NOLI - Repubblica Marinara dal 1192 al 1797

NOLI

REPUBBLICA MARINARA DAL 1192 AL 1797

 

Alla scoperta di un piccolo angolo di medioevo sull'antico mare della Liguria

 

 

Il primo incontro con la cittadina di NOLI, in provincia di Savona, risale al mio primo viaggio da allievo Ufficiale di coperta su una petroliera, ed avvenne tramite un giovane 3° Macchinista nativo di quella Repubblica Marinara Minore. All’epoca la mia testa  era piena di punti nave, “rette d’altezza”, caricazioni di “crude oil” in Golfo Persico e scaricazioni del medesimo, per ben sei volte, nei porti del Giappone. Ascoltavo con finto interesse il glorioso racconto del passato di Noli, che però registravo in qualche cellula della mia mente ripromettendomi di verificare a tempo debito quelle notizie che, per la verità, mi sembravano un po’ esagerate. Tuttavia, dopo averne ammirato più volte, soltanto di passaggio, la golfata, i castelli e la bella passeggiata a mare, venne il giorno che decisi di fare una gita proprio a Noli.


 

Prendendo le sembianze di un turista qualunque, mi armo di macchina fotografica e di una valida “guida” del Touring che consulto prima di addentrarmi nel centro storico.


 

“Il termine Repubbliche Marinare venne attribuito tra il X e il XIII secolo a quattro città costiere italiane: Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, poiché le flotte di queste città dominarono nei commerci l'intero Mediterraneo. Questo titolo però venne anche assegnato ad altre città quali Ravenna, Comacchio, Noli, Gaeta, Palermo e Brindisi. Le Repubbliche marinare rappresentano una variante alla civiltà comunale dove i mercanti istituirono le prime forze economiche di capitalismo: coniarono monete d'oro, misero a punto nuovi generi di trattative, brevettarono nuovi sistemi di contabilità e incentivarono progressi nella navigazione”.

 

 

Il mio amico Piero aveva ragione! E voi avete capito bene! Noli é quel Comune di 2.797 abitanti in provincia di Savona che dal 1192 al 1797 fu capitale della Repubblica omonima che ebbe forti legami con la Repubblica di Genova. Continuo a documentarmi: Le antiche pergamene conservate nell’Archivio storico del Comune di Noli comprovano, insieme alle altre vicende storiche della Repubblica, anche i trattati di alleanza stipulati con Genova dai quali emerge chiaramente che Noli, già dal 1202, fu sempre “alleata paritaria” e mai “succube” della Repubblica genovese.

 

Noli, tuttavia, vanta origini blasonate ben più lontane.  Antico centro dei Liguri, fu municipio in Epoca Romana . Nel Medioevo collezionò botte e occupazioni provenienti da ogni direzione: fu base Bizantina . I Longobardi la distrussero nel 641 fu dominio anche dei Franchi di Carlo Magno. Allo smembramento dell'Impero Carolingio fu inserita, assieme alla vicina Varigotti, nei possedimenti della Marca Alemarica e della famiglia Del Carretto, del ramo di Savona. La gloriosa storia di Noli iniziò alla fine del primo millennio quando divenne compartimento di una notevole flotta e quindi un importante centro marinaro. Diventò famosa quando prese parte alla Prima Crociata nel 1099 ricevendo privilegi politici, ma soprattutto commerciali, dal re di Gerusalemme Baldovino I, dal signore feudatario Boemondo I d'Antiochia e da Tancredi di Sicilia.

 

 

Noli aveva la fortuna di affacciarsi su un golfo riparato, all’interno del  quale le navi del tempo davano fondo l’ancora e facevano operazioni commerciali. Nell’epoca del suo massimo splendore la Repubblica era più vasta e comprendeva anche parti dei vicini territori di Orco, Mallare, Segno e Vado. La potenza e la grandezza di Noli raggiunsero l’apice durante le Crociate e durarono sino alla fine del secolo XIV. Il limite della sua espansione economica fu l’assenza di un vero porto che fosse in grado d’accogliere i traffici del cabotaggio. Fu così che Noli uscì dalle rotte commerciali e cadde nell’isolamento. Da audaci navigatori, avveduti commercianti e persino corsari, i nolesi si trasformarono in pacifici pescatori.

 

Il suo declino seguì le sorti della Repubblica di Genova, alla quale rimase sempre fedele ricevendone adeguata protezione. Nel 1797 passò sotto la dominazione francese perdendo la propria indipendenza dopo settecento anni di sostanziale libertà.

 

 

Panorama della cittadina. Da qualche anno, Noli fa parte dei "Borghi più belli d'Italia".

 

 

 

La Torre Comunale e parte del Palazzo Civico. Alta 33 metri, in pietra verde locale con merli ghibellini. Oggi restano otto case-torri delle 72 originarie. Edificata sul finire del XIII secolo è attigua al palazzo comunale. Pressoché intatta e terminata da merli a coda di rondine, presenta un basamento in pietra verde del luogo e con una parte soprastante in mattoni.

 

Il Palazzo Comunale, già sede di governo dell’antica Repubblica Marinara di Noli

 

 

 

Inizio il “tour” dalla Loggia della Repubblica, situata a fianco del palazzo del Comune, sotto la quale vi sono delle targhe commemorative di illustri personaggi storici nati nella località o che vi hanno trascorso un periodo della loro vita, come Cristoforo Colombo, Giordano Bruno e Antonio Da Noli.

 

Di fronte alla loggia si può ammirare una bellissima piazza in cui, con delle piastrelle marmoree, sono rappresentate le bandiere delle Repubbliche Marinare  e di Noli che nel decimo secolo era la Quinta Repubblica Marinara.

 

Sottostante il Palazzo Comunale si trova la Loggia della Repubblica (secc.XIV.XV) con due grandi archi in laterizi che poggiano su una colonna ottagonale con capitello a bugnato tipico della fine del ‘300 - inizi ‘400. Interessanti sono le lapidi infisse nel muro della Loggia stessa, proprio davanti alla porta della prigione bassa o Paraxetto e all’anello di ferro usato per la tortura detta dei tratti di corda. Esse ricordano alcuni uomini illustri che a Noli nacquero o soggiornarono. Da Noli, infatti, passò Dante: “Vassi in San Leo e discendesi in Noli” (Purgatorio IV, 25).

 

Dalla rada di Noli partì Cristoforo Colombo il 31 maggio 1476 per iniziare, dal Portogallo, il lungo cammino che lo avrebbe portato alla scoperta del Nuovo Mondo. A Noli visse per alcuni mesi, nel 1576, Giordano Bruno insegnando a’ putti la gramatica et legendo la sfera a certi gentilhuomini, prima di morire bruciato come eretico, nel 1600, in Piazza delle Erbe a Roma.

Qui nacque Anton da Noli che scoprì, nel 1460, le isole di Capo Verde.

La Loggia conserva, però, un’altra lapide molto interessante; è la prima a destra verso la Porta di Piazza. Non parla di personaggi ma è l’unico ricordo marmoreo delle ferree leggi che vigevano nella Repubblica.

Poiché nel 1666 gli Antichi Decreti di buon governo, specialmente quelli stabiliti nel 1620 che imponevano, per i forestieri, la sicurezza in cambio del pagamento di 300 scudi, venivano disattesi, il Mag.co Consiglio grande de’ quaranta in legitimo e sufficiente numero congregato deliberava: “Che si facci registrare la sostanza di detto decreto in una pietra marmorea da ponersi ad una delle colonne del pubblico Palazzo, affinché in l’avvenire si tenghi in viridi osservanza, e ogn’uno sappia quello che converrà fare e si guardi bene a non contravenire.”

 

Questo editto si trova ora infisso sotto la Loggia a perenne ricordo! (Gandoglia, op. cit., pp. 279-280

 

 

 

Al termine di via Sartorio, la vecchia linea ferroviaria che attraversava Noli, ha risparmiato l’unica grande Torre ancora alta fino alla sommità, la Torre del Canto, o dei “Quattro Canti”.  così denominata perché situata nel centro geometrico della città e all’angolo della via proveniente da monte. Essa è curiosamente trapezoidale e non quadrata, ed è forse la più antica fra quelle conservate, avendo ancora abbondanza di elementi romanici e poche aperture in alto ...”

 

L'alta torre è a forma trapezoidale con fusto compatto e con rade aperture in stile romanico nella parte bassa.

 

La chiesa di San Paragorio, prima cattedrale di Noli

 

Lasciando la piazza e proseguendo per i caratteristici vicoli, si possono raggiungere le varie Chiese del paese, tra cui quella di San Paragorio, dedicata all’omonimo martire giunto a Noli durante il dominio bizantino e che è stata dichiarata monumento nazionale. PRIMA CATTEDRALE DELLA REPUBBLICA S. PARAGORIO

La chiesa, uno dei monumenti protoromanici più importanti della Liguria, sorge fuori dalle mura cittadine ed è circondata da un’area cimiteriale bizantina e altomedievale. Nella sua forma attuale è databile al primo periodo romanico (sec. XI). Gli scavi, avviati nel 1889 da A. D’Andrade, ripresi da N. Lamboglia, fondatore dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, che proseguono tuttora per opera della Sovrintendenza archeologica della Liguria ed hanno evidenziato, sotto l’attuale edificio, la presenza di una chiesa paleocristiana.

 

Casa Pagliano. Costruita nel XIV secolo e restaurata nel 1906 da Angelo Demarchi, assistente dell'architetto Alfredo d'Andrade, il suo interno fu notevolmente trasformato in tale rivisitazione. L'esterno si presenta come la tipica casa medievale nolese: un basamento in grossi conci in pietra verde locale e con poche aperture e una parte superiore in mattoni con bifore e trifore. Fu sede delll'Ordine dei Cavalieri di Malta.

 

Torre e Porta Papona delXIII-XIV secolo. Edificata fuori le mura antiche del borgo e collegata, con un arco in mattoni, al camminamento che scende dal Castello di Monte Ursino, l'edificio fu nei secoli deposito di armi e munizioni della Repubblica. Presenta bifore e monofore in stile gotico.

La Porta Papona, munita di porta ferrata, si trovava di fronte alla Torre omonima. Nei tempi della Repubblica aveva grande importanza strategica, in quanto sbarrava l’accesso al Monte Ursino che fu sempre l’estremo rifugio degli abitanti di Noli in caso di assalti nemici. La Torre (secc. XIII - XIV), con monofore e bifore gotiche, è posta appena fuori della prima cinta muraria (secc. XI - XII) ed è collegata, con un arco in mattoni, al camminamento delle mura che scendono dal Castello. La Torre servì come deposito per le armi e le munizioni della Repubblica. Dai libri dei conti, conservati nell’A.S.N., si può ricavare che, nel 1581 “il maistro Francesco Colombo era intento a chiudere li barchoni della Torre di Papone, ove si mettevano in deposito le polveri, armi e munizioni portate col leudo di patron Benedetto Badetto”. La polvere da sparo si comprava in barili sia a Genova che a Toirano “al prezzo medio di lire 10 e mezza il rubbo”

 

 

Il castello di Monte Ursino (XII-XIV sec.)

Inoltre non bisogna dimenticare il Castello di Monte Ursino, situato sulla collina e che può essere raggiunto a piedi o in macchina e le torri medievali “sparse” per il paese. Il Castello di Monte Ursino, nella sua forma attuale, risale ai rifacimenti che Genova volle venissero effettuati, nel 1552, dal Capitano Andrea da Bergamo per adeguare torri e mura ai nuovi tipi di armi da combattimento come, ad esempio, bombarde e spingarde che impiegavano la polvere da sparo. il Castello è formato da un recinto poligonale irregolare che racchiude il poderoso maschio circolare; ai lati sono visibili i resti di due torri più recenti. La collina di Monte Ursino racchiude, però, altri “tesori”. “Occorre ricordare che, prima dello sviluppo dell’abitato al piano, nel sec. XII, il primitivo borgo feudale, al riparo del Castello dei Del Carretto, aveva cominciato a svilupparsi sulle ripide pendici del monte e presumibilmente fin sul mare mediante una serie di costruzioni in grandi blocchi, simili alle «casazze» di Calvisio a Finale; di esse restano numerosi avanzi fra le fasce e gli uliveti inclusi nella cinta del sec XIII”

 

Le pietre antiche di Noli hanno un fascino misterioso cui é difficile sottrarsi, tuttavia ciò che mi ha colpito maggiormente é la storia ancor più misteriosa del suo più importante ed emblematico personaggio: Antonio da Noli.

 

Il Monumento alle Scoperte venne costruito nel 1960 a Lisbona per commemorare i 500 anni dalla morte di uno dei più famosi personaggi della storia portoghese: Enrico il Navigatore, uno dei più grandi imprenditori di spedizioni marittime di scoperte.

 

Costruito ai piedi del fiume, nel quartiere di Belém a Lisbona, si distacca per la sua magnificenza: 52 metri d´altezza. L´opera venne disegnata da José Ângelo Cottinelli Telmo e Leopoldo de Almeida e rappresenta una caravella e tutto il gruppo della marina comandato per Enrico il Navigatore che si situa sulla prua della barca in cemento. Dietro di lui e per ordine di importanza, troviamo altri eroi marittimi che collaborarono alle scoperte.

