arredata da un tavolo e una sedia - il suo materasso un sacco di paglia.

Dopo un'apparizione della Vergine, la notte di Natale del 1517, decide di portare fino in fondo l'impegno assunto. Gaetano stava pregando nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, nella cappella del Presepio davanti ad un'immagine di Maria col Figlio, quando, improvvisamente, la Vergine posò Gesù sulle sue braccia tese. La visione si ripeté altre due volte in altre circostanze.

Forte di questa esperienza sconvolgente, proseguì il suo peregrinare tra Vicenza, Verona e Venezia. A Venezia Gaetano rimarrà solo due anni, abbastanza però per dar vita a due istituzioni: quella del "Divino Amore" e l’altra, più grande, dell’Ospedale Nuovo degli Incurabili.
Verso la fine del 1523, Gaetano tornò a Roma, dove si riunì al vescovo Giampietro Carafa, a Bonifacio Colli e a Paolo Consiglieri. I quattro condividevano un ideale fondamentale: vivere da poveri per i poveri.

Di lì a poco, maturarono l'idea di fondare un nuovo ordine basato sulla povertà, sulla obbedienza e sulla castità. Fu così che i quattro fondarono l'"Ordo Regularium Theatinorum", la congregazione dei Teatini, la prima congregazione di chierici regolari. Presero il nome di 'Teatini' dal nome latino di Chieti (Teate), di cui Carafa era il vescovo. Era il 1524, e il nuovo ordine aveva come scopo preciso anche quello di riformare il clero, e sarebbe diventato un tassello fondamentale nel rinnovamento della Chiesa.

Comunemente si dice "Riforma" quella iniziata da Lutero e “Controriforma" quella operata in seno alla Chiesa, per tornare all’osservanza degli antichi principi. Sarebbe più giusto dire Scisma Protestante e Riforma della Chiesa.

In detta Riforma, Gaetano Thiene ha un suo posto: preciso, autorevole, nobilissimo. A differenza della riforma luterana, che partiva dall'alto, la riforma di Gaetano partiva dal basso, dalla strada, dai poveri.
Non predicò la riforma: preferì attuarla Carafa che fu il primo superiore generale dell'Ordine, sebbene l'idea della fondazione era di don Gaetano da Thiene, ma, umile com'era, quest'ultimo si tenne in disparte. I teatini volevano vivere da poveri, affidando la loro vita interamente alla Divina Provvidenza, senza mai chiedere aiuto a nessuno, vietandosi perfino di mendicare. Gaetano rinunciò a tutti i suoi beni per dedicarsi completamente ad una vita per gli altri.

Nel 1527, dopo aver subito inenarrabili soprusi e violenze durante il Sacco di Roma, i teatini fuggirono a Venezia. Qui il nobile Girolamo Emiliani li aiutò e, contemporaneamente, condividendo l'esperienza di Gaetano, scoprì la propria vocazione, il proprio grande amore per i disereditati.
Più tardi diede origine all’Ordine Somasco che, per molti versi, rispecchiò gli ideali dei teatini. I Padri Somaschi si dedicheranno all’educazione degli orfani e dei ragazzi in genere.

E proprio a Napoli sta per nascere un Museo permanente del presepe, che avrà sede nella chiesa di San Paolo Maggiore, in piazza San Gaetano, nel cuore del centro storico. Luogo perfetto per una simile esposizione, sito al termine di via San Gregorio Armeno, la via dei presepi, e in quel complesso teatino dove si insediò San Gaetano da Thiene, il primo che a Napoli si impegnò nella realizzazione di un presepe vivente, e che sempre a Napoli per primo costruì, nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta presso l’Ospedale Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo.

Sempre a Napoli, Gaetano ebbe anche un'importanza fondamentale nello sviluppo del presepe partenopeo. Costruì, per primo, nell'oratorio di Santa Maria della Stelletta presso l'Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo. A questo fatto, considerato rivoluzionario, seguì poi l'ampliamento della rappresentazione mediante personaggi che appartenevano sia al mondo antico sia all'epoca contemporanea, senza alcun timore di eventuali anacronismi: in tal maniera il Santo dava vita a quella che sarebbe rimasta come una delle principali caratteristiche del presepe, cioè la sua atemporalità, che permette di far rivivere la nascita del Cristo in ogni epoca.

Inoltre, si impegnò nella realizzazione del primo presepe vivente di cui si ha testimonianza a Napoli.
Anche in questo Gaetano anticipò il Concilio di Trento (1545-1563), il quale avrebbe favorito la diffusione del presepe quale espressione della religiosità popolare.
Per opera dei Gesuiti il presepe divenne strumento didattico per l’evangelizzazione dei popoli.
Nel 1540, Gaetano tornò a Venezia, aprì ospizi per i vecchi e fondò altri ospedali a Vicenza e Verona.
Infine tornò a Napoli dove c'era più da lavorare. Vi rimase fino alla morte, che sopraggiunse all'età di sessantasette anni. In punto di morte, in preda a forti sofferenze fisiche, vide di nuovo la Sacra Vergine che si rivolse a lui dicendo:
"Gaetano, Mio Figlio ti chiama, andiamo in pace".

Prima di morire, Gaetano espresse il desiderio di essere sepolto in una fossa comune nella Chiesa di San Paolo. Era il 1647.
Otto anni dopo, Carafa fu eletto papa col nome di Paolo IV. Presto si sarebbe rivelato un vero riformatore.
Beato nel 1629 per volere di Papa Urbano VIII, Gaetano fu poi canonizzato da Clemente X nel 1671.
Nel 1980, Papa Giovanni Paolo II fece notare come il messaggio di San Gaetano fosse sempre attuale:

  • Per il suo spirito altamente sacerdotale, inteso ad una permanente riforma dell'"uomo interiore";
  • Per il suo ardore per la riforma della Chiesa del suo tempo, Chiesa "semper reformanda";
  • Per il suo ritorno alle genuine fonti del Vangelo alla maniera di vivere degli Apostoli;
  • Per lo zelo posto nel decoro della Casa di Dio e nel servizio liturgico;
  • Per la sua instancabile dedizione al servizio degli infermi, dei poveri, degli emarginati;
  • Per il suo fiducioso abbandono alla provvidente Bontà del Padre Celeste.

Per la Chiesa fu esempio vivente di come votare la propria vita all'essere servi di Dio, di come vivere secondo i valori predicati da Gesù. Si ritiene unanimemente che San Gaetano anticipò e mise in pratica molte delle riforme che Il Concilio di Trento avrebbe deciso in seguito.
Si mosse verso Dio con fiducia, sapendo che Dio lo stava aspettando e che lo avrebbe aiutato, convinto che fosse dovere del fedele cercare Dio, andargli incontro, convinto che fosse facile farlo - per tutta la vita cercò di convincere gli altri, quasi incredulo che si potesse ignorare Gesù e il suo amore: "Cristo aspetta ma niun si muove".
Per questa sua illimitata fiducia nell'Onnipotente, è venerato come il
Santo della Provvidenza.


L'iconografia tradizionale mostra San Gaetano abbigliato da monaco con un cuore alato sul petto. A volte viene rappresentato con un libro, una penna, un giglio, un cuore ardente, oppure con Gesù in braccio. Assieme a San Gennaro, è compatrono di Napoli, e patrono di Chieti. E' il santo protettore dei disoccupati, di chi cerca lavoro, e dei donatori di sangue.

A questo punto, il lettore ha il diritto di chiedersi quale sia il motivo che ha spinto la nostra curiosità ad occuparci di questo santo protettore dei carcerati, ma evidentemente anche dei carcerieri…

Rispondiamo segnalando a seguire il LINK del racconto “drammatico” di quanto accadde nelle segrete del Castello cinquecentesco di Rapallo che fino ai primi anni ’50 erano adibite a carcere: sei celle in tutto.

Forse anche a voi verrà fatto di pensare all’intercessione di quel Santo della Provvidenza che intervenne evitando vittime ed un bagno di sangue innocente!

Sito di Mare Nostrum Rapallo

L’ULTIMO PRIGIONIERO DI RAPALLO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=529;segrete&catid=52;artex&Itemid=153

Rapallo, domenica 22 luglio 2018

A cura di CARLO GATTI

@


Rapallo: LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO....

08 Luglio 2018

Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le ‘Feste di Luglio’

COSA E' LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO?

Un rito secolare che risale al 29 agosto 1657. Rapallo scampò alla peste e i suoi abitanti, in segno di riconoscenza alla Madonna, fecero VOTO SOLENNE di recarsi in processione al Santuario "in un dì dell'ottava del 2 luglio" (giorno dell'Apparizione della Madonna al contadino Giovanno Chichizola nel 1557), di celebrarvi una MESSA e di offrire un OBOLO in segno di gratitudine alla Vergine. Da allora il rito si ripete ogni anno.

Nel nostro servizio fotografico, emerge la grande partecipazione dei rapallesi, delle Autorità, di molte Associazioni cittadine e dei MASSARI che sono il vero cuore  e motore di questi giorni di LUGLIO.

La comunità rapallese si è radunata al Santuario di N.S. di Montallegro per la cerimonia dello Scioglimento del Voto, ultimo atto dei Festeggiamenti in onore della Patrona di Rapallo e del suo Capitaneato.

Un rito secolare, quello celebrato questa mattina in una bella giornata di sole e con una grande e sentita partecipazione. Per la civica amministrazione erano presenti il sindaco Carlo Bagnasco, il vicesindaco Pier Giorgio Brigati, il presidente del consiglio comunale Mentore Campodonico, l’onorevole Roberto Bagnasco, il consigliere metropolitano Agostino Bozzo, gli assessori Arduino Maini, Elisabetta Lai e Umberto Amoretti, i consiglieri comunali Filippo Lasinio, Alessandro Mazzarello, Walter Cardinali, Elisabetta Ricci, Giorgio Costa, Mauro Mele, la dirigente Anna Maria Drovandi. Nutrita anche la presenza dei massari dei Sestieri rapallesi, il “motore” delle Feste di Luglio in onore della Vergine di Montallegro, dei rappresentanti delle forze dell’ordine e delle realtà associazionistiche cittadine: tra queste, il Gruppo Storico che ha preso parte alla cerimonia con i figuranti in costume d’epoca.

La cerimonia dello Scioglimento del Voto (vedi foto sotto) della Comunità Rapallese riporta al lontano 29 agosto 1657: quando la Magnifica Comunità di Rapallo, dopo aver manifestato riconoscenza alla Vergine di Montallegro per aver preservato la città dalla terribile pestilenza che in quel periodo aveva falcidiato l’intera Liguria, fece voto solenne di recarsi processionalmente al Santuario in un dì dell’ottava del 2 luglio (giorno in cui la Madonna apparve al contadino Giovanni Chichizola nel 1557), di celebrarvi una Messa e di offrire un obolo in segno di gratitudine alla Vergine.

Il vescovo di Chiavari Mons. Alberto Tanasini ed il Sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco


 


 

Il Sestiere di San Michele ha organizzato, da calendario, il PANEGIRICO 2018

Da allora il voto venne ininterrottamente e regolarmente adempiuto tutti gli anni. Questa mattina, per l’appunto, la Comunità ha rinnovato il rituale, recandosi ufficialmente al Santuario di Nostra Signora di Montallegro. La Santa Messa è stata officiata dal vescovo di Chiavari, Mons. Alberto Tanasini. Al termine della funzione religiosa e dopo la consueta firma degli atti a testimonianza dell’offerta dell’obolo, il Sacro Quadretto donato dalla Madonna di Montallegro è stato condotto processionalmente sul piazzale del Santuario dal rettore don Gianluca Trovato, accompagnato dal vescovo diocesano e dal parroco don Stefano Curotto: qui, l’Icona è stata rivolta verso il Golfo per la Benedizione della Città.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

La bandiera di Montallegro garrisce al vento

Sentiero dedicato a Giovanni Chichizola

Ostensione del Quadretto miracoloso

OSTENSIONE ALL'INTERNO DEL SANTUARIO

OSTENSIONE E BENEDIZIONE ALLA CITTA'


Al termine della funzione religiosa e dopo la consueta firma degli atti a testimonianza dell’offerta dell’obolo, il Sacro Quadretto donato dalla Madonna di Montallegro è stato condotto processionalmente sul piazzale del Santuario dal rettore don Gianluca Trovato, accompagnato dal vescovo diocesano, dal parroco don Stefano Curotto, dal sindaco Carlo Bagnasco e  dal presidente del consiglio comunale Mentore Campodonico. l’Icona è stata poi rivolta verso il Golfo  per la commovente Benedizione della Città di Rapallo.


Ha accompagnato la funzione il coro della basilica dei SS Gervasio e Protasio

Sestiere San Michele


Sestiere Cerisola

I rappresentanti di Cerisola e Costaguta

Qualcuno scrisse:

"Una rivalità non é necessariamente una ostilità"

Sestiere Seglio


Sestiere Cappelletta


Sestiere Costaguta

Gruppo Storico di Rapallo


Il Vescovo di Chiavari Alberto Tanasini

Catino absidale del Santuario

La telecamera inquadra la Sacra Icona



Il racconto della giornata con le immagini di Marino Scarnati – Carlo Gatti – Ettore Pelosin

 

CARLO GATTI

Rapallo, domenica 8 luglio 2018


RAPALLO, LA DEVOZIONE, I SESTIERI, I FUOCHI DI LUGLIO

RAPALLO

LA DEVOZIONE

I SESTIERI

I FUOCHI DI LUGLIO

 

LO SPIRITO DEI FUOCHI

La settimana scorsa abbiamo parlato del rito della NOVENA che tanti rapallini dedicano alla Madonna di Montallegro salendo al Santuario ogni anno, in questi giorni, con ogni mezzo.

Oggi é il primo di luglio e i SESTIERI DI RAPALLO si schierano presso le loro postazioni “geografiche” assegnate, si presentano, si salutano a distanza e si raccontano, ancora oggi, dopo 461 anni, il GRANDE AVVENIMENTO DELL’APPARIZIONE DELLA MADONNA ad uno dei nostri concittadini, forse il più umile, un certo Giovanni Chichizola, popolano di S. Giacomo di Canevale, situato alle spalle di Rapallo: una scelta evangelica!?!

Già! Un grande MIRACOLO avvenuto in tempi difficili di pestilenze, di miseria, di assalti saraceni, di tanta paura…! Oltre alla confusione religiosa creata dal protestantesimo che s’insidiava e nidificava con le sue navi nordiche nel porto di Genova.

