EVENTI MARE NOSTRUM, Rapallo Autunno 2016
EVENTI-MOSTRA MARE NOSTRUM
Ottobre-Novembre 2016
Sala Consiliare del Comune di Rapallo. Il sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco al centro tra il vicesindaco Pier Giorgio Brigati alla sua destra e il presidente di Mare Nostrum Carlo Gatti alla sua sinistra, con a fianco il vicepresidente di M. N. Maurizio Brescia. Il Comandante Ernani Andreatta, a sinistra della foto, con alcuni reperti del suo Museo Marinaro di Chiavari: LA MARMOTTA - UNA PICCOLA ASCIA - UN MAGLIO - DUE SCALPELLI DI RIEMPIMENTO - UN CAVASTOPPA - UNO SPARGIPECE.
1° Evento - Sabato 22 ottobre ore 10.30 – Sala Consiliare del Comune di Rapallo.
Conferenza stampa per l’apertura della 35° Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione: GENTE DA RIVEA GENTE DA GALEA.
Gli autori: Maurizio Brescia, Emilio Carta, Carlo Gatti, Ernani Andreatta hanno dato vita ad un ampio dibattito su: Il millenario mondo delle galee – Su cui vertono la pubblicazione e la Mostra al Castello. Il sindaco Carlo Bagnasco si è complimentato con i dirigenti di Mare Nostrum per l’impegno culturale della nostra Associazione che dura ormai da oltre trent’anni ed ha confermato il sostegno dell’Amministrazione anche per gli anni a venire.
2° Evento – Domenica 23 ottobre ore 10.30– Sala Convegni Hotel Europa.
Andrea Maggiori, noto come l’uomo dei nodi, è intervenuto sulle Superstizioni e credenze dei marinai nei secoli.
Ha presentato Emilio Carta
Commento:
L’argomento, tanto ampio quanto suggestivo, ha attirato molto pubblico che, nella seconda parte specialmente, ha partecipato attivamente all’evento raccontando le proprie esperienze personali. Parentesi gradevolissima che ha creato un clima molto simpatico favorendo utili approfondimenti. Andrea Maggiori, storicamente molto preparato, é stato accattivante e ironico come il tema richiedeva. Il relatore è considerato uno dei massimi esperti mondiali nell’arte dei nodi, dell’attrezzistica navale, nell’oggettistica per arredamenti di stile marinaro. Nella sua esibizione non poteva mancare qualche chicca funambolica nel maneggio della sua fune magica. COMPLIMENTI ANDREA!!!!
Da sinistra: E.Andreatta, C.Gatti, G.Boaretto, Andrea Maggiori.
3° Evento - Sabato 29 ottobre – 0re 10.30 – Sala Convegni Hotel Europa.
Andrea Acquarone
Il giornalista diventato famoso per la sua rubrica domenicale del SECOLO XIX: PARLO CIAEO, ci ha parlato dei segreti della “LA RISCOPERTA DELLA LINGUA della Liguria” – Ha Presentato Carlo Gatti.
Andrea Acquarone, nasciuo à Zena do 1983 da famiggia de naveganti: seu poæ o l’è stæto o pirmmo à restâ à tæra.
Dòppo o Liceo Cassini o va apurevo a-e orme do poæ stddiando “Economia e Commercio” à Zena e in Inghiltæra, e o piggia a laurea do 2009.
Do 2010, de mentre che o viveiva a Barçeloña e o l’imprendieva o catalan, o screuve l’importansa de lengue do territöio: da quello momento o s’è dedicou – quande o travaggio o gh’à lasciou o tempo – a-o studio, a-a scrïtua e a-a promoçion da lengua da seu tæra, o zeneise, intrando in contatto co-i atri attivisti.
Studioso de economia e de fonòmeni politici e sociali, o l’à pubricou diversci libbri, tra i quæ arregordemmo “Zena 1814. Come i liguri persero l’indipendenza”, stampou da-o Frilli, e “Parlo Ciæo. La lingua della Liguria”, edito da-o Deferrari in abbinamento co-o “Secolo XIX”: un successo, che o l’è anæto esaurio into gio de doî giorni.
Fondatô de l’associaçion “Che l’inse!”, ch’a se mescia pe-o repiggio do sentimento de appartenensa e da coltua ligure, da-o frevâ do 2015 o cua a pagina in zeneise “Parlo Ciæo”, ch’a sciòrte tutte e domeneghe in sciô “Secolo XIX”.
Inte sto momento o vive à Zena, donde o travaggia comme consulente de impreisa, portando avanti l’impegno pe l’avvardo da lengua da Liguria.
Commento:
Il secondo EVENTO in programma presso la Sala Conferenze della nostra sede: HOTEL EUROPA, ha fatto il pienone. Il nostro ospite relatore Andrea Acquarone é riuscito con la sua serenità e grande proprietà di linguaggio, a sfoderare una miriade di concetti storici appartenenti non solo alla lingua genovese, ma anche a tante regioni italiane, e persino europee.
Seguendo gli avvenimenti storici dell’ultimo millennio A.A. ha ricostruito passo dopo passo la nascita, la crescita ed anche la fase calante della lingua genovese.
La fase di stallo attuale può preludere, secondo studi dell’UNESCO, a successivi decadimenti… Vi sono comunque delle speranze di rinascita che vanno, tuttavia, coltivate in famiglia, nelle scuole e nella vita civile in generale. Il senso del problema secondo Andrea Acquarone va colto nella volontà di conservazione di un PATRIMONIO linguistico, che é storia, teatro, poesia, musica e letteratura che fa parte del nostro DNA. Patrimonio che va difeso da certe invasive infiltrazioni (culturali) straniere che tentano di annullarle, magari soltanto per una questione di mercato…(cellulari, smarthphone ecc…)
Ogni ligure deve sentire dentro se stesso questo senso di appartenenza ad una “superba” storia millenaria che ci é madre e non matrigna.
La lingua genovese é dinamica come ogni lingua esistente al mondo, occorre quindi liberarla dalle ancore che la trattengono sul fondo; occorre farla navigare secondo i venti della storia e la richiesta insistente di chi vuole semplificarla.
UN GRAZIE DI CUORE ad Andrea Acquarone, un coraggioso esponente della nouvelle vague genovese!
Grazie agli intervenuti per l’interesse e la vivacità dialettica dimostrata nel dibattito che ne é seguito. Complimenti per aver sfoderato una passionalità che forse era repressa nel vostro cuore da tanto tempo. Mare Nostrum vi ha dato l’occasione per liberarvi…
4° Evento - Domenica 30 ottobre 2016 – ore 10.30 Sala Convegni Hotel Europa.
Mario Dentone
Scrittore di mare nostrano, nato a Chiavari, cresciuto a Riva Trigoso e abitante a Moneglia, ci ha raccontato: “I marinai liguri della vela attraverso i miei romanzi”.
Hanno presentato Emilio Carta e Carlo Gatti
…...dopo diversi tentativi frustranti ma cocciuti nella cultura, sono approdato con fortuna a Mursia, e già è uscita una trilogia su un marinaio realmente vissuto (ovviamente poi romanzato da me) e totalmente sconosciuto anche a Moneglia, suo paese di nascita morte ed elezione morale e marinara.,
Questi tre romanzi (Il padrone delle onde, 2010, premio Marincovich come miglior romanzo di mare dell'anno, Il cacciatore di orizzonti, 2012, Il signore delle burrasche, 2014) hanno avuto successo, ovviamente limitatamente al mondo del mare, della letteratura di mare, ma anche con apprezzamenti di recensioni importanti, al punto che la Mursia vorrebbe proseguire il ciclo, e infatti sto per consegnare un nuovo romanzo.
Il mio marinaio monegliese, vissuto fra il 1804 e il 1870, fu semplice zavorraio, ragazzino, ma sognò sempre di conquistare gli orizzonti del mare, e lavorando, risparmiando, sognando, giunse a studiare e divenire capitano di lungo corso, eroe di Capo Horn col suo brigantino il "Rosario", facendo ricchezze col guano nelle coste cilene, e armando un secondo brigantino e divenendo anche eroe della guerra di Crimea, finché, come tutti i liguri un po' "sarveghi" si ritirò nel silenzio di Moneglia e nessuno ne seppe più nulla.
Ne ebbi notizia, l'unica trovata, da un libro di Gio Bono Ferrari, e quella vita di tenacia, ostinazione a raggiungere i sogni, gli orizzonti, mi ha affascinato, come fosse quel marinaio delle vele il prototipo dei nostri marinai liguri, della vela.
Ho letto centinaia di libri marinari, mi son fatto un intero vocabolario di mare. Vado avanti!
Mario Dentone tra il presidente di Mare Nostrum Carlo Gatti alla sua destra, ed il giornalista-portavoce Emilio Carta alla sua sinistra.
Commento:
Mario Dentone che definirei: l’uomo del bagnasciuga, ossia l’uomo che ha un piede in terra ed uno in mare. Un osservatorio privilegiato da cui trae per trasfusione dai suoi avi navigatori: tradizioni, racconti, leggende e storie vere intrise di spirito marinaro che lui traduce in un linguaggio crudo ed essenziale che ha gusto di sale. Tale potenzialità, avuta in eredità anche dai marinai e pescatori rivani, si specchia nei suoi romanzi con il fascino tipico di quel paesaggio che é tuttora il meno contaminato dalla modernità consumistica. Questa peculiarità emerge sempre, anche quando la ricostruzione scenica si trova a mille miglia dal borgo da lui tanto amato.
GRAZIE Mario per quello che riesci a dare anche ai marittimi naviganti!
5° Evento – Martedì 1 novembre – ore 10.30, Sala Convegni Hotel Europa.
Flavio Vota
Flavio e Milena Vota
Devo innanzitutto comunicare che é stata ospite di Mare Nostrum: Anna Palazzo, cognata del relatore Flavio Vota. La gentile signora é “profuga” da Norcia dove ha perso l'abitazione a causa della furia distruttrice del terremoto di pochi giorni fa. Le abbiamo dimostrato la nostra solidarietà, tanto affetto e amicizia. Il lungo applauso del folto pubblico ci ha accomunati e commossi….
Commento:
Anche il 4° EVENTO, ci ha regalato forti emozioni. Secondo le ultime scoperte degli archeologi, Atlantide sarebbe localizzata nell’arcipelago delle Cicladi, in un’area occupata oggi dall’isola di SANTORINI.
Il nostro socio FLAVIO VOTA, studioso di storia, archeologia e instancabile viaggiatore, per convincerci della bontà di questa tesi, ci ha egregiamente catapultato nella "calderas” di Santorini e pilotato con sapienza e saggezza nella civiltà minoica facendoci anche volare su Creta (Knossos-Festos-Monte Ida ecc…)
Un viaggio appassionante illustrato da tante bellissime foto che abbiamo apprezzato ed applaudito. Alla fine qualcuno, credendo d’aver capito tutto, ha chiesto al relatore:
Ma allora il mistero é risolto?
Tra i gridi di dolore che si sono levati… non ho ben capito la risposta, ma posso immaginarla. In ogni caso possiamo solo fare nostre le parole di un celebre scrittore:
“E’ bene che Atlantide resti un mistero. E’ giusto che l’uomo, guardando l’oceano, si inquieti pensando ad un lontano e imperscrutabile regno inghiottito in un giorno e in una notte dalle acque e dal fuoco; all’orgoglioso sogno di un’eternità infranta dal risveglio della Natura.
Le civiltà nascono, crescono ed, infine, muoiono.
6° Evento - LUCIANO BRIGHENTI
Luciano Brighenti
Sabato 5 novembre ore 10.30, Sala Convegni Hotel Europa.
Come si lavora in alti fondali: una esperienza di lavoro industriale a 150 metri di profondità.
Non sono molti nel mondo gli esperti che possono “mettersi in cattedra” e discettare su un argomento così delicato e pieno d’insidie. E’ una vera fortuna avere un tale MAESTRO tra le file di Mare Nostrum. Lo sosterremo sempre con la nostra presenza ed entusiasmo denso di curiosità. Luciano ha proiettato immagini per meglio farci comprendere quelle situazioni “estreme” di cui sappiamo ben poco. Il socio Giancarlo Boaretto (ex palombaro giramondo) si è dimostrato “spalla ideale”.
Commento:
Nonostante l’allerta, tanto allarmismo e un po’ di pioggia … il 5° EVENTO dedicato agli ALTI FONDALI, relatore Luciano BRIGHENTI, é andato più che bene, registrando una buona presenza di pubblico, molto interessato e competente. Il socio Luciano, preparatissimo e dotato di una dialettica perfetta, ha ricevuto molti applausi per aver spiegato in maniera più che comprensibile, un tema di nicchia e sempre di grande attualità. Le ricerche petrolifere, partite nei primi anni ‘50, hanno visto gli Italiani gareggiare con potenze straniere e spesso primeggiare. Tuttora le nostre Società di quel settore sono tra le più quotate al mondo, grazie anche a quelle esperienze che videro proprio Luciano Brighenti impegnato in prima linea con un alto grado di responsabilità intorno agli anni ‘80.
Il successo della conferenza di oggi é andato crescendo anche per la presenza di Giancarlo Boaretto, la cui esperienza di sub-palombaro di alti fondali é durata oltre 20 anni. I suoi racconti, aneddoti e dialoghi con Brighenti sono stati di grande interesse.
7° Evento - John Gatti
John Gatti, Capo Piloti del Porto di Genova
6 Novembre 2016 ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa,
JOHN GATTI, uno dei soci fondatori di Mare Nostrum Rapallo, ha presentato:
La complessità della manovra portuale alle prese con il “gigantismo navale”.
La caduta della Torre di controllo dei Piloti del Porto di Genova, avvenuta il 7 maggio 2013, ha innescato una serie di problemi reali, psicologici, logistici e non solo, ai quali si sono aggiunti, nello stesso periodo, la complessa e inedita manovra di nuovi tipi di navi pax e container. Si è parlato anche del triplice spostamento del relitto Concordia, ogni volta in condizioni sempre più critiche. Sono stati affrontati questi ed altri argomenti di grande impatto tecnico ed emotivo. Abbiamo anche assistito ad alcuni spettacolari filmati di manovre. E’ stata inoltre proiettata la Cerimonia di Consegna del bassorilievo REGATTA donata dal socio Renzo Bagnasco, insieme a Mare Nostrum Rapallo, al Capo dei Piloti genovesi (Autore e Regista del filmato Ernani Andreatta).
L’interessante intervento di John Gatti, da due anni Capo Pilota, ha tolto il velo ad una professione che era quasi sconosciuta. Siamo venuti pertanto a conoscenza della scelta dello Shipping internazionale di aver candidato Genova come uno dei pochi porti al mondo in grado di accettare navi di 380 metri di lunghezza, nel cuore del suo arco portuale di antica data. Non é stato facile e John Gatti ci ha spiegato il faticoso percorso che ha portato lui ed i suoi colleghi a raggiungere certi traguardi.
Commento:
Grazie alle nuove generazioni di piloti, una preziosa ed importante professione é uscita dall’anonimato.
Per la verità non sono stati loro a volerla pubblicizzare, ma alcune circostanze, talvolta tragiche che si sono sommate al cambiamento epocale dei traffici con l’entrata in scena di navi che sono molto difficili da gestire per la loro lunghezza e per alcuni parametri tecnici che sono positivi per la navigazione, ma parecchio negativi per la manovra portuale.
Questo è quanto emerso dall’interessante esposizione, chiara ed efficace, del Capo Pilota del porto di Genova John Gatti il quale ha raccontato, servendosi di ottimi filmati e fotografie, alcune difficili manovre che oggigiorno vanno preparate sui simulatori di manovra e sono rese possibili dall’utilizzo di nuove tecnologie come i telemetri, PPV e AIS ecc…
I porti italiani tradizionali d’origine medievale, per continuare ad essere competitivi hanno rubato, negli anni passati, acqua di manovra alle navi per creare spazi a terra per lo stoccaggio di container, uffici ecc… Oggi sono i più penalizzati perché spiazzati dalla nuova tendenza dello shipping a servirsi di navi gigantesche che richiedono ampi spazi per ruotare e ormeggiare in banchina.
Genova, come ha spiegato John Gatti, poteva scegliere se rifiutare le nuove navi ed uscire dal circuito dei grandi porti, oppure accettare i rischi … e rimanere nel giro per rinforzare la posizione del Porto di Genova che é una delle più grandi industrie Italiane.
Un fatto è emerso chiaramente: l’ultima parola spetta al pilota che dispone delle competenze tecniche per “effettuare” gli ormeggi e disormeggi di quelle navi. L’Autorità Marittima ha il compito molto importante di VIGILARE sulla SICUREZZA di tali operazioni.
E' giusto che almeno la popolazione della costa conosca certe dinamiche… In Italia, in molti settori lavorativi, ci sono persone che operano bene rischiando sulla propria pelle; poi c’é un’altra Italia che vive di chiacchiere e va per la maggiore…
Si è così saputo che i piloti del porto di Genova non ha mai aderito a scioperi e non hanno mai chiuso il porto, neppure durante quelle famose mareggiate che distrussero chilometri di diga affondando navi in banchina. Non godono di stipendi assicurati, ma sottostanno al RISCHIO IMPRESA.
Eppure non fecero mai notizia… come non fa mai notizia l’elevato numero d’infartuati (tipica malattia professionale del pilota in tutto il mondo) per non parlare di ossa rotte per incidenti, e tuffi in mare non programmati...
Il numerosissimo pubblico é rimasto in attento ascolto dalle 10,30 alle 13,00, ed ha colto l’occasione per porre questioni e domande molto interessanti!
Il filmato della cerimonia di consegna del bassorilievo REGATTA di Stelvio Pestelli, avvenuto nella sede del Corpo Piloti di Genova, ha chiuso il 5° EVENTO e completato il successo della giornata.
In molti abbiamo giudicato il montaggio (film-musica e testo) una chicca eccezionale che rimarrà a lungo nel cuore di tutti noi. Complimenti al BRAVISSIMO Nanni Andreatta!!!!!
Ci complimentiamo anche con il bravo pilota: Michele Buongiardino e con il fotografo Fabio Parisi, autore della Mostra Pilotage, per la loro chiara esposizione di alcuni aspetti tecnici e scenografici del mondo dei piloti.
Brillante e di grande impatto emotivo, l’intervento del Comandante Bruno Sacella, direttore del Museo Marinaro di Camogli, che ha voluto tributare ai PILOTI un riconoscimento di grande spessore evocando ricordi personali ed esaltando le qualità umane e la disponibilità dei piloti riscontrate nella sua lunga carriera.
GRAZIE A TUTTI PER LA “CALDA” PARTECIPAZIONE!
Carlo Gatti
23 Novembre 2016
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MARE NOSTRUM 2016-Programma MOSTRA-EVENTI
MARE NOSTRUM 2016
PROGRAMMA MOSTRA – EVENTI
Battaglia di Lepanto
Curatori e collaborazioni:
“Mare Nostrum Rapallo” si avvale della collaborazione dell’Associazione Modellisti di Rapallo, guidata dal presidente Silvano Porcile con la competenza e la preziosa opera di volontariato dei propri soci.
La manifestazione vive in particolare grazie alla collaborazione del giornalista-scrittore Emilio Carta, del sottoscritto presidente dell’Associazione comandante-scrittore Carlo Gatti, degli studiosi e ricercatori della Marina Militare dottor Maurizio Brescia del direttore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, con sede presso la scuola Telecomunicazioni di Chiavari, comandante Ernani Andreatta, dell’appassionato d’arte Claudio Molfino e del ricercatore di storia marinara Andrea Maggiori.
Si avvale inoltre della disponibilità del locale gruppo dell’Associazione Marinai d’Italia, che espone documenti e materiale storico-didattico della Marina Militare e, per quanto attiene per le discipline astronomiche e astrofisiche, si avvale, per la terza volta, di uno stand con materiale espositivo della Associazione Il Sestante di Chiavari, presieduta dal S.T.V. Enzo Gaggero.