 

Una delle cose più interessanti del monumento è che si può esplorare nella sua interezza e ci sono sia delle scale che l´ascensore che vi porteranno fino al sesto piano, dove potrete ammirare tutta la costa del fiume e la regione di Belém.

 

La costruzione ha due lati, ovest ed est, ma visitare il monumento e vederlo da ponente è un´esperienza indimenticabile,dato che il sole aiuta a far prendere quasi vita ai marinai dell´imbarcazione.

Da Noli a Capo Verde

 

 

Il più antico documento in cui si riferisce l'origine di Antonio de Noli afferma che era un navigatore «di nazionalità genovese e di sangue nobile». L'origine genovese del navigatore è stata confermata nel manoscritto antico Famiglie di Genova. Antiche, e moderne, estinte, e viventi, Nobili, e populari trovato nel 2008 a Genova, che descrive il navigatore come membro della stessa famiglia di Giacomo de Noli, il quale nel 1315 divenne membro del Consiglio di Genova "XII –Anziani” sotto il governo del doge Nicolò Guarco. In questa fonte è indicato anche che l'origine della riferita famiglia Noli di Genova "si può supponere dalla piccola città o Castello di Noli".

Si sostiene che Antonio de Noli sarebbe nato intorno al 1419, forse a Serra Riccò, dove esiste da tempi antichissimi una frazione con il nome di Noli, oppure a Voltri (nel tempo di Antonio Noli anch'essa facente parte della Repubblica di Genova). In passato, alcuni autori legati alla città di Noli (ad esempio Gandoglia, 1919) hanno dichiarato che il navigatore è nato a Noli, provincia di Savona. Nondimeno, né documenti né prove sono mai stati presentati a sostegno di questa ipotesi. Gli stessi autori hanno usato il nome “Antonio da Noli” (una versione portoghese del nome), dove "da" avrebbe significato "proveniente” dalla Città di Noli.

 

Il navigatore è detto anche Anton da Noli, e potrebbe essere la stessa persona conosciuta come Antoniotto Usodimare, anche se l'identità fra i due non è accertata, né universalmente riconosciuta. Inoltre, la maggior parte degli storici ha fatto riferimento al navigatore genovese nella letteratura italiana e internazionale come Antonio de Noli.

 

Nel 1449, per ragioni politiche, partì da Genova insieme al fratello Bartolomeo e al nipote Raffaele, con tre galee di sua proprietà e si recò in Portogallo per ottenere l'appoggio dell'"infante" Enrico il Navigatore, noto finanziatore di esplorazioni. Su mandato di questi, tra il 1456 e il 1460 esplorò le coste atlantiche dell'Africa, spingendosi ad esplorare le Isole Bijagos, il fiume Gambia e le isole del Capo Verde delle quali, secondo alcuni, fu il vero scopritore nel 1460. In questo periodo navigò anche con Alvise Cadamosto, fatto che contribuì a far crescere l'incertezza sulle attribuzioni delle scoperte.

 

Nel 1462 ottenne dal re Alfonso V il riconoscimento ufficiale di scopritore delle isole, insieme al possesso dell'isola di Santiago (conosciuta dai navigatori anche come "Isola di Antonio"). Qui venne fondata Ribeira Grande, dove il de Noli si stabilì per avviare la colonizzazione delle isole. Nel 1466 ottenne l'autorizzazione di esercitare la tratta degli schiavi africani. Nel 1472 venne nominato governatore delle isole del Capo Verde.

 

Durante la Guerra di successione castigliana iniziata nel 1475 i castigliani occuparono le isole di Capo Verde. Antonio de Noli inizialmente rimase come governatore, ma dopo fu preso prigioniero e portato in Spagna. I portoghesi non chiesero il rilascio di Antonio de Noli mentre era prigioniero in Spagna. Dopo essere stato liberato nel 1477 per ordine del re Ferdinando di Castiglia, se ne persero definitivamente le tracce. Non è documentato cosa in concreto successe ad Antonio de Noli e la sua sorte dopo il recupero di Capo Verde da parte dei portoghesi. Il navigatore aveva una figlia, Branca Aguiar e fonti portoghesi riportano che qui il navigatore aveva anche un figlio che lo accompagnò poi nelle campagne di Gambia. Manoscritti che si trovano presso la Biblioteca Malatestiana indicano che il figlio sarebbe stato Simone de Antonio Noli Biondi (Simone “figlio de Antonio Noli”), della famiglia "oriunda" che era arrivata a Cesena alla fine del Quattrocento e aveva comprato seggi nel Consiglio di Cesena, pagandoli in oro. La figlia Branca Aguiar era stata sposata con un nobile portoghese (Dom Jorge Correia de Sousa, fidalgo da casa real) e quindi le piantagioni dei de Noli a Capo Verde sarebbero diventate patrimonio della Corona portoghese.

 

Il nome "Antonio da Noli" è stato dato ad un cacciatorpediniere della Regia Marina italiana (vedi foto) che operò durante la seconda guerra mondiale e ad una nave freight-liner della Società di Navigazione ITALIA di 11.245 TSL in servizio di linea tra Genova e Vancouver via Canale di Panama dal 1972 al 1979.

 

Nel 2009 è stata fondata a Serra Riccò (Genova) dal professore universitario svedese Marcello Ferrada de Noli la rete di ricerca internazionale Antonio de Noli Academic Society.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 4 Dicembre 2014

 


 


Ö DRIA de Pegi: l’Andrea di Pegli

Ö DRIA de Pegi: l’Andrea di Pegli

 

‘Na nuvia un pö ciù larga,

na giornâ de maccaja

 

e o cheu ti l’ae in ti pê.

Libera traduzione: Una nuvola un po’ più larga, una giornata di tempo umido e afoso, e il cuore ce l’hai nei piedi.

 

 

Questi versi, di Vito Elio Petrucci, ci fanno capire quanto la gente di mare sia sensibile al mutare del tempo.

 

I vecchi marinai sono sempre riusciti a prevederlo, confortati dalla saggezza dei proverbi che, come tutti gli adagi, sono il filtrato d’antiche esperienze riferite a fatti che, in pari condizioni, si ripetono eguali nel tempo.

 

 

 

Anni fa, a questo riguardo, ho conosciuto un vero fenomeno di nome Andrea; Dria, in dialetto.

 

Pegli, località che abbiamo visto essere stata sino al 1932 Comune a sé, poi inglobato ad altri per dare vita alla “Grande Genova”, possedeva, fino a pochi decenni fa, le più ampie ma anche le più attrezzate spiagge della Città, rese accoglienti anche da un invidiabile clima tanto che il Graviers, nella sua <Guide de Gênes > del 1837, la definisce <lieu charmant >.

 

 

Da prima le frequentarono alcuni regnanti europei con le loro corti, arricchite dagli immancabili cortigiani e, a decrescere anno dopo anno, da prima la nobiltà quindi i grandi industriali, i cui rampolli rappresentavano possibili e ambiti “partiti” per nobili dal nome orecchiabile ma dal patrimonio dilapidato ed, in fine, la solida, oculata e ricca borghesia.

 

Il parco di Pegli

Al Lido di Pegli c’erano le più ambite spiagge perfettamente attrezzate, protette dalla vista della retrostante ferrovia da un’ininterrotta fila di cabine balneari, l’una a seguire l’altra. Solo il diverso colore dava a capire a quale stabilimento appartenessero; il vasto antistante arenile permetteva di essere arredato con tutte le indispensabili attrezzature.

 

Ciascun stabilimento aveva la sua classica veranda che facilitava gli incontri, protetta da finestrate decorate con formelle di vetri dalle variopinte trasparenze, disposti a scacchiera secondo la moda dèco dell’epoca; il sole vi filtrava creando atmosfere esotiche.

 

Sempre lì si potevano gustare piatti locali, preparati alla casalinga, in cucine  improvvisate sul retro e, sovente, la giornata finiva con “intrattenimenti danzanti”.

 

In mare galleggiavano, ancorate al fondale, boe rettangolari di legno colorato come le cabine, raggiungibili a nuoto e, una volta arrivati, con la scusa di riposarsi, possibilmente, cercare di “rimorchiare”; i più bravi si esibivano tuffandosi dai giganteschi trampolini protesi a superare la battigia. Sorretti da grosse ruote che li slanciavano verso l’alto, erano talmente lunghi che la loro punta arrivava sul mare sino a dove è abbastanza profondo da consentire, ai più spericolati, di tuffarsi in armoniosi voli come fossero angeli, fra gli<hoo> d’ammirazione delle signore. In fine le immancabili seggiole a sdraio allineate, quasi pennellate di colore sulla chiara arena che, con il variare del loro cromatismo, segnalavano anch’esse il cambio di stabilimento. Una staccionata colorata, divideva l’uno dall’altro.

 

In quella zona l’abbondanza di profonde e lunghe spiagge ne decretò il nome; il Lido.

 

Il mare vi espletava il suo equilibrato apporto di sabbia secondo una millenaria paritetica ripartizione, grazie all’eterno lavoro di ripascimento. Da sempre le burrasche di scirocco prelevavano il materiale inerte, eroso e trascinato a valle dai vari corsi d’acqua che sfociavano alla destra della zona interessata per depositarlo sulle spiagge limitrofe mentre, la successiva mareggiata, quella di libeccio invece ne distribuiva altro lungo la costa situata alla sinistra delle foci stesse.

 

Quest’indispensabile alternativo lavorío di trasporto e deposito degli inerti, residui dei fiumiciattoli e dei rivi, una volta a manca e la successiva a destra, s'interruppe quando l’uomo ha ridisegnato, alterandolo, il naturale profilo del territorio, costruendovi dighe, tombando tratti di mare, realizzando dissennate barriere protettive per non farsi portar via ciò che ormai aveva mal costruito. L’insieme di queste sconsiderate opere artificiali, ha sconvolto le correnti marine del paraggio con il risultato che le varie mareggiate, non potendo più apportare nuovi inerti prelevandoli da dove si depositavano, li sottrasse alle ultime spiagge rimastre, fagocitandosele.

 

Il Dria, che io ho sempre conosciuto anziano, asseriva d’aver, fin da ragazzetto (ma lo sarà mai stato?) navigato questo mare, dapprima come mozzo e poi in qualità di marinaio, imbarcato sui “leudi” o le “bilancelle” che esercitavano il piccolo cabotaggio, lungo la costa che proprio lì vicino aveva un pontile per lo scarico. Poi il fratello, più anziano, lo convinse a sbarcarsi e a dargli una mano nella conduzione dei Bagli Lido, quelli un tempo situati ai piedi del Castelluccio di Pegli, il fortilizio anti-pirati.

 

Accettò e in quello stabilimento balneare visse tutto il resto della sua vita, nel senso più letterale del termine perché lì vi abitò stabilmente. Aveva, come un tempo si diceva, le “mani d’oro” e a tutto provvedeva lui; si vedeva sempre attivo fra quelle dritte sfilate di cabine colorate, allineate come Guardie della Regina in estiva immobile parata. Raramente parlava e, quando lo faceva si esprimeva in dialetto; impossibile quindi per lui comunicare con i clienti “furesti”, prevalentemente lombardi o piacentini, all’epoca frequentatori assidui delle spiagge del Lido di Pegli. Schivo com’era la cosa non lo rattristava; lui non li capiva, né loro, lui. Ciò non di meno era da tutti ben voluto perché, anche senza parlare, come capita a chi intuisce d’istinto, preveniva i loro desideri.

 

Era un taciturno dal breve corpo tozzo e asciutto, forte e nodoso come un ulivo di Liguria; come un capo branco, fiutava in anticipo ogni mutare del tempo, pronto ad intervenire. Avrebbe potuto fare suoi, se avesse saputo leggere, i versi del più noto e sensibile fra i poeti genovesi, Edoardo Firpo, là dove scrive:

 

 

 

No so s’à cante o s’à cianze:

 

l’anima mae a l’è unna spunda

 

dove quest’onda a se franze.

 

 

Libera traduzione: Non so se canta o pianga: l’anima mia è una sponda dove quest’onda si frange.

 

 

A lui, effettivamente, bastava vedere come si dissolvessero, rincorrendosi, le nuvole o come volavano i nevrotici gabbiani emettendo rauchi richiami o, addirittura, che tipo di pesce in quel momento abboccava all’immancabile pescatore, accosciato su uno dei massi di pietra buttati per difendere dall’erosione la retrostante ferrovia, per prevedere il tempo dell’indomani.

 

 

La sensibilità acquisita negli anni, gli permetteva di averne conferma anche osservando l’angolo che la schiuma dell’onda forma quando, omai smorzata, pigramente raggiunge, scivolando sulla rena, la riva e s’interseca con quella di ritorno, giusto un attimo prima che quest’ultima venga risucchiata dalla sabbia della battigia. Quei segnali gli erano sufficienti per cominciare a porre in salvo tutti gli arredi che la imminente mareggiata poteva ghermire o distruggere; e anche i colleghi, concorrenti, erano attenti al suo andarivieni con, sotto le braccia, fasci di sdraio ripiegate e ombrelloni richiusi. Quello era la conferma che il tempo si metteva al brutto; lui non aveva mai sbagliato e loro lo sapevano. Altro che gli attuali satelliti.

 

 

Quel suo volto asciutto, brunito dal sole, con l’eterna barba del giorno prima, non l’ho mai visto rasato, ma neppure con la barba lunga, quel naso adunco, testimonianza d’antiche scorribande saracene con le donne della costa, non lasciava mai trapelare emozione alcuna.