Sono passati cinque secoli da quel tempo in cui non esistevano sistemi di comunicazione che non fossero le campane, le torri di vedetta, i castelli e  postazioni militari da cui salivano segnali di fumo e di fuoco per avvertire la popolazione su quanto stava per accadere: era una chiamata alle armi, alla difesa delle famiglie e del proprio territorio.

Ma in quel fatidico 2 luglio 1557 si materializzò un segnale di speranza: un dono che era sceso direttamente dal cielo.

Rapallo era entrata nelle GRAZIE di Gesù che aveva incaricato la Sua Madre Celeste di consegnare un SIGILLO D’AMORE alla nostra città: una Icona da viaggio.

Siamo nel 2018 e quel DONO miracoloso incastonato nel blu di quel cielo che scende fino a confondersi con il nostro mare, é tuttora presente, intatto, nelle anime dei rapallini che, dopo 461 anni desiderano ancora comunicare tra loro quella “novità”, con lo stesso stupore e con quella devozione che é rimasta inalterata nel tempo.

l’Apparizione Mariana di Montallegro é sentita dai rapallini come un dono esclusivo per loro, per la loro vallata racchiusa tra i lecci e gli ulivi, come una conchiglia tra le alghe e gli scogli e lo percepiscono come un “PRIVILEGIO” da difendere anima e corpo contro qualsiasi forma d’intrusione, sia essa politica, laica, religiosa infarcita di tanti termini antichi e moderni come il secolarismo, l’anticlericalismo, l’integralismo e il sincretismo.

Già! Cielo e mare! Ed é proprio in questo scenario che il dialogo tra i SESTIERI si attua ai piedi del Santuario di N.S. di Montallegro che osserva amorevolmente da lassù i suoi figli operosi e affaccendati che la invocano e la festeggiano “a loro modo” come lo fecero già i loro avi a partire da quel lontano luglio 1557, quando erano ancora psicologicamente impreparati ad accettare quel DONO DIVINO che continua a vivere oggi, anche in modo “profano” nella sua esteriorità, per chi non sa o non vuol entrare nella spiritualità sociale che tiene unita una cittadinanza marchiata con il Monogramma di Maria.

QUALCHE ORA DA MASSARO …

“Navigare necesse est”Per questo inderogabile motivo professionale, pur essendo “rapallino” del Sestiere di Cerisola, ho presenziato a meno della metà dei miei anni alle Feste di Luglio. I miei ricordi sono pertanto “sparpagliati” ma sempre vivi e appassionati.


L’invito della cara amica Maura Arata, (al centro nella foto tra il sindaco ed il vicesindaco), ad intrufolarmi tra i massari del nostro Sestiere, é giunto graditissimo e fornitissimo di dati tecnici, storici, romantici e devozionali che ignoravo da sempre e, un po’ (tanto), me ne vergogno…!

RINGRAZIO di cuore Maura, (siamo entrambi di S. Agostino), per avermi regalato questa opportunità che ha colmato un gap nel mio cuore e nel mio sentirmi “rapallino” dalla testa ai piedi.

Ringrazio anche mio genero Ettore Pelosin che con la sua carica di entusiasmo e dedizione alla tradizione di MASSARO di Cerisola mi ha trascinato in questa bellissima avventura che, con tutti i miei limiti…

cercherò di raccontare in queste pagine a tutti coloro che ne sanno meno di me: in particolare i furesti che ci seguono ormai da tanti anni su questo sito enciclopedico dedicato alla città di Rapallo!

In questi giorni la stampa ritorna molto spesso sulla Tradizione dei Fuochi di luglio:

«Le Feste di Luglio si confermano tra i massimi eventi pirotecnico-turistici in Italia, sicuramente è il primo nel Nord Italia per numero di spettacoli – sottolinea ancora l'assessore Lasinio – Le feste sono in ognuno di noi, ciascuno le vive e le sente a modo suo. E continueranno ad esistere finché questo accadrà e finché i rapallesi apriranno la porta ai massari durante la questua».

Della figura del massaro ha parlato Maura Arata, presidente del Comitato Sestieri Rapallesi, che ha ringraziato tutte le persone che sostengono i Sestieri per portare avanti la secolare tradizione e ha dato appuntamento a Montallegro, all’alba di ieri, per l’inizio della Novena. Durante il Triduo, dal 29 al 1 luglio, sarà in funzione anche la funivia con corse dalle 4.30 del mattino.

Intervista a Maura Arata

I massari e la tradizione del fuoco: un'antica regola non permetteva alle donne di farne parte, oggi la solita burocrazia rischia di farli sparire per sempre.

Ne abbiamo da pochi giorni ammirato il lavoro con l'evento che per tre giorni a Rapallo ricorda l'apparizione della Madonna di Montallegro al contadino Giovanni Chichizola (2 luglio 1557): parliamo dei “massari” dei Sestieri rapallesi, San Michele, Seglio, Borzoli, Cerisola, Cappelletta e Costaguta, che con le loro casacche colorate e l'impegno profuso per tutto l'anno contribuiscono a portare avanti la tradizione secolare. Tra loro c'è Maura Arata, una dei veterani del Sestiere Cerisola, che ci spiega il significato dell'essere massaro, basandosi sulla propria e quanto mai particolare esperienza.
‘Tu no! perché sei una femmina’, e invece Maura diventa la prima massara.
«Diciamo che io sono nata massara. Ma ho deciso di diventarlo dopo un episodio particolare. Un giorno mio padre disse ai miei due fratelli di prepararsi per andare “a turno”, ovvero, a bussare alle porte delle case per la questua:
“Tu no, perché sei una bambina”, mi disse. In quel momento scattò qualcosa e decisi che sarei dovuta diventarlo anch'io, anche se allora era un ruolo riservato esclusivamente ai maschi. Così, un giorno, mi presentai ad una riunione del Sestiere. Il massaro più anziano, quando mi vide, chiese a che titolo una donna fosse lì. Poi, però, mi prese sotto la sua ala protettiva. Diciamo che sono stata una “pioniera”».


Ora è più semplice entrare a farne parte?
«Sì. I problemi però sono due. Il primo: tanti ragazzi, per esigenze lavorative, sono andati a vivere fuori Rapallo. La seconda è la più ostica e ha a che fare con il conseguimento del “patentino da fuochino”, che autorizza al contatto con la polvere da sparo. Vista la concentrazione di “patentini” tra Tigullio e Golfo Paradiso, le autorità competenti non ne rilasciano più».


Quindi si rischia di perdere la tradizione per questioni burocratiche?
«Sì, perché non ci saranno più giovani abilitati a portare avanti la tradizione che va avanti da secoli. Ben inteso: maneggiare la polvere da sparo è pericoloso. Ma ci è stato insegnato fin da piccoli a fare molta attenzione:
“Quando a püe a parla, l'è tardi” (quando la polvere da sparo parla, è tardi), ci dicevano i vecchi per avvertirci. E poi il conseguimento del patentino, in teoria, è stato previsto per chi vuol diventare fuochino di professione, cosa che a noi non interessa. Magari bisognerebbe istituire un albo apposito per situazioni come la nostra, che siamo “fuochini” ma solo per tre giorni all'anno, per portare avanti una tradizione. Ma per questo servirebbe un appoggio dalla politica, dalle istituzioni. Forse ora, con il discorso delle “Città dei fuochi”, potrebbe sbloccarsi qualcosa a livello regionale. Siamo una specie in estinzione, speriamo che qualcuno ci tuteli (ride)».


Ci sono figure “storiche” a cui si collega il suo percorso di massara?
«Tra i “mitici”, di sicuro “Michelin” (Michele Campodonico) di Costaguta, e poi Püe (Alfredo Solari): sono cresciuta sotto la sua ombra. Ma anche Vitto “U ferrâ”, con le sue bombe improponibili».
E la storia del “baggio”?
«Tutto è nato tanto tempo fa, proprio per via della rivalità tra Cerisola e Cappelletta:
“Mangiâ u baggiu” (ingoiare il rospo) era l'espressione riferita a chi, dei due Sestieri, sparava peggio durante le Feste. Lo sfottò andava avanti fino a tarda notte sotto le finestre di casa degli sconfitti: non a caso, generalmente la sfida finiva a cazzotti [ride]. Ricordo due “grandi vecchi” che giocavano assieme a carte per tutto l'anno, ma nei giorni delle Feste non si rivolgevano il saluto: appartenevano uno a Cerisola, l'altro a Cappelletta. Da qualche anno, al Sestiere che per gli addetti ai lavori si classifica ultimo per qualità di sparate e fuochi d'artificio viene consegnato un rospo in pietra, di quelli che si adoperano come ornamento per i giardini. Prima, però, viene colorato con le insegne del Sestiere che se lo è aggiudicato...».

 

Essere massari in tempo di crisi...
«Non è semplice. Ad esempio dal 23 maggio al 1° luglio siamo impegnati nella questua, e non sempre la gente ci accoglie a braccia aperte. Vista la situazione economica, poi, quest'anno le persone hanno dato quello che hanno potuto. Poi, nei tre giorni di festa la fatica diventa disumana. Ma ben inteso: non ci mettiamo in tasca niente come è giusto che sia. E a ripagarci è l'emozione di fare qualcosa di bello per la città, di non deludere i nostri padri e quello che ci hanno insegnato. Mio zio, fuochino storico, abita sulla collina di Sant'Agostino, non scende in centro da 30 anni e guarda i fuochi da casa sua. Eppure, ancora oggi è il nostro metro di giudizio: a fine spettacoli andiamo a chiedere a lui se abbiamo sparato bene oppure no».


È vero che ai più anziani, durante il rito dell'Alzabandiera la mattina del 1°luglio, scende sempre qualche lacrima?
«Non solo ai più anziani. Succede anche a me: quando Cerisola spara il primo mortaletto dalla spiaggia dei bagni Lido, l'emozione è sempre fortissima. Anche se assisto al rito da 30 anni».

 

Mentre racconta l'ultimo aneddoto, a Maura si inumidiscono gli occhi. L’amore per le tradizioni è anche questo.

 

I mortaletti

Cenni-storici
Protagonista ludico – popolare delle Feste di Luglio, il
mortaletto, estinto nella gran parte del mondo, resiste (almeno, per quanto ad oggi sappiamo) nella sola zona di Rapallo, Recco e comuni limitrofi. Si presenta come un piccolo cannone antico, a canna cortissima, costruito e dimensionato per il solo utilizzo a salve. Antica è anche la sua carica: polvere nera, il primo esplosivo prodotto dall’uomo. Lo stesso che, più di quattrocento anni fa, armava le galee genovesi ed i temibili vascelli del pirata Dragut, flagello delle popolazioni costiere. Per caricare il mortaletto ligure, si versa semplice polvere nera nella canna, quindi la s’intasa con materiale leggero ed inerte (ad esempio segatura) in modo da ottenere, all’accensione, un colpo a salve, “impreziosito” da spettacolari quanto innocue vampe e fumo denso, di sapore antico. Una volta caricati i mortaletti si aguginano: s’innescano cioè versando nel foro d’accensione (agugino) polvere nera finissima. Disposti a terra, sono poi collegati da strisce, ancora della medesima polvere, che bruciano più o meno lentamente a seconda della direzione della brezza di mare… Ecco quindi l’abilità del massaro il quale, per intuito ed esperienza, sa quando, come e dove posizionare i mortaletti, grossi o piccoli, in modo da salutare con giusto ritmo la Santa Patrona. Come in tutte le arti, solo pochi posseggono il dono di saper disporre al meglio la sparata, che per riuscir veramente gradita deve attagliarsi, secondo tradizione, ad ogni singola tipologia d’evento celebrativo. Col mortaletto si cresce, ascoltando i colpi rituali dell’1,2,3 luglio o delle Feste Frazionali; si celebra il matrimonio di amici e parenti, preparando brevi ed allegre sparate; si saluta questo o quell’altro evento, sacro o profano; si dà l’estremo saluto ad un caro estinto disponendo un’austera sparata di 21 colpi, lenti e cadenzati: gli stessi ventuno che, con diverso spirito, ogni mattina di Novena accompagnano con sacralità l’Elevazione del Santissimo al Santuario di Montallegro.

 

RECIAMMI - I festeggiamenti iniziano alle otto di mattina del primo luglio, quando la statua d'oro e d'argento della Madonna viene “messa in cassa”, cioè collocata sull'arca argentea in chiesa. Sul lungomare, l'evento è salutato da colpi fragorosi (reciammi - richiami) prodotti dai mortaretti (mascoli) sparati dai rappresentanti di due dei sei sestieri cittadini e da una sparata di fuochi artificiali “a giorno”, mentre gli altri quattro sestieri rispondono con ventun colpi di mascoli.

Maura Arata ci spiega che il saluto “esplosivo” con 21 colpi di  mascoli é sicuramente quello che ci proviene dalla tradizione dei vascelli da guerra del 1600, ma per noi é soprattutto il SALUTO, l’omaggio ed il ricordo che in quel momento rivolgiamo  a tutti i MASSARI di tutti i SESTIERI che ci hanno preceduto in questi cinque secoli.

Rapallo - Feste di luglio 2018 – MURALES di ARTISTI DI STRADA a cura del Sestiere di San Michele.

Il Monogramma della Madonna tra le sei caravelle con i colori dei Sestieri di Rapallo.

La speranza è che bellezza e armonia, trasformando l’ambiente fisico, inducano chi ne usufruisce ad uno stato d’animo più positivo e gioioso. Un obiettivo alto, dunque. Graffiti e murales non solo per abbellire e RICORDARE, ma per educare alla bellezza, quasi “lezione vivente” di educazione religiosa, civica, di legalità e di tutela del bene comune e dei valori fondanti della nostra civiltà.


Il disegno del mortaletto con l’esplosione simbolica dei fuochi d’artificio in foglie di acanto.


