LE VERITA' CHE MOLTI NON SANNO. LA TRAGICA NOTTE DELLA COSTA CONCORDIA. COM.TE M.T.PALOMBO
Comandante Mario Terenzio PALOMBO
13 Gennaio 2012
NAUFRAGIO DELLA COSTA CONCORDIA
“Le verità che molti non sanno. La tragica notte che ha segnato la mia vita”!
Premessa:
Dopo la tragedia della Costa Concordia, parlando con molte persone dell’argomento, tutte erano convinte che io fossi stato il comandante che aveva preceduto Schettino al comando di questa bella nave da crociera.
Non è così! Io sbarcai, per infarto, il giorno 11 settembre 2006 dalla Costa Fortuna, in navigazione da Savona a Napoli. La Costa Concordia era stata inaugurata ed entrata in servizio proprio lo stesso anno 2006.
COSTA CONCORDIA
Durante la notte dell’11 settembre 2006 avvertii i primi disturbi al cuore, avvisai l’ufficiale di guardia sul Ponte di Comando, affidai subito il comando al valido Comandante in seconda Antonio Arcoleo, che procedette a tutta forza verso il porto. Il bravo medico di bordo, nel frattempo, provvedeva a farmi assumere alcuni farmaci per cercare di stabilizzarmi. Informai la Società del mio grave problema e all’arrivo della nave mandarono subito a bordo un cardiologo che, dopo la visita, decise immediatamente di ospedalizzarmi, con ambulanza, per sottopormi ad intervento di angio-plastica.
Il Comandante Mario Terenzio Palombo con la moglie, signora Giovanna. Sullo sfondo il mitico CONTE DI SAVOIA.
C’era anche mia moglie a bordo, che era salita a Savona, la vedevo, vicino a me piangente e molto preoccupata. Cercavo di tranquillizzarla dicendole che sarebbe andato tutto bene. Lasciare la nave in quel modo mi provocava una morsa al cuore terribile. Mi salutarono con tre fischi lunghi di sirena. L’intervento riuscì perfettamente, mi sentivo pian, piano in forze, e dopo una settimana di degenza in ospedale rientrammo a Grosseto.
Dopo qualche mese di convalescenza ero completamente ristabilito e non avevo ancora deciso se tornare a bordo o ritirarmi definitivamente. La Società aveva lasciato a me questa importante decisione. Il 19 maggio 2007, con mia moglie Giovanna, venimmo invitati al battesimo della Costa Serena. In questa occasione ebbi il piacere di incontrare il Presidente della Carnival Corporation, Micky Arison. Lo conoscevo da tempo, aveva una grande stima in me. Dopo un abbraccio commosso e caloroso mi disse seriamente queste parole:
“Captain, capisco il tuo stato d’animo e la tua indecisione, ma ora devi pensare solo alla tua salute alla tua famiglia. Ci mancherai molto”!
Subito pensai: in base alla mia esperienza, avrei potuto rientrare e assumere nuovamente il comando, ma mi domandavo: sarei stato in grado di affrontare qualsiasi emergenza che poteva capitarmi, come avrebbe reagito il mio cuore? Decisi quindi di ritirarmi e il 30 giugno 2007, di comune accordo con la Direzione dell’Ufficio marittimo Costa Crociere, venni cancellato dal ruolo dei Comandanti della Società. Non avrei voluto finire la mia carriera in questo modo.
Avevo quasi 65 anni, avrei avuto intenzione di continuare ancora per qualche anno, navigando solo qualche mese in estate sulle nuove costruzioni, seguire le prove in mare e rilevare i Comandanti subito dopo l’entrata in servizio delle navi. Ma avevo preso la giusta decisione!
Io credo, sicuramente, che questo fatto aveva scombinato i programmi degli imbarchi dei Comandanti e chi ne aveva tratto vantaggio fu proprio Schettino che, in seguito, venne promosso al comando. Essendo io in pensione, non interpellato in proposito e non avendo più voce in capitolo, non potei far nulla per evitare o cercare di ritardare la sua promozione.
I protagonisti di questo tragico incidente sono:
Francesco Schettino e Antonello Tievoli.
F. Schettino:
COSTA VICTORIA
Ho conosciuto Schettino il 15 novembre 2002 in occasione del suo primo imbarco con la “Costa Crociere”, in qualità di Comandante in seconda. La nave era la “Costa Victoria”, in partenza da Genova per i Caraibi. La direzione dell’ufficio marittimo ha voluto che fossi io il suo primo comandante, con lo scopo di aiutarlo ad integrarsi con il nuovo ambiente, in quanto proveniente da navi passeggeri di piccolo tonnellaggio ed essendo al suo primo imbarco con la Compagnia Costa.
Apparentemente mi era sembrato un bravo giovane, ma dopo alcuni giorni mi sono accorto, con mio disappunto, che aveva la tendenza a non dire la verità. Il rapporto tra Comandante e Comandante in Seconda deve essere basato sulla fiducia, ma questo, purtroppo, è mancato sin dall’inizio. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che Schettino, mentre aveva delle buone qualità professionali, proprio per i suoi problemi caratteriali, sul lavoro mentiva spudoratamente cercando sempre di scaricare la colpa delle sue dimenticanze o inadempienze sugli altri. Interrogavo anche quelli che lui indicava come colpevoli, i quali mi giuravano di non essere a conoscenza di quanto da lui asserito. I miei Ufficiali e il Nostromo mi dicevano che c’era un certo malcontento nei suoi confronti.
Dopo 3 mesi di miei continui richiami, ho riferito alla Direzione Costa questo serio problema, invitandola a farlo trasbordare su altra nave, ma la risposta è stata che dovevo essere io a completare la valutazione sino al termine del suo imbarco. Dopo varie mancanze e menzogne anche serie, chiamai Schettino e gli ordinai di comportarsi come un Comandante in seconda e non come un allievo inadempiente, sempre pronto a scagionarsi e a scaricare le colpe su altri. Al termine di ogni colloquio Schettino mi prometteva di cambiare. Comunque io, oltre a dovermi occupare della nave, dell’itinerario e dell’equipaggio, dovevo cercare di seguire quello che lui stava facendo. A un certo punto sembrava che avesse capito la lezione, e le mie serie intenzioni nei suoi confronti lo avevano un po' calmato.
All’arrivo a Genova, il 18 maggio 2003, al momento del mio sbarco, lo salutai molto freddamente, facendo trasparire tutto il mio disappunto e la mia delusione maturati nei suoi confronti nel corso dell’imbarco e pregai vivamente la Direzione del personale Costa di non assegnarlo più alle navi sotto il mio comando e consegnai la scheda di valutazione della quale riporto la parte più importante del contenuto:
“Costa Victoria, Genova, 18.05.03. Oggetto: Valutazione Com.te 2nda Francesco SCHETTINO (dal 15 nov. 2002 al 18 maggio 2003).
In questi mesi ho avuto modo di valutare attentamente le capacità professionali del Sig. F. Schettino. Posso dire che, mentre professionalmente è valido, tuttavia, ha manifestato alcune lacune relative alla gestione del Personale e Disciplina di bordo. Ho notato, sin dall’inizio, un Suo notevole impegno nel conoscere la nave e nel dedicarsi ai vari problemi tecnici e di manutenzione. Non c’è stato inizialmente con Me un buon rapporto in quanto, per orgoglio professionale o per Suoi motivi caratteriali il Sig. Schettino, in molti casi, preferiva mentirmi piuttosto che ammettere di aver sbagliato. Questo fatto, naturalmente, aveva causato una perdita della mia fiducia sino a quando, dopo il Nostro terzo serio colloquio, cominciava a capire come doveva comportarsi……omissis……...
Firmato: Comandante Mario Terenzio PALOMBO
A.Tievoli:
Conoscevo Tievoli in quanto i suoi genitori erano amici di famiglia. Egli era intenzionato ad imbarcarsi sulle navi Costa e aveva presentato domanda di assunzione inviando il suo CV. Quando venne chiamato per il colloquio gli avevo suggerito come presentarsi e di far capire, a chi lo stava interrogando, oltre alle sue esperienze professionali, anche le sue serie intenzioni di voler far parte della Costa Crociere. Il colloquio andò bene e dopo qualche mese venne imbarcato come Primo Cameriere. Dimostrate le sue capacità, dopo qualche imbarco, venne promosso Restaurant Manager. Ad ogni suo sbarco mi telefonava per salutarmi ed aggiornarmi riguardo al lavoro.
La collisione:
Ogni anno la mia famiglia si trasferisce all’Isola del Giglio, da metà giugno a metà settembre, per poi rientrare a Grosseto. La sera del 13 gennaio, intorno alle 21.35, mentre stavo guardando la TV nella mia casa di Grosseto, venivo contattato da Tievoli. Sul display del mio cellulare, apparendo un numero sconosciuto, chiesi chi fosse l’interlocutore. Mi disse che era Antonello e si trovava al traverso del Giglio. Gli risposi che cosa ci facesse lì e lui mi precisò di essere sul Ponte di Comando della “Costa Concordia” e che il comandante era intenzionato a deviare la rotta per passare vicino al Giglio.
Gli feci subito notare che a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi in servizio in sala da pranzo e che non c’era alcun motivo di passare vicino all’isola in inverno. Mi passò al telefono Schettino, che con sfacciataggine, si permetteva di disturbarmi senza alcun motivo, ben sapendo che i nostri rapporti erano stati tutt’altro che buoni e non ci eravamo più sentiti.
Il comandante mi disse che voleva accontentare Tievoli passando ad una distanza di circa 0,3 – 0,4 miglia dall’isola e mi chiese come erano i fondali. Gli feci presente che i fondali a quella distanza erano buoni, ma anche a lui ripetevo che non c’era motivo di avvicinarsi troppo in quanto, essendo inverno, l’isola era deserta. Gli consigliai di limitarsi ad un saluto, girando al largo, ma purtroppo, non mi diede ascolto!
Dopo qualche minuto venivo chiamato da alcuni amici del Giglio, i quali mi comunicavano che c’era una nave passeggeri nelle vicinanze dello scoglio della Gabbianara e sentivano dall’ altoparlante della nave alcuni incomprensibili annunci. Facevo loro presente che si trattava della “Costa Concordia” e che se la nave era ferma probabilmente era successo qualcosa. Poco dopo venivo contattato da Tievoli che, con voce molto turbata, mi diceva di sentirsi in colpa, avendo la nave urtato contro lo scoglietto de “Le Scole”. Non sapeva se la collisione avesse interessato il timone, le eliche o la carena. Cercai di calmarlo, ma lui continuava a dire che era sul Ponte come ospite e non pensava che il comandante passasse così vicino agli scogli. Finì la concitata conversazione dicendomi che doveva correre al suo posto.
Questa notizia mi turbò molto, sentii il dovere di chiamare Ferrarini (responsabile dell’unità di crisi “Costa Crociere”), il quale mi confermò l’incidente, ma lo sentivo molto adirato nei miei confronti, soprattutto per i passaggi che non si sarebbero dovuti fare. Mi chiese il numero di cellulare del Sindaco del Giglio, per organizzare l’emergenza. Il giorno dopo, però lo stesso Ferrarini, che era corso al Giglio, si scusava con me in quanto aveva pensato che io fossi sull’isola a vedere il passaggio mentre ero a Grosseto ed ero del tutto estraneo a quanto era accaduto.
Il Comandante Mario Terenzio Palombo sulla nave “Costa Fortuna”
Passai la notte molto turbato, credevo mi venisse un altro infarto in quanto ero sbarcato il giorno 11 settembre 2006 dalla “Costa Fortuna” proprio per infarto.
Nei giorni successivi venni convocato presso la Procura di Grosseto come “persona informata sui fatti” e poi fui attaccato e denigrato senza motivo da giornalisti cinici e senza scrupoli più interessati a colpevolizzare piuttosto che accertare la verità dei fatti.
Nessuno riusciva a spiegarmi quale sarebbe stata la mia colpa e quale relazione avrebbe avuto con me questa tragedia che aveva causato 32 morti ed era stata una grave onta per la Marina Italiana, per l’immagine di una Società rispettabile e per la categoria dei Comandanti. Ho pensato ai passeggeri morti durante quella che doveva essere una vacanza e ai parenti disperati, alcuni dei quali erano in attesa del ritrovamento dei dispersi.
Per molti giorni ho avuto giornalisti sotto casa, telefonate continue e proposte di partecipazione in TV a varie trasmissioni. Non mi davo pace, non meritavo che capitasse tutto questo a me che nel corso della mia carriera avevo sempre agito con massima trasparenza e professionalità e con un grande senso di responsabilità nei confronti dei passeggeri, delle mie navi e soprattutto forte di un infinito rispetto del mare. Ho avuto un grande supporto e comprensione dai miei concittadini gigliesi che hanno alzato la voce prendendo le mie difese di fronte a bieche speculazioni giornalistiche.
Per due anni, finché la “Costa Concordia” è rimasta adagiata sullo scoglio della Gabbianara, non ho messo più piede sull’isola. Mi sentivo il cuore ferito, proprio come quella nave e come le anime di tutte le persone che in quel tragico venerdì notte avevano perso i propri cari.
Ho cominciato ad avere dei disturbi cardiaci specialmente la notte. Dagli esami risultavano essere fibrillazioni atriali parossistiche. Il disturbo mi veniva sempre più spesso e improvvisamente, prima ogni due o tre mesi, poi ogni mese e poi continuamente. Sono stato sottoposto per due volte alla cardioversione che ha eliminato il problema solo per alcuni giorni. Finalmente il giorno 8 giugno 2021 l’intervento di ablazione eseguito con successo, ha eliminato il problema e sino ad oggi non ho più avuto recidive.
Sono rimasto amareggiato e turbato dalle dichiarazioni di Schettino e di Tievoli nei miei confronti. Subito dopo l’impatto con lo scoglietto, Schettino diceva al telefono a Ferrarini, per scagionarsi: “Roberto, non mi dire niente, sono al Giglio, c’è stato il com.te Palombo, che mi ha detto passa sotto, passa sotto…”
Qualche giorno dopo, sentendo queste parole di Schettino trasmesse anche alla TV non riuscivo a calmarmi per l’amarezza e l’inquietudine che sentivo dentro di me. Che falsità! Ho letto negli atti del processo, che già a Civitavecchia Schettino adduceva, come scusa, di aver tracciato la rotta vicino al Giglio in quanto mi aveva promesso che sarebbe passato di lì per omaggiarmi. Altra menzogna!