Come da indicazioni pervenute dal Comune, promotore dell’iniziativa, l’evento si tiene nelle sale dell’Antico Castello. Seguono le date:
MOSTRA al Castello di Rapallo
Gli AUTORI della Pubblicazione annuale: Maurizio Brescia, Emilio Carta, Carlo Gatti, Ernani Andreatta espongono foto e testi sul tema delle GALEE.
Agostino Lertora, pittore di marina e socio di M.N., dedica numerosi quadri al TEMA dell’anno: IL MONDO DELLE GALEE.
Ernani Andreatta trasferirà temnporaneamente alcuni importanti Reperti sui Maestri d’Ascia e Calafati dal Museo Tommasino-Andreatta di Chiavari, del quale é Direttore e Curatore.
L’Associazione Culturale il Sestante di Chiavari, Presidente il S e Presidente della Associazione Culturale il Sestante T.V. Enzo Gaggero, nostro socio, dedica alla Mostra il tema:
1866 – 1980 150° anniversario della unità dell’Ora in Italia. Lo spazio dedicato é lo stesso delle precedenti edizioni.
Andrea Maggiori (Nodi e lavori di Arte Marinaresca) occuperà lo spazio a lui dedicato anche in precedenti edizioni.
La Mostra sul “PILOTAGE” del fotografo Fabio Parisi sarà curata dall’esperto d’arte Claudio Molfino.
Tra il 22 ottobre e il 6 novembre la scrivente Associazione organizzerà ogni sabato e domenica varie conferenze, presentazione di libri di carattere marinaro e videoproiezioni come da programma che segue:
Sabato 22 ottobre ore 10.30: Sala Consiliare
Conferenza stampa per l’Apertura della 35^ Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione della annuale pubblicazione:
“Gente de Rivea, Gente da Galea”. Gli autori: M. Brescia, R. Carta, C. Gatti e E. Andreatta daranno vita ad un breve dibattito su “Il millenario mondo delle GALEE” su cui verte sia la Pubblicazione annuale sia la Mostra nella sezione superiore del Castello.
- Domenica 23 ottobre 2016 - ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa
Andrea Maggiori, noto come “l’uomo dei nodi”, interverrà sulle:
“Superstizioni e Credenze dei Marinai nei Secoli”. Andrea Maggiori, noto sub del Tigullio, é autore di pubblicazioni legate al mondo della nautica. Presenta Emilio Carta. Saranno proiettate delle slides.
- Sabato 29 ottobre 2016 - ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa –
Andrea Acquarone, il giornalista diventato famoso per la sua rubrica PARLO CIAEO, pubblicata da circa due anni sul quotidiano IL SECOLO XIX. L’ospite ci svelerà i segreti della “La Riscoperta della Lingua della Liguria”.
Presenta Carlo Gatti.
Domenica 30 ottobre 2016 - ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa –
Mario Dentone, scrittore di mare nostrano, é nato a Chiavari, cresciuto a Riva Trigoso e abita a Moneglia. Autore di molti romanzi dell’epopea della vela, ci racconterà: “I marinai liguri della vela attraverso i miei romanzi”. Presentano Emilio Carta e Ernani Andreatta
- Martedì 1 novembre - ore 10.30 - Sala Convegni Hotel Europa
Flavio Vota, socio di Mare Nostrum, é un profondo studioso di archeologia e storia antica, ha viaggiato per i sette mari inseguendo i suoi sogni. "Atlantide, mito e realtà" sarà il tema del suo intervento, di cui ci svelerà gli ultimi segreti emersi dalle recenti scoperte. Presenta Carlo Gatti.
Stanno proiettate numerose slides.
Sabato 5 novembre 2015 – ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa
Luciano Brighenti, una “eccellenza” nel campo militare.
Presenterà: "Come si lavora in alti fondali: una esperienza di lavoro industriale a 150 metri di profondità".
Il relatore é stato per molti anni Prof-Istruttore presso il CONSUBIN di La Spezia.
Presenta Giancarlo Boaretto. Saranno proiettati video e slides.
Domenica 6 novembre 2016 - ore 10,30 - Sala Convegni Hotel Europa -
John Gatti, Capo pilota del Porto di Genova illustrerà le nuove problematiche della portualità alle prese con il GIGANTISMO navale che pare sia responsabile di problemi legati alla sicurezza delle manovre, all’inquinamento dei mari e non solo. Una Sezione della Mostra sarà dedicata al PILOTAGE.
Interverranno i Comandanti Ernani Andreatta, Nino e Rino Casareto, Carlo Gatti, Michele Buongiardino. Sarà proiettato un video a cura del Comandante Ernani Andreatta.
ALLEGATO:
ORARI MARE NOSTRUM 35a EDIZIONE – 2016
Durata: (16 giorni) Sabato 22-Ottobre 2016 – Domenica 6 novembre 2016
Allestimento:
20.10.2016 – Giovedì - 09.00 - 12.00 /15.00-17.00
21.10.2016 – Venerdì - 09.00 - 12.00/15.00-17.00
Smontaggio Mostra:
7.11.2016 - Lunedì - 09.00 - 12.00
Inaugurazione e Apertura Mostra:
Sabato 22 ottobre ore 10.30: Sala Consiliare Comune di Rapallo per l’apertura della 35° Edizione della Mostra di Mare Nostrum e presentazione della pubblicazione: ”Gente da rivea, gente da galea”. Gli autori, M.Brescia, E.Carta, C.Gatti, E.Andreatta daranno vita ad un dibattito su “Il millenario mondo delle galee” su cui vertono la pubblicazione e la mostra al Castello.
Apertura Mostra:
22.10.2016 – 10h.00–12h.00 / 15h.00-18h.00
Giorni dedicati alla Mostra:
Venerdì–Sabato–Domenica (15h.00-18h.00)
Lunedì 31 Ottobre e Martedì 1 Novembre 15h.00 – 18h.00
Chiusura Settimanale: Lunedì – Martedì – Mercoledì – Giovedì
Durata: (16 giorni) Sabato 22 Ottobre 2016 – Domenica 6 novembre 2016
Il presidente (Com.te Carlo Gatti)
Info: Sito internet: https://www.marenostrumrapallo.it/
Sede dell’Associazione:
HOTEL EUROPA – Via Milite Ignoto n.2 - Rapallo
Com.te Carlo Gatti: Via Sotto la Croce n.8 – 16035-RAPALLO
Tel.casa: 0185.262522 - Cell. 335.3935.19
Emilio Carta: cell. 338.860.1725
I segreti dell'ULTIMO MAESTRO D'ASCIA RAPALLESE
I SEGRETI DELL’ULTIMO “MAESTRO D’ASCIA” RAPALLINO
GIORGIO VIACAVA
Chiavari - Casa Gottuzzo - Piazza Gagliardo
Il maestro d’ascia Giorgio Viacava: “Ci vuole un mese di lavoro soltanto per rifinire l’ossatura del gozzo ligure”.
Lo sapevate che sul lago di Ginevra vi fu, nel Medioevo, una presenza di navi da guerra? Nel XIII sec. i Savoia avevano una flotta di galee ormeggiate nei porti di Villeneuve (VD) e di Ripaille (Thonon, F). E’ accertata anche la presenza di Cantieri Navali che le costruivano servendosi di personale altamente specializzato. Le galee genovesi erano il modello preferito dei Savoia che scelsero, per la loro supremazia navale, maestranze provenienti dai cantieri navali genovesi, non solo, ma é pure accertato che persino Rapallo inviò sulle rive del Lemano numerosi suoi figli, tra i quali due maestri d’ascia: Sacolosi ed Andreani, come ci ha riferito lo storico Antonio Callegari.
Il maestro d’ascia é una professionista le cui origini affondano nell’antichità più remota. Purtroppo di questi mitici personaggi, a metà tra l’artigiano e l’artista, ne rimangono pochi e sono introvabili. Costruire uno scafo preciso al millimetro presuppone anni di fatica e tanto amore per la costruzione navale. Esperienza, perizia e competenza sono tutti elementi che maturano nel corso del tempo, sotto la guida di maestri d’ascia più anziani, spesso nonni e padri che tramandano l’abilità nell’adoperare l’ascia da una generazione all’altra.
Il simbolo è l’ascia, ma non quella che deriva dall’immagine classica dell’ utensile. Quella marinaresca sembra una zappa, quindi appare come uno strumento rude: eppure nelle mani dei maestri essa diventa uno strumento di precisione perchè riesce a togliere anche un millimetro di legno. Oggi l’ascia e’ stata sostituita da mole a disco elettriche, eppure Giorgio Viacava continua ad usarla, per finiture eccellenti. Così la tradizione continua e viene tramandata.
Si parte naturalmente dal legno che il maestro d’ascia palpa e annusa per sentirne la vitalità e, come per magia, capta lo spirito della barca che sarà. Già! Tra breve faremo un rapido volo sulle tecniche “evergreen” del costruire in legno. Ne rimarrete affascinati!
Ancor prima che Giorgio spalanchi davanti agli occhi il 'tesoro' di attrezzi da lavoro che raccontano l'ingegno dei maestri d'ascia e dei calafati, è il naso a cogliere l'indizio dell'accesso ad un'altra dimensione, che profuma di sacro e profano allo stesso tempo. Quello della stoppa e della pece che stanno ai vecchi cantieri come l'odore d’incenso sta alle chiese, come il mosto sta alle cantine. Si percepisce nell’aria una specie di rito: “Benvenuti nel tempio della cantieristica navale, dove il culto della memoria si fa trasmissione di sapere, lotta contro il tempo, gli acciacchi e l'indifferenza degli stolti per consegnare alle nuove generazioni l'orgoglio delle radici”.
Asce, pialle, seghe, verine, raspe, magli, scalpelli ... per ricordare quelli dai nomi risaputi che, basta citarli, richiamano le loro forme. “Sono di tutte le dimensioni, a misura di ogni intervento (anche per quelli in spazi angusti) e di ogni... braccia. Sì, perché a seconda della loro diversa stazza, a cominciare dalla lunghezza delle braccia, maestri d'ascia e calafati si costruivano l'attrezzo specifico, di cui erano gelosi”, racconta Giorgio, che ne puntualizza il valore: “Ogni attrezzo corrisponde ad un antenato, che qui continua idealmente a vivere ... questi attrezzi sono intrisi del suo sudore, del suo sangue, del suo pensiero ...” Ecco spiegata la sacralità del luogo!
Oggi si usano strumenti sofisticati per costruire le imbarcazioni o restaurarle, una volta le “armi” a disposizione di questi bravissimi artigiani erano molto più semplici: trapani a mano, seghe, verrine, vecchie mole ad acqua, cartaboni, cioè antichi strumenti per misurare gli angoli, asce di ogni forma.
Modelli di Galee
La nostra ricerca non ci ha portato all’incontro con i discendenti di Sacolosi e Andreani, ma ci ha fatto scoprire l’ultimo dei MAESTRI D’ASCIA della nostra città, Giorgio Viacava 64 anni, uno dei pochi superstiti, ancora operativi, che sia in grado di costruire una qualsiasi imbarcazione in legno, con le proprie mani, come si faceva un tempo in terra di Liguria.
Quali sono oggi i problemi più spinosi per un Maestro d’ascia?
Ci spiega Giorgio Viacava: “Nel piccolo ufficio del nostro cantiere, ho trovato alcune pagine appartenute sicuramente a mio bisnonno. Si tratta di un atto del 1546 riportato nel volume “Maestri e Garzoni nella Società Genovese fra il XV e XVI secolo”, in cui l’attività artigianale vedeva, almeno in questo settore, già allora problemi che oggi si sono mantenuti identici. Questa testimonianza in mio possesso, mi lega ancor di più al mondo dei miei avi perché rivivo con loro gli stessi tormenti... Esso recita:
“I consoli dei maestri d’axia – scrivevano gli artigiani del XVI secolo – et fabricatori di navi (galee) che già sono più di cento anni che fu costituita la lor mercede de soldi 8 dinari 4 il giorno e chiedono un aumento che tenga conto di quanto sia cresciuto le cose necessarie al vivere, le altre manifature de artificis, il ferro, le opere de ferrari e tute le altre cose che tute sono cresciute il dopio”.
Passano i secoli ma i problemi dei Viacava non mutano di molto, anche se nei tempi antichi le retribuzioni erano regolate da contratti e oggi si basano sull’andamento del mercato: ma il risultato é identico, l’artigiano non riesce mai ad essere retribuito in ragione del suo lavoro.
Gli Attrezzi del Maestro d'ascia e del Calafato non hanno età.
Come si può intuire, i Viacava sono legati al mare da generazioni che si perdono nella notte dei tempi. Di quel glorioso passato vi erano tracce nei monasteri che andarono, purtroppo, distrutte dagli stranieri che invasero l’Italia nel corso della sua storia.
Occorre risalire al 1800 per fare la conoscenza del bisnonno di Giorgio, originario di Portofino, del quale sappiamo che lavorò presso un importante Cantiere Navale nel porto di Genova come Maestro d’ascia.
Un documento datato 27 settembre 1921 rilasciato dall’Ufficio Circondariale Marittimo del Porto di Oneglia lo abilitava a costruire barche fino alla portata di 50 tonnellate. Questa autorizzazione era importante ai fini della certificazione dei natanti da lui costruiti, oppure soltanto visionati durante la costruzione.
In seguito, con l’apertura del Cantiere Navale di Rapallo (zona Lido), fu assunto con la stessa qualifica e partecipò alla costruzione del brigantino oceanico CACCIN di 1500 tonnellate, del brigantino a palo ISIDE nel 1873, ma anche a costruire golette, leudi, rivanetti, motoscafi e lance.
Il bisnonno Giobatta Viacava (che farà battezzare col suo stesso nome il padre di Giorgio, fu un celebre maestro d’ascia. Lavorò dal 1940- al 1950 presso il Cantiere Navale Sangermano – Zona Cianté – lato mare del Ponte Annibale (Rapallo), dove attualmente si trova il ristorante “Bella Napoli”. Partecipò alla costruzione del PRIMERO 1° che oggi compare su tutti gli album di ricordi del Tigullio.
L’istantanea coglie Giobatta Viacava, padre di Giorgio, nella prima fase della costruzione di un “gozzo ligure”.
Seconda fase. Le costole sono montate
Ecco come si presenta lo scheletro finito di un “gozzo ligure” nella terza fase.
Il gozzo a vela finalmente in mare
Il rapallino Emilio Breda al timone del Gozzo ligure in legno con cui la Ditta Viacava partecipò con successo al Salone Nautico di Genova nel 1972.
Giobatta Viacava jr. era considerato un fenomeno, perchè in un mese aveva costruito un gozzo ligure di 4 metri, da solo. Egli tramandò la sua arte al figlio Giorgio, e dal capannone dei Viacava uscirono dei veri capolavori, gozzi e barche di ogni tipo che suscitavano l’ammirazione dei compratori. Il legno, inteso come materiale da costruzione, per i Viacava non aveva segreti. L’armonia delle linee, la robustezza della costruzione e la perfezione del prodotto, erano di altissimo livello e difficilmente ripetibili.
Giobatta mostrava eccellenti capacità nell’analisi della qualità del legno, con particolare riguardo al tempo di stagionatura. Egli sapeva sfruttare il materiale nel miglior modo possibile, seguendone il cosiddetto “gaibo”, cioé la forma originaria del pezzo, e adattandolo alle diverse parti dello scafo da costruire.
Il padre di Giorgio ebbe inoltre un notevole spirito imprenditoriale, perché seppe cogliere i cambiamenti in atto nella “nautica” di allora. Verso la fine degli Anni ’50 costruì un moderno capannone situato in località Ronco (Rapallo) da cui l’intera famiglia ripartì per una nuova avventura.
“Dal 1957 al 1995 – ricorda Giorgio - abbiamo costruito insieme 80 gozzi liguri. Nel 1972 abbiamo partecipato, con grande successo, al Salone Nautico di Genova”.
Il Cantiere Navale di Rapallo seppe costruire anche brigantini a palo oceanici. (Archivio Pietro Berti)}
Lungo l’odierna passeggiata a mare, dove questa è allietata dai giardinetti, prima di arrivare al monumento di Colombo, sorgeva un cantiere navale che nel 1865 raggiunse una notevole importanza. Vi si costruirono non solo tartane, golette e scune, ma anche grossi bastimenti di oltre 1.000 tonnellate, quali l’ISIDE, l’ESPRESSO, il GENOVESE, il FERDINANDO, il SIFFREDI, il GIUSEPPE EMANUELE ed il maestoso CACCIN di 1500 tonnellate, sotto la direzione di grandi costruttori navali come G. Merello, Graviotto ed Agostino Briasco.
Giò Bono Ferrari scrisse: “La strada delle Saline a Rapallo, quella dalla tipica porta secentesca, pullulava a quei tempi di calafati e maestri d'ascia. E v'erano i ciavairi con le massacubbie ed i ramaioli, nonché i fabbri da chiavarde per commettere i cruammi. E gli stoppieri, i ramieri e il burbero Padron Solaro, socio del camogliese De Gregori, che aveva fondachi di velerie, d'incerate e di bosselli.”
Beh! Oggi si stenta ad immaginare che la zona descritta, sia stata il cuore pulsante dell'industria e del commercio di Rapallo, quando anche la lingua, intrisa di termini marinareschi e mestieri ormai scomparsi, odorava di pece, catrame e rimbombava di echi medievali, ultimi sibili di un'era legata al prezioso legname da costruzione navale.
Cosa successe dopo la chiusura del Cantiere navale di Rapallo?
“La chiusura del Cantiere imposta dalle Autorità cittadine per 'disturbi alla quiete... turistica' indusse tutte le maestranze specializzate a mettersi in proprio per creare dal nulla piccoli cantieri-laboratori in cui poter continuare ad esercitare la loro arte".
Per i Viacava di oggi, tuttavia, il problema ha più sfumatutre: é senz’altro così se si guarda la fabbricazione dei “gozzi” tradizionali in legno, é invece nettamente migliore se ci si riferisce alle nuove tecniche che utilizzano il vetroresina e che hanno sostituito quasi del tutto l’attività tradizionale.
"Abbiamo virato la nostra produzione in questo senso solo nel 1990 – spiega Giorgio – perché mio padre era molto legato alla lavorazione in legno. Intendiamoci, anche a me piace moltissimo, c’é una soddisfazione maggiore nel realizzare un bel gozzo di legno che nel preparare una barca in vetro resina, ma il mercato purtroppo condiziona anche le nostre scelte, senza contare la fatica ed il tempo che si impiegano per costruire una buona barca in legno".
Fu così che l’antica stirpe dei VIACAVA, maestri d’ascia fin dal medioevo, decise di proseguire con l’unico mestiere che conoscevano a fondo e di inaugurare un proprio cantiere nella loro città.
L'antico e affascinante mestiere del maestro d’ascia, così come quello del calafato, ha trovato il suo più acerrimo nemico nei nuovi materiali apparsi prepotentemente sulla scena navale dopo il tramonto del legno da costruzione: il ferro, l’acciaio, la plastica, ed infine il vetro resina. Il gozzo ligure costruito in legno, come le altre imbarcazioni rivierasche senza età, non hanno più mercato e sono ricercate soltanto dai pochi appassionati della TRADIZIONE e, guarda caso, anche dai principali Musei marinari del Mediterraneo. Con loro stanno uscendo di scena anche gli ultimi maestri d’ascia e calafati che avevano negli occhi il mare e nelle mani nodose l’arte di come affrontarlo.