Don Salvatore Orani:

il “vero” dono della Madonna è il Quadretto: unico Segno tangibile della Presenza che nel tempo si rivela come materna e continua mediazione.
Questa piccola
Icona da viaggio che sovrasta l’altare maggiore è, così, l’unica grande eredità lasciata dalla Madre di Gesù alla Rapallo di sempre. Ne consegue che, a ridare forte impulso alla devozione mariana - lungi da preoccupazioni devozionali mirate a chiedere favori e miracoli in tempo reale - dovrebbe essere la riscoperta del messaggio che il Quadretto continua a suggerire ai cercatori di Dio che si soffermano davanti all’Immagine in pura e contemplativa gratuità. Perché solo ai contemplativi può essere rivelata l’originalità del messaggio di un’Icona: forte invito a riconsiderare la vita; la pienezza di una vita che va oltre la morte.
L’Amore Trinitario che avvolge con tenerezza l’umanità ferita (la Madonna distesa sul letto funebre) ricorda al contemplativo che la vita prevale sempre; prevale già ora, nell’arco dell’esistenza che quotidianamente sperimenta le tragiche conseguenze della sofferenza e del dolore.

L’intero disegno ripreso dal monumento a Cristoforo Colombo


Sestiere Cerisola -Lido - L’attesa del rintocco della campana darà il via all’ALZA BANDIERA

Sono le 08.00 in punto – Il campanile della Basilica di San Gervasio e Protasio di Rapallo batte i rintocchi delle ore e dà il via al rito dell’alza bandiera e agli spari di rito.

Nelle foto a seguire: i SALUTI e i RECIAMMI

 




ENTRANO IN AZIONE LE CHIATTE ANCORATE NEL GOLFO





Due massari del sestiere di Cerisola alle polveri...


Carlo Gatti ed Ettore Pelosin



Tipico alloggiamento degli "STUCCI" sulla chiatta

Rapallo – Zona Lido - RAMADAM su un eccellente Murales di una edizione precedente

«…Il toponimo “Cerisola” compare per denominare due cappelle rurali site nel cuore dell’attuale Sestiere…

…Erano sicuramente zone destinate alla coltura dei ciliegi in un borgo dall’economia diversificata, ma basata essenzialmente sull’agricoltura.

Nel successivo evolversi della città, il nome “Cerisola” va a denominare uno dei Sestieri nati dalla divisione del più antico Quartiere Amandolesi (XII secolo N.D.R.)…» (tratto dal libro “In burgo Rapalli” di Antonella Ballardini da Maura Arata, massara del Sestiere Cerisola)

L’odierno Sestiere Cerisola comprende la parte centro occidentale del centro storico rapallese, con monumenti quali la Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio e gli Oratori detti Dei Bianchi e Dei Neri, quest’ultimo dominato dalla medioevale Torre Civica.

La zona rurale di Cerisola si sviluppa sulla ridente collina di San’Agostino, ove risiede l’omonima chiesetta, centro religioso del Sestiere; Sestiere che, tuttavia, ha come patrono tradizionale San Giuseppe.

Durante le Feste di Luglio Cerisola saluta la Vergine di Montallegro dalla Spiaggia dei Bagni Lido con i secenteschi mortaletti liguri.

Da questo sito, che sempre rimane nel cuore e… nella progettualità dei suoi massari, il Sestiere tradizionalmente lanciava anche i suoi fuochi colorati, oggi preparati su chiatta galleggiante.

I fuochisti che hanno sparato per Cerisola negli ultimi anni sono: Albano & Russo di Melito (NA), Ferreccio di Avegno (GE) e La Rosa di Bagheria (PA) ed in epoca meno recente Perfetto di Sant’Antimo (NA).

Il Panegirico del Sestiere Cerisola sfila per la passeggiata a mare e termina col tradizionale e fragoroso Ramadan ai piedi della Statua di Cristoforo Colombo, presso i Bagni Lido e quindi entro i confini del Sestiere.


Il gonfalone dei Sestieri

Rapallo - I Sestieri per chi non è di Rapallo sono semplicemente le sei zone in cui anticamente era divisa la città. In realtà sono qualcosa di più. I Sestieri sono amicizie, passioni, tradizioni, fede.

I Sestieri di Rapallo (Sestê de Rapallo nella parlata locale) sono le antiche divisioni territoriali del nucleo storico della cittadina rivierasca di Rapallo, nel Tigullio. I sei sestieri cittadini sono ufficialmente riconosciuti dallo statuto comunale del Comune di Rapallo.

L'origine e la creazione dei primi due quartieri storici risalgono al Medioevo quando, nel 1143, i territori tra Rapallo e Zoagli furono divisi in due blocchi distinti; nel XIII secolo vengono istituiti, in questa parte di territorio, i quartieri di Borculi (pron. Borsuli, Borzoli in lingua italiana) e Mandulexi (pron. Manduleji, Amandolesi in lingua italiana).

Fu con la creazione della podesteria e del successivo capitaneato di Rapallo (1608), inserito nei territori della Repubblica di Genova, che il territorio comunale subì un maggiore incremento della giurisdizione annettendo borghi, villaggi e località appartenenti al precedente capitaneato di Chiavari. Nei nuovi confini geografici-politici rientrò quasi interamente la media Val Fontanabuona e il Tigullio occidentale, dividendo il vasto territorio in sei principali sestieri:

  • Pescino (zona sud-ovest comprendente l'attuale Santa Margherita Ligure e frazioni, Portofino);
  • Olivastro (zona nord comprendente tutte le località dell'entroterra rapallese);
  • Borzoli (zona sud-est comprendente anche il borgo di Zoagli);
  • Oltremonte (zona est comprendente quasi interamente la media val Fontanabuona);
  • Borgo (il centro storico racchiuso dalle mura).

Allo scioglimento del capitaneato, a seguito della dominazione francese (1797) di Napoleone Buonaparte, che causò tra l'altro la caduta della repubblica genovese e l'annessione della costituita Repubblica Ligure al Primo Impero francese (1805), si ridisegnarono i confini cittadini suddividendoli in sei sestieri locali: Borzoli, Cappelletta, Cerisola, Costaguta, Seglio e San Michele, divisione storica tuttora in vigore.

Dal XVII secolo, secolo dove ufficialmente presero il via i festeggiamenti pirotecnici alla santa patrona di Nostra Signora di Montallegro, tutti i sestieri sono impegnati a turno nel celebrare la festa più importante per il comune rapallese.

BORZOLI

Il sestiere è uno dei più antichi e originariamente le sue terre erano affacciate sulla costa che si estendevano fino ai confini con Chiavari. Fu presente già dal XII secolo assieme all'antico quartiere di Amandolesi e maggiore importanza l'assunse nel 1608 quando la città divenne sede dell'omonimo capitaneato; compare infatti nella nuova divisione cittadina, necessaria dopo l'annessione di nuove terre, assieme ai sestieri comprensoriali di Pescino, Olivastro, Amandolesi, Oltremonte e Borgo.

Il sestiere, oggi ridimensionato, è riuscito inoltre a mantenere nei secoli l'antico toponimo a differenza delle altre divisioni storiche che, anch'esse ridimensionate, mutarono nelle attuali nomenclature.

I territori di Borzoli sono in gran parte ubicati lungo le colline che degradano verso la sponda sinistra del torrente San Francesco, detto anche Fossato di Monte, sboccando infine verso il mare nella piccola spiaggia antistante il cinquecentesco castello sul mare. I suoi possedimenti comprendono inoltre, oltre allo stesso castello, la passeggiata a mare (lungomare Vittorio Veneto) fino al molo dello scalo dei vaporetti adiacente il Chiosco della musica in piazza Martiri per la libertà.

L'intero territorio, confinante con i due sestieri di Cerisola e Seglio, appartiene oggi esclusivamente alla parrocchia dei santi Gervasio e Protasio. Il vessillo - di colore rosso – ritrae san Bartolomeo, santo patrono del sestiere, e la raffigurazione del quadretto bizantino Dormitio Mariae che secondo la leggenda locale fu donato dalla Vergine maria al contadino Giovanni Chichizola nell'apparizione mariana del 2 luglio del 1557. Il colore rosso è tipico anche delle divise dei "massari", coloro che sparano nello spettacolo pirotecnico, ricordanti le insegne scarlatte caratteristiche del santo Bartolomeo.

CAPPELLETTA

Così come Borzoli anche il sestiere Cappelletta è uno dei più antichi della città, originariamente inglobato nei territori dell'antico quartiere di Amandolesi sorto nel XII secolo. Nel XVI secolo appare con il toponimo de la Villa di Cappelletta, sempre inserito nel vasto sestiere cittadino. Dei sei sestieri è l'unico che non ha sbocchi diretti al mare in quanto precluso dal sestiere Cerisola.

La prima citazione ufficiale del sestiere Cappelletta appare verso la fine del XIX secolo quando venne menzionata come una delle sei cappelle che dividevano il paese. Oggi il suo territorio comprende approssimativamente la zona tra il rio Cereghetta, la zona meridionale del quartiere Laggiaro (la parte a nord è compresa nel sestiere Cerisola), il torrente Boate ed il suo affluente San Pietro. Nei confini rientra il popoloso quartiere di Sant’Anna, inglobando tra l'altro la zona del golf cittadino.

Non avendo di fatto una postazione idonea per poter sparare durante le feste patronali di luglio, a causa della massiccia urbanizzazione presente in tali quartieri, un accordo con il confinante Cerisola ha permesso al sestiere di poter usufruire della zona presso il Lido (spiaggia di Rapallo) compresa nei territori della prima.

CERISOLA

Il toponimo Cerisola deriverebbe molto probabilmente dalla denominazione di due cappelle rurali, ancora oggi situate nel cuore dell'attuale sestiere. La nascita del sestiere si deve alla successiva scorporazione dei confini territoriali a seguito dell'istituzione del capitaneato rapallese (1608); Cerisola nacque infatti dalla divisione dei due più antichi quartieri di Rapallo, Amandolesi.

Il suo territorio è ad oggi compreso interamente nella parrocchia dei santi Gervasio e Protasio, confinando ad ovest con Cappelletta, ad est con Borzoli e a sud con Costaguta. Il confine occidentale è delimitato da tutto il corso del rio Cereghetta; la punta di Serrato (623 m) costituisce il punto più elevato del territorio e lo separa da quello delle parrocchie di San Pietro di Novella e di San Quirico, frazioni di Rapallo.

l vessillo - di colore bianco – rappresenta sant’Agostino e San Giuseppe, entrambi compatroni del sestiere, oltre alla raffigurazione del quadretto bizantino. Un documento, ritrovato nel 1991, sancisce la fratellanza storica tra il sestiere e la locale Confraternita dei Bianchi nonché il culto per il dottore della chiesa Agostino.

COSTAGUTA

Anticamente denominato Costa Acuta è caratterizzato, specie nel territorio che va dalla parte destra del torrente cittadino Boate, da una vasta area di ulivi e castagni. Costaguta fu in passato compreso nell'antico sestiere detto Olivastro, creato nella nuova divisione dopo la costituzione del capitaneato rapallese.

Il sestiere confina con la frazione sammargheritese di San Lorenzo della Costa e con quella rapallese di San Massimo, arrivando allo sbocco verso il mare dove oggi sorge il porto turistico. La maggior parte del suo territorio ricade oggi nei confini della parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio e, per un piccolo tratto, in quelli della parrocchia di sant’Anna con la località Ronco.

Anticamente nei suoi territori fu eretta nel 1737 una piccola chiesa, ma pochi anni dopo ridotta in rovina. Per la ricostruzione di un nuovo tempio religioso si dovette attendere il 5 agosto del 1934 quando, alla presenza delle autorità ecclesiastiche e civili, fu benedetta la nuova chiesetta dedicata ai santi Gervasio e Protasio. Secondo la leggenda locale i due santi passarono per il sestiere durante la loro opera apostolica.

L'edificio subì negli anni settanta un completo restauro, ma nel 2000 un incendio doloso danneggiò vistosamente la struttura e il dipinto posto sull'altare. Nel rogo fu rovinata inoltre l'antica e storica bandiera del sestiere datata al 1908. Oggi l'edificio si presenta completamente restaurato.

Il nuovo vessillo, di colore verde ed inaugurato nel 2005, e lo stemma rappresentano i due santi nonché la rappresentazione dell'apparizione mariana.

SEGLIO

Detto anche sestiere San Rocco dal nome del suo santo patrono, fa parte della parrocchia dei santi Gervasio e Protasio occupando il settore orientale di Rapallo e al confine amministrativo con Zoagli. Il toponimo deriverebbe dal dialetto genovese seggio (tradotto in lingua italiana nella parola sedile) ricordante la conformazione del territorio.

Anticamente il sestiere faceva parte dello storico sestiere di Borzoli e tale accorpamento durò ben oltre il 1930. Nel suo territorio è presente una cappella, dapprima intitolata a santa Maria del Poggio e solo in seguito dedicata a san Rocco, costruita nel 1497 su una piccola altura; fa inoltre parte del sestiere l'antico quartiere delle Nagge, uno dei più antichi della città.

Il nuovo vessillo - di colore giallo ed inaugurato il 25 aprile del 1999 - e lo stemma rappresentano il santo Rocco, patrono del sestiere. Il colore giallo deriverebbe a seguito della pestilenza che colpì la cittadina tra il 1656 e il 1657; adiacente la cappella era presente un ospitale dove venivano trattenuti in quarantena i viandanti transitanti per Rapallo e proprio la bandiera gialla segnalava lo stato di quarantena.

SAN MICHELE

Anticamente il sestiere faceva parte, come il confinante Costaguta, del sestiere Olivastro nella primitiva divisione cittadina. Il sestiere confina oggi ad ovest con il comune di Santa Margherita Ligure e ad est con Costaguta. I suoi confini rientrano nell'odierno abitato di San Michele di Pagana, unica frazione rapallese che si affaccia sul golfo del Tigullio.

Il sestiere è l'unico fra i sei che non appartiene alla parrocchia dei santi Gervasio e Protasio, bensì alla locale parrocchia di san Michele Arcangelo, santo patrono della frazione e del sestiere.

Il vessillo - di colore azzurro - e lo stemma rappresentano il santo Michele che trafigge il diavolo.

Quando le sparate si facevano qui in passeggiata a mare

Ramadam – zona lido


Quando il MASCOLO era usato per avvisare l’avvistamento dei leudi di ritorno dalla campagna delle acciughe dall’Isola della Gorgona.

Il giorno del rientro veniva stabilito da ciascun padrone in modo da poter essere a casa per la festa dell’Assunta, il 15 Agosto.

Nei giorni precedenti i ragazzi di San Nicolò, della Punta e di Camogli si ritrovavano all’estremità di Punta Chiappa e facevano a gara per avvistare per primi i leudi di ritorno dalla Gorgona. All’avvistamento, uno dei “massari” di San Nicolò sparava un mascolo (mortaretto) per avvisare la popolazione camogliese del rientro dei pescatori.