In realtà, sicuramente, non voleva far sapere agli Ufficiali che il “passaggio” era dedicato al Restaurant Manager Tievoli. Conoscendolo posso capire che per lui mentire è una consuetudine.
Tievoli è stato veramente un vile nei miei confronti. Quando Schettino gli aveva chiesto, in prossimità dell’isola, di chiamarmi, avrebbe dovuto dirgli che io non c’ero, ma che ero a Grosseto, invece non lo ha fatto. Mi domando se, in quel momento, avesse avuto il timore che forse Schettino avrebbe rinunciato. Inoltre Tievoli, più volte, interpellato dai giornalisti, avrebbe detto vigliaccamente:
“l’inchino non era per me!”
La cosa mi aveva molto amareggiato, tanto che gli avevo fatto sapere di non chiamarmi più e di stare alla larga da me.
Ora, a distanza di dieci anni sono più sereno, ma ancora oggi quando vengo presentato da alcuni amici ad altre persone c’è sempre quello che sgarbatamente e con ironia pungente mi dice: “Ah lei è il Commodoro, quello della tragedia della Concordia”.
Certo che dopo 44 anni di vita vissuta in mare con 24 anni di comando di navi passeggeri prestigiose, non meriterei certe insinuazioni.
Mi conforta il fatto che la mia coscienza è senza macchia, i miei amici e chi mi conosce lo sanno e di questo vado fiero!
Webmaster : CARLO GATTI
Rapallo,17 Gennaio 2022
IL NAUFRAGIO DELLA NAVE PASSEGGERI INGLESE TRANSYLVANIA
Questo rimane ancora oggi l’affondamento più tragico mai avvenuto nell’Alto Tirreno. Il ritrovamento del relitto: Il 7 ottobre 2011, dopo 94 anni dall’affondamento, i sommozzatori del Centro Carabinieri Subacquei di Genova, coadiuvati dalla ditta Gaymarine di Lomazzo hanno ritrovato il relitto, al largo di Bergeggi, adagiato ad una profondità di 630 metri.
La sera del 3 maggio 1917 la nave era partita da Marsiglia, al comando di Samuell Breuell, diretta al fronte turco della Palestina. A bordo circa 3000 fanti inglesi di diversi reggimenti: ussari, Royal Engineers, Royal West Surrey, Suffolk, Royal Irish, Royal Welsh, Cheshire, Essex, fanteria leggera del Duk of Cornwalls, Royal North Lancashire ed altre famose formazioni. Inoltre 64 crocerossine della British Red Cross Society e un numeroso equipaggio. In tutto 3500 uomini. La meta era Alessandria d’Egitto, la velocità di 16 miglia.
La nave pax UK TRANSILVANIA aveva messo la prora su Genova, procedeva a 16 nodi di velocità ed era preceduta da due cacciatorpediniere Giapponesi di scorta: “Matsu” e “Sakaki” – Costruz. 1915 che appartenevano all’11a flottiglia di cacciatorpediniere della classe “Kaba”.
On May 4, the destroyers «Sakaki» and «Matsu» took part in the escort of the British ship used to transport troops, the «Transylvania» -. However, the ship was sunk, it was torpedoed by the German U-63 commanded by Otto Schulze. The Transylvania sank with 3000 people on board that were rescued by the Japanese destroyers. Only 413 people lost their lives. However, the actions of the Japanese sailors were positively evaluated by the allied command:
Il giorno dopo, il 4 maggio 1917, intorno alle 10.45 il vento di grecale spazzava la costa increspando le onde, la gente di mare del ponente stava per assistere alla più grande tragedia mai vista da quelle parti.
La nave stava procedendo a zig zag per evitare l’agguato degli U-BOOT tedeschi che il giorno prima avevano silurato il piroscafo inglese WASHINGTON.
https://portofino.it/italy/il-relitto-del-washington-a-portofino/
Sicuramente l’U-Boot tedesco, U-63. Era ancora in zona. A bordo, molti passeggeri avevano indossato il giubbotto di salvataggio.
Ma ora entriamo in cronaca diretta riassumendo e integrando la puntuali descrizioni dei seguenti siti:
-
Uomini in guerra – Campionari di parole e umori: Transylvania la nave che visse due volte – Azione Mare –
Alle 11.17, mentre la Transylvania naviga sottocosta tra il promontorio di Varigotti e quello di Bergeggi, due miglia a sud di Capo Vado, viene colpita dal primo siluro lanciato, da 1.000 mt di distanza, dal sottomarino tedesco U-63. La nave è colpita sulla fiancata sinistra all’altezza della sala macchine. Alle 11,39, ventidue minuti dopo, mentre è in corso l’improvvisata opera di salvataggio, e le sirene del Transylvania lanciano ininterrottamente angoscianti richiami di soccorso, la scia di un secondo siluro, lanciato da 350 metri di distanza, si dirige verso la nave. Il Matsu retrocede a tutta forza strappando gli ormeggi che lo legano al Transylvania, che viene colpito dal siluro sulla fiancata sinistra, a prua.
Alle ore 12.20 il transatlantico, ormai agonizzante per il colpo di grazia, comincia lentamente ad affondare assistito dai due caccia, impegnati nel recupero dei naufraghi, reso molto difficile a causa del mare agitato. Alle ore 12.30, dopo un’ora e 13 minuti dal primo siluramento, la Transylvania, secondo il rapporto del comandante del sottomarino tedesco, che nel frattempo è risalito a quota periscopica, per constatare l’epilogo della sua azione e perché, allora, i sottomarini potevano navigare sott’acqua solo per un tempo limitato.
Per i testimoni oculari e la documentazione fotografica la nave cola a picco alle ore 12.35 adagiandosi su un fondale al momento ignoto, a 2 miglia al largo di Bergeggi.
Latitudine 44°14’ N., longitudine 8°30’ O. Il vapore affonda sul dritto di poppa. Per il mare mosso lo scarico della truppa fu difficile. Esso fu notevolmente disturbato dal secondo siluramento che non permise più al caccia di procedere accostato. Una gran parte della truppa annegò sicuramente.
Affondata la preda, compiuto il suo dovere militare, l’U-63 si allontana senza infierire sui caccia impegnati nella raccolta dei naufraghi: un atto di umanità –non frequente e non sempre ricambiato- nella disumanità della guerra.
La nave agonizzante tentò di dirigersi verso terra per arenarsi a Sud dell’isola di Bergeggi.
I due cacciatorpediniere di scorta iniziarono subito le operazioni di soccorso, ma la corrente marina che sale dal Tirreno e ritorna a Gibilterra, era molto forte in direzione sud-ovest e disperse i naufraghi, molti dei quali infatti vennero tratti in salvo dai pescatori al largo di Finale Ligure e soprattutto Noli.
La più grande tragedia del Mar Ligure si era quindi consumata al largo di Spotorno. Davanti alla cittadina storica di Noli (Savona) dove, ancora oggi si trova inviolato il relitto del transatlantico Transylvania di 14.000 tonnellate.
Le vittime accertate furono 414, molte di queste furono sepolte nel cimitero di Zinola, quartiere di Savona. Il relitto fu ritrovato il 7 ottobre 2011 dalla marina militare italiana dei carabinieri a 630 metri di profondità.
Molti lettori a questo punto si chiederanno: “non si potevano evitare queste stragi di uomini e mezzi vittime, peraltro, di un facile tiro al bersaglio?” - Una possibile risposta si può dare facendo alcuni passi indietro accennando alla “guerra sottomarina” di cui la Germania fece, nella I G.M., ampio uso.
UN PO’ DI STORIA
Guerra sotto i mari 1
La rotta delle navi inglesi verso est e le aree di agguato degli u-boot tedeschi
IL CORRIERE DELLA SERA scrive:
Fu una guerra micidiale alla quale le forze dell'Intesa non erano preparate: 540.000 ton. di naviglio affondate nel febbraio del 1917, 585.000 in marzo, 880.000 in aprile. Di fronte a questi successi, l’Intesa reagì anche definendo “corsari” e “pirati” i tedeschi, anche se la guerra sottomarina era la reazione al blocco navale ed economico imposto alla Germania. Anche in quell’occasione, come in altre più vicine a noi, può essere interessante osservare i metodi di propaganda, informazione o controinformazione utilizzati: c'è per esempio un'interessante copertina della Domenica del Corriere del 1915.
In essa si vede un “sommergibile tedesco che nel mar d’Irlanda affonda parecchi piroscafi inglesi accordando 10 minuti di tempo per salvarsi”. Il commento del giornale è:
“Questo è un gesto da corsari. E poiché l’intento dell’Inghilterra di affamare la Germania pare cominci a produrre effetti tangibili (le famiglie tedesche hanno ormai il pane a razione) la Germania ha dichiarato campo di guerra tutti i mari che bagnano l’Inghilterra”.
Come dire che affondare navi concedendo 10 minuti agli equipaggi per salvarsi è un atto da corsari, mentre affamare famiglie di civili è un nobile modo di condurre la guerra. Basta esserne convinti. Notiamo che alla data del giornale (Febbraio’15) l’Italia era ancora, almeno formalmente, alleata della triplice Alleanza e ancora neutrale. Da qui il tono tutto sommato soft del commento.
Per meglio comprendere la scelta delle rotte navali studiate ed impiegate in quella fase della Prima guerra mondiale, riportiamo quanto segue:
L'intensa attività degli U-Boot tedeschi nel Mediterraneo obbligò gli alleati a contromisure costose e pesanti: fino a metà del '17 la principale linea di comunicazione fra Inghilterra, Francia, Italia e le truppe alleate (=inglesi) impegnate sul fronte turco fra Salonicco (o Tessalonica) e la Palestina era via mare: da Marsiglia la rotta si dirigeva verso l'Italia, passava tra la Corsica e la Liguria, scendeva lungo le coste italiane fino al canale di Sicilia oltre il quale puntava su Alessandria (per le truppe dirette in medio oriente) o sul Pelopponeso, fino oltre Corinto da dove le truppe proseguivano via ferrovia in direzione di Salonicco. Lungo la rotta erano attese dai sommergibili in agguato (in gran parte partenti dalla principale base tedesca di Cattaro, nel Montenegro) principalmente in tre zone: fra Marsiglia e Genova, lungo tutto il tratto costiero italiano fra le isole maggiori e la costa, fra la Calabria e la Grecia. A metà del '17 le perdite fra le navi alleate erano diventate così alte che fu deciso l'abbandono della "longer sea route", la rotta marittima" lunga a favore della short, la corta: le truppe arrivavano in ferrovia (via Milano-Faenza-Rimini- Bari) fino a Taranto da dove erano imbarcate per la Grecia, con un viaggio più lento e costoso, specie in per quanto riguarda i volumi trasportati, ma più sicuro. Ma per il Transylvania era ormai troppo tardi.
U-63 – Il sottomarino che affondò la TRANSYLVANIA con due siluri
Questo sommergibile apparteneva alla Ia Flotilla Mittelmeer tedesca formata da 12 imbarcazioni operanti dalla base austriaca di Pola, nell’alto Adriatico.
Impostato nel maggio del '15 nei cantieri Germaniawerft di Kiel era stato varato l'11 marzo del 1916. Largo 6,30 metri (ma solo 4,15 lo scafo resistente) e lungo 68, dislocava 810 tonn in emersione e 1160 in immersione a pieno carico. Disponeva di motori eroganti 2200 hp in superficie e 1200 in immersione, con i quali poteva raggiungere una velocità di 16,5 nodi in emersione e 9 in immersione. Dotato di 4 tubi lanciasiluri e un cannone da 88 mm. con 276 colpi aveva un equipaggio di 36 uomini ed un'autonomia di 9170 miglia a 8 nodi in superficie e 60 miglia a 5 nodi immerso. Poteva raggiungere una profondità massima di 50 m.
Comandato dal tenente di vascello Otto Schulze dal varo al 27 agosto del '17, quando passò al comando di Heinrich Metzer, ritornò sotto la guida di Schultze dal 15 ottobre alla vigilia di Natale del '17, giorno in cui arrivò a bordo il suo ultimo comandante, Kurt Hartwig mentre Otto fu promosso 1° Ammiraglio nel Comando Sottomarini del Mediterraneo, incarico che mantenne fino all'armistizio.
Otto Scultze, il Comandante dell’U-63
IL BOTTINO DI GUERRA DELL’U-63
Era in missione già da diverse settimane, prima nelle acque del Mediterraneo orientale, poi, attraversato lo stretto di Messina, in quelle del golfo di Genova. Si era trattato di una crociera pericolosa, audace e fruttuosa: il 25 Marzo, davanti ad Alessandria, aveva affondato con siluri e cannone il vapore armato inglese Bollore, proveniente da Glascow e diretto ad Alessandria con 7000 tonn. di carbone: il capitano e il capo macchinista erano stati presi prigionieri. Il 26 tra Alessandria e Porto Said aveva fermato e fatto saltare il veliero egiziano Rahmanich di 79 ton. Dopo una digressione e una sosta di poche ore a Beirut per rifornirsi di armi e carburante, il 1 Aprile è di nuovo davanti ad Alessandria, dove affonda il vapore armato inglese Zambeli di 3.759 ton., il 4 aprile è la volta del vapore armato Margit di 2490 ton., affondato malgrado la scorta di due pescherecci armati, il 5 tocca al vapore norvegese Goldstad, in rotta verso l’Italia con 6400 ton. di grano australiano, affondato con siluri e cannonate. Nei giorni successivi il sommergibile tedesco si sposta verso lo stretto di Messina e l’Italia: il 28, nello stretto, affonda con siluro il vapore armato inglese Karonga di 4665 ton., il 28 i velieri italiani Carmelo padre (74 ton.), I due fratelli (100 ton.), Giuseppina G. (100 ton.), Natale B. (55 ton.), S. Francesco da Paola (41 ton.), Giuseppe Padre (102 ton.): una vera strage senza sprecare un siluro, solo col fuoco di artiglieria o fatti saltare. Il 3 maggio, infine (e siamo al giorno precedente il colpo grosso), l’ultima preda, il già ricordato vapore inglese Washington, solo e senza scorta.
Dopo la Transylvania toccherà ancora al Talawa (3834 ton.), al Crownof (3391 ton.) e, ormai sulla strada del ritorno, al Volga (4404 ton.), tutti vapori armati colpiti e fatti arenare sulla costa. Come si vede una crociera micidiale.
R.M.S.TRANSYLVANIA
ULTIMO CAPITOLO
Nel 2011 un nuovo capitolo della tragedia viene scritto con il ritrovamento del relitto da parte dei Carabinieri del Centro Subacquei di Genova con il fondamentale aiuto dell’Ing. Guido Gay, creatore del robot Pluto Palla che ha permesso di trovare il punto dove riposa la Transylvania e realizzare le suggestive immagini e video che potete visualizzare sul sito www.affondamentodeltransylvania.it.