La memoria degli avi di Giorgio Viacava, come abbiamo visto, si perde nell’oscurità dei secoli, ma l’arte di famiglia, quella del MAESTRO D’ASCIA, non si é mai persa perché si tramanda geneticamente, anche senza saperlo, da padre in figlio. I segreti della costruzione navale in legno formano un patrimonio di conoscenze che resiste al tempo, alle guerre e ad ogni tentazione di cambiare mestiere, una eredità che deve restare in famiglia. Chi nasce maestro d’ascia preferisce morire nell’unico profumo di resina di cui si é nutrito.
Ci può narrare qualche segreto della sua vecchia arte?
“Ai committenti, ma talvolta anche a certi dipendenti, si può solo scarabocchiare la soluzione di un problema con il manico dell’ascia sulla sabbia, poi lo si fa sparire con una pedata... Il mestiere non s’insegna, lo si ruba con astuzia e pazienza – sorride di sottecchi Giorgio - Solo un padre, uno zio, un nonno, a volte un bisnonno te lo mostrano più volte spiegandoti alcuni “trucchi” per non fartelo sembrare troppo difficile, poi ti mettono alla prova osservandoti con pazienza... ma dipende da te mostrare che sei potenzialmente un “figlio d’arte”.
Passa il tempo ed arriva il giorno che commetti un errore, ma te n’accorgi da solo. – E’ l’arte che entra! - Ti sentirai dire. Da quel momento, punto nell’orgoglio, saprai cavartela da solo, per sempre!”.
Si prova un’emozione mistica nel varcare la soglia del tempio di un maestro d’ascia. Il culto della memoria si fa volano del sapere verso le nuove generazioni, da cui nasce la fierezza delle antiche radici.
Ogni attrezzo corrisponde ad un antenato, che qui continua idealmente a vivere ... queste asce sono intrise del suo sudore, del suo sangue, del suo pensiero ... Ecco spiegata la sacralità del luogo! Gli odori forti della resina, della stoppa e della pece stanno ai vecchi cantieri come l'odore d’incenso sta alle chiese, come il mosto sta alle cantine.
Nel lavoro del maestro d’ascia tutto é cadenzato da segreti e gelosia di mestiere! Dal fabbricare i propri utensili per entrare in qualsiasi “recanto” della barca in costruzione, alla scelta dei manici di legno (pero, melo, limone), alle misure (peso, lunghezza, larghezza) che devono essere armoniche con la sua stazza e con lunghezza del suo braccio. Ogni colpo d’ascia emana una nota musicale che racconta la storia di quel legno (vecchiaia, stagionatura, duttilità, qualità, prontezza d’impiego). L’ascia é affilata come il rasoio da barba. Nel tempo diventa l’estensione dell’arto del suo maestro di cui assume la stessa personalità. E’ solo paragonabile allo scalpello dello scultore, al pennello di un pittore. Se l’occhio ti tradisce e sbagli il “tocco”, devi ripartire daccapo.
Ha qualche ricordo di suo nonno?
“Mi raccontava mio nonno – riprende Giorgio - che gli avi maestri d’ascia d’un tempo, usavano scegliersi il legno per ogni loro esigenza di costruzione e si trasformavano in pellegrini... Non c’erano le autostrade e le ferrovie come al giorno d’oggi, l’unica via per raggiungere le foreste montane dell’Aveto era la mulattiera anzi le mulattiere a dorso di mulo. Da Rapallo dovevano valicare il passo della Crocetta, presso vicino al Santuario della Madonna di Montallegro, da qui scendevano a Coreglia in Val Fontabuona, proseguivano per San Colombano, aggiravano il fondovalle del monte Pissacqua e arrivavano a Borzonasca.
Da qui si snodava, in arrampicata, la millenaria mulattiera, una vera “arteria medievale”, che toccava le seguenti località: Squazza, Caregli, Gazzolo, Temossi, Villa Jenzi, La Pineta, Rezoaglio, Villa Cella (fino al 1550)- Foresta del Penna. Il percorso era molto trafficato per gli scambi commerciali che avvenivano tra la Liguria e l’Emilia, e era molto aspro per la conformazione del territorio.
La zona dell’Aveto, oggi Parco dell’Aveto (3.000 ettari), é il più montano dell’Appenino Ligure e ne comprende le cime più elevate fra i 1600 e i 1800 metri di altezza, quali il Maggiorasca (1.799 metri), il Penna (1735 mt), lo Zatta, l’Aiona (1.701 mt), il Groppo Rosso (1.593 mt). Vi erano altre mulattiere, forse più brevi, ma meno organizzate e controllate. Il vero problema per le carovane di muli carichi di merce preziosa era, però, di ben altra natura: il brigantaggio! Il rischio di perdere tutto, anche la vita, era altissimo a causa degli agguati improvvisi e ferocissimi di gentaglia senza scrupoli. Pertanto i convogli erano lunghi e partecipati nel tentativo di contrastare i “Fra diavolo” locali e per aiutarsi reciprocamente nel caso di perdite di animali e per soccorrere eventuali feriti.
Le vallate dell’Appennino rimbombano ancora di antichi rumors che raccontano delle guarnigioni di birri che avevano il compito di tenere a bada i briganti, benché la maggior parte di loro fosse in combutta con gli uomini di potere che li usavano per taglieggiare i mulattieri che trasportavano merci da un capo all’altro dell’Appennino… La musica cambia, ma i suonatori sono sempre gli stessi!!!
Il territorio di Santo Stefano d’Aveto, circondato da boschi fittissimi, era la culla di banditi leggendari che ancora alla fine del secolo XIX assalivano convogli isolati o troppo poco protetti tra il passo del Tomarlo, del Bocco e, poco più sotto, delle Cento Croci.
Questo è il motivo principale che indusse, per oltre un millennio, i nostri avi a scegliere la “rotta”: Chiavari – Borzonasca – Aveto che procedeva lenta, ma sicura.
Esisteva, per la verità, un’altra mulattiera che da Coreglia tagliava in diagonale il versante sud del monte Caucaso (1.250 mt.) che, dopo numerosi e ripidi tornanti, tra boschi di castagni, carpini, lecci, roveri di mezza collina, giungeva al Passo della Ventarola. Qui le carovane sostavano nell’antichissimo borgo che è visitabile ancora oggi, alcuni chilometri prima di Cabanne. L’incontro con le prime selve di faggi segnava il cambiamento di clima, l’aria si faceva fresca e non sapeva più di mare, ma di pascoli, fieno e conifere. Il terzo giorno, tra numerosi saliscendi, i mulattieri incontravano pioppeti, salici e nelle zone intermedie, anche frassini, carpini, aceri, ciliegi selvatici e i cerri giganteschi.
Villa Cella. La chiesa e il mulino.
Il loro obiettivo era ormai vicino: giunti a Villa Cella (1020 mt), dove esisteva un punto di ristoro ed assistenza dei frati Benedettini, i carovanieri affrontavano gli ultimi tornanti al Lago delle Lame e quindi al Penna popolato da milioni di abeti, pini e faggeti che compongono l’immensa e suggestiva foresta alpina.
Breve nota storica:
La foresta del Penna, anche se l’attuale impianto è frutto di recenti rimboschimenti, ha origini molto antiche. Le sue abetaie, pur mescolandosi al faggio e ad altre specie caducifoglie godono, a detta degli esperti, di una eccellente salute, la migliore in tutta l’area appenninica. La sua importanza fu grande anche in passato, quando i principi Doria difendevano a spada tratta il vasto patrimonio di pregiato legname che era alla base delle loro industrie navali. La regolamentazione del taglio dei boschi ed il traffico ad esso correlato avveniva con le cosiddette GRIDE. La più antica di queste “gride” è datata 9 agosto 1593 e proviene dall’Archivio Doria Pamphili di Roma.
“Per parte del Magnifico Commissario di Santo Stefano e d’ordine di sua S.E. si comanda che nessuna persona forestiera abbia ardire d’andar a tagliare qualsivoglia sorta di legname nelli boschi della giurisdizione di Santo Stefano tanto de qua da Ramazza come di là, ne meno di legnami tagliati levare dalli Boschi suddetti, sotto pena della galera ed arbitrio di S.E. et della perdita dei legnami et de bestie che le portassero o tirassero”. I vassalli per uso loro possono tagliare la legna, ma se qualcuno favorirà il taglio da parte di forestieri “incascheranno ne la medesima pena”.
Altre “grida” dello stesso minaccioso tenore furono proclamate nel 1601 e nel 1630.
"Arrivati sul posto i nostri avi maestri d'ascia incontravano gli amici boscaioli e scambiavano il sale, le acciughe sotto sale e la frutta di stagione con il formaggio locale, fresco e stagionato; non mancavano i profumati salumi che degustavano con lunghe bevute di vino proveniente dalla vicina Emilia”.
In via dei Remolari a Chiavari, nei pressi della Cattedrale, avevano sede i laboratori che producevano i remi per le galee genovesi utilizzando il legno di faggio proveniente dal vicino Monte Penna.
Questa forte richiesta di materia prima impose la creazione di sistemi di trasporto efficienti e sicuri che risolvessero il problema di come far arrivare dai monti a fondovalle i tronchi già sbozzati dei boscaioli. Dalle Lame, per esempio, partivano, a piedi, i “camalli” assoldati tra i montanari più robusti. Una volta giunti a fondovalle, le travi venivano trainate da buoi. Dal Monte Zatta, invece, era utilizzato un corso d’acqua sbarrato da barricate, a monte delle quali si accumulavano i tronchi, che poi venivano fatti trasportare dalle acque, aprendo e chiudendo le chiuse ad intervalli regolari.
Una volta consegnati i remi, spesso la Val d’Aveto forniva anche rematori. Ogni galea necessitava di 150-170 tra schiavi, prigionieri condannati ai lavori forzati, tra i quali si poteva inserire qualche brigante catturato proprio tra queste montagne mentre operava dandosi poi alla macchia. Ai rematori “forzati” si aggiungevano i cosiddetti “buonavoglia”, tra cui numerosi contadini o montanari che decidevano di arruolarsi volontariamente sulle galere specialmente negli anni di carestia. Infine possiamo aggiungere una categoria meno citata: i “sequelle”, uomini liberi provenienti dai feudi, che le varie comunità del territorio erano tenute a fornire al feudatario in caso di necessità.
Non sapevo che il mulo avesse avuto un ruolo così importante nella storia delle Galee genovesi. Credo che ai nostri lettori interessi anche questo aspetto. Ha dei ricordi?
“Certamente! Anche se devo fare appello ai racconti, per fortuna ancora nitidi, di mio nonno.
Il mulo è un animale dalle abitudini alimentari molto spartane, non richiede grosse attenzioni per quanto concerne l’alimentazione e riesce a digerire anche foraggi grossolani. Richiede razioni molto inferiori rispetto a quelle di un cavallo a parità di peso ed è per questo che ha riscosso tanto successo nel corso dei secoli. Il mulo è un animale dal carattere complicato, è resistente, paziente, coraggioso e ostinato. Ha inoltre un tiro infallibile. E’ preziosissimo in montagna e nelle zone caratterizzate da collegamenti e strade impervie. I muli riescono a percorrere circa cinque chilometri all’ora procedendo a passo lento in tutte le condizioni di strada e trasportando un carico pari al 30% del loro peso e possono marciare anche per 10-12 ore di seguito, arrivando a percorrere fino a 40 km al giorno. Per quanto concerne la potenza di carico, considerando che il peso medio di un mulo si aggira sui 450 chili, il peso massimo trasportabile dovrebbe aggirarsi intorno ai 130 chili. In generale, i muli riescono a trasportare grossi carichi per lunghi tratti, senza accusare il minimo cenno di stanchezza.
I muli sono animali estremamente longevi e possono lavorare anche per 30-50 anni. Il massimo del rendimento si ha a partire dai quattro anni di vita.
Il viaggio nella Val d’Aveto che ben conoscevano i nostri avi già nel medioevo, durava in media una settimana. La lunghezza del convoglio, la quantità del carico e le condizioni climatiche facevano la differenza”.
Breve nota storica: …. Dai Malaspina a Lepanto!
Il feudo di S.Stefano d’Aveto appartenne ai Malaspina dal 1164 fino al 1495, dopodichè, a causa di un progressivo declino provocato dalla disunione familiare, fu ceduto a Gian Luigi Fieschi, conte di Lavagna. I 52 anni di feudalità dei Fieschi, com’è noto, si conclusero con l’episodio passato alla storia come la “Congiura dei Fieschi” che fallì clamorosamente nel 1547. Il feudo avetano cambiò “padrone”. Carlo V lo regalò ai Doria e alla Repubblica di Genova.
Ultimo feudatario di Santo Stefano sarà Andrea IV che, travolto dal ciclone napoleonico, nel 1797 porrà fine alla Signoria dei Doria in Val d’Aveto.
Sul portale della parrocchia di Santo Stefano d'Aveto giganteggia l'immagine della Madonna di Guadalupe, protettrice del comprensorio avetano.
Tuttavia, la Val d’Aveto è legata al nome dei Doria anche per un singolare episodio religioso. La parrocchia di Santo Stefano é dedicata alla Madonna di Guadalupe (nella foto), venerata in paese dal 1802. Nel 1811 il cardinale Giuseppe Doria Pamphili Landi, venuto a conoscenza di tale culto, donò alla parrocchia una tela raffigurante la Vergine di Guadalupe, a lui pervenuta dai suoi avi. Il quadro, ora posto al centro dell’altare maggiore della Chiesa, fu dipinto poco tempo dopo l’apparizione della Vergine a Juan Diego avvenuta a città del Messico nel 1531.
Sul portale destro della chiesa appare l'immagine di Andrea Doria, con la seguente scritta: AMMIRAGLIO ANDREA DORIA GIA' SIGNORE DEL CASTELLO EBBE IN DONO NEL 1535 DALL'IMPERATORE CARLO V L'EFFIGE DELLA GUADALUPE VENERATA IN QUESTA CHIESA.
Esso è “copia autentica” della miracolosa immagine originale e fu regalato dall’Arcivescovo Montufar al Re Filippo II di Spagna, il quale lo donò all’Ammiraglio genovese Gian Andrea I Doria (nella foto), poi signore di S. Stefano, che l’espose nella cappella della sua GALEA durante la BATTAGLIA DI LEPANTO (1571).
Ci parli un po’ della scelta del legname da costruzione.
Come nei secoli passati, tra la Caserma della Forestale del Monte Penna e il Passo dell’Incisa, esiste: LA SEGHERIA NEL BOSCO che è oggi al centro di un notevole programma nazionale di rimboschimento.
La scelta del legname in natura iniziava con l’aiuto dei boscaioli e segantini del posto che ben conoscevano le esigenze dei nostri maestri d’ascia. La ricerca accurata dei tronchi e dei rami che avessero già un avvio ricurvo, era prioritaria.
Dare la curvatura delle costole su cui applicare il fasciame costituiva un’impresa ardua, ma il maestro d’ascia conosceva i segreti per risolvere questo genere di problemi, come vedremo più avanti.
Il legname stagionato della Val d’Aveto era molto apprezzato, specialmente quello collocato nel fondovalle umido e ricco di corsi d’acqua.
Se ho ben capito i suoi avi acquistavano due tipi di legname per le loro costruzioni: quello che presentava un certo tipo di curvatura, idoneo quindi per trasformarsi in ordinate/costole e quello già dritto e stagionato per le travi longitudinali: chiglia, paramezzali, madieri, torelli.
“Esatto! La fase più delicata della costruzione di un’imbarcazione era la scelta del legno che doveva avere la sua giusta stagionatura. La vita e la longevità della futura imbarcazione dipendevano da questo importante elemento. Se il legno era ben stagionato, la robustezza e la salute dell’imbarcazione erano assicurate”.
Giorgio ci sveli ancora alcuni segreti sulla stagionatura.
“La migliore stagionatura del legname da costruzione navale si ottiene in due fasi: nella prima si immergono i tronchi d’albero nell’acqua di un torrente montano per almeno sei mesi affinché rilasci la sua linfa (tannino). Trascorso quel periodo, si entra nella seconda fase. Il tronco viene tagliato in tavole che vengono appilate e distanziate tra loro con traversine per favorire la circolazione d’aria. Da questo momento inizia la stagionatura che dura, come minimo, un anno.”
Come si ottiene la curvatura del legno?
“Come accennavo prima, uno dei problemi che il maestro d’ascia deve affrontare e risolvere é la piegatura del legno che sarà utilizzato nello scafo, dove le sue linee sono tutte ricurve per dare eleganza all’imbarcazione, per assecondare il moto ondoso e per ridurre la resistenza al moto in avanti, quindi per avere una buona velocità.
Prima di piegare il legno occorre riscaldarlo utilizzando un forno a vapore dotato di caldaia chiusa. Sulla parte superiore del forno é sistemato un tubo di grandezza adatta al legno da piegare. La temperatura deve raggiungere ed anche superare i 100°".
Quanto tempo deve rimanere nel forno, per esempio, una futura costola?
"Dipende da molti fattori: la qualità del legno stesso, la sua stagionatura e naturalmente dall’esperienza e dai segreti del mestiere.
Quando la cottura é terminata, il legno viene estratto e piegato secondo la linea di una “sesta” disegnata in precedenza. Per ottenere la forma definitiva, il legno viene bloccato da morsi.”
Come si costruisce un gozzo ligure?
“Oggi non si va più nella Val d’Aveto a dorso di mulo, ma si va dal rifornitore con il camioncino. Noi siamo clienti della ditta MICHELINI & PORTUNATO (La Spezia) - Importatori di legname esotico: IROKOH (chiglia) – Mogano e Tek (interni) – Acacia (ordinate, madieri) - Pino da pineta (fasciame).
Il primo passo da compiere é il seguente: s’imposta la trave di chiglia che si ricava da un tavola di legno molto resistente come l’azobé o l’irokoh, legni africani che non vengono danneggiati dall’acqua; quindi si imposta la chiglia facendo un abbozzo di struttura che viene messa su cavalletti perché sia in bolla, in piano. A questo punto si forma la ruota di prora e il dritto di poppa da cui esce l’elica, quindi si mette tutto a piombo di poppa e inizia la lavorazione delle ordinate, cioé la struttura verticale della barca.
Le ordinate sono composte da “madieri” (primo innesto delle coste poggiandosi trasversalmente alla chiglia) che vengono fissati nella chiglia con dei perni, e sono poste ad una distanza di venti-venticinque centimetri l’una dall’altra, dipende un po’ dalla costruzione. Poi si mettono delle forme longitudinali che tengono tutta la struttura a piombo: questi paletti, infatti, tengono, fino alla fine della costruzione, la barca perfettamente a piombo, perché basterebbe che tre ordinate fossero piegate su un fianco per far sì che, una volta messo il fasciame, la barca risultasse più larga da una parte che dall’altra.
Si mettono quindi altre forme longitudinali per dare un avviamento a tutte le ordinate, e a questo punto la struttura é pronta per accettare la prima tavola, che é la prima in alto, detta “tavola di cinta”. Ah, un momento: prima della posa della tavola, bisogna fare, subito dopo aver messo tutte le forme longitudinali che man mano vengono tolte, le tre ordinate di prua e le tre ordinate di poppa, che non hanno il madiere perché si fissano al controruota e non alla chiglia, e che si chiamano “apostoli”.
Dopo la prima tavola, si procede a mettere tutte le altre, ma stando attenti a lasciare degli spazi fra l’una e l’altra: la lavorazione come si deve, prevede una tavola sì ed una no, perchè a quel punto la barca dev’essere lasciata riposare.
Tradizionalmente le barche si fanno d’inverno e quindi si lasciano riposare fino alle prime giornate di tempo asciutto, o addirittura in primavera, nell’inverno stesso, quando l’aria é proprio secca. Questo perché le tavole, benché siano fatte con legno stagionato, assorbono comunque un po’ di umidità e quindi bisogna dar loro il tempo di assestarsi prima di mettere le altre, che si chiamano “imbuoni”.
