Ezio STARNINI, 99 ANNI, ULTIMO SUPERSTITE REX-C.SAVOIA

EZIO STARNINI

 

L'ultimo superstite degli equipaggi del

 

REX e DEL CONTE DI SAVOIA

Martedi 22 Luglio compirà 99 anni

Ezio Starnini è nato a Genova, il 22 Luglio 1916, pertanto il 22 Luglio compirà ben 99 anni. Da moltissimi  anni abita a Chiavari e  può ritenersi Chiavarese di adozione.

 

E' sicuramente l'ultimo superstite di quel tempo straordinario che fu l'era dei Transatlantici. Ha conosciuto sul REX  sia il Comandante Francesco Tarabotto di Lerici che il Comandante del Conte di Savoia Antonio Lena di Riva Trigoso.

 

A soli 16 anni, nel 1931  imbarcò sul Giulio Cesare e quindi sul prestigioso REX il 26 settembre del 1932.

 

Ezio Starnini nell’ovale, dietro di lui il gigante Primo CARNERA e la squadra di pallacanestro di bordo

Il 9 Novembre del 1932 imbarca come "Piccolo di Camera" sul conte di Savoia  dove vi resta ben 16 mesi. Le sue mansioni a bordo erano quelle di "ascensorista" e accompagnava i passeggeri su e giù nei meravigliosi saloni progettati dagli architetti Gino, e Mariano Coppedè.  Per manovrare quegli stupendi ascensori o salottini in miniatura, come ricorda sempre Starnini, non c'erano bottoni, ma soltanto una maniglia dorata che a seconda delle posizioni portava l'ascensore ai vari piani della nave.

 

7 anni di militare di cui 4 anni di guerra. A Genova si diplomò ragioniere e a guerra finita svolse tale mansione per quasi quattro anni, segretario dell’Associazione “Vittime Civili di Guerra” da lui stesso fondata e altri 26 anni in una nota società petrolifera americana.

 

Sessantenne, rifiutando incarichi di grande responsabilità che l’azienda gli aveva proposto, va in pensione per dedicarsi decisamente alla scrittura, sua passione da sempre. Dopo alcune esperienze, all’inizio del 1979 scrive e pubblica il suo primo libro, l’autobiografico “Un Ventennio“ Editore Eil Milano. Seguono nel 1987 il romanzo storico “Fuggiasco in Valcedra”, edizioni Lanterna, ambientato nel Parmense del 1800; il 1991 il romanzo “Genova dentro” Edizioni Ecig, vincendo rispettivamente il premio letterario a Santa Margherita Ligure, decima e quindicesima edizione.

 

Nel 1992 il volume “Era il tempo” ottiene il primo posto nel concorso letterario “Trichiana Paese del Libro”. Nel 1998 col romanzo “l’Ingegnere utilizzato” si cimenta nel giallo ottenendo consensi. Pubblica quindi la prima edizione di “Il tassello mancante” seguito da “Il tassello giallo” e la seconda edizione di “Il tassello mancante” Edizioni Gammarò.

 

Ha al suo attivo una trentina di racconti e saggi sui Quaderni dell’”Agave“, Centro di Cultura in Chiavari, di cui è socio fondatore.

 

Quale appassionato narratore e saggista è noto, ma ora è veramente un inedito romanzo ritrovare  Starnini nonostante qualche "acciacco", ancora in buona salute,  perchè a 99 primavere pensiamo sia senza alcun dubbio  l'unico  superstite degli equipaggi delle navi di quell’epoca irripetibile. Vive a Chiavari, in un bell'appartamento di Corso Italia  appunto insieme alla sua gentile Signora Flora dove hanno trascorso ben oltre 40 degli oltre 70 anni di felicissima unione matrimoniale.

 

A Ezio Starnini gli Auguri più sinceri del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta dove è ricordato accanto ai modelli del Rex e del Conte di Savoia dove lui .... c'era !

 

" VISSUTO D'EPOCA SUL CONTE DI SAVOIA"

DOPO OLTRE 80 ANNI SVELATO IL MISTERO DELLA FALLA NEL SUO VIAGGIO INAUGURALE.

Un giorno Ezio Starnini scrive una lettera al sottoscritto.

 

 

Chiavari, 17.11.2012

 

Carissimo Ernani, Mentre ti ringrazio per avermi menzionato durante l'interessante e riuscitissima manifestazione al Caffè Defilla sull'affondamento della ROMA, mi permetto passare dal fattore Marinaresco Militare a quello Mercantile, inviandoti, per la lettura, il racconto di un mio, "vissuto d'epoca" sul CONTE DI SAVOIA.

 

Ti saluto cordialmente.

 

Ezio Starnini

 

Starnini mentre contempla i modelli del REX e del CONTE DI SAVOIA conservati al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari. In entrambi vi effettuò il viaggio inaugurale.

 

 

Nel Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari, osservo interessato i modelli in scala di due grandi transatlantici: il REX e il CONTE DI SAVOIA. Noto in essi la perfetta riproduzione dei particolari: l'armamento, Ie verande, il sun-deck, gli arredi esterni nella loro stupenda minuziosità, gli ampi oblò a finestra del Ponte A ... il Salone Colonna! Ed eccomi, a novantasei anni, avulso dalla realtà e riprovare, con emozione crescente, un episodio nel mio "vissuto d'epoca": groom sedicenne, ascensorista a bordo del Conte di Savoia in rotta verso New York. Vengo svegliato a notte fonda dal Capitan d'Arme che, sbrigativo, con due marinai di coperta mi sloggia dal letto, mi allontana in malo modo e si appropria del materasso.

 

Al mio sbalordito e ritroso : "Ehi.., che fate?.,, Perche?", risponde brusco: "Una falla nella murata di babordo; imbarca acqua e bisogna tamponarla. Tu porta l'ascensore del Ponte A, su, al Salone Colonna. Stai pronto e zitto." Burbero come quando era entrato, seguendo i marinai con l'ingombro esce dalla cabina senz'altro aggiungere. Sconcentrato, mi domando perche proprio il mio materasso, e non ..... la risposta mi viene spontanea: occorre, subito, un ascensorista e un materasso? Eccoli pronti, l'uno e l'altro contemporaneamente; nel bisogno la praticità è preziosa! Mi vesto in fretta, mentre nel cervello in subbuglio i pensieri si accalcano: una falla? Quanto sotto: se imbarca ?... e in pieno Gulf Stream ! II silenzio delle macchine mi dice che la nave è ferma. Ragiono. Per niente impaurito, salgo agile per conosciute scale e corridoi, raggiungo presto l'ascensore del Ponte A e lo porto su, al Salone Colonna, meraviglia d'arte e vanto della Classe di lusso della nave.

 

Entro ed osservo stranito la scena nella luce abbassata del vasto locale, il Comandante Lena, il Primo Ufficiale e un Terzo, il capo allogi - mio diretto superiore - due garzoni di sala, sono sporti dalla finestre sulla murata, gli splendidi tendaggi arrotolati, poltrone dorate spinte altrove, il prezioso tappeto parzialmente ripiegato .... disordine.

 

 

Trovo spazio, mi sporgo sull'immensità buia e corro con gli occhi nella

 

luce incrociata di due fari puntati sulla murata, in basso, all'altezza del Ponte C in corrispondenza verticale con Ie finestre dove si trovano il Comandante e il Primo Ufficiale.

 

 

Dal portello aperto sul bagagliaio in quella precaria luminosità, esce

 

lento un tavolone grezzamente squadrato, col mio materasso inchiavardato: il tampone. legato a dei cavi, scorre in basso a piccoli strappi accompagnato dalla luce dei fari; scende giu fino al pelo dell'acqua: acqua per fortuna non molto agitata, ma sempre mare dell'Oceano Atlantico, nel pieno della corrente ascensionale del Golfo, non lontano dalla punta Nord del famigerato "triangolo delle Bermude". Nella chiazza di luce, calato con una robusta cima al petto, appare un uomo. Egli si agguanta al tampone, ad ampi gesti verso l'alto ne coordina la posizione, quindi, saldamente aggrappato al pesante aggeggio, affonda, scompare.

 

 

I fari battono il mare, ma la luce non mostra l'uomo faticare, privo del respiro, nell''opera viva della nave; non penetra I'agitata compattezza marina. Un paio di metri sotto il livello, in apnea, nell'acqua gelida e irrequieta, I'uomo farà una cosa straordinaria:

 

profittando del vorticare del gorgo, ma pure temendone la forza attrattiva, fara scorrere sul corpo grinzoso della nave, il grosso, riluttante e mobile "tampone sulla falla"; col residuo delle forze fisiche e del respiro, cercherà di sistemarlo al meglio sullo squarcio dai margini sghembi e taglienti, fra gli impeti del gorgo, quindi risalirà all'aria, stremato, ma conscio che nell'interno della nave, cessatoil pericoloso afflusso, la falla verrà chiusa, con travi e cemento a presa rapida mentre il tampone si staccherà portando il materassino galleggiante fra le correnti del Gulf Stream.

 

 

Teso quasi allo spasimo, fisso con gli occhi sbarrati la macchia di luce sul mare che copre I'uomo da troppo tempo: minuti, ma quanti? II tempo scorre lento e I'ansia .... Un improvviso rigurgito su quella superficie agitata, è il segno che la falla e finalmente otturata; ma il breve sollievo non sminuisce l'ansia: l'uomo ??.... Egli affiora nel

 

ribollio dell'acqua, la testa ..... respira; la corda al petto si tende ed egli è issato velocemente nel ventre della nave, giusto da dove ne era uscito per I'arduo compito.

 

 

II Comandante si erge lento, sul suo volto un sorriso fugace lascia il posto al consueto tono di fermezza; dalle labbra semiserrate, un "bravo" appena si ode.

 

 

Affiancato dal Primo Ufficiale sollecito e sorridente e da tutti seguito, s'avvia spedito all'uscita - che io ho appena oltrepassato - senza fermarsi, con voce chiara scandisce:

 

 

"Domattina, quassù deve essere tutto in perfetto ordine. Ora scendiamo nel bagagliaio del Ponte C. Stringero' la mano ad un mio eroico marinaio."

 

Di quell'uomo, del marinaio Gennaro Amatruda divenni amico allorchè, stringendogli anch'io la mano, ebbi modo di raccontargli Ie mie ansie. Modestamente, come semplice e modesto egli stesso era, sorridendo mi disse: "Embè... guagliò, quando c'e da fare si fa. Non te lo scordare". Ed io, come questo racconto verità lo dimostra, ancora ricordo.

 

 

Ezio Starnini

Nota: La perfetta corrispondenza dell'episodio raccontato da Starnini si trova su internet "su  Wikipedia - Enciclopedia libera" - CONTE DI SAVOIA (TRANSATLANTICO).

 

Nei vari capitoli della sua storia ad un certo punto troviamo queste frasi.

 

CONTE DI SAVOIA (TRANSATLANTICO)

STORIA

Varato il 28 ottobre 1931 dalla principessa Maria José del Belgio, in seguito regina d'Italia, il Conte di Savoia fece il suo viaggio inaugurale da Genova a New York il 30 novembre 1932.

 

Il viaggio divenne quasi un disastro quando una valvola di sicurezza nella sala macchine esplose, squarciando lo scafo nell'opera viva. Per evitare l'affondamento un eroico e audace marinaio, Gennaro Amatruda di 45 anni si fece calare fuori bordo e tamponò la falla con travi e cemento a presa rapida in modo da poter arrivare a New York per provvedere in cantiere alle riparazioni.

 

Nota dell'Autore:

 

EZIO STARNINI ha descritto ciò che ha visto e ciò che lo riguardava, cioè la sottrazione del suo materasso che è servito, così si chiama in termine marinaresco da "PAGLIETTO TURAFALLE".

 

Naturalmente, per chi ha navigato o conosce le navi, può solo sorridere, quando si afferma che l'eroico marinaio GENNARO AMATRUDA, tamponò la falla con travi e cemento a presa rapida.

 

 

Sarebbe stato impossibile, da fuori bordo, immergersi nell'acqua dell'Oceano e tamponare la falla in quel modo.

Sicuramente le cose si svolsero così:

 

Il materasso di Starnini e le tavole, trasformate in un "Paglietto" di notevoli dimensioni furono calate "ESTERNAMENTE" allo scafo della nave in corrispondenza della falla.

 

In pratica si costruì un grande "PAGLIETTO" e il materasso era certamente legato con delle tavole e a sua volta, il tutto, era legato con delle cime per facilitarne la guida e la messa in posizione del "paglietto".

 

All'interno, in corrispondenza della falla quando l'acqua in entrata è stata quasi eliminata o notevolmente diminuita di intensità, si è provveduto a "TAMPONARE LA FALLA CON CEMENTO E TAVOLE". Al cemento, sicuramente sarà stato aggiunta della soda per accelerarne l'indurimento. Questa è stata la vera operazione credibile e completa altrimenti non può aver senso "infagottare" di cemento l'esterno dello scafo con "cemento e tavole". Con la successiva ripresa della navigazione a 25/27 nodi di velocità, sarebbe stato impossibile mantenere la riparazione se effettuata dall'esterno (come afferma Vikipedia) il che, era tecnicamente impossibile da eseguire.

 

E comunque per terminare citiamo il "Muzemal", che spiega che cosa è il "Paglietto Turafalle" di una volta.

 

A bordo dei vecchi bastimenti veniva preparato anche il paglietto turafalle. Questo era costituito da un pezzo di grossa tela olona lardata o da un fitto intreccio di filacce di vecchio cavo, che veniva anch'esso lardato. Ai quattro angoli del paglietto venivano assicurati dei lunghi cavi, che servivano a guidarlo e assicurarlo fuoribordo perché ostruisse una falla, riducendo notevolmente la quantità d'acqua imbarcata e consentendo l'intervento di riparazione dall'interno dello scafo. Il Muzemal.

 

 

Cristina Anastasi e Carlo Gatti sul palco di Lerici

Fine di Luglio del 2013 - Ciassa di Barchi o Piazza dei Pescatori. Ezio Starnini ha appena compiuto 97 anni. Eppure sta aiutando ad alzare il gran pavese ! Lascio a voi lettori ogni commento su questa straordinaria persona.

 

Ernani ANDREATTA

 

Rapallo, 20 Luglio 2015

 

 


LE BELLEZZE E LA STORIA DEL NOSTRO MARE

LE BELLEZZE E LA STORIA DEL NOSTRO MARE


In quel lontano periodo il sub Giancarlo Boaretto (a destra nella foto) si trovava impegnato nei fondali della nordica Tromsø (Norvegia)

Quando si parla di mare, che si sia stati dei naviganti, pescatori, sub dilettanti o professionisti, apneisti, insomma chi ha vissuto il mare sopra o sotto, si ricorda immediatamente le cose che hanno colpito e affascinato maggiormente come se fosse passato solo un giorno; anche se in realtà possono esser passati degli anni.

Quando si mette la testa sotto quel fluido bagnato e molto più denso dell’aria ci si rende conto che si è entrati nel regno di Nettuno; si ha la sensazione di volare in un altro mondo, una flora e una fauna inaspettata, un mondo inatteso e affascinante dove fino a una decina di metri sotto il livello del mare i colori di ciò che si guarda restano inalterati e iniziano a sfumare in tonalità che vanno dall’azzurro al blu a breve distanza da noi.

Ma attenzione, questo “regno” molto affascinante impone le sue regole e sono ferree; occorrono molte precauzioni, prudenza e conoscenze tecniche approfondite, seguite da uno stile di vita idoneo e soprattutto: va rispettato.

IL CORALLO

Nel Golfo del Tigullio una delle attività più antiche è stata la pesca del corallo e ne parlavano già nel II secolo d.C. e anche nel XIV secolo da Fazio degli Uberti, si utilizzavano  le “coralline” barche a vela molto robuste  con l’equipaggio composto da 6/8 persone.

Gozzo Ligure "corallino"

Per la pesca si utilizzava un marchingegno composto da due grandi legni incrociati e zavorrati al centro, ai vertici dei bracci che si formavano dall’incrocio dei legni venivano applicate delle reti di un paio di metri ciascuna, venivano fatte sprofondare sul fondale e poi trainate con l’aiuto del vento; le reti del marchingegno strisciando sul fondo incocciavano i rami di corallo e li stappavano tenendoli incastrati nelle maglie.

La tecnica di per sé funzionava, ma con l’andare degli anni , o meglio, dei secoli di razzia dai fondali del Tigullio il corallo è praticamente sparito; da li i “corallari” hanno dovuto spostarsi verso la  Corsica, la Sardegna, fino alle coste della Tunisia e Algeria e famosa è l’isola di Tabarca che divenne il punto d’approdo dei pescatori di corallo.

I coralli rossi, tipici del Mediterraneo sono colonie di microscopici polpi  che si nutrono di plancton allungando i tentacoli estroflettendoli dallo scheletro che è ricoperto da una sottile pellicina  che quando è raschiata via scopre il colore rosso sangue della struttura vera e propria del corallo; questo ha una crescita lentissima, si parla di decine di anni per raggiungere l’altezza di un centimetro e perciò quello fotografato sul palmo della mano non dovrebbe aver vissuto meno di cinquant’anni.

Nello stemma di Santa Margherita Ligure è raffigurato un ramo di corallo e alcuni fortunati ne trovano ancora in qualche anfratto ma ad una profondità di almeno settanta metri, e si limitano ad osservare gli esemplari rimasti, qualche volta fotografandoli ma non dicendo mai dove li hanno trovati.

