LUIGI ONETO, UN COMANDANTE DI ALTRI TEMPI
COMANDANTE LUIGI ONETO
di Camogli
Introduzione
“ NAVIGARE NECESSE EST, VIVERE NON EST NECESSE ! ”
” Navigare è indispensabile, vivere no ! “
E’ l’incitazione che, secondo PLUTARCO, Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza ad imbarcarsi alla volta di ROMA a causa del cattivo tempo.
Ma chi é il navigante ?
Il 2012 é l’anno del TITANIC, il successivo sarà quello del REX per gli 80 anni del suo Nastro Azzurro. Gli scaffali della ‘Libreria del Mare’ traboccano di ciminiere colorate, e pare che le prue delle navi passeggeri stampate in copertina si stacchino in cerca di un ormeggio in porto. Ne prendo uno a caso, e comincio a sfogliarlo ponendomi la stessa domanda di sempre:
“Ci sarà un’anima in questo libro? Oppure sarà la solita ricerca d’archivio con belle immagini risanate al computer? Sarà il frutto del committente di turno in cerca di propaganda familiare e aziendale, oppure scoprirò finalmente un nuovo scrittore di talento?”
Alla fine ci casco sempre e passo all’acquisto. La mia libreria casalinga ormai rolla e beccheggia come un vapore nella burrasca. Poi, a malincuore, annoto la solita delusione. La letteratura marinara italiana soffre di un mal di mare inguaribile. Ci racconta di liners e di celebrate compagnie di navigazione, di navi sempre più grandi ed efficienti, di eccezionali strumentazioni collegate a progressi scientifici spaziali, senza mai raccontare alcunché della vita di bordo, degli equipaggi, degli uomini che le comandano nelle bonacce e nelle tempeste negli irrequieti Seven Seas. Mi prende la nostalgia per il passato e penso a Vittorio G.Rossi che il mare l’aveva dentro e sapeva ‘sbattercelo’ in faccia con tutti i suoi umori salmastri. Ma di lui si parla poco o niente, i suoi scritti sono introvabili, e mi manca soprattutto quando i tragici fatti dell’Isola del Giglio, mi ricordano quanto poco si sappia degli uomini mare, di quella razza che vive sospesa nel cavo dell’onda come recita il detto:
“ I vivi, i morti e i naviganti ”
Tutto ciò mi rattrista perché rivela un diffuso malessere in questo ‘Paese di poeti, santi e navigatori’ che stenta a sollevarsi, a guardare oltre la linea dell’orizzonte e a prefigurarsi un futuro degno della sua invidiabile tradizione.
Quando i ‘topi d’archivio’ riempiono le librerie di mare senza dire nulla di marinaro, significa che lo ‘stivale’ non é più in mezzo al mare, ma si é spostato in una grande palude. Forse é lo stesso scenario immaginato da Seneca già duemila anni fa quando scriveva:
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare!”
Chi invade il campo marinaro senza rendergli giustizia commette un errore gratuito di valutazione, ma é quasi sempre esente da colpe. Occupare uno spazio vuoto é un rito meccanico, fisiologico, lo si compie per colmare un vuoto lasciato intenzionalmente per motivi a volte insondabili di chi glissa sulla propria vita; é una scelta meditata e riveste la sfera privata. Il marinaio accetta di lasciare la terra e viaggiare in incognito verso una via che anno dopo anno lo allontanerà dagli affetti più cari e dagli antichi compagni di scuola. Sa di appartenere ad un mondo che non é in vendita, ma che premia i suoi figli migliori e respinge con crudeltà quelli più arrendevoli. A suo modo si sente un privilegiato, un uomo scelto dall’alto per una missione impegnativa che lo riempie di visioni e conoscenze vere, non virtuali, di sentimenti forti, non potenziali e fittizi.
A volte succede che il navigante decida di raccontare qualcosa degli strani labirinti esistenziali della vita di bordo, ma a questo punto affiora un’altra anomalia. Egli ha già messo nelle mani di Dio le sue confessioni ed ha già perdonato il male ricevuto. I suoi personaggi non sono più esseri umani impastati di bene e di male, come accade in ogni angolo della terra, ma sono compagni d’avventura o di sventura che vanno capiti e perdonati perchè accomunati dallo stesso destino. In questi racconti non c’è spazio per l’orgoglio ferito, i rancori, le invidie, gli errori fatali, le cattiverie reciproche, la diffamazione e le critiche gratuite.
Quando la nave arriva in porto, il navigante dimentica e si rigenera, si trasforma e risorge. L’incubo di una ‘nave-cella’ in mezzo al mare svanisce con un colpo di ‘redazza’ ben assestato tra le mura di casa cancellando ogni brutto ricordo residuo.
Come per incanto, la ferita cessa di sanguinare e il suo racconto s’intreccia con ricordi falsati e sbiaditi, con piccole bugie ed omissioni. La sua purificazione é rapida e completa. La rassegnazione è il sentimento che resta in sospeso, ma non é mai in discussione, bensì il prezzo da pagare per chi é nato lì, dove arriva e riparte il mare. Passano i giorni e si fa sotto l’ansia che deve imbarcare, soffrire, condividere il viaggio con i nuovi compagni, morire un’altra volta, risorgere e poi dimenticare.
L’uomo di mare non é un santo!
Il suo mondo é inflazionato d’arrivisti, carrieristi e gelosi della propria professione con atteggiamenti a volte molto discutibili, proprio come un qualsiasi manager di terra, ma a differenza di questi, percepisce i rintocchi della campana di bordo come il monito che batte il trascorrere del ‘tempo’ ma anche il suo inesorabile cambiamento: l’imminenza della tempesta, dei pericoli nautici rende tutti uguali dinanzi a Dio, nell’umiltà, nella prudenza, nella sofferenza e nella speranza di uscirne vivi.
L’etica del capitano di mare sta nel tenere costantemente sotto osservazione due bussole:
Quella di bordo, che gli indica la direzione da seguire con i ben noti
punti cardinali:
Nord-Est-Sud-Ovest
Quella che ha dentro di sé, che gli indica le:
virtù cardinali:
prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
I divi-capitani sono sporadiche eccezioni che, prima o dopo, smarriscono queste bussole pur sapendo che il dio-mare non accetta sfide e non sa perdonare. Mai!
Qui finisce la storia che é vecchia come il mondo. Il valore di certi libri non può che essere monco, anzi, senza anima. Il ‘topo d’archivio’ scrive di navi, ma non vanta alcuna conoscenza dell’umanità marinara. Egli non può intuire le modalità che ogni capitano usa di volta in volta per consegnarsi alla nave, dandole il suo carattere, persino il proprio linguaggio, vivendo in simbiosi con essa come fosse un inconfessabile amante. Questo legame é fortissimo e fa parte di una giungla di sentimenti difficilmente comprensibile ad un estraneo a questo mondo arcaico, leggendario, superstizioso, a suo modo spirituale e religioso, a volte anarchico verso la terra matrigna e lontana che non lo capisce.
Talvolta i rapporti umani tra i membri dell’equipaggio possono complicarsi e assumere risvolti psicologici inafferrabili che, senza voler scomodare J.Conrad costituiscono, ancora oggi, materia d’indagine per corsi universitari di psichiatria. Se il comandante é nervoso, il suo malumore si diffonde come un ordine calato vertiginosamente dal vertice della piramide fino alla base attraverso persone con gradi e responsabilità diverse. La nave percepisce qualsiasi anomalia e risponde, a modo suo, con vibrazioni e lamenti che il suo comandante interpreta come segnali di buona o cattiva navigazione.
Non molti lo sanno, ma la nave é fortunata o sfortunata, allegra o triste, ubbidiente o capricciosa; essa é come la vuole il suo Capitano e, quando questi scende a terra, entra in sofferenza e spesso si ammala.
Un tempo, proprio sulle navi di cui tra poco ci occuperemo, si diceva:
‘Se il Comandante é felice, lo é tutto l’equipaggio!’
CAPITANI D’ALTRI TEMPI…
IL COMANDANTE LUIGI ONETO
L’imbarco sul REX. In guerra sulla VIRGILIO. L’affondamento dell’ADREA DORIA. Il comando sulla MICHELANGELO e RAFFAELLO.
Il dott. Gianni Oneto ci racconta suo padre.
Il Capitano Superiore di Lungo Corso Luigi Oneto di Camogli
L’uomo di mare che oggi vi presentiamo meriterebbe una biografia ben più completa della modesta intervista che segue, se non altro per il lungo e complesso percorso iniziato sette anni prima della Seconda guerra mondiale e terminato con l’esplosione del mondo crocieristico negli anni ’70.
Per capire il mondo del com.te Luigi Oneto occorre partire da lontano, da un dato terribile: il 10 giugno del 1940 l’Italia entrava in guerra con circa 3.500.000 di tonnellate di naviglio. A guerra terminata poteva contare soltanto su 300.000 tonnellate. Oltre trentamila furono i marittimi uccisi. Tra i superstiti vi furono sicuramente i più fortunati, ma questi si erano fatti più forti, più duri essenzialmente in virtù delle esperienze belliche e para-belliche vissute sulla propria pelle.
Ognuno di loro raccontò la ‘sua’ storia privata ricca d’insidie soltanto in famiglia e agli amici: bombe d’aerei che cadevano a grappoli intorno alla nave, sfiorate decine e decine di mine sparse in mezzo al mare, siluri evitati per pochi centimetri, navi affondate, equipaggi recuperati e poi affondati per la seconda volta nello giorno, come capitò a tanta gente di mare in quei terribili frangenti.
Quante storie ignorate e dimenticate! Quante biografie scritte sull’acqua e spazzate via dalle onde oltre quella linea d’ombra che é già … al di là!
Il comandante Luigi Oneto fu uno di loro. Un superstite, un reduce che, grazie alla sua fermezza e al suo coraggio, divenne uno dei più brillanti Capitani di Mare del dopoguerra. Di lui esiste solo qualche articolo di giornale ormai ingiallito e qualche notizia presso qualche Associazione di ‘vecchi marinai’ come la nostra.
Leggendo il curriculum del comandante Luigi Oneto, mi sono reso conto d’averlo ‘sfiorato’ diverse volte nei primi anni ’60, durante i miei imbarchi da Allievo Ufficiale sulle M/n Saturnia-Vulcania-Marco Polo della Società Italia. Purtroppo, non feci in tempo a conoscerlo neppure quando entrai nel Corpo Piloti del Porto di Genova, perché era da poco andato in pensione. L’anno in cui raggiunsi il mio ‘retire’ il comandante Oneto mancò. Nella Società Capitani e Macchinisti di Camogli, che ripresi a frequentare negli anni successivi, era ancora vivissimo il suo ricordo umano e professionale. Per ricostruire a grandi linee la sua carriera, ho pensato di affidarmi ai ricordi del figlio Dott. Gianni Oneto, con la speranza di cogliere e ‘salvare’ alcuni dati peculiari del suo carattere, la comprensione etica e morale dell’uomo che ha fatto anche discutere molti ‘terrestri’, ma facendo trionfare, alla fine, l’onestà, l’onore e le capacità professionali di un vero marinaio ligure. Ma veniamo alla prima domanda:
– So che lei si é diplomato all’Istituto “Nautico” S.Giorgio di Genova, ha navigato come ufficiale e si é laureato in Economia Marittima all’Università di Napoli. Dott. Oneto abbiamo in mano il ‘Libretto di Navigazione’ di suo padre. Ritorniamo indietro nel tempo e proviamo ad imbarcarci con lui.
Mio padre nacque a Genova nel 1911 da genitori di antica tradizione marinara di Camogli, fu l’ultimo di dieci figli, di cui sette sono arrivati alla vecchiaia!
All’età di vent’anni, di propria volontà, scelse la vita di mare. Si diplomò nel 1933 presso l’Istituto Nautico di Camogli. I primi imbarchi li fece con la Società Alta Italia (Armam. Piaggio) sui piroscafi Perseo, Mongioia, Montello e Monfiore, anche se il primo imbarco lo fece sul P.fo Ravenna (la prima nave da carico dei Costa).
Non era più un ragazzino, in realtà, di quei primi imbarchi so molto poco. Erano gli anni della grande depressione economica mondiale e l’armatore per riuscire ad avere un margine accettabile tra noli incassati e costi variabili della nave faceva il massimo delle economie imponendo agli equipaggi turni pesanti (4h di guardia e 4h di riposo). Persino alcune casse-acqua di bordo erano riempite di carico. Per quel che ne so, la nave portava carbone dall’Inghilterra all’Argentina e ritornava verso l’Europa con grano; oppure facevano scalo nel Golfo del Messico. L’acqua, come si diceva, era sacrificata al carico, quindi era sempre razionata. La cosa che amava ricordare da vecchio, era un ingegnoso sistema, di cui non ricordo i dettagli: si trattava di un grosso straccio pulito usato per lavarsi con pochi litri d’acqua di lavanda al giorno. Ce lo raccontava in modo divertente, ma anche con orgoglio. Non so perchè, ma le mie sorelle ridevano come matte. Forse non immaginavano quanto la finissima polvere di carbone, caricato fino alla ‘marca’, penetrasse dovunque e coprisse completamente la nave come un velo.
Le autostivanti erano ancora di là da venire. Le soste nei porti duravano settimane e gli equipaggi apprezzavano molto la navigazione in banchina! Una volta chiesi a mio padre se la guardia 4+4 era molto pesante, lui mi rispose: “No, non é pesante, perché una volta in banchina sostavamo per almeno 15 gg. e senza nemmeno troppi vincoli ” Mio padre non si lamentava mai !
– Di suo padre si dice che fosse un Comandante di altri tempi, un uomo carismatico, un professionista esemplare; severo come tutti i padri del dopoguerra. Com’era tra le mura domestiche tra un imbarco e l’altro?
Mio padre fu un uomo del suo tempo che visse la sua carriera nell’ascesa, il culmine e la fine del periodo d’oro dei grandi transatlantici. Andò in pensione a 60 anni nel 1971, quando ormai tutte le nazioni di grande tradizione marinara smobilitavano o convertivano i loro liners in navi da crociera.
Ripeto, fu l’ultimo di dieci figli e credo che ciò abbia influito, non poco, sul suo carattere aperto e cordiale, ma anche sulla sua ‘filosofia di vita’, in tutti i sensi.
Si reputava, con sincera modestia, il più normale degli uomini. Di certo non era il tipo da lambiccarsi il cervello per cose più grandi di lui…
Quando era in licenza, oppure a casa per una o due sere, usava, come si suol dire, ‘tirare giù la saracinesca’. Invitare un collega a casa anche soltanto per un’ora, era cosa rarissima; poteva forse capitare, una volta ogni 2 o 3 anni. Dei fatti di bordo parlava pochissimo, almeno in nostra presenza ed il suo tempo lo dedicava interamente alla famiglia, al bricolage domestico ed al contatto con i fratelli, sorelle e le rispettive famiglie.
– Bene! Ora andiamo a conoscere le navi della Società Italia su cui fu imbarcato il comandante Luigi Oneto.
M/n AUGUSTUS in navigazione nella versione anteguerra
La prima nave della Soc. Italia su cui imbarcò fu la vecchia AUGUSTUS. Poi, nel 1938, inaspettatamente, si ritrovò con il grado di 3° ufficiale sulla nave REX. Credo che mio padre si sentisse molto orgoglioso di far parte dello Stato Maggiore della nave-simbolo dell’Italia sul mare e di essere a tal fine stato scelto dalla Società.
Il REX in navigazione. La nave che vinse il “Nastro Azzurro” rimase per sempre nel cuore del comandante Luigi Oneto.
New York – Il REX (il primo a sinistra) é ormeggiato al Pier 84 della Soc. Italia di Navigazione. Negli altri Piers si notano i più grandi “liners” dell’epoca.
– Il REX era anche la nave più tecnologica dell’epoca. Ricorda qualche suo aneddoto?
Tutta la nuova tecnologia dell’epoca era applicata su quella gigantesca nave, di certo imparò molto dal lato professionale. In famiglia si ricorda per esempio, che mio padre ebbe a dire che a bordo di quel ‘gigante’ c’erano troppi ‘scienziati’. Un modo di dire certamente, ma che rivelava quanto poco ammirasse chi cercava di mettersi in mostra. Per lui la parola ‘scienziato’, come veniva usata a bordo, non era un gran complimento. Un complimento era semmai ‘cervellin’, detto proprio in genovese, con cui s’intendeva un tecnico molto preparato sul piano teorico, ma anche molto bravo e pronto a risolvere velocemente qualsiasi problema, tipo quelli che “ogni ora a bordo il cielo ci manda”. Lui era assolutamente certo di non appartenere a nessuna delle due categorie.
Delle navi passeggeri, credo che in fondo gli piacesse il fatto di essere in mezzo a tanta gente, di ogni razza e provenienza, due volte per ogni viaggio: andata e ritorno. I grossi ‘Liners’ di quei tempi, occorre ricordare, non portavano solo i ricchi in prima classe, ma anche tanti tristi emigranti in cerca di lavoro e fortuna al di là dell’Oceano Atlantico. Questa complessa convivenza sociale a bordo era spesso sottolineata da mio padre.
– Quali furono le altre navi su cui imbarcò suo padre nel periodo tra le due Grandi Guerre?
Nella seconda metà degli anni trenta, oltre che sul vecchio AUGUSTUS e REX navigò anche sulla PRINCIPESSA GIOVANNA. (vedi foto sotto)
– Può dirci qualcosa sull’arruolamento degli ufficiali della Società Italia.
A quel tempo si diceva che solo la ‘crema’ degli ufficiali usciti dai Nautici italiani sarebbe entrata a far parte degli organici della Società Italia. Mio padre entrò in ‘organico’ nel Ruolo Navi Passeggeri all’inizio del 1940 e fu una vera tappa miliare nella sua vita di giramondo, o meglio, di tranviere dell’Atlantico, come avrebbe detto Lui!.
All’epoca, per gli ufficiali di coperta e di macchina, c’erano due Ruoli: il ‘Ruolo Carico’ e il ‘Ruolo Passeggeri’, che erano assolutamente impermeabili tra loro. Nel primo Ruolo la carriera era più rapida, perché erano richieste meno attitudini. Nel secondo Ruolo, come vedremo, gli avanzamenti di grado erano lentissimi.
– Ritorniamo al Libretto di Navigazione.
La M/n VIRGILIO (gemella della ORAZIO) *
Nel Marzo del 1940 mio padre imbarcò sulla M/n VIRGILIO. Era una nave mista che operava sulla linea del Centro America-Sud Pacifico sino a Valparaiso (Cile). Fu un imbarco lunghissimo: oltre tre anni. Su questa nave navigò in qualità di ufficiale capo-guardia e, conoscendo il suo carattere, immagino che ne fosse felice. Su quella linea, forse la più interessante tra quelle battute dalla Società Italia, portò a termine oltre 50 viaggi in tutta la sua carriera.
Mio padre, navigando tra le sponde degli oceani, ‘viveva e respirava’ – più di tanti altri – i tragici venti bellici, e la dichiarazione di guerra all’Inghilterra gli parve una pura follia… Ma per tutto quel che ho letto in seguito, oltre ai ricordi personali, quel tipo di valutazione personale, sia tra gli ufficiali della marina mercantile che di quella militare, era tutt’altro che isolata o limitata ai gradi inferiori. Per farsene un’idea abbastanza precisa, era sufficiente considerare lo sviluppo industriale anglo-americano di quegli anni, per non cadere in certe scelte politiche…
Comunque, mio padre fece in tempo a rientrare in Italia dal viaggio e la sua nave fu prudentemente fermata a Genova, come altre unità del gruppo IRI.
– Adesso sono io che le propongo una domanda:
“Perchè l’IRI fermò un numero non indifferente delle sue navi mentre, com’é noto, le navi degli Armatori privati continuarono a partire dai porti italiani per ogni dove, praticamente fino all’ultimo giorno di pace ?
– Sono sicuro che qualche storico di professione interverrà per dipanare questi dubbi (politici) su quella delicata fase storica del nostro Paese.
Eravamo rimasti all’inizio della guerra…
Ai primi di Giugno del ’40, mio padre pensava che la storia italiana avesse imboccato una strada di non ritorno e che la guerra fosse ormai imminente. Così fu, ed il 10 Giugno toccò al nostro Paese entrare in guerra.
Ormai, la soddisfazione professionale che mio padre assaporò pochi mesi prima, si era ridotta a ben poca cosa. Sono comunque sicuro che non stette molto a pensare sul da farsi; non perdeva mai tempo a lambiccarsi il cervello sulle cose impossibili, sia in mare, sia nella vita privata. A quel punto, forse si rallegrò di non essersi ancora sposato, e sapeva che sua madre e le sue sorelle si sarebbero facilmente ‘imboscate’ nella casa di Pissorella sulle alture di Camogli. In quella casa che era appartenuta a suo padre e prima ancora a suo nonno, andavano del resto tutte le estati.
La VIRGILIO dopo la trasformazione in nave-ospedale
L’incendio scoppiato a bordo della VIRGILIO dopo l’attacco aereo del 9 luglio 1941
Una bella immagine della VIRGILIO alle boe
Aspettò ben poco tempo. La VIRGILIO su cui era imbarcato, fu rapidamente trasformata in Nave-Ospedale. L’equipaggio di coperta e di macchina della Società Italia rimase a bordo ‘militarizzato’, mentre dalla Regia Marina giunse il personale medico e RT. Su quell’unità mio padre rimase oltre 3 anni senza sbarcare. Sostanzialmente i viaggi erano sempre gli stessi: Napoli-Porti Libici e ritorno, con Sicilia e isole minori sovente incluse. Tra l’altro rifiutò uno scambio con un collega pari grado, che lo avrebbe portato ai lavori a Genova (ossia a casa) per la trasformazione di una nave passeggeri italiana (la ROMA n.d.r.) nella portaerei AQUILA. (Andò a finire che l’Aquila non si fece più, e il suo collega morì in guerra).
In teoria, una ‘Nave Ospedale’, non avrebbe mai dovuto essere coinvolta in operazioni belliche navali, ma non fu così, perché spesso gli equipaggi si trovarono sotto i bombardamenti aero-navali, mitragliamenti vari e susseguenti incendi; ci furono pure la morte del comandante a bordo, varie vittime, ed ordini assurdi di Supermarina. Per ogni viaggio la nave trasportava centinaia e centinaia di soldati feriti o morenti di ritorno dal fronte. In seguito ricordava quel periodo con tanta tristezza per lo scempio di vite umane cui aveva assistito.
– Dove si trovava suo padre l’8 settembre del 1943?
Mio padre sbarcò a La Spezia il 9 Settembre del 1943 per ordine della Società. La flotta navale di stanza a Spezia era partita nella notte, quel famigerato 8 Settembre con la nuovissima corazzata ROMA che affondò subito dopo, come sappiamo, fuori dell’Asinara. Mio padre aveva poco ‘penchant’ per le cose militari e non ricordava nulla di quel movimento di navi da guerra. La sua nave-ospedale, nell’attesa di fare lavori di manutenzione, credo sia stata saccheggiata e quindi sequestrata dai Tedeschi in quei terribili giorni di caos.
Il lato paradossale della sua carriera militare come ‘guardiamarina’, sta nel fatto che non dormì mai una notte in caserma (la legge di allora lo prevedeva, perché era il quinto figlio maschio, di cui quattro avevano già prestato il servizio militare).
La sera del 9 Settembre tornò nella casa sopra Camogli, dove nel frattempo si erano trasferiti anche i fratelli sposati con le relative famiglie. Iniziò per lui un periodo molto particolare.
Non aver nulla da fare è la peggior disgrazia che possa capitare a chiunque, ma soprattutto a chi lavorava e vegliava anche nelle ore di riposo, proprio come succedeva agli uomini di mare in navigazione su percorsi di guerra, tra agguati di sottomarini e mine più o meno vaganti. Questo capitò a mio padre.
In realtà, dopo l’8 settembre, egli era confinato in quella casa in una sorta di “arresti domiciliari” ma, paradossalmente, non poteva farsi trovare in casa se l’avessero cercato i nazi-fascisti. La casa e il giardino erano molto grandi e, tra un lavoretto e l’altro, aveva studiato e predisposto tutte le possibili vie di fuga verso il ‘monte’ di Portofino. Usciva solo di notte con il coprifuoco ed andava a far legna sulle colline circostanti. Sin da bambino conosceva tutte le ‘creuse’ delle nostre colline. I fratelli avevano una decina d’anni più di lui e non avevano problemi, al di là delle restrizioni belliche. Suo fratello il commissario, a furia di richiami, era diventato tenente di vascello ed era rimasto al sud. Non ne seppero più nulla sin dopo il 25 Aprile 1945. I tedeschi, nel frattempo, avevano chiesto di mio padre alla Società Italia per rispedirlo sulla VIRGILIO. Ne scaturì un nulla di fatto. La Società in qualche modo dovette aiutarlo, perché nessuno venne mai a cercarlo, per di più era proprio a casa sua…
Un suo fratello medico, periodicamente, gli faceva ottenere qualche certificato. Tutti lo conoscevano, sapevano o immaginavano che se non era nella sua abitazione a Camogli doveva trovarsi sicuramente in villa o nascosto da qualche parte sulle alture.
Mio padre rifiutava d’andare in guerra a combattere contro suo fratello rimasto al Sud. Se i tedeschi l’avessero scoperto, si sarebbe giocato l’ultima carta arruolandosi nelle Brigate Partigiane della Liguria, facili da raggiungere da Ruta.
Gli andò bene! I tedeschi non bussarono mai alla sua porta, ed é molto strano, visto che il Comando tedesco alloggiava in una villa distante solo qualche centinaio di metri. Credo che la gente di Pissorella lo abbia in qualche modo protetto. Dirò forse una banalità, ma credo che mio padre e i suoi fratelli fossero benvoluti da tutti e non stessero proprio sui ‘cosiddetti’ a nessuno.