Per fare gli “imbuoni” bisogna innanzitutto costruire una sesta seguendo il filo delle tavole già messe, poi con il compasso si prendono le distanze tra l’una e l’altra della tavole già messe, e si riportano quindi queste misure sulla tavola già tagliata che diventerà l’imbuono. Solo che le tavole non possono essere tagliate... diciamo “normalmente”: la barca é tonda, come una botte, quindi se i legni si tagliassero in squadra, fra l’uno e l’altro rimarrebbero degli spazi. Allora, uno per uno vanno presi i “cartabuoni”: il cartabuono é lo strumento con cui si misura l’angolo, cioé di quanto è fuori strada una tavola, e il nome passa alla misurazione stessa.
“Nella costruzione navale, con riferimento a una generica sezione trasversale di uno scafo passante per una costola o ordinata (piano dell’ordinata o di garbatura), l’angolo diedro formato dal piano dell’ordinata stessa con la superficie esterna dell’ossatura; è funzione dell’andamento più o meno curvilineo dello scafo (nella zona prodiera il quartabuono, detto q. grasso, è maggiore di 90°, in quella centrale è circa uguale a 90°, verso poppa può essere uguale o inferiore a 90°, q. magro) e varia sia lungo il contorno della stessa costa sia da costola a costola.”
I maestri d'ascia, sebbene illetterati, riuscivano a fare meraviglie, con i loro attrezzi. Come il ‘gaibo’, (garbo); una catena di elementi di legno che, bagnata con acqua bollente, diventava strumento per dare forma e tracciare le ordinate, là dove il maestro d'ascia, anche in assenza di disegni, era capace di interpretare e realizzare elementi strutturali. “Sì, c'era anche chi era dotato di un talento particolare, quello di interiorizzare le forme della barca e riportarle su legno seguendo un processo che sapeva più di artistico che di artigianale” - conclude Giorgio.
Il sole é tramontato sul cantiere dei Viacava. Mi soffermo ancora un attimo nel suo angolo più antico. Le ombre di Sacolosi, Andreani e dei Viacava si piegano sulla chiglia dell’ultima galea. Un colpo d’ascia vibra nell’aria, si diffonde un profumo di rovere.
Colgo il saluto con un brivido!
GRAZIE Giorgio per questo “speciale” viaggio nel tempo!
ALBUM FOTOGRAFICO
Terminologia tecnica della costruzione navale in legno
1. Chiglia; 2. Madiere; 3. Ginocchio; 4. Scalmo; 5. Baglio; 6. Paramezzale; 7. Paramezzale laterale; 8. Sopraparamezzale; 9. Serrette; 10.Puntello; |
11. Anguilla; 12. Torello; 13. Controtorello; 14. Fasciame di cinta; 15. Suola; 16. Parapetto; 17. Fasciame del ponte; 18. Pagliolato; 19. Sentina; 20. Dormiente; 21. Trincarino. |
GLI ATTREZZI
Dei Maestri D'Ascia
CALIBRO
MAZZUOLO
COMPASSO
FILO A PIOMBO
PATRASSA
PARELLA
SCURE
MAZZA, BERTA O NONNA
ASCIATELLA
MARTELLO O BOZZETTO
SBOZZINO
ASCIA
FERRO DA STERZO
VERINA DA ALESAGGIO
CHIAVE A VITE
MAGLIO DEL CALAFATO
Uno degli strumenti più originali del Calafato è il maglio, una specie di martello di leccio o rovere, a due teste. Era fatto a mano ed ogni calafato aveva il proprio perché si doveva adattare alla forza e alla lunghezza delle braccia di chi lo usava. Ogni Calafato desiderava che il suo maglio avesse il "ciocco" più sonoro e il contraccolpo più valido di quello del suo compagno di lavoro. In prossimità dell’estremità della testa, viene inanellato un ferro che evita la rottura del maglio. Sul maglio c’é un taglio allo scopo di avere un effetto di ammortizzatore il colpo.
Ferri da calafato: i ferri venivano utilizzati per "pulire" la zona da calafatare, sia per allargare le commesure con dei scalpelli posti perpendicolarmente alle tavole e con raschini per asportare la vecchia calafatura. Successivamente coi i ferri a palella si "filava" la stoppa catramate nella fessura. Stoppa: Veniva inserita all’interno delle commesure con i ferri a palella, molto acuti per inserirla in profondità. Finita l’operazione con la palella occorreva compattare la stoppa con ferri dai tagli larghi chiamati "calca stoppa".
MARMOTTA
Oltre il maglio, il Calafato aveva un corredo di attrezzi tra cui una PARELLA, quattro ferri con numero diverso di canale, il CAVASTOPPA, il raschino. Gli attrezzi venivano conservati in una cassetta che si chiama marmotta.
Questa cassetta misurava circa 43 cm di altezza, 24 cm di larghezza e 17cm di profondità. Da un'apertura a mezzaluna su un lato si estraevano i ferri del mestiere: dai ferri per pigiare le stoppe, alla stoppe, al maglio, al mazzuolo per picchiare sui ferri, ai pezzi di sughero per tappi e al grembiule per proteggere i pantaloni nel filare - la stoppa catramata. La marmotta era praticissima perché serviva anche come sgabello di varie altezze a seconda della posizione in cui si metteva in piedi, di costa, di piatto).
Il verbo "calafatare" deriva dal latino "cala facere" che significa fare calore per ripulire superfici incrostate da ripristinare; questa operazione veniva fatta sulle carene delle navi per impermeabilizzarle. Infatti il fasciame immerso (opera viva) veniva impeciato con bitume per proteggerlo e stagnarlo; periodicamente, per rinnovarlo o per eseguire riparazioni, doveva essere esportata la pece precedentemente applicata con il calore, cioè con il fuoco. Successivamente alla bruciatura, si eseguiva la chiusura stagna delle commensure delle tavole con stoppa cacciata dentro a forza, ed in seguito la carena veniva ricoperta con pece calda stesa con rudimentali pennelli, costruiti con pelli dl pecora legate ad un bastone ed immersi nelle pece calda liquefatta in un paiolo sopra un braciere. Le attrezzature per fare calore erano: fascine di stipa da ardere, le fraschiere (gabbie di ferro per contenere fascine ardenti che tenute vicino alla carene, bruciavano la vecchia impeciatura), un tripiede per il fuoco, una caldaia per le pece, un ramaiolo per raccoglierla dalla caldaia ed un imbuto per impecire le commensure delle tavole del ponte, lanate (cioè quella specie di pennelli fatti di pelle dl pecora). Nei cantieri e negli arsenali i calafati erano maestranze tenute in grande considerazione. Per la qualifica di stagnatore di vie d'acqua, il calafato, insieme al carpentiere, veniva imbarcato in numero vario sulle navi, soprattutto su quelle da guerra per intervenire prontamente a chiudere le falle provocate dalle palle di cannone dei cannoni nemici. Nelle navi durante il combattimento il calafato era sempre pronto a chiudere eventuali vie d' acqua, con lastre dl piombo, uova di struzzo e simili. Le uova di struzzo erano grossi tappi in legno a forma conica usati per chiudere i fori nel fasciame provocati dalle palle di cannone.
Il calafataggio veniva eseguito nel seguente modo: dati i forti spessori delle tavole di fasciame le commessure venivano allargate per alcuni metri con lo scalpello posto perpendicolarmente alle tavole, poi con un raschino ad uncino chiamato "maguglio" veniva asportata la vecchia calafatura, se esisteva. Successivamente a colpi di maglio sul fuoco si filava la stoppa catramata per ridurla al giusto diametro e si inseriva la stessa nella fessura con i ferri a palella molto acuti per spingerla il più possibile in profondità. La stoppa era spinta nel commento non totalmente ma a segmenti l'uno di seguito all'altro in rapida successione di colpi di maglio ben assestati sulla testa del ferro. Preparati così alcuni metri si ripassava sempre con la palella e spingere tutta la stoppa ed a premerla; a volte con le profondità della commensura era necessaria anche una seconda passata di stoppa. Finita l'operazione con le palelle, la stoppa doveva essere compattata all'interno con ferri dal taglio largo chiamati "calca stoppa". Questi ferri portavano nel taglio una rigatura e canale, semplice doppia o tripla secondo le larghezza della commensura. Anche questo lavoro di pressatura avveniva a colpi di maglio e quando la quantità della stoppe era molta e resistente doveva essere eseguita con un ferro calca stoppa simile ad un 'accetta senza taglio con manico chiamato "paterosso" battuto con una mazza di ferro da 3 chilogrammi. Come abbiamo già visto, lo strumento più originale del calafato è il maglio, possiamo solo aggiungere che si tratta di un martello interamente in legno di leccio o rovere a due teste, con possibilità dl colpire sia da una parte che dall'altra; in prossimità della bocca (da colpire) vi è un anello in ferro che evita le spaccature del legno. Le dimensioni sono 33 cm di larghezza circa, con un manico di 38 cm, il peso è di un chilogrammo. In genere era fatto a mano ed ognuno aveva il proprio, perché si doveva adattare alla forza e alla lunghezza delle braccia di chi lo usava. ll rumore provocato dal martello creava sordità e spesso stress nervoso; i calafati, perciò, erano detti "sordi e maleducati". Generalmente il calafato praticava solo quest'arte ma non era raro incontrare maestri d'ascia che sapessero esercitar egregiamente anche il mestiere del calafato. Questi erano gli operai più ricercati.
CALDARO DA PECE
TENDI COMANDO
MUSEO MARINARO TOMMASINO/ANDREATTA – CHIAVARI
GLI ATTREZZI DEL MAESTRO D’ASCIA E DEL CALAFATO
Foto di Gun Gatti
Questo martello, con le iniziali EG in rilievo, serviva ad Eugenio Gotuzzo per firmare le tavole che entravano nel suo cantiere. Bastava un colpo secco per marchiare qualsiasi tipo di legno.
Carlo GATTI
18 agosto 2016
L'ULTIMO CORDAIO
L’ULTIMO CORDAIO
San Fruttuoso di Camogli
In tutte le città marinare del nostro Paese, così come in tanti piccoli borghi antichi che si affacciano sul mare, ci sono vicoli, strade, quartieri dedicati ai cordai. Sono le tracce di una millenaria attività legata alla pesca in tutte le sue forme, alla cantieristica e quindi alla navigazione.
La canapa coltivata un tempo nella Pianura Padana, approdava nel grande porto di Genova e non solo, per essere trasformata in sagole, gomene e grossi cavi d’ormeggio per le navi in transito. Oggi l’antico artigiano-CORDAIO si é fatto industriale.
Di quel vecchio canapo che s’impregnava di mare e triplicava il suo peso, rimangono alcuni reperti soltanto nei musei marinari. Le tappe successive ci parlano di cavi sintetici colorati, e cavi misti che sono solitamente costituiti da fibre vegetali e fibre sintetiche o da fibre vegetali e fili d'acciaio che, opportunamente intrecciati fra loro, formano un complesso caratterizzato da notevoli doti di resistenza, elasticità e maneggevolezza molto tenaci fin nei piccoli calibri, per arrivare all’ultimo tipo: il DYNEEMA, quasi senza peso e con un carico di rottura simile a quello dell’acciaio.
Il mondo corre veloce e ogni giorno si scrolla di dosso antichi mestieri, tanti artigiani insieme ai loro attrezzi dai nomi dialettali impronunciabili.
Patrimoni ormai in disarmo di cultura locale che vengono salvati ogni giorno in umide cantine interrate che, simili a ospiti inutili ed indesiderati, ringraziano e tolgono il disturbo...
Chi resta é conscio di tradire la propria storia e si consola dicendo: “Guai a chi me li tocca!!!”
Molti sono quelli che rinunciano a questa sfida impari contro la modernità, altri invece non mollano “o mestê” imparato con tanto sudore e gran sacrificio fino a considerarlo un patrimonio familiare da tramandare ai giovani.
“Sarebbe come tradire la mia famiglia che mi ha insegnato prima a parlare e poi a tenere in mano questi antichi attrezzi che ci hanno dato da mangiare per secoli”.
Questa lucida fierezza la vediamo scolpita sul viso bruciato dal sole di Marietto Scevola, l’ultimo cordaio nativo e residente a San Fruttuoso di Capodimonte (Camogli) che ci spiega:
“Le corde oggi sono realizzate con fibra di cocco ed altro materiale molto più moderno, ma un tempo mio padre e, prima ancora mio nonno, le producevano con una lavorazione più lunga e complessa, con la lisca, erba spontanea del monte di Portofino che veniva raccolta dai contadini e portata a San Fruttuoso proprio per la produzione di corde.
Un tempo trasportavamo con i gozzi le corde finite a Camogli, dove le cooperative di pescatori, dopo averle srotolate sul molo, intrecciano le reti da pesca”.
Ci parli un po’ della LISCA.
La lisca é un’erba diffusa sul Promontorio di Portofino. Si presenta in cespugli molto densi. Ha foglie lunghe circa un metro. Fornisce un materiale fibroso ricavato dalle foglie che serve per fare cordami, legacci, stuoie o tessuti grossolani. Oggi la lisca é considerata specie protetta, quindi non più utilizzabile.
Oggi le antiche corde in fibra vegetale sono sostituite da quelle sintetiche, più facili da realizzare ma di simile resistenza; così il mestiere del cordaio tradizionale o cordaiolo è scomparso, mentre sino a metà del ‘900 era un lavoro svolto in quasi tutti i borghi del levante. Delle tante corderie industriali ne rimane invece solo una a Rossiglione, nell'entroterra di Genova.
“I cordaioli erano attivi a Camogli, S. Margherita Ligure, Rapallo, Chiavari, Lavagna e Sestri Levante, nonché in numerose frazioni dell'entroterra. A parte qualche cordaiolo della zona del Promontorio di Portofino che riusciva a sfruttare la lisca.
Fin dai tempi antichi, le corde di lisca erano fatte, come dicevo, dai miei avi-cordai, una specie vegetale di cui si sfruttavano le foglie lunghe e tenaci. Oggi la lisca sopravvive in ottima salute e in numerosi esemplari all'interno del Parco Regionale di Portofino”.
Quali prodotti si lavoravano con la lisca?
“Con essa si realizzavano corde molto resistenti alla salsedine, leggere, ma capaci di assorbire acqua e affondare, note un tempo come "cavi d'erba". A S. Fruttuoso di Camogli, sino ai primi anni '60 si producevano numerose corde di lisca. La richiesta di questi cordami proveniva essenzialmente da pescatori della Riviera Ligure di Levante. La lisca forniva una corda particolarmente morbida e maneggevole, impiegata dai pescatori a bordo dei gozzi per salpare il Tartanone o Ganglo. Con quest'attrezzo veniva effettuata un tipo di pesca a strascico con una sorta di sciabica recuperata da una barca adeguatamente ancorata. La rete veniva tirata a bordo e quindi le corde dovevano essere il più possibile morbide e maneggevoli per non stancare e rovinare le mani. La lisca si prestava bene a questo scopo e veniva usata inoltre per realizzare le reti della Tonnarella di Camogli. A S. Fruttuoso di Camogli tre famiglie erano impegnate contemporaneamente nell'attività di pesca e in quella di raccolta della LISCA, mentre un'altra famiglia si occupava della costruzione di cordami. Le vecchie attrezzature sino a qualche tempo fa venivano ancora utilizzate per la preparazione dei cavi della Tonnarella, lavorando la fibra di cocco proveniente dall'India. La lisca è infatti una specie tutelata in tutta l'area del Parco Regionale di Portofino.
ALBUM FOTOGRAFICO
Intreccio dei "Cavi" della Tonnara
Le grosse corde (dette cavi), da cui è costituita la Tonnarella di Camogli, vengono intrecciate ogni anno a San Fruttuoso di Capodimonte con particolari attrezzi.
Marietto Scevola ci mostra la PIGNA di legno che separa ordinatamente i quattro legnoli, pronti a diventare un’unica cima quando il FERRETTO, con la sua testina rotante inizierà a girare velocemente.
L’instancabile Franca Chiaschetti é l’addetta ai cavi.
MARE NOSTRUM RAPALLO RINGRAZIA SENTITAMENTE i responsabili del sito Camogli & Dintorni per averci concesso la pubblicazione delle fotografie apparse in questo articolo dedicato alle nostre tradizioni locali.
Carlo GATTI
Rapallo, 25 giugno 2016
A 50 ANNI DALLA MORTE DI GILBERTO GOVI
A 50 ANNI DALLA MORTE DI
GILBERTO GOVI
A cinquant'anni dalla sua scomparsa, Genova celebra Gilberto Govi (1885-1966) con il progetto Gilberto Govi. Cinquant'anni dopo, ideato da Eugenio Buonaccorsi e realizzato dal Comune di Genova per onorare la vitalità del fondatore del teatro dialettale genovese e per tentare una lettura organica della sua multiforme attività.
Cinquant’anni dopo la sua morte, Gilberto Govi continua a rappresentare una delle figure più note e amate della nostra città, un simbolo con cui viene identificata l’anima della terra ligure. Govi ha utilizzato strumenti che sono quelli universali del grande teatro: una strepitosa mimica facciale, toni stralunati, ritmi straordinariamente efficaci delle battute e caratteri così forti e definiti nei suoi personaggi da costruire un’immagine “storica” di Genova e del genovese, che si è diffusa in tutto il mondo.
Lina Volonghi era solita ripetere: “Quando la gente e i critici lodano il mio senso di responsabilità e disciplina, lodano Gilberto Govi. Da lui ho imparato i tempi comici, il rispetto per il pubblico, il donarsi con estrema semplicità e grande sacrificio.”
Segue una testimonianza di Renzo Bagnasco
Faro di Punta Vagno – Genova
I giardini che portano il nome del grande commediografo genovese Gilberto Govi risalgono agli anni Ottanta.
Chi arriva o parte da Genova per nave, entrando o uscendo dal porto proprio sotto il faro di Punta Vagno, dove i piloti vanno ad accogliere le navi, non si accorge di essere sornionamente osservato da chi questa Città ha meglio rappresentato: l’attore Gilberto Govi, la cui statua è collocata nei giardini a lui intestati (li volle entrambi l’allora Sindaco Cerofolini, genovese doc).
Recitando in tutta Italia ci rese simpatici anche oltre confine, come vedremo fra poco. Genova, che qualcuno definì “matrigna”, pare non se lo sia più ricordato, proprio quest’anno che il 26 Aprile ricorreva il cinquantenario dalla morte. Non esiste di quella statua una cartolina che la ritragga fra le curiosità attrattive ne nessuna TV locale la inquadra mai, e credo, neppure la pagina genovese de IL SECOLO XIX l’ha mai segnalata, e allora lo facciamo noi con modestia, ma con l’amore verso questa nostra terra e lo vogliamo ricordare con un episodio inedito.
Nel 1981 visto che nessuno ne parlava più anche se le sue commedie per televisione erano seguite, noi (in allora) di Tele Genova prendemmo l’iniziativa di erigergli una statua. Si mobilitarono Vito Elio Petrucci e parecchi fra i più grandi cantautori e personaggi genovesi per, attraverso trasmissioni mirate, raccogliere fondi: dal grande cuore dei genovesi non arrivò una lira ma per fortuna intervennero le Banche e la statua fu realizzata dal Professor Stelvio Pestelli. Non fu compito facile perché ognuno vedeva Govi in base al personaggio che più gli era rimasto in mente, ma lui se ritratto come era, non lo avrebbe riconosciuto nessuno: si trovò un compromesso. Saputa la notizia, l’Associazione dei Liguri in Ticino, la vollero colà per esporla nella piazza delle Banche a Lugano.