 

Una brutta notte però, il mare, esasperato dai folli lavori dell’uomo che gli contrastavano il suo inestinguibile ripetitivo moto, senza preavviso, si portò via tutti gli stabilimenti balneari della zona, Bagni Lido compresi, portandosi via pure, irrimediabilmente, la spiaggia che da sempre ripasceva.

 

Purtroppo “ö Dria” aveva imparato a leggere perfettamente la natura ma, ahinoi, non i giornali, che proprio in quei giorni sbandieravano, con trionfalistica enfasi, la notizia che l’uomo ancora una volta aveva vinto il mare, strappandogli le onde e colmando quella ferita con la terra. L’uomo, presuntuoso e maldestro imitatore del Creatore, non si accorgeva che stava squassando irreparabilmente un equilibrio, messo a punto dopo millenni di prove.

 

E’ l’eterno apparentemente indecifrabile rapporto fra l’uomo e il mare; prendiamo in prestito i versi di Gabriele Dannunzio, poeta che visse il mare, e leggiamo:

 

là dove le coste

 

sono più scoscese

 

e il flutto più rimbomba

 

nelle caverne più nascoste

 

con le eterne risposte

 

alle eterne domande

 

Renzo BAGNASCO

Rapallo, 3 Dicembre 2014

 

 


GENOVA PRA' E GLI EX VOTO

GENOVA PRA’ e gli ex voto

 

 

 

Da ragazzino, per andare a scuola, attraversavo l’unica piazza a Prà degna di questa definizione; era eternamente battuta dalla tramontana che, da lì, si dipartiva per spazzare tutti i “carruggi” del mio paese. D’estate, svoltando l’angolo, poteva rappresentare un refrigerio ristoratore, specie se, come spesso capitava, ci si arrivava sudati dopo una lunga corsa per determinare chi fosse il primo; ma d’inverno, proprio no.

 

Si faticava, pur inclinati in avanti, ad attraversarla per la forza di quel vento gelido che ti respingeva, facendoci arrivare a scuola intirizziti, specie quando, ancora piccoli, frequentavamo le prime classi elementari; indossavamo i pantaloncini ricuperati dal fratello maggiore e non era certo lo smunto cappottino a ripararci le gambe rosse dai geloni, afflizione che oggi, con il benessere, è scomparsa.

 

Per fortuna, grazie alla pesante cartella, nessuno di noi è mai volato via col vento.

 


 

Sul fondo, proprio da dove arrivava la tramontana, quasi a chiudere la piazza, c’era una piccola chiesa dipinta a strisce orizzontali bianche e nere, la cui minuta sagoma non riusciva a deviarne le raffiche.

 

 

Era dedicata a San Rocco, il santo francese pellegrino, protettore dalla peste e sempre raffigurato mentre, sollevando un lembo della tonaca, mostra la gamba affetta da un bubbone; al suo fianco, accosciato, l’immancabile “bastardino” che tiene un pane in bocca.

 

Era, se pur minuta, l’unica chiesa della zona, ma tanto piccola e dimessa da non essere mai arrivata a divenire Parrocchia, anche se le anime che raccoglieva, ampiamente lo avrebbe giustificato,

 

La vera parrocchiale, Santa Maria Assunta dal nome altisonante rispetto all’altra, era un’antica pieve in Palmaro, situata al confine con il paese successivo e ancor più vicina ai canaloni lungo i quali scende a buttarsi in mare la tramontana, ma molto decentrata rispetto al paese di cui era Parrocchia.

 

S. Rocco, l’avevano costruita proprio dove un tempo c’era la spiaggia; così la vollero i pescatori che, anticamente, contribuirono ad erigerla. Pensarla lì, vicino alla spiaggia  mi fa venire in mente i versi del poeta Vincenzo Cardarelli, là dove nella sua <sera di Liguria > scrive:

 

Sepolto nella bruma il mare odora

le chiese sulla riva paion navi

che stanno per salpare

La edificarono lì sulla battigia perché, in caso di improvviso, impenetrabile “caligo”, agli uomini sul mare dava la certezza di poter tornare: bastava, in quella improvvisa impenetrabile nebbia, orientare le prue al suono delle sue campane, appositamente suonate a martello, per rientrare dalle loro donne, sempre in ansiosa attesa.

 

Lungo il lato di levante della vecchia chiesetta, scorreva un rigagnolo nel quale le donne lavavano i panni per poi asciugarli stesi tutt’attorno, sulla tiepida rena.

 

All’inizio del secolo scorso, quando costruirono la ferrovia, sottrassero al paese una fetta di spiaggia proprio davanti a San Rocco; sul tratto rimasto verso monte, vi pavimentarono quella piazza che io dovevo attraversare contro vento. La Domenica era, da quando la fecero, luogo d’incontro fra i contadini del circondario e i pescatori del borgo. L’estate poi, una serie di panchine di ghisa, ombreggiate dalle piante che ne contornavano il quadrato confine, permettevano agli anziani di ritemprarsi  alla brezza della sera.

 

In tempi recenti hanno demolito la chiesetta e realizzato una diversa e più moderna piazza. La nuova soluzione, quando la decisero a tavolino in un qualche Ufficio dell’Urbanistica Comunale della Grande Genova, avrebbe dovuto essere un luogo di “aggregazione sociale”; divenne invece una disordinata zona di parcheggi. Ancora una volta, ciò che i semplici popolani non vollero fare, lo attuarono i moderni, pretenziosi urbanisti.

 


 

All’interno di quella chiesetta, proprio appeso al centro del soffitto dell’unica piccola navata, c’era un grande modello di veliero navigante…nell’aria sopra le nostre teste, armato con mille sottili sartie che non ho mai capito se erano veri fili o ragnatele ricoperte da antica polvere; ogni volta che andavo la sotto a sognare, con lui navigavo nel mare della mia fantasia. M'avevano detto che era un “voto”; ma allora perché, mi chiedevo, al parroco hanno dato, come voto, un così bel regalo e invece a me, sulla pagella, pur chiamandoli con lo stesso nome mi rifilano sfilze di bassi e temutissimi “numeri”?

 

Solo quando non fui più capace di sognare, ne compresi la differenza sostanziale.

 

Quello è il primo “ex voto” che ricordo; in tutte le chiese legate alla vita di mare, ce ne sono o, meglio, ce n’erano, sino a che i fanatici interventi censori di Calvino e Lutero e successivamente quelli persecutori dei seguaci della rivoluzione francese a ciò sospinti dal vento che la seguì, ne fecero piazza pulita. In fine, ciò che era scampato da queste ottuse bufere, non sopravisse alla mal digerita voglia di modernità che sconvolse molti parroci subito dopo la fine dell’ultima guerra; li dispersero, vendendoli a privati o ad antiquari spregiudicati, favoriti in ciò anche dall’abituale incuria con la quale custodiamo le “cose di tutti”. Si è persa così, per sempre, una tangibile testimonianza della pochezza umana davanti al  temutissimo strapotere della natura o del destino.

 

Certo, anche inconsciamente, ad alimentare l’insicurezza di chi andava per mare c’era la fredda statistica che, al riguardo, parlava chiaro; dai registri navali si deduce che, nel 1800, su cento navi varate, solo trenta arrivavano alla “pensione” operando; tutte le altre finivano distrutte prima.

 

Questa vera e propria ecatombe, ben nota agli interessati, é alla base delle promesse fatte dal marinaio al suo Dio non solo per scaramanzia, anche se quest’ultima, si dava come imbarcata assieme all’equipaggio; era tangibilmente evocata, sotto forma di scritte o simboli, ben visibili sugli scafi, ad evidente scopo “preventivo”.

 

 

L’occhio di cubìa, il foro attraverso il quale oggi passa la catena dell’ancora, è un retaggio dell’antico occhio magico fenicio, un tempo dipinto a protezione sulle prue delle imbarcazioni, ma che ancor oggi lo si trova in molte barche del Sud e lungo la riviera Adriatica.

 

Queste testimonianze di patti, rispettati e  sciolti tutte le volte che  veniva superato il rischio, erano, per più della metà, dedicati a ricordare uno scampato naufragio, il pericolo più temuto, ma anche il più frequente documentando, nel frattempo, che l’aiuto soprannaturale, specie quello della Vergine, non è mai stato disgiunto all’innegabile perizia dei vecchi lupi di mare, nocchieri di quelle imbarcazioni.

 

L’esigua quantità d’ex voto arrivati sino a noi, riproducenti l’attimo in cui il singolo, ormai impotente, si sia salvato dal fortunale grazie al determinante aiuto divino o per essere stato sottratto ai marosi dal coraggioso intervento dei compagni di sventura, attesta che la sopravvivenza in mare era cosa rara e quasi mai riservata al singolo, assolutamente “disarmato” contro le forze scatenate della natura.

 

Ricorda Omero che lo stesso Agamennone, non appena la sua flotta raggiunse i lidi di Troia, offrì voti a Nettuno; come si vede, da sempre la marineria e gli ex voto hanno “navigato” di concerto.

 

Queste tangibili testimonianze, siano esse bassorilievi, quadri, sculture, sbalzi, incisioni o tele ricamate, documentavano l’episodio accaduto, visualizzando il sentimento di gratitudine dell’interessato per lo scampato pericolo; raramente furono eseguiti di pugno dell’offerente e, quei pochi realizzati, sono oggi facilmente riconoscibili perché ricchi di minuti dettagli, noti all’interessato ma non certo ad un pittore “routinier”, specializzato in ex voto a cui, all’epoca, spesso ci si rivolgeva.

 


 

Sono sempre eseguiti con tecnica ingenua e, sovente, dipinti su frammenti di rozze tele, le stesse utilizzate per riparare le vele o, se oleate, recuperate fra quelle pronte per rattoppare teloni impermeabili. Altri sono dipinti su fogli di rame, certamente scovati in cambusa fra i ricambi per rimpiazzare le tessere dello stesso metallo che rivestiva l’opera morta e che, molto spesso, venivano strappati dai più imprevedibili urti o strisciate. In tutti questi casi i colori utilizzati erano inequivocabilmente pitture grasse, sempre presenti a bordo per i ritocchi di manutenzione. L’autore, ormai in simbiosi con la nave sulla quale, spesso, vi aveva trascorso anni di navigazione senza più aver visto i propri congiunti, ne descriveva minutamente i particolari che ben conosceva, a scapito del “respiro artistico” che oggi ricerchiamo ma che lui, normalmente, non possedeva. Lo stesso ragionamento vale per le barche racchiuse in bottiglia e per le tipiche “mezze navi” incorniciate e sotto vetro e con i fiocchi di cotone impolverati a sopperire il mare.

 

La maggior parte degli ex voto, o come un tempo si diceva “tabelle votive”, giunti sino a noi, sono stati invece sovente realizzati da artigiani anonimi, che avevano bottega o presso i Santuari più frequentati dai marinai o lungo i moli dei porti. Nell’attesa dei clienti, si preparavano già un abbozzo di quadro per meglio valorizzarlo al momento di esibirlo al committente che n’avesse fatto richiesta; poi, a pagamento, apportavano quelle poche, indispensabili varianti o semplici specifiche per far sì che aderisse il più possibile all’episodio descritto loro dal cliente. In molti casi quindi, le navi o i panorami raffigurati non ci danno testimonianza di verità. Possono addirittura ritrarre imbarcazioni immaginarie che, però, divengono credibili grazie ai nomi e alle didascalie poste a chiarimento; quelle sì sempre veritiere.

 

Brigantino "N.S. del Monte Allegro" - 25 maggio 1858: Il Capitano Bartolomeo Rossi ed il suo equipaggio sono tratti in salvo dopo aver naufragato. (Autore: Domenico Gavarone)

 

Naturalmente le “tabelle votive” possono anche avere lampi artistici, secondo il sentire dell’artigiano che le ha realizzate, senza dimenticare che molto spesso giocava un ruolo importante il prezzo pagato dal committente, che poteva lievitare, non perché ne riconoscesse il maggior pregio, ma semplicemente perché desiderava far apportare quelle poche, ma indispensabili modifiche ad opere pressoché finite, così da rendere il più possibile aderente alla realtà la raffigurazione del fatto realmente accaduto. E’ intuibile che non tutto filasse liscio; il compromesso, anche qui, era indispensabile per far quadrare i magri risparmi di cui il marinaio poteva disporre, con l’ineludibile pressione morale che gli imponeva di sciogliere il voto, così come pattuito, <costi quello che costi >.

Nei casi in cui si fosse impegnato a scioglierlo al <primo porto che toccherò >, è naturale che dovesse orientare la propria scelta su qualcosa di quasi pronto, a scapito della veridicità dell’accaduto perché, se non poteva ritirarlo alla successiva franchigia, una volta aggiornato lo portava, seduta stante al Santuario e, di nascosto dai compagni. Quella promessa era una delle poche cose intime che poteva e doveva restare tale, fra chi era invece costretto a condividere diuturnamente tutto con tutti. O al Santuario prescelto o, se diversamente pattuito, lo donava poi a quello più prossimo al primo porto che avesse toccato.

 

Però non erano rari i casi in cui l’intero equipaggio si tassasse per donare un ex voto, degno del loro vascello.

