UN BELL'ARTICOLO RITROVATO - O Gôrfô di nescii - IL Mare–23 novembre 1929 

 

UN BELL'ARTICOLO RITROVATO

O Gôrfô di nescii 

IL Mare–23 novembre 1929 

 

Pezzi di Storia - 18 ottobre 2015     

 

La proverbiale ed equivoca antifrase (1)

Quando, non è molt'anni il Mare sciorinò quello stelloncino fluido, brioso e commemorativo dal titolo «Michelin ó Nescio» vi fu più d'un lettore di detto periodico marino, che spontaneamente esclamò: Siamo nella Capitale del Gôrfô di Nescii ed il  Mare ne ricorda uno, come se si trattasse di un caso raro e di un'avis-unica?
E giù una risata di buon sangue! coronata dall'eco degli uditori.

 

 

 

E la trovata quasi peregrina si propagava presto, divenendo lepido argomento di pubblico ciarliero dominio nelle brigate e nelle adunanze amichevoli tanto nell'alta casta come nel basso ceto. Sappiamo però che una volta saltò finalmente fuori uno, che - alla meraviglia di ignoranza figlia - quasi celiando rispondeva ad uno di cotali interlocutori: Sarà! ma io, che sono un giovane ed autentico rapallino, sospetto, che questa frase sia stata tirata fuori extra-Rapallum a modo di antifrasi assai significativa, volendosi cioè con tal motto darsi ad intendere, che la bocca dicea così ma che nella mente c'era tutt'altro concetto e portava in proposito qualche esempio: Caronte, secondo la mitologia greco-romana, portava le anime dei delinquenti al Tartaro cioè all'Inferno, e, secondo Dante, avea occhi di bragia, eppure il nome di Caronte voleva dire (dal verbo greco chairo) grazioso! Le Dive Parche, Cloto, Láchesi ed Atropo, che presiedevano alla vita degli uomini erano dette Parche cioè Perdonanti perché non la perdonavano a nessuno (la morte). I Razionalisti si dicono tali perché non ragionano, i Russi si chiamano Ortodossi cioè di religione dritta appunto perché sanno che invece l'è storta e così questo Golfo di Tigullia è stato chiamato tale perché in realtà gli abitanti sono troppo furbi!… 
Si può ammettere questa spiegazione oppure se ne deve dare un'altra?

 
Ecco ciò che togliamo noi a dimostrare.
Volgeva nella sua quarta decade il Secolo XIX p. p. ed un'eccitazione psicologica popolare cominciava ad accendersi in Italia con orizzonti, e miraggi, ansie e speranze, tendenze e spasimi di Rinascenza, di Indipendenza, di Libertà, di Nazionalità e di Romanesimo, in poche parole, di una futura vita novella. Le adunanze, i cortei, le acclamazioni erano diventate cerimonie di ogni giorno; sorgevano qua e là bande e filarmoniche, musiche, crocchi e processioni laiche che davano a quando a quando in rapsodie e canti popolari di questo tono:

 Sorgete Italiani

A vita novella

d'Alberto la Stella

Risplende nel ciel!

 Senonché l'esaltazione non si conteneva nei limiti dell'estrinsecazione di sensi, di voti e di anelazioni di progresso, di unità, e di indipendenza patriottica ma si evolvea in ben diverse maniere. Da per tutto si vedevano strade romane, si costumava coniare nomi di romana provenienza, si dettavano iscrizioni sopra battaglie avvenute tra le legioni romane e le liguri popolazioni famigliarizzate con le alture dell'Apennino, si denominavano località, ponti, e campi da Gneo, da Pompeiano, da Annibale, da Marte, da Ermete ecc. e si apponevano lapidi commemorative in proposito di tanti sognati avvenimenti; si indossavano marsine verdi, coccarde tricolori e persino venditori con angurie o cocomeri (pateche) verdi, tavolo bianco e carta bianca per fasciarla bene. Sembrava un'epoca di concordia nazionale per un'aspirazione di un interesse comune: la Patria.

 

 


Eppure il vecchio regionalismo italiano, che durò tanti secoli non volle dimostrare di essere cenere o resto di sepoltura, perché una pioggia di nomignoli, e
di titoli disprezzativi si diffondeva tra una provincia e l'altra, non so se per accendersi meglio di emulazione e di entusiasmo l'una con l'altra, o per censurare la sociale condotta di disunione politica ed amministrativa tenuta fino allora da esse davanti agli stranieri che si servivano del frazionamento italiano per discendere spesso tra di noi… ad ungere le nordiche basette! 

Di fatti i Comachi erano definiti per altrettanti Cipollati o Cigolati, i Pistoiesi per pattonai, i Pratesi per ranocchïai, i Fiorentini per Mangia-fagiuoli, i Milanesi per buseconi o trippai. I Pisani a lor volta riesumavano i nomignoli del sec. XIII di scopa-boca o stoppabocca ai Genovesi ed a quei di Portovenere, di streppa borsello ai Lucchesi ecc. Dalle città il dispregiativo passava ai borghi ed ai villaggi ed ecco i cigolli, i belât, i meizanne pinne, i sueli, i gli erbo-de gabba, i putaê, côppaî, tegoin, fiori de succa, axi, baggi, ecc. ecc. Ai nomignoli vezzegiativi succedevano poi le frasi grottesche v. g. Zeneise riso raëo! (sulla bocca marinaresca del Genovese il riso o sorriso è raro), Piemonteise R… corteise; ladri de Pisa e tra queste quelle la citata antifrasi ô Gorfô di Nescii per indicare il Golfo del Tigullio, specialmente da Portofino a Zoagli.


In quel tempo scorrevano ancora i mari per i viaggi di cabotaggio, Maremme, Civitavecchia, Corsica, Sardegna, Sicilia ecc. navi di costruzione non progredita benché cominciasse già – la febbre delle macchine – e si erigesse già qualche cantiere navale di importanza sulle Liguri spiaggie per la costruzione in legno tipo moderno.


Or bene avveniva di sovente, che tra i capitani di secondo corso alcuni più audaci e forti, giunti dinnanzi a Rapallo ed a S. Margherita, nell'infuriar del libeccio
affrontavano il capo di Portofino e continuavano per alla volta di Genova, mentre altri invece più pavidi e più cauti dicevano: un giorno più un giorno meno torna lo stesso…! e in così dire atterravano a S. Margherita ed a Portofino, poco curanti dei rimbrotti della consorte o degli amici, o dei motteggi di qualche ozioso scaldacalate del porto di Genova. 


Arrivando i primi (cioè i più coraggiosi) a Genova nelle ore vespertine o sul cadere del giorno erano salutati da ovazioni intronanti dagli aspettatori.

Bravi! Bravi'! Pensavamo, di non vedervi ancora oggi… avevamo paura che… temevamo che il mare agitato così vi potesse arrestare… Bravi! Voi… che siete uomini coraggiosi… e valorosi capitani…! 

 

Per contro certe donne e molti figli, non vedendo comparire le barche dei loro aspettati, facevan ressa attorno agli arrivati e li tempestavano di domande: e la barca N. e la scônnia F. e la tartana M. e il cutter G… dove sono? Ah! essi, rispondevano gli interpellati, sono stati più furbi di noi… si sono fermati per via ed arriveranno forse domani… 


Ah! Ah! Abbiam capito tutto! Zà! Zà! si saran fermati al solito
 in tó Gôrfô di Nescii (cioè dove per paura approdano tutti i paurosi, i timidi, gli inesperti) e così tartagliando se ne tornavano dolenti e quasi disillusi alle bicocche loro.


Ecco la spiegazione ovvia, facile, naturalissima dell'antifrase 
«ô Gôrfô di Nescii» fra le varie puerili e insignificanti soluzioni che ci pervennero all'orecchio. 

Nescii (1)

  • sarebbero quindi, per equivoco, gli estranei al Golfo, perché timidi profittano nell'occasione di temibile procella o di eccessivo ondeggiamento dello specchio acqueo del mare genovese e cercano volentieri riparo nel porticciuolo di Portofino o di S.ta Margherita per una breve precaria sosta. E' dunque un'antifrase, che in sostanza vuole significare il contrario, cioè che ha una contraria relazione con ciò che letteralmente prova la pronunciata voce.

  • Eppoi coloro che per una prudenza forse eccessiva atterravano a S. Margherita od a Portofino erano davvero nescii o davvero asperti? E' questo un problema nautico, che suole essere deciso dagli effetti del dopo e non prima.

Basti ricordare

  1. che la storia del Golfo Tigullio fa i nomi di valenti capitani di lungo corso, di Ammiragli di flotte abbastanza celebrati, e persino di qualche Pontefice, che amarono mettersi al sicuro nel Golfo dei Nescii a Portofino ed a S. Margherita che andare incontro por un viaggio pericoloso ed una probabile disfatta nelle scogliere della Riviera.

  • che una sfuriata straordinaria di libeccio fece rientrare di un metro per la lunghezza di circa 50 metri un pezzo dell'avambraccio colossale del nuovo molo della Lanterna di Genova nel 1898; sollevò dal fondo del mare gli adiacenti blocchi di 30 tonnellate l'uno, mandando con un urto terribile dei marosi, colonne furenti di acqua fino a 60 ed a 100 metri di altezza. Il mondo marino sarà stato sempre lo stesso anche nel tempo che ricordiamo, con la sua alea capricciosa di bonaccia e di tempeste.

 

Per conseguenza il facile sarcasmo era di sua natura individuale e non sociale cioè non localizzato al paese benigno, che accoglieva i più prudenti ed i meno audaci.
Il Golfo Tigullio non fu ad altri secondo nel dare figli e lupi di mare, capitani e nocchieri esperti e profondi in nautica cultura ed in pratica di viaggi di cabotaggio e di lungo corso da sentirsi meritevoli di tale dispregiativo.

Non rievochiamo i fasti storici navigatorii dei capitani, piloti, padroni ed armatori di navi e di triremi ai lettori, che ne sanno più di noi.


Come nacque il dubbio della antifrase? 
Nel pullulare di varie interpretazioni puerili, cervellotiche e gratuite di tale proverbio rivierasco, tra le quali una lo originerebbe dai pesci, che nello specchio acqueo di Rapallo si lasciano prendere all'amo più che in altri seni di spiaggia!! (in tal caso i pesci e non gli abitanti sarebbero i veri nescii!) e l'altra che nel Golfo Tigullio spesseggiano troppo i mentecatti, e la terza che il clima è debole e quasi effeminato, la quarta che è una zona quasi morta alla vita commerciale ecc. ci voleva un fatterello, che mettesse sulle orme di un senso di interpretazione più oggettivo imparziale, ermeneutico della tradizione e della storia e venne davvero nel pomeriggio del 24 aprile del 1926.


Il piroscafo 
Menfi partito da Tripoli (toccate Tunisi, Cagliari, Civitavecchia ed in ultimo il porto di Livorno) arrivava dinnanzi il Tigullio, verso le ore 17. Uno infuriamento di scirocco facea ondeggiare bruscamente il mare… sì che non pochi viaggiatori e viaggiatrici temevano, che quel ferravecchio di piroscafo fra il rullìo ed il beccheggio, che più volte ci fece dondolando provare… ci rinnovasse qualche quarticello d'ora penoso. Ne fu interpellato il Comandante il quale, additandoci il capo di Portofino, ne disse: Attendano Signori un pochino, ché, oltrepassata quella punta, vedranno la calma! E perché? Ah! perché Portofino è un riparo per le sfuriate di libeccio, ma per contro è un Alt! contro le ondate di scirocco proteggendo la Riviera di Genova da Camogli a Capo di Faro.


Fu allora, che per una logica induttiva e semplice intendemmo chiaramente, che i Nescii del proverbio così balbettato da persone ignare (dell'origine di detto nomeaggio, di pratica e di teoria nautica e di patrie tradizioni) erano troppo asperti ricorrendo al riparo sicuro contro l'ira perversa del garbino o libeccio, che sfuria sovente tra ponente e mezzogiorno e sotto il nome portoghese di Monçào, e spagnuolo di Monzondomina nei mari delle Indie e propriamente il vento che soffia a sud-ovest.

 

(1) Figura retorica che consiste nell'esprimersi con termini di significato opposto a ciò che si pensa, o per ironia o per eufemismo 

 

COMMENTO di Carlo GATTI

 Il Golfo dei Nescì

Un’Antifrase Piena di Storia e Ironia

 

 

Una precisazione è d’obbligo!

In questo commento all’articolo del MARE, ripreso dalla Gazzetta di Santa, con il termine “rapallini” mi riferisco ai cittadini e marinai costieri che nulla hanno a che fare con i marittimi rapallini naviganti sui velieri d’altura dell’800 che furono superbi ATTORI, perfettamente inseriti in quella grandiosa storia conosciuta come EPOPEA DELLA VELA al pari, per capacità e valore, dei loro contemporanei colleghi di Zoagli, Camogli e Chiavari.

E’ quindi utile qui ricordare che Rapallo ebbe una delle prime Scuole Nautiche d’Italia ed un Cantiere Navale, (oltre ai tantissimi minori a carattere famigliare), che varò Brigantini Oceanici.

L'articolo del 23 novembre 1929 della rivista Il Mare di cui non si riporta l’autore, esplora con acume e ironia il noto soprannome "Golfo dei Nescì". Questo termine, derivante da "nesci", ovvero "senza sale", evoca non solo un senso di scemenza, ma riflette anche la storica rivalità tra le comunità marinare del Golfo di Tigullio. Il goliardico gioco di parole si è trasformato nel tempo in un simbolo di astuzia e furbizia locale, tanto che la sua diffusione era palpabile in ogni angolo del golfo, avvolgendo chiunque vi fosse immerso in un'atmosfera di ironia condivisa.

Ricordiamo come il contesto storico del 1929 fosse intriso di fervore patriottico, dato il panorama politico e sociale italiano.

L’articolo fa riferimento a un periodo in cui le antiche rivalità regionali si mescolavano a un rinnovato senso di identità nazionale. In questo gioco di parole e metafore, l'audacia dei marinai che sfidavano il mare tempestoso si contrapponeva alla prudenza di quelli che cercavano rifugio nei porti sicuri di Portofino,  Santa Margherita e Rapallo.

L'ironico richiamo agli "autentici rapallini", che consideravano il termine un'ironia degli estranei, evidenzia il costante gioco tra coraggio e paura che trascende il tempo e lo spazio. Queste delicate dinamiche tra marineria e geografia si riflettono in una serie di storie, aneddoti e nomignoli che, attraverso i secoli, hanno contribuito a costruire l’identità del Golfo.

La metafora dell’antifrase viene ripresa efficacemente in un contesto più ampio: l’idea che la stessa furberia che viene ridicolizzata possa in realtà essere una virtù, un'abilità necessaria per sopravvivere non solo in mare, ma anche nel tessuto sociale di una comunità che si evolve.

 

ASTUZIA E MARINERIA

La splendida foto sotto rispecchia l’Astuzia ed il senso marinaresco di chi sa andare per mare!

 

PORTOFINO - Tra le due “carrette” gemelle dello stesso armatore, in un romantico quadretto centrale, appare un leudo, tra una Scuna (brigantino goletta) a sinistra. ed una Goletta a destra.

 

Il Golfo, quindi, non è solo un luogo di rifugio, ma un crogiolo di storie di audacia, ingegno e, a volte, di una certa ironica follia.

Il “Golfo dei Nescì” non è solo il risultato di un gioco di parole, ma un simbolo della ricca tradizione marinara e culturale che abbraccia l’essenza del Tigullio. La sua narrativa è un invito a riflettere su come le parole, con la loro storia e il loro peso, possano esprimere verità più profonde sulla vita e sulla comunità.

La Fortuna dei Rapallini: Naviganti in un Golfo Protetto nel panorama marittimo della Liguria.

 

Rapallo emerge come una perla, ben riparata dal temuto vento di Libeccio grazie al promontorio di Portofino che salendo sino a 600 mt s.l.m. la ripara anche dal vento di Maestrale. Questo vantaggio geografico ha permesso ai rapallini di diventare i fortunati custodi di un microclima favorevole, che li differenzia nettamente dagli abitanti delle altre località esposte alle vessazioni del mare.

Secondo antiche NESCE credenze, i rapallini sono considerati i "meno marinai" dell’arco ligure per il contesto che si sono trovati a vivere. La protezione offerta dal promontorio di Portofino non solo garantisce riparo, ma ha anche contribuito a generare una cultura che, sebbene affondando le radici nel mare, ha saputo svilupparsi in modo diverso rispetto ai loro vicini più esposti. Essere meno marinai non significa essere meno capaci; anzi, implica una saggezza maturata nella comprensione delle dinamiche del mare e dei suoi capricci. Gli antichi rapallini, con il loro testimoniato spirito di naviganti d’altura, hanno imparato a valorizzare ciò che il mare offre, senza esserne schiacciati. Questa adattabilità ha creato una comunità resiliente, che sa convivere con le sfide del mare e della vita.

Nel contesto attuale, questa riflessione diventa emblematicamente significativa, poiché ci ricorda l’importanza di riconoscere e apprezzare le peculiarità culturali e ambientali di ogni luogo. Oggi i rapallini, con la loro fortuna e il loro ingegno, hanno forgiato un'identità che celebra la relazione tra uomo e mare, facendo di Rapallo non solo un porto sicuro, ma anche un simbolo di astuzia e armonia.

 

 

QUANDO IL LIBECCIO NON FA SCONTI A NESSUNO…

 

UN CICLONE DA LIBECCIO DEVASTÒ IL PORTO DI GENOVA (19.2.1955)

 Frantumò oltre 400 metri di diga, irruppe nello scalo genovese e fece strage di moli e di  navi.

