16 MARZO 1951 - LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
16 MARZO 1951 - LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
Petroliera MONTALLEGRO: Armatore CAMELI
La società “Carlo Cameli & C.” viene fondata nel Luglio 1927 a Genova, si presentava all’inizio del secondo conflitto mondiale forte di una flotta di cinque motocisterne per oltre 13.000 tsl.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, la flotta versava in una situazione catastrofica avendo perduto praticamente la totalità del suo tonnellaggio d’anteguerra ma a seguito di un programma di ricostruzione del naviglio sociale efficiente ed ambizioso, già nel 1953, la società poteva contare su un tonnellaggio leggermente superiore a quello dal 1940, circa 13.665 tsl. L’aliquota maggiore del nuovo tonnellaggio societario era rappresentato dalla T2 Montallegro (ex Crater Lake), la quale ebbe una vita molto avventurosa nel secondo dopoguerra, esplosa in due tronconi mentre era sotto discarica nel porto di Napoli nel 1951, venne riparata e continuò a navigare fino al 1965.
Tra le altre società satellite che il Gruppo controllava è opportuno citare la “Navigazione Toscana S.p.A.” che esercitava le linee da e per l’Arcipelago Toscano (Linea 81, 82, 82 bis, 83, 84), anch’essa duramente colpita dagli eventi bellici che la videro perdere il suo intero tonnellaggio ammontante a circa 4000 tsl.
Nel primo dopoguerra si dotò di due ex corvette della U.s. Navy riadattate al servizio passeggeri (PortoAzzurro e Portoferraio) e della motonave Pola, acquistata nel 1953.
Filmato dell’incidente registrato nel porto di Napoli
https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000018848/2/esplosione-petroliera-nel-porto-napoli.html&jsonVal=
La lettura di questo articolo mi trasmette anche tanta tristezza nel vedere elencati tutti i nomi e cognomi dei “politici” intervenuti alla cerimonia funebre mentre sono stati del tutto ignorati quelli delle vittime. La mia ricerca di quei nomi e cognomi è stata vana quanto inutile!
IL NOME DELLA NAVE
Quando una nave porta il nome: “MONTALLEGRO”, ai RAPALLINI s’illuminano gli occhi, ed il loro sguardo si rivolge al santuario della Madonna di Montallegro che svetta a 612 mt. sul golfo Tigullio e che da almeno cinquecento anni i marinai e non solo loro, si sentono protetti da quel che ritengono uno scudo spirituale celeste testimoniato da centinaia e forse migliaia di ex voto marinari.
Santuario Basilica Nostra Signora di Montallegro (Rapallo)
Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro nasce dopo l’Apparizione della Madonna del 2 luglio 1557 al contadino Giovanni Chichizola, nativo della vicina San Giacomo di Canevale; da quel giorno ormai lontano il Tempio, tanto caro alla gente tigullina emana, proprio come un FARO MARITTIMO, una forte luce diuturna per migliaia di naviganti che prima o poi lassù salgono in pellegrinaggio per pregare e lasciare una testimonianza di fede alla Madonna: un voto per GRAZIA Ricevuta durante il passaggio di un viaggio nell’inferno di CAPO HORN; ne abbiamo le testimonianze: tre velieri su cinque erano disalberati dai venti ruggenti e urlanti di quelle latitudini e si perdevano nei gelidi abissi dell’emisfero australe.
Tavolette, dipinti rustici, cuori argentati, grucce, vecchi fucili, proiettili, bombe a mano e molti altri attrezzi marinareschi ancora salati: pezzi di salvagente, di cimette e bozzelli che oggi sono scatti fotografici che fermano il tempo e ci rendono partecipi di quei tragici momenti sofferti dalla gente di mare. Testimonianze che nell’assumere valore religioso, esprimono la fede, la speranza di salvezza e di protezione, ma sono anche l’espressione di una gratitudine profonda ed indicibile.
Il sottile filo del tempo corre dalla preistoria fino ai giorni nostri unendo questi figli del mare immersi in tutte le attività ad esso collegate. Marinai che dopo aver affrontato bonacce insidiose e tempeste estremamente pericolose, combattevano spesso a mani nude contro i frequenti attacchi dei pirati barbareschi che li depredavano, li sequestravano e li tenevano prigionieri nelle loro cale barbaresche in attesa del riscatto che veniva concordato con il “Magistrato genovese del riscatto degli schiavi”.
Dalle avventure di tal genere nascono spontanei gli ex voto raccolti a Montallegro e nei santuari mariani della nostra riviera, quale atto di devozione e di gratitudine per lo scampato pericolo, ma anche come manifestazione di religiosità, di quel senso spirituale che ogni uomo ha radicato in sé e che si estrinseca nei momenti difficili della vita.
La petroliera Montallegro stava facendo lavori di manutenzione nel porto di Napoli, era quindi “vacante” (vuota di carico).
Era il 16 marzo 1951. Come visto nel filmato, l’esplosione a poppavia divise la nave in due tronconi, seguita da un pericoloso quanto esteso incendio che costrinse le navi ormeggiate vicino al disastro ad allontanarsi in estrema emergenza.
La parte prodiera rimase a galla. La parte poppiera, contenete il “locale pompe”, caldaie, turbine ed il motore della nave affondò precipitando sul fondale.
A bordo c’erano 150 operai. 6 furono i morti e 51 i feriti.
Tra le vittime c’erano l’Ingegnere di fiducia dell’armatore Cameli e l’Allievo di coperta della Montallegro che, al momento dello scoppio si trovavano vicini alla cisterna esplosa.
Le salme furono trovate fuori bordo a parecchi metri di distanza dalla Montallegro, le altre vittime erano operai del Cantiere.
LA CAUSA
Si seppe in seguito che la cisterna responsabile era la n.9 centrale. Nell’ambiente intanto circolava insistentemente il “rumor” che sul fondo della cisterna c’erano residui del carico precedente che esalavano gas. Un estrattore d’aria, usato per arieggiare la cisterna, era difettoso e aveva prodotto la scintilla di innesco della miscela esplosiva di gas e aria esistente nella cisterna.
Il grande incendio era dovuto all’innesco dei gas ancora presenti in cisterna. Il concetto tecnico che definisce la causa più probabile del disastro sarebbe questo:
“la cisterna non era correttamente GAS FREE”
Sulle petroliere sono stati richiesti sistemi a gas inerte a partire dai regolamenti SOLAS del 1974.
L’Armatore Carlo Cameli, sentiti i periti del RINA (Registro Navale Italiano) e dello ABS (American Bureau of Shipping) decise di recuperare e riparare la nave.
Riporto uno stralcio dell’articolo scritto dall’Allievo di coperta Dino Bolla di Savona, che alla fine degli anni ’60 conobbi come ufficiale sui Rimorchiatori d’Altura di Genova. Una bella persona che raggiunse il Comando e fece una brillante carriera.
“Mentre aspettavamo che il cantiere finisse i lavori, assistevo ai lavori degli operai in coperta, senza disturbarli; io mi tenevo in disparte e non parlavo. Ma, ogni tanto, qualcuno mi diceva, come se non lo sapessi, che il mio predecessore aveva fatto una brutta fine. Ribattevo che con operai a bordo sarei stato molto attento. C’erano anche quelli che mi dicevano che, con mare agitato, le saldature che collegavano i due pezzi di scafo potevano rompersi; ribattevo che i Periti del RINA e del ABS, con i quali ero in buoni rapporti (ed era vero), mi avevano detto che la nave era più robusta di prima, perché avevano fatto aumentare il numero di strisce longitudinali di rinforzo, in acciaio, sulle saldature che univano i due pezzi dello scafo.
…. Venne presto il giorno della partenza. Il primo viaggio fu da Napoli, in zavorra, a Ras Tanura, nel Golfo Persico, per caricare crude oil. Prevista prosecuzione per Swansea, UK, per scaricare. A bordo tutto funzionava come se la MONTALLEGRO fosse nuova.”
Riporto integralmente l’articolo di Dino Bolla perché ritengo sia prezioso per il lettore e, soprattutto per i giovani che si avvicinano oggi alla vita di mare per comprendere meglio l’atmosfera di bordo del dopoguerra in cui lavorarono e vissero i loro nonni.
LA PETROLIERA MONTALLEGRO
https://docplayer.it/docview/40/21087833/#file=/storage/40/21087833/21087833.pdf
LA M/N MONTALLEGRO ERA UN T/2 – USA
UN PO’ DI STORIA
Nel 1946 furono offerte all’Armamento italiano importanti possibilità di rinnovamento e di ricostruzione: il provvedimento del Governo in data 20 Agosto 1946 concedeva in particolare agli Armatori di trattenere la valuta estera introitata perché fosse impiegata nell’acquisto di naviglio usato e lo Ship Act degli Stati Uniti consentiva la vendita all’estero di navi residuate di guerra a condizione di particolare favore. Per facilitare l’acquisto delle navi furono stipulati accordi tra il Governo degli Stati Uniti e quello Italiano, per cui il Governo Italiano provvide a comperare in proprio le navi dalla U.S. Marittime Commission e a rivenderle agli armatori secondo un criterio di preferenza in base alle perdite subite. Il prezzo medio di ogni Liberty si aggirava sui 225.000 $. Il Governo Italiano provvide, inoltre a fornire agli Armatori la valuta per il pagamento immediato del 25% del prezzo e al Governo degli Stati Uniti la garanzia per il pagamento del residuo 75% in 20 anni al tasso del 3,50%. Furono così acquisite alla bandiera italiana in tre lotti successivi 95 navi da carico del tipo “Liberty” o similare, di circa 7.600 t.s.l. e 10.800 t.p.l, 20 navi cisterna del tipo “T/2” di circa 10.400 t.s.l. e 16.600 t.p.l. e otto navi da carico del tipo “N3” di circa 2.000 t.s.l. e 2700 t.p.l.
Navi della Reserve Fleet USA ormeggiate in massima sicurezza
20 dicembre 1972 - Foce del fiume James (nei pressi di Newport News, Virginia).
Mercantili tipo “Victory” in stato di conservazione nell’ancoraggio della National Defence Reserve Fleet. Entro la fine del decennio saranno tutti avviati alla demolizione.
(Foto U.S. Naval Institute)
“Al primo impatto con quella baia ricoperta di centinaia di Liberty ancorati ed affiancati a rovescio, (prora con poppa), ci venne naturale riflettere su quell’immensa produzione bellica ed alla presunzione di chi ci aveva governato per vent’anni e che non aveva minimamente stimato il patrimonio umano, la ricchezza, le capacità tecniche ed organizzative, di quella potenza economica che era l’America di quel tempo. E ci fu subito un’altra sorpresa: ci aspettavamo, dato il basso costo d’acquisto della nave, d’imbarcare s’un residuato bellico quasi da demolire. Al contrario ci trovammo su un Liberty perfettamente funzionante, in ottimo stato di conservazione, perché era visibile, in ogni suo angolo, l’opera di una manutenzione accurata ed eseguita ogni giorno durante la sosta alla fonda. La nave era provvista di frigoriferi, ampie salette, cabine singole per gli ufficiali e doppie per la bassa forza. La strumentazione nautica: girobussola, radiogoniometro, eco-scandaglio, costituiva una novità assoluta per quell’epoca. Devo dire che tutto il materiale a nostra disposizione sul Liberty era all’avanguardia per quei tempi”.
Reserve Fleet: Navi “VIctory” – “T/2” ed altre ormeggiate sull’Hudson River
Petroliera T2
Immagine di una T/2 in versione militarizzata.
The U.S. Type T2-SE-A1 tanker Hat Creek underway at sea on 16 August 1943.
La petroliera T2 è stata una nave costruita per il trasporto di petrolio e suoi derivati, progettata e realizzata negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale.
La T2 standard aveva le seguenti caratteristiche:
Lunghezza totale:152,9 mt.
Larghezza massima: 20,7 m.
Stazza: 8.981 tonnellate
Portata lorda: 16.104 tonnellate.
Dislocamento totale standard di una T2: si aggirava intorno alle 19.141 tonnellate.
Le petroliere T2 avevano per l'epoca delle dimensioni rilevanti, superate solo dalle petroliere T3, che però furono costruite solo in cinque esemplari. 500 furono le T2 costruite tra il 1940 ed il 1945, molte delle quali furono utilizzate per decenni dopo la fine della guerra. Come altre navi realizzate in questo periodo, andarono incontro a problemi di sicurezza: dopo che nel 1952 due T2 - la SS Pendleton e la SS Fort Mercer - andarono perdute a distanza di poche ore spezzandosi in due tronconi (l'equipaggio della Pendleton venne tratto in salvo da una difficilissima e storica operazione condotta dal marinaio Bernard Webber a bordo di una motovedetta CG 36500), lo U.S. COAST GUARDA MARINE BOARD OF INVESTIGATION dichiarò che queste petroliere erano inclini a spezzarsi in acque fredde, pertanto vennero aggiunte alla struttura della nave delle strisce di acciaio. Le inchieste tecniche attribuirono inizialmente la tendenza delle navi a spezzarsi alle scarse tecniche di saldatura. In seguito venne stabilito che, durante la guerra, l'acciaio utilizzato per la loro costruzione aveva un contenuto di zolfo troppo elevato, che lo rendeva fragile alle basse temperature.
LE ALTRE VERSIONI DELLA T2:
Il progetto della T2 venne formalizzato dalla United States Maritime Commission come tipologia di petroliera per la Difesa Nazionale di medie dimensioni. La nave veniva costruita per il servizio commerciale ma in caso di conflitto poteva essere utilizzata come nave militare inserita nella flotta ausiliaria. La Commissione si faceva carico della differenza dei costi aggiuntivi dovuti all'inserimento di tutte le caratteristiche necessarie per l'impiego militare della nave e che andavano oltre i normali standard commerciali.
Il modello T2 venne basato su due navi costruite nel 1938-1939 dai cantieri Bethlehem Steel per la Socony-Vacuum Oil Company. Le due navi, Mobifuel e Mobilube, differivano dalle altre navi Mobil principalmente per l'installazione di un motore più potente che poteva garantire una maggiore velocità.
Le sue turbine a vapore fornivano 8.900 KW (12.000 hp) ed azionavano un’elica singola che poteva spingere la nave fino ad una velocità di 16 nodi.
In totale ne sono state costruite sei utilizzate per l'impiego commerciale presso i cantieri Bethlehem-Sparrows Point Shipyard che avevano sede in Maryland. Subito dopo l'attacco a Pearl Harbor le navi sono state prese in carico dalla U.S. Navy dove vennero riunite nella classe Kennebec.
La T2-A
La società Keystone Tankships ordinò nel 1940 la costruzione di cinque cisterne che vennero realizzate presso i cantieri Sun Shipbuilding & Drydock di Chester, Pennsylvania. Erano basate sul progetto delle T2 ma erano più lunghe ed una maggiore capacità di trasporto. La Commissione designò queste navi come T2-A.
Avevano una lunghezza di 160,3 m ed un dislocamento di 20.361 tonnellate. La stazza era di 9.616 tonnellate con una portata lorda di 14.787 tonnellate. Raggiungevano una velocità di 16,5 nodi e furono tutte requisite dalla Marina durante la guerra. Furono trasformate in petroliere per la flotta come classe Mattaponi.
La T2-SE-A1
Costituiva la tipologia più popolare delle petroliere T2. Questa versione era nata come progetto di una nave destinata all'impiego commerciale. La loro costruzione avvenne a partire dal 1940 presso i cantieri Sun Shipbuilding Company per la Standard Oil Company del New Jersey. Aveva una lunghezza di 159,4 e una larghezza di 20,7 m. La stazza era di 9.478 tonnellate e una portata lorda di 15.071 tonnellate. Il loro sistema di propulsione era turbo-elettrico che forniva 6.000 hp (4.474 kW) all'albero con la potenza massima raggiungibile di 5.400 kW (7.240 hp). La velocità massima era di 15 nodi con una autonomia di 12.600 miglia.
Dopo Pearl Harbor la Commissione ordinò la costruzione in massa di questo modello con il quale rifornire tutte le unità da guerra che allora erano in costruzione.
Ne sono state costruite 481 in un tempo relativamente breve nei cantieri Alabama Drydock and Shipbuilding Company di Mobile, Alabama, i cantieri Swan Island Yard della Kaiser-Company di Portland - Oregon nei cantieri della Marinship Corp di Sausalito - California e nei cantieri Sun Shipbuilding and Drydock Company di Chester-Pennsylvania. Il tempo medio di costruzione di una di queste navi, dalla posa della chiglia al completamento, era di 70 giorni. Il record di velocità di costruzione è stato quello della SS Huntington Hills che era pronta per le prove in mare dopo soli 33 giorni in cantiere.
Le T2-SE-A2
Era una versione costruita solo nei cantieri Marinship di Sausalito. Era una copia quasi identica della T2-SE-A1 dalla quale differiva solo per la potenza del motore che era di 7.500 kW (10.000 hp) invece che di 7.240 hp (5.400 kW).
La T2-SE-A3
era una -A2 costruita però fin dall'inizio come rifornitore di flotta piuttosto che modificata per tale compito come molte altre A2.
T3-S-A1
La versione T3-S-A1, nonostante la sua denominazione che può creare confusione, venne costruita nei cantieri Bethlehem Sparrows Point per la Standard Oil del New Jersey. Erano identiche alle T2 originali, tranne che per la minore potenza del motore che era di 5.742 kW (7.700 hp). Ne vennero ordinate venticinque unità delle quali cinque furono utilizzate dalla Marina che le riunì nella classe Chiwawa.
Come abbiamo già visto, la petroliera MONTALLEGRO fu acquistata dall’Armatore Carlo CAMELI di Genova. Per chi volesse conoscere meglio la storia di questo Armatore propongo il seguente LINK:
https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-cameli_%28Dizionario-Biografico%29/
RIFLESSIONE FINALE
Come da consuetudine, durante i lavori di manutenzione annuali, il personale di bordo viene sbarcato per fine contratto, oppure viene mandato in licenza. Fu soltanto per questo motivo che l’equipaggio della MONTALLEGRO può definirsi salvato “P.G.R.” dalle terribili conseguenze di quell’esplosione del 16 marzo 1951.
Tuttavia, in quel giorno infernale per tutta la città di Napoli, non tutto l’equipaggio si salvò. l’Allievo di coperta era presente a bordo insieme all’Ing. fiduciario dell’Armatore. Chissà per quale misteriosa coincidenza del destino, in quel fatidico “momento”, entrambi si trovavano a poppavia della nave nei pressi della cisterna n.9 che esplose?
Ancora oggi, a distanza di 72 anni, il nostro triste pensiero va comunque a queste due persone che furono le uniche vittime di quell’equipaggio a causa di una fatale coincidenza del destino.
Come non accumunare ad essi le altre maestranze del Cantiere navale che persero la vita nel loro porto, vicino alle loro case e alle loro famiglie.
A noi sembra che la causa sia stata la palese carenza di procedure di “sicurezza” male applicate in ambienti di lavoro estremamente delicati per la presenza di gas velenosi ed anche esplosivi i quali, entrando in contatto con fiamme ossidriche o scintille sprigionate da qualsiasi utensile non regolamentato, diventano bombe micidiali.
Purtroppo, il tragico evento della MONTALLEGRO non fu il primo né l’ultimo nella storia di navi ai lavori di manutenzione. E ci viene sempre in mente quel saggio detto che ancora oggi si sente recitare come un ritornello sui “bordi”… ma anche nelle case di tutto il mondo all’ora dei TG nazionali:
“TUTTI PARLANO DI SICUREZZA E DI SOLIDARIETA’, MA POCHI DI LORO SONO DISPOSTI A PAGARLA”.
Carlo GATTI
Rapallo, 22 Marzo 2023
MUSEO NAVALE INTERNAZIONALE DEL PONENTE LIGURE
MUSEO NAVALE INTERNAZIONALE DEL PONENTE LIGURE
Monumento ai naviganti di Capo Horn alla radice del molo lungo di Porto Maurizio-Imperia
Inaugurato il 23 maggio 1983 in occasione del secondo e ultimo congresso mondiale dei Capitani di Capo Horn (450 membri appartenenti a 13 nazioni)
UN PO’ DI STORIA tormentata…
Museo Navale: una storia infinita, una nuova “incompiuta”?
Ottobre 1978: intuizione storica sul Museo, vedasi “proposta” nel volume “La Città dei Marinai”.
23/8/1978 : Istituzione Museo Navale- Atto della Giunta n.°1469 del Comune di Imperia.
27/8/1978: articolo di Emilio Varaldo: “Perchè la Città non ha un Museo”?
23/10/1979: nasce il Museo Navale in sede” precaria” nelle sale dell' ex Liceo Scientifico”.
12/01/1980: “Finalmente “sì“ ( conferma) della Giunta al Museo Navale”.
8/5/1980: nasce l'Associazione Amici del Museo Navale” (Not. Donato).
19/5/1981: visita del Sen. Taviani che plaude all'iniziativa e fa pervenire al Museo tutti volumi della “Colombiana” del Poligrafico dello Stato.
1984/1985: Museo sulla copertina elenco Telefonico SIP.
1992: il Museo Navale presente all'Expo delle Colombiane.
1992: proposta dall' Associazione A.M. per la nuova sede agli ex Magazzini Generali.
23/1/1992: Ass.Nattero: “Museo Navale presto trasferito nei docks portuali”.
20/12/1998: Consigliere P. Denegri : “Nuova sede tra due anni”.
9/6/1999: approvato il progetto trasloco.
11/6/1999: ottenuta concessione demaniale dell'area (ex Magazzini portuali).
25/3/2002: Il Piano Regolatore Portuale (Regione Liguria) destina il complesso di edifici a sede museale.
19/10/2002 : Assessore Baudena espone il progetto del Planetario da inserire nel Museo.
2003: Sindaco Sappa espone i progetti per il 2003 (Museo Navale e Depuratore).
19/11/2004: Sindaco Sappa espone progetto per Palasport e Museo Navale.
28/5/2005: Ass re.Gaggero presenta la pratica “Museo” alla Conferenza dei Servizi.
19/8/2005: Sindaco Sappa dichiara “appalti e lavori di ristrutturazione palazzine entro l'anno”!
20/5/2008: pagato il restauro di “Luna Rossa” (Sovrintendenza) da conservare nel Museo Navale
luglio 2008: termine 1° lotto lavori.
settembre 2008: prime visite ai locali del futuro Museo durante le Vele d' Epoca (Mostra antiquariato). I giornali parlano arbitrariamente di inaugurazione del Museo Navale!
30/9/2009: piove dentro la nuova sede con tetto nuovo!
17/3/2010: Ass.re Gaggero e P. Strescino: “apertura ancora lontana”.
10/5/2010: Ass.re Baudena: “a settembre taglio del nastro”!
1/8/2010: Flavio Serafini: “Nuova sede già vecchia!”
3/9/2010: Protesta delle Associazioni culturali Imperiesi per i ritardi.
25/11/2010: Strescino: comunica: “un milione di euro per il Planetario”.
giugno 2012: scafo di “Luna Rossa” in completo abbandono sullo spiazzo esterno.
26/4/2012: Strescino: “Il Museo aprirà entro il 2013”.
26/4/2013: prestito cimeli del “Rex” alla Mostra di Genova.
23/11/2013: appalto vetrine di tutta l'area a cura della Sovrintendenza. Inadeguate e fuori misura. quelle dell'area di ponente. Contestazione sul loro collaudo.
13/4/2014: Com.te Serafini: “Luna Rossa”, uno scandalo per tutta la Città. Lo scafo viene ritirato da Prada a seguito della promessa inevasa del Sindaco.
18/4/2014: Ass.re Sara Serafini: ripresa dei lavori 2° lotto.
8/7/2015: Sindaco Strescino: “il Museo del futuro, apertura prevista nel 2016”.
24/4/2016: Ass.re Podestà: “Il Planetario dovrebbe essere completato entro l'anno”.
12/8/2016: inizio trasloco reperti “fai da te” con i mezzi privati della Associazione A.M.
16/9/2016: Serafini: richiesta al Sindaco Capacci per il rifacimento completo del tetto nuovo. Piove nelle sale!
3/1/2017: scadono i termini per l'appalto del Planetario.
31/1/2017: apertura ufficiale ed inaugurazione dell'area di levante. Grazie al lavoro ed ai traslochi dell'Associazione A.M. evitata all'ultimo giorno la restituzione dei fondi assegnati.
23/4/2019: Ass.re Roggero presenta il nuovo progetto della rete museale.
settembre 2019: Ass.re Roggero comunica inizio lavori area di ponente.
ottobre 2020: Ass.re Roggero comunica l'inizio dei lavori area di ponente per 600.000 euro.
15/12/2020: Ass.re Roggero comunica l'imminente inizio dei lavori (nuovo progetto). I 600.000 euro sicuramente non basteranno per l'allestimento della Sezione “Cantieristica”, “Atelier Modellista”, “Padiglione Imbarcazioni storiche” e “Sala Mostre” ,”Sala riunioni “ per il completamento del Museo al piano terra dell' area di ponente. Alla luce dei fatti il “fundraising” non è stato sufficiente, ma va ulteriormente integrato.
febbraio 2021: inizio trasferimento di reperti dal locale interno (Deposito) all'area (storica) di ponente senza il coinvolgimento della Associazione A.M. e loro collocazione disordinata senza un criterio storico scientifico, oltre all'esposizione alla polvere di diversi modellini navali.già protetti da teche.
marzo/aprile 2021: smantellamento reperti (quadrerie e modelli) e mezzi espositivi dell'area di levante ( già operativa da fine gennaio 2017 e che tanti consensi ed ammirazione avevano sollevato dal pubblico) perchè “non in linea” con i mezzi espositivi originali, nonostante il benestare ( febbraio 2017) dei Dirigenti della Regione Liguria. Completa rimozione delle quadrerie in tutti i settori, già selezionate e disposte nel proprio contesto storico, prerogativa che può essere esercitata solo dal Comitato storico/scientifico dell'Associazione.
maggio 2021: arbitrario smantellamento Sala Idrografie/Strumenti meteo/topografici” con rilevazione di alcuni danneggiamenti alla preziosa strumentazione. Si ricordano in proposito gli art. 5 e 20 del Codice dei Beni Culturali di pubblica fruizione ( Decr. Legisl. n.° 42 del 22/1/2004) .
Con dette operazioni di smantellamento viene vanificato il lavoro di due anni ( 2015 e 2016) da parte della Associazione A.M.
giugno 2021: nessuna chiamata per continuare gli allestimenti nell'area storica! Procedono da soli?
L'Associazione A.M. è anche interessata, seppur marginalmente non essendo suo compito specifico, alla sistemazione di bookshop, caffetteria e hall di ingresso, servizi che ritiene fondamentali per una corretta gestione economico/ finanziaria del Museo. Si auspica che almeno in questo settore non vadano disperse risorse preziose.
Luglio 2021: nessuna chiamata. Agosto è passato! Direttore dei lavori, Comune, Soprintendenza si sono sempre negati al telefono!
Dicembre 2021: Museo ancora chiuso da quasi un anno! Non dovevano finire i lavori a giugno?
Praticamente allo stato attuale ed alla data odierna il Museo Navale non esiste più!
Si profila un ennesimo slittamento dell'inaugurazione finale del Museo!!! Sarebbe la quarta e non l'ultima!
20 giugno 2022 : Riapertura Museo Navale ed inaugurazione del Planetario! I locali destinati a bookshop e caffetteria sono ancora vuoti.
Dicembre 2022: Alcuni attendono ancora il trasloco dalla vecchia sede.
Gennaio 2023: il museo resta abortito e mutilato senza le più importanti sezioni legate alla storia della città: Cantieristica, Pesca, Portualistica
31 gennaio 2023: il Consiglio Comunale approva il progetto di gestione della cultura affidato a soggetti privati (partenariato)
A cura di:
Associazione Amici del Museo Navale – Associazione ex Docenti ed Allievi del Nautico IM – Collegio Capitani L.C. e D.M di Imperia – Unione Medaglie Oro L.N. - Radioamatori Imperia.
Hanno espresso la loro solidarietà:
Compartecipi e collaboratori in tutti questi anni con l'“Associazione Amici del Museo Navale” che ha creato una grande struttura culturale che onora Imperia, la Liguria e non solo, esprimiamo la nostra più viva preoccupazione sulla attuale situazione degli allestimenti ed auspichiamo che i creatori del Museo possano continuare ad operare proficuamente come per il passato.
In particolare esprimiamo la nostra solidarietà, fiducia ed incondizionato apprezzamento nell'operato della Associazione A.M. che si è sempre distinta per operosità, professionalità e competenza riconosciute anche a livello internazionale.
Condividiamo le preoccupazioni del Com.te Serafini che sono anche le nostre!
Associazione ex Docenti ed Allievi del Nautico IM – Unione Medaglie d'Oro di L.N. - Vele Storiche Viareggio – Comitato San Maurizio - Il Museo Navigante – Club Artiglio – Cantiere della Memoria SP– APSD Stella Maris IM – “Cumpagnia de l'Urivu” IM - Associazione Amici del Santuario di Montegrazie IM – Lega Navale IM – Confraternita S.S. Trinità - Zacboats - A.D.P. S. Borgo Foce IM – Federazione Italiana Barche Storiche ( FIBAS) – C.V. Ventimiglia - Collegio Naz. Cap. L.C. e D.M. Sez. IM – Fondazione Artiglio Europa – Ass. Amici del Museo della Marineria VR– Il Mare di Carta – Ipersub IM – Euro Sub DM - HDS Italia – Museo Nazionale delle Attività Subacquee RA – Yacht Club SR – “Famiia Sanremasca” SR - Ass.Docenti di Geografia Sez. IM – Museo Marinaro Tommasino Andreatta CH – Corpo Piloti LI – Lega Maestri d'Ascia e Calafati VR – Fondazione Luigi Ferraro GE – Comitato Nazionale C. Colombo GE - Decio Lucano News – ex Soci Osservatorio Astron.co IM – Collegio Nazionale Cap.L.C. e D.M. GE – Gruppo ANMI DM – Nucleo storico Fondatori Museo Navale – Radio Amatori IM – Impresa Portuale Lodovico Maresca IM – Museo del Mare Tortona – Nastro Azzurrro GE – Guardia Costiera Ausiliaria GE – Società Marittima di M. S. IM – Imperia Yacht Service – Marittima Service Group IM – Marina Uno IM – Stella Maris LI – Circolo Filatelico IM – Museo Marinaro GBono Ferrari CA – Accademia di Marina PI – Istituzione Cavalieri di S. Stefano PISA- ANMI GE- Communitas Diani - Associazione Mare Nostrum Rapallo.
La tempesta imperfetta investe il Museo Navale
Chi vuol prendere visione di uno scenario devastante può affacciarsi, sempre che ne ha facoltà, all'interno di quello che per anni è stato un Museo Navale, il primo a sorgere in città (1980) a differenza di altri che musei non sono, ma solo mostre permanenti. L'area moderna, inaugurata in pompa magna ed ufficiale il 31 gennaio 2017, di fatto non c'è più, smantellata con una operazione arbitraria e strisciante che non ha avuto testimoni oculari esterni. Che cosa è successo? Negli ultimi mesi si è ritenuto opportuno modificare, o meglio stravolgere e snaturare, senza neanche coinvolgere o chiedere un parere alla “Associazione Amici del M.N.”, il percorso museologico; praticamente mezzi espositivi e reperti, quadrerie e modelli sono stati ammassati nel Deposito da personale, manodopera generica eufemisticamente definibile non qualificata. I risultati non sono mancati: danneggiamenti di modelli navali, lesioni di vetri nelle quadrerie, ecc. Forse una maggiore accortezza decisionale (nostro avrebbe dovuto essere l'incarico della movimentazione dei reperti dal Deposito) avrebbe evitato uno scempio che lascia esterefatti e sgomenti. Per non parlare del vedere vanificato un lavoro paziente e faticoso durato due anni del Comitato scientifico interno della “Associazione A.M” delegato ad occuparsi delle varie Sezioni nelle quali è articolato il Museo. L'operazione inqualificabile è stata portata a termine solo dopo che l'Associazione è stata privata con scusanti sibilline delle chiavi di accesso al Museo. Pare che il motivo scatenante di tale improvvida iniziativa sia stata la constatazione che alcuni dei nostri mezzi espositivi (moderni e costosi dei quali dobbiamo giustificare il futuro utilizzo) non sono “in linea” con quelli originali in dotazione a nostro giudizio insufficienti per numero alla conservazione. Eravamo aperti alla discussione con proposte migliorative ed anche disponibili a snellire le esposizioni per le quali si era operato in fretta per non far perdere i fondi assegnati, salvati solo per un giorno grazie al nostro lavoro! Ci eravamo regolati anche in base all'esperienza acquisita alla Bocconi ed alla Università di Pisa e proceduto in collaborazione con l'Università e CNR di Genova. Non crediamo a eventuali suggerimenti di cattedratici, accademici o luminari che in questo specifico settore non esistono anche se presi in prestito o a pagamento. E' sufficiente ricordare come l'Amministrazione abbia coinvolto la Promo Spa di Lucca (38.000 euro) o lo Studio Filippini di Genova (24.000 euro) per venirci a raccontare come deve nascere un Museo! In questo scenario desolante rileviamo lo spostamento di alcune vetrine in siti non appropriati e l'eliminazione di tutte le quadrerie dalle pareti (peraltro già accortamente suddivise nei rispettivi settori tematici) dimenticando che le stesse costituiscono l'architrave e la ricchezza delle strutture mueseali, parlano al pubblico ed offrono suggestioni e messaggi. Con l'occasione si ricorda l'ispezione /controllo di due dirigenti della Regione Liguria che hanno avallato gli allestimenti e si sono complimentati (presente l'ing. Enrico), oltre ai commenti lusinghieri a fine visita riportati nel Libro Visitatori da centinaia di persone. In questo contesto colpisce l'assoluta mancanza di trasparenza, l'arbitrio consumato nei riguardi dell'Associazione A.M. che, ricordiamo, fino a quando non sarà ufficializzato un regolare passaggio notarile di proprietà, rimane legalmente responsabile delle collezioni. Appare evidente il tentativo di esautorare l'Associazione senza la collaborazione e presenza continua della quale il Museo non potrà andare da nessuna parte. Quanti hanno creato ed operato in quarant'anni nel Museo sono stati messi alla porta! Inevitabile il contenzioso che coinvolgerà diverse generazioni di Imperiesi e non solo, ma soprattutto le migliaia di donatori anche stranieri che saranno doverosamente presto informati sulla situazione. Anche problemi per gli allestimenti in atto, per la verità fermi da oltre sei mesi, nella zona di ponente (area storica): i reperti sono stati trasferiti con la stessa procedura e spesso fuori contesto ; solo in una occasione in presenza ci è stato concesso di illustrare la natura specifica del reperto ed indicarne la collocazione nella sala e nella vetrina interessata, mentre sarebbe stato più opportuno e logico trasferire con metodo e razionalità i reperti dai depositi e non con una precipitazione ingiustificata. Stravolta inoltre, la collocazione dei reperti nelle Sale Idrografia/Strumentazione/Topografica” e “Viaggi ed Esplorazioni Scientifiche” proprio per la mancanza assoluta di cognizioni storiche e tecniche. Anche in questo settore appaiono rilevanti i danneggiamenti alla preziosa ed unica strumentazione. Ricordiamo che si tratta sempre di reperti soggetti a vincolo e inventariati dalla Soprintendenza. Mentre gli annosi problemi del Museo appaiono tuttora irrisolti (condizionamento, apparecchiature multimediali, illuminotecnica, telecamere esterne ed a circuito chiuso, pc, pavimentazione impresentabile, fabbrica industriale di polvere ( vedere l'esempio del nuovo mercato a Porto Maurizio), si è pensato anche di sindacare sull'importanza della biblioteca, sicuramente tra le più importanti a livello nazionale che non solo è indispensabile agli operatori museali, ma anche a ricercatori, storici, laureandi, ecc.