Giancarlo BOARETTO

Rapallo, Sabato 18 luglio 2015



LE AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI

LE AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI

“... Tutte le passioni tempestose dell'umanità quando era giovane, l'amore della rapina e l'amore della gloria, l'amore dell'avventura e l'amore del pericolo, insieme con il grande amore dell'ignoto e i vasti sogni di dominio e di potenza, sono passati come immagini riflesse in uno specchio, senza lasciare alcun segno sulla faccia misteriosa del mare. Impenetrabile e senza cuore, il mare non ha dato nulla di se stesso a coloro che ne hanno corteggiato i precari favori ...” -   JOSEPH CONRAD

Benedetto Donati, (nelle foto) nato a S. Ambrogio di Zoagli e rapallese per il tempo che visse, nacque sugli scogli della Riviera di Levante nel 1916, durante la Prima guerra mondiale. Il mondo d’allora offriva solo doni di natura e fin da piccolo aveva l’unica visione del mondo che il Tigullio poteva offrirgli: una cornice di colline verdi che si chiudevano ad anfiteatro alle sue spalle.  Ma al di là di quella cresta sinuosa per lui c’era il nulla. Si girava a guardarla soltanto quando neri nuvoloni carichi di pioggia salivano da scirocco per darle una lavata...

 

Il mare che aveva davanti agli occhi lo attraeva e lo ammaliava come il canto di una sirena. Benedetto era e si sentiva libero come un delfino che giocava con le onde sotto il tagliamare delle navi, nuotava veloce, volteggiava per aria e poi spariva per sfidare il mare aperto verso l’ignoto ad inseguire i suoi sogni oltre l’orizzonte. Figlio di una divinità marina irrazionale era dominato dall’istinto puro, da quella forza che sentiva dentro e che cercò invano di trattenere per tutta la vita.

 

Benedetto ignorava Conrad, ma il grande scrittore polacco conosceva bene questi rari figli del mare, duri ma generosi, ansiosi e romantici dal carattere talvolta aspro ma sincero. Spesso diceva a suo figlio Roberto, Comandante di navi, “per essere dei buoni marinai non serve essere letterati, ma umili e timorati del dio-mare, occorre piegarsi alle tempeste senza rinunciare alla propria dignità; indietreggiare o “puggiare” per poi avanzare, non significa vigliaccheria, ma saggezza”.

 

Benedetto cresceva in fretta. Abbronzato tutto l’anno, era diventato un bel ragazzo, alto e atletico. In inverno studiava aspettando l’estate. Le automobili straniere lo attraevano per la raffinata eleganza e le ragazze d’oltralpe per l’emancipazione senza ipocrisie. Si sentiva un “europeo” ante litteram. Amava usare alcune infallibili frasi in francese e inglese per scardinare quei cuori che lui sapeva conquistare con le canzoni italiane e gli scorci panoramici della Riviera. Cresceva ed imparava i trucchi dello “squalo del Tigullio”, amava ed era amato senza pregiudizi e senza frontiere.

 

Benedetto aveva i piedi per terra e sapeva fin da ragazzo come guadagnarsi da vivere. Aveva il mare “dentro”, molti sogni nel cassetto, ma anche un’autentica passione: i motori. Li smontava e li rimontava accuratamente ridandogli vita per sentirli rombare in tutta la loro potenza.

 

Era il suo pane, un pane duro che portò nello zaino durante il suo pellegrinaggio di uomo di mondo. L’officina era diventata il suo regno e ben presto cilindri, pistoni, cinghie e candele non ebbero più segreti per lui. La sua specialità erano i motori marini, sia quelli veloci dei motoscafi dei ricchi sia quelli dei pescherecci, più lenti nelle mani di quei poveri cristi che partivano di notte e dovevano sempre girare per poter tornare a casa quando la stiva era piena. A poco a poco si fece largo nel vortice della vita quotidiana ed il suo nome era sempre più richiesto sui moli della Riviera. Acquistava vecchi motori, li rigenerava e li rimontava su imbarcazioni per chi di meglio non poteva permettersi.

 

La sua storia personale sta per voltar pagina. A 20 anni compiuti é arruolato presso il C.R.E.M. di Spezia e 15 giorni dopo imbarca sulla R.Nave CAMPANIA per il corso M.A.

L’incrociatore leggero RN Campania in movimento

Il 15 Luglio 1937 viene trasferito a Pola per imbarcare sul Ct. “QUINTINO SELLA” ed é inviato a Portolago in Egeo. Visti i suoi requisiti di valente meccanico, viene promosso Motorista A. Scelto.

Il Quintino Sella fotografato all’ancora negli anni ‘30

Il 5 marzo 1938 Benedetto sbarca a Brindisi e lo stesso giorno viene trasferito alla “Difesa” – Brindisi, Comando Militare Marittimo "Brindisi" (Brindisi) - 5^ Legione Milizia Artiglieria Marittima Territoriale (Bari) - Il 20 marzo 1938 viene trasferito all’Ufficio Circondariale di Molfetta. Il 2 maggio 1938 viene trasferito al Compamare di Bari, dove l’1 ottobre viene promosso Sottocapo M.A.

 

A Bari, storica e importante città portuale del basso Adriatico, Benedetto conosce Apollonia. Un colpo di fulmine, complici l’ansia e la paura di perdersi nei venti di guerra, decidono di sposarsi. Il loro primo frutto si chiama Roberto che nasce il 22 aprile 1942.

In seguito ai bombardamenti del 17.11.1940 Benedetto Donati viene decorato con la Croce di Guerra al V.M. su Azione di Guerra.

Tuttavia, per un puro gioco del destino, Benedetto si ritrovò come “prigioniero di guerra” degli inglesi anche durante il secondo, ancor più disastroso, bombardamento di Bari il 2 dicembre 1943.

 

A questo punto della storia inseriamo la rievocazione del “BOMBARDAMENTO DI BARI” curato dallo storico Francesco Bucca. La lettura del brano ci dà la reale consapevolezza sia dell’immane tragedia che costò migliaia tra morti e feriti per opera di bombe molto particolari, sia per comprendere lo strascico che tali esalazioni ebbero in seguito sul fisico di tanti innocenti, tra cui Benedetto.

UN PO' DI STORIA

A cura di Francesco BUCCA

 

BOMBARDAMENTO DI BARI : 2 Dicembre 1943

 

 

Il bombardamento del porto di Bari avvenne il 2 Dicembre 1943, a circa 3 mesi dalla resa dell’Italia agli Alleati (8 Settembre 1943) e poco tempo dopo la successiva dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania (13 Ottobre 1943).

 

Per le sue conseguenze e il numero delle navi alleate affondate da parte dei bombardieri tedeschi fu il maggior incidente di guerra chimica avvenuto durante la II Guerra Mondiale e fu soprannominato a ragione la “Pearl Habour del Mediterraneo” o “seconda Pearl Harbour”, in quanto, a fronte della perdita di solamente 2 bombardieri tedeschi,  complessivamente 17 navi da carico alleate con più di 38.000 tonnellate di merci furono affondate e altre 8 seriamente danneggiate e il porto di Bari rimase chiuso per 3 settimane a causa dei relitti , ritardando non poco l’offensiva degli Alleati verso il Centro Italia a causa della mancanza di rifornimenti e consentendo ai tedeschi di attestarsi lungo la linea Gustav.

 

Il porto di Bari fu ripristinato alla piena operatività soltanto nel Febbraio 1944.

 

In effetti fu l’attacco aereo più distruttivo subito dagli Alleati dopo quello giapponese del 7 Dicembre 1941.

 

Ciò senza citare i gravissimi danni derivati alla città dai bombardamenti in se e soprattutto dallo scoppio delle bombe all’iprite trasportate dalla nave da carico americana tipo Liberty JOHN HARVEY (2000 bombe tipo M 47 per 91 tonnellate) e relativa fuoriuscita di sostanze tossiche, che  causarono più di 1000 vittime tra militari e civili .

 

Il 2 Dicembre più di 40 navi da carico battenti bandiera americana, inglese, polacca, norvegese, olandese e italiana si trovavano nel porto di Bari.

 

Il porto di Bari era stato intenzionalmente risparmiato dai bombardamenti americani in quanto considerato strategico ai fini dell’approvvigionamento dei rifornimenti per le armate alleate che avrebbero dovuto risalire l’Italia e minacciare i confini meridionali della Germania ed a Bari erano tra l’altro anche stati creati diversi ospedali per la cura dei feriti al fronte.

 

Nella notte del 2 Dicembre il porto di Bari era completamente illuminato e stava lavorando a piena capacità per accelerare lo scarico dei rifornimenti destinati ad alimentare il fronte.

 

Gli Alleati infatti non si attendevano un attacco aereo e non nutrivano alcun dubbio sulla sicurezza del porto, tanto che l’avvistamento nei giorni precedenti di ricognitori tedeschi, il bombardamento di Napoli di fine Novembre e quello successivo di Manfredonia non avevano suggerito alcun provvedimento, neppure quello di decidere l’oscuramento delle luci del porto e di almeno una parte delle luci della città contigua al porto stesso.

 

Lo stesso 2 Dicembre era appena arrivato un convoglio proveniente dal Nord Africa e dagli Stati Uniti, senza però che esistesse la possibilità di scaricare le navi se non dopo molti giorni di attesa.

 

La nave tipo Liberty John Harvey

Tra le unità in porto, vi era anche, come detto, la Liberty americana JOHN HARVEY al comando del capitano Elwin Knowles, che trasportava segretissimamente 2000 bombe all’iprite, oltre ad altro materiale esplosivo, principalmente bombe d’aereo destinate alla 15.ma Air Force statunitense stanziata a Manfredonia incaricata dei bombardamenti strategici sulla Germania del sud, ed era attraccata vicino all’estremità del molo di Levante del porto.

 

Era arrivata il 28 Novembre e attendeva da 5 giorni di essere scaricata del suo pericolosissimo contenuto, che non era stata rapidamente sbarcato anche a causa della sua segretezza, che aveva rallentato il passaggio delle informazioni tra il comandante statunitense e le autorità portuali inglesi.

 

Bari - Bombe all’IPRITE recuperate

L’iprite, detto anche “gas mostarda”, era stata ampiamente utilizzata durante la Prima GM sul fronte francese e poi bandita dal trattato di Versailles del 1922, era stata trasportata solamente per essere utilizzata come atto di ritorsione ad un eventuale attacco chimico da parte tedesca alle forze alleate e in ultima analisi come deterrente. Fonti di intelligence alleate, infatti, sin dal Luglio 1943 avevano iniziato a inviare rapporti sul suo possibile uso da parte tedesca ed in effetti depositi di armi chimiche furono successivamente ritrovati in Italia.

 

L’iprite ancora, comunemente denominata gas, è un agente chimico vescicante con forte odore che ricorda l’aglio e si presenta allo stato liquido e non gassoso e costituisce un aggressivo chimico che può essere nebulizzato. Il termine gas è quindi improprio e il suo uso costituisce una concessione al linguaggio comune. Inoltre l’iprite è un liquido oleoso con effetto quindi più persistente rispetto agli aggressivi chimici aeriformi come ad es. il fosgene.

 

L’iprite risulta dunque molto pericolosa ad essere trattata e gassifica facilmente in quantità tali da produrre pericolosissimi aumenti di pressione nei contenitori delle bombe in cui viene conservata.

 

La sua conservazione e trattamento è quindi estremamente delicata.

Al tempo della Seconda GM, le bombe erano lunghe poco più di 1,2 metri, con un diametro di 20 cm e contenevano da 30 a 32 kg di iprite, sufficienti a contaminare un’area di 40 m. di diametro.

 

L’attacco aereo tedesco fu fissato per i primi giorni di Dicembre in quanto la luna crescente avrebbe consentito una sufficiente visibilità ai piloti, ma reso meno individuabili gli aeroplani.

 

Il giorno propizio si verificò il 2 Dicembre, quando un ricognitore Messerschmitt Me 210 tedesco, volando ad alta quota fotografò nel porto di Bari oltre 40 navi ancorate, molte facenti parte del convoglio appena arrivato.

 

Fu quindi immediatamente presa la decisione di attaccare.


Junker Ju 88

Al comandi del generale Wolfram von Richthfen, parteciparono all’attacco 105 velivoli, per lo più Junkers Ju 88, provenienti dagli aeroporti del Nord Italia e anche dalla Jugoslavia e Grecia.

 

Erano tutti armati con motobombe FFF ( dall’iniziale dei cognomi dei progettisti italiani tenente colonnello Prospero Ferri, capo disegnatore Filpa e colonnello Amedeo Fiore ), che costituivano una variante del siluro elettrico, ovvero una volta lanciate da quote comprese tra 500 e 4000 m., un paracadute ne frenava la caduta fino all’impatto con l’acqua, poi spinte da un motore elettrico iniziavano a navigare con una traiettoria a spirale a circa 12 nodi fino all’impatto con il bersaglio o al termine dell’autonomia , che era di circa 30 min.

 

Gli aerei volarono a bassissima quota per non essere intercettati dal radar alleato (che comunque quella notte era fuori servizio).

 

17 aerei per motivi tecnici dovettero abbandonare la missione, per cui solamente 88 aerei parteciparono all’azione.

 

Alle 19,30 iniziò il massiccio bombardamento. L’attacco fu una completa sorpresa e ciò fece si che il bombardamento potesse avvenire con grande precisione.

Seguono alcune immagini del Bombardamento di Bari

 

Le bombe caddero sulle navi, che affondarono rapidamente ormeggiate alla banchina, mentre quelle che trasportavano munizioni saltarono in aria, provocando danni ingentissimi. Si incendiarono pure le condutture di benzina sulle banchine, rendendo le acque del porto un mare di fiamme che distruggeva anche le altre navi non danneggiate.

 

Fu colpita anche la JOHN HARVEY con le sue 91 ton. di bombe all’iprite. Molte esplosero direttamente sul posto, mentre altre furono scagliate lontano in modo tale che il loro contenuto tossico venne disseminato per largo raggio.

 

Inizialmente il vento soffiava in direzione opposta alla città, in modo tale da agevolare la popolazione, ma successivamente cambiò direzione e i fumi tossici investirono direttamente gli abitanti e i militari.

Poiché il carico di iprite era segretissimo, nessuno ne conosceva l’esistenza e quindi anche i medici degli ospedali a cui man mano affluivano i feriti (solo i militari, in quanto i civili erano rimandati indietro per mancanza di posto), non essendone al corrente, non furono in grado di istituire subito terapie idonee , diagnosticando spesso congiuntiviti o dermatiti.

 

Solo dopo 3 giorni, quando la presenza dell’iprite fu scoperta, anche se non formalmente resa pubblica, pur con grandissimo riserbo, i feriti iniziarono ad essere trattati adeguatamente con terapia a base di sulfamidici.

 

Quando la nave scoppiò, inizialmente il vento allontanò verso il largo la nube tossica generata dalle esplosioni. Ciò comunque non impedì all’iprite di disperdersi come miscela oleosa nelle acque del porto, contaminando gli indumenti dei marinai e portuali scampati alle esplosioni e che si trovavano in acqua e che la inalarono inavvertitamente, come pure fecero i soccorritori che si adoperavano per trarre in salvo i superstiti. Le prime conseguenze visibili furono bruciore agli occhi, narici e gola, parziale cecità e vesciche sulla pelle con successivi distacchi di pelle.

 

In totale si stima che le vittime tra civili e militari furono circa un migliaio. Di questi circa 250 furono i civili baresi. Vi furono oltre 800 militari ricoverati con ustioni o ferite. Gli intossicati all’iprite furono 617.

 

Va osservato che nel successivo rapporto redatto dal colonnello Alexander della Sanità militare americana inviato sul posto, datato 27 Dicembre 1943, le ustioni riscontrate, per ragioni di segretezza, furono subito classificate per causa Not Yet Diagnosed.

 

Sembra sia stato lo stesso Churchill a disporre che non si facesse cenno all’iprite nei documenti che riguardavano il disastro di Bari in quanto il porto era controllato dagli inglesi e non si voleva ammettere un simile disastro.

 

Solo molti anni dopo la fine del conflitto i governi inglese e americano ammisero ufficialmente la presenza dell’iprite.

 

Infatti i documenti riguardanti l’attacco furono declassificati solamente nel 1959.

 

Ancora molti decenni seguenti all’attacco furono numerosi i casi di contaminazione di pescatori baresi a causa degli ordigni di iprite inesplosi che, ormai corrosi, rilasciavano il loro contenuto.

 

Tuttavia negli ultimi anni tali episodi sono completamente spariti.

 

Va infine citato che la città pugliese fu nuovamente colpita negli ultimi giorni della guerra. Il 9 Aprile 1945, infatti, un’altra nave americana, la CHARLES HENDERSON, esplose accidentalmente mentre stava scaricando un forte quantitativo di armi chimiche, uccidendo ancora militari e civili e danneggiando gravemente le attrezzature portuali della città.

 

I lavori di bonifica del porto iniziarono nel Marzo 1947 e si protrassero per diversi anni, potando al rinvenimento, oltre al resto, di 2302 bombe d’aereo (più 3714 recuperate dalla CHARLES HENDERSON), 98 bombe all’iprite (94 a Bari, 2 a Barletta, 1 a Trani e 1 a Molfetta) e 157 bombette ad aggressivi chimici, ugualmente pericolose.

 

Durante i lavori di bonifica, il 30 Maggio 1947, si verificò addirittura lo scoppio accidentale di una bomba all’iprite di grande capacità e fu possibile evitare gravi incidenti alla popolazione e danni alla città vecchia grazie al prontissimo intervento di tutti gli operatori civili e militari, che si prodigarono con slancio, riportando personalmente gravissime lesioni da iprite.