L’arrivo era una festa, non solo per i familiari, ma per tutta la Città; festa che continuava per molti giorni sino a concludersi ai primi di settembre con la ricorrenza di S. Prospero alla quale si univano anche i festeggiamenti per la Madonna del Boschetto, che erano stati celebrati il 2 luglio quando i leudi erano fuori, così la festa diventava doppia.

Un po’ di tecnica: Le Sparate oggi

La letteratura tecnica afferma che "I mortaretti (o masti) sono strumenti che si sparano a salve in occasione di festività varie. Essi sono in sostanza dei cilindri d'acciaio del diametro esterno di 5-10 cm con un foro interno di circa 3 cm di diametro; la lunghezza varia da 12 a 30 cm con un peso da uno a 10 chilogrammi; il cilindro è di solito un po' rastremato verso l'alto ed una base leggermente allargata; vicino alla base vi è un foro in cui inserire una piccola miccia o del polverino per innescare lo sparo. Essi, appoggiati a terra verticalmente o leggermente inclinati, vengono caricati fino a circa metà dell'altezza con polvere nera, che viene poi intasata con sabbia o altro materiale.
In molte zone sono in uso, in luogo dei mortaretti, dei corti tromboni, con un calcio di fucile che consente di imbracciarli o, quantomeno, di sostenerli con due mani (talvolta vengono chiamati trombini). Nel linguaggio dei pirotecnici il termine mortaretti, o mortaletti, indica degli sbruffi grandi (cioè dei tubi di cartone) che servono per lanciare in aria piccole granate o granatine, mentre che per il lancio di artifici più grossi si usano i mortai."
Alla prima definizione va sicuramente ascritto il mascolo rituale, nella forma che conosciamo tuttora.

Quello che segue è una breve panoramica sul moderno uso rituale del mascolo a Sori, nella sua vallata, nel golfo Paradiso e nei suoi dintorni (in ispecie Tigullio ed entroterra del Levante). Laddove prescritto, disposizioni di Pubblica Sicurezza e norme di buona condotta professionale da parte dei fochini possono determinare l'adozione di scelte progettuali, esecutive o stilistiche conformi agli standard richiesti nelle singole e precipue situazioni.

Il mascolo rituale (o "antico mortaretto ligure", o ancora meglio "antico mortaletto ligure") utilizzato nel Levante ed espressamente realizzato per le sparate è nella sua forma più ricorrente un cilindro metallico svasato alla base, anche se a volte ha forma troncoconica. Pesa circa 1,5-2 Kg, è alto circa 12-15 cm, ha un diametro esterno di circa 6-7 cm al fusto e 8-9 cm alla base. Il calibro è ordinariamente compreso fra 1,5 e 2 cm. A circa 1,5 cm dalla base e parallelamente ad essa è praticato il focone ("l'agguggino") dal diametro di qualche mm, usualmente con l'imboccatura conica di base 3-4 mm e profonda circa 2-3 mm. Il mascolo moderno è prodotto in acciaio in quanto la regolamentazione vigente proibisce i mascoli che non siano di buon acciaio tenace (generalmente acciaio balistico, ma anche gli acciai da carpenteria metallica ordinaria hanno una buona resistenza alla frattura in termini di energia G di Griffith).  Gli acciai poco tenaci (usualmente sono acciai incruditi e/o temprati), le ghise e gli ottoni hanno una scarsa resistenza ai fenomeni di frattura e possono finanche causare l'esplosione dei mascoli con proiezione di frammenti. I mascoli di ghisa subiscono inoltre fenomeni di corrosione importanti (le "camôe") che ne pregiudicano rapidamente la soglia di collasso. E' notorio nella meccanica dei solidi come i fenomeni di frattura siano notevolmente agevolati dalla presenza di irregolarità geometriche, in cui i fattori di intensificazione degli sforzi Kic possono superare la soglia critica di attivazione delle fratture (motivo per cui in qualunque membratura cimentata a trazione è sconsigliata, laddove non espressamente proibita, la realizzazione di spigoli vivi o poco arrotondati). Il moderno mascolo in acciaio tenace può essere prodotto per tornitura o per fusione. Fino a qualche anno addietro l'utilizzo di mascoli di ghisa o di ottone era frequente, questi ultimi più raramente a causa del costo del materiale. Tali erano formati per fusione, avevano dimensioni esterne maggiori di quelli  in acciaio, e peso compreso fra i 2 e i 3 Kg, pur contenendo lo stesso quantitativo di polvere. Notevoli per estetica sono i mascoli di ghisa realizzati fino alla prima metà del Novecento, ottenuti da stampi le cui forme elaborate presentavano spesso il nome o l'emblema del comitato di appartenenza riportato in rilievo sulla canna.


Parata di moderni mascoli in acciaio pronti al caricamento, soffiati e disostruiti; in secondo piano sacchi e "cuffe" di segatura per i tappi.

Due cannoni in acciaio inossidabile nuovi di fabbrica e pronti per il battesimo del fuoco; si noti il carrello per movimentare il più grande, che pesa circa 100 chilogrammi e subito dietro il ciosun di legno di dimensioni adeguate. E' uso che i cannoni nuovi vengano "sbruffati" al loro battesimo. In occasione della prima sparata a cui prendono parte non vengono caricati ordinariamente, ma solo con una manciata di polvere e senza tappo, tali cioè da produrre all'accensione, anziché il colpo tonante, la sola colonna di fumo rovente (lo sbruffo, per l'appunto). Lo scopo dello sbruffo è quello di eliminare dalla canna vergine qualunque sfrido metallico della tornitura. A Sori è uso sbruffare i cannoni nuovi durante la sparata del 14 agosto, per averli a completa disposizione la sera successiva.

Più grande del mascolo è il cannone (in alcune località di Levante chiamato bomba), oggetto funzionalmente identico, la cui taglia può andare dal cannoncino (alcuni chilogrammi, per una lunghezza di 20 cm ed un calibro di 2-3 cm) al grande cannone (anche più di 100 kg per 40-50 mm di calibro, ma non mancano esempi di cannoni da 200 e passa chilogrammi, realizzati in genere in onore di importanti avvenimenti o illustri personaggi). I cannoni più grandi potrebbero contenere fino ad alcuni chilogrammi di polvere nera, ma la regolamentazione vigente vi pone severissime limitazioni per motivi di sicurezza; nella pratica attuale l'uso dei cannoni ha scopo prettamente ornamentale, in quanto caricati con quantità irrisorie di polvere rispetto alla mole dei pezzi. Per tale motivo alcuni dei più grossi cannoni sono stati addirittura messi in "disarmo" ed utilizzati per ornamento degli stand gastronomici.


Alcuni dei cannoni utilizzati durante la sparata del 2005. A sinistra un assortimento di tutte le taglie, i pezzi piccoli addirittura realizzati in acciaio inossidabile; a destra tre pezzi grossi. Purtroppo per lo spettacolo oggi i cannoni, conformemente alla regolamentazione vigente, vengono caricati con quantità di polvere che potremmo definire "simboliche". Si notino le diverse proporzioni e forme di finitura, dalla più semplice (il cilindro grezzo dello storico cannone sorese detto "Muria") a quelle più elaborate.

I cannoni in acciaio sono prodotti quasi sempre per tornitura a partire da grossi cilindri; hanno forma usualmente troncoconica e sono decorati da elaborate cerchiature. Riportano in genere, incisa sulla canna o sulla bocca, una dedica col nome del proprietario o del comitato a cui appartengono, o con la data di un evento gioioso quali battesimi, matrimoni ed anniversari. I cannoni di ghisa, oggi desueti, erano ancora più eleganti, provenendo da stampi e quindi potendo assumere forme non legate alle simmetrie cilindriche della tornitura. 

La polvere utilizzata per le sparate è di due tipi, detti la "lucida" e la "scura". La polvere cosiddetta lucida è venduta allo stato granulare e per essere utilizzata necessita di setacciatura con maglia di circa 2-3 mm. La parte grossolana viene impiegata per il caricamento dei mascoli, la parte fine per la realizzazione della riga. La polvere cosiddetta scura è commercializzata allo stato pulverulento e viene impiegata come "reffino" ovverosia polvere per innesco. Il reffino può essere prodotto anche per macinazione, con le dovute cautele, della polvere lucida.

Il caricamento avviene secondo la seguente sequenza. Per prima cosa il fochino soffia all'interno dell'agguggino per due scopi: per verificare che il mascolo non sia ostruito e per liberare l'interno dalla sporcizia accumulatasi col tempo. Se riscontra che l'agguggino "soffi" poco, potrà pulirlo con un piccolo pezzo di filo di rame (non di ferro in quanto i materiali che producono scintille sono banditi). A questo punto il mascolo viene caricato di polvere nera, a mano o mediante l'utilizzo di un dosatore (tipicamente il bussolotto dei rullini fotografici). Il mascolo moderno contiene circa 15 grammi di polvere granulare (la "lucida"). La canna viene in seguito riempita fino alla bocca con segatura, su cui si impongono, con una mazzetta, i primi due colpi di pestello ("ciosun", noto altrove anche come "stia"). A tale proposito è doveroso ricordare che, per l'incolumità dei fochini, ciosun e mazzetta debbano essere in materiale antiscintilla, secondo la vigente regolamentazione ed il comune buon senso. La parte di canna liberata dal rientro della polvere e della prima segatura compattate viene nuovamente riempita con segatura, terra o una miscela delle due, e battuta energicamente ma non troppo per formare il tappo definitivo. Si noti che in passato per formare il tappo si usava finanche il calcinaccio ("zetto") setacciato. Oggi la vigente regolamentazione prescrive l'uso della sola segatura, al fine di creare un tappo sicuramente frantumabile e proiettabile dalla deflagrazione; questo per prevenire due possibili malfunzionamenti: lo sfiato dall'aggugino (si dice che l'agguggino "sciuscia", soffia) che crea un dardo di fiamma in grado di investire le gambe del fochino, ed addirittura il cedimento violento per frattura del mascolo nel caso questo presenti difetti interni notevoli, generabili da un'eccessiva ed incontrollata corrosione, e scarsa tenacità del materiale base (problema tipico di ghise ed ottoni). L'operazione di caricamento è soggetta a precise disposizioni di sicurezza, così come il trasporto dal sito di caricamento all'area di sparo. E' doveroso rammentare infine che è buona norma controllare in principio la qualità della segatura onde scartare quella che presenti inclusioni di materiali estranei, particole metalliche o sassolini, che potrebbero durante la percussione generare rischio di scintille. A tal uopo si utilizza segatura vagliata di segheria.

La tecnica di caricamento dei mascoli, con mazzetta, ciosun e segatura fina, avviene generalmente poggiandosi su un ceppo di legno (nella foto un tronco di traversina ferroviaria) e prevede il riempimento della canna con la polvere nera fino a circa 3/4 dell'altezza (in un ordinario mascolo moderno questa misura corrisponde a circa 15 grammi di polvere granulare); la canna viene poi intasata con la prima "passata" di segatura, che viene percossa con due colpi. Il rigetto viene nuovamente riempito di segatura e battuto con 2-3 colpi fino ad ottenere un tappo consistente. Mazzetta e ciosun sono in legno, plastica, ottone, alluminio o altre leghe che non producono scintille per sfregamento. I materiali ferrosi sono ovviamente banditi.

Il mascolo carico è inoffensivo fintantoché non venga innescato ("aggugginato"). Ciò si ottiene intasando di reffino l'agguggino. Questa operazione si esegue sui mascoli prima di posizionarli nella sparata. Alcuni preferiscono posizionare i mascoli prima di aggugginarli, nel qual caso i mascoli non ancora aggugginati vengono posati con la canna orizzontale e l'agguggino rivolto verso l'alto pronto a ricevere un pizzico di reffino.

Un piccolo ramadam triangolare a dieci mascoli con cannone, disteso sulla passeggiata a mare di Rapallo(da www.festediluglio.it). Qui, stante il fondo asfaltato ed asciutto, la stesura non necessita di segatura.

Il ramadam è una disposizione circolare di mascoli, in cui questi possono essere distribuiti sulla corona esterna, uniformemente sulla superficie, o secondo geometrie varie. Il tipo a distribuzione uniforme è adatto a piccoli ramadam (da qualche unità a due decine), in cui i mascoli vengono collegati spandendo la polvere in maniera distribuita. Il ramadam a mascoli disposti e collegati sulla corona è utilizzato laddove il circolo debba ospitare una composizione artistica al suo interno, spesso un'effige del santo patrono o l'emblema dell'associazione che realizza la sparata. Infine vi sono i ramadam in cui i mascoli sono disposti e collegati sia all'interno del circolo che sulla corona, secondo geometrie prestabilite a formare composizioni geometriche ed artistiche; usualmente adottato a Sori è il riondino a fiore a sei petali, che viene disteso su un letto di segatura colorata.


A sinistra: un'immagine dell'anteguerra a Rapallo: un massaro (termine rapallino che indica il fochino addetto ai mascoli, e più in generale il membro del comitato del sestiere) porta il bettone (da www.festediluglio.it) mostrandone l'impugnatura; si noti l'altro massaro con il corno (in vero corno!) per distendere la riga di polvere.

L'accompagnamento della sparata col bettone comporta che il fochino debba camminare in prossimità della riga in fiamme e dei mascoli che scoppiano. Per tale motivo portare il bettone in sicurezza richiede l'osservanza di alcuni principi elementari del buon senso, al fine di non ritrovarsi "strinati".  L'abbigliamento del fochino responsabile comprende abiti pesanti, occhiali di protezione, elmetto e scarponi antinfortunistici. E' posta particolare attenzione alla protezione dei polpacci e caviglie da eventuali "soffi" di aguggini erroneamente direzionati. Inoltre, nonostante possa sembrare a prima vista strano, è preferibile mantenersi quanto più vicino possibile al fuoco, poiché le traiettorie degli eventuali frammenti proiettati dal rinculo dei mascoli partono con un alzo non superiore ai 30°, ricadendo a circa 4-5 metri di distanza. Per tale motivo le sparate distese nel greto dei torrenti arginati sono più sicure di quelle a livello della via, nei confronti della proiezione di frammenti. Il problema non si pone dove le sparate hanno la possibilità di percorrere terreni asfaltati, o comunque rivestiti di una pavimentazione resistente al rinculo. Generalmente nelle sparate di lunghezza media e grande il compito di portare il bettone è affidato a più fochini, ognuno con un bettone appena estratto dal fuoco (la sfera di ghisa fa relativamente presto a perdere il calore rosso superficiale e diventare inefficace), che si danno il cambio in una staffetta. Inutile dire che portare il bettone è considerato un grande onore e segno distintivo di virilità.