Nel 2016, grazie all’impulso dell’amministrazione Comunale di Noli, è stato creato il Comitato per le Celebrazioni del Centenario dell’Affondamento della Transylvania, presieduto da Carlo Gambetta, ex Sindaco di Noli, che si è prodigato per far si che questo evento venga degnamente ricordato.
“E’ una storia che viene raccontata di generazione in generazione, una vicenda che ormai ci appartiene – racconta Vaccarezza – l’entusiasmo del sindaco di Noli, Pino Nicoli, nel raccontare i preparativi per l’importante giornata di commemorazione è lo stesso dei nolesi, orgogliosi protagonisti di questa vicenda avvenuta durante il primo conflitto bellico. La Regione Liguria farà la sua parte per essere presente e partecipe delle celebrazioni”.
“I pescatori nolesi non esitarono a salire sulle loro barche, sfidare il vento contrario e le onde grosse per andare a salvare quei soldati che stavano annegando – dice ancora il Presidente del Gruppo consiliare Forza Italia.
“Questo grande gesto di altruismo fa parte della tradizione ligure, ci chi sin dalla nascita respira l’aria del mare. Sarà una celebrazione importante, che servirà anche a mantenere vivo il ricordo dei cittadini del borgo di Noli che accolsero i superstiti con sincero dolore per la loro sorte e li ospitarono prima che ripartissero per il fronte” - Conclude Vaccarezza.
Durante l’affondamento della Transylvania morirono molti soldati britannici: 414 le vittime su circa tremila persone facenti parte dell’equipaggio tra militari, marinai e crocerossine.
96 salme furono recuperate sulle spiagge di Vado Ligure, Noli, Spotorno, Pietra Ligure, fino a Bordighera. Altre 34 salme trasportate dalle correnti furono raccolte sulle coste della Francia e della Spagna. 284 vittime furono considerate disperse.
Le 85 vittime recuperate sulle spiagge del Savonese riposano, da allora, nel Cimitero di Zinola (nella foto) a Savona.
Oggi nel Cimitero di Zinola sono sepolte una parte delle vittime di quella tragedia, in quello che è comunemente chiamato “il campo degli inglesi”. Qui le candide lapidi contornano un’alta croce in marmo bianco, su cui sono incisi i nomi dei dispersi. In una nicchia, posta nel muretto che racchiude l’area, è presente uno sportellino. Aprendolo si trova un registro dove, chi lo vuole, può lasciare un pensiero.
Sul promontorio posto di fronte all’Isola di Bergeggi è invece posta una croce commemorativa, sulla cui lapide si legge: “A circa due miglia E.S.E. da questo punto, il quattro maggio 1917 il trasporto britannico Transylvania venne affondato dal comune nemico”.
La lapide esposta sul lungomare di Spotorno, al “Giardino degli Inglesi”, un angolo che unisce la cittadina ligure alla Gran Bretagna (foto di Silvia Morosi)
Carlo GATTI
Rapallo, martedì 4 Gennaio 2022
IL NAUFRAGIO DEL TRAGHETTO NORDICO ESTONIA
IL NAUFRAGIO DEL TRAGHETTO NORDICO
ESTONIA
Avvenne nella notte del 28 settembre 1994
Si riapre il caso
Sono trascorsi 27 anni dal giorno in cui la nave-traghetto ESTONIA affondò nel mar Baltico, causando la morte di 852 passeggeri. Le persone a bordo erano 989, 137 vennero tratte in salvo.
L’isola di UTÖ è la più bassa nella cartina
Alla una e ventiquattro della mattina del 28 settembre 1994 un accorato Mayday veniva lanciato sul canale 16 dall’operatore radio del traghetto Estonia, di proprietà della compagnia Estline, in rotta tra Tallin e Stoccolma. Nelle gelide acque del mar Baltico, al largo dell’isola di UTÖ, si stava già inesorabilmente consumando una delle più colossali tragedie del mare.
Ecco l’ultima concitata conversazione registrata da una stazione locale e riportata in seguito sul web:
MAYDAY - MAYDAY - State lanciando un Mayday? Estonia, cosa sta succedendo? Potete rispondere? – Qui Estonia. Chi c'è laggiù? - Estonia, qui è la Silja Europa. – Parlate finlandese? - Sì, parlo finlandese. – Abbiamo un problema. Ci stiamo piegando in maniera preoccupante sul lato di dritta, probabilmente di oltre 20 o 30°. Potete inviare assistenza e contattare la Viking Line? - La Viking Line non è lontana da noi e probabilmente a quest'ora ha già appreso la notizia. Comunicatemi la vostra posizione. – Abbiamo un blackout e noi… io non posso dire quale sia la nostra posizione in questo momento... - OK, cercheremo di fare qualcosa. – State venendo in nostro soccorso? - Sì. Puoi darci la tua posizione esatta? - Adesso non è possibile. Abbiamo un blackout a bordo. Gli strumenti sono spenti - OK, proviamo noi a rintracciare la vostra posizione. Solo un momento. Faremo del nostro meglio per venire in vostro soccorso ma dobbiamo prima calcolare la vostra posizione. – Adesso posso darvela. – Bene! Vai! - Latitudine 58, solo un momento. - OK. - 22 - OK, 22°, arriviamo. – Volevo dire 59, latitudine 59 e 22'. - 59° 22′. La longitudine? - 21° 40′ Est. - 21° 40′ Est, OK. – Qui si sta mettendo male. Si sta mettendo davvero male adesso!!!
Si tratta del più grave naufragio avvenuto in Europa in tempo di pace.
M/S Estonia, memorial, at Ersta nursing home, Södermalm, Stockholm
All’epoca si lessero molte versioni sul tragico naufragio:
“Si è ipotizzato un’esplosione a bordo, forse legata al trasporto di materiale bellico, in particolare tecnologia militare russa contrabbandata in Occidente: misteriosi sabotatori si sarebbero mossi piazzando una carica esplosiva. Era lo strano «bang» udito da uno dei marinai poco prima dell’allarme? Si è anche parlato di una collisione con un sottomarino o all’impatto con una mina, un residuato di guerra. Scenari sui quali – come per tanti misteri navali e aeronautici – si sono aggiunte speculazioni, tesi cospirative, compresa la sparizione di alcuni superstiti. Molta la diffidenza verso gli inquirenti che non avrebbero fatto bene il loro lavoro, non verificando ogni aspetto possibile. In qualche modo si è cercato di chiudere il caso: dunque hanno rinunciato a recuperare il relitto (con i corpi) diventato poi un sacrario. Da rispettare!”
Una doverosa spiegazione: La celata di prua è una caratteristica di alcune navi, in particolare Traghetti Roll-on/Roll-off e traghetti ferroviari, che permette alla parte superiore della prua di articolare su e giù, fornendo l'accesso alla rampa di carico e al garage che è lungo quanto la lunghezza della nave, nelle navi moderne possono esserci anche 3 piani-auto.
Nel corso degli ultimi 25 anni le celate di prua sono state progressivamente soppiantate dai portelloni di prua che agiscono come le valve di una conchiglia e si ritengono essere più sicuri delle celate prodiere. In una celata di prua, le forze che agiscono su di essa in seguito all'impatto del moto ondoso, vengono assorbite dalle cerniere e dalle serrature che possono cedere in seguito a sollecitazioni particolarmente intense. Con i portelloni di prua, la forza delle onde vengono assorbite dalla circostante sovrastruttura di prua.
Il relitto fu ispezionato con un ROV già pochi giorni dopo il naufragio dalla Rockwater A/S. Il rapporto ufficiale sostenne, ed è valido ancora oggi, che il disastro dell’ESTONIA fu causato dal cedimento della celata di prua che, staccandosi completamente permise al mare di invadere l’enorme garage della nave, ormai senza protezione, causando dapprima un forte sbandamento a dritta e, nel giro di pochi attimi, il suo rovesciamento con tutto il suo carico di vite umane, per poi inabissarsi su un fondale di circa 80 metri.
Come si può vedere nella prima foto della nave (inizio articolo), la prora non è proprio visibile dal Ponte di comando, e l'equipaggio non si sarebbe reso conto dell’apertura e repentino stacco della celata che, secondo alcune testimonianze, non sarebbe stata neppure segnalata dai sensori di sicurezza posti su di essa.
Tra gli innumerevoli contributi che si trovano in rete, la breve video-simulazione mostrerebbe che poco più di 30 minuti sarebbero trascorsi tra lo stacco della celata ed il naufragio. Ma è andata veramente così?
Simulazione di una notte di terrore
SONO PASSATI 27 ANNI - SI RIAPRE IL CASO
Il 28 settembre 2020 diversi quotidiani hanno riportato la scoperta di un taglio di 4 x 1,2 metri nello scafo dell'Estonia. La falla riscontrata riaprirebbe un ventaglio di altre possibili indizi che avrebbero potuto causare l'affondamento della nave.
Lo si deve a due ricercatori: Henrik Evertsson e Bendik Mondal che, sfidando tutti i divieti, hanno ispezionato il relitto a circa 80 metri di profondità e prodotto fotografie che sono state presentate in un documentario per Discovery Networks.
Due uomini coraggiosi e determinati sono balzati all’attenzione del mondo marinaro mondiale! Si deve a loro se oggi gli inquirenti sono in grado di istruire un PROCESSO su basi nuove, con la speranza che le 852 vittime possano avere finalmente giustizia. Lo squarcio lungo la fiancata costituisce una prova reale, irrefutabile, ma anche allarmante comunque la si voglia esaminare.
A questo punto è facile immaginare il riemergere di tutte quelle ipotesi che a suo tempo erano state scartate:
- contrabbando di materiale bellico sull'Estonia da parte degli occidentali!
- La reiterata presenza di un “sottomarino fantasma” sulla scia di fatti riscontrati nel periodo post guerra fredda.
Il fatto poi che negli ultimi anni le Autorità locali abbiano posto il divieto di avvicinamento al relitto prendendo a pretesto la sacralità del “cimitero sottomarino”, ha alimentato sospetti, diffidenze e critiche da più parti.
I tre STATI maggiormente coinvolti (Svezia, Estonia, Finlandia) hanno recentemente deciso di riaprire l'inchiesta.
ESTONIA Ormeggiata nel porto di Tallin
(Foto dell’autore)
Chi scrive ha avuto l’occasione di viaggiare più volte sul traghetto ESTONIA impiegato fin dall’inizio della sua carriera sulla rotta Stoccolma-Tallin, e ricorda di averne decantato ogni volta, sia la modernità che la puntualità e l’efficienza.
In particolare posso affermare di conoscere molto bene il modo di navigare dei Nordici e le acque difficili in cui operano, per cui posso affermare di non aver mai creduto alla versione ufficiale che avrebbe causato quel disastro. Dirò di più: nell’ambiente svedese dei Piloti portuali e Comandanti amici di vecchia data, la teoria dello stacco della celata fu considerata una versione “accomodante” per mettere un velo pietoso su una dinamica da “guerra fredda” che doveva rimanere segreta per ragioni di Stato.
Per comprendere meglio la permanente tensione tra gli Stati sulle sponde del BALTICO, dall’epoca della GUERRA FREDDA, vi segnalo un mio scritto di 10 anni fa in cui racconto la storia dell’ammutinamento di una fregata sovietica (1975).
L’ammutinamento della fregata STOROZHEVOY Ispirò il film ‘Caccia a Ottobre Rosso’ <- vai all'articolo
L’episodio della fregata Sovietica rimase avvolto nel mistero per decenni e venne alla luce dopo la caduta dell’Unione Sovietica ma la Svezia, in particolare, ne fu sempre al corrente perché vi un intenso traffico radio appena la nave militare sovietica mise la prora in direzione della costa svedese.
Nel 1981, un sottomarino sovietico si incagliò sulla costa meridionale della Svezia, a 10 chilometri da una importante base navale svedese. I sovietici affermarono di essere stati costretti a entrare nel territorio, mentre la Svezia, dopo aver rilevato la presenza di uranio-23 all'interno del sottomarino, credeva che il sottomarino li volesse attaccare.
Alla fine, dopo giorni di forte tensione, il sottomarino sovietico ritornò nelle acque internazionali e la Svezia rimase vigile, ma “silenziosa” … per molti mesi successivi.
Nel 1982, molti sottomarini, imbarcazioni specializzate ed elicotteri svedesi andarono a caccia di una di queste imbarcazioni non identificate per un mese intero, solo per arrivare - ogni volta - a mani vuote.
Il 19 ottobre 2014: “Intrigo a Stoccolma, sui fondali della Svezia è caccia a un sottomarino russo. Ma Mosca smentisce”.
2020 - I Paesi della regione hanno ripetutamente denunciato l'intensificarsi delle attività militari russe ai loro confini: nel mese di settembre, la Svezia aveva protestato formalmente con Mosca dopo che due aerei militari russi avevano violato il suo spazio aereo.
L’ombra di una grande superpotenza sull’altra sponda del Baltico, che controlla senza tregua le proprie acque territoriali per contrastare possibili sconfinamenti ed intrusioni straniere nelle proprie acque territoriali ha ormai, come abbiamo appena visto, una sua diffusa letteratura.
La geo-politica internazionale, sulla quale occorre naturalmente vigilare, esige comportamenti di grande prudenza! Come si dice in termini marinareschi, i Paesi piccoli sono costretti ogni volta, ad “abbozzare” per non peggiorare la situazione da cui potrebbero solo rimetterci su molti piani! Questo, in estrema sintesi, è il pensiero dominante della gente del Nord che guarda ad Est con una certa comprensibile ansia.
Il confronto tra NATO - PATTO DI VARSAVIA si gioca su quella striscia di mare che si chiama Baltico.
Da questa presa di coscienza nasce la convinzione popolare svedese e non solo, che il traghetto ESTONIA sia entrata in collisione con un sottomarino di nazionalità sconosciuta, ma non tanto… che avrebbe procurato la falla da cui sarebbe entrato quel flusso d’acqua di mare che la fece sbandare e poi affondare.
Carlo GATTI
Rapallo, 20 Novembre 2021
L'ODISSEA DELLA SAINT LOUIS
L’ODISSEA DELLA ST. LOUIS
13 Maggio 1939
LA NAVE CARICA DI EBREI IN FUGA DALL’EUROPA E’ RESPINTA DA CUBA E DAL NORD AMERICA
17 giugno del 1939
LA NAVE RIENTRA IN EUROPA (ANVERSA)….