Mancano sempre gli allestimenti essenziali di due sale (“Portualistica“ e “Pesca”) nell'area disponibile degli ex uffici Salso: una significativa serie di reperti che resta tuttora in Deposito. Con queste premesse si finirà per creare un museo abortito o mutilato. Il mondo, i media devono valutare quanto il mancato rapportarsi all'esperienza ed alla competenza del gruppo di esperti che ha ideato e creato l'Istituzione, possa danneggiare l'immagine della Città e come siano da evitare le decisioni di singoli a scapito di quelle collegiali e condivise su un patrimonio culturale che appartiene a tutta la collettività, alla sua storia e tradizioni.
ENTRIAMO NEL MUSEO
Il museo, nato nel 1980 per iniziativa del comandante Flavio Serafini, si articolava in 14 sezioni che custodiscono un prezioso patrimonio di testimonianze delle tradizioni marinare liguri e nazionali dal XVIII al XX secolo. Vi si trovano una ricca collezione di strumenti di bordo, materiali e attrezzi relativi alla tradizione cantieristica in legno e ai suoi uomini, dipinti marinari, ex-voto, uniformi. Notevole è l'aspetto modellistico, mercantile e militare, arricchito da diorami e dai modelli di Léon Perret, artista e modellista, vissuto tra XIX e XX secolo, al quale è dedicata una sala. Particolare risalto viene dato a materiali e cimeli riguardanti la navigazione velica oceanica e all'impresa più bramata dai navigatori: il doppiaggio di Capo Horn.
Tra gli strumenti esposti, sono da segnalare alcuni cimeli legati alla letteratura e al viaggio quali la bussola del veliero Narcissus su cui fu imbarcato Joseph Conrad, che ad esso dedicò il romanzo "The nigger of the Narcissus", il sestante tascabile di Giacomo Bove, oggetti personali, indumenti polari, diari, documenti di bordo, della "Tenda Rossa" dove trovarono rifugio i membri della sfortunata spedizione polare del Dirigibile "Italia". Una sezione è dedicata ai mezzi e agli strumenti della ricerca archeologica sottomarina e alla palombaristica.
La visita è arricchita da un allestimento multimediale e da un percorso di postazioni didattiche, che garantiscono un'esperienza in prima persona, con simulazioni di navigazione e quattro percorsi tematici: Il lavoro sul mare, Il viaggio per mare, La guerra sul mare, Il mare come evasione.
Il Museo Navale di Imperia svela i segreti della “Città dei Marinai”
Noto anche come la "Città dei Marinai", il museo presenta un'esposizione modernissima che occupa uno spazio di circa 9.000 metri quadri.
Il 30 gennaio 2017 a Borgo Marina di Imperia, in via Scarincio 9, presso gli ex magazzini generali di Calata Anselmi, è stata inaugurata la nuova sede del nuovo Museo Navale, noto anche come “La Città dei Marinai”. L’esposizione modernissima, che va a sostituire i vetusti locali destinati al museo navale, occupa 9.000 metri quadri di spazio in quello che attualmente è un “work in progress”, un museo in divenire del quale si possono intuire pregi odierni e potenzialità future.
Imbarcazioni d’epoca reali o rappresentate in accurati modelli, attrezzature navali, divise, ricostruzioni di ambienti marinari, fotografie e quadri si susseguono nelle sale nuovissime, nelle quali sono presenti anche delle installazioni multimediali interattive che permettono di simulare una navigazione al timone o una battaglia navale al periscopio di un sottomarino.
Una particolare visione è data al passato marinaro di Imperia, in una narrazione del legame complesso fra l’uomo e il mare e delle imprese eroiche vissute. Quattro i percorsi tematici: il lavoro, il viaggio, la guerra sul mare e il mare come evasione.
La visita inizia con la sala dedicata ai dolia, gli imponenti recipienti per il vino utilizzati tra il I° secolo a.C. e il II° secolo d.C., che danno mostra di sé in un ambiente a loro dedicato che rimembra il fondo marino e la scoperta, avvenuta nel 1975 nelle acque prospicienti Diano Marina, ad opera dell’archeologo Nino Lamboglia, fondatore dell’archeologia subacquea.
Al primo piano, veramente affascinanti sono le sezioni dedicate ai palombari e al loro difficile e pericoloso lavoro e a Luigi Ferraro, medaglia d’oro al valor militare e pioniere della subacquea ricreativa italiana, con i primi corsi di immersione e la creazione della Technisub. C’è poi la plancia della motonave Sestriere con la storia dei migranti, la plancia della motonave Doria, la palestra della vela, la sala dedicata al Santuario dei Cetacei e la macchina del vento.
Particolarmente importante per gli appassionati storici è la parte dedicata alla subacquea militare e al famoso sommergibile Scirè, del quale è qui conservato il portello di poppa. Si tratta del mezzo subacqueo italiano più famoso, il terrore della marina inglese nel Mediterraneo durante la Seconda guerra mondiale.
Era il sommergibile d’appoggio degli incursori della Regia Marina, che compirono l’impresa di Alessandria violando il porto egiziano e danneggiando le corazzate britanniche Valiant e Queen Elizabeth, oltre ad una nave cisterna e ad un cacciatorpediniere. Individuato grazie alla decrittazione di Enigma, gli venne preparata un’imboscata davanti al porto, allora britannico, di Haifa, nella quale non sopravvisse alcun marinaio italiano.
All’interno del museo si trova anche un auditorium dotato di maxischermo che ospita eventi di carattere culturale ed è in seguito diventato Teatro del Mare, con un cartellone ricco di serate ed artisti differenti. Il museo navale di Imperia è aperto il martedì mattina dalle 9.30 alle 11.30 e il giovedì e sabato pomeriggio dalle 15.30 alle 19.30.
"Durante la piena stagione estiva, nei mesi di luglio ed agosto, oltre al martedì mattina il museo rimane aperto il giovedì, venerdì e sabato sera dalle 18.30 alle 22.30. Biglietti di ingresso interi 7€, ridotti 3,50€, scuole 3€ con un ingresso gratuito ogni 15 persone. Per informazioni museonavale@comune.imperia.it, tel. 0183 651363".
Paolo Ponga
FOTOGALLERY
IL LATO NORD DEL MUSEO
Un angolo della Battaglia dell'Atlantico con il ricordo dell'unica nave italiana “SESTRIERE” presente in tre convogli.
TIMONERIA E SALA RADIO DELLA M/N SESTRIERE
SEZIONE PALOMBARISTICA
NAVE RECUPERI ARTIGLIO
SORIMA
UN ANGOLO DEDICATO ALLE MEDAGLIE D’ORO DI LUNGA NAVIGAZIONE
LA SEZIONE PALOMBARI
CAMERA DI DECOMPRESSIONE MONO USO
POMPA DI PALOMBARO E GUIDE AL LAVORO
CAMERA DI DECOMPRESSIONE PROFESSIONALE
DUE SCHERMI CON FILM ORIGINALI CHE RICORDANO IL LAVORO DELL’ARTIGLIO
PORTELLO DFI POPPA DEL SOMMERGIBILE SCIRE’ AFFONDATO NELLE ACQUE DI HAIFA
INIZIO DELL’AREA STORICA
LA GALLERIA D’INGRESSO COME SI PRESENTAVA ALL’INIZIO DEGLI ALLESTIMENTI
L’ANGOLO DEI SOMMERGIBILISTI
LA SEZIONE UNIFORMOLOGICA - I PILOTI DELLA MARINA
UNO SCORCIO DELLE VARIE UNIFORMI
SEZIONE MARINA MILITARE
GIACCA BIANCA ORDINARIA ESTIVA DELL’AMMIRAGLIO ANTONIO LEGNANI E MEDAGLIERE
GLI OPERATORI GAMMA DELLA X-MAS CON LE ATTREZZATURE DELLA MEDAGLIA D'ORO LUIGI FERRARO
REPERTI DELLA NAVE PASSEGGERI STOCKHOLM
TELESCRIVENTE E BUSSOLA NORMALE DI CONTROPLANCIA DELLA STOCKHOLM
MODELLO DELLA M/n GIULIO CESARE
SEZIONE TRANSATLANTICI
STOVIGLIERIE DI BORDO
SIMULATORI DI MANOVRA
TELEGRAFO DI MACCHINA
(TIMONERIA M/N SESTRIERE)
SIMULATORE DIDATTICO DI NAVIGAZIONE A VELA
UNO SCORCIO DELL’AREA STORICA LATO PONENTE
SEZIONE CAPO HORN
UN ALBATROS DELLE BASSE LATITUDINI
Sezione "Yachting"
"una parte della raccolta di guidoni di Yacht Club di tutto il mondo"
VARII ASPETTI DELLA SALA DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
(SALA NINO LAMBOGLIA)
SEZIONE EX VOTO MARINARI
SEZIONE EX VOTO MARINARI
SEZIONE NAVI A PROPULSIONE A PALE
1 - Endeavour 1768 - Realizzata nel 2004 - dimensioni 76 x 31 x 53h;
2 - Savannah - 1819 - dimensioni 98 x 46 x 78h;
3 - Hope - 1864 - Realizzata nel 1995 - dimensioni 110 x 35 x 52h
4 - Stabia -1861 - Realizzata nel 2002 - dimensioni 70 x 27 x 46h;
5 - Gulnara - 1832 - Realizzata nel 1977 - dimensioni 116 x 38 x 70;
6 - Guiscardo - 1842 - Realizzata nel 2001 - dimensioni 83 x 29 x 5h
7 - Cotre - 1815 - Realizzata nel 1974 - dimensioni 106 x 56 x 90h;
8 - Sphinx - 1845 - Realizzata nel 1975 - dimensioni 75 x 25 x 47h;
9 - Mississipi - 1841 - Realizzata nel 1988 - dimensioni 120 x 41 x 74h;
10 - L'Orenoque - 1848 - Realizzata nel 1979 - dimensioni 106 x 31 x 57h;
Ad Imperia l’inizio dell’estate 2022 coincide con la riapertura al pubblico del Museo Navale, completamente rinnovato all’esterno e riorganizzato all’interno e con l’inaugurazione del Planetario.
VARIE TEMATICHE ILLUSTRATE DURANTE ALCUNE VISITE AL PLANETARIO
Per quanto riguarda il Museo Navale gli interventi effettuati hanno permesso l’apertura dell’ala di Ponente, la revisione e la riqualificazione del tetto e della facciata, il completamento funzionale del percorso museale, la realizzazione del nuovo ingresso lato Banchina e la predisposizione del nuovo locale caffetteria-bookshop. Completa l’offerta turistico-museale della struttura il Planetario di Imperia ospitato nella cupola, terzo in Italia per dimensioni e il più tecnologicamente avanzato. Con la sua cupola full dome, 62 posti a sedere, permetterà di viaggiare tra le stelle e conoscere meglio lo spazio con spettacoli in 2D e 3D.
https://www.riviera24.it/2022/06/inaugurato-il-planetario-di-imperia-il-piu-tecnologico-ditalia-766656/
INAUGURAZIONE DEL PLANETARIO DI IMPERIA
PADRINO IL PRIMO ASTRONAUTA ITALIANO
FRANCO MALERBA
L’ATTUALE ORARIO DI APERTURA DEL MUSEO NAVALE E QUELLO DEL PLANETARIO (SU PRENOTAZIONE) E’ IL SEGUENTE:
SABATO E DOMENICA DALLE 17.30 ALLE 21.30
I LIBRI DI FLAVIO SERAFINI
La lista non è completa
Il Comandante Flavio Serafini presenta il suo ultimo libro
'Il mio Nautico'
Mi complimento con il mio caro amico Comandante Flavio Serafini per l'IMMENSO lavoro svolto in questi anni con indiscusse capacità manageriali, profondissima passione storica e ammirabile cultura marinara. Lo RINGRAZIO per il materiale che gentilmente ha voluto inviarmi e che qui ho riportato, purtroppo, in modo incompleto e superficiale. Spero in tal modo di stimolare la curiosità di tanti appassionati del MONDO MARINARO affinchè mettano in agenda LA VISITA GUIDATA in questo MUSEO in cui si respira anche una fresca aria di modernità.
MUSEO NAVALE E PLANETARIO DI IMPERIA
Curriculum vitae del Comandante Flavio SERAFINI
Flavio SERAFINI, nato a Rodi (ex Colonia Italiana dell’Egeo) il 4 Novembre 1940
Residente in Corso Roosevelt n° 33 – 18100 Imperia ; tel: 0183/64550 –
cell. + 3356399861
E mail : flavioserafini2017@gmail.com
Diplomato Capitano di Lungo Corso nel 1961 presso l’Istituto Nautico di Imperia. Imbarchi nei periodi estivi su petroliere, navi da carico.
Corsi Accademia Navale Livorno 1961/62/64.
Medaglia di Lunga Navigazione (Argento) per imbarchi su navi mercantili e militari, idrografiche e da pesca, nei vari gradi ed incarichi sino a quello di Comandante.
Capitano di Fregata in Spe della Marina Militare dopo incarichi su vari tipi di navi (motosiluranti, motocannoniere, corvette, ct lanciamissili, fregate, navi logistiche e sedi di Comandi Divisione, navi idrografiche, ecc
Ultimo encomio, a bordo della Nave “Cavezzale” in occasione della ricerca e recupero dell’ “Ercules” inglese inabissatosi nei pressi della Meloria) .
Navigazione a vela in campagna oceanica sulla Nave Scuola A. Vespucci.
Abilitato in Telecomunicazioni, Idrografia e Oceanografia: Capo Reparto, per quattro anni, dopo l’ultimo imbarco sulla Nave Idrografica “Ammiraglio Magnaghi”, della Divisione “Documenti Nautici” presso l’Istituto Idrografico della Marina (GE), con alle dipendenze tecnici, impiegati ed operai civili qualificati, oltre al personale militare.
Iscritto all’A.N.M.I. di Diano Marina e socio aderente del Nastro Azzurro di Imperia
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Fondatore e Membro della Sezione Imperiese del Collegio Nazionale Capitani di Lungo Corso e Direttori di Macchina.
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Fondatore e Presidente della “Associazione Amici del Museo Navale” di Imperia.
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Fondatore della Associazione “Amici del Santuario “Marinaro” di Montegrazie”.
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Fondatore della Associazione “Ex Allievi e Docenti del Nautico di Imperia.
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Ideatore e Cofondatore della ”Cumpagnia de l'Urivu.”
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Segretario dal 1986 dell’Unione Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione della Sezione di Imperia.
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Membro della Commissione di esami per il conseguimento della Patente e Patentino di Capitani di L.C. presso la Direzione Marittima di Genova e del Patentino “radar” presso l’Istituto Guglielmo Marconi di Genova sino al 1983.
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Articolista su varie Riviste di Storia Marittima.
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Docente di “Teoria della nave” all’Istituto Nautico di Imperia, a.s. 1983/84
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Storico della vela e della navigazione, ha scritto volumi che hanno riscosso successo anche all’estero ed alcuni tradotti in varie lingue:
“LA CITTA’ DEI MARINAI” - “ VELE NELLA LEGGENDA” - “PONTE DI COMANDO” -
“IN VELA SULL’OCEANO” - “NAUFRAGIO NEL PACIFICO” - “A BAND OF BROTHERS” – “ VELE D’EPOCA A IMPERIA” - “IL CIRCOLO CAPITANI MARITTIMI ONEGLIESI” - “MUSEI NAVALI NEL MONDO” - “TITANIC, PERCHE’ ?” - “UN SECOLO DI YACHTING” - “VELE D’EPOCA NEL MONDO” - “VELE ALLO SPECCHIO” – “UOMINI E BASTIMENTI ITALIANI DI CAPO HORN” - “MUSEI NAVALI E COLLEZIONI MARITTIME NEL MONDO” - ”VINTAGE SAILING YACHTS” – “LA FLOTTA SCOMPARSA” - “LE FORMICHE DEL MARE” - “ IL MIO NAUTICO”- “ EUGENIO GHERSI UN MEDICO DI MARINA SULLE VIE DEL MONDO”.
Con i primi tre volumi l’autore ha ricostruito la Storia inedita della Marineria Imperiese degli ultimi secoli, creando le premesse per una maggiore conoscenza e visibilità della Città di Imperia nel mondo.
Con alcuni degli ultimi volumi, oggi tradotti in sette lingue, oltre ad aver contribuito alla conoscenza, alla salvaguardia ed alla diffusione della cultura delle “Vele d’Epoca”, ha ulteriormente affermato la sua Città come sede della Manifestazione.
La produzione libraria del Comandante è presente nella Congress Library di Washington, nelle Biblioteche di New York (Brooklyn) e di Londra (Greenwich).
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Collaboratore esterno dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere di Genova che ha stampato nei suoi Annali il suo saggio “SUGLI ASPETTI STORICI E TECNICI DELLA NAVIGAZIONE VELICA A CAPO HORN”, oltre alla relazione sulla vita dell’Ammiraglio di Squadra Alfredo Viglieri.
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Fondatore e socio di diversi Sodalizi culturali, è stato ispiratore e fondatore della “Cumpagnia dell’Urivu” , delle Associazioni: “Amici del Museo Navale”, “Associazione Ex Allievi del Nautico” di Imperia (di cui da sempre è Segretario). Socio dell’A.I.D.M.E.N. ( Associazione Italiana di Documentazione Marittima e Navale).
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Segretario Nazionale per molti anni dell’ “AMICALE INTERNATIONALE DES CAPITANES AU LONG COURS CAP HORNIERS”, rappresentando l’Italia nei vari congressi internazionali.
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Fondatore (nel 1980) con altri 8 volontari e Direttore del MUSEO NAVALE INTERNAZIONALE del Ponente Ligure (il primo a nascere in Città), il più visitato Museo del Ponente Ligure, contribuendo a salvare un vasto patrimonio di cimeli e memorie che unitamente ai suoi volumi ha contribuito a presentare Imperia in Italia e nel mondo. Inoltre la sua iniziativa ha dato la stura alla nascita di nuovi Musei e collezioni navali e marittime in Italia, come Ravenna, Gaeta, Carmagnola, Augusta, Tortona, Loano, Savona ed ha fondato il Museo della Marineria di Viareggio, di cui ha seguito realizzazione e l’allestimento a titolo completamente gratuito.
Il Com.te Serafini, con pochissimi mezzi ed aiuti esterni, ma tanta dedizione, amore e competenza, e soprattutto tenacia e determinazione, è riuscito a mantenere alti gli standard qualitativi tipici di un moderno museo pur sistemato inizialmente in una sede precaria bisognevole di continui interventi e controlli.
. Fa parte del Comitato Scientifico del “Premio Artiglio” e della Fondazione “Artiglio Europa” di Viareggio.
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Ideatore e realizzatore del Monumento Mondiale al Navigante di Capo Horn ad Imperia, durante il Congresso Mondiale dei Cape Horners da lui organizzato (maggio 1983), che oggi rappresenta un sito di interesse internazionale. Detto Congresso è stato il primo evento culturale di grande respiro a coinvolgere tutta la Città. Nella stessa occasione ha inaugurato la stele a ricordo delle Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione, Sodalizio di cui tuttora è Segretario.
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Ha organizzato convegni e manifestazioni con l’Associazione Marinai d’Italia, come i Raduni degli ex equipaggi della R.N. Colleoni, del R.S. Barbarigo, del P.fo Artiglio e dei Mezzi d’Assalto della Marina della X Flottiglia Mas , e la sistemazione di epigrafi marmoree: una nella sede dell’Istituto Nautico di Imperia, a ricordo del Capitano di Vascello (M.O.V.M.) Umberto Novaro, Comandante dell’incrociatore Colleoni, ed una nella Piazza di Cesio, a ricordo del sommergibilista STV Ernesto De Guglielmi, caduto in Atlantico. Fondamentale è stato il suo apporto alla sistemazione di una lapide a ricordo dei Capitani Imperiesi Rossi e Gastaldi, Piloti della Spedizione dei Mille, curata dalla Associazione Ex Allievi e Docenti del Nautico di Imperia.
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Ha contribuito allo sviluppo del “Raduno biennale delle Vele d’Epoca ” ad Imperia. Nell’ambito della stessa manifestazione ha realizzato diverse mostre tematiche ed ha partecipato a varie regate a bordo di scafi d’epoca.
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Nessun cittadino si è mai prodigato tanto per la sua Città, sacrificando salute, tempo, interessi famigliari e personali, oltrechè finanziari.
Esperto di Musei, moltissimi dei quali visitati all’estero, in special modo quelli marittimi e navali, ha perfezionato la sua conoscenza e competenza con i seguenti Corsi frequentati:
1989 : “Microclima ed ambiente museale” (Milano)
1993 : “Management dei sistemi museali”( Università Bocconi di Milano);
1994 : “Esporre / comunicare” (Regione Piemonte);
1997 : “Comunicazioni multimediali dei Musei ” (Gradara )
1997 : “European Forum sui Musei” ( Università di Pisa-Cortona)
1998 : “Multimedialità museale” ( Università Roma Tre)
1999 : “Miniature” (Genova)”
1999 : “Un laboratorio per la didattica museale” (Roma)
2000 : “Missione Museo” (Genova)
2001 : “Management dei Musei” (Normale di Pisa)
2001 : “Museum Image” ( Arezzo)
2002 : “Il mestiere del Conservatore” (Accademia dei Fisiocratici – Siena)
2005 : “Sistemi museali “(Lucca)
Ha partecipato a decine di convegni sulla cultura navale e marittima, l’ultimo dei quali, in ordine di tempo, presso la Scuola Politecnica dell’Università di Genova ( 19/20 giugno 2014).
Nel campo della cultura marinara ha organizzato varie mostre tematiche (ex voto marinari, modellismo, “Titanic, perché?”, “carrette”,“ palombaristica”, “ cantieristica navale”, “ le navi ospedale”, sulle “polene” e sugli “uomini e bastimenti di Capo Horn” ecc.) e tenuto decine di conferenze sui temi storici, marittimi e navali in varie Città d’Italia ( e.g. 1992, Roma – Relatore al Convegno Europeo sui Musei del Mare).- Relatore al Convegno sui Musei Marittimi del Mediterraneo (Genova 2007).
Ha collaborato con il Museo Navale Internazionale di Imperia a diverse Mostre Nazionali (tra cui “Cristoforo Colombo, la Nave e il Mare” Genova 1992, Tenda e Milano) ed Internazionali e ha organizzato la famosa mostra “Memorie dall’Abisso” a Viareggio. E’ stato inoltre presente, come autore ospite, a diverse edizioni della Rassegna del Libro di Liguria a Peagna.
Sta ultimando alcuni volumi di fondamentale interesse storico, frutto di anni di ricerca e di lavoro:
“NAVI MUSEO NEL MONDO” - “LOANO SULL’OCEANO”(Nascita e morte di una grande Marineria) - “L’ULTIMA MARINA DI MUSSOLINI” - “SOS – S/S MAFALDA” - “GLI STRUMENTI DI MARINA” - “GUIDA AL MUSEO NAVALE INTERNAZIONALE DI IMPERIA” (con la dott.ssa Sara Serafini) – “EX VOTO MARINARI SULLE COSTE D’ITALIA”-
“ SESTRIERE, STORIA DI UNA NAVE FAMOSA.”
E, di interesse locale, sono in preparazione: “ STORIA DEI CANTIERI NAVALI TERRIZZANO” – “BARTOLOMEO BOSSI, IL NAVIGATORE DEI MARI DEL SUD”.
Ha sempre curato le “Public Relations”, la programmazione e l’organizzazione del lavoro, perseguendo tenacemente i propri obiettivi nel pieno rispetto delle capacità individuali dei collaboratori.
Appassionato bibliofilo (la sua biblioteca conta oltre 10.000 volumi), sposato con la Prof.ssa Liliana Lupi, ha una figlia, Sara, docente di Storia dell’arte, con laurea a Pisa e Dottorato di Ricerca presso l’Università di Genova.
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Dal 1980 è stato socio del Rotary Club di Imperia , dove ha ricoperto vari incarichi (Consigliere, Segretario). Presidente per l’anno rotariano 2003/2004. Assegnata la Paul Harris Fellow. nel 2004.
Associato nel 2004 all’Accademia di Marina dei Cavalieri di Santo Stefano di Pisa.
Ha ricevuto nel corso del 2004 l’incarico di Consulente per la realizzazione del Museo del Mare di Viareggio di cui è stato il fondatore e l’organizzatore. E’ stato ultimamente contattato per la nascita di un similare Museo nella Città di Varazze e per il Museo delle Tecnologie portuali di Livorno.
Insignito nel maggio 1985 della “Medaille pour le Mèrite Maritime” dalla Marina Mercantile Francese.
Fra i vari riconoscimenti si ricordano:
1972 : “Targa Città di Imperia”
1980 : Premio “Amico del Mare” della L.N.I. di Imperia
1990 : Premio “Parasio” per la Cultura
1997 : Benemerenza della Città di Pietra Ligure
1997 : 9° Premio del Mare “Città di Fiumicino”
2001 : Targa delle M.O.L.N. di Viareggio come interprete della Cultura
Marinara
2004 : Casinò di Sanremo: menzione speciale Premio “Libro del mare”
2005 : Premio “Città di Salò” per la saggistica
2005 : Premio Regione Liguria per la Cultura
2005 : Finalista al Concorso “Il libro del mare” Casinò di Sanremo
2006 : Premio “Gente di Mare 2005”- Sez.ne Cultura
2011 : Premio Giornalistico/letterario “Carlo Marincovich”al Circolo Ufficiali di Marina di Roma
2011 : Targa speciale de “La Nazione”2011 (24 settembre)
2011 : Premio “Gente di Mare “ di Viareggio per il volume “La Flotta scomparsa”
2014 : Premio “Una vita dedicata al mare” (Accademia di Marina, Pisa)
2022 : Premio “Fondazione Artiglio Europa”(Viareggio)
2022 : Targa del Comune di Viareggio
In sintesi:
Profondamente innamorato della sua professione e del “ mondo della nave”, ha speso tutta una vita (a bordo ed a terra) per la salvaguardia del patrimonio marittimo nazionale, sollecitando enti pubblici e privati alla conservazione ed alla valorizzazione di documenti e reperti navali e marittimi di ogni epoca.
Ritenuto uno dei più conosciuti studiosi di Marineria, la Rivista Marittima (dicembre 2001) in un articolo sul Museo Navale Internazionale di Imperia, l’Ammiraglio Francesco Pascazio così si esprimeva:
“… Non è merito da poco per Flavio Serafini, che ha reso ciò possibile con un’opera diuturna e appassionata, contribuendo, dopo una vita spesa in mare, anche con i suoi libri e la sua attività alla diffusione della cultura marinara nel nostro Paese.”
Autorizzo il trattamento dei dati personali ai sensi della legge 675/96.
Imperia, novembre 2022
A cura di Carlo GATTI
Rapallo, 14 Marzo 2023
BRUNO DI LORENZI - EROE RAPALLESE
BRUNO DI LORENZI
EROE RAPALLESE
Targa commemorativa posta all’ingresso del molo al centro della passeggiata a mare che ricorda
BRUNO DI LORENZI
Un grande Rapallino marinaio e palombaro (inserito in un nucleo speciale di nuotatori d’assalto
denominato GRUPPO GAMMA, che durante la seconda guerra mondiale si distinse al punto da
essere decorato con Medaglia d’argento al valore militare per le sue azioni di
sabotaggio ed affondamento di navi nemiche nel porto di Gibilterra.
“OPERATORI GAMMA TUTTI RIENTRATI – MISSIONE COMPIUTA”
STORIA > II GUERRA MONDIALE
La trasmissione cifrata giunge, attesissima, la mattina del 14 luglio 1941, al comando supremo della Xª Flottiglia MAS: la base navale inglese di Gibilterra era stata violata!
L’Operazione "GG1", questo il nome in codice dell'ardita missione, parte da lontano, dato che per eludere l'agguerrito spionaggio inglese e la possibile fuga di informazioni da parte di Supermarina, il comando della Xª MAS prepara la nuova ambiziosa missione in modo perfetto, depistando tutte le possibili fonti di delazione.
Si sta preparando, infatti, un nuovo e rivoluzionario metodo di attacco, addirittura differente da quelli già micidiali ed irridenti ai quali l’Italia ha fatto amaramente “abituare”, ob torto collo, i furenti comandi inglesi.
Una nuova unità della Flottiglia, denominata “Gruppo Gamma” e formata da atleti incredibili che univano allo spiccatissimo animo patriottico, un fisico e temperamento eccezionali, secondi unicamente al proprio insuperabile coraggio, era pronta ad assestare un nuovo - durissimo - colpo, al prestigio ed al morale della potente marina reale britannica.
Il 14 giugno 1941, tra i 60 sottufficiali e marinai inviati, come da routine, alla base sommergibili atlantica BETASOM di Bordeaux, si infiltrano una parte degli operatori Gamma, destinati all’Operazione GG1. Dopo alcuni giorni, il 23 giugno, questi senza farsi notare ed indossati abiti borghesi, si dileguano dalla base, raggiungendo dopo qualche giorno e con una perfetta operazione di infiltrazione segreta, durante la quale percorsero anche lunghissime tratte a piedi, in pieno territorio spagnolo, la meta di partenza dell’ardita ed ambiziosa missione.
La distanza dell’obiettivo della rada di Gibilterra dalla base segreta ricavata nelle stive di Nave Olterra, internata ed ormeggiata in territorio spagnolo, era notevole anche per le eccezionali capacità atletiche degli operatori Gamma, cosicché si decise di preparare un piano di attacco alternativo.
Un paio di mesi prima, una coppia di italiani – i coniugi Ramognino - che avevano lasciato intendere agli spagnoli di aver voglia di scampare alla guerra, aveva preso in affitto una casa sulla costa, proprio nei pressi di Gibilterra: Villa Carmela.
Le squadre di attacco del "Gruppo Gamma", i cui operatori provenivano da varie direzioni, alcuni dopo aver sostato a Cadice, altri a Madrid e dopo un breve passaggio dalle segrete stive dell’Olterra, giunsero finalmente in località La Linea. Qui, si nascosero proprio a Villa Carmela, ove nel frattempo i servizi logistici della Flottiglia avevano fatto giungere, in gran segreto, le semplici ma micidiali attrezzature d’attacco.
Beh! Raccontata così sembra già difficile, per non dire impossibile, figuriamoci compierla una missione così articolata! Siamo certi che lo scrittore britannico Fleming, per le avventurose storie inventate per il suo famoso "007", abbia attinto a piene mani dalle straordinarie operazioni sotto copertura dei micidiali uomini della Decima MAS. Con una sola differenza: quelle di James Bond erano frutto di pura fantasia; le altre, invece, sono Storia divenuta meravigliosa Leggenda.
Al calar delle tenebre della sera del 13 luglio, inizia tra mille incognite la delicata fase dell’attacco.
La nuova e rivoluzionaria squadra di assalto italiana, composta da ben 12 straordinari marinai appartenenti al Gruppo "GAMMA", nuova arma segreta della più micidiale unità di assalto subacquea di tutti i tempi - la Xª Flottiglia MAS - eludono, a nuoto, tutte le difese e le ostruzioni disseminate attorno alla super protetta e strategica base navale inglese.
Nuotando faticosamente tra le fortissime correnti provenienti dall'oceano, per interminabili ore, con durissime fasi di devastante apnea, armeggiano con somma perizia sotto le chiglie dei mercantili Alleati, carichi di preziosi rifornimenti. Evitando, magistralmente, le decine di sentinelle che pattugliano la rada e le numerosissime esplosioni procurate dalle micidiali bombe di profondità, portano infine a compimento una missione perfetta.
L’esito dell’Operazione GG1 è, infatti, semplicemente straordinario.
E' da poco sorta l'alba, nella desolante ed incendiata baia di Gibilterra. La "Decima" ha appena inferto agli inglesi un duro colpo, mostrandogli un nuovo ed incredibile metodo di attacco, danneggiando pesantemente i preziosi carichi imbarcati e costringendo all'incaglio addirittura 4 navi, per un totale di ben 9.465 tonnellate.
Dalle garitte in subbuglio ed in allarme del porto inglese, più di un ufficiale britannico osserva, sconsolato e con lo sguardo perso nel vuoto, la vastità di quel mare che cela le storie e l'identità di un pugno di eroi, verso i quali risulta proprio impossibile non nutrire, misto certamente ad astio e timore, una profonda e sconfinata ammirazione.
Quella notte, tutti i 12 meravigliosi "Uomini Gamma" che si infiltrarono nelle acque molto vigilate e pattugliate antistanti la base inglese, nuotando con assurda fatica dal confinante territorio spagnolo, riuscirono addirittura anche ad esfiltrare, a missione compiuta, senza subire perdita alcuna!
Per questa eccezionale azione, tutti i magnifici 12 Uomini Gamma furono decorati di Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Ecco, ad imperitura memoria di sommo coraggio e puro patriottismo, i loro nomi:
Agostino STRAULINO
Giorgio BAUCER
Alfredo SCHIAVONI
Alessandro BIANCHINI
Carlo DA VALLE
Giuseppe FEROLDI
Vago GIARI
Evidio BOSCOLO
Bruno DI LORENZO
Rodolfo LUGANO
Giovanni LUCCHETTI
Carlo BUCOVAZ
Per conoscere meglio l'eroe BRUNO DI LORENZI abbiamo scelto un altro GRANDE "rapallino" EMILIO CARTA il quale, nella PRIMA PUBBLICAZIONE (2002) di Mare Nostrum Rapallo, scelse Bruno De Lorenzi come EMBLEMA del coraggio e delle capacità natatorie della gente del TIGULLIO.