Trascorse 20 mesi da recluso, ma anche da fuggiasco, passando dalla noia alla tensione, dalla preoccupazione per i fratelli in guerra, alla tristezza di non poter essere utile a nessuno. Fumava, ma non aveva né sigarette né soldi, però si innamorò di mia madre che si trovava in frangenti anche più difficili, ma almeno poteva muoversi liberamente.
Sono certo che entrambi uscirono indenni dalla guerra con l’assoluta desiderio di dimenticare in fretta tutto quanto era successo. Li attendeva un mondo completamente rinnovato che andava affrontato con nuovi ideali e nuove forze, nonostante le ristrettezze economiche impensabili per tutti solo pochi anni prima.
Racconto soltanto un piccolo dettaglio che ritengo sia indicativo del pacifismo praticato dalla mia famiglia: sono nato nel ’48, ma da bambino non ho mai avuto un’arma giocattolo, quel che al massimo mi era concesso era una pistola ad acqua d’estate. Ciò spiega il motivo per cui le domande sui bombardamenti ed azioni belliche in cui si era trovato mio padre, non andassero mai a buon fine.
– Nonostante la guerra e i bombardamenti che non risparmiarono nulla e nessuno, la nave-ospedale VIRGILIO fu un’unità fortunata per suo padre?
Alla fine si. L’imbarco sulla ‘Nave Ospedale VIRGILIO’, almeno in teoria, non era stata la peggior sorte toccatagli, dati i tempi, ma io seppi di quel che successe alla M/n VIRGILIO leggendolo sui libri di storia di quel periodo, e quando provai a discutere con lui di certi fatti, mi resi conto che mio padre aveva accantonato per sempre quel genere di ricordi.
Un’altra mia fonte fu l’ex Cappellano di bordo della VIRGILIO che, nel frattempo, da Carmelitano si era fatto Certosino di Clausura. Il religioso, grande amico di mio padre, era un uomo davvero straordinario, sembrava fatto apposta per smentire tutti i possibili luoghi comuni sui religiosi.
– Nel difficile dopoguerra italiano, il comandante Luigi Oneto riprende a navigare con la Società Italia di Navigazione, alle cui dipendenze rimarrà sino alla pensione percorrendo tutti i gradi della sua carriera su i più prestigiosi ‘Passenger Liners’ italiani dell’epoca. Suo padre rinasce una seconda volta?
Alla fine della guerra, mio padre ebbe una storia comune a molti suoi colleghi, e forse anche più defilata all’interno dell’ambiente-Finmare. Dalla Società, pur essendo ormai in organico, prendeva uno stipendio assai modesto, che certo non gli avrebbe consentito di sposarsi e mettere su famiglia. Fatto più preoccupante, mancavano le navi e non era per niente scontato che gli USA avrebbero restituito i nostri Transatlantici sequestrati all’inizio delle ostilità.
Di sicuro so soltanto che non prese mai, nemmeno per un attimo in considerazione l’idea di abbandonare il mare. Stava invece esaminando la possibilità di andare a fare il Pilota del Canale di Suez.
Le incertezze finirono quando mio padre fu chiamato per il primo imbarco sul P.fo PATRIOTA. Questa nave meriterebbe una ricerca, perché nelle tante letture in cui mi sono imbattuto, ho ‘incrociato’ questo nome soltanto una volta e senza tanti particolari significativi. Si trattava in realtà di un ex-panfilo risalente, come costruzione, all’inizio del novecento ed era stato adattato nel dopoguerra al trasporto di passeggeri tra Civitavecchia e Olbia (ambedue quasi distrutte dalla guerra).
– Si trattò sicuramente di una piccola nave adattata, nel disastro post-bellico, al collegamento del continente con la Sardegna altrimenti isolata e abbandonata a se stessa.
Il problema però era un altro, questo ex-panfilo non aveva DDFF !! (dispositivi di sicurezza) Sic et sempliciter… Non c’è bisogno di aggiungere molto! Bussola magnetica, carta nautica, timone e via!
Di quella nave mio padre, arruolato come 3° ufficiale di coperta, mi raccontò due cose:
– La prima consisteva nella diffusione della corruzione a tutti i livelli. Tra i compiti del 3° ufficiale rientrava il controllo dei biglietti dei passeggeri ai piedi dello scalandrone e, ad ogni partenza, mio padre subiva pressanti tentativi di corruzione. Ci raccontava, a questo proposito, che se avesse avuto altri principi… con quell’imbarco, si era nel 1946, sarebbe diventato certamente ricco!
– La seconda, più tecnica, riguardava le incertezze del Comandante nel manovrare la nave sotto costa, in fase d’atterraggio e in manovra, e quindi dei pericoli che ne potevano derivare. Mio padre aveva già 35 anni e disponeva di una buona esperienza per poter giudicare un comportamento poco marinaro. Tenne duro, prese tutto con filosofia, terminò l’imbarco e mise i soldi da parte per sposarsi. Nel frattempo mia madre si laureò e finalmente convolarono a nozze. Nel ’47, anche le cose più semplici erano difficili, ma molti italiani paiono oggi aver dimenticato quei tempi poi non così lontani.
Il suo secondo imbarco (postbellico) portò la fine delle incertezze, ed avvenne sulla ex-Liberty USA – STRONBOLI, adibita ai viaggi del Nord Atlantico.
‘I Liberty nu sun miga rumenta’
Questa frase (non sua) l’ho sentita pronunciare molte volte nella mia lontana infanzia, ma in effetti si trattò di una delle più grandiose imprese industriali del secolo scorso.
– Ai lettori interessati all’argomento LIBERTY, segnaliamo l’articolo sul nostro sito:
“La Seconda Spedizione dei Mille”.
https://www.marenostrumrapallo.it/spedizione/
Ed eccoci finalmente a riparlare di navi celebri, ma questa volta negli anni della RINASCITA.
Siamo giunti al 1948 con prospettive decisamente migliorate. Il suo terzo imbarco posbellico fu su sulla MARCO POLO, una nave da carico della serie NAVIGATORI, (A.Vespucci, M.Polo, P.Toscanelli, S.Caboto, A.Usodimare, A.Vivaldi – n.d.r) che era stata recuperata dopo l’affondamento causato dalle bombe d’aereo piovute dal cielo di Genova, prima ancora d’entrare in linea. I ‘navigatori’ furono navi provvidenziali in quel momento per la Marina Mercantile Italiana. L’operazione ‘recupero’ fu opera della FINMARE che le trasformò in ‘Navi Miste’ (carico e passeggeri). Tre andarono alla linea Centro America-Sud Pacifico e ci rimasero 15 anni circa, le altre navigarono in genere per il Llody Triestino.
Ho sempre sentito raccontare in famiglia l’aneddoto, peraltro vero, di una coppia di Camogli, ormai sulla sessantina, (famiglie emigrate da varie generazioni, cosa non rara in riviera) che aveva il biglietto in 1a classe per il ritorno in Peru’ nell’estate del ’40, dopo una vacanza di pochi mesi a Camogli, ma finì per partire solo nel 1948, in un camerone di 3a Classe.
Mio padre partecipò ai lavori sulla MARCO POLO nei Cantieri di Sestri Ponente, fece l’allestimento e poi un anno d’imbarco, sempre da 3°ufficiale. La nave viaggiava ogni volta con il massimo dei passeggeri trasportabile e le stive cariche di merci.
Presumo che i problemi a bordo non mancassero, ma la ripresa commerciale era in atto:
le Liberty, la restituzione delle navi sequestrate dagli Usa e le prime newbuidings della Società, costituivano una buona base per ripartire con nuove assunzioni. Mio padre decise di restare anche se molti suoi colleghi, nel frattempo, avevano dato le dimissioni o erano andati in pensione da 1° ufficiale proprio a causa della mancanza di navi.
La M/n Marco Polo in una ‘chiusa’ del Canale di Panama
La Marco Polo insieme con la A.Vespucci, la P. Toscanelli, la A.Usodimare, formavano la Classe ‘Navigatori’ della Società Italia. Furono impegnate per molti decenni nel trasporto di emigranti e merci verso i porti del Sud-Pacifico.
– Vedo dal libretto che suo padre fece ancora tre mesi da 3° Uff.le sulla M/n CONTE BIANCAMANO e nel 1950 fu promosso 2° Uff.le. La guerra gli aveva ritardato la carriera di almeno 10 anni, in compenso si era avvantaggiato sul piano dell’esperienza. Forse lo ammetteva lui stesso?
Nel 1951 (compiva ormai 40 anni) iniziò un imbarco di 15 mesi sulla M/n PAOLO TOSCANELLI (un altro ‘Navigatore’!), sulla rotta Genova-Buenos Aires (Baires). Gli imbarchi lunghi allora erano normali. Questa fu la prima nave che io vidi! Ne sono sicuro.
I successivi imbarchi furono più importanti: CONTE BIANCAMANO e CONTE GRANDE. All’inizio del ’55 fu promosso 1° Uff. ed imbarcò sulla M/n GIULIO CESARE. Per la prima volta, la sua paga superò le 100.000 lire al mese, amava ricordare mia madre!
Incontro tra due Conti: C. GRANDE (nella foto) e C. BIANCAMANO
Nel periodo compreso tra il ’48 e il ’55, salvo pochi viaggi su i vecchi ‘CONTI’ sulla linea di New York, mio padre fece quasi sempre viaggi per il Sud America con la classe ‘Navigatori’ che avevano un solo motore, trasportavano centinaia di passeggeri ed appare strano, ancora oggi, questa carenza di sicurezza perché erano linee molto richieste per via dei flussi consistenti d’emigrazione.
– Sulla sua interessante osservazione, vorrei aggiungere un commento personale, dal momento che feci due viaggi proprio sulla Marco Polo nel 1963, quando forse mi sfiorai con suo padre… I cosiddetti ‘Navigatori’ erano navi eccezionali che potevano usufruire di una buona manutenzione nei numerosissimi porti che scalava. Il loro limite, per quei viaggi era la mancanza dell’impianto dell‘aria condizionata’ di cui parleremo tra breve.
Verissimo, e credo che fin verso la metà degli anni ’60 abbiano fatto viaggi assai redditizi per la Compagnia.
L’Armamento Costa iniziò nel dopoguerra la sua attività nel settore passeggeri proprio con i viaggi per il Sud America. Sul piano ‘nautico’ non mi risulta che avessero avuto particolari problemi, al contrario, credo che non sia stata facile la gestione dei passeggeri. Molti erano poverissimi e magari analfabeti. Altri erano più abbienti, ma ‘gli si leggeva in faccia’ che per un motivo o per l’altro erano ‘uomini in fuga’, non che fossero dei criminali, i casi erano magari i più impensabili, sia per i nostri connazionali che per i numerosissimi stranieri. Gli ho sempre sentito ripetutamente dire: “cosa dobbiamo aver portato in quegli anni in Sud America… non lo sapremo mai!”
Per questo motivo, non mi sono mai meravigliato più di tanto quando, molti anni dopo, sono usciti vari libri e romanzi sulla ‘rotta dei topi’, alcuni dei quali erano anche molto ben documentati. Nel periodo postbellico si erano rimescolate tante carte e si dovevano accettare anche situazioni estreme.
– Nei primi Anni ’60, nella Società Italia di Navigazione esistevano diverse anime: quella genovese, quella triestina e quella napoletana. Tre modi diversi d’interpretare la vita di bordo, di navigare, di rapportarsi con l’equipaggio e con i passeggeri. Si diceva, per esempio, che i genovesi fossero degli ottimi teorici, i triestini e dalmati degli buoni marinai, manovratori ecc… e che i napoletani fossero una via di mezzo. Anche sulla disciplina si facevano dei distinguo: diversi comandanti della scuola di Trieste e Lussimpicolo, davano un taglio piuttosto militaresco (austro-ungarico) al proprio ruolo. Mentre i genovesi, come suo padre, ma anche i napoletani preferivano un atteggiamento più moderno e mercantile. Personalmente, pur essendo allora molto giovane, trovavo queste differenze un arricchimento, un travaso d’esperienze e di vedute professionali di grande spessore, e devo dire che anche i burberi Comandanti di allora erano degli eccellenti padri di famiglia e rispettosissimi “personaggi” nella vita civile triestina dei primi anni ’60. Ne vorrei citare alcuni: Giovanni Assereto, Pietro Castro, Alfredo Cosulich, Claudio Cosulich, Giovanni Peranovich e Danieli che sono stati miei comandanti, tutti gli altri che non ho citato, li ho conosciuti da pilota del Porto di Genova: il comandante Gladulich (Gladioli) ha abitato per moltissimi anni a Rapallo ed ho frequentato a lungo la sua casa.
Suo padre fece mai cenno in famiglia di questa “complessa” convivenza di SCUOLE della tradizione a bordo dei nostri transatlantici ?
Su questa interessante pagina della storia della Società ITALIA mi trova impreparato a rispondere sul piano tecnico. Mio padre guardava ai singoli uomini, ed oltre ad esser poco attratto dalle memorie familiari a livelli da non credere, e qui c’entra il fatto di essere stato l’ultimo di dieci figli, non ha mai raccontato molto di quel che gli accadeva a bordo.
Probabilmente avrà raccontato molto di più a mia madre (c’é qui da ricordare il capitolo che riguarda le lunghissime lettere – allora ‘aeree’ – che si scambiavano in tutti i porti!), ma a noi figli raccontava poco o nulla, forse anche per colpa nostra. Vent’anni dopo diceva di non ricordare più niente… ed era anche vero!
– Il Comandante di una nave passeggeri ha il compito istituzionale di “lasciare il segno dell’ospitalità latina” sugli ospiti, a volte molto illustri, che viaggiano sulla sua nave, tuttavia egli deve essere anche un buon marinaio. Quale dei due ruoli amava di più suo padre?
Da Comandante, uno dei suoi molti doveri professionali era frequentemente quello di accogliere ed intrattenere a bordo personaggi illustri ed assai noti alle cronache. Assolveva a questo aspetto del suo lavoro con scrupolo, cortesia e cordialità. Da ‘padrone di casa’, era a suo agio, di carattere era allegro e cordiale, non musone, ma in privato non mostrò mai di annettere a questo lato del suo lavoro un’importanza particolare. Ne parlava raramente. Tra gli altri passeggeri illustri dell’epoca, ad esempio, ha ospitato a bordo lo scrittore Thornton Wilder, gli attori Burt Lancaster, Rossella Falk, Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Alberto Sordi e Monica Vitti, gli anziani Duchi di Windsor, la ex-regina di Bulgaria Giovanna di Savoia, il simpatico Raymond Peynet (l’autore della fortunata serie dei “fidanzatini” di Parigi), il celebre pittore Pietro Annigoni, i soprani Renata Tebaldi ed Anna Moffo e la lista non é esaustiva, oltre naturalmente ad altri personaggi di varie istituzioni: Politici, Vescovi, Cardinali e Diplomatici.
Durante i lunghi anni di lavoro sul mare per la Società Italia di Navigazione, ebbe ben due proposte di ‘passare a terra’ con la dichiarata prospettiva di diventare capo dell’ufficio marittimo (Capitano d’Armamento), ma serenamente e cortesemente declinò le due proposte. In privato diceva che lui aveva scelto, a suo tempo, il suo lavoro sul mare, e di non aver mai avuto un solo motivo per ‘cambiar rotta’. A lui piaceva il mare… persino in vacanza non andava in montagna perché /testuale) “doveva vedere l’orizzonte”…
New York. Anni ’60 – Una bella immagine dell’epoca dei “liners”. In mezzo al fiume Hudson sta manovrando la Queen Elizabeth della celebre Cunard Line. Ormeggiate nei Piers di Manhattan si vedono da sinistra: la Costitution gemella dell’Indipedence (dell’American Export Line), l’Andrea Doria gemella della C.Colombo (Soc. Italia di Navigazione), la United States, la Olimpia (American Greek Line).
Una bella immagine dell’ANDREA DORIA davanti ai grattacieli di Manhattan
– Nel 1956 accadde la gravissima tragedia dell’ANDREA DORIA. Suo padre era il 1° Ufficiale della nave. A distanza di quasi 60 anni, dopo tanta confusione, dubbi e forse anche un atteggiamento sbagliato delle istituzioni italiane di quel tempo, oggi se ne può parlare alla luce di fatti accertati che hanno ristabilito la verità. Qual’é il suo punto di vista?
L’ANDREA DORIA nella fase drammatica del suo affondamento
Nel Luglio del 1956 mio padre visse in prima persona la tragedia dell’affondamento della M/n ANDREA DORIA, su cui era da molti mesi imbarcato in qualità di 1° Ufficiale Anziano.
Ma veniamo all’affondamento della ANDREA DORIA, di cui mio padre, suo malgrado, dovette raccontarci qualcosa, in varie occasioni, sino alla vecchiaia, ma sempre con la stessa pena.
Il 5 Novembre 1955 mio padre imbarcò con il Com.te Pietro Calamai sulla T/n ANDREA DORIA, il gioiello più ammirato dello shipping di allora. Mia sorella Franca ed io, per la prima volta in vita nostra, abbiamo avuto modo di conoscerla da vicino. La nave arrivava ogni 19 o 20 gg. ed ogni volta andavamo in banchina a riceverlo. Quando la nave cominciava ad indietreggiare verso il molo, riuscivamo a vederlo subito perché il posto di manovra del 1° Ufficiale era sull’aletta di poppa (alette poppiere, tipiche delle costruzioni passeggeri di quegli anni). Per noi era un bel divertimento ed eravamo sempre molto contenti. Andò così per otto mesi consecutivi.
Tralascio per ovvi motivi di riservatezza, l’evento fin troppo noto e ormai (voglio augurarmi) sostanzialmente chiarito anche sotto il profilo tecnico. Mi permetta di tralasciare anche i risvolti familiari per tutti noi molto pesanti. Ancora oggi, con mia sorella Camilla abbiamo qualche problema a parlarne, sebbene siamo gli unici superstiti della famiglia.
Mi sto già preparando psicologicamente a tutto quel che mi toccherà leggere sui giornali e ascoltare in TV quando si celebrerà il 60° anniversario nel 2016. D’altronde, a nessuno della famiglia è mai piaciuto fuggire dai problemi, tuttavia, in questa sede, qualcosa vorrei accennarla.
Mio padre stimava molto il Comandante Calamai e, da anziano, mi disse che era stato uno dei suoi due maestri. Le cose andarono così: mio padre doveva sbarcare per normale avvicendamento all’ultima sosta della ANDREA DORIA a Genova prima che iniziasse quel viaggio disgraziato.
Terminato l’ultimo ormeggio a Genova, il comandante Calamai chiamò mio padre nel suo ufficio e gli disse più o meno queste parole: “Oneto, lei sa che non amo troppo i giri di valzer sul ponte. Ieri in Società ho ottenuto che lei rimanesse a bordo, tra 20 gg. sbarcheremo insieme. Lei ha problemi?”
Allora il mondo andava cosi. Mio padre fu un attimo sorpreso, c’era l’estate di mezzo e tante promesse alla famiglia, ma non ebbe dubbi ed accettò di proseguire l’imbarco seduta stante. Credo che mio padre non avrebbe mai detto ‘NO’ al suo Comandante, per di più davanti ad un simile attestato di stima!
Mio padre era il piu’ anziano degli ufficiali e faceva la prima guardia (04-08/16-20). Quando avvenne la collisione era franco di guardia e mai avrebbe immaginato che sarebbe stata l’ultima guardia della sua vita. Appena ‘smontato’ fece le solite cose e andò in cuccetta. Con l’urto improvviso e tremendo tra le due navi, si ritrovò sul pavimento senza rendersi conto dell’accaduto, pochi istanti e fu subito sul Ponte.
Mio padre non era stato neppure testimone della collisione, ma aveva capito subito la dinamica dell’incidente e fin dal primo momento si convinse dell’assoluta buona fede del Comandante e dei suoi colleghi. Con questa radicata convinzione andò avanti sino a 80 anni suonati, sempre difendendo il buon nome del comandante Calamai, della sua nave e dei suoi colleghi in mille modi, con tanta ammirevole ostinazione.
Quando nel 1972 fu pubblicato il Rapporto Carrothers sulle cause della collisione, lo stesso anno in cui morì Pietro Calamai, ricordo che mio padre lo leggeva e rileggeva con tanta intensità e partecipazione, ed era felice che finalmente la verità fosse emersa tra le mille menzogne raccontate in giro per tanti anni. Era davvero strano sentirlo parlare di navi tra le mura domestiche, proprio lui che era sempre stato così restio a confondere i due ambienti. Improvvisamente si era trasformato. Di quella collisione ne parlava con tutti. “ma non era ancora finita…” continuava a sostenere!
Dopo l’incidente, mio padre era davvero amareggiato. Sorvolo su quanto pensava allora della Società Italia, ancor peggio del suo Management e delle stesse Autorità Marittime italiane…
Mio padre era ancora lontano dal pensare di smettere di navigare, ma la Società escogitò una soluzione davvero strana: da un giorno all’altro, mise tutti gli ufficiali di coperta della ANDREA DORIA in banchina, in una specie di ‘quarantena’ che durò fino al Marzo ’57.
La mia famiglia approfittò della ‘sosta forzata’ per traslocare a Genova.
Arrivati a questo punto del racconto, vista anche la mia professione nel settore marittimo, colgo questa opportunità per formulare la mia opinione sul periodo post-collisione. La Società, a livello di pubbliche relazioni, fece proprio tutto quello che non doveva fare e che avrebbe dovuto fare, come qualsiasi armatore di questo mondo, in circostanze similari, avrebbe fatto. Questo concetto mi è fin troppo chiaro e non sono certo il primo ad esternarlo.
Sul piano interno, diciamo operativo, la Società non fece sostanzialmente nulla, salvo:
a) – Promettere verbalmente al Comandante P.Calamai che sarebbe stato subito imbarcato sulla T/n COLOMBO. Si lasciò però correre un po’ di tempo, sino a che compì 60 anni… é qui la ferrea prassi della Società era di collocare a riposo Comandanti, Direttori e Commissari! La chiamata ci fu, ma si trattò della “comunicazione di pensionamento”.
b) – Tenere per oltre sei mesi in ‘quarantena’ tutti gli ufficiali di coperta, e credo anche alcuni ufficiali di macchina (la scusa ufficiale era l’inchiesta ministeriale).
Ovviamente la Compagnia doveva rispettare procedure burocratiche e prassi interne per casi gravi come quello avvenuto a Nantucket: testimonianze scritte e verbali a non finire, dal Comandante sino all’ultimo ‘piccolo di camera’, senza mai giungere a conclusioni definitive ed ufficiali. Tutto era molto pilatesco. Non mi é noto alcun strascico giudiziario, degno di nota, per alcun membro dell’equipaggio. L’unico ‘agnello sacrificale’ fu il povero comandante Pietro Calamai, lasciato solo in pasto ad una pubblica opinione frastornata e disinformata, fino a trasformarlo nel personaggio principale di un farsa ordita alla perfezione per salvare chi e che cosa?
Di fatto, fu il solo a ‘pagare’ un conto salatissimo pur essendo innocente, anzi il primo tra quelli che impedirono conseguenze peggiori. Ancor oggi mi capita di sentire persone in buona fede (che non sanno nulla di cose di mare) affermare che: “Il Comandante Calamai aveva comunque qualcosa da nascondere.” Certe idee potevano essere maturate per opera anche di certa stampa ‘deviata’ o comunque incompetente.
In casa nostra abbiamo provato sempre tanta pena per le due figlie del comandante Calamai, che avevano una decina d’anni più di noi e forse erano più ‘scafate’, ma i successivi anni della loro vita, trascorsi sino allo scagionamento USA, (ma anche dopo!) devono esser stati pesanti sotto ogni punto di vista, una sorta di calvario psicologico.
– Sulla base di quanto si lesse e si sentì allora, solo poche persone si resero veramente conto della brillantissima opera di salvataggio e del limitato numero di vittime che si verificarono dopo una collisione tra due navi cariche di passeggeri e numerosi equipaggi.
Esatto! Si rischia di dimenticare che molti passeggeri e membri dell’equipaggio, senza saperlo, dovettero la vita proprio alle decisioni marinarescamente perfette, prese dal comandante Calamai in quelle difficili ore. Oggi sappiamo che le manovre impartite da Calamai in quella circostanza, oggi sono prese a modello da tutte le Accademie navali del mondo e vengono insegnate ai futuri ufficiali di marina.
Molti anni fa, il giornalista Corradino Corbò scrisse un ottimo testo divulgativo: “Quella notte a Nantucket”, editore Nistri-Lischi (una piccola Casa Editrice di Pisa). Leggendolo mi resi conto che non occorreva essere un ‘esperto’ per capire la dinamica dell’accaduto. Quel libro, purtroppo, ebbe scarsa diffusione ed oggi credo sia introvabile persino sul mercato dei libri usati: un’occasione mancata per il grande pubblico, purtroppo.
– Ma chi prese quelle assurde decisioni?
Da quel giorno sono ormai passati quasi 60 anni, nel frattempo la cronaca é diventata storia. Solo storia. Oggi é mia personale convinzione che la ‘regia’ dell’atto burocratico post-collisione sia stata decisa a Roma, molto in alto, a pochissimi giorni dalla collisione, da un numero ristretto di persone che per mentalità politica e formazione professionale era completamente estraneo al mondo dello shipping. Il top-management della Società Italia, sostanzialmente composto da ‘yes-man’, ebbe soltanto la funzione esecutiva di quanto era già stato deciso nella capitale.
Se si mettono in ordine cronologico date e fatti, emergono tutte le contraddizioni prive di logica messe in opera dall’Armamento genovese nei successivi 12-18 mesi. Quella ‘linea politica aziendale’’, rimase immutata nei decenni successivi fino alla scomparsa della Società.
Il Ministero della Marina Mercantile promosse un’inchiesta abbastanza seria, ma i risultati non furono mai pubblicati, la legge lo consente, questa è l’unica cosa chiara che emerse, pur se si trattava e si tratta di una prassi politicamente inaccettabile.