 (Dalla Relazione sui Pilotaggi effettuati nel Porto di Genova durante il Ciclone del 19 febbraio 1955).

https://www.marenostrumrapallo.it/ciclone/

di Carlo GATTI

 

 

IL DRAMMA DELLA  LONDON VALOUR IN TRE PUNTATE

 1a

IL GIORNO DEL DIAVOLO

https://www.marenostrumrapallo.it/il-giorno-del-diavolo/

 di Carlo GATTI

 2a

"LONDON VALOUR"

GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE …

 

https://www.marenostrumrapallo.it/lbeccio-vento-di-eroi-e-di-morte/

di Carlo Gatti

 

3a

“LONDON VALOUR”

LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE

https://www.marenostrumrapallo.it/london-valour-la-nave-che-affondo-due-volte/

di Carlo Gatti

 

 

 

 

Carlo GATTI 

Rapallo, Giovedi 5 Dicembre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PETROLIERA ERIKA - CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

 

PETROLIERA ERIKA 

CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

 

 

L’ERIKA è stata una petroliera monoscafo battente bandiera (di comodo) maltese noleggiata dalla TOTAL e naufragata il 12 dicembre 1999 nel Golfo di Biscaglia al largo di Penmarch, in Bretagna. 


L’ERIKA fu costruita nel 1975 in Giappone dai cantieri Kasado-Docks Ltd. di Kudamatsu codice scafo n° 2841. Originariamente chiamata Shinsei Maru, era la seconda di una classe di otto navi identiche costruite tra il 1974n e il 1976. Lunga 184 metri e suddivisa in 14 tanche, l’Erika era concepita come vettore versatile di prodotti petroliferi (grezzo e raffinato). Si componeva di tredici cisterne, di due linee di manutenzione e due cisterne di decantazione (ovvero cisterne adibite alla raccolta di residui oleosi, slop-tank). Era classificabile come "pre-MARPOL", essendo dotata di scafo semplice e non disponendo di cisterne di zavorra separata. La sua portata lorda era di 37.283 tonnellate, aveva un  pescaggio di 11 m. ed era alimentata da un motore di 13.200 CV  nella parte poppiera che le permetteva una velocità di 15 nodi. Il suo equipaggio  era composto da 26 persone.

Durante la sua carriera ha modificato otto volte nome e armatore, tre volte bandiera,  tre volte Società di Classificazione, e quattro volte gestore nautico. 

Tipo

petroliera

Proprietà

Tevere Shipping Co. Ltd.

Registro navale

RINA

Porto di registrazione

Valletta, (Malta)

 

Costruttori

Kasado-Docks Ltd.

Cantiere

Kudamatsu (Giappone)

Varo

1975

Radiazione

1999

Destino finale

naufragata il 12 dicembre 1999 al largo della Bretagna

Caratteristiche generali

Stazza lorda

37,283 DWT

Lunghezza

184,03 mt

Larghezza

28,05 mt

Pescaggio

11,027 mt

Propulsione

Un motore Diesel Sultzer con potenza di 13.200 CV, una elica

Velocità

15,2 nodi

Capacità di carico

37.283  (tpl)

Equipaggio

26 persone

 

 

 

YouTube

IL NAUFRAGIO DELLA PETROLIERA

ERIKA

https://www.youtube.com/watch?v=Tr42-A6nG9Q

53 minuti

 

- Il filmato a colori che vi propongo offre una suspense e una drammaticità rare. Le condizioni meteo del golfo di Biscaglia erano pessime, e risultavano addirittura proibitive per una nave che non possedeva più i requisiti necessari per affrontarle in sicurezza. Questa è la mia riflessione sul tragico accaduto.

- Il filmato inizia con diapositive didattiche e animazioni che facilitano la comprensione delle cause del disastro, evidenziando flessioni eccessive dello scafo sollecitato dal moto ondoso.

- Successivamente, attraverso immagini simulate di bordo, assistiamo alla coraggiosa ispezione dell'equipaggio, che segnala al Comandante numerose spaccature nello scafo. Da quel momento, dal ponte di comando scatta la richiesta di soccorso al porto francese più vicino.

- La seconda parte è dedicata alla difficile operazione di salvataggio fattibile grazie a un elicottero, che riesce a recuperare tutto l’equipaggio. Purtroppo, i tentativi dei potenti rimorchiatori di agganciare la poppa della nave spezzata in due tronconi si rivelano vani, con la restante parte prodiera della ERIKA già affondata.

- Nella parte finale, viene mostrato l'immane disastro ecologico che ha colpito le coste di ben quattro dipartimenti francesi. Le immagini e i dati proiettati dal filmato ci lasciano senza parole.

 

- A questo punto il nostro pensiero va all’affondamento della super petroliera HAVEN avvenuto l’11 aprile 1991 nel tratto di mare davanti Arenzano (Genova). Cinque furono le vittime dell’equipaggio, e si trattò del più grave disastro ecologico nel Mediterraneo. Bruciarono circa 90 000 tonnellate di petrolio greggio delle 144 000 presenti al momento dell'incidente oltre alle circa 1000 tonnellate di combustibile. Una parte del carico, stimato in una quantità compresa tra 10.000 e 50.000 tonnellate, (soprattutto le componenti più dense del greggio) è depositato tuttora negli alti fondali tra Genova e Savona. 

 

- Tra le due tragedie, HAVEN ed ERIKA, sono passati quasi 9 anni segnati da altre tragedie simili e da numerose chiacchiere sulla SICUREZZA della navigazione e delle coste, che però non trovano finanziatori. Eppure, tutti conoscono i costi elevatissimi della “linfa” che alimenta questo nostro folle mondo!

 

Lista dei maggiori disastri petroliferi

Nel seguito, ordinata a ritroso nel tempo per data di inizio, viene presentata una lista dei disastri petroliferi con una quantità di greggio disperso maggiore di 100 tonnellate. 

 

Disastri petrolifero/petroliera

                 Luogo

                Data.

        Tonnellate                di greggio

Disastro di Noril'sk

Russia

2020

21000

Disastro petrolifero di Santa Barbara

Santa Barbara, Stati Uniti

21 maggio 2015

Disastro petrolifero di Tauranga del 2011

Tauranga, Nuova Zelanda

5 ottobre 2011 

340

Piattaforma petrolifera Gannet Alpha

a 180 km da Aberdeen, Scozia

10 agosto 2011 

200

Disastro petrolifero del fiume Yellowstone del 2011

(Compagnia "Exxon Mobile", già responsabile del disastro Exxon-Valdez)

Fiume Yellowstone, Billings, Stati Uniti

4 luglio 2011

135 (>[9]

Collisione tra MSN Chitra e MV Khalijia 3

al largo di Mumbai, India 

7 agosto 2010

> 50

Dalian (2 oleodotti)

Porto mercantile di Dalian, Cina

16 luglio 2010

1.500

Collisione tra Bunga Kelana 3 (nave cisterna) e Mt Waily (nave cargo)

al largo di Singapore, Malaysia

24 maggio 2010

2.000

Disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon

Golfo del Messico, Louisiana

20 aprile 2010

414.000–1.186.000

Naufragio nave cargo cinese Sheng Neng sulla barriera corallina

Great Keppel Island, Australia

4 aprile 2010

950 (Ne è fuoriuscita solo una parte)

Disastro petrolifero della West Cork

Costa meridionale dell'Irlanda

Febbraio 2009 

300

Disastro petrolifero del New Orleans

New Orleans, Louisiana, Stati Uniti d'America

28 luglio 2008

8.800

Disastro petrolifero di Statfjord

Mare norvegese, Norvegia

12 dicembre 2007 

4.000

Disastro petrolifero di Hebei Spirit

Mare Giallo, Corea del sud

7 dicembre 2007

Disastro petrolifero dello stretto di Kerč

Stretto di Kerč, Ucraina e Russia

11 novembre 2007 

1.000

Disastro petrolifero del 2007 della Baia di San Francisco

San Francisco

7 novembre 2007

188

Disastro petrolifero di Guimaras

Filippine

11 agosto  2006

Disastro petrolifero della centrale di Jiyeh

Libano

14 luglio 15 luglio 2006 

20.000–30.000

Raffineria di Citgo

Lago Charles

19 giugno 2006 

6.500

Prudhoe Bay

Alaska North Slope

2 marzo 2006

866

MV Selendang Ayu

Isola di Unalaska, Alaska

8 dicembre 2004

Athos 1

Fiume Delaware, USA

26 novembre 2004

860

Tasman Spirit

Karachi, Pakistan

28 luglio 2003

28.000–30.000

Bouchard No. 120

Buzzards Bay (Massachusetts)

27 aprile 2003 

320

da Wikipedia - Tre anni dopo

La M/C Prestige

Petroliera Monoscafo 

 42.820 tonn. di p.lorda  e battente bandiera delle Bahamas.  Varata nel 1975 e di proprietà della compagnia Mare Shipping, la nave naufragò il 19 novembre 2002  al largo delle coste spagnole con un carico di 77 000 tonnellate di petroio, provocando un'immensa macchia nera che colpì la vasta zona compresa tra il nord del Portogallo fino alle Landes, in Francia,  e causando un disastro ambientale alla costa galiziana, episodio che viene ricordato come il più grande disastro ambientale della Spagna.

13 novembre 2002

63.000

 

Riportiamo dal POST

Mercoledì 26 settembre 2012

 

Le condanne per il naufragio della petroliera ERIKA

 

 

La Corte di Cassazione di Parigi ha confermato che la compagnia petrolifera Total è responsabile del più grande disastro ambientale mai avvenuto sulle coste francesi.

 

La Corte di Cassazione francese ha confermato ieri tutte le condanne per il naufragio della petroliera Erika, comprese quelle che ritenevano la compagnia petrolifera Total (una delle prime quattro al mondo) responsabile del disastro ambientale avvenuto il 12 dicembre 1999 al largo della Bretagna. La Corte ha anche stabilito un’ulteriore responsabilità per la Total che la corte di appello di Parigi, nel 2010, aveva invece escluso a causa di una convenzione internazionale: la compagnia che ha noleggiato la petroliera ha anche commesso un reato di imperizia perché consapevole che la nave era vecchia – aveva 25 anni – e che i lavori di manutenzione erano stati eseguiti per ridurre al massimo i costi.

Total dovrà dunque partecipare al risarcimento sul piano civile dei danni causati e pagare una multa pari a 375 mila euro: si tratta di una decisione soprattutto simbolica, ma comunque importante. Sono state confermate anche le condanne all’armatore italiano Giuseppe Savarese (proprietario della petroliera), al gestore Antonio Pollara e alla società Rina che aveva rilasciato il certificato di navigazione. 

Complessivamente Total, Rina e gli armatori dovranno versare alle parti civili (lo Stato francese, un certo numero di istituzioni locali, regionali, comunali e alcune associazioni ambientaliste) 200 milioni e 600 mila euro di danni.

Nel dicembre del 1999, la petroliera Erika, battente bandiera maltese, si era spezzata in due al largo della Bretagna a seguito di una tempesta: trasportava circa ventimila tonnellate di petrolio che si dispersero in mare, uccisero 150 mila uccelli, contaminarono circa 400 chilometri di costa ed ebbero pesanti conseguenze per l’economia degli abitanti della costa atlantica.

Con questo processo per la prima volta nel diritto francese è stato stabilito il diritto all’indennizzo per le vittime di un disastro ambientale. Gli avvocati della compagnia petrolifera, prima di ieri, speravano di cambiare il verdetto avendo chiesto l’annullamento del procedimento per difetto di procedura. La loro richiesta si basava sul fatto che Erika, di proprietà italiana, al momento del naufragio si trovava fuori dalle acque francesi e batteva bandiera maltese. Speravano dunque di limitare l’applicabilità della giurisprudenza francese e sostenevano che in caso contrario ogni decisione sarebbe stata contro le convenzioni internazionali che prevedono invece che la responsabilità degli incidenti sia dei proprietari delle navi e non delle compagnie che le noleggiano. La loro interpretazione è stata però respinta dalla Corte.

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

Una veduta aerea della petroliera Erika che affonda, 13 dicembre 1999 (AP Photo/Marine Nationale/French Navy, File)

 

 

Alcuni membri dell’equipaggio della petroliera Erika evacuano la nave a bordo di una scialuppa di salvataggio dopo il naufragio (AP Photo/Marine Nationale)

 

 

Una veduta della petroliera Erika che affonda, 12 dicembre 1999 (AP Photo/Marine Nationale)

 

Una macchia di petrolio nel luogo dove è affondata la petroliera Erika, 15 dicembre 1999 (VALERY HACHE/AFP/GettyImages

 

Una nave della marina francese dotata di pompe si avvicina a chiazza di petrolio fuoriuscita dal naufragio dell’Erika, 16 maggio 1999 (AP Photo/David Ademas,POOL)

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/Ouest-France, Marc

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio, 29 dicembre 1999 (AP

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/Ouest-France, Marc Roger)

 

Una foto scattata il 4 gennaio 2000 sull’isola di Noirmoutier mostra un uccello coperto di olio a causa del naufragio della petroliera Erika (MARCEL MOCHET/AFP/GettyImages)

 

Alcuni volontari al lavoro sulla spiaggia dopo il naufragio (AP Photo/ Bob Edme)

 

 

   LA SVOLTA

DOPPIO SCAFO PER LE PETROLIERE

 

 

Doppio scafo, dal 2015 obbligatorio per tutte le petroliere

 

Doppio scafo, entrerà in vigore il prossimo 20 luglio 2012 il regolamento 13 giugno 2012, n. 530/2012/Ue sull'introduzione obbligatoria di petroliere a doppio scafo, che abroga e sostituisce il regolamento 417/2002/Ce.3 lug 2012

Il testo prevede il divieto di circolazione delle petroliere monoscafo allo scopo di prevenire l’inquinamento causato da petrolio così come previsto nella Convenzione Marpol 73/78 di cui il regolamento è attuazione, ed è una rifusione del regolamento 417/2002. Unica novità del nuovo testo è il potere attribuito alla Commissione di adottare atti delegati (ex articolo 290 del Trattato di Lisbona) per adattarlo alle modifiche della Convenzione e purché non amplino l'ambito di applicazione del regolamento.

Ai sensi del regolamento (articolo 7) il termino ultimo per la circolazione delle petroliere con solo doppio fondo scatterà nel 2015, il giorno dell'anniversario della data di consegna della nave.

 

Nel 1992 è stata varata l'ISOLA BLU, (foto sopra) la prima nave a doppio scafo Armatore Barbaro, costruita in Italia dalla Petrotank JV, società nata dalla collaborazione con F.lli D'Amico, Rosina, Ferruzzi e Almare. Il socio John Gatti seguì la costruzione (Ancona) e in seguito ne prese il Comando.

 

 

       Carlo GATTI

         Rapallo, 25 Ottobre 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Piroscafo BARON GAUTSCH - Un naufragio che si poteva evitare

 

 BARON GAUTSCH

Un naufragio che si poteva evitare

 

Fu definito: IL RELITTO PIU' FAMOSO DELL'ADRIATICO

 

Il 28 giugno 1914 - a Sarajevo, l'arciduca Francesco Ferdinando, erede del trono di Austria e Ungheria, fu ucciso con la moglie da un serbo. Questo avvenimento fece esplodere le tensioni internazionali e l'Austria dichiarò guerra al Regno di Serbia determinando l'irrimediabile acuirsi della crisi e la progressiva mobilitazione delle potenze europee per il gioco delle alleanze tra i vari stati.

Il 27 Luglio 1914 - le Autorità militari austriache, per far fronte al trasporto di truppe e merci, requisirono molte imbarcazioni tra cui il piroscafo passeggeri BARON GAUTSCH.

 

Il 9 Agosto 1914 - Il BARON GAUTSCH, dopo un breve periodo di navigazione militarizzata, ricevette l’ordine di riprendere i suoi viaggi di linea regolari in Adriatico, ma con equipaggio civile.

 

 

 

Il piroscafo BARON GAUTSCH ormeggiato al Molo San Carlo di Trieste

 

 

Il "Baron Gautsch" era una delle navi passeggeri più moderne del Lloyd Austriaco, con il suo scafo in acciaio.

  • Varata nel 1908 nel cantiere Gourlay Brothers & Company di Dundee in Scozia

  • lunghezza 84,55 m.

  • larghezza 11,6 m.

  • altezza 7,5 m.

  • stazza lorda  2069 tonnellate

  • stazza netta (861)

  • quattro caldaie a tre forni per ognuna

  • equipaggio 64 membri

  • trecento passeggeri

Era dedicato al barone Paolo de Gautsch de Frankerrthurm, presidente del governo e del CONSIGLIO IMPERIALE del Parlamento di Vienna alla fine del XIX secolo.

 

 

IL DRAMMA

Come accennato sopra, terminata la sua breve attività come nave militarizzata austriaca, il piroscafo Baron Gautsch sbarcò il comandante della Marina Militare Austriaca e lo sostituì con il comandante triestino Paolo Winter della Marina Mercantile per riprendere la sua abituale attività come nave passeggeri di linea scalando i porti: Trieste, Pola, Lussinpiccolo/Lussingrande, Zara, Spalato, Lesina, Gravosa, Castelnuovo e Cattaro.

 

Una bella immagine satellitare delle riparatissime Bocche di Cattaro

 

Le Bocche di Cattaro, sono costituite da ampi valloni fra loro collegati che si inseriscono profondamente nell'entroterra come fiordi. Prendono il nome dalla città di Cattaro.

Caratterizzate da profondi bacini perfettamente riparati dal mare aperto, le bocche di Cattaro costituiscono uno dei migliori porti naturali del Mar Mediterraneo. Grazie a questa caratteristica, unitamente alla facile difendibilità, furono un importante punto strategico illirico, greco e quindi romano e bizantino. Per tre secoli la Repubblica di Venezia e poi l’Impero austro-ungarico hanno costituito una munitissima quanto inespugnata base navale militare.

 

 

Cattaro era il capoluogo dell’Albania Veneta considerata dal punto di vista strategico un punto importantissimo per il controllo dell'Adriatico e per contrastare l'espansione ottomana. 

 

 

Il piroscafo BARON GAUTSCH lasciò le Bocche di Cattaro (Montenegro) il pomeriggio del 12 Agosto 1914 ed era atteso a Trieste dopo circa 23 ore di navigazione.