 

A volte capitava che, versato il primo acconto, il committente sparisse per lungo tempo, per quello strano destino che accompagna la gente di mare e che faceva scrivere a Vittorio G. Rossi <sul mare l’uomo non lascia traccia di sé >.

 

Passato un ragionevole lasso di mesi, chi subentrava come acquirente allo “scomparso” che l’aveva commissionato, poteva ottenere forti sconti dal pittore, perché parte del prezzo lo aveva già pagato il primo; bastava, al solito, non richiedere molte varianti, per fare un affare con buona pace dei posteri, convinti di poterci sempre leggere una veritiera pagina di cronaca.

 

Molti furono anche gli “ex voto” realizzati su carta, rivelatasi poi facilmente deperibile per l’umidità sempre presente nelle vecchie Chiese, specie quelle vicino alle spiagge costruite, all’epoca, utilizzando la stessa sabbia di mare circostante, carica di sale mentre, altri, raramente arrivati sino a noi perché troppo fragili, erano dipinti su vetro anche se sarebbe più corretto dire “dietro il vetro”, con la stessa tecnica utilizzata dai cinesi per decorare, dipingendole dall’interno, le “sniff-bottles”; si tratta di raffigurare per primo, ciò che deve apparire in “primo piano” per chi guarda il vetro e poi sovrapponendovi i successivi “retro-piani” sino al fondale con le nuvole e, per ultimo, il cielo così che guardandolo appaia come il più lontano. Quelli che sono giunti sino a noi, si sono salvati perché il vetro li ha protetti dalla corrosione della polvere, dalle rare e grossolane ripuliture e dai fumi delle candele o dell’incenso che, proprio in quelle cappelle e per le stesse motivazioni devozionali, ardevano, sostentate da chi, a casa, aspettava pregando, il ritorno incolume del congiunto.

 

Non si hanno tracce di lavori eseguiti da artisti già affermati all’epoca mentre si conoscono alcuni nomi degli artigiani che andavano per la maggiore presso i committenti; firmavano le opere e, in molti casi, indicavano pure l’indirizzo della bottega. Si sa, da sempre, la pubblicità è l’anima del commercio.

 

Molto ricercati sono gli ex voto, oggi rarissimi perché oggetto d'interessata speculazione, scolpiti o incisi su avorio, ricavato da denti di capidoglio o similari; ormai veri e propri pezzi da museo, quelli istoriati nell’attorcigliato corno del narvalo, cetaceo dei mari artici.

 

Santuario di N.S. di Montallegro – Rapallo. L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.

 

Nel caso in cui l’ex voto fosse stato “solenne”, in altre parole, voluto dall’intero equipaggio, era fatto sbalzare su lastra d’argento (da non confondersi però con quelli a forma di cuore o arti che sono altra cosa) e raffigurava sempre il vascello “miracolato”; in questo caso, poiché tutti contribuivano alla spesa, ci si poteva permettere di far realizzare dal <fravego > (l’argentiere), un’opera di maggior impegno e costo.

 

Il Comandante, coinvolto in prima persona quale “coadiuvante della Divinità”, mai avrebbe voluto dare l’impressione ai devoti del luogo, specie se in zona era conosciuto, di aver lesinato sull’ex voto. Ne sarebbe andata della sua onorabilità, giacché nel cartiglio sempre appariva, oltre al nome del vascello, anche il suo che, è certo, in quel terribile frangente l’aveva abilmente pilotato a salvamento, naturalmente con l’indispensabile e decisivo aiuto dalla Vergine che, normalmente, era effigiata, quale apparizione, sopra l’albero di maestra.

 

I rischiosi viaggi in Terra Santa, i pericoli per raggiungere nuovi mercati e gli abbordaggi dei pirati, hanno per anni alimentato questa pratica, contribuendo non poco a quel florido mercato fra gli artigiani del settore.

 

Santuario di N.S. Montallegro - Rapallo – Nave a palo

FRANCISCA 1874. Lamina d’argento sbalzata.

 

 

In aggiunta a queste paure c’erano poi le intrinseche limitate sicurezze offerte sia dai velieri che dai precari ridossi utilizzati a mo’ di porti, spesso non protetti da ogni tipo di fortunale. In quelle cale generalmente i battelli sostavano direttamente davanti alla spiaggia prevista, insabbiandovi la prua per facilitare lo sbarco e la consegna delle merci; venivano assicurati piantando nella spiaggia due ancore divaricate fra loro e, di poppa, stessa misura ma con due ancore calate in mare. Questi accorgimenti evitavano che l’onda di poppa li potesse spiaggiare irreparabilmente né, in contrapposizione, che il risucchio li riportasse al largo.

 

Così ormeggiati, i marinai e gli uomini di fatica scaricavano la merce, utilizzando per sbarcare, precarie lunghe passerelle formate da tavole di legno sorrette da taccate, sulle quali camminare caricati della merce da recapitare; per farlo senza spezzare quelle sottili passerelle congiungenti i vari sostegni, era indispensabile adottare un armonioso passo ritmico, quasi di danza che, grazie al sincrono appoggiare dei piedi nel mentre l’asse “ritornava” dalla flessione precedente, permetteva a chi vi transitasse di caricarla nel punto, altrimenti debole, proprio  nell’attimo in cui, inarcata verso l’alto, garantiva il massimo della resistenza.

 

Gli "ex voto" non furono però un fenomeno solo Mediterraneo ma, come si riscontra sovente nella marineria mondiale, tutti gli addetti hanno, da sempre, adottati comportamenti equivalenti. Certo da noi, poiché il nostro mare fu il primo ad essere navigato, i marinai, come tutti coloro che appartengono alle fasce più indifese e maggiormente esposte ai pericoli, hanno da sempre affidato le loro vite al Soprannaturale, unica assicurazione gratuita, vecchia quanto l’uomo.

 

Non sempre i voti erano necessariamente sciolti nei nostri porti; per il marinaio, vero cittadino del mondo, ogni approdo era buono per “onorare” il debito di riconoscenza contratto in momenti terribili.

 

 

Il brigantino a palo ITALIA, costruito nei Cantieri di Varazze per l’Armatore Dall’Orso di Chiavari nel 1882, naufragò sull’isola di Tristan da Cunha nell’ottobre 1892.

 

Questa è la ragione per la quale si trovano testimonianze un po’ ovunque; si ha notizia di nostri ex voto, a Tristan de Cuna nelle omonime isole sperdute nell’oceano, dove esiste ancor oggi una comunità di liguri, sino ad arrivare alle lontane Falkland. Ad offrirli non erano però solo marinai nostrani; era pratica comune ai greci, ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli austriaci, ai portoghesi ed agli Inglesi e poi, scoperte le Americhe, anche i marinai di laggiù continuarono la tradizione, retaggio dei loro padri europei. Persino i freddi nordici, ad iniziare dai Vichinghi, offrivano ex voto ai loro protettori che spesso, com’è facile immaginare, non coincidevano con i nostri: ma pur sempre d’ex voto offerti con lo stesso spirito si tratta!

 

Possiamo concludere con quanto ha scritto il Rettore del Santuario di Nostra Signora di Montallegro che domina il Golfo del Tigullio e, nel quale, forse più che altrove, si custodiscono il maggior numero di ex voto marinareschi, nella prefazione del bel volume “Ex voto a Montallegro”, edito dal Comune di Rapallo e redatto con perizia e amore da Maria Angela Bacigalupo, Pier Luigi Bennati ed Emilio Carta, appassionati e puntuali ricercatori, là dove conclude < Visti nel loro valore religioso, risultano un segno rivelatore dell’apertura trascendentale dello spirito umano e, riferiti all’evento mariano, costituiscono una chiara testimonianza di come esso viva e s’incarni specialmente nella cultura popolare. Per questo è legittimo l’appello: salviamo gli ex voto, custodiamoli con intelletto d’amore, sappiamo coglierne il messaggio.>

 

Renzo BAGNASCO

 

Rapallo, 11 Ottobre 2014

 

Tratto dal libro: “Liguria amore mio” – Mursia Editore

 

 

 

 

 


DALARNA, una regione svedese molto speciale.

 

 

DALARNA

una regione svedese molto speciale.

 

Partire per il Dalarna, regione centrale della Svezia, é per gli svedesi un‘immersione nella tradizione: qui vivono i troll,  babbo-natale (Jultomten), la festa del “midsommar” (24 giugno). Qui cominciano le colline e gli sport invernali, le terre dei Sami, i pascoli di renne e qualche incontro sgradito con lupi, orsi e alci.

 

 

 

Costumi del Dalarna


 

I grandi fiumi scendono tutti per Sud-Est e sfociano nel Golfo di Botnia. Fino al 1997 c’era in uso il “flottning” di tronchi tagliati nelle sterminate foreste di pini, abeti e betulle che erano trascinati dall’impetuosa corrente verso i porti del distretto di Gävle, Söderhamn, Hudiskvall, Sundsvall, Härnosand, Umeå ecc...

Il Dalarna, per queste sue caratteristiche a tinte molto forti, é in prima fila nel regalare simboli, marchi e loghi al settore turistico della Svezia.

 

 

La Vasaloppet è una gara di sci di fondo su lunga distanza (maratona sciistica), che si svolge annualmente in questa regione, la prima domenica di marzo. È la più vecchia, più lunga e più grande gara di sci di fondo del mondo. Durante l'ottantesima edizione, disputata il 7 marzo 2004,  circa 15.500 sciatori gareggiarono nella gara principale, che si svolge su una distanza di 90 chilometri tra il villaggio di Sälen e la città di Mora.  Un totale di 40.000 persone hanno partecipato ad una delle sette gare tenutesi nella prima settimana di marzo. La gara nacque nel 1922,  ispirandosi al percorso che il futuro Re Gustavo Vasa aveva compiuto nel 1520.  Il vincitore della prima edizione fu Ernst Alm di Norsjö che ancora oggi è il più giovane vincitore della gara.

 

 

Il Dalarna é la regione della Svezia centrale dove si fondono il modernismo europeo con le lunghe distanze nevose e piene d’incognite. Da questa terra di artisti, citiamo soltanto i pittori Carl Larsson e Anders Zorn, provengono quasi tutti i simboli della Svezia: i cavallini colorati (Dalahästen) nella foto, i pupazzi di alci e caproni, le corna di renna e di altri cervidi, le pitture, i tessuti particolari, gli orologi e i coltelli di Mora.

 

 

Da queste parti sono abbastanza frequenti le collisioni stradali con gli alci.

 

 

Più a Nord ci s’imbatte facilmente in branchi di renne.

 

 

 

Sopravvivono gli accampamenti Lapponi che qui si chiamano Sami. Non mancano gli orsi bruni che ogni tanto si aggirano tra le case e le linci, secondo le statistiche, sono 1.500.

 

 

I laghi pullulano di lucci che superano il metro di lunghezza.

 

Ci siamo mossi sul parallelo che dal porto di Gävle (Botten Havet) giunge al lussureggiante lago Siljan, costellato da decine e decine di isolotti dove gli svedesi vanno a rifugiarsi d’estate presso quelle casette rosse di legno (sommarstuga) con i bordi bianchi che fanno capolino tra i boschi. Il colore rosso scuro delle abitazioni di campagna di tutta la Svezia, é fabbricato nella città di Falun, e si chiama “Rosso Falun”. La nostra meta é proprio questa città di provincia, 26° posto in classifica con i suoi  35.000 abitanti, a metà strada sul parallelo che unisce il Siljan a Gävle.

 

In questa parte della Svezia, che é molto lontana dai rumori delle grandi città, il bisbiglio umano non supera mai quello del vento, anche nei giorni di bonaccia. Persino le martellate degli operai sulla strada sembrano chiedere scusa ai passanti, e sono ovattate.

Ci prepariamo mentalmente ad un soggiorno rilassante, dedicato alla raccolta di funghi porcini (ignorati dalla cucina locale), mirtilli neri e rossi, di qualche pescata di lucci e alla caccia fotografica di alci, lepri, caprioli, falchi che all’imbrunire escono dai boschi e pare abitino solo da queste parti.

 

Entrando da Ovest nel centro abitato, ci accorgiamo di uno strano museo all’aperto tra dune di minerale e qualche monumento: si tratta di un complesso minerario di rame, tra i più importanti al mondo. Ormai dismesso e convertito all’archeologia industriale. Qui tutto si rinnova in continuazione e guai a non avere il tom-tom aggiornato.

 

 

A poco a poco scopriamo una decina di Chiese tra cui svetta l’imponente duomo “Kristine Kyrka” del 1600 (foto sopra). Tra un filare di case e l’altro del centro città, si penetra in macchie di verde che coprono tutto: monumenti e ville importanti, fontane e supermercati. Pare che da queste parti abbia importanza soltanto l’aria che si respira. I Verdi impazzirebbero di gioia!

 

 

Questa strana costruzione a lamelle é una delle sedi universitarie di Falun

 

Rimaniamo basiti quando scopriamo che 18.000 studenti universitari arrivano ogni anno a Falun da tutto il mondo per i corsi ERASMUS e per le eccellenti facoltà umanistiche, linguistiche e per quelle scientifiche di Borlänge, situata a 12 km di autostrada.

 

Ci spostiamo verso il centro universitario, ubicato alla periferia Est della città. Qui iniziano le pinete e i filari di candide betulle che, a loro volta, fanno da schermo ad un Centro Sportivo tra i più grandi al mondo. In primo piano si notano le piscine scoperte. A destra inizia il Centro sportivo di cui riportiamo il grafico qui sotto. Cominciamo a non capirci più niente!