Tutte le armi chimiche  recuperate vennero di nuovo buttate a mare al largo di Bari, in fondali molto profondi dove attualmente è vietata la pesca a strascico. Ciò nella convinzione che gli aggressivi chimici sarebbero rapidamente diventati innocui, il che però, a detta delle Associazioni ambientali, è  ancora tutta da verificare.Il bilancio totale delle perdite navali è evidenziato nel riquadro 1.Riassumendo furono affondate 6 navi trasporto americane tipo Liberty, 4 unità inglesi, 2 norvegesi, 3 italiane e 2 polacche per un totale di 17 unità. Altre 8 furono seriamente danneggiate, mentre un‘altra decina di unità minori (unità di uso locale, piccoli traghetti, etc) risultarono anch’esse affondate. FINE

Benedetto DONATI cambia destinazione

 

1 febbraio 1942 Benedetto viene trasferito al Comando Fotoelettriche di Pantelleria e vi rimane sino alla resa dell’isola.

1942 - PANTELLERIA ISOLA DI COMANDO R. MARINA

 

 

Veduta  parziale   isola  (Foto dell'Isola prese nel 1936-Public Record Office, Londra ADM/239/463)

Isola di Pantelleria - Benedetto (a destra) appostato con un commilitone sull'AEROFONO

 


 

 

Benedetto amava la musica

 

... e pensava alla sua Riviera

 

... magari avesse avuto una Benelli a Rapallo

Comando Marina "Pantelleria" - 9^ Legione Milizia Artiglieria Marittima Territoriale - 13 batterie controaeree da 76/40 - 1 batteria controaerea da 76/40 (Lampedusa) - 22 mitragliatrici da 13,2 - 2 fotoelettriche di tipo moderno -  5 fotoelettriche di tipo antiquato.

 

Nel 1943, durante la II Guerra Mondiale, la conquista di Pantelleria fu ritenuta d’importanza strategica dalla Truppe Alleate che si preparavano ad invadere la Sicilia, tanto che l'isola fu pesantemente bombardata dal mare e dal cielo, per preparare lo sbarco delle truppe, nell'ambito di un'operazione anfibia chiamata Operazione Corkscrew. 
L’attacco venne sotto forma di incessanti attacchi aerei ed era già incominciato l’8 maggio.
Secondo le intenzioni italiane l’isola doveva essere la nostra Malta, ma l’entrata in guerra ritardò le strutture difensive dell’isola e spesso fermò i lavori. Le principali strutture consistevano in un aeroporto in caverna, da dove però potevano operare aerei da caccia. Le batterie antiaeree erano 14 con 75 cannoni antiquati da 76 mm - 18 mitragliere da 20 mm - 500 quasi inutili mitragliatrici da 8 mm. Le batterie antinave erano 5 con 12 pezzi da 152 mm - 8 da 120 mm.
I militari di stanza nell’isola erano 11.420. Le scorte di viveri erano sufficienti per 50 giorni. Sull’isola c’erano 3 radiolocalizzatori di scoperta aerea e 1 di scoperta navale germanici, ma verso la fine di maggio il personale li smontò e abbandonò con essi l’isola. Dall’8 giugno, alla pressione aerea si aggiunsero i bombardamenti navali con 4-6 incrociatori e 8 caccia. Il 10 giugno fu raggiunto il massimo della violenza: 44 attacchi aerei da parte di 1.040 velivoli anglo-americani, 1400 ton. di bombe rovesciate sull’isola. Lo stesso giorno gli alleati intimarono la resa, il Comando Italiano non dette risposta e in serata a, reparti della prima Div. Britannica di fanteria s’imbarcarono (a Susa e Sfax-Tunisia) su 3 navi da trasporto truppe, 15 mezzi LCI, 19 LCT, 4 mezzi da sbarco d’appoggio LCF, 5 vedette ML. In quelle stesse ore, considerata la situazione, il comando dell’isola affidato all’Amm. Pavesi, chiese a Roma l’autorizzazione ad arrendersi.

L'Aeroporto di Pantelleria

 

Hangar di Pantelleria

Soldati Inglesi occupano l'Isola di Pantelleria

Cronologia degli avvenimenti che hanno coinvolto Benedetto Donati: 10 giugno 1943 Catturato e fatto prigioniero dagli inglesi. 14 giugno 1943 Trasferito a Souse (Tunisia). 5 luglio 1943 Trasferito in un Campo di Concentramento provvisorio a Tunisi. 3 settembre 1943 Trasferito in un Campo di Concentramento provvisorio presso Algeri in attesa d’essere imbarcato per gli Stati Uniti. 7 settembre 1943 Imbarca su una nave alleata. 10 settembre 1943 Sbarca ad Orano (Algeria) in seguito all’Armistizio.11 settembre 1943 Viene riportato in un Campo di Concentramento (gabbia n.7) presso Orano (Algeria). 20 ottobre 1943 E’ destinato al Campo Lavoratori Portuali come ecoperatore. Come abbiamo già visto, il sottocapo fuochista Benedetto Donati, vantava una specializzazione di meccanico navale di cui gli inglesi ben presto si accorsero. Gli Alleati nel frattempo erano sbarcati in Sicilia e risalendo la penisola, occuparono i punti nevralgici e vi stabilirono delle teste di ponte. Gli inglesi s’impossessarono del porto di Bari e, proprio in questo porto strategico per lo sbarco della logistica USA, inviarono un contingente specializzato di P.O.W (Prisoners of war), tra cui Benedetto, per essere utilizzato nel suo ruolo di meccanico in assistenza alle numerose navi da carico militarizzate che giungevano con molte avarie e, soprattutto, con le stive cariche di armi di ogni tipo. Benedetto ne fu felicissimo perché durante quell’insperata missione avrebbe rivisto sua moglie ed il piccolo Roberto nato da pochi mesi. Tutto sembrò andare per il verso giusto, almeno fino al momento del secondo tragico bombardamento di Bari da parte della Luftwaffe il 2 dicembre 1943 che già vi é stato raccontato.

10 gennaio 1944 Benedetto Donati viene liberato dalla prigionia e imbarca sulla cisterna “Posa Rica” al servizio degli americani.

10 marzo 1945 Benedetto viene rimpatriato.

INTERVISTA al figlio maggiore di Benedetto, Com.te Roberto Donati.

I suoi genitori hanno avuto la soddisfazione di mettere al mondo due figli che hanno raggiunto il massimo livello nelle loro rispettive professioni:

 

Roberto, Capitano di L.C. - Comandante e Capo Pilota del Porto di Augusta

 

Michele, Avvocato e Generale di Divisione della Guardia di Finanza.

 

Mio padre avrebbe meritato questa soddisfazione, se non altro per averci indicato, con il suo esempio e i tanti sacrifici, la GIUSTA ROTTA da seguire nella nostra vita.

 

Mia madre,  pur essendo mancata  a soli settantacinque anni, riuscì a vedere i suoi figli degnamente sistemati.

 

Questo saggio è dedicato a suo padre, ultimo nato di undici figli, durante la Grande Guerra. Benedetto fu terribilmente coinvolto, da militare, nella Seconda guerra mondiale.

 

I bombardamenti di Bari gli furono sicuramente fatali sia per i fumi tossici inalati durante il primo bombardamento per cui fu anche decorato, sia per le esalazioni di gas-Yprite del secondo bombardamento che respirò durante la fase di recupero dei naufraghi nel bacino portuale di Bari per ordine degli inglesi. In queste due tragiche circostanze i suoi polmoni ne furono talmente indeboliti da costargli la vita quando aveva soltanto 47 anni.

 

Cosa le raccontò di quei tragici avvenimenti?

 

Mio padre era un simpatico ottimista, socievole, disponibile e caratterialmente molto aperto, ma anche molto determinato e coraggioso, tuttavia, ogni volta che si affrontava l’argomento “guerra”, abbassava la testa e si chiudeva in uno sconcertante silenzio. Evidentemente il film da lui vissuto come attore, era ancora troppo impregnato di ricordi e sofferenze personali che gli bruciavano dentro senza riuscire a esorcizzarli come riusciva, al contrario, con tutti gli altri eventi negativi cui in successione dovette far fronte nella vita.

 

Gli effetti di quei gas nocivi, fumi e nubi tossiche sparsi a pioggia su Bari nei due bombardamenti, prima di vederli su se stesso a distanza di anni, li vide sulla pelle di quelle migliaia di morti e feriti che vide galleggiare inerti nel porto di Bari e che aiutò a recuperare con le sue stesse mani. Mio padre visse quei tragici momenti come un incubo ricorrente per tutta la sua vita. Capisco quindi il motivo per cui evitava di parlarcene.

 

A Pantelleria Benedetto fu fatto prigioniero dagli inglesi. Cosa vi raccontò di quel periodo?

 

Su questo argomento ci raccontò alcuni aneddoti, ne ricordo uno in particolare. I prigionieri italiani erano trattati molto male: scarsissimo nutrimento, condizioni igieniche pessime, punizioni crudeli e disumane.

 

La fame costringeva i prigionieri italiani a rubare qualsiasi cosa sembrasse commestibile. Un giorno, mi raccontò, un prigioniero del reparto s’impossessò di un barattolo di burro di arachidi, ma fu scoperto e il comando del campo lo costrinse a ingerire tutto il contenuto fino alla nausea, al vomito, alla diarrea.

 

Mio padre fu molto deluso dagli inglesi perché a Rapallo, in Riviera, li aveva conosciuti come dei veri “gentlemen”. E’ proprio vero che la guerra trasforma e imbruttisce gli uomini.

 

Anche in America Benedetto Donati andò incontro a delle vicissitudini. Può farcene un cenno?

 

Dopo l’armistizio e alcuni trasferimenti con l’incarico di P.O.W dalla Tunisia a Orano in Algeria, il 10/01/1944 fu liberato dalla prigionia e imbarcato con la qualifica di motorista sulla petroliera “Posa Rica” nave militarizzata al servizio degli Alleati.

 

Dopo alcuni viaggi per gli Stati Uniti, mio padre, come tanti italiani che scalavano saltuariamente i porti della mitica America, pensò di trasferirsi in quella terra per poi richiamare la famiglia. Questo era il suo sogno nel cassetto: un sogno che non prevedeva l’importanza del capire la lingua "americana", né le conseguenze della “diserzione” in una terra ospitale e generosa, ma governata dell’US IMMIGRATION SERVICE che applicava leggi severe che lui neppure poteva interpretare.

 

Naturalmente, appena scoperto, fu rimpatriato in Italia mettendo così la parola FINE a quelle agognate aspettative per una nuova vita con la sua famiglia e con l’incognita della malattia che già sentiva avanzare in maniera subdola per via dei progressivi limiti respiratori.

 

Tuttavia, mio padre ricordava sempre con piacere il periodo passato a bordo di quella Petroliera USA di cui esaltava la qualità della vita e la mentalità aperta e sincera degli americani, che nulla aveva in comune con quella degli inglesi subita in prigionia.

 

Raccontava delle comodità di bordo: acqua corrente, frigoriferi, abbondanza di cibo, la pulizia, l’igiene e persino gli innumerevoli svaghi di bordo.

 

Ricordo sempre la sua ostinata raccomandazione: studiate l’inglese!

 

Che ricordo ha di suo padre nel dopoguerra?

 

Il 10 marzo 1943 rimpatriò in Italia, ma di guerre e campi di prigionia ne aveva fin sopra i capelli. Non solo non si schierò, ma dovette iniziare a curarsi dalle conseguenze subite nei campi di prigionia che cominciavano a insidiargli i polmoni. Per alcuni anni dovette curarsi nei sanatori regionali, prima a Bari e poi a Genova ottenendo il riconoscimento di una pensione come Grande Invalido di Guerra. Tornato in Liguria nel 1953, riprese i contatti con gli amici di sempre e nonostante la sua invalidità, per supplire alla misera pensione di guerra, riprese a lavorare come meccanico per la manutenzione dei motori marini in ricovero durante l’inverno, e nei mesi estivi, per un breve periodo, fece il conduttore motorista per la scuola di sci nautico di Hans Nobel, noto campione olimpico di sci invernale, divenuto istruttore di sci nautico presso il Grand Hotel Excelsior di Rapallo. Fu quello il periodo più gratificante per mio padre, sia per l’ambiente che frequentava la Scuola di sci nautico (noti attori, attrici, scrittori ecc.) sia per la considerazione professionale in cui era tenuto.

 

Anche per me fu un periodo che ricordo con piacere, infatti, lavorando con Lui imparai a guidare i motoscafi della scuola ottenendo, in seguito, il patentino nautico che mi permise di sostituirlo negli anni successivi. Purtroppo le sue condizioni di salute si aggravarono, tanto da essere necessario il suo ultimo ricovero. Fece ancora in tempo ad aiutarmi nella ricerca del mio primo imbarco da allievo nautico di coperta e a vedermi, un anno dopo per l’ultima volta, in ospedale, prima di ripartire da Genova con l’avanzamento ottenuto a 3° Uff.le di coperta. Mio padre mancò il 18 gennaio del 1963 a 46 anni, durante la mia partenza da Genova per il Golfo Persico. Morì serenamente circondato da tutte le persone che lo avevano amato e apprezzato in vita.

ALBUM FOTOGRAFICO

BENEDETTO DONATI


BOMBARDAMENTO BARI (sotto)

PANTELLERIA (sotto)

Militari italiani prigionieri degli inglesi

 

Carlo GATTI :  LA AVVENTURE DI BENEDETTO DONATI

Francesco BUCCA:   IL BOMBARDAMENTO DI BARI

Rapallo, Martedì 23 Giugno 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


RICORDO DI MARCO LOCCI, PITTORE DI MARINA

 

RICORDO DI MARCO LOCCI

PITTORE DI MARINA


Il 5 maggio 2015 é mancato Marco Locci, grande pittore di marina, amico di molti soci di MARE NOSTRUM RAPALLO, con cui ha collaborato per quasi vent’anni con mostre personali, sempre dedicate alle navi. In questi anni Marco aveva superato momenti difficili a causa della salute un po' ballerina, ma anche quest'anno, come faceva da sempre in questo periodo, ha invitato tutti i suoi amici a S.Massimo per una giornata di ricordi e cibo del suo orto. Marco era una "persona speciale" in tutto ciò che faceva: viveva e lavorava da artista. Aveva le sue regole e per chi non lo conosceva a volte  sembrava scomodo e scorbutico, ma era soltanto Marco Locci, un uomo che non sapeva nuotare, ma era un autentico uomo di mare. Parlava di qualsiasi nave del passato e del presente come se ne fosse stato il capitano oppure il nostromo. Aveva un profondo rispetto per le navi e le trattava come persone, con la loro personalità e fisionomia. Donava loro il fascino che si erano meritate in mare e le arricchiva di quella atmosfera fumosa tipica dei porti molto trafficati che lui non aveva mai visto, ma che aveva immaginato da grande lettore e cultore di letteratura e storia marinara. Marco ha illustrato molti libri e ha anche vagato in spazi "non navali" (il mondo dei Patanchi) per poi ritornare sempre al suo vecchio amore "marinaro".

 

Marco lascerà un vuoto artistico-culturale non solo a Rapallo e in Italia, ma per un ampio raggio che si estende da Dubai a New York dove per anni ha spedito quadri per Mostre a lui dedicate. L'ultima fu quella dedicata ai festeggiamenti del REX del 2013.

 

Forse qualcuno l’ha detto prima di me, non lo so, ma ci sono persone che mancano più da morte che da vive! Marco appartiene a questo ristretta categoria, ma questo concetto merita forse un chiarimento: fino a poco tempo fa lo immaginavo ritirato nel suo laboratorio ed  ero sicuro che fosse lì. Oggi mi manca perché la mia immaginazione é bloccata tra il sapere che se n’é andato per sempre e la delusione che provo nel guardare i suoi quadri che oggi sono velati di tristezza, come se avessero perso significato e persino l’autore. Ma non é così! Marco continuerà a vivere in noi con le sue opere, a navigare con noi, ad approdare in porti fumosi d’oltreoceano in cui il suo spirito si esaltava nel ricordare, a suo modo, i capitoli dell’emigrazione dei nostri avi e la grande evoluzione tecnica navale di cui amava soprattutto l’architettura.

 

Mi piace ricordare Marco chino a disegnare il suo porto di Genova, trafficato di bettoline, bunkerine, rimorchiatori e pilotine, un mondo tramontato con le sue cornici di navi passeggeri ormeggiate ai piedi delle colline verdi battute dalla tramontana. Ricordo in particolare il periodo in cui Marco amava disegnare con lo sfondo musicale di Andreas Wollenweider. Erano i tempi in cui rifuggiva il mondo e lo guardava dal suo “rifugio” di Sallutio in Toscana.

 

Marco, pur essendo ben piantato con i piedi per terra, amava veramente la natura, e la viveva nel suo modo “fantastico” da artista vero: navi che navigavano ed altre che volavano, personaggi inventati come i Patanchi e carrette piene di ruggine che esprimevano viaggi duri e sofferenti. Marco poteva essere anche uno scrittore, un poeta oppure un artista in un campo qualsiasi dell'arte.