Il 13 agosto del 1914, salpò dal piccolo porto di Lussingrande, Veli Lošinj in croato, per raggiungere Trieste con 300 persone a bordo, tra equipaggio e passeggeri.

“Vedendo il grande piroscafo lungo oltre 85 metri che si dirigeva verso la zona minata, l’equipaggio del posamine Basilisk lanciò prontamente l’allarme, ma tanto i marinai quanto i passeggeri a bordo del Baron Gautsch interpretarono questi segnali come un caloroso benvenuto”.

 

 

 

Rovigno

 

Giunto a 9 miglia al largo di Rovigno (Istria) il comandante Paolo Winter, evidentemente ignaro dell’insidiosa presenza di campi minati austriaci sulla sua rotta, andò inesorabilmente incontro al peggiore naufragio che possa accadere: colare a picco in brevissimo tempo senza avere la minima possibilità di organizzare una, seppur improvvisata, operazione di salvataggio d’emergenza.

Tutto questo successe: Alle 15.45, il piroscafo cozzò contro una mina e, in pochissimi minuti, affondò trascinando con sé 130 passeggeri, molti dei quali donne e bambini”.

I passeggeri imbarcati erano stimati intorno ai 310-350, i superstiti furono 190, i morti circa 130, ma furono rinvenuti non più di 30 corpi. I sopravvissuti furono condotti a Pola e ricoverati; il primo gruppo di naufraghi giunse in porto a Trieste la sera del 14 agosto a bordo del piroscafo “Adriana” della Società Istria-Trieste.

Col senno di poi, qualcuno avrà certamente ipotizzato che sarebbe stato più prudente affiancare i due Comandanti (militare e civile) per alcuni viaggi di addestramento e conoscenza degli ordigni posizionati in quelle acque dalla stessa Marina Austriaca.

 

Dal sito Atlante Guerra riportiamo:

L’affondamento ebbe pesanti strascichi giudiziari. Il capitano Winter, che si salvò su una scialuppa, fu accusato di codardia assieme a molti marinai che avrebbero pensato più a salvare sé stessi che a soccorrere i civili a bordo. In realtà, la maggior parte delle scialuppe non riuscì neppure ad essere calata in acqua per la cattiva manutenzione. Cattiva manutenzione che, secondo la difesa, andava imputata alla passata gestione da parte della Marina Militare.

Ma la vicenda più incredibile riguarda i giubbotti salvagente che avrebbero potuto salvare decine e decine di vite, e che era stati chiusi a chiave nei cassetti. Il comandante si giustificò spiegando che la decisione si era resa necessaria perché i passeggeri di terza classe li rubavano per usarli come cuscini. Alla fine del processo, gli ufficiali furono tutti assolti e nessuno di loro ebbe la minima ripercussione sulla carriera. 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Piroscafo 

BARON GAUTSCH

 

 

 

 

 

 

Il relitto del "Baron Gautsch", che fu scoperto all’inizio degli anni ’50, è giustamente considerato il più bello di tutto l’Adriatico. Si trova ad Ovest dell’arcipelago di Brioni in Croazia, a circa 6 miglia a Sud-Ovest del faro di San Giovanni in Pelago.

Lo scafo della nave è ancora in buono stato di conservazione e giace in assetto di navigazione, appoggiato su un fondale di sabbia e fango di circa 40 metri.

Sulla fiancata di sinistra del relitto c’è una grande falla circolare di circa due metri di diametro, che si trova proprio sulla linea di galleggiamento della nave, ed è il punto in cui avvenne l'urto con la mina.

Dei grandi saloni adornati in legno oggi è rimasta solamente la struttura esterna, mentre le superfici di alcuni ponti in legno sono ancora presenti, ma sono abbastanza pericolose perché possono crollare da un momento all’altro.

Sulla prua della nave si vedono bene il grosso argano salpa ancore a vapore e le due grandi ancore che si trovano ancora al loro posto dentro agli occhi di cubia.

Il ponte di comando del piroscafo, che era in legno, ormai non esiste più e la parte più alta del relitto è il tetto del ponte di prima classe, che si trova a circa 28 metri di profondità.

 

 

Per gli appassionati di questa materia, si segnala il sito:

 

CROAZIA – RELITTO “BARON GAUTSCH”

http://www.marpola.it/logbook/20.%20Baron%20Gautsch.htm

 

 

Carlo GATTI

Rapallo 5 Giugno 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PRIROSCAFO GENOVA - UN RELITTO CHE FA ANCORA DISCUTERE

 

 

P.FO GENOVA

UN RELITTO CHE FA ANCORA DISCUTERE

 

 

Relitto Bellico N.12 -  P.FO GENOVA

Area Marina Protetta

 Portofino

La storia attraverso i relitti

L'ubicazione dei relitti intorno all'Area Marina Protetta di Portofino

 

 

 

P.fo GENOVA N.12 

La freccia rossa indica la posizione del relitto

 

Breve estratto dalla A.M.P.P

“Il Promontorio di Portofino, è stato testimone di numerosi avvenimenti storici. Esistono ben poche informazioni su quanto accaduto in epoche remote, molte di più su naufragi ed avvenimenti di epoche più recenti.

Nella cartina sottostante, che può essere compresa anche grazie alla legenda, si è provato a ricostruire la mappa dei relitti e dei residui bellici presenti, di presenza presunta e, in qualche caso rimossi, intorno al promontorio. Oltre a raccontarci quanto avvenne nelle acque dell'Area Marina Protetta di Portofino in epoche remote i relitti, soprattutto quelli più recenti, hanno dato origine ad importanti zone di aggregazione di animali marini. Le lamiere in ferro vengono corrose dall'acqua marina e colonizzate da numerose alghe e invertebrati (spugne, gorgonie e briozoi). Poco dopo divengono rifugio ottimale di pesci anche piuttosto grossi costituendo vere e proprie aree di ripopolamento del mare sfruttate spesso dai pescatori dilettanti”.

1 -- Caracca Santo Spirito 1579

2 – probabile affondamento nave da carico romana (II sec. A. C.)

3 – Schooner (brigantino-goletta) prima metà del 900

4 – Croesus (piroscafo britannico) 1855

5 – Washington (piroscafo britannico da carico) 1917

6 – Ischia (piroscafo italiano da carico) 1943

7 – sottomarino (probabilmente un U Boote tedesco) II° guerra mondiale

8 – Mohawk Deer (nave cisterna canadese) 1967

9 – probabile affondamento nave greca

10 – Motozattera (piccolo naviglio da sbarco) II° guerra mondiale

11 – aereo Handley page Halifax (bombardiere britannico) 1942

12 – Genova (piroscafo italiano da carico) 1917

13 – piccolo naviglio da sbarco tedesco (chiamato anche bettolina) – II° guerra mondiale

14 – probabile affondamento nave militare romana (I° secolo d. C.)

15 – sottomarino tedesco affondato 1945

16 - battaglia navale

17 – ruderi delle batterie antiaeree

 18 - pallini gialli - mine rimosse

 

 

Questo articolo è dedicato al relitto del piroscafo GENOVA

ed al ricordo del caro AMICO Emilio CARTA

 

 

Comparando le strutture emergenti: (poppa, timone, bighi, gruette lancia, ciminiera) del P.fo Genova (sopra) con la foto del P.fo Palmaiola (sotto), vien fatto di pensare che i due piroscafi fossero gemelli. Entrambi erano di proprietà dell’ILVA - nello stesso periodo.

 

 

IL PIROSCAFO GENOVA POTEVA AVERE ANCHE QUESTO VOLTO …

 

 

Piroscafo PALMAIOLA (coll. Spazzapan)

 

Piroscafo da carico di 1879,94 tsl, 1079,47 tsn e 3000 tpl, lungo 78,30 metri, largo 13,31 e pescante 5,55, con velocità di dieci nodi. Di proprietà della Società Anonima "Ilva" Alti Forni e Acciaierie d’Italia, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 1584 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata IBJJ.

Aveva due stive, della capacità complessiva di 4200 metri cubi.

 

 

UN PO’ DI STORIA…

 

Prima guerra mondiale

27 Luglio 1917 - il piroscafo Genova, che trasportava materiale bellico, era partito da Spezia con destinazione Genova e, nonostante il “costoso – nonché - pericoloso carico, navigava senza scorta militare.

L'imbarcazione, lunga oltre 100 metri, larga 15, 3.600 tonnellate di stazza, fu colpita a proravia nella murata di dritta da un siluro lanciato da un sottomarino tedesco appostato nel Golfo Tigullio. Il Comandante del Genova fece rotta verso Paraggi nella speranza di andarsi ad arenare su di una morbida spiaggia della baia più bella del mondo; solo in questo modo avrebbe potuto salvare il piroscafo, il prezioso carico e lo stesso equipaggio.

Purtroppo, il tentativo del Comandante di salvare il salvabile riuscì solo in parte. Raggiunta infatti la Baia di Paraggi, il piroscafo italiano fu circondato dalle piccole imbarcazioni dei villeggianti presenti che riuscirono coraggiosamente a mettere in salvo l’equipaggio. Mancò all’appello soltanto Massa Tomaso (Albo Caduti: Marinaio C.R.E.M., nato a Mele, c.p. di Genova).

Il piroscafo GENOVA, sempre più appruato ed ingovernabile, rimase a galla per parecchie ore in balia della corrente che lo spingeva lentamente verso il largo mentre lo scafo continuava ad imbarcare acqua per la falla aperta dal siluro tedesco. La sua tragica corsa finì su un fondale piatto, profondo 60 metri proprio davanti al castello di Paraggi.

Dopo 107 anni di riposo nel cimitero naturale più “ospitale” del mondo, il relitto del Genova giace ancora oggi in perfetto assetto “subacqueo” di navigazione attirando la curiosità di molti esperti subacquei.

Le cronache dell’epoca riportano che nelle lunghe ore in cui il piroscafo era ancora galleggiante e alla deriva: “vi fu una accesa discussione tra le autorità cittadine e il Comandante del GENOVA. Infatti la nave poteva essere recuperata soltanto se rimorchiata in porto. Tale operazione fu ostacolata per paura della natura del carico che avrebbe potuto, esplodendo, provocare danni ben maggiori. L’affondamento risolse la diatriba”.

Come si è appena detto, il piroscafo imbarcava mare da una falla importante nell' "opera viva" dello scafo. Tuttavia, il Comandante, conoscendo la sua nave meglio di tanti esperti presenti, contava sulla capacità di resistenza del suo piroscafo e “percepiva da marinaio esperto”  d’avere il tempo sufficiente per dirigerlo  a rimorchio  verso il porto più vicino.

Purtroppo, visto lo sbandamento lento e progressivo del piroscafo, l'idea del Comandante non era condivisa dalle Autorità accorse nel frattempo le quali, da un momento all’altro, s’aspettavano d’assistere al più tragico spettacolo che possa offrire il mondo misterioso del mare: il naufragio!

 

Così ce lo racconta il compianto  Emilio Carta nel primo libro della sua preziosa trilogia:

NAVI E RELITTI DI LIGURIA

RELITTI DA MONTECARLO A SPEZIA

“Prima di colare a picco la nave restò a galla per oltre otto ore e l’Autorità Marittima di allora aprì un’inchiesta per chiarire i motivi per cui non vennero chiamati per tempo i rimorchiatori per trainarla nel vicino porto di Santa Margherita Ligure e salvare così la nave ed il suo prezioso carico. Lo scafo si posò sul fondo in perfetto assetto di navigazione e negli anni successivi una ditta specializzata recuperò quasi interamente il carico del “vapore” come i pescatori locali chiamano affettuosamente ancora oggi la nave che si presenta pressoché intatta nella sua struttura metallica”.

 

 

IL KILLER del P.fo Genova

Il sottomarino tedesco  U-BOOT  U-35

 

Come abbiamo appena visto, il piroscafo Genova venne silurato il 17 luglio 1917. La nave che trasportava cannoni e munizioni, fu colpita da un siluro lanciato da un sommergibile tedesco mentre era in navigazione da Spezia a Genova.  

 

 

Gli U-Boot U-52 U-35 – Foto scattata nel 1916

The German submarines SM U 52 (right) and SM U 35 (left) meeting in the Mediterranean

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Le splendide foto sono state “rubate” dalla meravigliosa collezione della:

PORTOFINO DIVERS ed ogni commento ci sembra superfluo!

 

 

L’enorme falla è ancora nettamente visibile nella ”opera viva” dello scafo

 

 

 

Cime impigliate sul ponte

 

 

 

Il fumaiolo

 

Reti da pesca

 

 

 

Uno scorfano sulla poppa

 

 

CIRCOSTANZE DIVERSE - STESSA PAURA!

40 anni dopo …

 

 

CITY OF FUNCHAL, L'IDROVOLANTE CHE SPIAGGIÒ A SANTA MARGHERITA LIG.

 

LINK

https://www.marenostrumrapallo.it/city-of-funchal-lidrovolante-che-spiaggio-a-santa-margherita-ligure/

 

 

 

Nel 1956, in seguito allo spiaggiamento dell’idrovolante CITY OF FUNCHAL a Santa Margherita Ligure, i giornali dell’epoca riportarono che la gente, temendo l’esplosione dei serbatoi carichi di carburante, fuggì dalle case lasciando le finestre aperte e corse a ripararsi lontano dalla zona, come ai tempi della guerra.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 15 Gennaio 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


CITY OF FUNCHAL - L'IDROVOLANTE CHE SPIAGGIO'... A Santa Margherita Ligure

 

CITY OF FUNCHAL

L'IDROVOLANTE CHE SPIAGGIO'...

A Santa Margherita Ligure

 

 

INGHILTERRA-ITALIA

UNA IDEA  GRANDIOSA  PER UNA LINEA AEREA SFORTUNATA

 

 

L’idrovolante City Of Funchal sta per decollare da Santa Margherita L.

 

foto dell'autore

 

L'idrovolante "CITY Of FUNCHAL" che collega Southampton (G.B.) e Santa Margherita Ligure nella notte del 27 settembre 1956 rompe il cavo d'ormeggio ed il mare lo spinge ad arenarsi sulla spiaggia denominata "ghiaia".

Siamo nel 1956

- In Algeria la guerra per l’indipendenza del paese è in pieno sviluppo.

- Nasser nazionalizza il Canale di Suez per autofinanziare la diga di Assuan. Gran Bretagna e Francia protestano, poi decidono di intervenire militarmente.

- Il terzo punto caldo è la crisi ungherese che porta a drammatici eventi. Il momento critico arriva quando i rivoluzionari propongono il ritiro delle forze sovietiche da tutto il paese e l’uscita dell’Ungheria dal Patto di Varsavia.

- La tragedia dell’Andrea Doria, speronata dal transatlantico svedese “Stockholm” e affondata al largo di Nantucket, davanti alle coste americane, è ancora vivissima nella memoria dei liguri.

In questo tragico panorama internazionale s’inserisce, tuttavia, un incidente spettacolare e un po' romantico... che è rimasto nel ricordo di molti rivieraschi … un po’ attempati:

- Era una giornata  piovosa e senza colori di fine estate

Racconta il noto ristoratore Cesare Frati:

- in arrivo c’era una perturbazione che i vecchi marinai usano chiamare rottura dei tempi, (il passaggio stagionale dalle bonacce dell’estate al burrascoso autunno. N.d.r.). Il primo sintomo di una depressione in arrivo è di solito annunciato dal mare lungo e montagnoso.

- Allora non si trattò di una mareggiata? -

No. Ricordo benissimo che l’aereo, nel pomeriggio, tentò di decollare, ma non riuscì a prendere velocità a causa del forte beccheggio. S’impennava e ricadeva tra un’onda e l’altra. La Capitaneria diede allora l’ordine di riportarlo al suo ormeggio abituale. Il continuo avanzare di onde gonfie fu la vera causa della rottura del cavo,   (forse troppo corto ed estivo…) che collegava l’aereo ad una boa posizionata circa cento, duecento  metri al largo della “ghiaia”. Dopo lo strappo, il cavo rimase penzolo dal golfale (anello) prodiero dell’aereo e  si può notare questo dettaglio, ancora oggi, nelle foto classiche, che si trovano appese ai muri d’alcune  trattorie e bar di Santa M. ed anche di Rapallo.”

- I giornali dell’epoca riportarono che la gente, temendo l’esplosione dei serbatoi carichi di carburante, fuggì dalle case lasciando le finestre aperte  e corse a ripararsi lontano dalla zona, come ai tempi della guerra. –

Ricordo d’aver visto l’equipaggio abbandonare l’idrovolante con un gozzo e arrivare sulla spiaggia, dove rimase per molte ore, facendo base presso il bar più vicino per controllare l’evoluzione dell’incidente. In serata, credo intorno alle 23.00, le Autorità fecero evacuare gli abitanti dalle case più vicine alla zona dello spiaggiamento, e ne convogliarono una buona parte verso il sottopassaggio della Stazione FF.SS. L’ordine di rientrare nelle proprie abitazioni fu emesso la mattina seguente intorno alle 08.30, dopo che i pompieri avevano estratto il carburante dai serbatoi di bordo.

L’aereo fu poi tagliato e sezionato sulla spiaggia  tra la curiosità della gente. Personalmente provai un po’ di malinconia perchè con la demolizione dell’aereo spariva per sempre anche  un pezzo di storia della mia città. A proposito, mi racconti un po’ la storia di quel Sunderland.”

L’idrovolante fu derivato da una versione più grande e migliorata del ricognitore marittimo SUNDERLAND, denominata Seaford e comparsa nel 1945. Una di queste macchine – realizzate per la Royal Air Force in piccola quantità – fu prestata alla BOAC nell’anno seguente, affinché fosse sottoposta a valutazioni per un eventuale impiego commerciale. Seguì un ordine per dodici esemplari, da consegnarsi con motori Bristol Hercules più potenti e con allestimento interno su due piani per 30 passeggeri. Il primo di questi aerei – che assunsero la designazione di Solent 2 – fu portato in volo l’11 novembre del 1946 e l’ultimo seguì a meno di un anno e mezzo, l’8 aprile del 1948. Un mese dopo la consegna dell’ultimo esemplare ordinato, la BOAC mise in servizio la sua flotta di Solent che operò sulla rotta per il Sud Africa. Il collegamento era indubbiamente lungo e prevedeva numerosi scali (Marsiglia, Augusta, Il Cairo, Port Bell sul lago Vittoria) ma i grandi idrovolanti permettevano di svolgere un servizio assai più valido e comodo, con l’ampio spazio a disposizione dei passeggeri, il salotto e il bar presenti a bordo.