Carlo GATTI
il quale desidera aggiungere ancora alcune riflessioni e ricordi di gioventù:
Bruno de Lorenzi nacque nel 1920, compì una doppia impresa a Gibilterra nel 1943, come abbiamo appena scritto, e solo nel 2002, ultimo di una schiera di "eroi nazionali" ancora in vita, ebbe l’onore di presenziare ad una cerimonia importante come Testimonial.
Il suo essere umile “marinaio” delle NAGGE per tutta la vita lo confinò nella sua spiaggia preferita circondato soltanto dai suoi AMICI fraterni, marinai come lui, tenendosi ben distante dai riflettori della storia. Lo ricordo verso la metà degli anni ’50, ancora in gran forma, nuotare come uno squalo ed avventarsi sul pallone che poi scagliava con una forza notevole nella porta di pallanuoto (Bagni Tigullio) presidiata dal sottoscritto… Bruno era un duro! Non era facile al sorriso. Il suo sguardo non era minaccioso, ma penetrante come una lama, non era alto ma sembrava scolpito nell’acciaio.
Le persone di poche parole e di grande temperamento non hanno bisogno della pubblicità perchè non la amano proprio!
E’ stato un grande onore conoscerlo!
Rapallo 2 Marzo 2023
LAURA BASSI - ORGOGLIO ITALIANO
LAURA BASSI
ORGOGLIO ITALIANO
Grande giornata per la LAURA BASSI - la nave rompighiaccio dell’OGS - Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, che nel corso della 38ª spedizione italiana del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide - PNRA, ha toccato la Baia delle Balene: il punto più a sud mai raggiunto da una nave.
Partita da Trieste lo scorso 17 dicembre, ha solcato i mari per quaranta giorni alla volta della Nuova Zelanda ed ora del Mare di Ross. *
Complimenti a tutto l’equipaggio, che ha tagliato un altro grande traguardo per il nostro Paese.
* - La baia delle Balene (in inglese Bay of Whales) è una baia antartica della dipendenza di Ross. Localizzata ad una latitudine di 78° 30' sud e ad una longitudine di 164°20' ovest, la baia si trova al limite della barriera di Ross, lungo la costa settentrionale dell'Isola Roosevelt.
La nave rompighiaccio a metà dicembre è salpata per una missione che la condurrà nelle acque del Polo Sud, ma la campagna scientifica inizierà dal mese di Gennaio 2020, ha precisato Paola Rivaro, oceanografa dell’università di Genova e responsabile scientifica della spedizione e ha poi dichiarato: uno degli obiettivi della Spedizione è quello di studiare le acque in relazione ai cambiamenti climatici, monitorare la superficie del ghiaccio, la fusione della calotta polare e la contaminazione ambientale.
IL CHIAVARESE
RICCARDO SCIPINOTTI
Uno dei CAPI SCIENTIFICI che si sono alternati sulla nave rompighiaccio
LAURA BASSI
Riccardo Scipinotti
Also published under: R. Scipinotti
Affiliation
ENEA (Italian Agency for New Technologies Energy and Sustainable Economic Development) Research Center of Bologna, Bologna, Italy.
Publication Topics
Beverages, food safety, bioMEMS, biological techniques, chromatography, contamination, food products, hydrogen, insulation, lab-on-a-chip, microactuators, microchannel flow, microfabrication, optoelectronic devices, photodiodes, portable instruments, quality control, silicon, thermal conductivity, toxicology, photodetectors, amorphous semiconductors, elemental semiconductors, thin film sensors, DNA
Biography
Riccardo Scipinotti received the master’s degree and the Ph.D. degree in electronic engineering from the Sapienza University of Rome, Rome, Italy, in 2005 and 2009, respectively. His Ph.D. dissertation focused on the study and fabrication of a lab-on glass system for the detection and analysis of biomolecules by using thin-film technologies. He is currently a Researcher with ENEA, Italian Agency for New Technologies Energy and Sustainable Economic Development, Bologna, Italy. He is also with the Information and Communication Technologies Group, Antarctic Technical Unit, ENEA, where he is in charge to actuate the scientific research programs in the annual Italian Antarctic expedition.(Based on document published on 26 April 2018).
YOU TUBE: Interviste a Riccardo Scipinotti Capo Scientifico della Spedizione in Antartico
https://www.facebook.com/watch/?v=447454506432749
https://www.facebook.com/watch/?v=165000028143800
LUNEDI’ 5 FEBBRAIO 2023 il SECOLO XIX
Intitolava
Due liguri a bordo della nave arrivata nel punto più a Sud mai toccato:
“Siamo nella storia”
L’emozione del chiavarese Alessio Andreani, ufficiale di navigazione. “Ho festeggiato il record con una telefonata a mia mamma"
“NOI LIGURI A DUE PASSI DAL POLO, MAMMA, SIAMO NELLA STORIA”
Da sinistra, il comandante Franco Sedmak con i liguri Diego De Nardi (al centro) e l’ufficiale chiavarese Alessio Andreani
LAURA BASSI
salpa verso l'Antartide
05/01/2023
Laura Bassi, foto di Riccardo Scipinotti PNRA
COMUNICATO STAMPA – Consiglio Nazionale DELLE RICERCHE
05/01/2023
La nave rompighiaccio italiana Laura Bassi ha lasciato il porto di Lyttelton in Nuova Zelanda, facendo rotta verso l’Antartide.
Inizia così la missione prevista per la 38° campagna in Antartide finanziata dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), gestito dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA per la pianificazione logistica e dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) per la programmazione scientifica.
Quest’anno le attività a bordo della nave Laura Bassi, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, si svolgeranno nell’arco di due mesi, nel corso dei quali saranno realizzate due diverse campagne oceanografiche. Durante le due tratte nel Mare di Ross, 28 tra ricercatrici e ricercatori si alterneranno per portare avanti le attività di ricerca previste nell’ambito di 8 progetti finanziati dal PNRA oltre alle attività in collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina Militare.
Il viaggio della Laura Bassi è iniziato lo scorso 17 novembre quando ha lasciato Trieste per raggiungere il porto di Ravenna e da qui, dopo aver caricato personale e materiali, ha intrapreso una navigazione di circa 40 giorni, non priva di imprevisti. Il 20 novembre la nave ha, infatti, tratto in salvo 94 migranti intercettati su un’imbarcazione alla deriva a largo delle coste greche.
A fine dicembre è approdata a Lyttelton per le attività di carico di materiale e carburante e per imbarcare il personale scientifico, in parte destinato alla Base italiana in Antartide Mario Zucchelli (MZS): più precisamente 18 containers, circa 300 mc di carburante (ISO Tanks e Bulk), un mezzo antincendio dei vigili del fuoco, 34 tecnici e ricercatori del PNRA oltre a 24 membri dell’equipaggio della nave.
Chiuse le operazioni di carico, il 5 gennaio la nave è partita dal porto di Lyttelton alla volta del Mare di Ross dove svolgerà le prime attività scientifiche fino al 15 gennaio 2023, quando la rompighiaccio arriverà alla Stazione Mario Zucchelli per lo scarico del materiale, operazioni che dureranno circa 4 giorni.
La campagna navale nell’emisfero australe prevede quest’anno una sola rotazione tra la Nuova Zelanda e l’Antartide. Le attività svolte sono state raggruppate, in base alla zona di lavoro e alla tipologia di ricerche, in due campagne oceanografiche di pari durata che hanno come punto di contatto la Stazione Mario Zucchelli (MZS).
Una pianificazione dettata dalla volontà di massimizzare i giorni di attività scientifica nel Mare di Ross, ottimizzando i consumi di carburante.
La prima campagna oceanografica (5 gennaio 2023 - 4 febbraio 2023) sarà dedicata a sette diversi progetti che prevedono: attività di lancio e recupero di boe (floating e drifter) per lo studio della circolazione marina; recupero e messa a mare dei “mooring”, ovvero sistemi di misura ancorati al fondo del mare utilizzati per lo studio di caratteristiche fisico e chimiche della colonna d’acqua; carotaggi tramite “multicorer” o “box corer” e carotaggi per lo studio geologico del fondale marino. Inoltre, ci saranno attività di pesca scientifica oltre a indagini di laboratorio biologico e chimico fisico. Verrà effettuata anche un'attività specifica legata alla mappatura del fondale marino per la realizzazione di mappe di aree ancora non cartografate. Il 4 febbraio 2023 la nave farà ritorno alla Stazione MZS per effettuare il cambio del personale scientifico, sbarcando quello che ha ultimato il suo periodo a bordo e imbarcando quello che dovrà partecipare alla seconda campagna oceanografica. Inoltre, verranno eseguite le operazioni di carico dei container da riportare in Nuova Zelanda e in Italia.
Il 6 febbraio 2023 verrà imbarcato il personale PNRA, logistico e scientifico, che opererà a bordo fino al 28 febbraio 2023 e la nave partirà per l’esecuzione della seconda campagna oceanografica nel Mare di Ross, portando a completamento le attività avviate nel corso della prima campagna ed effettuando ulteriori indagini geofisiche di sismica a riflessione.
Il rientro al porto di Lyttelton in Nuova Zelanda è previsto per il 6 marzo 2023, dopo circa 6 giorni di navigazione, mentre quello in Italia è atteso nella seconda metà di aprile 2023.
Oltre 78° gradi di latitudine Sud. E’ il record raggiunto dalla nave rompighiaccio Laura Bassi. L’equipaggio italiano in missione di ricerca in Antartide si è spinto là dove nessuno era mai arrivato a bordo di un’imbarcazione.
UN PO’ DI STORIA
M/n ITALICA
Prima della Laura Bassi, in servizio per l’Antartide vi fu una nave da carico convertita in rompighiaccio. Questa nave si chiamava ITALICA, ed è stata venduta per la demolizione nel 2017. A differenza della Laura Bassi, questa nave non nacque con l’obbiettivo di essere una nave da “supporto polare”, ma era una semplice nave da carico dotata di una prora speciale in grado di scivolare sulle banchise e di romperle con il proprio peso (vedi foto sopra).
PRIMA ANCORA….
POLAR QUEEN
23 dicembre 1985 - la nave Polar Queen raggiunge il punto prescelto per la prima base italiana in Antartide: Baia Terra Nova, propaggine estrema della Terra Vittoria. Protagonisti dell’impresa sono 42 tra ricercatori, equipaggio nave e Stato Maggiore. Tra loro Carlo Stocchino, coordinatore scientifico del CNR, Celio Vallone, capo del Progetto Antartide dell’ENEA e il generale Ezio Sterpone, responsabile della prima Spedizione nazionale.
Una penna nera tra i ghiacci e l'Italia scoprì l'Antartide
La prima spedizione italiana in Antartide partì da Genova il 27 ottobre 1985. Portò all'individuazione del sito idoneo alla realizzazione di una Base permanente a Baia Terra Nova (BTN) e all' impostazione delle prime ricerche scientifiche. Come nave appoggio e per il trasporto del personale venne usata la nave Polar Queen.
(Chi scrive ricorda d’averla messa in partenza dal Molo Vecchio Porto-Genova)
I risultati raggiunti portarono all'ammissione dell'Italia nel gruppo dei Membri Consultivi del Trattato Antartico nel corso della riunione ordinaria dell'ottobre 1987 a Rio de Janeiro. La spedizione era comandata dal generale degli Alpini Ezio Sterpone (nato a Genova il 16 febbraio 1933, tra l'altro ha comandato la Brigata Alpina «Taurinense», la Scuola Militare Alpina di Aosta e il 19° Comando Operativo Territoriale di Genova, ora Comando Reclutamento e Forze di Completamento regionale "Liguria" comandato oggi dal generale di brigata Piercorrado Meano), vi facevano parte il tenente colonnello Mauro Spreafico, l' ufficiale medico Enzo Giacomin e la guida, il maresciallo Lorenzo Boi. Responsabile Scientifico ne fu il professor Carlo Stocchino.
La nave rompighiaccio Laura Bassi
La N/R Laura Bassi è la prima nave da ricerca “rompighiaccio”. Dal 2019 è registrata e certificata in Italia per navigare nei mari polari. Da quella data, il PNRA può contare sulla disponibilità dell’unica nave italiana utilizzata per la ricerca oceanografica e il trasporto di materiali e persone in Antartide. È una rompighiaccio categoria A classe PC5 ed è stata concepita come una nave speciale combinando in maniera ottimale sia capacità cargo sia di ricerca scientifica. Ha una stazza di 4028 tonnellate, è lunga 80 metri e larga 17 metri, ha un sistema di posizionamento dinamico che le garantisce un’elevata manovrabilità e un’accuratezza di stazionamento in un prefissato punto dell’ordine di 1 metro. La struttura del fasciame, particolarmente robusta, le permette di operare in mari coperti da ghiaccio senza temere danni strutturali.
In realtà la LAURA BASSI fu costruita in Norvegia per una compagnia di navigazione norvegese. Passò di proprietà britannica e successivamente italiana. Pur essendo passata di mano due volte, è considerata una nave ancora nuova.
L’acquisto
“Ernest Shackleton”
Smantellata nel 2017 la nave Italica, nel maggio 2019, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale acquistò per 12 milioni di euro, la nave “Ernest Shackleton” della compagnia di navigazione norvegese Rieber Shipping, grazie a un finanziamento ricevuto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Ribattezzata “Laura Bassi”, la nave è oggi al servizio di tutta la comunità scientifica nazionale, grazie a un accordo tra i principali Enti nazionali che studiano le aree polari e ne gestiscono le infrastrutture.
CARATTERISTICHE
La nave rompighiaccio Laura Bassi vanta di essere l’unica unità italiana che rispetta le nuove regole internazionali dettate dal ‘Polar Code’ sul design, la costruzione e l’equipaggiamento delle navi e sulla formazione dell’equipaggio, per la salvaguardia della vita umana in mare e la protezione dell’ambiente.
Sala controllo
Caratteristiche tecniche· Anno di costruzione: 1995· Conforme al Polar Code· Lunghezza 80 m· Larghezza 17 m· Stazza: 4028 t· Tipo: Rompighiaccio: ICE 05 E0 – Special Purpose Ship· Posizionamento dinamico secondo livello (DP2)· Potenza installata: 5.100 kW· Velocità di crociera: 12 nodi· Combustibile: gasolio marino a bassissima percentuale di zolfo nelle casse nave e gasolio per aviazione
|
Capacità di carico e trasporto· Gru da 50 t a 10 m· Stiva da 3000 m3· Ponte di volo per elicotteri |
Gru telescopica e gru cargo
Alloggi:
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37 cabine (da 1,2,3,4 posti)
-
22 posti per equipaggio
50 posti per personale scientifico
Le cabine
Capacità di ricerca:
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laboratorio umido e asciutto (90m2totali)
-
ampia area di operazioni a poppa
-
gru telescopica di poppa per la messa a mare, portata 10 t
-
gru cargo su ponte di coperta, portata 5 t a 10 m
Alloggiamento per container-laboratorio con collegamento diretto all’area operazioni di poppa
Laboratorio secco
Tempo libero
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Mensa
-
Zone ricreative
-
Lavanderia
-
Sauna
-
Palestra
-
Spogliatoi dedicati
Sala ricreativa
Infermeria
La nave fu chiamata Laura Bassi in onore della scienziata italiana che nel 1700 divenne la prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria.
CHI ERA LAURA BASSI ?
Laura Bassi, nata a Bologna il 29 ottobre 1711, fu la seconda laureata d'Europa. Versata in moltissime materie (biologia, matematica, logica, filosofia, latino, greco e francese, studiate a casa), fu accolta nel 1732 all'Accademia delle scienze. Lo stesso anno discusse all'università bolognese due tesi, ottenendo una cattedra onoraria di filosofia per 500 lire annue – ma poteva insegnare solo in certe occasioni.
Famosa in tutta Europa, intraprese studi di fisica sperimentale e matematica con il medico Giuseppe Veratti, che sposò nel 1738. Con lui ebbe 8 figli e organizzò in casa un laboratorio di fisica sperimentale newtoniana e un salotto culturale, e qui dal 1749 iniziò a insegnare la disciplina a universitari, aggirando il divieto di insegnamento per le donne; l'ateneo comunque le raddoppiò lo stipendio.
Ogni anno la Bassi teneva dissertazioni all'Accademia delle Scienze sugli argomenti più svariati. Grazie alla sua autorevolezza scientifica nel 1776 le venne assegnato il posto di professore di fisica sperimentale nell'Istituto delle scienze dell'Università di Bologna.
La figura di Laura Bassi è davvero importante perché nonostante i limiti posti al suo insegnamento dalle regole dell'Università di Bologna e dal comune pensiero accademico del tempo che quasi escludeva le donne dall'insegnamento, riuscì a costruirsi una notevole carriera accademica. Ma non solo: le sue ricerche nel campo della fisica newtoniana e le sue sperimentazioni nella dinamica dei fluidi, nell'ottica e nell'elettricità, erano all'avanguardia.
Tra i suoi primi allievi ci fu Lazzaro Spallanzani, suo lontano parente: grazie all'influenza di Laura Bassi, Spallanzani abbandonò gli studi di giurisprudenza e si avvicinò prima alla fisica e poi alle scienze naturali.
La coppia Bassi-Veratti come detto animò un salotto culturale ricco di incontri e scambi filosofici e scientifici sull'onda della cultura illuministica che si stava affermando in tutta Europa. La loro casa, oltre a essere un laboratorio e a ospitare lezioni, divenne così un centro di cultura scientifico frequentato da scienziati e studenti italiani e stranieri. Grazie a questi scambi Bassi entrò in contatto con i più importanti studiosi del suo tempo, da Volta a Voltaire.
La mattina del 20 febbraio 1778 Laura Bassi morì improvvisamente. Fu onorata con solenni esequie e seppellita, rivestita con le insegne dottorali.
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Record mondiale per la nave rompighiaccio Laura Bassi
Nave Laura Bassi in Baia delle balene (Mare di Ross - Antartide) - foto Scipinotti/Ferriani©PNRA
31/01/2023
Nave Laura Bassi in Baia delle balene (Mare di Ross - Antartide) - foto Scipinotti/Ferriani©PNRA
Record mondiale assoluto per la nave rompighiaccio italiana Laura Bassi, che ha toccato il punto più a sud mai raggiunto da una nave, nel corso della campagna oceanografica della 38° Spedizione Italiana del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra).
I ricercatori e i tecnici a bordo hanno raggiunto, all’interno della Baia delle Balene, un sito ad oggi inesplorato che si trova alla latitudine di 78° 44.280’ S, il punto più meridionale mai raggiunto nel Mare di Ross in Antartide, per effettuare importanti campionamenti previsti nell'ambito del progetto "BIOCLEVER" (Biophysical coupling structuring the larval and juvenile fish community of the Ross Sea continental shelf: a multidisciplinary approach) coordinato dall'Istituto di scienze polari (Cnr-Isp) del Consiglio nazionale delle ricerche, grazie anche alla collaborazione dell’osservatorio marino MORSea (Università Parthenope).
Le condizioni del mare, straordinariamente libero dai ghiacci, hanno consentito di effettuare una profilatura CTD e attività di pesca scientifica a ridosso del Ross Ice SHelf - RIS che in questa posizione è particolarmente basso (circa 8 metri di altezza). I primi risultati dello studio dei parametri fisici dell’acqua marina (dalla superficie fino alla profondità prossima al fondale di 216m) hanno evidenziato la presenza di acqua particolarmente fredda e si confermano di grande importanza per lo studio della dinamica delle correnti nel Mare di Ross. Inoltre, una prima analisi del materiale prelevato dai ricercatori ha evidenziato un’elevata densità di stadi larvali e giovanili di specie ittiche, evidenziando la presenza di alcune varietà raramente osservate nel Mare di Ross oltre la presenza di elevate masse di alghe unicellulari che denotano un’elevata produzione primaria e incoraggiano ulteriori ricerche.
Il viaggio della Laura Bassi è iniziato lo scorso 17 novembre quando ha lasciato Trieste per raggiungere il porto di Ravenna e da qui, dopo aver caricato personale e materiali, ha intrapreso una navigazione di circa 40 giorni, verso la Nuova Zelanda. Il 5 gennaio ha lasciato il porto di Lyttelton alla volta della Stazione Mario Zucchelli e del Mare di Ross. La nave è, infatti, attualmente impegnata nella 38° campagna in Antartide finanziata dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra), gestito dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) per la pianificazione logistica e dal Consiglio nazionale delle ricerche per la programmazione scientifica.
Quest’anno le attività a bordo della nave Laura Bassi, di proprietà dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs), sono state organizzate dall’Unità Tecnica Antartide di Enea in un’unica rotazione suddividendo la campagna in due campagne oceanografiche nel Mare di Ross, intervallate dalla sosta presso la stazione Mario Zucchelli, nel corso delle quali 46 tra ricercatrici, ricercatori e tecnici complessivamente si alterneranno per portare avanti le attività di ricerca previste nell’ambito di 8 progetti finanziati dal PNRA oltre alle attività in collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina Militare.
Il record è stato raggiunto nel corso della prima campagna oceanografica dedicata a sette diversi progetti che prevedevano: attività di il lancio e recupero di boe (floating e drifter) per lo studio della circolazione marina; recupero e messa a mare dei “mooring”, ovvero sistemi di misura ancorati al fondo del mare utilizzati per lo studio di caratteristiche fisico e chimiche della colonna d’acqua; carotaggi tramite “multicorer” o “box corer” e carotaggi per lo studio geologico del fondale marino, attività di pesca scientifica e indagini di laboratorio biologico e chimico fisico. È stata anche condotta un'attività specifica legata alla mappatura del fondale marino per la realizzazione di mappe di aree ancora non cartografate in collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina Militare Italiana.
La prima campagna oceanografica si avvicina alla conclusione con il cambio di personale scientifico presso la stazione Mario Zucchelli il 4 Febbraio. Dopo le operazioni di carico del materiale e dei campioni scientifici provenienti dalle stazioni di Mario Zucchelli e Concordia, la Laura Bassi ripartirà il 7 Febbraio per la sua seconda campagna oceanografica.
Il rientro al porto di Lyttelton in Nuova Zelanda è previsto per il 6 marzo 2023, mentre quello in Italia è atteso per la seconda metà di aprile 2023.
Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA)
foto Lorenzo Facchin©PNRA
Ho scelto e riporto integralmente per i nostri lettori il reportage dell’inviato speciale di MONDOINTASCA essendo una meravigliosa IMMERSIONE in un clima freddo che, tuttavia, ci permette di percepire il “calore umano” e la professionalità dei nostri connazionali impegnati in una fantastica e storica avventura… che ha per obiettivo tanto lavoro di ricerca per dare risposte anche al fenomeno naturale che stiamo vivendo:
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO!
30 Gennaio 2023 alle 16:39
In Antartide con la spedizione scientifica italiana
La 38ª spedizione del Programma di ricerche in Antartide gestito da Enea e CNR è salpata dal porto di Lyttelton in Nuova Zelanda il 6 gennaio. A bordo della rompighiaccio Laura Bassi anche un Reporter di Mondointasca per raccontare la missione.
di Stefano Valentino
Ritorniamo dopo sei anni ai confini del mondo. Mondointasca vi porta di nuovo in Antartide per mostrarvi il lavoro degli scienziati italiani che studiano i cambiamenti climatici. Il nostro reporter, Stefano Valentino, si è imbarcato in Nuova Zelanda a bordo della rompighiaccio Laura Bassi dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste. La missione Antartide i nostri lettori la possono seguire attraverso la sezione dedicata ANTARTIDE che mostra in diretta il percorso e le tappe.
Particolare della nave italiana rompighiaccio Laura Bassi (ph. s. valentino © mondointasca.it)
È passato quasi un mese dalla nostra partenza (il 6 gennaio) dal porto di Lyttelton in Nuova Zelanda. Ma abbiamo smesso di contare i giorni. Nell’estate australe il sole non tramonta mai. Il viaggio della missione Antartide prosegue lungo interminabili coste imbiancate, dandoci l’impressione di restare inerti nel tempo e nello spazio. A scandire il flusso della quotidianità sono solo i pasti e le attività di ricerca. Queste ultime condotte dagli scienziati e i tecnici a bordo secondo orari concordati dal comandante Franco Sedmak, il capo spedizione Riccardo Scipinotti e Pasquale Castagno, coordinatore scientifico della campagna oceanografica.
La sconfinata banchina di ghiaccio frantumato (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Si tratta della 38a spedizione organizzata nell’ambito del Programma nazionale di ricerche in Antartide (PNRA), gestito da ENEA e CNR. Le distese di ghiaccio che ci circondano, quelle in mare e quelle sul continente, rappresentano un’incantevole immensità. I ricercatori li scompongono in elementi da studiare per cercare di capire l’evoluzione del clima terrestre. Scienza e meraviglia si fondono a ogni tappa del viaggio. La prima fermata è stata alla stazione italiana Mario Zucchelli. Seconda tappa al ghiacciaio Campbell fino a Cape Washington, non distante dalla base; poi attraverso una sterminata banchisa verso sud e infine al Ross Ice Shelf (RIS), il ghiacciaio più grande del mondo.
Missione Antartide: i fantasmi degli antichi ghiacciai
Muraglie di ghiaccio (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Come molti altri ghiacciai antartici, il RIS scende giù dal continente. Nella parte terminale si appoggia sul mare, creando una monumentale muraglia alta oltra 30 metri. La costeggiamo per giorni, inseguendo con lo sguardo a destra e sinistra la tortuosa sagoma. Vediamo che si allunga, assottiglia e opacizza fino al punto in cui l’occhio umano non riesce più a vedere. I fronti glaciali si estendevano ben oltre l’area in cui navighiamo. Dove ora c’è il blu, in epoche passate c’era solo bianco. Di fatto, attraversiamo i fantasmi degli antichi ghiacciai. Studiare la loro evoluzione è fondamentale per capire qual è stato l’impatto delle temperature. Ma anche per valutare in che misura l’effetto del riscaldamento globale potrebbe contribuire alla loro ulteriore fusione.
Missione Antatide: i cambiamenti dei fronti glaciali
Tecnici preparano gli strumenti da mettere in mare (ph. s. valentino © mondointasca.it)
“È fondamentale formulare modelli predittivi che anticipano l’entità di future fusioni glaciali″, spiega Luca Gasperini, ricercatore dell’Istituto di Scienze marine del CNR. Durante la navigazione dirige il progetto Disgeli scandagliando i fondali per individuare segni di arretramento o avanzamento delle lingue glaciali sottomarine negli ultimi 10mila anni; In pratica il periodo intercorso dall’ultima glaciazione. L’obiettivo è confrontare la variazione nel tempo dei fronti glaciali con quella dell’atmosfera intrappolata nelle carote di ghiaccio estratte sul continente col progetto Beyond Epica. Le carote di ghiaccio quest’anno saranno trasportate per la prima volta con la nave in Italia per l’avvio delle analisi.
Sonda in fase d’immersione (ph. s. valentino © mondointasca.it)
″Il raffronto ci permette di prefigurare le condizioni di CO2, e quindi di temperatura, che potrebbero innescare una fusione della calotta glaciale antartica. Fenomeno che innalzando il livello dei mari, sommergerebbe le zone costiere″, conclude Gasperini. Per determinare la variazione dei fronti glaciali vengono raccolti campioni di sedimenti che si sono depositati sui fondali marini. La raccolta avviene nei punti in cui i ghiacciai erano ancorati alla base rocciosa. Innanzitutto vengono identificati i sedimenti con un particolare strumento acustico, chiamato Topas, dopodichè la nave si arresta sopra ogni punto e con un carotiere calato in profondità vengono estratte appunto carote di sedimento, intrappolati in lunghi tubi, che vengono trasportate in Italia per essere analizzate.
Missione Antartide: il fondamentale ruolo dei venti
Ponte della nave e cabina comandi (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Le conversazioni con gli scienziati, che siano in laboratorio o nelle sale di ricreazione a prua, ci aiutano a osservare il ghiaccio con occhi diversi. Impariamo che l’Antartide non è un unico conglomerato ghiacciato che si estende dal continente al mare, ma che il ghiaccio continentale (formato dalle precipitazioni nevose) e diverso dalla banchisa galleggiante che e frutto del congelamento del mare. Comprendiamo le interazioni del ghiaccio marino con gli altri due elementi freddi, l’aria e l’acqua, che mantengono l’Antartide nel suo stato di mistica e aliena immobilità.
Stefano Valentino sulla nave rompighiaccio con la sua attrezzatura (ph. © mondointasca.it)
Mentre siamo appostati sui ballatoi esterni del ponte di comando per fotografare gli spazi metafisici che ci circondano, le nostre dita vengono spesso morse dagli artigli freddi dei cosiddetti venti catabatici. Questi venti non soffiano da nessun luogo. Semplicemente precipitano dalle alture del continente a causa della loro bassa temperatura che li rende particolarmente pesanti. Svolgono un ruolo importantissimo. Non solamente raffreddano la superficie del mare, facilitandone il congelamento, ma spazzano a largo il ghiaccio marino già formatosi, sgomberando ampie porzioni di mare dove puo creare un’ulteriore quantità di ghiaccio.
Circolazione oceanica e clima terrestre
Nave rompighiaccio Laura Bassi (ph. s. valentino © mondointasca.it)
″La formazione del ghiaccio marino e un fattore capace di influenzare il clima terrestre. Infatti, ghiacciando, l’acqua rilascia sale nelle masse d’acqua sottostanti che diventando dense e pesanti, sprofondano e fluiscono verso nord; mentre quelle calde dall’Equatore si dirigono verso i poli″, spiega Pasquale Castagno, ricercatore all’Università di Messina. A bordo è responsabile del progetto MORSea dell’Università Parthenope di Napoli”.
Aggiunge: ″queste correnti che fluiscono in direzioni opposte innescano la circolazione oceanica globale che garantisce un’equa distribuzione del calore sul globo terrestre, mantenendo le condizioni ottimali per la vita come la conosciamo″.
È stupefacente guardare il manto di ghiaccio tagliato e frantumato dalla chiglia della nave. Si percepisce mentalmente il freddo ostile delle acque sottostanti capaci di porre fine alla vita di un essere umano in pochi istante; al tempo stesso va considerato che tutto questo gelo mette in moto un meccanismo che è fonte di vita nelle zone temperate da cui proveniamo.
Missione Antartide: effetti contrapposti del ghiaccio
Montagne nel ghiaccio (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Sulla Laura Bassi, impariamo che il clima è una cosa complessa. “Il ghiaccio marino ha effetti paradossalmente contrapposti. Da una parte col suo colore bianco riflette la luce e quindi l’energia solare, impedendo il surriscaldamento del mare, dall’altra, proteggendo lo stesso mare dai venti freddi, impedisce il congelamento delle acque”, commenta il paleoclimatologo dell’Istituto di Scienze Polari del CNR. Aggiunge: “e quindi importante analizzare quest’insieme di retroazioni, come ci prefiggiamo di fare col nostro progetto Greta, al fine di comprendere in quale modo la formazione del ghiaccio marino e delle acque dense, generate dal rilascio di sale, è evoluta in passato per anticipare le dinamiche future”.
Candidi panorami ghiacciati (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Gli esploratori del passato si precipitavano in Antartide per conquistare la frontiera meridionale del mondo, il continente più irraggiungibile; l’unica terra dove la civiltà umana non ha messo radici, per poi tornarsene a casa con il loro trofeo per non pensarci più. Oggi i ricercatori vengono regolarmente qui per spiegare come il ghiaccio dell’Antartide non sia solo un affascinante archetipo della terra di nessuno, ma sia soprattutto un anello fondamentale del sistema ambientale in cui l’Uomo ha sempre vissuto.
Missione Antartide: odissea tra gli iceberg
Famiglia di Pinguini (ph. s. valentino © mondointasca.it)
Durante la nostra odissea tra gli iceberg, continuiamo ad ammirare l’Antartide dal di fuori, non ne violeremo le distese abitate, non ne raggiungeremo il cuore ambito dagli avventurieri di tutti i tempi. Noi ci accontenteremo di farne ritratti da lontano, facendo volare la nostra fantasia, accontentandoci di condividere brevi istanti a tu per tu con foche e pinguini adagiati sulle loro zattere di ghiaccio vaganti nel Mare di Ross. Siamo venuti qui a capire i misteri scientifici che si celano nelle sue acque e a portarci con noi in Italia le poche risposte ottenute dai ricercatori che, in quanto tali, offrono, il pretesto per tornare nuovamente in questi luoghi remoti in fondo alla curvatura terrestre.
Dominare la complessità dei fenomeni climatici imperniati sui ghiacci antartici sarà molto più difficile che piantare la bandierina come fecero Amundsen e Scott durante la loro eroica corsa al Polo Sud.
Info utili:
Seguite il diario di viaggio, realizzato in partnership con Green&Blue di Repubblica.it (link https://mondointasca.it/Antartide)
La spedizione giornalistica in Antartide e stata realizzata grazie all’invito del PNRA che ha ospitato Stefano Valentino a bordo della nave Laura Bassi e si e avvalsa della collaborazione con Morgana Production. Attrezzature e supporto sono state fornite da Avventure nel mondo, Telespazio, Canon e Huawei.
RINGRAZIAMENTI:
Nell'articolo ho citato le fonti ufficiali. La DIVULGAZIONE della STORIA DEL MARE è lo scopo principale della nostra ASSOCIAZIONE che non persegue scopi di lucro.
RINGRAZIO SENTITAMENTE TUTTE LE FONTI ALLE QUALI MI SONO ANCORATO....
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Febbraio 2023
MUSEO NAVALE ROMANO - ALBENGA , LA CITTA’ DELLE 100 TORRI
MUSEO NAVALE ROMANO
ALBENGA
LA CITTA’ DELLE 100 TORRI
MUSEO DELLA NAVE ROMANA DI ALBENGA
“ ... nessuno ricorda che l’Italia ha bisogno di risorse esterne e che la vita del popolo romano è esposta ogni giorno alle incertezze del mare e delle tempeste!”
(Tacito-Ann-III,2.52)
Con queste parole risentite Tiberio fustigava in senato i lussi e gli sperperi di Roma, ricordando che invano si sarebbero cercate in patria le risorse necessarie alla sopravvivenza dei cittadini se gli alimenti di base non fossero arrivati d’oltremare. Difficilmente si potrebbe esporre meglio la dipendenza alimentare di Roma dai suoi rifornimenti via mare già nell’alto impero.
PREMESSA
Non essendo il sottoscritto un archeologo e neppure un esperto della materia, ma soltanto un appassionato di archeologia marina, in questo articolo divulgativo ho ritenuto più saggio lasciare quasi tutto lo spazio disponibile agli specialisti della materia perché ritengo che soltanto loro possano attirare nuovi proseliti verso questa affascinante disciplina. Questo almeno è quanto mi è successo molti anni fa...