 

Marco arrivò alla tesi di architettura rinunciando alla laurea per inseguire i suoi sogni. Ebbe un coraggio enorme! Fece il corniciaio per molti anni e dipingeva navi per passione. Quando fece la prima “esplosiva esposizione" continuò il suo lavoro con la modestia di sempre e, solo dopo una decina di anni divenne (soltanto) pittore di marina, come se altri l'avessero spinto in quella direzione. Marco non era credente ma amava il mondo, consapevole che solo un Supremo Pittore e Architetto (Dio) poteva concepirlo. Sicuramente non era credente verso tutto ciò che fu costruito ABUSIVAMENTE intorno alla Chiesa. Quel rifiuto così ostinato lo ebbe anche verso la società, la politica ed il deterioramento dei rapporti umani inficiati dal materialismo, egoismo e bassezza d'animo in generale. Marco amava la pittura, la musica e i buoni libri. La musica era l'aria che respirava e la sua casa era impregnata di magia. Cuoco eccezionale, conosceva i segreti più intimi della terra e dei suoi frutti. Amava la buona cucina e i vini genuini, ma era l'arte di proporre i suoi piatti e la condivisione con i pochi Amici a dare sacralità agli incontri.

 

 

Carlo Gatti

 

Seguono alcune e-mail dei soci di Mare Nostrum - Rapallo

-  Carissimi Amici di Mare Nostrum Rapallo,

 

Ho appreso stamattina della triste notizia di cui ci ha reso partecipi Carlo e, conoscendo Marco Locci da molti anni, sono davvero dispiaciuto e rattristato.

 

Non avevamo avuto molte occasioni d'incontro, ma sapere che lui "c'era" (e tantissime volte è stato presente in maniera fattiva nell'organizzazione di "Mare Nostrum") era sicuramente un elemento positivo e rassicurante.

 

Inoltre, alcuni anni fa, gli avevo commissionato due quadri di navi a me molto care, che aveva dipinto con le sue consuete maestria e precisione, per non parlare di quel "tocco d'artista" unico e irripetibile che continuerà sempre a vivere in tutte le sue opere che abbiamo apprezzato e continueremo ad apprezzare.

 

Ricordo in particolare quando, nell'ormai lontano 1998, andai a San Massimo per dargli alcune indicazioni per il primo di questi quadri, e rimasi estasiato delle numerose opere terminate o in lavorazione presenti un po' dappertutto nella sua casa.

 

Come tutti gli artisti di vaglia, Marco Locci continuerà vivere nelle sue opere, e noi - suoi amici "navali" - conserveremo di lui un ricordo che è difficile descrivere a parole.

 

Grazie, Marco, per quanto di  artistico - e di umano - ci hai saputo donare.

 

Dott. Maurizio Brescia

 

-  Carissimi Carlo ed Amici di Mare Nostrum, la scomparsa di un Artista è come la Luce intermittente di un Faro: indispensabile per guidare la navigazione nelle tenebre. Sentite condoglianze ai Famigliari di Marco Locci da parte di

 

Comandante Nunzio Catena  e Prof. Gabriele Moro

 

Cari Amici,

 

-  Non ho avuto il piacere di conoscere il povero Marco, ma da come ne parla Carlo, era veramente una “persona speciale”.

 

Mi sento di porgere alla famiglia le mie sentite condoglianze.

 

Cari saluti,

 

Comandante Mario Terenzio Palombo

 

 

Caro Carlo,

 

-  Ho appreso con grande tristezza la notizia che ci hai comunicato.

 

Certamente tu sei la persona che più di tutti noi lo ha conosciuto, frequentato e apprezzato come uomo e artista.

 

Per questo ti sono vicino e mi dispiace non essere presente per l'ultimo saluto a Marco, che certamente ricorderemo ogni volta che vedremo le sue opere.

 

Con affetto,

 

Comandante Roberto Donati e Proff.ssa Aurelita Persi

 

 

** Si uniscono a noi nel ricordare Marco:  Pino e Gunilla Lebano che erano AMICI molto stretti di Marco e naturalmente John, Manuela, Scipione, Hanna-Karen, Romina, Ettore e tutti gli undici nipoti.

 

 

Il contributo di Ernani Andreatta

 

-  Partecipo come tutti al dolore della famiglia per la scomparsa di Marco Locci che ho conosciuto poco ma apprezzato molto. In suo ricordo invio un suo quadro che mi dipinse e che riguardava il varo nel lontano 1906 del Brigantino

Goletta CARLO nel mare degli Scogli a Chiavari. Lo stesso veliero è anche nella foto preso dal Libro Chiavari Marinara.

Non solo, nel 2013 Amedeo Devoto rappresentò i velieri CARLO e il GIGINO mentre salvavano migliaia di "emigranti illegali" salvati dallo sterminio nazista. Questi due grandi artisti: Marco Locci e Amedeo Devoto pertanto sono uniti da un veliero storicamente importante, il CARLO appunto, che rappresentarono entrambi in diversi periodi della loro vita terrena.

Anche il materiale a seguire é stato inviato dal com.te E.Andreatta

 

Le tappe terrene di MARCO LOCCI

Nasce a Genova nel 1951

Allievo della facoltà di architettura di Genova, inizia l’attività artistica aderendo ai fermenti della cultura visiva, e non, dei primi anni settanta.

Fonda il gruppo MILOTO, particolarmente interessato ai rapporti tra fotografia e pittura.

Nel 1969 inizia ad esporre a Genova.

 

PRINCIPALI MOSTRE:

 

1976 “Ipotesi di volo” al Crippa Art Centre S. Margherita Ligure

1977 “Dalle parole ai fatti” Galleria Civica d’Arte Moderna Castello di Portofino.

1978 Prosegue l’attività con il gruppo della galleria “Cenobio Visualità” Milano

1979 Inizia “Storie dal paese dei Patanchi” creando un mondo che esplora sino ad oggi

1980 Inizia ad esporre annualmente all’antico Castello sul mare di Rapallo

opere a tema marinaro

1994 Interventi alla cava “La piana” a Carrara. Espone “Balenavela” per

“Paraxo” in una mostra su Thor Heyerdahl

1995 “Dipingere l’aria del grande cielo” Chiesa di S. Francesco a Chiavari

1996 “Minotauro, Prometeo Ulisse”, Andora

1998 “Marco Locci anche pittore di navi” Chiavari Galleria Busi

2000 “Storie dal paese dei Patanchi” Gallerie “Il Bostrico” Albissola Marina

2001 “Esercizi di stile” La Spezia Palazzina delle Arti

“Il santuario dei Cetacei” San Fruttuoso di Camogli

“Marco Locci fa il draghetto” Galleria Cristina Busi di Chiavari

2002 “… e del navigar mi è meraviglia” Galleria il Bostrico Albissola

La Via dell’Arte “Il ponte sulle nuvole”

2003 Mostra dedicata ai piloti navali a Genova

Mostra internazionale dei Cartoonist di Rapallo

2004 “Patanchi”, Museo Nazionale dell’Antartide, Genova

2005 “Marco Locci”, L’atelier d’Emmnuelle, Liegi, Belgio

“Il Lungo Orizzonte”, Galleria Cristina Busi, Chiavari

2006 “Mare Nostrum” mostra al Castello sul transatlantico Andrea Doria

2007 “Mare Nostrum” mostra al Castello l’Apparizione della Madonna di Montallegro

2008 “Esposizione presso il museo Luzzati dall’Oblò a Genova

“ Svolge un corso di elaborazione con la carta presso la Comunità Montana Ingauna”

“Presentazione ed istallazione in piazza ad Albenga di un albero eseguito in carta”

.... Sempre in quegli anni prende forma l’epopea dei Patanchi, immaginario popolo lillipuziano che affolla, come un esercito di nere formiche, tavole e tavole di una mitologia personale colma di meraviglia e di sorridente ironia. Locci descrive l’universo dei Patanchi con la minuzia di un etnografo dell’Ottocento sbarcato su un’isola remota oltre l’orizzonte. Questo gusto del viaggio per mare, e attraverso le insidie e l’incanto del mare, a partire dagli anni Ottanta dominerà la pittura di Locci. Le navi diventano protagoniste, anzi, il pittore diventa “ritrattista” di navi, personaggi che con carni di legno e di acciaio solcano il mare oscuro. Spavalde e fragili. Sole come tutti noi.

Perso per mare” è il titolo che Marco Locci aveva scelto per la Mostra appena inaugurata alla galleria Busi di Chiavari. Cristina Busi conosceva Locci da almeno venticinque anni: «Fummo presentati da Claudio Costa: Marco aveva esposto nell’ex chiesa di San Francesco un’enorme balena di legno. Stava sospesa in mezzo alla navata. Fu così che imparai a conoscere il suo gusto per il fantastico, il suo senso della magia. In galleria, senza contare le mostre collettive cui partecipava sempre, allestimmo almeno cinque personali: una si intitolava: “Locci, pittore non solo di navi”. C’erano tante invenzioni colme di umorismo surreale. Ricordo una cassettina di legno piena di rimasugli di gomma per cancellare: “La polvere degli errori”. Non riesco a credere che lui se ne sia andato». La mostra non chiude, il desiderio della famiglia di Locci è che la rassegna, che raccoglie opere di diverse stagioni creative, continui a essere visitabile. Sandra, moglie dell’artista, ha spiegato a Cristina che lui avrebbe preferito così.

A San Massimo, intanto, non smette di piangere Fausto Oneto, U Giancu, titolare del famoso Ristorante dei Fumetti, amico fraterno di Locci. Quando ha sentito l’ambulanza, Fausto è sceso subito a casa di Marco e Sandra: «Era il mio migliore amico, il più grande, una persona bellissima, un artista straordinario. Le nostre famiglie si frequentano da sempre e con lui ho passato tanti bellissimi momenti e ho condiviso tante passioni, come la musica di Tom Waits, la pittura di Rothko… fu Marco a farmeli conoscere. Qualche giorno fa ero passato da lui, dovevo fotografare alcune sue opere per una pubblicazione, la serie dei transatlantici, ma Marco era tutto preso dal suo giardino, non parlava d’altro. Adorava il suo giardino, che era disordinatissimo, quasi selvaggio. “Guarda la mia rosa bianca”, mi diceva. Era così orgoglioso del suo roseto. Vorrei che le sue ceneri riposassero proprio lì, sotto quella bellissima rosa bianca».

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Il 5 maggio 2015 Marco é salito a bordo per l’ultimo viaggio, il più misterioso, senza nemmeno avere il tempo per preparare il suo baule da marinaio. Così, all’improvviso, tradito da un insulto cardiaco nella sua casa di San Massimo, l’altra notte se ne è andato Marco Locci, pittore di navi e non solo.

Marco Locci nel suo “eremo” di San Massimo (Rapallo)

L’ultima Mostra di Marco Locci

“PERSO PER MARE”: MOSTRA DI MARCO LOCCI ALLA GALLERIA "CRISTINA BUSI"

MOSTRA: MARCO LOCCI “perso per mare”
LUOGO: Galleria Cristina Busi - Chiavari
DATA: Dal 18 Aprile al 17 Maggio 2015
orario di apertura dal martedì al venerdì 16.00/19.30; sabato e domenica 10.00/12.00 e 16.00/19.30; chiuso l'intera giornata del lunedì
INAUGURAZIONE: Sabato 18 Aprile ore 17

 

Marco Locci nasce a Genova nel 1951, vive e lavora a Rapallo.
Allievo della facoltà di architettura di Genova, inizia l’attività artistica aderendo ai fermenti della cultura visiva e non, dei primi anni ’70.

 

Marco Locci perso per mare.
Marco Locci non sa nuotare molto bene ma i suoi occhi si. Galleggiando tra le barbe grigie di Capo Horn e i suoi dolci flutti del mediterraneo osservano.
Le albe e i tramonti si rincorrono e gli occhi cercano di mettere ordine nella sequenza delle immagini testimonianza dell’eternità del tempo.
Sono le onde, gli spruzzi nel loro continuo inseguirsi che scandiscono il sapere che l’acqua ci trasmette. Così come i porti ci fanno riposare finché non riprendiamo il vagabondare e vediamo il sole, la luna, le navi volanti, i mostri, i promontori, le balene, le vele all’orizzonte come bianchi icebergs sino a che il mare torna a stendersi come si stendeva cinquemila anni fa.

 

Mare, cielo e navi sono i personaggi principali di racconti fantastici, metafore di una memoria storica personale.

Questa mostra è una raccolta di immagini che vanno dal 1992 ad oggi. Vari periodi e vari modi di affrontare la narrazione, varie idee collegate dal filo blu del mare, che diventa interprete e testimone silenzioso delle nostre azioni e col suo ipnotico movimento ci riflette e fa riflettere.

 

Marco Locci, Cento, acrilico su tela.

Il 14 Marzo 2014 ricorre il Centenario dalla fondazione della Società di Calcio AC Entella Chiavari.

La MAURETANIA  a New York

Genova – Transatlantici della N.G.I – a Ponte dei Mille

REX a New York – Manovra sotto la spinta dei rimorchiatori MORAN

NORMANDIE in evoluzione

L’ ELETTRA di Guglielmo Marconi all’ancora a Genova

Le navi degli emigranti

Il Porto Vecchio di Genova negli Anni ‘50

Genova Vecchia - Le Terrazze di marmo - 1875

... mentre tutti i cittadini sono occupati dalle compere nessuno si accorge che il povero vecchio....

“Il lungorizzonte" con le opere del pittore Marco Locci, artista attento e poliedrico che da anni porta avanti una profonda riflessione sul paesaggio marino.

 

Locci costruisce una storia fatta di miraggi e visioni fantastiche, oniriche ed a volte ironiche. Saranno presenti anche altri lavori di Locci, dalle famose navi alle fantastiche “Storie dal Paese dei Patanchi", fino alle recenti sculture, che fanno di Marco Locci un artista completo, dalle innumerevoli ed inaspettate sfaccettature.

 

La nave invisibile (dipinto acrilico su carta)

 

 

La Costa Concordia,  ultimo “sguardo” al Tigullio

 

MARCO LOCCI e i Piloti

Nella copertina di questo volume, il pittore Marco LOCCI ha raffigurato il gesto eroico del pilota genovese Giancarlo Cerruti durante l’incendio, l’esplosione e l’affondamento della petroliera cipriota HAVEN, avvenuto l’11 aprile 1991 davanti ad Arenzano.

“...In un attimo pezzi di lamiera incandescente vennero scagliati come palle di fuoco, con traiettorie orizzontali e velocissime a pochi metri dalla pilotina e siamo riusciti a raccogliere diciotto naugraghi.”

Marco Locci aveva dedicato anni di collaborazione ai Piloti del Porto di Genova con bozzetti, quadri, disegni di crest, medaglie, mostre ecc... conosceva molto bene l’ambiente ed il lavoro di ormeggio e disormeggio delle navi. Quando fui incaricato dalla Federazione dei Piloti Porti Italiani di scrivere il libro: GENOVA: STORIE DI NAVI E DI SALVATAGGI

 

(Edizione bilingue: Italiano-Inglese) - Nuova Editrice Genovese

 

Marco Locci decise di seguirmi in quell’avventura ed illustrò con molti suoi dipinti quel libro che fu subito scelto per la diffusione in Europa di “Genova Città della Cultura-2004”.

La pubblicazione di questo volume avvenne in occasione del 37° GENERAL MEETING EMPA (European Maritime Pilot Association), durante il quale fu celebrato, allo STAR HOTEL di Genova, il 40° di vita dell’Associazione dei Piloti Europei. Proprio in quell’occasione, io allestii una mostra fotografica sugli ultimi 200 anni di storia dei piloti e, sullo stesso argomento, Marco allestì una Mostra di quadri dedicati  alla storia delle Pilotine genovesi, britanniche e americane. Marco ebbe un successo strepitoso e insieme fummo invitati a proporre la stessa Mostra in una successiva importante occasione a Roma presso l’Hotel Parco dei Principi.

 

Su quel libro scrissi nei Ringraziamenti:

MARCO LOCCI, strano a dirsi, non é uomo di mare, ma un autore che ha navigato in tutti gli oceani dell’arte figurativa. Tuttavia chi lo conosce ed ora sono in molti, non riesce idealmente a separarlo dallo scenario popolato di velieri, transatlantici, gabbiani e “patanchi” che si muovono con tanta eleganza tra i suoi cieli accesi e onde cariche di vita ed energia.

 

MARCO LOCCI vive sul mare e pensa in modo marinaro, inconsapevole forse, della gioia che ci dà ogni volta che ci caliamo nella scia delle sue navi, o quando ci perdiamo tra le luci e le ombre di quei vellacci gonfi di vento in un tramonto intensamente ligustico. Dello stereotipo marinaro, a quest’originale artista manca soltanto la manualità del vecchio nostromo che riesce, con una cima in mano, a risolvere tutti i problemi in una coperta in manovra, ma di contro, egli sa cogliere, con poche pennellate, la spiritualità, la sacralità e l’immensità di quel vecchio mondo nel quale i vivi ed i morti sono così vicini da sembrare già uniti nell’eternità. A questo grande artista porgiamo un particolare ringraziamento per essersi unito a noi in questo lavoro ed averlo illustrato e tratteggiato con una parte emblematica delle sue opere.

 

Ciao MARCO, grazie per quel che ci hai donato!

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 28 Maggio 2015

 

 


SANTUARIO DEI CETACEI IN LIGURIA

SANTUARIO DEI CETACEI IN LIGURIA

Chi non conosce "Flipper" il più noto tra i delfini? Qualche anno fa una serie tv lo aveva reso celebre a mezzo mondo, facendolo diventare una specie di "Lassie del mare". Il suo successo era tuttavia scontato. Da sempre infatti i mammiferi marini sono oggetto di studio da parte degli specialisti e molta curiosità da parte del pubblico. Inoltre, tra gli animali marini i delfini sono i più amati dai bambini. Basta vedere l'età media di chi frequenta i delfinari. Ecco dunque che l'interesse scientifico si coniuga con l'amore per il mare e la sua fauna.