 

 

Operazione imbarco-sbarco di passeggeri davanti a Santa Margherita L.

 

Il “CITY OF FUNCHAL” era un SHORT S.45 Solent 3, costruito nel 1948 e fu la versione migliorata (6 passeggeri in più) del Solent 2 costruito nel 1946.

Il primo Solent 3 venne battezzato City of London il 5 maggio del 1949 e fu messo in servizio dieci giorni dopo. Con l’arrivo degli altri esemplari, tra cui il “City of Funchal”, i nuovi aerei non solo permisero di estendere e migliorare i collegamenti africani ma anche di sostituire i Sandringham sulla rotta per Karachi.

Nel 1956, nell’attesa di un vero aeroporto, Genova accolse con gioia un collegamento Southampton-Santa Margherita compiuto dagli idrovolanti. Nel frattempo, nel porto genovese era stato  allestito, presso il ponte denominato per l’appunto Idroscalo, davanti alla Lanterna, una Stazione Aeroportuale che usufruiva del canale interno a ridosso della diga come pista protetta. Purtroppo ogni ammaraggio era un’avventura ed anche a Genova avvenne un incidente: l’aereo, durante la manovra d’arrivo, perse il galleggiante sotto l’ala sinistra e per evitare il rovesciamento, i passeggeri furono evacuati e spostati sull’ala destra per controbilanciarlo.

Al 30 settembre 1958, solo tre Solent rimanevano in servizio e, nonostante un tentativo di riattivare il collegamento con Madeira, non volarono più.

SCHEDA DELL’AEREO

  1. Nome:                         CYTY OF FUNCHAL

  2. Compagnia Aerea:        Aquila Airways

  3. Nominativo:                 G-ANAJ

  4. Aereo:                         Short S.45 Solent 3

  5. Costruttore:                 Short Brothers Ltd.

  6. Motore:                        4 Bristol Hercules 637, 14 cilindri, da 1.690 HP ciascuno

  7. Apertura alare:             m. 34,37

  8. Lunghezza:                  m. 26,72

  9. Altezza:                       m. 10.44

  10. Peso al decollo:            Kg. 35.380

  11. Velocità di crociera:      Km/h 393

  12. Quota max.operativa:   m. 5.180

  13. Autonomia:                  Km. 2900

  14. Equipaggio:                  7 persone

  15. Carico utile:                 36 persone

 

UN PO' DI STORIA

 

 

In questa immagine degli Anni '30, Ponte S.Giorgio con tre navi carboniere attraccate. A destra la zona dell'Idroscalo che sarà ricostruita secondo il progetto riportato nella successiva immagine.

 

 

 

Idrovolante Bombardiere/aerosilurante Savoia Marchetti S-55

Data primo volo: Agosto 1923

Data entrata in servizio: settembre 1926

 

 

Idrovolante Marina 1° - Spedizione soccorso Latham 47 di Amundsen – Guilbault – 16 giugno -10 agosto 1928 – Piloti Capitani Ivo Ravazzani – Mario Baldini

 

Dopo la fortunata impresa polare del dirigibile NORGE del 1926, nel marzo-maggio 1928, Umberto Nobile organizzò una seconda spedizione polare con il dirigibile ITALIA. Dopo aver sorvolato il Polo, il dirigibile  nel ritorno per il maltempo precipitava sulla banchisa distruggendosi. In soccorso partì Amundsen che s’imbarcò sull’aeroplano mandato dal governo francese e comandato dal cap. Guilbaud. L’aeroplano sparì sul Mar Artico. I due capitani, che pure fecero parte della spedizione di soccorso, tornati sani e salvi portarono la fotografia del loro idrovolante al santuario di  Montallegro.

 

 

 

GENOVA - Anni Trenta. Idroscalo, fase culminante della manovra di ormeggio di un idrovolante. I gozzi degli ormeggiatoti “voltano” i cavi di ormeggio alle boe.

 

 

 

Questo disegno si riferisce al progetto di costruzione dell'area di ormeggio e ricovero per Idrovolanti presso il Ponte IDROSCALO nel Porto di Genova, posto nel Canale di Sampierdarena, proprio dinanzi alla LANTERNA.

 

 

 

1965 – Il bacino di Sampierdarena - chiamato PORTO NUOVO - visto da ponente, dopo il completamento del ponte ex Idroscalo (ultimo in alto).

 

 

 

Nel 1956, nell’attesa di un vero aeroporto, Genova accolse con gioia un collegamento Londra-Southampton-Santa Margherita compiuto da idrovolanti. Nel frattempo, nel porto genovese era stato  allestito, presso il ponte denominato per l’appunto IDROSCALO, davanti alla Lanterna, una Stazione Aeroportuale che usufruiva del canale interno a ridosso della diga come pista protetta.

 

 

 

Una rara immagine del CITY OF FUNCHAL (Aquila Airways Solent 4 G-ANAJ) all'ormeggio a  Dock n.50 di Southampton nell'agosto del 1955.

 

 

 

Idrovolante SYDNEY dell'Aquila Airways Solent 3, G-AKNU sta decollando dalla rada di Funchal.

 

 

 

Un Short Solent 2 G-AHIN SOUTHAMPTON in servizio per la BOAC, nel porto di Johannesburg tra il 1948 e 1950.

 

 

 

Il primo idrovolante SOLENT volò nel 1946. Altri SOLENT furono usati dalla BOAC e TEAL, la produzione terminò nel 1949. Questi, di seconda mano, furono operativi fino al 1958 per conto di linee minori come la AQUILA AIRWAYS.

 

 

 

Un idrovolante SOLENT - MOTAT in versione di lusso. Visto esternamente ed internamente.

 

Oltre al “City of Funchal”, un altro idrovolante gemello denominato “Aquila”, collegò Londra con Genova e la riviera. Nella foto sotto, L’Aquila davanti a Santa Margherita durante il trasbordo dei passeggeri.

 

 

Genova, il 3 febbraio 1955 l’Idrovolante Aquila è stato fotografato sotto la Lanterna, presso Calata Idroscalo.

Dopo l’ammaraggio, l’aereo si serviva di due rimorchiatori che avevano a bordo un cavo speciale per girarlo e portarlo all’ormeggio. Notare nella foto due membri dell’equipaggio, in piedi, sul tetto dell’aereo. Si ricorda che durante un difficile ammaraggio a Genova, l’Aquila perse una gondola (il galleggiante posizionato sotto l’ala) e il comandante ordinò ai passeggeri  di uscire dal portello superiore della carlinga e di arrampicarsi sull’ala più alta per raddrizzare l’aereo, evitando così ulteriori danni durante la manovra d’ormeggio. A suo tempo, fu pubblicata una foto che testimoniava questo momento di coraggio e perizia nautica.

Quando nel 1962 fu inaugurato, l’aeroporto Cristoforo Colombo fu dotato di un’aerostazione passeggeri prefabbricata che ben presto mostrò la sua inadeguatezza ad affrontare lo sviluppo del traffico, cui si cercò di ovviare con vari successivi ampliamenti.

 

 

 

Ma soltanto il 10 maggio 1986 – Si inaugurò la nuova aerostazione alla presenza del presidente del Consiglio Bettino Craxi, il presidente del Consorzio Roberto D’Alessandro, il sindaco di Genova Campart, l’arcivescovo di Genova Giuseppe Siri, il senatore Paolo Emilio Taviani ed altre autorità...

 

 

 

10 maggio 1986 – Evoluzione di un mezzo antincendio nel canale di calma prospiciente  l’aerostazione.

 

 

 

Concludiamo questa rassegna sugli idrovolanti con l'ex voto portato al Santuario della Madonna di Montallegro (Rapallo) dal marinaio Noziglia Ernesto "per grazia ricevuta" il 13.12.1941-R.I. ALBERTO DI GIUSSANO, sorvolato da un idrovolante SS-55 Savoia Marchetti.

 

 

SHORT S.25 SUNDERLAND - Un aereo militare

 

 

 

IMPIEGO OPERATIVO

Il Sunderland venne impiegato, nelle diverse versioni, in tutti i teatri operativi costieri, rivelandosi particolarmente efficace nelle operazioni contro i sommergibili e venne soprannominato "porcospino" dai piloti della Lufwaffe, per la sua capacità di difendersi da qualsiasi aggressione.

Data la sua robustezza, il Sunderland si rivelò una macchina estremamente versatile e capace di affrontare anche i compiti più ostici. Tra le missioni degne di nota, nel maggio del 1941, l'evacuazione dell'isola di Creta, attaccata da truppe tedesche aviotrasportate. In quei giorni un esemplare arrivò a trasportare 82 soldati, con relativo equipaggiamento, oltre ai membri dell'equipaggio .

 

 

Carlo GATTI

Rapallo
05.04.11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


INCENDIO sulla nave passeggeri  italiana “ORAZIO" - 19 Gennaio 1940

 

INCENDIO

sulla nave passeggeri  italiana

ORAZIO

19 Gennaio 1940

 

 

 

UN DOVEROSO PREAMBOLO STORICO

L'attuale conflitto tra Hamas e Israele, noto come la guerra di quest'anno, ha avuto inizio il 7 ottobre 2023 con l'attacco a sorpresa di Hamas a Israele, chiamato dagli israeliani "operazione Spade di Ferro". Questo evento ha portato i media internazionali a riflettere sull'esodo degli ebrei, tornando al 1947 quando le Nazioni Unite cercarono di risolvere il conflitto tra ebrei e arabi al termine del Mandato britannico sulla Palestina.

Il mio articolo, tuttavia, si concentra su un retroscena politico, collegando l'esodo degli ebrei al 1933, quando Hitler salì al potere.

La notte del 19 gennaio 1940, a bordo della nave passeggeri italiana "ORAZIO," si verificò un incendio misterioso, collegato nell'immaginario collettivo a un presunto sabotaggio nazista.

La motonave "ORAZIO," gemella della M/n VIRGILIO, iniziò la sua carriera nel 1927 per la N.G.I. (Navigazione Generale Italiana), operando sulle rotte del Centro America-Sud Pacifico. VIRGILIO, AUGUSTUS e ROMA, costituivano la punta di diamante della navigazione mercantile italiana.

 

 

Caratteristiche Principali della M/N ORAZIO

Armatore: N.G.I. Navigazione Generale Italiana

Stazza Lorda: 11.669 t

Motore Diesel a combustione interna

Capacità Passeggeri: 423

Equipaggio: 210

Comandante: M.Schiano

Velocità: 15 nodi

 

ESPLOSIONI IN SALA MACCHINE – ABBANDONO NAVE

Posizione del Sinistro : Lat.42°36’ N  –  Long.05°28’E 

(35 mg. al largo di Tolone-Francia)

data: 21.1 1940 - ore: 04.55  (a.m.)

MORTI: 108

 

 

 

La cartina mostra la posizione della nave al momento 
dell’incendio

 

IL VIAGGIO E L’INCENDIO

La M/n ORAZIO era partita da Genova per il Sud Pacifico ed era al comando del Cap. Michele Schiano quando, giunta a 35 miglia al largo di Tolone (Francia), divampò un incendio improvviso nella sala-macchine. Le fiamme si estesero ben presto a tutta la nave che fu poi abbandonata, presa a rimorchio e infine demolita.

 

 

 

L’ORAZIO é avvolta dal fuoco e dalle fiamme. La foto é stata scattata da una nave italiana giunta in soccorso da sopravvento. Notare sulla destra una nave da carico in attesa di soccorrere i naufraghi.

 

 

 

Notare sulla poppa il nome della nave parzialmente bruciato

 

 

LE OPERAZIONI DI SALVATAGGIO

 

Quattro mezzi militari francesi della base di Tolone risposero subito al S.O.S. della Orazio: arrivò il Conte Biancamano che salvò 316 persone, il Colombo che ne recuperò 163 ed infine il piroscafo francese Ville de Ajaccio che ne prese a bordo 46.

Da molti anni la marineria italiana non veniva colpita da una così grave tragedia. All’appello finale mancarono 48 passeggeri e 60 marittimi dei 423 imbarcati a Genova facenti parte dell’equipaggio.

L’incendio è sempre stato il più temuto tra i sinistri marittimi. Il timore degli equipaggi imbarcati è sempre stato legato all’infiammabilità del materiale che arredava e decorava le bellissime navi di linea passeggeri di quell’epoca. I superstiti dellOrazio, subito dopo il rientro a Genova, si recarono in pellegrinaggio sulla tomba di G. Marconi per rendere omaggio al grande inventore della radio, primo anello della catena che li aveva salvati.

 

 

IL RETROSCENA POLITICO

Oltre all'ipotesi di incidente casuale, c'è un sospetto di sabotaggio in linea con l'antisemitismo di Hitler. Le fughe degli ebrei dal nazismo, organizzate con l'aiuto di ONG, spesso iniziarono da Genova con le motonavi gemelle ORAZIO e VIRGILIO.

Gli eventi bellici che seguirono il settembre del ’39, insieme alle restrizioni imposte dai Paesi sudamericani, ridussero della metà il numero dei passeggeri imbarcati sull’Orazio quel 19 gennaio 1940, quando la nave lasciò Genova con destinazione Valparaiso in Cile. 

 

 

TESTIMONIANZA E CONCLUSIONI

 

La testimonianza di Cesira Spada descrive la tragedia del 21 gennaio 1940:

“Le prime ore di navigazione sono tranquille. La voce che al largo, davanti al golfo di Marsiglia, siano state individuate delle mine, non allarma più di tanto le famiglie di ebrei tedeschi, austriaci e praghesi che stanno affrontando quello che dovrebbe essere il loro lungo viaggio della salvezza, ospitate il più delle volte nei cameroni della terza classe. Persino l’ispezione della nave da parte di un’unità militare francese – bloccato l’Orazio in alto mare, manda a bordo un gruppo di ufficiali del controspionaggio che procede ad interrogare una cinquantina di passeggeri – non suscita a bordo particolari reazioni.

La tragedia avviene nelle prime ore del mattino del 21 gennaio, quando la nave – nel bel mezzo di un fortunale che sta flagellando tutto il golfo – sta incrociando a trentacinque miglia al largo di Tolone. Improvvisamente si sente un rumore sordo nella Sala Macchine e, immediatamente, un gran fumo comincia a penetrare in tutti i locali. Il Comandante della nave lancia via radio segnali di soccorso chiedendo l’immediato intervento di unità vicine. Nel frattempo il fuoco separa la nave in due tronconi condannando i passeggeri rimasti nella parte più inaccessibile ad una morte atroce”.

 

La causa dell'incendio, anche dopo 83 anni, rimane avvolta nel mistero, con ipotesi di attentato mai provate, nonostante indizi e testimonianze.

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

 

L'ORAZIO in navigazione

 

 

Riporto un interessante articolo di quei giorni da cui ho riportato alcuni brani nel testo

 

 

 

 

 

 

CONTE BIANCAMANO con la livrea del Lloyd Sabaudo a Genova nel 1928

Salvò 316 naufraghi dell’ORAZIO

 

 

 

 

 

Il transatlantico COLOMBO (nelle due foto sopra) recuperò 163 naufraghi dell’ORAZIO

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 6.12.2023

 

 

 

 

 

 

 

 


SHACKLETON-ENDURANCE. LA PIU' GRANDE AVVENTURA DELLA STORIA NAVALE DI TUTTI I TEMPI

 

SHACKLETON-ENDURANCE

L'ENDURANCE di Ernest Shackleton è una delle storie più affascinanti e leggendarie di esplorazione polare.

 

 

Ritratto di Ernest Shackelton nel 1904

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

Nato a Kilkea, County Kildare, Ireland il 15.2.1874

Morto (all’età di 47 anni) a Grytviken, South Georgia il 5.1.1922

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

ENDURANCE in navigazione a vela mentre si fa strada attraverso il pack

 

 

 

Foto tratta dal sito: SUPERAMBIENTE

 

L'Endurance è stata una nave storica utilizzata dall'esploratore polare britannico Sir Ernest Shackleton nella sua famosa spedizione in Antartide del 1914-1917. La nave era stata progettata per resistere alle difficili condizioni dell'Artide, ma fu intrappolata e distrutta dai ghiacci, costringendo l'equipaggio a intraprendere una lotta epica per la sopravvivenza. La storia della spedizione dell'Endurance è considerata un esempio di resilienza, determinazione e spirito di squadra.

 

 

Nel 1914, l'esploratore polare britannico Sir Ernest Shackleton organizzò una spedizione con l'obiettivo di attraversare per la prima volta l'Antartide, da costa a costa, attraverso il Polo Sud. Per questa ambiziosa missione, Shackleton scelse l'ENDURANCE, una nave robusta e ben attrezzata.

Tuttavia, durante il viaggio, l'ENDURANCE incontrò condizioni meteorologiche estreme e uno dei peggiori inverni registrati nella regione antartica. La nave rimase intrappolata dai ghiacci del Mar di Weddell, rendendo impossibile l’avanzamento verso il Polo Sud. Nonostante i tentativi di liberare la nave, i ghiacci la compressero sempre di più fino a schiacciarla completamente, lasciando l'equipaggio in una situazione disperata.

Shackleton e il suo equipaggio furono costretti a evacuare l'ENDURANCE e sopravvivere in un ambiente ostile, privi di adeguati rifornimenti e di speranza di essere soccorsi. Con coraggio, determinazione e spirito di squadra, il gruppo riuscì a sopravvivere su banchi di ghiaccio alla deriva per molti mesi.