Nessuno sarà mai in grado di scrivere la vera storia dell’ANDREA DORIA. Quella conosciuta dal grande pubblico é stata dettata al telefono da burocrati senza scrupoli. Chi aveva il diritto di raccontarla é stato messo a tacere, a suo tempo, e oggi non é più tra noi.
Per noi Oneto, il naufragio dell’ANDREA DORIA non fu solo un dramma legato alla perdita di vite umane e della nave stessa. La storia marinara é maestra di naufragi e i santuari vicini alle coste lo ricordano a tutti con migliaia e migliaia di ex voto. Noi, sebbene molto giovani, eravamo preparati anche a questo, come lo é qualsiasi famiglia di un marittimo impegnato a guadagnarsi il pane sul mare. Il naufragio era tra gli eventi che potevano accadere, ma il vero dramma fu il peso psicologico ed emotivo che pesò a lungo sulle nostre spalle. Nei successivi 40 anni abbiamo dovuto sopportare polemiche inconsistenti, sensazionalismi, leggende metropolitane, idee recepite in modo sbagliato, magari, in perfetta buona fede da parte di tanta gente che ancora oggi, dopo tanti anni trascorsi dall’avvenimento, insiste e persiste su quelle sbagliate convinzioni che erano state diffuse e inculcate dall’irrazionale, autolesionistico, ed illogico comportamento dell’armatore dell’ANDREA DORIA.
Da questo punto di vista, il rapporto Carrothers resta comunque, anche dopo 40 anni, un atto scientifico rigoroso e convincente che ha fatto giustizia e messo una pietra pesante su una serie infinita di menzogne.
Da italiano, é triste doverlo ammettere, ma se solidarietà c’é stata, questa é venuta dallo shipping straniero. Non mi riferisco soltanto agli Istituti americani e a Carrothers, ma ai miei compagni di lavoro e conoscenti che pur sapendo tutto della collisione e chi era mio padre, non senza mia sorpresa, non fecero mai un passo falso nei miei confronti.
– La ringrazio per questa sua pacata, ma decisa presa di posizione sulla collisione avvenuta tra la Andrea Doria e la Stockholm. Quel che conta é la vera STORIA, non quella che é in vendita dal giornalaio e che ha sempre un padrone. Riprendiamo il racconto. Cosa accadde dopo la strana ‘quarantena’ ?
Mio padre imbarcò da 1° ufficiale all’inizio dell’estate ’57 sulla M/n MARCO POLO, di cui abbiamo già parlato. I viaggi del Sud-Pacifico duravano 70 giorni. Su quel tipo di nave mista: carico-passeggeri, il 1° ufficiale svolgeva il compito di Comandante in 2° ed era ‘giornaliero’, ossia fuori guardia. Si avvicinava il sospirato ‘comando’ e quella era la strada obbligata. L’imbarco durò un anno. Di quel periodo ho conservato un ricordo nella mia memoria: la nave arrivava alla Stazione Marittima di Ponte dei Mille a Genova e, subito dopo lo sbarco dei passeggeri, faceva “movimento” a P.te Assereto, oppure a P.te Somalia, per le operazioni commerciali. Rimanevo a bordo con lui, mentre mia madre e le mie sorelle tornavano a casa. Una volta riuscii ad intrufolarmi tra i marinai che andavano al posto di manovra a prua e ci rimasi, sempre attento a non intralciare la manovra in corso. Avevo 10 anni e i pantaloni corti.
Quando mio padre mi vide dal ponte di comando, mi fece un gesto che nulla di buono lasciava presagire. Quella sera mi presi una bella ‘arronzata’. Aveva ragione, al di là del rischio di farmi seriamente male tra quella selva di cime e cavi in tensione, temeva anche la reazione del Comandante che per fortuna non se n’era accorto o, come credo tuttora, fece finta di non accorgersene, date le distanze davvero ridotte tra il ponte di comando e la prora.
La M/N VULCANIA incontra la M/n SATURNIA
Un bel salto nella carriera di mio padre ci fu il 29 Settembre 1959, quando mio imbarcò, alla bella età di 48 anni, da Comandante in 2a sulla M/n SATURNIA a Trieste. Da quel momento girò con quel grado su tutte le grandi navi passeggeri dell’epoca d’oro della Società: CONTE BIANCAMANO, GIULIO CESARE, AUGUSTUS e sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO.
Da Comandante in 2a cominciò il periodo secondo me forse più ‘sottovalutato’ della sua vita professionale, che durò siano al 1963 quando imbarcò a 52 anni suonati come Comandante in 1a sulla M/n MARCO POLO (sempre lei!) per l’ultimo viaggio con la Società Italia.
La figura del Comandante in 2a era sottovalutata nel senso che operava un intenso lavoro che non appariva quasi a nessuno, eppure tutto a bordo dipendeva da lui, dalle sue direttive. Tutto quanto succedeva a bordo faceva riferimento alla sua persona, ed a lui spettava la soluzione dei problemi del personale imbarcato, di ‘certi’ noiosi passeggeri, rispondere alle lamentele, indagare sugli infortuni, sui furti, interagire con gli altri capi servizi (coperta-macchina-commissari) per la routine quotidiana, e poi c’erano gli imprevisti di ogni genere, oltre ai lavori di manutenzione di bordo. Infine doveva sovrintendere alla disciplina di tutto l’equipaggio. Anche la navigazione era sottoposta alla sua supervisione. Sulle sue spalle pesava un lavoro vasto e pesante che gli prefigurava, comunque, l’ultimo avanzamento della sua carriera.
– Ricordo benissimo il ruolo del Comandante in 2a sulle nave passeggeri e concordo con lei. Tuttavia, ritengo che questo ‘delicato passaggio di carriera’ sia una grande risorsa per tutti: passeggeri ed equipaggio. Avere un Comandante esperto a bordo, che sia in grado di risolvere i tanti problemi che si presentano, va sicuramente a vantaggio della sicurezza di tutti. (I fatti recenti del Giglio ce lo ricordano ampiamente!). Tra l’altro, ricordo che su certe linee avvenivano anche fatti gravi. Suo padre forse le avrà raccontato alcuni episodi?
Si, ma semplici aneddoti, irrilevanti. I LINERS di allora non esistono più da decenni, così come quell’eterogenea clientela composta da persone agiate, pescatori destinati alla campagna del merluzzo al largo di Terranova ed emigranti di tante nazionalità. Spesso capitava che per futili motivi scoppiassero disordini ed anche risse (dovute all’alcool) talvolta pericolose e difficili da sedare.
Oggi sulle navi da crociera la situazione é più gestibile. La popolazione di bordo é costituita da una massa molto omogenea di turisti, che imbarca con lo spirito vacanziero, é più autosufficiente: infatti ha a sua disposizione un numero d’equipaggio limitato rispetto al passato.
Al Comandante in 2a arrivavano quindi tutti i problemi di bordo e, a volte, dopo una giornata intensa in cui succedeva di tutto, poteva capitargli che intorno alle 23.00, nel bel mezzo di una buriana, il Comandante gli dicesse “Adesso le lascio la nave. Io me ne vado in cuccetta” e rimaneva sul Ponte di Comando per tutta la notte. Fatto, peraltro, probabilmente ‘gradito’ ad un aspirante al comando come mio padre.
Sono certo che gli anni trascorsi con il grado di Comandante in 2a siano stati sotto alcuni aspetti poco gratificanti, ma furono assai importanti e utili per l’esperienza maturata.
Presso le più importanti Marine Occidentali, le carriere degli ufficiali anticipavano, in quegli anni, mediamente di 10-15 anni e lui ne era ben conscio.
(In proposito avrei un aneddoto anche divertente….. ma è meglio glissare!)
– Che carattere aveva suo padre, era paziente oppure nervoso come tanti marittimi ?
Nervoso no! Mai! Quando in quegli anni mio padre era in porto a Genova, arrivava tardi o molto tardi a casa per ripartire molto presto all’indomani mattina. Nelle relazioni umane era paziente, certo molto più di me, e c’insegnava che le cose era meglio vederle in tempo che sentirsele raccontare in un secondo tempo. Amava rispettare la ‘persona’, anche quando la riprendeva dopo aver compiuto un errore professionale. Nessuno conosceva mio padre al di fuori della Società Italia e del porto, ed appariva sempre sereno. Al di là delle apparenze, non parlava quasi mai dei fatti di bordo. Questo é stato.
– Com’erano viste le navi italiane all’estero?
All’estero, le navi della Società Italia erano viste come un pezzo di suolo nazionale dalle comunità dei nostri emigranti in tutti gli scali. Specialmente in Sud America, le navi della Società Italia erano sempre accolte da folle incredibili che sostavano ore per vivere con nostalgia la partenza o l’arrivo di questa o quella nave italiana. Per altri aspetti, erano invece navi complicate, con le ben note contraddizioni che ci appartengono. In alcuni scali nazionali, le navi della Società erano invece considerate alla stregua di ‘vacche da mungere’ con tutto quel che si può immaginare in una Italia che, per molti versi, é sempre la stessa, ancora oggi.
La M/n ROSSINI entra nel porto di Genova.
Con Verdi e Donizzetti formavano la Classe Musicisti che sostituì la Classe Navigatori, ormai obsoleta sulla rotta del Sud-Pacifico
– Un bel salto di qualità avvenne con la messa in linea della classe MUSICISTI in sostituzione della classe NAVIGATORI ormai superata. Finalmente, sulla linea del Sud-Pacifico subentrò anche un po’ di eleganza e soprattutto comodità. Anche suo padre poté quindi navigare nei climi tropicali con l’aria condizionata.
Nel 1963 assunse il primo comando per l’ultimo viaggio sulla linea Mediterraneo-Centro America-Sud Pacifico della M/n MARCO POLO (prima della loro vendita e trasformazione in nave da carico).
Arrivati a Genova, l’equipaggio fu spedito in treno a Napoli per imbarcare sulla M/n VERDI proveniente dal Lloyd Triestino, ed entrare sulla medesima linea del Sud Pacifico. La nave era più veloce, ed il viaggio sarebbe durato solo 2 mesi, ma soprattutto era alleviato dall’aria condizionata. Diciamo che a me (avevo ormai 15 anni) la Verdi fece l’impressione di un ‘Luxury Liner’ al confronto del Marco Polo! Il viaggio inaugurale ebbe un grande successo, e seguirono molte prenotazioni che incrementarono lo storico legame tra l’Italia ed i santuari dell’emigrazione nostrana in Sud-America!
Sulla M/n VERDI restò 10 mesi, ed oltre 11 mesi sulla M/n ROSSINI (sulla stessa linea). Erano gli anni della nostra adolescenza. Gli imbarchi di mio padre erano più lunghi, ma anche le soste a Genova si erano allungate e si aveva l’impressione d’averlo a casa più spesso, naturalmente solo di sera, ma per noi era già una festa.
Frequentavo l’Istituto Nautico S.Giorgio di Genova. Mio padre non entrò mai nel merito di questa decisione e gliene sono tuttora grato.
– Finalmente cap. Luigi Oneto prende il sospirato Comando!
La M/n GIULIO CESARE (gemella della M/N AUGUSTUS) in navigazione
Mio padre prese il comando della bella M/n GIULIO CESARE per oltre 10 Mesi sui viaggi di BAIRES. Nel nuovo ambiente si sussurrava che la Società avesse ‘confinato’ su quella unità gli ufficiali un po’ birichini, che avevano maturato qualche castigo… ma si trattava di persone di gran spirito, e l’impressione che se ne ebbe in famiglia ( e non solo nella nostra famiglia…) fu che se si erano divertiti ben oltre l’usuale non erano da biasimare. In fondo la vita di mare era già fin troppo dura. Posso solo arguire che mio padre ebbe anche qui il suo bel da fare, ma navi e viaggi senza grane non credo siano di questo mondo!
CRISTOFORO COLOMBO in partenza da Genova nella livrea bianca sulla linea del Sud America
Nel Settembre del ’66 mio padre imbarcò a Napoli sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO, che faceva allora capolinea a Trieste ed era dipinta di nero come tutte le navi impiegate sulla linea del Nord America.
L’imbarco durò 11 mesi. Ricordo che ebbe i suoi problemi pratici e diplomatici dovuti all’itinerario carico di scali: Venezia – Trieste – Messina – Palermo – Maiorca- Malaga – Gibilterra – Lisbona – Azzorre – Canada – Boston N.Y. Molti di questi scali erano ‘schedulati’ forse per esigenze politico-clientelari, con indubbia influenza sui costi. So che fu per lui un anno impegnativo, sotto diversi aspetti.
– Dal punto di vista della manovra, i grandi transatlantici di allora erano veramente impegnativi. Disponevano di lente turbine e avevano grandi pescaggi. Non si parlava ancora di eliche trasversali, di azipod ecc… e come si diceva allora: chi le manovrava doveva essere un buon manico!
E’ vero! Un ulteriore problema era la manovra di una grossa turbonave di quell’epoca, in certi piccoli porti. Se si pensa che nella marcia indietro la turbina navale concede soltanto 1/3 della propria potenza e l’attesa é di circa 40 secondi per l’inversione della marcia. Ricordo che quando gli chiesi spiegazioni (facevo ormai il 5° Nautico, e avevo già navigato un po’) mi rispose: “Ho avuto tanti anni di carriera per studiare il problema e ho visto manovrare tanti comandanti….che quando é stato il mio turno, non ho più avuto difficoltà!”. Comunque, appena imbarcato su una nave che non aveva ancora comandato le sue evoluzioni di prova fuori dal porto le faceva alla prima occasione possibile!
La LEONARDO DA VINCI entra a New York
Salvo un bel Natale trascorso a Trieste, quell’anno lo vedemmo pochissimo. Mia madre, invece, andava regolarmente a trovarlo a Trieste.
Venne poi l’imbarco sulla T/n LEONARDO DA VINCI, già dipinta di bianco, ed ebbe un incarico particolare: la nave era destinata ad una ‘campagna crocieristica sperimentale’ di 5 mesi ai Caraibi.
Il solo pensarci, oggi può far sorridere, perché il tipo di clientela era completamente diverso e improvvisamente cambiato. La Sede di Genova era distante e ciò significava che il Comando di bordo si trovava improvvisamente nella necessità d’imporre un cambio di mentalità a molti membri dell’equipaggio.
I risultati furono ottimi, l’esperimento fu ripreso da altre navi sociali, a mio padre fu riconosciuto il merito d’aver portato l’esperimento a buon fine per la Società.
Oltretutto, nemmeno esisteva a bordo la figura del Direttore di Crociera. Per tale ragione il Comandante dove gestire il ‘settore passeggeri’ dopo aver sentito il Capo Commissario.
Le T/n MICHELANGELO e RAFFAELLO sono ormeggiate a Ponte Andrea Doria-Genova
Siamo giunti così al 1968. Negli anni successivi mio padre prese il comando, alternativamente e a più riprese, delle ammiraglie MICHELANGELO e RAFFAELLO sino al pensionamento avvenuto nel 1971. Nel frattempo i turni d’imbarco si sono accorciati per tutti.
– Suo padre le confidò mai qualche segreto nautico in previsione di una carriera simile alla sua?
No, nel modo più assoluto. E non avrebbe nemmeno gradito troppe domande! Era arci convinto che a bordo si dovesse iniziare dal basso con i più banali lavori in coperta (cosa che di fatto feci), e poi imparare guardandosi attorno e facendo funzionare cervello e capacità critiche. Ideologizzava quasi la cosa………. E poi c’era anche una dose del mio orgoglio di ventenne!
– Avere il comando di una delle due ‘ammiraglie’, così sotto gli occhi della stampa italiana in quegli anni, lo preoccupava o lo innervosiva in qualche modo ?
No, direi proprio di no, e se c’era qualche preoccupazione era di carattere extra-marinaresco. Questa almeno era la percezione che se ne aveva in famiglia. Assai banalmente, non ricordo d’averlo nemmeno mai sentito, visto o percepito preoccupato per le condizioni meteo che lo aspettavano dietro l’angolo.
Quelle navi erano lunghe più di 270 metri e gli davano una grande sicurezza. Mio padre conosceva molto bene la meteorologia, interpretava a dovere le carte del tempo, ma soprattutto conosceva i limiti della sua nave e ad essa si adeguava. Forse era questo il suo segreto: un notevole senso marinaro gli suggeriva in anticipo le mosse da fare, con determinazione, ma anche con prudenza. Mio padre fu conosciuto dentro e fuori il suo ambiente per le sue doti umane e marinaresche. Non furono tutte rose e fiori né per lui, né per mia madre e neppure per noi figli, ma proprio in questo intreccio di contrasti forti, sta il vero senso della vita: saper convivere con le gioie e i dolori. Mio padre fu un maestro in tutto ciò, e ancora oggi ci sentiamo orgogliosi d’essergli stati figli.
Scambio di presenti sulla RAFFAELLO tra il Comandante Luigi Oneto e lo scrittore Raymond Peynet.
– Come pilota del porto di Genova ebbi diverse occasioni di manovrare sia la T/n MICHELANGELO che la gemella RAFFAELLO. Impiegavano 3-4 rimorchiatori a seconda della direzione e forza del vento. Erano manovre impegnative anche per un pilota rutinato che eseguiva un migliaio di manovre-anno.
Seppi in quegli anni che suo padre “by-passò” uno sciopero dei rimorchiatori di New York e ormeggiò personalmente la MICHELANGELO. Dinanzi ad un fatto del genere, che non ha precedenti nel nostro mestiere, non solo mi tolgo tanto di cappello, ma aggiungo che manovrare una nave nel porto di New York presenta difficoltà a volte insuperabili per via della corrente del Hudson che naturalmente varia con le piogge e le condi-meteo del periodo. Non tutti lo sanno, ma i famosi Piers (i Dock di Manhattan) sono posizionati di traverso alla direzione della corrente, per cui é addirittura impensabile avventurarsi in certe manovre senza pilota e rimorchiatori portuali (McAllister e Moran). Come ci riuscì suo padre?
Professionalmente, la cosa che ricordava con più piacere dei suoi ultimi anni sul mare era quella di esser riuscito durante un lungo sciopero e per ben tre volte consecutive ad ormeggiare e disormeggiare la RAFFAELLO al ‘Pier’ di Manhattan senza Pilota e – soprattutto – senza rimorchiatori: “senza rompere nemmeno un cavo”, come diceva lui (ciò accadeva durante un altro ciclo di crociere ai Caraibi, e non era certo una cosa semplice per una turbonave di allora, senza eliche trasversali, senza eliche a passo variabile, etc.: altre navi dello stesso tipo evitarono di far scalo a New York, altre ancora causarono danni).
– Mi risulta che suo padre, da vecchio lupo di mare, una volta in pensione continuò a lavorare per il ‘Nuovo Mondo Crocieristico’ che stava sorgendo sulle ceneri di tante Società di Navigazione che non seppero ‘vedere lungo’, come la Soc. Italia di Navigazione. Che ruolo assunse il comandante Luigi Oneto in questa fase epocale?
Una volta in pensione, mio padre accettò l’offerta giuntagli inaspettatamente di selezionare gli equipaggi per le prime navi da crociera CARNIVAL degli allora poco noti armatori americani Arison: le T/n MARDI GRAS e FESTIVALE (Ufficiali e Sottufficiali di Coperta e di Macchina, tutti italiani). Lo fece per un paio d’anni circa.
Questo travaso di veri specialisti del mare, avvenne subito dopo il fallimento della Società Italia di Navigazione ed il contemporaneo decollo della Flotta Carnival di Teddy Arison che inaugurò con le sue Fun Ship il mondo crocieristico. I comandanti Calvillo, Castagnino, Fabietti, Fossati, Gavino, Sbisà, Schiaffino e naturalmente molti altri, una volta entrati in Carnival, richiamarono a loro volta un piccolo esercito di ufficiali di coperta, di macchina e di tutte le altre categorie, dai commissari, al personale alberghiero di camera e di cucina. Si può tranquillamente affermare che quarant’anni di professionalità e di massimo prestigio italiano sui mari, si mise su quella nuova “rotta di grande successo” che continua ancora ai nostri giorni ed é sempre in crescita.
Lui non lo sapeva e non lo avrebbe mai immaginato, ma proprio in quei due anni di reclutamento era nata la moderna industria delle navi da crociera (decisamente un’altra epoca rispetto alla sua…). Oggi CARNIVAL è il più importante Armatore di navi da crociera del mondo: la vecchia scelta di mantenere personale di S.M. italiano è però rimasta, ed ancor oggi contraddistingue le navi della società. Molti anni dopo, ossia nel 1996, ebbe la personale soddisfazione di essere invitato dall’Armatore a Venezia per l’inaugurazione della M/n CARNIVAL DESTINY, costruita nei cantieri di Monfalcone. Allora era la nave da crociera più grande del mondo, la prima nave passeggeri da oltre 100.000 T.S.L. Non andò, aveva ormai 85 anni compiuti e, pur godendo di buona salute, era da qualche tempo quasi cieco: forse temeva l’emozione, di sicuro temeva l’eventualità di non riconoscere e salutare qualcuno che in altri tempi gli era stato ben noto. Questo problema era ormai diventato il suo assillo abituale anche quando usciva di casa a Camogli.
– Mi sembra di ricordare che suo padre dedicò gli ultimi anni della sua vita al servizio dei marittimi. Ha qualche ricordo più dettagliato da raccontarci?
Dettagliato no, non ero più a Camogli e avevo ben altro di cui occuparmi in quegli anni.
Negli anni ’80 è stato per un mandato quinquennale Presidente dell’USCLAC (Unione Sindacale Capitani di Lungo Corso al Comando e D.M.). Questo incarico lo impegnò molto, e ne fu sempre particolarmente orgoglioso. Negli stessi anni ’80 è stato presidente dell’Associazione Nazionale Medaglie D’Oro di Lunga Navigazione.
Conoscendolo, Credo proprio che in ambo i casi lo fece perchè i colleghi lo reclamavano!
E’ stato componente attivo del “Gruppo di Lavoro” sulla collisione Stockolm-Andrea Doria. Era ormai il più anziano di tutti e lo viveva come un dovere morale nei confronti del Comandante Calamai.
– Da un articolo apparso nel 1986 sulla Rivista Marittima, firmato dal Comandante Giuseppe Longo, 95enne, ex Capo Pilota del Porto di Genova, estrapoliamo la seguente testimonianza:
“….Un Comandante che voglio ricordare è Luigi Oneto di Camogli: nel 1966, al comando della T/n MICHELANGELO, fu sbarcato su due piedi, dal funzionario responsabile della Finmare, il quale – non conoscendo né il Codice della Navigazione, né le disposizioni impartite dalla sua stessa Finmare – ebbe un ingiusto motivo di disappunto nei riguardi del Comandante Luigi Oneto e ne ordinò lo sbarco immediato. L’intero equipaggio, caso unico negli annali del sindacalismo attuale, si fermò e dichiarò sciopero per 24 ore bloccando la partenza della nave. Non penso si potesse dimostrare meglio di così la stima universale di cui godeva il comandante Luigi Oneto: e anche se ben pochi, all’infuori dei marinai, ottimi giudici, osarono farlo, i piloti del porto gli fecero pervenire subito un caldissimo telegramma di solidarietà.”
– Uno dei miei 11 nipoti si é iscritto quest’anno all’Istituto Nautico di Camogli. Il senso di questa intervista al dott. Gianni Oneto, che riguarda la rievocazione della brillante carriera di suo padre, comandante Luigi Oneto, consiste anche nel dare la “rotta giusta” a questi futuri ufficiali di marina, facendogli capire che comandanti si diventa con il sacrificio, con l’uso di quelle due bussole citate… e con tanta modestia, tanto amore e rispetto per il mare e la sua gente.
QUALCHE ANNOTAZIONE FINALE:
In questo lavoro, spesso si é fatto riferimento alla Classe ‘Navigatori’, riteniamo pertanto utile, riportare alcune note storiche di notevole interesse che abbiamo estrapolato dal sito Navi e Armatori, a cura di Maurizio Gadda che ringrazio.
Tra il 1947 e 1949 vennero consegnate le sei motonavi della serie “Navigatori”, ordinate prima del periodo bellico come navi da carico per il programma della legge Benni. Solo tre di esse erano state varate prima dell’armistizio, ma nessuna era entrata in servizio in quanto affondate per azione bellica o sabotate nelle acque dei cantieri costruttori durante la ritirata delle forze tedesche. Le tre unità rimaste sullo scalo, benché anch’esse danneggiate, furono le prime a essere completate trasformando il progetto originario in unità miste con sistemazioni per 520 emigranti in cameroni di terza classe.
“Ugolino Vivaldi”, impostata come “Ferruccio Bonapace”, fu varata dall’Ansaldo il 25 novembre 1945, consegnata il 10 maggio 1947, partì in viaggio inaugurale sulla linea per il Brasile – Plata il 18 maggio al comando del cap. Pietro Calamai. “Sebastiano Caboto”, impostata come “Mario Visentin”, fu varata a Sestri Ponente il 4 novembre 1946 e consegnata a fine aprile 1948 (velocità 15 nodi, 90 passeggeri in classe cabina e 530 in terza classe). Quest’ultima riaprì il servizio per Napoli – Cannes – Barcellona – Tenerife – La Guayra – Curacao – Cartagena – Panama – Buonaventura – Puna – Callao – Arica – Antofagasta – Valparaiso (Sud Pacifico) partendo in viaggio inaugurale da Genova il 4 maggio 1948 al comando del cap. Achille Danè : fu la prima nave italiana ad attraversare il Canale di Panama nel dopoguerra. Lo scalo di La Guayra fu importante per il flusso migratorio verso il Venezuela che nel 1947 fu di 2.292 persone, nel 1950 15.914. La terza unità era “Paolo Toscanelli”, nominativo non assegnato durante la costruzione, varata a Sestri Ponente il 30 gennaio 1947 e consegnata a metà marzo 1948; la nave partì per il Brasile – Plata da Genova il 25 marzo 1948 al comando del cap. Filippo Rando.
