GENOVA, Tragico INCENDIO, M/n LINDAROSA

Genova, 27.7.1998

TRAGICO INCENDIO

a bordo del traghetto da carico italiano

“LINDA ROSA”

Nave

Bandiera    Compartimento

Stazza Lorda

Lunghezza-Larghezza

LINDA ROSA

Italiana

Bari

18.469  tonn.

198 metri

26 metri

I FATTI

Il traghetto LINDA ROSA della “Società Levante Trasporti” era ormeggiato nel nostro porto a Ponte Canepa.

Alle 14.20 del 27.7.1998, la nave, con il Pilota a bordo, muoveva verso il Bacino n°5 con una bava di vento da sud.

Il Comandante Crescenzo Mendella aveva un problema:

OTTO CLANDESTINI A BORDO

erano stati scoperti in un container a bordo della nave. La Polizia italiana aveva però deciso di respingerli, nonostante le rimostranze del Comandante del traghetto, il quale denunciò alle Autorità la difficoltà della loro custodia, dovendo la nave entrare in bacino di carenaggio per le visite periodiche.


L’INCENDIO

Forse fu proprio la prospettiva di una sosta lunga e laboriosa che indusse i clandestini ad appiccare il fuoco ai materassi delle cabine dove si trovavano rinchiusi. La loro strategia doveva essere semplice ma efficace:

- creare uno stato d’allarme a bordo

- attirare l’attenzione dei guardiani e dei marinai
- uscire dalle cabine
- attuare un piano di fuga

TESTIMONE

Lasciamo ora la parola al pilota di turno Roberto Zucchi:

In prossimità della testata Ponte Eritrea scattava l’allarme di Incendio a bordo e quasi contemporaneamente del fumo raggiungeva il ponte di comando.”

Mentre a bordo venivano prese immediatamente le misure del caso, il Pilota allertava le Autorità e quindi tutti i servizi di terra: VVFF-Ambulanze ecc…

Il Pilota prosegue così la sua testimonianza:

“…il rimorchiatore Giappone era a prora, il Brasile a spingere e il Francia a poppa. Con il ponte di comando completamente avvolto da un fumo nero e denso ed i motori principali fermi si continuava la manovra dalla controplancia e si decideva di attraccare al pontile OARN- CNR, che era la banchina libera più vicina. Durante la fase d’attracco, l’elicottero dei VV. FF. atterrava sulla coperta della nave con personale medico, mentre i VV.FF. di terra iniziavano l’opera di spegnimento”.


Quando divamparono le fiamme dalle cabine dei clandestini, scattò l’allarme antincendio a bordo della LINDA ROSA ed il nostromo, visto il pericolo, fu il più rapido ad abbattere le porte. Troppo tardi.

LE VITTIME

La tragedia, perché di questo si trattò, apparve in tutta la sua gravità quando l’equipaggio dovette prendere atto che: Cinque degli otto extracomunitari erano già morti per soffocamento.

L’incendio veniva completamente domato intorno alle Ore 16.15.

Il Capo Pilota Ottavio Lanzola, ad operazioni terminate, così si espresse:

Il pilota di turno R.Zucchi ha lavorato con grande professionalità e tempestività nel rendersi conto della gravità di quanto poi sarebbe accaduto dando immediato allarme a tutti gli Enti interessati e collaborando al massimo col Comandante della nave con la calma e la freddezza indispensabili in queste circostanze. Inoltre ci siamo resi conto dell’inestimabile funzionalità della Torre di Controllo e di tutta la sua innovativa strumentazione, che ci ha consentito di coordinare e dirigere a distanza, sin dall’inizio, le operazioni in corso tramite le telecamere a circuito chiuso. Forse abbiamo salvato una nave con la rapidità dei nostri interventi, ma dentro ci sentiamo un vuoto, una specie di fallimento per non essere stati in grado di evitare, tra tutti, quell’orrenda tragedia che ancora una volta ha insanguinato il nostro porto.”

Carlo GATTI

Rapallo, 1 Novembre 2017

 


SUPER PETROLIERA "SALEM"- Una Frode Colossale

Super petroliera SALEM

Una Frode Colossale

Vista aerea della T/t Sea Sovereign, in seguito South Sun, ed infine T/t SALEM

Esiste un capitolo poco pubblicizzato della Storia Navale che riguarda le navi affondate senza una causa ben precisa e riscontrata: cattivo tempo, collisione, falla, errore di manovra … tolte le quali, rimane soltanto l’intenzionalità:

La nave deve essere affondata!

Queste pratiche criminali sono raccolte in un faldone antico come il mondo e precisamente da quando esistono forme di protezione finanziaria contro la perdita totale di una nave. In questi casi l’osso da spolpare é l’Assicurazione, un Ente che copre finanziariamente i danni al carico e alla nave. Il relativo PREMIO  a carico dell’armatore é obbligatorio per tutte le navi in circolazione sui settemari. (Soltanto le supercargo in circolazione  nel mondo oggi sono: 60.000).

Com’é noto, la categoria d’incidenti “provocati” a cui ci riferiamo, riguarda la TRUFFA concordata tra un armatore disonesto ed un equipaggio consenziente che definire “pirata” sarebbe molto riduttivo, non solo, ma come vedremo in questa sceneggiata compaiono anche altri attori insospettati …

L’obiettivo da raggiungere é sempre lo stesso: entrare in possesso della cifra STIPULATA CON L’ASSICURAZIONE per la perdita della nave.

Il fenomeno riguarda lo shipping internazionale, in particolare quello che si riferisce alle “bandiere ombra”.


Con il termine bandiera di comodo (o anche bandiera ombra o bandiera di convenienza) si indica la bandiera (Insegna) di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un'altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile; la nazione che fornisce la bandiera riceve soldi in cambio di questo servizio.

I bassi oneri di registrazione, la bassa tassazione, la libertà dalle leggi sul lavoro e la sicurezza, sono fattori motivanti per molte bandiere di comodo.

Citando The Outlaw Sea di William Langewiesche:

«Nessuno pretende che una nave provenga dal porto dipinto sulla sua poppa, o che ci sia mai almeno passata vicino. Panama è la più grande nazione marittima sulla terra, seguita dalla sanguinosa Liberia, che a malapena esiste. Non c'è bisogno nemmeno di avere una costa. Ci sono navi provenienti da La Paz, nella Bolivia senza sbocco al mare. Ci sono navi che provengono dal deserto della Mongolia. Inoltre, gli stessi registri sono raramente basati nelle nazioni di cui portano il nome: Panamá è considerata una "bandiera" vecchio stile, perché i suoi consolati gestiscono la documentazione e raccolgono le quote di registrazione, ma la "Liberia" è gestita da una società in Virginia, la Cambogia da un'altra nella Corea del Sud e la fiera e indipendente Bahama da un gruppo che opera dalla City di Londra.»

Secondo l'International Transport Workers Federation:

«Le vittime sono più numerose sulle navi con bandiera di comodo. Nel 2001, il 63% di tutte le perdite in termini di tonnellaggio assoluto erano a carico di 13 registri di bandiere di comodo. I primi sei registri in termini di navi perse erano tutti bandiere di comodo: Panama, Cipro, Saint Vincent, Grenadine, Cambogia e Malta.

Questo é il quadro generale. Ora ci occuperemo di un caso “archiviato” da tempo, anche dalle vecchie generazioni… ma noi riteniamo che vada sempre ricordato sia per le dimensioni della nave colata a picco sia per il valore del carico “scomparso”... non in fondo al mare (per fortuna), ma venduto prima che la nave affondasse dolosamente.

Caso “emblematico” di un fenomeno ricorrente per il quale occorre essere sempre vigili. Un tempo si diceva:

“MAI abbassare la guardia!”

T/T SEA SOVEREIGN

Foto della collezione di Micke Asklander

 

Breve storia della nave

La superpetroliera T/T Sea Sovereign, fu ordinata nel 1969 a Stoccolma per la Società Salénrederierna AB e venne costruita presso il Cantiere Kockums di Malmö. Nel 1977 la Salénrederierna vendette la supertank a Pimmerton Shipping Ltd. (Liberia), mentre la South Sun e la gestione delle navi furono assegnate alla Wallem Ship Management Ltd. (Hong Kong). Due anni dopo, la South Sun fu venduta a Oxford Shipping Inc. (USA). La nave fu ribattezzata SALEM, ma rimase sotto bandiera liberiana.

Caratteristiche della nave

Class and type: VLCC

Tonnage: 96,228 GRT

Lunghezza fuori tutta: 316.08 m (1,037.0 ft)

Larghezza: 48.77 m (160.0 ft)

Altezza: 24.50 m (80.4 ft)

Potenza installata: 32,000 hp (24,000 kW)

Turbina: 1 × Stal-Laval steam turbine

Velocità: 16 knots (30 km/h; 18 mph) max

Equipaggio: 25

SALEM was a supertanker which was scuttled off the coast of Guinea on 17 January 1980, after secretly unloading 192,000 tons of oil in Durban, South Africa. The oil was delivered in breach of the South African oil embargo and the ship was scuttled to fraudulently claim Insurance.

T/T SEA SOVEREIGN presso il Cantiere Blohm & Voss, Hamburg, l’1 marzo 1972

© Foto Torkjell Bang Pedersen.

LA TRUFFA

Quattro giorni dopo aver lasciato Mina Al Ahmadi-Kuwait, porto di caricazione, il noleggiatore Mantovani di Genova vendette il carico trasportato dalla SALEM al gruppo SHELL per 56 milioni di dollari. Questo tipo di transazione non è raro.

A metà gennaio la SALEM ormeggiò ad una piattaforma off-shore di Durban (Sudafrica) e scaricò 180.000 tonn. Di crude oil.

Lasciata Durban, la nave fece rotta per un punto al largo della costa del Senegal, uno dei più profondi dell’Oceano Atlantico. Quando la nave si trovò sul posto, il Comandante diede ordine di aprire le valvole di presa/scarico mare (sea-valves) Kingston.

La SALEM si zavorrò fino a colare a picco.

Era il 17 gennaio 1980

MA SUCCESSE L'IMPREVISTO

Un’ora prima che la nave affondasse, una petroliera inglese BP’s British TRIDENT apparve all’orizzonte.

Non era stato lanciato  alcun segnale di soccorso (S.O.S) nell’etere, e l’equipaggio della TRIDENT fu sorpreso nel vedere quella enorme petroliera che stava lentamente affondando mentre il suo equipaggio era da tempo sulle lance di salvataggio. Inoltre furono ancor più sorpresi quando videro che i naufraghi avevano con sé gli effetti personali raccolti in perfetto ordine nelle proprie valigie, non solo, ma avevano anche svaligiato la cambusa di bordo di generi alimentari di ogni tipo, anche di conforto: bottiglie, sigarette, liquori duty-free, ma non ebbero il tempo di salvare i libri di bordo….

L’equipaggio dichiarò ingenuamente:

“ ... che la petroliera affondò rapidamente, dopo diverse esplosioni…”

Ma la vera sorpresa, la più incredibile per il comando della TRIDENT, fu l’assenza completa di tracce del naufragio della nave nella zona, neppure una goccia delle 200.000 tonnellate di carico era stato versato in mare, nonostante la nave fosse esplosa in più riprese (così fu dichiarato dall’equipaggio) e quindi fosse affondata senza rilasciare neppure un pezzo di legno, un salvagente, una boetta… durante l’inabissamento. Neppure una vittima!

Ma la VERITA’ venne a galla ...

La famosa Compagnia di Assicurazioni LLOYD’S di Londra ricevette dall’armatore della nave la richiesta di 56,3 milioni di dollari per la “perdita totale” della SALEM, si trattava della cifra più alta mai ricevuta fino ad allora…

Gli investigatori dei LLOY’S si misero al lavoro e ben presto scoprirono che la SALEM aveva scaricato “segretamente” 192.000 tonnellate presso l'Oil Drilling Platform di Durban (Sudafrica) che era in quel periodo sottoposta a Sanzioni Economiche. (La risoluzione n. 1761 dell'assemblea  generale delle Nazioni Unite fu approvata il 6 novembre 1962 in risposta alle politiche razziste di apartheid istituite dal Governo Sudafricano). Il crude-oil fu quindi sbarcato in questa splendida città dell’emisfero australe:

"in violazione dell’embargo petrolifero sudafricano"

Gli altri attori famosi di cui parlavamo erano: lo Stato Sudafricano e la Compagnia Petrolifera Sudafricana SASOL che acquistò il carico (crude-oil) per 43 milioni di dollari USA.