LA SAINT LOUIS IN PARTENZA DA AMBURGO
Abbiamo preso in prestito la copertina di questo libro, perché assolutamente ricca di significati allegorici ed emblematica di una vergognosa pagina storica che merita di essere conosciuta, ricordata, raccontata e tramandata a tutte le generazioni affinché non sia dimenticata.
«Un uccello non ha bisogno di passaporto, né di biglietto, né di visto — e un uomo invece viene messo in galera se non è in possesso di uno solo di questi tre pezzi di carta?» così scrive Joseph Roth nel 1937 nella premessa alla nuova, programmata edizione del breve, appassionato saggio Ebrei erranti, giungendo all’amara conclusione che «i torturatori degli animali vengono puniti mentre quelli degli esseri umani sono insigniti di importanti onorificenze».
QUADRO STORICO
Quando il nazismo sale al potere, la persecuzione dei dissidenti e dei ‘non ariani’ determina un esodo di massa dalla Germania che, in un periodo di grave crisi economica, è guardato con preoccupazione dai governi europei: questi istituiscono dispositivi per controllarlo o contenerlo, stabilendo quote di immigrazione sul modello di quelle già poste in essere dagli Stati Uniti, che in nessun modo e per nessuna ragione è possibile superare. Che donne e uomini appartenenti alla cosiddetta ‘razza ebraica’ cerchino rifugio e protezione per salvare le proprie vite in Francia, Belgio, Svizzera, o altrove, è ininfluente: per l’Alto Commissario per i Profughi dalla Germania nominato dalla Società delle Nazioni nel 1936, per assicurare ai ‘non-ariani’ e agli oppositori del regime nazista la “possibilità di reinsediamento in Europa o oltremare”, il compito è arduo. E anche la Conferenza internazionale di Évian, indetta dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt nel luglio 1938, per una soluzione condivisa al problema dei profughi dalla Germania, si conclude con un nulla di fatto: soltanto la Repubblica Dominicana è disponibile ad alzare la propria quota di immigrati (accoglie infatti circa centomila profughi ebrei) e soltanto la città internazionale di Shangai non ha ancora introdotto il visto di ingresso (e nell’ultimo anno prima della guerra dà asilo ad altri ventimila rifugiati ‘non ariani’ in fuga dalla Germania). Fuggire? Dove? “Iniziare una nuova vita? Quale?” si chiede lo scrittore tedesco Fred Uhlman, esule in Francia, in Storia di un uomo (1960).
L’Olocausto ebbe luogo all’interno del più ampio contesto della Seconda Guerra Mondiale, il più esteso e distruttivo conflitto della Storia. Attraverso la realizzazione di un vasto e moderno Impero nell’Europa Orientale, Adolf Hitler e il regime nazista volevano creare nuovo “spazio vitale” (Lebensraum) per la Germania; un piano che prevedeva l’eliminazione delle popolazioni locali. L’obiettivo nazista di rafforzare la razza superiore tedesca portò alla persecuzione e l'assassinio degli Ebrei e di molti altri.
GERMANIA - Il 15 settembre 1935 vennero promulgate le leggi di Norimberga. Nel corso del 1936 gli ebrei vennero banditi da tutte le professioni: in tal modo, fu loro efficacemente impedito di esercitare una qualche influenza in politica, nella scuola e nell'industria.
ITALIA - 17 novembre 1938 vennero approvate le leggi razziali in Italia. I provvedimenti antisemiti non arrivano come un fulmine a ciel sereno. Da tempo il regime fascista si serve infatti del razzismo sia per sostenere l’espansione coloniale, sia per scaricare le responsabilità dei fallimenti su alcuni capri espiatori.
EUROPA - Il primo settembre 1939.
La Germania diede inizio alla Seconda Guerra Mondiale con l'invasione della Polonia, Negli anni successivi, i Tedeschi invasero altri undici paesi. La maggior parte degli Ebrei europei viveva in paesi che la Germania nazista avrebbe occupato o con cui si sarebbe alleata durante la guerra.
AGLI EBREI NON RIMANE CHE LA FUGA OLTRE L’OCEANO ATLANTICO DOVE SI RESPIRA ANCORA ARIA DI LIBERTA’
SARA VERO’?
Il 13 maggio del 1939 il transatlantico tedesco ST.LOUIS parte da Amburgo e fa rotta per Cuba. A bordo ci sono 937 ebrei in fuga dalla follia nazista. Siamo alla vigilia della guerra più sanguinosa nella storia della umanità.
Il capitano del Saint Louis, Gustav Schröder
(1855-1959)
Inviato a Calcutta nel 1913, aveva provato sulla sua pelle l’esperienza della prigionia
La speranza nella patria della Libertà e della Democrazia alimenta le speranze dei passeggeri pur sapendo che negli States il partito dei NON INTERVENTISTI è fortissimo e Franklin Delano Roosevelt non vuole deludere nessuno, anche se è noto che la sua influentissima consorte Eleonora è di tutt’altra idea! Per cui una certa prospettiva di sblocco della situazione si fa largo nei loro cuori disperati.
Viene inviata una richiesta di aiuto direttamente al presidente Franklin D. Roosevelt, una richiesta che non avrà mai risposta. Se non una. Il Dipartimento di Stato invia un telegramma agli esuli: "I passeggeri dovranno iscriversi e aspettare il loro turno nella lista di attesa per ottenere il visto, solo allora potranno entrare negli Stati Uniti".
Al comando di quella nave c’è Gustav Schröder un comandante tedesco non ebreo che fa la differenza. Un uomo che si vergogna profondamente di Hitler e di tutto ciò di esecrabile che sta facendo al suo stesso Paese e all’Europa intera. Ma sulla nave di bandiera tedesca è lui che comanda anche se gli è chiaro che gli ebrei in Germania hanno già perso tutti i diritti, ma il COMANDANTE è un vero “uomo giusto” e ha già messo in conto che se andrà male, farà il giro dell’Oceano Atlantico e tornerà indietro con lo stesso carico umano.
A Cuba le cose non vanno come sperato, gli ebrei non possono sbarcare se non dietro il pagamento di una tassa. Di che si tratta? A metà gennaio del 1939, il governo aveva emanato il decreto n° 55 secondo il quale ciascun “rifugiato”, avrebbe dovuto versare una somma di 500 dollari per il visto d’ingresso. Il ministro dell’immigrazione, Manuel Benitez, decide di sfruttare questa situazione definendo i passeggeri a bordo della St. Louis come turisti e mettendo in vendita dei “permessi di sbarco” per una somma “non ufficiale” di 150 dollari ciascuno. Ma succede un fatto imprevisto, un ordine che forse viene da lontano!
Il presidente cubano Federico Laredo Brú ordina di far applicare il decreto n° 937 (correttivo del n° 55) che obbliga, di fatto, al pagamento dei 500 dollari a ciascun passeggero della St. Louis. Soltanto 29 passeggeri riescono sbarcare a Cuba, per gli altri la somma è irraggiungibile.
Gustav Schröder si rende conto che Cuba è solo l’inizio del calvario, ma non desiste, non è il tipo che si arrende senza combattere, a bordo lo sanno tutti e forse la speranza è riposta in lui più che su i sedicenti “democratici” della terraferma: sanno infatti, ormai da tempo, che se la Germania odia gli ebrei, le civili nazioni europee (e con esse gli Stati Uniti) non li amano, tant’è che si guardano bene dall’accoglierli! Il Comandante sa che gli rimangono poche opzioni sulle rotte del NORD: poche tenui speranze, ma non lascerà nulla d’intentato.
MIAMI – USA
Il 2 giugno la Saint Louis salpa da L’Avana: “Il governo cubano ci sta costringendo a lasciare il porto. – ha dichiarato due giorni prima in un comunicato stampa Gustav Schröder – Ci hanno permesso di rimanere qui fino all’alba di venerdì, poi dovremo levare le ancore. La partenza non è frutto dell’interruzione dei negoziati, ma espressa volontà delle autorità cubane. Io e l’armatore rimarremo in contatto con tutte le organizzazioni ebraiche e con qualunque ufficio governativo che sia disposto a collaborare per addivenire a una soluzione favorevole per i passeggeri. Per il momento costeggeremo le coste degli Stati Uniti”.
Il 4 giugno gli Stati Uniti chiudono formalmente i propri porti al transatlantico:
“I rifugiati tedeschi sono in attesa del loro turno per accedere negli Stati Uniti”. – dichiara il Direttore della Sezione visti del Dipartimento di Stato –
“Del resto la quota di immigrati ammessi per quest’anno è già stata raggiunta”.
La S.Louis fa rotta per Miami.
La speranza nella patria della Libertà e della Democrazia alimenta le speranze dei passeggeri per cui una certa prospettiva di sblocco della situazione si fa largo nei loro cuori disperati.
Viene inviata una richiesta di aiuto direttamente al presidente Franklin D. Roosevelt, una richiesta che non avrà mai risposta. Se non una: Il Dipartimento di Stato invia un telegramma agli esuli: "I passeggeri dovranno iscriversi e aspettare il loro turno nella lista di attesa per ottenere il visto, solo allora potranno entrare negli Stati Uniti".
Ma è il presidente Roosevelt a dire la parola definitiva, a fronte della campagna di stampa del “New York Times”, degli appelli del capitano della Saint Louis, della disponibilità all’accoglienza del Governatore delle Isole Vergini degli Stati Uniti: ed è no!
Il 6 giugno la nave si lascia di poppa il porto di New York City e nella scia l’illusoria promessa della Statua della Libertà che affonda nella propria ipocrisia.
La storia della St.Louis fa il giro del mondo. Molti giornali cominciano a parlare di queste persone in fuga dal nazismo, ma solo pochi giornalisti statunitensi suggeriscono di accoglierli in America.
CANADA – OTTAWA
Anche Ottawa-Canada rifiutò di soccorrere la nave, e così altri paesi del Sudamerica.
La stampa internazionale diffonde la notizia della nave che non trova un modo per far sbarcare i passeggeri, ma non organizza una vera campagna mediatica a sostegno dei passeggeri. Sono pochi i giornalisti statunitensi che suggerirono di accoglierli in America.
Il 7 giugno 1939 il transatlantico tedesco St.Louis è costretto ad allontanarsi dalle coste del Nord America per tornare in Europa.
VERSO L’EUROPA
A comandante Schröder non resta che tornare in Europa, ma non in Germania. Decide di non consegnare la nave agli armatori senza garanzia per i suoi passeggeri. La nave arriva ad Anversa e i passeggeri sbarcano sperando nelle nazioni ospitanti: Belgio, Olanda, Gran Bretagna e Francia. Ma la Germania nazista si prepara ad invadere l’Europa e l’epilogo sarà devastante anche per molti di quei passeggeri.
Il ritorno a casa - (Le statistiche dei profughi).
Dopo numerose peregrinazioni, il 17 giugno del 1939 la nave riesce a tornare ad Anversa: il Regno Unito accetta di accogliere 288 passeggeri, mentre i restanti rifugiano in Francia, Belgio e Paesi Bassi. Secondo Scott Miller e Sarah Ogilvie (qui un estratto del libro):
“dei 620 passeggeri della St. Louis che tornarono nel continente Europeo, (…) 87 furono in grado di emigrare prima che la Germania iniziasse l’invasione dell’Europa occidentale il 10 maggio 1940. 254 passeggeri in Belgio, Francia e Paesi Bassi morirono dopo quella data durante l’Olocausto. Molte di queste persone furono assassinate ad Auschwitz e Sobibór; i restanti morirono in campi di internamento o nel tentativo di nascondersi o eludere i nazisti. 365 dei 620 passeggeri che ritornarono nel continente Europeo sopravvissero alla guerra”.
L’avventura della St. Louis ha ispirato racconti, libri e anche un film (Il viaggio dei dannati di Stuart Rosenberg, 1976).
L’odissea dei passeggeri della Saint Louis è un’ulteriore testimonianza che tutto il mondo sapeva cosa la Germania nazista stesse perpetrando nei confronti del popolo ebraico, così come oggi l’Europa è perfettamente a conoscenza dell’Olocausto dei migranti.
IL DESTINO DEI PASSEGGERI
Al capitano Gustav Schrö der, che dopo la guerra, fu insignito dell’Ordine al Merito della Germania e nel 1993 come Giusto fra le nazioni, non restò che tornare in Europa e prospettare l’avaria della nave o l’affondamento volontario della St. Louis lungo la costa dell’Inghilterra (ci sono due versioni), per costringere gli Inglesi, il Belgio, la Francia, l’Olanda ad accettare i profughi ebrei rimasti a bordo.
Utilizzando il tasso di sopravvivenza degli ebrei in diversi paesi, Gordon Thomas e Max Morgan-Witts, autori del libro Voyage of the Damned: A Shocking True Story of Hope, Betrayal, and Nazi Terror, stimarono che circa 180 passeggeri della St. Louis rifugiati in Francia, più 152 di quelli rifugiati in Belgio e 60 di quelli rifugiati nei Paesi Bassi sopravvissero all’Olocausto. Degli originali 936 rifugiati, stimarono un totale di circa 709 sopravvissuti e 227 uccisi. Successive ricerche da parte di Scott Miller e Sarah Ogilvie del United States Holocaust Memorial Museum danno un più preciso ed alto numero di deceduti, per un totale di 254 morti.
PERIODO BELLICO
1940/1944 - La St.LOUIS divenne “nave-alloggio” della marina tedesca.
30 agosto 1944 – Fu pesantemente danneggiata da un bombardamento alleato a Kiel.
DOPOGUERRA
1946 - Fu riparata e usata come nave-Hotel ad Amburgo.
1952 -La nave fu messa fuori servizio nel 1952.
Corsi e Ricorsi Storici - (G.B.V) …..
E’ stato scritto: “Perseguitati in patria, indesiderati all'estero. Ieri gli ebrei, oggi i cosiddetti migranti. Tre volte vittime: dell’odio in patria e contemporaneamente del rifiuto di accoglienza degli Stati, della indifferenza e dell’egoismo della maggioranza della gente, che sa e volge la testa dall’altra parte”.
ALBUM FOTOGRAFICO
DELLA ST. LOUIS E DEI SUOI PROFUGHI
La Saint Louis nel porto de L’Avana (fine maggio 1939)
La partenza della Saint Louis da Amburgo, il 13 maggio 1939: i profughi ebrei gioiscono nel lasciare la Germania
Due giovanissime profughe affacciate a un oblò della Saint Louis, nel porto de L’Avana (fine maggio 1939)
Il gruppo della famiglia Heilbrun a bordo della Saint Louis (maggio 1939)
ST. LOUIS
Dati nave:
Data varo: 2 Agosto 1928
Cantiere di Costruzione: Bremer Vulkan (Brema)
Armatore: HAPAG
Stazza lorda: 16.732 t.