Navigare il Mediterraneo però non era una passeggiata. Nonostante il Mediterraneo appaia come un bacino chiuso, il Sahara a sud e l’Oceano Atlantico a ovest provocano nei periodi di cambio stagionale variazioni meteomarine abbastanza veloci e non prevedibili senza moderni equipaggiamenti; i navigatori antichi si potevano affidare soltanto all’esperienza per prevedere il cambiamento delle condizioni atmosferiche. Tutta la navigazione si basava su un sapere tramandato di generazione in generazione; per esempio, tra le nozioni apprese dagli antichi naviganti vi era la conoscenza di venti e brezze stagionali che, insieme alle correnti, permettevano di utilizzare diverse rotte a seconda del periodo dell’anno. Il periodo meno favorevole alla navigazione era l’inverno, detto in antico “periodo del mare clausum”, quando le condizioni metereologiche erano più complicate. La grande esperienza dell’equipaggio era necessaria per navigare in buone condizioni di vento e senza copertura nuvolosa notturna che impediva di vedere le stelle utilizzate per orientarsi di notte.
Il museo, oltre al carico di anfore vinarie, provviste e attrezzature provenienti dai resti anfora di una nave romana affondata nel secolo I a.C. davanti alla costa, espone reperti archeologici di area ingauna e una collezione di vasi da farmacia dell’Ospedale di S. Maria della Misericordia.
Isola Gallinara
L'isola Gallinara o isola Gallinaria (A Gainâa in ligure, Insula Gallinaria o Gailiata in latino ) è un'isola situata nei pressi della costa ligure, nella Riviera di Ponente, di fronte al comune di Albenga al quale appartiene. L'isola dista 1,5 km dalla costa, dalla quale è separata da un canale profondo in media 12 m; essa costituisce la Riserva naturale regionale dell’Isola Riserva naturale regionale dell’isola di Gallinara.
La raccolta completa del museo conserva, oltre ai ritrovamenti della nave romana, anche materiali sottomarini rinvenuti dalle diverse esplorazioni subacquee, dal 1957 in poi, nei fondali circostanti l'isola Gallinara. Nella sala detta "degli affreschi", caratterizzata dalla presenza di portali in ardesia del XVI secolo e un camino, è stata allestita la raccolta dei vasi da farmacia provenienti dall'ospedale di Albenga; la collezione comprende all'incirca un centinaio di pezzi in ceramica bianca e blu, databili tra il XVI e XIX secolo, di fabbricazione savonese e albissolese.
NINO LAMBOGLIA
Nino Lamboglia è considerato il padre dell’archeologia stratigrafica e di quella subacquea, nel 1958 fondò il Centro sperimentale di archeologia marina, invitò studiosi da tutto il mondo, organizzò congressi e seminari e lavorò alla carta archeologica dei fondali, seguendo poi, tutti i ritrovamenti subacquei, dell'intera costa italiana.
La scoperta del relitto della nave romana di Albenga
Il primo scavo subacqueo in Italia
E' stata oggetto di tredici campagne di scavo subacqueo che hanno consentito di documentare gradualmente gli elementi del carico e le caratteristiche costruttive dello scafo. E' stato pure accertato che si tratta della più grande nave oneraria (nave da carico) romana conosciuta a tutt'oggi nel Mediterraneo, con un carico superiore alle 10.000 anfore, e quindi con una portata netta di 450/500 tonnellate. Le anfore contenevano vino proveniente dalla Campania destinato ai mercati della Francia meridionale e della Spagna. Insieme al vino veniva esportata la ceramica a vernice nera e altri tipi di vasellame.
Il relitto è adagiato a 40 metri di profondità e ad 1 miglio circa dalla costa
NAVE ROMANA DI ALBENGA
La nave da carico era di grandi dimensioni, 40 metri di lunghezza.
Era il 1925 quando un pescatore del luogo, Antonio Bignone, trovò tra le sue reti alcune anfore. La scoperta destò interesse da subito, ma fu necessario attendere sino al febbraio 1950 per un primo tentativo di recupero, in quanto il relitto è adagiato a 40 metri di profondità e ad 1 miglio circa dalla costa.
Lo scavo permise altresì di individuare l’albero maestro che aveva un diametro di circa 50 cm. seguito dei risultati dello scavo fu accertato che la nave Romana d’Albenga era lunga circa 40 m., larga almeno 10 m. e le anfore trasportate dovevano essere almeno 10.000. Teniamo conto che le anfore pesano (vuote) kg 21.5, che il loro contenuto era di 26 litri, ogni anfora pesava all’incirca 45 kg., quindi la nave aveva una portata di 450 tonnellate.
Anfora del tipo Lamboglia 2
Per il tipo di anfore rinvenute sul relitto (Dressel 1b e poche anfore di forma Lamboglia 2), ed il tipo e la forma delle ceramiche rinvenute si è potuto collocare il relitto nel primo decennio del secolo I a.C.
Tra i materiali del carico sono stati recuperati 8 elmi bronzei, che potrebbero indicare la presenza di una scorta armata a bordo.
E’ ormai diventata famosa la “ruota di manovra” in piombo (del quale non ho trovato la foto) scoperta dai palombari dell’Artiglio, ancora oggi di dubbia interpretazione, ed il corno in piombo che secondo Lamboglia avrebbe fatto parte della testa di un animale che doveva decorare la prua di questa magnifica nave.
https://www.albengacorsara.it/corsara/
“La dotazione di bordo comprendeva, oltre alle stoviglie, tutto l’occorrente per provvedere alle improvvise necessità che potevano verificarsi durante la traversata. Ad esempio vi era un crogiolo in quarzo, adatto a fondere il piombo in modo da poter provvedere alle urgenti saldature e riparazioni.
Per fabbricare funi a bordo era stato installato un meccanismo che prevedeva una ruota di piombo infissa, per mezzo di un foro centrale a sezione quadrata, su una struttura lignea che ne permetteva la rotazione. Disposti a croce rispetto al foro appena citato, ve ne erano altri quattro, all’interno dei quali passavano i singoli cavi che, grazie al movimento della ruota, si attorcigliavano vicendevolmente in modo da formare cime consistenti (le ipotesi di uso riguardanti la “ruota di manovra” sono molteplici, quella illustrata è la più accreditata da parte di chi scrive).
La pirateria era molto diffusa lungo i mari italiani e il Mar Ligure gode di un’efferata fama corsara all’interno delle fonti antiche. Al fine di una difesa in caso di attacchi, vennero caricati a bordo alcuni elmi, facenti parte dell’attrezzatura per una difesa estemporanea e improvvisata, certamente non attribuibili ad una vera scorta armata militare. Per scongiurare tali infausti eventi, era parte dell’arredamento un corno in piombo, con chiaro intento apotropaico, che doveva allontanare malocchi e malefici.
Purtroppo il corno non fu sufficiente, perché la nave, salpata dalla Campania, incontrò una violenta tempesta nei pressi di un centro abitato denominato Albingaunum. Nonostante il vicino riparo del porto e un agevole approdo sull’isola Gallinara, la nave, sospinta dal vento e dal mare, si inclinò a tribordo e si inabissò. Il carico scivolò verso il lato destro e il grande peso delle anfore, circa 45kg l’una da piene, sommato all’urto contro il fondale provocò la rottura dello scafo all’altezza del ginocchio (punto di raccordo fra il fondo della nave e la murata)”.
Le anfore
Sulle navi lo stivaggio delle anfore avveniva impilandole le une sulle altre con un sistema “a scacchiera”, in modo che quelle dello strato superiore si inserissero fra tre colli delle anfore sottostanti. I contenitori si adeguavano alla forma della carena e venivano fissati e protetti dagli urti con ramaglie di ginepro, di erica, giunchi, paglia ed altro.
Le anfore venivano fabbricate nelle regioni di produzione delle merci, con forme diverse a seconda della provenienza, della cronologia e del contenuto. In età romana circolavano in tutto il Mediterraneo, spingendosi fino alla Britannia e al Bosforo, testimoniando l’unificazione commerciale, oltre che politica, dell’impero.
Il primo a comprendere l’importanza di questi oggetti per la ricostruzione dei traffici commerciali fu Heinrich Dressel, che alla fine dell’Ottocento studiò la relazione tra le diverse forme di anfore e le iscrizioni conservate su di esse. Così Dressel gettava un ponte tra archeologia, epigrafia e storia economica. Di qui si è sviluppata una solida tradizione di studi.
Oggi si è in grado di attribuire le anfore a grandi blocchi di produzioni (italiche, galliche, iberiche, africane e orientali) e, all’interno di questi, a sempre più specifici ambiti di provenienza, riuscendo a “tracciare” i rapporti commerciali dei popoli del Mediterraneo.
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Esposizione di importanti reperti recuperati dal relitto della nave oneraria romana rinvenuta nei fondali dell’Isola Gallinara: vasellame, attrezzature navali, pedine da gioco, piccoli arnesi in piombo per la pesca oltre ad un centinaio di anfore vinarie, disposte come lo erano originariamente sulla loro nave, in un’apposita rastrelliera in legno che ne riproduce il “ventre”.
A differenza delle navi da guerra, i mercantili o navi onerarie avevano uno scafo tondeggiante e robusto, adatto sia per la navigazione di cabotaggio, sia per la navigazione in mare aperto, necessaria al fine di attraversare più velocemente determinate zone nel Mediterraneo. La propulsione era unicamente a vela (sempre di tipo quadra che, opportunamente ridotta ad una forma triangolare, permetteva di risalire il vento) e nelle onerarie di maggiori dimensioni poteva essere presente un secondo albero a prua, di dimensioni minori.
Le dimensioni degli scafi potevano variare a seconda delle tipologie di trasporto in cui erano impiegate. Si distinguono: navi di piccolo tonnellaggio (inferiori ai 15 m di lunghezza) adatte alle navigazioni di breve durata, navi di medio tonnellaggio (tra 15 e 30 m) impiegate sia per le rotte lungo costa che per tratti in mare aperto e navi di grande tonnellaggio (sopra i 30 m di lunghezza) che facevano parte della flotta dell’Annona e rifornivano principalmente la capitale.
Nota da ROMANO IMPERO:
ANNONA: Prese il nome di Annona il raccolto di grano di un'annata (annus), poi, gradualmente, ogni altra derrata prodotta da un territorio in un anno.
In seguito si intese con questo nome l'insieme dei prodotti agricoli raccolti in un anno per l'approvvigionamento di una città o di uno Stato.
Vi si aggiunse poi anche il magazzino adibito al deposito dei prodotti e l'ufficio che vi sovrintendeva.
I mercantili possedevano un ponte su cui si muoveva l’equipaggio e potevano trasportare passeggeri (non esistevano navi da trasporto passeggeri per lunghi tratti, ma si viaggiava insieme alle merci). Al di sotto del ponte era presente una stiva in cui venivano sistemati i carichi che potevano essere eterogenei o omogenei (nel caso di navi usate solo per il trasporto di grano o olio). Il principale contenitore da trasporto erano le anfore, ma si potevano utilizzare anche i dolia di grandi dimensioni per il vino, sacchi per il grano, cassette lignee e altro.
DOLIA
NAVE ROMANA DI ALBENGA
Anfora tipo Dressel 1B
La stiva veniva colmata con anfore vinarie di produzione italica-campana, le Dressel 1B, alte poco più di un metro e caratterizzate per un orlo ripiegato esternamente per formare un colletto leggermente sfasato verso il basso, impostato sul collo, di lunghezza variabile, che termina in una spalla un po’ spigolosa. La pancia poteva essere pronunciata o longilinea. All’estremità inferiore delle anfore si trova un alto puntale, necessario per permettere l’impilamento. All’interno della nave ne furono caricate fino a dieci mila, disposte su cinque strati sovrapposti, con il puntale dell’anfora superiore trattenuto tra i colli delle inferiori. Sfruttando tali incastri il mercante era certo che, anche in presenza di turbolenze, i contenitori non si sarebbero rovesciati e infranti, spargendo il loro prezioso contenuto. Ulteriore accorgimento per evitare la dispersione del vino era costituito dalla chiusura ermetica dell’imboccatura dell’anfora. Il collo veniva sigillato incastrandovi un tappo di sughero, spesso ben 7 cm, bloccato da uno strato di malta e calce. L’estrema sigillatura del collo era data dall’inserimento di una pigna verde che, con il passare del tempo, si sarebbe seccata e aperta a ventaglio. Quest’ultimo espediente poteva avere una duplice funzione, la prima era quella di aromatizzare il contenuto dell’anfora, e la seconda, più pratica, di facilitare la rimozione del tappo. La pigna infatti, grazie alle sue asperità, avrebbe creato dei luoghi di appiglio per incastrarvi due leve che permettessero di applicare la forza necessaria a rimuovere l’intero tappo. Invece, per preservare le proprietà organolettiche del contenuto da commistioni esterne, l’intera superficie porosa dell’anfora fu ricoperta di uno spesso strato di resina o pece.
Legato al nome dell’illustre archeologo e studioso di storia romana e medievale Nino Lamboglia, il prestigioso Museo Navale Romano, sito all’interno di Palazzo Peloso Cepolla espone gli importanti reperti recuperati dal relitto della nave oneraria romana rinvenuta nei fondali dell’Isola Gallinara: vasellame, attrezzature navali, pedine da gioco, piccoli arnesi in piombo per la pesca oltre ad un centinaio di anfore vinarie, disposte come lo erano originariamente sulla loro nave, in un’apposita rastrelliera in legno che ne riproduce il “ventre”.
Diversamente dagli alimenti solidi, come il grano, il trasporto delle derrate liquide o semiliquide come il vino, l’olio e le salse di pesce (garum), è affidato a contenitori in terracotta, in particolare alle anfore (dal termine greco amphìphèro, porto da entrambe le parti, riferito alle due anse dei contenitori). Questo genere di recipienti rappresenta il mezzo più efficace per garantire la conservazione e la spedizione di grandi quantitativi di merci per via marittima o fluviale.
Nelle navi lo stivaggio delle anfore avveniva impilandole le une sulle altre con un sistema “a scacchiera”, in modo che quelle dello strato superiore si inserissero fra tre colli delle anfore sottostanti. I contenitori si adeguavano alla forma della carena e venivano fissati e protetti dagli urti con ramaglie di ginepro, di erica, giunchi, paglia ed altro.
Le anfore venivano fabbricate nelle regioni di produzione delle merci, con forme diverse a seconda della provenienza, della cronologia e del contenuto. In età romana circolavano in tutto il Mediterraneo, spingendosi fino alla Britannia e al Bosforo, testimoniando l’unificazione commerciale, oltre che politica, dell’impero.
Il primo a comprendere l’importanza di questi oggetti per la ricostruzione dei traffici commerciali fu Heinrich Dressel, che alla fine dell’Ottocento studiò la relazione tra le diverse forme di anfore e le iscrizioni conservate su di esse. Così Dressel gettava un ponte tra archeologia, epigrafia e storia economica. Di qui si è sviluppata una solida tradizione di studi.
Oggi siamo in grado di attribuire le anfore a grandi blocchi di produzioni (italiche, galliche, iberiche, africane e orientali) e, all’interno di questi, a sempre più specifici ambiti di provenienza, riuscendo a “tracciare” i rapporti commerciali dei popoli del Mediterraneo.
Sono stati pure recuperati oggetti di uso personale dell'equipaggio e della scorta armata di bordo (elmi), quest'ultima necessaria per difendersi dai pirati che infestavano soprattutto le coste liguri. Tutti gli elementi raccolti permettono di datare il naufragio della Nave Romana di Albenga tra il 100 e il 90 a.C., momento che coincide con la concessione del diritto latino alle popolazioni liguri, con la romanizzazione della regione e con il conseguente sviluppo delle città.
RECUPERO DEL RELITTO
STORIA BREVE
Albenga. Ancora oggi costituisce uno dei più grandi relitti di navi onerarie romane oggi conosciute nel mediterraneo. E’ la nave romana adagiata sui fondali di Albenga. Venne scoperta casualmente da un pescatore nel 1925. Nelle sue reti finirono tre anfore risalenti all’età romana. La nave “riposa” a circa un miglio dalla costa ad una quarantina di metri di profondità. Solo 25 anni dopo, la SORIMA, (società specializzata che recuperò l’oro sul relitto Egypt,) effettuò un primo intervento di scavo e recupero del relitto. In particolare furono recuperate circa 1.000 anfore, in gran parte danneggiate nella parte superiore per le reti a strascico, ma anche per la pesante benna di recupero dell’Artiglio.
Soltanto nel 1957, con la creazione del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina Albenga, si iniziarono i primi rilevamenti del relitto.
Nel 1961 si affrontò il rilevamento ufficiale della nave adottando il sistema di quadri di rilievo in tubi rigidi formanti una rete di copertura sul relitto, a maglie di cm 150×150, che attraverso un sistema di ingrandimento fotografico in scala di tutti i quadrati (192 per l’esattezza) e il loro fotomontaggio diede le misure reali del cumulo di anfore emergente dal fondo: 26 Mt. di lunghezza e 7.5 di larghezza. Lo scavo iniziò subito dopo al rilevamento e lo stesso permise di accertare che vi era stato subito dopo il naufragio della nave un rapido insabbiamento del fondale e un riempimento di fango proveniente dal fiume Centa che fino agli inizi del Trecento sboccava di rimpetto al relitto.
I risultati più importanti furono raggiunti durante le campagne degli anni 1970 – 1971. Durante queste campagne si poterono costatare che gli strati di anfore erano come minimo quattro, la scoperta di tre ordinate (larghe 14 – 15 cm e alte 12 cm) distanti 10 cm tra di loro nonché la scoperta della lamina di piombo con le chiodatura in rame che fasciava il fasciame esterno, la scoperta della ceramica a vernice nera facente parte del carico impilata negli spazi vuoti tra le anfore la ceramica probabilmente era imballata con materiali leggeri (paglia o altro) e attorno ad essa frammenti di pietra pomice anch’essa come le anfore e le ceramiche di provenienza campana. Lo scavo permise altresì di individuare l’albero maestro che aveva un diametro di circa 50 cm.
A seguito dei risultati dello scavo si accertò che la nave Romana d’Albenga era lunga circa 50 m. larga almeno 10 m.t. e le anfore trasportate dovevano essere almeno 10.000.
Si tenga conto che le anfore pesano vuote kg 21.5, che il loro contenuto era di 26 litri ogni anfora pesava all’incirca 45 kg. – quindi la nave aveva una portata di 450 tonnellate.
Trattandosi di un record, ripetiamo ancora una volta che questa nave costituisce, ad oggi, uno dei più grandi relitti di navi onerarie romane oggi conosciute nel mediterraneo.
Per il tipo di anfore rinvenute sul relitto (Dressel 1b e poche anfore di forma Lamboglia 2), il tipo e la forma delle ceramiche rinvenute si è potuto collocare il relitto nel primo decennio del secolo 1 a.C.
Tra i materiali del carico sono stati recuperati 8 elmi bronzei, che potrebbero indicare la presenza di una scorta armata a bordo.
E’ ormai diventata famosa la “ruota di manovra” in piombo trovata dai palombari dell’Artiglio, ancora oggi di dubbia interpretazione e il corno in piombo che secondo il Lamboglia come facente parte della testa di un animale che doveva decorare la prua di questa magnifica nave.
Il professor Nino Lamboglia, a bordo della nave "Artiglio" (foto sopra) riuscì a recuperare in poco meno di un mese oltre 700 anfore, dando il via ad una campagna di scavi sommersi condotta in modo sistematico, la moderna "archeologia subacquea". Purtroppo all'inizio furono utilizzati strumenti inadeguati, tra cui una benna meccanica, che arrecarono dei danni irreparabili al carico della nave. Le ricerche che si sono susseguite negli anni hanno permesso di ampliare le conoscenze sulla nave ed il recupero di molto materiale tra cui elmi in bronzo ed oggetti di uso personale dell'equipaggio. Il carico, infatti, è ricchissimo ed in perfetto stato di conservazione nonostante la datazione delle anfore risale intorno al 100 a.C. Le anfore erano stivate con il tipico sistema delle navi onerarie romane e l'aspetto sorprendente è che le anfore pesino vuote circa 21 kg e che il loro contenuto era di 26 litri, per un peso complessivo di circa 45 kg. La nave aveva una portata di oltre 450 tonnellate ed è, ancora oggi, uno dei più grandi relitti di navi onerarie romane conosciute nel mar Mediterraneo.
Il sistema di sollevamento dei resti per mezzo della benna
Per il recupero dei relitti venivano impiegati scafandri rigidi e articolati, forniti di gambe e braccia terminanti con artigli metallici in grado di afferrare utensili. Il palombaro attraverso degli oblò poteva osservare l’esterno e comunicava con la superficie attraverso un cavo telefonico. Quaglia credette così tanto in questo progetto che nel 1927 acquistò in esclusiva gli scafandri rigidi tedeschi Neufeldt und Kuhnke.
LA NAVE
Ce lo spiega molto bene una descrizione tratta da www.antika.it/008704_nave-romana-di-albenga.html e qui riassunta: la nave oneraria di epoca romana rinvenuta ad Albenga (Savona – Liguria), era un’imbarcazione impiegata per il trasporto di merci, lunga 40 m e larga 12 m; essa poteva trasportare intorno alle 11.000/13.000 anfore vinarie e vari tipi di ceramica, tra i quali ve ne erano alcuni che erano stati realizzati in Campania per essere poi esportati in Francia meridionale e in Spagna.
Nel 1950 il professore Giovanni Lamboglia tentò il primo recupero dei reperti con l’aiuto della nave Artiglio, mentre nel 1961 furono realizzati i primi rilievi del relitto.
IL CARICO DELLA NAVE
La nave trasportava per la maggior parte anfore, alcune delle quali furono ritrovate integre, altre soltanto in frammenti costituiti da fondi e colli; il numero delle anfore e la capacità del relitto hanno portato a sostenere che la nave contenesse 13.000 pezzi.
Esse contenevano per la maggioranza vino, ma sono stati rinvenuti anche anfore con residui di noccioline. Le anfore erano chiuse con tappi di sughero, sigillati con la malta, alcune di esse presentavano sotto il tappo una pigna incastrata nel collo, con lo scopo di mantenere l’aroma del vino. Le anfore facenti parte del carico sono le Dressel 1; tre olearie Lamboglia 2 e alcuni frammenti di Dressel 27. Per quanto riguarda la ceramica, essa è presente nella campana A e C e d’imitazione; vasi a vernice rossa interna; urnette; olle; olpi e grandi boccali.
Tra i vari resti sono stati trovati anche due elmi in frammenti; un corno di ariete; una ruota di manovra; tubi; un mortaio; lamine; un tubetto in piombo e piccoli strumenti difficili da identificare. Per il tipo di anfore rinvenute (Dressel 1 B e Lamboglia 2) e il tipo e le forme della ceramica (Campana A, forme 5 e 31) e per gli altri vasi (Campana C, imitazione campana, vasi a vernice rossa interna, vasi a patina cenerognola e vasi comuni) la nave di Albenga è stata datata primo decennio del I a.C.
A cura di A. Eusebio
Nel 1925 il pescatore Antonio Biglione recuperò dal mare tre anfore di epoca romana, la cui posizione era di circa 1 miglio dalla costa e a 40 m di profondità. Nel 1948 l’avvocato Giovanni Quaglia, con lo scopo di verificare la presenza della nave, propose una prima campagna di indagini ed il Ministero della Pubblica Istruzione approvò tale richiesta. Fu stipulato un accordo secondo il quale i reperti recuperati sarebbero stati custoditi nel Museo Civico di Albenga.
LA PRIMA CAMPAGNA DI SCAVO
La campagna iniziò il mattino dell’8 febbraio del 1950 e fu il professor Giovanni Lamboglia a descriverla, vivendola in prima persona:
“Guidammo l’Artiglio, alle 8 del mattino dell’8 febbraio 1950, sulla località delle anfore, con la barca dello stesso pescatore Antonio Bignone e col geom. Fortunato Canepa, del comune di Albenga, pure appassionato pescatore. Fissati gli ormeggi, il palombaro Petrucci si calò per primo sul fondale, entro la torretta di osservazione che costituisce uno degli strumenti più preziosi dell’Artiglio; e, alla profondità di m. 40, telefonò subito che si vedevano anfore a centinaia, sparse in ogni direzione, su una linea di circa 30 metri di lunghezza e circa 10 metri di larghezza, formante una massa affusolata alta circa due metri sul fondale melmoso circostante”.
In seguito a questi rinvenimenti i ricercatori stabilirono di iniziare il recupero delle anfore e di constatare le condizioni della nave:
“Il giorno dopo, 9 febbraio furono issate a bordo le prime anfore, e l’interesse della stampa e del pubblico diventò immediatamente spasmodico, creando seri intralci al lavoro. Fu, ciò nondimeno, un’impressione indimenticabile veder salire a bordo le anfore intatte, a grappoli di cinque o sei, legate a doppio nodo con una fune dai palombari che lavoravano sul fondo, coperte dai colori vivissimi della fauna marina, che al sole si estinguono dopo pochi minuti, di alghe, incrostazioni calcaree e molluschi secolari”.
Dello scafo della nave non emersero resti, perciò si ipotizzò o che la nave fosse stata ricoperta dalla sabbia, oppure che lo scheletro del relitto, a causa del forte peso del carico e all’opera delle correnti marine, si fosse squarciato aprendosi sui due lati, lasciando intatte solo le anfore e probabilmente la chiglia.
Nei giorni successivi venne perfezionato il metodo utilizzato per sollevare le anfore, infatti fu impiegata una rete invece del sistema della legatura ad una fune, che riduceva le anfore in frammenti. Non era stato ancora risolto il dubbio della reale esistenza della nave, della sua posizione e delle sue condizioni di conservazione; perciò le ricerche furono rivolte verso l’estremità del relitto orientata verso il mare aperto.
Il 13 febbraio le ricerche ripresero per mezzo della benna, che aveva la capacità di sollevare una quantità maggiore di anfore e di raggiungere più velocemente la chiglia ed il 17 furono estratti i primi resti della nave. Il 18 lo scavo fu approfondito fino a 2 m, dalla buca furono estratte anfore prive di incrostazioni, ciò fu chiaro indice della vicinanza della chiglia. La campagna fu sospesa il 21 su decisione di Lamboglia e del prof. Pietro Romanelli (ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione).
Nel 1960 la “Daino”, protagonista di questa storia, trasformata in nave ricerche archeologiche sottomarine, assumendo la sigla NATO “A 5308”.
Nel 1962 una seconda esplorazione del relitto fu effettuata dalla nave DAINO così come altre spedizioni sottomarine negli anni seguenti su incarico e a cura del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina che proprio ad Albenga ha la sua sede nazionale.
Nave Romana A
Sito Centro Subacqueo Idea Blu
https://www.youtube.com/watch?v=9p2hJ0gZBQA&t=18s
https://www.centrosubideablu.com/13-immersioni/54-nave-romana-a
IMMAGINI DELL’IMMERSIONE DEL 2 AGOSTO 2014
IMMERSIONE SULLA NAVE ROMANA
DEEP DIVING ACADEMY
L’immersione sulla “Nave Romana di Albenga”, pur non presentando particolarità o difficoltà che la rendono eccezionale, ha tuttavia un fascino al quale è difficile rimanere indifferenti.
Una montagna di anfore poggia su un fondale sabbioso a poco più di 40 metri di profondità, intorno il nulla o quasi. Il 2 agosto 2014 alcuni pesci luna accompagnavano i sub.
Una oasi di storia e di vita accoglie il subacqueo che visita in sito, ogni anfora è diventata la casa o il rifugio di animali marini e così da luogo di memoria è diventato un ambiente di trasformazione, una culla dove nuova vita sorge tra i reperti di quella passata.
Villa san Giovanni in Tuscia - STORIA
Micaela Merlino
CHI ERA NINO LAMBOGLIA?
Nino Lamboglia è stato il padre dell’archeologia stratigrafica e di quella subacquea
Tra le figure di grandi studiosi di archeologia e di storia, l’Italia vanta Nino Lamboglia il padre dell’archeologia stratigrafica e di quella subacquea, che purtroppo, però, è poco conosciuto dal grande pubblico.
Nato a Porto Maurizio in provincia di Imperia il 7 Agosto 1912, già dagli anni dell’Università si interessò alla storia dell’Ingaunia, antica zona della Liguria di ponente.
Nel 1933, nello stesso anno in cui si laureò all’Università di Genova, fondò ad Albenga la “Società Storico Archeologica Ingauna”, quindi dal 1934 al 1937 fu Direttore della “Biblioteca Civica” di Albenga, facendola risorgere dopo un periodo di crisi. Fu poi nominato Commissario straordinario del “Museo Biknell” di Bodighera, fondato nel 1888 dall’inglese Clarence Biknell (1842-1918) che, tra l’altro, aveva scoperto e studiato le incisioni rupestri del Monte Bego. Il Museo raccoglieva le sue collezioni di botanica, ornitologia, archeologia e mineralogia.
In quegli stessi anni il Lamboglia conobbe il famoso archeologo genovese Luigi Bernabò Brea (1910-1999), dal 1939 al 1941 Soprintendente alle Antichità della Liguria, con il quale iniziò a collaborare in ricerche archeologiche nella Riviera di Ponente. Il Bernabò Brea fu il precursore in Italia dello scavo archeologico stratigrafico, che applicò nello scavo della grotta delle Arene Candide presso Finale Ligure, un sito di età Neolitica, e successivamente nello scavo dell’acropoli di Lipari in Sicilia quando fu Soprintendente alle Antichità della Sicilia Orientale.
Sempre animato da grande passione per le antichità e da grande energia, nel 1942 Nino Lamboglia fondò a Bordighera l’“Istituto Internazionale di Studi Liguri”, rivestendo la carica di Direttore per trentacinque anni, istituendo successivamente anche altre sezioni in diverse città della Liguria. Né va dimenticato che collaborò attivamente con la Soprintendenza alle Antichità della Liguria come Ispettore aggiunto, in molte ed importanti ricerche di archeologia locale.
La sua benemerita attività si segnalò anche in occasione della Seconda Guerra Mondiale, quando fu Direttore della “Biblioteca Civica Aprosiana” a Ventimiglia, la prima biblioteca pubblica aperta in Liguria e una delle più antiche d’Italia, fondata nel 1648 da Angelico Aprosio (1607-1681) monaco agostiniano e letterato, riconosciuta ufficialmente nel 1653 da Papa Innocenzo X, poi dagli inizi del XIX secolo amministrata dal Comune di Ventimiglia.
La biblioteca possedeva preziosi volumi, incunaboli e manoscritti, e già nel periodo della dominazione napoleonica in Italia aveva subìto furti e dispersione, ma dai primi decenni del XX secolo conobbe una rinascita e ciò grazie all’opera intelligente e zelante di alcuni bibliotecari, tra cui lo stesso Lamboglia, che paventando possibili danni al patrimonio librario e archivistico a causa degli eventi bellici, si attivò per garantirne la conservazione.
I rapporti tra Nino Lamboglia e Luigi Bernabò Brea continuarono ad essere proficui anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo il Bernabò Brea fondò in Sicilia il “Museo Archeologico di Lipari” insieme all’archeologa Madeleine Cavalier, sua infaticabile collaboratrice. Una seria e preparata studiosa che anche il Lamboglia stimò ed apprezzò affidandole nel 1948 le cariche di Segretaria e Vice Presidente della “Section Languadocienne” dell’ “Istituto Internazionale di Studi Liguri”, che mantenne fino al 1952.
Nel 1950 Nino Lamboglia su incarico della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa assunse la direzione degli scavi di Tindari, in provincia di Messina, e si dedicò anche allo scavo archeologico sottomarino della nave di Albenga, poi nel 1958 fondò il “Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina”, una struttura tecnico-scientifica deputata alle ricerche di archeologia subacquea.
In quello stesso anno ad Albenga si svolse il “II Congresso Internazionale di Archeologia Sottomarina”, e grazie al contributo del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero della Difesa Marina al Centro Sperimentale fondato dal Lamboglia fu affidata la nave “Daino” appositamente adattata per le ricerche archeologiche in mare. Dal 1959 al 1963 furono condotte campagne di scavo sottomarino a Baia, a Spargi (relitto di nave romana), a Punta Scaletta presso l’Isola di Giannutri nel 1963 (relitto di nave di età repubblicana), e nuove campagne di scavo ad Albenga (relitto di nave romana).
Poi il “Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina” si dotò di una propria nave denominata “Cycnus”, impegnandosi in importanti ricerche lungo le coste tirreniche. Archeologo sempre attento alla salvaguardia dei Beni Culturali, il Lambolgia si battè con decisione per salvare Villa Hanbury presso il promontorio di Capo Mortola a pochi chilometri dal confine con la Francia.
La villa possedeva un meraviglioso giardino botanico allestito dal 1867 dall’inglese sir Thomas Hanbury, coltivando specie vegetali di tutto il mondo, e diventando ben presto conosciuto ed apprezzato a livello internazionale.
Sir Hanbury morì nel 1907, ma il figlio Cecil e sua moglie Dorothy continuarono a prendersi cura della villa e del giardino, che però furono abbandonati nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Fu allora che il giardino rischiò di essere lottizzato, ma appunto il Lamboglia con grande tenacia nel 1960 riuscì a farlo acquistare dallo Stato Italiano, e nel 1962 il complesso fu dato in gestione all’ “Istituto Internazionale di Studi Liguri”.
Tra gli altri meriti del Lamboglia c’è quello di essere stato il primo archeologo italiano ad aver ricoperto nel 1974 la cattedra di “Archeologia medievale” nell’Università di Genova, nello stesso anno in cui fu fondata la rivista “Archeologia Medievale” diretta dall’ archeologo Riccardo Francovich (1946-2007). Sembra incredibile che il padre dell’archeologia subacquea italiana abbia trovato la morte proprio in mare, non durante una ricerca archeologica sottomarina ma a causa di un incidente.
La sera del 10 Gennaio 1977 mentre era alla guida del suo autoveicolo in compagnia del collaboratore Giacomo Martini, fatalmente tratto in inganno dalla folta nebbia e dall’oscurità che impedivano una corretta visibilità, durante le manovre per salire sulla rampa di accesso di un traghetto sbagliò direzione, precipitando nelle gelide acque del mare. La morte tragica e prematura del grande archeologo, e del suo collaboratore, lasciò sconcertati e addolorati i suoi colleghi studiosi, i suoi studenti e quanti avevano avuto modo di conoscerlo e di apprezzarlo.
Per ricordarlo, sull’Isola della Maddalena in Sardegna gli è stato dedicato un Museo, perché nei pressi dell’isola di Spargi Lamboglia aveva recuperato alcuni reperti. In occasione del quarantennale della tragica morte, la “Sezione di Imperia” dell’ “Istituto Internazione di Studi Liguri” il 10 Gennaio scorso ha reso omaggio all’illustre studioso con una cerimonia svoltasi presso la sua tomba, nel cimitero di Porto Maurizio.