In questo periodo di grave incertezza sul da farsi, Shackleton prese l’audace decisione di tentare una disperata fuga attraverso il Mare di Weddell, a bordo di tre piccole barche di salvataggio. L'equipaggio affrontò condizioni estreme, onde gigantesche e tempeste gelide per oltre 1.000 chilometri, fino a raggiungere l'isola di Elephant Island.

Da lì, Shackleton intraprese un altro viaggio incredibilmente avventuroso con alcuni uomini selezionati, attraversando l'oceano a bordo di una delle barche di salvataggio, fino a raggiungere la Georgia del Sud. Dopo una lunga e impegnativa marcia attraverso le montagne dell'isola, Shackleton riuscì a ottenere aiuto e salvare il resto dell'equipaggio rimasto sull'isola di Elephant Island.

Nonostante l'ENDURANCE non sia mai arrivata a completare la sua missione originale di attraversare l'Antartide, la straordinaria avventura di Shackleton è diventata un esempio di leadership, coraggio e resistenza umana di fronte alle avversità. La sua abilità nell'assumere decisioni difficili e il suo spirito instancabile di proteggere e sostenere il suo equipaggio sono diventati leggendari. L'avventura dell'ENDURANCE è diventata un simbolo di speranza e perseveranza anche nelle situazioni più difficili.

La domanda che molti storici e uomini di mare si sono posti da un secolo a questa parte è la seguente:

“la nave di Shackleton era adatta per quella missione?”. La risposta è quasi sempre la stessa:

L'ENDURANCE, la nave utilizzata da Ernest Shackleton per la sua spedizione al Polo Sud, era adatta per l'epoca, ma ciò nonostante non riuscì a resistere alle estreme condizioni ostili ed imprevedibili dell'Antartide che non erano ancora del tutto conosciute.

L'ENDURANCE era una nave di legno rinforzato, progettata appositamente per le spedizioni in regioni polari. Fu costruita in Norvegia nel 1912 e aveva una struttura solida e una prua finemente progettata per affrontare i ghiacci. La nave era di dimensioni adeguate sia per l'equipaggio sia per le forniture necessarie per la spedizione.

Tuttavia, l'Antartide è un ambiente estremamente ostile e imprevedibile. Durante il viaggio l’ENDURANCE rimase intrappolata dai ghiacci del Mar di Weddell e, nonostante gli sforzi dell'equipaggio per liberarla, i ghiacci la compressero con una forza inarrestabile.

L'ENDURANCE affondò il 21 novembre 1915 col disgelo stagionale.

 

La spedizione dell'ENDURANCE divenne così una lotta per la sopravvivenza su banchi di ghiaccio alla deriva, lontani dalla civiltà e con risorse limitate. Nonostante l’inabissamento della nave, l'abilità di Shackleton permise all'equipaggio di rimanere unito e di sopravvivere fino a quando hanno potuto essere salvati.

In definitiva, sebbene l'ENDURANCE fosse considerata adatta per le spedizioni polari, l'Antartide dimostrò il suo potere distruttivo. La spedizione di Shackleton è un esempio di come, anche con la migliore preparazione e l'attrezzatura adatta, la natura possa riservare imprevisti insormontabili.

 

 

UN PO' DI STORIA:

 

 

ENDURANCE

Era un veliero a 3 alberi, dotato anche di un motore a singola elica sviluppante una potenza di circa 350 Cv, che le consentiva una velocità media di 10 nodi (circa 19 Km/h), progettato espressamente per le esplorazioni artiche. 

Le sue dimensioni:

Lunghezza: 43,9 mt

Larghezza: 7,6 mt

Stazza:  di 320 tonnellate

Note varie:

L’ENDURANCE fu varata in Norvegia il 17 dicembre 1912 dai cantieri navali Framnæs Schipyard con il nome di Polaris.

Costruita per conto di armatori norvegesi che la volevano destinare a crociere nel Mar Glaciale Artico. A causa di problemi economici la nave fu venduta due anni dopo il varo, nel 1914, sottocosto, all'esploratore britannico Ernest Shackleton, per l'importo di 11.600 sterline. 

Ribattezzata Endurance dal nuovo proprietario, salpò verso l’Antartide il 1º agosto dello stesso anno per iniziare la spedizione trans-antartica imperiale, raggiunse i mari australi dopo 5 mesi di navigazione, ma la sua vita tra i ghiacci perenni fu molto breve come abbiamo appena visto e dopo alcuni mesi di agonia dovette essere completamente abbandonata dall'equipaggio per affondare definitivamente dopo ben 281 giorni dall'incaglio.

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La James CAIRD presso il Dulvich College di Londra

L’imbarcazione James Caird  (baleniera di 6 mt.di lunghezza) ad Elephant Island, 24 Aprile 1916,

 

L'impresa e' ai limiti dell'impossibile: affrontare l'oceano navigando per piu' di 1.500 chilometri con una delle tre scialuppe, la James Caird, (nella foto) una lancia baleniera lunga sette metri.

 

Della gloriosa nave che porta il nome anche della Spedizione ENDURANCE, riuscirono a sopravvivere solo 3 lance, due cutter a vela: la Stancomb Willis e la Dudley Docker e la James Caird, classica baleniera lunga sette metri, con la quale Ernest Shackleton, partendo dall’Isola Elephant, percorse 650 miglia nautiche di avventurosa traversata nei mari antartici fino a raggiungere l'isola della Georgia del Sud, da dove erano partiti 522 giorni prima, per chiedere soccorso, permettendo così di salvare tutto l'equipaggio.

 

 

Elephant Island

14 aprile 1916. Dopo sette giorni di navigazione, le tre scialuppe toccano terra sull'Isola Elephant ma su quest'isola non e' facile ricevere i soccorsi. La superficie e' rocciosa e in gran parte coperta da neve e ghiaccio. Anche se ospita foche e pinguini, c'e' il pericolo che questi possano spostarsi dall'isola. L'inizio dell'inverno complica la situazione. Infine l'isola e' distante dalle rotte delle navi ed e' quindi molto difficile avvistarne una per chiedere aiuto. 

Shackleton si rende presto conto che bisogna ripartire, per raggiungere la Georgia del Sud, l'unica destinazione dove trovare i soccorsi.

Shackleton e i suoi uomini combatterono fino in fondo: mentre il suo equipaggio lottava per la sopravvivenza, il Capitano andò a cercare aiuto in Georgia Australe, percorrendo più di 1300 km di Oceano a bordo di una scialuppa di 7 metri.

 

L’eroe britannico riuscì a tornare ad Elephant Island un anno dopo per salvare i suoi straordinari uomini che tornarono tutti a casa sani e salvi.

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

The Aurora (ship used by the Ross Sea party during the Imperial Trans-Antarctic Expedition 1914-17)

L'Aurora fu costruita nei cantieri Alexander Stephen & Sons Ltd di Dundee in Scozia. Concepita come nave baleniera, l'imbarcazione prese parte alle spedizioni antartiche Aurora ed Endurance

Per maggiore chiarezza segue ora la rappresentazione grafica e geografica della rotta tenuta dalla Endurance, dalla James Caird e dall’Aurora - rotta via terra al deposito provviste della Spedizione nel Mare di Ross e la pianificata rotta via terra nel Mare di Weddel della spedizione trans-antartica guidata da Ernest Shackleton nel 1914-1915: 

Rosso: il viaggio dell'Endurance

Giallo: la deriva dell'Endurance bloccata dai ghiacci. 

Verde: il percorso, a piedi ed in scialuppa, degli uomini di Shackleton dopo il naufragio della nave sino all'isola Elephant. 

Blu: il viaggio della James Caird sino alla Georgia del Sud. 

Turchese: il percorso originale della spedizione trans-antartica. Gruppo del mare di Ross

Arancio: il viaggio dell'Aurora 

Rosa: l'Aurora rompe gli ormeggi e va alla deriva lasciando 10 uomini in Antartide. 

Marrone: percorso per l'installazione dei depositi di provviste.

 

 

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

 

ENDURANCE

 

Il suo nome tradotto in italiano significa “resistenza”. Così si chiamava la nave portata all’estremo Sud dall’esploratore britannico Sir Ernest Shackleton agli inizi del ‘900. E in effetti ha resistito. Inabissata per oltre cento anni nel Mare di Weddell, la nave leggendaria è stata ritrovata da una spedizione di ricerca lo scorso 5 marzo 2022.

 

Giunta nel Mare di Weddell agli inizi di dicembre, la spedizione si arrestò il 18 gennaio del 1915, quando l’Endurance rimase bloccata nel ghiaccio della banchisa. Impossibilitato a proseguire il suo viaggio, Shackleton aspettò per dieci mesi l’arrivo della primavera antartica accampato intorno alla nave, che intanto era diventata un tutt’uno con il paesaggio polare. Aspettò fino alla fine di ottobre, quando ormai gravemente danneggiata dalla pressione del ghiaccio che ne stava stritolando la poppa, ordinò di abbandonare la nave. In quei giorni l’esploratore scrisse nel suo diario:

«Siamo costretti ad abbandonare la nave, che è schiacciata oltre ogni speranza di essere raddrizzata. Il compito ora è quello di raggiungere la terra con tutti i membri della spedizione».

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Un'immagine storica: la nave Endurance intrappolata nei ghiacci marini antartici nel 1915. 

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia -

Glass plate photograph by Frank Hurley (Wikipedia)

 

 

 

Raccontato in diversi libri, come Sud - La spedizione dell’Endurance, opera dello stesso Shackleton edita per l’Italia da Nutrimenti (2009) o Endurance: l’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud di Alfred Lansing (2003), soggetto di diversi documentari e lungometraggi, il viaggio di Shackleton e dei suoi uomini rimane uno dei più incredibili della storia polare.

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Statue of Shackleton, Athy, Ireland, erected in 2016 (shackletonexhibition.com)

 

 

There is an older statue of Shackleton standing in a niche outside the Royal Geographical Society building in London, and a much more recent one, unveiled in his home town of Athy, Ireland, in 2016 (fifth image)

 

Royal Mail stamps honoring Shackleton and the voyage of the James Caird, issued in 2016 (Norvic Philatelics)

Dr. William B. Ashworth, Jr., Consultant for the History of Science, Linda Hall Library and Associate Professor, Department of History, University of Missouri-Kansas City. Comments or corrections are welcome; please direct to ashworthw@umkc.edu.

 

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

Alcune delle basi sono delle vere e proprie comunità, con ospedali, chiese e spazi di intrattenimento. Le basi di ricerca italiane sono due: la Mario Zucchelli (ex base Terra Nova) e la base Concordia, di giurisdizione Italo-Francese.

 

 

BIOGRAFIA di Ernest SHACKELTON

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

Ernest Henry Shackleton, nato il 15 febbraio 1874 a Kilkea, in Irlanda, è stato un esploratore polare britannico noto soprattutto per la sua audace e avventurosa spedizione nella regione antartica. Shackleton è cresciuto in una famiglia di origini irlandesi e si è appassionato all'esplorazione fin da giovane.

La sua carriera esplorativa ha preso il via quando si unì a una spedizione guidata da Robert Falcon Scott in Antartide nel 1901-1904. Durante questa spedizione, Shackleton ha dimostrato notevoli abilità organizzative guadagnandosi la stima dei suoi compagni di viaggio.

Il suo momento di gloria è arrivato nel 1907, quando ha guidato la famosa "Spedizione Nimrod". Durante questa impresa, Shackleton e il suo team hanno stabilito un nuovo record di avvicinamento al Polo Sud, arrivando a soli 180 km di distanza. Sebbene non abbiano raggiunto l'obiettivo principale, il viaggio è stato un notevole successo e ha consolidato la sua reputazione come esploratore di prim'ordine.

Tuttavia, l'evento per cui Shackleton è più noto è la "Spedizione Endurance" del 1914-1916. L'obiettivo di questa spedizione era attraversare l'Antartide da costa a costa, ma il loro leggendario vascello "Endurance" rimase intrappolato e schiacciato dai ghiacci dell'Oceano Antartico. Come abbiamo già visto, dopo mesi di difficoltà e incertezza, Shackleton organizzò con successo il salvataggio del suo intero equipaggio. Senza perdite umane, attraversò con una piccola imbarcazione la pericolosa regione dell'Oceano Australe e raggiunse l'isola Georgia del Sud, dove fu in grado di ottenere aiuto per i suoi uomini rimasti.

Dopo il suo ritorno in patria, Shackleton continuò a pianificare nuove spedizioni polari, ma nel 1922 morì di infarto a bordo della nave Quest, ancorata in Georgia del Sud. La sua eredità è stata segnata dalla sua audacia, spirito d'avventura e straordinaria capacità di leadership, che lo hanno reso uno degli eroi più celebrati dell'esplorazione antartica.

La storia della sua "Spedizione Endurance" e il suo eccezionale coraggio nel salvataggio dell'equipaggio hanno ispirato molte generazioni di esploratori e continuano a essere una fonte di ispirazione per chi cerca avventure e sfide in luoghi remoti e inesplorati del nostro pianeta.

STUDI: Ernest Shackleton frequentò la Dulwich College a Londra, un istituto di istruzione superiore prestigioso. Tuttavia, le sue condizioni economiche limitate e la morte prematura di suo padre lo costrinsero a lasciare presto la scuola per aiutare a sostenere la famiglia. Nonostante ciò, Shackleton mostrò sempre un forte interesse per l'esplorazione e continuò ad educarsi leggendo libri e partecipando a conferenze scientifiche.

FAMIGLIA: Ernest Shackleton nacque da genitori di origini irlandesi. Suo padre, Henry Shackleton, era medico, e sua madre, Henrietta Letitia Sophia Gavan, apparteneva a una famiglia aristocratica. Ernest era il secondo dei dieci figli della coppia. Il supporto della sua famiglia lo sostenne nella sua passione per l'esplorazione.

ESPERIENZE LAVORATIVE: Prima di dedicarsi all'esplorazione a tempo pieno, Shackleton svolse una serie di lavori per guadagnarsi da vivere. Dopo aver lasciato la scuola, lavorò come apprendista in una compagnia navale di Liverpool e acquisì preziose competenze riguardanti la navigazione e la gestione delle imbarcazioni. Successivamente, fece esperienza come ufficiale di macchina a bordo di navi mercantili.

Le sue prime esperienze di esplorazione avvennero durante una spedizione antartica guidata da Robert Falcon Scott nel 1901-1904, in cui Shackleton ricoprì il ruolo di terzo ufficiale. Questa esperienza lo spinse a perseguire ulteriormente la sua passione per l'esplorazione polare.

Dopo il suo successo nella Spedizione Nimrod nel 1907, Shackleton si dedicò a organizzare e guidare ulteriori spedizioni. La più famosa di queste fu la "Spedizione Endurance" del 1914-1916, in cui cercò di attraversare l'Antartide da costa a costa. Nonostante il fallimento dell'obiettivo principale, la sua gestione della crisi e il salvataggio del suo equipaggio ne fecero un eroe popolare e rispettato.

Dopo il ritorno dalla Spedizione Endurance, Shackleton scrisse un libro sulle sue avventure intitolato "South", che divenne un bestseller. Continuò anche a pianificare altre spedizioni polari, ma la sua morte prematura a causa di un infarto a bordo della nave Quest nel 1922 interruppe il suo sogno di ulteriori imprese esplorative.

Ernest Shackleton è ricordato come un pioniere dell'esplorazione antartica, un leader carismatico e un esempio di coraggio e determinazione nel superare le sfide più difficili.

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

La tomba di Shackleton a Grytviken, nella Georgia del Sud 

 

 

Nella notte del 5 gennaio Shackleton ebbe un forte attacco cardiaco e morì poche ore dopo, il corpo era già in viaggio verso l'Inghilterra quando la moglie Emily dette disposizioni affinché venisse sepolto nella Georgia del Sud nel cimitero dei pescatori di Grytviken.

Nell'immediato dopoguerra Shackleton ebbe un periodo di crisi. Il peso dei debiti nati dalla precedente spedizione diveniva sempre più gravoso, il suo stato di salute era in peggioramento e anche il matrimonio con Emily vacillava, minato com'era da una relazione extraconiugale con la statunitense Rosalind Chetwynd che durava da alcuni anni. Dovette riuscire a mantenersi solo grazie a conferenze sulle sue imprese passate, attività che lo annoiava profondamente. I profitti del libro South, che ebbe un buon successo di critica e di vendite e nel quale raccontava la Spedizione Endurance, furono usati per rifondere i finanziatori della spedizione.

Alla fine del 1920 cominciò nuovamente a pianificare una spedizione: questa volta intendeva dirigersi verso il Polo Nord, dove anche Amundsen stava progettando di recarsi. Fu trovato un finanziatore canadese ma la stagione era ormai troppo avanzata; l'idea fu quindi abbandonata e Shackleton ripiegò sull'organizzazione di un nuovo viaggio in Antartide

 

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La copertina dello Scientic American del 1922. Il disegnatore immagina Shackleton ed i suoi uomini impegnati nell'esplorazione dell'Antartide

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nave QUEST

 

Conosciuta per essere stata utilizzata nella Spedizione QUEST del 1921-22 e per essere stata il luogo dove Ernest Shackleton è morto il 5 gennaio 1922 mentre era ancorata nel porto di Gryutviken nella Georgia del Sud. La nave è stata impiegata anche nella British Arctic Air Route del 1930-31 lungo la costa orientale della Groenlandia. 

Oltre all’eplorazione polare, la QUEST è stata una nave mercantile utilizzata anche per la caccia alla foca. Proprio durante una spedizione di caccia fu intrappolata nel ghiaccio al largo del Labrador ed affondata dalla pressione del pack. Tutto l'equipaggio fu tratto in salvo.

Con la nave QUEST Shackleton salpò da Londra nel settembre del 1921. Sebbene gli obiettivi scientifici della spedizione non fossero ben definiti, riuscì a farsi seguire nella nuova avventura da alcuni dei membri della precedente operazione Endurance. A causa del maltempo la nave dovette attraccare in Georgia del Sud  al porto baleniero di Grytviken, dove nella notte del 5 gennaio Shackleton morì a causa di una trombosi coronarica. Fu sepolto nel cimitero della Chiesa luterana. Decenni dopo, accanto a lui venne sepolto Frank Wild, fedele braccio destro che lo seguì in diverse spedizioni.