Contemporaneamente, si procedette al recupero delle altre tre unità affondate, anch’esse completate come navi miste ma con capienza di 90 passeggeri in classe unica e 612 emigranti in cameroni di terza classe, più tardi denominata turistica ed estesa su sei ponti (precisamente dal basso verso l’alto): sul Ponte D gli alloggi di classe turistica, sul Ponte C gli alloggi e la sala da pranzo di classe turistica, sul Ponte B il vestibolo, la sala di soggiorno e le passeggiate, sul Ponte A il vestibolo e gli alloggi di classe unica; sul Ponte Passeggiata la sala da pranzo, la sala di soggiorno la veranda e le passeggiate di classe unica; sul Ponte Sole bar e piscina di classe unica.
La “Marco Polo”, impostata e varata come “Nicolò Giani”, affondata il 29 aprile 1944, fu consegnata a fine luglio 1948 e partì per il primo viaggio verso il Sud Pacifico il 7 agosto 1948 al comando del cap. Cesare Gotelli.
L’ “Amerigo Vespucci”, varata nel 1942 come “Giuseppe Majorana” e sabotata nell’aprile 1945 dai tedeschi in ritirata, venne consegnata a fine aprile 1949 e partì per il viaggio inaugurale per il Brasile – Plata il 5 maggio 1949 al comando del cap. Pietro Passano poi trasferita alla linea del Sud Pacifico il 5 luglio 1949.
L’ “Antoniotto Usodimare”, varata come “Vittorio Mocagatta” il 16 ottobre 1942, trovata affondata a La Spezia nel dopoguerra e ripristinata a Genova, venne consegnata a metà luglio 1949, dopo aver raggiunto alle prove in mare i 18,24 nodi, e partì il 25 luglio 1949 per il Sud Pacifico al comando del cap. Pasquale Pezzato.
Le prime unità vennero modificate dopo pochi viaggi sull’esempio delle ultime. Con l’entrata in servizio delle “Navigatori” sulle linee del Sud America, la turbonave “Gerusalemme” venne trasferita in servizio sperimentale sulla linea centro-americana per La Guayra, Cartagena e Cristobal dal 23 luglio 1948, rimanendovi sino a settembre quando venne consegnata alla Lloyd Triestino di Trieste per la linea del Sud Africa.
Dopo il 1950, le navi della classe “Navigatori” potevano trasportare:
Nave |
Cl. cabina |
3^ classe |
Equip. |
||
Ugolino Vivaldi |
95 |
620 |
129 |
||
Sebastiano Caboto |
90 |
615 |
129 |
||
Paolo Toscanelli |
97 |
698 |
129 |
||
Marco Polo |
99 |
702 |
129 |
||
Amerigo Vespucci |
92 |
518 |
129 |
||
Antoniotto Usodimare |
92 |
614 |
129 |
||
***
Rapporto Carrothers. Studi e simulazioni computerizzate svolte dal capitano Robert J. Meurn della Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti, per conto della stessa Accademia e in parte basate anche sulle scoperte di John C. Carrothers, conclusero che fu l’inesperto terzo ufficiale della Stockholm, Carstens-Johannsen, unico ufficiale sul ponte di comando al momento della collisione a mal interpretare i tracciati radar e a sottostimare la distanza tra le due navi a causa di un’errata regolazione del radar. (n.d.r.)
Ringrazio il dott. Gianni Oneto per la sua disponibilità.
Carlo GATTI
Rapallo, 3.12.22
GUERRA E PACE ... AD ALLEGREZZE
GUERRA E PACE…. AD ALLEGREZZE
Fu un Agosto di sangue quello del 1944 in Val d’Aveto (GE). Siamo nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e i nazisti sono in ritirata dietro la linea Gotica dopo un anno dalla caduta del fascismo, con la collaborazione di delatori in camicia nera al servizio di Mussolini e della Repubblica Sociale di Salò.
Di giorno il marittimo ligure è occupato a tener d’occhio il mare, la nave ed il carico, ma quando riposa sogna i verdi campi, le vallate e spesso addirittura le montagne. Chi ha navigato lo sa, e quando ritorna a casa porta la famiglia a villeggiare in Trentino oppure in Val D’Aosta. Il perché di questa “transumanza” non la conosco, ma forse si tratta del desiderio di uno “stacco” geo-climatico che, tuttavia, dopo una settimana trascorsa tra le mucche scompare per fare posto nuovamente ai sogni di mare.
Fu così che dopo aver scoperto il Trentino e la Val d’Aosta c’innamorammo perdutamente della nostra più vicina Val D’Aveto, dei loro valligiani, delle loro storie e delle tante gite che dal Passo del Tomarlo si potevano fare nei dintorni: Bobbio, il Penice, Grazzano Visconti, Compiano, Bardi alla scoperta d’incantevoli borghi medievali e persino quelli “antico-romani” a Velleia.
Il destino volle che nel 1978 “gettassimo l’ancora” a 920 metri d’altezza, qualche chilometro prima di Santo Stefano D’Aveto, precisamente ad Allegrezze, un borgo di poche case che tuttavia aveva una scuola elementare, un piccolo Ufficio Postale, un negozietto di generi alimentari, un tabacchino ed una vista mozzafiato che va dal Monte Penna all’Antola da cui scendono ripoidi versanti verso il Tigullio ed il golfo Paradiso.
Nella casa attigua alla nostra abitavano i fratelli e le sorelle di ALBINO BADINELLI. Persone umili, sempre disponibili, religiosissimi con i quali ci siamo ben presto sentiti come un’unica famiglia.
Fu così che piano piano venimmo a conoscenza di ciò che accadde a quella sfortunata famiglia e all’intera comunità che si trovò, durante la Seconda guerra mondiale, in un autentico ciclone che ora cercherò di raccontare.
ALBINO BADINELLI
1920 - 1944
UN EROE IN ODORE DI SANTITA’
Il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia
Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta
La chiesa di Santa Maria Assunta sorge in località Allegrezze di Santo Stefano D'Aveto, isolata, con orientamento Est-Ovest, preceduta da un ampio sagrato, lastricato in pietra, chiuso sul lato destro da un basso muretto, in pietra. La facciata a salienti, in pietra a vista è rinserrata agli angoli da cantonali in conci di pietra posti a risega. Al centro si apre il portale, rettangolare, con stipiti e architrave, modanati, in arenaria. Il portale è coronato da una cornice, in aggetto, su mensole a voluta, in pietra. Al di sopra del portale si apre una piccola nicchia a tutto sesto che accoglie la statua, in pietra, della Madonna Assunta. In alto, centrale, si apre il rosone circolare. I fronti laterali, nella parte alta sono forati da quattro monofore a tutto sesto, per lato. La parte bassa del fronte sinistro, corrispondente alla parete della navata minore, presenta una monofora a tutto sesto. Al fronte destro si addossa la Canonica. Al fronte sinistro, sul retro si addossa un edificio parrocchiale. Sul retro l'abside semicircolare è forato ai lati da due larghe monofore a tutto sesto. All'abside si addossa, sul retro, un volume, in leggero aggetto, con fronte a capanna, con rosone che si apre al centro del timpano. Il campanile sorge isolato a sinistra della chiesa. In pietra a vista, a pianta quadrata, su due ordini, separati da una leggera cornice marcapiano, con fronti decorati a specchi rettangolari, strombati, ad angoli smussati, termina con una cella con lesene d'angolo doriche che reggono una trabeazione curvilinea in aggetto. La cella è forata sui quattro lati da alte monofore a tuto sesto e sormontata da un tamburo ottagonale, forato su quattro lati da monofore a tutto sesto e coperto da tetto a guglia piramidale, con manto in lamiera.
L’esterno e l’interno della chiesa di Allegrezze
Eretta parrocchia nel X secolo, i primi documenti sulla locale chiesa di Allegrezze risalgono al 1287 quando un cartario del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia accertò la presenza di una cappella dedicata alla Vergine Maria.
Dipendente fino alla metà del XVI secolo dal monastero pavese fu in seguito aggregata alla pieve di Ottone in val Trebbia, in occasione della visita pastorale di monsignor Maffeo Gambara vescovo della diocesi di Tortona.
L'interno dell'edificio è diviso da colonne in ardesia - denominata anche "pietra nera" - e conserva sul muro della vasca battesimale un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù di pittore sconosciuto, ma forse risalente al Cinquecento.
Negli anni della Seconda guerra mondiale l’artista Italo PRIMI, nato a Rapallo nel 1903 e spentosi nel 1983, da sfollato ad Allegrezze, dedicò il suo tempo alla cura architettonica e artistica della chiesa di Allegrezze riportando alla luce tesori d’arte come le colonne originali in pietra nera (ardesia) della navata centrale che erano ricoperte da comune materiale edilizio e naturalmente valorizzando altre opere importanti già esistenti.
Italo PRIMI era un artista a tutto tondo: scultore, pittore, creatore di forme e oggetti. Stimato scultore, appassionato pittore, abile decoratore e uomo legato alla sua famiglia e alla sua terra, non ha mai smesso di coltivare la sua passione per l’arte. Artista vivace e aperto a nuove sperimentazioni, ma anche uomo riservato e incline alla solitudine.
All’epoca quel piccolo angolo di mondo girava intorno alla sua chiesa, un antico santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, da cui il nome Allegrezze. Il suo altissimo campanile è visibile dappertutto ed è tuttora il punto di riferimento della religiosità molto sentita dalle comunità montane di quel comprensorio. Il borgo si anima d’estate con la presenza di famiglie rivierasche attirate dalla posizione dominante alla quale si accede dalla costa attraverso i Passi della Forcella (875 mt.s.l.m.) o della Scoglina (926 mt.s.l.m.)
Negli anni ’80-‘90 la maggior parte dei giovani residenti abbandonarono i campi e le stalle e si trasferirono nelle grandi città in cerca di lavoro. Oggi si assiste ad un ritorno al passato molto promettente che vede alcune iniziative famigliari dedite non solo alla produzione di latte ma anche dei suoi derivati: formaggi tradizionali della vallata, e persino yogurt che sono molto richiesti per la loro fragranza.
Non hanno più riaperto il negozio d'alimentari e gli altri esercizi cui accennavo perché le anime di questo paese non raggiungono il numero di 25 e, sia i pochi residenti che i turisti, sono ormai motorizzati e raggiungono in pochi minuti il vicino comune di Santo Stefano. Le mucche sono 35, il numero è proporzionate al terreno di pascolo dei proprietari.
A questo punto vi chiederete: “ma perché Carlo ci ha portato fin quassù dopo averci abituato ai settimanali viaggi di mare … ?”
Innanzitutto, dopo questa estate infuocata, penso che una gita da queste parti vi possa solo giovare… dal punto di vista climatico e non solo… ma il vero motivo è un altro, ed è giunto il momento d’entrare in argomento.
QUADRO STORICO
Dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati e la caduta del fascismo il nuovo governo italiano tratta con gli Alleati per uscire dalla guerra. I tedeschi capiscono quello che sta per accadere e danno il via all’Operazione Alarico, con cui mandano consistenti truppe nella penisola. Mentre le trattative per l’armistizio vanno avanti tra ambiguità e tentennamenti da parte italiana, i nostri vertici militari si preparano al mutare degli eventi. In un documento: la Memoria Op 44, si danno disposizioni su come reagire alla probabile rappresaglia tedesca dopo l’armistizio, e si indicano chiaramente i nostri ex alleati come il nuovo nemico. Nonostante tutto, l’8 settembre ‘43 coglie il governo impreparato. Gli ordini non vengono diramati, i vertici dello Stato e delle forze armate abbandonano la capitale e lasciano i comandi territoriali, in Italia e all’estero, privi di indicazioni. Molti decidono di combattere, ma vengono presto sopraffatti dai tedeschi, che in poco tempo catturano un milione di militari italiani, la maggior parte dei quali viene condotto in prigionia nei lager di Germania e Polonia.
I Carabinieri sono tra i pochi militari che rimangono al loro posto, in virtù delle funzioni di polizia che devono svolgere e grazie alla loro presenza capillare sul territorio. In quei giorni concitati, a Torrimpietra, una località a 30 chilometri da Roma, un'esplosione causata incidentalmente da un gruppo di paracadutisti tedeschi durante un'ispezione, viene fatta passare per un attentato. I tedeschi rastrellano per rappresaglia 22 civili, destinandoli alla fucilazione. Il vicebrigadiere dei carabinieri SALVO D’ACQUISTO, di stanza in caserma, si autoaccusa dell'atto e sacrifica la propria vita per salvare quella degli ostaggi. Medaglia d'oro al valor militare, Salvo D'Acquisto diventa il simbolo della dedizione e dello spirito di sacrificio dell'Arma e il suo gesto non rimarrà isolato. Durante i venti mesi di occupazione tedesca, infatti, altri carabinieri daranno la vita per proteggere le popolazioni civili, oppure supporteranno la Resistenza e la lotta di liberazione.
Nella Val D’Aveto. Un anno dopo!
ALBINO BADINELLI (6.marzo 1920- 2.settembre 1944)
il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia.
La strada che taglia l’abitato di Allegrezze porta il nome di questo giovane carabiniere: Albino Badinelli che testimonia al passante un gesto di amore ed altruismo infiniti nel dare la propria vita per salvare quella di 20 civili avetani presi a caso e destinati alla fucilazione quali vittime di un’infame rappresaglia decisa dal comando nazifascista di Santo Stefano D’Aveto per vendicare alcuni militari caduti tra i reparti della Monterosa.
La Monterosa fu una delle unità militari create durante la Repubblica Sociale Italiana dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, nonché una delle più importanti che combatterono sotto le insegne del Fascismo repubblicano. La divisione, composta da circa 20.000 uomini era stata addestrata in Germania e quando tornò in Italia fu impiegata a ridosso delle Alpi Apuane e dell’Appenino Tosco-Emiliano ed anche nella Val D’Aveto.
ALBINO BADINELLI in alta uniforme
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Davanti al plotone di esecuzione, come Gesù in croce, Albino disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Un perdono che nasceva da una fede nutrita in famiglia, fin dall’infanzia. E la Chiesa guarda con crescente interesse alla sua figura.
Settimo di 11 figli di Caterina e Vittorio, contadini, Albino nasce ad Allegrezze, frazione del paesino ligure di Santo Stefano d’Aveto. Fin da piccolo, quando non è impegnato con la scuola, aiuta la famiglia nei campi. La sera, per genitori e figli, è consueta la recita del Rosario attorno al focolare. Albino porterà sempre con sé la devozione per la Madonna coltivata tra le mura domestiche ed espressa anche con il custodire, nelle sue tasche, la coroncina del Santo Rosario.
Il giovane carabiniere di Allegrezze, dopo l'8 settembre 1943, privo di comando nella Caserma di S. Maria del Taro a cui era stato assegnato, torna presso la famiglia di origine che cerca in tutti i modi di aiutare con il suo lavoro nei campi e nella ricerca del fratello disperso in Russia.
Nell’agosto 1944 diversi scontri tra partigiani e nazifascisti mettono a ferro e fuoco i paesi del circondario. Per contrastare gli attacchi della Resistenza, il comandante della Divisione Monte Rosa (maggiore Cadelo) minaccia di incendiare S. Stefano d’Aveto e di uccidere 20 ostaggi se i partigiani e gli sbandati non si presenteranno al Comando. Poiché nessuno si costituisce, terrorizzato dall’idea che venti innocenti possano essere trucidati, Albino si presenta il 2 settembre in caserma accompagnato dalla madre, invocando moderazione e pace. Viene invece immediatamente condotto davanti al plotone d’esecuzione presso il Cimitero del borgo attiguo alla chiesa, dove confida al sacerdote, un attimo prima di essere fucilato, la volontà di perdonare i suoi carnefici.
Segnalato da Tommaso Mazza, pronipote. Candidatura proposta per il Monte Stella nel 2016
Desidero a questo punto aggiungere alcune testimonianze, rese a chi scrive, dal fratello Antonio (Tony) e da sua moglie Augusta durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme.
“Le sue giornate passavano tra casa, campagna e chiesa. Albino leggeva molto e studiava sempre, era il più intelligente di tutti noi. Fin da bambino aveva dimostrato un forte senso religioso, intriso di profondi valori cristiani: umanità, generosità, carità, bontà d’animo e spirito di servizio. Albino era profondamente radicato nelle tradizioni religiose proprie della nostra montagna.
Albino aveva una bella voce, ed il suo canto aggiungeva solennità alle celebrazioni liturgiche in occasione delle festività, e anche quando poteva ogni mattina alle messe feriali, mentre nel tempo libero si dedicava a disegni artistici.
Diventare carabiniere era il suo sogno fin da bambino. Nel 1939 entrò all’Accademia Militare di Torino. Ai primi di marzo del 1940 venne incorporato, quale Carabiniere Ausiliario a piedi, presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma, con la ferma ordinanza di leva di mesi 18.
Nominato Carabiniere il 10 giugno dello stesso anno, fu trasferito alla Legione di Messina il 14 successivo, per poi prestare servizio nella cittadina di Scicli. Il 2 maggio 1941 è assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo XX Battaglione Mobilitato e giunge in Balcania, territorio dichiarato in stato di guerra, il 21 settembre 1941.
Nei primi tempi Albino non se la passò male, almeno non come nostro fratello Marino che non tornò mai più dalla campagna di Russia. Tutto cambiò nel 1944 quando, dopo la distruzione della caserma in provincia di Parma dove prestava servizio, fu invitato a tornare a casa in attesa di ordini. Molti suoi colleghi in quei mesi passarono tra i partigiani. Lui era un animo pacifico, ma aiutava come poteva coloro che si erano dati alla macchia per non essere catturati e deportati.
Nell'estate del 1944 i partigiani uccidono cinque fascisti. Per rappresaglia, il comandante Cadelo della divisione Monterosa, “Caramella” era il soprannome che gli fu dato per il monocolo che gli copriva un occhio, fece diffondere un ultimatum terribile: se i partigiani non si fossero consegnati subito, avrebbe fatto fucilare tutti i civili, tra i quali c'erano anche donne e bambini, detenuti nella Casa Littoria del paese. In più avrebbe dato ordine di incendiare Santo Stefano, come già era stato fatto con alcuni paesi vicini. Di fronte a questa prospettiva, Albino prese la sua decisione:
“Prima che uccidano qualcuno, mi presento io. Altrimenti non avrei pace”
ci disse. “Noi eravamo tutti terrorizzati, ma pensavamo che al massimo l'avrebbero portato in Germania. E invece quando “Caramella” lo vide si mise a urlare:
"Tu sei un carabiniere! Il tuo dovere è catturare i disertori!”.
Albino provò a obiettare che lui voleva solo la pace, ma "Caramella" urlò ancora più forte:
“Altro che pace! Il plotone di esecuzione ti aspetta!”.
In una delle lettere di quel periodo, il 7 giugno 1942, scrive:
«Cara mamma, non posso descriverti tutta la poesia che mi suscitò nel cuore l’immagine di quella Madonnina alla quale vengono rivolte preghiere che non potranno non essere esaudite, essendo rivolte con tanta devozione dal cuore di una madre, che con ansia implora la protezione dei figli lontani... Siate sempre tranquilli, perché ovunque Ella stenderà il Suo manto sopra di noi, ne conserveremo la devozione».
Il 21 agosto successivo, in un’altra lettera, raccomanda ai familiari: «Rassegnatevi sempre al volere di Dio».
Nel biennio ’43-’44 la famiglia Badinelli è segnata prima dall’angoscia di non avere più notizie di uno dei fratelli di Albino, Marino, impegnato a combattere sul fronte russo, e poi dal dolore per la certezza della sua morte. Sarà san Pio da Pietrelcina - una delle persone a cui mamma Caterina aveva scritto - a far sapere alla famiglia di non cercare più Marino perché giaceva sepolto in una fossa comune in Russia. Circostanza che verrà confermata dal Ministero della Difesa negli anni Ottanta.
Nel ’43, Albino viene richiamato in Italia per prestare servizio a Santa Maria del Taro, piccola località in provincia di Parma. Il giovane carabiniere stringe amicizie profonde e non manca, nel suo piccolo, di evangelizzare. Testimonierà il collega Fabio Morelli, conosciuto durante l’esperienza lavorativa nel parmense: «Albino era una persona speciale, dotata di grande umanità e profonda religiosità. Andava ogni giorno a Messa nella chiesa parrocchiale e spesso ci invitava tutti a pregare il Rosario con lui. Era un grande esempio per noi che gli eravamo legatissimi […]».
LA GUERRA CIVILE
Ulteriori testimonianze
Dopo il Proclama Badoglio dell’8 settembre ‘43, che annuncia l’armistizio con gli Alleati, l’Italia si trova spaccata in due, tra nazifascisti e forze della Resistenza. Anche Albino sperimenta presto la durezza di quella guerra nella guerra, dove pure vecchi amici e familiari possono trovarsi su fronti opposti. Alcuni partigiani, siamo già nel ’44, attaccano la caserma di Santa Maria del Taro, devastandola con una bomba. Seguendo gli ordini di un superiore, Albino fa ritorno a casa, ma prima si libera del moschetto perché sconvolto dall’idea di potersene servire per uccidere dei fratelli.
Come abbiamo già visto, anche la Val d’Aveto non rimane estranea agli scontri tra “repubblichini” di Salò e "partigiani". È l’agosto del ’44 quando la Divisione nazifascista Monterosa entra in quei territori, incendiando le case in diversi borghi. Al suo comando c’è il maggiore Girolamo Cadelo, il quale ha diversi obiettivi: stanare i ribelli che infestavano quelle campagne, neutralizzare l’attività partigiana e rastrellare disertori e renitenti alla leva (in osservanza del decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944, n. 30:
“Pena capitale a carico di disertori o renitenti alla leva”)» [cfr. Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri, Anno II, n. 4, p. 93].
Nel giorno dell’ingresso a Santo Stefano d’Aveto, il 27 agosto, la Monterosa subisce un agguato partigiano, patendo alcune vittime. La frazione di Allegrezze, due giorni più tardi, viene incendiata dalle bande fasciste. Arriva quindi il 2 settembre. Il maggiore Cadelo e i suoi uomini hanno con sé una ventina di ostaggi. Dei manifesti, sparsi in tutto il territorio cittadino, invitano i giovani “sbandati” a presentarsi alla locale Casa del Fascio. In caso contrario, i prigionieri saranno uccisi e le case di Santo Stefano date alle fiamme. Pochi si consegnano e tra questi - pur non partecipando attivamente alla Resistenza - c’è Albino, che ai familiari aveva detto: «Devo presentarmi prima che venga ucciso qualcuno, perché non avrei più pace. Io devo essere il primo!».
Alla Casa del Fascio, Badinelli spiega a Cadelo di appartenere all’Arma e di volere la pace, ma il maggiore gli urla di aver mancato al dovere di catturare i disertori ed emette la sua ‘sentenza’: «Plotone di esecuzione!». Albino chiede a quel punto di potersi confessare, ma gli viene negato. Un giovane ha però la pietà di andare a chiamare monsignor Giuseppe Monteverde, un anziano sacerdote del posto, che accompagna Albino verso il luogo dell’esecuzione, il cimitero di S.Stefano D’Aveto, e ne raccoglie le ultime confidenze. Tra queste, c’è anche il perdono per coloro che di lì a breve saranno i suoi uccisori. Il buon sacerdote lo benedice, gli consegna un crocifisso e lo raccomanda alla Madonna di Guadalupe, molto venerata a Santo Stefano.
Chiesa parrocchiale di Santo Stefano - Santuario della Madonna di Guadalupe
Nell'edificio viene conservata un'immagine della Santa portata nel santuario nel 1804 dalla chiesa di San Pietro in Piacenza. Il santuario conserva dal 1811 anche una tela che raffigura la Vergine donata all'edificio dal cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, segretario di Stato di papa Pio VII. Si narra che questa tela fosse sulle navi del suo antenato Andrea Doria nel 1571, durante la Battaglia di Lepanto. Il quadro, copia dell'immagine impressa sulla tilma, gli era stato donato all'ammiraglio dal re di Spagna Filippo II. La chiesa di stile gotico toscano fu ricostruita nel 1928 in sostituzione della vecchia settecentesca di cui rimane il campanile. L'altare maggiore espone ai lati del vecchio quadro due pale dedicate a Santo Stefano ed a Santa Maria Maddalena. Le parti in legno sono state eseguite da maestri della val Gardena.
Albino BADINELLI fu fucilato con la schiena al muro dove oggi è posta la targa commemorativa qui fotografata mentre viene benedetta da un sacerdote.
LA MEDAGLIA D’ORO conferita al carabiniere Albino Badinelli
Onorificenze e riconoscimenti
Domenica 25 settembre 2016, durante la visita a Stella (Savona), paese natio di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato Agnese Badinelli, sorella di Albino.
Dal 6 marzo 2017 Albino Badinelli viene commemorato come “Giusto dell’umanità”, titolo riservato a coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. A lui e ad altre venti figure è stata dedicata la cerimonia di apertura delle celebrazioni per la Giornata europea dei Giusti, a Palazzo Marino, Milano, con la consegna delle pergamene per l’inserimento nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. E’ seguita poi la commemorazione in Consiglio Comunale, con la lettura dei nomi dei nuovi Giusti, ospiti d’onore nella seduta del Consiglio.
Anche la Chiesa cattolica sta lavorando per riconoscere ufficialmente la fama di santità di questo giovane. Papa Francesco è stato informato della vicenda legato alla figura di Albino Badinelli nel settembre 2015, quando il Comitato, in visita a Roma, ha donato un piccolo volume a Papa Francesco, nel contesto dell’Udienza generale. Nella stessa occasione, il volume è stato dato anche al Papa emerito Benedetto XVI, attraverso il suo segretario personale.
Il 2 gennaio 2016, Tommaso Mazza, sacerdote della diocesi di Chiavari, ha avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione personale con Papa Francesco a Casa Santa Marta. In questa occasione, tra le molte cose proposte, ha presentato al Santo Padre, in modo più dettagliato, la storia di Albino Badinelli, facendo particolare riferimento alla storia della sua morte. Nel maggio 2018 i Cardinali e i Vescovi lo hanno scelto come “Testimone” del Sinodo dei Giovani.