Lunghezza: 174,90 mt
Larghezza: 22,10 mt
Pescaggio: 8,66 mt
Equipaggio: 670
Motore: 4 doppeltwirkende MAN-Sechszylinder-Zweittakt-Dieselmotoren
Potenza: 12.600 PSe
Eliche: 2
Velocità: 16,5 Kn
Trasporto Passeggeri: I.Klasse, 270 – II Klasse, 287 – Touristenklasse, 413
Bibliografia:
Fonti: I libri di riferimento sono citati nel testo
Immagini ed altri dati: Siti web Tedeschi-Inglesi-Italiani
Carlo GATTI
Rapallo, 1 Novembre 2021
ATHENIAN VENTURE Un naufragio tuttora oscuro...
ATHENIAN VENTURE
Un naufragio tuttora oscuro...
Nell’accingermi a raccontare l’ennesimo naufragio…mi sono accorto che buona parte di essi si sono verificati nel mese di APRILE.
In ordine sparso ne cito alcuni di cui ho scritto per il sito di Mare Nostrum Rapallo: S/S TITANIC, T/n HAVEN, M/n SCANDINAVIAN STAR, M/n BOCCACCIO, RO-RO TRAPANI, P.fo RAVENNA, P.fo FRANCESCO CRISPI, T/n MIRAFLORES, M/n MOBY PRINCE, T/n LONDON VALOUR e chissà quanti altri che dobbiamo ancora scoprire e raccontare … !
Oggi ne aggiungiamo un altro:
Il 22 aprile 1988 affondò la petroliera ATHENIAN VENTURE.
A bordo c'erano 29 persone, 24 membri dell'equipaggio di cui cinque con le rispettive mogli. Nessun sopravvissuto. Solo il corpo di un marinaio fu trovato in mare dopo l'incidente. I resti di altri marinai furono successivamente trovati nella sezione di poppa rimasta galleggiante dopo che l'incendio si spense.
La causa dell'incidente non fu mai chiarita, anche se si parlò insistentemente di un’esplosione, probabilmente causata dalle pessime condizioni strutturali in cui si trovava la nave. Più precisamente, si disse che la violenta esplosione generò un incendio e la rottura in due parti dell'imbarcazione. La poppa continuò a galleggiare e a bruciare per molte settimane prima di inabissarsi a ponente delle isole Azzorre.
Storia della nave:
La ATHENIAN VENTURE fu costruita nel 1975 dal Cantiere Navale Oskarshamnsvarvet di Oskarshamn (Svezia) (vedi foto). Costruita come petroliera monoscafo con il nome: “Karkonosze” per la compagnia di navigazione polacca Polskiej Zeglugi Morskiej. La nave era azionata da un motore diesel, aveva una lunghezza di 152,4 metri ed una velocità di circa 15 nodi.
Nel 1983 la petroliera fu incorporata nella nuova Compagnia Patron Marine Co. di “bandiera ombra” cipriota con il nome di ATHENIAN VENTURE.
DINAMICA DELL’INCIDENTE
Nella notte tra il 21 e il 22 aprile 1988 ci fu un'esplosione a bordo. La nave era in viaggio da Amsterdam a New York con un carico di circa 10,5 milioni di galloni di benzina e al momento dell'incidente si trovava a circa 400 miglia nautiche a sud-est di Cape Race (Isola di Terranova). Nell'esplosione lo scafo si spaccò in due parti e prese fuoco. La sezione di prua della nave affondò il 22 aprile 1988 alle 14:00 ora locale. La sezione poppiera andò alla deriva per diverse settimane e infine affondò il 17 giugno 1988 a circa 200 miglia nautiche dalle Azzorre, dopo essere stata precedentemente rimorchiata da alcuni pescherecci spagnoli per circa 1.000 miglia nautiche verso la costa spagnola.
Le drammatiche immagini sopra riportate, vennero scattate dalla HUDSON, unità della Coast Guard canadese che arrivò sul posto dopo aver ricevuto l’SOS della Athenian Venture mentre operava per il Bedford Institute of Oceanography di Dartmouth-NS., in una zona di mare non lontana dalla posizione ricevuta via radio.
Da bordo della nave della Guardia Costiera videro ben presto, da molto distante, colonne di denso fumo nero alzarsi dalla petroliera quando ancora si trovava sotto l’orizzonte ottico.
Il suo carico di 10 milioni di galloni di benzina senza piombo si riversò nell'Oceano Atlantico, alimentando enormi lingue di fuoco che si estendevano per circa 200 metri di diametro.
Inizialmente, sulla HUDSON si pensò ad una collisione tra due navi. Purtroppo, sia a causa dell’oscurità sia a causa del fumo, i potenti riflettori della nave soccorritrice nulla poterono rivelare, neppure il nome della nave…
Alla luce del giorno, apparve il relitto ancora fumante in tutto il suo tragico orrore. Purtroppo l’accurata ricerca di eventuali sopravvissuti non diede alcun esito. Il relitto ormai privo di vita era la Athenian Venture, una petroliera di proprietà greca con equipaggio polacco e bandiera cipriota. La nave si era spaccata in due parti dopo aver preso fuoco a 350 miglia nautiche a sud-est di Cape Race mentre era in viaggio da Amsterdam a New York.
Nel pomeriggio la prua si era inabissata in un vortice di fumo e fiamme. Secondo un primo rapporto della Reuters, un alto membro dei Lloyd's di Londra dichiarò: "È uno dei peggiori incidenti di petroliere di cui abbia mai sentito parlare".
Il naufragio della petroliera Athenian Venture causò la morte di 29 persone - 24 membri dell'equipaggio e cinque mogli che si aggiunsero per quel viaggio al seguito dei rispettivi mariti arruolati regolarmente. Quarantatré bambini rimasero orfani.
Le inchieste aperte dalle Autorità polacche durarono più di due decenni e si rivelarono tanto complicate quanto infruttuose. Il disastro colpì particolarmente la città polacca di Gdynia, dove nacquero cinque membri dell'equipaggio.
Quattro giorni dopo l’esplosione, ci fu la possibilità di ottenere qualche informazione sull’accaduto. La sezione di poppa ormai carbonizzata fu presa a rimorchio da due pescherecci d’altomare spagnoli con l'intenzione di trainarla nella baia di Vigo, in Spagna.
Durante un’ispezione dei pescatori spagnoli furono trovati i resti di sette membri dell'equipaggio, il registro della sala macchine, altra documentazione tra cui alcune lettere scritte da due membri dell'equipaggio alle loro mogli.
Purtroppo, il 17 giugno il relitto affondò improvvisamente negando definitivamente ai periti nominati la possibilità di poter indagare e risalire alle cause del disastro.
Rimasero da quel momento inevase tutte le risposte alle domande, specialmente quelle degli orfani che le urlarono per 20 lunghi anni in tutte le direzioni.
Fu tutto INUTILE! La versione ufficiale degli eventi rimasta agli atti ufficiali fu sempre la stessa: che i problemi fossero sorti durante il maltempo, nonostante le dichiarazioni contrarie del Comandante della HUDSON ed il fatto evidente che la poppa della nave fosse rimasta a galla per sei settimane.
Una delle verità può essere questa:
Gli anni '80 furono un periodo economicamente difficile per l'industria petrolifera, specialmente quando il prezzo del petrolio crollò a 10 dollari al barile – le società di Navigazione petrolifere di un certo tipo… e con certe bandiere… si allinearono per risparmiare denaro a scapito della sicurezza e della manutenzione dello scafo e del motore.
Fu così che le aziende interessate al mondo petrolifero tagliarono le spese ritenute superflue: ridussero gli equipaggi delle petroliere e iniziarono ad allungare le permanenze in mare rinviando i lavori urgenti e le soste in bacino per i regolari controlli periodici.
Secondo un rapporto del Wall Street Journal, Paul Slater, l'ex presidente della società finanziaria di navi First International Financial Corp., dichiarò: "La maggior parte delle grandi petroliere sono obsolete, invecchiate e in molti casi mal mantenute".
A proposito del disastro della ATHENIAN VENTURE, nel 1992 il Marine Casualty Report, completato dal governo cipriota e rilasciato all'Organizzazione marittima internazionale, concludeva che "le condizioni meteorologiche imponevano carichi sullo scafo che non potevano essere sostenuti".
I risultati del rapporto contraddicono le testimonianze oculari rese disponibili agli assicuratori della nave.
Intervistato dai Lloyd's di Londra, anche un altro membro dell'equipaggio della HUDSON affermò che la notte dell'esplosione il mare era relativamente calmo.
Il rappresentante designato dal governo alle udienze era il professor Jerzy Doerffer, un esperto di fama mondiale nella costruzione di navi, sintetizzò così la sua opinione informale su quanto accaduto:
“La tragedia della ATHENIAN VENTURE è avvenuta perché la nave era in cattive condizioni di manutenzione. Questo è certo."
Ogni volta che ci troviamo a commentare un disastro navale, l’attenzione dei media si limita agli episodi di cronaca, alla dinamica dei naufragi o degli assalti o alle perdite per l'armatore, senza curarsi molto delle conseguenze sui marittimi e sulle loro famiglie, così come delle condizioni di vita e di lavoro di questa categoria, pressoché invisibile all’opinione pubblica.
Eppure, si tratta di lavoratori che hanno un ruolo centrale nel sistema economico internazionale. Basti pensare che il trasporto marittimo muove il 90 per cento del commercio mondiale ed è affidato al lavoro di appena un milione e duecento mila persone. Sono soprattutto uomini e vengono nella maggior parte dei casi dai paesi in via di sviluppo.
Nella categoria dei marittimi oggi rientrano sia quelli che lavorano sulle navi mercantili sia quelli impiegati sulle navi da crociera. Ciò che li accomuna sono le condizioni di lavoro difficili, non solo per i lunghi periodi in mare, per l’estraniamento dalla vita sulla terra ferma e dalla famiglia, ma anche per il mancato rispetto dei diritti e degli standard minimi di tutela.
GATTI CARLO
Rapallo, giovedì 6 Maggio 2021
11.4.1991-LA HAVEN ESPLODE E AFFONDA DAVANTI A GENOVA -ARENZANO
11 APRILE 1991
LA SUPERPETROLIERA HAVEN ESPLODE E DOPO UNA LENTA AGONIA AFFONDA DAVANTI AGENOVA ARENZANO
Sopra, l’articolo del SECOLO XIX E’ USCITO L’11 APRILE 2021 A RICORDO DI QUELLE TERRIBILI ORE
Arenzano – Sono immagini che rimarranno per sempre nella mente di ogni testimone, quelle della petroliera Haven che brucia al largo di Arenzano, esattamente 30 anni fa.
Chi scrive ha ancora oggi negli occhi quelle immagini dantesche, nel naso l’odore acre del “greggio” in fiamme, sulla pelle il calore dell’inferno, nel cuore il pensiero delle vittime che non tornarono più a casa … e nella mente gli atti d’eroismo compiuti dagli uomini di mare e di porto, in doveroso SILENZIO, come solo loro sanno fare!
In paese è impossibile dimenticare quella maledetta mattina dell’11 aprile 1991, che segnò l’inizio di un disastro ambientale senza precedenti per la costa di Arenzano, Cogoleto e il ponente genovese. Prima l’esplosione, con un botto talmente forte da far vibrare i vetri delle case, tanto che molti cittadini pensarono a una bomba.
Poi, prima ancora di uscire per strada e raggiungere il mare per capire cosa fosse successo, in cielo era comparsa una colonna altissima di fumo che andava a dissolversi nelle nuvole, colorandole di nero.
Per quasi tre giorni la Liguria guardò con il fiato sospeso il mare davanti ad Arenzano che bruciava, con quella petroliera che lentamente colava a picco, portando con sé cinque morti, e rilasciando in acqua migliaia di tonnellate di petrolio. Il lavoro dei soccorsi – sul posto giorno e notte – sembrava quasi impossibile, e grande era il senso di impotenza da parte dei cittadini.
Infine arrivarono le onde nere, che portarono sulla spiaggia il catrame e i pesci morti: chi era bambino all’epoca ricorda che, giocando con le pietre sul litorale, si correva il rischio di tornare a casa con le mani nere e una bella lavata di testa da parte dei genitori.
La Haven non ha mai lasciato i fondali di Arenzano: un’eredità che con gli anni, ironia della sorte, si è trasformata in opportunità turistica, diventando il più grande relitto visitabile da subacquei del Mediterraneo, e uno dei maggiori al mondo.
La HAVEN IN NAVIGAZIONE
Alassio. “Al Pilota Comandante Cerutti: Noi, ufficiali ed equipaggio dell’ormai perduta petroliera Haven, porgiamo il nostro ringraziamento al Pilota Cap. Cerutti che ha salvato le nostre vite ed ha permesso alle nostre famiglie di rivedere il ritorno a casa dei loro padri. Il primo ufficiale della m/c Haven Donatos Th.Lolis”.
E’ la frase che il primo ufficiale greco della petroliera Haven scrisse al comandante Cerutti.
Oggi, come 30 anni fa il comandante che vive ad Alassio ed è presidente della Marina Spa, la società che gestisce il porticciolo turistico Luca Ferrari, ricorda tutto.
Classe 1937, entrato nel corpo dei piloti del porto di Genova nel 1970 è andato in pensione nel 1997. Il comandante Cerutti, nasce nella città del Muretto, la passione per il mare arriva in modo naturale, la barca a vela e la pesca subacquea lo attraggono subito. Ma è stato soprattutto un grande comandante ed ora i “lupi di mare” lo ricordano per essere stato l’eroe della Haven che l’11 aprile del 1991 affondò al largo delle coste tra Arenzano e Varazze.
Un dramma che si era consumato in quattro giorni quando morirono 5 dei 36 uomini dell’equipaggio, ma 18 furono salvati dal comandante Cerutti. Ivg.it rivive quei momenti della più grande tragedia ambientale del Mediterraneo con un uomo che riuscì a rendere meno drammatico il bilancio delle vittime.
“È una bella giornata di sole, la tramontana alza leggermente il mare – racconta – Sono nella sottostazione di Multedo al servizio del porto petroli. Poco dopo mezzogiorno sento via radio il “may day” lanciato da una nave inizialmente sconosciuta. Mi metto subito in contatto e capisco che è la petroliera Haven, una grossa nave che ha scaricato all’isola galleggiante parte del suo carico ed è ritornata in rada”.