Vi rimase una settimana fra la partecipazione di tutta la Città. Nell’occasione venne presentato dagli autori presso la locale importante libreria Melisa, il volume appena stampato < Lui Govi > di Vito Elio Petrucci e Cesare Viazzi con foto di Leoni, il fotografo che immortalò tutta Genova. Nel Palacongressi di Lugano proiettarono il film “Diavolo in convento”, e l’ultima sera vi fu uno spettacolo, sempre nel Palacongressi, presentato e coordinato da Pier Antonio Zannoni della Rai e vi parteciparono Petrucci, illustrando Govi come attore, il Maestro Renato de Barbieri suonò sul suo Guarnieri del Gesù alcuni Capricci di Paganini e la sua performance venne ripresa, come per altro il resto, dalla Televisione della Svizzera Italiana ma la sua fu irradiata anche in mezza Europa. In fine il Professore Mantero, il mago della mano di Savona, illustrò il risultato dei suoi studi sulle mani iperattive di Paganini affetto, secondo i suoi risultati, dal morbo di Alfan che lentamente rilassa le giunture con esito finale, per fortuna ormai solo a quei tempi, ineluttabili proprio come accadde al grande Maestro. Rientrammo, dopo questa settimana “genovese”, con statua e fondi colà raccolti che ci permisero di pagare tutti i debiti.
Perché però noi, a vario titolo gente di mare, parliamo di Govi oltre le premesse ?: perché lui spesso rappresentò un operatore del porto che portò a far conoscere a tutti i “furesti”, l’esistenza dei frugali “scagni”, vero cuore pulsante del porto di allora, ma altrove sconosciuti. Non dimentichiamo che, a quei tempi, si vendevano o si compravano navi di grano solo cavando dalle tasche in Piazza Banchi una manciata di ‘manitoba’ e, con una stretta di mano, l’affare era concluso quindi, più ‘nostro’ di così; ma non basta perche interpretò anche il ruolo di Giovanni Bevilacqua armatore e comandante (un tempo usava, ne sanno qualcosa i Camoglini attraverso i “carati”) nella sua indimenticabile commedia <Colpi di timone>.
BIOGRAFIA DI GILBERTO GOVI
"Si, sono genovese, anche se vanno stampando che non lo sono e se volete sincerarvene andate all'anagrafe!"
Gilberto Govi, al secolo Amerigo Armando, nasce nel popolare quartiere di Castelletto a Genova il 22 ottobre 1885, in via S. Ugo n. 13, da Anselmo, un funzionario delle Ferrovie di Modena, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny. Gli viene dato il nome Gilberto in onore di un suo zio paterno: uno scienziato a cui é tuttora dedicata una via nella città di Parma.
Frequenta le scuole insieme al fratello Amleto, ma durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno e attore dilettante Torquato inizia ad appassionarsi a divertirsi nel vederlo recitare. L'amore per quest'arte cresce sempre più, nonostante il padre desideri per lui una carriera nelle Ferrovie, e a dodici anni, nel 1897, recita già in una filodrammatica.
Il giovane Gilberto, ha la passione per il disegno e le caricature e frequenta per tre anni l'Accademia di Belle Arti, trovando poi lavoro come disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi all'età di sedici anni. Dopo alcune esibizioni in un teatro di Bolzaneto, Govi s'iscrive all'Accademia filodrammatica del teatro "Nazionale" in stradone Sant'Agostino, un ambiente che Gilberto Govi considera tetro e dove é costretto a recitare in corretto italiano, in continua lotta con le regole di dizione. Ma le sue qualità di attore sono già avvertibili, tanto che alcuni critici ne rimangono colpiti. Questo però non basta a soddisfare Govi che nel sangue ha il dialetto.
La sua massima aspirazione é quella di entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli, e quando questi ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione fu talmente entusiasta della sua figura e dei suoi personaggi che lo stimolerà a proseguire la carriera suggerendogli di fondare un vero e proprio teatro dialettale genovese, che a quei tempi non aveva una tradizione consolidata. Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, nel 1914 mette su una compagnia chiamata proprio la "Dialettale" che, dopo i primi spettacoli, riporta notevoli successi a Sampierdarena, a Sestri P. e perfino a Chiavari e Savona. Ma qui iniziano a nascere i contrasti con l'Accademia che gli pone un ultimatum: o dire addio al dialetto, o all'Accademia. Govi decide per il dialetto e si fa espellere dall'Accademia nel 1916, insieme a tutta la compagnia, dando vita ufficialmente al teatro genovese. L'attore verrà poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931.
Gilberto si innamora di Caterina Franchi in arte Rina Gajoni, creatrice applaudita della popolare macchietta della "Luigina", un'attrice del suo gruppo, che aveva conosciuto nel 1911 per la prima volta e la sposa con una cerimonia intima e riservata il 26 settembre 1917. Rina Gajoni sarà sempre al suo fianco anche come partner nella compagnia teatrale e i due rimangono insieme fino alla fine, per 49 anni.
Govi fonda quindi una nuova compagnia: la "Compagnia dialettale genovese" e, dopo il debutto al teatro Paganini, inizia ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi, con una prima sortita a Torino nel 1917. Dopo un lungo apprendistato il successo a livello nazionale arriva nel 1923 quando Govi presenta al teatro Filodrammatici di Milano la commedia "I manezzi pe' majà na figgia" di Nicolò Bacigalupo. Anche il "Corriere della Sera" ne fa una buona recensione. Il successo ottenuto però non gli monta la testa: per due anni ancora mantiene il suo impiego alternando il palcoscenico al tavolo di lavoro alle Officine. Lascia il mestiere di disegnatore solo alla fine del 1923 per dedicarsi completamente al teatro, ma gli inizi non sono facili, soprattutto per la scelta del repertorio da rappresentare, ma in breve tempo supera le difficoltà con uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, come Niccolò Bacicalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Aquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez, e tanti altri.
Tutti i testi che vengono scelti sono poi modificati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattano anticipatamente per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi sono poi tradotti dall'attore in rigoroso dialetto genovese. Inoltre la sua abilità di disegnatore gli permette di inventare le maschere da cui nascono i personaggi da portare in scena. Disegna una serie di locandine con il suo volto, tracciato dalla sua mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, ed in ogni sua ruga ed espressione, che vengono esposte nei foyer dei teatri nei quali si esibisce come una galleria di quadri che entusiasma ulteriormente gli spettatori gratificandoli di un valore aggiunto.
Il 1926 vede il teatro genovese varcare i confini nazionali con una tourné e in Argentina e Uruguay dove riscuote applausi oceanici. Là trova infatti numerosi genovesi emigrati. Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78 commedie (alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise anche su vinile) tra le quali si ricordano "Pignasecca e Pignaverde", "Colpi di timone", "Maneggi per maritare una figliola".
Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sua carriera é sempre in crescita, con varie tourné teatrali sia in Italia che all'estero. Nel 1928 recita a Roma, 1929 é a S. Rossore ospite di Vittorio Emanuele III, 1930 di nuovo all'estero a Parigi; in quegli anni Mussolini gli dona una foto con dedica come segno di sincero apprezzamento.
Nel 1942 inizia anche l'esperienza cinematografica che lo vede impegnato in quattro film il cui esito é piuttosto insoddisfacente: "Colpi di timone" (1942), diretto da Gennaro Righelli, "Che tempi!" (1947), diretto da Giorgio Bianchi, "Il diavolo in convento" (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine "Lui, lei e il nonno" (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall'armatore Achille Lauro, il suo unico film a colori. Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmano. Ha però l'occasione di lanciare futuri comici: i giovanissimi Walter Chiari e Alberto Sordi.
Il conflitto mondiale non risparmia però la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo. La guerra lo scuote profondamente e insieme alla casa l'attore vorrebbe ricostruire anche il proprio repertorio, che sente forse ormai superato da nuove proposte; in questo periodo é attanagliato da dubbi ed insicurezze, non riesce ad avere la consapevolezza che il pubblico lo gradisce ancora, nonostante il successo delle sue commedie sia sempre forte e la gente non lo abbandoni ed accorra sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città in cui recita.
Govi non fa neppure a tempo ad avere un rapporto approfondito con la televisione, nata da poco, poiché si sta ormai avviando verso la parte finale della sua carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consente, con la registrazione dal vivo di alcuni suoi spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico. Questo ha inoltre permesso di salvare dalla distruzione sei sue commedie. Salvataggio avvenuto in maniera rocambolesca negli anni Settanta grazie ad un impiegato collezionista appassionato di teatro. Le commedie sono state riproposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti nel 1979 in una trasmissione su Raitre a lui dedicata. Nell'estate del 2004 vengono ritrovate e pubblicate in DVD anche sei commedie radiofoniche inedite da lui interpretate.
Govi per gli spettatori di mezzo mondo rappresenta il vero genovese: furbo, sorridente e rude. Sulla scena é riuscito ad arricchire di umori genovesi i testi delle commedie del teatro dialettale raccontando il carattere del ligure come un coesistere di contrari: maschera e sentimento, immagine esterna e linee interiori, pubblico e privato; il ligure che sa guardare oltre l'apparenza delle cose e leggere dentro se stesso con una buona dose di humour sotto gli atteggiamenti da gente seria, anzi, per dirla con il suo amato dialetto, "stundaia".
Non mancano anche importanti riconoscimenti pubblici, ma non molti dalla sua città natale: a ricordarlo all'ombra della Lanterna rimangono i giardini "Gilberto Govi", edificati solo negli anni Ottanta nella zona storica della Foce e situati sopra il principale depuratore cittadino e la Sala Govi (ex Verdi) a Bolzaneto. I riconoscimenti principali che riceve sono: nel 1948 in onore del centenario del Risorgimento, negli anni '50 partecipa a una manifestazione benefica presso il Circo nazionale Togni a Genova, nel 1957 riceve una medaglia d'oro dal sindaco.
Nel 1960 organizza nuovamente la compagnia per l'ultima stagione della sua carriera (porta in scena la commedia "Il porto di casa mia", scritta dal poeta Sabatino Lopez: a 75 anni, capisce che é arrivato il momento di lasciare il palcoscenico e dedicarsi ad un meritato riposo, dichiarando: "Il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te"), nel 1965 il sindaco gli consegna un'altra medaglia d'oro che da un lato riporta la scritta "A Govi, artista illustre, massimo interprete del teatro dialettale genovese, la citté con gratitudine, 22 ottobre 1965".
Prima di ammalarsi fa in tempo a comparire ancora sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi Caroselli. Famoso quello del 1961 per una marca di TEA dove interpreta il simpatico personaggio di Baccere Baciccia, il portiere di un caseggiato genovese, conosciuto da tutti per la sua estrema tirchieria ma adorato dai bambini, ai quali ripete una frase rimasta celebre: "Da quell'orecchio, non ci sento; da quell'altro, così cosà...".
Il 28 aprile 1966 Gilberto Govi muore nella sua città. Ai funerali, celebrati nella centrale Chiesa di Santa Zita, affollatissima, partecipa tutta la città. Tra i presenti alla cerimonia, anche Erminio Macario, visibilmente commosso.
A cura di Carlo GATTI e Renzo BAGNASCO
Rapallo, 17 Maggio 2016
ALLEVAMENTO DI ORATE E BRANZINI NEL TIGULLIO
L’ALLEVAMENTO DI ORATE E BRANZINI NEL TIGULLIO
Un settore in forte crescita grazie all’iniziativa del “rapallino” Roberto CO’
Prima d’iniziare questa esplorazione nelle acque del Tigullio per scoprire da vicino una “coraggiosa” attività, cerchiamo di definire cos’é l’ACQUACOLTURA.
L’Acquacoltura è l’allevamento di organismi acquatici tra cui pesci, molluschi, crostacei e piante acquatiche e rappresenta un settore economico molto importante della produzione alimentare, fortemente sostenuto, anche economicamente, dall’Unione Europea. Attualmente la Liguria può contare su tre impianti off-shore, con gabbie galleggianti dislocate in mare aperto, in provincia della Spezia, Genova e Savona. Le aziende liguri hanno puntato sulla produzione di un prodotto di elevata qualità specie per orate, branzini e molluschi.
Vista dell'impianto con lo sfondo di Punta Manara. La presenza di corrente costante ed il fondale elevato favoriscono la dispersione e l'assorbimento delle sostanze organiche naturalmente rilasciate dai pesci rendendo impossibile ogni tipo di accumulo al di sotto delle gabbie; inoltre il sito è stato scelto sulla base di preliminari rilievi subacquei atti ad accertare l'assenza di eventuali preesistenti biocenosi sensibili e di interesse naturalistico (praterie di Posidonie o di Cymodocea) ed infatti lo stesso è caratterizzato da fondali fangosi argillosi di origine costiera. A conferma di quanto esposto, l'attività di maricoltura è soggetta ad un piano di controllo qualitativo delle acque e dei fondali interessati dall'installazione dell'impianto (Piano di Monitoraggio Ambientale).
I punti di campionamento (scelti sia sopra che sotto corrente), i parametri da analizzare e le metodiche da utilizzare sono stati stabiliti concordemente dall'Ufficio Mare e dall'Ufficio Valutazione Impatto Ambientale della Regione Liguria e dall'ARPAL.
Le gabbie di tipo "sommergibile" che sono affondate ad ogni mareggiata, sono del tipo usate nei mari del Nord per salvare i salmoni dal ghiaccio. All'interno di ognuna nuotano pesci con una densità di 15 chili per metro cubo d'acqua. Altrove é di tre volte tanto.
Al largo di Lavagna, nel golfo del Tigullio, tra Sestri Levante e Portofino, crescono le orate e i branzini targati AQUA, in grandi vasche in mare aperto, crescono in un ambiente incontaminato, in acque cristalline con un naturale ciclo di sviluppo ed alimentazione del tutto simile a quello dei pesci selvatici.
Ing. Roberto CO’ - Presidente AQUA S.r.l.– e gli studenti
Visita allo stabilimento nel porto di Lavagna, con gli studenti della scuola primaria. Dopo aver spiegato tutte le fasi di lavorazione a terra, dalla preparazione dei mangimi, alla manutenzione della strumentazione delle barche e degli strumenti per le immersioni. La visita presenta anche le lavorazioni del pescato, la sua classificazione, incassettamento e preparazione per il trasporto e la vendita.
Dal 2000 Roberto Cò é Presidente e Amministratore della Società AQUA S.r.l. operante nel settore dell’acquacoltura offshore.
Ci può parlare della sua Azienda?
Un po’ di storia.
"AQUA é nata nel 1999 e l'anno seguente era già operativa.
Oggi AQUA, grazie alla partecipazione del progetto Idreem (Increasing Industrial Resource Efficiency in European Mariculture) nato nel 2013, può con orgoglio certificare importanti risultati, in quanto dagli studi effettuati con quel progetto é stato ulteriormente confermato che l'impianto non ha alcun impatto ambientale.
Me la sono giocata veramente tutta scommettendo soprattutto sulla serietà della mia azienda e sul mio coraggio personale. Inizialmente ho dovuto combattere contro i pregiudizi della gente, la burocrazia delle istituzioni e abbiamo dovuto imparare a fronteggiare le mareggiate. Per ottenere certi risultati occorre essere anche un po’ testardi, ma sapevamo che i risultati sarebbero arrivati anche sottoponendoci ai particolari controlli ed analisi previsti dalle Autorità competenti italiane e straniere. Nel 2004 avevamo una produzione di 40 tonnellate l'anno, nel mondo se ne producevano oltre 40 milioni e per allevare ogni chilo di pesce se ne andavano quattro di specie selvatiche. Oggi abbiamo superato le 300 tonnellate e la produzione globale i 70 milioni, mentre il rapporto tra selvatico usato come mangime e allevato é uno a uno. I siti offshore continuano ad essere solo il 20%.
Il futuro é questo?"
"Dipende dalla sostenbilità del modello: il nostro prevede gabbie in un tratto di mare spazzato da correnti e con profondità di 40 metri".
In cosa consistono?
"Le valutazioni emerse come risultato dell’attività di monitoraggio svolta dal Distav dell’Università degli Studi di Genova, sui parametri ambientali che contribuiscono a definire lo stato ecologico delle acque nella zona dell’impianto di AQUA sono di assoluta soddisfazione. Infatti l’impianto offshore di Lavagna, tra le varie forme di Acquacoltura, risulta di sicuro la più innovativa, nonché quella maggiormente garantita dal punto di vista della salute del prodotto e della sostenibilità per una serie di aspetti quali:
1 - qualità elevata delle acque di allevamento e il mantenimento di tali condizioni grazie al forte ricambio naturale (media di 250 ricambi/giorno nella gabbie di Aqua);
2 - possibilità, grazie agli enormi volumi disponibili, di mantenere basse densità (numero di animali mc. acqua) e di consentire ampi spazi per il nuoto dei pesci;
3 - garanzia di assicurare condizioni di allevamento del tutto simili a quelle naturali;
4 - l’assenza di rischi di insorgenza di patologie e quindi l’assenza di trattamenti antibiotici o disinfettanti”.
Questa é la sintesi storica dell’azienda. Vuole aggiungere qualcosa?
“Questa è la realtà di AQUA - Lavagna) oggi. Il mondo della pesca spesso e volentieri raccoglie l’eredità di tradizioni marinare molto antiche, in cui, un tempo, l’uomo e le risorse del mare sembravano essere quasi in perfetto equilibrio, in quanto risultato di una vera e propria lotta tra uomo e natura.
AQUA è la prima società del Nord Italia a svolgere integralmente il proprio ciclo di produzione in mare aperto. L'attività è iniziata nel 2000, ed i primi prodotti sono stati disponibili sul mercato a partire dal 2002. Da subito i consumatori hanno apprezzato l'elevata qualità delle orate e dei branzini allevati seguendo i nuovi standard di produzione, che hanno avuto da sempre, quale obiettivo prioritario il raggiungimento dell'eccellenza qualitativa del prodotto offerto, tralasciando gli aspetti relativi alla massimizzazione delle rese produttive”.
Qualità e rispetto del naturale ciclo di crescita dei pesci, pare essere il vostro slogan da ormai 15 anni?
Innanzitutto dobbiamo fare un cenno sull'origine della produzione: gli avannotti.
Gli avanotti arrivano da impianti, definiti avannotterie, situati in Puglia, Sicilia e Veneto (foci del Po).
La tecnica è abbastanza complessa, si basa su riproduttori che vengono tenuti in vasche apposite, che nel periodo giusto depongono le uova immediatamente raccolte e passate in altre vasche. Successivamente avviene la trasformazione in larva e poi lo svezzamento. In tutta la fase è fondamentale l'allevamento di fito e zooplancton utilizzato nelle fase iniziali di alimentazione dalle larve. La fase riproduttiva è scientificamente la più complessa di tutto il ciclo produttivo relativo all'allevamento.
Sin dall'origine, infatti, le scelte produttive sono state impostate per garantire ai nostri clienti la massima qualità possibile, partendo dalla scelta del tipo di allevamento (offshore), del Sito di allevamento e dunque alla qualità ambientale e mantenendo tale linea guida anche nelle procedure operative (Link alle procedure di allevamento). Tutto questo, insieme al continuo aggiornamento del nostro personale e all'attento studio della biologia e delle caratteristiche dei pesci allevati, ci permettono di certificare un prodotto che si distingue per:
• Qualità organolettica: sapore e consistenza delle carni;
• Qualità nutrizionale: bilanciato rapporto tra proteine e grassi;
• Sicurezza alimentare: corretta alimentazione e assenza di contaminanti e di OGM;
• Qualità igienico sanitaria: assenza di trattamenti disinfettanti e antibiotici;
I risultati conseguiti negli anni di attività hanno premiato lo sforzo e le difficoltà affrontate dall'Azienda per offrire un prodotto qualitativamente superiore, premettendo una costante crescita della diffusione del prodotto”.
Ci può introdurre nel meccanismo produttivo?