La truffa “sarebbe” stata più credibile se, una volta “imboscato il carico”, fosse sparita anche la superpetroliera per ATTI DI DIO. E così fu! Sotto questa voce "Atti di Dio" vengono catalogati tutti i disastri navali dovuti ad uragani, cicloni, tempeste ecc…

MA… i fatti andarono diversamente dal previsto; é stata sufficiente la stupidità dell’equipaggio ... ed un po' di sfortuna.

Le sentenze

Dalla rivista SEATRADE WEEK NEWSFRONT del Giugno 1995 Estrapoliamo alcuni dati interessanti:

Com.te della SALEM:   Dimitrios Georgoulis

Direttore di Macchina: Antonis Kalamiropoulos

Capt. d’Armamento:    Nikoleos Mitakis

Marconista:                 Vassilios Evagelides

Fred Soudan:  Il regista dell’intera operazione

Nel 1985, tredici membri dell’equipaggio furono processati in Grecia.

- Otto furono assolti

- Capt. Mitakis fu condannato a 11 anni di carcere per aver scelto ad hoc un equipaggio adatto all'impresa.

- Il Comandante Dimitrios Georgoulis fu condannato a 4 anni di carcere.

- Il Direttore di macchina ed il 1° Macchinista ebbero 3 anni.

- Il marconista Vassilios Evagelides fu condannato a due anni per non aver lanciato l’S.O.S.

- Fred Soudan fu giudicato negli USA da una corte del Texas e fu condannato a 35 anni di carcere. Pare, però, che l'illustre "pirata" abbia scontato soltanto due anni della pena. Complice la moglie, evase dal carcere. A questo punto non é difficile immaginare che la coppia sia stata accolta "trionfalmente" su una di quelle isolette "appartate" del mare Oceano che battono "bandiera ombra".

- Gli investigatori stimarono che “la banda criminale” ricavò dalla frode un profitto di circa 20 milioni di dollari, di cui 4 milioni andarono a Fred Soudan.

Conclusione: Al termine della ricostruzione di questo colossale imbroglio, ho la sensazione d'aver scritto la sceneggiatura di un film d'avventura: INCREDIBILE, MA VERO!

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!

Carlo GATTI

Si ringrazia il dott. Cesare Ientile per la segnalazione del caso che fu definito: "La più grande truffa del Secolo".

20 Settembre 2017

 

 

 


STOCCOLMA-IL DISASTRO DEL GALEONE WASA

 

STOCCOLMA

IL DISASTRO DEL GALEONE WASA

Museo Wasa - 1.300.000 visitatori l'anno

10.000 visitatori giornalieri (alta stagione)


 

Nella bellissima Stoccolma c’è un relitto di un antico galeone da guerra svedese (custodito all’interno dell’omonimo museo ad esso dedicato), che ha avuto una fine tragica e paradossale proprio il giorno della sua inaugurazione. In ogni naufragio c’è un qualcosa che va storto, una forzatura ingegneristica, un errore umano in navigazione o più semplicemente una mancanza di rispetto dell’uomo verso le leggi del mare. Oggi vi raccontiamo la storia del galeone Vasa, la più grande nave da guerra mai costruita all’epoca, vanto della marina svedese ma incapace di navigare.


Durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella primavera del 1628, la flotta di Gustavo II Adolfo, re di Svezia, si arricchì di una nuova unità:

Il galeone a tre alberi Nya Wasa.

Il nome derivava dalla dinastia dei Wasa, alla quale Gustavo II apparteneva. Artigiani e artisti olandesi e svedesi, agli ordini di Henrik Hybertsson, aveva creato una splendida nave: il cassero di poppa raggiungeva i 20 metri d’altezza, di cui 15 sopra il livello del mare. L’albero maestro svettava a 52 metri d’altezza,

quelli di trinchetto e di maestra avevano vele quadre con vela di gabbia. L'albero di mezzana aveva una vela latina e, sul bompresso, c'era una civada. Complessivamente la nave poteva issare 1275 mq di vele che le consentivano di raggiungere una velocità di 10 nodi.

Gallerie esterne, cupole, arabeschi, bassorilievi e più di 700 statue di legno dorato ornavano l’opera morta, la parte emersa dello scafo.

Costruito a Stoccolma subì, prima ancora che scendesse in mare, numerose modifiche che influirono in modo disastroso sulla stabilità del galeone. Molte di queste furono richieste dal Re che interferì parecchio nella sua costruzione. La nave venne allungata e fu aggiunto un secondo ponte che permise di portare il numero dei cannoni a 64 pezzi. Il cassero era particolarmente alto e tutte le sovrastrutture furono pesantemente decorate.  Fu imbarcato, oltre all'armamento completo, anche un enorme quantitativo di vasellame, quadri e arredi.  La nave era imponente ma troppo stretta rispetto alla lunghezza ed al peso. Inoltre il baricentro era pericolosamente alto.  Si cercò di porvi rimedio aumentando la zavorra ma questo avvicinò ancor più il ponte di batteria inferiore al pelo dell'acqua.

Alle quattro del pomeriggio del 10 agosto 1628 la nave uscì dal porto di Stoccolma per il viaggio inaugurale. Mollati gli ormeggi, la nave mise la prua su Alvsnabben, nell’arcipelago di Stoccolma. Rimorchiato fino a Södermalm, il maestoso veliero dai vivaci colori nazionali issò le prime vele di trinchetto, di mezzana e le due vele di gabbia.


Giunto a cento metri a sud dell’isolotto di Beckholmen, una raffica improvvisa investì il cassero di dritta, facendo sbandare la nave e provocando un rapido ingresso di acqua dai portelli aperti della seconda batteria.

Il timoniere fu molto bravo a recuperare la stabilità, ma una seconda raffica lo inclinò ancora. A questo punto l'acqua cominciò ad entrare dai portelli dei cannoni del ponte inferiore che erano aperti, e la nave affondò rapidamente.

In pochi minuti la nave la nave affondò in 32 metri d’acqua adagiandosi sul fianco sinistro. Circa 50 furono le vittime, ma con il Wasa andarono a fondo anche 100.000 riksdaler, la moneta svedese dell’epoca, pari a 50 milioni di dollari di oggi. Una vera catastrofe nazionale. Le operazioni di recupero furono subito effettuate. L’inglese Ian Bulmer riuscì a raddrizzare il relitto e a disalberarlo in parte. Nel 1664 lo svedese Hans Albrekt ed il tedesco Andreas Peckell, giovandosi di una campana pneumatica, recuperarono 53 dei 64 cannoni. Nel 1954 lo studiuoso Anders Franzen ed il campione subacqueo Arne Zetterström con la scuola navale subacquea svedese tentarono il recupero del relitto che, dopo sei anni, rivide la luce il 24 aprile 1961. Il relitto risultò miracolosamente ben conservato grazie alla ridotta salinità delle acque del Baltico, alla scarsa presenza di ossigeno nel fondale ed al fatto che la nave era costruita con massiccio legno di rovere. Il Wasa fa ora bella mostra di sé nel museo di Stoccolma che porta il suo nome e che fu inaugurato nel 1990 fornendoci l’unica preziosa testimonianza del veliero del XVII secolo.

Nelle sue sale si trovano anche i numerosissimi manufatti, fra cui 700 statue, che furono recuperati intorno al relitto.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Dati Nave:

Tipo: ..........................galeone a tre alberi

Varo: .........................1627

Lunghezza: .............metri 70 (dal bompresso

Larghezza: ..............metri 11,50

Immersione: ...........metri 4,80

Dislocamento: .......tonn. 1.400

Superficie velica: ...mq 1.150

Armamento: ...........Prima batteria: .......  28 cannoni da 24 libbre

Seconda batteria:..... 22 cannoni da 24 libbre

Terza batteria: .........   2 cannoni da 1 libbra

8 cannoni da 2 libbre

6 mortai da6 libbre

Equipaggio:............133 marinai, 300 soldati

 

Carlo GATTI

Rapallo venerdì 14 2017

 

 

 


M/N MONICA RUSSOTTI, una Tragedia Evitata

 

M/N MONICA RUSSOTTI

Una tragedia evitata

Breve Storia:

Roll-on/Roll-off (anche detto Ro-Ro): Locuzione inglese che letteralmente significa: “rotola dentro/rotola fuori”. E' il termine per indicare una nave-traghetto vera e propria, progettata e costruita per il trasporto con modalità di imbarco e sbarco di veicoli gommati (sulle proprie ruote), e di carichi disposti su pianali o in contenitori, caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni. Generalmente sono dotate di più ponti garage collegati con rampe d'accesso e/o montacarichi. A differenza dell'ambito mercantile dove il carico è normalmente misurato in tonnellate. il carico dei Ro/Ro è tipicamente misurato dalle corsie in metri lineari (LIMs, Lanes in meters in lingua inglese). Questo è calcolato sommando i metri delle corsie dedicate al trasporto di semirimorchi.

NULLA MEGLIO DI UNA FOTO PUO’ SPIEGARE L’ORIGINE DEL SISTEMA DI TRASPORTO NAVALE ROLL-ON / ROLL-OFF.

Un carro armato "Sherman" sbarca su una spiaggia dall'USS LST-517, il 2 agosto del 1944 durante l'invasione della Normandia


Dal 1964, dopo aver subito un restyling operativo, la nave nella foto fu chiamata ELBANO PRIMO - Compagnia Sarda di Navigazione Marittima – Cagliari.

Noi di una certa età ricordiamo il PRIMO Ro/Ro italiano ELBANO PRIMO, ex LST (Landing Ship Tank) 3028: Royal Navy 1946 – “SNOWDEN SMITH” – (Ministry of Transport Army) – London.

Notare nella foto l’enorme rampa di poppa, autentico ponte tra il garage e la banchina.

Dopo oltre 50 anni di attività, questa tipologia di trasporto, vede in circolazione la più grande Roll-on/Roll-off del mondo: TØNSBERG della Compagnia (norvegese-svedese) Wallenius-Wilhelmsen. Dati: lunghezza f.t.265 mt.- larghezza 32,26 – Stazza Lorda 76.500 t. equipaggio 36. Giro del mondo in 41 giorni: toccati quattro continenti. Capacità di trasporto Auto 6.000.

13.4.1974

SPETTACOLARE INCIDENTE

alla Ro/Ro

“MONICA RUSSOTTI

 

Nave

Bandiera

Stazza Lorda

L.x.lar.

Costruz.

Cantiere

M.Russotti

Italiana

2986

115 x

19mt.

1973

Messina

 

Luogo dell’Incidente:

Nella zona del Porto di Genova denominata “Porto Vecchio”.

I Fatti:

Quando nel tardo pomeriggio, caratterizzato da for tramontana, il pilota giunse a bordo della moderna Ro/Ro Monica Russotti per metterla in partenza, tutto sembrava normale. Persino l’impiego del rimorchiatore appariva superfluo al Comandante ed al Pilota, nonostante il vento teso colpisse la nave al traverso sinistro, all’ormeggio di Ponte Colombo. La nave era dotata di un’elica di prora, di due eliche e due timoni a poppa. Si trattava quindi di una nave molto manovriera di recentissima costruzione.

Molla tutto”- suggerì il Pilota al Comandante, che ripeté l’ordine ai posti di manovra a prora e poppa.