 

 

CONCLUSIONE

 Ernest Shackleton rimane senza dubbio uno degli esempi più straordinari di coraggio, umanità e determinazione nella storia dell'esplorazione polare. La sua avventura con l'ENDURANCE e le sue gesta successive sono un testamento della grandezza dell'uomo e dei suoi straordinari tratti morali.

Proviamo a Riepilogare alcuni aspetti chiave della sua forza d’animo ed intellettuale che contribuiscono a rendere Shackleton un individuo eccezionale le cui doti ancora oggi destano stupore in chi va per mare e non solo:

Coraggio e Risolutezza: Shackleton dimostrò un coraggio eccezionale di fronte alle avversità. Quando l'ENDURANCE fu intrappolata dai ghiacci dell'Antartide e la situazione sembrava senza speranza, Shackleton non perse mai il controllo e mantenne una calma ammirevole. Affrontò le difficoltà con determinazione, prendendo decisioni sagge e calcolate per la sopravvivenza della sua squadra.

Leadership Empatica: Shackleton fu un leader empatico che si preoccupava sinceramente del benessere dei suoi uomini. Ha dimostrato una notevole capacità di comprendere e ascoltare le preoccupazioni e i bisogni dei membri dell'equipaggio. Questa empatia lo ha reso molto rispettato e amato da coloro che lo seguivano.

Resistenza e Determinazione: Nonostante le avversità implacabili e le probabilità apparentemente impossibili da superare, Shackleton non si arrese mai. La sua determinazione nel trovare una via d'uscita e salvare il suo equipaggio era incrollabile. Questo spirito di perseveranza lo ha guidato attraverso sfide incredibili e lo ha portato a prendere decisioni straordinarie in situazioni estreme.

Generosità e Preoccupazione per gli Altri: Shackleton ha dimostrato grande generosità verso i membri della sua squadra, mettendo sempre il benessere degli altri davanti al proprio. Ha sacrificato molte delle sue comodità personali e ha condiviso equamente le difficoltà e i pericoli con l'equipaggio. La sua premura per gli altri era evidente nelle decisioni che ha preso per proteggerli e mantenere alto il morale.

Leadership Carismatica: Shackleton aveva un carisma naturale che ispirava e motivava i suoi uomini. Era capace di unire persone diverse in un obiettivo comune e di infondere speranza e fiducia anche nelle situazioni più cupe.

Ottimismo e Spirito Positivo: Nonostante le circostanze estreme, Shackleton mantenne un atteggiamento ottimista e positivo. Questo atteggiamento mentale positivo ha aiutato a sostenere l'intera squadra durante i momenti difficili e ha contribuito a mantenere alto il morale.

In sintesi, Ernest Shackleton è una figura straordinaria nella storia dell'esplorazione polare, ma anche nella storia umana dimostrando che con tenacia, compassione e perseveranza, si possono raggiungere risultati straordinari anche nelle situazioni più estreme in qualsiasi frangente della vita di ciascuno di noi.

Ho usato il termine “compassione” volendo esprimere quel sentimento con il quale un individuo come Shackleton ha percepito emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla.

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

ENDURANCE E IL SUO EQUIPAGGIO

 

 

 immagine di pubblico dominio via Wikipedia

                                                                                                                                                                                        

 Tor - Jock Wordie, geologist - Alfred Cheetham, 3rd Officer - Alexander Macklin, doctor

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Trapped in the Weddell Sea, desperate efforts were made to free the ship, these were of no avail, because the ice froze together as quickly as it could be cut away 14th February 1915

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

Trapped in the ice, rime forming on the rigging

 

 

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

  

The long, long night, the Endurance in the Antarctic winter darkness, trapped in the Weddell Sea, 27th August 1915.

 

 

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Samson, the largest of the dogs at his kennel / dogloo

 

 

 

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

1st November 1915. The Endurance lies crushed, still above the ice, though shortly to sink. 28 men led by Ernest Shackleton are left in the middle of the Weddell Sea.

 

 

 

 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

The Endurance leaning to port, 19th October 1915, the ship righted herself again after this.

 

 

 

TUTTI SALVI

 

Spedizione Endurance 

 

immagine di pubblico dominio via Wikipedia

 

https://www.google.it/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fit.wikipedia.org%2Fwiki%2FSpedizione_Endurance&psig=AOvVaw1dsuKSILDDPOxcMefD0MYt&ust=1691597377844000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBIQjhxqFwoTCJjvirm5zYADFQAAAAAdAAAAABAQ

"All Safe, All Well", allegedly depicting Shackleton's return to Elephant Island, August 1916. A photograph of the departure of the James Caird in April was doctored by photographer Frank Hurley to create this image.

 

 

 

 

(Wikipedia)

Fotografia del relitto dell’ENDURANCE ritrovato nel 2022             

 

 

 

(Wikipedia)

Sir Ernest H. Shackleton, British arctic explorer who participated in R. Scott's Antarctic expedition between 1901 and 1904, and was himself the leader of several expeditions. In 1907-09 he reached 88° 23' latitude South.

 

(Wikipedia)

Shackleton's wife, Emily Dorman 

 

 

 

 

(Wikipedia)

South Pole party: Frank Wild, Shackleton, Eric Marshall and Jameson Adams 

 

 

 

 

 

 

Wikipedia

Shackleton statue by C.S. Jagger outside the Royal Geographical Society 

 

 

 

 

 

 

Wikipedia

Amundsen, Shackleton and Peary  in 1913

 

 

 

 

 

Wikipedia

Some assets from Sodacan, Fenn-0-maniC. Pre-1935 OBE medal, mantling, poplar tree, lozengy buckles, motto scroll by me.

 

 

 

 

  Wikipedia

 

La tomba di Shackleton a Grytviken

 

Museo ENDURANCE SHACKLETON- LONDRA

https://www.google.it/search?q=Museo+endurance+shackleton+Londra&source=lmns&bih=1588&biw=1530&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiA5KyU28CAAxUDg_0HHRoWB7QQ0pQJKAB6BAgBEAI

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 13 Agosto 2023

 


Genova, 10 Dicembre 1972 - IL M/T ESPRESSO SARDEGNA SPERONA E AFFONDA IL RIMORCHIATORE LIBANO

 

GENOVA, 10 DICEMBRE 1972

IL TRAGHETTO RO-RO “ESPRESSO SARDEGNA” SPERONA ED AFFONDA IL RIMORCHIATORE PORTUALE LIBANO

MORI’ IL MOTORISTA LUIGI MARTINO

 

 

 

 

N.B. La carta nautica che ho usato per spiegare la dinamica dell’incidente non è quella del 1972. Ho scelto invece la più moderna in commercio che rappresenta esattamente la posizione della collisione di cui ci occupiamo oggi. In essa, infatti, non si evidenzia correttamente il “Taglio della Canzio” (oggi chiamato “taglio Calata G.Bettolo”) che al momento dell’incidente aveva una larghezza molto inferiore. All’epoca, il passaggio che ho segnato con una X, era uno dei punti più stretti e pericolosi del Porto.

 

 

LA DINAMICA DELL’INCIDENTE

 

 

ESPRESSO SARDEGNA IN MANOVRA

Come si può notare dalla foto, quando lo scafo del traghetto “acchiappava il vento di tramontana” al traverso, poteva subire uno scarroccio notevole …

 

Un passo indietro di 50 anni ...

La nave in entrata nel porto di Genova che era diretta a ponente verso il Bacino della Lanterna, in presenza del Vento di Tramontana era costretta a compiere, ad una velocità sostenuta, un’accentuata curva a Nord per “guadagnare acqua”. Più la TRAMONTANA era forte, più la nave doveva risalire il vento; infatti, nella fase finale della curva, l’avrebbe preso al traverso facendola scarrocciare pericolosamente verso la Diga Foranea.

Quando L’ESPRESSO SARDEGNA s’avvicinò all’imboccatura del Porto di Genova era notte e la Tramontana soffiava gagliarda! Ma i Servizi Portuali (Piloti, Rimorchiatori, Ormeggiatori) conoscono da sempre tutte le insidie di quella manovra e mai, nella storia del Porto, una nave è finita sulla diga a causa del vento di casa.

Adriano Maccario, l’esperto pilota portuale che dirigeva la manovra d’entrata dell’E.SARDEGNA, era sicuramente in contatto radio con il Comandante Arcangelo Ansaldo del rimorchiatore LIBANO e, vista la forza del vento gli avrà pure detto: “Attaccami dopo il Taglio ora non posso rallentare la velocità…”.

Non si è mai capito esattamente il motivo per cui il LIBANO sia stato travolto e affondato, ma si può supporre che il rimorchiatore anch’esso soggetto allo scarroccio causato dal vento, abbia ritardato nel portarsi in una posizione di sicurezza rispetto alla rotta della nave, forse a causa della ritardata risposta del motore? Purtroppo nell’incidente l’unica vittima fu proprio il motorista Luigi Martino che si trovava in sala macchine in quel momento.

In questi casi le inchieste che si susseguono negli anni finiscono nel silenzio… insieme alle eventuali responsabilità e ciò che rimane è la tristezza per la morte di quel povero giovane che perse la vita sul lavoro durante una manovra, che per la verità era considerata “routine” nell’ambiente.

Luigi Martino, 36 anni, era un motorista esperto e molto affidabile, ricordo che ogni Direttore di Macchina lo richiedeva per i viaggi in Altura. Chi scrive lo ebbe tra il suo equipaggio in viaggi molto impegnativi.

 

RIMORCHIATORE LIBANO

Un po’ di Storia ...

 

 

ZARA (1949-1954) / poi rinominato LIBANO (1954-1973)

1955, agosto, rimotorizzato con 1 motore Diesel, 4T 6 cilindri, IHP 430, costruito da Klocher Humboldt Deutz, colonia 1972. 10 dicembre, affonda per collisione con la motonave ESPRESSO SARDEGNA tra la diga foranea e calata Bettolo con una vittima. In seguito recuperato e posto in disarmo. 1973, 8 agosto, venduto a impresa Lavori Portuali e Costruzioni Ing. Colombo e C. S.PA., Roma, rinominato COLUMBUS. 1986, venduto a Delfino S.p.A., Palermo. 1990, 1 giugno, classe decaduta. 1993, cancellato dal registro. In seguito demolito.

 

INDIA-ISTRIA-PANAMA

 

COMMENTO: Nel 1972 la Flotta dei Rimorchiatori Riuniti di Genova era in fase di rinnovamento, aveva già in linea, da circa quattro anni, i tre celebri rimorchiatori Voith Schneider - INDIA-ISTRIA-PANAMA, chiamati “rotori”, che erano dotati di una manovrabilità eccezionale. Tutt’oggi sono ancora brillantemente in servizio in alcuni porti del Mediterraneo.

Il LIBANO era tra i più antiquati  della Flotta RR e difficile da manovrare. La ruota del timone (a frenelli di catena) era durissima da girare e ritornava al “centro” autonomamente ad una velocità pazzesca. Ricordo alcuni incidenti che subirono alle braccia alcuni Comandanti in servizio su quel bordo …

ESPRESSO SARDEGNA

Armatore: Traghetti del Mediterraneo - Gruppo Magliveras

La Traghetti del Mediterraneo era una compagnia di navigazione italiana, pioniera dei trasporti con navi ro-ro in Italia. Fondata il 9 dicembre 1965 dagli armatori Marsano, Magliveras e Monta, cessò le proprie attività nel 1981. Proprio nel 1981 la compagnia diede il via a una lunga serie di contenziosi legali nei confronti delle sovvenzioni concesse dall'Italia alla statale Tirrenia di Navigazione, che continuarono nei decenni successivi alla chiusura della Traghetti del Mediterraneo.

CARATTERISTICHE

Bandiera: Italiana

Costruzione:1967

Stazza lorda: 1995 / 3.431 (dopo allungamento)

Capacità: 60 semirimorchi da 40 piedi

Anni di Servizio: 1967-1981

Naufragata nel 1973, recuperata e rimessa in servizio nel 1976 
venduta nel 1981 alla SIBA come Siba Brescia.

 

 

Il 24 febbraio 1973 l'Espresso Sardegna, in navigazione da Genova a Palermo in condizioni meteomarine avverse, si sbandò a seguito di uno spostamento del carico e si rovesciò a ridosso dell’isola di Gorgona, dove era stata rimorchiata dalla compagna di flotta Espresso Sicilia. I 28 membri dell'equipaggio e i 7 autisti presenti a bordo furono tutti tratti in salvo; le operazioni di recupero furono affidate alla ditta specializzata francese Serra e si protrassero fino a luglio 1975. La nave fu in seguito rimorchiata a Genova e rimessa in efficienza, venendo anche allungata di 12 metri; la stessa operazione di allungamento fu effettuata anche su Espresso Sicilia ed Espresso Toscana.

Ho conservato l’articolo del giornale L’UNITA’ che vi propongo in lettura:

 

 

Destino volle che soltanto 2 mesi e 14 giorni dopo …. il Ro-Ro ESPRESSO SARDEGNA subisse lo stesso destino del Rr. LIBANO

ESPRESSO SARDEGNA

OPERAZIONE RECUPERO E RIMORCHIO

Il traghetto Ro-Ro si capovolge e cola a picco a levante dell’isola Gorgona

https://www.marenostrumrapallo.it/espresso-sardegna/

 

Carlo GATTI

Rapallo, 23 Maggio 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nave Passeggeri ANCONA SILURATA Al largo della Sardegna - 7 novembre 1915

Nave Passeggeri ANCONA SILURATA

Al largo della Sardegna - 7 novembre 1915

 

Il transatlantico italiano ANCONA

 

 

MANIFESTO PUBBLICITARIO, ca 1899 - ante 1917

 

di Aleardo Terzi

1870/ 1943

Italia Società di Navigazione a Vapore

Nave a vapore in navigazione

Bandiera nautica ripartita in quattro

La Battaglia dell’Atlantico (1914-1918) fu intrapresa in maniera intermittente dalla Germania tra il 1915 e il 1918 contro il Regno Unito e i suoi Alleati.

 

Il 7 maggio del 1915, l’U-boot U-20 tedesco aveva affondato il transatlantico inglese RMS Lusitania (Cunard Line) presso la costa irlandese. Delle 1.195 vittime, 123 erano civili americani. Nessuna tragedia dei mari e nessun episodio di guerra navale ebbero mai una risonanza e delle conseguenze mondiali così determinanti per l’intera umanità. Intorno alla fine di questo transatlantico, enorme e lussuoso, chiamato “il levriere dei mari”, divamparono le polemiche e si addensarono i misteri. Questo evento fece rivolgere l’opinione pubblica americana contro la Germania, e fu uno dei fattori principali dell’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli alleati durante la Grande Guerra, intervento che fu decisivo per la sconfitta della Germania.

 

 

IL QUADRO STORICO

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è riconducibile alla data del 28 giugno 1914, quando un irredentista bosniaco, Gavrilo Princip, attentò alla vita dell'arciduca d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e della moglie, che si erano recati in visita a Sarajevo in occasione di una parata militare. Durante questo attentato i due consorti morirono. La situazione si fece incandescente e l'Austria-Ungheria chiese di svolgere delle indagini accurate in territorio serbo, dando quindi alla Serbia un ultimatum. Di fronte al rifiuto della Serbia per delle indagini in territorio nazionale, il 28 luglio 1914 l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, avendo l'appoggio - nel corso del conflitto - della Germania. Si affermarono due alleanze che segnarono le sorti del conflitto: la TRIPLICE ALLEANZA  tra Austria, Germania e Italia ( che però decise di dichiararsi neutrale) e la TRIPLICE INTESA tra Francia, Gran Bretagna e Russia.

 

TRIPLICE ALLEANZA tra Austria, Germania e Italia (che però decise di dichiararsi neutrale) e la TRIPLICE INTESA tra Francia, Gran Bretagna e Russia.

 

La guerra sul mare tra Gran Bretagna e Impero Tedesco fu anche una guerra economica. Il blocco navale britannico strinse la Germania in una morsa implacabile, strozzando le importazioni di materie prime e di generi alimentari. I tedeschi furono i primi a sfruttare le grandi potenzialità dei nuovi mezzi sottomarini: gli U-Boot. I tedeschi attaccavano le navi mercantili, anche di paesi neutrali, che portavano rifornimenti verso i porti dell'Intesa. Si trattò di un'arma molto efficace, che sollevò però gravi problemi politici e morali urtando in modo particolare gli interessi economici degli Stati Uniti.

 

Viene così attuata La guerra sottomarina indiscriminata.

Di cosa parliamo? Di un tipo di GUERRA NAVALE nella quale i sottomarini affondano senza preavviso navi mercantili. Poiché i sottomarini hanno una maggiore probabilità sia di distruggere il bersaglio sia di sopravvivere ai propri cacciatori, molti considerano la guerra sottomarina illimitata una sostanziale violazione delle convenzioni belliche, specialmente quando viene attuata contro navi di Paesi Neutrali in zona di guerra. D'altronde, qualora un sommergibile attaccante rispettasse la convenzione, cioè venisse a galla, intimando a un mercantile di fermarsi, il mercantile avrebbe molte più probabilità di affondarlo con colpi di pezzi di artiglieria nascosti o semplicemente di speronarlo.

 

LA PERDITA DELL’ANCONA rientra in questo tragico “quadro militare” che, come riportiamo sotto, porterà a registrare “statistiche relative ad affondamenti” sicuramente agghiaccianti in favore della Germania:

Il grande piroscafo italiano fu colato a picco dal siluro di un sottomarino tedesco al largo dell’isola di Marettimo.