L’eredità che Nino Lamboglia ha lasciato, non solo agli studiosi di archeologia, è di grande importanza: la ricerca ha sempre bisogno di coraggiosi “iniziatori” di nuovi metodi di indagine, proprio come lui è stato; per ricostruire in modo esauriente la storia di una civiltà e del territorio nel quale si è formata, e trasformata, occorre avere attenzione non solo per le “fasi classiche” ma anche per i periodi preistorici, e similmente per quelli tardo-antichi e medievali, e il Lamboglia non ha mai prediletto una fase storica rispetto ad un’altra ma tutte ha trattato e studiato con uguale interesse e rigore scientifico.
Una seria ricerca archeologica non si accontenta delle indagini nel terreno, ma scruta con lo stesso impegno gli abissi marini, poiché terra e mare allo stesso modo conservano tracce cospicue dell’uomo, della sua storia, della sua cultura, e il contributo da lui dato all’archeologia subacquea italiana è stato di importanza fondamentale.
L’archeologo non può limitarsi allo studio dei contesti che intende indagare, perché non è né uno “scavatore” nè un intellettuale avulso dalla sua società e dalle urgenze contingenti del momento storico e culturale in cui vive, ma ha il dovere di vigilare con amore, e di far sentire la sua voce con fermezza tutte le volte che qualcuno, o qualcosa, minacciano l’integrità, la sopravvivenza e la trasmissione alle generazioni future dei Beni Culturali, sottraendosi alla logica della speculazione, del guadagno di pochi, dell’indifferenza o della rassegnazione, proprio come ha fatto lui.
L’archeologia per Nino Lamboglia non fu una disciplina a cui dedicare tempo ed energie, ma una scienza che ha performato ed “invaso” tutta la sua vita, identificandosi con essa e andando anche oltre, grazie alla preziosa eredità che ha lasciato.
Micaela Merlino
ANFORE
Aspetti generali
Struttura dell'anfora
Le classificazioni delle anfore
La tebella Dressel
La tabella Lamboglia - Benoit
Esempi: le anfore cananee
Esempi: le anfore greco - arcaiche
Esempi: le anfore greco - italiche
Esempi: le anfore fenicie e puniche
Esempi: le anfore Etrusche
Esempi: le anfore imperiali
La più antica e famosa classificazione di questi vasi biansati senz'altro quella data dall'archeologo tedesco Henry Dressel, che visse molti anni a Roma e nel 1899 studi i marchi delle anfore del Monte Testaccio.
Questo monte, vicino a Porta Portese (Roma), d un'idea del grande uso che veniva fatto di questi recipienti in epoca romana; non altro infatti che una discarica di cocci d'anfora alta 30 metri.
La tabella Dressel (da Corpus Inscriptionum Latinarum) una classificazione tipologica delle anfore romane e, nonostante l'opinione contraria di molti archeologi, anche una tabella cronologica, seppure con molte lacune. Viene universalmente adottata, perchè il punto di partenza delle classificazioni posteriori; si legge a righe successive: la prima si riferisce alle forme repubblicane (II e I secolo a.C.), le altre a forme imperiali (I-III secolo a.C.).
Il compianto professor Nino Lamboglia, assieme al collega francese Fernand Benoit, ha rivisto e rielaborato la primitiva tabella Dressel con una nuova tabella, riordinando le varie forme, con una maggiore attendibilità cronologica.
La più completa e documentata classificazione a cui mi riferisco riguardo alle anfore quella pubblicata dall'archeologo francese Jean Pierre Joncheray nel 1976, con il titolo "Nouvelle classification des anphores dcouvertes lors de fouilles sousmarines".
Si tratta della descrizione tipologica e cronologica delle anfore recuperate lungo i litorali francesi; l'autore un appassionato archeologo oltre che un ottimo sommozzatore. I francesi hanno fatto maggiori progressi e sono a un livello superiore al nostro nella ricerca e nello studio dell'archeologia subacquea.
Lorenzo Mari tratto da 'Speciale Archeosub' supp.to n. 79 di Sub - 6/91
FONTI: Museo della Nave Romana di Albenga
BIBLIOGRAFIA
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Lamboglia, Diario di scavo a bordo dell’ “Artiglio”, in “Rivista Ingauna e Intemelia”, V, 1, gennaio-marzo 1950, pp. 1-8.
N. Lamboglia, La nave romana di Albenga, in “Rivista di Studi Liguri”, XVIII, 3-4, luglio-dicembre 1952, pp. 131-203.
N. Lamboglia, Il primo saggio di scavo sulla nave romana di Albenga, in “Rivista Ingauna e Intemelia”, XVII, 1-4, gennaio-dicembre 1962, pp. 73-75.
F. Pallarés, Nino Lamboglia e l’archeologia subacquea, in “Rivista di Studi Liguri”, LXIII-LXIV, gennaio-dicembre 1997-1998, pp. 21-56.
A cura di Carlo GATTI
Rapallo, 16 Febbraio 2023
LA COMETA DI NEANDERTHAL
Cometa di Neanderthal
Foto di Michael Jäger
La Cometa C/2022 E3 (ZTF), scoperta il 2 Marzo 2022, dagli astronomi Bryce Bolin e Frank Masci, ritorna nel Sistema solare dopo 50.000 anni, cioè da quando sulla Terra viveva l’uomo di Neanderthal (da ciò deriva il suo nome).
E’ consigliabile, andare in zone buie, guardare verso Nord con un binocolo o un telescopio e così si può osservare che, come accade in genere a tutte le comete, ha due code: una coda formata da polvere (più luminosa e di colore biancastro) depositata lungo la sua orbita e una coda formata da ioni plasma, trasportato dal vento solare, di colore bianco bluastro) visibile nella direzione opposta al Sole.
Nota: le code sono difficilmente osservabili anche con strumenti, soprattutto da luoghi cittadini.
Anno 2023
Il 12 Gennaio la Cometa è nel punto più vicino al Sole e il 1 Febbraio è alla minima distanza dalla Terra (42 milioni di chilometri).
Dal 17 Gennaio al 5 Febbraio è visibile tutta la notte attorno alla Stella Polare; in dettaglio: il 22 Gennaio è nell’Orsa Minore, dal 29 Gennaio è nella Giraffa e poi si sposta nell’Auriga.
Il 15 Febbraio la cometa è nel Toro, vicino alla stella Aldebaran, poi “scende” verso Orione, passa vicino alla stella Rigel e ci “saluta”.
A cura dell'Associazione Culturale il SESTANTE - Chiavari
La scienza senza la religione è zoppa
la religione senza la scienza è cieca.
EINSTEIN
Chiavari, 12 Gennaio 2023
Lunazioni, stagioni e segni zodiacali - 2023 - IL SESTANTE
2023
Commenti astronomiciwww.ac-ilsestante.it sestanteinfo@libero.it |
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Capodanno è di Domenica e, come quasi tutti gli anni (ad eccezione degli anni bisestili), anche l’ultimo dell’anno, cade nello stesso giorno: Domenica.L’anno inizia con Luna crescente e termina con Luna calante.L’Equinozio di Primavera è Lunedì 20 Marzo alle 22:26.La 1^ Lunazione, detta Lunazione di Primavera, è Martedì 21 Marzo alle 18:27.Per fissare la data della Pasqua (secondo il metodo canonico), si aggiungono 14 giorni al 21 Marzo e, nella prima domenica successiva, si fissa la data della Pasqua: 9 Aprile.E’ una Pasqua media * come nel 1871, 1882, 1939, 1944, 1950, 2023, 2034, 2045 …In Agosto vi sono 2 Lune Piene che si vedono più grandi del solito, perché la Luna è più vicina alla Terra; la Luna Piena di Giovedì 31 Agosto, è chiamata Luna Blu *, perché è la 2^ Luna Piena del mese (è bene precisare che la Luna non è di colore blu).Eclissi - 20 Aprile Eclissi anulare di Sole non visibile dall’Italia - 05 Maggio Eclissi parziale di Luna visibile dall’Italia al tramonto - 14 Ottobre Eclissi anulare di Sole non visibile dall’Italia - 28 Ottobre Eclissi Parziale di Luna visibile dall’Italia alla seraOra Legale Estiva alle ore 02:00 di Domenica 26 Marzo, si portano gli orologi avanti di 1 ora e alle ore 03:00 di Domenica 29 Ottobre, si portano gli orologi indietro di 1 ora ovvero alle ore 02:00 (la 2^ ora dalle 02:00 alle ore 03:00 è denominata, agli effetti di legge, Ora bis) *.* La Pasqua bassa è dal 22 Marzo al 2 Aprile – La Pasqua media è dal 3 al 13 Aprile – La Pasqua alta è dal 14 al 25 Aprile.* Secondo alcuni studiosi, il termine Luna Blu deriva dall’usanza inglese di stampare sui calendari, di colore blu, la 2^ Luna Piena del mese, per distinguerla dalla prima. E’ abbastanza raro che vi siano 2 Lune Piene in un mese e, per questo motivo, gli inglesi dicono Once in a Blue Moon = Una volta ogni Luna Blu che è simile a Una volta ogni morte di Papa.* Domenica 29 Ottobre, ritorniamo all’Ora Solare Media del 1° Fuso Est e tutto il Fuso ha la stessa Ora Solare Media del Meridiano di Longitudine 15° Est, passante per l’Etna e Termoli, pertanto non passiamo all’Ora Solare vera (come dicono gli organi di informazione), perché ogni località ha un’Ora Solare vera diversa, a seconda della sua Longitudine e, per ovviare a questa diversità, nel 1866 venne unificata l’ora in tutta l’Italia.
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2023
Lunazioni, stagioni e segni zodiacali
Associazione Culturale
Il Sestante
31 Dicembre 2022
LUIGI ONETO, UN COMANDANTE DI ALTRI TEMPI
COMANDANTE LUIGI ONETO
di Camogli
Introduzione
“ NAVIGARE NECESSE EST, VIVERE NON EST NECESSE ! ”
” Navigare è indispensabile, vivere no ! “
E’ l’incitazione che, secondo PLUTARCO, Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza ad imbarcarsi alla volta di ROMA a causa del cattivo tempo.
Ma chi é il navigante ?
Il 2012 é l’anno del TITANIC, il successivo sarà quello del REX per gli 80 anni del suo Nastro Azzurro. Gli scaffali della ‘Libreria del Mare’ traboccano di ciminiere colorate, e pare che le prue delle navi passeggeri stampate in copertina si stacchino in cerca di un ormeggio in porto. Ne prendo uno a caso, e comincio a sfogliarlo ponendomi la stessa domanda di sempre:
“Ci sarà un’anima in questo libro? Oppure sarà la solita ricerca d’archivio con belle immagini risanate al computer? Sarà il frutto del committente di turno in cerca di propaganda familiare e aziendale, oppure scoprirò finalmente un nuovo scrittore di talento?”
Alla fine ci casco sempre e passo all’acquisto. La mia libreria casalinga ormai rolla e beccheggia come un vapore nella burrasca. Poi, a malincuore, annoto la solita delusione. La letteratura marinara italiana soffre di un mal di mare inguaribile. Ci racconta di liners e di celebrate compagnie di navigazione, di navi sempre più grandi ed efficienti, di eccezionali strumentazioni collegate a progressi scientifici spaziali, senza mai raccontare alcunché della vita di bordo, degli equipaggi, degli uomini che le comandano nelle bonacce e nelle tempeste negli irrequieti Seven Seas. Mi prende la nostalgia per il passato e penso a Vittorio G.Rossi che il mare l’aveva dentro e sapeva ‘sbattercelo’ in faccia con tutti i suoi umori salmastri. Ma di lui si parla poco o niente, i suoi scritti sono introvabili, e mi manca soprattutto quando i tragici fatti dell’Isola del Giglio, mi ricordano quanto poco si sappia degli uomini mare, di quella razza che vive sospesa nel cavo dell’onda come recita il detto:
“ I vivi, i morti e i naviganti ”
Tutto ciò mi rattrista perché rivela un diffuso malessere in questo ‘Paese di poeti, santi e navigatori’ che stenta a sollevarsi, a guardare oltre la linea dell’orizzonte e a prefigurarsi un futuro degno della sua invidiabile tradizione.
Quando i ‘topi d’archivio’ riempiono le librerie di mare senza dire nulla di marinaro, significa che lo ‘stivale’ non é più in mezzo al mare, ma si é spostato in una grande palude. Forse é lo stesso scenario immaginato da Seneca già duemila anni fa quando scriveva:
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare!”
Chi invade il campo marinaro senza rendergli giustizia commette un errore gratuito di valutazione, ma é quasi sempre esente da colpe. Occupare uno spazio vuoto é un rito meccanico, fisiologico, lo si compie per colmare un vuoto lasciato intenzionalmente per motivi a volte insondabili di chi glissa sulla propria vita; é una scelta meditata e riveste la sfera privata. Il marinaio accetta di lasciare la terra e viaggiare in incognito verso una via che anno dopo anno lo allontanerà dagli affetti più cari e dagli antichi compagni di scuola. Sa di appartenere ad un mondo che non é in vendita, ma che premia i suoi figli migliori e respinge con crudeltà quelli più arrendevoli. A suo modo si sente un privilegiato, un uomo scelto dall’alto per una missione impegnativa che lo riempie di visioni e conoscenze vere, non virtuali, di sentimenti forti, non potenziali e fittizi.
A volte succede che il navigante decida di raccontare qualcosa degli strani labirinti esistenziali della vita di bordo, ma a questo punto affiora un’altra anomalia. Egli ha già messo nelle mani di Dio le sue confessioni ed ha già perdonato il male ricevuto. I suoi personaggi non sono più esseri umani impastati di bene e di male, come accade in ogni angolo della terra, ma sono compagni d’avventura o di sventura che vanno capiti e perdonati perchè accomunati dallo stesso destino. In questi racconti non c’è spazio per l’orgoglio ferito, i rancori, le invidie, gli errori fatali, le cattiverie reciproche, la diffamazione e le critiche gratuite.
Quando la nave arriva in porto, il navigante dimentica e si rigenera, si trasforma e risorge. L’incubo di una ‘nave-cella’ in mezzo al mare svanisce con un colpo di ‘redazza’ ben assestato tra le mura di casa cancellando ogni brutto ricordo residuo.
Come per incanto, la ferita cessa di sanguinare e il suo racconto s’intreccia con ricordi falsati e sbiaditi, con piccole bugie ed omissioni. La sua purificazione é rapida e completa. La rassegnazione è il sentimento che resta in sospeso, ma non é mai in discussione, bensì il prezzo da pagare per chi é nato lì, dove arriva e riparte il mare. Passano i giorni e si fa sotto l’ansia che deve imbarcare, soffrire, condividere il viaggio con i nuovi compagni, morire un’altra volta, risorgere e poi dimenticare.
L’uomo di mare non é un santo!
Il suo mondo é inflazionato d’arrivisti, carrieristi e gelosi della propria professione con atteggiamenti a volte molto discutibili, proprio come un qualsiasi manager di terra, ma a differenza di questi, percepisce i rintocchi della campana di bordo come il monito che batte il trascorrere del ‘tempo’ ma anche il suo inesorabile cambiamento: l’imminenza della tempesta, dei pericoli nautici rende tutti uguali dinanzi a Dio, nell’umiltà, nella prudenza, nella sofferenza e nella speranza di uscirne vivi.
L’etica del capitano di mare sta nel tenere costantemente sotto osservazione due bussole:
Quella di bordo, che gli indica la direzione da seguire con i ben noti
punti cardinali:
Nord-Est-Sud-Ovest
Quella che ha dentro di sé, che gli indica le:
virtù cardinali:
prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
I divi-capitani sono sporadiche eccezioni che, prima o dopo, smarriscono queste bussole pur sapendo che il dio-mare non accetta sfide e non sa perdonare. Mai!
Qui finisce la storia che é vecchia come il mondo. Il valore di certi libri non può che essere monco, anzi, senza anima. Il ‘topo d’archivio’ scrive di navi, ma non vanta alcuna conoscenza dell’umanità marinara. Egli non può intuire le modalità che ogni capitano usa di volta in volta per consegnarsi alla nave, dandole il suo carattere, persino il proprio linguaggio, vivendo in simbiosi con essa come fosse un inconfessabile amante. Questo legame é fortissimo e fa parte di una giungla di sentimenti difficilmente comprensibile ad un estraneo a questo mondo arcaico, leggendario, superstizioso, a suo modo spirituale e religioso, a volte anarchico verso la terra matrigna e lontana che non lo capisce.
Talvolta i rapporti umani tra i membri dell’equipaggio possono complicarsi e assumere risvolti psicologici inafferrabili che, senza voler scomodare J.Conrad costituiscono, ancora oggi, materia d’indagine per corsi universitari di psichiatria. Se il comandante é nervoso, il suo malumore si diffonde come un ordine calato vertiginosamente dal vertice della piramide fino alla base attraverso persone con gradi e responsabilità diverse. La nave percepisce qualsiasi anomalia e risponde, a modo suo, con vibrazioni e lamenti che il suo comandante interpreta come segnali di buona o cattiva navigazione.
Non molti lo sanno, ma la nave é fortunata o sfortunata, allegra o triste, ubbidiente o capricciosa; essa é come la vuole il suo Capitano e, quando questi scende a terra, entra in sofferenza e spesso si ammala.
Un tempo, proprio sulle navi di cui tra poco ci occuperemo, si diceva:
‘Se il Comandante é felice, lo é tutto l’equipaggio!’
CAPITANI D’ALTRI TEMPI…
IL COMANDANTE LUIGI ONETO
L’imbarco sul REX. In guerra sulla VIRGILIO. L’affondamento dell’ADREA DORIA. Il comando sulla MICHELANGELO e RAFFAELLO.
Il dott. Gianni Oneto ci racconta suo padre.
Il Capitano Superiore di Lungo Corso Luigi Oneto di Camogli
L’uomo di mare che oggi vi presentiamo meriterebbe una biografia ben più completa della modesta intervista che segue, se non altro per il lungo e complesso percorso iniziato sette anni prima della Seconda guerra mondiale e terminato con l’esplosione del mondo crocieristico negli anni ’70.
Per capire il mondo del com.te Luigi Oneto occorre partire da lontano, da un dato terribile: il 10 giugno del 1940 l’Italia entrava in guerra con circa 3.500.000 di tonnellate di naviglio. A guerra terminata poteva contare soltanto su 300.000 tonnellate. Oltre trentamila furono i marittimi uccisi. Tra i superstiti vi furono sicuramente i più fortunati, ma questi si erano fatti più forti, più duri essenzialmente in virtù delle esperienze belliche e para-belliche vissute sulla propria pelle.
Ognuno di loro raccontò la ‘sua’ storia privata ricca d’insidie soltanto in famiglia e agli amici: bombe d’aerei che cadevano a grappoli intorno alla nave, sfiorate decine e decine di mine sparse in mezzo al mare, siluri evitati per pochi centimetri, navi affondate, equipaggi recuperati e poi affondati per la seconda volta nello giorno, come capitò a tanta gente di mare in quei terribili frangenti.
Quante storie ignorate e dimenticate! Quante biografie scritte sull’acqua e spazzate via dalle onde oltre quella linea d’ombra che é già … al di là!
Il comandante Luigi Oneto fu uno di loro. Un superstite, un reduce che, grazie alla sua fermezza e al suo coraggio, divenne uno dei più brillanti Capitani di Mare del dopoguerra. Di lui esiste solo qualche articolo di giornale ormai ingiallito e qualche notizia presso qualche Associazione di ‘vecchi marinai’ come la nostra.
Leggendo il curriculum del comandante Luigi Oneto, mi sono reso conto d’averlo ‘sfiorato’ diverse volte nei primi anni ’60, durante i miei imbarchi da Allievo Ufficiale sulle M/n Saturnia-Vulcania-Marco Polo della Società Italia. Purtroppo, non feci in tempo a conoscerlo neppure quando entrai nel Corpo Piloti del Porto di Genova, perché era da poco andato in pensione. L’anno in cui raggiunsi il mio ‘retire’ il comandante Oneto mancò. Nella Società Capitani e Macchinisti di Camogli, che ripresi a frequentare negli anni successivi, era ancora vivissimo il suo ricordo umano e professionale. Per ricostruire a grandi linee la sua carriera, ho pensato di affidarmi ai ricordi del figlio Dott. Gianni Oneto, con la speranza di cogliere e ‘salvare’ alcuni dati peculiari del suo carattere, la comprensione etica e morale dell’uomo che ha fatto anche discutere molti ‘terrestri’, ma facendo trionfare, alla fine, l’onestà, l’onore e le capacità professionali di un vero marinaio ligure. Ma veniamo alla prima domanda:
– So che lei si é diplomato all’Istituto “Nautico” S.Giorgio di Genova, ha navigato come ufficiale e si é laureato in Economia Marittima all’Università di Napoli. Dott. Oneto abbiamo in mano il ‘Libretto di Navigazione’ di suo padre. Ritorniamo indietro nel tempo e proviamo ad imbarcarci con lui.
Mio padre nacque a Genova nel 1911 da genitori di antica tradizione marinara di Camogli, fu l’ultimo di dieci figli, di cui sette sono arrivati alla vecchiaia!
All’età di vent’anni, di propria volontà, scelse la vita di mare. Si diplomò nel 1933 presso l’Istituto Nautico di Camogli. I primi imbarchi li fece con la Società Alta Italia (Armam. Piaggio) sui piroscafi Perseo, Mongioia, Montello e Monfiore, anche se il primo imbarco lo fece sul P.fo Ravenna (la prima nave da carico dei Costa).
Non era più un ragazzino, in realtà, di quei primi imbarchi so molto poco. Erano gli anni della grande depressione economica mondiale e l’armatore per riuscire ad avere un margine accettabile tra noli incassati e costi variabili della nave faceva il massimo delle economie imponendo agli equipaggi turni pesanti (4h di guardia e 4h di riposo). Persino alcune casse-acqua di bordo erano riempite di carico. Per quel che ne so, la nave portava carbone dall’Inghilterra all’Argentina e ritornava verso l’Europa con grano; oppure facevano scalo nel Golfo del Messico. L’acqua, come si diceva, era sacrificata al carico, quindi era sempre razionata. La cosa che amava ricordare da vecchio, era un ingegnoso sistema, di cui non ricordo i dettagli: si trattava di un grosso straccio pulito usato per lavarsi con pochi litri d’acqua di lavanda al giorno. Ce lo raccontava in modo divertente, ma anche con orgoglio. Non so perchè, ma le mie sorelle ridevano come matte. Forse non immaginavano quanto la finissima polvere di carbone, caricato fino alla ‘marca’, penetrasse dovunque e coprisse completamente la nave come un velo.
Le autostivanti erano ancora di là da venire. Le soste nei porti duravano settimane e gli equipaggi apprezzavano molto la navigazione in banchina! Una volta chiesi a mio padre se la guardia 4+4 era molto pesante, lui mi rispose: “No, non é pesante, perché una volta in banchina sostavamo per almeno 15 gg. e senza nemmeno troppi vincoli ” Mio padre non si lamentava mai !
– Di suo padre si dice che fosse un Comandante di altri tempi, un uomo carismatico, un professionista esemplare; severo come tutti i padri del dopoguerra. Com’era tra le mura domestiche tra un imbarco e l’altro?
Mio padre fu un uomo del suo tempo che visse la sua carriera nell’ascesa, il culmine e la fine del periodo d’oro dei grandi transatlantici. Andò in pensione a 60 anni nel 1971, quando ormai tutte le nazioni di grande tradizione marinara smobilitavano o convertivano i loro liners in navi da crociera.
Ripeto, fu l’ultimo di dieci figli e credo che ciò abbia influito, non poco, sul suo carattere aperto e cordiale, ma anche sulla sua ‘filosofia di vita’, in tutti i sensi.
Si reputava, con sincera modestia, il più normale degli uomini. Di certo non era il tipo da lambiccarsi il cervello per cose più grandi di lui…
Quando era in licenza, oppure a casa per una o due sere, usava, come si suol dire, ‘tirare giù la saracinesca’. Invitare un collega a casa anche soltanto per un’ora, era cosa rarissima; poteva forse capitare, una volta ogni 2 o 3 anni. Dei fatti di bordo parlava pochissimo, almeno in nostra presenza ed il suo tempo lo dedicava interamente alla famiglia, al bricolage domestico ed al contatto con i fratelli, sorelle e le rispettive famiglie.
– Bene! Ora andiamo a conoscere le navi della Società Italia su cui fu imbarcato il comandante Luigi Oneto.
M/n AUGUSTUS in navigazione nella versione anteguerra
La prima nave della Soc. Italia su cui imbarcò fu la vecchia AUGUSTUS. Poi, nel 1938, inaspettatamente, si ritrovò con il grado di 3° ufficiale sulla nave REX. Credo che mio padre si sentisse molto orgoglioso di far parte dello Stato Maggiore della nave-simbolo dell’Italia sul mare e di essere a tal fine stato scelto dalla Società.
Il REX in navigazione. La nave che vinse il “Nastro Azzurro” rimase per sempre nel cuore del comandante Luigi Oneto.
New York – Il REX (il primo a sinistra) é ormeggiato al Pier 84 della Soc. Italia di Navigazione. Negli altri Piers si notano i più grandi “liners” dell’epoca.
– Il REX era anche la nave più tecnologica dell’epoca. Ricorda qualche suo aneddoto?
Tutta la nuova tecnologia dell’epoca era applicata su quella gigantesca nave, di certo imparò molto dal lato professionale. In famiglia si ricorda per esempio, che mio padre ebbe a dire che a bordo di quel ‘gigante’ c’erano troppi ‘scienziati’. Un modo di dire certamente, ma che rivelava quanto poco ammirasse chi cercava di mettersi in mostra. Per lui la parola ‘scienziato’, come veniva usata a bordo, non era un gran complimento. Un complimento era semmai ‘cervellin’, detto proprio in genovese, con cui s’intendeva un tecnico molto preparato sul piano teorico, ma anche molto bravo e pronto a risolvere velocemente qualsiasi problema, tipo quelli che “ogni ora a bordo il cielo ci manda”. Lui era assolutamente certo di non appartenere a nessuna delle due categorie.
Delle navi passeggeri, credo che in fondo gli piacesse il fatto di essere in mezzo a tanta gente, di ogni razza e provenienza, due volte per ogni viaggio: andata e ritorno. I grossi ‘Liners’ di quei tempi, occorre ricordare, non portavano solo i ricchi in prima classe, ma anche tanti tristi emigranti in cerca di lavoro e fortuna al di là dell’Oceano Atlantico. Questa complessa convivenza sociale a bordo era spesso sottolineata da mio padre.
– Quali furono le altre navi su cui imbarcò suo padre nel periodo tra le due Grandi Guerre?
Nella seconda metà degli anni trenta, oltre che sul vecchio AUGUSTUS e REX navigò anche sulla PRINCIPESSA GIOVANNA. (vedi foto sotto)
– Può dirci qualcosa sull’arruolamento degli ufficiali della Società Italia.
A quel tempo si diceva che solo la ‘crema’ degli ufficiali usciti dai Nautici italiani sarebbe entrata a far parte degli organici della Società Italia. Mio padre entrò in ‘organico’ nel Ruolo Navi Passeggeri all’inizio del 1940 e fu una vera tappa miliare nella sua vita di giramondo, o meglio, di tranviere dell’Atlantico, come avrebbe detto Lui!.
All’epoca, per gli ufficiali di coperta e di macchina, c’erano due Ruoli: il ‘Ruolo Carico’ e il ‘Ruolo Passeggeri’, che erano assolutamente impermeabili tra loro. Nel primo Ruolo la carriera era più rapida, perché erano richieste meno attitudini. Nel secondo Ruolo, come vedremo, gli avanzamenti di grado erano lentissimi.
– Ritorniamo al Libretto di Navigazione.
La M/n VIRGILIO (gemella della ORAZIO) *
Nel Marzo del 1940 mio padre imbarcò sulla M/n VIRGILIO. Era una nave mista che operava sulla linea del Centro America-Sud Pacifico sino a Valparaiso (Cile). Fu un imbarco lunghissimo: oltre tre anni. Su questa nave navigò in qualità di ufficiale capo-guardia e, conoscendo il suo carattere, immagino che ne fosse felice. Su quella linea, forse la più interessante tra quelle battute dalla Società Italia, portò a termine oltre 50 viaggi in tutta la sua carriera.
Mio padre, navigando tra le sponde degli oceani, ‘viveva e respirava’ – più di tanti altri – i tragici venti bellici, e la dichiarazione di guerra all’Inghilterra gli parve una pura follia… Ma per tutto quel che ho letto in seguito, oltre ai ricordi personali, quel tipo di valutazione personale, sia tra gli ufficiali della marina mercantile che di quella militare, era tutt’altro che isolata o limitata ai gradi inferiori. Per farsene un’idea abbastanza precisa, era sufficiente considerare lo sviluppo industriale anglo-americano di quegli anni, per non cadere in certe scelte politiche…
Comunque, mio padre fece in tempo a rientrare in Italia dal viaggio e la sua nave fu prudentemente fermata a Genova, come altre unità del gruppo IRI.
– Adesso sono io che le propongo una domanda:
“Perchè l’IRI fermò un numero non indifferente delle sue navi mentre, com’é noto, le navi degli Armatori privati continuarono a partire dai porti italiani per ogni dove, praticamente fino all’ultimo giorno di pace ?
– Sono sicuro che qualche storico di professione interverrà per dipanare questi dubbi (politici) su quella delicata fase storica del nostro Paese.
Eravamo rimasti all’inizio della guerra…
Ai primi di Giugno del ’40, mio padre pensava che la storia italiana avesse imboccato una strada di non ritorno e che la guerra fosse ormai imminente. Così fu, ed il 10 Giugno toccò al nostro Paese entrare in guerra.
Ormai, la soddisfazione professionale che mio padre assaporò pochi mesi prima, si era ridotta a ben poca cosa. Sono comunque sicuro che non stette molto a pensare sul da farsi; non perdeva mai tempo a lambiccarsi il cervello sulle cose impossibili, sia in mare, sia nella vita privata. A quel punto, forse si rallegrò di non essersi ancora sposato, e sapeva che sua madre e le sue sorelle si sarebbero facilmente ‘imboscate’ nella casa di Pissorella sulle alture di Camogli. In quella casa che era appartenuta a suo padre e prima ancora a suo nonno, andavano del resto tutte le estati.
La VIRGILIO dopo la trasformazione in nave-ospedale
L’incendio scoppiato a bordo della VIRGILIO dopo l’attacco aereo del 9 luglio 1941
Una bella immagine della VIRGILIO alle boe
Aspettò ben poco tempo. La VIRGILIO su cui era imbarcato, fu rapidamente trasformata in Nave-Ospedale. L’equipaggio di coperta e di macchina della Società Italia rimase a bordo ‘militarizzato’, mentre dalla Regia Marina giunse il personale medico e RT. Su quell’unità mio padre rimase oltre 3 anni senza sbarcare. Sostanzialmente i viaggi erano sempre gli stessi: Napoli-Porti Libici e ritorno, con Sicilia e isole minori sovente incluse. Tra l’altro rifiutò uno scambio con un collega pari grado, che lo avrebbe portato ai lavori a Genova (ossia a casa) per la trasformazione di una nave passeggeri italiana (la ROMA n.d.r.) nella portaerei AQUILA. (Andò a finire che l’Aquila non si fece più, e il suo collega morì in guerra).
In teoria, una ‘Nave Ospedale’, non avrebbe mai dovuto essere coinvolta in operazioni belliche navali, ma non fu così, perché spesso gli equipaggi si trovarono sotto i bombardamenti aero-navali, mitragliamenti vari e susseguenti incendi; ci furono pure la morte del comandante a bordo, varie vittime, ed ordini assurdi di Supermarina. Per ogni viaggio la nave trasportava centinaia e centinaia di soldati feriti o morenti di ritorno dal fronte. In seguito ricordava quel periodo con tanta tristezza per lo scempio di vite umane cui aveva assistito.
– Dove si trovava suo padre l’8 settembre del 1943?
Mio padre sbarcò a La Spezia il 9 Settembre del 1943 per ordine della Società. La flotta navale di stanza a Spezia era partita nella notte, quel famigerato 8 Settembre con la nuovissima corazzata ROMA che affondò subito dopo, come sappiamo, fuori dell’Asinara. Mio padre aveva poco ‘penchant’ per le cose militari e non ricordava nulla di quel movimento di navi da guerra. La sua nave-ospedale, nell’attesa di fare lavori di manutenzione, credo sia stata saccheggiata e quindi sequestrata dai Tedeschi in quei terribili giorni di caos.
Il lato paradossale della sua carriera militare come ‘guardiamarina’, sta nel fatto che non dormì mai una notte in caserma (la legge di allora lo prevedeva, perché era il quinto figlio maschio, di cui quattro avevano già prestato il servizio militare).
La sera del 9 Settembre tornò nella casa sopra Camogli, dove nel frattempo si erano trasferiti anche i fratelli sposati con le relative famiglie. Iniziò per lui un periodo molto particolare.
Non aver nulla da fare è la peggior disgrazia che possa capitare a chiunque, ma soprattutto a chi lavorava e vegliava anche nelle ore di riposo, proprio come succedeva agli uomini di mare in navigazione su percorsi di guerra, tra agguati di sottomarini e mine più o meno vaganti. Questo capitò a mio padre.
In realtà, dopo l’8 settembre, egli era confinato in quella casa in una sorta di “arresti domiciliari” ma, paradossalmente, non poteva farsi trovare in casa se l’avessero cercato i nazi-fascisti. La casa e il giardino erano molto grandi e, tra un lavoretto e l’altro, aveva studiato e predisposto tutte le possibili vie di fuga verso il ‘monte’ di Portofino. Usciva solo di notte con il coprifuoco ed andava a far legna sulle colline circostanti. Sin da bambino conosceva tutte le ‘creuse’ delle nostre colline. I fratelli avevano una decina d’anni più di lui e non avevano problemi, al di là delle restrizioni belliche. Suo fratello il commissario, a furia di richiami, era diventato tenente di vascello ed era rimasto al sud. Non ne seppero più nulla sin dopo il 25 Aprile 1945. I tedeschi, nel frattempo, avevano chiesto di mio padre alla Società Italia per rispedirlo sulla VIRGILIO. Ne scaturì un nulla di fatto. La Società in qualche modo dovette aiutarlo, perché nessuno venne mai a cercarlo, per di più era proprio a casa sua…
Un suo fratello medico, periodicamente, gli faceva ottenere qualche certificato. Tutti lo conoscevano, sapevano o immaginavano che se non era nella sua abitazione a Camogli doveva trovarsi sicuramente in villa o nascosto da qualche parte sulle alture.