L’Incidente:

La nave si abbrivò in avanti e subito cominciò a sbandare a sinistra, prima lentamente, poi s’inclinò paurosamente. La spinta del vento sulla struttura poppiera che in quella circostanza fece la funzione di una vela, fece orzare la nave, che venne con la prora a nord. Impeccabile  fu la manovra del Pilota che non si perse d’animo e riuscì a portare la nave verso il Molo vecchio, dove in tempi brevi, con l’aiuto dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, assicurò la nave, al limite del rovesciamento, alla nuova banchina con cavi alla lunga. La Monica Russotti fu assistita, scaricata, raddrizzata e rimessa definitivamente in sicurezza.

I Danni:

Durante il fortissimo sbandamento, il carico, composto prevalentemente da TIR, si rovesciò sia in garage che in coperta, scagliando e spandendo la merce ovunque. Molti camion finirono in mare e tanti marinai si ferirono nell’arduo tentativo di arginare il rotolamento del carico. La nave subì molti danni materiali un po’ dovunque, ma in particolare nel locale macchine dove si ebbero notevoli infiltrazioni d’acqua di mare.

Le Cause:

Ci furono probabilmente due cause concomitanti:

- Un piano di carico portato a termine in modo difettoso.

- Un probabile errore nella fase d’assetto di stabilità della nave.

I Protagonisti:

Questo incidente, del tipo “spettacolare”, non registrò fortunatamente alcuna vittima tra coloro che vi si trovarono coinvolti. Tuttavia crediamo che l’infortunio legato alla Monica Russotti debba rimanere nella mente degli addetti ai lavori, come un monito da non dimenticare. I veri protagonisti della giornata furono: tutti i servizi portuali, nessuno escluso, che con la loro proverbiale tempestività intervennero a rimediare un possibile affondamento, in una posizione vitale del porto, evitando quindi un comprensibile blocco forzato delle attività commerciali. Ma se ci è consentito, vorremmo citare il pilota Adriano Maccario, dal cui sangue freddo dipese la contenuta dimensione dei danni alla nave, al suo equipaggio e l’affondamento della nave che avrebbe bloccato ll traffico nel Porto Vecchio per lungo tempo.

ALBUM FOTOGRAFICO

Le foto che seguono sono state scattate dal celebre “maestro” Francesco LEONI ed acquistate dall’autore.

La Ro-Ro “MONICA RUSSOTTI” subito dopo aver mollato gli ormeggi di Ponte Colombo ha iniziato a sbandare sulla sinistra e, grazie al sangue freddo del Pilota Adriano Maccario, é riuscita a procedere in situazione molto precaria fino ad arrivare alla prospiciente banchina del Molo Vecchio, dove grazie al pronto intervento dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, la nave é stata assicurata alle bitte con i cavi di bordo evitando il rovesciamento ed un ben più fatale esito...

In questa splendida quanto drammatica istantanea, la MONICA RUSSOTTI é vista nella sezione longitudinale.

Molti camion si sono abbattuti insieme alla nave e parte del carico si é rovesciato in mare.

 

 

In primo piano il M/r INDIA al comando dell’autore. L’altro rimorchiatore di prora alla nave é M/r ISTRIA. In coppia, i due rotori Voith-Schneider sostengono la MONICA RUSSOTTI nell’attesa dell’ormeggio provvisorio e precario in testata al Molo Vecchio.

Foto Francesco Leoni - P.zza Vittoria 4/1 - Genova

 

Carlo GATTI

19 gennaio 2015

 


ACHILLE LAURO-ANGELINA LAURO, due navi predestinate?

“ACHILLE LAURO” - “ANGELINA LAURO”

DUE NAVI PREDESTINATE ?

Nel gennaio 1964 l’Armatore napoletano Achille Lauro acquistò le due illustri ed attempate  navi olandesi:

 

La “Oranje” (nella foto), fu varata ad Amsterdam nel 1939.

La Oranje fu ribattezzata: Angelina Lauro ed iniziò i lavori il 4.9.64. presso l’O.A.R.N di Genova

La Willem Ruys” – (nella foto) Fu varata a Flessinga nel 1947.

La Willem Ruys fu ribattezzata: Achille Lauro ed iniziò i lavori il 7.1.65 presso i C. N. R. di Palermo.

Le due navi subirono radicali lavori di ristrutturazione e restyling. Ma l’allestimento delle due navi venne ritardato di sei mesi a causa di incendi che, a pochi giorni di distanza, danneggiarono le due navi. I giornali dell’epoca parlarono di sabotaggio contro la “politica armatoriale”.

 

 

ACHILLE LAURO

Un po’ di Storia:

Ordinata nel 1938, il suo scafo venne impostato nel 1939 a Vlissingen, Olanda, per i Rotterdamsche Lloyd. La costruzione venne ritardata dalla Seconda guerra mondiale e da due bombardamenti, la nave fu varata nel luglio 1946. Venne completata alla fine del 1947 e compì il suo viaggio inaugurale il 2 dicembre 1947.

Nel 1964, venne venduta alla Flotta Lauro e ribattezzata Achille Lauro (dal nome del precedente sindaco di Napoli Achille Lauro). Ricostruita estensivamente e modernizzata nei Cantieri del Tirreno di Palermo rientrò in servizio nel 1966, subì degli incendi che descriveremo tra breve.

 

Nell’aprile 1975, mentre si trovava nello stretto dei Dardanelli entrò in collisione con una nave trasporto bestiame, la Yousset che affondò. Nel 1982 successivamente al fallimento della Flotta Lauro, passò alla Mediterranean Shipping Company.

Le due navi si somigliavano nello scafo, ma avevano alcune differenze: come si può notare nelle rispettive foto, l’ACHILLE LAURO aveva una ciminiera in più. Anche la Stazza Lorda e la Lunghezza delle due navi erano leggermente diverse. (Vedi tabelle)

Ricordo personale dell’autore:

Anche la motorizzazione ed il sistema propulsivo delle due navi era diverso: l’ANGELINA LAURO aveva a poppa una grande elica propulsiva centrale e due eliche laterali di dimensioni minori per la manovra: un unicum della sua epoca. La near sister ship ACHILLE LAURO aveva invece due eliche propulsive normali (una era destrorsa e l’altra sinistrorsa).

Achille Lauro: band.Italiana, Stazza Lorda 23.951, Lungh.xlargh. 196 x 25- Pax. 900 - Velocità, 25 nodi - Varo 1965

19.5.1972

INCENDI sulla Mn ACHILLE LAURO

1° Incendio avvenne durante i lavori di ristrutturazione nel 1965 a Palermo. Nel 1971 la nave urtò un peschereccio all’uscita del porto di Napoli. Morì un pescatore.

2° Incendio in Cantiere a Genova nel maggio 1972


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Genova, 19 Maggio 1972 La M/N ACHILLE LAURO é affiancata al molo del Cantiere Navale. L’incendio é appena divampato. La nave é stata evacuata dal personale. I Vigili del Fuoco sono arrivati ed hanno sistemato i loro mezzi antincendio sottobordo alla nave. Presto entreranno in azione.

 

Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Il 19 Maggio 1972 – L’incendio divampò tra i Ponti Superiori della ACHILLE LAURO In questa istantanea ripresa con il teleobiettivo dal famoso fotografo genovese Francesco Leoni, ci colpisce l’impagabile opera dei Vigili del Fuoco che si distinguono sparpagliati per tutta la superficie surriscaldata ed impregnata di fumi tossici. Li vediamo arrampicarsi, trascinare, distendere e puntare le manichette antincendio contro il nemico più insidioso delle navi:

IL FUOCO.


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Genova, 19 Maggio 1972 - La foto presa di prora, mostra lo sbandamento dell’ACHILLE LAURO avvenuto per effetto dell’acqua pompata dai rimorchiatori FORTE e SVEZIA (nella foto). L’incendio appare tuttavia sotto controllo e lo dimostra l’apparente tranquillità del gruppetto di civili che assiste a poche decine di metri dalla prora della nave.


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

19 Maggio 1972 - Il traffico scorre veloce sulla sopraelevata della città. A pochi metri di distanza prende fuoco la M/n ACHILLE LAURO ormeggiata nel sottostante Cantiere per gli annunciati lavori di restyling.

Nel 1973 la Flotta Lauro rischia il fallimento, in concomitanza con il raddoppio del prezzo del greggio.

Nel 1975 l’Achille Lauro speronò un cargo libanese all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli, morirono quattro marinai dell’altra nave.

3°Incendio

La M/n ACHILLE LAURO in difficoltà a causa del terzo incendio

Nel 1981, al largo delle Gran Canarie, la nave subì il terzo incendio. Morirono due passeggeri che si lanciarono in mare in preda al panico e affogarono. La nave fu fermata a Tenerife per pignoramento e poi fu disarmata a Genova. La “nave azzurra” venne nuovamente rimessa in servizio nel 1984 da un gruppo di armatori sorrentini sotto la vecchia ragione sociale e noleggiata ad interessi greci per l’impiego in crociere estive nel Mediterraneo.

IL DIROTTAMENTO IN EGITTO

Il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, l’ACHILLE LAURO venne dirottata da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP). A bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio. Si giunse in un primo momento ad una felice conclusione della vicenda, grazie all’intercessione dell’Egitto, dell’OLP di Arafat e dello stesso Abu Abbas (uno dei due negoziatori, proposti da Arafat).

Due giorni dopo si scoprì che a bordo era stato ucciso un cittadino americano, Leon Klinghoffer, ebreo e paralitico: l’episodio provocò la reazione degli Stati Uniti. L’11 ottobre dei caccia statunitensi intercettarono l’aereo egiziano (un Boeing 737), che, secondo gli accordi raggiunti conduceva in Tunisia i membri del commando di dirottatori, lo stesso Abu Abbas, Hani El Hassan (l’altro mediatore dell’OLP) oltre ad degli agenti dei servizi e diplomatici egiziani, costringendolo a dirigersi verso la base NATO di Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte.

Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti tra Italia e USA, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del ministero di Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi.

In seguito ci furono gli strascichi di Sigonella e la crisi politica nei rapporti tra Italia e Stati Uniti.

Il 4° Incendio

Ed eccoci al dramma finale. La nave era partita da Genova il 19.11.94. mentre era in navigazione al largo della Somalia scoppiò un improvviso incendio a bordo.

Era il 30.11.94, tre giorni più tardi, il 2 dicembre 1994 la nave affondò.

l’Achille Lauro si trovava a:

-100 miglia al largo della Somalia, a

-250 miglia a sud del corno d’Africa.

-Alle 05.00 fu dato l’Allarme generale

-Alle 05.50 venne lanciato l’S.O.S.

-Alle 06.00 furono calate le prime scialuppe di salvataggio.

-Alle 09.00 la nave Hawayan King giunse in soccorso.

-Alle 11.00 il Comandante ordinò l’Abbandono nave.

Le Vittime:

Durante il naufragio dell’ Achille Lauro nell’Oceano Indiano, perirono due turisti uno dei quali fu schiacciato da una lancia di salvataggio, altri otto rimasero feriti.

La maggior parte dei passeggeri venne salvato dalla nave battente bandiera panamense Hawaiian King. Una parte dell'equipaggio venne tratta in salvo dalla fregata ZEFFIRO della Marina Militare Italiana che rientrava da una missione a Gedda. Le operazioni di salvataggio dei superstiti andarono a buon fine. I passeggeri vennero scortati nel porto di Gibuti sotto il controllo di Davide Bottalico ufficiale medico della fregata Zeffiro. Secondo la Commissione d'Inchiesta istituita dal Ministero dei Trasporti, l'incendio fu dovuto al caso. Non è pensabile il recupero del relitto che si trova a 95 miglia dalla costa somala, in pieno Oceano Indiano, alla profondità di circa 5.000 mt.


“ANGELINA LAURO” - Band. Italiana - Stazza Lorda, 24.377 - Lungh. x Largh. 200 x 25,5 metri - Capacità Pax, 665 - Velocità, 26,5 - Varo 1964

28.8.1965 ore 05.00

Luogo Incendio:

Genova-Cantieri O.A.R.N. – I lavori di ristrutturazione si prolungarono per 17 mesi e compresero il rifacimento della prora, della ciminiera e di tutti i ponti destinati ai passeggeri. L’incendio divampò alle 05 del mattino del 28.8.65. Il luogo dell’incidente fu localizzato sul ponte “F” verso proravia, a vari metri sotto la linea di galleggiamento della nave. Ma soltanto dopo molte ore i vigili del fuoco poterono inoltrarsi in quei locali bui e devastati dall’esplosione che provocò l’incendio e recuperare i corpi ormai irriconoscibili:

Le sette Vittime: G.Bruno, G.Tebaldi, P.Dellepiane, G.Sessarego, C.A.Pagano, G.B.Chiossone, G.Olcese.