Decreto del Presidente della Repubblica
3 agosto 2017
Medaglia d'oro al merito civile alla memoria |
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«Carabiniere effettivo alla Stazione di Santa Maria del Taro (PR), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo venir meno al giuramento prestato e deciso a non far parte delle milizie della Repubblica di Salò, si dava dapprima alla macchia e successivamente decideva di consegnarsi al reparto nazifascista che, come rappresaglia ad un attacco subito, minacciava di trucidare venti civili inermi. Condotto davanti al plotone di esecuzione sacrificava la propria vita per salvare quella dei prigionieri. Chiaro esempio di eccezionale senso di abnegazione e di elette virtù civiche spinte fino all’estremo sacrificio. 2 settembre 1944 Santo Stefano d'Aveto(GE).» |
Giunti al cimitero del Comune di Santo Stefano d’Aveto, Albino viene posto con le spalle al muro. È in quegli istanti che, dopo aver baciato con grande devozione il crocifisso, dice come Gesù in croce:
«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».
Qualcuno nel plotone si rifiuta di sparare. Ma la sua sorte è segnata. Viene raggiunto da tre colpi di arma da fuoco, due al cuore e uno alla testa. Così, il 2 settembre 1944, il ventiquattrenne Albino torna al Creatore (sul luogo della sua morte, oggi si trova una lapide, la cui scritta finisce così:
«O tu che passi / chinati al suo ricordo / e prega a lui ed al mondo / pace»).
A piangerlo, tra i tanti familiari e amici, la fidanzata Albina, che tempo dopo chiederà di essere sepolta insieme alle lettere che lui le scriveva.
Il suo cadavere, ancora sanguinante, viene lasciato per un po’ davanti al cimitero e poi portato nel coro della vecchia chiesa parrocchiale, con l’ordine del maggiore Cadelo di non spostarlo da lì, perché serva da monito. Ma nella notte il corpo esanime di Albino viene trafugato da alcuni compaesani, guidati da monsignor Casimiro Todeschini, per dargli degna sepoltura.
Il suo sacrificio contribuisce comunque a placare l’ira di Cadelo, che rinuncia al proposito di uccidere gli ostaggi e incendiare Santo Stefano. Lo stesso maggiore finirà vittima di un’imboscata alcuni giorni più tardi, il 27 settembre, nei pressi del Passo della Forcella.
Ma chi comunica il fatto a mamma Caterina, pensando di portarle una buona notizia, si sente rispondere da lei:
«Non voglio ritirare il perdono che mio figlio ha dato prima di morire!».
E qualche tempo dopo, mentre sta recitando il Rosario in un angolo della sua cucina, interpellata da un cappellano militare giunto con altri a raccogliere informazioni sulla morte di Albino, la donna confida:
«Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio».
Da quel giorno il ricordo del sacrificio di Albino non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune, dove si trovano la stazione dei Carabinieri e la scuola.
Nel 2015 è stato poi fondato il Comitato Albino Badinelli, per favorire lo sviluppo e la conoscenza della sua testimonianza.
«In questo modo - come afferma una dichiarazione di un testimone - il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo, resero possibile il nostro riscatto».
ESEMPIO PER LA CHIESA E IL MONDO
Naturalmente, la Chiesa guarda con grande attenzione alla figura di Badinelli. Almeno quattro Papi - Pio XII, Paolo VI, Benedetto XVI, Francesco - hanno conosciuto ed espresso in vario modo la loro gratitudine per l’esempio di Badinelli. Ratzinger ha parlato del suo sacrificio come «testimonianza di amore e di pace che dona forza e stimolo ai giovani del nostro tempo». E nel Sinodo dei Giovani del 2018, voluto da Bergoglio, Albino è stato incluso tra i testimoni dell’amore di Cristo da far conoscere alle nuove generazioni.
Di recente lo stesso giornalista Italo Vallebella ha scritto per il SECOLO XIX un articolo così intitolato:
Santo Stefano D’Aveto, beatificazione e canonizzazione del carabiniere Badinelli: la Congregazione dà il nulla osta
Per saperne di più:
Libro: L’amore più grande
Autore Tommaso Mazza
LA BATTAGLIA DI ALLEGREZZE NELL’ANNO 1944
http://www.valdaveto.net/documento_655.html
Con il nome di Bando Graziani furono chiamati una serie di bandi di reclutamento militare obbligatorio, destinati ai giovani italiani nati negli anni tra il 1916 e il 1926, emanati dal Ministro della Difesa della Repubblica Sociale Italiana, Rodolfo Graziani, per la costituzione del nuovo Esercito della RSI.
Il primo di questi bandi risale al 9 novembre 1943 e riguardava i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. Dei 180 000 richiamati alla leva da questo primo bando, solo 87.000 si presentarono, tutti gli altri disertarono e molti di loro fuggirono raggiungendo le formazioni partigiane. Il 18 febbraio 1944 un decreto di Mussolini sanciva la pena di morte mediante fucilazione per i renitenti e i disertori. Questi bandi, tuttavia, ebbero scarso successo e anzi rafforzarono la resistenza partigiana clandestina, verso la quale furono attratti inevitabilmente i tanti renitenti in fuga dalla leva.
Come un ruvido panno passa sull'umanità, privandola di quelle differenziazioni sociali di cui la collettività stessa si nutre.
Rimane infine l'uomo, nella sua essenza. Nel bene e nel male.
Ecco allora che questa pagina rievocando i drammatici accadimenti della cosiddetta Battaglia di Allegrezze, rappresenta un vero monito per tutti: non lasciamo mai che la bestia che vive in ognuno di noi prenda il sopravvento.
Pensiamo al prof. Podestà, al canonico Moglia e al falegname Zaraboldi. Diversi per formazione e ruolo sociale, ma accomunati da quello che più conta: essere uomini.
Nell'accezione più sublime del termine.
Di Massimo Brizzolara
Chiavari 30 giugno 1946
Il sottoscritto dichiara che la sera del 27 agosto 1944 alle ore 17 circa, venne prelevato (arma alla mano) da due soldati accompagnati da due borghesi che erano stati prelevati in rastrellamento da una colonna di nazifascisti (gruppo Cadelo di esplorazione della Monte Rosa) ed invitato a recarsi ad Allegrezze d'Aveto per prestare soccorso medico a feriti nel combattimento in corso con un gruppo di partigiani che aveva aggredito la colonna stessa.
Il sottoscritto era a La Villa d'Aveto dove aveva la propria famiglia sfollata e da pochi giorni era venuto a visitarla. Il sottoscritto si fece accompagnare dal figlio del suo padrone di casa sig. Zaraboldi Costantino ed insieme ai militari e borghesi suddetti si recò ad Allegrezze che dista circa 1 Km.
Ferveva sempre il combattimento, ivi giunto trovò il parroco Don Primo Moglia dal quale apprese che lui stesso era stato preso in ostaggio dal comandante della colonna dei nazifascisti e che mentre veniva condotto a S. Stefano d'Aveto con la stessa, aveva inizio un fiero combattimento con i partigiani, per cui la colonna stessa era stata decimata ed aveva dovuto retrocedere.
Il parroco Don Primo allora aveva disposto il raccoglimento dei feriti e dei morti, improvvisando in casa sua (canonica) l'infermeria. Infatti io trovai nei vari letti e stanze, una quantità di feriti più gravi. Pregai il parroco di disporre in modo che mi si aprisse la scuola di fronte alla sua canonica per poter medicare e ricoverare anche altri feriti che via via affluivano portati dai borghesi. Posso attestare che la popolazione di Allegrezze guidata dal suo parroco fece miracoli in quella sera e in tutta la notte successiva, mettendo a disposizione i pagliericci e la biancheria occorrente a medicare e ricoverare ben 37 feriti gravi e a portare al cimitero sette morti.
Furono tutti medicati dal sottoscritto con l'aiuto della popolazione e in modo speciale dal parroco e da una donna che era stata presa in ostaggio certa Caprini Maria.
Nella notte stessa, con l'aiuto dell'interprete tedesco P. Tomas Ruckert, il sottoscritto potè tenere dal tenente tedesco delle SS che apparteneva al Comando della colonna stessa, la promessa su parola d'onore dello stesso, di liberare all'alba gli ostaggi presi e tra questi il parroco Don Primo Moglia ed il giovane sacerdote Giovanni Barattini di Alpicella.
Tutto ciò in premio dell'opera veramente encomiabile prestata da Don Primo e dalla popolazione della sua parrocchia da lui guidata. Infatti, all'alba del giorno dopo, prima di partire io stesso recandomi alla sua abitazione mi accertai personalmente che tale liberazione fosse mantenuta.
ALLEGREZZE BRUCIA
29 AGOSTO 1944
Purtroppo, il giorno appresso venne bruciato il paese, su ordine di un militare italiano Maggiore Cadelo che comandava la colonna.
Infrangendo la parola d'onore con il sottoscritto impegnata in proposito dal Tenente tedesco delle SS a lui in sott'ordine, mentre al mattino del 29 agosto 1944 il parroco Don Primo Moglia celebrava la messa per la festa della Madonna della Guardia presente tutti i suoi parrocchiani, faceva circondare il paese e appiccare il fuoco a tutte le abitazioni della frazione impedendo ai parrocchiani di altre frazioni di accorrere in aiuto per spegnere gli incendi. La chiesa fu salva soltanto perchè il parroco si era adoperato come già detto per i feriti. Così anche la scuola, la canonica e la stessa sua vita.
Giorni dopo assieme al parroco Don Primo Moglia, al becchino e al figlio del mio padrone di casa sig. Costantino Zaraboldi, per mia iniziativa ci recammo in località "La Cava" per raccogliere il cadavere del partigiano Berto, che su ordine del su menzionato Maggiore Cadelo, era stato lasciato sulla strada con minaccia per chi lo avesse toccato e gli demmo onorata sepoltura.
La bara fu fabbricata dallo stesso Costante Zaraboldi gratuitamente.
Un mese dopo circa, tanto il sottoscritto (che aveva rimesso di proprio tutta la medicazione dei feriti stessi) che il Zaraboldi e il padre suo, vennero arrestati assieme al parroco di S. Stefano d'Aveto ed al parroco di Pievetta sotto l'accusa di collaborazione con i partigiani e non vennero fucilati insieme ad altri otto disgraziati del luogo, solo perché nel frattempo il Maggiore Cadelo (che aveva dato ordine di fucilazione) venne ucciso in imboscata dai partigiani.
In fede di quanto sopra firmato Dott. Prof. Vittorio Podestà *
* Medico Chirurgo Radiologo - Docente nella Regia Università di Genova - Perito Medico Giudiziario
I due partigiani: BRIZZOLARA ANDREA di Villanoce e SILVIO SOLIMANO “BERTO” di Santa Margherita Ligure caddero combattendo contro i nazifascisti ad Allegrezze il 27 Agosto 1944.
Albino Badinelli – L’Arcivescovo di Chiavari, incontra la sorella del carabiniere martire.
http://www.ordinariatomilitare.it/2021/04/28/albino-badinelli-larcivescovo-a-chiavari-incontra-la-sorella-del-carabiniere-martire/
TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO I PARENTI DI
ALBINO BADINELLI
IL CIMITERO DI ALLEGREZZE
Due giganteschi alberi di SEQUOIA fanno da guardiani e custodiscono la memoria per sempre
Anni Ottanta dell’Ottocento, epoca della messa a dimora da parte di Agostino Zanaboldi, figlio di immigrati liguri negli Stati Uniti, che ritornò da New York con due piantine di sequoia….
Concludo con alcune riflessioni personali:
I carabinieri avevano due compiti principali:
di polizia, tutela della sicurezza della popolazione italiana - di militari nelle Forze Armate, avevano giurato fedeltà al re e non al fascismo.
Domenica 25 luglio 1943 ore 17.00
Tra coloro che si occupano dell'arresto di Mussolini: i carabinieri Giovanni Frignani e Raffaele Aversa saranno tra gli uccisi alle cave Ardeatine.
Per questo motivo i nazifascisti non si fideranno mai dei carabinieri.
La situazione diventa estremamente difficile per l’Arma Regia dopo l’8 settembre 1943, quando il Re abbandona la capitale e l’Arma dei Carabinieri riceve l’ordine di rimanere sul posto per mantenere l’ordine pubblico e collaborare con l’occupante.
Viene chiesta loro la “fedeltà a Salò” e da quel momento iniziano le diserzioni, le deportazioni e gli arruolamenti presso le unità partigiane.
In questo drammatico quadro storico avviene la fucilazione di Salvo D’Acquisto seppure innocente e riconosciuto tale dal comando tedesco.
Il suo gesto eroico salva la vita a 22 ostaggi presi nei dintorni quando tutti sapevano che la causa della morte di due militari tedeschi era dovuta ad una esplosione da loro stessi provocata. Gli ostaggi furono liberati ma i tedeschi ottennero il loro scopo: creare panico e terrore tra la popolazione.
A guerra finita i numeri ci spiegheranno meglio di tante parole il SACRIFICIO dei Carabinieri:
2.735 ……….. caduti
6.521 …………feriti
0ltre 5.000… deportati in Germania
Nel 2001 Papa Giovanni Paolo II, in un discorso rivolto ai Carabinieri disse:
La storia dell’Arma dimostra che si può raggiungere la vetta della SANTITA’ nell’adempimento fedele e generoso verso il proprio STATO.
SALVO D’ACQUISTO:
Nascita:
Napoli, 15 ottobre 1920
Morte:
23-settembre-1943
Località Torre Perla di Palidoro, nella frazione di Palidoro, nel comune di Roma (oggi-Fiumicino).
ALBINO BADINELLI:
Nascita:
Allegrezze, 6 marzo 1920
Morte:
2 settembre 1944
Santo Stefano D’Aveto
Tra questi due GIGANTI dello SPIRITO DI SERVIZIO è difficile trovare persino le più sottili differenze caratteriali e comportamentali.
Entrambi si presentarono spontaneamente davanti ai loro carnefici esibendo ciascuno il PROPRIO ONORE MILITARE, QUEL VALORE che non trovarono sia nel Comando Tedesco di Roma sia in quello Nazifascista della Liguria montana.
Rimane soltanto da aggiungere qualcosa sull’enfasi, la pubblicità dei media, del cinema e della politica data al tragico evento riferito al povero Salvo D’ACQUISTO ed il lunghissimo SILENZIO dedicato al NOSTRO carabiniere Albino BADINELLI.
Gli storici “sopra le parti” affermano che la politica non nobilita mai certi fatti… ma che è soltanto capace di MITIZZARE la parte che più gli conviene.
Credo si riferiscano all’azione compiuta dai Gruppi di Azione Patriottica il 23 marzo 1944 quando attaccarono una colonna del battaglione di polizia tedesca Bozen in via Rasella a Roma provocando la morte di 26 soldati austriaci, fatto che fece scattare immediatamente la “rappresaglia nazista”.
Nessuno degli autori di quella strage si presentò per autodenunciarsi al Comando tedesco e, com’è noto, la conseguenza fu la seguente: il giorno dopo, il 24 marzo 1944 un plotone tedesco, comandato da Herbert Kappler giustiziò 335 italiani “incolpevoli” alle Fosse Ardeatine.
Un massacro tra i più efferati della storia della Seconda guerra mondiale.
Una giustificazione per i responsabili dell’eccidio di Via Rasella esiste in ogni caso: Kappler, per ordine perentorio dello stesso Hitler, fu obbligato a eseguire la strage in tempi brevissimi, motivo per cui non ci sarebbe stato il tempo materiale per mettere a punto una qualsiasi strategia tesa ad evitare la morte di quei poveri Martiri delle Fosse Ardeatine.
Tutto comprensibile! Ma per i nostri due VALOROSI Carabinieri:
SALVO D’ACQUISTO E ALBINO BADINELLI
A IMITAZIONE DI CRISTO
bastarono pochi minuti per autodenunciarsi, salire sul patibolo e morire per salvare degli innocenti.
Carlo GATTI
Rapallo, 3 Agosto 2022
IL FRONTE MARE DI RAPALLO VISTO DA UN "MARINAIO" - Parte Seconda -
LA SPIAGGIA DELLE SALINE
RAPALLO
Durante la Repubblica Marinara di Genova i marittimi potevano scegliere tra due tipi d’ingaggio: “con diritto di mugugno” o “senza mugugno”: chi firmava il contratto “con mugugno”, percepiva una paga inferiore, ma poteva lavorare mugugnando e brontolando.
La necessità “de mogognâ” dei marinai è un forte desiderio a non subire “chi gestisce il potere”; tanto da poter difendere i loro diritti, addirittura non rendendoli commerciabili. Questi “prestatori d’opera” hanno dato dignità al loro lavoro! Una forma embrionale di Democrazia. (Marcello Carpeneto)
Oggi il mugugno è un segno d’identità ligustica, riconosciuta per la sua gente chiusa e stondäia (brontolona), solo apparentemente restia all’accoglienza e al turismo.
Con questo spirito di libertà tutta ligure, mi accingo a “disegnare” due mugugni alla marinara … Chi mi conosce sa che non amo granché la politica, qualunque sia il suo colore, e c’è un motivo di fondo: il destino mi ha portato sempre in giro per il mondo ed ho finito per affezionarmi solo al MARE e alle sue molteplici attività!
Tuttavia, nel mio precedente articolo:
IL FRONTE MARE DI RAPALLO - PARTE PRIMA
ho precisato:
“La creazione di una spiaggia pubblica a Rapallo, ritengo sia stata un’ottima idea dell’Amministrazione cittadina per i tanti positivi risvolti economici, turistici, ambientali che potranno fornire alla rinata perla del Tigullio”.
E qui ribadisco il concetto prendendo le distanze da chi ha voluto sui socials, come spesso succede in certi ambiti … “fotografare” l’articolo quale situazione favorevole ai loro interessi personali o politici. Non a caso ho scritto più volte che tra marinai e terrestri le comunicazioni sono rare, confuse e spesso avvengono su “convergenze parallele” come disse quel bravo politico tragicamente scomparso nel 1978!
PRIMO MUGUGNO
Fa parte del mio abito mentale e quindi comportamentale, cercare sempre di prefigurarmi le situazioni in divenire per evitare possibili errori, le cosiddette “facciate”...
Per quanto riguarda la novità dell’estate 2022 a Rapallo: la Spiaggia delle Saline, appunto, mi vien fatto di pensare che, essendo la stessa situata alle spalle del Complesso Portuale Rapallese che ha un potenziale di circa 900/1000 ormeggi fruibili, non possa fornire “accettabili” forme di balneazione agli utenti, riferendomi in particolare all’anno che verrà (?)… in cui ci sarà la ripartenza a pieno regime del Porto Carlo Riva.
L’elemento che occorreva prendere seriamente in considerazione, a suo tempo, è ancora il VENTO: LA BREZZA DI MARE, chiamata così perché soffia dal mare verso terra nelle ore diurne. Parliamo proprio di questo vento che ha reso celebri le nostre località costiere avendo la capacità di mitigare le alte temperature tipiche del periodo estivo.
Se non lo avete ancora fatto, provate ad immaginare questo vento marino, fresco e pulito che, dopo aver accarezzato l’area portuale, cambia abito, s’impregna di fumi e gas di scarico di numerosi motori di varia potenza facendosi vettore anche di altri “inquinamenti” già visti galleggiare su tutti gli arenili italiani, rilasciati da barche in movimento “da mane a sera”… che poi saranno depositate nell’habitat che incontra sul suo cammino cioè:
Sulla Spiaggia delle Saline
Location che è destinata pertanto a diventare il ricettacolo di una variegata complessità di rumenta! Mi auguro di sbagliare ma credo che altri abbiano scelto un’area ben poco adatta ad una balneazione intesa nel senso tradizionale, cioè conforme ai bollini blu che Rapallo si è meritata nel tempo!
CONCLUSIONE
La logica marinara avrebbe indicato per la balneazione, la zona della passeggiata a mare - la più distante possibile dalla zona portuale - vale a dire lo spazio compreso tra il molo dei Primeri (Bruno De Lorenzi) ed il Castello cinquecentesco (vedi freccia blu foto sopra ), area che gode di un ampio spazio aperto verso il mare da cui soffia la brezza diurna, fresca e priva di ostacoli inquinanti.
Brezza di mare e brezza di terra, come si formano?
Le brezze sono uno degli elementi meteorologici più conosciuti dalla popolazione, anche se il loro processo di formazione è un po 'più complesso di quanto possa sembrare a prima vista. Qui te lo spieghiamo.
Schema di formazione delle brezze marine
Le brezze termiche sono venti locali che si originano per la differenza di temperatura tra la superficie marina o lacustre e quella terrestre. A causa di questi gradienti, si verificano movimenti verticali degli strati d'aria, che causano vuoti e squilibri di pressione.
Brezze marine
Senza dubbio le brezze marine sono le più conosciute dalla popolazione. Durante il giorno la superficie terrestre si riscalda più velocemente della superficie del mare, perché l'acqua ha una maggior inerzia termica e la sua temperatura sale e scende più lentamente. L'aria più calda situata sopra la costa diventa meno densa e sale.
È qui che entra in gioco l'aria più fredda sopra la superficie del mare, la cui pressione è più alta (è più pesante). Quest'aria tende ad occupare il vuoto lasciato dall'aria che si è sollevata sopra la costa, ed il risultato di questo processo è la formazione di un vento locale che soffia dal mare alla terra. In questo modo si origina durante il giorno la brezza marina.
La tarda primavera e l'inizio dell'estate sono i momenti in cui le brezze tendono a raggiungere la loro massima intensità, a causa della maggiore differenza di temperatura tra il mare ed il continente, una differenza a volte superiore ai 5ºC. In questo periodo la brezza può penetrare fino a 50 chilometri nell'entroterra. Se le condizioni in altezza e in superficie sono adatte, può aiutare nella generazione di rovesci o temporali.
D'altra parte, nella restante parte dell'anno le brezze tendono ad essere più deboli in quanto c'è un gradiente termico inferiore tra il mare e la terra. Inoltre nel resto dell'anno le brezze marine tendono a soffiare parallelamente alla costa a causa dell'effetto Coriolis. Non bisogna dimenticare poi che l'incidenza di questi venti locali è fortemente condizionata anche dall'orografia e dalla conformazione del litorale e dall'influenza del sistema di alta e bassa pressione.
Brezza di terra
La mattina e al tramonto c'è un periodo di calma in cui le temperature del mare e della terra sono praticamente uguali. Di notte il meccanismo si inverte. A causa della minor capacità termica della superficie terrestre, la temperatura scende rapidamente, cosa che non accade sulla superficie del mare a causa della sua maggior inerzia termica.
L'aria sopra il mare sarà quindi più calda e, di conseguenza, meno densa e si solleverà, il che può favorire la comparsa di nuvolosità se le condizioni lo consentono. Il vuoto che lascia viene riempito dall'aria proveniente dalla terraferma, più fredda e più pesante, provocando un vento locale che soffia dalla terra al mare, riscaldandosi durante la discesa. In generale è più debole della brezza marina.
SECONDO MUGUGNO
Confesso la mia difficoltà a comprendere la scelta del Molo De Lorenzi (ubicato nel centro della passeggiata a mare) che viene adibito al traffico dei battelli turistici, quando questo Terminal confina con una spiaggia destinata alla balneazione estiva.
Tutti sanno che negli ambiti portuali di tutto il mondo è vietata la balneazione. La presenza di battelli/traghetti in quella zona della passeggiata comporta, secondo il calendario degli imbarchi/sbarchi, una ventina di manovre d’ormeggio e disormeggio in un solo giorno!
Gli “incolpevoli” Traghetti sono imbarcazioni moderne e veloci che sono dotate di potenti motori dai quali non escono rose e fiori … ma fumi e gas e, già che ci siamo, aggiungerei anche il fango che sale in superficie ad ogni avviamento del motore, visti i bassi fondali che tormentano quella zona.
Perché allora permettere la coabitazione del traffico marittimo con un’attività destinata alla balneazione? Per non parlare delle eventuali e possibili avarie di questi mezzi le cui conseguenze non voglio neppure prendere in considerazione.
La cosa più strana che salta agli occhi è la presenza del lungo ed attrezzato Molo Langano (foto sopra) che sul lato mare è suolo privato e sull’altro é pubblico. A questo punto, la domanda più ovvia che sorge spontanea è la seguente:
Perché questo ampio molo non viene destinato all’imbarco/sbarco passeggeri considerando la non trascurabile differenza di pescaggio tra i due moli in questione?
CONCLUSIONE
Evidentemente nella nostra città hanno diritto di precedenza quei criteri legati “esclusivamente” alle esigenze logistiche del turismo, alla sua immagine e ad una sbrigativa “funzionalità” delle attività collegate che poco hanno a che fare col “buon senso marinaro”!
Il molo Bruno De Lorenzi, l’attuale Terminal Traghetti di Rapallo, avrebbe un senso come luogo di ristoro (Bar, Chalet, Fast-food) per i numerosi bagnanti accaldati e assetati … ma su questo terreno non oso avventurarmi!
FINE DEI MUGUGNI
Una interessante lettura per l’estate.
Langano: un molo storico, una nave rapallina da ricordare di C.Gatti
https://www.marenostrumrapallo.it/langano/
L’articolo è stato pubblicato su Rapallo Notizie – IL MARE - da qualche giorno in edicola.
Carlo GATTI
Rapallo, giovedì 21 Luglio 2022
IL FRONTE MARE DI RAPALLO VISTO DA UN “MARINAIO” - PARTE PRIMA -
IL FRONTE MARE DI RAPALLO
VISTO DA UN “MARINAIO”
PARTE PRIMA
di Carlo GATTI
La gente della nostra costa sa da sempre che:
Il vento di traversia è il libeccio che soffia da sud-ovest (225°)
E che il vento dominante è lo scirocco che soffia da sud-est (135°)
Il libeccio proviene dal largo, dagli alti fondali e colpisce con violenza “atlantica” la costa ligure esposta a questo vento.