Spettacolari immagini notturne di due fochini col bettone che si danno il cambio durante la sparata del 2005: a sinistra l'arrivo al punto di cambio, a destra la partenza della staffetta.

Il brandä noto anche come riondino, ramadan, panegirico...) costituisce il finale della sparata. Nella sua forma classica è una disposizione di mascoli realizzata a triangolo isoscele allungato, in cui le due righe esterne, i lati del triangolo, vengono progressivamente affiancate da nuove righe all'interno man mano che si procede verso la base ed il triangolo si allarga. Il brandä attacca al vertice e brucia generando un fragoroso crescendo, che si conclude con il gratïn, la base del triangolo in cui i mascoli sono disposti a file serrate. Chiude lo spettacolo lo scoppio di tre o più cannoni di grandi dimensioni disposti in riga a seguire o, se questo non fosse possibile, allineati in posizione decentrata (nel qual caso vengono accesi da un fochino col bettone non appena il gratïn termina). 

Il brandä può assumere le più svariate dimensioni, da duecento ad oltre cinquemila mascoli, e con la sua mole rappresenta l'orgoglio e la potenza economica del comitato che lo allestisce. Sono rinomatissimi per mole (svariate migliaia di mascoli e decine di cannoni di tutte le taglie) ed accuratezza quelli di Recco, in occasione della festa di N.S. del Suffragio, ed il Panegirico di Rapallo, che conclude la sparata di mezzogiorno del 2 luglio, ed è allestito a turno annuale dai Sestieri della città. A Sori, il Gruppo Festeggiamenti ha, nel corso degli anni, realizzato brandæ (per i foresti: notare il plurale genovese!) da mille a duemilacinquecento mascoli, a seconda delle condizioni metereologiche e delle regolamentazioni di volta in volta vigenti, con pregevole risultato a fronte delle risorse disponibili.


A sinistra: il bellissimo e maestoso brandä (ramadam a Rapallo) decorato posto a conclusione del Panegirico 2004 a Rapallo, allestito dal Sestiere della Cappelletta (da www.festediluglio.it). Si noti la forma classica triangolare (ritenuta la migliore per effetto sonoro e visivo), culminante con un mastodontico gratïn, abbinata al magnifico decoro dipinto sulla pavimentazione stradale della passeggiata a mare. Una tale opera contiene diverse migliaia di mascoli e, a seconda della direzione ed intensità del vento, dura fra i venti secondi ed il minuto.

In talune occasioni il brandä assume forme elaborate ed ornamentali molto decorative; è questo il caso fra l'altro dei finali di sparata realizzati a Rapallo in occasione delle festività di luglio in onore di N.S. di Montallegro. Avendo i rapallini la possibilità di allestire il brandä (nell'uso della vallata di Rapallo nominato "ramadan") sull'asfalto della passeggiata a mare, colgono l'occasione per impreziosirlo con pregiati disegni.


Qui sopra il brandä ("ramadan") del Panegirico 2006 a Rapallo, allestito dal Sestiere di San Michele (da www.festediluglio.it). La citazione di quest'opera è doverosa per la sua forma originale. L'attacco è classico triangolare, ed il rombo in crescendo che se ne genera è in seguito mantenuto pressoché costante da un corpo centrale trapezoidale in cui le righe vengono raddoppiate una sola volta a metà percorso. Il culmine è in guisa di un doppio arco che inquadra il nome del sestiere. Il gratïn ha l'inconsueta forma della croce di malta. L'effetto sonoro complessivo è molto articolato, con un crescendo veloce che rallenta, si smorza quando il fuoco passa per gli archi e termina con una successione di ruggiti in corrispondenza della consumazione non contemporanea delle braccia del gratïn. il tutto è condito dai colpi dei cannoni disposti lungo il ramadan.

2 luglio 2018 – Festa di Ns. di Montallegro: al Santuario la Messa del cerimoniere del Papa Mons. Guido Marini (a sinistra). “Salire al monte - ha detto - per pregare e per chiedere a Maria di essere sempre più vicini a suo figlio Gesù”.


Messa al Santuario di N.S. di Montallegro

Mons. Guido Marini (al centro della foto)

GIORNO DELL’APPARIZIONE DELLA MADONNA

A Rapallo oggi il Panegirico, i fuochi e domani processione

Rapallo sta festeggiando da ieri Nostra Signora di Montallegro. Oggi a mezzogiorno è avvenuta la sparata del Panegirico seguita dallo spettacolo a giorno a cura del Sestiere San Michele. Alle 22.45 il saluto dei Sestieri alla Madonna con l’accensione degli antichi mortaletti liguri. Alle 23 il Palio dei Sestieri con spettacoli pirotecnici a notte, a cura dei Sestieri Cerisola e Cappelletta.

Domani 3 luglio invece tra i momenti più attesi la solenne processione  presieduta dall’arciprete don Stefano Curotto che alle ore 21 accompagnerà per le vie cittadine l’arca argentea, con la compartecipazione delle confraternite e dei crocefissi processionali tra cui – in via eccezionale – il celebre Cristo bianco del Maragliano, invitato a Rapallo dai Massari di San Michele. Il percorso della processione, a fronte della presenza del cantiere sul torrente San Francesco, non transiterà sul lungomare. Una volta giunta all’incrocio tra via della Libertà e corso Matteotti, svolterà a sinistra, in direzione della Basilica e raggiungerà via Milite Ignoto per assistere alla “Sparata dei Ragazzi”, allo spettacolo pirotecnico “a notte” e al sempre suggestivo “Incendio del Castello”. Protagonisti saranno il Sestiere Borzoli, Seglio e San Michele. Il 1° invece è toccato ai Sestieri Costaguta e Borzoli.

UN PO’ DI STORIA….

Nella Riviera di Levante, le salve di saluto, i colpi per i festeggiamenti nelle feste patronali hanno una tradizione antichissima e sono i sostituti civili delle salve di cannone militari e il loro utilizzo si fa risalire almeno al XVII secolo.

Salve di cannone o il saluto con le braccia rendono l'onore militare o navale. L'usanza ha origine nella tradizione navale, dove una nave da guerra avrebbe sparato i suoi cannoni, senza pericolo, in mare, fino a che tutte le munizioni fossero state spese, per mostrare che era disarmata, a significare la mancanza di intento ostile.

Come si è evoluta in ambito navale, 21 colpi sono venuti ad essere usate per i capi di Stato, con la diminuzione del numero con il grado del beneficiario dell'onore. Mentre 21 salve sono le più comunemente riconosciute, il numero di giri sparati in ogni saluto dato varia a seconda delle condizioni. Le condizioni per effettuare queste variazioni includono la particolare occasione e, nel caso di militari e funerali di stato, il ramo di servizio, e del rango (o ufficio) della persona alla quale sono stati resi gli onori.

Furono proprio gli inglesi a codificarne l'uso.
La prima regolamentazione è datata 1688: si stabiliva che per compleanni e incoronazioni dei Reali si desse voce ai cannoni da ogni nave della flotta.

Il numero 21 compare però nel 1730 (nel British Naval
Regulations) come limite massimo per ogni imbarcazione.
Ma le salve non venivano usate solo per i regnanti.
Il numero era sempre dispari e cresceva di due, secondo il rango del
festeggiato. I numeri pari venivano usati solo in caso di lutto.
Il 21 divenne codice internazionale come rituale diplomatico.
Un vascello da guerra, entrando in un porto straniero, salutava la bandiera della nazione ospite, e da entrambe le parti si sparavano i famosi 21colpi,
come segno di non belligeranza (guai a spararne uno in più o in meno).
Comunque, sul perché sia stato scelto proprio questo numero, si può ipotizzare una componente mistico-religiosa: 3 e 7, che moltiplicati tra loro danno appunto 21, sono cifre dalla forte valenza simbolica.

A Recco questa tradizione risale fino agli inizi del 1400 ed è legata al culto della "SUFFRAGINA", la Madonna del Suffragio, patrona e protettrice della città.

Nella chiesa di Megli è conservata una tavoletta ex voto risalente al 1700 dove si vede un uomo con il cappello a tricorno che segue una sparata di "mascoli".

Inoltre il Sac. Giacomo Olcese nel suo libro del 1896 "Storia di Recco" riporta a proposito dei "mascoli": "…il giorno 8 settembre d'ogni anno è straordinario il numero di forestieri che viene a Recco e per assistere alle solenni religiose funzioni, alle splendide illuminazioni, alle lunghe e tradizionali sparate di migliaia e migliaia di mortaretti, come pure alla solenne e imponente processione, e ai fuochi a mare e di terra…"

E ancora il grande narratore francese Henry Stendhal che visitò Recco nel 1818 nei giorni 8 e 9 settembre scriveva: "C'è stata la festa della Madonna di Recco. Vi sono andato con le nipotine dell'antico Doge S. che furono educate nelle Fiandre in un monastero di cui mia zia fu badessa. Eravamo in dieci montati sopra asini… Qui sento il rumore dei fucili e dei mortaretti sparati in onore della Madonna da questa gente avara e ladra che appena interrompe la solitudine di questi monti… Sono le dieci e lo spettacolo diventa più sublime ad ogni istante…"


Sparate di mascoli a Recco e a Rapallo – Nuove normative

Le salve di saluto in occasione di feste e manifestazioni non potevano essere affidate ai cannoni custoditi nelle fortezze della Repubblica di Genova, spesso mal ridotti e poi nei centri minori non esistevano cannoni.

Si inventarono allora dei congegni metallici di piccole dimensioni definiti nel linguaggio popolare "mascoli", facilmente caricabili con minime quantità di polvere da sparo, trasportabili e sistemabili laddove era necessario collocarli per comporre anche dei disegni che scoppiavano in grande stile: i cosiddetti "ramadam".

L'uso di questi congegni è generalizzato nei giorni di festa in tutti i centri liguri.

Il "mascolo" è un cilindro di ferro con una base piatta che si adatta al suolo, con un'altezza compresa tra 8 e 15 cm, con uno spessore adeguato all'altezza (camicia) di almeno 1 cm e con un foro all'estremità inferiore sul lato verticale detto "aboggino" per il collegamento della striscia di polvere nera che unisce i vari "mascoli" di una sparata che rumoreggiano in rapida successione.

Il peso di un "mascolo" è di circa 2 kg, lo spessore della camicia è garanzia contro l'esplosione del "mascolo" e la quantità di polvere da sparo collocata in ogni elemento è di circa 15 grammi che viene pressata e ricoperta con segatura.

Ogni quartiere possiede e conserva gelosamente migliaia di "mascoli", tramandati di generazione in generazione.

Una "sparata" è composta da circa 1000-2500 "mascoli" di cui la metà viene usata per la "riga" e il resto per il "riondino" .

La "riga" consiste in un susseguirsi di "mascoli" posti su un sentiero di sabbia a distanza regolare di circa 40/50 centimetri l'uno dall'altro, collegati dalla riga di polvere nera adagiata su un letto di segatura.

Il culmine della sparata è il "riondino", un insieme di "mascoli" disposti a triangolo isoscele rovesciato, posti a distanza che varia da circa 50 centimetri iniziali fino a circa 10 centimetri e che esplodono sempre più velocemente, in un crescendo di botti.

Al termine del "riondino" vengono collocati una decina di "mascoli" di maggiori dimensioni detti "fulminin" che producono un botto fragoroso e contengono una quantità maggiore di polvere pirica.

La sparata viene accesa con il "bettone", un attrezzo apposito che ha alla sua estremità una palla di ferro che viene arroventata per poter incendiare la polvere e i "mascoli" sono innescati grazie alla riga che una volta incendiata, porta il fuoco all'interno degli stessi tramite l'"abboggino".

La sparata viene "seguita" dai volontari dei Quartieri che, come da antiche tradizioni votive verso la Celeste Patrona, controllano che non si spenga la striscia, passandosi di tratto in tratto il "bettone" stesso, per integrare la polvere che brucia con una maggiore sicurezza.

I "mascoli "sono innocui perché non c'è lancio in aria o lateralmente di materiale infuocato o esplosivo in quanto la forte deflagrazione avviene all'interno del "mascolo" stesso grazie alla forte compressione della polvere nera che viene espulsa provocando rumore.

Non si ricordano nel tempo incidenti di sorta né per lesioni da scoppio né per abrasioni da scottature né tanto meno per danneggiamento di cose.

Non sussiste nessun pericolo di esplosione accidentale o per "simpatia" non essendoci inneschi detonanti ed essendo ogni elemento tenuto a distanza dagli altri.

Oggi le sparate avvengono sul greto del torrente Recco e in zone periferiche su terreni appositamente preparati e puliti adeguatamente dove vengono effettuati i percorsi con l'eliminazione di sassi e pietrisco e con la stesura di un letto adeguato di sabbia fine dove poi vengono posizionati tutti i "mascoli".

La quantità maggiore di polvere nera viene utilizzata per "rigare" la sparata cioè per collegare in serie ogni singolo "mascolo" dando il via con il "bettone" alla suggestiva "lingua di fuoco".

Nel 2001 alla luce delle nuove normative in materia e al termine di una lunga ed epica battaglia conclusasi con successo per il riconoscimento presso il Ministero degli Interni di questa antica tradizione, circa 150 volontari dei 7 Quartieri cittadini capitanati dal sindaco e dal parroco hanno conseguito in seguito ad un esame presso la prefettura, il "patentino" ovvero l'abilitazione tecnica ora necessaria per poter caricare e sparare i "mascoli".

Questo non ha costituito un ostacolo anzi è stata l'occasione per far nascere l'"Università dei Fuochi" di Recco che tutti gli anni prepara i giovani per il conseguimento del "patentino" necessario per proseguire la grande tradizione degli "antichi mortaletti liguri".