"La produzione inizia quando gli avannotti misurano circa 3 cm. Dopo 18 mesi raggiungono il peso e le misure ideali. Orate e branzini sono allevati in gabbie circolari di elevato volume (ca. 2.500 mc), in cui è continuamente monitorata la densità della popolazione in rapporto alla taglia. Gli animali hanno così a disposizione ampio spazio per il nuoto che permette il mantenimento di bassi livelli di stress e il naturale sviluppo della morfologia dei pesci, con un corretto rapporto tra massa muscolare e grassi. L'alimentazione viene condotta utilizzando solo mangimi di elevata qualità, le cui materie prime sono garantite non OGM (Organismi Geneticamente Modificati), non sono addizionati con sostanze promotrici della crescita e sono privi di contaminanti quali PCB o diossine. Queste caratteristiche non solo vengono garantite dai produttori attraverso enti certificatori, ma sono anche fatte oggetto di verifica attraverso analisi mirate eseguite sia dall'azienda, secondo un piano di autocontrollo interno, sia dalle autorità preposte (ASL, NAS) con controlli e analisi ufficiali a campione.
I risultati conseguiti negli anni di attività hanno premiato lo sforzo e le difficoltà affrontate dall'Azienda per offrire un prodotto qualitativamente superiore, premettendo una costante crescita della diffusione del prodotto”.
Ci può illustrare, per quanto possibile, il disegno tecnico dell’impianto?
Caratteristiche dell'impianto offshore
“L'area così delimitata costituisce un rettangolo di 500 metri di lunghezza per 400 metri di larghezza. L'estensione di tale area è determinata dall'ingombro effettivo sul fondale del reticolo di ormeggio, mentre l'area occupata effettivamente dall'impianto in superficie è pari ad un rettangolo di 152 metri X 72 metri, pari ad una superficie complessiva di 10.944 metri quadri. Inoltre la superficie produttiva impegnata da ogni singola gabbia è di appena 250 mq., per un totale di 1.000 mq. L'area è stata individuata sulla base delle seguenti specifiche operative:
- Qualità ecologica/ambientale buona, essendo distante da condotte e scarichi fognari.
- Fondale compreso tra i 30 e 40 metri, ideale per operare con gabbie sommergibili.
- Distanza contenuta (entro un miglio nautico) dalla base operativa a terra al fine di facilitare il controllo e l'approdo in caso di emergenza.
L'estensione dell'area superficiale è stata determinata per garantire i seguenti aspetti:
- Distanza sufficiente tra le gabbie idonea a non ostacolare il regolare passaggio delle correnti marine al fine di evitare fenomeni di "ombra" fra una gabbia e l'altra;
- Creazione di un'area perimetrale di rispetto per i natanti da diporto che tendono ad avvicinarsi attratti dalla peculiarità dell'iniziativa e dalla possibilità di incrementare le occasioni di pesca.
La localizzazione è stata definita, nelle linee generali, dopo una serie di colloqui con i responsabili della Capitaneria di Porto di S. Margherita, sulla base delle ulteriori seguenti considerazione:
- Non interferisce con il diporto nautico e con relative organizzazioni di gare di pesca sportiva e di regate veliche;
- Non interferisce con le rotte dei servizi di trasporto passeggeri locali;
- Non interferisce con la pesca a strascico in quanto la stessa è proibita su batimetriche inferiori ai 50 metri.
- Le gabbie sono 12, disposte su due file parallele di 6 gabbie ciascuna. Lo schema della disposizione è riportato nella figura seguente.
La profondità individuata è stata ottimizzata sulla base delle seguenti considerazioni:
- Sufficiente per garantire da un lato un forte ricambio idrico su tutti i lati di ciascuna gabbia e dall'altro idonea a permettere il controllo periodico da parte dei sommozzatori nei limiti di sicurezza;
- Sufficiente a evitare i rischi di frangimento delle onde in caso di condizioni meteomarine severe; compatibile con costi di ormeggio economicamente convenienti.
- Le gabbie sono caratterizzate da una capacità utile netta di 2.500 metri cubi ciascuna, in considerazione del numero totale di 8 + 4, l'impianto ha una cubatura complessiva pari 26.000 metri cubi.
Ci avviamo verso la grande incubatrice che fa crescere il prodotto e che tecnicamente si chiama GABBIA. Quali sono le caratteristiche principali delle gabbie?
“Le gabbie individuate per la realizzazione dell'impianto sono costituite da un doppio anello galleggiante, in polietilene a cui sono collegate le reti di contenimento in nylon. (vedi foto sotto)
Un sub in fase di manutenzione di tutte le parti sommerse dell’impianto.
Lo schema della struttura della gabbia
Il diametro dell'anello delle gabbie più grandi è di 19 metri, per una circonferenza di circa 60 metri, i tubi sono realizzati in polietilene HDPE 50, con diametro di 250 mm. Ai tubi è collegato il passamano per facilitare l'accesso alla gabbia ed il sostegno delle reti laterali e della rete di copertura. Anche il passamano e i relativi giunti di accoppiamento agli anelli strutturali sono realizzati in polietilene. All'interno della struttura non è quindi presente alcun elemento metallico che potrebbe facilmente essere oggetto di fenomeni corrosivi. Inoltre la struttura di polietilene facilita notevolmente operazioni di manutenzione straordinaria delle gabbie. La gabbia è sommergibile, la variazione di quota è resa possibile da una serie di valvole che consentono di allagare i tubi in polietilene”.
Cosa ci può dire del sistema di ormeggio?
Sistema di ormeggio
“Il sistema di ormeggio è del tipo tensionato, che garantisce buone caratteristiche di tenuta, ammortizzazione delle sollecitazioni sulla struttura resistente (gabbia), e la possibilità di variare agevolmente la quota della gabbia. In particolare la struttura dell'ormeggio, vista lateralmente e con la gabbia in fase sommersa, è la seguente:
L'ormeggio sul fondo occupa un rettangolo delle seguenti dimensioni: lato minore 400 metri lato maggiore 500 metri superficie complessiva 200.000 metri quadri. L'ormeggio è del tipo reticolare, costituito da due file parallele, ognuna ospitante 6 gabbie. Il reticolo è posizionato a –6 metri rispetto alla superficie del mare, ed è tenuto in posizione rispettivamente da 16 ancore e da rispettivamente 16 boe galleggianti esterne, una per ogni linea di ormeggio e 15 interne (una per ogni vertice del reticolo).
Gli stati di sollecitazione massima previsti sono stati i seguenti (desunti dalla Stato del mare, pubblicato dall'Istituto Idrografico della Marina militare e dai dati registrati dalla Rete Ondametrica gestita dal Servizio Mareografico Nazionale della Presidenza del consiglio dei Ministri:
Altezza d'onda massima: 6,6 metri
Corrente massima: 1 nodo
Conseguentemente sono stati definiti i seguenti parametri dimensionali relativi al sistema di ormeggio: Massima spinta galleggianti di ormeggio: 4.900 n - Massimo carico di rottura reticolo di ormeggio: 21 tonnellate - Massimo carico di rottura cavi collegamento reticolo gabbia: 11 tonnellate - Peso ancora 500 kg Massimo carico tenuta ancora: 47 tonnellate”.
Cosa allevate?
Le specie allevate
“Il nostro ciclo di allevamento in mare aperto è del tutto simile alle condizioni naturali di vita dei pesci selvatici. I nostri pesci impiegano 18-22 mesi di tempo per raggiungere un peso di circa 400 gr.
L'accrescimento non forzato rispetta il metabolismo naturale dei pesci, seguendo il normale susseguirsi delle stagioni, senza stratagemmi quali il trattamento con acque calde, la somministrazione di ossigeno e di additivi per la crescita o l'alimentazione forzata.
Per questo Aqua può vantare una produzione di pesce qualitativamente superiore, garantendone, inoltre, la provenienza e quindi la sicurezza”.
Branzino
Dicentrarchus labrax (Linnaeus, 1758) sinonimo: Morone labrax (Linnaeus 1758)
Specie eurialina, di taglia medio-grande della famiglia dei moronidi, ha il corpo slanciato, con due pinne natatorie dorsali separate; presenta sull'opercolo branchiale due spine piatte. Colorazione da grigio – argentato a bluastro sul dorso, argentato sui fianchi, talvolta, la zona ventrale presenta una tonalità sul giallo, sull'angolo superiore dell'opercolo presenta una macchia nera sfumata. Può raggiungere una taglia massima di 100 cm ma sono frequenti pezzature comprese tra i 20 ed i 55 cm. Abita le acque costiere fino a 100 m di profondità, ma è più comune nelle acque poco profonde; penetra negli estuari e talvolta risale i corsi d'acqua; si aggrega in gruppi compatti per riprodursi da gennaio a marzo; i maschi raggiungono la maturità sessuale nel secondo anno (23-30 cm) e le femmine nel terzo (31- 40 cm ). Predatore vorace si nutre di piccoli pesci e di una grande varietà di invertebrati tra cui gamberetti, granchi, calamari, ecc.
Orata
Sparus aurata (Linnaeus, 1758)
Sparide dal corpo ovale, abbastanza alto e compresso, il profilo della testa è regolarmente convesso; ha occhi piccoli, guance squamose con preopercolo nudo; bocca bassa leggermente inclinata. Colorazione grigio – argento; presenta una grossa macchia nera che dall'inizio della linea laterale si spande verso la sommità dell'opercolo delimitata da una zona rossiccia nella parte inferiore dell'opercolo stesso. Taglia massima di 70 cm, comune da 20 a 50 cm Specie costiera, con habitat naturale su praterie di Posidonia o fondo sabbioso e nelle zone di risacca, i giovanili fino a 30 metri di profondità, gli adulti fino a 150 metri. Eurialina, penetra nelle acque salmastre e nelle lagune costiere. Specie sedentaria, vive solitaria o forma piccoli gruppi, con periodo riproduttivo invernale. E' ermafrodita proterandra: la maggioranza degli individui sono dapprima maschi, maturano verso il primo o il secondo anno (20-30 cm) e compiono inversione sessuale verso il secondo o terzo anno di età (33-40 cm). Non si riproduce nel Mar Nero. Carnivoro, si nutre prevalentemente di molluschi (principalmente mitili che riesce a rompere grazie alla buona dentatura), ma anche crostacei e piccoli pesci; occasionalmente erbivoro.
E’ noto che la sua Azienda punta moltissimo sulla qualità del prodotto. Ce ne può parlare?
“Le eccellenti caratteristiche del sito di allevamento n onché la scrupolosa attenzione a tutte le fasi del processo produttivo, di pesca e confezionamento permettono il raggiungimento di un altissimo standard qualitativo, difficilmente riscontrabile in pesci allevati in altre realtà. Grazie alle scelte impostate nella progettazione e a quelle perseguite nella gestione, AQUA è in grado di garantire ai propri consumatori il rispetto di una serie di parametri nutrizionali, organolettici e di sicurezza alimentare che caratterizzano il prodotto offerto. Tali parametri, definiti in maniera estremamente puntuale ed in modo molto più restrittivo dei limi di legge, sono stati fissati in un disciplinare di produzione e sono periodicamente verificati su tutti i lotti commercializzati attraverso analisi di laboratorio, certificate da laboratori esterni. Riportiamo qui di seguito alcuni parametri di qualità tra i più significativi dei nostri pesci.
• Proteine: 19.5%
• Grassi su filetto: valore medio 5%
• Antibiotici: assenti
• Contenuto in acidi grassi insaturi: 70% sul totale
Scheda Informativa - Ottobre 2015
AQUA è attiva dal 1999 e dal 2000 gestisce l’impianto di maricoltura offshore posizionato al largo della costa di Lavagna.
Attualmente l’impianto produttivo è costituito da 16 gabbie di cui 12 di diametro pari a 20 metri e 4 di diametro pari a 12 metri, queste ultime sono destinate alla prima fase di preingrasso degli avannotti.
Tra le diverse forme possibili di maricoltura quella rappresentata da AQUA, condotta in mare aperto e per semplicità definita offshore, risulta essere la più innovativa e quella di più recente adozione. Nel caso specifico, gli aspetti che depongono a favore di questo modello di maricoltura, rispetto agli altri più tradizionali condotti in laguna, in vasche a terra o in gabbie installate in siti riparati, sono:
• La qualità elevata delle acque di allevamento e il mantenimento di tali condizioni grazie al forte ricambio naturale che, in media annuale, è di 250 ricambi/giorno per gabbia.
• La possibilità, grazie agli enormi volumi disponibili, di mantenere basse densità (numero di animali / mc. di acqua) e di consentire ampi spazi per il nuoto dei pesci.
• La garanzia di assicurare condizioni ambientali e di benessere per gli animali allevati del tutto simili a quelle naturali;
• L’assenza di rischi di insorgenza di patologie e, di conseguenza, l’annullamento delle pratiche di trattamento veterinario.
Considerando che il volume complessivo disponibile per l’allevamento la densità media (rapporto tra kg di pesce e volume d’acqua disponibile) durante tutto il ciclo è inferiore ai 10 kg/mc, decisamente inferiore (di 4-5 volte) quella che si può ottenere in impianti a terra o in altri impianti in gabbia in sito riparato, con evidente benessere del pesce allevato.
Le scelte qualitative che sono state impostate nella progettazione e nella gestione dell’impianto hanno permesso alla Società di mantenere nel corso degli anni un trend tendenzialmente in crescita.
Nel seguito si riporta il dato relativo alle produzioni annue ed al fatturato.
A fine 2014 la società ha prodotto circa 290 tonnellate per un fatturato pari 2.400.000 €.
I fattori e gli strumenti che hanno consentito alla Società di crescere sono stati rispettivamente:
- Il mantenimento dell’eccellenza qualitativa che ha sempre contraddistinto la produzione e che è stato ulteriormente certificato (oltre che da Legambiente Liguria e da Slow Food) anche da un recente Studio condotto dall’Università di Genova nell’ambito di un progetto commissionato dal Ministero della Salute;
- Un elevato livello di fidelizzazione del cliente intermedio e finale
- Una capillare opera di comunicazione ed informazione alla clientela condotta grazie alla partecipazione a manifestazioni e all’organizzazione di degustazioni guidate presso i punti vendita una politica di investimenti continua nel tempo focalizzata a incrementare ed ottimizzare il ciclo produttivo, che ha visto costante e continui miglioramenti che hanno riguardato tutte le tipologie di attrezzature quali gabbie a mare, reti, imbarcazioni e sala di lavorazione a terra.
STRUTTURA OPERATIVA
La società attualmente ha il seguente organigramma:
- Un presidente ed amministratore che svolge le funzioni di pianificazione degli investimenti, rapporti commerciali, amministrazione e controllo, pianificazione a medio termine delle attività.
- - Una figura svolgente funzioni amministrative.
- - Un responsabile di produzione, Biologo marino.
- Un preposto alla sicurezza, con particolare focalizzazione agli aspetti subacquei.
- - Un responsabile per l’attività commerc.
- - Due comandanti per le imbarcazioni
- - Quattro operatori tecnici subacquei
- - Due operai di supporto per le attività marinaresche
- - Tre operai per la gestione del pescato.
- Un dipendente part-time dedicato alle attività di promozione e comunicazione
- Complessivamente operano all’interno della Società 17 persone
Le strutture destinate all’allevamento sono costituite da sedici gabbie sommergibili, cosi dimensionate:
• 12 gabbie con un diametro di 20 metri ed un’altezza della rete di 10 metri per un volume di allevamento pari a 3.000 mc , ed un totale di 36.000 mc complessivi;
• 4 gabbie con un diametro di 12 metri ed un’altezza della rete di 9 metri, per un volume di 1.000 mc, ed un totale di 4.000 mc complessivi.
Sono inoltre presenti 3 imbarcazioni, rispettivamente di 16, 9 e 5 metri, desinate a pesca e manutenzione, alimentazione e supporto sommozzatori.
La società sta attualmente investendo nella realizzazione di una nuova sede con le seguenti caratteristiche:
PIANO TERRA
Locale selezione e lavorazione pescato mq 288
Magazzino e manutenzione reti mq 300
Aree logistiche per operatori subacquei mq 70
Spogliatoi e servizi mq 30
PRIMO PIANO
Uffici scala e archivi mq 156
Deposito imballaggi mq 90
Totale area disponibile mq 934
VISITA AGLI IMPIANTI
ALBUM FOTOGRAFICO
Gli operatori subacquei stanno caricando le bombole nella sede di AQUA.
Porto di Lavagna - Il comandante Efisio alleggerisce gli ormeggi
Porto di Lavagna - L’imbarcazione da lavoro AQUA 2 vista di prora
Porto di Lavagna - L’imbarcazione aspetta il via per uscire in mare
Mentre ci accingiamo ad uscire sull’imbarcazione da lavoro AQUA 2, (nella foto) il Comandante Efisio (primo a sinistra di spalle) ci racconta: “Lunedì e mercoledì sono i giorni in cui si esce alle 08 per pescare il prodotto: una pescata di orate ed una di branzini. In coperta abbiamo preparato i contenitori più grandi per i pesci e quelli più piccoli per il ghiaccio. Se va bene, rientriamo verso le 10, se c’é mare tutto viene rallentato e si rientra intorno alle 11-12. A volte anche i pesci fanno i capricci e si rifiutano d’entrare nella rete...”.
Porto di Lavagna - Nella foto vediamo la seconda imbarcazione da lavoro AQUA 1 nell’attesa di caricare il mangime destinato alle gabbie di orate e branzini.
Porto di Lavagna - Sta piovendo. La prima “imbragata di mangime” é pronta per essere calata su AQUA 1- Questa imbarcazione esce due volte al giorno, tutti i giorni, per rifornire i pesci di mangime nelle gabbie. L'Ing. CO' ci spiega: "Ai nostri diamo farina di pesce, olio con Omega 3 e farine vegetali. Niente scarti di pollo o maiali permessi dal bio ma che peggiorano il gusto, né OGM o Antibiotici".
Statisticamente é stato rilevato che mediamente, per 100 giorni l’anno, causa il maltempo, questa operazione-rifornimento in mare aperto non può essere compiuta.
“Il danno economico - ci spiega l’Ing. Co’ - é compensato dall’alta qualità del pesce che é costretto a lottare e diventare un forte nuotatore per contrastare le forti correnti e le perturbazioni meteomarine. Altri impianti, in Italia e nel Mediterraneo, vengono prudentemente allestiti dietro isole, penisole, dighe, ostruzioni varie, se non addirittura in acque con scarsa circolazione d’acqua. Noi ci siamo presi dei grossi rischi, specialmente all’inizio della attività, ma la qualità ed il successo ottenuto sui mercati dal nostro prodotto ci ripagano di tanti sforzi e preoccupazioni cui siamo sottoposti".
Il Comandante manovra dalla coperta per staccare lo scafo dalla banchina. Sullo sfondo l’attuale sede amministrativa ed operativa di AQUA che é fornita anche di depositi e banchi di lavorazione per lo stivaggio del pesce nelle cassette destinate ai camion che poi procedono immediatamente alla consegna.
Nella fase di avvicinamento, caratterizzata da un discreto “bolezumme”, si nota il campo boe che delimita e segnala il recinto che comprende le gabbie.
Fase di attracco alla gabbia dei branzini. AQUA 2 accosta prudentemente all’impianto.
Nuovoloni neri si alternano a schiarite minacciando le operazioni.
Il prezioso lavoro dei subacquei in sinergia con quello dei marinai sta per iniziare. Riemergeranno dopo un’ora circa d’immersione. Nella prima fase controllano la regolare funzionalità della gabbia: ormeggi, cavi, catene, golfali, redance, valvole, reti ecc...
L’imbarcazione é affiancata alla gabbia. Il Comandante di AQUA 1 deve scegliere la giusta posizione d’attracco rispetto al movimento ondoso. Dalla sua esperienza dipende la SICUREZZA delle successive operazioni dei marinai che si calano fuoribordo per lavorare sulle strutture tubolari, trovandosi con le gambe tra la gabbia e il bordo dell’imbarcazione. In primo piano, un marinaio si accinge a sfilare la rete destinata ad imprigionare i pesci.