Cerutti allora avverte subito che ci sono “fiamme a bordo”. Corre subito alla pilotina e con il timoniere Elvio Parodi si dirige verso la Haven, nella zona “M”, a un paio di miglia dalla costa di Voltri.
“Nel tragitto, non più di una quindicina di minuti, avviso un’altra petroliera che era in zona di salpare e allontanarsi. Tutto per evitare altre esplosioni. Mi sembra tutto così incredibile, solo la notte prima c’è stata la tragedia del Moby Prince e ora siamo di fronte a questa scena che appare realmente infernale, fiamme e fumo nero.
Vedo subito l’incendio nella zona prodiera, parlo con il comandante che mi chiede di mandare gli elicotteri, ma gli rispondo che sarebbe inutile, visto le fiamme e il fumo.
Faccio il giro della nave, ritorno a prora e in quel momento c’è una violenta esplosione che piega in due la petroliera e nello stesso istante, perdo il contatto con il comandante che più nessuno sentirà né troverà. Vado verso poppa e vedo i marinai che si buttano in mezzo alle fiamme e chiedono aiuto.
Non hanno scampo e in tre bruciano davanti ai miei occhi, ma riesco a caricarne diciotto e a riportarli a terra, mentre arrivano anche le altre unità di soccorso, vigili del fuoco, rimorchiatori, capitaneria”.
Molto del greggio fuoriuscito brucerà in mare, una parte considerevole raggiungerà le coste. Il comandante di Alassio non ha mai dimenticato le immagini di quei giorni e anzi è stato più volte ricordato come un eroe e per questo motivo ha ricevuto anche diversi riconoscimenti.
Ricordando la HAVEN - vent’anni dopo...
di Carlo GATTI - Mare Nostrum Rapallo - Sez.Relitti/M.-Sub
CARLO GATTI
Rapallo, 6 Aprile 2021
NAUFRAGIO SULLA SPIAGGIA DI SANTA MARGHERITA LiIGURE
NAUFRAGIO SULLA SPIAGGIA DI SANTA MARGHERITA LIGURE
9 Dicembre 1910
9 Dicembre 1910 naufragio del cutter “Angelo Padre” sulla scogliera del porto di Santa Margherita.
Il Caffaro riceve il seguente telegramma da Santa Margherita Ligure:
Stanotte il kutter « Angelo Padre » proveniente, da Isola Rossa (Corsica), carico di legna e diretto a Genova, si infranse sulla scogliera del porto. Poco dopo colava a picco. Dei 5 uomini componenti l'equipaggio, due perirono: il capitano Emilio Fanciulli, d'anni 37, ed il fratello Giovanni Battista, d'anni 35. Gli altri componenti l'equipaggio si salvarono gettandosi in mare. Alle 9 si rinvenne sulla spiaggia il cadavere del Giovanni Battista. Per tutta la giornata continuarono le ricerche per rinvenire l'altro cadavere. Verso le 11 il pretore si recò sul luogo per le constatazioni di legge. La nave apparteneva al compartimento di Civitavecchia, i marinai erano di Porto Santo Stefano, il carico era della ditta Profumo, di Genova. Tra i comproprietari della nave stessa sono il capitano ed il signor Sacco Eugenio, di Civitavecchia.
a.c. di Carlo GATTI
Rapallo, 16 Marzo 2021
Ringrazio: wwwlefotodi santa.com - renatodirodi
IL NAUFRAGIO DELLA NAVE FLUVIALE “AMERICA” (24/12/1871)
IL NAUFRAGIO DELLA NAVE FLUVIALE “AMERICA”
(24/12/1871)
121 FURONO LE VITTIME
Una Storia con molti cognomi genovesi
Tra cui un vero eroe da ricordare
Questo tragico racconto del Naufragio dell’AMERICA, é scarso di dettagli e di cronache, sono passati 150 anni da quella tragica notte, ed anche una ricostruzione parziale ed ipotetica dell’avvenimento diventa impossibile. Purtroppo, in mancanza di testimonianze e prove evidenti, non rimane altro che “ricordare per non dimenticare” il tristissimo EVENTO di quelle povere vittime che perirono nel terrore di una notte buia, all’improvviso, nelle difficoltà che possiamo solo immaginare del loro eventuale recupero e salvataggio che ci fu, ma solo in forma molto limitata.
Le cause di questi tragici incidenti sono quasi sempre attribuite ad errori umani, avarie alle macchine, scarsa manutenzione e, all’epoca anche alla mancanza di norme di sicurezza tipo: lo scarso numero di lance di salvataggio. Ed infine, fu complice anche la brevità del percorso: 115 miglia nautiche che, ad una stimabile velocità di 10/11 nodi, poteva essere coperta in una decina di ore di navigazione fluviale tra due sponde non lontane tra loro: una crociera si direbbe oggi, un’evasione romantica in vista della Chistmas Eve (Vigilia di Natale).
Le cronache dell’epoca riportano dichiarazioni confuse e sotto shock dei superstiti, dei “sentito dire” e forse più pettegolezzi dei giornalisti, che prove reali non sono mai, tra cui l’ipotesi che vi fosse in corso una scommessa tra i comandanti della AMERICA e della VILLA DEL SALTO su chi sarebbe arrivato per PRIMO all’ormeggio. Pare che fossero partiti nello stesso momento da Buenos Aires per Montevideo.
Non si sa come siano andate veramente le cose, ma sulla AMERICA partì probabilmente l’ordine di forzare l’andatura delle macchine con evidenti salti di pressione delle caldaie con conseguente esplosione di tubi che avrebbero provocato e diffuso l’incendio a bordo in pochissimo tempo.
Come sanno tutti i naviganti, e come sappiamo anche dalla storia di molti naufragi navali, nulla è più pericoloso dell’incendio a bordo, a causa della sua velocità di propagazione, delle alte temperature che esso può raggiungere, in particolare sulle navi d’epoca completamente arredate con materiale infiammabile. A bordo, tutte queste reazioni a catena provocano panico e comportamenti irrazionali da parte dei passeggeri, ma anche dell’equipaggio che non riesce a gestire l’emergenza.
C’è inoltre da aggiungere che se l’incendio e la conseguente esplosione si verificano su un fiume e di notte, la libertà di manovra del Comandante è anche ridotta per la presenza di altre imbarcazioni in navigazione in spazi ristretti, non solo, ma la gestione della manovra nel dover posizionare la nave nel modo corretto rispetto al vento può essere problematico oltre che drammatico.
Dalle foto, dai disegni e dalle impressioni pittoriche pubblicate all’epoca del disastro, si hanno immagini contrastanti con la nave che prende il vento al traverso, in altre sarebbe invece investita dal fuoco alimentato dal vento per tutta la sua lunghezza.
A questo punto non mi rimane che riportare integralmente l’unica testimonianza scritta, breve ma molto intensa, che mi sono permesso di tradurre e rivedere secondo il nostro linguaggio marinaro! Me ne scuso, ovviamente!
In questa commovente storia, emerge la figura di un eroe italiano:
Luis Viale, il cui gesto é assolutamente da ricordare e da tramandare ai posteri!
Rio de la Plata - La notte del 24 dicembre 1871, sulla rotta tra Buenos Aires e Montevideo, si verificò una tragedia che costò la vita a 121 persone lasciando sulla propria scia anche una morte eroica, quella del cittadino italiano LUIS VIALE, che decise di sacrificare la propria vita per salvare la vita di una giovane donna incinta. Quella notte, alle 2 del mattino, il piroscafo "America" era in navigazione tra i porti di Buenos Aires e Montevideo.
L' "America", costruita a Boston, era un piroscafo a pale, dalle linee moderne ed aggraziate, molto simile a quelle più note nella pubblicità navale che viaggiano lungo il Mississippi in Nord America; quella notte era accompagnata dalla nave similare Villa del Salto, noleggiata per l'occasione, a causa della grande richiesta di passeggeri che quel viaggio aveva avuto.
Entrambe le navi erano partite dal porto di Buenos Aires la notte del 23 dicembre e la America aveva a bordo poco meno di 200 persone, tra equipaggio e passeggeri. Alcuni di questi ultimi si erano imbarcati con l'intenzione di trascorrere le festività di fine anno a Montevideo, ma la maggioranza apparteneva a famiglie "benestanti" in fuga dalla terribile epidemia di febbre gialla che quell'estate aveva colpito Buenos Aires e, tra loro, c'erano gli sposi Augusto Marco Del Pont e sua moglie Carmen, incinta, che viaggiavano insieme ad un amico della coppia, un ricco mercante italiano di nome Luis Viale, uno dei fondatori della Banca d'Italia e dell'Ospedale Italiano di Buenos Aires.
Il capitano della America era una garanzia per la sicurezza della nave e dei passeggeri. Si chiamava Bartolomeo Bossi un genovese di cinquantadue anni, che si era stabilito a Buenos Aires sin da giovanissimo. Aveva un cantiere navale a La Boca e nel 1859 comandò il piroscafo Pampero, che fece anche la "linea" tra Buenos Aires e Montevideo. Esplorò il Paraná, l'Uruguay, nel 1860 il Mato Grosso e dopo il 1873 i canali Fuegian e la costa cilena, pubblicando diversi libri sull'argomento.
Quella sera a bordo si ballava, e quando tutti si ritirarono per andare a riposare, il capitano BOSSI decise di raggiungere la Villa del Salto per vincere una scommessa su chi sarebbe arrivato per primo a Montevideo. Ordinò di dare la massima pressione alle caldaie, ma queste non riuscirono a sopportare lo sforzo, esplose provocando un feroce incendio che si diffuse rapidamente su tutta la nave.
In mezzo a scene di panico, il vapore iniziò ad affondare e mentre l'equipaggio e i passeggeri lottavano per un posto in una delle uniche due barche che c'erano, molti si gettarono in acqua con i giubbotti di salvataggio. LUIS VIALE, che già indossava il suo, si tuffò in acqua ritrovandosi in mezzo alle onde con gli amici Marco del Pont e la moglie Carmen. Senza esitazione, le offerse il suo salvagente, dicendole: "Sei giovane e hai un'altra vita da salvare". Pochi minuti dopo, il marito di Carmen e il suo soccorritore scomparvero tra le onde.
E sebbene la nave "Villa del Salto" abbia fatto marcia indietro e sia riuscita a salvare 70 sopravvissuti, tra cui Carmen Marco del Pont, 121 persone, tra passeggeri ed equipaggio, perirono annegando tra le fiamme..
Questa tragedia causò grande costernazione a Buenos Aires, molti vittime erano residenti della città. Nel 1928, un gruppo di residenti italiani raccolse fondi per erigere una statua di Luís Viale, simbolo di eroismo e solidarietà, e oggi la si può vedere sulla Costanera Sur, mentre guarda il mare che lo porta via”.
IMPRESSIONI PITTORICHE DEL NAUFRAGIO
CARLO GATTI
Rapallo, Martedì 16 Febbraio 2021
LA M/N CATERINA COSTA 28 MARZO 1943 ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
LA M/N CATERINA COSTA
28 MARZO 1943
ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
Oltre 1.000 sono le vittime ufficiose
3.000 i feriti e ingenti danni alla città
La CATERINA COSTA saltò in aria. Era una santabarbara galleggiante ormeggiata al molo 18 del porto di Napoli, non lontana dal rione di Sant’Erasmo.
Approdata nella città partenopea, carica di esplosivo, carri armati, cingolati, munizioni, cannoni e più di mille tonnellate di benzina in fusti nelle stive, si presentava come un boccone prelibatissimo per eventuali sabotatori… i quali non lasciarono tracce, ma tanti sospetti che non diedero tuttavia corso ad alcuna “azione antiterroristica”, come si direbbe oggi.!
La nave sarebbe dovuta partire per la Tunisia, a detta di molti studiosi fu sabotata dagli Alleati, ma il Regime al potere in quegli anni non lo avrebbe mai ammesso: ”oltre al danno la beffa”. Ciò non toglie che la nave possa essere stata vittima anche di una gestione molto superficiale da parte di un equipaggio improvvisato ed inesperto.
Il VARO della CATERINA COSTA A RIVA TRIGOSO IL 14 Aprile 1942
La flotta commerciale dei Costa aveva come ammiraglia la nave “Caterina Costa”, notevole per dimensioni e potenza di motori. Notare il moderno SHAPE della nave.
Le frecce indicano lo squarcio fra le mura del Maschio Angioino
Ciò che rimase della nave….
L'esplosione
Il 28 marzo 1943 la M/n CATERINA COSTA era carica di materiale bellico destinato alle forze armate italiane dislocate in Tunisia . Vediamo questa santabarbara nel dettaglio:
- 790 tonnellate di carburante ; 900 tonnellate di esplosivi; 1.700 tonnellate di munizioni; carri armati ed autocingolati; 43 cannoni a lunga gittata; fucili; circa 600 militari italiani e tedeschi; viveri.
Una volta ultimata la caricazione dei citati rifornimenti, sarebbe entrata a far parte di un convoglio militare diretto a Biserta , in Tunisia.
Nella prima mattinata del 28 marzo 1943 ntale o doloso che, evidentemente, fu sottovalutato e che portò, alle 17,39, all'esplosione del carico e della nave stessa.
Per entrare nel vivo della tragedia, nulla ci sembra più coinvolgente della lettura di alcuni stralci di cronaca trovati qua e là…
“Il comandante Marsi, da giorni stava vigilando sullo stivaggio del “delicato” carico della nave. La partenza era fissata per il 27 di marzo, ma un imprevisto provocò la rottura di una fune e fece slittare la partenza al giorno dopo. Il 28 marzo del 1943 intorno alle cinque del pomeriggio si scatena quello che inizialmente sembra un piccolo incendio a bordo, forse provocato da una
banale scintilla. Basta poco perché il tutto si trasformi in tragedia. La nave diventa una vera e propria bocca di fuoco dalla quale vengono “sparati” pezzi infuocati su tutta Napoli”.
“L’onda d’urto, e non solo, investì Napoli, dal porto partirono pezzi di nave, di cannoni e altro ancora, che arrivarono fino a Piazza Garibaldi, Borgo Loreto, la Sanità, piazza Carlo III e i Quartieri Spagnoli, provocando numerosi feriti. Fu colpita la Stazione Centrale dove alcune schegge appiccarono incendi ai vagoni in sosta, presero fuoco i Magazzini Generali e si dice che proiettili e detriti arrivarono fino al Vomero, alla collina dei Camaldoli, a Soccavo e a Pianura. La torretta di un carro armato si incastrò nel tetto del Teatro San Carlo dopo un volo di cinquecento metri, un pezzo di nave abbatté due fabbricati al Ponte della Maddalena, un altro si conficcò nel tetto di un palazzo di via Atri. Fu colpita anche una facciata del Maschio Angioino. Una lamiera veloce quanto un proiettile trafisse l’orologio della chiesa di Sant’Eligio ubicata nel centro storico della città a ridosso della zona di piazza Mercato. L’edificio gotico, costruito nel 1270, è la più antica costruzione di epoca angioina.