L’antiga tradiçion di mortaletti, tòcchi de Liguria che vive ancon.

di Andrea Acquarone

Genova - “Unna vòtta ô fàvan pe avvizâ de l’arrivo di corsæ”, o dixe o Gioanin Rosasco, o zoeno ch’o l’è o massâ de San Bertomê de Sòi, “oua a resta a tradiçion”. Parlemmo di mortaletti, che a Levante î ciàmman ascì màscoi, e che son a còsa ciù importante quande gh’è de feste inte valle de Sòi, de Recco, de Rapallo, do Tigullio e da Fontanabonn-a. “Ma se ti væ solo che a Zena, no san manco còse son”, o continua o Rosasco, “a l’è na còsa che femmo solo niatri”. E i Fùrgari de frevâ a Taggia? “Quella a l’è n’atra còsa”. Saià!

A tutte e mainee pe inandiâ i mortaletti “s’è delongo uzou méttise in çercio”, o ne spiega o Luca Figari, massâ de Rapallo, comme se sente da-a còccina, “donca i s’asséttan in çinque, ciaschedun in sce un çeppo: o primmo çeppo o nettezza o mortaletto, o segondo, co-o pugno da man, o ghe caccia drento a poe, o terso o â sciacca co-a stia (ciöson a S. Bertomê, caregatô Recco, ndr). O quarto çeppo o creuve a poe con da serreuia ò do papê, l’ùrtimo o creuve tutto de tæra”. E coscì pe træ, çinque, dexemìa vòtte, dëxenn-e de personn-e scompartìe in squaddre.

O giorno da sparata – ògni paize o l’à o seu: da-i primmi de luggio a Rapallo, fin a l’iniçio d’otobre a-o Favâ de Mävoæ – i mortaletti végnan portæ in sciô pòsto, s’agogginn-an co’un còrno de bùffao pertuzou, e se ghe dà feugo. Dòppo o scròscio, trei corpi de cannon særan a festa.

De vòtte se fa fadiga a capî o senso de ste còse, che incangio éan tanto sentìe da-i nòstri antighi. Scibben che de feughisti ghe ne segge ancon ciù de mille, i ciù tanti en òmmi in etæ, levou o fæto che no tutti appréxan ciù e sparate. “E pòi gh’è un muggio de burocraçìa”, o dixe o Aurelio Rosasco, poæ do Gioanin, “mi ascì, che l’ò fæto delongo, m’è toccou piggiâ un patentin, ma a m’è anæta ben, perché i zoeni dévan studdiâ pròpio da feughisti. Finisce che a-e gente ghe scappa a coæ. Capiscio o fæto da seguessa, ma coscì meue e tradiçioin”. Son stòie piccinn-e, se se veu, ma a riflescion in sciâ nòstra identitæ a passa da chì ascì.

Glossaio
Agoginn-an (se)
– si innescano con la polvere tramite un buco, detto “agoggin”
Caregatô – vedi “stia”
Ciöson – vedi “stia”
Fùrgari (fùrgai) – mortaretti tipici di Taggia
Màscoi – mortaretti liguri
Massâ – massaro (colui che va a raccogliere i fondi per la sparata)
Mortaletti – mortaretti liguri
Poe (povie) – polvere sa sparo
Scròscio – ultima raffica di esplosioni
Stia – arnese per pressare la polvere da sparo

 

PROGRAMMA

FESTE DI LUGLIO 2018

FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI N.S. DI MONTALLEGRO

dal 01-07-2018 al 03-07-2018 - Centro cittadino PATRONA DI RAPALLO E DEL SUO ANTICO CAPITANEATO nel 461° anniversario dell'Apparizione - 251° Incoronazione Sacro Quadretto. Cerimonie religiose, fiera e grandiosi spettacoli pirotecnici nelle tre serate di festa. Treni Straordinari

dal 23 GIUGNO al 1 LUGLIO

SANTUARIO DI MONTALLEGRO ore 05.00 Novena dell’alba predicazione di vari sacerdoti della Diocesi

BASILICA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO Sante Messe della Novena

ore 07.00 e 10.30 feriale

ore 07.30 e 10.00 festivo

ore 18.00 Novena – Predicazione di Padre James Walsh del Santuario N.S. della Guardia di Velva e di Padre Attilio Fabris dell'Abbazia di Borzone

23 GIUGNO ore 09.00 Pellegrinaggio dei bambini al Santuario (partenza dalla Chiesa di S. Francesco)

24 GIUGNO ore 15.30 Santa Messa con unzione degli infermi - Basilica dei SS. Gervasio e Protasio

1 LUGLIO

ore 03.00 Pellegrinaggio dei giovani al Santuario (partenza fiaccolata dalla Chiesa di S. Francesco)

ore 7,00-10,00-11.00-12.00-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe della Novena

ore 08.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio Esposizione dell’Arca argentea della Madonna alla presenza di S.E. Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari

Innalzamento dei vessilli dei Sestieri

“Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri BORZOLI e COSTAGUTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

ore 08.15 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Santa Messa celebrata da S.E. Mons. Alberto Tanasini - Vescovo di Chiavari

Sante Messe a seguire ore 10 – 11 – 12;

ore 16.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Omaggio floreale dei fanciulli alla Madonna

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - S. Messa celebrata da Mons. Pino De Bernardis nel 60° anniversario di ordinazione sacerdotale

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Canto dei primi Vespri

ore 21.30 Concerto della Banda Musicale “Città di Rapallo” - Direttore Daniele Casazza (Chiosco della Musica – Lungomare Vittorio Veneto)

ore 22.15 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 22.30 “Palio dei Sestieri” – Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri BORZOLI e COSTAGUTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

2 LUGLIO

ore 7,00-08.30-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe

ore 10.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Solenne Pontificale officiato da S.E. Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari

ore 10.30 Santuario di Montallegro: Santa Messa Solenne celebrata da Mons. Guido Marini Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice

ore 12.00 “Sparata del Panegirico” a cura del Sestiere SAN MICHELE (Lungomare Vittorio Veneto e specchio acqueo antistante)

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Santa Messa solenne celebrata da Don Gianluca Trovato – Rettore del Santuario di Montallegro

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Canto dei secondi Vespri

ore 21.30 Concerto della Banda Musicale “Città di Rapallo” - Direttore Daniele Casazza (Chiosco della Musica – Lungomare Vittorio Veneto)

ore 22.45 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 23.00 “Palio dei Sestieri” - Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri CERISOLA e CAPPELLETTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

3 LUGLIO

ore 7,00-08.30-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe

ore 10.30 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Solenne Pontificale officiato da S.Em. Cardinale Angelo Bagnasco – Arcivescovo Metropolita di Genova e concelebrata dai Sacerdoti di Rapallo

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Santa Messa celebrata da Mons. Lelio Roveta, Arciprete Emerito

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Solenne Processione dell’“Arca argentea della Madonna” presieduta dall'Arciprete Don Stefano Curotto e con la partecipazione delle Confraternite, dei Crocifissi processionali e dei Massari dei Sestieri

ore 22.00 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti in concomitanza con il passaggio dell’”Arca argentea”

ore 22.15 “Sparata dei ragazzi” e “Incendio del Castello” a cura del Sestiere BORZOLI

ore 23.15 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 23.30 “Palio dei Sestieri” Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri SAN MICHELE E SEGLIO (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

Nella giornata di martedì 3 luglio e nella notte tra il 3 e 4 luglio 2018, in occasione della Festa
Patronale di Rapallo N. S. di MONTALLEGRO, con il contributo della Regione Liguria l’offerta
orario sarà ampliata come indicato nell'allegato

8 LUGLIO (vedi)

SANTUARIO DI MONTALLEGRO

ore 10.30 “Adempimento del Voto della Comunità Rapallese” – Anno Domini 1657 – Santa Messa all’Altare della Madonna celebrata da S.E. Mons. Alberto Tanasini

“Benedizione della Città” al termine della solenne processione con il “Sacro Quadretto”

Spettacoli pirotecnici dei Sestieri realizzati con il concorso delle rinomate Ditte:

-FIREWORKS LIETO – Visciano (NA) - Sestiere SAN MICHELE

-APULIA EVENTS – San Severo (FG) - Sestiere SEGLIO

-DITTA CATAPANO GIUSEPPE – Ottaviano (NA) – Sestiere BORZOLI

-PIROTECNICA MORSANI – Belmonte in Sabina (RI) – Sestiere CERISOLA

-SCUDO GERARDO – Ercolano (NA) - Sestiere CAPPELLETTA

-SETTI FIREWORKS – Genova – Sestiere COSTAGUTA

BASILICA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO – Coro della Basilica diretto da Simona Gardella - organista M° Fabio Macera

GOLFO DI RAPALLO Posa in mare dei Lumetti “Rapallini” a cura del Circolo Pescatori Dilettanti Rapallesi

www.comune.rapallo.ge.it www.sestederapallo.it

Per maggiori informazioni

https://www.comune.rapallo.ge.it/pagina631_festeggiamenti-patronali-1-2-3-luglio.html

http://www.festediluglio.it

http://www.sestederapallo.it

http://www.turismoinliguria.it

“LA CHIESA NON SI RIDUCA A MANIFESTAZIONI ESTERIORI”

Il monito del vescovo Tanasini sembra ritornare sulla polemica per i fuochi e la presenza di troppi Cristi lignei in processione.

Sul lungomare, la presidente del Comitato dei Sestieri Maura Arata non si stupisce delle parole del vescovo che, negli anni, non ha mai nascosto di apprezzare poco le sparate dei fuochi (ma anche tanti Cristi lignei in processione). E riflette:

Il vescovo é uomo intelligente e sa bene che le nostre contadine del passato, che certo seguivano Maria nell’umiltà, a mezzogiorno del 2 luglio, sentendo i mortaretti, fermavano il lavoro nei campi per farsi il segno della croce e pregare. Il Panegirico, i fuochi: siamo tutti uniti nelle nostre Feste, sta andando ogni cosa al meglio”.

Concludiamo questa panoramica "rapallina" lasciando la parola ai turisti e non… di Rapallo.

Durante la festa del paese che si svolge i primi tre giorni di luglio per l'anniversario dell'apparizione della Madonna di Montallegro ogni sera è possibile ammirare un grande spettacolo pirotecnico ma la serata più emozionante è quella conclusiva quando dopo lo spettacolo pirotecnico viene teatralizzato...

Matteo Z.

Nell'ambito delle feste di luglio a Rapallo una tre giorni di fuochi d'artificio con culmine nell'incendio del castello durante la processione con i tipici portatori di pesantissimi crocefissi splendidamente ornati e apparentemente traballanti ma in un equilibrio incredibile.

Farris Alessandro

Tre serate di fuochi indimenticabili! Uno spettacolo che si ripete tutti gli anni e che lascia sempre a bocca aperta. Non sono ancora riuscita a trovare fuochi più belli di quelli di Rapallo e non solo perchè hanno il sapore dell'infanzia!

Elena P.


Ogni estate, la sera del 3 luglio a Rapallo, in occasione delle celebrazioni di Nostra Signora di Montallegro (1-2 e 3 luglio) verso le ore 22:15 viene incendiato il castello. È il momento più emozionante della festa, l'Arca Argentata della Madonna viene portata in processione...

Marina F.

Alla fine della processione del "Quadretto di Maria" viene dato "fuoco" al vecchio castello sul mare. Bagliori rossi compaiono alle finestre e alle pareti una pioggia argentea di fuochi d'artificio e ...fumo fumo fumo. E' uno spettacolo suggestivo ed affascinante.

Giampaolo M.

Serata spettacolare del 3 di Luglio, sempre molto affollata ma da non perdere. La processione dei Crocefissi e della Madonna di Montallegro, l'incendio del castello con i fuochi d'artificio e il palio pirotecnico. Bancarelle in centro. Bellissimo

AlittaM.



Bellissima l'atmosfera che si respira sospesa tra religiosità, rievocazione e spettacolo con la processione. Spettacolari i fuochi d'artificio che sono fatti per tre sere di fila il 1", 2 e 3 luglio. La sera del 3 lo spettacolo nello spettacolo è l' incendio del castello.

Elisabetta464

la processione della Madonna di Montallegro e' una delle più belle attrazioni di Rapallo, incredibilmente ricca di emozioni. essendo nato a Rapallo me la ricordavo sin da quando ero piccolo, me e' sempre bello dopo tanti (troppi) anni rivederla con alla fine l'incendio del castello!!!...

William Gubert

L'incendio del Castello, unito ai fuochi d'artificio che iniziano già dal mattino con i botti dei vari quartieri raggiungono l'epilogo la sera in cui il Golfo di Rapallo s'incendia con il mare che trasmette il riverbero dei fuochi.

giavenomarco

Sacro e profano per una serata indimenticabile, i fuochi artificiali che incantano grandi e piccini e il caratteristico "incendio del castello".

Balacchino

Sempre uno spettacolo a metà tra il religioso e il pagano, con il popolo di Rapallo che adora la sua Protettrice. Da andare apposta a Rapallo a Luglio.

Francesco b

L'incendio del castello e la processione dei crocifissi si tengono entrambi nella serata conclusiva della festa patronale di NS Signora di Montallegro il 3 luglio, l'arca argentea della Madonna viene portata in processione nelle vie del centro, ad essa si accompagnano i portatori dei crocifissi...

MarcoA


Tutti gli anni, nel corso delle feste patronali in occasione della Festa della Madonna di Montallegro, si tiene il 3 luglio la processione dell'arca argentea della Madonna. L'arca è preceduta da alcuni Crocifissi processionali (detti "i Cristi"). Quest'ultima volta erano sette Crocifissi, delle diverse confraternite...

Stefano91

Rapallo. Prima una processione religiosa di Crocifissi, col Cristo Bianco e Cristo Nero, opere d'arte di fino a 400 kili. Straordinario! Poi, L'Incendio del Castello con Fuochi Artificiali che non finiscono mai. Splendido. Fantastico. Non ho parole per la belleza di Rapallo illuminatissimo!

Soncijo

Le foto a seguire sono state scattate da Aurelita Persi Donati






CARLO GATTI

Rapallo, 1 luglio 2018

 

 


SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO LA NOVENA DELL’ALBA

SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO

LA NOVENA DELL’ALBA


Nel sestiere di Borzoli, a circa seicento metri s.l.m., sulle balze del monte Ponzema spicca nel verde delle colline il Santuario di N. S. di Montallegro, testimonianza imperitura della Sua Apparizione in questo luogo.

Era il 2 luglio 1557, quando nelle prime ore del pomeriggio, ad un contadino di San Giacomo di Canevale, Giovanni Chighizola, che tornava dal mercato e sul monte s’era posto a riposare, apparve la Madonna, la quale – così si narra – incaricò Giovanni di avvertire i Rapallesi che ivi voleva essere venerata e come segno tangibile lasciò quel quadretto (una tavola bizantina) rappresentante la dormitio Mariae, mentre dalla vicina roccia sgorgava una limpida sorgente di acqua.