In queste belle immagini, si nota la cala della rete nell’apertura praticata tramite una cerniera che riunisce, per tutto l’impianto, la rete di copertura con quella laterale. Il varco é di circa 5-6 metri.
Nella foto si nota il galleggiante a castello (posto al centro della gabbia) che tiene sollevata la rete di copertura che impedisce, di fatto, ai pesci di scappare, specialmente nella fase d’immersione della gabbia che avviene in caso di cattivo tempo.
In questa fase d’attesa, due sub posizionano (sott’acqua) la rete gialla da pesca e la aprono tramite una cerniera. I lembi della rete vengono allargati e una volta imprigionato il pescato, richiudono la rete e i marinai iniziano a sollevare a braccia lentamente l’attrezzo fino a portare i pesci a portata del retino, come vedremo nelle prossime foto.
I branzini sono a tiro di retino.
Il retino agganciato alla gru e sollevato da Efisio, viene accompagnato dal marinaio tramite un manico d’acciaio munito di un “grilletto” che apre la parte inferiore svuotando il pescato direttamente nella cassetta in coperta.
Ecco come si presenta la prima pescata di branzini che é subito ricoperta dal ghiaccio.
L’imbarcazione AQUA 1 sta distribuendo il mangime in un’altra gabbia.
Il Comandante Efisio procede ora alla seconda pescata dedicata alle orate che pesano 400 grammi ed hanno 18 mesi di vita.
A sinistra appare evidente l’abbondanza del pescato. La foto non coglie, purtroppo, gli effetti del moto ondoso. Notare la posizione del marinaio che si “barcamena” tra le sollecitazioni dell’imbarcazione e della gabbia.
La bandiera di AQUA 2 indica il vento teso, e la foto mostra il rollio che appare ancora sotto controllo. La professionalità di questo equipaggio sarà ancora più evidente con il mare mosso che metterà a dura prova il loro coraggio, senso del dovere e l’amore per questo mestiere “duro” quanto sconosciuto.
A fine giornata le tonnellate pescate e certificate sono TRE: 600 casse vendute tra i 13 e i 15 euro al chilo (qualche euro in più di quelli allevati tradizionalmente) a ristoranti, supermercati e gruppi di acquisto solidale."
Esiste una via d’uscita, una scappatoia per salvare questi impianti quando le mareggiate da scirocco e libeccio flagellano le nostre coste?
A questa mia secca domanda, il Comandante Efisio mi indica due valvole sotto la schiuma (poco visibili nella foto sopra). “In caso di previsione di mareggiata – mi spiega – cerchiamo di uscire per tempo, sia di notte che di giorno, apriamo le valvole e l’acqua di mare allaga l’anello che circonda l’impianto. Con questa zavorra la gabbia viene abbassata ad una altezza variabile di sicurezza, a ridosso del moto ondoso superficiale e da tutte le forze che la distruggerebbero in poco tempo. Quando le condizioni meteo migliorano, disponiamo di un impianto ad aria compressa che svuota l’anello e ripristina il galleggiamento”.
ROBERTO CÒ - Biografia
Mamma Ada racconta:
“Roberto nasce il 28 luglio 1963 e io gli appendo sulla culla un subacqueo della MARES che mi avevano appena regalato. Temo di avergli dato un imprinting un po' pesante. Ha sempre amato il mare. Gli piace fare il bagno con il mare grosso, per due inverni consecutivi quando aveva 15 anni andava in barca a vela con Pietro D'Ali e più c'era scirocco, più gli piaceva, ancora adesso quando ha tempo libero si mette d'accordo con qualche amico per andare a pescare al largo con la barca”.
Ada Bottini, prof e poetessa di alto gradimento, socia di Mare Nostrum Rapallo, con pochi tratti di penna ha tracciato l’identikit di suo figlio Robi. A noi non resta che immaginarlo come un figlio del nostro golfo, “come eravamo... anche noi” e come sono quasi tutti i figli dei “rapallini marinari doc”: pescatori, nuotatori, pallanuotisti, velisti, vogatori, skippers, marinai, ufficiali, comandanti, piloti, impiegati o imprenditori impegnati in attività marine, marinare e marittime. Già, siamo tutti figli di questo splendido litorale, tuttavia, leggendo l’excursus studentesco, lavorativo ed imprenditoriale di Roberto CO', ci sembra di capire che un figlio “normale” non lo sia mai stato. Massimi voti fino alla laurea in Ingegneria Meccanica, e poi ancora tra i primi al corso Allievi Ufficiali di Complemento presso l’Accademia Navale di Livorno. Roberto Co’ é per noi un self-made man che fa onore al nostro Paese per il suo coraggio, iniziativa e capacità manageriali. Roberto ha già vinto parecchie sfide, tante lo attendono ancora, ma noi siamo sicuri che presto raggiungerà il vertice del settore a livello mondiale.
Buona Navigazione Robi!!!
Roberto CO’ nasce a Rapallo il 28/07/1963 da Ada Bottini, maestra elementare e Angelo CO' artigiano vetraio.
Frequenta le scuole elementari e le medie inferiori a Rapallo; nel periodo estivo, a partire dagli 11 anni, comincia anche a frequentare la bottega vetraia di famiglia (papà e 2 zii).
A Recco segue il Liceo scientifico dove prende il diploma di maturità nel 1982, con il punteggio di 53/60. Sempre a Recco conosce la futura moglie che sposerà nel 1991 e dalla quale avrà due figli, Luca nato nel 1993 e Laura nel 1996.
Si iscrive successivamente all’Università di Genova presso la facoltà di ingegneria meccanica dove si laureerà nel 1988 con 110 e lode.
Terminati i corsi universitari, partecipa al concorso per l’iscrizione presso l’Accademia navale di Livorno, dove viene ammesso a svolgere 3 mesi di corso allievo ufficiale; successivamente svolge 12 mesi di servizio in qualità di Guardiamarina presso l’ufficio tecnico Navalgenarmi di Genova.
La scarsa predisposizione a lasciare la Liguria ed il mare lo portano a lavorare a Genova, presso aziende operanti nel settore dell’automazione e dell’informatizzazione.
Dal 1993 opera presso il Polo Tecnologico Marino Marittimo, società consortile con finalità di ricerca e sviluppo nelle tecnologie legate all’ambito marino e marittimo. La società nel frattempo opera per il completamento dell’Acquario di Genova e nella successiva gestione dello stesso fino al 1996. In questo periodo diventa responsabile delle attività di ricerca della Società, attività sviluppate a fianco della gestione dell’Acquario e riguardanti il settore del monitoraggio ambientale e dell’acquacoltura. Predispone progetti di ricerca applicata coinvolgendo istituzioni pubbliche (università, CNR) e privati, progetti che vengono finanziati dalla Regione Liguria, dall’allora Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologia (MURST) e dall’Unione Europea.
Purtroppo l’estromissione della Società dalla gestione dell’Acquario privano la stessa della prima fonte di ricavo e rendono di fatto impossibile lo svolgimento dei progetti di ricerca e conducono lentamente la Società al fallimento nel 1999.
Durante il difficile periodo prefallimentare attraversato dalla Società, collabora anche con altri Enti tra cui il più importante è senza dubbio l’INFM (Istituto nazionale di Fisica della Materia).
Nel periodo trascorso da dipendente matura competenze specifiche nei settori dell’ambiente marino e dell’Acquacoltura, nonché nella gestione di progetti di ricerca e nella ricerca di fonti di finanziamento.
Il carattere indipendente, unito al sostegno morale della moglie, lo convincono ad una svolta significativa, decide infatti di avviare un’attività in proprio nel settore dell’Acquacoltura, in cui intravede opportunità di sviluppo, a scapito di altre opportunità lavorative da dipendente.
Nel 1999 fonda la Società AQUA con oggetto sociale la realizzazione e gestione di un impianto di Acquacoltura, con sede a Lavagna, insieme all’amico commercialista Riccardo Repetto.
Dal 1990 ad oggi si occupa della gestione della Società, che nonostante non poche avversità iniziali si sviluppa e si consolida fino alla data odierna.
Ringrazio vivamente l’Ing. CO’ per avermi invitato a visitare all’impianto AQUA - Lavagna che ho potuto così documentare per i lettori di MARE NOSTRUM e non solo...
APPROFONDIMENTO scientifico sugli AVANNOTTI
Riportiamo uno studio della Agraria.org
Orata Sparus aurata L. Atlante delle specie allevate – Specie d’acqua salata.
Classificazione
Classe: Actinopterygii Ordine: Perciformes Famiglia: Sparidae Genere: Sparus Specie: S. aurata L.
Caratteristiche morfologiche
L’orata (Sparus aurata) appartiene alla famiglia degli Sparidi, ha un corpo arrotondato e compresso lateralmente con un peduncolo caudale sottile. Il profilo della testa è regolarmente ricurvo ed in mezzo agli occhi, che sono piccoli, presenta una fascia nera ed una dorata. Nella parte anteriore dell’apparato boccale possiede da 4 a 6 denti simili ai canini e posteriormente denti progressivamente meno affilati, fino a quelli di tipo molariforme. Il dorso dell’orata è di color grigio-azzurro ed i fianchi sono argentati e percorsi da linee longitudinali grigiastre. L’opercolo branchiale ha il margine rossastro, mentre la pinna dorsale presenta sfumature azzurrognole e quella caudale grigio-verdastre.
Biologia ed habitat
L’orata è una specie che riesce a vivere in acque caratterizzate da diversi regimi di temperature, purché quest’ultima non sia inferiore ai 4 °C. Questo sparide infatti è presente lungo le coste dell’Atlantico, dal Senegal all’Inghilterra, presso tutte le coste del Mediterraneo e più raramente nel Mar Nero. L’orata, pur essendo meno eurialina della spigola, al pari di quest’ultima riesce a vivere in acque con un ampio range di salinità, dall’ambiente marino alle lagune costiere, dove penetra soprattutto nella stagione estiva. Le orate nascono da ottobre a dicembre in alto mare e le forme giovanili, in primavera, tendono a spostarsi verso le acque vicine alla costa, dove c’è più abbondanza di cibo. Verso la fine dell’autunno le orate tornano verso il mare aperto dove generalmente scelgono come habitat i fondali rocciosi o caratterizzati dalla presenza di praterie di Posidonia oceanica. I pesci giovani tendono a stabilirsi in acque poco profonde mentre gli adulti possono vivere anche in acque più profonde, fino ad un massimo di 50 m. L’orata si ciba prevalentemente di molluschi ed organismi bentonici ed è una specie ermafrodita proterandra. I nuovi nati sono tutti maschi e sopra una certa dimensione, a causa dell’inversione sessuale, diventano femmine. La maturità sessuale viene raggiunta a 2 anni (20-30 cm) dai maschi, mentre per quanto riguarda le femmine la maturazione delle gonadi avviene a 2-3 anni (33-40 cm). Le femmine possono deporre da 20.000 ad 80.000 uova al giorno, per un periodo di durata superiore ai 4 mesi. In condizioni di cattività l’inversione sessuale viene condizionata dalle condizioni sociali e da fattori ormonali.
Tecniche di allevamento
In passato l’orata veniva allevata soltanto in maniera estensiva all’interno di lagune o bacini di acqua salata, mentre negli anni ’80 si svilupparono le prime forme di allevamento intensivo. La “vallicoltura” è una tipologia di allevamento estensivo praticata nelle lagune dell’Alto Adriatico, che si basa sulla cattura delle forme giovanili che migrano dal mare alle lagune. Le tecniche per portare avanti la fase riproduttiva dell’orata in cattività vennero acquisite in Italia nel 1981-1982 e verso la fine degli anni ’80, in Spagna, Italia e Grecia, iniziò la produzione di avannotti su larga scala. Questa specie da subito mostrò un’eccellente adattabilità alle condizioni di allevamento intensivo, sia all’interno delle vasche a terra che nelle gabbie a mare.
Produzione degli avannotti
Nelle avannotterie i riproduttori vengono sottoposti a regimi controllati di fotoperiodo e termoperiodo, in modo da per poter disporre di gameti maturi per il maggior numero di mesi l’anno. L’allevamento larvale può essere effettuato su piccola scala, utilizzando volumi < 10 m3 o su larga scala, con volumetrie di circa 200 m3. Nei sistemi su piccola scala è possibile controllare in modo accurato i parametri ambientali e questo permette di adottare densità elevate (150-250 avannotti/l). La tecnica su larga scala, viene portata avanti adottando densità inferiori (max 10 avannotti/l) e simulando le condizioni presenti nell’ecosistema naturale delle orate. Quest’ultima tipologia di allevamento larvale consente di produrre avannotti che dal punto di vista qualitativo sono superiori rispetto a quelli allevati ad elevate densità. Le larve di orata riassorbono il sacco vitellino ( alimentazione endogena) dopo 3-4 giorni dalla schiusa e vengono poi alimentate con organismi vivi, inizialmente rotiferi ad esempio Branchionus plicatilis. Successivamente la dieta viene integrata con nauplii di Artemia salina, fino a 25-35 giorni dalla schiusa, periodo nel quale avviene la metamorfosi. La somministrazione dell’ alimento artificiale che contiene un quantitativo di proteina pari al il 50-60%, viene effettuata quando i giovanili raggiungono 5-10 grammi di peso.
Nursery
I giovanili di circa 45 giorni di età vengono trasferiti all’interno di vasche più grandi, di forma rettangolare o circolare (10-25 m3) nelle quali avviene la fase di svezzamento. Inizialmente la densità è di 10-20 avannotti/l e la temperatura dell’acqua è di 18 °C. Nelle fasi finali, quando i giovanili raggiungono il peso di 2-3 grammi, la densità può arrivare anche a 20 Kg/m3. L’alimento viene somministrato 2 volte al giorno, in genere alle 8.00 a.m. ed alle 20.00 p.m., utilizzando progressivamente percentuali superiori di mangime artificiale.
Tecniche di ingrasso - Allevamento estensivo
L’orata, grazie alla sua elevata capacità di adattamento alle diverse situazioni ambientali ed alla varietà del suo regime alimentare, viene ancora oggi allevata in monocolture estensive e semiestensive in alcuni ambienti umidi costieri. L’allevamento tradizionale si basa sul reclutamento dei giovanili, che vengono catturati durante la migrazione dal mare alla laguna attraverso un sistema di trappole. Gradualmente la tendenza si è spostata verso l’introduzione di avannotti pescati ed infine, a partire dalla metà degli anni ’90, la metodologia che va per la maggiore è quella dell’”impesciamento”. Questa tipologia di semina viene effettuata con materiale proveniente dalle avannotterie, utilizzabile anche per l’allevamento semintensivo. La produttività dell’allevamento può oscillare da 15-30 kg/ha/anno e la taglia commerciale del pesce (300-350 g) viene raggiunta in 12-24 mesi, a seconda dell’area di riferimento, del seme utilizzato, della capacità trofica del sito e della densità di semina.
Tecniche di ingrasso - Allevamento semintensivo
Questo tipo di allevamento generalmente ha luogo all’interno delle lagune, in alcune zone che vengono delimitate con delle reti. In questi impianti, il controllo dei parametri ambientali da parte dell’uomo è superiore rispetto a quello relativo all’allevamento estensivo. I giovanili introdotti, per accorciare i tempi di allevamento e ridurre la mortalità, a volte vengono precedentemente sottoposti alla fase di pre-ingrasso negli impianti di tipo intensivo. Negli allevamenti semintensivi è frequente la pratica di fertilizzazione delle acque di allevamento, che ha lo scopo di incrementare la disponibilità di nutrimento nell’ambiente naturale. In alcuni casi il cibo naturalmente presente viene integrato con la somministrazione di un certo quantitativo di mangime artificiale ed a volte per incrementare la capacità produttiva dell’area, viene aggiunto anche ossigeno in acqua. Le densità di allevamento normalmente adottate nei sistemi semintensivi si aggirano attorno ad 1kg/m3 mentre le produzioni possono oscillare da 500 a 2400 kg/Ha/ anno, a seconda delle condizioni ambientali, delle dimensioni dei giovanili introdotti e delle disponibilità di nutrimento.
Tecniche di ingrasso - Allevamento intensivo
L’allevamento intensivo rappresenta oggi la tecnologia produttiva più utilizzata per questa specie, sia nell’area Mediterranea che in Italia. Le orate generalmente vengono allevate in vasche di calcestruzzo oppure in vasche scavate a terra ed impermeabilizzate con teli di PVC. Queste strutture hanno una volumetria che comunemente va da 200 a 3000 m3 a seconda delle dimensioni del pesce e delle scelte aziendali. Le densità di allevamento ottimali oscillano da 15 a 45 kg/m3 e per assicurare la sopravvivenza degli animali è necessario immettere ossigeno liquido nelle acque di allevamento. L’orata allevata alle temperature ottimali (18-26°C) raggiunge i 400 g in 10- 12 mesi, ma si adatta bene anche a temperature fino a 32-34°C, mentre tollera poco le basse temperature e non resiste a temperature inferiori di 4°C. Negli ultimi anni si sta sviluppando molto l’allevamento all’interno di gabbie installate in mare. Queste strutture possono essere di varie tipologie ( galleggianti, semisommerse e sommerse) e di varie dimensioni, a seconda del luogo nel quale vengono posizionate. Nel caso che il sito in questione sia ben riparato dalle mareggiate violente si possono utilizzare anche strutture semplici e di modeste dimensioni, mentre laddove le condizioni del mare sono più complicate, diventa necessario utilizzare gabbie voluminose e più sofisticate. Le densità impiegate in questo tipo di impianti sono comprese tra 10 e 15 m3 . Nel caso il materiale di partenza sia costituito da giovanili di 10 g di peso, la taglia commerciale (350-400 g), viene raggiunta in circa un anno, mentre nel caso che i giovanili abbiano un peso di 5 g, per ottenere la stessa categoria di pezzatura, sono necessari 16 mesi. L’allevamento in gabbia, rispetto a quello tradizionale a terra permette un notevole risparmio energetico, in quanto non è necessario l’utilizzo di pompe per l’approvvigionamento dell’acqua né di filtri per il trattamento delle acque reflue. D’altrocanto però la crescita degli esemplari è un po’ più lenta rispetto a quella relativa all’allevamento in vasche, in quanto la temperatura dell’acqua non può essere modificata. L’alimentazione delle orate viene effettuata tramite l’utilizzo di distributori automatici di mangime oppure a mano, soprattutto nel caso degli animali più grandi.
Produzioni e mercato
L’orata è la specie che viene più comunemente allevata nell’area Mediterranea. La Grecia è il Paese europeo che detiene il primo posto per quanto riguarda le quantità prodotte. La produzione di orata in Grecia è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e le quantità prodotte sono passate dal valore di 38.587 tonnellate riferito all’anno 2000 al valore di 50.023 nel 2007. La produzione dell’anno 2007, in termini monetari fece riscontrare un valore totale di 269.454.000 US$. L’Italia è lo Stato europeo che evidenzia il più elevato quantitativo di prodotto importato ed è il mercato di riferimento anche per gli altri Paesi produttori. Le produzioni di orata in Italia, nonostante i livelli produttivi siano inferiori rispetto a quelli greci, negli ultimi anni hanno messo in evidenza un notevole incremento. La quantità totale di prodotto, infatti nell’anno 2000 risultò pari a 6.000 tonnellate, mentre nel 2007 raggiunse il quantitativo di 8.184. tonnellate, per un valore monetario di 78.297.000 US$. Sul territorio nazionale le regioni che dove si registrano le maggiori produzioni di orata sono la Toscana, la Puglia e la Sicilia.