C’è un terzo fattore che influisce sulle nostre coste:
La corrente marina che moltiplica la sua velocità sotto l’effetto dello scirocco.
La corrente marina
Tutto ha inizio con la corrente del golfo (Gulf Stream) che nasce nel Golfo del Messico, affronta l’Oceano e, giunta a Gibilterra, un suo ramo entra nel Mediterraneo, compie una rotazione completa; ritorna quindi in Atlantico e con una lunga nuotata rientra nel golfo del Messico …
A noi interessa il ramo di questa corrente che dalle coste della Tunisia risale il Tirreno, accarezza il Golfo ligure, costeggia la Spagna e discende per rimettersi in circolo.
La corrente è costante nel suo eterno moto circolare, ha la velocità di 1 nodo lungo le coste del Nord Africa e nello Stretto di Sicilia, mentre sul resto del bacino ha valori inferiori.
Perché questa spiegazione?
Soltanto sul versante tirrenico la forza della corrente marina si somma allo scirocco, entrambe provenienti da SUD-EST, la risultante è un “fiume” la cui velocità è proporzionale alla spinta del vento. Quando il fenomeno accade, gli elementi si esaltano, entrano in competizione tra loro e la gara diventa dura specialmente per chi ne viene “investito” ….!
Entrando nello specifico: nel golfo ligure la corrente marina da scirocco, come abbiamo visto, ha una velocità costante di 0,5 nodi * in bonaccia di vento, ma la sua forza può raggiungere la velocità di 6/7 nodi ed oltre in presenza di burrasche forti da quel quadrante. Questo flusso d’acqua ha la caratteristica d’entrare con violenza dappertutto in ogni buco naturale o artificiale della costa investendo porti, porticcioli, golfi e insenature modificando i fondali e mettendo in difficoltà qualsiasi nave in navigazione o in manovra.
* - In ambito nautico: Il nodo è l’unità di misura per la velocità equivalente ad un miglio nautico l'ora (1,852 km/h).
A causa dei preoccupanti cambiamenti climatici causati dal surriscaldamento della terra, occorre affrontare il “fenomeno naturale” con un cambio di mentalità predisponendosi a ragionare come sanno fare i “marinai da cattivo tempo”: immaginare il peggio cercando di valutare in anticipo le proporzioni che questi fenomeni potranno assumere in futuro. Questo atteggiamento mentale è l’unico che ci può portare verso scelte preventive di buon senso.
Prima di quel famigerato 29 ottobre 2018, Portofino, Santa Margherita e Rapallo erano le uniche località del Tigullio ritenute “fortunate” per la loro posizione ridossata dal “devastante” vento di Libeccio che veniva deviato dallo scudo naturale del Promontorio di Portofino. Ma del doman non c’è certezza recita il poeta. Ora più che mai!
A questo punto le domande che ognuno di noi si pone sono tante e tutte esigono risposte precise che la meteorologia, essendo la scienza più giovane del pianeta, non è ancora in grado di fornire, e non solo per mancanza di statistiche…
Potrà ripetersi ancora quell’allucinante congiuntura di fenomeni distruttivi che abbiamo conosciuto il 29 ottobre 2018?
Questo pare essere il “punto focale” di tutte le domande! Ma sospendiamo per un attimo lo sviluppo del tema e, andando un po’ a ritroso nel tempo, ci sia concessa una Celia …
Da questa particolare situazione di privilegio effettivo goduto per secoli dalla nostra gente, nacque la colorita nomea:
GOLFO DEI NESCI
che oggi il tempo ha decantato e quasi dimenticato… ma per qualche giovane curioso di oggi è bene aver pronta una spiegazione. L’ultima che ho trovato è questa: “deriva dal tentativo dei vecchi marinai (oggi solo di qualche turista) di andare a vela in un golfo dove non c'è mai vento: nescio in genovese ha un significato al limite tra matto e stupido, anche se letteralmente vuol dire: che sa di poco - che è insipido!
.
Un’altra spiegazione, del tutto personale, è questa: “golfo dei nesci” - nacque, probabilmente, come presa per i fondelli verso chi non conosceva le vere tempeste da Libeccio che, al contrario, aveva forgiato veri marinai da tempo cattivo nelle località limitrofe.
Tuttavia, a giudicare dalla costruzione di certe strutture portuali costruite nel recente passato nelle località “ridossate”, il dubbio che siano state concepite da “marinai da tempo buono” è pertinente anche per il sottoscritto …
Ma c’è un altro fattore ancora più sorprendente che NON mi fa dubitare sul significato della parola NESCIO che ha marchiato il nostro golfo: chiunque può scoprire, facendo un brevissimo viaggio “vero o virtuale” su internet, che tutti i porti e porticcioli esistenti da Spezia a Genova ed oltre… hanno una diga che li ripara dallo SCIROCCO. Pochissimi altri, come Lavagna, non hanno avuto alternative nella scelta per ragioni orografiche. Pertanto si può dire che soltanto Rapallo detenga questo primato.
L’INSEGNAMENTO CHE LA LOCARNO CI HA LASCIATO IN EREDITA’
Le foto (sopra e sotto) mostrano a sinistra, il molo dei Primeri (oggi si chiama: Bruno De Lorenzi in onore all’eroe Rapallese della Seconda guerra mondiale). Quel pontile rappresenta, ancora oggi, il punto d’atterraggio della LOCARNO contro il quale “appoggiò” la murata sinistra, proprio sotto lo scalandrone della nave. Quel punto costituì il terminale della rotta “da scirocco” lungo la quale il piroscafo, ormai senza “governo”, scarrocciò verso il centro della passeggiata a mare.
(Nelle foto sopra e sotto si vede il molo dei Primeri (De Lorenzi)
In questa foto scattata da terra si evidenzia la vulnerabilità del Fronte a Mare di Rapallo aperto totalmente allo SCIROCCO
Nell’immagine rubata al web si nota inoltre che l’entrata dello SCIROCCO nel golfo di Rapallo non incontra OSTACOLI nel suo breve viaggio verso la città: un vero cul de sac che oggi appare ancora più stretto nello spazio tra le dighe del porto Riva e del Porticciolo. La strettoia, per l’effetto VENTURI, contribuisce ad aumentare la forza del vento in entrata aumentandone sia l’ampiezza dell’onda che la corrente.
Come funziona l'effetto Venturi? Il grafico qui sotto riportato è più esplicativo di tante parole.
Così spiega la scienza:
Venturi è un sistema per velocizzare il flusso del fluido, costringendolo in un tubo a forma di cono. Nella restrizione il fluido deve aumentare la sua velocità riducendo la sua pressione e producendo un vuoto parziale.
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO DI CUI RAPALLO HA GIA’ CONOSCIUTO GLI EFFETTI DEVASTANTI IL 29 OTTOBRE 2018, CI OBBLIGA A FARE ALCUNE RIFLESSIONI SULLA DIFESA DEL NOSTRO TERRITORIO – FRONTE MARE
Ci serviamo di questa immagine (sotto) per inquadrare la direzione dello SCIROCCO proveniente da SE (135°) che corre parallelo alla costa della Riviera di Levante ed entra senza ostacoli investendo in pieno la passeggiata a mare.
Su questa foto ho immaginato la presenza di una diga “interrotta da ambo i lati” a difesa della passeggiata a mare e delle sue costruzioni storiche affollate di esercizi pubblici in larga parte dedite al turismo. La linea rossa è stata tracciata in modo approssimativo per esprimere il concetto e non per fornire dettagli tecnici che definiscano le sue caratteristiche: lunghezza e orientamento rispetto al vento dominante di SCIROCCO.
La Zona Lido (nella foto sopra) é attigua alla nuova spiaggia.
LA NUOVA SPIAGGIA DELLE SALINE
sarà inaugurata il 16 luglio 2022
La creazione di una spiaggia (foto sopra), ritengo sia stata un’ottima idea dell’Amministrazione cittadina per i tanti positivi risvolti economici, turistici, ambientali che potranno fornire alla rinata “perla del Tigullio”.
Ho qualche dubbio, tuttavia, sulla scelta della posizione della spiaggia delle Saline. Ma ne riparleremo nella prossima puntata.
Qui voglio aggiungere un altro elemento positivo di carattere sportivo a ricordo del glorioso passato di Rapallo: i giovani talenti delle discipline natatorie, velistiche e di canottaggio nascono in mare in tenera età e, solo successivamente, una volta superato il vaglio degli esperti, iniziano un percorso didattico in piscina o presso i Club velici e Canottieri.
Ben vengano quindi le spiagge che sicuramente riempiranno un gap nella popolazione locale che non ha avuto modo d’imparare a nuotare per almeno due generazioni, per i motivi che tutti conosciamo…!
Difendiamo allora questo patrimonio in costruzione con una DIGA che potrebbe valorizzare ampi e sicuri spazi al mare interno e cambiare il volto della Rapallo marinara.
A questo punto del “sogno” … il lettore si chiederà:
“Perché costruire una diga di sbarramento contro il vento di scirocco che non annovera gravissimi danni nella storia della nostra città?”
La diga a protezione della città, aprirebbe nuove prospettive per la sicurezza:
In caso di tempeste, burrasche e mareggiate forti, concomitanti a piogge travolgenti, la diga consentirebbe ai nostri torrenti di defluire con più facilità verso il mare riducendo la possibilità di esondazioni, allagamenti e black-out agli impianti idrici che Rapallo ha ben conosciuto nella sua lunga storia.
Inoltre, una diga di quel tipo costituirebbe un’utilissima barriera per le migliaia di tonnellate di materiale ligneo proveniente dagli estuari dei fiumi e torrenti di mezza Italia che i venti sciroccali e la corrente depositano ogni anno sui nostri arenili. E piuttosto pensabile che la corrente - “nastro trasportatore di legname” - una volta incontrata la diga, andrebbe a scaricare il suo indesiderato contenuto verso il largo.
Potendo usufruire del ridosso della diga, si otterrebbe un “EFFETTO ATOLLO” al suo interno che potrebbe anticipare ed allungare la stagione estiva di qualche mese e permettere allenamenti sportivi e perché no, anche manifestazioni e spettacoli di carattere acquatico e nautico.
RIASSUMENDO
COME ABBIAMO APPENA VISTO, I VANTAGGI D’AVERE UNA DIGA SONO MOLTEPLICI
(il nemico lo si affronta prima che giunga davanti alle porte della città)
“L’invincibilità sta nella difesa” (SUN TZU)
UNA LETTURA UTILE
La costa italiana ha una lunghezza di circa 8.300 km. Più del 9% di costa è ormai artificiale, delimitata da opere radenti la riva (3,7%), porti (3%) e strutture parzialmente sovraimposte al litorale (2,4%).
L’ambiente costiero è un ecosistema dinamico in cui processi naturali e di origine antropica si sommano e interagiscono modificandone le caratteristiche geomorfologiche, fisiche e biologiche
La continua movimentazione dei sedimenti a opera del mare (correnti, maree, moto ondoso, tempeste) sottopone i territori costieri a continui cambiamenti, che si evidenziano con nuovi assestamenti della linea di riva e con superfici territoriali emerse e sommerse dal mare, riscontrabili anche nell’arco di una stagione.
CONCLUSIONE
I VIVI - I MORTI E I NAVIGANTI ...
La differenza di mentalità tra il “marinaio” e l’uomo di terra è sempre la stessa da migliaia di anni.
Chi deve affrontare gli oceani si organizza mentalmente su come programmare il viaggio sapendo di dover affrontare le tempeste. Sa di non poter trascurare i punti deboli della sua nave. C’è di mezzo la vita e quella dei suoi compagni di viaggio.
In terra si sente sempre avanzare una giustificazione e l’assenza di responsabilità individuali per ogni catastrofe:
- Quel fiume non esondava da …
- Questa siccità non accadeva dal …
- Quel ponte ha resistito per secoli …
- Onde così alte non si erano mai viste …
In terra tutti parlano di SICUREZZA, MA NESSUNO VUOLE PAGARLA!
LA STORIA RACCONTA
L’Associazione culturale Mare Nostrum Rapallo nacque, nella sua veste attuale, nel 1987 (1° Mostra al Castello), ma solo nel 2011 si dotò di un proprio sito che in 11 anni ha raggiunto l’impressionante cifra di 200.000 visite circa. Da pochi mesi lo abbiamo aggiornato con una versione ultramoderna che ci ha subito ripagato con innumerevoli segnalazioni di followers internazionali alle Accademie culturali di S. Francisco, New York e Oxford dalle quali veniamo informati ogni giorno. I nostri “contenitori per argomenti”, contengono ben 800 ricerche, articoli e saggi che evidentemente sono molto apprezzati e ci rendono pertanto fieri del nostro lavoro. VISITATECI - siamo sicuri che scoprirete un TESORO cultural-marinaro che vorrete condividere con noi.
IL DIRETTIVO
Dal sito di Mare Nostrum Rapallo:
https://www.marenostrumrapallo.it
Riportiamo alcuni contributi per l’approfondimento degli argomenti trattati
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RAPALLO: L'AGONIA DELLA CARRETTA LOCARNO
https://www.marenostrumrapallo.it/lagonia-della-locarno/
di Emilio CARTA
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Pubblicazione di Emilio CARTA e Carlo GATTI
DVD di Ernani ANDREATTA
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A L’EA GENTE NAVEGÂ …
https://www.marenostrumrapallo.it/navega/
di Carlo GATTI
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Genova, 19.2.1955 – UN INFERNALE CICLONE DA LIBECCIO DEVASTO’ IL PORTO DI GENOVA
https://www.marenostrumrapallo.it/ciclone/
di Carlo GATTI
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RAPALLO, QUANDO SI NUOTAVA NEL GOLFO DEI NESCI
di Carlo GATTI
https://www.marenostrumrapallo.it/quando-si-nuotava-nel-golfo/
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Lunedì 29 ottobre 2018
TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM – RAPALLO
di Carlo GATTI
https://www.marenostrumrapallo.it/tsunami/
Rapallo, 4 Luglio 2022
NAVE AMERIGO VESPUCCI NEL TIGULLIO
NAVE AMERIGO VESPUCCI NEL TIGULLIO
Varata il 22 febbraio 1931, ha sulle spalle quasi un secolo di storia, ogni giorno incanta grandi e piccini
Dal 1978 il motto della nave è
“Non chi comincia ma quel che persevera”
Questa frase celebre di Leonardo è il motto che spinge i giovani cadetti a credere in sè stessi, avere tenacia e costanza nell’andar per mare e nella vita quotidiana. I cadetti, appena concluso il primo anno, intraprendono uno stage da giugno a settembre, circumnavigando il globo.
La polena raffigura il condottiero Amerigo Vespucci che ha dato nome al continente Americano ed è realizzata in bronzo dorato. L’uso di porre a prua una polena affonda le sue radici nell’antichità, quando la navigazione era esercitata per necessità e queste figure a volte misteriose o terrificanti, all’origine servivano per spaventare i nemici o per essere protetti dalle divinità.
24 ore
NEL TIGULLIO
Cronistoria in immagini
Inchino davanti al faro di Portofino
Passo di danza per fermare l’abbrivo
Omaggio al Monastero della Cervara
Il Comandante Massimiliano Siragusa ha mantenuto la promessa alla sua città natale
“Non ho vissuto qui tutti gli anni che avrei voluto. Non penso di meritare tutto questo, ma se lo ritenete voi lo accetto molto volentieri”.
Cerimonia con scambio di CREST e Attestati nella Sala Consiliare del Comune di Rapallo
LA VESPUCCI IN NOTTURNA
La bella di notte … avvolta nelle luci del TRICOLORE
La nave VESPUCCI salpa dal Tigullio
VESPUCCI Avanti Tutta per Livorno
Saluto ai futuri Ufficiali della M.M.
ORA VI MOSTRIAMO CIO’ CHE I RAPALLINI NON HANNO POTUTO VEDERE DELLA
NAVE PIU’ BELLA DEL MONDO
A CAUSA DELLA NORMATIVA ANTI-COVID
GLI INTERNI DELLA VESPUCCI
Si sale a bordo…
LA TUGA DEL MOTTO
LA TIMONERIA
IL CUORE DELLA NAVE
Sulla nave VESPUCCI vi sono sei manovre per il sistema di governo: tre elettriche (due con comando idraulico, di cui una d'emergenza e due normali) e tre a mano (una normale nel casotto della timoneria e due d'emergenza nel locale agghiaccio). In caso di avaria del sistema di governo idraulico e quindi per il passaggio dal timone elettrico a quello manuale, non sono necessarie manovre particolari, bastano pochi secondi di tempo, in qualsiasi posizione si trovi la barra del timone; mentre, invece, per il passaggio dal timone a mano a quello elettrico è sufficiente mettere la barra al centro.
Linea d'asse - elica. La linea d'asse è composta di un albero capace di trasmettere 2000 cv con 150 giri al minuto. L'albero porta elica è di acciaio ed è predisposto per ricevere ad un'estremità l'elica e all'altra, verso prora, un accoppiatoio per il collegamento al motore di propulsione. L'elica è unica a quattro pale smontabili con generatrice retta. E' di bronzo al manganese con diametro di 3.400 mm e passo medio di 2,700 m.
A POPPAVIA con i cavi d’ormeggio
La Cala Nostromo della nave Vespucci
Foto del Passaggio Comandante della nave Vespucci
Queste “isole" che raccolgono ordinatamente le cime di ogni albero hanno un nome curioso:
PAZIENZA
A bordo ci sono 30 km di cime
LA RASTRELLIERA
L’ALBERATURA DELLA VESPUCCI
E’ armata a nave con tre alberi in acciaio: l’albero di trinchetto a prua, quello di maestra al centro e quello di mezzana.
L’albero di maestra, realizzato in due tronconi, è alto 54,50 metri dal piano di coperta.
Gli alberi di trinchetto e di maestra portano, ciascuno, cinque vele quadre.
L’albero di mezzana porta quattro vele quadre e una vela aurica sostenuta da due aste, il boma e il picco.
A prora, murati al bompresso, ci sono quattro fiocchi. Due vele di straglio si trovano fra l’albero di trinchetto e quello di maestra e altre due fra questo e l’albero di mezzana.
L’attrezzatura velica è completata da due scopamare. La superficie velica, che complessivamente è di 2.800 mq, consente alla nave di raggiungere la velocità di 12 nodi. Le manovre per il governo delle vele sono costituite da 30 chilometri di cavi di vari diametri.
Gli alberi, precedentemente descritti, sono mantenuti in posizione grazie a cavi di acciaio (manovre fisse o dormienti) che li sostengono verso prora (stralli) verso i lati (sartie) e verso poppa (paterazzi). Sugli stralli sono inferiti inoltre i fiocchi e le vele di strallo. L'altezza degli alberi sul livello del mare è di 50 metri per il trinchetto, 54 metri per la maestra e 43 metri per la mezzana; il bompresso sporge per 18 metri.
Apertura delle vele
NOCCHIERI ED ALLIEVI A RIVA
“Il posto di manovra generale alla vela” costituisce un valido ed importantissimo momento addestrativo per gli allievi dell’Accademia Navale, (…) non solo per i futuri ufficiali, ma per tutto l’equipaggio di bordo che costantemente è chiamato ad assolvere compiti e mansioni di abilità marinaresca.
APPARATO MOTORE DELLA VESPUCCI
La propulsione è di tipo diesel-elettrico: la nave è dotata di due motori diesel collegati a due dinamo generatrici di corrente elettrica che alimentano il motore elettrico di propulsione. I due motori diesel sono FIAT a 8 cilindri in linea, a iniezione diretta, sovralimentati con turbosoffiante, che sviluppano una potenza massima totale di 3000 cavalli. Il motore elettrico di propulsione (MEP) è un Marelli a corrente continua, a doppio indotto, in grado di sviluppare un regime rotatorio massimo di 150 giri/min., che corrisponde ad una velocità di circa 12 nodi. L'elica è unica ed ha quattro pale.
L'energia elettrica per il funzionamento degli apparati di bordo è fornita da 4 diesel alternatori a 8 cilindri Isotta Fraschini/Ansaldo da 500 KVA ciascuno. L'unità è dotata di due argani a prora per la manovra delle catene delle ancore, di cui uno dotato di campana sul castello, utilizzabile quindi anche per la manovra di cavi. A centro nave esiste inoltre un albero di carico azionato da due verricelli elettrici, utilizzato per la messa a mare ed il recupero delle imbarcazioni maggiori. A poppa, per la manovra dei cavi e per la messa a mare e il recupero dei palischermi, vi sono due argani manovrati a mano a mezzo di apposite aste in legno dette "aspe".
Foto della Sala Consiglio della nave Vespucci
Molte parti della bellissima nave scuola italiana sono in legno: teak per il ponte di coperta, la battagliola e la timoneria, mogano, teak e legno santo per le attrezzature marinaresche (pazienze, caviglie e bozzelli), frassino per i carabottini, rovere per gli arredi del Quadrato Ufficiali e per gli alloggi Ufficiali, mogano e noce per la Sala Consiglio.
L’EQUIPAGGIO DELLA VESPUCCI
Vero "motore" dell'Amerigo Vespucci è il suo equipaggio, composto da 278 membri, di cui 16 Ufficiali, 72 Sottufficiali e 190 Sottocapi e Comuni, suddiviso nei Servizi Operazioni, Marinaresco, Dettaglio, Armi, Genio Navale/Elettrico, Amministrativo/Logistico e Sanitario. Durante la Campagna di Istruzione l'equipaggio viene a tutti gli effetti integrato dagli Allievi e dal personale di supporto dell'Accademia Navale, raggiungendo quindi circa 480 unità..
Ogni Servizio ha il suo compito peculiare a bordo: il Servizio Operazioni si occupa della navigazione, utilizzando la strumentazione di cui la nave è fornita (radar, ecoscandaglio, GPS), della meteorologia e delle telecomunicazioni; il Servizio Marinaresco è preposto all'impiego delle vele, alla gestione delle imbarcazioni e all'esecuzione delle manovre di ormeggio e disormeggio; il Servizio Dettaglio comprende il personale che gestisce le mense di bordo; il Servizio Armi ha in consegna le armi portatili e provvede all'addestramento dell'equipaggio al loro impiego; il Servizio Genio Navale/Elettrico assicura la conduzione dell'apparato motore e degli apparati ausiliari, la produzione di energia elettrica ed il mantenimento dell'integrità dello scafo; il Servizio Amministrativo/Logistico si occupa della acquisizione, contabilizzazione e distribuzione dei materiali, della stesura degli atti amministrativi e della gestione delle cucine; il Servizio Sanitario, infine, si occupa delle attività di prevenzione e cura del personale.
Vale la pena sottolineare che la messa in vela completa dell'unità, agendo contemporaneamente sui tre alberi ("posto di manovra generale alla vela"), è possibile solo con gli Allievi imbarcati, che tradizionalmente vengono destinati sulla maestra e sulla mezzana, mentre il personale del Servizio Marinaresco, i nocchieri, si occupa del trinchetto oltre che del coordinamento e controllo delle attività sugli altri due alberi.
STATO MAGGIORE E CADETTI PER LE FOTO DI RITO
LA BELLA NAVE con il suo seguito internazionale …
Dettagli e misure del Vespucci
La lunghezza del Vespucci al galleggiamento è di 82 metri, ma tra la poppa estrema e l’estremità del bompresso si raggiungono i 101 metri. La larghezza massima dello scafo è di 15,5 metri, che arrivano a 21 metri considerando l’ingombro delle imbarcazioni, che sporgono dalla murata, e a 28 metri considerando le estremità del pennone più lungo, il trevo di maestra. L’immersione massima è pari a 7,3 metri.
Descrizione
È un veliero che mantiene vive le vecchie tradizioni. Le 26 vele sono ancora in Tela Olona, le cime sono tutte ancora di materiale vegetale, e tutte le manovre vengono rigorosamente eseguite a mano; ogni ordine a bordo viene impartito dal comandante, tramite il nostromo, con il fischietto; l'imbarco e lo sbarco di un ufficiale avviene con gli onori al barcarizzo (l'apertura del parapetto di una nave, attraverso la quale si accede al ponte dall'esterno, mediante una scala o una passerella) a seconda del grado dell'ospite.
Altri dati tecnici
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Stazza netta: 1.202,57 GT (tsl)
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Scafo: in acciaio (lamiere chiodate) a tre ponti definiti di coperta, batteria e corridoio con castello e cassero rispettivamente a prua e poppa.
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Imbarcazioni di supporto: n. 11 per l'addestramento e per i servizi portuali.
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Superficie velica: 2.635 m² su 24 vele quadre e di straglio in tela olona (fibra naturale)
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Alberatura: su 3 alberi e bompresso, albero di maestra (54 metri), trinchetto (50 metri) e mezzana (43 metri) - parte inferiore degli alberi pennoni bassi in acciaio
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Manovre fisse e correnti in fibra naturale per circa 36 km di lunghezza
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Copertura del ponte, castello, cassero e rifiniture in legno teak.
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Apparato motore: 2 motori Dieselgeneratori MTU, con potenza di 1 320 kW ciascuno e 2 motori Diesel generatori MTU da 760 kW ciascuno, accoppiati da due motori elettrici di propulsione NIDEC ASI di 750 KW ciascuno disposti in serie, 1 elica a 4 pale fisse, quattro alternatori Diesel per l'energia elettrica.
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In sala macchine sono installati anche quattro generatori di corrente e un impianto per il condizionamento dell’aria.
Equipaggio
L'equipaggio è composto da 14 ufficiali, 72 sottufficiali e 190 sottocapi e comuni. Nei mesi estivi imbarca anche gli allievi del primo anno di corso dell’ Accademia navale di Livorno, circa 140, per un totale di circa 470 persone.
L'equipaggio ha compiti diversi ed è suddiviso in servizio operazioni (addetto a tutte le operazioni riguardanti la navigazione), servizio marinaresco (addetto alle operazioni varie alle imbarcazioni e di ormeggio e disormeggio), servizio dettaglio (gestisce le mense di bordo), servizio armi (custodisce le armi e si occupa dell'addestramento all'uso), servizio genio navale/elettrico (si occupa dell'apparato motore, dell'energia elettrica), servizio amministrativo/logistico (predispone gli atti amministrativi e gestisce le cucine) e servizio sanitario (cura tutto il personale).