 

In natura un delfino vive intorno ai 30-40 anni, mentre la metà dei delfini catturati in mare muoiono entro 2 anni e la restante parte non sopravvive oltre i 5 a causa di varie malattie strettamente correlate con la vita in vasca.

 

Oggi in quasi tutti i paesi occidentali, la cattura dei delfini è vietata e possono essere mantenuti nei delfinari solo animali nati in cattività. Per avere un tasso di nascita sufficiente e prevenire gli incroci, viene utilizzata l'inseminazione artificiale.

 

MARE NOSTRUM - RAPALLO é stata ospite del LIONS CLUB RAPALLO come da locandina che riportiamo integralmente. AMA IL TUO MARE ci ha coinvolto soprattutto per l’entusiasmo dei suoi RELATORI, preparatissimi nell’argomentare le tematiche del proprio settore di appartenenza.

 

In modo particolare siamo stati affascinati dalla relazione del Dott. Guido Gnone, (Responsabile della gestione del Santuario dei Cetacei), il quale ha saputo guidarci evitando le difficoltà della terminologia scientifica che normalmente “blocca” il profano.

 

 

SANTUARIO DEI CETACEI

Il Settore viola della carta sotto riportata mostra IL SANTUARIO DEI CETACEI nel Mar Mediterraneo che bagna le coste della Toscana, Liguria, Provenza e Corsica. L’ampia zona nord occidentale a Ovest di Genova è caratterizzata da una piattaforma continentale molto ristretta, che precede una scarpata incisa da numerosi piccoli canyon sottomarini. La sua profondità massima si aggira intorno ai 2600 m.


 

 


 

Nella sua introduzione, il dott. Guido Gnone ci ha spiegato che il Torrente Polcevera (tra Ge-Sampierdarena e Ge-Sestri Ponente) segna il confine tra le due Riviere della Liguria, almeno per quanto riguarda il Santuario dei Cetacei.

 

A Levante la piattaforma continentale, che comprende metà Liguria e buona parte della Toscana (Fosso Chiarone), é ampia e degrada lentamente verso il mare aperto. In questo habitat sabbioso si sono adattati i delfini Tursiopi che sono presenti in gran numero e si possono ritenere stanziali.

 

A Ponente del Polcevera, la piattaforma continentale é molto stretta e precipita subito verso fondali che raggiungono e superano talvolta i 2.000 metri. Questo habitat, caratterizzato da fiordi abissali, costituisce il polo d’attrazione per molti mammiferi marini che dispongono di grande capacità polmonare e sono adatti alla caccia in apnea.

 

Una serie di fattori caratterizzano l’area del SANTUARIO DEI CETACEI:

 

- l’azione dei venti di maestrale e di tramontana

 

- del gioco delle correnti

 

- la condizione di omeotermia invernale consentono il rimescolamento delle acque e la conseguente risalita in superficie dei sali nutritivi, che in altri mari rimangono in gran parte confinati nelle acque profonde.

 

L'apporto di tali sostanze permette lo sviluppo del fitoplancton, che si trova alla base della rete alimentare e costituisce il nutrimento dello zooplancton, a sua volta preda di pesci, cefalopodi e mammiferi marini. Il gamberetto Eufasiaceo Meganyctiphanes norvegica, infatti è l'alimento principale della Balenottera comune (Balaenoptera physalus), la quale, insieme ad altre sei specie di cetacei, frequenta regolarmente le acque del Mar Ligure.

 

L'abbondanza di nutrimento fa sì che, nell'ambito del Mar Mediterraneo, le acque alto tirreniche rappresentino una delle aree a maggior concentrazione di cetacei. Ognuna delle specie presenti è caratterizzata da un habitat preferenziale, strettamente correlato alla profondità del fondale; possiamo così distinguere specie costiere, di scarpata, pelagiche. Tuttavia, non esistendo in mare confini precisi, i mammiferi marini possono spostarsi liberamente ed essere talvolta avvistati in zone inusuali.

In altre parole si può dire che le particolari caratteristiche chimico-fisiche indotte dalla morfologia e dalla circolazione delle acque, rendono il tratto di mare tra Sardegna, Toscana, Liguria, Principato di Monaco e Francia una delle zone più ricche di vita del Mediterraneo. Si tratta di un’altissima concentrazione di mammiferi marini.

 

Una serie di studi ha rilevato che in questa zona del Mar Mediterraneo vi è una massiccia concentrazione di cetacei, grazie soprattutto alla ricchezza di cibo, come abbiamo visto. I mammiferi marini sono rappresentati da dodici specie : la balenottera comune (Balaenoptera physalus) il secondo animale più grande al mondo (secondo solo alla balenottera azzurra), il capodoglio (Physerter macrocephalus), il delfino comune (Delphinus delphis), il tursiope (Tursiops truncatus), la stenella striata (Stenella coeruleoalba) , il globicefalo (Globicephalua melas), il grampo (Grampus griseus), lo zifio (Ziphius cavirostris). Più rari, la balenottera minore (Balaenoptera acutorostrata), lo steno (Steno bredanensis) , l’orca (Orcinus Orca) e la pseudorca (Pseudorca crassidens.

 

Ci sono voluti dieci lunghi anni, ci hanno spiegato, affinché si giungesse alla creazione del Santuario Internazionale dei Cetacei del Mediterraneo. Sono stati anni di lavoro e impegno per molte persone che hanno creduto in un progetto e insieme sono riuscite a realizzarlo.

ALCUNE DATE IMPORTANTI

1978-1985 - Il "Progetto Cetacei"

Il primo progetto di monitoraggio a livello nazionale, denominato "Progetto Cetacei", viene coordinato dal Dr. Antonio Di Natale, con la partecipazione dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Messina, dei Musei Civici di Storia Naturale di Milano e di Venezia, dello Stato Maggiore della Marina Militare ed il WWF-Italia.

 

1989-1991 - Il "Progetto Pelagos"

L’Istituto Tethys propone il "Progetto Pelagos", per la creazione di una Riserva della Biosfera nel bacino Corso-Liguro-Provenzale, che mostra la più alta concentrazione di cetacei tra tutti i mari italiani e probabilmente rappresenta l’area faunisticamente più ricca dell’intero Mediterraneo. Nel bacino si trova inoltre il principale sito di alimentazione per la balenottera comune in Mediterraneo.

 

In territorio italiano, il Santuario per i mammiferi marini è stato istituito nel 1991 come Area Naturale Marina Protetta di interesse internazionale, e occupa una superficie a mare di 2.557.258 ha (circa 25.573 km2) nelle regioni Liguria, Sardegna, e Toscana.

 

1993 - Primo passo ufficiale

 

Il giorno 22 marzo i rappresentanti dei Ministeri dell'Ambiente di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco firmano a Bruxelles una Dichiarazione relativa all'istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei del Mar Ligure.

 

1999 - Il Santuario diventa realtà

 

L’Area marina protetta internazionale fu invece istituita IL 25 novembre 1999, con il contributo scientifico dell'Istituto Tethys, grazie all'iniziativa del Rotary Club Milano Porta Vercellina, all'intervento del Rotary International e al sostanziale contributo di AERA (Associazione Europea Rotary per l'Ambiente). Importantissima é stata la collaborazione dei tre paesi nel quale il Santuario è compreso. L’area di circa 100.000 Km2 comprende le acque tra Tolone (costa francese), Capo Falcone (Sardegna occidentale), Capo Ferro (Sardegna orientale) e Fosso Chiarone (Toscana). L'accordo verrà ratificato dal Governo Italiano nel 2001 con la L.391.

 

1999 - Progetto SOLMAR

 

Nel 1999 prende avvio il Progetto Solmar (Sound, Ocean and Living Marine Resources), la più grande ricerca sui Cetacei esistente al mondo, svolta dal Nato Undersea Research Centre in collaborazione con numerosi Istituti di varie Paesi. Il progetto, che prevede uno studio dettagliato dei cetacei e delle condizioni oceanografiche e biologiche dell'ecosistema pelagico nell'area del Santuario Pelagos, è previsto sino al 2008 ed utilizza tutte le più avanzate tecniche esistenti.

 

 

Nel 1992 venne effettuato un censimento sulla superficie di quello che sarebbe divenuto il Santuario dei cetacei da parte dell'Istituto Tethys, da Greenpeace e dall'Università di Barcellona , che consentì la stima numerica delle stenelle (32.800 esemplari) e delle balenottere comuni (830 esemplari) presenti nella zona nel periodo estivo.

 

Un recente rapporto di Greenpeace ha però documentato un drammatico calo delle popolazioni di cetacei presenti ed una inadeguatezza delle misure di tutela messe in atto. I dati raccolti da Greenpeace ad agosto 2008 riportano la presenza solo di un quarto delle balenottere e meno di metà delle stenelle rilevate negli anni novanta.

 

 

L'obiettivo principale del progetto è il miglioramento dello stato di conservazione del delfino tursiope (Tursiops Truncatus), essendo questa la specie costiera tra cetacei del Mediterraneo più esposta alle minacce causate dall'attività umana e dallo sfruttamento delle risorse. Il Consorzio Liguria Via Mare è l'unica compagnia di whale watching in Italia ad essere partner sostenitore del progetto.

 

 

Il progetto Arion propone la realizzazione di un sistema di prevenzione di interferenze in grado di rilevare e monitorare i delfini, di identificare le minacce e di prevenire le collisioni e altri rischi tramite la diffusione di messaggi di avvertimento presenza in tempo reale a tutte le categorie interessate (turisti, pescatori professionisti e sportivi, Area Marina Protetta). Il protocollo di comportamento per ridurre i rischi per la specie è stato sviluppato e concordato con i soggetti coinvolti, in collaborazione con la sezione locale della Guardia Costiera.

L'area selezionata per la dimostrazione del sistema può essere considerata come un "Case Study", in quanto vi si trova una popolazione residente di tursiopi, frazione importante della popolazione nord-occidentale del Mediterraneo, e la maggior parte delle attività antropiche di cui sopra sono presenti nella zona.

Il progetto intende dimostrare l'efficacia dello strumento proposto per la riduzione delle minacce ed il miglioramento della conservazione, per appurare la possibilità di essere ripetuto e portato avanti con facilità in altre aree del Mediterraneo.

Gli obiettivi specifici sono quelli di evitare il declino del numero di individui, riducendo le minacce e monitorando l'uso dell'habitat da parte dei delfini e la loro abbondanza, di minimizzare i rischi agendo tempestivamente ogni qualvolta la presenza di delfini viene rilevata nei pressi di una attività antropica in corso, 24 ore su 24 per tutto l'anno, e di fornire tutta una serie di informazioni circa la presenza e il comportamento della specie nella zona, nonché delle attività antropiche concorrenti.

 

 

Il sito del progetto Arion è www.arionlife.eu

 

 

 

Il progetto nasce nel 2001 con l’obiettivo principale di valutare la presenza e le abitudini dei Cetacei lungo le acque della Liguria. Particolare interesse è rivolto al tursiope (Tursiops Truncatus), un delfino dalle abitudini prevalentemente costiere e dunque più soggetto all’impatto delle attività dell’uomo.

 

Le ricerche vengono condotte solitamente a bordo di gommoni e l'area di studio è costituita dalle acque costiere comprese tra Genova e La Spezia. I dati raccolti durante le uscite del Consorzio Liguria Via Mare, prima compagnia di whale watching in Italia ad aver aderito, sin dal 2001, allo studio Delfini Metropolitani, vengono inseriti nel database del progetto.

 

Lo studio procede attraverso la raccolta di immagini fotografiche che permettono ai ricercatori di identificare gli animali avvistati (foto-identificazione). Tale metodologia permette di stimare l’abbondanza delle popolazioni, seguire gli spostamenti degli individui e valutare la loro fedeltà all’area di studio. I dati vengono inoltre periodicamente confrontati con quelli raccolti da altri gruppi di studio che operano in regioni limitrofe, partner scientifici del progetto Delfini Metropolitani. L’aumento delle conoscenze sulla biologia delle specie costiere e la valutazione dell’interazione con le attività umane, come la pesca ed il traffico marittimo, potranno fornire informazioni essenziali per lo sviluppo di programmi di conservazione e gestione dell’ambiente marino costiero.

Il sito del progetto Delfini Metropolitani è www.delfinimetropolitani.it

Delfino Comune

Delphinus delphinus

Nonostante il nome Delfino comune indichi una grande distribuzione ed abbondanza, questa specie ha subito una grave riduzione della popolazione negli ultimi anni. Nel bacino mediterraneo la causa principale di questa diminuzione è stata la caccia per scopi alimentari. Il mosciame di delfino o filetto di delfino, era servito nei ristoranti sino agli inizi degli anni ‘50. Oggi la popolazione sembra dare segni di ripresa, in particolare nell’area occidentale del Mediterraneo. La tipica colorazione ed il disegno a clessidra sui fianchi sono caratteri distintivi della specie. Il dorso è grigio-nero, la zona anteriore della clessidra è giallo vivace, mentre il ventre è bianco candido. Una ben evidente striatura nera congiunge il rostro alle pinne pettorali. Gli occhi sono contornati da una mascherina nera. Il corpo esile ed agile di questi delfini li rende degli abili nuotatori, capaci di raggiungere velocità pari a 35 nodi (70 Km/h). I delfini comuni sono particolarmente attivi nel gioco, eseguono spesso il porpoising (tuffo a testa in giù) ed il lobtailing (schiaffeggio dell'acqua con le pinne).

Caratteristiche: Lunghezza 2 - 2,5 m / Peso adulto 70 - 100 kg / Peso nascita 10 kg / Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui

Morfologia e dimensioni: Il delfino comune ha le dimensioni e morfologia simili a quelle della stenella striata eccetto che per il rostro, leggermente più sottile ed allungato. Alla nascita misura 80-90 cm, mentre gli adulti hanno una lunghezza attorno ai 2 metri ed un peso di circa 90 Kg.

 

Colorazione: Il dorso è grigio scuro, il ventre di colore bianco. Sui fianchi è presente un peculiare disegno a clessidra,la cui parte anteriore è di color crema.

 

Nuoto e ritmo respiratorio: Simile a quella della stenella striata: anch’esso è in grado di compiere salti ed acrobazie e di raggiungere elevate velocità.

 

Alimentazione: Anche il delfino comune, come la stenella striata, basa la sua dieta su pesci, cefalopodi e crostacei.

Comportamento sociale: E' un cetaceo altamente gregario, che può occasionalmente riunirsi in branchidi centinaia di esemplari. E’ facile vederlo nuotare in compagnia di stenelle o tursiopi. Anche per il delfino comune, come per la stenella striata, le informazioni su composizione e struttura sociale dei branchi sono scarse.

Ciclo vitale: Non esistono dati per quanto riguarda il Mar Ligure; in altre zone del Mediterraneo, la maturità sessuale è raggiunta nei maschi fra i 5 ed i 12 anni, nelle femmine tra i 6 ed i 7 anni. La gestazione dura 10 – 11 mesi. Sembra che la specie arrivi ad almeno 20 anni di età. 

Riconoscimento in mare: Può essere distinto dalla stenella striata per la diversa colorazione dei fianchi. Negli ultimi decenni la sua presenza in Mar Ligure è sensibilmente diminuita, pertanto gli avvistamenti sono divenuti molto rari.

Tursiope

 

Tursiops truncatus (Montagu, 1821)

Il Tursiope è la specie di delfino più conosciuta. La sua grande capacità di

 

adattamento e quindi di sopravvivere in cattività, lo rende spesso protagonista di molti film e star di tanti spettacoli. Il corpo è particolarmente slanciato e dalle forme idrodinamiche. Il capo è caratterizzato dalla presenza del “melone”. Questo rigonfiamento ospita un biosonar (analogo a quello dei pipistrelli) utilizzato per l’eco-localizzazione, che permette ai delfini di vedere e orientarsi anche al buio.
Grazie all’ecolocalizzazione un Tursiope è in grado di vedere nel buio completo una pallina di 2 cm di diametro fino a 70 metri di distanza.
Il Tursiope è un delfino caratterizzato da un’elaborata struttura sociale, una grande capacità di apprendimento ed un elevato senso dell’altruismo. La sua capacità di osservazione e collaborazione è molto avanzata ed è oggetto di studio da parte degli uomini. È una specie che mostra una grande curiosità nei confronti delle imbarcazioni e spesso instaura rapporti di amicizia anche con gli esseri umani.

Caratteristiche: Lunghezza 2 - 4 m / Peso adulto 150 - 600 kg /Peso nascita 15 kg / Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 10 individui

Centinaia se non migliaia di tursiopi vivono in cattività in tutto il mondo, sebbene sia difficile stimare un numero preciso.

 

Morfologia e dimensioni: Di corporatura possente e muscolosa, è una specie in cui il maschio è leggermente più grande della femmina; La lunghezza media negli esemplari adulti è di circa 3m, il peso mediamente di 320 Kg. Il piccolo, alla nascita, misura circa un metro. Il capo presenta un melone pronunciato ed un rostro relativamente corto e tozzo.

 

Colorazione: grigia con varie tonalità e sfumature: il grigio del dorso diviene più chiaro sui fianchi, il ventre appare di colore bianco.