Rappresentazione grafica degli impianti sportivi invernali di Falun. Non appaiono gli impianti estivi: campi da calcio, bandy, basket, galoppatoio, golf che circondano l’intero struttura rettangolare.

 

 

 

Entriamo all’Università. Pare che la luce i colori e la funzionalità siano state le principali linee guida degli architetti.

 

 

 

 

Questa é la biblioteca dell’Università: 2.600 m2 d’estensione, 400 posti per gli studenti. 3.600 metri disponibili per i libri.  Disegnata dagli architetti danesi Anders Lonka, Martin Laursen e Martin Krogh, l’opera ha ricevuto quest’anno il 1° premio dalla World Architecture Festival. Ogni tavolino espone la bandierina della lingua parlata dagli studenti in quel momento.

 

A poco a poco scopriamo che pur parlando svedese, non ci si può permettere alcuna distrazione perché l’interlocutore locale ti si rivolge subito in inglese. Qui tutti parlano la lingua inglese senza il minimo intoppo. La stessa università usa l’inglese anche per i corsi di svedese. Gli stessi esami in lingua locale prevedono l’inglese come lingua base per la comunicazione. La futura classe dirigente che viene formata da queste parti, come si può facilmente intuire, si serve di parametri ben lontani da quelli nostrani.

 

 

Questo é lo Ski Jumping di Falun che nel 2014 ha ospitato il Campionato del mondo della specialità. Nel 2015 qui si terrà il FIS Nordic Ski World Championships: Sci di fondo, otto specialità - dal 18 febbraio al 1 marzo 2015. Gare di salto dal 19 febbraio al 28 febbraio 2015. Combinata Nordica dal 20 al 28 febbraio 2015.

 

Usciamo dall’università con un vago senso di vergogna... ma siamo rincuorati dalla visione di questo gigantesco trampolino per il salto con gli sci che ci proietta nel mondo dei sogni... Scattiamo qualche foto e ci troviamo davanti ad un centro Sportivo di dimensioni esagerate. Entriamo, andiamo al Bar e chiediamo informazioni. Veniamo a sapere che per tutto il mese di febbraio 2015 si svolgeranno i Campionati del mondo di discipline nordiche e che gli alberghi, pensioni, abitazioni private ecc... sono prenotati da cinque anni.

 

Ecco come si presenta il “generale” inverno da queste parti...

 

 

Da ogni lato di questo lunghissimo corridoio, di cui non si riesce ad vederne la fine, si notano, attraverso ampie vetrate, palestre di ogni tipo, campi di basket, curling, hockey, piscine, campi da tennis, piste di atletica ecc...In questa struttura esiste anche uno dei più attrezzati laboratori del Paese per la fisiologia dello sport.

 

 

Confrontando i prezzi esposti per la pratica di ciascuna disciplina sportiva, ci accorgiamo che vivere lo sport in Svezia costa meno che in Italia, e ci spieghiamo come il pagare le tasse a “governi onesti” sia la chiave di lettura per capire le ragioni di quelle posizioni occupate dai Paesi Scandinavi ai vertici delle classifiche mondiali

 

Ogni volta che veniamo da queste parti, notiamo quanto la gente sia calma e nello stesso tempo attiva  nel compiere opere pubbliche e private di notevole modernità. I migliori cervelli, da queste parti, sono al loro posto, cioé in alto. Qui si raggiungono le vette per meriti acquisiti, non per i voti raccolti nelle sedi dei partiti. Qui non esiste il politico di professione, ma é premiato il politico che porta le novità che necessitano al Paese e le sappia realizzare.

 

Che dire ancora? Forse é meglio soprassedere ... chiedendoci: se questa é la “provincia svedese”, chissà cosa ci toccherà vedere nelle grandi città sulla stessa latitudine di Stoccolma?

 

Conclusione: Il modello nordico é off limits per gli italiani e ci viene in mente una citazione che é sempre attuale nel nostro Paese: gli Inglesi il commercio, i Francesi lo spirito, gli Italiani l’odio di parte.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 

 


A CACCIA DI AURORE BOREALI

A CACCIA DI AURORE BOREALI

Galileo tentò di dare una spiegazione scientifica al fenomeno dandogli il nome che tutti conosciamo, ma si dovette arrivare all’800 per avere la prima “autentica” spiegazione dell’aurora boreale dal fisico norvegese Kristian Birkeland. L’evento è dovuto al flusso di radiazioni che provengono dal Sole ed entrano in contatto con il campo magnetico della Terra, formando particelle elettriche che a contatto con l’atmosfera emettono una luce spettrale.

Le teorie di Birkeland non furono mai del tutto accettate dalla comunità scientifica e la conferma delle sue intuizioni si ebbe soltanto dopo il lancio in orbita del primo satellite nel 1960.

 

Diciamo subito che per uno scandinavo del Centro Sud della Scandinavia é abbastanza raro assistere ad una Aurora Boreale, ma non é facile neppure vederla danzare oltre il circolo polare artico. Il fenomeno si delinea raramente e senza appuntamento, con fasci di luce a spirale verde e fluorescente, gialla, azzurra e violetta. Un tempo la spettacolare visione intimoriva le popolazioni della taiga Nordica che le attribuivano origini divine da cui scaturirono leggende fantastiche.  Per gli Inuit é la danza dei bambini morti; la volpe “Revontulet” disegna per i Lapponi scintille variopinte che proietta con la lunga coda sulla terra dove si formerebbero sentieri di neve luminosi che aiutano gli spiriti a ritornare alle loro case.

 

 

 

La studentessa Gun Marie Gatti (che ha messo la prua a NORD per ragioni di studio), ha avuto la fortuna di fotografare l’Aurora Boreale sopra il cielo di Falun (Dalarna-Svezia). Era il 13 settembre 2014. L’affascinante spettacolo é durato dalle 00.30 alle 01.15.

 

Secondo gli scienziati il picco solare, chiamato Solar Maximum, che ha una ciclicità di 11 anni, si avrà proprio nell'inverno 2014/2015. Eccezionali tempeste magnetiche solari solleveranno nel cosmo folate di particelle energetiche tingendo di verde, rosso e viola le notti dei Sami.

Non manca l’industria turistica legata al fenomeno Aurora Boreale.

 

Si può soggiornare nelle cittadine dei diversi paesi lapponi. Nella parte svedese, i più audaci possono optare per il piccolo villaggio di Jukkasjärvi, non lontano da Kiruna, dove si trova il famoso Albergo di ghiaccio. A Kiruna c’é la possibilità d’imbarcare su un Jetstream32 (circa 850 euro), si superano le nuvole con maggiore possibilità di vedere l'aurora boreale. La durata del volo è di circa 45 minuti per un'escursione che dura in totale tre ore. Le stesse possibilità d’osservazione sono offerte nella Norvegia artica, a Tromsø o alle isole Lofoten, oppure a Rovaniemi in Finlandia, situata a breve distanza dal Napapiiri (Circolo Polare Artico). Ad Alta, nel nord della Norvegia, vengono organizzati safari notturni in motoslitta lungo le vaste pianure innevate tra boschi di betulle che salgono verso gli altopiani. Si dice che sia ancora più entusiasmante poter ammirare l'Aurora Boreale dall'aereo in un volo notturno organizzato dallo Spaceport Sweden . 
 Si può anche scegliere un itinerario di più giorni con pernottamento in rifugi o nelle tradizionali tende Sami tra le montagne.
Per i meno avventurosi, é consigliabile una comoda crociera a bordo dei postali Hurtigruten che da Bergen risalgono la costa norvegese, superano Capo Nord e giungono al capolinea Kirkenes. Per noi latini-rivieraschi, questo é il modo più comodo per godersi le notti artiche.

 


 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 


 

 

 

 


CHIAVARI - RIONE SCOGLI: Piazza GAGLIARDO oggi

PIAZZA GAGLIARDO OGGI

 

 

 

Ci troviamo in piazza Gagliardo, vulgo Piazzetta dei Pescatori. Nel 1944 i tedeschi erano fortemente intenzionati a demolire questa storica casa per sostituirla con un “bunker antisbarco”. La famiglia Gotuzzo si oppose con tutte le forze alla realizzazione di questo insensato progetto e, per fortuna, alla fine riuscì ad evitare il disastro. Il bunker, contenente un nido di mitragliatrici pesanti, fu costruito nella posizione da cui fu scattata la foto.

 

 

 

Piazza Gagliardo - La casa, oggi elegante abitazione della famiglia Ernani Andreatta, fu sede e sala a tracciare del Cantiere Navale Gotuzzo sino ai primi del '900.

 

 

 

La foto si riferisce alla bella meridiana sovrastata dallo stemma della famiglia Gotuzzo. Declinante a ponente, è completa di lemniscata e delle iperboli che indicano la posizione del sole nei diversi mesi dell'anno, unite ai corrispondenti segni zodiacali in base ai calcoli del prof. R.Morchio (1944). In basso, la Nave Goletta FIDENTE (1922), "l'ultimo dei grandi velieri varati nel Rione Scogli dai Cantieri Gotuzzo ". Sotto, un nastro con il motto: "Chi g'à da fâ camin o deve ammiâ ö tenpo e ö bastimentö" (Chi ha da fare del cammino, deve guardare il tempo e il bastimento).

Prima di levare i ponteggi per la ridecorazione dell'Antica Gasa Gotuzzo, tutto lo staff dell'Associazione culturale "IL SESTANTE"  ha riposizionato "lo Stilo o Gnomone" cioè la "lancetta" dell'orologio solare nella giusta posizione dato che era stata rimossa durante i lavori di rifacimento della facciata. Nella foto da sinistra i vice presidenti, Sotto Ten. di Vascello Enzo Gaggero, l'Ing. Gianpiero Barbieri detto "Pighin" e il Presidente "deep diver" Giancarlo Boaretto nonchè curatore del Museo Marinaro ed "ex Alpino". Stanno "armeggiando con un marchingegno" da loro ideato affinchè la meridiana segni la giusta ora del meridiano del luogo.

 

Seguono alcune fotografie delle decorazioni di casa Gotuzzo che ricordano le attività del Cantiere Navale, ma anche quelle del Rione Scogli.

 

 

 

La MERIDIANA di Casa Gotuzzo-Andreatta

 

Nel dipinto  viene rappresentata la rete dei pescatori, la lampara (per fare chiaro nella notte e catturare i branchi di acciughe o altro) una fiocina (per infiocinare o infilzare i pesci grossi o i polipi) e un "Cheusso", cioè una zucca che si coltivava negli orti degli Scogli. Questo tipo di zucca  si faceva seccare (non era commestibile) e aveva tre funzioni principali. Come boa per "i palamiti" o le reti del "tremaglio". Tagliata come quella del dipinto serviva per "aggottare" l'acqua o la "chintana" (concime liquido organico prodotto dalla fognatura di casa diluita opportunamente con acqua); quindi come maschera di carnevale il cui gambo funzionava da naso dove si facevano gli opportuni buchi per gli occhi e la bocca.  Questa tradizione è ancora in voga, per lo meno a Chiavari ma è tornata in uso anche in altre cittadine limitrofe o addirittura a Genova,  quando sotto Natale si celebra il "CONFEUGU" e si fanno gli auguri di buone festività  alle amministrazioni comunali (a quel tempo al "Doge") e si prendono in giro gli amministratori. Due maschere di Chiavari "U REBELLO" e a "REBELLUNN-A", (interpretati da due attori genovesi) come maschera per il viso hanno ancora questi antichi "Cheussi" di lontana memoria.

 

Nel dipinto vengono ricordati gli utensili dei maestri d'ascia e calafati e cioè da sinistra il "maglio" o "maggiu" in genovese (speciale martello di legno che serviva per spingere la stoppa imbevuta di pece nelle fessure dei "comenti" cioè delle tavole del fasciame). Poi si vede "l'ascia" vera e propria che era una specie di zappa affilata più grande o più piccola a seconda del bisogno, che serviva appunto al "maestro d'ascia" per modellare le tavole a seconda della forma ("cartabun")  che si voleva dare. Poi la "MARMOTTA" che era la cassetta del calafato dove riponeva i suoi attrezzi oppure gli serviva da "banchetto" per sedersi quando lavorava in basso o per elevarsi quando lavorava più in alto. Poi si vedono alcuni scalpelli (senza taglio affilato) che servivano a spingere  la stoppa imbevuta di pece tra i "comenti", come accennato in precedenza. Quello con una specie di uncino era il "cavastoppa" cioè serviva a tirar via e pulire le fessure dalla  vecchia stoppa ormai secca per "incastrarci", "a forza di  morbide martellate col maglio",  quella nuova.

 

 

Ernani ANDREATTA - al comando della petroliera TEXACO OHIO nel 1968

 

 

A cura del webmaster: Carlo GATTI

 

 

 


CHIAVARI - RIONE SCOGLI: Colonia Fara

LA COLONIA FARA

 

 

La Colonia Fara in pieno esercizio

 

 

La Colonia Fara nel 2014

 

 

 

La colonia Fara, intitolata alla memoria del generale Gustavo Fara é sita in via Preli a Chiavari e nacque come colonia estiva. La struttura fu commissionata dal Partito Nazionale Fascista nel 1935 come luogo e soggiorno di villeggiatura marinaro per bambini, da utilizzarsi prevalentemente nel periodo estivo. L'edificio è un esempio del Razionalismo Italiano. Una curiosità: l’impianto architettonico rappresenta un aereo con il muso verso il basso e la coda verso il cielo.