Le Cause: In questi frangenti, la causa e quasi sempre la stessa: presenza di sacche di gas che sprigionano dalle casse dei combustibili non perfettamente degasificate e che esplodono in presenza di fiamme libere.

Dopo la cessione dell’Angelina Lauro al gruppo Costa nel 1977 ed il ritiro di Lauro dalla gestione diretta del gruppo, le sorti della Compagnia peggiorarono fino alla dichiarazione di fallimento ed alla Gestione Commissariale dal 1882.

Ultimo Incendio:

La Angelina Lauro andò completamente perduta in seguito ad un altro incendio che la distrusse il 31.3.1978 quando si trovava all’ormeggio a St.Thomas nelle Isole Vergini Statunitensi (Caraibi).

Il fuoco era divampato nelle cucine del transatlantico che presto si piegò di 25° sul fianco sinistro. Non vi furono vittime a bordo. La nave fu recuperata soltanto nel mese di luglio, ma fu venduta ad un demolitore di Taiwan.

Concludiamo questa triste storia con un articolo pubblicato da: Epoca n.49, domenica 11 dicembre 1994) che rende ancora oggi l’idea della drammaticità di certi avvenimenti che ciclicamente si ripetono, anche con navi moderne a tecnologia avanzata. Le riflessioni che ne derivano sono numerose e denunciano quanto sia pericoloso “abbassare la guardia” sul fronte della SICUREZZA NAVALE.

La nave maledetta. L’agonia della Achille Lauro

di REMO URBINI

Un inferno. Il fuoco si è fatto strada dalla sala macchine, il fumo ha invaso le cabine, l’odore di bruciato è arrivato fino alla sala da ballo affollata da passeggeri in smoking e lamé. Roy Boltman, sudafricano, mago e intrattenitore, è stato uno dei primi a capire: lui, un naufragio lo aveva già vissuto tre anni fa sulla nave greca «Oceanos». Poi la musica si è interrotta con un fischio e sono arrivati gli ufficiali, nervosi, ma decisi: signori seguiteci sul ponte, per favore, c’è un incendio a bordo. Stavano per arrivare in paradiso i passeggeri di questa crociera sull'Achille Lauro partita da Genova e diretta in Sud Africa: : il 1° dicembre avrebbero dovuto approdare sulle spiagge delle Seychelles, il 5 sdraiarsi al sole delle Mauritius. Invece sono finiti in coperta, stipati e terrorizzati: chi in abito da sera, chi, come un gruppo di olandesi, in pigiama, chi ancora, come una comitiva di inglesi, in maglietta. Hanno lasciato tutte le loro cose nella cabina: sulle scialuppe c’è posto solo per le persone.

Sos affondiamo. Era la notte di martedì 29 novembre 1994: alle 5 e 54 ora italiana, dal transatlantico è partito l’Sos. Ed è iniziata l’ultima giornata di una nave da crociera leggendaria e famigerata: dicono che porti sfortuna. E fortuna di certo non ne ha avuta, nove anni prima, quando un commando di terroristi palestinesi la dirottarono e uccisero un passeggero. Ora c’è chi dice che la sfortuna non c’entra, che la nave non era sicura, che il boom delle crociere esploso nell’ultimo periodo spinge le compagnie ad abbassare i livelli di controllo pur di partire sempre a pieno carico.

Sull'Achille Lauro c’erano 572 passeggeri e 402 membri d’equipaggio, due persone sono morte: il cuore di Gerard Szimke, 68 anni, tedesco, ha ceduto alla paura. Arthur Morris, 64 anni, inglese residente in Sud Africa, invece ha incontrato il suo destino: era già salito sulla scialuppa di salvataggio quando un palo, caduto dalle fiancate della nave, l’ha colpito alla testa uccidendolo sul colpo. Tutti gli altri, compresi i 12 passeggeri italiani, si sono salvati, raccolti dalle navi accorse alla richiesta d’aiuto: la panamense «Hawaian King», la greca «Treasure Island», la liberiana «Bardu». Poi, dopo i primi soccorsi improvvisati, sono arrivate altre navi e i naufraghi sono stati avviati verso Gibuti e Mombasa.

L'Achille Lauro, quella che tutti a Napoli conoscono come la Nave Blu per il colore delle sue fiancate, è rimasta a bruciare in mezzo al mare. Cento marinai hanno lottato fino all’ultimo per spegnere le fiamme, hanno esaurito la schiuma dell’ultimo estintore, poi hanno ceduto. Per mezz’ora, l’unico ad aggirarsi sui ponti, in uno scenario spettrale, è stato il comandante Giuseppe Orsi, 58 anni. Alla fine anche lui se ne è andato, ultimo come prescrive la legge e l’onore degli uomini di mare. La nave si è inclinata, poi, dopo due giorni di agonia, si è inabissata.

Mezzo secolo di guai. Così l'Achille Lauro, una nave che aveva quasi mezzo secolo, ha ceduto. Negli uffici napoletani della Starlauro, gli armatori avevano accarezzato un sogno da irriducibili: recuperare lo scafo, magari anche ripararlo. Ma il comandante era pessimista. "L'Achille Lauro di nuovo in mare? Impossibile. Può anche darsi che non affondi, ma ormai è distrutta". Aveva ragione: quando uno dei rimorchiatori mandati dagli armatori ha cercato di trainare la nave in fiamme, l'Achille Lauro ha abbandonato la lotta, è affondata.

Questa volta insomma, il fuoco ha vinto la sua battaglia. Non c’era riuscito nel 1971 quando il transatlantico speronò un peschereccio (un marittimo morì) e si incendiò, non c’era riuscito l’anno dopo quando una parte della nave bruciò nel porto di Genova. Due episodi di una lunga storia di disavventure. Quelle che hanno guadagnato all'Achille Lauro la fama di “nave maledetta”. Progettata nel 1939 in un cantiere olandese, lega la sua nascita al terribile destino del suo armatore, Willem Ruys, ucciso in un campo di concentramento tedesco. Varata nel 1947 col nome appunto di Willem Ruys, naviga per quasi vent’anni negli oceani di tutto il mondo. Sui ponti in alto ci sono passeggeri come Henry Ford o Alfred Hitchcock, in quelli bassi si stipano gli emigranti in viaggio verso l'America. Nel 1964 sul transatlantico mette gli occhi Achille Lauro, armatore, monarchico, sindaco e padre-padrone di Napoli. La nave è in brutte condizioni: Lauro, «’o comandante» la spedisce in cantiere per quattro anni. Quando esce, con quel suo colore blu che la differenzia dalle navi bianche delle compagnie concorrenti, è una fuoriserie del mare. Ma la sfortuna non l’abbandona: incidenti, incendi (ce ne fu uno anche alle Canarie nel 1981, dove la nave era sotto sequestro dopo il crack della flotta Lauro). Fino a quel 7 ottobre 1985 quando la nave in viaggio verso Port Said viene dirottata da un gruppo di terroristi palestinesi. Per dieci giorni rimane in mano a un gruppo di esaltati che vuole utilizzarla per attaccare Israele. I 450 passeggeri vivono giorni di terrore, uno di loro, Leon Klinghoffer, un americano in sedia a rotelle, viene ucciso. Alla fine i terroristi trattarono, si consegnarono agli italiani: ora tre sono tornati liberi, in carcere resta solo l’assassino dell’americano.

Una carretta del mare? Ora la storia della nave maledetta è finita. E cominciano le polemiche. Qualcuno parla di equipaggio poco qualificato (tanti filippini e peruviani a basso costo), di cattive condizioni di manutenzione. La stampa rispolvera il termine abusato, ma sempre efficace, di carretta del mare . Ma gli armatori insorgono. Il direttore amministrativo della Starlauro, Antonio De Rosa spiega: “È vero che il personale straniero costa meno, ma viene impiegato nelle cabine, ai tavoli, come inservienti insomma. I marinai sono tutti specializzati. Cattive condizioni della nave? Tutte frottole: l’Achille Lauro aveva passato un’ispezione il 14 novembre”.

Tutto vero? Per saperne di più bisognerà aspettare i risultati dell’inchiesta (ci sono in ballo anche i 27 miliardi per cui era assicurata la nave). Ma quella di oggi sembra proprio l’ultima puntata della battaglia tra l’Achille Lauro e la sfortuna.

 

Carlo GATTI

Rapallo,  8 Luglio 2015

 

 


INDIVIDUATO IL RELITTO DEL VASCELLO SVEDESE MARS

LA NAVE DA GUERRA MARS (MARTE)

MAKALÖS (l’impareggiabile)


VIENE INDIVIDUATA DOPO 449 ANNI

ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

I Paesi Scandinavi, come li conosciamo oggi, sono civilissimi, politicamente “neutrali”, pacifici e molto invidiati per la loro organizzazione sociale che va dal wellfare all’accoglienza ecc…

Eppure queste monarchie che tuttora sopravvivono, sono state rivali tra loro, espansioniste, molto bellicose e spesso in conflitto armato tra loro.

Oggi si parla sempre più spesso di “sovranismi” in riferimento alle due Guerre mondiali che ci hanno visto coinvolti in quei massacri, ma gli Stati Scandinavi hanno saputo voltar pagina al momento opportuno e sono stati capaci di abbracciare e difendere quella posizione di neutralità, su cui torneremo tra breve, che ha consentito loro di limitare i danni della Seconda guerra mondiale, pur mantenendo tutte le caratteristiche antropologiche legate alle loro tradizioni storiche a cui sono legatissimi.

Qualche “ciccatrice” del passato é ancora presente, per esempio nella Skandia (la parte meridionale della Svezia), che un tempo apparteneva alla Danimarca, stranamente, si parla lo SKÅNSKA, una lingua più danese che svedese. Anche l’isola di Bornholm é molto più vicina alla Svezia che alla madrepatria danese.

In altri articoli del sito di Mare Nostrum ho scritto la storia di Bornholm ed anche dell’isola di Åland che si trova tra Svezia e Finlandia. Ma la cosa più curiosa é che nonostante le rispettive lingue appartengano allo stesso gruppo linguistico Nord Germanico, tra loro preferiscono parlare inglese… e questo la dice lunga sullo spirito di conservazione delle rispettive radici.

Per quanto riguarda la Finlandia il discorso é ancora più complicato, nel senso che i finlandesi appartengono ad una razza completamente diversa da quella scandinava e la loro lingua (incomprensibile) appartiene al gruppo uralo-altaico (ugro-finnico).

La Svezia e la Danimarca sono tra i più antichi e più tipici casi di stato-nazione e di conseguenza vanno studiati, alla pari di Francia, Gran Bretagna e Spagna, più come varianti dello stato-nazione nato nell’Europa moderna che non come casi di “piccoli stati”. I due stati, in competizione tra loro, hanno esercitato una forma di supremazia sulla gran parte del Nord Europa, dal tardo Medioevo in avanti.

Nel tempo furono gradualmente rimpiazzati dall’egemonia russa, prussiana e inglese, e ridotti allo status di piccoli poteri statuali.
In ragione di cambiamenti simultanei nella grande politica durante il XVIII e il XIX secolo, i maggiori conflitti europei si dislocarono lontano dal Nord Europa e ciò produsse una “neutralizzazione” virtuale dei paesi scandinavi a nord del Mar Baltico. Questa situazione di relativa neutralità fa sentire la sua presenza nella memoria collettiva dei danesi e nonostante anni di appartenenza alla Nato e all’Unione Europea l’ideologia neutralista mantiene una forte presa sulla popolazione. Un effetto secondario della propria esperienza di periferia privilegiata del Nord Europa fu la crescita di una identità nordica transnazionale al di sopra delle identificazioni nazionali per cui si sentono solidali nella comune appartenenza alle Nordinska Länder (Terre Nordiche).