 

 

Altri moderni transatlantici furono silurati nei mesi e negli anni successivi: il «Verona», il «Napoli», il «San Guglielmo», lo «Stampalia», il «Regina Elena», il «Principe Umberto», il «Duca di Genova». In cifre assolute, su 1.542 mila tonnellate di naviglio mercantile possedute al 30 giugno 1915 furono perduti 241 piroscafi per 716 mila tonnellate lorde, oltre 425 velieri per 104 mila tonnellate nette. Includendo anche le perdite per sinistri normali o non precisamente accertate, e le perdite di guerra precedenti la nostra entrata in conflitto, la flotta mercantile italiana denunciò il 4 novembre 1918 la perdita di oltre un milione di tonnellate lorde di naviglio, alle quali fecero compenso appena 178 mila tonnellate di navi costruite nei nostri cantieri e 73 mila tonnellate di navi acquistate all'estero.

 

 

Il 7 novembre 1915 venne silurata e affondata da un sottomarino austriaco al largo della Sardegna mentre trasportava 496 persone, delle quali 160 morirono.

La nave Ancona (foto sopra) fu costruita nel 1907 nei cantieri navali di Belfast, nell’Irlanda del Nord, per la Italia Società di Navigazione a Vapore.

Stazza Lorda: 8.188 tonn.

Lunghezza: 147 metri 

Larghezza: 18.

Velocità: 16 nodi

Capacità Passeggeri: 2.560 passeggeri, di cui 60 in prima classe e 2.500 in terza.

Aveva un solo fumaiolo e due alberi.

Completato nel febbraio dell'anno successivo, salpò da Genova per il suo viaggio inaugurale il 26 marzo 1908.

Fu messo sulla rotta transoceanica Genova-Filadelfia, con scalo a Napoli, Palermo e New York trasportando migliaia di emigranti dall'Italia agli Stati Uniti d'America.

IL NAUFRAGIO DELL’ANCONA        

Quando l’Italia, entrata ormai nella Prima guerra mondiale con l’INTESA, la nave passeggeri italiana ANCONA salpava da Napoli, era il 6 novembre 1915. Dopo una sosta nel porto di Messina per imbarcare altri emigranti, fece rotta per Gibilterra con destinazione New York con 446 persone e 163 membri dell'equipaggio.

 

 

La freccia rossa indica approssimativamente la posizione del relitto

 

La posizione esatta dell’affondamento è stata trovata consultando il libro di bordo del co­mandante Max Valentiner in cui erano riportate le coordinate del punto in cui avvenne il siluramento.

Il pirosca­fo si trova a 471 metri di profondità, in acque internazionali, tra la Sardegna, la Sicilia e la Tunisia: circa 90 miglia marine a ovest di Marettimo e 60 miglia a nordest di Bizerta.

 

La mattina dell’8 novembre quando la nave si trovava in allontanamento dalla Sicilia, nella posizione indicata dalla freccia rossa posta sulla cartina riportata sopra, fu avvistato dal sottomarino tedesco SM U-38 (battente bandiera austroungarica) il quale senza alcun segnale di preavviso iniziò a sparare numerosi colpi di cannone contro l’ANCONA che, per i danni subiti, fu costretta a diminuire notevolmente la velocità. Di questa situazione favorevole per la “mira” ne approfitto subito il sottomarino tedesco che lanciò un siluro che colpì il mascone di prua della nave italiana.

Immediatamente il Comandante diede ordine di ammainare le prime lance di salvataggio che, a causa dell’abbrivo ancora importante della nave, si rovesciarono durante la manovra, furono investite dalle onde e i passeggeri caddero in mare. Tutti coloro che non riuscirono ad abbandonare la nave morirono.

Da alcune testimonianze riportiamo:

I naufraghi, soccorsi da varie imbarcazioni tra le quali il posamine francese Pluton, furono portati a Biserta, Malta e Ferryville. Una scialuppa con a bordo 13 naufraghi privi di vita dell'Ancona fu rinvenuta sulle coste dell'isola di Marettimo il 17 novembre. Complessivamente si contarono 206 morti, in maggior parte donne e bambini. Tra le vittime si contarono anche una decina di cittadini statunitensi. Ci furono anche tredici sventurati giunti in una scialuppa e morti successivamente fra gli scogli di Marettimo a Cala Galera, trovati il 17 Novembre 2015. Quel luogo fu appellato dai marettimari come località “Omo morto”.

 

CONTRACCOLPI  POLITICI

Il precedente siluramento del transatlantico LUSITANIA, avvenuto in acque irlandesi sei mesi prima dell’affondamento dell’ANCONA, non fece che aumentare lo sdegno e l’esecrazione degli americani per quel tipo di guerra sottomarina senza restrizioni dichiarata ed applicata dagli IMPERI CENTRALI.

Robert Lansing, all’epoca Segretario di Stato-USA, fece pervenire una forte protesta a Vienna. L’Austria ammise che il Comandante Max Valentiner, l’affondatore dell’Ancona, aveva interpretato erroneamente gli ordini ricevuti, non solo, ma che aveva scambiato la nave italiana per una nave da guerra precisando anche che l’U-38 aveva sparato 16 proiettili e non 100 come dichiarato dalle autorità italiane. Vienna aggiunse altresì che: l'alto numero di vittime era dovuto al rovesciamento delle scialuppe, colpa non di un'azione austriaca, ma del fatto che erano state calate mentre il piroscafo era in movimento.

Gli Stati Uniti ritennero insoddisfacenti le motivazioni austro-ungariche e nel dicembre 1915 chiesero al governo austriaco di denunciare l'affondamento e punire il comandante dell'U-Boot responsabile”.

La Germania, allora preoccupata di mantenere la neutralità americana, consigliò Vienna di acconsentire alle richieste statunitensi, alla fine Vienna accettò di pagare un indennizzo e assicurò a Washington che il comandante dell'U-Boot sarebbe stato punito, anche se questa promessa non avrebbe avuto esito, dal momento che era un ufficiale tedesco. La vicenda si concluse con la richiesta del governo austro-ungarico chiese che i sottomarini tedeschi si astenessero dall'attaccare le navi passeggeri mentre battevano bandiera austriaca. La decisione della Germania nell'aprile 1916 fu quella di sospendere la guerra sottomarina senza restrizioni ponendo fine al dibattito.

 

 

SI APRE UN ALTRO FRONTE

 

Tuttavia sul caso ANCONA emerse ben presto un altro consistente fattore d’instabilità economica che interessava chi doveva recuperare una dozzina di casse d’oro che trasportava il piroscafo armato dalla società di Navigazione Italia di Genova e comandato dal capitano Pietro Massardo, che tuttora giace a 500 metri di profondità in acque internazionali, tra la Sardegna e la Sicilia.

IL GIALLO - A cosa serviva quel tesoro? Il Governo ita­liano dice che si trattava di regolari “pa­gamenti tra banche”. Due giornalisti d’inchiesta, Enrico Cappelletti e Vito Tar­tamella, sostennero in seguito che quei soldi servivano ad altro. E, precisamente, a pagare agli americani armi, cavalli e biada. Siamo nel 1915. L’Italia, pur essendo alleata di Austria e Germania, avvia trattative segrete con Inghilterra e Francia per rientrate in possesso di Istria e Trentino.

Quelle ar­mi servono forse per prepararsi al conflitto? Lo si capisce ben presto il 23 maggio 1915, quando l’Italia dichiarerà guerra all’Austria.

Qua­si un secolo dopo, la posizione ufficiale del Governo è che quei soldi sarebbero serviti ai pagamenti per la partecipazio­ne dell’Italia all’Expo del 1915 a San Francisco. Qualunque sia il motivo della loro pre­senza su quel piroscafo, quelle dodici casse d’oro — che oggi valgono 50 milio­ni di euro — giacciono in fondo al mare e restano lì in pace fino al 1985, quando la Comex, società con sede a Marsiglia, scopre il relitto dell’Ancona.  

 

A questo punto, al fine di capirci qualcosa di più, ci affidiamo al racconto di

FOCUS

 

l tesoro della nave Ancona può attendere. Il piroscafo, affondato nel 1915 da un sommergibile tedesco mentre trasportava 496 passeggeri e una tonnellata d’oro (valore: da 22 a 48 milioni di euro), resterà ancora a lungo nei fondali del Tirreno.

 
[Vito Tartamella, 4 febbraio 2010]



Nel 2007 una società statunitense, la Odyssey Marine Exploration, aveva depositato al Tribunale di Tampa (Usa) una richiesta per impossessarsi del relitto, che giace in acque internazionali a 471 metri di profondità.

 
Dopo un contenzioso legale di 3 anni con il governo italiano, lo scorso 6 gennaio il Tribunale statunitense ha congelato il caso: non si è pronunciato sulla titolarità del relitto, ma ha deciso che la Odyssey, se vorrà tentarne il recupero, dovrà avvisare le autorità italiane con almeno 45 giorni d’anticipo. Un’ipotesi, comunque, remota: nell’ordinanza è scritto nero su bianco che la Odyssey «non prevede nell’immediato di farlo». Dunque, il caso resta chiuso a tempo indeterminato.


Un colpo di scena per molti versi inspiegabile: nel 2007 la Odyssey aveva depositato al Tribunale di Tampa una tazza griffata
“SOCIETA’ DI NAVIGAZIONE A VAPORE ITALIA” (la compagnia dell’Ancona) recuperata dal relitto usando “Zeus”, uno dei suoi robot subacquei. E aveva annunciato agli investitori (la Odyssey è quotata al Nasdaq) un possibile introito tra i 20 e i 60 milioni di dollari: quand’anche la nave fosse stata considerata appartenente all’Italia, la Odyssey contava comunque di incassare dal 10 al 25% del valore del tesoro recuperato. 

 

Il mistero si infittisce


Ora, però, tutto rimane congelato, con buona pace della stessa Odyssey. Che, interpellata da Focus, ribadisce il proprio interesse per il relitto dell’
Ancona ma si dice «impegnata su altri fronti, come il recupero della scatola nera dell’aereo delle Ethiopian Airlines, precipitato al largo di Beirut». 
Eppure, l’incidente aereo è avvenuto il 25 gennaio scorso: 19 giorni dopo la sentenza in cui la stessa Odyssey affermava, appunto, di non programmare un ritorno immediato al relitto dell’
Ancona

 

La nostra inchiesta

 

Perché questo cambio di rotta? Contattato da Focus, il ministero degli Esteri (Direzione generale per la promozione culturale) preferisce non rilasciare commenti «vista la delicatezza della questione».
Ma Tullio Scovazzi, professore di diritto internazionale all’Università Milano-Bicocca, nonché consulente del ministero sul caso Ancona fino al 2009, parla esplicitamente di «vittoria per l’Italia: questa ordinanza evita il saccheggio del relitto».

 
Dunque, il caso è chiuso? «Per adesso sì» risponde Scovazzi. «Oltre alla Odyssey, nessun altro si è fatto vivo per reclamare la titolarità del relitto, che si trova in acque internazionali. A nostro avviso, il relitto è da considerarsi intoccabile da chiunque in quanto cimitero di guerra (nell’affondamento morirono
159 persone, ndr). Ma se la Odyssey dovesse decidere di tornare a recuperarlo, dovrebbe comunque fare i conti con l’Italia e con le ulteriori decisioni del Tribunale di Tampa, che dovrà riaprire il caso».

 

 

Guerra sottomarina


I primi a individuare il relitto erano stati in realtà i francesi della società Comex, nel 1986. E, da allora, come ha rivelato l’inchiesta di Focus pubblicata nel 2009 (sul n° 201), altre 3 società britanniche avevano tentato di accedere clandestinamente al relitto, usando benne sottomarine ed esplosivo, ma col solo risultato di danneggiare il piroscafo.

 
«Che la nave trasportasse un tesoro è tutto da dimostrare» obietta il professor Scovazzi.

«Forse interessano di più gli oggetti d’epoca che si possono trovare a bordo». 


Relitto maledetto?

 

Ma l’oro dell’Ancona sembra ben più che una leggenda, visto che ha impegnato varie società in costose (quanto maldestre) missioni di recupero. «I documenti dell’epoca, in mio possesso, provano che l’Ancona trasportava 12 casse d’oro» conferma Enrico Cappelletti, ricercatore ed esperto di relitti. «Era il pagamento agli Usa per un carico di armi che il governo italiano aveva acquistato in segreto, per combattere l’Austria. Tant’è vero che la somma, 133mila sovrane d’oro stivate in 12 casse, era scortata dal segretario del ministero dell’Agricoltura, Ettore Spiaccacci. Il problema, semmai, è capire in quale punto dell’Ancona le avesse fatte nascondere il comandante della nave, Pietro Massardo».

 

Caccia al tesoro

E forse proprio qui sta la chiave dello stallo inatteso. A Focus, la Odyssey ribadisce che il proprio interesse legale verso l’Ancona «è ormai assicurato». Aggiungendo che «le nostre ricerche, tuttora in corso, dovrebbero aiutarci ad avere più dettagli sul carico a bordo dell’Ancona, per darci preziose informazioni che guideranno i nostri sforzi quando decideremo di tornare sul posto».
Un progetto, questo, che sembra comunque non interessare al governo italiano, conferma Scovazzi: «L’obiettivo dell’Italia è sempre stato quello di lasciare il relitto al suo posto». Col suo carico di tesori e di misteri.

 

RICERCA SULLA CARRIERA DEL SOTTOMARINO U-38

(Classe-Type: U-31)

 

 

Capitano Max Valentiner

Dicembre 1915 affondamento ANCONA

In Navigazione da New York to Italy

 

 

 

 

Kplt. Max VALENTINER

 

Fu il comandante dell’U-38

Dal 5 Dicembre 1914 – al 15 Settembre 1917

Il capitano Christian August Max Ahlmann Valentiner - comandante di sottomarino tedesco durante la prima guerra mondiale. Fu il terzo comandante di sottomarino della guerra con il punteggio più alto e fu insignito del Pour le Mérite per i suoi successi.

 

Wilhelm CANARIS

16 September – 15 November 1917

 

Wilhelm Franz Canaris (Aplerbeck, 1º gennaio 1887 – Flossenbürg, 9 aprile 1945) è stato un ammiraglio tedesco, a comando dell'Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, dal 1935 al 1944.

 

Naviglio affondato dal SM U-38

(Un terribile RECORD)

134 merchant ships sunk 

(287,811 Grt)

1 warship sunk 

(680 tons)

4 auxiliary warships sunk 

(4,643 Grt )

7 merchant ships damaged 

(29,821 Grt )

1 warship damaged 

(10,850 tons)

1 auxiliary warship damaged 

(3,848 Grt )

3 merchant ships taken as prize 
(3,550 Grt )

 

 

SM  U-38 - Caratteristiche

   

Varato

9 September 1914

Class and type

German Type U 31 submarine

 

Displacement

·685 t (674 long tons) (surfaced)

·878 t (864 long tons) (submerged)

 

Length

·64.70 m (212 ft 3 in) (o/a)

·52.36 m (171 ft 9 in) (pressure hull)

 

Beam

·6.32 m (20 ft 9 in) (o/a)

·4.05 m (13 ft 3 in) (pressure hull)

 

Draught

3.56 m (11 ft 8 in)

 

Installed power

·2 × 1,850 PS (1,361 kW; 1,825 shpdiesel engines

·2 × 1,200 PS (883 kW; 1,184 shp) Doppelmodyn

 

Propulsion

·2 × shafts

·2 × 1.60 m (5 ft 3 in) propellers

 

Speed

·16.4 knots (30.4 km/h; 18.9 mph) (surfaced)

·9.7 knots (18.0 km/h; 11.2 mph) (submerged)

 

Range

·8,790 nmi (16,280 km; 10,120 mi) at 8 knots (15 km/h; 9.2 mph) (surfaced)

·80 nmi (150 km; 92 mi) at 5 knots (9.3 km/h; 5.8 mph) (submerged)

 

Test depth

50 m (164 ft 1 in)

 

Boats & landing
craft carried

1 dinghy

 

Complement

4 officers, 31 enlisted

 

Armament

·four 50 cm (20 in) torpedo tubes (2 each bow and stern)

·6 torpedoes

·one 8.8 cm (3.5 in) SK L/30 deck gun10.5 cm (4.1 in) SK L/45 from 1916/17)

CARLO GATTI

Rapallo, 18 Aprile 2023 

 

 

 

 

 

 

 

 


16 MARZO 1951 - LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI

 

16 MARZO 1951 - LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI

 

 

Petroliera MONTALLEGRO: Armatore CAMELI

La società “Carlo Cameli & C.” viene fondata nel Luglio 1927 a Genova, si presentava all’inizio del secondo conflitto mondiale forte di una flotta di cinque motocisterne per oltre 13.000 tsl.

Alla fine del secondo conflitto mondiale, la flotta versava in una situazione catastrofica avendo perduto praticamente la totalità del suo tonnellaggio d’anteguerra ma a seguito di un programma di ricostruzione del naviglio sociale efficiente ed ambizioso, già nel 1953, la società poteva contare su un tonnellaggio leggermente superiore a quello dal 1940, circa 13.665 tsl. L’aliquota maggiore del nuovo tonnellaggio societario era rappresentato dalla T2 Montallegro (ex Crater Lake), la quale ebbe una vita molto avventurosa nel secondo dopoguerra, esplosa in due tronconi mentre era sotto discarica nel porto di Napoli nel 1951, venne riparata e continuò a navigare fino al 1965.

Tra le altre società satellite che il Gruppo controllava è opportuno citare la “Navigazione Toscana S.p.A.” che esercitava le linee da e per l’Arcipelago Toscano (Linea 81, 82, 82 bis, 83, 84), anch’essa duramente colpita dagli eventi bellici che la videro perdere il suo intero tonnellaggio ammontante a circa 4000 tsl.

Nel primo dopoguerra si dotò di due ex corvette della U.s. Navy riadattate al servizio passeggeri (PortoAzzurro e Portoferraio) e della motonave Pola, acquistata nel 1953.

 

Filmato dell’incidente registrato nel porto di Napoli

 

 

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000018848/2/esplosione-petroliera-nel-porto-napoli.html&jsonVal=

 

 

La lettura di questo articolo mi trasmette anche tanta tristezza nel vedere elencati tutti i nomi e cognomi dei “politici” intervenuti alla cerimonia funebre mentre sono stati del tutto ignorati quelli delle vittime. La mia ricerca di quei nomi e cognomi è stata vana quanto inutile!