 

Nuoto e ritmo respiratorio: il tursiope ha un nuoto possente ed è in grado di raggiungere velocità che superano i 30 Km/h; possiede notevoli capacità acrobatiche e spesso si porta nei pressi delle imbarcazioni facendosi spingere dall’onda di prua. Può immergersi fino a qualche centinaio di metri restando in apnea per un massimo di circa 8 minuti.

 

Alimentazione: si nutre prevalentemente di pesce (cefali, acciughe, sardine, sgombri, etc.), completando la sua dieta con molluschi cefalopodi (calamari, seppie e polpi) ed all’occorrenza crostacei.

Comportamento sociale: vive in piccoli branchi (di 5–10 individui) caratterizzati da forti legami sociali. Esistono gruppi di sole femmine con i cuccioli ed altri composti da solo maschi, che si uniscono alle femmine nel periodo riproduttivo.

Ciclo vitale: Le femmine raggiungono la maturità sessuale intorno ai dieci anni di vita, i maschi tra i dieci ed i tredici anni. L’accoppiamento e le nascite avvengono generalmente in estate. Dopo la gestazione, di circa dodici mesi, i piccoli restano con la madre per circa due anni,fino al termine dello svezzamento. I tursiopi possono raggiungere l’età massima di circa 40 anni.

Riconoscimento in mare: segnali della sua presenza possono essere la comparsa in superficie della pinna dorsale e del dorso, nel momento in cui l’animale emerge per respirare, o gli spruzzi provocati dal suo movimento nell’acqua (salti e nuoto veloce). Il tursiope è un cetaceo poco frequente in Mar Ligure, specialmente nella porzione occidentale; infatti, risulta essere una delle specie meno avvistate durante le escursioni di whale watching.

Stenella Striata

La Stenella striata è il delfino più abbondante del Mediterraneo. È assai facile avvistare gruppi molto numerosi di Stenelle durante la navigazione perfino a bordo di traghetti e navi. Questi delfini, agili e vivaci, vivono lontano dalle coste in acque piuttosto profonde, ed accettano di buon grado gli incontri con le imbarcazioni. Spesso sfruttano le onde create dalle barche per giocare, esibendosi in tuffi e straordinari salti sopra la superficie dell’acqua. I salti più spettacolari raggiungono l’altezza di 7 metri. Questo delfino è esile e slanciato, il capo appare sottile, con il rostro (muso) molto allungato.
La colorazione è caratterizzata da un’evidente sfumatura chiara, a forma di fiamma, sui fianchi del corpo. Il dorso è scuro mentre il ventre appare più chiaro. Una mascherina scura contorna entrambi gli occhi, prolungandosi in una sottile striscia che arriva fino alle pinne. La colorazione particolare del capo dona un aspetto furbo e simpatico agli esemplari di questa specie.

La Stenella striata è il delfino più abbondante del Mediterraneo. È assai facile avvistare gruppi molto numerosi di Stenelle durante la navigazione perfino a bordo di traghetti e navi. Questi delfini, agili e vivaci, vivono lontano dalle coste in acque piuttosto profonde, ed accettano di buon grado gli incontri con le imbarcazioni. Spesso sfruttano le onde create dalle barche per giocare, esibendosi in tuffi e straordinari salti sopra la superficie dell’acqua. I salti più spettacolari raggiungono l’altezza di 7 metri. Questo delfino è esile e slanciato, il capo appare sottile, con il rostro (muso) molto allungato.
La colorazione è caratterizzata da un’evidente sfumatura chiara, a forma di fiamma, sui fianchi del corpo. Il dorso è scuro mentre il ventre appare più chiaro. Una mascherina scura contorna entrambi gli occhi, prolungandosi in una sottile striscia che arriva fino alle pinne. La colorazione particolare del capo dona un aspetto furbo e simpatico agli esemplari di questa specie.

 

Caratteristiche: Lunghezza 2 - 2,5 m / Peso adulto 90 - 150 kg / Peso nascita 10 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui / Status comune

Morfologia e dimensioni: è un piccolo delfino dalla forma slanciata e dalla lunghezza massima di un paio di metri, con un peso intorno ai 100 Kg. Rispetto al tursiope, presenta un rostro più snello ed allungato. Il neonato pesa circa 11Kg. E misura quasi un metro.

 

Colorazione: sui fianchi sono ben evidenti le striature che danno il nome alla specie. Caratteristica è anche una “fiamma” biancastra, variabile per intensità e lunghezza, che, partendo dai lati del capo, si protende verso la base della pinna dorsale. Il dorso è di colore grigio scuro, il ventre è bianco talvolta rosato.

 

Nuoto e ritmo respiratorio: è uno dei cetacei più agili e veloci, in grado di raggiungere i 40 Km/he di compiere spettacolari acrobazie. Spesso si avvicinano alle imbarcazioni nuotando nell’onda di prua; non è raro vederlo in un simile comportamento anche nei pressi delle balenottere comuni. Le sue apnee possono durare qualche minuto e si ritiene che durante le immersioni raggiunga anche qualche centinaio di metri di profondità.

 

Alimentazione: specie “generalistica”, che può cibarsi di varie specie di pesci, calamari e crostacei a seconda delle disponibilità. La dentatura è ben sviluppata su entrambe le mascelle. Alcuni studi hanno evidenziato che, per procacciarsi il cibo, durante la notte la stenella striata tende ad avvicinarsi alla costa.

Comportamento sociale: in Mar Ligure, la stenella striata vive in gruppi costituiti in media da una ventina di esemplari, la cui struttura sociale è attualmente studiata dai ricercatori del Tethys Research Institute.

Ciclo vitale: probabilmente, come in altre zone del mondo, maschi e femmine raggiungono la maturità sessuale all’età di 9 anni. La gestazione dura 12 mesi, mentre le nascite sono concentrate nel periodo estivo. L’intervallo tra un parto e l’altro varia da 1,5 a 3 anni;la longevità suoera i 30 anni. 

Riconoscimento in mare: spesso è avvistabile anche da una certa distanza, grazie agli spruzzi provocati dai suoi salti sulla superficie dell’acqua. Le ridotte dimensioni e la colorazione dei fianchi permettono di distinguerla dalle altre specie. E’ il cetaceo più diffuso ed avvistato nel Mar Ligure; si stima che, nel periodo estivo, la sua popolazione nell’area ammonti ad oltre 30.000 esemplari.

Questo delfino è comunemente chiamato “delfino serpente”. Il capo privo della piega che separa il “muso” dalla fronte, appare molto appuntito e sottile e gli occhi decisamente grandi lo rendono simile ad un rettile. L’aspetto particolare e poco rassicurante lo rendono una specie poco amata dal pubblico. Inoltre il carattere schivo e la rarità degli avvistamenti non aiutano i ricercatori a scoprire i molti misteri che ancora circondano questo strano animale. Le sue apnee si prolungano per oltre 15 minuti e per tale motivo è assai difficile da seguire in mare aperto. Le poche osservazioni effettuate fanno tuttavia presupporre l’esistenza di gruppi numerosi, composti da individui di entrambi i sessi. Inoltre gli avvistamenti testimoniano una grande abilità nel nuoto, ed una elevata acrobaticità.

Caratteristiche: Lunghezza 2 - 3 m / Peso adulto 100 - 150 kg / Peso nascita non conosciuto / Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 15 individui / Status non conosciuto

 

 

 


 

Il Grampo è un delfino molto particolare per la colorazione, l’aspetto del capo e la mancanza di rostro. La testa appare infatti tondeggiante, con un’infossatura longitudinale che unisce l’apice del muso allo sfiatatoio, da cui deriva il nome di “delfino ariete”, che venne assegnato ai primi esemplari osservati. I rappresentanti di questa specie si riconoscono in mare piuttosto facilmente grazie al loro aspetto vissuto e combattuto. Gli individui presentano alla nascita una colorazione grigio chiara, con il dorso leggermente più scuro. Con il passare degli anni, il corpo si ricopre di estese cicatrici bianche provocate dai combattimenti con altri adulti. I Grampi più anziani appaiono spesso quasi completamente bianchi per l’abbondante presenza di graffi e lesioni. Il carattere di questi animali è socievole ed il gioco è assai frequente. Spesso si osservano lo spyhopping (emersione del capo in verticale per osservare), il lobtailing (schiaffeggio dell’acqua con la coda), ed il porpoising (tuffo di testa). Il Grampo ancora oggi, in alcuni paesi come il Giappone, viene catturato per scopi alimentari. Nel Mediterraneo i rischi maggiori sono causati dalla cattura accidentale nelle reti da pesca, dove muore per soffocamento.

 

 

Caratteristiche: Lunghezza 3 - 4 m / Peso adulto 300 - 500 kg / Peso nascita non conosciuto / Dieta calamari, pesci /Gruppo 3 - 30 individui / Status comune

 

 

 

 

 


 

 

Questo delfino si distingue nettamente dagli altri rappresentanti della famiglia per la forma del capo e della pinna dorsale. Il capo, come indicato dal nome, è tondeggiante con il melone molto pronunciato e bombato ed il rostro quasi del tutto assente. La pinna dorsale è caratterizzata da una base molto larga e da una forma assai ricurva e falcata. Le pinne pettorali sono allungate, con il gomito ben evidente negli esemplari più anziani. I Globicefali sono animali decisamente gregari, e i gruppi sono spesso composti da numerosi esemplari. E proprio questa tendenza alla gregarietà è forse all’origine degli spiaggiamenti di massa, tipici della specie. Ancora oggi non si è in grado di fornire delle spiegazioni adeguate ai fenomeni di spiaggiamento ma si ritiene che la coesione degli individui porti i gruppi a seguire gli esemplari in difficoltà sino allo spiaggiamento collettivo.

 

 

Caratteristiche: Lunghezza 4 - 6 m / Peso adulto 2 - 3,5 t / Peso nascita 75 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 10 - 30 individui.

 

 

 

 


 

 

Il Capodoglio è l’odontocete (Cetaceo con i denti) di maggiori dimensioni. Il suo corpo misura fino a 18 metri ed alla nascita il piccolo ha già una lunghezza di 4 metri. Il capo è molto grande, squadrato e schiacciato. La testa raggiunge un terzo della lunghezza complessiva del corpo. Al suo interno è presente lo “spermaceti”, un particolare organo composto da sostanze oleose che, per aiutare la fase di immersione, vengono compresse all’estremità del muso per sbilanciarlo in avanti come una zavorra.
 Il Capodoglio è il detentore del record d’immersione dei Cetacei. Può  infatti raggiungere i 3000 metri di profondità restando sott’acqua senza respirare per oltre due ore.
La sua dieta è costituita da pesci d'ogni genere ma la prede preferite sono i calamari. Anche i calamari giganti sono frequentemente cacciati dal Capodoglio durante le immersioni in profondità, come dimostrato dai segni di combattimento sugli esemplari studiati. In mare questo odontocete è facilmente riconoscibile per il caratteristico soffio prodotto dallo sfiatatoio. Lo spruzzo è basso, denso ed angolato verso sinistra. Durante l’immersione l’enorme coda si distende completamente fuori dall’acqua.

 

 

Caratteristiche: Lunghezza 11 - 18 m /Peso adulto 20 - 50 t / Peso nascita 1 t.

 

Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 6 individui

 

 

 

Lo Zifio è l’unico rappresentante della famiglia degli Zifidi presente nel Mediterraneo, benchè sia assai raro da avvistare.
Il corpo, tozzo e robusto, appare simile ad un siluro. Osservando con attenzione il capo si nota come manchi la linea di demarcazione tra fronte e rostro ma certamente l’aspetto che maggiormente colpisce è quello della bocca. La linea boccale ha una caratteristica forma ad “S” che conferisce una sorta di perenne sogghigno ai rappresentanti di questa specie. La mandibola, inoltre, sporge rispetto alla mascella superiore. Nei maschi due piccoli denti sono ben visibili anche quando la bocca è totalmente chiusa. Questa specie racchiude ancor oggi molti segreti e poche sono le informazioni in possesso dei ricercatori. La mancanza di informazioni trova una spiegazione nel carattere timido e schivo di questo animale. Le rare notizie di cui disponiamo sono state rinvenute, purtroppo, attraverso l’analisi di animali spiaggiati.

 

 

Caratteristiche: Lunghezza 5 - 7 m / Peso adulto 2 - 3 t / Peso nascita 250 kg /Dieta calamari, pesci / Gruppo 1 - 10 individui

 

 


 

 

 

Insieme alla Balenottera minore è l’unico rappresentante dei misticeti presente nel Mediterraneo. La Balenottera comune dopo la Balenottera azzurra è l’animale più grosso della terra. Il suo corpo può raggiungere la straordinaria lunghezza di 27 metri con un peso di circa 70 tonnellate. Un individuo adulto di Balenottera comune necessita di quasi una tonnellata di cibo al giorno, che viene filtrato attraverso i fanoni. La dieta è costituita da plancton, krill e minuscoli pesci. Il piccolo di Balenottera alla nascita misura più di 5 m con un peso che si aggira intorno alle 2 tonnellate. Ogni giorno il neonato si alimenta con 100 kg di latte materno. Questo nutrimento, particolarmente ricco di grassi, permette alla giovane balenottera di crescere di 3 cm al giorno, aumentando quotidianamente il proprio peso di 60 kg. In sei mesi di vita raggiunge la lunghezza di 12 m. La vita di questi grandi misticeti è assai longeva, molti individui raggiungono e superano i 100 anni di età.

 

 

Caratteristiche: Lunghezza 18 - 22 m / Peso adulto 30 - 80 t / Dieta plancton, pesci /Gruppo 1 - 6 individui

 

 

La Balenottera minore è la più piccola della famiglia dei Balenotteridi. Il suo capo, come indicato dal nome scientifico, ha una forma molto appuntita ed è dotato di una cresta sporgente che collega l’apice del muso con lo sfiatatoio (narici modificate e posizionate nella zona più alta del capo). Il corpo piccolo e tozzo è di color grigio ardesia sul dorso e bianco-rosa nelle zone ventrali. Le pinne pettorali, appuntite e lanceolate, presentano evidenti bande bianche in netto contrasto con la colorazione scura del corpo. Le dimensioni ridotte di quest’animale consentono agli individui di esibirsi piuttosto spesso in spettacolari salti fuori dall’acqua. Il tuffo può essere di pancia, di fianco o più raramente di testa. La Balenottera minore ha un carattere socievole. La sua curiosità la spinge ad avvicinarsi frequentemente alle imbarcazioni e ad interagire con l’uomo.

Caratteristiche: Lunghezza 7 - 10 m / Peso adulto 5 - 15 t / Peso nascita 350 k / Dieta Plancton, pesci / Gruppo 1 - 3 individui

Whale Watch

L’escursione: Lo scopo d’ogni escursione è di avvistare i cetacei nel loro ambiente naturale, avvicinarli ed osservarli senza recare loro alcun disturbo, seguendo un adeguato codice di condotta. La permanenza in mare è di circa 5 ore.

 

La ricerca: A bordo è sempre presente un biologo per commentare gli avvistamenti e per raccogliere i dati relativi. Tale impegno ci permette di collaborare con molti istituti di ricerca italiani e stranieri fra cui Woods Hole Oceanographic Institution (USA), Istituto Tethys di Milano, Università degli Studi di Siena, Milano e Genova.

 

Condizioni meteo: Onde garantire una buona navigazione ed affinché vi siano le condizioni ideali per gli avvistamenti, viene svolto un controllo giornaliero dei bollettini meteo, E’ comunque facoltà insindacabile del comando di bordo rinunciare alla partenza senza preavviso o rientrare in porto anticipatamente qualora le condizioni del mare presentino peggioramenti.

 

Consigli utili: L’abbigliamento del “Whale Watcher” è decisamente sportivo. E’ consigliata una leggera giacca a vento ed una crema protettiva. L’equipaggiamento va completato con attrezzatura foto-video adeguata binocoli.

 

Delfini e Balene nel Mar Ligure: Il mar di Liguria e di Corsica, dal 1993 dichiarati area protetta per la tutela dei cetacei con il nome di "Santuario Internazionale", presentano un'altissima concentrazione di questo ordine di mammiferi marini. Osservando con attenzione la superficie delle acque di questa zona è possibile incontrarne regolarmente almeno otto specie diverse.

 

Sono in grado di compiere delle acrobazie fuori dall'acqua, il cui significato non è ancora chiaro. Tra queste le più comuni sono:

 

Leaping: saltare completamente fuori dall'acqua;

 

 

Tailspinning: "camminare" all'indietro sull'acqua utilizzando la coda come perno;

 

 

Lobtailing : sbattere la pinna caudale sulla superficie dell'acqua;

 

 

Bow : saltare verticalmente completamente fuori dall'acqua.

 

 

Bowriding: nuotare sulle onde lasciate dalla prua delle imbarcazioni;

 

 

Breaching: effettuare dei "tuffi" fuori dall'acqua;

 

Focena attaccata e uccisa da un tursiope. Scozia, maggio 2005

 

Sono animali predatori, e spesso mostrano dei comportamenti aggressivi, che comprendono combattimenti tra maschi per le femmine e aggressioni nei confronti di altri piccoli delfini. La popolazione che vive in Scozia pratica l'infanticidio, e ricerche svolte dall'Univwersità di Aberdeen hanno dimostrato che i tursiopi uccidono le focene (Phocoena phocoena).

 

 

 

La focena o marsuino (Phocoena phocoena (Linnaeus, 1758)) è una delle sei specie di focena. È uno dei più piccoli mammiferi oceanici del mare. Come indica il suo nome comune inglese (Harbour porpoise, focena dei porti) risiede nei pressi delle aree costiere o degli estuari dei fiumi e per questo è la focena più familiare ai whale watchers. Spesso questa focena si avventura nei fiumi ed è stata vista a centinaia di miglia dalla costa.