Mio padre rifiutava d’andare in guerra a combattere contro suo fratello rimasto al Sud. Se i tedeschi l’avessero scoperto, si sarebbe giocato l’ultima carta arruolandosi nelle Brigate Partigiane della Liguria, facili da raggiungere da Ruta.
Gli andò bene! I tedeschi non bussarono mai alla sua porta, ed é molto strano, visto che il Comando tedesco alloggiava in una villa distante solo qualche centinaio di metri. Credo che la gente di Pissorella lo abbia in qualche modo protetto. Dirò forse una banalità, ma credo che mio padre e i suoi fratelli fossero benvoluti da tutti e non stessero proprio sui ‘cosiddetti’ a nessuno.
Trascorse 20 mesi da recluso, ma anche da fuggiasco, passando dalla noia alla tensione, dalla preoccupazione per i fratelli in guerra, alla tristezza di non poter essere utile a nessuno. Fumava, ma non aveva né sigarette né soldi, però si innamorò di mia madre che si trovava in frangenti anche più difficili, ma almeno poteva muoversi liberamente.
Sono certo che entrambi uscirono indenni dalla guerra con l’assoluta desiderio di dimenticare in fretta tutto quanto era successo. Li attendeva un mondo completamente rinnovato che andava affrontato con nuovi ideali e nuove forze, nonostante le ristrettezze economiche impensabili per tutti solo pochi anni prima.
Racconto soltanto un piccolo dettaglio che ritengo sia indicativo del pacifismo praticato dalla mia famiglia: sono nato nel ’48, ma da bambino non ho mai avuto un’arma giocattolo, quel che al massimo mi era concesso era una pistola ad acqua d’estate. Ciò spiega il motivo per cui le domande sui bombardamenti ed azioni belliche in cui si era trovato mio padre, non andassero mai a buon fine.
– Nonostante la guerra e i bombardamenti che non risparmiarono nulla e nessuno, la nave-ospedale VIRGILIO fu un’unità fortunata per suo padre?
Alla fine si. L’imbarco sulla ‘Nave Ospedale VIRGILIO’, almeno in teoria, non era stata la peggior sorte toccatagli, dati i tempi, ma io seppi di quel che successe alla M/n VIRGILIO leggendolo sui libri di storia di quel periodo, e quando provai a discutere con lui di certi fatti, mi resi conto che mio padre aveva accantonato per sempre quel genere di ricordi.
Un’altra mia fonte fu l’ex Cappellano di bordo della VIRGILIO che, nel frattempo, da Carmelitano si era fatto Certosino di Clausura. Il religioso, grande amico di mio padre, era un uomo davvero straordinario, sembrava fatto apposta per smentire tutti i possibili luoghi comuni sui religiosi.
– Nel difficile dopoguerra italiano, il comandante Luigi Oneto riprende a navigare con la Società Italia di Navigazione, alle cui dipendenze rimarrà sino alla pensione percorrendo tutti i gradi della sua carriera su i più prestigiosi ‘Passenger Liners’ italiani dell’epoca. Suo padre rinasce una seconda volta?
Alla fine della guerra, mio padre ebbe una storia comune a molti suoi colleghi, e forse anche più defilata all’interno dell’ambiente-Finmare. Dalla Società, pur essendo ormai in organico, prendeva uno stipendio assai modesto, che certo non gli avrebbe consentito di sposarsi e mettere su famiglia. Fatto più preoccupante, mancavano le navi e non era per niente scontato che gli USA avrebbero restituito i nostri Transatlantici sequestrati all’inizio delle ostilità.
Di sicuro so soltanto che non prese mai, nemmeno per un attimo in considerazione l’idea di abbandonare il mare. Stava invece esaminando la possibilità di andare a fare il Pilota del Canale di Suez.
Le incertezze finirono quando mio padre fu chiamato per il primo imbarco sul P.fo PATRIOTA. Questa nave meriterebbe una ricerca, perché nelle tante letture in cui mi sono imbattuto, ho ‘incrociato’ questo nome soltanto una volta e senza tanti particolari significativi. Si trattava in realtà di un ex-panfilo risalente, come costruzione, all’inizio del novecento ed era stato adattato nel dopoguerra al trasporto di passeggeri tra Civitavecchia e Olbia (ambedue quasi distrutte dalla guerra).
– Si trattò sicuramente di una piccola nave adattata, nel disastro post-bellico, al collegamento del continente con la Sardegna altrimenti isolata e abbandonata a se stessa.
Il problema però era un altro, questo ex-panfilo non aveva DDFF !! (dispositivi di sicurezza) Sic et sempliciter… Non c’è bisogno di aggiungere molto! Bussola magnetica, carta nautica, timone e via!
Di quella nave mio padre, arruolato come 3° ufficiale di coperta, mi raccontò due cose:
– La prima consisteva nella diffusione della corruzione a tutti i livelli. Tra i compiti del 3° ufficiale rientrava il controllo dei biglietti dei passeggeri ai piedi dello scalandrone e, ad ogni partenza, mio padre subiva pressanti tentativi di corruzione. Ci raccontava, a questo proposito, che se avesse avuto altri principi… con quell’imbarco, si era nel 1946, sarebbe diventato certamente ricco!
– La seconda, più tecnica, riguardava le incertezze del Comandante nel manovrare la nave sotto costa, in fase d’atterraggio e in manovra, e quindi dei pericoli che ne potevano derivare. Mio padre aveva già 35 anni e disponeva di una buona esperienza per poter giudicare un comportamento poco marinaro. Tenne duro, prese tutto con filosofia, terminò l’imbarco e mise i soldi da parte per sposarsi. Nel frattempo mia madre si laureò e finalmente convolarono a nozze. Nel ’47, anche le cose più semplici erano difficili, ma molti italiani paiono oggi aver dimenticato quei tempi poi non così lontani.
Il suo secondo imbarco (postbellico) portò la fine delle incertezze, ed avvenne sulla ex-Liberty USA – STRONBOLI, adibita ai viaggi del Nord Atlantico.
‘I Liberty nu sun miga rumenta’
Questa frase (non sua) l’ho sentita pronunciare molte volte nella mia lontana infanzia, ma in effetti si trattò di una delle più grandiose imprese industriali del secolo scorso.
– Ai lettori interessati all’argomento LIBERTY, segnaliamo l’articolo sul nostro sito:
“La Seconda Spedizione dei Mille”.
https://www.marenostrumrapallo.it/spedizione/
Ed eccoci finalmente a riparlare di navi celebri, ma questa volta negli anni della RINASCITA.
Siamo giunti al 1948 con prospettive decisamente migliorate. Il suo terzo imbarco posbellico fu su sulla MARCO POLO, una nave da carico della serie NAVIGATORI, (A.Vespucci, M.Polo, P.Toscanelli, S.Caboto, A.Usodimare, A.Vivaldi – n.d.r) che era stata recuperata dopo l’affondamento causato dalle bombe d’aereo piovute dal cielo di Genova, prima ancora d’entrare in linea. I ‘navigatori’ furono navi provvidenziali in quel momento per la Marina Mercantile Italiana. L’operazione ‘recupero’ fu opera della FINMARE che le trasformò in ‘Navi Miste’ (carico e passeggeri). Tre andarono alla linea Centro America-Sud Pacifico e ci rimasero 15 anni circa, le altre navigarono in genere per il Llody Triestino.
Ho sempre sentito raccontare in famiglia l’aneddoto, peraltro vero, di una coppia di Camogli, ormai sulla sessantina, (famiglie emigrate da varie generazioni, cosa non rara in riviera) che aveva il biglietto in 1a classe per il ritorno in Peru’ nell’estate del ’40, dopo una vacanza di pochi mesi a Camogli, ma finì per partire solo nel 1948, in un camerone di 3a Classe.
Mio padre partecipò ai lavori sulla MARCO POLO nei Cantieri di Sestri Ponente, fece l’allestimento e poi un anno d’imbarco, sempre da 3°ufficiale. La nave viaggiava ogni volta con il massimo dei passeggeri trasportabile e le stive cariche di merci.
Presumo che i problemi a bordo non mancassero, ma la ripresa commerciale era in atto:
le Liberty, la restituzione delle navi sequestrate dagli Usa e le prime newbuidings della Società, costituivano una buona base per ripartire con nuove assunzioni. Mio padre decise di restare anche se molti suoi colleghi, nel frattempo, avevano dato le dimissioni o erano andati in pensione da 1° ufficiale proprio a causa della mancanza di navi.
La M/n Marco Polo in una ‘chiusa’ del Canale di Panama
La Marco Polo insieme con la A.Vespucci, la P. Toscanelli, la A.Usodimare, formavano la Classe ‘Navigatori’ della Società Italia. Furono impegnate per molti decenni nel trasporto di emigranti e merci verso i porti del Sud-Pacifico.
– Vedo dal libretto che suo padre fece ancora tre mesi da 3° Uff.le sulla M/n CONTE BIANCAMANO e nel 1950 fu promosso 2° Uff.le. La guerra gli aveva ritardato la carriera di almeno 10 anni, in compenso si era avvantaggiato sul piano dell’esperienza. Forse lo ammetteva lui stesso?
Nel 1951 (compiva ormai 40 anni) iniziò un imbarco di 15 mesi sulla M/n PAOLO TOSCANELLI (un altro ‘Navigatore’!), sulla rotta Genova-Buenos Aires (Baires). Gli imbarchi lunghi allora erano normali. Questa fu la prima nave che io vidi! Ne sono sicuro.
I successivi imbarchi furono più importanti: CONTE BIANCAMANO e CONTE GRANDE. All’inizio del ’55 fu promosso 1° Uff. ed imbarcò sulla M/n GIULIO CESARE. Per la prima volta, la sua paga superò le 100.000 lire al mese, amava ricordare mia madre!
Incontro tra due Conti: C. GRANDE (nella foto) e C. BIANCAMANO
Nel periodo compreso tra il ’48 e il ’55, salvo pochi viaggi su i vecchi ‘CONTI’ sulla linea di New York, mio padre fece quasi sempre viaggi per il Sud America con la classe ‘Navigatori’ che avevano un solo motore, trasportavano centinaia di passeggeri ed appare strano, ancora oggi, questa carenza di sicurezza perché erano linee molto richieste per via dei flussi consistenti d’emigrazione.
– Sulla sua interessante osservazione, vorrei aggiungere un commento personale, dal momento che feci due viaggi proprio sulla Marco Polo nel 1963, quando forse mi sfiorai con suo padre… I cosiddetti ‘Navigatori’ erano navi eccezionali che potevano usufruire di una buona manutenzione nei numerosissimi porti che scalava. Il loro limite, per quei viaggi era la mancanza dell’impianto dell‘aria condizionata’ di cui parleremo tra breve.
Verissimo, e credo che fin verso la metà degli anni ’60 abbiano fatto viaggi assai redditizi per la Compagnia.
L’Armamento Costa iniziò nel dopoguerra la sua attività nel settore passeggeri proprio con i viaggi per il Sud America. Sul piano ‘nautico’ non mi risulta che avessero avuto particolari problemi, al contrario, credo che non sia stata facile la gestione dei passeggeri. Molti erano poverissimi e magari analfabeti. Altri erano più abbienti, ma ‘gli si leggeva in faccia’ che per un motivo o per l’altro erano ‘uomini in fuga’, non che fossero dei criminali, i casi erano magari i più impensabili, sia per i nostri connazionali che per i numerosissimi stranieri. Gli ho sempre sentito ripetutamente dire: “cosa dobbiamo aver portato in quegli anni in Sud America… non lo sapremo mai!”
Per questo motivo, non mi sono mai meravigliato più di tanto quando, molti anni dopo, sono usciti vari libri e romanzi sulla ‘rotta dei topi’, alcuni dei quali erano anche molto ben documentati. Nel periodo postbellico si erano rimescolate tante carte e si dovevano accettare anche situazioni estreme.
– Nei primi Anni ’60, nella Società Italia di Navigazione esistevano diverse anime: quella genovese, quella triestina e quella napoletana. Tre modi diversi d’interpretare la vita di bordo, di navigare, di rapportarsi con l’equipaggio e con i passeggeri. Si diceva, per esempio, che i genovesi fossero degli ottimi teorici, i triestini e dalmati degli buoni marinai, manovratori ecc… e che i napoletani fossero una via di mezzo. Anche sulla disciplina si facevano dei distinguo: diversi comandanti della scuola di Trieste e Lussimpicolo, davano un taglio piuttosto militaresco (austro-ungarico) al proprio ruolo. Mentre i genovesi, come suo padre, ma anche i napoletani preferivano un atteggiamento più moderno e mercantile. Personalmente, pur essendo allora molto giovane, trovavo queste differenze un arricchimento, un travaso d’esperienze e di vedute professionali di grande spessore, e devo dire che anche i burberi Comandanti di allora erano degli eccellenti padri di famiglia e rispettosissimi “personaggi” nella vita civile triestina dei primi anni ’60. Ne vorrei citare alcuni: Giovanni Assereto, Pietro Castro, Alfredo Cosulich, Claudio Cosulich, Giovanni Peranovich e Danieli che sono stati miei comandanti, tutti gli altri che non ho citato, li ho conosciuti da pilota del Porto di Genova: il comandante Gladulich (Gladioli) ha abitato per moltissimi anni a Rapallo ed ho frequentato a lungo la sua casa.
Suo padre fece mai cenno in famiglia di questa “complessa” convivenza di SCUOLE della tradizione a bordo dei nostri transatlantici ?
Su questa interessante pagina della storia della Società ITALIA mi trova impreparato a rispondere sul piano tecnico. Mio padre guardava ai singoli uomini, ed oltre ad esser poco attratto dalle memorie familiari a livelli da non credere, e qui c’entra il fatto di essere stato l’ultimo di dieci figli, non ha mai raccontato molto di quel che gli accadeva a bordo.
Probabilmente avrà raccontato molto di più a mia madre (c’é qui da ricordare il capitolo che riguarda le lunghissime lettere – allora ‘aeree’ – che si scambiavano in tutti i porti!), ma a noi figli raccontava poco o nulla, forse anche per colpa nostra. Vent’anni dopo diceva di non ricordare più niente… ed era anche vero!
– Il Comandante di una nave passeggeri ha il compito istituzionale di “lasciare il segno dell’ospitalità latina” sugli ospiti, a volte molto illustri, che viaggiano sulla sua nave, tuttavia egli deve essere anche un buon marinaio. Quale dei due ruoli amava di più suo padre?
Da Comandante, uno dei suoi molti doveri professionali era frequentemente quello di accogliere ed intrattenere a bordo personaggi illustri ed assai noti alle cronache. Assolveva a questo aspetto del suo lavoro con scrupolo, cortesia e cordialità. Da ‘padrone di casa’, era a suo agio, di carattere era allegro e cordiale, non musone, ma in privato non mostrò mai di annettere a questo lato del suo lavoro un’importanza particolare. Ne parlava raramente. Tra gli altri passeggeri illustri dell’epoca, ad esempio, ha ospitato a bordo lo scrittore Thornton Wilder, gli attori Burt Lancaster, Rossella Falk, Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Alberto Sordi e Monica Vitti, gli anziani Duchi di Windsor, la ex-regina di Bulgaria Giovanna di Savoia, il simpatico Raymond Peynet (l’autore della fortunata serie dei “fidanzatini” di Parigi), il celebre pittore Pietro Annigoni, i soprani Renata Tebaldi ed Anna Moffo e la lista non é esaustiva, oltre naturalmente ad altri personaggi di varie istituzioni: Politici, Vescovi, Cardinali e Diplomatici.
Durante i lunghi anni di lavoro sul mare per la Società Italia di Navigazione, ebbe ben due proposte di ‘passare a terra’ con la dichiarata prospettiva di diventare capo dell’ufficio marittimo (Capitano d’Armamento), ma serenamente e cortesemente declinò le due proposte. In privato diceva che lui aveva scelto, a suo tempo, il suo lavoro sul mare, e di non aver mai avuto un solo motivo per ‘cambiar rotta’. A lui piaceva il mare… persino in vacanza non andava in montagna perché /testuale) “doveva vedere l’orizzonte”…
New York. Anni ’60 – Una bella immagine dell’epoca dei “liners”. In mezzo al fiume Hudson sta manovrando la Queen Elizabeth della celebre Cunard Line. Ormeggiate nei Piers di Manhattan si vedono da sinistra: la Costitution gemella dell’Indipedence (dell’American Export Line), l’Andrea Doria gemella della C.Colombo (Soc. Italia di Navigazione), la United States, la Olimpia (American Greek Line).
Una bella immagine dell’ANDREA DORIA davanti ai grattacieli di Manhattan
– Nel 1956 accadde la gravissima tragedia dell’ANDREA DORIA. Suo padre era il 1° Ufficiale della nave. A distanza di quasi 60 anni, dopo tanta confusione, dubbi e forse anche un atteggiamento sbagliato delle istituzioni italiane di quel tempo, oggi se ne può parlare alla luce di fatti accertati che hanno ristabilito la verità. Qual’é il suo punto di vista?
L’ANDREA DORIA nella fase drammatica del suo affondamento
Nel Luglio del 1956 mio padre visse in prima persona la tragedia dell’affondamento della M/n ANDREA DORIA, su cui era da molti mesi imbarcato in qualità di 1° Ufficiale Anziano.
Ma veniamo all’affondamento della ANDREA DORIA, di cui mio padre, suo malgrado, dovette raccontarci qualcosa, in varie occasioni, sino alla vecchiaia, ma sempre con la stessa pena.
Il 5 Novembre 1955 mio padre imbarcò con il Com.te Pietro Calamai sulla T/n ANDREA DORIA, il gioiello più ammirato dello shipping di allora. Mia sorella Franca ed io, per la prima volta in vita nostra, abbiamo avuto modo di conoscerla da vicino. La nave arrivava ogni 19 o 20 gg. ed ogni volta andavamo in banchina a riceverlo. Quando la nave cominciava ad indietreggiare verso il molo, riuscivamo a vederlo subito perché il posto di manovra del 1° Ufficiale era sull’aletta di poppa (alette poppiere, tipiche delle costruzioni passeggeri di quegli anni). Per noi era un bel divertimento ed eravamo sempre molto contenti. Andò così per otto mesi consecutivi.
Tralascio per ovvi motivi di riservatezza, l’evento fin troppo noto e ormai (voglio augurarmi) sostanzialmente chiarito anche sotto il profilo tecnico. Mi permetta di tralasciare anche i risvolti familiari per tutti noi molto pesanti. Ancora oggi, con mia sorella Camilla abbiamo qualche problema a parlarne, sebbene siamo gli unici superstiti della famiglia.
Mi sto già preparando psicologicamente a tutto quel che mi toccherà leggere sui giornali e ascoltare in TV quando si celebrerà il 60° anniversario nel 2016. D’altronde, a nessuno della famiglia è mai piaciuto fuggire dai problemi, tuttavia, in questa sede, qualcosa vorrei accennarla.
Mio padre stimava molto il Comandante Calamai e, da anziano, mi disse che era stato uno dei suoi due maestri. Le cose andarono così: mio padre doveva sbarcare per normale avvicendamento all’ultima sosta della ANDREA DORIA a Genova prima che iniziasse quel viaggio disgraziato.
Terminato l’ultimo ormeggio a Genova, il comandante Calamai chiamò mio padre nel suo ufficio e gli disse più o meno queste parole: “Oneto, lei sa che non amo troppo i giri di valzer sul ponte. Ieri in Società ho ottenuto che lei rimanesse a bordo, tra 20 gg. sbarcheremo insieme. Lei ha problemi?”
Allora il mondo andava cosi. Mio padre fu un attimo sorpreso, c’era l’estate di mezzo e tante promesse alla famiglia, ma non ebbe dubbi ed accettò di proseguire l’imbarco seduta stante. Credo che mio padre non avrebbe mai detto ‘NO’ al suo Comandante, per di più davanti ad un simile attestato di stima!
Mio padre era il piu’ anziano degli ufficiali e faceva la prima guardia (04-08/16-20). Quando avvenne la collisione era franco di guardia e mai avrebbe immaginato che sarebbe stata l’ultima guardia della sua vita. Appena ‘smontato’ fece le solite cose e andò in cuccetta. Con l’urto improvviso e tremendo tra le due navi, si ritrovò sul pavimento senza rendersi conto dell’accaduto, pochi istanti e fu subito sul Ponte.
Mio padre non era stato neppure testimone della collisione, ma aveva capito subito la dinamica dell’incidente e fin dal primo momento si convinse dell’assoluta buona fede del Comandante e dei suoi colleghi. Con questa radicata convinzione andò avanti sino a 80 anni suonati, sempre difendendo il buon nome del comandante Calamai, della sua nave e dei suoi colleghi in mille modi, con tanta ammirevole ostinazione.
Quando nel 1972 fu pubblicato il Rapporto Carrothers sulle cause della collisione, lo stesso anno in cui morì Pietro Calamai, ricordo che mio padre lo leggeva e rileggeva con tanta intensità e partecipazione, ed era felice che finalmente la verità fosse emersa tra le mille menzogne raccontate in giro per tanti anni. Era davvero strano sentirlo parlare di navi tra le mura domestiche, proprio lui che era sempre stato così restio a confondere i due ambienti. Improvvisamente si era trasformato. Di quella collisione ne parlava con tutti. “ma non era ancora finita…” continuava a sostenere!
Dopo l’incidente, mio padre era davvero amareggiato. Sorvolo su quanto pensava allora della Società Italia, ancor peggio del suo Management e delle stesse Autorità Marittime italiane…
Mio padre era ancora lontano dal pensare di smettere di navigare, ma la Società escogitò una soluzione davvero strana: da un giorno all’altro, mise tutti gli ufficiali di coperta della ANDREA DORIA in banchina, in una specie di ‘quarantena’ che durò fino al Marzo ’57.
La mia famiglia approfittò della ‘sosta forzata’ per traslocare a Genova.
Arrivati a questo punto del racconto, vista anche la mia professione nel settore marittimo, colgo questa opportunità per formulare la mia opinione sul periodo post-collisione. La Società, a livello di pubbliche relazioni, fece proprio tutto quello che non doveva fare e che avrebbe dovuto fare, come qualsiasi armatore di questo mondo, in circostanze similari, avrebbe fatto. Questo concetto mi è fin troppo chiaro e non sono certo il primo ad esternarlo.
Sul piano interno, diciamo operativo, la Società non fece sostanzialmente nulla, salvo:
a) – Promettere verbalmente al Comandante P.Calamai che sarebbe stato subito imbarcato sulla T/n COLOMBO. Si lasciò però correre un po’ di tempo, sino a che compì 60 anni… é qui la ferrea prassi della Società era di collocare a riposo Comandanti, Direttori e Commissari! La chiamata ci fu, ma si trattò della “comunicazione di pensionamento”.
b) – Tenere per oltre sei mesi in ‘quarantena’ tutti gli ufficiali di coperta, e credo anche alcuni ufficiali di macchina (la scusa ufficiale era l’inchiesta ministeriale).
Ovviamente la Compagnia doveva rispettare procedure burocratiche e prassi interne per casi gravi come quello avvenuto a Nantucket: testimonianze scritte e verbali a non finire, dal Comandante sino all’ultimo ‘piccolo di camera’, senza mai giungere a conclusioni definitive ed ufficiali. Tutto era molto pilatesco. Non mi é noto alcun strascico giudiziario, degno di nota, per alcun membro dell’equipaggio. L’unico ‘agnello sacrificale’ fu il povero comandante Pietro Calamai, lasciato solo in pasto ad una pubblica opinione frastornata e disinformata, fino a trasformarlo nel personaggio principale di un farsa ordita alla perfezione per salvare chi e che cosa?
Di fatto, fu il solo a ‘pagare’ un conto salatissimo pur essendo innocente, anzi il primo tra quelli che impedirono conseguenze peggiori. Ancor oggi mi capita di sentire persone in buona fede (che non sanno nulla di cose di mare) affermare che: “Il Comandante Calamai aveva comunque qualcosa da nascondere.” Certe idee potevano essere maturate per opera anche di certa stampa ‘deviata’ o comunque incompetente.
In casa nostra abbiamo provato sempre tanta pena per le due figlie del comandante Calamai, che avevano una decina d’anni più di noi e forse erano più ‘scafate’, ma i successivi anni della loro vita, trascorsi sino allo scagionamento USA, (ma anche dopo!) devono esser stati pesanti sotto ogni punto di vista, una sorta di calvario psicologico.
– Sulla base di quanto si lesse e si sentì allora, solo poche persone si resero veramente conto della brillantissima opera di salvataggio e del limitato numero di vittime che si verificarono dopo una collisione tra due navi cariche di passeggeri e numerosi equipaggi.
Esatto! Si rischia di dimenticare che molti passeggeri e membri dell’equipaggio, senza saperlo, dovettero la vita proprio alle decisioni marinarescamente perfette, prese dal comandante Calamai in quelle difficili ore. Oggi sappiamo che le manovre impartite da Calamai in quella circostanza, oggi sono prese a modello da tutte le Accademie navali del mondo e vengono insegnate ai futuri ufficiali di marina.
Molti anni fa, il giornalista Corradino Corbò scrisse un ottimo testo divulgativo: “Quella notte a Nantucket”, editore Nistri-Lischi (una piccola Casa Editrice di Pisa). Leggendolo mi resi conto che non occorreva essere un ‘esperto’ per capire la dinamica dell’accaduto. Quel libro, purtroppo, ebbe scarsa diffusione ed oggi credo sia introvabile persino sul mercato dei libri usati: un’occasione mancata per il grande pubblico, purtroppo.
– Ma chi prese quelle assurde decisioni?
Da quel giorno sono ormai passati quasi 60 anni, nel frattempo la cronaca é diventata storia. Solo storia. Oggi é mia personale convinzione che la ‘regia’ dell’atto burocratico post-collisione sia stata decisa a Roma, molto in alto, a pochissimi giorni dalla collisione, da un numero ristretto di persone che per mentalità politica e formazione professionale era completamente estraneo al mondo dello shipping. Il top-management della Società Italia, sostanzialmente composto da ‘yes-man’, ebbe soltanto la funzione esecutiva di quanto era già stato deciso nella capitale.
Se si mettono in ordine cronologico date e fatti, emergono tutte le contraddizioni prive di logica messe in opera dall’Armamento genovese nei successivi 12-18 mesi. Quella ‘linea politica aziendale’’, rimase immutata nei decenni successivi fino alla scomparsa della Società.
Il Ministero della Marina Mercantile promosse un’inchiesta abbastanza seria, ma i risultati non furono mai pubblicati, la legge lo consente, questa è l’unica cosa chiara che emerse, pur se si trattava e si tratta di una prassi politicamente inaccettabile.
Nessuno sarà mai in grado di scrivere la vera storia dell’ANDREA DORIA. Quella conosciuta dal grande pubblico é stata dettata al telefono da burocrati senza scrupoli. Chi aveva il diritto di raccontarla é stato messo a tacere, a suo tempo, e oggi non é più tra noi.
Per noi Oneto, il naufragio dell’ANDREA DORIA non fu solo un dramma legato alla perdita di vite umane e della nave stessa. La storia marinara é maestra di naufragi e i santuari vicini alle coste lo ricordano a tutti con migliaia e migliaia di ex voto. Noi, sebbene molto giovani, eravamo preparati anche a questo, come lo é qualsiasi famiglia di un marittimo impegnato a guadagnarsi il pane sul mare. Il naufragio era tra gli eventi che potevano accadere, ma il vero dramma fu il peso psicologico ed emotivo che pesò a lungo sulle nostre spalle. Nei successivi 40 anni abbiamo dovuto sopportare polemiche inconsistenti, sensazionalismi, leggende metropolitane, idee recepite in modo sbagliato, magari, in perfetta buona fede da parte di tanta gente che ancora oggi, dopo tanti anni trascorsi dall’avvenimento, insiste e persiste su quelle sbagliate convinzioni che erano state diffuse e inculcate dall’irrazionale, autolesionistico, ed illogico comportamento dell’armatore dell’ANDREA DORIA.
Da questo punto di vista, il rapporto Carrothers resta comunque, anche dopo 40 anni, un atto scientifico rigoroso e convincente che ha fatto giustizia e messo una pietra pesante su una serie infinita di menzogne.
Da italiano, é triste doverlo ammettere, ma se solidarietà c’é stata, questa é venuta dallo shipping straniero. Non mi riferisco soltanto agli Istituti americani e a Carrothers, ma ai miei compagni di lavoro e conoscenti che pur sapendo tutto della collisione e chi era mio padre, non senza mia sorpresa, non fecero mai un passo falso nei miei confronti.
– La ringrazio per questa sua pacata, ma decisa presa di posizione sulla collisione avvenuta tra la Andrea Doria e la Stockholm. Quel che conta é la vera STORIA, non quella che é in vendita dal giornalaio e che ha sempre un padrone. Riprendiamo il racconto. Cosa accadde dopo la strana ‘quarantena’ ?
Mio padre imbarcò da 1° ufficiale all’inizio dell’estate ’57 sulla M/n MARCO POLO, di cui abbiamo già parlato. I viaggi del Sud-Pacifico duravano 70 giorni. Su quel tipo di nave mista: carico-passeggeri, il 1° ufficiale svolgeva il compito di Comandante in 2° ed era ‘giornaliero’, ossia fuori guardia. Si avvicinava il sospirato ‘comando’ e quella era la strada obbligata. L’imbarco durò un anno. Di quel periodo ho conservato un ricordo nella mia memoria: la nave arrivava alla Stazione Marittima di Ponte dei Mille a Genova e, subito dopo lo sbarco dei passeggeri, faceva “movimento” a P.te Assereto, oppure a P.te Somalia, per le operazioni commerciali. Rimanevo a bordo con lui, mentre mia madre e le mie sorelle tornavano a casa. Una volta riuscii ad intrufolarmi tra i marinai che andavano al posto di manovra a prua e ci rimasi, sempre attento a non intralciare la manovra in corso. Avevo 10 anni e i pantaloni corti.
Quando mio padre mi vide dal ponte di comando, mi fece un gesto che nulla di buono lasciava presagire. Quella sera mi presi una bella ‘arronzata’. Aveva ragione, al di là del rischio di farmi seriamente male tra quella selva di cime e cavi in tensione, temeva anche la reazione del Comandante che per fortuna non se n’era accorto o, come credo tuttora, fece finta di non accorgersene, date le distanze davvero ridotte tra il ponte di comando e la prora.
La M/N VULCANIA incontra la M/n SATURNIA
Un bel salto nella carriera di mio padre ci fu il 29 Settembre 1959, quando mio imbarcò, alla bella età di 48 anni, da Comandante in 2a sulla M/n SATURNIA a Trieste. Da quel momento girò con quel grado su tutte le grandi navi passeggeri dell’epoca d’oro della Società: CONTE BIANCAMANO, GIULIO CESARE, AUGUSTUS e sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO.
Da Comandante in 2a cominciò il periodo secondo me forse più ‘sottovalutato’ della sua vita professionale, che durò siano al 1963 quando imbarcò a 52 anni suonati come Comandante in 1a sulla M/n MARCO POLO (sempre lei!) per l’ultimo viaggio con la Società Italia.
La figura del Comandante in 2a era sottovalutata nel senso che operava un intenso lavoro che non appariva quasi a nessuno, eppure tutto a bordo dipendeva da lui, dalle sue direttive. Tutto quanto succedeva a bordo faceva riferimento alla sua persona, ed a lui spettava la soluzione dei problemi del personale imbarcato, di ‘certi’ noiosi passeggeri, rispondere alle lamentele, indagare sugli infortuni, sui furti, interagire con gli altri capi servizi (coperta-macchina-commissari) per la routine quotidiana, e poi c’erano gli imprevisti di ogni genere, oltre ai lavori di manutenzione di bordo. Infine doveva sovrintendere alla disciplina di tutto l’equipaggio. Anche la navigazione era sottoposta alla sua supervisione. Sulle sue spalle pesava un lavoro vasto e pesante che gli prefigurava, comunque, l’ultimo avanzamento della sua carriera.
– Ricordo benissimo il ruolo del Comandante in 2a sulle nave passeggeri e concordo con lei. Tuttavia, ritengo che questo ‘delicato passaggio di carriera’ sia una grande risorsa per tutti: passeggeri ed equipaggio. Avere un Comandante esperto a bordo, che sia in grado di risolvere i tanti problemi che si presentano, va sicuramente a vantaggio della sicurezza di tutti. (I fatti recenti del Giglio ce lo ricordano ampiamente!). Tra l’altro, ricordo che su certe linee avvenivano anche fatti gravi. Suo padre forse le avrà raccontato alcuni episodi?
Si, ma semplici aneddoti, irrilevanti. I LINERS di allora non esistono più da decenni, così come quell’eterogenea clientela composta da persone agiate, pescatori destinati alla campagna del merluzzo al largo di Terranova ed emigranti di tante nazionalità. Spesso capitava che per futili motivi scoppiassero disordini ed anche risse (dovute all’alcool) talvolta pericolose e difficili da sedare.
Oggi sulle navi da crociera la situazione é più gestibile. La popolazione di bordo é costituita da una massa molto omogenea di turisti, che imbarca con lo spirito vacanziero, é più autosufficiente: infatti ha a sua disposizione un numero d’equipaggio limitato rispetto al passato.
Al Comandante in 2a arrivavano quindi tutti i problemi di bordo e, a volte, dopo una giornata intensa in cui succedeva di tutto, poteva capitargli che intorno alle 23.00, nel bel mezzo di una buriana, il Comandante gli dicesse “Adesso le lascio la nave. Io me ne vado in cuccetta” e rimaneva sul Ponte di Comando per tutta la notte. Fatto, peraltro, probabilmente ‘gradito’ ad un aspirante al comando come mio padre.
Sono certo che gli anni trascorsi con il grado di Comandante in 2a siano stati sotto alcuni aspetti poco gratificanti, ma furono assai importanti e utili per l’esperienza maturata.
Presso le più importanti Marine Occidentali, le carriere degli ufficiali anticipavano, in quegli anni, mediamente di 10-15 anni e lui ne era ben conscio.
(In proposito avrei un aneddoto anche divertente….. ma è meglio glissare!)
– Che carattere aveva suo padre, era paziente oppure nervoso come tanti marittimi ?
Nervoso no! Mai! Quando in quegli anni mio padre era in porto a Genova, arrivava tardi o molto tardi a casa per ripartire molto presto all’indomani mattina. Nelle relazioni umane era paziente, certo molto più di me, e c’insegnava che le cose era meglio vederle in tempo che sentirsele raccontare in un secondo tempo. Amava rispettare la ‘persona’, anche quando la riprendeva dopo aver compiuto un errore professionale. Nessuno conosceva mio padre al di fuori della Società Italia e del porto, ed appariva sempre sereno. Al di là delle apparenze, non parlava quasi mai dei fatti di bordo. Questo é stato.