 

In questa foto si vede più nitidamente il profilo delle ali d’aereo

 

 

 

Proponiamo alcune foto inedite della costruzione della colonia fara e, nel 1938 quando, appena terminata, ospitò i figli dei coloni libici. La colonia Fara fu inaugurata dallo stesso Benito Mussolini assieme allo stabilimento Balneare Lido costruito durante il podestariato di Francesco Tappani.

 

Contrariamente a quanto credono tutti, questa Colonia sino ai primi anni di guerra non ospitò mai bambini del nord Italia. Quando fu costituito l'impero nel 1935 Mussolini, per dare un "futuro" a molti coloni Italiani ne mandò in Libia ben 20.000.

Ma nel 1940, quando già spiravano venti di guerra, in Libia fece terminare le scuole a Maggio e ai primi di Giugno  (la guerra fu dichiarata il 10 Giugno appunto), fece tornare in Italia quasi un migliaio di questi bambini e alcune centinaia furono ospitati  nella colonia Fara con l'ottica,  diciamo umanitaria,  di toglierli dai futuri pericoli dei campi di guerra della Libia. In realtà questi bambini passarono ben sei anni lontano dai propri genitori e soltanto nel 1945 poterono ricongiungersi con le le rispettive famiglie. Il museo Marinaro Tommasino-Andreatta è in possesso dei filmati dell'Istituto Luce che confermano quanto sopra.

Pertanto la Colonia Fara ospitò soltanto bambini figli dei coloni libici e negli anni seguenti, verso la fine della guerra diventò sede di ospedale per feriti di guerra e negli anni '50 ospitò per alcuni anni i profughi istriani fuggiti dalla persecuzioni di Tito.  Fu anche sede di una Scuola Elementare denominata FARA e da molti anni è in uno stato di degrado incredibile. Anche l'area dell'Ex Cantiere Navale completa il degrado tanto che da molti quell'area non viene più chamata rione Scogli, ma bensì Rione "Kabul".

Estate 2013. La foto denuncia il degrado in cui versa la Colonia Fara. Resti del muraglione antisbarco sono tuttora visibili dove termina il bagnasciuga.

 

 

Uno dei tanti articoli che parlano del degrado di questa zona di Chiavari

 

 

Ecco come si presentano oggi gli interni di una struttura che fu presa, a suo tempo, come esempio di arte e funzionalità, da parte dei massimi esperti del mondo.

Ernani ANDREATTA

Rapallo, 25 Agosto 2014

a cura del webmaster Carlo GATTI


 


CHIAVARI - RIONE SCOGLI: Album Fotografico

ALBUM FOTOGRAFICO

 


 

Oggi l’Antica Casa Gotuzzo, ha cambiato completamente l’abito e nel 2014 è stata completata una radicale sistemazione con un leggero innalzamento di circa 50 cm ed un completo rifacimento della decorazione.

 

 

 

Nel luglio del 2014 i decoratori Mirca Ceglie e Gabriele Pompeo danno gli ultimi ritocchi alla meridiana raffigurata sulla facciata a sud dell’Antica Casa Gotuzzo.

 

Nel 1944 i tedeschi, come anche accennato più sopra, erano fortemente intenzionati a demolire questa storica casa per sostituirla con un Bunker. Ci troviamo pertanto in Piazza Gagliardo, vulgo Piazzetta dei Pescatori ma che, per oltre un secolo, si è chiamata “CIASSA DI BARCHI”. Ne spiegheremo le ragioni in un prossimo "pannello" che è stato progettato per essere esposto nella piazza stessa.

 

Nella parte occidentale di Chiavari sono tuttora visibili numerose tracce del sistema difensivo costiero realizzato dai Tedeschi dopo l’8 settembre. Alcuni tratti dell’esteso muro antisbarco che proteggeva la spiaggia, sono ancora presenti a levante, sia presso la foce del fiume Entella, sia in prossimità della ex Colonia marina Fara a ponente, come le foto che seguono ci indicano nitidamente.

 

Dancing "La Capannuccia"

 

 

"Bellezze al bagno" degli anni '50. Da sinistra Gilda Agrizzi recentemente scomparsa per un banale incidente stradale compianta da tutto il rione Scogli, e in special modo dall'associazione "Amici del Mare e Degli Scogli". Poi "Gughi Maccianti" poi la Gianna Solari, sorella di Gino il famoso costruttore Navale ormai scomparso,  e vedova di Franco Malavasi un compianto personaggio di Chiavari, quindi non identificata e a destra una bella ragazza del tempo anche lei ormai scomparsa.

 

 

(sopra) - Vedute della passeggiata a mare di Chiavari negli anni '50/60

 

Altre foto del lato mare di Chiavari. Proprio dove sorse poi il famoso Dancing la Capannuccia della famiglia Cambioni, sorgevano alcuni bunker come si vede ancora nell’immediato dopoguerra.

 

 

Un tobruk con postazione per mitragliatrice é riportata sul lato mare.

 

1944 – 2014.  Sono passati 70 anni ...

 

Nelle tre foto sotto sono ancora visibili le tracce di muraglione antisbarco

 

 

 

Pezzi di muro antisbarco vicino alla Colonia Fara

 

 

 

La foto mostra il tipico nido di mitragliatrice antisbarco denominato Tobruk.

 

ERNANI ANDREATTA

Rapallo, 25 Agosto 2014

Webmaster Carlo GATTI

 

 

 

 

 


CHIAVARI - RIONE SCOGLI in Guerra

IL CANNONE DELLE GRAZIE

(vedi Storia Navale di questo sito) si arricchisce dei ricordi del Comandante Ernani Andreatta e del pittore Amedeo Devoto. Nel 1935 i due personaggi nascono nel Rione Scogli di Chiavari, dove il primo vi risiede ancora in Piazza Gagliardo, mentre il secondo, purtroppo, é mancato di recente. A cavallo della Seconda guerra mondiale, i due amici d’infanzia trascorrono la loro gioventù tra postazioni e nidi di mitragliatrici della Wehrmacht, proprio nella zona da noi presa in esame: dal Santuario delle Grazie all’attuale Piazza Gagliardo.

 

Come abbiamo già avuto modo di vedere, i tedeschi non trascurarono neppure l’ipotesi di uno sbarco Alleato sulle spiagge di Chiavari, Lavagna, Cavi di Lavagna e Sestri Levante, i cui alti fondali  ben si prestavano ad una rapida conquista della Via Aurelia e della Ferrovia che transitano, tuttora, a pochi metri dal bagnasciuga.

 

Le numerose “tracce” delle difese costiere in cemento armato lasciate dalla TODT nella Riviera di Levante per contrastare l’eventuale sbarco degli Alleati, sono visibili ancora oggi lungo tutto il litorale, come vedremo.

 

 

Ricordi di Ernani Andreatta del 25 Aprile 1945.

 

Nel 1945 avevo 10 anni essendo nato nel 1935 appunto. Ricordo molti episodi di quella guerra che ho vissuto a contatto della gente per una ragione molto semplice. L'ingresso alla galleria come rifugio antiaereo aveva l'ingresso al N. 31 di corso Buenos Aires proprio nel mio giardino. Villa Andreatta  era stata costruita da mio padre Ernani (mio omonimo di nome e di professione) con i sacrifici di 35 anni di navigazione effettiva di cui parte passati sui sommergibili dal 1915 al 1918 e parte internato in Tailandia per ben sei anni dal 1940 al 1946, dato che tornò da quella specie di prigionia passata nella giungla per ben tre anni dopo l'auto affondamento della propria nave, la M/n Sumatra del Lloyd Triestino, ovviamente per non cadere in mano degli Inglesi, dato che si era rifugiato nella rada di Pucket in Thailandia. Mia madre era religiosissima e la sua gran fede la sostenne per tutto il periodo della guerra dove tra l'altro, oltre al marito lontano, nel 1943,  aveva anche  il figlio più grande Giuseppe detto Beppino o Ron, Ufficiale della marina militare al di là del fronte in quel di Brindisi. Giuseppe diventò poi un apprezzato Ingegnere Navale Senior Surveyor nell'American Bureau of Shipping. Morì nel 1979 per un incidente sulla nave del Lloyd Triestino "Nipponica".

 

Casa mia, essendo a pochi passi dall'ingresso della galleria rifugio, era diventata nei suoi fondi o cantine un vero e proprio dormitorio di persone che volevano appunto essere il più possibile vicino a questo rifugio. Ricordo il Signor Cipriani (Cinema Astor),  il signor Marcucci (cinema Mignon), tanto per fare qualche nome. Ed anche noi ragazzi, ricordo che i miei genitori ebbero 5 figli, dormivamo in letti o brandine insieme a tutti questi ospiti.

 

 

Quando suonava la sirena dei bombardamenti imminenti tutti correvamo in galleria ma, alla sera, con l'oscuramento dovuto alle incursioni del famoso Pippo, dormivamo sempre nei fondi di casa mia al n. 31 di Corso Buenos Aires appunto. Soltanto la notte del 24 Aprile 1945, il giorno dopo sarebbe finita la guerra,  mia madre non volle sentire ragioni e impose a tutti, noi ragazzi per primi, di dormire in galleria, insieme naturalmente a tutti quelli del vicinato.  Ricordo benissimo che alcuni degli ospiti dissero a  mia madre, che la guerra sarebbe finita il giorno dopo,  ma lei determinata sbarrò la strada dei fondi di casa e disse con fermezza che quella notte dovevamo dormire tutti in galleria, senza peraltro darne una ragione plausibile; in tutta la guerra nessuno di noi ci aveva mai dormito e quell'ordine perentorio ci parse molto strano e incomprensibile.  Ma quando ci alzammo al mattino e uscimmo dalla galleria per entrare in casa, forse solo in quel momento ne capimmo la ragione. Una granata perforante sparata da un carro armato Tank-Sherman americano era entrata ad un metro d'altezza dal terreno nello spesso  muro di casa (circa un metro),  andando a esplodere nel pavimento proprio in mezzo alle decine e decine di letti  che erano tutti intorno. Nel mezzo del pavimento trovammo un buco non molto profondo dato che la deflagrazione era avvenuta  proprio in quel punto e  miriadi di schegge si erano sparse conficcandosi in tutti i letti attorno. Ricordo benissimo che con mio fratello Luigi detto "Ciuilli" e le mie sorella Palma e Isa facevamo a gara a trovare le schegge  nei cuscini e nei materassi di lana. I più vicini al punto dove la granata era scoppiata ne avevano certamente  più degli altri. I fondi erano anche allagati e senza luce elettrica che a quel tempo era normalissimo !

 

Il n. 76 di corso Buenos Aires era la villa costruita da Luigi Gotuzzo e venduta a Protti nel 1924. Ancora adesso dopo quasi 70 anni mi chiedo che cosa ha spinto  mia madre a non farci dormire nei fondi di casa,  ripeto, solo quella notte. La fede incrollabile o il destino spesso imperscrutabile, sicuramente ebbe un effetto straordinario in quella decisione che salvò la vita a tutti, dato che, se avessimo dormito in casa saremmo stati tutti massacrati da quella orribile granata. E' un fatto personale che racconto, ma la guerra  mi è passata molto vicina a quel tempo ed è ancora viva e profondamente scolpita nella mia memoria. C’é ancora un fatto che mi preme raccontare. Ogni tanto in corso Buenos Aires, cioè davanti a casa mia, si accampavano truppe che a volte erano Italiane e a volte tedesche. Ebbene le truppe tedesche erano ordinate ed educate e chiedevano sempre a mia madre se potevano entrare anche in giardino per accamparsi. Al che mia madre, naturalmente, dava il consenso a tale richiesta. Anzi, per noi bambini era una festa, dato che i soldati tedeschi ci regalavano le loro appetitose pagnotte nere di segala, o qualche scatoletta di carne. Ammiravamo quei possenti mezzi meccanici e i loro altrettanto robustissimi cavalli con le criniere nelle gambe oltre che nel collo. Ricordo al contrario con rammarico quando arrivavano ad accamparsi le truppe italiane che non chiedevano il permesso a nessuno:  entravano in giardino, e nell'orto rubavano tutto quello che c'era. Poi usavano le piane del retro casa come latrine e per settimane nessuno poteva più andarci per non rimanere "impantanati", diciamo.  E' una realtà che ho vissuto di persona e che ho voluto raccontare anche se le atrocità commesse da certi tedeschi sono ancora vive nella memoria di tutti.

 

Villa Andreatta in Corso Buenos Aires negli anni '70.

 

Il n. 31 di Corso Buenos Aires contrassegnava Villa Andreatta che negli anni 90 circa fu venduta da Maria Luisa Andreatta. La targa del n. 31 è ancora gelosamente conservata come ricordo da Ernani Andreatta nell'Antica Casa Gotuzzo.


 

 

 

 

La fine della guerra era imminente e il 25 Aprile del 1945, se non era per l'intuizione della loro madre Adele Gotuzzo, i cinque fratelli Andreatta avrebbero potuto morire tutti proprio in quell'ultimo  giorno di guerra, come descritto sopra.