“Alla fine della giornata si contarono ben 600 morti, la stragrande maggioranza tra i marinai di bordo e oltre 3.000 feriti in tutta la città. Purtroppo se ne aggiungeranno molti altri. Non si conta invece il numero indefinito di persone che fu per un breve periodo di tempo, in forte stato di confusione dovuto alla paura e allo shock”.
“Il molo sprofonda letteralmente trascinando un gruppo di caseggiati vicini, due palazzi vengono letteralmente schiacciati dalla prua della nave, un carro armato fu rinvenuto sulla terrazza di un palazzo. Furono sollevati molti dubbi, si pensò anche ad un attentato, ma nulla emerse dalle serrate indagini che seguirà il drammatico evento”.
“I sismografi dell’Osservatorio del VESUVIO percepirono l’evento come un terremoto del quinto o sesto grado della scala Mercalli. Quello della Caterina Costa, fu solo uno dei terribili colpi che, compresi i cento bombardamenti che martoriarono Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale, segnò la storia della nostra città”.
Rovina, disastro e distruzione
Per meglio comprendere il contesto storico in cui si venne a trovare la nave genovese “CATERINA COSTA”, mi affido alle lucide e dotte spiegazioni rilasciate dalla Prof.ssa Gabriella Gribaudi, docente di Storia Contemporanea all’Università Federico II, la quale si è occupata del periodo bellico e soprattutto ha approfondito gli avvenimenti che sconvolsero Napoli negli anni compresi tra il 1942 e il 1945 arrivando alla conclusione che Napoli é stata la città più “bombardata” d’Italia, dove vivo è ancora il ricordo di quelle giornate.
L’intervista é centrata sull’esplosione della “Caterina Costa”, avvenuta nel porto di Napoli il 28 marzo del 1943.
- Professoressa Gribaudi nel suo libro “Guerra Totale” dedica un capitolo alla drammatica esplosione che sconvolse Napoli il 28 marzo del 1943. Cosa è emerso?
“Devo premettere che Napoli ha subito oltre 100 bombardamenti che hanno causato la morte di oltre sei mila persone. E’ stata una città fortemente colpita per una ragione precisa: con il suo porto era la base di partenza delle navi militari dirette in Africa ed era il porto di rifornimento di armi. In più è stata sottoposta, dopo lo sbarco degli alleati a Salerno il 9 settembre del 1943, alle rappresaglie dell’esercito tedesco. Per cui possiamo affermare che fu colpita dal cielo dall’aviazione degli alleati e, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu sottoposta ai rastrellamenti, alle rappresaglie naziste. 18 mila furono in quegli anni i napoletani condotti nei campi di concentramento.”
- Venendo, dunque, al 28 marzo, cosa accadde?
“La nave “Caterina Costa” era ormeggiata nel porto, in attesa di partire per il nord Africa per portare all’esercito armi e derrate alimentari. Nella stiva di poppa, già dalle prime ore della mattina, iniziò a sprigionarsi un incendio. All’inizio si trattò di piccole esplosioni. Dai documenti rinvenuti e dalla corrispondenza tra le Autorità, come Prefettura, Marina Militare, Autorità del porto, si evince chiaramente che su tutti prevalse l’indecisione, l’incapacità di assumere delle decisioni e che, per una studiosa di storia, è un’ulteriore dimostrazione della mentalità delle “élite dirigenti” del fascismo: avventurismo, incapacità di decidere e di operare in sintonia con i vari centri del potere, scarsa sensibilità verso la gente comune furono i caratteri distintivi del regime. A bordo c’erano bombe, polvere da sparo, carri armati per cui l’esito dell’esplosione fu devastante: palazzi crollarono, fabbriche andarono distrutte, quartieri lontani dal porto furono colpiti. I morti accertati furono 600, ma probabilmente furono molti di più. Devo aggiungere che le sirene non suonarono, come avveniva in caso di “bombardamenti”, per cui i cittadini ignari non corsero nei rifugi.”
- Una domanda che molti si sono posti, è se si sia trattato di un attentato.
“No, lo testimoniano le relazioni di Prefettura e Vigili del Fuoco dell’epoca che ho esaminato. Gli errori furono molteplici: il primo fu di aver ormeggiato una nave carica di esplosivo con la prua rivolta verso la città e non verso il largo, altro errore fu di non provare ad affondarla o almeno ad allontanarla. All’inizio, come le ho precisato, l’incendio fu di piccole dimensioni. L’esito catastrofico fu il risultato di una conclamata incapacità a prendere delle decisioni sensate.”
- Ma ci fu un’indagine dopo l’evento? In che modo si valutarono le responsabilità?
“L’unico risultato delle indagini fu l’allontanamento del Comandante del porto, Ammiraglio Falangola. Provvedimenti più seri e che la popolazione si aspettava non vi furono. Su tutto calò il silenzio. Ciò che emerge chiaramente, da questa triste pagina della guerra, è la perdita delle “memoria pubblica”. L’esplosione di quella giornata è rimasta, invece, impressa nella mente dei napoletani. Nel mio libro riporto diverse testimonianza di figli di uomini e donne dell’epoca che conoscono quanto avvenne grazie al racconto di nonni e di genitori. La memoria privata c’è. Ritengo importante aver deciso di commemorare quel 28 marzo 1943 per riportare all’attenzione “pubblica” un accadimento dimenticato per 75 anni dalle Istituzioni.”
.
M/N CATERINA COSTA - Un po’ di Storia -
La motonave da carico Caterina Costa fu protagonista, come abbiamo già visto, di uno dei peggiori incidenti della Seconda guerra mondiale. La nave da carico, ne vale la pena ricordarlo,
era da poco tempo entrata in servizio nelle file dell’Armamento Costa di Genova e rappresentava in quel momento storico una delle navi più moderne tra quelle costruite in Italia.
Il 21 ottobre 1942 fu requisita dalla Regia Marina e, in virtù delle sue caratteristiche, fu adibita al trasporto dei rifornimenti sulla rotta più importante, quella per il Nord Africa. Compì quattro viaggi su questa tratta;
il 26 dicembre 1942 rimase danneggiata in un attacco aereo su Biserta.
Per completezza riportiamo date e dati che la riguardavano:
Tipo ……………………………. Motonave da carico
Proprietà…………………….. Giacomo COSTA
Cantiere……………………… Cantiere Navale di Riva Trigoso (Genova)
Impostazione…………….. 1939
Varo……………………………. 14 Aprile 1942
Completamento…………. 1942
Entrata in servizio……… 1942
Destino finale…………….. Affondata a Napoli il 28 marzo 1943
DATI NAVE
Dislocamento…………….. 8.600 tonn.
Stazza lorda………………. 8.060 tonn.
Lunghezza…………………. 135,5 mt.
Larghezza………………….. 19,0 mt.
Altezza………………………. 9,0 mt.
Pescaggio a pieno carico… 8,0 mt
Propulsione………………. Motori “FIAT Grandi Motori” – 8 cilindri
Carlo GATTI
Rapallo, 2 Ottobre 2020
30 ANNI FA - NAUFRAGIO DEL TRAGHETTO RO-RO ESPRESSO TRAPANI
30 ANNI FA - NAUFRAGIO DEL TRAGHETTO RO-RO
ESPRESSO TRAPANI
DAVANTI AL PORTO DI TRAPANI
Un po’ di Storia:
Roll-on/Roll-off (anche detto Ro-Ro): Locuzione inglese che letteralmente significa: “rotola dentro/rotola fuori”. E' il termine per indicare una nave-traghetto vera e propria, progettata e costruita per il trasporto con modalità di imbarco e sbarco di veicoli gommati (sulle proprie ruote), e di carichi disposti su pianali o in contenitori, caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni. Generalmente sono dotate di più ponti garage collegati con rampe d'accesso e/o montacarichi. A differenza dell'ambito mercantile dove il carico è normalmente misurato in tonnellate. Il carico dei Ro/Ro è tipicamente misurato dalle corsie in metri lineari (LIMs, Lanes in meters in lingua inglese). Questo è calcolato sommando i metri delle corsie dedicate al trasporto di semirimorchi.
NULLA MEGLIO DI UNA FOTO PUO’ SPIEGARE L’ORIGINE DEL SISTEMA DI TRASPORTO NAVALE ROLL-ON / ROLL-OFF.
Un carro armato "Sherman" sbarca su una spiaggia dall'USS LST-517, il 2 agosto del 1944 durante l'invasione della Normandia.
Dal 1964, dopo aver subito un restyling operativo, la nave nella foto fu chiamata ELBANO PRIMO - Compagnia Sarda di Navigazione Marittima – Cagliari.
Noi di una certa età ricordiamo il PRIMO Ro/Ro italiano ELBANO PRIMO, ex LST (Landing Ship Tank) 3028: Royal Navy 1946 – “SNOWDEN SMITH” –(Ministry of Transport Army) – London.
Oggi quel tipo di nave si é allungato parecchio. Notare nella foto l’enorme rampa di poppa della TØNSBERG autentico ponte tra il garage e la banchina.
Dopo oltre 50 anni di attività, questa tipologia di trasporto, vede in circolazione la più grande Roll-on/Roll-off del mondo: della Compagnia (norvegese-svedese) Wallenius-Wilhelmsen. Dati: lunghezza f.t.265 mt.- larghezza 32,26 – Stazza Lorda 76.500 t. equipaggio 36. Giro del mondo in 41 giorni: toccati quattro continenti. Capacità di trasporto Auto 6.000.
Nella sezione Salvataggi e disastri del nostro sito Mare Nostrum Rapallo, abbiamo dedicato ai traghetti RO-RO naufragati o solamente incidentati (in tempo di pace) sette articoli:
M/T BOCCACCIO (Classe Poeti) - Finì in tragedia – Si arenò sugli scogli
GENOVA, Tragico INCENDIO, M/n LINDAROSA
M/N MONICA RUSSOTTI, una Tragedia Evitata - Mollati i cavi dalla banchina, sbandò paurosamente e riuscì miracolosamente ad affiancarsi alla banchina di fronte…
HELEANNA - Una ferita che brucia ancora – Prese fuoco
ESPRESSO SARDEGNA. Operazione recupero e rimorchio - si capovolse a causa del mare in tempesta
MOBY PRINCE, un'altra Ustica? - collisione, incendio
L’incendio sulla NORMAN ATLANTIC – Incendio a bordo
Ne elenchiamo altri di cui ci siamo occupati in altre occasioni:
20 DICEMBRE 1987. Il traghetto Dona Paz collide con la petroliera Mt Victor nelle acque delle Filippine. Affogano 4.340 persone.
7 APRILE 1990. Un piromane appicca un incendio a bordo del traghetto Scandinavian Star nel mare del Nord, in viaggio da Oslo a Fredrikshavn, in Danimarca. Muoiono 159 persone.
16 FEBBRAIO 1993. Un traghetto sovraffollato affonda tra Jeremie e Port-au-Prince, vicino ad Haiti. Muoiono tra le 500 e le 700 persone.
28 SETTEMBRE 1994. Il traghetto Estonia affonda durante una tempesta nel mar Baltico. Muoiono 852 persone. Il mare penetrò dal portellone difettoso di poppa facendo sbandare la nave.
26 SETTEMBRE 2002. Un traghetto senegalese si rovescia in seguito a una tempesta al largo del Gambia. I morti sono oltre 1.800.
3 FEBBRAIO 2006. In seguito a un incendio scoppiato durante il viaggio del Traghetto Boccaccio nel mar Rosso, dall'Arabia Saudita al porto egiziano di Safaga, annegano oltre 1.000 persone.
21 GIUGNO 2008. Il traghetto The Princess of the Stars va in avaria e si rovescia al largo delle coste filippine durante un potente tifone. I morti sono oltre 800.
§§
LA TRAGEDIA DEL TRAGHETTO RO-RO ESPRESSO TRAPANI
Il 29 aprile 1990, alle ore 17, a 4 miglia dall'Isola Formica, nelle Isole Egadi, il traghetto fece una virata a sinistra per allinearsi all'ingresso del Porto di Trapani, ma sbandò paurosamente, forse per il distacco delle catene che tenevano fermi i TIR nel garage, per poi inclinarsi, capovolgersi e affondare, in soli 15 minuti. In quel momento a bordo vi erano 52 persone tra passeggeri ed equipaggio. 13 furono i morti, 4 marinai e 9 passeggeri, ma furono ritrovati solo sei cadaveri, e degli altri 7 rimasti intrappolati nella nave, nessuna traccia. Il comandante Leonardo Bertolino, al suo ultimo viaggio prima del pensionamento, affondò con la nave. Il relitto si trova a 112 metri di profondità.
Nel 1989 La compagnia trapanese CONATIR aveva affittato da una compagnia norvegese la nave e svolgeva con il traghetto “rinominato” Espresso Trapani un servizio di collegamento da Trapani a Livorno, imbarcando quasi esclusivamente camion e tir, e con cabine per gli autisti dei mezzi.
Proprio in quel fatidico giorno, il 29 aprile 1990, nella città marinara di TRAPANI si festeggiava San Francesco da Paola, Protettore della gente di mare, al quale la nostra Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO dedicò un articolo cinque anni fa. Ripropongo il LINK per gli appassionati:
Il bravo giornalista trapanese Mario Torrente, che visse in diretta quella tragedia, così ce la sintetizza:
L’Espresso Trapani colò a picco a quattro miglia dal porto, tra l’isola di Formica e lo scoglio dei Porcelli. Il traghetto era quasi arrivato a destinazione. Mancava meno di mezz’ora alle operazioni di attracco dopo avere attraversato il Tirreno. Ma venne risucchiato dal mare, quel giorno piatto come l’olio, in meno di 20 minuti. Sul posto arrivarono subito i soccorsi. E questo permise di salvare molte vite. Il May Day venne lanciato alle 17. Ma alle 17.17 dall’aliscafo Botticelli, che da Favignana fece subito rotta verso il punto del naufragio, comunicarono di non vedere alcuna nave tra l’isola di Formica e lo scoglio dei Porcelli. L’Espresso Trapani non c’era più. Quel pomeriggio, oltre ai mezzi della Capitaneria e tutte le altre unità di soccorso, uscirono in mare a tutta manetta i pescherecci trapanesi per recuperare i naufraghi. Il prima possibile. In 39 riuscirono a salvarsi. Fu una giornata tremenda per Trapani, che visse la sua peggiore tragedia del mare. Sicuramente degli ultimi 50 anni. La ferita è ancora aperta. Molte famiglie continuano a piangere i loro cari. Per di più senza avere una tomba dove potere portare un fiore.