– Com’erano viste le navi italiane all’estero?
All’estero, le navi della Società Italia erano viste come un pezzo di suolo nazionale dalle comunità dei nostri emigranti in tutti gli scali. Specialmente in Sud America, le navi della Società Italia erano sempre accolte da folle incredibili che sostavano ore per vivere con nostalgia la partenza o l’arrivo di questa o quella nave italiana. Per altri aspetti, erano invece navi complicate, con le ben note contraddizioni che ci appartengono. In alcuni scali nazionali, le navi della Società erano invece considerate alla stregua di ‘vacche da mungere’ con tutto quel che si può immaginare in una Italia che, per molti versi, é sempre la stessa, ancora oggi.
La M/n ROSSINI entra nel porto di Genova.
Con Verdi e Donizzetti formavano la Classe Musicisti che sostituì la Classe Navigatori, ormai obsoleta sulla rotta del Sud-Pacifico
– Un bel salto di qualità avvenne con la messa in linea della classe MUSICISTI in sostituzione della classe NAVIGATORI ormai superata. Finalmente, sulla linea del Sud-Pacifico subentrò anche un po’ di eleganza e soprattutto comodità. Anche suo padre poté quindi navigare nei climi tropicali con l’aria condizionata.
Nel 1963 assunse il primo comando per l’ultimo viaggio sulla linea Mediterraneo-Centro America-Sud Pacifico della M/n MARCO POLO (prima della loro vendita e trasformazione in nave da carico).
Arrivati a Genova, l’equipaggio fu spedito in treno a Napoli per imbarcare sulla M/n VERDI proveniente dal Lloyd Triestino, ed entrare sulla medesima linea del Sud Pacifico. La nave era più veloce, ed il viaggio sarebbe durato solo 2 mesi, ma soprattutto era alleviato dall’aria condizionata. Diciamo che a me (avevo ormai 15 anni) la Verdi fece l’impressione di un ‘Luxury Liner’ al confronto del Marco Polo! Il viaggio inaugurale ebbe un grande successo, e seguirono molte prenotazioni che incrementarono lo storico legame tra l’Italia ed i santuari dell’emigrazione nostrana in Sud-America!
Sulla M/n VERDI restò 10 mesi, ed oltre 11 mesi sulla M/n ROSSINI (sulla stessa linea). Erano gli anni della nostra adolescenza. Gli imbarchi di mio padre erano più lunghi, ma anche le soste a Genova si erano allungate e si aveva l’impressione d’averlo a casa più spesso, naturalmente solo di sera, ma per noi era già una festa.
Frequentavo l’Istituto Nautico S.Giorgio di Genova. Mio padre non entrò mai nel merito di questa decisione e gliene sono tuttora grato.
– Finalmente cap. Luigi Oneto prende il sospirato Comando!
La M/n GIULIO CESARE (gemella della M/N AUGUSTUS) in navigazione
Mio padre prese il comando della bella M/n GIULIO CESARE per oltre 10 Mesi sui viaggi di BAIRES. Nel nuovo ambiente si sussurrava che la Società avesse ‘confinato’ su quella unità gli ufficiali un po’ birichini, che avevano maturato qualche castigo… ma si trattava di persone di gran spirito, e l’impressione che se ne ebbe in famiglia ( e non solo nella nostra famiglia…) fu che se si erano divertiti ben oltre l’usuale non erano da biasimare. In fondo la vita di mare era già fin troppo dura. Posso solo arguire che mio padre ebbe anche qui il suo bel da fare, ma navi e viaggi senza grane non credo siano di questo mondo!
CRISTOFORO COLOMBO in partenza da Genova nella livrea bianca sulla linea del Sud America
Nel Settembre del ’66 mio padre imbarcò a Napoli sulla T/n CRISTOFORO COLOMBO, che faceva allora capolinea a Trieste ed era dipinta di nero come tutte le navi impiegate sulla linea del Nord America.
L’imbarco durò 11 mesi. Ricordo che ebbe i suoi problemi pratici e diplomatici dovuti all’itinerario carico di scali: Venezia – Trieste – Messina – Palermo – Maiorca- Malaga – Gibilterra – Lisbona – Azzorre – Canada – Boston N.Y. Molti di questi scali erano ‘schedulati’ forse per esigenze politico-clientelari, con indubbia influenza sui costi. So che fu per lui un anno impegnativo, sotto diversi aspetti.
– Dal punto di vista della manovra, i grandi transatlantici di allora erano veramente impegnativi. Disponevano di lente turbine e avevano grandi pescaggi. Non si parlava ancora di eliche trasversali, di azipod ecc… e come si diceva allora: chi le manovrava doveva essere un buon manico!
E’ vero! Un ulteriore problema era la manovra di una grossa turbonave di quell’epoca, in certi piccoli porti. Se si pensa che nella marcia indietro la turbina navale concede soltanto 1/3 della propria potenza e l’attesa é di circa 40 secondi per l’inversione della marcia. Ricordo che quando gli chiesi spiegazioni (facevo ormai il 5° Nautico, e avevo già navigato un po’) mi rispose: “Ho avuto tanti anni di carriera per studiare il problema e ho visto manovrare tanti comandanti….che quando é stato il mio turno, non ho più avuto difficoltà!”. Comunque, appena imbarcato su una nave che non aveva ancora comandato le sue evoluzioni di prova fuori dal porto le faceva alla prima occasione possibile!
La LEONARDO DA VINCI entra a New York
Salvo un bel Natale trascorso a Trieste, quell’anno lo vedemmo pochissimo. Mia madre, invece, andava regolarmente a trovarlo a Trieste.
Venne poi l’imbarco sulla T/n LEONARDO DA VINCI, già dipinta di bianco, ed ebbe un incarico particolare: la nave era destinata ad una ‘campagna crocieristica sperimentale’ di 5 mesi ai Caraibi.
Il solo pensarci, oggi può far sorridere, perché il tipo di clientela era completamente diverso e improvvisamente cambiato. La Sede di Genova era distante e ciò significava che il Comando di bordo si trovava improvvisamente nella necessità d’imporre un cambio di mentalità a molti membri dell’equipaggio.
I risultati furono ottimi, l’esperimento fu ripreso da altre navi sociali, a mio padre fu riconosciuto il merito d’aver portato l’esperimento a buon fine per la Società.
Oltretutto, nemmeno esisteva a bordo la figura del Direttore di Crociera. Per tale ragione il Comandante dove gestire il ‘settore passeggeri’ dopo aver sentito il Capo Commissario.
Le T/n MICHELANGELO e RAFFAELLO sono ormeggiate a Ponte Andrea Doria-Genova
Siamo giunti così al 1968. Negli anni successivi mio padre prese il comando, alternativamente e a più riprese, delle ammiraglie MICHELANGELO e RAFFAELLO sino al pensionamento avvenuto nel 1971. Nel frattempo i turni d’imbarco si sono accorciati per tutti.
– Suo padre le confidò mai qualche segreto nautico in previsione di una carriera simile alla sua?
No, nel modo più assoluto. E non avrebbe nemmeno gradito troppe domande! Era arci convinto che a bordo si dovesse iniziare dal basso con i più banali lavori in coperta (cosa che di fatto feci), e poi imparare guardandosi attorno e facendo funzionare cervello e capacità critiche. Ideologizzava quasi la cosa………. E poi c’era anche una dose del mio orgoglio di ventenne!
– Avere il comando di una delle due ‘ammiraglie’, così sotto gli occhi della stampa italiana in quegli anni, lo preoccupava o lo innervosiva in qualche modo ?
No, direi proprio di no, e se c’era qualche preoccupazione era di carattere extra-marinaresco. Questa almeno era la percezione che se ne aveva in famiglia. Assai banalmente, non ricordo d’averlo nemmeno mai sentito, visto o percepito preoccupato per le condizioni meteo che lo aspettavano dietro l’angolo.
Quelle navi erano lunghe più di 270 metri e gli davano una grande sicurezza. Mio padre conosceva molto bene la meteorologia, interpretava a dovere le carte del tempo, ma soprattutto conosceva i limiti della sua nave e ad essa si adeguava. Forse era questo il suo segreto: un notevole senso marinaro gli suggeriva in anticipo le mosse da fare, con determinazione, ma anche con prudenza. Mio padre fu conosciuto dentro e fuori il suo ambiente per le sue doti umane e marinaresche. Non furono tutte rose e fiori né per lui, né per mia madre e neppure per noi figli, ma proprio in questo intreccio di contrasti forti, sta il vero senso della vita: saper convivere con le gioie e i dolori. Mio padre fu un maestro in tutto ciò, e ancora oggi ci sentiamo orgogliosi d’essergli stati figli.
Scambio di presenti sulla RAFFAELLO tra il Comandante Luigi Oneto e lo scrittore Raymond Peynet.
– Come pilota del porto di Genova ebbi diverse occasioni di manovrare sia la T/n MICHELANGELO che la gemella RAFFAELLO. Impiegavano 3-4 rimorchiatori a seconda della direzione e forza del vento. Erano manovre impegnative anche per un pilota rutinato che eseguiva un migliaio di manovre-anno.
Seppi in quegli anni che suo padre “by-passò” uno sciopero dei rimorchiatori di New York e ormeggiò personalmente la MICHELANGELO. Dinanzi ad un fatto del genere, che non ha precedenti nel nostro mestiere, non solo mi tolgo tanto di cappello, ma aggiungo che manovrare una nave nel porto di New York presenta difficoltà a volte insuperabili per via della corrente del Hudson che naturalmente varia con le piogge e le condi-meteo del periodo. Non tutti lo sanno, ma i famosi Piers (i Dock di Manhattan) sono posizionati di traverso alla direzione della corrente, per cui é addirittura impensabile avventurarsi in certe manovre senza pilota e rimorchiatori portuali (McAllister e Moran). Come ci riuscì suo padre?
Professionalmente, la cosa che ricordava con più piacere dei suoi ultimi anni sul mare era quella di esser riuscito durante un lungo sciopero e per ben tre volte consecutive ad ormeggiare e disormeggiare la RAFFAELLO al ‘Pier’ di Manhattan senza Pilota e – soprattutto – senza rimorchiatori: “senza rompere nemmeno un cavo”, come diceva lui (ciò accadeva durante un altro ciclo di crociere ai Caraibi, e non era certo una cosa semplice per una turbonave di allora, senza eliche trasversali, senza eliche a passo variabile, etc.: altre navi dello stesso tipo evitarono di far scalo a New York, altre ancora causarono danni).
– Mi risulta che suo padre, da vecchio lupo di mare, una volta in pensione continuò a lavorare per il ‘Nuovo Mondo Crocieristico’ che stava sorgendo sulle ceneri di tante Società di Navigazione che non seppero ‘vedere lungo’, come la Soc. Italia di Navigazione. Che ruolo assunse il comandante Luigi Oneto in questa fase epocale?
Una volta in pensione, mio padre accettò l’offerta giuntagli inaspettatamente di selezionare gli equipaggi per le prime navi da crociera CARNIVAL degli allora poco noti armatori americani Arison: le T/n MARDI GRAS e FESTIVALE (Ufficiali e Sottufficiali di Coperta e di Macchina, tutti italiani). Lo fece per un paio d’anni circa.
Questo travaso di veri specialisti del mare, avvenne subito dopo il fallimento della Società Italia di Navigazione ed il contemporaneo decollo della Flotta Carnival di Teddy Arison che inaugurò con le sue Fun Ship il mondo crocieristico. I comandanti Calvillo, Castagnino, Fabietti, Fossati, Gavino, Sbisà, Schiaffino e naturalmente molti altri, una volta entrati in Carnival, richiamarono a loro volta un piccolo esercito di ufficiali di coperta, di macchina e di tutte le altre categorie, dai commissari, al personale alberghiero di camera e di cucina. Si può tranquillamente affermare che quarant’anni di professionalità e di massimo prestigio italiano sui mari, si mise su quella nuova “rotta di grande successo” che continua ancora ai nostri giorni ed é sempre in crescita.
Lui non lo sapeva e non lo avrebbe mai immaginato, ma proprio in quei due anni di reclutamento era nata la moderna industria delle navi da crociera (decisamente un’altra epoca rispetto alla sua…). Oggi CARNIVAL è il più importante Armatore di navi da crociera del mondo: la vecchia scelta di mantenere personale di S.M. italiano è però rimasta, ed ancor oggi contraddistingue le navi della società. Molti anni dopo, ossia nel 1996, ebbe la personale soddisfazione di essere invitato dall’Armatore a Venezia per l’inaugurazione della M/n CARNIVAL DESTINY, costruita nei cantieri di Monfalcone. Allora era la nave da crociera più grande del mondo, la prima nave passeggeri da oltre 100.000 T.S.L. Non andò, aveva ormai 85 anni compiuti e, pur godendo di buona salute, era da qualche tempo quasi cieco: forse temeva l’emozione, di sicuro temeva l’eventualità di non riconoscere e salutare qualcuno che in altri tempi gli era stato ben noto. Questo problema era ormai diventato il suo assillo abituale anche quando usciva di casa a Camogli.
– Mi sembra di ricordare che suo padre dedicò gli ultimi anni della sua vita al servizio dei marittimi. Ha qualche ricordo più dettagliato da raccontarci?
Dettagliato no, non ero più a Camogli e avevo ben altro di cui occuparmi in quegli anni.
Negli anni ’80 è stato per un mandato quinquennale Presidente dell’USCLAC (Unione Sindacale Capitani di Lungo Corso al Comando e D.M.). Questo incarico lo impegnò molto, e ne fu sempre particolarmente orgoglioso. Negli stessi anni ’80 è stato presidente dell’Associazione Nazionale Medaglie D’Oro di Lunga Navigazione.
Conoscendolo, Credo proprio che in ambo i casi lo fece perchè i colleghi lo reclamavano!
E’ stato componente attivo del “Gruppo di Lavoro” sulla collisione Stockolm-Andrea Doria. Era ormai il più anziano di tutti e lo viveva come un dovere morale nei confronti del Comandante Calamai.
– Da un articolo apparso nel 1986 sulla Rivista Marittima, firmato dal Comandante Giuseppe Longo, 95enne, ex Capo Pilota del Porto di Genova, estrapoliamo la seguente testimonianza:
“….Un Comandante che voglio ricordare è Luigi Oneto di Camogli: nel 1966, al comando della T/n MICHELANGELO, fu sbarcato su due piedi, dal funzionario responsabile della Finmare, il quale – non conoscendo né il Codice della Navigazione, né le disposizioni impartite dalla sua stessa Finmare – ebbe un ingiusto motivo di disappunto nei riguardi del Comandante Luigi Oneto e ne ordinò lo sbarco immediato. L’intero equipaggio, caso unico negli annali del sindacalismo attuale, si fermò e dichiarò sciopero per 24 ore bloccando la partenza della nave. Non penso si potesse dimostrare meglio di così la stima universale di cui godeva il comandante Luigi Oneto: e anche se ben pochi, all’infuori dei marinai, ottimi giudici, osarono farlo, i piloti del porto gli fecero pervenire subito un caldissimo telegramma di solidarietà.”
– Uno dei miei 11 nipoti si é iscritto quest’anno all’Istituto Nautico di Camogli. Il senso di questa intervista al dott. Gianni Oneto, che riguarda la rievocazione della brillante carriera di suo padre, comandante Luigi Oneto, consiste anche nel dare la “rotta giusta” a questi futuri ufficiali di marina, facendogli capire che comandanti si diventa con il sacrificio, con l’uso di quelle due bussole citate… e con tanta modestia, tanto amore e rispetto per il mare e la sua gente.
QUALCHE ANNOTAZIONE FINALE:
In questo lavoro, spesso si é fatto riferimento alla Classe ‘Navigatori’, riteniamo pertanto utile, riportare alcune note storiche di notevole interesse che abbiamo estrapolato dal sito Navi e Armatori, a cura di Maurizio Gadda che ringrazio.
Tra il 1947 e 1949 vennero consegnate le sei motonavi della serie “Navigatori”, ordinate prima del periodo bellico come navi da carico per il programma della legge Benni. Solo tre di esse erano state varate prima dell’armistizio, ma nessuna era entrata in servizio in quanto affondate per azione bellica o sabotate nelle acque dei cantieri costruttori durante la ritirata delle forze tedesche. Le tre unità rimaste sullo scalo, benché anch’esse danneggiate, furono le prime a essere completate trasformando il progetto originario in unità miste con sistemazioni per 520 emigranti in cameroni di terza classe.
“Ugolino Vivaldi”, impostata come “Ferruccio Bonapace”, fu varata dall’Ansaldo il 25 novembre 1945, consegnata il 10 maggio 1947, partì in viaggio inaugurale sulla linea per il Brasile – Plata il 18 maggio al comando del cap. Pietro Calamai. “Sebastiano Caboto”, impostata come “Mario Visentin”, fu varata a Sestri Ponente il 4 novembre 1946 e consegnata a fine aprile 1948 (velocità 15 nodi, 90 passeggeri in classe cabina e 530 in terza classe). Quest’ultima riaprì il servizio per Napoli – Cannes – Barcellona – Tenerife – La Guayra – Curacao – Cartagena – Panama – Buonaventura – Puna – Callao – Arica – Antofagasta – Valparaiso (Sud Pacifico) partendo in viaggio inaugurale da Genova il 4 maggio 1948 al comando del cap. Achille Danè : fu la prima nave italiana ad attraversare il Canale di Panama nel dopoguerra. Lo scalo di La Guayra fu importante per il flusso migratorio verso il Venezuela che nel 1947 fu di 2.292 persone, nel 1950 15.914. La terza unità era “Paolo Toscanelli”, nominativo non assegnato durante la costruzione, varata a Sestri Ponente il 30 gennaio 1947 e consegnata a metà marzo 1948; la nave partì per il Brasile – Plata da Genova il 25 marzo 1948 al comando del cap. Filippo Rando.
Contemporaneamente, si procedette al recupero delle altre tre unità affondate, anch’esse completate come navi miste ma con capienza di 90 passeggeri in classe unica e 612 emigranti in cameroni di terza classe, più tardi denominata turistica ed estesa su sei ponti (precisamente dal basso verso l’alto): sul Ponte D gli alloggi di classe turistica, sul Ponte C gli alloggi e la sala da pranzo di classe turistica, sul Ponte B il vestibolo, la sala di soggiorno e le passeggiate, sul Ponte A il vestibolo e gli alloggi di classe unica; sul Ponte Passeggiata la sala da pranzo, la sala di soggiorno la veranda e le passeggiate di classe unica; sul Ponte Sole bar e piscina di classe unica.
La “Marco Polo”, impostata e varata come “Nicolò Giani”, affondata il 29 aprile 1944, fu consegnata a fine luglio 1948 e partì per il primo viaggio verso il Sud Pacifico il 7 agosto 1948 al comando del cap. Cesare Gotelli.
L’ “Amerigo Vespucci”, varata nel 1942 come “Giuseppe Majorana” e sabotata nell’aprile 1945 dai tedeschi in ritirata, venne consegnata a fine aprile 1949 e partì per il viaggio inaugurale per il Brasile – Plata il 5 maggio 1949 al comando del cap. Pietro Passano poi trasferita alla linea del Sud Pacifico il 5 luglio 1949.
L’ “Antoniotto Usodimare”, varata come “Vittorio Mocagatta” il 16 ottobre 1942, trovata affondata a La Spezia nel dopoguerra e ripristinata a Genova, venne consegnata a metà luglio 1949, dopo aver raggiunto alle prove in mare i 18,24 nodi, e partì il 25 luglio 1949 per il Sud Pacifico al comando del cap. Pasquale Pezzato.
Le prime unità vennero modificate dopo pochi viaggi sull’esempio delle ultime. Con l’entrata in servizio delle “Navigatori” sulle linee del Sud America, la turbonave “Gerusalemme” venne trasferita in servizio sperimentale sulla linea centro-americana per La Guayra, Cartagena e Cristobal dal 23 luglio 1948, rimanendovi sino a settembre quando venne consegnata alla Lloyd Triestino di Trieste per la linea del Sud Africa.
Dopo il 1950, le navi della classe “Navigatori” potevano trasportare:
Nave |
Cl. cabina |
3^ classe |
Equip. |
||
Ugolino Vivaldi |
95 |
620 |
129 |
||
Sebastiano Caboto |
90 |
615 |
129 |
||
Paolo Toscanelli |
97 |
698 |
129 |
||
Marco Polo |
99 |
702 |
129 |
||
Amerigo Vespucci |
92 |
518 |
129 |
||
Antoniotto Usodimare |
92 |
614 |
129 |
||
***
Rapporto Carrothers. Studi e simulazioni computerizzate svolte dal capitano Robert J. Meurn della Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti, per conto della stessa Accademia e in parte basate anche sulle scoperte di John C. Carrothers, conclusero che fu l’inesperto terzo ufficiale della Stockholm, Carstens-Johannsen, unico ufficiale sul ponte di comando al momento della collisione a mal interpretare i tracciati radar e a sottostimare la distanza tra le due navi a causa di un’errata regolazione del radar. (n.d.r.)
Ringrazio il dott. Gianni Oneto per la sua disponibilità.
Carlo GATTI
Rapallo, 3.12.22
GUERRA E PACE ... AD ALLEGREZZE
GUERRA E PACE…. AD ALLEGREZZE
Fu un Agosto di sangue quello del 1944 in Val d’Aveto (GE). Siamo nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e i nazisti sono in ritirata dietro la linea Gotica dopo un anno dalla caduta del fascismo, con la collaborazione di delatori in camicia nera al servizio di Mussolini e della Repubblica Sociale di Salò.
Di giorno il marittimo ligure è occupato a tener d’occhio il mare, la nave ed il carico, ma quando riposa sogna i verdi campi, le vallate e spesso addirittura le montagne. Chi ha navigato lo sa, e quando ritorna a casa porta la famiglia a villeggiare in Trentino oppure in Val D’Aosta. Il perché di questa “transumanza” non la conosco, ma forse si tratta del desiderio di uno “stacco” geo-climatico che, tuttavia, dopo una settimana trascorsa tra le mucche scompare per fare posto nuovamente ai sogni di mare.
Fu così che dopo aver scoperto il Trentino e la Val d’Aosta c’innamorammo perdutamente della nostra più vicina Val D’Aveto, dei loro valligiani, delle loro storie e delle tante gite che dal Passo del Tomarlo si potevano fare nei dintorni: Bobbio, il Penice, Grazzano Visconti, Compiano, Bardi alla scoperta d’incantevoli borghi medievali e persino quelli “antico-romani” a Velleia.
Il destino volle che nel 1978 “gettassimo l’ancora” a 920 metri d’altezza, qualche chilometro prima di Santo Stefano D’Aveto, precisamente ad Allegrezze, un borgo di poche case che tuttavia aveva una scuola elementare, un piccolo Ufficio Postale, un negozietto di generi alimentari, un tabacchino ed una vista mozzafiato che va dal Monte Penna all’Antola da cui scendono ripoidi versanti verso il Tigullio ed il golfo Paradiso.
Nella casa attigua alla nostra abitavano i fratelli e le sorelle di ALBINO BADINELLI. Persone umili, sempre disponibili, religiosissimi con i quali ci siamo ben presto sentiti come un’unica famiglia.
Fu così che piano piano venimmo a conoscenza di ciò che accadde a quella sfortunata famiglia e all’intera comunità che si trovò, durante la Seconda guerra mondiale, in un autentico ciclone che ora cercherò di raccontare.
ALBINO BADINELLI
1920 - 1944
UN EROE IN ODORE DI SANTITA’
Il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia
Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta
La chiesa di Santa Maria Assunta sorge in località Allegrezze di Santo Stefano D'Aveto, isolata, con orientamento Est-Ovest, preceduta da un ampio sagrato, lastricato in pietra, chiuso sul lato destro da un basso muretto, in pietra. La facciata a salienti, in pietra a vista è rinserrata agli angoli da cantonali in conci di pietra posti a risega. Al centro si apre il portale, rettangolare, con stipiti e architrave, modanati, in arenaria. Il portale è coronato da una cornice, in aggetto, su mensole a voluta, in pietra. Al di sopra del portale si apre una piccola nicchia a tutto sesto che accoglie la statua, in pietra, della Madonna Assunta. In alto, centrale, si apre il rosone circolare. I fronti laterali, nella parte alta sono forati da quattro monofore a tutto sesto, per lato. La parte bassa del fronte sinistro, corrispondente alla parete della navata minore, presenta una monofora a tutto sesto. Al fronte destro si addossa la Canonica. Al fronte sinistro, sul retro si addossa un edificio parrocchiale. Sul retro l'abside semicircolare è forato ai lati da due larghe monofore a tutto sesto. All'abside si addossa, sul retro, un volume, in leggero aggetto, con fronte a capanna, con rosone che si apre al centro del timpano. Il campanile sorge isolato a sinistra della chiesa. In pietra a vista, a pianta quadrata, su due ordini, separati da una leggera cornice marcapiano, con fronti decorati a specchi rettangolari, strombati, ad angoli smussati, termina con una cella con lesene d'angolo doriche che reggono una trabeazione curvilinea in aggetto. La cella è forata sui quattro lati da alte monofore a tuto sesto e sormontata da un tamburo ottagonale, forato su quattro lati da monofore a tutto sesto e coperto da tetto a guglia piramidale, con manto in lamiera.
L’esterno e l’interno della chiesa di Allegrezze
Eretta parrocchia nel X secolo, i primi documenti sulla locale chiesa di Allegrezze risalgono al 1287 quando un cartario del monastero di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia accertò la presenza di una cappella dedicata alla Vergine Maria.
Dipendente fino alla metà del XVI secolo dal monastero pavese fu in seguito aggregata alla pieve di Ottone in val Trebbia, in occasione della visita pastorale di monsignor Maffeo Gambara vescovo della diocesi di Tortona.
L'interno dell'edificio è diviso da colonne in ardesia - denominata anche "pietra nera" - e conserva sul muro della vasca battesimale un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù di pittore sconosciuto, ma forse risalente al Cinquecento.
Negli anni della Seconda guerra mondiale l’artista Italo PRIMI, nato a Rapallo nel 1903 e spentosi nel 1983, da sfollato ad Allegrezze, dedicò il suo tempo alla cura architettonica e artistica della chiesa di Allegrezze riportando alla luce tesori d’arte come le colonne originali in pietra nera (ardesia) della navata centrale che erano ricoperte da comune materiale edilizio e naturalmente valorizzando altre opere importanti già esistenti.
Italo PRIMI era un artista a tutto tondo: scultore, pittore, creatore di forme e oggetti. Stimato scultore, appassionato pittore, abile decoratore e uomo legato alla sua famiglia e alla sua terra, non ha mai smesso di coltivare la sua passione per l’arte. Artista vivace e aperto a nuove sperimentazioni, ma anche uomo riservato e incline alla solitudine.
All’epoca quel piccolo angolo di mondo girava intorno alla sua chiesa, un antico santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, da cui il nome Allegrezze. Il suo altissimo campanile è visibile dappertutto ed è tuttora il punto di riferimento della religiosità molto sentita dalle comunità montane di quel comprensorio. Il borgo si anima d’estate con la presenza di famiglie rivierasche attirate dalla posizione dominante alla quale si accede dalla costa attraverso i Passi della Forcella (875 mt.s.l.m.) o della Scoglina (926 mt.s.l.m.)
Negli anni ’80-‘90 la maggior parte dei giovani residenti abbandonarono i campi e le stalle e si trasferirono nelle grandi città in cerca di lavoro. Oggi si assiste ad un ritorno al passato molto promettente che vede alcune iniziative famigliari dedite non solo alla produzione di latte ma anche dei suoi derivati: formaggi tradizionali della vallata, e persino yogurt che sono molto richiesti per la loro fragranza.
Non hanno più riaperto il negozio d'alimentari e gli altri esercizi cui accennavo perché le anime di questo paese non raggiungono il numero di 25 e, sia i pochi residenti che i turisti, sono ormai motorizzati e raggiungono in pochi minuti il vicino comune di Santo Stefano. Le mucche sono 35, il numero è proporzionate al terreno di pascolo dei proprietari.
A questo punto vi chiederete: “ma perché Carlo ci ha portato fin quassù dopo averci abituato ai settimanali viaggi di mare … ?”
Innanzitutto, dopo questa estate infuocata, penso che una gita da queste parti vi possa solo giovare… dal punto di vista climatico e non solo… ma il vero motivo è un altro, ed è giunto il momento d’entrare in argomento.
QUADRO STORICO
Dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati e la caduta del fascismo il nuovo governo italiano tratta con gli Alleati per uscire dalla guerra. I tedeschi capiscono quello che sta per accadere e danno il via all’Operazione Alarico, con cui mandano consistenti truppe nella penisola. Mentre le trattative per l’armistizio vanno avanti tra ambiguità e tentennamenti da parte italiana, i nostri vertici militari si preparano al mutare degli eventi. In un documento: la Memoria Op 44, si danno disposizioni su come reagire alla probabile rappresaglia tedesca dopo l’armistizio, e si indicano chiaramente i nostri ex alleati come il nuovo nemico. Nonostante tutto, l’8 settembre ‘43 coglie il governo impreparato. Gli ordini non vengono diramati, i vertici dello Stato e delle forze armate abbandonano la capitale e lasciano i comandi territoriali, in Italia e all’estero, privi di indicazioni. Molti decidono di combattere, ma vengono presto sopraffatti dai tedeschi, che in poco tempo catturano un milione di militari italiani, la maggior parte dei quali viene condotto in prigionia nei lager di Germania e Polonia.
I Carabinieri sono tra i pochi militari che rimangono al loro posto, in virtù delle funzioni di polizia che devono svolgere e grazie alla loro presenza capillare sul territorio. In quei giorni concitati, a Torrimpietra, una località a 30 chilometri da Roma, un'esplosione causata incidentalmente da un gruppo di paracadutisti tedeschi durante un'ispezione, viene fatta passare per un attentato. I tedeschi rastrellano per rappresaglia 22 civili, destinandoli alla fucilazione. Il vicebrigadiere dei carabinieri SALVO D’ACQUISTO, di stanza in caserma, si autoaccusa dell'atto e sacrifica la propria vita per salvare quella degli ostaggi. Medaglia d'oro al valor militare, Salvo D'Acquisto diventa il simbolo della dedizione e dello spirito di sacrificio dell'Arma e il suo gesto non rimarrà isolato. Durante i venti mesi di occupazione tedesca, infatti, altri carabinieri daranno la vita per proteggere le popolazioni civili, oppure supporteranno la Resistenza e la lotta di liberazione.
Nella Val D’Aveto. Un anno dopo!
ALBINO BADINELLI (6.marzo 1920- 2.settembre 1944)
il carabiniere che si costituì ai nazifascisti per salvare 20 ostaggi e l'intero paese dalla rappresaglia.
La strada che taglia l’abitato di Allegrezze porta il nome di questo giovane carabiniere: Albino Badinelli che testimonia al passante un gesto di amore ed altruismo infiniti nel dare la propria vita per salvare quella di 20 civili avetani presi a caso e destinati alla fucilazione quali vittime di un’infame rappresaglia decisa dal comando nazifascista di Santo Stefano D’Aveto per vendicare alcuni militari caduti tra i reparti della Monterosa.
La Monterosa fu una delle unità militari create durante la Repubblica Sociale Italiana dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, nonché una delle più importanti che combatterono sotto le insegne del Fascismo repubblicano. La divisione, composta da circa 20.000 uomini era stata addestrata in Germania e quando tornò in Italia fu impiegata a ridosso delle Alpi Apuane e dell’Appenino Tosco-Emiliano ed anche nella Val D’Aveto.
ALBINO BADINELLI in alta uniforme
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Davanti al plotone di esecuzione, come Gesù in croce, Albino disse: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Un perdono che nasceva da una fede nutrita in famiglia, fin dall’infanzia. E la Chiesa guarda con crescente interesse alla sua figura.
Settimo di 11 figli di Caterina e Vittorio, contadini, Albino nasce ad Allegrezze, frazione del paesino ligure di Santo Stefano d’Aveto. Fin da piccolo, quando non è impegnato con la scuola, aiuta la famiglia nei campi. La sera, per genitori e figli, è consueta la recita del Rosario attorno al focolare. Albino porterà sempre con sé la devozione per la Madonna coltivata tra le mura domestiche ed espressa anche con il custodire, nelle sue tasche, la coroncina del Santo Rosario.
Il giovane carabiniere di Allegrezze, dopo l'8 settembre 1943, privo di comando nella Caserma di S. Maria del Taro a cui era stato assegnato, torna presso la famiglia di origine che cerca in tutti i modi di aiutare con il suo lavoro nei campi e nella ricerca del fratello disperso in Russia.
Nell’agosto 1944 diversi scontri tra partigiani e nazifascisti mettono a ferro e fuoco i paesi del circondario. Per contrastare gli attacchi della Resistenza, il comandante della Divisione Monte Rosa (maggiore Cadelo) minaccia di incendiare S. Stefano d’Aveto e di uccidere 20 ostaggi se i partigiani e gli sbandati non si presenteranno al Comando. Poiché nessuno si costituisce, terrorizzato dall’idea che venti innocenti possano essere trucidati, Albino si presenta il 2 settembre in caserma accompagnato dalla madre, invocando moderazione e pace. Viene invece immediatamente condotto davanti al plotone d’esecuzione presso il Cimitero del borgo attiguo alla chiesa, dove confida al sacerdote, un attimo prima di essere fucilato, la volontà di perdonare i suoi carnefici.
Segnalato da Tommaso Mazza, pronipote. Candidatura proposta per il Monte Stella nel 2016
Desidero a questo punto aggiungere alcune testimonianze, rese a chi scrive, dal fratello Antonio (Tony) e da sua moglie Augusta durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme.
“Le sue giornate passavano tra casa, campagna e chiesa. Albino leggeva molto e studiava sempre, era il più intelligente di tutti noi. Fin da bambino aveva dimostrato un forte senso religioso, intriso di profondi valori cristiani: umanità, generosità, carità, bontà d’animo e spirito di servizio. Albino era profondamente radicato nelle tradizioni religiose proprie della nostra montagna.
Albino aveva una bella voce, ed il suo canto aggiungeva solennità alle celebrazioni liturgiche in occasione delle festività, e anche quando poteva ogni mattina alle messe feriali, mentre nel tempo libero si dedicava a disegni artistici.
Diventare carabiniere era il suo sogno fin da bambino. Nel 1939 entrò all’Accademia Militare di Torino. Ai primi di marzo del 1940 venne incorporato, quale Carabiniere Ausiliario a piedi, presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma, con la ferma ordinanza di leva di mesi 18.