CONOSCIAMO IL COMANDANTE
MASSIMILIANO SIRAGUSA
“Il vero motore dell’Amerigo Vespucci è l’equipaggio – ha detto il Comandante Massimiliano Siragusa – Sono donne e uomini innamorati del mare e appassionati del loro lavoro, sempre pronti ad aiutarsi e a supportarsi: non si deve dimenticare che qualsiasi nave è come una piccola città ma con spazi molto più compressi.
La condivisione è inevitabile e, perché tutto funzioni, è necessario che ogni marinaio svolga con attenzione e in modo efficiente il compito che gli è stato assegnato. Dal 1978, il nostro motto è:
“Non chi comincia ma quel persevera”
dare inizio a un percorso, a un’esperienza, è fondamentale, ma è essenziale perseverare con costanza e tenacia perché solo in questo modo si possono raggiungere gli obiettivi prefissati. La Marina Militare offre tantissime possibilità – ha concluso il Comandante – A bordo di una nave servono medici, ingegneri, amministrativi, meccanici, elettricisti, motoristi, nocchieri, segretari, infermieri, cuochi e molte altre figure specializzate. Si possono trovare grandi soddisfazioni arruolandosi, prova lo sono i sorrisi che vedo dipingersi sul volto dei miei marinai e che porterò con me al termine della mia esperienza di Comandante di questa Nave assolutamente unica”
“Profuma di mare e racconta storie di avventure di altri tempi, eppure è estremamente attuale. È elegante nelle forme e affasciante in ogni singolo dettaglio, orgoglio ed emblema nazionale, il Vespucci oggi è rappresentato da un eccezionale RAPALLESE, il Capitano di Vascello Massimiliano Siragusa.
Sicuramente l’Amerigo Vespucci ha ancora tanta storia da scrivere e tanto mare da solcare, sarà ancora per molto tempo ambasciatore d’Italia e orgoglio del nostro Paese. Saprà ancora entusiasmare ed emozionare generazioni di marinai, coscienti che a fare la differenza sono sempre e solo donne e uomini valorosi, coraggiosi e determinati.
Conosciamo il Comandante Massimiliano SIRAGUSA:
I am experienced Senior Officer with more thanks 30 years of active duty, of which 20 spent on board Navy Ships, including three Commanding Officer assignments and a significant Staff experience, often in an international environment.
I dedicated 5 years to the advanced training of future Italian Navy leaders & managers, working at the Naval Staff College, starting as Communication and Soft Skills lecturer and tutor, becoming dean and finally Director of the Study & Research Centre. As experiential trainer for soft skills, I also collaborated with the Centre for Higher Defence Studies, located in Rome, and with the Centre of Excellence for Stability Police Units, located in Vicenza.
I developed strong communication and management skills and I am accustomed to leading a team by training, motivating and persuading.
Esperienza
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Commanding Officer - Italian Navy Ship Amerigo Vespucci (Tall Ship)
set 2021 - Presente10 mesi
La Spezia - Underway
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Italian Navy Staff College – Director of the Study & Research Centre
ott 2020 - ago 202111 mesi
Venezia, Veneto, Italia
In charge of planning and conducting research for the Italian Navy in several areas including geopolitics, maritime subjects, advanced training and soft skills; dedicated as well to run public affairs and organize seminars for the Naval Staff College (leading a team of 5 employees, including 3 civilians)
Chief of Staff Force HQs Eunavfor Atalanta
European Union Naval Force Somalia Operation ATALANTA
feb 2020 - mag 20204 mesi
On board Spanish Frigate ESPS Numancia - Indian Ocean & Gulf of Aden
Responsible to support the Force Commander, leading a multinational Staff of 25 military.
Acting as Force Commander from 17th March to 3rd May
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Italian Navy Staff College – Courses Department Head
lug 2019 - dic 20196 mesi
Venezia, Veneto, Italia
In charge of planning and delivery all Staff College Courses – responsible for a team of 25 including 8 civilians
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Italian Navy Staff College – Communication Tutor & Instructor
lug 2016 - giu 20193 anni
Venezia, Veneto, Italia
Provided Education to Junior/Senior Navy Officers appointed for Command/Staff posts; Qualified as experiential learning trainer to support Senior Officers education at Italian Defence Joint Staff College in Rome and at the Centre of Excellence for Stability Police Units in Vicenza
Assistant Chief of Staff for Future Operations – ACOS CJ35
EU NAVFOR MED Sophia
ott 2015 - giu 2016 9 mesi
Roma, Lazio, Italia
Responsible for planning and coordinating assigned Aircrafts and Naval Units activities - in charge of a multinational team composed by 10 people
-
Comando Forze d'Altura e Italian Maritime Forces Command – Operations Division Chief (ACOS N3)
set 2014 - set 20151 anno 1 mese
Taranto, Puglia, Italia
Assistant Chief of Staff for coordination and conduct of national and multinational Operations, Navy and Joint. Responsible for a team of 20 people
-
Italian Navy Frigate ALISEO (F 574) - Commanding Officer
lug 2013 - ago 20141 anno 2 mesi
Homeported in Taranto - Patrolling Mediterranean Sea
Responsible for a Crew of 200 people; performing several NATO and National Operations, including 5 participations to MARE NOSTRUM Operation against human smuggling, saving more than 4500 lives and capturing 31 criminals related to immigrants trade
-
Italian Navy Frigate ALISEO (F 574) - Executive Officer
set 2011 - giu 20131 anno 10 mesi
Homeported in Taranto - Patrolling Mediterranean Sea
Manager of overall Ship activities, with the exception of the Command Group related ones. Responsible for 90% of crew personnel, about 180 people.
-
Comando Forze d'Altura e Italian Maritime Forces Command – Plans Division Deputy Chief (DACOS N5)
nov 2007 - ago 20113 anni 10 mesi
Taranto, Puglia, Italia
Division Officer responsible for overall Command Planning activities: national, NATO, EU, Single Service and Joint
Staff Officer – C4I and Transformation Department
Stato Maggiore della Difesa - Forze Armate
ott 2005 - ott 20072 anni 1 mese
Roma, Lazio, Italia
Project Officer for several national and international programmes under development referring to Communications, Command and Control Systems
Italian Navy Mine Hunter TERMOLI (M 5555) - Commanding Officer
Marina Militare
set 2004 - set 2005 1 anno 1 mese
Homeported in La Spezia - Operating in Mediterranean Sea
Involved in national and multinational Fleet Combat enhancement training; performed live operations deactivating submerged mines and bombs. Responsible for a Crew of 55 people
Formazione
NATO SPCoE & SFACoE
SeminarInstitutional Advisors on Security Force Assistance and Stability Policing
2022 - 2022
The seminar allows personnel tasked as Institutional Advisors to develop the capability to advise counterparts in a local security force Institution within building partners capacity activities
Università Ca' Foscari Venezia
Master di 2° livello in Studi Strategici e Sicurezza Internazionale
Ditta Galgano
Advanced teaching and Public Speaking Course
2019 - 2019
Ditta Ambrosetti
Conflicts Management and Negotiation Course
2017 – 2017
Università Ca' Foscari Venezia
Public Speaking Course
2017 - 2017
Italian Air Force Logistic Site, La Spezia
Experiential Learning tutor Joint Military Course
2016 - 2016
Escuela Superior de las Fuerzas Armadas - Spanish Defense Joint Staff College
Senior Staff OfficerCurso de Estado Mayor de las Fuerzas Armadas
2010 - 2011
Graduated first among 31 foreign students proceeding from 25 different countries
Istituto di Studi Militari Marittimi - Italian Navy Staff College
Junior Staff Officer - postgraduate degreeCorso Normale di Stato Maggiore
2004 - 2004
Accademia Navale -Italian Naval Academy
Laurea magistrale Scienze Marittime e Navali
1991 – 1995
Lingue
-
Inglese
Conoscenza professionale
-
Spagnolo
Conoscenza professionale
-
Italiano
Conoscenza madrelingua o bilingue
Termino questa carrellata d’immagini con DUE miei scritti di cui vi propongo i LINK tratti dal sito di MARE NOSTRUM RAPALLO
https://www.marenostrumrapallo.it
LA NAVE SCUOLA
AMERIGO VESPUCCI
ha compiuto 80 anni ed é ancora la nave più bella del mondo
https://www.marenostrumrapallo.it/amerigo-vespucci/
IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO
era il gemello dell’AMERIGO VESPUCCI
Per non dimenticare…
https://www.marenostrumrapallo.it/il-veliero-cristoforo-colombo/
Correva l’anno 1962, e da pochissimo tempo era entrata in servizio la Portaerei Statunitense USS Indipendence, una nave della Classe Forrestal che, insieme a 3 sue “sorelle”, rivoluzionò completamente il mondo delle portaerei mondiali, definendo un nuovo orizzonte per l’utilizzo di questo tipo di navi. L’Amerigo Vespucci, veliero scuola della Marina Militare Italiana, fu varata molti anni prima della USS Indipendence, nel 1931, e da allora costituisce motivo di orgoglio per tutta la Marina Militare Italiana, e per tantissimi italiani.
Nel 1962 queste due navi si incontrarono nel Mar Mediterraneo, e la portaerei statunitense lampeggiò con il segnale luminoso, chiedendo:
Chi siete?
Al che dall’Amerigo Vespucci risposero:
Nave scuola Amerigo Vespucci, Marina Militare Italiana
E la risposta degli statunitensi rimase scritta negli annali:
Siete la nave più bella del Mondo
Il cordiale omaggio degli statunitensi alla nostra nave è solo uno dei tanti che il mondo del mare tributa all’Amerigo Vespucci, che venne ritenuta, sin dal momento del suo varo, un esempio dell’eccellenza artigianale e ingegneristica italiana. Ad esempio, le regole di navigazione prevedono che i transatlantici abbiano sempre la precedenza rispetto alle altre imbarcazioni. Ma quando i giganti del mare incontrano la Amerigo Vespucci nei mari di tutto il mondo, questa legge non vale più, e i giganti spengono i motori, rinunciano alla precedenza e suonando tre colpi di sirena in segno di saluto.
Carlo GATTI
Rapallo, 6 Giugno 2022
RAPALLO NELLA STORIA NAVALE
RAPALLO NELLA STORIA NAVALE
Fonte: Il Mare
Rapallo - Sullo sfondo la nave ORONTES che il 22 maggio 1933 diede fondo l’ancora nel nostro golfo. La nave ospitava 400 passeggeri inglesi che alle ore 8 sbarcarono a Rapallo, ripartendo lo stesso giorno alle ore 16. Molti di questi facoltosi passeggeri fecero visita e giocarono al campo Golf di Rapallo.
La ORONTES nel Tigullio
Le foto della ORONTES ancorata nel golfo di Rapallo appartengono alla collezione Sergio Schiaffino che ringrazio
STORIA DI UNA NAVE
“ORONTES”
Questa nave fu l’ultima di una serie di cinque navi da 20.000 tonnellate che furono costruite negli Anni ’20 per la celebre Compagnia Marittima inglese ORIENT LINE in servizio sulla linea dell’Australia. Le altre erano: ORAMA (1924), ORONSAY e OTRANTO (1925), la ORFORD (1928).
La Peninsular and Oriental Steam Navigation Company , meglio conosciuta con le lettere P&O, fu fondata a Londrannel 1837 da due uomini d'affari e politici britannici Brodie McGhie Willcox e Arthur Anderson e dal capitano Richard Bourne. Era la più antica società di crociere e le principali compagnie di navigazione sin dalla sua fondazione nel xix ° secolo, che opera in particolare nel Mediterraneo, sulla rotta per l’India, l’Estremo Oriente e l’Australia. A dominare la spedizione sulla strada est, ha giocato un ruolo importante nella emigrazione europea in Australia nel xix ° secolo e xx ° secolo. È stata anche pioniera nel mercato crocieristico in cui ha continuato ad operare sin dal suo assorbimento nel GRUPPO CARNIVAL, leader mondiale nel settore.
La ORONTES fu costruita Barrow nel Cantiere Vickers-Armostrong. Fu varata il 26 febbraio 1929 e fu completata a luglio. Partì da Londra per il suo viaggio inaugurale diretta a Brisbane il 26 ottobre di quell’anno.
Barrow-in-Furness o, più semplicemente Barrow (ca. 60 000 ab.) è un borgo nella contea inglese della Cumbria, sulla penisola di Furness, della quale è il centro abitato più popoloso. Affacciata sul Mar d’Irlanda, è situata circa 50 km a nord di Blackpool. La città appartenne, fino al 1974, alla contea storica del Lancashire.
La ORONTES era un’elegante e molto attraente nave passeggeri come le sue gemelle (near-sisters). Lo scafo aveva la poppa ad “incrociatore” e la prua elegante e affilata per la sua epoca al contrario delle altre sue gemelle che avevano una prua più verticale. Ben disegnate e proporzionate erano le sovrastrutture con due ciminiere molto slanciate. Indovinate per capacità di trasporto delle sei stive destinate su distanze notevoli.
La ORONTES realizzò con successo le prove per il rodaggio di tutti i suoi macchinari, dopo il suo arrivo a Southampton partì per un particolare charter. Insieme alla Orford diventarono ufficialmente le due navi OSPITI del Trofeo Schneider “air race” tenutosi a Calshot nel 1929 dove le fu concesso un eccellente punto di osservazione.
Trascorse un periodo crocieristico di rodaggio “Shakedown”, nel 1934 venne in Mediterraneo con un nutrito programma di visite promozionali per il turismo inglese e fu in questa occasione che visitò il GOLFO TIGULLIO del quale sono rimaste alcune fotografie che pubblichiamo a breve. Possiamo anche aggiungere che sul finire della crociera la nave incaglio, senza gravi danni a Gallipoli.
Nei primi mesi della guerra continuò i viaggi per l’Australia sfruttando la sua buona capacità di trasporto passeggeri, ma soprattutto di carico nelle sue stive per cui divenne molto popolare e richiesta da quelle parti.
Nell’aprile del 1940 fu requisita dalla U.K. per il “trasporto Truppe”. Il suo primo viaggio in questo suo nuovo ruolo bellico, strano a dirsi, fu il trasporto truppe dall’Australia a Singapore.
Quando la nave ritornò in U.K. ebbe una frenetica attività di “trasporto militari” verso il Medio Oriente, spesso accoppiata con altre navi passeggeri.
Verso la fine del 1942 la ORONTES fu fortemente impegnata nella Campagna del Nord Africa nello sbarco a Orano delle truppe alleate.
In qualche occasione trasportò anche mezzi da sbarco anfibi per cui gli sbarchi dei militari venivano effettuati con molta rapidità.
Nel luglio del 1943 la nave ebbe una parte molto attiva nello sbarco degli Alleati in Sicilia, presso la spiaggia di Avola. Durante queste operazioni militari si trovò spesso sotto attacco di aerei nemici. Ma riuscì sempre a cavarsela.
Si distinse anche negli sbarchi degli Alleati a Salerno.
Più tardi fu impiegata nuovamente per il trasporto truppe su lunghe distanze: Bombay in particolare.
Nel 1945 ritornò in Estremo Oriente, sia in Australia sia per trasporto truppe francesi a Saigon.
Infine fu impiegata per il rimpatrio dei prigionieri di guerra in U.K.
Nell’aprile del 1947 la ORONTES concluse il suo periodo come “nave militarizzata”. Durante i suoi sette anni sotto il controllo governativo, ha percorso 370.000 miglia e trasportato circa 125.000 soldati.
Nel periodo 1947-48 la nave fu sottoposta ad importanti lavori di “reconditioning” e ammodernamento degli interni presso il Cantiere Thornycroft di Southampton.
Nel giugno 1948 riprese stabilmente i suoi viaggi per l’Australia e nel 1953 fu convertita esclusivamente in nave passeggeri – classe unica – destinata al trasporto di allevatori per l’Australia e Nuova Zelanda.
La ORONTES partì per il suo ultimo viaggio da Tillbury per l’Australia il 25 novembre 1961 ed al ritorno fu tolta dal servizio.
Fu infine venduta ad una ditta spagnola di demolizione. Il 5 marzo 1962 arrivo a Valencia e lì terminò la sua FORTUNATA vita di mare.
Tre delle quattro navi gemelle: ORAMA, ORONSAY e ORFORD furono dichiarate:
“perdite di guerra”.
Fonte:
BEKEN OF COWES (fotograph) – OCEAN LINERS - By Philip J. Fricker
Libera traduzione di Carlo Gatti
Rapallo, 6 Aprile 2022
M/n RAPALLO NELLA STORIA DEL MONDO MARINARO
M/n RAPALLO NELLA STORIA DEL MONDO MARINARO
M/n RAPALLO
Una bella nave da carico degli Anni ‘60
- Bandiera Inglese -
Sulla murata della M/n RAPALLO è leggibile WILSON LINE
La M/n RAPALLO
con i suoi colori (livrea) originali
Lunghezza fuori tutta: 111,5 mt.
Larghezza: 16,6 mt.
Stazza Lorda stimata intorno alle 5.000/7.000 ton.
Categoria: General Cargo
Costruita nel 1960 a Edimburgo (Scozia)-Inghilterra dal Cantiere Robb Caledon Leith
Per l’Armatore: Ellersman’s Wilson Line, Compartimento Hull/Inghilterra
Nel 1975 cambiò nome e bandiera - diventò CITY OF LIMASSOL (CYPRO)
Nel 1977 fu venduta alla Associated Levant Lines e rinominata BEITEDDINE
Nel 1986 fu demolita
ELLERMAN LINES - Segnalo LINK - In cui potrete leggere la straordinaria storia di questo Armatore inglese che fu proprietario di una Flotta considerevole.
https://en.wikipedia.org/wiki/Ellerman_Lines
Propongo agli interessati al tema alcuni LINK di ricerche che ho effettuato a suo tempo:
L’AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo/
R.RE RAPALLO – SOTTO TRE BANDIERE
https://www.marenostrumrapallo.it/mastino/
RAPALLO NAVIGA SUI SETTEMARI
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo-2/
Carlo GATTI
Rapallo, 15 gennaio 2022
IL BAULE DEL MARINAIO - ARTE E MARE - 2
IL BAULE DEL MARINAIO
ARTE E MARE - 2
“Con cinque bambini piccoli, essi salirono su un veliero portando tutto ciò che avevano in un piccolo baule”
La cassetta è il baule che il marinaio porta sempre con sé. Rappresenta la sua identità, il passato e il futuro che appena si intravede fra le condizioni variabili del presente. Può essere di legno intarsiato o povero, solido o deteriorato, non importa, ogni navigante ha la sua cassetta, il senso ben custodito di quel girare apparentemente folle intorno al mondo. Una volta abbandonata la navigazione, chiuso il rapporto professionale con il mare, la cassetta perde la sua attitudine raminga, si distende, comincia ad assorbire vita, esperienza, per diventare archivio e potenzialmente materia narrativa.
Dopo questa premessa, che è la vera definizione letteraria del BAULE del marinaio, devo confessare che forse inconsciamente, attribuivo l’uso del baule del marinaio a quel periodo leggendario legato all’epopea della vela o, tutt’al più, ai primi del ‘900 quando i primi sbuffanti vapori solcavano i mari con tre alberi pronti ad issare le vele di fortuna in caso di avaria alle “novelle” macchine alternative. Si trattava, com’è noto, di una messa in scena degli armatori dell’epoca per tranquillizzare i facoltosi ed elegantissimi passeggeri che, ancora un po’ diffidenti verso i nuovi sistemi propulsivi navali, sfidavano l’ignoto. Il baule carico di prestigiosi vestiti all’ultima moda era il biglietto da visita identitario della Belle Époque. Si dice di esso: quel periodo che va da fine ‘800 allo scoppio della Prima guerra mondiale e che fu caratterizzato da euforia e frivolezza. Bella Epoca perché a seguito di una serie di progressi ed invenzioni si modificò lo stile di vita delle classi borghesi; da qui prese inizio l’idea di viaggiare per fare turismo d’élite. L’ esempio tipico è il TITANIC, una nave di lusso inglese della “WHITE STAR” che si fece simbolo della “BELLE ÉPOQUE” in quanto era grande, moderna e veloce. Un oggetto di lusso per persone molto ricche.
Tutto questo mi affiora alla mente trascinandomi un ricordo che solo ora rammento di non averlo mai scritto.
Da sinistra, VULCANIA e SATURNIA a Genova
Era il 1961. Dopo un imbarco di quasi un anno da Allievo Ufficiale di coperta su una petroliera, ebbi la fortuna d’imbarcare sulla nave passeggeri SATURNIA con il grado di Allievo Ufficiale Anziano. Eravamo in partenza da Trieste per il mio secondo viaggio sulla linea Trieste - Venezia - Napoli - Palermo - Palma de Majorca - Gibilterra - Lisbona -Punta Delgado (Azzorre) - Halifax - Boston - New York.
Mi trovavo tra le scartoffie della segreteria di Coperta, quando percepii un trambusto nel corridoio: due “piccoli di camera” stavano “camallando”, si fa per dire, un ingombrante baule da marinaio verde scuro, bordi e angolari rinforzati con borchie metalliche dorate. Ricordo d’aver detto ai due giovani che quel baule era destinato, probabilmente, ad essere “stivato” nel bagagliaio di bordo.
“Ma no sior, ghe zè una targhetta sul lucchetto: Alloggio Ufficiali – M/n SATURNIA”.
Poco dopo vidi avvicinarsi, col suo inconfondibile “piede marino”, un mio caro amico camoglino Baj Schiaffino che avevo lasciato qualche mese prima al seguito della mia squadra di pallanuoto di cui era un fervente tifoso.
“Hoo belin, ma cosa ti ghe fae a bordo. Vanni SÛBITO a casa che a squaddra ha l’à bezêugno de ti …”
Baj aveva ragione, avevo lasciato la squadra per una nave passeggeri su cui avevo sempre sognato d’imbarcare… e quella fuga, Baj non me lo perdonò per tutto l’imbarco.
“Dove u l’è u mae beûlo?”
– Il dilemma era risolto – Il baule era proprio il suo!
Baj discendeva da quel ramo degli Schiaffino de Camoggi che da secoli avevano battuto i mari di tutto il mondo. Già, in quella Camogli dei Mille bianchi velieri su cui la tradizione “voleva” che il giovane s’imbarcasse da Allievo e sbarcasse da Comandante: in un solo lunghissimo imbarco. La rottura con la terraferma doveva essere TOTALE per dimostrare innanzitutto a sé stesso amore e dedizione solo per il MARE. Avete capito bene! Da ultimo di bordo a Capitano al comando e in seguito anche Armatore dei velieri di famiglia.
Baj era rimasto “intrappolato” nel solco di quella tradizione old fashion che lui continuava a vivere, come se la marineria fosse tuttora ancorata a quello spirito d’avventura senza tempo che unisce tutti i marinai del mondo da sempre e per sempre avendo per letto il mare e per soffitto il cielo. Baj continuava a vagare sui bordi insieme a tutti gli Schiaffino de Camoggi, ovunque si trovasse, e come loro si muoveva, non solo nel portamento oscillante, ma nel guardare sempre fuori, verso il mare per controllarne l’umore e la forza del vento sulle vele, con quel suo sorriso sempre generoso, ma furbo: “Amîa che no sòn miga nescio!”
Non gli chiesi mai nulla di quella anacronistica presenza do beûlo al seguito… non volevo profanare le sue antiche consuetudini familiari di cui evidentemente andava molto fiero: esibendo quella specie di carta d’identità che solo pochi potevano permettersi. E poi cosa c’era da spiegare ad un giovane come me, al secondo imbarco che il mondo della vela l’aveva conosciuto soltanto di striscio sugli STARS nel golfo Tigullio facendo bordi rischiosi solo per strappare un sorriso alle ragazze straniere… magari dell’entroterra! Questo avrebbe pensato Baj che di Riviera se ne intendeva!
Beh! Qui forse Baj si sbagliava! Anche il suo giovane amico proveniva da una stirpe di naviganti e armatori: i Gazzolo di Ge-Nervi - 25 velieri impiegati sulle rotte del GUANO tra il Cile e Perù ed il Nord Europa. Già! Ognuno ha il suo retroterra spirituale da rispettare e quindi il suo naturale destino da seguire; ma se oggi ricordo ancora quel BAULE della tradizione marinara ligure significa che nel sangue avevamo entrambi gli stessi ricordi ancestrali.
Baj è mancato di questi tempi un po’ di anni fa, ed ho voluto ricordarlo con la scusa do beûlo che racchiude tanti ricordi che in seguito ci hanno legati da Amicizia vera nella sua Camogli:
Società
CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI
CAMOGLI
Arrivati al giro di boa, non mi rimane che segnalare un bel libro di Dario PONTUALE:
IL BAULE DI CONRAD
Una cassa di legno lunga un metro, alta cinquanta centimetri, con tozze zampe quadrate e la base più larga per resistere ai rollii. In passato ogni marinaio degno di tale nome solcava le acque del mondo accompagnato da questa specie di baule, chiamato in gergo “cassetta”, dove riporre i propri effetti personali i beni i ricordi.
Tra le molte sopravvissute agli attacchi del tempo, ne esiste una appesantita dagli anni e dagli oggetti, che riporta su un fianco una sigla incisa con la forza di un coltello, “JTKK”, e una data, “1894”. La sigla altro non è che l’abbreviazione del nome del suo proprietario: Józef Teodor Konrad Korzeniowski, ufficiale della Marina Mercantile Britannica. Il 1894 è l’anno in cui la cassetta è stata calata per l’ultima volta dal ponte di una nave: il battello a vapore Adowa, che avrebbe dovuto salpare per il Québec con a bordo quell’ufficiale di origine polacca, in realtà non ha mai lasciato il porto a causa di un impedimento burocratico.