LA CASA NATIA DI AMEDEO DEVOTO

 

 

 

La prima signora a destra è la mamma di Amedeo Pina Verdi

 

 

 

 

In queste inedite foto si vede la casa natia di Amedeo Devoto prima che nel 1944 fosse evacuata e distrutta dall'esercito tedesco per costruirvi un bunker che vediamo nella foto sotto.

 

 

Questa è l'esatta ubicazione della casa natia di Amedeo Devoto (nella foto) rispetto alla colonia Piaggio. Era la casa più a ponente di Chiavari ben oltre la colonia marina dei Piaggio. Il padre di Amedeo,  Eugenio detto "Genin" ne era il custode e viveva in questa "dependance" dove nel piano fondi, come ricordava sempre Amedeo, veniva costruito per le feste di Natale uno straordinario presepe tutto animato con le meravigliose statuette in legno del Maragliano.

 

 

Questo é quanto resta del bunker costruito proprio sopra la casa natia di Devoto demolita dai tedeschi.

 

Alcune interessanti planimetrie del 1944

 

Per g.c. del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari

 

 

 

 

In questa planimetria del Rione Scogli, le macchie gialle si riferiscono alle cave esistenti nel 1940/45.

 

 

Nelle planimetrie sopra riportate viene rappresentato, sia in panoramica che nel particolare, l'ubicazione esatta del cannone delle Grazie che si trovava proprio sotto la casa privata che è sotto la chiesa. Il disegno è stato estratto da una delle tre planimentrie conservate al Museo Marinaro di Chiavari disegnate e ricostruite da Amedeo Devoto per gli anni rispettivamente del 1888, 1906 e 1940/45 che riguardano tutta la zona del Rione Scogli.

 

La Planimetria n.1 riporta (in alto) la GALLERIA DELLE GRAZIE (S.S.Aurelia), (al centro) il Santuario N.S. DELLE GRAZIE e (sotto) il tratteggio della batteria con la scritta: “BUNKER CON CANNONE DELLA MARINA BINATO”.

 

 

La Planimetria n.2 mostra le opere difensive antisbarco. A sinistra sono leggibili le scritte: Galleria Vecchia – Deposito munizioni e cannone. Al centro: Muro antisbarco. A destra: Fico – Uliveto – Rudere – Bunker – Arenile.

 

 

La planimetria n.3 mostra le seguenti strutture costruite dalla Todt: a sinistra, il massiccio “muro antisbarco” quasi toccato dal “RELITTO DI UNA NAVE TEDESCA” arenata sulla spiaggia. Il muraglione antisbarco prosegue verso il centro del disegno mostrando un bunker e più sotto (nel punto più vicino alla spiaggia) una postazione per mitragliatrice. A destra, a protezione della costruzione n.3 é disegnato un tobruk per contraerea.

 

 

La planimetria n.4 mostra il “cuore marinaro” di Chiavari: Il Rione Scogli, con Piazza Gagliardo, ex Ciassa di Barchi, sede e scalo del Cantiere navale Gotuzzo che costruì 125 velieri a cavallo del ‘900. L'antica casa Gotuzzo (n.27) fu costruita nel 1652 e tuttora appartiene alla famiglia Andreatta-Gotuzzo. L’antica costruzione è intessuta della storia del cantiere che il proprietario, comandante Ernani Andreatta, coltiva con attaccamento e competenza.

 

 

Nella foto é segnalata l’esatta posizione della casa di Amedeo vista da ponente. In lontananza si vede la Colonia Fara

 

 

L'ingresso della ex galleria del treno è ora sbarrato da una robusta rete metallica.

 

 

Da un dipinto di Amedo Devoto vediamo sulla sinistra l'ingresso col portico del Santuario delle Grazie e sulla destra una casa rossa dove proprio al di sotto era ubicato il cannone binato tedesco.

 

Chiavari 1937 – Rione Scogli  -

 

2010 – olio su tavola – 70x50  dell’artista chiavarese

Amedeo Devoto

La didascalia riporta il seguente fatto storico:

"La casa dove sono nato e dove ho passato i primi dieci anni della mia infanzia. Posta a ponente dell’attuale Colonia Piaggio venne demolita durante l’occupazione tedesca verso la fine del 1943 per edificarvi un bunker. Sulla destra si nota la galleria della vecchia ferrovia deviata più a monte nel 1908 e il pontone di “Penco” che costruisce la prima diga."

ANTICA CASA GOTUZZO SENZA TETTO!  CHE TEMPI!

La guerra, non risparmiò nemmeno l'Antica Casa Gotuzzo che vediamo nel 1945 senza tetto e senza finestre nella sua parte verso il mare.

Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta  era situato nella stessa casa padronale, ma da qualche anno, avendo acquisito un notevolissimo numero di reperti, si é trasferito nella Caserma delle Scuola Telecomunicazioni FF AA di Caperana-Chiavari. E' ormai in corso di definizione l'accettazione di questo Museo Marinaro da parte dello stato Maggiore della Marina Militare che è stato integrato con la Sala Storica della Scuola Telecomunicazioni.

Nel 1943, Adele Gotuzzo in Andreatta ricevette l'ordine dai tedeschi di svuotare la casa paterna, cioè l'antica Casa Gotuzzo situata in Piazza Gagliardo perchè al suo posto dovevano costruirvi un bunker. La casa fu immediatamente svuotata di tutto ciò che fosse usabile come anche le persiane e le finestre di legno che furono tutte bruciate per fare il sale nelle famose lamiere come si usava in tempo di guerra. Il bunker fu costruito poi in realtà sulla Piazza e non al posto della casa. Dopo la guerra, Adele Gotuzzo precisamente nel 1948, volle assolutamente ricostruire e rimettere in ordine la casa paterna dei Gotuzzo contrariamente all'opinione di altri parenti che avevano una quota nella casa stessa. Questi parenti non parteciparono in nessun modo alla ricostruzione adducendo il fatto che avrebbe "buttato i soldi in mare". In realtà, come si vede in questa foto del 1955 il mare stava avanzando sempre più e la casa era in serio pericolo. Ma poi si salvò, dopo importanti difese del litorale chiavarese operate negli anni 1955/60,  e attraverso inenarrabili vicissitudini con i parenti che non volevano fosse ricostruita, Ernani Andreatta ne diventò unico proprietario negli anni settanta. Il merito di tale "sofferta operazione" è da attribuire sopratutto alla moglie Marisa Bacigalupo recentemente scomparsa il 12 Aprile di quest'anno e a suo fratello Luigi Andreatta detto "Ciuilli" scomparso a soli 49 anni  nel 1976 in seguito ad un tumore alla testa. Era un valente avvocato di fama internazionale accreditato anche ai tribunali di New York e San Francisco per la sua perfetta conoscenza dell'Inglese.

Soltanto negli anni '60 si pensò ad una difesa seria e imponente del fronte mare Chiavarese e i pericoli di distruzione non solo di questa, ma anche di altre case fu finalmente scongiurato. Ricordiamo che dal 1821 sino al 1950 circa ben 43 palazzi furono abbattuti dalle mareggiate su tutto il lungomare di Chiavari.

 

Ernani ANDREATTA

Rapallo, 25 Agosto 2014

webmaster Carlo GATTI

 


CHIAVARI - RIONE SCOGLI

UN MONITO PER NON DIMENTICARE....

La fotografia (sotto) ritrae i PANNELLI che il Comandante Ernani Andreatta, ha già l'autorizzazione Comunale, esporrà in Piazza Gagliardo in modo permanente, per ricordare ai passanti la splendida Storia del suo Rione Scogli.

 

 

 

 

 

Brigantino a palo “Fido” costruito da Francesco Gotuzzo a Chiavari in Ciassa di Barchi e varato nel Settembre 1861. I grandi Velieri varati dai Gotuzzo a Chiavari nel Rione Scogli furono oltre 120, da Matteo Tappani "u sciu Mattè" 55 e da altri costruttori circa una trentina.

 

 

Chiavari - 1904 - Cantiere Navale Gotuzzo

La nave Goletta “Luisa” è quasi pronta al varo. Questo tipo di veliero, per la sua ottimale velatura veniva chiamato dagli inglesi “best bark”. I genovesi storpiarono il nome in “barco bestia”

 

 

Affinché il Rione Scogli conservi la sua memoria storica e marinara

 

Sala Storica del Museo Marinaro

Tommasino-Andreatta

 

presso la Scuola Telecomunicazioni FF.AA.

 

Via Parma, 34 – Chiavari

 

 

PIAZZA DAVIDE GAGLIARDO

 

un tempo chiamata

 

«CIASSA DI BARCHI»

 

 

Pannello

 

Su questa piazza e in quest'area del Rione Scogli, nei Cantieri Navali Gotuzzo, furono costruiti e varati, tra il primo '800 e il 1935, da Francesco Gotuzzo detto «Mastro Checco» (1808- 1865) il capostipite, da suo figlio Luigi (1846-1919) e dal nipote Eugenio detto «Mario» (1883-1935) oltre 120 grandi velieri: 11 Brigantini, 41 Brigantini a palo, 32 Brigantini Goletta, 7 Navi Goletta, e 30 tra Bovi, Rimorchiatori, Chiatte, Leudi e grosse barche da trasporto. Quando «Mastro Checco»morì nel 1865, come da liquidazione ereditaria del 25/4/1866 aveva ben 9 Velieri in costruzione sugli scali di questo Rione. Due quinti di tali costruzioni vennero assegnati a Matteo Tappani, «u sciu Matté» (1833-1924), per l'assistenza prestata nella costruzione e tre quinti a Luigi Gotuzzo. Matteo Tappani imparò quindi l’arte della costruzione Navale dal suocero «Mastro Checco», avendone sposato la figlia Giulia. Negli anni seguenti, Tappani vi costruì oltre 55 grandi velieri: 35 Brigantini a palo, 9 Brigantini Goletta, 4 Navi Goletta, e 7 tra Bovi e Leudi. Una trentina di grandi velieri furono costruiti dai Briasco, Brigneti, Piceni Gessaga, Sanguineti, Beraldo e Raffo: 6 Brigantini, 2 Brigantini a palo, 4 Brigantini Goletta, e 18 tra Leudi e Bovi. In totale più di 200 velieri presero il largo da questo Rione per rotte in tutti i mari del mondo.

 

La tradizione cantieristica di maestri d’ascia e calafati continuò nel dopoguerra con costruttori di gozzi e imbarcazioni da diporto. Dopo «l’Epoca Eroica della Vela», verso gli anni ‘30, la Piazza cambiò tipologia diventando sede di famiglie di pescatori e, nel gergo popolare, venne così denominata:

 

 

 

 

Ciassa di Barchi - 1889 - Varo del Brigantino a palo “Nemesi” dai Cantieri Navali dei Gotuzzo che a quel tempo costruivano proprio sulla Piazza Gagliardo

 

 

PIAZZA DEI PESCATORI «CIASSA DI PESCÖI»

 

 

 

Rione Scogli - 1912

 

La ferrovia è già stata deviata a monte in seguito a terribili mareggiate che ne avevano compromesso la sicurezza. In primo piano il ricovero Torriglia. Le cosidette “Case Canepa” sulla destra della foto, di lì a pochi anni saranno tutte abbattute dal mare. Notiamo il Cantiere Navale dei Gotuzzo con un veliero in costruzione. Le dieci case di Corso Valparaiso (già Via Olearia) stanno per essere completamente demolite. Corso Buenos Aires, alla sinistra della ferrovia, è appena tracciato.

 

 

 

 

Rione Scogli - I “Seroi” (segantini)

 

Quando non esisteva ancora la forza motrice le tavole, ricavate da pesanti tronchi, venivano segate a forza di braccia dai segantini che usavano una speciale sega a quattro mani detta anche “31”. Nella foto, abbiamo riconosciuto Adriano Leoni (in alto) e Checco Pastorino Tacchetti.

 

 

Pannello

 

 

RIONE SCOGLI

 

COM’ERA E COME SI VIVEVA

 

Scriveva Vittorio G. Rossi, noto giornalista e scrittore: il mare parla, “nessuno sa cosa dice, ma lui parla”. Questo agli “Scogli” lo hanno sempre saputo, o meglio lo hanno sempre sentito nel cuore.

 

Il mare continua a mandare messaggi con i suoi odori, che cambiano quando cambia il vento, con i suoi colori, che specchiano il cielo, con il rumore delle sue onde, con il suo moto incessante che

 

incanta i nostri occhi stupiti nella varietà delle sue forme, del fluire e del rifluire, del frangersi e del ricomporsi. Ed il mare qui agli “Scogli”, è sempre lo stesso, ma il Rione, la piazza e le spiagge sono cambiati profondamente nel tempo.

 

 

Piazza Gagliardo - 1886 - Impostazione della chiglia del Brigantino a Palo “Nemesi”

 

Notare sulla destra le “case Raffo” costruite nel 1815. Ben dieci di questi edifici furono distrutti dalle mareggiate tra il 1821 e il 1913. Sulla sinistra l’edificio dove era ubicata la trattoria di Pastorino Tacchetti demolita anch’essa, questa volta dall’uomo, negli anni ‘70 per far posto all’attuale costruzione del cantiere navale

 

 

Un tempo la piazza, che era parte integrante dei Cantieri Navali Gotuzzo, come ricordava Franco “Mario” Tommasino, si popolava ogni giorno di maestri d’ascia e di serroi (segantini) che operavano il taglio del legname destinato alle chiglie ed al fasciame dei velieri che si costruivano nel cantiere. Grazie alla testimonianza di Tommasino e agli straordinari dipinti di Amedeo Devoto, definito da tanti un genio, ancorchè poco conosciuto, possiamo tracciare una fisionomia intatta e precisa di questo rione, un caso unico nella storia di Chiavari.