Questo servizio é dedicato a mio nipote LEO amante delle Scienze Biologiche e della natura in generale!

Carlo GATTI

Rapallo, 23 Maggio 2015

 


GEORGES VALENTINE - Versione per IL MARE (Rivista Mensile)

GEORGES VALENTINE

IL VELIERO CAMOGLINO RITROVATO

 

 

Versione ridotta per la Rivista Mensile IL MARE - Rapallo

Com’é noto, la gente di mare di Liguria ama le montagne e spesso trascorre le vacanze frequentando i “rifugi alpini”, ma nessuno di loro, fino a pochi mesi fa, aveva mai sentito parlare di “case rifugio per naufraghi” che esistevano oltremare nei punti più pericolosi per la navigazione. Le “case rifugio”, figlie misericordiose del periodo più duro della navigazione a vela, erano lì a vegliare sui costoni rocciosi a picco sull’oceano, dove le correnti e le tempeste spingevano i “legni senza governo”. In quei cimiteri di navi finiva la loro esistenza e spesso anche il loro ricordo. I guardiani, veri angeli solitari della Provvidenza, quando era possibile accoglievano quei “POVERI CRISTI” che cadevano vittime delle tempeste e furono gli ultimi testimoni dell’epopea della vela ormai avviata al tramonto.

Costruita nel 1875, la Casa Rifugio di Gilbert's Bar é l'unica rimasta delle dieci edificate dal Governo degli Stati Uniti lungo la costa orientale della Florida per offrire  assistenza ai superstiti dei tanti naufragi che avvenivano lungo quel tratto di costa. Spesso, chi riusciva a raggiungere la riva, era traumatizzato, ricoperto di ferite e generalmente moriva dissanguato per mancanza di soccorsi.


Dopo un felice periodo, il PiroscafoCape Clear”, fu venduto ad una compagnia di Navigazione Francese che lo trasformò in brigantino a palo. Un’idea in controtendenza: le fu tolta la parte motrice e da quel momento fu condannato a navigare a vela in mari tempestosi, come se la Rivoluzione Industriale non fosse mai passata da quelle parti... Una pazzia? Forse! Ma all’epoca non tutto lo shipping era d’accordo sull’economicità del motore.

Divenne quindi “Georges Valentine” e nel 1895 fu acquistata dagli armatori camogliesi Mortola e Simonetti  e venne adibita a viaggi regolari  per il trasporto del legname.

Nell'ottobre del 1904, il brigantino a palo Georges Valentine salpò da Pensacola per Buenos Aires con un carico di travi di mogano. L'equipaggio era formato da dodici uomini di differenti nazionalità, al comando del Capitano camoglino Prospero Mortola, detto “Testaneigra”.

Improvvisamente, mentre si trovava nello stretto della Florida, il brigantino fu investito da un fortunale che lo bastonò a lungo fino a costringere il Capitano al “gettito” a mare del carico che aveva in coperta: era l’ultimo tentativo di recuperare galleggiamento e stabilità.

 

Capitan Mortola manovrò le vele basse rimaste integre per mantenere il veliero in acque profonde, e lo fece con la perizia di un vero “lupo di mare”; ma tutto fu inutile. Il Georges Valentine scarrocciò inesorabilmente verso la costa di sottovento fin quando, verso le 20.00 del 16 ottobre, nel fragore delle onde che si rompevano contro la  scogliera, la poppa urtò il fondale roccioso e in breve tempo l'intero scafo fu sospinto contro la costa disintegrandosi. Uno dopo l’altro i tre alberi d’acciaio caddero devastando il ponte e uccidendo un membro dell’equipaggio. Le sovrastrutture e le lance di salvataggio furono spazzate in mare dalle onde che poi le scagliavano sulle spiagge e sulle rocce diventando proiettili devastanti per chi si trovava nel loro raggio d’azione. In quella notte di tregenda i naufraghi del veliero di Camogli, si trovarono soli con se stessi in quel mare nero macchiato a tratti di schiuma viva e traditrice.

Qui comincia l’incredibile storia dei superstiti del Georges Valentine.

 

Il marinaio svedese Victor Erickson, trascinando a braccia l’esausto ufficiale Ernest Bruce, risalì l’impervia costa rocciosa fino a raggiungere la Casa Rifugio di Gilbert's Shoal. Giunto ormai al limite delle forze riuscì con eroico senso del dovere a dare l’allarme e organizzare insieme a Capitano William  Rea, responsabile della struttura, l’immediata ricerca degli altri naufraghi.

 

Erickson non si diede per vinto. Dopo aver raggiunto la sommità del crinale roccioso, cominciò a brandeggiare la lanterna di Capitan Rea per richiamare l’attenzione dei suoi compagni ancora in difficoltà. Le ricerche durarono tutta la notte e per fortuna si conclusero con il ritrovamento di altri cinque uomini. La loro forza di volontà fu premiata, ma per il marinaio svedese e il guardiano Rea si trattò di una tremenda sfida ingaggiata contro il vento impetuoso che scagliava loro addosso le travi di bordo come fossero ramoscelli.

 

I naufraghi avevano riportato ferite, lacerazioni e fratture agli arti, ma furono aiutati a raggiungere la Casa Rifugio, dove furono curati e rifocillati.

 

 

Mancavano all’appello l’allievo ufficiale Prospero Modesti, il nostromo Francesco Schiaffino detto “Barbasecca” e il dispensiere Filippo Chiesa. Erano tutti di Camogli e non furono mai più recuperati. I resti del Georges Valentine divennero la loro tomba.

 

Il 17 ottobre 1904, quattro giorni  dopo il naufragio, la nave spagnola “Cosme Calzado” s’incagliò tre miglia a nord del Georges Valentine. Dei sedici uomini d'equipaggio uno solo annegò perché rimase imprigionato nel sartiame. I superstiti riuscirono a guadagnare la spiaggia e a rifugiarsi in un capanno di fortuna. Ben presto furono ritrovati e condotti alla “Casa Rifugio” dove furono ospitati insieme all'equipaggio del Georges Valentine.

Capitan Rea e sua moglie si presero cura di tutti i naufraghi finché si rimisero in forze per intraprendere il viaggio verso le loro case. Il buon guardiano ebbe in seguito a dichiarare: “Non avevamo mai avuti tanti naufraghi ricoverati insieme nella Casa Rifugio: scozzesi, russi, italiani, spagnoli e svedesi, per la prima volta eppure, grazie a Dio tutto è andato bene e tutti hanno collaborato. Quando finalmente li ho accompagnati  a Jacksonville per il rimpatrio tutti gli uomini mi hanno salutato sull'attenti e il Capitano Mortola, abbracciandomi, mi ha detto commosso “Good-bye Captain, non ci rivedremo più'”.

 

Gli equipaggi dei due velieri rientrarono in patria, tranne un russo, Edward Sarkenglov, che cambiò nome in Ed Smith e divenne un pescatore locale, conosciuto come “Big Ed”. Capitan Rea e sua moglie rimasero nella Casa Rifugio sino al maggio 1907.

Il Comandante Roberto VOLPI di Camogli

Un'avventura incredibile, legata a Camogli e alla sua marineria! Dopo molti decenni,  per la curiosità di un Comandante di Navi da Crociera,  Roberto Volpi, viene alla luce uno di quei naufragi che  chiameremmo spettacolari, e che una volta, purtroppo, non erano rari quando si navigava spinti soli dal “buon vento”.

 

Questa è la storia del Georges Valentine, una storia drammatica per la perdita di vite umane, ma anche di grande coraggio e immensa solidarietà. Una storia sconosciuta al di qua dell’Oceano fino a pochi mesi fa persino ai conservatori  della Storia Marinara di Camogli del Museo Marinaro Giò Bono Ferrari che ringraziamo per avercela fatta conoscere.

Un RINGRAZIAMENTO particolare lo rivolgiamo al socio di Mare Nostrum comandante Bruno Malatesta che, venuto a conoscenza della Casa Rifugio e dell'epilogo del Georges Valentine, é volato in Florida per raccogliere dati, testimonianze e fotografie permettendoci così di pubblicare e diffondere in modo dettagliato la sua romanzesca storia.

 

Carlo GATTI

Rapallo, Lunedì 4 Maggio 2015

 

 

 

 


SETTANTA VOLTE SETTE

 

SETTANTA VOLTE SETTE


Quante volte, Signore,

ti ho evitato, ignorato, trascurato, scartato?

Non ti ho riconosciuto nella fisarmonica stonata

nel tremulo bicchiere di plastica

agitato sotto i miei occhi.

Infastidita ho voltato il capo dall’altra parte.

E Tu sei rimasto ancora una volta solo

nella moltitudine degli indifferenti

scocciati

e la parola FAME non vibra echi.

Dov’è finito il buon samaritano?

Passano solo dottori della legge e della finanza

Non c’è il Cireneo,

solo Pilato sopravvive.

Sono ancora in tempo, o Signore,

per ricevere misericordia

come il figliol prodigo

o sarò da Te vomitata

per la mia tiepidezza?

 

 

Ada BOTTINI

 

Rapallo, Lunedì 4 Maggio 2015





"PIPPO" VENIVA DAL MARE...

"PIPPO” VENIVA DAL MARE....

 

Dopo l’8 settembre 1943, tutti i presidi militari costieri della nostra regione: batterie di cannoni navali ed antiaerei, casematte, tobruk ed altri impianti costieri per le telecomunicazioni, caddero nelle mani dei tedeschi. Erano tempi duri: i tedeschi, incazzati, arretravano dalla LINEA GOTICA sotto la spinta dell’avanzata alleata da Sud e facevano scempio di partigiani e di chi li appoggiava (S.Anna di Stazzema, Marzabotto ecc..). Le scorribande notturne di PIPPO ci costringevano ad abbandonare le nostre case e a riparare tra gli uliveti dietro il costone di S.Agostino. Di giorno gli occhi dei nostri genitori scrutavano l’antico molo di Langano per capire, dai concitati movimenti dei marinai tedeschi, se la motozattera di turno era in partenza dopo il tramonto con un carico bellico destinato al fronte, oltre lo spezzino. L’uscita dell’unità militare dal porticciolo di Rapallo metteva in allarme PIPPO che decollava immediatamente dalla Corsica e, grazie al suo moderno impianto radar,  era in grado d’intercettarla, dirottarla o distruggerla. A missione conclusa, PIPPO si concedeva sempre una piccola distrazione: proveniente dal mare, faceva qualche ampio giro sull’abitato, scaricava le restanti bombe, seminava terrore e scompiglio tra la nostra gente e poi rientrava “leggero” alla base.

 

Buona parte di queste motozattere erano state costruite a Riva Trigoso. Definite I MULI DEL MARE, avevano un portellone di prora come gli attuali traghetti, potevano trasportare due carri armati nelle due stive a cielo aperto, provviste e armi di ogni genere, erano adatte anche alla posa di mine, al trasporto di materiale per la costruzione delle difese costiere, ma potevano anche supportare missioni dietro le linee nemiche oppure trasportare truppe o prigionieri di guerra. La loro versatilità aveva qualche limite: non sopportavano le mareggiate perché avevano la chiglia piatta per poter approdare ovunque; avevano una velocità di circa 10 nodi che li rendeva vulnerabili agli attacchi dei sommergibili  e degli aerei Alleati. Le motozattere navigavano sottocosta mantenendosi nel raggio d’azione dell’artiglieria antisbarco dislocata nei punti strategici con maggiore visibilità.

 

I MULI DEL MARE furono protagonisti e vittime in tutti teatri italiani di guerra. Soltanto nei nostri fondali tra Santa Margherita e Portofino, giacciono due relitti di queste imbarcazioni a testimonianza della cruenta caccia data loro dall’aviazione Alleata. Si tratta delle motozattere del tipo MFP-A e MZ-748.

 

 

 

MZ 774 - tipo MZ, seconda serie - Dislocamento: 278 tonnellate - Velocità: 10 nodi – Lunghezza 47 metri - Larghezza 6,5 metri - Equipaggio: 14 - Armamento: 1 pezzo da 76/40, 2 da 20/70 - Nota: unità adatta al trasporto di carri armati; stiva più alta e portellone rinforzato - Da Navi e Relitti tra il promontorio di Portofino e Punta Mesco - di Emilo Carta

Ora ci occupiamo di un terzo relitto di motozattera che ebbe un epilogo un po’ diverso. Questa testimonianza l’abbiamo scoperta di recente sul libro:  “I GATTI ROSSI” di Edoardo Torre – Una storia vera sullo sfondo del Tigullio – Edizioni INTERNOS.

 

Lo scenario ruota intorno al “potente” Cannone delle Grazie presidiato dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. I due fratelli Edo e Gio di 11 e 12 anni si guadagnarono una certa notorietà a Chiavari per essersi “inventati”, con molto coraggio e fantasia, un lavoro redditizio in quel periodo di fame nera, mentre il loro padre era in guerra nel Mar Egeo. I due ragazzini trasportavano, più volte al giorno, una “cariola” carica di fusti d’acqua di mare. Lo sforzo che dovevano compiere era notevole, se si pensa che dal livello del mare risalivano la collina fino al Santuario delle Grazie dove abitavano, per consegnare il carico di circa 80 kg ad una contadina che ne ricavava il richiestissimo sale.

 

... Allora, Edo e Gio, prendevano posto, comodamente seduti, fronte mare per godersi lo spettacolo. “Chissà se passeranno le bettoline” commentavano i due attenti al più piccolo suono...   Quella notte il mare era una tavola, sembrava di cristallo ed il raggio della luna specchiato nell’acqua, si muoveva ed ondulava lentamente. Ad un tratto si udì distintamente provenire dal mare il ronzio cupo di motori. Un ton ton cadenzato, ovattato, ma inconfondibile. “Sono loro, stanno arrivando” dissero i due. Le bettoline solitamente navigavano lente, sotto costa, a poca distanza dal litorale, per tentare di eludere gli aerei che davano loro la caccia continuamente..... Il raggio della luna inondò il tratto di mare davanti a loro mentre una piccola imbarcazione scura stava attraversando fiduciosa quella sciabolata di luce. Quand’ecco, con fragore violentissimo, come un turbine impetuoso sorto dal nulla, un caccia sorvolò le loro teste avventandosi sulla piccola navetta e inondandola di proiettili fiammeggianti sputati dalle sue ali. Edo e Gio fecero un salto sulle loro sedie e, sbalorditi, si  chiesero: “Ma da dove é uscito quello?”. La piccola imbarcazione annaspò, cercò di difendersi sparando all’impazzata verso l’alto in tutte le direzioni. Mille fuochi traccianti squarciarono la notte. Il caccia fece un largo giro, poi si scagliò nuovamente sulla preda oramai in fiamme. Edo e Gio videro chiaramente i poveri marinai gettarsi in acqua per guadagnare la riva, mentre sulla loro nave parte delle munizioni stavano esplodendo. La bettolina si arenò sulla spiaggia vicino alla grande colonia: per tutta la notte si udirono i botti. Il suo relitto, irriconoscibile ed arrugginito, per parecchio tempo sulla riva come testimonianza di una terribile notte di luna piena.

La planimetria di Amedeo Devoto mostra le strutture costruite dalla Todt a levante della Colonia Fara a Chiavari. A sinistra, il massiccio “muro antisbarco” quasi toccato dal “RELITTO DI UNA MOTOZATTERA TEDESCA” arenata sulla spiaggia in seguito ad un attacco aereo del famigerato “PIPPO”. (Archivio Ernani Andreatta)

* * *

 

Il racconto riportato si riferisce proprio alla motozattera partita da Rapallo, carica di vettovaglie e armi destinate al fronte tedesco della Garfagnana, ma fu intercettata da PIPPO che la mitragliò fino a farla arenare all’estrema periferia del ponente chiavarese.

 

 

PIPPO faceva paura perché aveva il RADAR ed era dotato di altri strumenti per il volo notturno.

 

Ecco chi era PIPPO: De Havilland DH98 - Mosquito

 

Di questi Mosquito Squadrons dislocati in Corsica, ne venivano impiegati una cinquantina  per notte, sia per logorare le difese avversarie, sia per disturbare mezza Europa sganciando saltuariamente qualche bomba. 
A tale tattica fu interessata la Liguria, ma anche buona parte dell'Italia Settentrionale. 
L'isolato protagonista di quei voli fu denominato PIPPO. L'impiego del Mosquito nei ruoli di caccia notturno e di bombardiere comportò l'installazione delle prime apparecchiature RADAR all'epoca disponibili.

 

“Spegni la luce che arriva PIPPO!” Era allora una frase ripetuta da tutti. A nulla sono valse le smentite delle due parti in guerra, PIPPO passava puntualmente ogni notte. Del resto una leggenda, per essere tale, deve resistere ad ogni spiegazione...

 

PIPPO fu soprattutto un’arma psicologica nei confronti della popolazione; in contrapposizione alla teoria del “bombardamento strategico” valida soprattutto nei confronti dei grandi agglomerati urbani, questo tipo di minaccia poteva colpire anche i piccoli centri abitati e, come si é visto, anche obiettivi mobili come le Motozattere.