Le vittime furono in tutto 13. Ma solo sei cadaveri vennero recuperati dal mare per essere portati a terra e trovare degna sepoltura. A bordo del traghetto, che quel pomeriggio del 29 aprile del 1990 tornava da Livorno con il suo carico di camion e vite, c’erano in tutti 52 persone, di cui 18 componenti di equipaggio e 34 passeggeri. Tra le 13 vittime ci fu anche il comandante Leonardo Bertolino, inabissò con la sua nave. Nell’elenco dei dispersi c’è anche il direttore di macchina Gaspare Conticello. Il suo corpo non venne mai recuperato, come quello del comandante e di altre cinque persone. Forse rimasti intrappolati dentro le cabine o in chissà quale parte dello scafo, oggi adagiato sul fondale a circa centro metri di profondità. Vicino al Maraone. Coricato sul suo fianco destro. A nulla servirono le operazioni di ricerca condotte dai sommozzatori della Marina Militare. Quei corpi non furono mai recuperati. Un dramma che ha segnato la comunità trapanese, con la sua gente di mare, nel giorno in cui in città si festeggiava San Francesco di Paola. Il Santu Patre protettore di chi va per mare. Marittimi e pescatori. Come potersi scordare una coincidenza del genere: una grande nave colata a picco portandosi con sé tante vite mentre il patrono dei naviganti è in processione nel suo giorno di festa.
L’ESPRESSO TRAPANI ormeggiato a Molo Ronciglio con la rampa calata
Il traghetto della CONATIR visto di poppa
A bordo c’era anche la moglie del comandante Bertolino, Rosa Adragna, tra i sei morti del naufragio che furono invece recuperati.
Un naufragio a quattro miglia dal porto, un traghetto che si capovolge ad una trentina di minuti dallo sbarco. Un mare liscio come l'olio, una nave quasi nuova e in perfette condizioni, una facile manovra per atterrare, per entrare in porto e attraccare al molo Garibaldi. Perché il traghetto Livorno-Trapani è finito in fondo al mare? Perchè si è inabissato quando aveva già superato il faro dopo 23 ore di navigazione? Non c'è mistero, non c'è giallo. Le ipotesi non sono molte, anzi è soltanto una: i 66 camion che trasportava il traghetto sono stati liberati dalle catene prima della manovra d’entrata in porto. Un'operazione che avrebbe provocato lo spostamento di alcuni Tir, la rottura di altre rizze (i ferri che legano gli automezzi pesanti alla nave), il capovolgimento improvviso dell'Espresso Trapani.
La testimonianza del cameriere di bordo Rosario Biondo, uno dei 39 naufraghi:
“Ero nella mia cabina, stavo ascoltando i risultati delle partite di calcio. All'improvviso ho sentito un rumore, un rumore di catene, come se stessero sganciando le rizze... e poi.... Poi in diciannove minuti esatti l'Espresso Trapani è stato inghiottito dal mare”.
La tragedia è stata ricostruita attimo per attimo dalla capitaneria di porto in un dossier che è già sulla scrivania del sostituto procuratore della Repubblica Pietro Pellegrino. Ecco cos'è accaduto nel mare tra l'isola di Levanzo e il porto di Trapani nel pomeriggio di domenica 28 aprile.
Ore 16.58 - Il comandante dell'Espresso Trapani vira bruscamente a sinistra per entrare in porto mentre il traghetto si rovescia sul lato destro.
Ore 17 - Viene lanciato il May Day. Ore 17.02 - l'ufficiale di turno alla centrale operativa della capitaneria dà l'allarme alle unità navali.
Ore 17.05 - l'SOS viene raccolto dall'aliscafo Botticelli che sta per lasciare il piccolo porto di Favignana. Il comandante del Botticelli fa scendere i suoi passeggeri e salpa verso l'isolotto di Formica.
Ore 17.06 - Anche la nave cisterna Vetor II lascia Favignana e punta verso lo specchio di mare dove presumibilmente è affondato il traghetto.
Ore 17.12 - mollano gli ormeggi le prime due motovedette della capitaneria di porto di Trapani. Ore 17.15 - la radio costiera smista l'allarme a tutte le imbarcazioni in navigazione nel Basso Tirreno.
Ore 17.17 - il comandante dell'aliscafo Botticelli non vede nessuna nave fra lo scoglio dei Porcelli e l'isolotto di Formica. Il traghetto è già in fondo al mare, scomparso in diciannove minuti.
“Quel traghetto non poteva e non doveva affondare”. L'armatore è un uomo di 49 anni che si dispera per la morte di quattro suoi marinai e di altri nove passeggeri. “In otto mesi di navigazione si era fermato solo un giorno, aveva navigato anche con mare forza otto, era una nave robusta e straordinariamente maneggevole”.
“Ma perché è affondata? Cosa l'ha trascinata fino a cento metri di profondità? L'unica spiegazione è che qualcuno abbia slegato quei camion... Certo non sono stati i marinai della mia nave. Ribatte Salvatore Di Stefano, uno dei camionisti superstiti. “Non l'ha fatto nessuno, nessuno!”.
Già! L'unico che poteva dire perché la nave abbia virato improvvisamente a sinistra inclinandosi a destra è il comandante Leonardo Bertolino. Anche lui è nell' elenco di quei sette che non si trovano. Faceva il capitano da trent' anni, la rotta Livorno-Trapani la conosceva come le sue tasche. Domenica era il suo ultimo giorno di navigazione, stava per andare in pensione. Per l'ultima traversata aveva fatto salire sul suo traghetto anche la moglie Rosa. Quando la nave è andata giù la Signora era in cabina. E' stata ripescata nel mare di Trapani.
Ricorre oggi il 30esimo anniversario del naufragio dell’Espresso Trapani, il traghetto della Conatir affondato il 29 aprile del 1990 che oggi è ancora riverso sul fianco come appare nella foto.
A mezzogiorno in punto nel porto di Trapani hanno suonato le sirene di navi ed aliscafi mentre dalla banchina il sindaco Giacomo Tranchida, assieme al consigliere comunale Peppe Virzi, ha lanciato un mazzo di fiori in mare conto dei parenti delle vittime del naufragio dell’Espresso Trapani. In occasione del trentesimo anniversario della sciagura una motovedetta della Capitaneria di Porto di Trapani ha raggiunto il punto del naufragio, dove a mezzogiorno in punto, i militati della Guardia Costiera hanno lanciato due corone di fiori in mare: una del Comune di Trapani, l’altra della Capitaneria di porto di Trapani.
A bordo della motovedetta anche il cappellano militare, per un momento di preghiera, e Tonino Gallo, che il 29 aprile del 1990 era imbarcato sull’Espresso Trapani come secondo ufficiale di macchina.
A causa delle disposizioni del coronavirus non si sono potute tenere commemorazioni pubbliche. Dalla banchina del porto di Trapani, dopo un momento di preghiera e la lettura del messaggio del vescovo Pietro Maria Fragnelli, il consigliere comunale Peppe Virzì ha ricordato i nomi delle tredici vittime. Leggendo ad alta voce i loro nomi a pochi metri dal mare. Poi il lancio dei fiori che i parenti delle vittime hanno fatto avere al sindaco Tranchida. Con il sottofondo delle sirene delle navi ormeggiata al porto di Trapani. In ricordo di quella tragedia che non potrà mai essere dimenticata.
QUALCHE RIFLESSIONE
- Durante l’approaching del traghetto ESPRESSO TRAPANI verso il porto di Trapani il mare era in bonaccia.
- Abbiamo visto in precedenza le situazioni che normalmente causano la perdita di un traghetti Ro-Ro: Incaglio, Incendio, Collisione, Avarie al portellone di poppa ed altre cause.
- Il Comandante Bertolino era una vecchia conoscenza di tutti i Piloti del Porto di Genova. aveva navigato molti anni sugli ESPRESSI di Magliveras che scalavano Genova ogni giorno. Noi Piloti sapevamo quanto quel Comandante fosse scrupoloso, affidabile ed esperto.
- A mio modesto parere, la tragedia NON può essersi consumata per l’ordine impartito dal Ponte di Comando di togliere le rizze ai camion nel garage. Purtroppo questa tragica operazione fu compiuta nel garage all’insaputa del Comandante il quale, ritenendo la nave in sicurezza, scelse una accostata adeguata a quella situazione, per lui di normalità che, invece, si dimostrò tale da far sbandare la nave di quei pochi gradi che purtroppo si dimostrarono sufficienti a far slittare i TIR a paratia producendo un’ulteriore fatale inclinazione. D'allora, in seguito a queste tipologie di tragici incidenti, l'accesso ai garage dei traghetti é proibito fino al completamento dell'ormeggio della nave in banchina.
Alcuni flash personali
- Ricordo lo sfogo di tanti Comandanti di traghetti quando, durante la manovra, mi confidavano l’accumulo di stanchezza dovuta anche a “certe pressioni” per arrivare e partire dai porti a tutte le ore del giorno e della notte con le stesse modalità di un treno…
- Personalmente, avendo frequentato ambienti scandinavi in diversi ambiti portuali per molto tempo, posso aggiungere che proprio in quegli anni, gli equipaggi dei traghetti nordici, sottoposti a stress del tutto simili a quelli dei nostri equipaggi italiani, praticavano già allora turni di una settimana a bordo e la successiva di riposo a terra, fino alla conclusione del periodo d’imbarco. Un altro mondo rispetto al nostro… che, a tutt’oggi, è ben distante da certi traguardi. Qualcuno potrebbe obiettare: Altri mari, altre tradizioni…!
- Personalmente ho altre idee, poche, ma chiare.
Nei Paesi sopracitati, oltre ad aver mantenuto i relativi Ministeri della Marina Mercantile, dispongono anche di Tribunali Marittimi. In quelle Nazioni il MARE é amato e vissuto, i sacrifici compiuti dai marittimi sono ben conosciuti da tutti per Cultura Marinara che i media tengono vivi ogni giorno, se si pensa che ogni paese della costa, in tutto il Nord Europa, dispone di un suo specifico Museo Marinaro e sui fiumi che scendono in mare sono ormeggiate centinaia d’imbarcazioni e navi di ogni epoca che vengono regolarmente manutenute dai Comuni e dalle Associazioni Marinare locali.
Oggi esistono nel nostro Paese tanti Comandanti italiani di navi, contesi anche da molte Compagnie straniere, che trasportano da 5.000 a 10.000 persone tra passeggeri ed equipaggio ed hanno crescenti competenze che vanno ben oltre la normale funzione nautica che tutti conoscono. Il Comandante oggi, come ieri, assume funzioni di ufficiale di stato civile, di ufficiale di polizia giudiziaria, di tutore a bordo della pubblica sicurezza e di capo responsabile della polizia di bordo. Può ricevere testamento, può celebrare matrimoni ed esercitare la sua autorità su tutte le persone che si trovano a bordo della nave, vigila sull’igiene dei cibi e degli ambienti, gestisce le emergenze, possiede nozioni di tutte le leggi, conosce procedure legali, regolamenti e ruolo delle istituzioni, può requisire beni, smantellare parte della nave se necessario e disfarsi di parte del carico in caso di emergenza, ad esempio portare in salvo la nave e i passeggeri.
In assenza dell’armatore o di un suo rappresentante, può licenziare o ingaggiare membri dell’equipaggio, processare, procurarsi il denaro per completare il viaggio, può razionare i viveri se le provviste non bastano. Come capo della spedizione ha il dovere di accertarsi che la nave sia idonea al viaggio. Ma non è tutto, è tenuto per legge a precisi obblighi pubblicistici cioè: a compilare un numero straordinario di pratiche burocratiche attinenti alla spedizione: dalla dichiarazione delle provviste di bordo, alle dichiarazioni dei beni personali dell’equipaggio e all’elenco dei passeggeri. Girano il mondo, parlano le lingue principali del pianeta e sono dei veri e propri Ambasciatori che pubblicizzano tutte le risorse nazionali.
Con un simile bagaglio di esperienze importanti, questi MARINAI vanno in pensione e vengono subito dimenticati. La domanda é questa:
Perché questi esperti Comandanti non sono chiamati a dirigere i grandi e piccoli porti dove, purtroppo, periodicamente si scopre che quei posti sono occupati da civili che non hanno i titoli di studio adeguati e pertanto neppure un giorno di navigazione.
Forse non tutti sanno che nel nostro Parlamento non siede un Comandante marittimo dall’epoca di Garibaldi e di non pochi autorevoli Capitani che diventarono in seguito grandi Armatori, ma anche imprenditori navali che fondarono prestigiosi imperi nella cantieristica.
Con loro, LA MARINA era al Governo e raggiunse livelli mondiali in tutti settori legati al mare. Appartenevano a quella stirpe di navigatori che vedevano il mare come il futuro da conquistare, da esplorare, da sfruttare, mentre i popoli di terra guardano sempre alla terra come il passato da raccontare, da vivere, da conservare ….
I popoli di mare hanno sempre guardato al mare come oggi si guarda allo spazio…. Al futuro, al domani, all’avvenire, al cambiamento, alla modernità, al divenire…. Da sempre il marinaio é abituato a guardare lontano.
Cosa successe dopo? Gli STORICI dovrebbero indagare e spiegare agli italiani i motivi di questo allontanamento dalle nostre autentiche radici, un fatale distacco che oggi ci fa guardare il mare con paura e soggezione come se questo elemento fosse una strada buia, tempestosa e piena d’insidie.
Con la legge n. 537 del 1993 il Ministero della Marina Mercantile venne accorpato dal Governo Ciampi al Ministero dei Trasporti, che mutò la denominazione in Ministero dei Trasporti e della Navigazione, a sua volta accorpato con la Riforma Bassanini nel 2001 al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti perdendo la propria ANIMA…
Queste sono le RIFORME da compiere in fretta! Purtroppo non sono neppure all’orizzonte mentre si continua a mettere persone inadeguate nei posti chiave!
Ringrazio il dott. Pino Pesce per avermi ricordato il tragico affondamento della ESPRESSO TRAPANI.
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Settembre 2020