Fonti bibliografiche: - Cataudella S. Bronzi P. (2001) - ACQUACOLTURA RESPONSABILE Verso le produzioni acquatiche del terzo millennio. Le specie allevate. Specie eurialine.
Carlo GATTI
Rapallo, Sabato 17 ottobre 2015
GIONA
GIONA
Giona non voleva
non voleva andare Giona
non in Oriente
non dove gli aveva detto Dio.
Non a Ninive
quel covo di depravati.
Non era suo compito
la salvezza di quei peccatori.
No, no e no
chi sono io
non un profeta, non un giusto
chi mi ascolta?
non ho voce potente
non ho fede invadente
Quel pizzico che mi resta
serve alla mia salvezza.
Dio ti sei sbagliato
non sono all’altezza.
Così Giona scelse l’0ccidente
come molti, troppi
avrebbero fatto dopo di lui.
Il mare diverrà torbido di dolore.
Dopo.
Ora no
Solo Giona è sulla rotta sbagliata.
Ma anche allora
il mare si alterò
la ciurma si allarmò.
Giona dormì.
finché non fu scosso
dalle domande dei marinai
che, credenti o no,
nelle tempeste pregano.
Quando Dio sceglie
non molla.
Giona lo capì.
prese la sua sacca e disse:
“Ho peccato contro il mio Dio
buttatemi a mare e sarete salvi.”
Così fecero e Giona fu inghiottito
da una balena.
Fu buio, fu silenzio.
Per tre giorni e tre notti
Giona ascoltò se stesso
E fu pronto.
La balena lo spiaggiò
E lui si incamminò.
Non convinto, ma convincente
annunciò per le strade di Ninive
pentimento e conversione.
Patì la sete, il caldo, la fatica
Dagli schiavi al re
tutti lo ascoltarono.
Dio ebbe pietà
di quel popolo penitente
e perdonò i loro inconsapevoli peccati.
Giona non gradì
“Lo sapevo, lo sapevo dall’inizio
che li avresti perdonati.
Misericordioso con loro
esigente e sordo con me.
Ora voglio solo morire.
solo la morte mi darà sollievo.”
Dio fece crescere allora
una pianta di ricino
che ombreggiò Giona
concedendogli sollievo.
La speranza non è certezza
il ricino seccò
e Giona riprese a lamentarsi
a invocare la morte.
E’ il tempo della pietà
pietà per il ricino
pietà per l’umanità
Giona uomo moderno
ha pietà solo per sé stesso.
Un po’ di storia....
Durante il regno di Geroboamo II, Giona profetizza un periodo di stabilità politica per le dieci tribù che costituiscono il regno del Nord (2Re 14:25). In questo stesso periodo, Ninive, capitale dell’Assiria, è al massimo della sua potenza e i suoi re nutrono mire espansionistiche sui territori di Israele e di Giuda. La prospettiva di essere conquistati dagli Assiri terrorizzava i popoli di quella regione.
Il profeta Giona ricevette un preciso ordine dal Signore: andare a Ninive, la capitale dell’Assiria e predicare contro la sua malvagità, offrendo ai Niniviti la possibilità di riconciliarsi con Dio. Ma Giona non voleva andare a Ninive, né gli sembrava giusto che a quei barbari Dio potesse far grazia nel caso in cui si fossero pentiti: così decise di fuggire, spingendosi verso i più lontani confini del mondo allora conosciuto. Ma non si può sfuggire a Dio. Il Signore scatenò una tempesta impetuosa e, mentre invocavano l’aiuto dei loro dei, i marinai tirarono a sorte per capire a causa di chi capitava quella disgrazia. La sorte cadde su Giona ed egli spiegò che era in fuga per non eseguire un ordine del suo Dio. Egli stesso suggerì all'equipaggio della nave di buttarlo in mare, era convinto che in tal modo la tempesta si sarebbe placata. Dopo qualche esitazione, i marinai fecero come Giona aveva loro suggerito. La tempesta si placò e il profeta fu inghiottito da un grosso pesce, nel cui ventre egli rimase per tre giorni e tre notti. Pregò con fervore e Dio lo esaudì ordinando al pesce di vomitarlo su una spiaggia. Dopo quegli avvenimenti, il Signore parlò ancora a Giona e questa volta il profeta ubbidì. Ninive era così estesa che ci vollero tre giorni per percorrerla, e in quei tre giorni Giona predicò un forte messaggio che invitava gli abitanti ad avvicinarsi a Dio e a convertirsi. Colpiti dal messaggio, i Niniviti si pentirono dei loro peccati. Allora il Signore, nella sua misericordia, ebbe pietà di loro e decise di non punirli. Giona però ne fu irritato: non riteneva giusto che fosse concessa una opportunità di redenzione ad un popolo del genere, che comunque avrebbe continuato ad essere una minaccia per il popolo di Israele. La cosa più logica sarebbe stata che Dio li sterminasse e salvaguardasse il suo popolo. Eppure Dio ebbe compassione di quella popolazione, dimostrando a Giona che il suo amore è riservato a tutti gli uomini ed Egli ascolta chiunque si rivolga a lui con pentimento.
Romani Giuseppe, Marina in tempesta con Giona inghiottito dalla balena
Giona viene risputato dalla balena per ordine di Dio e lasciato sotto un albero di zucche.
Gesù paragona l'episodio perfino alla sua stessa morte e risurrezione, raffigurandosi con lui: "...perché, come Giona rimase dentro al grosso pesce tre giorni e tre notti, così io, il Messia, resterò sepolto nel cuore della terra tre giorni e tre notti. Nel Giorno del giudizio gli abitanti di Ninive si leveranno contro questo paese, e lo condanneranno, perché quando Giona predicò, essi si pentirono e, lasciata la cattiva strada, si convertirono a Dio. Eppure ora qualcuno ben più grande di Giona è qui" (Matteo 12:40-41).
ADA BOTTINI
4 Maggio 2016
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I REMI DELLA "SUPERBA" PROVENIVANO DALLA VALD'AVETO
I REMI DELLA “SUPERBA”
PROVENIVANO DAI FAGGETI DELLA VAL D’AVETO
Lago delle Lame (dal latino lamis, palude)
Tre generazioni a passeggio intorno al Lago delle Lame
LAGO DELLE LAME
E’ situato a poco più di 1000 mt sul livello del mare alle pendici del Monte Aiona nel Parco Naturale Regionale dell’Aveto. E’ uno dei pochi laghi di origine glaciale assieme al vicino gruppo dei Laghi delle Agoraie, nessun torrente l’alimenta ma solo numerose sorgenti aperte su un fondale di circa 5 metri.
Si tratta di una zona umida di notevole pregio e liberamente fruibile dai visitatori: da qui partono diversi itinerari a piedi con livelli di difficoltà differenziati.
Il lago è raggiungibile con l’autovettura attraverso una stradina tortuosa che si imbocca subito dopo il paesino di Magnasco. Nelle vicinanze del Lago delle Lame esistono i ruderi dell’antico hospitale di S. Bartolomeo delle Lame, già citato nel 1352 come "... hospitale S. Bartolomei in Lamis Vallis Avanti".
Il paesaggio suggestivo immerso in una foresta di abeti e faggi ne ha fattol’ambientazione ideale per il Celtic Festival che si è svolto per la 18^ volta nel luglio del 2015 offrendo al folto pubblico di appassionati stage interattivi per grandi e piccini, concerti nel bosco e sul palco centrale, accompagnati da birre artigianali e cibi naturali prodotti nella stessa Val D'Aveto.
Passato l'abitato di Magnasco si incontra il bivio che conduce alla foresta delle Lame ove si trova il lago omonimo, minuscolo gioiello verde incastonato fra gli abeti e una morena d’epoca glaciale. Il ristorante albergo “Lago delle Lame” domina da un piccolo poggio le increspature verde oro formatesi grazie alla brezza che si leva leggera. Quando si fa sera le trote deliziano gli astanti con plastici voli sopra il pelo dell'acqua alla ricerca d’insetti che danzano ondivaghi.
Nei pressi del Lago si dipartono i sentieri che conducono all'interno del Parco dell'Aveto, una salubre passeggiata fra gli abeti e le faggete del comprensorio ritemprano la mente e lo spirito. Leprotti, daini, cinghiali e talvolta lupi in transito - come schegge che traversano e sollecitano il campo visivo per frazioni di attimo - popolano paesaggi da fiaba, il canto degli uccelli accompagna come melodia altalenante e melanconica lo scorrere del tempo...
Più oltre salendo verso il monte Aiona si trova la "Riserva Naturale orientata delle Agoraie" nel cui comprensorio vi son alcuni laghi, il più famoso dei quali è il "Lago degli Abeti". Il "Lago degli Abeti" deve il suo nome a dei tronchi d'abete bianco millenari che si trovano adagiati sul fondo. Gli altri laghi sono il "Lago di Mezzo" e il "Lago di fondo".
Presso il piccolo ma tecnologico Museo del Lago, ci siamo imbattuti in alcuni pannelli davvero interessanti per la nostra Storia Marinara di Liguria che ora vi proponiamo:
La poppa della Galea (Museo Galata Genova)
La prua della Galea (Museo Galata Genova)
La galea genovese del ‘600 che il Galata Museo del Mare (Genova) ha ricostruito fedelmente a grandezza naturale.
L’armeria della Galea
Posto di voga della Galea
La foto dà la reale misura del peso dei remi. Notare la particolare impugnatura.
Veduta d’insieme di un modello di Galea
Ecco le tre fasi della costruzione di un remo. Il prodotto finito veniva appeso al muro su tre staffe. Notare a sinistra in alto l’impugnatura dei remi.
Un ringraziamento particolare lo rivolgiamo al Comune di Rezoaglio dal cui sito abbiamo attinto una sorprendente pagina di storia per la delizia dei nostri affezionati lettori di argomenti marinari.
Per maggiori informazioni sull'evento consultare i siti: www.aveto-ts.it e www.valdaveto.net
Scipione D’ESTE-Carlo GATTI
Rapallo, 17 Settembre 2015
IL MARE E L'UOMO
IL MARE E L’UOMO
Non posso cambiare la direzione del vento ma posso sistemare le vele in modo da poter raggiungere la mia destinazione.
Tanto, tanto tempo fa, quando tu non eri ancora nato, quando ancora nessun uomo, nessuna donna erano ancora nati, il mondo, era grande, fresco, pulito.
C’erano il Sole e la Luna che si davano il cambio per illuminare quello spettacolo tutto nuovo e le stelle curiose che adocchiavano da lontano.
Il mare poi, oh Dio, cos’era il mare! Immenso, colorato con tutti i colori dell’arcobaleno più l’oro e l’argento oppure trasparente ed anche poco abitato e questo era il guaio. Il mare si sentiva tanto bello e gli dispiaceva che non ci fosse nessuno ad ammirarlo.; così un giorno chiamò Dio con il vocione possente delle tempeste e gli disse: ”Signore, Tu mi hai creato forte, possente, magnifico. Hai messo in me le prime forme di vita, ma questi esseri che abitano nel mio grembo neanche si accorgono delle mie doti, pensano solo a mangiare e a riprodursi. Crea un essere diverso che sia capace di ammirarmi”
Il Signore fece il sordo a quella proposta un po’ prepotente e neanche gli rispose.
Passarono ancora tanti anni. Il mare si sentiva sempre più solo e poco valorizzato, si sentiva depresso e triste, non aveva neanche più voglia di imbizzarirsi e di scagliarsi contro gli scogli tutti nuovi che aveva incominciato a rompere con le sue ondate gigantesche. Un giorno, mentre era calmo, calmo, parlò di nuovo al Signore con il sussurro dell’onda sulla spiaggia.
Signore, Dio creatore di tutte le cose, io ho bisogno di qualcuno che mi parli, che giochi con me, che si diverta tra le mie onde. Ti prego, Signore, crea un essere intelligente, che sappia di essere vivo e apprezzi la Tua creazione.”
E il Signore così gli rispose: “Oh mare brontolone e incontentabile, perché vuoi che il mondo sia abitato da esseri diversi dagli animali e dalle piante? Questi non ti fanno alcun male, ma un essere diverso potrebbe avere il desiderio di diventare il padrone di tutto, di servirsi di te per i suoi comodi e di danneggiarti..”
“Può essere Signore, ma voglio tentare lo stesso, la solitudine è troppo brutta!”
Così Dio creò l’uomo.
Chissà se il mare si è pentito di quell’antica richiesta….
ADA BOTTINI
Rapallo, 3 Maggio 2016
IL CASTELLO DI RAPALLO, UN UNICUM???
IL CASTELLO DI RAPALLO
un UNICUM???
Per noi studenti degli Anni ’50 prendere la Messa di mezzogiorno in parrocchia era un’abitudine. Si entrava da una porta laterale, regolarmente in ritardo, e ci si riparava dietro il coro tra pochi intimi e Pippo il sagrestano. La funzione durava solo mezz’ora, e poco prima della Benedizione sgusciavamo via verso l’uscita. La mattinata si concludeva con due “bordi” in passeggiata prima del pranzo domenicale. Il tema della domenica era quindi la SS.Messa, ma il vero problema era un altro e sempre lo stesso: svegliarsi in tempo! Nostro padre Amedeo, da musicofilo accanito, possedeva uno strumento molto efficace, verso le 11.00 faceva esplodere la villetta con la 9° di Beethoven, oppure con certi rumorosi concerti pianistici di Sergei Prokofiev, ma se il risultato era scarso, allora mandava in onda la Cavalcata delle Walkirie.
Nel corso degli anni diventammo tutti musicofili non solo per passione, ma perché eravamo sempre in ritardo...
Quel periodo spensierato lasciò delle tracce indelebili in ognuno di noi fratelli e relative famiglie, uno di questi ricordi ci portò, molti anni dopo, a visitare la terra dei Nibelunghi in ricordo di Amedeo. C’imbarcammo su un lussuoso battello fluviale a Strasburgo, e per tre giorni navigammo sul Reno verso Koblenz facendo poi ritorno nella capitale d’Europa con gli occhi pieni di castelli, fortezze e favole da raccontare ai figli e nipoti.
La mappa dei castelli nella Valle del Reno
Nella parte fra Rüdesheim e Coblenza (65 km), il fiume entra in una valle più stretta, nota come Gola del Reno, famosa per essere la più suggestiva arteria fluviale della Germania. Bellezza e ricchezza culturale motivarono nel 2002 il suo inserimento nel patrimonio mondiale dell’UNESCO. Questo tratto del fiume è noto per i tanti castelli e manieri che, nel medioevo, erano spesso in guerra tra loro per il controllo del fiume. Circa 40 di queste splendide fortezze si possono ancora visitare. La navigazione si snoda verso Nord facendo apparire ad ogni ansa del fiume paesaggi mozzafiato che parlano di miti, di leggende e profumano di vigneti e vini doc. Su questo sinuoso nastro azzurro, “L’Industria Germanica” ha lasciato il posto alla spiritualità nazionale. Tra le rocce a picco riecheggiano ancora le saghe dei Nibelunghi e le parole del grande scrittore Goethe che amava visitare questi luoghi.
Se le fortezze potessero parlare...
Qui rivivono i gnomi di Colonia, le gesta di Sigfrido sul monte Drachenfels. Bingen ospita la "Torre dei topi", Coblenza “l'uomo dallo sguardo truce sotto l'orologio", Braubach “la leggenda dietro il nome della fortezza Marksburg”. Una delle saghe più famose al mondo è quella dell'affascinante Lorelei, con la famosa roccia a picco sul Reno vicino a St. Goarshausen che, risalendo il fiume incontriamo sulla riva destra.
Nella valle della Lorelei
La Lorelei, dipinto di Emil Krupa-Krupinski (1899)
A destra la rupe della Lorelei
Al centro la rupe della Lorelai
La Lorelei è una roccia in ardesia che si trova nella valle medio-superiore del Reno presso St. Goarshausen e che si innalza fino a 132 metri sul fiume. La bellissima sirena è il simbolo del Reno romantico; la leggenda racconta che mentre cantava una canzone pettinava i suoi lunghi capelli biondi distraendo i marinai di passaggio che erano così rapiti a morte dai gorghi del fiume. Questa leggenda ispirò molti poeti; la più famosa poesia sulla Lorelei è quella di Heinrich Heine. Dalla cima della Lorelei, si gode una vista fantastica sull’intera Valle del Reno. La leggenda di Lorelei, come quella nostrana di Scilly e Cariddi, nasce dalle difficoltà reali che i naviganti incontrano sulla propria rotta. Questa ansa del fiume, di soli 113 metri di larghezza, per una profondità di 25 metri, segna la minima larghezza del fiume nel suo tragitto di 1327 Km, tra la Svizzera e il Mare del Nord. Questo imbuto ricurvo dà vita a correnti e controcorrenti che rendono arduo il governo di un’imbarcazione non proprio moderna.
Richard Wagner ebbe il merito letterario e musicale di riscrivere, tra il 1848 e il 1874 la tetralogia: L'anello dei Nibelunghi, in cui si fondono le saghe islandesi e scandinave. Quest'opera immane nasce nel clima del '48: il ribelle Sigfrido che spezza la lancia di Wotan padre degli Dei, accende simbolicamente la speranza di un cambiamento politico radicale. Lo scrittore irlandese George Bernard Shaw vide in Siegfried la trasposizione artistica del rivoluzionario anarchico russo Bakunin.
Il Castello di Reichenstein
La guida del gruppo, salita con un microfono volante su uno zatterino di salvataggio, richiama l’attenzione e spiega:
“Il Castello di Reichenstein che vedete sulla nostra sinistra, é stato costruito intorno al 1100 per proteggere il villaggio sottostante di Trechtingshausen dalle invasioni, ed è uno dei più antichi della Valle del Reno. I suoi proprietari erano conosciuti come “Baroni della truffa” perchè erano diventati molto ricchi derubando i mercanti di passaggio sul fiume maltrattandoli con violenza”.
La guida prosegue con la leggenda del fantasma. “Si dice che di notte un uomo “senza testa” si aggiri minaccioso nei dintorni del castello. Si tratterebbe dello spirito inquieto di Dietrich von Hohenfels, signore avido e violento, condannato nel 1282 da re Rudolf von Habsburg alla decapitazione insieme ai nove figli. Il sovrano disse che avrebbe salvato i giovani solo se, a testa mozzata, il padre li avesse raggiunti camminando. “Dietrich senza testa, prima di cadere superò tutti i figli messi in fila e il re dovette graziarli.”
Mentre la guida continua a raccontare di saloni, armature, biblioteche, trofei di caccia ecc...lo sguardo mi cade basito su un piccolo castello situato poco distante da quell’enorme costruzione del 1000. Mentre ci avviciniamo inforco il binocolo e, forse per l’emozione, il “fratello minore del Castello di Rapallo”, mi appare ora come la sua fotocopia. Interrompo l’erudita spiegazione della guida e le mostro la straordinaria somiglianza delle due costruzioni sullo smartphone. La gentile signora sbarra gli occhi ed esclama stupita: “Chi dei due vanta la primogenitura? Sarà sicuramente lo stesso architetto che operò anche a Rapallo nel 1500. Mi dispiace! So tutto della storia del castello maggiore, ma di questa Torre di Guardia posso solo immaginare che sia stata costruita per proteggere il Reichenstein. La sua posizione sopraelevata garantiva una maggiore visibilità circolare, mentre le sue merlature superiori ed inferiori costituivano delle ottime postazioni per cannoni, archibugi, balestrieri, arcieri ecc... La ringrazio per questa interessante segnalazione. Informerò la Soprintendenza...” I turisti francesi e tedeschi inseriti nel nostro gruppo promisero di venire a Rapallo per verificare la “somiglianza” dal vivo. Gli altri turisti del gruppo erano di Rapallo...
Carlo GATTI
Rapallo, 4 Aprile 2016