 

IL NOME DELLA NAVE

Quando una nave porta il nome: “MONTALLEGRO”, ai RAPALLINI s’illuminano gli occhi, ed il loro sguardo si rivolge al santuario della Madonna di Montallegro che svetta a 612 mt. sul golfo Tigullio e che da almeno cinquecento anni i marinai e non solo loro, si sentono protetti da quel che ritengono uno scudo spirituale celeste testimoniato da centinaia e forse migliaia di ex voto marinari.

 

Santuario Basilica Nostra Signora di Montallegro (Rapallo)

 

Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro nasce dopo l’Apparizione della Madonna del 2 luglio 1557 al contadino Giovanni Chichizola, nativo della vicina San Giacomo di Canevale; da quel giorno ormai lontano il Tempio, tanto caro alla gente tigullina emana, proprio come un FARO MARITTIMO, una forte luce diuturna per migliaia di naviganti che prima o poi lassù salgono in pellegrinaggio per pregare e lasciare una testimonianza di fede alla Madonna: un voto per GRAZIA Ricevuta durante il passaggio di un viaggio nell’inferno di CAPO HORN; ne abbiamo le testimonianze: tre velieri su cinque erano disalberati dai venti ruggenti e urlanti di quelle latitudini e si perdevano nei gelidi abissi dell’emisfero australe.

Tavolette, dipinti rustici, cuori argentati, grucce, vecchi fucili, proiettili, bombe a mano e molti altri attrezzi marinareschi ancora salati: pezzi di salvagente, di cimette e bozzelli che oggi sono scatti fotografici che fermano il tempo e ci rendono partecipi di quei tragici momenti sofferti dalla gente di mare. Testimonianze che nell’assumere valore religioso, esprimono la fede, la speranza di salvezza e di protezione, ma sono anche l’espressione di una gratitudine profonda ed indicibile.

Il sottile filo del tempo corre dalla preistoria fino ai giorni nostri unendo questi figli del mare immersi in tutte le attività ad esso collegate. Marinai che dopo aver affrontato bonacce insidiose e tempeste estremamente pericolose, combattevano spesso a mani nude contro i frequenti attacchi dei pirati barbareschi che li depredavano, li sequestravano e li tenevano prigionieri nelle loro cale barbaresche in attesa del riscatto che veniva concordato con il “Magistrato genovese del riscatto degli schiavi”.

Dalle avventure di tal genere nascono spontanei gli ex voto raccolti a Montallegro e nei santuari mariani della nostra riviera, quale atto di devozione e di gratitudine per lo scampato pericolo, ma anche come manifestazione di religiosità, di quel senso spirituale che ogni uomo ha radicato in sé e che si estrinseca nei momenti difficili della vita.

 

 

La petroliera Montallegro stava facendo lavori di manutenzione nel porto di Napoli, era quindi “vacante” (vuota di carico).

Era il 16 marzo 1951. Come visto nel filmato, l’esplosione a poppavia divise la nave in due tronconi, seguita da un pericoloso quanto esteso incendio che costrinse le navi ormeggiate vicino al disastro ad allontanarsi in estrema emergenza.

La parte prodiera rimase a galla. La parte poppiera, contenete il “locale pompe”, caldaie, turbine ed il motore della nave affondò precipitando sul fondale.

A bordo c’erano 150 operai. 6 furono i morti e 51 i feriti.

Tra le vittime c’erano l’Ingegnere di fiducia dell’armatore Cameli e l’Allievo di coperta della Montallegro che, al momento dello scoppio si trovavano vicini alla cisterna esplosa.

Le salme furono trovate fuori bordo a parecchi metri di distanza dalla Montallegro, le altre vittime erano operai del Cantiere.

 

LA CAUSA

Si seppe in seguito che la cisterna responsabile era la n.9 centrale. Nell’ambiente intanto circolava insistentemente il “rumor” che sul fondo della cisterna c’erano residui del carico precedente che esalavano gas. Un estrattore d’aria, usato per arieggiare la cisterna, era difettoso e aveva prodotto la scintilla di innesco della miscela esplosiva di gas e aria esistente nella cisterna.

Il grande incendio era dovuto all’innesco dei gas ancora presenti in cisterna. Il concetto tecnico che definisce la causa più probabile del disastro sarebbe questo:

“la cisterna non era correttamente GAS FREE”

Sulle petroliere sono stati richiesti sistemi a gas inerte a partire dai regolamenti SOLAS del 1974.

L’Armatore Carlo Cameli, sentiti i periti del RINA (Registro Navale Italiano) e dello ABS (American Bureau of Shipping) decise di recuperare e riparare la nave.

Riporto uno stralcio dell’articolo scritto dall’Allievo di coperta Dino Bolla di Savona, che alla fine degli anni ’60 conobbi come ufficiale sui Rimorchiatori d’Altura di Genova. Una bella persona che raggiunse il Comando e fece una brillante carriera.

“Mentre aspettavamo che il cantiere finisse i lavori, assistevo ai lavori degli operai in coperta, senza disturbarli; io mi tenevo in disparte e non parlavo. Ma, ogni tanto, qualcuno mi diceva, come se non lo sapessi, che il mio predecessore aveva fatto una brutta fine. Ribattevo che con operai a bordo sarei stato molto attento. C’erano anche quelli che mi dicevano che, con mare agitato, le saldature che collegavano i due pezzi di scafo potevano rompersi; ribattevo che i Periti del RINA e del ABS, con i quali ero in buoni rapporti (ed era vero), mi avevano detto che la nave era più robusta di prima, perché avevano fatto aumentare il numero di strisce longitudinali di rinforzo, in acciaio, sulle saldature che univano i due pezzi dello scafo.

…. Venne presto il giorno della partenza. Il primo viaggio fu da Napoli, in zavorra, a Ras Tanura, nel Golfo Persico, per caricare crude oil. Prevista prosecuzione per Swansea, UK, per scaricare. A bordo tutto funzionava come se la MONTALLEGRO  fosse nuova.”

Riporto integralmente l’articolo di Dino Bolla perché ritengo sia prezioso per il lettore e, soprattutto per i giovani che si avvicinano oggi alla vita di mare per comprendere meglio l’atmosfera di bordo del dopoguerra in cui lavorarono e vissero i loro nonni.

LA PETROLIERA MONTALLEGRO

https://docplayer.it/docview/40/21087833/#file=/storage/40/21087833/21087833.pdf

 

 

LA M/N MONTALLEGRO ERA UN T/2 – USA

 

 

UN PO’ DI STORIA

Nel 1946 furono offerte all’Armamento italiano importanti possibilità di rinnovamento e di ricostruzione: il provvedimento del Governo in data 20 Agosto 1946 concedeva in particolare agli Armatori di trattenere la valuta estera introitata perché fosse impiegata nell’acquisto di naviglio usato e lo Ship Act degli Stati Uniti consentiva la vendita all’estero di navi residuate di guerra a condizione di particolare favore. Per facilitare l’acquisto delle navi furono stipulati accordi tra il Governo degli Stati Uniti e quello Italiano, per cui il Governo Italiano provvide a comperare in proprio le navi dalla U.S. Marittime Commission e a rivenderle agli armatori secondo un criterio di preferenza in base alle perdite subite. Il prezzo medio di ogni Liberty si aggirava sui 225.000 $. Il Governo Italiano provvide, inoltre a fornire agli Armatori la valuta per il pagamento immediato del 25% del prezzo e al Governo degli Stati Uniti la garanzia per il pagamento del residuo 75% in 20 anni al tasso del 3,50%. Furono così acquisite alla bandiera italiana in tre lotti successivi 95 navi da carico del tipo “Liberty” o similare, di circa 7.600 t.s.l. e 10.800 t.p.l, 20 navi cisterna del tipo “T/2” di circa 10.400 t.s.l. e 16.600 t.p.l. e otto navi da carico del tipo “N3” di circa 2.000 t.s.l. e 2700 t.p.l.

 

Navi della Reserve Fleet USA ormeggiate in massima sicurezza

 

20 dicembre 1972 - Foce del fiume James (nei pressi di Newport News, Virginia).

Mercantili tipo “Victory” in stato di conservazione nell’ancoraggio della National Defence Reserve Fleet. Entro la fine del decennio saranno tutti avviati alla demolizione.

(Foto U.S. Naval Institute)

 

 “Al primo impatto con quella baia ricoperta di centinaia di Liberty ancorati ed affiancati a rovescio, (prora con poppa), ci venne naturale riflettere su quell’immensa produzione bellica ed alla presunzione di chi ci aveva governato per vent’anni e che non aveva minimamente stimato il patrimonio umano, la ricchezza, le capacità tecniche ed organizzative, di quella potenza economica che era l’America di quel tempo. E ci fu subito un’altra sorpresa: ci aspettavamo, dato il basso costo d’acquisto della nave, d’imbarcare s’un residuato bellico quasi da demolire. Al contrario ci trovammo su un Liberty perfettamente funzionante, in ottimo stato di conservazione, perché era visibile, in ogni suo angolo, l’opera di una manutenzione accurata ed eseguita ogni giorno durante la sosta alla fonda. La nave era provvista di frigoriferi, ampie salette, cabine singole per gli ufficiali e doppie per la bassa forza. La strumentazione nautica: girobussola, radiogoniometro, eco-scandaglio, costituiva una novità assoluta per quell’epoca. Devo dire che tutto il materiale a nostra disposizione sul Liberty era all’avanguardia per quei tempi”.

 

 

Reserve Fleet: Navi “VIctory” – “T/2” ed altre ormeggiate sull’Hudson River

 

 

 

Petroliera T2

 

Immagine di una T/2 in versione militarizzata.

The U.S. Type T2-SE-A1 tanker Hat Creek underway at sea on 16 August 1943.

La petroliera T2 è stata una nave costruita per il trasporto di petrolio e suoi derivati, progettata e realizzata negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. 

La T2 standard aveva le seguenti caratteristiche:

Lunghezza totale:152,9 mt. 

Larghezza massima: 20,7 m.  

Stazza: 8.981 tonnellate 

Portata lorda: 16.104 tonnellate.

Dislocamento totale standard di una T2: si aggirava intorno alle 19.141 tonnellate.

 

Le petroliere T2 avevano per l'epoca delle dimensioni rilevanti, superate solo dalle petroliere T3, che però furono costruite solo in cinque esemplari. 500 furono le T2 costruite tra il 1940 ed il 1945, molte delle quali furono utilizzate per decenni dopo la fine della guerra. Come altre navi realizzate in questo periodo, andarono incontro a problemi di sicurezza: dopo che nel 1952  due T2 - lSS Pendleton e la SS Fort Mercer - andarono perdute a distanza di poche ore spezzandosi in due tronconi (l'equipaggio della Pendleton venne tratto in salvo da una difficilissima e storica operazione condotta dal marinaio Bernard Webber  a bordo di una motovedetta CG 36500), lo U.S. COAST GUARDA MARINE BOARD OF INVESTIGATION dichiarò che queste petroliere erano inclini a spezzarsi in acque fredde, pertanto vennero aggiunte alla struttura della nave delle strisce di acciaio. Le inchieste tecniche attribuirono inizialmente la tendenza delle navi a spezzarsi alle scarse tecniche di saldatura.  In seguito venne stabilito che, durante la guerra, l'acciaio utilizzato per la loro costruzione aveva un contenuto di zolfo troppo elevato, che lo rendeva fragile alle basse temperature.

 

LE ALTRE VERSIONI DELLA T2:

Il progetto della T2 venne formalizzato dalla United States Maritime Commission  come tipologia di petroliera per la Difesa Nazionale di medie dimensioni. La nave veniva costruita per il servizio commerciale ma in caso di conflitto poteva essere utilizzata come nave militare inserita nella flotta ausiliaria. La Commissione si faceva carico della differenza dei costi aggiuntivi dovuti all'inserimento di tutte le caratteristiche necessarie per l'impiego militare della nave e che andavano oltre i normali standard commerciali.

Il modello T2 venne basato su due navi costruite nel 1938-1939 dai cantieri Bethlehem Steel per la Socony-Vacuum Oil Company. Le due navi, Mobifuel e Mobilube, differivano dalle altre navi Mobil principalmente per l'installazione di un motore più potente che poteva garantire una maggiore velocità.

Le sue turbine a vapore fornivano 8.900 KW (12.000 hp) ed azionavano un’elica singola che poteva spingere la nave fino ad una velocità di 16 nodi. 

In totale ne sono state costruite sei utilizzate per l'impiego commerciale presso i cantieri Bethlehem-Sparrows Point Shipyard che avevano sede in Maryland. Subito dopo l'attacco a Pearl Harbor le navi sono state prese in carico dalla U.S. Navy dove vennero riunite nella classe Kennebec.

 

La T2-A

La società Keystone Tankships ordinò nel 1940 la costruzione di cinque cisterne che vennero realizzate presso i cantieri Sun Shipbuilding & Drydock di Chester, Pennsylvania. Erano basate sul progetto delle T2 ma erano più lunghe ed una maggiore capacità di trasporto. La Commissione designò queste navi come T2-A.

Avevano una lunghezza di 160,3 m ed un dislocamento di 20.361 tonnellate. La stazza era di 9.616 tonnellate con una portata lorda di 14.787 tonnellate. Raggiungevano una velocità di 16,5 nodi e furono tutte requisite dalla Marina durante la guerra. Furono trasformate in petroliere per la flotta come classe Mattaponi.

 

 

La T2-SE-A1

Costituiva la tipologia più popolare delle petroliere T2. Questa versione era nata come progetto di una nave destinata all'impiego commerciale. La loro costruzione avvenne a partire dal 1940 presso i cantieri Sun Shipbuilding Company per la Standard Oil Company del New Jersey. Aveva una lunghezza di 159,4 e una larghezza di 20,7 m. La stazza era di 9.478 tonnellate e una portata lorda di 15.071 tonnellate. Il loro sistema di propulsione era turbo-elettrico che forniva 6.000 hp (4.474 kW) all'albero con la potenza massima raggiungibile di 5.400 kW (7.240 hp). La velocità massima era di 15 nodi con una autonomia di 12.600 miglia.

Dopo Pearl Harbor la Commissione ordinò la costruzione in massa di questo modello con il quale rifornire tutte le unità da guerra che allora erano in costruzione.

Ne sono state costruite 481 in un tempo relativamente breve nei cantieri Alabama Drydock and Shipbuilding Company di Mobile, Alabama, i cantieri Swan Island Yard della Kaiser-Company di Portland - Oregon nei cantieri della Marinship Corp di Sausalito - California  e nei cantieri Sun Shipbuilding and Drydock Company di Chester-Pennsylvania. Il tempo medio di costruzione di una di queste navi, dalla posa della chiglia al completamento, era di 70 giorniIl record di velocità di costruzione è stato quello della SS Huntington Hills che era pronta per le prove in mare dopo soli 33 giorni in cantiere.

 

Le T2-SE-A2

Era una versione costruita solo nei cantieri Marinship di Sausalito. Era una copia quasi identica della T2-SE-A1 dalla quale differiva solo per la potenza del motore che era di 7.500 kW (10.000 hp) invece che di 7.240 hp (5.400 kW).

 

La T2-SE-A3 

era una -A2 costruita però fin dall'inizio come rifornitore di flotta piuttosto che modificata per tale compito come molte altre A2.

 

T3-S-A1

La versione T3-S-A1, nonostante la sua denominazione che può creare confusione, venne costruita nei cantieri Bethlehem Sparrows Point per la Standard Oil del New Jersey. Erano identiche alle T2 originali, tranne che per la minore potenza del motore che era di 5.742 kW (7.700 hp). Ne vennero ordinate venticinque unità delle quali cinque furono utilizzate dalla Marina che le riunì nella classe Chiwawa.

Come abbiamo già visto, la petroliera MONTALLEGRO fu acquistata dall’Armatore Carlo CAMELI di Genova. Per chi volesse conoscere meglio la storia di questo Armatore propongo il seguente LINK:

https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-cameli_%28Dizionario-Biografico%29/

 

 

RIFLESSIONE FINALE

Come da consuetudine, durante i lavori di manutenzione annuali, il personale di bordo viene sbarcato per fine contratto, oppure viene mandato in licenza. Fu soltanto per questo motivo che l’equipaggio della MONTALLEGRO può definirsi salvato “P.G.R.” dalle terribili conseguenze di quell’esplosione del 16 marzo 1951.

Tuttavia, in quel giorno infernale per tutta la città di Napoli, non tutto l’equipaggio si salvò. l’Allievo di coperta era presente a bordo insieme all’Ing. fiduciario dell’Armatore. Chissà per quale misteriosa coincidenza del destino, in quel fatidico “momento”, entrambi si trovavano a poppavia della nave nei pressi della cisterna n.9 che esplose?

Ancora oggi, a distanza di 72 anni, il nostro triste pensiero va comunque a queste due persone che furono le uniche vittime di quell’equipaggio a causa di una fatale coincidenza del destino.

Come non accumunare ad essi le altre maestranze del Cantiere navale che persero la vita nel loro porto, vicino alle loro case e alle loro famiglie.

A noi sembra che la causa sia stata la palese carenza di procedure di “sicurezza” male applicate in ambienti di lavoro estremamente delicati per la presenza di gas velenosi ed anche esplosivi i quali, entrando in contatto con fiamme ossidriche o scintille sprigionate da qualsiasi utensile non regolamentato, diventano bombe micidiali.

Purtroppo, il tragico evento della MONTALLEGRO non fu il primo né l’ultimo nella storia di navi ai lavori di manutenzione. E ci viene sempre in mente quel saggio detto che ancora oggi si sente recitare come un ritornello sui “bordi”… ma anche nelle case di tutto il mondo all’ora dei TG nazionali:

“TUTTI PARLANO DI SICUREZZA E DI SOLIDARIETA’, MA POCHI DI LORO SONO DISPOSTI A PAGARLA”.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Marzo 2023