I primi ad accorrere sul luogo furono alcuni contadini della zona e il parroco di S. Ambrogio, Rocco Lucchetti, il quale fu vivamente impressionato dall’avvenimento. La voce del miracolo si diffuse rapidamente e da Rapallo accorsero altri; il Lucchetti, fatta una questua, diede a Nicolosino Bisanino (forse il bargello?) e al magnifico Gio Battista della Torre, una piccola somma, perché provvedessero, a far sorvegliare e custodire il quadretto durante la notte.

La notizia della miracolosa apparizione e fece accorrere folla da ogni luogo e, l’anno seguente, il vicario generale della diocesi di Genova, mons. Egidio Falceta, vescovo di Caorle, ebbe l’incarico di condurre un’indagine accurata sull’ accaduto….

Osservando lo stemma araldico della Città di Rapallo, si nota l’azzurro della sigla Mariana accostata da due grifoni controrampanti sostenenti, con le zampe anteriori, una corona, il tutto d'oro.

Il simbolo indica ovviamente la regalità di Maria e l'eterna riconoscenza che gli abitanti del comune intendono esprimere alla loro celeste Patrona che, da 461 anni, non cessa di ricoprirli di grazie e protezione.
L'inserimento infatti dell'iniziale mariana nel gonfalone cittadino rappresenta un impegno pubblico di devozione e sottomissione. Pochi probabilmente oggi se ne rendono conto ma chi compì tale gesto significativo, il 28 novembre 1948,  certo non aveva gli scrupoli per la "laicità" dello Stato manifestati invece anche purtroppo da molti ecclesiastici di oggi.
Al di là infatti delle vicende che dettero inizio al santuario, i rapallesi, nella semplice saggezza di chi sa davvero leggere, negli avvenimenti storici, i segni del soprannaturale, attribuirono sempre alla protezione di Maria la salvezza del paese rispetto a pestilenze, epidemie di colera e finanche dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

I followers del sito di Mare Nostrum Rapallo conoscono i nostri numerosi scritti sulle celebrazioni delle FESTE DI LUGLIO in onore della SS. Vergine. In questi giorni Montallegro diventa una piccola Lourdes, a Rapallo e dintorni si respira aria di fede e devozione: tanti giovani e non più giovani rinnovano ogni anno:

il rito della Novena dell’alba

un antico pellegrinaggio notturno che si snoda sugli impervi sentieri che dalla funivia raggiungono il Santuario (620 mt) cantando e pregando al lume di candele, torce ed oggi di faretti e smartphone.

Gesù disse ai suoi Apostoli:

Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)-

Questo sembra essere, ormai da molti secoli, il collante che unisce i rapallesi al loro Santuario.

Immagini che rimangono chiuse nello scrigno dei nostri più cari ricordi di gioventù, di amicizia vera e di gioia per essere nati qui…ai piedi di questo sacro Santuario.

I pellegrini di Rapallo sono persone semplici, rimaste ancorate a quei valori ereditati dai loro vecchi e che sicuramente tramanderanno ai loro discendenti, futuri tedofori della stessa FEDE.

Di loro si parla poco, anzi quasi mai! I proiettori dei media sono sempre puntati altrove, dove il male impera e fa notizia…!


NOVENA DEFINIZIONE STORICA

Pratica di devozione in preparazione di una festa o per l'ottenimento di una grazia, consistente in particolari preghiere e meditazioni per nove giorni consecutivi; di origine medievale, è ispirata al periodo di nove giorni passati in preghiera nel Cenacolo dalla Madonna e dagli Apostoli dopo l'Ascensione in attesa della discesa dello Spirito Santo.

Cos’è una NOVENA oggi? La novena è una speciale preghiera che il fedele rivolge a Dio durante nove giorni consecutivi chiedendo l’intercessione particolare della Vergine Maria, di un santo patrono, degli arcangeli o degli angeli custodi. Si è anche soliti pregare le novene in preparazione alle grandi feste liturgiche come il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, l’Immacolata o in prossimità di altre solennità importanti.

Una novena molto diffusa è quella in suffragio dei defunti e in favore delle anime del purgatorio secondo una usanza che troviamo nell’Antico Testamento quando Giuda Maccabeo offrì con i suoi uomini un “sacrificio espiatorio” in riparazione dei peccati dei soldati caduti in battaglia.


· La Preghiera a Maria che scioglie i nodi :

Vergine Maria, Madre del bell'Amore, Madre che non ha mai abbandonato un figliolo che grida aiuto, Madre le cui mani lavorano senza sosta per i suoi figlioli tanto amati, perchè sono spinte dall'amore divino e dall'infinita misericordia che esce dal Tuo cuore volgi verso di me il tuo sguardo pieno di compassione. Guarda il cumulo di "nodi" della mia vita.

Tu conosci la mia disperazione e il mio dolore. Sai quanto mi paralizzano questi nodi Maria, Madre incaricata da Dio di sciogliere i "nodi" della vita dei tuoi figlioli, ripongo il nastro della mia vita nelle tue mani. Nelle tue mani non c'è un "nodo" che non sia sciolto.

Madre Onnipotente, con la grazia e il tuo potere d'intercessione presso tuo Figlio Gesù, mio Salvatore, ricevi oggi questo "nodo" (dire il "nodo" che ci opprime). Per la gloria di Dio ti chiedo di scioglierlo e di scioglierlo per sempre. Spero in Te.

Sei l'unica consolatrice che Dio mi ha dato. Sei la fortezza delle mie forze precarie, la ricchezza delle mie miserie, la liberazione di tutto ciò che mi impedisce di essere con Cristo. Accogli il mio richiamo. Preservami, guidami proteggimi, sii il mio rifugio.

"Maria che scioglie i nodi" prega per me.

Novena dell’Alba a Montallegro

PUBBLICATO 19 GIUGNO 2018 · AGGIORNATO 19 GIUGNO 2018

RAPALLO – Inizia sabato prossimo, al Santuario di Montallegro, la novena in preparazione alla festa patronale. Ogni mattina, alle 3.30, il Santuario aprirà le sue porte ai pellegrini, per la preghiera e per celebrare il sacramento della Riconciliazione. Alle 4.20 la recita del Santo Rosario e alle 5.00 la Messa con omelia e la supplica. La novena dell’alba sarà caratterizzata, quest’anno, dalla presenza di sacerdoti e gruppi parrocchiali provenienti da diverse parti della Diocesi. Ad iniziare il cammino di preparazione sarà don Marco Gattorna con i giovani della Val Fontanabuona. Seguirà Don Massimiliano Pendola, con le comunità di Moneglia; Don Andrea Buffoli e i giovani della Val Graveglia; don Alberto Gastaldi e i ragazzi di Chiavari; Don Federico Tavella e i giovani di Lavagna; don Cristiano Princiotta Cariddi e i volontari del santuario; don Paolo Gaglioti e i giovani di Carasco; Don Stefano Mazzini con la comunità del seminario, e per finire, Don Stefano Curotto con i giovani di Rapallo, che concluderanno il cammino domenica 1° luglio. In Basilica, a Rapallo, la Messa di novena sarà celebrata ogni mattina alle 7.00 e alle 10.30 nei giorni feriali, alle 7.30 e alle 10.00 nei giorni festivi; e al pomeriggio alle ore 18.00. La predicazione sarà affidata a Padre James Walsh, del santuario di N. S. della Guardia a Velva, e Padre Attilio Fabris, abate dell’abbazia di Borzone.



ALBUM FOTOGRAFICO


Sull'altare maggiore, è custodita l'immagine miracolosa lasciata dalla Madonna sul luogo dell'apparizione come pegno d'amore alla comunità di Rapallo, insieme allo sgorgare prodigioso di una fonte, le cui acque sono state incanalate in una fontanella che si trova ancora nella cappella laterale del Santuario.

Il quadretto, un'icona bizantina di rara fattura, è protagonista di un altro aneddoto miracoloso: dopo essere stata sistemata nel Santuario, fu notata da alcuni ragusei che vi si erano recati in visita e fu da loro reclamata, sostenendo che provenisse dalla città di Dubrovnic, in Dalmazia. Fu deciso di inviare l'icona a quello che sembrava il suo luogo d'origine ma, durante il viaggio in nave verso la Dalmazia, l’icona sparì misteriosamente e fu ritrovata nel Santuario. I ragusei compresero il segno divino e lasciarono il quadretto miracoloso a Rapallo.



 

LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM RAPALLO

In occasione dei 450 anni dall’Apparizione della Madonna di Montallegro, Mare Nostrum Rapallo pubblicò:

2007 - MONTALLEGRO, UN FARO SU MARE NOSTRUM

- Quando apparve la Madonna – Quadro Storico -

di Carlo Gatti

- Ex voto marinari – La quadreria del Santuario di N.S. di Motallegro

di Emilio Carta

- Montallegro: ex voto e storia navale

di Maurizio Brescia

 

***

Rapallo: SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO

Navi, Marinai e la Devozione Mariana

 

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=138;navi-marinai-e-la-devozione-mariana&catid=52;artex&Itemid=153

***

La "carretta" BONITAS di Ravano naufraga davanti a Norfolk

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=167;bonitas-maria&catid=52;artex&Itemid=153

***

Santuario di Montallegro. VELIERI nella Tempesta

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=176;ex-voto&catid=52;artex&Itemid=153

***

 

NARCISSUS - Il Veliero che non voleva morire

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=180;narcissus&catid=52;artex&Itemid=153

 

Carlo GATTI

Rapallo, 25 Giugno 2018


I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA

I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA

I ROLLI DAYS

Quando ero in servizio come Pilota del porto di Genova, il mio ruolo era anche definito la “carta parlante del porto e dintorni” e spesso i Comandanti foresti mi rivolgevano questa domanda:

Genova la SUPERBA, Genova la Repubblica Marinara. Ma cosa é Genova per te che la vedi tutti i giorni da molte angolazioni?”

Dovendo fare molta attenzione alla manovra in corso dovevo dare risposte rapide e magari un po’ curiose e stimolanti… per cui mi ero nel tempo affinato una risposta di questo tipo:

“Genova é come quelle signore senza età che non si truccano e non indossano gioielli perché sanno di essere più “affascinanti” di tante realtà moderne e appariscenti che brillano al sole con i loro grattacieli di cristallo senza storia. Genova é nascosta nell’ombra! Per amarla occorre scoprirla camminando con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto. Provaci Comandante, ma ti avverto che la Genova che conosco io si dà solo a chi rispetta la sua intimità che si snoda tra simboli misteriosi, scorci improvvisi che ti tolgono il fiato, e silenzi che ti parlano dentro con mille domande…!”

Genova, città portuale del Mediterraneo, cresciuta attorno ad una aggrovigliata ragnatela di vicoli ha accolto, fin dall’inizio della sua storia di potenza marittima, quei “refugees” provenienti dall’Africa e dall’Asia più vicina, ma anche da quella più lontana. Li ha accolti senza ghettizzarli nelle periferie, ma accogliendoli nel cuore del suo centro storico, il più grande ed intrigante d’Europa. Tra questi immigrati c’erano anche futuri ammiragli e armatori diventati famosi e potenti scoprendo, come cantava De André”, che dal letame nascono i fiori”…..

Le città portuali si assomigliano tutte perché nei loro vicoli scorre sangue intriso di mare, dove tutti si capiscono parlando la stessa lingua, raccontando le stesse esperienze vissute a bordo delle navi del loro tempo, nei porti e negli angiporti di tutto il mondo. Queste città portuali hanno una peculiarità internazionale: quella di essere enclave accoglienti per vocazione e per interesse… dove non si fanno domande sulle razze, religioni e guerre, ma si convive pacificamente credendo nel mercato, negli scambi e nelle contrattazioni a tutti i livelli.

Con questa tipica visione prettamente mercantile, a Genova si é strutturata nel tempo una coabitazione non sempre facile, e tuttavia culturalmente feconda, fra genovesi e “foresti”, che si sono suddivisi le stesse strade e gli stessi palazzi. Palazzi un tempo sontuosi, appartenuti all’aristocrazia mercantile della città, e poi lasciati andare (non tutti), ma che portano ancora evidenti i segni della loro bellezza nei portali scolpiti di marmo o ardesia, nei grandi scaloni che salgono verso attici e terrazze dal panorama vertiginoso, nelle edicole votive esposte quasi di nascosto ad ogni angolo di strada.

Quanto finora raccontato é soltanto la PREMESSA per introdurre e presentare una nuova prospettiva storico-culturale del capoluogo ligure che é scaturita dal riconoscimento dell’UNESCO di una parte del suo patrimonio urbanistico e non solo, ovviamente.

COS’E’ L’UNESCO?

Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4 novembre 1946, è nata dalla generale consapevolezza che gli accordi politici ed economici non sono sufficienti per costruire una pace duratura e che essa debba essere fondata sull'educazione, la scienza, la cultura e la collaborazione fra nazioni, al fine di assicurare il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.

…………………………………………………………………………………………………………..

Quando sentii per la prima volta parlare dei PALAZZI DEI ROLLI di Genova, rimasi sorpreso e andai subito alla ricerca della genesi di questo nome nei vecchi libri di Genova che ereditai dai miei. Con la massima delusione, devo confessare, non trovai nulla che mi spiegasse l’arcano di questa novità culturale che oggi sta letteralmente incendiando d’amore Genova alla ricerca  della sua cultura nascosta.

Migliaia di turisti stanno arrivando da tutto il mondo nel nostro Capoluogo per scoprire FINALMENTE ciò che, appunto l’UNESCO, ha regalato “in anteprima” a noi liguri e a tutto il mondo dell’arte in generale. Un patrimonio quindi che esce dai salotti, dai club privati di pochi per entrare nelle case di tutti noi per arricchire quella GENOVESITA’ che pare non essere mai sazia di svelarci, passo dopo passo, antichi e incomparabili patrimoni di bellezza, ricchezza e di storia.

La seconda parte del saggio é dedicata ad un nutrito servizio fotografico dei Palazzi dei Rolli, il cui scopo é quello di stimolare il lettore ad incamminarsi lungo il “pellegrinaggio” culturale dei ROLLY DAYS le cui visite guidate sono quanto di più organizzato e stimolante si possa desiderare.