Nominato Carabiniere il 10 giugno dello stesso anno, fu trasferito alla Legione di Messina il 14 successivo, per poi prestare servizio nella cittadina di Scicli. Il 2 maggio 1941 è assegnato alla Legione di Napoli per il costituendo XX Battaglione Mobilitato e giunge in Balcania, territorio dichiarato in stato di guerra, il 21 settembre 1941.
Nei primi tempi Albino non se la passò male, almeno non come nostro fratello Marino che non tornò mai più dalla campagna di Russia. Tutto cambiò nel 1944 quando, dopo la distruzione della caserma in provincia di Parma dove prestava servizio, fu invitato a tornare a casa in attesa di ordini. Molti suoi colleghi in quei mesi passarono tra i partigiani. Lui era un animo pacifico, ma aiutava come poteva coloro che si erano dati alla macchia per non essere catturati e deportati.
Nell'estate del 1944 i partigiani uccidono cinque fascisti. Per rappresaglia, il comandante Cadelo della divisione Monterosa, “Caramella” era il soprannome che gli fu dato per il monocolo che gli copriva un occhio, fece diffondere un ultimatum terribile: se i partigiani non si fossero consegnati subito, avrebbe fatto fucilare tutti i civili, tra i quali c'erano anche donne e bambini, detenuti nella Casa Littoria del paese. In più avrebbe dato ordine di incendiare Santo Stefano, come già era stato fatto con alcuni paesi vicini. Di fronte a questa prospettiva, Albino prese la sua decisione:
“Prima che uccidano qualcuno, mi presento io. Altrimenti non avrei pace”
ci disse. “Noi eravamo tutti terrorizzati, ma pensavamo che al massimo l'avrebbero portato in Germania. E invece quando “Caramella” lo vide si mise a urlare:
"Tu sei un carabiniere! Il tuo dovere è catturare i disertori!”.
Albino provò a obiettare che lui voleva solo la pace, ma "Caramella" urlò ancora più forte:
“Altro che pace! Il plotone di esecuzione ti aspetta!”.
In una delle lettere di quel periodo, il 7 giugno 1942, scrive:
«Cara mamma, non posso descriverti tutta la poesia che mi suscitò nel cuore l’immagine di quella Madonnina alla quale vengono rivolte preghiere che non potranno non essere esaudite, essendo rivolte con tanta devozione dal cuore di una madre, che con ansia implora la protezione dei figli lontani... Siate sempre tranquilli, perché ovunque Ella stenderà il Suo manto sopra di noi, ne conserveremo la devozione».
Il 21 agosto successivo, in un’altra lettera, raccomanda ai familiari: «Rassegnatevi sempre al volere di Dio».
Nel biennio ’43-’44 la famiglia Badinelli è segnata prima dall’angoscia di non avere più notizie di uno dei fratelli di Albino, Marino, impegnato a combattere sul fronte russo, e poi dal dolore per la certezza della sua morte. Sarà san Pio da Pietrelcina - una delle persone a cui mamma Caterina aveva scritto - a far sapere alla famiglia di non cercare più Marino perché giaceva sepolto in una fossa comune in Russia. Circostanza che verrà confermata dal Ministero della Difesa negli anni Ottanta.
Nel ’43, Albino viene richiamato in Italia per prestare servizio a Santa Maria del Taro, piccola località in provincia di Parma. Il giovane carabiniere stringe amicizie profonde e non manca, nel suo piccolo, di evangelizzare. Testimonierà il collega Fabio Morelli, conosciuto durante l’esperienza lavorativa nel parmense: «Albino era una persona speciale, dotata di grande umanità e profonda religiosità. Andava ogni giorno a Messa nella chiesa parrocchiale e spesso ci invitava tutti a pregare il Rosario con lui. Era un grande esempio per noi che gli eravamo legatissimi […]».
LA GUERRA CIVILE
Ulteriori testimonianze
Dopo il Proclama Badoglio dell’8 settembre ‘43, che annuncia l’armistizio con gli Alleati, l’Italia si trova spaccata in due, tra nazifascisti e forze della Resistenza. Anche Albino sperimenta presto la durezza di quella guerra nella guerra, dove pure vecchi amici e familiari possono trovarsi su fronti opposti. Alcuni partigiani, siamo già nel ’44, attaccano la caserma di Santa Maria del Taro, devastandola con una bomba. Seguendo gli ordini di un superiore, Albino fa ritorno a casa, ma prima si libera del moschetto perché sconvolto dall’idea di potersene servire per uccidere dei fratelli.
Come abbiamo già visto, anche la Val d’Aveto non rimane estranea agli scontri tra “repubblichini” di Salò e "partigiani". È l’agosto del ’44 quando la Divisione nazifascista Monterosa entra in quei territori, incendiando le case in diversi borghi. Al suo comando c’è il maggiore Girolamo Cadelo, il quale ha diversi obiettivi: stanare i ribelli che infestavano quelle campagne, neutralizzare l’attività partigiana e rastrellare disertori e renitenti alla leva (in osservanza del decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944, n. 30:
“Pena capitale a carico di disertori o renitenti alla leva”)» [cfr. Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri, Anno II, n. 4, p. 93].
Nel giorno dell’ingresso a Santo Stefano d’Aveto, il 27 agosto, la Monterosa subisce un agguato partigiano, patendo alcune vittime. La frazione di Allegrezze, due giorni più tardi, viene incendiata dalle bande fasciste. Arriva quindi il 2 settembre. Il maggiore Cadelo e i suoi uomini hanno con sé una ventina di ostaggi. Dei manifesti, sparsi in tutto il territorio cittadino, invitano i giovani “sbandati” a presentarsi alla locale Casa del Fascio. In caso contrario, i prigionieri saranno uccisi e le case di Santo Stefano date alle fiamme. Pochi si consegnano e tra questi - pur non partecipando attivamente alla Resistenza - c’è Albino, che ai familiari aveva detto: «Devo presentarmi prima che venga ucciso qualcuno, perché non avrei più pace. Io devo essere il primo!».
Alla Casa del Fascio, Badinelli spiega a Cadelo di appartenere all’Arma e di volere la pace, ma il maggiore gli urla di aver mancato al dovere di catturare i disertori ed emette la sua ‘sentenza’: «Plotone di esecuzione!». Albino chiede a quel punto di potersi confessare, ma gli viene negato. Un giovane ha però la pietà di andare a chiamare monsignor Giuseppe Monteverde, un anziano sacerdote del posto, che accompagna Albino verso il luogo dell’esecuzione, il cimitero di S.Stefano D’Aveto, e ne raccoglie le ultime confidenze. Tra queste, c’è anche il perdono per coloro che di lì a breve saranno i suoi uccisori. Il buon sacerdote lo benedice, gli consegna un crocifisso e lo raccomanda alla Madonna di Guadalupe, molto venerata a Santo Stefano.
Chiesa parrocchiale di Santo Stefano - Santuario della Madonna di Guadalupe
Nell'edificio viene conservata un'immagine della Santa portata nel santuario nel 1804 dalla chiesa di San Pietro in Piacenza. Il santuario conserva dal 1811 anche una tela che raffigura la Vergine donata all'edificio dal cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, segretario di Stato di papa Pio VII. Si narra che questa tela fosse sulle navi del suo antenato Andrea Doria nel 1571, durante la Battaglia di Lepanto. Il quadro, copia dell'immagine impressa sulla tilma, gli era stato donato all'ammiraglio dal re di Spagna Filippo II. La chiesa di stile gotico toscano fu ricostruita nel 1928 in sostituzione della vecchia settecentesca di cui rimane il campanile. L'altare maggiore espone ai lati del vecchio quadro due pale dedicate a Santo Stefano ed a Santa Maria Maddalena. Le parti in legno sono state eseguite da maestri della val Gardena.
Albino BADINELLI fu fucilato con la schiena al muro dove oggi è posta la targa commemorativa qui fotografata mentre viene benedetta da un sacerdote.
LA MEDAGLIA D’ORO conferita al carabiniere Albino Badinelli
Onorificenze e riconoscimenti
Domenica 25 settembre 2016, durante la visita a Stella (Savona), paese natio di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato Agnese Badinelli, sorella di Albino.
Dal 6 marzo 2017 Albino Badinelli viene commemorato come “Giusto dell’umanità”, titolo riservato a coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. A lui e ad altre venti figure è stata dedicata la cerimonia di apertura delle celebrazioni per la Giornata europea dei Giusti, a Palazzo Marino, Milano, con la consegna delle pergamene per l’inserimento nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. E’ seguita poi la commemorazione in Consiglio Comunale, con la lettura dei nomi dei nuovi Giusti, ospiti d’onore nella seduta del Consiglio.
Anche la Chiesa cattolica sta lavorando per riconoscere ufficialmente la fama di santità di questo giovane. Papa Francesco è stato informato della vicenda legato alla figura di Albino Badinelli nel settembre 2015, quando il Comitato, in visita a Roma, ha donato un piccolo volume a Papa Francesco, nel contesto dell’Udienza generale. Nella stessa occasione, il volume è stato dato anche al Papa emerito Benedetto XVI, attraverso il suo segretario personale.
Il 2 gennaio 2016, Tommaso Mazza, sacerdote della diocesi di Chiavari, ha avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione personale con Papa Francesco a Casa Santa Marta. In questa occasione, tra le molte cose proposte, ha presentato al Santo Padre, in modo più dettagliato, la storia di Albino Badinelli, facendo particolare riferimento alla storia della sua morte. Nel maggio 2018 i Cardinali e i Vescovi lo hanno scelto come “Testimone” del Sinodo dei Giovani.
Decreto del Presidente della Repubblica
3 agosto 2017
Medaglia d'oro al merito civile alla memoria |
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«Carabiniere effettivo alla Stazione di Santa Maria del Taro (PR), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non volendo venir meno al giuramento prestato e deciso a non far parte delle milizie della Repubblica di Salò, si dava dapprima alla macchia e successivamente decideva di consegnarsi al reparto nazifascista che, come rappresaglia ad un attacco subito, minacciava di trucidare venti civili inermi. Condotto davanti al plotone di esecuzione sacrificava la propria vita per salvare quella dei prigionieri. Chiaro esempio di eccezionale senso di abnegazione e di elette virtù civiche spinte fino all’estremo sacrificio. 2 settembre 1944 Santo Stefano d'Aveto(GE).» |
Giunti al cimitero del Comune di Santo Stefano d’Aveto, Albino viene posto con le spalle al muro. È in quegli istanti che, dopo aver baciato con grande devozione il crocifisso, dice come Gesù in croce:
«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».
Qualcuno nel plotone si rifiuta di sparare. Ma la sua sorte è segnata. Viene raggiunto da tre colpi di arma da fuoco, due al cuore e uno alla testa. Così, il 2 settembre 1944, il ventiquattrenne Albino torna al Creatore (sul luogo della sua morte, oggi si trova una lapide, la cui scritta finisce così:
«O tu che passi / chinati al suo ricordo / e prega a lui ed al mondo / pace»).
A piangerlo, tra i tanti familiari e amici, la fidanzata Albina, che tempo dopo chiederà di essere sepolta insieme alle lettere che lui le scriveva.
Il suo cadavere, ancora sanguinante, viene lasciato per un po’ davanti al cimitero e poi portato nel coro della vecchia chiesa parrocchiale, con l’ordine del maggiore Cadelo di non spostarlo da lì, perché serva da monito. Ma nella notte il corpo esanime di Albino viene trafugato da alcuni compaesani, guidati da monsignor Casimiro Todeschini, per dargli degna sepoltura.
Il suo sacrificio contribuisce comunque a placare l’ira di Cadelo, che rinuncia al proposito di uccidere gli ostaggi e incendiare Santo Stefano. Lo stesso maggiore finirà vittima di un’imboscata alcuni giorni più tardi, il 27 settembre, nei pressi del Passo della Forcella.
Ma chi comunica il fatto a mamma Caterina, pensando di portarle una buona notizia, si sente rispondere da lei:
«Non voglio ritirare il perdono che mio figlio ha dato prima di morire!».
E qualche tempo dopo, mentre sta recitando il Rosario in un angolo della sua cucina, interpellata da un cappellano militare giunto con altri a raccogliere informazioni sulla morte di Albino, la donna confida:
«Prego per coloro che hanno ucciso mio figlio».
Da quel giorno il ricordo del sacrificio di Albino non si è ancora spento: a suo nome è stata intitolata una via del Comune, dove si trovano la stazione dei Carabinieri e la scuola.
Nel 2015 è stato poi fondato il Comitato Albino Badinelli, per favorire lo sviluppo e la conoscenza della sua testimonianza.
«In questo modo - come afferma una dichiarazione di un testimone - il Carabiniere Albino Badinelli entrò nel novero di quegli eletti che, con il loro sacrificio supremo, resero possibile il nostro riscatto».
ESEMPIO PER LA CHIESA E IL MONDO
Naturalmente, la Chiesa guarda con grande attenzione alla figura di Badinelli. Almeno quattro Papi - Pio XII, Paolo VI, Benedetto XVI, Francesco - hanno conosciuto ed espresso in vario modo la loro gratitudine per l’esempio di Badinelli. Ratzinger ha parlato del suo sacrificio come «testimonianza di amore e di pace che dona forza e stimolo ai giovani del nostro tempo». E nel Sinodo dei Giovani del 2018, voluto da Bergoglio, Albino è stato incluso tra i testimoni dell’amore di Cristo da far conoscere alle nuove generazioni.
Di recente lo stesso giornalista Italo Vallebella ha scritto per il SECOLO XIX un articolo così intitolato:
Santo Stefano D’Aveto, beatificazione e canonizzazione del carabiniere Badinelli: la Congregazione dà il nulla osta
Per saperne di più:
Libro: L’amore più grande
Autore Tommaso Mazza
LA BATTAGLIA DI ALLEGREZZE NELL’ANNO 1944
http://www.valdaveto.net/documento_655.html
Con il nome di Bando Graziani furono chiamati una serie di bandi di reclutamento militare obbligatorio, destinati ai giovani italiani nati negli anni tra il 1916 e il 1926, emanati dal Ministro della Difesa della Repubblica Sociale Italiana, Rodolfo Graziani, per la costituzione del nuovo Esercito della RSI.
Il primo di questi bandi risale al 9 novembre 1943 e riguardava i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. Dei 180 000 richiamati alla leva da questo primo bando, solo 87.000 si presentarono, tutti gli altri disertarono e molti di loro fuggirono raggiungendo le formazioni partigiane. Il 18 febbraio 1944 un decreto di Mussolini sanciva la pena di morte mediante fucilazione per i renitenti e i disertori. Questi bandi, tuttavia, ebbero scarso successo e anzi rafforzarono la resistenza partigiana clandestina, verso la quale furono attratti inevitabilmente i tanti renitenti in fuga dalla leva.
Come un ruvido panno passa sull'umanità, privandola di quelle differenziazioni sociali di cui la collettività stessa si nutre.
Rimane infine l'uomo, nella sua essenza. Nel bene e nel male.
Ecco allora che questa pagina rievocando i drammatici accadimenti della cosiddetta Battaglia di Allegrezze, rappresenta un vero monito per tutti: non lasciamo mai che la bestia che vive in ognuno di noi prenda il sopravvento.
Pensiamo al prof. Podestà, al canonico Moglia e al falegname Zaraboldi. Diversi per formazione e ruolo sociale, ma accomunati da quello che più conta: essere uomini.
Nell'accezione più sublime del termine.
Di Massimo Brizzolara
Chiavari 30 giugno 1946
Il sottoscritto dichiara che la sera del 27 agosto 1944 alle ore 17 circa, venne prelevato (arma alla mano) da due soldati accompagnati da due borghesi che erano stati prelevati in rastrellamento da una colonna di nazifascisti (gruppo Cadelo di esplorazione della Monte Rosa) ed invitato a recarsi ad Allegrezze d'Aveto per prestare soccorso medico a feriti nel combattimento in corso con un gruppo di partigiani che aveva aggredito la colonna stessa.
Il sottoscritto era a La Villa d'Aveto dove aveva la propria famiglia sfollata e da pochi giorni era venuto a visitarla. Il sottoscritto si fece accompagnare dal figlio del suo padrone di casa sig. Zaraboldi Costantino ed insieme ai militari e borghesi suddetti si recò ad Allegrezze che dista circa 1 Km.
Ferveva sempre il combattimento, ivi giunto trovò il parroco Don Primo Moglia dal quale apprese che lui stesso era stato preso in ostaggio dal comandante della colonna dei nazifascisti e che mentre veniva condotto a S. Stefano d'Aveto con la stessa, aveva inizio un fiero combattimento con i partigiani, per cui la colonna stessa era stata decimata ed aveva dovuto retrocedere.
Il parroco Don Primo allora aveva disposto il raccoglimento dei feriti e dei morti, improvvisando in casa sua (canonica) l'infermeria. Infatti io trovai nei vari letti e stanze, una quantità di feriti più gravi. Pregai il parroco di disporre in modo che mi si aprisse la scuola di fronte alla sua canonica per poter medicare e ricoverare anche altri feriti che via via affluivano portati dai borghesi. Posso attestare che la popolazione di Allegrezze guidata dal suo parroco fece miracoli in quella sera e in tutta la notte successiva, mettendo a disposizione i pagliericci e la biancheria occorrente a medicare e ricoverare ben 37 feriti gravi e a portare al cimitero sette morti.
Furono tutti medicati dal sottoscritto con l'aiuto della popolazione e in modo speciale dal parroco e da una donna che era stata presa in ostaggio certa Caprini Maria.
Nella notte stessa, con l'aiuto dell'interprete tedesco P. Tomas Ruckert, il sottoscritto potè tenere dal tenente tedesco delle SS che apparteneva al Comando della colonna stessa, la promessa su parola d'onore dello stesso, di liberare all'alba gli ostaggi presi e tra questi il parroco Don Primo Moglia ed il giovane sacerdote Giovanni Barattini di Alpicella.
Tutto ciò in premio dell'opera veramente encomiabile prestata da Don Primo e dalla popolazione della sua parrocchia da lui guidata. Infatti, all'alba del giorno dopo, prima di partire io stesso recandomi alla sua abitazione mi accertai personalmente che tale liberazione fosse mantenuta.
ALLEGREZZE BRUCIA
29 AGOSTO 1944
Purtroppo, il giorno appresso venne bruciato il paese, su ordine di un militare italiano Maggiore Cadelo che comandava la colonna.
Infrangendo la parola d'onore con il sottoscritto impegnata in proposito dal Tenente tedesco delle SS a lui in sott'ordine, mentre al mattino del 29 agosto 1944 il parroco Don Primo Moglia celebrava la messa per la festa della Madonna della Guardia presente tutti i suoi parrocchiani, faceva circondare il paese e appiccare il fuoco a tutte le abitazioni della frazione impedendo ai parrocchiani di altre frazioni di accorrere in aiuto per spegnere gli incendi. La chiesa fu salva soltanto perchè il parroco si era adoperato come già detto per i feriti. Così anche la scuola, la canonica e la stessa sua vita.
Giorni dopo assieme al parroco Don Primo Moglia, al becchino e al figlio del mio padrone di casa sig. Costantino Zaraboldi, per mia iniziativa ci recammo in località "La Cava" per raccogliere il cadavere del partigiano Berto, che su ordine del su menzionato Maggiore Cadelo, era stato lasciato sulla strada con minaccia per chi lo avesse toccato e gli demmo onorata sepoltura.
La bara fu fabbricata dallo stesso Costante Zaraboldi gratuitamente.
Un mese dopo circa, tanto il sottoscritto (che aveva rimesso di proprio tutta la medicazione dei feriti stessi) che il Zaraboldi e il padre suo, vennero arrestati assieme al parroco di S. Stefano d'Aveto ed al parroco di Pievetta sotto l'accusa di collaborazione con i partigiani e non vennero fucilati insieme ad altri otto disgraziati del luogo, solo perché nel frattempo il Maggiore Cadelo (che aveva dato ordine di fucilazione) venne ucciso in imboscata dai partigiani.
In fede di quanto sopra firmato Dott. Prof. Vittorio Podestà *
* Medico Chirurgo Radiologo - Docente nella Regia Università di Genova - Perito Medico Giudiziario
I due partigiani: BRIZZOLARA ANDREA di Villanoce e SILVIO SOLIMANO “BERTO” di Santa Margherita Ligure caddero combattendo contro i nazifascisti ad Allegrezze il 27 Agosto 1944.
Albino Badinelli – L’Arcivescovo di Chiavari, incontra la sorella del carabiniere martire.
http://www.ordinariatomilitare.it/2021/04/28/albino-badinelli-larcivescovo-a-chiavari-incontra-la-sorella-del-carabiniere-martire/
TESTIMONIANZE RACCOLTE PRESSO I PARENTI DI
ALBINO BADINELLI
IL CIMITERO DI ALLEGREZZE
Due giganteschi alberi di SEQUOIA fanno da guardiani e custodiscono la memoria per sempre
Anni Ottanta dell’Ottocento, epoca della messa a dimora da parte di Agostino Zanaboldi, figlio di immigrati liguri negli Stati Uniti, che ritornò da New York con due piantine di sequoia….
Concludo con alcune riflessioni personali:
I carabinieri avevano due compiti principali:
di polizia, tutela della sicurezza della popolazione italiana - di militari nelle Forze Armate, avevano giurato fedeltà al re e non al fascismo.
Domenica 25 luglio 1943 ore 17.00
Tra coloro che si occupano dell'arresto di Mussolini: i carabinieri Giovanni Frignani e Raffaele Aversa saranno tra gli uccisi alle cave Ardeatine.
Per questo motivo i nazifascisti non si fideranno mai dei carabinieri.
La situazione diventa estremamente difficile per l’Arma Regia dopo l’8 settembre 1943, quando il Re abbandona la capitale e l’Arma dei Carabinieri riceve l’ordine di rimanere sul posto per mantenere l’ordine pubblico e collaborare con l’occupante.
Viene chiesta loro la “fedeltà a Salò” e da quel momento iniziano le diserzioni, le deportazioni e gli arruolamenti presso le unità partigiane.
In questo drammatico quadro storico avviene la fucilazione di Salvo D’Acquisto seppure innocente e riconosciuto tale dal comando tedesco.
Il suo gesto eroico salva la vita a 22 ostaggi presi nei dintorni quando tutti sapevano che la causa della morte di due militari tedeschi era dovuta ad una esplosione da loro stessi provocata. Gli ostaggi furono liberati ma i tedeschi ottennero il loro scopo: creare panico e terrore tra la popolazione.
A guerra finita i numeri ci spiegheranno meglio di tante parole il SACRIFICIO dei Carabinieri:
2.735 ……….. caduti
6.521 …………feriti
0ltre 5.000… deportati in Germania
Nel 2001 Papa Giovanni Paolo II, in un discorso rivolto ai Carabinieri disse:
La storia dell’Arma dimostra che si può raggiungere la vetta della SANTITA’ nell’adempimento fedele e generoso verso il proprio STATO.
SALVO D’ACQUISTO:
Nascita:
Napoli, 15 ottobre 1920
Morte:
23-settembre-1943
Località Torre Perla di Palidoro, nella frazione di Palidoro, nel comune di Roma (oggi-Fiumicino).
ALBINO BADINELLI:
Nascita:
Allegrezze, 6 marzo 1920
Morte:
2 settembre 1944
Santo Stefano D’Aveto
Tra questi due GIGANTI dello SPIRITO DI SERVIZIO è difficile trovare persino le più sottili differenze caratteriali e comportamentali.
Entrambi si presentarono spontaneamente davanti ai loro carnefici esibendo ciascuno il PROPRIO ONORE MILITARE, QUEL VALORE che non trovarono sia nel Comando Tedesco di Roma sia in quello Nazifascista della Liguria montana.
Rimane soltanto da aggiungere qualcosa sull’enfasi, la pubblicità dei media, del cinema e della politica data al tragico evento riferito al povero Salvo D’ACQUISTO ed il lunghissimo SILENZIO dedicato al NOSTRO carabiniere Albino BADINELLI.
Gli storici “sopra le parti” affermano che la politica non nobilita mai certi fatti… ma che è soltanto capace di MITIZZARE la parte che più gli conviene.
Credo si riferiscano all’azione compiuta dai Gruppi di Azione Patriottica il 23 marzo 1944 quando attaccarono una colonna del battaglione di polizia tedesca Bozen in via Rasella a Roma provocando la morte di 26 soldati austriaci, fatto che fece scattare immediatamente la “rappresaglia nazista”.
Nessuno degli autori di quella strage si presentò per autodenunciarsi al Comando tedesco e, com’è noto, la conseguenza fu la seguente: il giorno dopo, il 24 marzo 1944 un plotone tedesco, comandato da Herbert Kappler giustiziò 335 italiani “incolpevoli” alle Fosse Ardeatine.
Un massacro tra i più efferati della storia della Seconda guerra mondiale.
Una giustificazione per i responsabili dell’eccidio di Via Rasella esiste in ogni caso: Kappler, per ordine perentorio dello stesso Hitler, fu obbligato a eseguire la strage in tempi brevissimi, motivo per cui non ci sarebbe stato il tempo materiale per mettere a punto una qualsiasi strategia tesa ad evitare la morte di quei poveri Martiri delle Fosse Ardeatine.
Tutto comprensibile! Ma per i nostri due VALOROSI Carabinieri:
SALVO D’ACQUISTO E ALBINO BADINELLI
A IMITAZIONE DI CRISTO
bastarono pochi minuti per autodenunciarsi, salire sul patibolo e morire per salvare degli innocenti.
Carlo GATTI
Rapallo, 3 Agosto 2022
IL FRONTE MARE DI RAPALLO VISTO DA UN "MARINAIO" - Parte Seconda -
LA SPIAGGIA DELLE SALINE
RAPALLO
Durante la Repubblica Marinara di Genova i marittimi potevano scegliere tra due tipi d’ingaggio: “con diritto di mugugno” o “senza mugugno”: chi firmava il contratto “con mugugno”, percepiva una paga inferiore, ma poteva lavorare mugugnando e brontolando.
La necessità “de mogognâ” dei marinai è un forte desiderio a non subire “chi gestisce il potere”; tanto da poter difendere i loro diritti, addirittura non rendendoli commerciabili. Questi “prestatori d’opera” hanno dato dignità al loro lavoro! Una forma embrionale di Democrazia. (Marcello Carpeneto)
Oggi il mugugno è un segno d’identità ligustica, riconosciuta per la sua gente chiusa e stondäia (brontolona), solo apparentemente restia all’accoglienza e al turismo.
Con questo spirito di libertà tutta ligure, mi accingo a “disegnare” due mugugni alla marinara … Chi mi conosce sa che non amo granché la politica, qualunque sia il suo colore, e c’è un motivo di fondo: il destino mi ha portato sempre in giro per il mondo ed ho finito per affezionarmi solo al MARE e alle sue molteplici attività!
Tuttavia, nel mio precedente articolo:
IL FRONTE MARE DI RAPALLO - PARTE PRIMA
ho precisato:
“La creazione di una spiaggia pubblica a Rapallo, ritengo sia stata un’ottima idea dell’Amministrazione cittadina per i tanti positivi risvolti economici, turistici, ambientali che potranno fornire alla rinata perla del Tigullio”.
E qui ribadisco il concetto prendendo le distanze da chi ha voluto sui socials, come spesso succede in certi ambiti … “fotografare” l’articolo quale situazione favorevole ai loro interessi personali o politici. Non a caso ho scritto più volte che tra marinai e terrestri le comunicazioni sono rare, confuse e spesso avvengono su “convergenze parallele” come disse quel bravo politico tragicamente scomparso nel 1978!
PRIMO MUGUGNO
Fa parte del mio abito mentale e quindi comportamentale, cercare sempre di prefigurarmi le situazioni in divenire per evitare possibili errori, le cosiddette “facciate”...
Per quanto riguarda la novità dell’estate 2022 a Rapallo: la Spiaggia delle Saline, appunto, mi vien fatto di pensare che, essendo la stessa situata alle spalle del Complesso Portuale Rapallese che ha un potenziale di circa 900/1000 ormeggi fruibili, non possa fornire “accettabili” forme di balneazione agli utenti, riferendomi in particolare all’anno che verrà (?)… in cui ci sarà la ripartenza a pieno regime del Porto Carlo Riva.
L’elemento che occorreva prendere seriamente in considerazione, a suo tempo, è ancora il VENTO: LA BREZZA DI MARE, chiamata così perché soffia dal mare verso terra nelle ore diurne. Parliamo proprio di questo vento che ha reso celebri le nostre località costiere avendo la capacità di mitigare le alte temperature tipiche del periodo estivo.
Se non lo avete ancora fatto, provate ad immaginare questo vento marino, fresco e pulito che, dopo aver accarezzato l’area portuale, cambia abito, s’impregna di fumi e gas di scarico di numerosi motori di varia potenza facendosi vettore anche di altri “inquinamenti” già visti galleggiare su tutti gli arenili italiani, rilasciati da barche in movimento “da mane a sera”… che poi saranno depositate nell’habitat che incontra sul suo cammino cioè:
Sulla Spiaggia delle Saline
Location che è destinata pertanto a diventare il ricettacolo di una variegata complessità di rumenta! Mi auguro di sbagliare ma credo che altri abbiano scelto un’area ben poco adatta ad una balneazione intesa nel senso tradizionale, cioè conforme ai bollini blu che Rapallo si è meritata nel tempo!
CONCLUSIONE
La logica marinara avrebbe indicato per la balneazione, la zona della passeggiata a mare - la più distante possibile dalla zona portuale - vale a dire lo spazio compreso tra il molo dei Primeri (Bruno De Lorenzi) ed il Castello cinquecentesco (vedi freccia blu foto sopra ), area che gode di un ampio spazio aperto verso il mare da cui soffia la brezza diurna, fresca e priva di ostacoli inquinanti.
Brezza di mare e brezza di terra, come si formano?
Le brezze sono uno degli elementi meteorologici più conosciuti dalla popolazione, anche se il loro processo di formazione è un po 'più complesso di quanto possa sembrare a prima vista. Qui te lo spieghiamo.
Schema di formazione delle brezze marine
Le brezze termiche sono venti locali che si originano per la differenza di temperatura tra la superficie marina o lacustre e quella terrestre. A causa di questi gradienti, si verificano movimenti verticali degli strati d'aria, che causano vuoti e squilibri di pressione.
Brezze marine
Senza dubbio le brezze marine sono le più conosciute dalla popolazione. Durante il giorno la superficie terrestre si riscalda più velocemente della superficie del mare, perché l'acqua ha una maggior inerzia termica e la sua temperatura sale e scende più lentamente. L'aria più calda situata sopra la costa diventa meno densa e sale.
È qui che entra in gioco l'aria più fredda sopra la superficie del mare, la cui pressione è più alta (è più pesante). Quest'aria tende ad occupare il vuoto lasciato dall'aria che si è sollevata sopra la costa, ed il risultato di questo processo è la formazione di un vento locale che soffia dal mare alla terra. In questo modo si origina durante il giorno la brezza marina.
La tarda primavera e l'inizio dell'estate sono i momenti in cui le brezze tendono a raggiungere la loro massima intensità, a causa della maggiore differenza di temperatura tra il mare ed il continente, una differenza a volte superiore ai 5ºC. In questo periodo la brezza può penetrare fino a 50 chilometri nell'entroterra. Se le condizioni in altezza e in superficie sono adatte, può aiutare nella generazione di rovesci o temporali.
D'altra parte, nella restante parte dell'anno le brezze tendono ad essere più deboli in quanto c'è un gradiente termico inferiore tra il mare e la terra. Inoltre nel resto dell'anno le brezze marine tendono a soffiare parallelamente alla costa a causa dell'effetto Coriolis. Non bisogna dimenticare poi che l'incidenza di questi venti locali è fortemente condizionata anche dall'orografia e dalla conformazione del litorale e dall'influenza del sistema di alta e bassa pressione.
Brezza di terra
La mattina e al tramonto c'è un periodo di calma in cui le temperature del mare e della terra sono praticamente uguali. Di notte il meccanismo si inverte. A causa della minor capacità termica della superficie terrestre, la temperatura scende rapidamente, cosa che non accade sulla superficie del mare a causa della sua maggior inerzia termica.
L'aria sopra il mare sarà quindi più calda e, di conseguenza, meno densa e si solleverà, il che può favorire la comparsa di nuvolosità se le condizioni lo consentono. Il vuoto che lascia viene riempito dall'aria proveniente dalla terraferma, più fredda e più pesante, provocando un vento locale che soffia dalla terra al mare, riscaldandosi durante la discesa. In generale è più debole della brezza marina.
SECONDO MUGUGNO
Confesso la mia difficoltà a comprendere la scelta del Molo De Lorenzi (ubicato nel centro della passeggiata a mare) che viene adibito al traffico dei battelli turistici, quando questo Terminal confina con una spiaggia destinata alla balneazione estiva.
Tutti sanno che negli ambiti portuali di tutto il mondo è vietata la balneazione. La presenza di battelli/traghetti in quella zona della passeggiata comporta, secondo il calendario degli imbarchi/sbarchi, una ventina di manovre d’ormeggio e disormeggio in un solo giorno!
Gli “incolpevoli” Traghetti sono imbarcazioni moderne e veloci che sono dotate di potenti motori dai quali non escono rose e fiori … ma fumi e gas e, già che ci siamo, aggiungerei anche il fango che sale in superficie ad ogni avviamento del motore, visti i bassi fondali che tormentano quella zona.
Perché allora permettere la coabitazione del traffico marittimo con un’attività destinata alla balneazione? Per non parlare delle eventuali e possibili avarie di questi mezzi le cui conseguenze non voglio neppure prendere in considerazione.
La cosa più strana che salta agli occhi è la presenza del lungo ed attrezzato Molo Langano (foto sopra) che sul lato mare è suolo privato e sull’altro é pubblico. A questo punto, la domanda più ovvia che sorge spontanea è la seguente:
Perché questo ampio molo non viene destinato all’imbarco/sbarco passeggeri considerando la non trascurabile differenza di pescaggio tra i due moli in questione?
CONCLUSIONE
Evidentemente nella nostra città hanno diritto di precedenza quei criteri legati “esclusivamente” alle esigenze logistiche del turismo, alla sua immagine e ad una sbrigativa “funzionalità” delle attività collegate che poco hanno a che fare col “buon senso marinaro”!
Il molo Bruno De Lorenzi, l’attuale Terminal Traghetti di Rapallo, avrebbe un senso come luogo di ristoro (Bar, Chalet, Fast-food) per i numerosi bagnanti accaldati e assetati … ma su questo terreno non oso avventurarmi!
FINE DEI MUGUGNI
Una interessante lettura per l’estate.
Langano: un molo storico, una nave rapallina da ricordare di C.Gatti
https://www.marenostrumrapallo.it/langano/
L’articolo è stato pubblicato su Rapallo Notizie – IL MARE - da qualche giorno in edicola.