LO SCONTRO NAVALE TRA DANIMARCA E SVEZIA

Non sempre nei libri di storia dell’Europa meridionale si racconta di quella guerra (detta dei Sette Anni o delle Tre Corone) che nel XVI secolo fu combattuta nelle fredde acque del nord Europa, dalla Svezia di Erik XIV contro la Danimarca di Federico II e la sua alleata città di Lubecca.

Stemma dell’Unione di Kalmar

Una guerra forse minore a fronte di quelle combattute tra le grandi nazioni europee meridionali ma che forse riserva ancora molte sorprese per gli storici e gli archeologi. Tutto ebbe inizio nel 1523 quando la Svezia uscì dall’Unione di Kalmar, diventando un regno indipendente con il re Gustavo I Wasa. Questa azione suscitò la disapprovazione del re danese Cristiano III che per ripicca incluse nel proprio stemma le Tre Corone (da cui il nome della guerra), che rappresentava i tre regni nordici dell’Unione di Kalmar e che, fino a quel momento, era presente solo nello stemma svedese. Ciò ovviamente non piacque alla Svezia che si senti tradita dopo che avevano avuto interessi comuni quando nella prima guerra del nord, combattuta per arginare l’espansionismo russo sulle coste del Baltico.


Sulla carta é segnata la posizione del relitto della MARS

 


Il XVI secolo fu molto interessante sia dal punto di vista dell’architettura navale sia nello sviluppo degli armamenti, quando videro la nascita dei nuovi cannoni realizzati usando ferro e bronzo. Questo vascello apparteneva alla prima generazione di grandi navi da guerra a tre alberi, armato con oltre cento canne da fuoco. Per poterle approntare fu necessario reperire il bronzo, metallo assai raro sul mercato. L’impiego del Mars in battaglia differisce da quello delle navi precedenti per un’importante novità tattica. Lo scontro di Öland, che gli fu fatale, fu storicamente la prima battaglia navale in cui le navi usarono il fuoco diretto dei cannoni per offendere l’avversario, piuttosto che per perseguire l’abbordaggio classico del nemico. In realtà nel primo giorno di battaglia gli Svedesi comandanti dall’ammiraglio Bagge avevano sbaragliato i Danesi, grazie ad una potenza di fuoco non comparabile, ma il secondo giorno, i Danesi della flotta di Lubecca cambiarono tattica e decisero di concentrarsi sulla grande nave da battaglia, lanciando palle di fuoco incendiarie sul grande vascello.

L’idea era di creare scompiglio al fine di riuscire ad abbordarla mentre era in fiamme. L’incendio si propagò velocemente, alimentato dalle esplosioni dei depositi di polvere da sparo e degli stessi cannoni. Si ritiene che furono proprio le loro esplosioni a causarne l’affondamento. Uno squarcio si apri sulla prua trascinando oltre mille uomini negli abissi. Quel 30 maggio 1564, il Mars scomparve ed iniziò la storia della sua maledizione.

 

IL RITROVAMENTO DEL RELITTO


Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.

 

 

La Mars con i suoi 50 metri di lunghezza era uno dei vascelli più grandi della flotta militare svedese, dotata di 107 cannoni e con quasi 1.000 persone di equipaggio, era una delle navi da guerra più famosi della sua epoca. Era il 1564 quando il vascello s’inabissò nel Mar Baltico, nel corso della Guerra dei Sette Anni, probabilmente a causa di una esplosione che la distrusse facendola colare a picco.

 

 





Reperti trovati all’interno del relitto

 

Nel 2011, dopo anni di ininterrotte ricerche, il relitto è stato individuato a 75 metri di profondità al largo dell’isola di Öland, la nave era inclinata sul lato destro sul fondale dove per quasi 450 si è conservata incredibilmente bene, grazie soprattutto a condizioni ambientali favorevoli, come la scarsità di sedimenti e la lentezza delle correnti.

Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.

Il team guidato da Rönnby sta ispezionando il relitto millimetro per millimetro e, grazie ai fondi della National Geographic Foundation, gli archeologi subacquei stanno scansionando il relitto per realizzare una foto mosaico e riproduzioni tridimensionali che consentiranno di condividere la Mars con studiosi e appassionati di tutto il mondo. Riportare un relitto in superficie, infatti, è un’operazione finanziariamente onerosa e pericolosa per la sopravvivenza dei resti archeologici, ma oggi grazie ai laser scanner utilizzati dagli studiosi il sito potrà esse esplorato e studiato senza ulteriori costi e rischi.

La tradizione, però, narra una storia leggermente diversa. Rönnby spiega che i sovrani svedesi, all'epoca, erano impegnati a consolidare la propria posizione. "Ma la chiesa cattolica, potente com'era, costituiva un grosso ostacolo". Proprio nel tentativo di sminuire il potere della Chiesa, re Erik XIV - colui che commissionò la MARS – diede ordine di confiscare le campane delle chiese, le fusero e utilizzarono il metallo per forgiare i cannoni delle navi da guerra. A bordo c'erano oltre cento cannoni di svariate dimensioni. Secondo il mito, proprio la "nuova vita" forzata di quelle che erano soltanto campane, portò la nave verso la rovina.

La leggenda narra che dopo l’affondamento uno spettro si alzò dalle profondità degli abissi per proteggere il relitto in modo che non fosse mai più scoperto.

Lundgren e i suoi colleghi recuperarono 50 cannoni di bronzo dell'epoca, ma il fortunato sommozzatore ci tiene a precisare: «Non abbiamo cercato ricchezze, anche perché, secondo una severissima legge svedese, ogni tesoro ritrovato nelle acque territoriali appartiene allo Stato, che a sua volta può rilasciare una "generosa mancia" a chi l'ha trovato. Purtroppo c'è troppa gente senza scrupoli che ha selvaggiamente violato i relitti, asportandone reperti preziosi. E così non può continuare».

Ma è impossibile controllare e tenere d'occhio tutte le imbarcazioni che incrociano nel Golfo di Botnia a caccia di tesori. Di grandi galeoni ricchi di tesori che giacciono sul fondo ne sono stati ritrovati otto, mentre di due non si sono trovate ancora le tracce. Inoltre, nel corso di varie guerre, comprese le ultime due mondiali, sono numerosissime le unità affondate con siluri o cannoneggiamenti. Lo stato di conservazione dei relitti, anche quelli più antichi, è ottimo, anche grazie alla mancanza, nel Golfo di Botnia, del mollusco «Tiridinidae», presente nei mari caldi e temperati, che mangia il legno delle navi. Secondo l'archeologo marittimo Johan Rònnby, sarebbe quindi possibile ritrovare anche relitti risalenti all'epoca vichinga o alla preistoria, perfettamente conservati e forse ricchi di reperti preziosi per gli studiosi di antichità. Sempre che cercatori di tesori senza scrupoli non arrivino prima a saccheggiarli.

Carlo GATTI

Rapallo, giovedì 6 maggio 2019


AMOCO CADIZ - Disastro Ambientale

Petroliera

AMOCO CADIZ

233.564 G.T.

 

QUARTO DISASTRO DEL GIGANTISMO NAVALE

 

16 MARZO 1978

Il relitto della AMOCO CADIZ a Portsall (Finistèrre) Francia

 

Armatore :.... Amoco Transport Company

  1. Lunghezza:334 Mt Larghezza:51 Mt - Puntale:26,18 Mt -Portata Lorda:230.000 T. - Impostata:28/06/1973

    Entrata in linea: 11/05/1974

     

Dopo aver caricato greggio in Golfo Persico, navigava verso la costa da Limebay a Rotterdam, percorso abituale negli ultimi anni.

 

NOTA: Passaggio di Fromveur


Il Passaggio di Fromveur (« Passage du Fromveur » in francese) è situato tra l'arcipelago di Molène e l'isola di Ouessant, nel mer d'Iroise (Finistère, Francia). Questo tratto di mare è percorso da correnti molto violente: fino a 8 o 9 nodi localmente, e circa 7 nodi in mare aperto.

 

La navigazione è molto pericolosa anche perché il vento che vi spira è contrario rispetto alla direzione della corrente, per questo il mare risulta essere sempre molto agitato.

 

Per proteggere e aiutare i naviganti, ci sono due fari, tra i più famosi della Bretagna: la Jument e Kéreon.

 

Prima della creazione della Torre Radar di Ouessant nel 1982, questo luogo è stato teatro di una serie di tragici naufragi, tra cui le petroliere Olympic Bravery (1976) e Amoco Cadiz (1978) che causarono disastri naturali gravissimi.
 Infatti questo tratto di mare è frequentato annualmente da circa 50.000 navi.

Cronaca del disastro

Alle ore 09,45 del 16 Marzo 1978, il timone del “colosso” và fuori uso, tutto l'equipaggio della nave viene messo al corrente della situazione, la navigazione prosegue e il comandante Bardari comunica, via radio, all'armatore il problema. C'è uno scambio di pareri, ma il Comandante rifiuta ogni offerta d'aiuto. Purtroppo la nave senza la possibilità di governare finisce incagliata.

 

Le condizioni del tempo peggiorano, due rimorchiatori Olandesi navigano a tutta velocità verso la Amoco Cadiz. La nave continua ad avvicinarsi pericolosamente verso la costa.

 

Verso le ore 22,00 i rimorchiatori riescono ad agganciare la Amoco Cadiz, che si trova a sole tre miglia della costa di Portsall. Il comandante della Amoco Cadiz lancia un disperato SOS, il vento è tanto forte che rende difficilissimo il salvataggio dei 44 uomini dell'equipaggio, la nave ferita a morte, comincia a perdere greggio e le 230.000 tonnellate di prodotto finiscono in mare. Durante quella forte tempesta la nave si spezza in due e affonda.

 

La sistematica ricerca di trasporti a bassissimo costo spiega la lunga litania di disastri petroliferi, soprattutto nell'Europa occidentale: Torrey-Canyon nel 1967, Olympic-Bravery, Urquiola e Boehlen nel 1976, Amoco-Cadiz nel 1978, Gino nel 1979, Tanio nel 1980, Haven nel 1991, Aegean-Sea nel 1992, Braer nel 1993 e Sea-Empress nel 1996 (anno in cui sono naufragate, in tutto il mondo, 70 petroliere). Ultimo in ordine cronologico, quello della petroliera Erika che, partita da Dunkerque alla volta di un porto italiano, si è spezzata ed è colata a picco in seguito a una tempesta al largo di Penmarch, il 12 dicembre scorso.

 

La "AMOCO TANKER COMPANY", ordinò presso gli stessi cantieri una serie di quattro navi che hanno avuto i seguenti numeri di costruzione:

- C 93 AMOCO MILFORD HAVEN (affondata in rada a Genoa)

 

- C 94 AMOCO SINGAPORE

 

- C 95 AMOCO CADIZ (affondata a Portsall)

 

- C 96 AMOCO EUROPA

Una delle caratteristiche salienti di questa classe è la prua filante con il bulbo molto pronunciato, questo particolare rende subito riconoscibile la nave di questa classe, lunga 334 metri, larga 51, l'altezza della linea di costruzione è di 26,18 metri, la sovrastruttura è alta sette ponti.

 

Il viaggio della nave iniziò nel Golfo Persico con destinazione il porto di Le Havre (Francia) ed il disastro causato è considerato il 5º nella storia delle maree nere. Il carico era di 230.000 tonnellate di petrolio greggio iraniano trasportato, al quale si aggiunsero 3.000 tonnellate di gasolio, che si riversarono insieme lungo 400 km di coste bretoni della Francia.