 

 

 

Piazza dei Pescatori -1909

 

Le case vecchie degli Scogli, cosi si presentavano nei primi anni del ‘900

 

Nel secolo scorso le famiglie erano poche e molto affiatate, spesso composte di numerosi individui e comunque non ricche. Alcuni emigravano nelle Americhe, altri sceglievano di navigare, altri ancora lavoravano nei cantieri, altri infine vivevano di pesca o facendo gli ortolani. Va osservato come spesso, qui in Liguria, il pescatore curava anche un piccolo orto, irrigato grazie a un pozzo con l’acqua attinta per mezzo dell’antica “sigheugna” (bilancino).

 

La gente viveva dalle finestre la vita del cantiere, sin dalla mattina, quando la sirena chiamava i dipendenti.

 

Allora l’aria si riempiva dei rumori del lavoro degli operai e dei calafati, dell’odore del legno tagliato e del catrame, finchè arrivava il giorno del varo del veliero. Era un giorno importante: dopo la benedizione impartita dal Parroco, tutti avevano appena il tempo di trasalire mentre scendeva in mare, per la prima volta, il frutto di tante fatiche.

 

 

 

Una visione panoramica di Piazza Gagliardo nel 1901.

 

 

Il veliero pronto al varo è il Guglielmo Augusta. Quello in costruzione è il Luisa, di 1648 Tonnellate di stazza, uno dei più grandi varati nel 1904 nel rione Scogli.

 

A quei tempi le case erano sprovviste dell’acqua corrente nè vi erano gli allacci del gas e dell’elettricità.

 

Le famiglie attingevano l’acqua dalla pompa all’angolo di Piazza Gagliardo dove si trovava una fontana pubblica, oppure, quando furono installati, i “treuggi” (lavatoi) nel lato ponente della piazza.

 

Tuttavia, quando il mare ingrossava, l’acqua assumeva uno sgradevole sapore di salmastro e per attingerne di potabile era necessario andare fino alla fonte che si trovava in fondo a corso Buenos Aires, vicino alla cava di pietra. Le case e le strade erano illuminate grazie a lampade a petrolio e solo nel 1925 la luce elettrica raggiunse la piazza. II gas arrivò solo nel 1936.

 

 

 

Le attività di un cantiere navale degli Scogli ai primi del ‘900

 

Sulla destra il progettista e costruttore navale Matteo Tappani, “u sciu Mattè” . Da sinistra si notano i “serroi” (segantini) che ricavano le tavole dai tronchi segandole a mano; si nota il “trincaballe”, carro speciale a due ruote per spostare grandi tronchi, e un maestro d’ascia che sagoma una ordinata.

 

 

 

 

La fontana pubblica o fontanella che era ubicata sotto un grande albero nell'angolo di Piazza Gagliardo, aveva una grande maniglia che azionata manualmente con un certo vigore, consentiva di tirare su l'acqua direttamente dal pozzo sottostante. Dopo che si smetteva di pompare l'acqua fuoriusciva ancora per un minuto o due ed inoltre, tappando l'erogazione con la mano l'acqua zampillava da un piccolo foro consentendo di bere più comodamente.

 

RIONE SCOGLI

COM’ERA E COME SI VIVEVA

Pannello

 

 

 

Antica Casa Gotuzzo sotto mareggiata

 

Siamo nel 1955, il mare ne aveva già lambito le fondamenta, poi per fortuna le imponenti difese degli anni '60 scongiurarono il pericolo di essere spazzata via. Ma dal 1821 al 1950 circa, ben 43 palazzi o caseggiati, lungo il litorale di Chiavari, furono abbattuti dalle incessanti mareggiate per il contemporaneo avanzare del mare

 

 

A volte le mareggiate più violente oltrepassavano l’Antica Casa Gotuzzo e il mare, non trovando ostacoli, invadeva la piazza e giungeva a lambire la ferrovia.“In quei giorni era quasi impossibile uscire di casa e bisognava arrangiarsi in tutto” racconta Franco Tommasino.

 

 

 

Piazza Gagliardo fine ‘800


 

Sulla destra le case Raffo. Corso Valparaiso a quel tempo si chiamava Via Olearia. Le case sul litorale verso il mare erano state costruite dagli armatori Raffo e Casaretto con i profitti realizzati per il commercio dell’olio di oliva per rifornire le fabbriche di sapone di Marsiglia e Savona. Per questo la chiamarono Via Olearia, quasi un ringraziamento a questo redditizio commercio.

 

La pesca era praticata in forme del tutto diverse da quelle attuali: le reti erano di dimensioni ridotte, in cotone, e venivano tinte periodicamente con il “tannino“ (colorante estratto dalla corteccia dei pini) per ragioni di mimetismo e per aumentarne la durata. Il calderone per tingere le reti era proprio nel mezzo della Piazza verso lo scalandrone, per varare le barche, che erano quasi esclusivamente gozzi o piccole barche da pesca. Il diporto era ancora di là a venire.

 

Erano le mani esperte dei pescatori e delle loro donne a riparare le reti: pochissimi ormai ricordano che pochi lustri fa, le reti venivano stese ad asciugare sul viale “Nuovo” cioè Corso Buenos Aires, in una lunga teoria che da via Argiroffo arrivava oltre le serre dei fiori della ditta Crovetto.

 

Le donne che cucivano le reti avevano l’occhio attento e, con la mano veloce, trattenevano e tendevano la rete con l’aiuto di un alluce e grazie ad una “navetta” di legno o di osso ne ricucivano gli strappi.

 

L’attività del pescatore era faticosa, senza orari, assai poco redditizia. Oltre a ciò, prestare soccorso a chi si trovava in difficoltà in mare era estremamente difficile e i punti di riferimento per la navigazione erano ottici: le cime dei monti, i campanili, i fari, le stelle. Quando la notte, approssimandosi un fortunale, il mare “entrava”, qualcuno correva sempre di porta in porta a svegliare tutti, si che la gente si affrettava sulla spiaggia per portare al riparo le barche che erano sulla battigia, cominciando da quelle più minacciate. Altre volte, sempre sotto le stelle, i pescatori giungevano a terra con le “manate” colme di pesci “immagliati” e questa era un’altra causa di risvegli improvvisi per il rione; nessuno però si faceva pregare per portare aiuto e liberare le reti dai pesci. A operazione finita il “Gin Gin Tirone“ ed il “Tacchetti” spedivano i ragazzi a comprare della focaccia calda che poi veniva distribuita a

 

tutti assieme al vino ed a un po’ di pesce fresco che il “Beppe Gambadilegno” si incaricava di cuocere sulla “ciappa”. II modo di lavarsi dei ragazzi era abbastanza spiccio: un tuffo in mare: poi, via! A scuola .... qualche volta ...

 

 

 

1870 - Scorcio dei Cantieri Navali Gotuzzo e di Corso Valparaiso

 

Già via Olearia (1815-1888) e poi via al Cantiere (1888-1938). Sulla destra le case Raffo.

 

 

 

1870 - Questa è la foto antica dalla quale Amedeo Devoto ha dipinto il quadro qui riprodotto. Notare nelle case Raffo che il primo magazzino ha già subito una iniziale demolizione da parte del mare. Notare altresì l’abbigliamento delle persone ritratte.

 

 

Pannello

 

RIONE SCOGLI

COM’ERA E COME SI VIVEVA

 

 

1880 - Retrospettiva del Rione Scogli nella parte di ponente.

 

Nei primi anni del ‘900 questi edifici furono tutti distrutti dalle mareggiate. Erano le cosidette “Case Canepa”. La colonia Fara, inaugurata nel 1938, fu edificata nell’area occupata dalle due case di sinistra dopo che, nel 1908 era stata deviata anche la ferrovia più a monte per via dell’avanzare del mare.

 

 

In questo piccolo mondo le porte di casa non erano mai chiuse a chiave, si che quando era necessario allontanarsi per le festività della Madonna delle Grazie, le chiavi, dimenticate in qualche cassetto, erano spesso introvabili.

 

La vita di questa piazza è stata talmente legata al mare che tutte le cose agli “Scogli” ne erano impregnate o ne portavano i segni: gli intonaci delle case, di colori così solari, ma che non duravano mai troppo a lungo, i gradini rialzati delle porte, le barche con le scalmiere consumate e i paglioli opachi e stinti, gli scantinati che odoravano di antico e di acciughe sotto sale.

 

Sale che, sciolto in dose robusta nei pentoloni dove si bollivano i “bianchetti”, garantiva in modo semplice ma efficace la loro conservazione durante il trasporto fino ai mercati del Nord Italia; quello stesso sale che durante l’ultimo conflitto mondiale rappresentò per la gente di qui una piccola ricchezza da barattare

 

con il necessario, allora introvabile. “Scogli”.... Questa piazza offre ancora, ogni giorno, uno spettacolo indimenticabile: sono le sue luci, che cambiano con le stagioni e con l’ora del giorno, che trascorrono sui suoi tetti e sul suo selciato tessuto di arabeschi di porfido.

 

Ogni alba ed ogni tramonto dipingono negli occhi lo stesso stupore: quello di una cosa nuova, mai vista prima. E’ un tripudio di colori, una tavolozza che spazia dal violetto al rosso, al verde e al giallo o all’arancione ed ogni nube o fiocco di vapore “si tinge di incredibile“; e il mare riflette questi colori: li assorbe e se ne appropria per restituirli a chi guarda, più luminosi ancora, ricchi del suo baluginìo e del suo sfavillare, dell’oro e dell’argento, del suo incessante movimento.

 

Gli uomini e le donne di questo incantevole angolo del Tigullio erano gente semplice, ma solida, gente non comune. II mare, che colorava la pelle dell’uomo e ne scavava le rughe, donava loro, testimoni le fotografie, uno sguardo diverso, quasi surreale. In quegli sguardi si poteva leggere la libertà, la tenacia e l’onestà; la consapevolezza di ciò che è essenziale, e la fede salda e sincera di chi, da secoli viveva ai piedi di un Santuario: quello della Madonna dell’Olivo, sulla collina di Bacezza. Ora è cambiato tutto qui agli “Scogli”. Di questo cambiamento fa parte anche la struttura immobiliare dello Cantiere Navale dei Gotuzzo costruito nel 1908 e sostituito da quello attuale negli anni ‘70; ma il mare no, nei suoi movimenti è sempre lo stesso per fortuna, anche se le spiagge specie in estate, non sono più piene di barche di pescatori ma di ben altro. Così, abbiamo pensato valesse la pena di ricordare questo “mondo antico“ che non esiste più.

 

Ma l’inesorabile scandire del tempo che cambia e spesso stravolge tutto, fa parte della vita di ognuno di noi e, nostro malgrado, dobbiamo accettarlo, anche se, grazie ad Amedeo Devoto ed ai suoi dipinti, lo possiamo solo ricordare, con infinita nostalgia.

 

 

 

Piazza Gagliardo nel 1937 circa

 

Sono già sparite dieci delle 13 Case Raffo costruite nel 1815. Il mare risparmiò soltanto le treccostruzioni tra il Nelson Pub e il Bar 4 Archi. Pastorino Tacchetti a sinistra rigoverna la rete sotto la sua osteria. Sulla destra al centro l’Antica Casa Gotuzzo e l’attuale edificio del Ristorante Vecchio Borgo già “Copetin”.

 

 

 

1919 - Veduta dei Cantieri Navali Gotuzzo con 3 velieri in costruzione.

 

La goletta “Montalto” è pronta al varo. Notare sulla destra l’edificio del Cantiere Navale Gotuzzo con i portici ad arco ed il tetto di tegole rosse tipo “marsiglia”. La pratica per l'ampliamento e la costruzione del nuovo Cantiere Navale dei Gotuzzo cominciò il 20 settembre del 1857 terminando nei primi decenni del '900. Ci vollero pertanto oltre 50 anni di burocrazia per costruire il nuovo cantiere navale. Un capannone che nella sua semplicità si intonava perfettamente con le costruzioni della zona, conferendole un aspetto piacevole e di buon gusto.

 

 

1919 - Veduta dei Cantieri Navali Gotuzzo con 3 velieri in costruzione; un quarto è  pronto al varo ed è il Brigantino Goletta MONTALTO

 

1900/1945 - Piazza degli Scogli

 

Così come veniva chiamata da Franco “Mario” Tommasino che è anche il costruttore del plastico conservato nell'Antica Casa Gotuzzo. E' la topografia esatta di Piazza Gagliardo.

 

 

Bibliografia: “Chiavari Marinara dall’Epoca Eroica della Vela - Storia del Rione Scogli” edito nel 1993 (testo tratto da un articolo di Luca Gibelli).

 

I quadri e le fotografie riprodotte fanno parte della collezione privata di Ernani Andreatta. Amedeo Devoto (1935-2013) è l’autore dei dipinti riprodotti.

A cura del webmaster Carlo GATTI

Rapallo, 12 Agosto 2014