Un finale in sordina per un uomo irrequieto che fin dall’adolescenza attraversa mari e oceani su ogni barca che gli conceda un incarico, una possibilità, una sfida. Vent’anni di vagabondaggio nei luoghi più selvaggi e remoti del globo, dalle Indie Occidentali alla Malesia e fin dentro il cuore oscuro dell’Africa. Dopo aver affrontato tempeste e bonacce, commerci e intrighi, in quel 1894 Józef Konrad cambia definitivamente il proprio nome in Joseph Conrad, il marinaio esce di scena e cede il testimone allo scrittore.
Con vivace ritmo narrativo, sempre affiancato da uno scrupoloso lavoro di ricerca, questo libro racconta la vita in mare di uno dei maggiori autori di ogni tempo: le imbarcazioni sulle quali Conrad navigò, gli uomini incontrati, le rotte seguite e le avventure fonti di ispirazione per i personaggi, le ambientazioni e le vicende che hanno popolato storie immortali come Cuore di tenebra, Tifone, La linea d’ombra e molti altri capolavori conradiani.
UN PO’ DI CONRAD
Mi si chiede di descrivere brevemente, qui, quest'opera.
Per come la vedo io, questo libro rappresenta lo sfogo di un marinaio che ha visto, praticamente, tutto il mondo, naturalmente dalla parte del mare, in quanto all'epoca viaggiavo già fin troppo per mestiere, da avere voglia di farlo anche da turista.
Ho visto tante cose: Cose antiche, cose moderne, cose affascinanti dal punto di vista naturalistico.
E poi, ancora, ho visto il mare in bonaccia, giorno dopo giorno, per decine di giorni, in oceano, e mi è sembrato la manifestazione della bontà divina.
Poi ho visto quello stesso mare furibondo di rabbia, roba che chi non l'ha visto non può arrivare a crederci, ed anzi adesso, che gli anni sono passati, non riesco più a crederci neppure io, se non facendo uno sforzo mentale, alla fine del quale ancora mi vengono i brividi.
Tutto questo l'ho messo, in questo libro. Ma, soprattutto, ho visto l'uomo.
L'uomo bianco, l'uomo nero, l'uomo giallo, l'uomo rosso.
Ho visto il Cristiano, l'Islamico, l'Ateo, l'Ebreo, lo Shintoista, ed anche altri.
Ho visto l'uomo ricco e potente, ed ho visto l'uomo povero, umile.
Di uomini umili e poveri ne ho visti di più, perché tali erano quelli che popolavano gli ambienti del porto, e delle sue vicinanze.
Ho parlato con quegli uomini. Ne ho osservato il comportamento, ascoltato i discorsi, ed alla fine ho capito che sotto la scorza del colore della pelle, della religione, della lingua, gli uomini, tutti gli uomini, sono abbastanza simili, per lo meno quelli sani di mente, vogliono tutti le stesse cose, che si riassumono poi nel diritto a mantenere la speranza di potere condurre una vita decorosa, migliore di quella vissuta dai loro padri, e di poterne offrire di ancora migliori ai propri figli.
Tutti, a parte i pazzi, vogliono vivere in pace, sognano di vedere riconosciuti i propri diritti, curate le malattie, assicurata la vecchiaia.
Vivono nel terrore che qualche pazzo scatenato decida di portarli in guerra, loro e i loro figli, e trasformi le loro mogli in vedove, le loro madri in vecchie in gramaglie.
In questo libro ho messo anche questo.
Poi, ho tirato giù i miei ragionamenti.
Tranquilli: A parte che il fatto che io, come tutti noi occidentali, sono stato formato nella cultura cristiana, nella qual cosa, tra l'altro, non vedo nulla di male, non ho fedi politiche, e neppure religiose. Ho il cuore, ed ho il cervello. Tutto quanto leggerete, se vorrete, viene dritto da lì: Dal cervello e dal cuore.
IL BAULE DEL MARINAIO
Una carrellata nella storia
Carlo GATTI
Rapallo, 28 Novembre 2021
IL DISINGANNO - ARTE E MARE - 1
IL DISINGANNO
ARTE E MARE - 1
DISINGANNO
Francesco Queirolo, 1753-54
Il Disinganno
Autore: Francesco Queirolo
1753-1754
Napoli,
Cappella Sansevero
Il disinganno, opera dello scultore genovese Francesco Queirolo realizzata tra il 1753 e il 1754, è uno dei capolavori che decorano la magnifica cappella Sansevero a Napoli. L'opera fu commissionata da Raimondi di Sangro, principe di Sansevero, che voleva dedicarla al padre Antonio, un uomo che condusse una vita dissoluta fino alla vecchiaia, quando invece abbracciò una vita all'insegna di una stretta morale cristiana.
Il gruppo scultoreo rappresenta un uomo avvolto da una rete, mentre un angelo lo sta liberando: la rete simboleggia il peccato, e l'angelo sta quindi aiutando l'uomo a liberarsi dal peccato, per quella che a tutti gli effetti è un'allegoria della vita di Antonio di Sangro. L'angelo ha sul capo una fiamma, simbolo dell'intelletto, e indica il globo ai suoi piedi che invece rappresenta i piaceri mondani. Davanti al globo osserviamo invece la Bibbia, chiaro simbolo della fede. Perché quindi allegoria del disinganno? Perché i piaceri mondani sono visti come, appunto, un inganno, e la fede e l'intelletto aiutano l'uomo a liberarsi dall'inganno della mondanità, e quindi del peccato.
Si tratta di una scultura che colpisce per il suo incredibile virtuosismo, evidente nella rete: è una delle opere più virtuose di tutta la storia dell'arte. La rete, realizzata con formidabile ed eccezionale abilità tecnica, sembra appartenere allo stesso, unico, blocco di marmo a cui appartiene il gruppo intero. Si racconta un aneddoto: pare che Queirolo avesse affidato il gruppo ad alcuni collaboratori per la finitura e la lucidatura. Tuttavia questi avrebbero rifiutato l'incarico per timore di rompere la delicatissima rete che avvolge il corpo dell'uomo: si dice quindi che Queirolo abbia condotto in prima persona tutti i lavori di finitura dell'opera.
FRANCESCO QUEIROLO
GENOVA, 1704 – NAPOLI, 1762
Dopo una prima formazione, nella bottega di Bernardo SCHIAFFINO*, F.QUEIROLO si recò a Roma dove fu allievo di Giuseppe RUSCONI. Qui ebbe su di lui particolare influenza Antonio CORRADINI, dal quale ereditò la grazia rococò ed apprese lo straordinario virtuosismo tecnico per rendere nel marmo la trasparenza e la morbida pittoricità dei panneggi. A Roma eseguì le statue di San Carlo Borromeo e di San Bernardo sulla facciata di Santa Maria Maggiore e il busto di Cristina di Svezia (1740); la statua dell'Autunno sulla FONTANA DI TREVI (1749) e il sepolcro della duchessa Grillo in Sant’Andrea delle Fratte (1752).
*Schiaffino, Bernardo Nacque l’8 luglio 1680 dai camogliesi Geronima Olivari e Baldassare Schiaffino e fu battezzato presso la chiesa parrocchiale di S. Salvatore a Genova (Figari, 1988, p. 21), come documenta l’atto di nascita, che smentisce l’anno 1678 proposto da Ratti. scultore italiano (Genova 1678-1725). Allievo di Domenico Parodi, è tra i più notevoli esponenti della scultura genovese del Settecento. Le sue opere, che risentono nella tematica e nello stile di uno stretto legame con la pittura contemporanea, presentano un'eleganza formale che influenzò tutta la scuola genovese (Ritratto del doge Giovanni Francesco Brignole Sale, Genova, Palazzo Rosso; Narciso, Genova, Palazzo Balbi; Vergine col Bambino, Genova, S. Maria della Consolazione). Tenne a Genova una bottega che fu attivissima anche per le corti straniere. Suo allievo fu il fratello minore Francesco Maria (Genova 1689-1765), che completò la sua formazione a Roma presso Camillo Rusconi, derivandone l'impronta berniniana del suo stile (Ratto di Proserpina, Genova, Palazzo Reale; Madonna col Bambino, Genova, cappella del Palazzo Ducale).
Francesco Queirolo lavorò a Napoli dal 1752 soprattutto alla decorazione di quel singolare monumento del simbolismo settecentesco che è la Cappella Sansevero dei principi di Sangro: la sua statua del Disinganno, raffigurato come un uomo avvolto da una rete, è un vero capolavoro del trompe-l’œil in scultura. L’opera infatti stupisce per la resa estremamente realistica della rete che pare stendersi morbidamente sulla figura umana ricoprendo parte del volto e del torso, dove il traforo in marmo supera qualsiasi espressione di virtuosismo tecnico raggiunto in epoca rococò.
A questo punto qualcuno si chiederà: ma quale nesso esiste tra l’artista genovese Francesco Queirolo e Mare Nostrum Rapallo?
La mia sensibilità di uomo di mare, mi fa pensare che il genovese, con sangue camoglino: Francesco Queirolo, per la sua fantastica opera IL DISINGANNO, abbia trovato ispirazione in qualche calata del Porto Vecchio di Genova guardando le operazioni di sbarco-imbarco di un veliero dell’epoca. Infatti, fino all’avvento dei containers, le navi usavano “imbragare” con una robusta rete quadrata appesa al bigo di carico della nave, la merce in colli oltre a qualsiasi altro tipo di cassa che si prestasse ad essere avvolta da quella robusta RETE marinara.
Chi ha navigato nel dopoguerra, conosce quello strumento di lavoro con il nome di Giapponese. Si tratta di un mezzo molto versatile e robusto che a volte compare anche in alcuni disegni medievali e anche più antichi, come vedremo, il che dimostrerebbe come la sua praticità (scarso peso e volume) sia stata apprezzata per millenni.
Il nome esotico pare invece si riferisca all’uso che la Marina USA ne fece durante gli assalti delle truppe Americane nelle isole del Pacifico (Seconda guerra mondiale), in particolare per trasbordare velocemente i numerosi militari armati dalle navi-trasporto ai mezzi anfibi destinati ad approdare sulle spiagge occupate dai giapponesi.
Questo tipo di rete a maglie più o meno larghe, venivano anche usate per recuperare naufraghi come mostra la foto che scattai molti anni fa dal ponte passeggiata della m/n VULCANIA durante il recupero dei naufraghi della piccola M/n FIDUCIA, durante una tempesta, non lontano dall’isola di Ustica.
LA GIAPPONESE – UN’ARMA ECCEZIONALE
Il reziario letteralmente "l'uomo con la rete" era una delle classi gladiatorie dell’antica Roma; combatteva con un equipaggiamento simile a quello utilizzato dai pescatori, una rete munita di piombi per avvolgere l'avversario, un tridente (la fuscina-fiocina) ed un pugnale (il pugio). Non portava alcuna protezione alla testa, né calzature.
Il reziario apparve per la prima volta nell’arena nel I° secolo e divenne in seguito un'attrazione abituale dei giochi gladiatorii.
Sono passati un po’ di anni dai miei tempi… ma credo che, tuttora, un buon Capitano navigante, abbia sempre a disposizione una GIAPPONESE ben curata e pronta all’uso. Ora vi spiego il perché:
Avevamo da poco scalato Ponta Delgada (Azzorre) e, con gran parte dell’Oceano Atlantico di prua, eravamo diretti in Canada (Halifax). Verso la mezzanotte, durante il cambio di guardia sul Ponte di comando della nave di cui sopra, giunge una telefonata concitata:
“Un energumeno di colore, alto più di due metri, completamente fuori di testa, sta minacciando una decina di passeggeri con la mannaia antincendio. Mandate rinforzi d’urgenza in classe turistica”.
Come ben sapete, in condizioni normali, sulle navi mercantili di tutto il mondo, non sono ammesse armi da fuoco; esiste tuttavia un servizio di sicurezza che negli Anni ’60 era coordinato dal Capitan d’Armi. Sicuramente la telefonata “concitata” era da attribuirsi proprio a questo sottoufficiale.
Probabilmente l’evento molto “delicato” che era in corso in quel momento, non era poi una rarità … Su quei bordi eleganti e raffinati viaggiavano nei Ponti Inferiori anche pescatori di merluzzo, emigranti di tutte le razze e di ogni provenienza… e, nelle lunghe notti atlantiche, alcuni di loro si lasciavano andare ai fumi dell’alcool, a discussioni politiche, forse razziali e non di rado a scene di gelosia… La violenza era sempre dietro l’angolo.
Ma quella volta si trattava di fermare un gigante giovane, atletico e con il volto cattivo… che barcollando e muovendosi come un orangotango inseguiva i passeggeri in fuga che urlavano terrorizzati in preda al panico più totale per la paura di essere fatti a pezzi... Scendemmo di corsa i quattro ponti che ci separavano dalla classe Turistica, ma quando arrivammo sul posto, cinque marò Capi-stiva, novelli reziari, l’avevano già circondato, imbragato, abbattuto sul pavimento e, siccome si agitava ancora pericolosamente, fu colpito alla testa con un randello e quindi trascinato in una cella di sicurezza dove rimase fino a New York, suo porto d’arrivo, per essere consegnato alla Polizia Portuale.
Ogni giorno accompagnavo il mio Capo guardia a visitare l’energumeno che mai rinunciava a minacciarci di “morte sicura” appena la Polizia americana lo avrebbero liberato da quella gabbia…
Ringrazio il Maestro di Presepi Pino LEBANO per avermi segnalato l’opera d’Arte:
IL DISINGANNO
Carlo GATTI
Rapallo, 25 novembre 2021
LA STORIA DEI BLUE JEANS
LA STORIA DEI BLUE JEANS
Il termine “blue jeans” deriva probabilmente dalle parole:
“Blue de GENES”
Blu di Genova.
Genova Capitale Mondiale dei JEANS
"Da sempre senza tempo, vestito da tutti e promotore di libertà e cambiamento sociale, il jeans si propone oggi come punto di partenza per ri-immaginare il rapporto tra un capo di abbigliamento che ha fatto epoca e i linguaggi, le espressioni artistiche che dal successo del jeans hanno tratto ispirazione".
Da giovedì 2 a lunedì 6 settembre 2021 si è svolto a Genova un grande evento che molti di voi avranno seguito: Genova Jeans che ci ha portato a percorrere le tante vie di questo indumento che, per noi di una certa età, ha fatto parte della nostra storia giovanile, e lo è tuttora che tali non siamo più.
“E’ nata così la Via del Jeans, come Carnaby street a Londra, sull'asse Via Prè, Via del Campo e Via San Luca, dove vogliamo attrarre commercianti, imprenditori e artigiani per farne un hub anche turistico e culturale di questa produzione". Manuela Arata, presidente del Comitato promotore di GENOVA JEANS, spiega così lo spirito della manifestazione che anima alcuni punti di Genova per promuovere il Made in Italy di qualità nel centro storico medievale dove dal milleduecento il jeans veniva prodotto, commercializzato e utilizzato.
SOTTORIPA
Con i suoi 900 metri di copertura è stato il più lungo centro commerciale del medioevo. Il suo porticato venne costruito per volere dei Padri del Comune a partire dal 1125 fino al 1133, addirittura 30 anni prima dell’erezione delle Mura del Barbarossa e, per questo, costituisce la più antica opera pubblica di rilievo. Il suo percorso si snodava da Porta S.Fede fino al Molo Vecchio senza però soluzione di continuità. Ne sono testimonianza il breve tratto fra Vico San e Vico del Campo, detto “Sottoripa La Scura” per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi e arretrati rispetto alla ripa. Sarà questa la zona destinata nel ‘600 al Ghetto ebraico.
A partire da quegli Anni ’50, quando questo pantalone marinaro si acquistava soltanto nell’angiporto di Genova e, per noi studenti del Nautico, era come procurarci un’uniforme che ci faceva “sognare” sulle rotte di via Pré e Sottoripa alla scoperta dell’America dei films con James Dean e Marlon Brando, tra gli echi della Beat Generation, di Kerouak (On the road) e di altri tra cui ricordo Peter Orlovsky, Allen Ginsberg e Gregory Corso, mentre i caroggi sembravano galleggiare sulle note della leggenda del Jazz: Charly Parker venerato dai Beat.
Il “mercatino di Shangai” a Genova
Baia piratesca e luogo incontrastato di sbarco dei Jean
Fra via Gramsci e via Pré, in piazza S. Elena, sorgeva un tempo un mercatino che i genovesi familiarmente chiamavano “di Shangai”. Il nome aveva un sapore esotico che ben si addiceva a quell’angolo di traffici cosmopoliti; la struttura nacque infatti nel secondo dopoguerra proprio per rifornire chi imbarcava e sbarcava dalle navi, ma anche per alimentare il contrabbando di molti ambiti prodotti...
Del “mercatino di Shangai” resta indelebile il ricordo per chi, come noi da ragazzi ci aggiravamo incuriositi tra quelle bancarelle convinti di vivere in un pezzetto di America, e con la convinzione di poterci trovare di tutto. Infatti fra le bancarelle si trovavano gli occhiali Ray-Ban (“Nan, son fatti per te questi occhiali, ti stan che è una meraviglia”), le gomme da masticare Brooklyn a prezzi stracciati, le penne Parker, gli accendini Ronson, la cioccolata, le sigarette di contrabbando, i capi di vestiario (che arrivavano direttamente dall’America, grossolonamente imballati), i primi Levi’s, i giubbotti Baracuta, le prime felpe blu; e inoltre costumi da bagno, tute da sci, il dentifricio Colgate americano, il già famoso Listerine, dolciumi vari (in particolare cioccolato svizzero), magliette Saint Tropez minipull, borse pseudogriffate, attrezzature militari e per i clienti affezionati anche armi bianche USA della Seconda guerra mondiale con relativi sacchi a pelo, macchine fotografiche con obiettivi in dotazione (alcuni di produzione sovietica e giunte a Genova chissà come), i primi mangiadischi, il dopobarba inglese Old Spice, lamette da barba, pomate tipo il Prep, il Vix Vaporub, ecc. ecc.
Andare a Genova significava, per noi della riviera, il mitico incontro con il Mondo d’oltremare che ci aveva riportati all’esistenza civile quando i segni dei bombardamenti ancora ci ammonivano tra le case diroccate. E alla sera tornavamo a casa felici alzando i “nostri trofei di tela” che non provenivano dalle Crociate… ma dal centro storico de Zena, un incantesimo da cui non ci siamo mai più liberati!
Sono ormai passati 60 anni e, con il “piede marino” nel frattempo acquisito per davvero, con meno entusiasmo, ma con tanta curiosità, ho fatto scoperte interessanti sui Jeans che vorrei condividere con voi nella consapevolezza, ormai provata, che da Genova sia “partita” non solo la Scoperta dell’America, ma anche la nascita dei Jeans. Le due “scoperte” sembrano concettualmente molto distanti, ma hanno in comune una certa INTERNAZIONALITA’ di fondo per cui si somigliano in un marchio speciale che viene da molto lontano: DALLA STORIA DI QUESTE PARTI!
Credo, anzi ne sono certo, che al giorno d’oggi il jeans, in tutte le sue sfaccettature, sia il capo più venduto e più richiesto al mondo, poiché apprezzato da qualsiasi classe sociale, età e sesso.
Vediamo di cosa si tratta!
Il primo cenno viene ricondotto alla città di Genova nel XVI secolo e più precisamente al porto antico dove questa tela di colore blu veniva creata e usata per la fabbricazione delle vele dei brigantini e per i cagnari: quei teloni da copertura per le stive di carico delle carrette fino agli anni ’50-’60 del Novecento, in quanto molto resistenti, durature e facilmente lavabili.
Con le grandi emigrazioni, intorno all’ottocento, la tela blu di Genova arrivò in America dove venne utilizzata per creare abiti da lavoro per i minatori. Ed è proprio qui che il nome originario cambiò in blue jeans. Fu infatti nel 1873 che nacque il primo jeans denim grazie a Levi Strauss il quale aprì a San Francisco un negozio di oggetti per i cercatori d’oro e ideò il primo jeans.
Di seguito i cow-boys del Far West utilizzarono il tessuto per confezionare non solo i pantaloni ma anche delle robuste giacche.
Da qui iniziò l’uso del jeans un po’ ovunque diventando un capo usato dai militari, dalle truppe garibaldine, dagli attori cinematografici di cui abbiamo fatto cenno, dai ragazzi universitari e infine facendo il suo ingresso nel mondo della moda.
Con il tempo si sono moltiplicati i modelli: a campana, a tubo o sigaretta, attillato, a cavallo alto, a cavallo basso, con zip e con bottoni, così come sono cambiati i colori sfruttando tantissime tonalità.
Dagli anni ‘90 sono iniziate ad andare di moda le versioni vissute del jeans: delavè, bucati, strappati, arricchiti da pietre, secondo le fantasie degli stilisti.
Un capo, il jeans, che si lascia strappare, rammendare e arricchire pur non perdendo il suo fascino.
Ma ora facciamo ancora un passo indietro nella storia alla ricerca delle radici di questa incredibile storia:
Gli antenati dei JEANS
BADIA DEL BOSCHETTO
L'abbazia di San Nicolò del Boschetto, più conosciuta semplicemente come “badia del Boschetto”, è un edificio religioso nel quartiere genovese di Cornigliano; il complesso, costituito dal monastero e dalla chiesa, oggi affidata ai sacerdoti orionini, è situato nella bassa val Polcevera, sulla sponda destra del torrente, alle prime pendici del colle di Coronata, dove resistono ancora filari di bianchetta, vermentino, rollo e naturalmente il pregiatissimo vino bianco di Coronata.
Il complesso, costruito nel XV secolo, ai tempi della già ricordata Scoperta dell’America, è tuttora denominato Boschetto per la fitta vegetazione che un tempo lo circondava, in parte è ancora presente alle sue spalle, nonostante la zona, un tempo agricola, abbia assistito nei primi decenni del Novecento a un grande sviluppo industriale il cui stabilimento porta un celebre nome: ANSALDO ENERGIA.
L'abbazia del Boschetto e lo stabilimento Ansaldo
A breve distanza sorge la seicentesca villa Cattaneo Delle Piane, detta dell'Olmo, sede della FONDAZIONE ANSALDO, che raccoglie archivi cartacei, fotografie e filmati d'epoca provenienti da molte storiche aziende genovesi.
Blu di Genova
Nell'epoca di maggior splendore dell'abbazia, durante la Settimana Santa si svolgevano grandi celebrazioni, anche con la messa in scena di sacre rappresentazioni. In quell'occasione nella chiesa venivano esposte delle tele raffiguranti episodi della Passione di Gesù, dipinti sulla robusta tela di fustagno blu utilizzata dagli scaricatori del porto detta blu di Genova, antenata della celebre tela JEANS. sono oggi conservate nel Museo diocesano di Genova. Queste tele, complessivamente quattordici, realizzate fra il XVI e il XVIII.
GARIBALDI e le sue truppe
L'Italia del Risorgimento vestiva in blue-jeans . I più vecchi jeans del mondo sono infatti quelli che indossava Giuseppe Garibaldi: hanno 162 anni e sono conservati al Museo Centrale del Risorgimento, a Roma, esposti in una speciale bacheca del Vittoriano. In tela di Genova e lunghi fino alla caviglia, con quei calzoni indossati sotto la camicia rossa, Garibaldi fece lo sbarco a Marsala e la guerra in Sicilia, nel maggio 1860. Hanno un segno particolare: una toppa sul ginocchio sinistro, anch’essa in jeans, che copre uno strappo. Strappo rimasto a lungo, e che fa di Garibaldi anche un innovatore: oggi, i jeans strappati all’altezza del ginocchio sono infatti quelli che vanno più di moda. Si racconta che lo strappo sia il risultato di un attentato cui scampò il condottiero protagonista del Risorgimento italiano.
“I pantaloni jeans di Garibaldi con la famosa toppa sulla gamba sinistra”
E ancora leggiamo: “Giuseppe Garibaldi, alla guida della Spedizione dei Mille, indossava i jeans. Persino con la toppa. Siamo nel 1860 e l’Italia sta per essere unita. In partenza dallo scoglio di Quarto a Genova, il patriota indossa un pantalone di fustagno blu, conservato oggi al Museo centrale del Risorgimento a Roma. Il filo che lega le tappe della storia dell’indumento più usato al mondo parte proprio dal capoluogo ligure: jeans infatti è un tipo di tela ruvida e resistente di origine genovese. Usata già prima di Garibaldi da chi lavorava in porto, arriva oltreoceano e dall’America rimbalza nuovamente in Europa nel corso dei secoli. Fino a diventare il capo di abbigliamento simbolo della parità fra i sessi, della contestazione giovanile, della libertà, del rock, del punk, del rap. Ma non senza polemiche, giudizi, divieti. Tanto che il dress code di alcune compagnie aeree fino a qualche anno fa lo vietava nelle prime classi”.
NOTA BENE:
In America i jeans sono stati indossati come capo alla moda solo dagli anni '80 in poi. Prima non era consentito presentarsi al ristorante e venivano indossati solo nei fine settimana come capo sportivo. Il passaggio dei jeans da pantalone da lavoro a prodotto di moda, diventando un prodotto di culto, è stato un evento davvero unico. Sono per molti il simbolo dell'identità dell'America, dell'idea del sogno americano e dei suoi motti come "destino - manifesto" - "libertà" e "avventura".
Chiudo con questo pensiero personale:
-Le moderne bandiere hanno un antenato nei vessilli, drappi di stoffa che venivano usati fin dai tempi antichi, per rendere riconoscibili gli eserciti o i loro reparti.
-L'uso delle bandiere così come si intendono oggi risale invece al periodo delle crociate: infatti vennero dipinte croci di colore diverso su drappi di stoffa per identificare la provenienza dei crociati.
Queste due premesse sottintendono entrambe, da sempre, il significato di guerre e contrapposizioni tra i popoli della terra.
Forse l’unica BANDIERA INTERNAZIONALE assolutamente trasversale, apartitica ed apolitica potrebbe essere quella in tela BLU DI GENOVA che la maggioranza dei cittadini del mondo, senza alcuna imposizione, ha scelto d’avere a contatto con la propria pelle.