 

La mattina del 16 marzo del 1978, verso le ore 09.00, le condizioni meteorologiche erano davvero proibitive: mare in burrasca, temporali e forti venti causarono, per le fortissime sollecitazioni, la rottura dell'impianto idraulico del timone. L'equipaggio della nave non ebbe altra scelta che richiedere soccorsi e assistenza alle autorità francesi. Nonostante l'arrivo di un potente rimorchiatore d’altomare, ci fu un ritardo operativo dovuto all’attesa dell’autorizzazione da parte della società Amoco. “Ritardo burocratico” che si protrasse a causa della TRATTATIVA in corso tra le parti sulla formula NO CURE NO PAY (Pago se mi salvi). Il comandante fu costretto ad attendere l'ordine dei dirigenti, ma a causa dei fortissimi venti, la superpetroliera raggiunse in poco tempo gli scogli affioranti in prossimità della costa e qui s'incagliò, si spezzò in due riversando il suo carico inquinante.

 

La mobilitazione

 

 

 

Centinaia di volontari si mossero immediatamente organizzati da Associazioni Ecologiste si rimboccarono le maniche per scongiurare una contaminazione dei litorali. In seguito, le Autorità locali dichiararono che non bastarono sei mesi per pompare e disperdere il petrolio che aveva ricoperto le spiagge colpite. Ben 90 comuni ebbero le spiagge invase dalla marea nera.

 

 

 

Le reazioni

 

 

 

La catastrofe nel paese transalpino suscitò notevole sconcerto e apprensione. Poco dopo l'accaduto, alcune Organizzazioni Ecologiste diramarono un appello per boicottare la SHELL, la società destinataria del carico, anche perché la stessa multinazionale non si era affatto impegnata nelle operazioni di bonifica delle aree contaminate.

 

Le conseguenze all'ambiente e il danno causato

 

 

 

Questo incidente fu il decimo per gravità nella storia dei naufragi di petroliere. I decessi non sono avvenuti immediatamente, bensì la più alta mortalità di animali avvenne nell'arco di due mesi dalla catastrofe. Già dopo un paio di settimane, milioni di molluschi e echinoidee (ricci di mare) morirono, a cui si aggiunsero circa 9.000 tonnellate di ostriche. Per molti mesi i pescatori raccolsero animali con ulcere e tumori alla pelle, e quelli che a "prima vista" apparivano sani, avevano uno sgradevole sapore di petrolio.

 

 

 

Nel 1988 il danno al turismo ed ai pescatori fu stimato in circa 250 milioni di dollari. Il Governo francese presentò un "conto" di 2 miliardi di dollari da destinare ai richiedenti: Stato, Comuni, singoli privati, associazioni professionali e ambientali.

 

 

A seguito di questo incidente, nel 1982 sull'isola di Ouessant fu costruita una Torre Radar che assicura da allora il controllo e l’assistenza ai naviganti che transitano in questo trafficatissimo tratto di mare.

 

 

 

Anziché adoperarsi per impedire che il greggio raggiungesse le coste della Cornovaglia, emerse in modo evidente l’inesistenza di coordinamento tra gli Stati confinanti per la salvaguardia del mare e delle coste, al contrario fu chiaro fin dall’inizio il tentativo estremo di salvare la petroliera con il suo carico. Solo quando fu chiaro che la Torrey Canyon era definitivamente perduta fu presa la decisione di far levare in volo otto aerei Buccaneers della RAF per bombardare la nave provocandone l’affondamento per evitare danni maggiori. L’uso massiccio ed indiscriminato di sostanze chimiche, molte delle quali tossiche, per il trattamento e la bonifica delle coste invase dal petrolio, finì per causare danni peggiori e duraturi all’ambiente. Il naufragio della Torrey Canyon fu un’Apocalisse nel vero senso del termine, cioè una rivelazione: la fiducia pressoché illimitata del pubblico nella possibilità di poter trasportare senza alcun rischio sostanze altamente inquinanti come il petrolio, colò a picco con essa.

 

 

 

Disastri navali e inquinamento da idrocarburi: il bilancio di un quarantennio.

 

Anche se in realtà dal 1959 i disastri navali con conseguente sversamento di idrocarburi erano già stati almeno una quarantina, fu solo nel 1967, cioè all’indomani dell’incidente della Torrey Canyon che l’opinione pubblica mondiale ebbe la reale percezione dei pericoli ambientali legati al trasporto del greggio via mare e che sul piano normativo e della gestione delle emergenze si prese coscienza della necessità di intervenire in modo più incisivo di quanto non si fosse fatto fino a quel momento. Tralasciando la ricostruzione cronachistica dei singoli incidenti e tentando una sia pure sommaria analisi dell’elenco di questi incidenti nell’arco dei decenni successivi al 1967 in base alla quantità di greggio rilasciato in mare e nell’ambiente circostante (Tabella 1), è possibile avanzare alcune interessanti riflessioni.

 

Tabella 1. Elenco dei maggiori disastri petroliferi (in milioni di galloni) (in corsivo gli incidenti provocati da petroliere)

 

1. Guerra del Golfo (1991)

240.0

2. Piattaforma Deepwater Horizon, Golfo del Messico (2010)

205.8

3. Piattaforma Ixtoc, Golfo del Messico (1979)

140.

 

4. Abt Summer, largo della Angola (1991)

80.8

 

5. Nowruz, Arabia Saudita (1980)

80.0

 

6. Fergana, Uzbekistan (1992)

80.0

 

7. Castillo de Bellver, largo del Sudafrica (1983)

78.5

 

8. Amoco Cadiz, Nord Ovest al largo della Francia (1978)

68.7

 

9. Atlantic EmpressAegean Captain, largo di Trinidad e Tobago (1979)

48.8

 

10. MT Haven, largo di Genova (1991)

44.4

 

11. Pozzo petrolifero, 480 miglia a sud-est di Tripoli (1980)

42.0

 

12. Odyssey, largo della Nuova Scozia (1988)

40.7

 

13. Pozzo di Lakeview, California (1910)

37.8

 

14. Irene’s Serenade, Grecia (1980)

36.6

 

15. Torrey Canyon, largo delle isole Scilly (1967)

35.0

 

16. Sea Star, largo dell’Oman (1972)

34.0

 

17. Shuaybat, Kuwait (1981)

31.2

 

18. Urquiola, largo della costa Nord della Spagna (1976)

29.0

 

19. Hawaian Patriot, Nord del Pacifico (1977)

29.0

 

Premesso che quantificare con precisione la effettiva quantità di sostanze nocive, in questo caso idrocarburi, riversate nell’ambiente per cause accidentali è molto difficile e che le stime tendono a divergere, spesso anche notevolmente, a seconda delle fonti, si può infatti affermare che, a dispetto della loro fama le petroliere, pur restando una delle maggiori cause di sversamenti di petrolio (considerati convenzionalmente quei disastri che provocano il rilascio di più di 700 tonnellate di idrocarburi nell’ambiente), non solo non sono responsabili di almeno delle tre più gravi catastrofi della storia, ma che molti degli incidenti più gravi presenti nell’elenco sono prevalentemente concentrati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta (dalla Torrey Canyon alla Amoco Cadiz e alla Atlantic Empress, fino alla Castillo de Bellver) fino ai primi anni Novanta (la Haven e soprattutto la ABT Summer entrambe affondate nel 1991, vero e proprio annus horribilis nella storia di questo tipo di disastri ambientali).

 

 

Carlo GATTI

8 Aprile 2015


TITANIC - Una breve Storia ...

RMS TITANIC - Una breve Storia ...

Secondo di tre transatlantici, il RMS Titanic, assieme ai suoi due gemelli Olympic e Britannic fu progettato per offrire un collegamento settimanale di linea con l'America e garantire il dominio delle rotte oceaniche alla White Star Linne. Costruito presso i cantieri Harland and Wolff di Belfast, il Titanic rappresentava la massima espressione della tecnologia navale di quei tempi ed era il più grande e lussuoso transatlantico del mondo.

 

Durante il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, via Cherbourg e Queensrown, entrò in collisione con un iceberg alle 23,40 (ora di bordo) di domenica 14 aprile 1912. L'impatto provocò alcune falle lungo la fiancata destra del transatlantico, che affondò 2 ore e 40 minuti più tardi (alle 2,20 del 15 aprile) spezzandosi in due tronconi. Nel naufragio persero la vita 1.518 dei 2.223 passeggeri imbarcati compresi i 900 uomini dell'equipaggio; solo 705 persone riuscirono a salvarsi, alcune delle quali morirono subito dopo essere stati salvati dal Carpathia. L'evento suscitò un'enorme impressione sull'opinione pubblica e portò alla convocazione della prima “conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare”.

Il Titanic, come le gemelle RMS Olympic e Britannic, era stato progettato per competere con il Lusitania e il Mauretania, transatlantici della compagnia rivale Cunard Line che erano all'epoca le navi più lussuose, veloci e imponenti tra quelle impegnate sulle rotte transatlantiche. Poiché svolgeva anche il servizio postale, le fu assegnato il prefisso RMS (Royal Mail Ship) oltre a SS (Steam ship,nave a vapore). La nave era stata disegnata da William Pirrie, presidente della Harland and Wolff, e dall'architetto navale Thomas Andrews, che era il capo progettista. La costruzione del Titanic, finanziata dall'armatore americanoJohn Pierpont Morgan con la sua società International Mercantile Marine Co., iniziò il 31 marzo 1909; lo scafo fu varato il 31 maggio 1911 e le sovrastrutture furono completate il 31 marzo dell'anno seguente.

 

Venne registrato nel registro navale del porto di Liverpool col numero ufficiale N. 131428 e sigla telegrafica "MGY". Il costo finale del transatlantico fu di 7,5 milioni di dollari del 1912, equivalenti a 180 milioni di dollari del 2012. Il Titanic era lungo 269 metri e largo 28, aveva una stazza di 46.328 tons e l'altezza del ponte sulla linea di galleggiamento era di 18 metri (53 metri l'altezza totale). Sebbene avesse la stessa lunghezza dell'Olympic, aveva un tonnellaggio lordo maggiore per via del maggiore spazio interno, dovuto principalmente alla chiusura di parte della passeggiata sul ponte "A" con finestre parzialmente apribili.

La propulsione era a vapore (era un piroscafo, a differenza delle successive imbarcazioni – definite motonavi – dotate dimotori Diesel), con quattro cilindri contrapposti invertibili a triplice espansione (macchine alternative) più una turbina Parson a bassa pressione. Le macchine alternative del Titanic e dell'Olympic restano le più grandi mai costruite, occupavano quattro piani in altezza sviluppando quasi 38 MW (51 000 CV) di potenza e muovevano le due eliche laterali. La turbina muoveva la sola elica centrale.

 

Le 29 caldaie, aventi un diametro di 5 metri ciascuna, erano in grado di bruciare circa 728 tonnellate di carbone al giorno. La velocità massima era di 23 nodi (43 K/m ), inferiore di tre nodi rispetto alla velocità del Mauretania. Solamente tre dei quattro fumaioli erano funzionanti, il quarto aveva solo la funzione di presa d'aria e fu aggiunto per rendere la figura della nave più imponente; erano dipinti in ocra e nero, come voleva la tradizione della White Star, mentre il rosso era il colore della Cunard Line.

 

La nave aveva una capacità utile di 3.547 persone tra passeggeri ed equipaggio. L'allestimento di bordo comprendeva tra l'altro una piscina coperta di 9 m × 4 m s ul ponte D, sul modello dell'Olympic (per la prima volta su una nave), una palestra, un bagno turco e un campo di squash. Le cabine di prima classe erano rifinite con la massima sfarzosità. C'erano 34 suite, ognuna delle quali dotata di soggiorno, sala di lettura e sala da fumo; ogni suite era arredata in stile diverso. Erano disponibili tre ascensori per la prima classe e, come novità, un ascensore anche per la seconda classe.

 

La terza classe valeva la seconda sulle altre navi, ed era decorata con legno di pino verniciato di bianco, pareti smaltate e sedie di teak. Nel ristorante di terza classe era collocato un pianoforte. Il Titanic era un gioiello di tecnologia ed era ritenuto praticamente inaffondabile. La sua stazione radio era considerata (con l'Olympic) la più moderna e potente mai installata su un bastimento, la sua portata raggiungeva una distanza di 400 miglia (650 km) e le antenne erano collocate sui due alberi maestri ad un'altezza di 60 metri e distanti tra loro 180 metri (in caso di emergenza, il generatore elettrico poteva essere sostituito da un generatore diesel).