L’invenzione dei Rolli

Con palazzi dei Rolli (alle volte solo Rolli) si intendono le dimore del patriziato genovese utilizzate al tempo della Repubblica come alloggi di rappresentanza per gli ospiti stranieri illustri: la recente fortuna di questa denominazione è legata all’inclusione nel 2006 di una quarantina di tali residenze tra i “patrimoni dell’umanità” censiti dall’UNESCO in quanto primo esempio in Europa di un progetto di sviluppo urbano concepito con struttura unitaria dal potere pubblico, ma attuato da privati secondo criteri di eccellenza artistica e architettonica. Secondo un decreto del Senato genovese risalente al 1576, i proprietari di questi palazzi, iscritti in una serie di elenchi (i “rolli” appunto), erano tenuti ad ospitare a proprie spese i visitatori stranieri di alto rango, essendo la Repubblica, in quanto tale, priva di un “palazzo regio” di rappresentanza confacente a tale scopo: questa caratteristica funzionale contribuì a determinare e a divulgare la fama mondiale dell’architettura privata genovese come modello architettonico e residenziale di prestigio, consacrato tra gli altri da una celebre raccolta di disegni (1622) di P.P. Rubens.

Per i lettori più esigenti, prendiamo a prestito dal Comune di Genova la spiegazione tecnico-storica del termine ROLLI:

La denominazione accolta dall’organizzazione internazionale (“Palazzi dei Rolli”, dunque, o più in esteso “Palazzi dei Rolli degli alloggiamenti pubblici di Genova”) altro non fa che attualizzare una terminologia appartenente al linguaggio burocratico-amministrativo cinquecentesco, utilizzata nel 1576 (e poi, con successive revisioni, nel 1588, 1599, 1614 e 1644), per determinare la classificazione dei palazzi deputati a tale scopo: le dimore erano iscritte in tre “rolli” corrispondenti ad altrettante categorie in rapporto alle loro dimensioni e qualità artistica, e in base a tali criteri erano destinate, mediante estrazione a sorte annuale, a ospitare principi e cardinali, viceré, ambasciatori, governatori e così via; solo tre di esse erano riservate ai papi e imperatori, re e loro diretti rappresentati.

Rollo, dunque, non è altro che la forma genovese e italiana antica del termine moderno “ruolo”, dal francese rôle, derivato a sua volta da ROTŬLUS nel senso di “manoscritto, documento arrotolato”. La voce appare in questa forma, in italiano, a partire dal 1528 col significato originario di “catalogo, registro, elenco di persone facenti parte di un impiego, di un’organizzazione, di una corte”, dal quale derivano gli altri in uso attualmente, di “registro di pratiche”, “parte sostenuta da un personaggio in opere di finzione”, “compito, atteggiamento sociale” ecc.

Invenzione fortunata

Il recupero attuale del termine Rolli non riguarda insomma una voce specialistica, particolarmente legata all’istituzione degli “alloggiamenti pubblici” della Repubblica, ma un termine generico, appartenente al linguaggio burocratico dell’epoca: agli artefici di tale reimpiego, che non pare anteriore alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, va in ogni caso riconosciuto il merito di avere appunto “inventato” una definizione di indubbia valenza evocativa per un insieme di beni architettonici e urbanistici dei quali si era ormai da tempo perduta una percezione unitaria, una denominazione ormai entrata stabilmente nell’uso comune non meno che nella letteratura e nella pubblicistica specializzata.

I Palazzi dei Rolli inclusi nel Sito Patrimonio dell'Umanità UNESCO Sono: 42

I documenti dei Rolli, esposti in occasione dei Rolli Days nell'ottobre 2017

Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO

LA MAPPA DEI PALAZZI ROLLI

*Palazzi dei Rolli non ancora entrati nel patrimonio dell'Umanità

*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità

*Palazzi dei Rolli non patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)

*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)


Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose

 


Palazzo Doria Spinola (1541-1543)

Sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale Immagine dalla città di Genova

 


Palazzo Clemente Della Rovere (1580-1581)

 


Palazzo Giorgio Spinola - Compare nel Rollo del 1588


Palazzo Tommaso Spinola (1558-1561)

 


Palazzo Giacomo Spinola di piazza Fontane Marose 1445-1459

Banco di Sardegna (patrocinatore del recupero)

 


Palazzo Ayrolo Negrone, Piazza delle Fontane Marose - 1500-1600

Iscritto nel Rollo del 1664

Alla grandiosità architettonica corrisponde, all’interno, un’altrettanta ricchezza decorativa

 


Palazzo Interiano Pallavicini, Piazza delle Fontane Marose

(1565-1567)

 


Palazzo Pallavicini Cambiaso (1558-1560)

Sede della Banca Popolare di Brescia

 


Palazzo Pantaleo Spinola (1557-1558)

Ospita affreschi dei maggiori pittori liguri

 

Palazzo Lercari Parodi (1571)

Nella volta del salone del secondo piano nobile si trova un vero capolavoro della pittura genovese: l'affresco di Luca Cambiaso che raffigura l'impresa di Megollo Lercari con la costruzione del fondaco dei genovesi a Trebisonda, ossia le costruzioni necessarie per condurre i commerci nella colonia genovese sul mar Nero. L'affresco vuole al tempo stesso ricordare la costruzione del palazzo Lercari in Strada Nuova, fornendo così un'idea dell'aspetto della via negli anni della sua apertura.

 

Palazzo Carrega Cataldi in via Garibaldi, verso piazza Fontane Marose (1558-15561)

L'edificio è oggi sede della Camera di Commercio di Genova.

 


Palazzo Angelo Giovanni Spinola (1558-1576)

detto della Banca d'America

 


Palazzo Doria-Tursi Via Garibaldi (iniziato 1565)

L'edificio è sede del Comune di Genova e fa parte del polo museale della città.

 


Palazzo Nicolosio Lomellino o Palazzo Podestà (1559-1565)

La facciata, su progetto del Bergamasco, è movimentata da una ricca decorazione a stucco, con erme femminili alate, a sorreggere la cornice marcapiano del pianterreno; nastri e drappi a reggere, al primo piano, trofei d'armi; ghirlande e mascheroni a coronamento delle finestre, con figure classiche entro medaglioni ovali, al secondo. La decorazione a stucco all'antica, applicata per la prima volta in epoca moderna da Raffaello nelle Logge Vaticane e precocemente importata a Genova dal suo allievo Perin del Vaga nella decorazione della Villa Principe, si dispiega qui per la prima volta su vasta scala coprendo l'intero prospetto. La sua esecuzione è attribuita all’urbinate Marcello Sparzo.

Palazzo Cattaneo Adorno (1553-1588)

All'interno del portone al numero 10 la decorazione affrescata, opera di Lazzaro Tavarone, celebra sulla volta dell'atrio un'impresa bellica di Antoniotto Adorno, doge antenato dei proprietari, datata 1624. Nella sala del piano nobile, sempre di Lazzaro Tavarone, è l’affresco raffigurante l'Incontro di papa Urbano VI a Genova con il doge Antoniotto Adorno. In altri salotti sotto le volte affrescate con soggetti mitologici, si conservano preziosi mobili e soprammobili e parte della ricca e nota quadreria comprendente notevoli dipinti tra il XVI e il XVII secolo.

 

Palazzo Doria - Tursi splendente (iniziato nel 1565)

È l'edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte nel 1597, quando il palazzo divenne proprietà di Giovanni Andrea Doria che lo acquisì per il figlio cadetto Carlo, Duca di Tursi, al quale si deve l'attuale denominazione. Dal 1848 è sede del municipio genovese.


Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose

Palazzo Bianco e giardino pensile di ponente di Palazzo Doria Tursi (1530-1540)

Ospita una sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Rosso e Palazzo Doria-Tursi, specificamente dedicata alla pittura a Genova e in Liguria tra XVI e  XVIII secolo, e con importanti sezioni di arte italiana, fiamminga e spagnola.

 

Palazzo Rosso (1671-1677)

Ospita la prima sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Bianco e Palazzo Doria-Tursi, dedicata principalmente alle collezioni d'arte dei Brignole-Sale, in parte ospitate in sale che conservano l'arredo e la decorazione originale.

 


Palazzo Gerolamo Grimaldi, (1536-1544) facciata su piazza della Meridiana

 


Palazzo Gio Carlo Brignole

 


Palazzo Bartolomeo Lomellini (1556-1570)

 

Palazzo Lomellini Doria Lamba (incluso nei Rolli dal 1588 al 1664)

 


Palazzo Belimbau (finito nel 1594)

Università degli Studi di Genova

 


Palazzo Durazzo Pallavicini (1774)

 

Palazzo Gio Francesco Balbi - piazza


Pierre Paul Rubens

Facciata del Palazzo dei signori Giacomo e Pantaleo Balbi

Genova-palazzo Francesco Maria Balbi

Via Balbi, sede universitaria


Palazzo Reale, controfacciata (1618-1620)

Il Palazzo Reale o Palazzo Stefano Balbi è uno dei maggiori edifici storici di Genova inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova,divenutiintaledata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.

I giardini di Palazzo Reale

La galleria

Il palazzo reale conserva i mobili originali di tutta la sua lunga storia ed include mobili genovesi, piemontesi e francesi della metà del XVII secolo fino all’inizio del XX secolo. Tra questi si possono ricordare mobili dell’ebanista britannico Henry Thomas Peters.

Tra gli affreschi più importanti sono da notare: La fama dei Balbi di Valerio Castello e Andrea Seghizzi; La primavera che spinge lontano l’inverno di Angelo Michele Colonna e Agostino e Giove che manda giustizia sulla Terra di Giovanni BNattista Carlone.

Con oltre duecento dipinti esposti nei due piani nobili si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Gaulidetto, il Baciccio, Domenico Fiasella insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Antoon Van Dyck, Simon Vouet, e GuercinoInoltre si può ammirare una collezione di sculture antiche e moderne: tra queste ultime spiccano opere di Filippo Parodi, uno dei massimi esponenti della scultura barocca genovese. Fastosa è la galleria degli specchi dove spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi e un gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.

Palazzo Cosma Centurione (1684-1755)

Detto anche Palazzo Durazzo Pallavicini o Palazzo di Gerolamo III Pallavicino, dal nome dei successivi proprietari, per la sua architettura e per gli affreschi conservati all’interno è un insigne esempio di barocco genovese.

 

Palazzo Giorgio Centurione

Crocicchio di via del Campo-Via Lomellini-Via Fossatello


Palazzo Cipriano Pallavicini

L’edificio fu costruito sul finire del XV secolo

 

Palazzo Spinola in Pellicceria o palazzo Francesco Grimaldi (1593)

Fra le opere più celebri esposte sonoː

· Antonello da Messina, Ecce Homo

· Pieter Brueghel il Giovane, Le tentazioni di Sant’Antonio Abate

· Valerio Castello, Sposalizio della Vergine

· Orazio Gentileschi, Sacrificio di Isacco

· Guido Reni, Amor Sacro e Amor Profano

· Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, Circe

· Bernardo Strozzi, Ritratto femminile

· Peter Paul Rubens, Ritratto equestre di Gio. Carlo Doria

· Joos van Cleve, Ritratto di Stefano Raggio


Palazzo Gio Battista Grimaldi

in Vico San Luca a Genova


Palazzo Stefano De Mari


Palazzo Ambrogio Di Negro

fotografato dalla prospiciente chiesa di San Pietro in banchi. (1569-1572)

Ospita la sede della Fondazione Edoardo Garrone.

Palazzo Emanuele Filiberto Di Negro (1600)


Palazzo Croce De Marini (XVI secolo)

72 sono gli altri Palazzi dei Rolli non inclusi nel Sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO

Genova, i Rolli Days di maggio 2018: palazzi aperti, programma, visite guidate e novità

Consultare il seguente sito:

http://www.mentelocale.it/genova/articoli/75721-genova-rolli-days-maggio-2018-palazzi-aperti-programma-visite-guidate-novita.htm

Di seguito l’elenco delle aperture straordinarie dei “Rolli Days” del 24 e 25 maggio:


1. Palazzo Antonio Doria - Largo Eros Lanfranco 1
2. Palazzo Franco Lercari – Via Garibaldi 3
3. Palazzo Tobia Pallavicino - Via Garibaldi 4
4. Palazzo Angelo Giovanni Spinola - Via Garibaldi 5
5. Palazzo Gio Battista Spinola - Via Garibaldi 6
6. Palazzo Nicolosio Lomellino - Via Garibaldi 7
7. Palazzo Giacomo e Lazzaro Spinola - Via Garibaldi 10
8. Palazzo Nicolò Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Tursi) - Via Garibaldi 9
9. Palazzo Luca Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco) - Via Garibaldi 11
10. Palazzo Ridolfo Maria e Gio Francesco I Brignole Sale (Musei di Strada Nuova - Palazzo Rosso) - Via Garibaldi 18
11. Palazzo Baldassarre Lomellini - Via Garibaldi 12 (solo sabato)
12. Palazzo Gerolamo Grimaldi (Palazzo della Meridiana) - Salita San Francesco 4
13. Palazzo Stefano Lomellino (Palazzo Doria Lamba) - Via Cairoli 18
14. Palazzo Giorgio Centurione (Palazzo Durazzo Pallavicini) - Via Lomellini 8
15. Palazzo Gio Battista Centurione - Via del Campo 1 (solo sabato)
16. Galleria Nazionale di Palazzo Spinola - Piazza Pellicceria 1
17. Palazzo Ambrogio di Negro – Via San Luca 2
18. Palazzo De Marini - Piazza De Marini 1
19. Palazzo Cattaneo della Volta - Piazza Cattaneo 26
20. Palazzo Gio Vincenzo Imperiale - Piazza Campetto 8
21. Palazzo Cesare Durazzo - Via del Campo 12
22. Palazzo Gio Francesco Balbi – Via Balbi 2 (Università degli Studi di Genova)
23. Palazzo Giacomo e Pantaleo Balbi - Via Balbi 4 (Università degli Studi di Genova)
24. Palazzo Stefano Balbi (Museo di Palazzo Reale) - Via Balbi 10
Teatro Altrove (Palazzo Fattinanti Cambiaso) - Piazzetta Cambiaso1
Villa del Principe - Piazza del Principe 4  

GENOVA - SABATO 24 E DOMENICA 25 MAGGIO
Tutte le manifestazioni sono a ingresso libero.
www.visitgenoa.it

Carlo GATTI

Rapallo, 19 Giugno 2018