 

CARLO GATTI

 

Rapallo, Mercoledì 3 Marzo 2015

 


LA MIA GUERRA

LA MIA GUERRA

Cinque sensi per vivere una guerra da bambina. Freddo, umidità: così il tatto ha esplorato la guerra. Ricordo il freddo gelido dell’inverno del ’45 su a Ganna in provincia di Varese, dove eravamo sfollate la mamma e io, ospiti di una anziana zia nella sua casa di campagna. Casa senza riscaldamento naturalmente come si usava allora.. Certi giorni si toccarono punte di meno venticinque gradi e l’acqua gelava nei tubi, l’umidità della casa sigillava le porte, cosicché al mattino, per uscire, bisognava accendere un giornale e con questa fiaccola improvvisata sciogliere il ghiaccio, formatosi tra l’uscio e il pavimento, ma io non potevo uscire perché la neve era più alta di me e vi restavo intrappolata. A sera il letto gelido, dove mia madre si coricava prima di me per scaldarlo e poi chiamarmi stretta a lei, finché mi addormentavo intirizzita a felice, mentre lei si rialzava per finire i lavori di cucina. Al mattino lei si svegliava presto per andare a lavorare a Boarezzo, circa tre chilometri di salita, dove si era trasferita la direzione della Ducati di Bologna. Ogni sera, con una collega, scendeva a valle piena di geloni alle mani, ai piedi e persino alle ginocchia; tutto questo solo per vedermi, per non lasciarmi sola con la vecchia zia brontolona. Infatti tutti gli altri impiegati della Ducati erano ospitati nel Grande Albergo di Boarezzo.

Gesti d’amore in un tempo di odio, in cui l’umanità dà il meglio e il peggio di se stessa.

L’umidità. Parlo di umidore umano, quello del sudore, del sangue ma soprattutto quello delle lacrime. Spesso gli adulti famiglia mi  abbracciavano e piangevano. E queste loro lacrime, di cui non capivo l’origine, mi bagnavano le guance, il collo e istintivamente mi irrigidivo, quasi a staccarmi, ma poi intuivo che forse avevano bisogno di me. Ora penso che fosse perché i bambini rappresentano la vita, l’amore, il futuro: tutti valori che la guerra soffoca.

Il gusto: un anno di riso in bianco. Sembrava che la zia non trovasse altro da cucinare a Ganna. Almeno io ricordo così. All’olfatto si ricollegano i flashback degli incendi, magari lontani che appena intravedevo, con la testa nascosta sulla spalla di mia madre che fuggiva attraversando Milano nell’autunno del ’44.

Più piacevole il ricordo dell’odore appetitoso di salsicce, appese come festoni nella camera di mia nonna a Rapallo nel ’43 ed io stesa nel lettone, convalescente dell’itterizia come si diceva allora e si pensava causata dallo spavento per un bombardamento subito a Genova

Oggi sappiamo che fu un’epatite e lo spavento ha lasciato altre tracce profonde e nascoste.


I bombardamenti e l’udito. L’urlo della sirena, il sibilo delle bombe, il tonfo, lo scoppio, il crepitare degli incendi e delle mitragliatrici antiaeree e poi il silenzio e gli urli e i lamenti e i pianti.

La vista è l’ala nera dell’aereo che s’inclina, scende in picchiata, sembra entrare dalla finestra e mia madre mi getta sul letto, si butta sopra di me, mentre tutto sembra crollare, ma sono solo i calcinacci del soffitto per noi. E poi il grigio della polvere e del fumo. Rapallo sembra sparita, distrutta. Non si capisce dalla collina dove il bombardamento sia stato più crudele. Lo sapremo ben presto. Mentre il grigio si dirada salgono i pianti delle donne che accompagnano a casa una madre inebetita dal dolore.

Rapallo-1044 – così si presentava la chiesa dei SS.Gervasio e Protasio dopo il bombardamento del 28 luglio

Era in chiesa con la figlia, tutt’e due inginocchiate allo stesso confessionale, una da una parte, l’altra dall’altra. Cadde una bomba, seppellendo la figlia sotto le macerie, lasciando illesa lei, la madre.

Mia nonna quel giorno 28 luglio 1944 era come sempre alla cassa del suo bar sul lungomare. Non c’erano rifugi vicini e lei si appiattì contro il pilastro del locale, sotto al quadro di San Francesco, con la borsa dell’incasso stretta al seno.


De Havilland DH98 - Mosquito
Fu un Mosquito da caccia il primo velivolo inglese ad abbattere una V-1 sulla Manica, il 15 giugno.
Entro un mese, il bottino era già di 428 bombe volanti. 
Per logorare le difese avversarie, non fu poi trascurabile l'impiego d'una cinquantina di «Wooden Wonder» (meraviglia di legno) per notte, con il compito di volare e disturbare mezza Europa, sganciando saltuariamente qualche bomba.
A tale tattica fu interessata anche l'Italia Settentrionale, ad opera dei Mk.XVI del No.680 Squadron basati a Foggia, ma anche in Corsica.
L'isolato protagonista di quei voli fu denominato ben presto «Pippo, il ferroviere».

La borsa mia nonna non la dimenticava mai. Anche nelle notti serene, quando Pippetto o Pippo*, il pilota insonne, veniva a minacciare le nostre vite. Qualcuno mi strappava dal letto, ma non del tutto dal sonno e, nella confusione, sentivo mia nonna ripetere in milanese: “la bursa e i dané, la bursa e i dané” e poi via, con qualche coperta sui prati, sotto gli alberi di fico, tra i cui rami si intravedevano le  stelle. E mentre gli altri parlottavano, qualcuno apriva il termos con il caffè e in quell’aroma pacificamente mi riaddormentavo.

*La leggenda di Pippo.

“Spegni la luce che passa Pippo” era però una frase ripetuta da tutti, allora. A nulla sono valse le smentite delle due parti in guerra; né le ricostruzioni di autorevoli storici e giornalisti: Pippo passava, puntualmente, ogni notte. Del resto una leggenda per essere tale deve resistere ad ogni spiegazione, ad ogni tentativo di smentita. Nonostante non sia mai, o quasi mai, rintracciabile la sua origine, né il suo vero protagonista.

Nasce il mito di “Pippo”, così radicato che la propaganda fascista ritiene necessario intervenire per decretarne la morte: “Campane a morto per Pippo! La fine del molestatore volante”.

Nei confronti dei "Pippo" nacquero varie leggende, tra cui quella che si trattasse di un velivolo delle forze dell'Asse che, utilizzando armamento ridotto e spaventando i civili, volesse instillare nella popolazione l'odio verso gli Alleati o che controllasse il rispetto del coprifuoco notturno, colpendo indiscriminatamente ogni fonte luminosa visibile.

Tra le convinzioni più diffuse vi era quella che si trattasse di un solo aereo. Ciò era dovuto alla segretezza della missione mantenuta dagli Alleati e alla forte censura dei mezzi di informazione che impediva di conoscere la reale dimensione del fenomeno: gli attacchi dei "Pippo" furono molte centinaia. La stampa fascista sposava la tesi di un unico aereo sfuggito alle maglie della contraerea che veniva definito il "Molestatore Volante". Ciclicamente apparivano notizie sull'avvenuto abbattimento del molestatore in varie località del Nord Italia.

La denominazione popolare di "Pippo" ebbe nel Venetol la variante di "Pippetto" o "Pipetto", mentre in Toscana veniva generalmente chiamato "Il Notturno".

Indubitabilmente Pippo fu soprattutto un’arma psicologica nei confronti della popolazione; in contrapposizione alla teoria del bombardamento strategico valida soprattutto nei confronti dei grandi agglomerati urbani, questo tipo di minaccia, con apparenza casuale, poteva colpire anche i piccoli centri abitati che si sentivano al sicuro dai bombardamenti massicci.

Nei confronti di Pippo sono nate varie leggende urbane. Oltre a quella citata che si trattasse di un velivolo alleato. Verso la fine della guerra si era diffusa anche la voce che potesse trattarsi di un aereo delle forze dell’Asse che, utilizzando armamento ridotto e spaventando i civili, volesse instillare nella popolazione l’odio per le forze alleate.


Ada BOTTINI

Rapallo, 19 Gennaio 2015

 



Il rapallese JOHN GATTI, il nuovo Capo Pilota del porto di Genova

RIVISTA Porti

30/12/14 18:08

IL RAPALLESE JOHN GATTI

CAPO PILOTA DEL PORTO DI GENOVA

Anno nuovo, Capo Pilota nuovo e pilotine nuove!

 

 

 

Alla bicentenaria Corporazione di Genova Lettich lascia il timone a Gatti (nella foto); da Giovanni a John, che lancia il programma di rinnovamento di mezza flotta Genova – Buon sangue non mente! È figlio d’arte il nuovo Capo Pilota del porto di Genova: John Gatti, classe 1966, figlio di Carlo Gatti, classe 1940 sempre in gran forma, ha ufficialmente preso possesso il 1° gennaio 2015 del timone lasciatogli dal predecessore Giovanni Lettich, il quale durante il suo mandato quadriennale ha maturato i termini della pensione, sebbene regolamento alla mano avrebbe potuto governare la Corporazione per un altro biennio sino ai 65 anni di età (cosa che, pare, non avrebbe disdegnato). Ma i colleghi hanno optato per un volto giovane e fresco come quello del Comandante originario di Rapallo, sebbene nato nell’impronunciabile città svedese di Eskilstuna (150 km nell’entroterra di Stoccolma), patria materna, eletto con ampio consenso.

A soli 2 anni Gatti tornava in Italia crescendo nel mito della professione del pilota inculcatogli dal papà: “In casa ho sempre sentito parlare di manovre di navi, mio padre mi ha tramandato la passione per il mare e la navigazione”. Così, ultimati gli studi al Nautico di Camogli, John (non è un diminutivo ma il suo nome registrato all’anagrafe) comincia a percorrere la strada cui ha sempre ambito, imbarcandosi prima come mozzo su una gasiera, per poi fare l’allievo su una bulker della Sidermar e quindi - assolto il servizio militare – salendo su una petroliera, dove a 27 anni diventa Comandante. Da poco compiuti i 30 anni, il 1° settembre 1997 entra nella Corporazione dei Piloti di Genova, fondata nel 1809, e nelle scorse settimane riceve – come simbolico regalo per la sua maggiore età in seno al consesso genovese – l’incarico di leader della categoria, diventando con ogni probabilità il più giovane Capo Pilota di Genova (quantomeno nella storia recente). Un mandato che sente con grande responsabilità, considerato anche il particolare momento storico in cui cade: le ferite della tragica notte del 7 maggio 2013 sono ancora aperte tra i piloti, che nella circostanza persero non solo un amico e collega (Michele Robazza di Livorno) oltre ad alcuni dipendenti, tutto l’equipment e il software (valore stimato solo per una minima operatività circa 200mila euro) nonché gli effetti personali, ma anche e soprattutto molto morale e la loro ‘seconda casa’ (le cabine dove soggiornano e riposano i piloti in attesa di prestare servizio) in testata al Molo Giano. “Ma abbiamo saputo riprenderci in fretta, sebbene ovviamente il dolore per quella terribile notte non potrà mai essere lenito a sufficienza” ricorda Gatti, che si sente un miracolato perché avrebbe potuto soccombere pure lui nella drammatica circostanza. “Avevo finito il mio turno ed ero giù in cabina quando venne fuori il classico ‘fungo’ (in gergo, si tratta di una nave che arriva o parte del tutto fuori programma proprio come un fungo sbuca dal terreno); anche se non mi spettava il compito, accettai l’incarico extra orario e fu grazie a questa mia disponibilità che evitai di essere sotterrato dalle tonnellate di macerie sotto le quali sarei rimasto certamente intrappolato. Quando tornai sul posto pochi minuti dopo a bordo del mercantile che stavo pilotando vidi la Jolly Nero fuori assetto ‘normale’ e soprattutto la nostra Torre rasa al suolo. Sarò grato in eterno a quella nave, che quel giorno venne per la prima e unica volta a Genova!”

 

Nel frattempo la Corporazione ha rinnovato i ranghi, inserendo lo scorso agosto un effettivo al posto del collega deceduto e preparandosi ad un nuovo assunto ad inizio 2015 al posto del Com.te Lettich, mentre altri colleghi hanno ultimamente raggiunto l’età per andare in pensione, finendo per essere rimpiazzati: in totale ci sono 5 new entry in un organico di 22 unità che coprono tre diversi bacini: il porto storico di Sampierdarena, quello petroli di Multedo e quello container di Voltri, per una media di circa 850 pilotaggi a testa all’anno. “Adesso abbiamo un’età mediamente molto giovane, intorno ai 45 anni”, afferma con giustificato orgoglio J. Gatti, alfiere del rinnovamento di una corporazione che ha oltre 200 anni di storia alle spalle: “che non va ovviamente rinnegata ma soltanto ammodernata e adeguata ai tempi, che impongono oggi di prestare servizio in un porto che è quello di quasi cento anni fa ma con naviglio che nel frattempo ha raggiunto dimensioni ‘mostruose’. Il gigantismo navale imperante da una decina di anni in effetti può essere un vero problema se non ci si saprà adeguare, basti pensare al ristretto specchio acqueo di fronte alla futura Calata Bettolo quando uno di quei giganti sarà ormeggiato; essenziale sarà un profondo rinnovamento del lay-out portuale, con accesso anche dalla bocca di ponente, dragaggi e soprattutto taglio e spostamento a mare di una parte del molo frangiflutti. Anche per questo stiamo investendo in tecnologia, acquisteremo a breve in Danimarca e/o in Germania una serie di sistemi PPU Pilot Portable Unit che finora in Italia sono stati soltanto sperimentati da altri colleghi, ma non ancora adottati in larga scala come faremo noi”. Le operazioni di controllo, da quel maledetto giorno di 21 mesi fa, si svolgono ora presso una postazione temporanea. Un po’ come una chiocciola che abbia perso improvvisamente il guscio, i Piloti di Genova sono stati prima ospitati da un rimorchiatore e poi, dall’aprile 2014, in uno stanzone fianco a fianco ai ‘cugini’ ormeggiatori nell’edificio di Ponte Colombo. “Ci siamo arrangiati, e grazie ancora alla disponibilità di chi finora ci ha trovato una dimora provvisoria, ma chiaramente aneliamo il momento in cui torneremo a casa”. Quel giorno dovrebbe cadere a inizio 2016, se tutto andrà per il verso giusto. “I lavori per la costruzione partiranno nel 2015 e ci vorrà circa un anno per concretizzare, presso l’attuale eliporto, il manufatto, con forma e geometrie del tutto originali e innovative rispetto a quelle delle torri precedenti, che l’esimio Arch. Renzo Piano ha disegnato a titolo gratuito. Sarà comunque una costruzione alta 50 metri, tipo torre di controllo degli aeroporti, con zona abitativa staccata dalla torre ‘avvistamenti’ vera e propria”.

 

Un investimento complessivo di una decina di milioni di euro a carico dell’Autorità Portuale, con alcune sovvenzioni pubbliche da parte dell’Unione Europea. “Per quanto ci riguarda abbiamo già il nostro fabbisogno finanziario da coprire concernente il rinnovo della flotta.


 

Una suggestiva immagine della M/Pilotina TRITONE che fu travolta insieme alla M/P. ARIEL e alla M/P. NEREIDE dalla Torre di Controllo abbattuta dalla M/n Jolly Nero in manovra.

 

foto Carlo Gatti

Nell’incidente di maggio 2013 abbiamo perso tre pilotine, ovvero la metà dei nostri mezzi, che dobbiamo ricostituire. Una pilotina nuova è arrivata di recente: la Mizar, costruita al Cantiere Bellcraft di Viareggio, lunga 11 metri, capace di sviluppare una velocità di 29 nodi.

Un’altra è in costruzione a Venezia presso il cantiere Mancini e sarà una novità assoluta: un gommone con propulsione non convenzionale a eliche di superficie che assicurano grande velocità sino a 50 nodi e consumi ridotti, ce la consegneranno tra pochi mesi. La terza newbuilding verrà assegnata al cantiere Seaward dell’Isola di Wight nel Regno Unito, una classica Nelson inglese. Infine la quarta pilotina sarà di tipo convenzionale, stiamo per firmare il contratto in Italia, ma ci sono ancora alcuni costruttori in lizza, per cui non posso anticipare il nome prescelto. Alla consegna di questa uscirà di scena la pilotina più vetusta, una Nelson di circa 40 anni, così da riportare a 6 il numero dei mezzi”.

Quando il Team di LINEA BLU visitò la Torre dei Piloti del Porto di Genova

Una genia di ‘felini di mare’ appassionati di fotografie. Il Com.te John Gatti è fglio del Com.te Carlo Gatti, pallanuotista di valore ai bei tempi, il quale da giovane era soprannominato Spassulin per via dei capelli a spazzola. Frequentato il Nautico a Camogli, Gatti Sr. è stato al comando di rimorchiatori d'altura per 8 anni prima di accumulare un quarto di secolo di pilotaggio nel porto di Genova a partire dal 1975. In carriera ha comandato 98 rimorchi d’altura, operato 7 disincagli e guidato svariate operazioni di salvataggio e antincendio, dirigendo un totale di circa 33 mila manovre. Famoso è il suo vasto archivio fotografico di istantanee prese sul campo – un’altra passione trasmessa al figliolo - completo di episodi di grande pathos emotivo come l’affondamento della London Valour nel 1970 e l'incendio della petroliera Haven nel 1991, che lo hanno visto entrambi protagonista nei soccorsi. Già Presidente della Associazione Culturale Mare Nostrum di Rapallo e Presidente della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli, Gatti ha scritto 7 libri corredati di straordinarie documentazioni fotografiche.

Angelo SCORZA

A cura di Carlo GATTI

Rapallo, Venerdì 13 Febbraio 2015