 

Il ponte lance era dotato delle nuovissime gru "Welin", in grado di sostenere complessivamente 32 lance di salvataggio e ammainarne 64 (alla fine furono montate soltanto 16 lance). La chiglia della nave aveva un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni, le cui porte a ghigliottina si potevano chiudere automaticamente dal ponte di comando (in mancanza di energia elettrica si potevano chiudere sfruttando la forza di gravità). Questi compartimenti, però, non attraversavano tutta l'altezza dello scafo ma si fermavano al ponte E (più o meno a metà dello scafo, per dare più spazio alla disposizione delle sale). Il Titanic avrebbe potuto galleggiare anche con due dei compartimenti intermedi allagati oppure con tutti i primi quattro compartimenti di prua allagati. Lo scontro con l'iceberg causò però l'allagamento dei primi cinque compartimenti prodieri.

I Costi

Alla consegna il transatlantico Titanic costò circa 7,5 milioni di dollari (167 milioni di dollari del 2010 ), il biglietto di sola andata per New York, in suite di prima classe, costava 3.10o dollari dell'epoca, circa 40.000 euro del 2012, mentre in appartamento di prima classe costava 4.350 dollari (o 870 sterline del 1912 pari a 83.200 dollari del 2007, circa 64.100 euro), in cabina di prima classe 150 dollari (o 30 sterline dell'epoca, pari a 2.975 dollari del 2007 o 2300 euro), in cabina di seconda classe 60 dollari (o 12 sterline dell'epoca pari a 1.200 dollari del 2007, ovvero circa 930 euro), mentre un biglietto di terza classe solo 32-40 dollari (6-8 sterline dell'epoca, circa 595-793 dollari del 2007, fra i 458 e i 610 euro); inviare un telegramma privato di 10 parole dal servizio telegrafico di bordo costava 3,12 dollari (12 scellini e 6 pence di allora, l'equivalente di 62 dollari del 2007, 48 euro) e 9 pence per ogni parola aggiuntiva. Una partita asquash 50 cent. ed una seduta al bagno turco 1 dollaro (rispettivamente 9 e 18 dollari odierni)

 

Ed ora il calcolo degli stipendi del personale nel 1912 rapportati al controvalore di un secolo dopo (del 2012). Lo stipendio mensile del capitano Smith ammontava a 105 sterline (circa 6 050 dollari attuali), mentre quello di un marinaio era di 5 sterline al mese (290 dollari attuali), quello di una vedetta era di 5 sterline e 5 scellini (320 dollari attuali) e quello di una hostess era di 3 sterline e 10 scellini (attuali 190 dollari), mentre il salario medio di ciascun operaio addetto alla costruzione della nave era mensilmente pari a poco più d'una sterlina (corrispondente a circa 60 dollari odierni). I telegrafisti avevano stipendi diversi: a Philips spettavano 4 sterline e 5 scellini per il viaggio, mentre a Bride solo 2 sterline, 2 scellini e 6 penny.

 

Il primo e unico viaggio del Titanic

La durata del viaggio inaugurale del grande transatlantico era prevista di dieci giorni. Dopo la sua ultimazione, il 31 marzo 1912, la nave partì da Belfast il 2 aprile per giungere a Southampton due giorni dopo. La nave partì per il suo primo (e ultimo) viaggio il 10 aprile 1912 da Southhampton (Regno Unito) alle 12,00 verso New York, comandata dal capitano Edward John Smith. Per lui, il viaggio del nuovo transatlantico costituiva l'ultimo comando prima del pensionamento, e rappresentava il coronamento di una lunga e brillante carriera durata oltre 40 anni.

 

In una sua celebre dichiarazione aveva affermato di non riuscire a immaginare alcun tipo d'infortunio che potesse accadere a questi nuovi transatlantici, poiché la tecnica di costruzione era andata ben oltre gli incidenti che si potessero allora immaginare. Egli volle al suo fianco un comandante in seconda più esperto di quello che gli era stato assegnato e, all'ultimo momento, chiese alla Compagnia di trasferire Henry Wilde sul Titanic, almeno per il viaggio inaugurale Wilde, che prima si trovava sull'Olympic, subentrò così a William Murdoch, il quale retrocesse al rango di 1° ufficiale; il 1° ufficiale Charles Lightoller diventò il 2°, mentre il 2° fu trasferito (nello svuotare in fretta l'armadietto dei propri effetti personali, egli – inavvertitamente – pose in valigia pure le chiavi dell'armadietto in cui erano custoditi i binocoli). Sembra che Wilde non fosse entusiasta dell'improvviso cambiamento e prima dello scalo a Queenstown scrisse alla sorella: “Questa nave continua a non piacermi, mi dà una strana sensazione”.

 

Molti passeggeri della seconda classe, precedentemente prenotati su altre navi, vennero dirottati sul Titanic a causa di uno sciopero nelle forniture di carbone. Tra loro viaggiava il ceto medio della popolazione: impiegati, insegnanti, commercianti, ecc. La terza classe era affollata di emigranti provenienti da tutte le parti del mondo ed erano coadiuvati dall'interprete di bordo. In prima classe erano imbarcati alcuni degli uomini più in vista dell'epoca. Tra questi vi era il milionario John Jacob Astor IV possessore di 150 milioni di dollari e proprietario di alcuni preziosi immobili tra cui il noto Waldorf-Astoria Hotel di New York. Vi erano inoltre l'industriale Benjamin Guggenheim (il cui fratello era titolare dell'omonima fondazione d'arte), Isidor Straus (proprietario del centro commerciale Macy) e la moglie Ida, Washington Roebling (figlio del costruttore del Ponte di Brooklyn), il Consigliere presidenziale statunitense Archibald Butt (che tornava in America dopo una missione diplomatica in Vaticano insieme al compagno, il pittore Francis Millet), Arthur Ryerson (il magnate americano dell'acciaio), George Widener (figlio del magnate dell'industria tranviaria statunitense), il giornalista William Thomas Stead, la contessa di Rothes, lo scrittore Helen Churchill Candee, lo scrittore Jacques Futrelle, i produttori di Broaway Henry e Irene Harris, l'attrice cinematografica Dorothy Gibson, la milionaria Margaret "Molly" Brown, la contessa Lady Duff Gordon, George Elkins Widener e la moglie Eleonora, John Borland Thayer e molti altri.

 

 

Il capitano Edward John Smith

 

Le ultime ore

L'unica fotografia disponibile dell'iceberg che affondò il Titanic, immortalato pochi giorni dopo il disastro dal marinaio ceco Stephan Rehorek.

Il 14 aprile, dopo quattro giorni di navigazione, verso le 13,30 il capitano consegnò a Bruce Ismay un messaggio appena ricevuto dal vapore Baltic, che segnalava la presenza di ghiaccio a 400 km sulla rotta del Titanic, tuttavia, il capitano non diminuì la velocità. Il direttore della White Star non diede eccessivo peso alla cosa e giudicò sufficiente spostare la rotta del transatlantico sulla Outward Southern Track, un corridoio di navigazione concordato per le navi di linea. I due uomini discussero anche della velocità decidendo di portarla al massimo possibile. Nelle ultime 24 ore, infatti, erano state percorse ben 546 miglia e c'era la possibilità di arrivare a New York con un giorno di anticipo. Non fu mai chiarito di chi fu la responsabilità finale della decisione.

 

Comunque, l'eventualità di incontrare packs era un fatto assolutamente normale e le navi di linea erano solite mantenere alta la velocità per assicurare l'orario. Questa verità fu confermata durante l'inchiesta britannica successiva al disastro, quando parecchi comandanti (John Pritchard, William Stewart, Alexander Fairfull, Andrew Braes e molti altri) furono interrogati al riguardo. La velocità veniva ridotta solo in caso di effettivo avvistamento, ma finché la visibilità era buona e le vedette allertate, si poteva procedere normalmente. Durante il processo sulle cause del naufragio, vi fu chi ipotizzò che la compagnia di navigazione avesse espressamente richiesto di rimanere al di sopra dei 20 nodi di velocità al fine di assicurarsi il prestigioso "Nastro Azzurro" (Blue Ribbon).

 

Alle 13,45 arrivò un messaggio di "segnalazione iceberg" dal piroscafo Amerika, che inspiegabilmente non giunse al ponte di comando, mentre nel pomeriggio un altro avviso, questa volta dal Mesaba, non fu consegnato. I marconisti erano impegnati nell'invio dei numerosi messaggi privati dei passeggeri, che fin dal giorno prima si erano accumulati a causa di un guasto momentaneo all'apparecchiatura radio (i cavi del trasformatore secondario si erano bruciati).

 

Verso le 21,00 la temperatura era scesa a un grado sopra zero e l'ufficiale di turno – Lightoller – aveva avvertito il maestro d'ascia che la scorta d'acqua sarebbe probabilmente gelata. Circa a quell'ora, il comandante salì in plancia e discusse con Lightoller le condizioni eccezionalmente calme del mare. Prima di ritirarsi in cabina, Smith ordinò di chiamarlo se fosse accaduto qualcosa di strano e di diminuire la velocità in caso di foschia. L'abbassamento della temperatura indicava probabilmente che si stavano avvicinando ad un banco di iceberg e Lightoller disse alle vedette di prestare attenzione ai ghiacci galleggianti, soprattutto a quelli di ridotte dimensioni chiamarti growlers.

 

Alle 22,00 il 1° ufficiale Murdoch subentrò a Lightoller, dal quale ricevette gli ordini del Comandante. Mezz'ora più tardi Murdoch rispose ad un messaggio per mezzo di una lampada Morse proveniente dal piroscafo Rappahannock, che incrociò il Titanic alle 22,30. Lo informava di essere appena uscito da una banchisa circondata da iceberg. Lo stesso Murdoch ordinò al “lampista” di chiudere i boccaporti sul castello di prua, in modo che la luce non ostacolasse la visuale delle vedette, senza però risolversi a ridurre la velocità della nave. L'esperienza aveva infatti dimostrato che in condizioni normali una massa di ghiaccio era visibile grazie alle onde che si increspavano alla sua base. Tuttavia, con un mare assolutamente piatto come in quel momento, il margine di sicurezza era molto ridotto. Durante l'inchiesta britannica, Lightoller specificò che “…l'oceano era liscio come la superficie di un tavolo o di un pavimento; era un fatto veramente eccezionale”.

Alle 23,00 un importantissimo marconigramma giunse infine dal mercantile Californian, che sostava bloccato nella banchisa a poche decine di miglia a nord-ovest dal Titanic: nel messaggio veniva segnalata la presenza di un enorme campo di iceberg proprio sulla rotta del transatlantico, ma anche questo messaggio non venne recapitato in plancia. Anzi, il marconista Phillips rimproverò l'operatore del Californian per aver interrotto il suo lavoro con la stazione telegrafica di Capo Race, a Terranova. In generale, il risultato fu un atteggiamento di leggerezza e di eccessiva sicurezza che si impadronì di tutto l'equipaggio.

Collisione

Alle 23,40 (ora locale della nave, UTC-3), le vedette Frederik Fleet e Reginald Lee videro un iceberg di fronte alla nave. Gli iceberg che affollano le rotte atlantiche settentrionali provengono sempre dalla costa occidentale della Groenlandia o dal Labrador ed impiegano 2-3 anni per giungere al 41° di latitudine nord, sospinti prima dalla fredda Corrente del Labrador che li preserva, poi dalla calda Corrente del Golfo che li scioglie lentamente. L'iceberg che affondò il Titanic era praticamente coevo alla nave che ne rimase vittima ed al momento dell'urto – in base a recenti calcoli – dovrebbe aver sviluppato una pressione di almeno 985Kg/cm2 sull'acciaio della fiancata del transatlantico, quando l'acciaio stesso resiste fino ad una pressione di circa 690-750 kg/cm², in base al grado di purezza dalle scorie di fusione.

 

L'avvistamento avvenne “a occhio nudo” a causa della mancanza dei binocoli, e quindi in ritardo: si disse che la portata visiva della vedetta fosse di almeno 1 miglio di distanza, quando recenti simulazioni computerizzate, tenendo conto che quella notte non c'era il chiarore della luna ed il mare era “di calma piatta”, attestano che la portata visiva non poteva superare i 450–550 m di distanza, troppo pochi per evitare la collisione alla velocità di 21 nodi a cui filava il bastimento, per evitare l'urto fatale, la velocità della nave non avrebbe dovuto superare i 9 nodi, il che avrebbe ritardato di tre giorni l'arrivo a New York. La zona in cui avvenne il disastro è nota per essere un'area interessata dagli iceberg durante la primavera e dagli uragani in estate – autunno ed è considerato un fatto eccezionale la contemporanea assenza di luna e di calma piatta del mare, ragion per cui, con la sola illuminazione stellare e senza il frangersi delle onde sulle pareti dell'iceberg, l'iceberg stesso non poteva che esser avvistato a meno di 500 metri dalla prua della nave.

 

La mancanza dei binocoli – si appurò al processo – era imputabile alla fretta di dover salpare da Southampton nei tempi previsti, ragione per cui non furono distribuiti a bordo già alla partenza. Il motivo è anche spiegabile con il rimpasto dell'equipaggio voluto dal Comandante, in quanto il 2º ufficiale Blair (sostituito da Lightoller) prima del trasferimento diede istruzione di togliere dalla coffa i binocoli che lui stesso aveva portato. In pratica, l'iceberg che le vedette si trovarono di fronte era pressoché invisibile, venne avvistato non direttamente, ma indirettamente in quanto la sua sagoma nera interrompeva la linea dell'orizzonte e lasciava una piccola porzione della volta celeste priva apparentemente di stelle.

Dopo l'avvistamento, Fleet suonò tre volte la campana e telefonò sul ponte di comando dicendo: "Iceberg dritto di prua! Iceberg dritto di prua!". Il capitano Edward John Smith era sceso nella sua cabina da mezz'ora ed al comando della nave era in quel momento il secondo ufficiale, Murdoch, che comandò di virare immediatamente a sinistra, ordinando anche di mettere le macchine "indietro tutta", ma la nave viaggiava alla velocità di circa 22,5 nodi (velocità calcolata subito dopo dal 4º ufficiale Boxhall) e non riuscì a rallentare nel tempo necessario ad evitare l'impatto, in virtù dell'abbrivo del transatlantico. Inoltre, erano invertibili soltanto le due eliche laterali della nave, non l'elica centrale che doveva necessariamente essere fermata, impedendo così il supporto della stessa alla manovra in atto.

Dopo il ritrovamento del relitto, in base alla posizione geografica, si scoprì che la velocità effettiva al momento della collisione era di circa 20,5 nodi. Inoltre, a posteriori, è stato ipotizzato che se Murdoch avesse mantenuto la ROTTA, la nave avrebbe subìto un violento impatto frontale contro l'iceberg, danneggiando i primi due compartimenti stagni e potendo probabilmente continuare la traversata verso New York. Il ghiaccio strisciò sulla dritta piegando le lamiere e provocando sei diversi squarci sotto la linea di galleggiamento. L'iceberg fotografato giorni dopo sul luogo del disastro, pare esser proprio quello incriminato in quanto appariva colorato da due strisce, una nera e una sottostante rossa, i colori dell'inaffondabile Titanic. La collisione non fu avvertita in maniera significativa dai passeggeri delle classi prima e seconda in virtù del fatto che le loro cabine erano posizionate al di sopra della linea di galleggiamento e solo chi si trovava sul ponte si accorse della presenza dell'iceberg, pur senza rendersi conto della gravità dell'evento, in quanto piovvero frammenti di ghiaccio distaccatesi dalla massa dell'iceberg in seguito all'avvenuto impatto.

 

Dalle testimonianze dei superstiti, l'impatto non fu avvertito in prima classe, mentre fu descritto dai passeggeri di seconda classe come "una vibrazione ovattata", come "un botto sordo" dai passeggeri di terza classe, come un rumore "assordante di ferraglia" dai fuochisti, i primi che si resero conto dello sventramento della fiancata (testimonianza dell'unico sopravvissuto del locale caldaie N°.6, il compartimento risultato più danneggiato in seguito all'impatto). Lightoller, che in quel momento si trovava lecitamente a letto nella sua cabina, testimoniò di aver avvertito soltanto “…un'interruzione nella monotonia del movimento”. In seguito i superstiti descrissero l'impatto come “…il rotolare di migliaia di biglie”, come “…se qualcuno avesse strusciato un enorme dito contro la fiancata della nave”, o come se “…un pezzo di stoffa si fosse lacerato”. Ben diversa fu la reazione in sala macchine, dove i fuochisti erano intenti ad alimentare le caldaie. Uno di essi diede la seguente testimonianza: “All'improvviso la murata di dritta parve rovinarci addosso. Si sentì come uno scoppio di arma da fuoco e l'acqua cominciò a scorrere intorno; ci gorgogliò tra le gambe e noi ci precipitammo con un balzo nel compartimento successivo chiudendoci alle spalle la porta stagna. Non pensai, e nessuno lo pensò in quel momento, che il Titanic sarebbe potuto affondare”.

 

 

Prime fasi dopo l'impatto

Mentre l'acqua cominciava ad invadere i compartimenti furono immediatamente chiuse le porte stagne e il Capitano Smith ordinò di scandagliare la nave. Secondo gli studi compiuti durante la progettazione, la nave sarebbe potuta rimanere a galla anche con quattro compartimenti allagati in successione ma non se ad essi se ne aggiungeva un quinto (le sei fessure aperte dall'iceberg interessarono infatti i primi cinque compartimenti prodieri). Inoltre, le paratie stagne non superavano il ponte "E", che si trovava all'incirca a metà dell'altezza della nave. A causa di questo, l'affondamento della prua avrebbe fatto tracimare l'acqua verso gli altri comparti rendendo pressoché inutile il lavoro delle pompe idrauliche. La situazione apparve immediatamente drammatica; i 4 compartimenti del carico, situati a prua della nave, in 10 minuti imbarcarono più di 4 metri cubi d'acqua causando un conseguente primo abbassamento della carena frontale di 2° facilitando l'entrata dell'acqua all'interno degli altri compartimenti e del primo dei compartimenti caldaie già colpito dall'iceberg (quinto compartimento da prua). La chiusura istantanea delle paratie non permise, almeno in un primo tempo, il fluire d'acqua nei compartimenti stagni di prua, destinati ad essere allagati completamente.

Sebbene le paratie furono chiuse prontamente, l'intervento delle pompe non facilitò l'evacuazione dei compartimenti caldaie in cui si registrarono le prime vittime, infatti la mancata chiusura di alcuni regolatori di pressione delle caldaie dei primi compartimenti durante le manovre di inversione permise la fuoriuscita di vapori che compromisero maggiormente l'evacuazione stessa. Dopo i primi 15 minuti tutti i locali caldaie furono evacuati, allo stesso tempo alle sale macchine e alle zone turbine fu ordinato di arrestare completamente la propulsione ma non fu detto loro di abbandonare i posti, di conseguenza tutti i banchi elettrici degli alternatori rimasero in funzione sino alle ultime fasi dell'affondamento. Tutti i macchinisti morirono nell'atto di ritardare il più possibile il triste destino della nave con l'ausilio delle pompe, azione che sarà poi ostacolata dall'allagamento dei piani superiori dove si trovavano le stesse. Per tutto il tempo, dopo il contatto con l'iceberg fino all'affondamento, dai 4 fumaioli uscì un forte sibilo dovuto ad una contromisura adottata per evitare lo scoppio delle caldaie ancora attive facendo fuoriuscire vapore in eccesso per ridurre la pressione.

L'allagamento delle sale macchine, ed in particolare la sala delle turbine elettriche, procedette per gradi e fu notevolmente ritardata dalle chiusure delle porte stagne e dalle pompe, questo fornì energia elettrica per il funzionamento delle apparecchiature e per l'illuminazione necessarie per le operazioni di evacuazione della nave. Dopo la completa chiusura del reparto caldaie e di tutte le 16 paratie stagne la situazione risultava essere la seguente: 5 dei 6 compartimenti interessati al contatto con l'iceberg imbarcavano acqua molto rapidamente; 21 delle 29 caldaie erano ancora accese (si vide necessario dunque aprire gli sbocchi per il vapore per evitare l'esplosione); macchine completamente ferme; alternatori ed impianti elettrici funzionanti; inizio inabissamento della prua e della carena frontale con progressivo innalzamento della poppa (ancora poco evidente) e con conseguente inclinazione dello scafo a babordo; progressivo allagamento dei compartimenti stagni, l'ingresso di tale quantità d'acqua avrebbe, infatti, determinato un "effetto domino" con tutti gli altri compartimenti proprio perché le chiusure stagne erano state progettate per raggiungere soltanto metà dell'altezza della nave; inizio procedure d'evacuazione dei passeggeri dalla nave.

 

I calcoli effettuati da Thomas Andrews rivelarono che il transatlantico sarebbe affondato entro un'ora e mezza o due ore al massimo. Fu dato quindi l'ordine di abbandonare la nave secondo le regole: Wilde si occupò delle lance, Murdoch chiamò i passeggeri a raccolta, il 6º ufficiale Moody preparò la lista delle assegnazioni di ogni barca, il 4º fu mandato a svegliare gli altri. Bisognava assolutamente evitare di diffondere il panico, per quanto la situazione sembrasse ancora relativamente sicura. In effetti, l'unica anomalia era costituita dal terribile sibilo del vapore che fuoriusciva dalle valvole dei fumaioli, onde impedire lo scoppio delle caldaie. Lightoller raccontò che il vapore faceva un tale frastuono che mille locomotive rombanti in un tunnel non sarebbero riuscite ad eguagliarlo. Perfino i marconisti, il cui alloggio si trovava dietro la base del fumaiolo n. 1, avevano difficoltà a sentire le trasmissioni radio. «Non sentiamo nulla per il rumore del vapore», fu il messaggio ricevuto una ventina di volte dal piroscafo giapponese Ypiranga. In seguito, il comandante riuscì a farlo diminuire.

Il Titanic era dotato di 3.560 salvagenti individuali ma di sole 16 lance (più 4 pieghevoli) per una capacità totale di 1.178 posti, insufficienti per i passeggeri e l'equipaggio. Le operazioni di carico si svolsero rispettando l'ordine del Capitano, che indicava di far salire "prima le donne e i bambini". L'equipaggio equivocò questo ordine impedendo agli uomini di salire sulle lance, ma in realtà il Capitano intendeva dire che gli uomini avrebbero potuto salire in seguito se fosse rimasto spazio libero. La prima scialuppa fu calata alle 00,40 dal lato destro con sole 28 persone a bordo; poco dopo ne fu calata una con solo 12 persone, sebbene le loro capacità fossero di 65 passeggeri. Sprecando tre quinti dei posti disponibili, molte delle lance vennero calate in mare mezze vuote.

 

Da parte loro i passeggeri tendevano a considerare la faccenda uno scherzo: se qualcuno aveva il salvagente veniva preso in giro, mentre altri esibivano blocchetti di ghiaccio come souvenir. L'orchestra si posizionò addirittura nel salone di prima classe e cominciò a suonare musica sincopata; si spostò poi all'ingresso dello scalone sul ponte lance.

La posizione registrata del Titanic al momento dell'impatto fu Lat. 41° 46' Long.N 50° 14' O. Il relitto fu trovato in Lat. 41° 43' N - Long. 49° 56' O.

I passeggeri di prima e seconda classe ebbero facile accesso al ponte lance tramite le scale che conducevano al ponte, mentre i passeggeri di terza ebbero notevoli difficoltà a trovare il percorso. Del totale dei passeggeri di terza classe se ne salvò solo un terzo, dando origine alla "leggenda" – supportata da alcune testimonianze – secondo cui vennero intenzionalmente trascurati.

 

L'ordine di far salire donne e bambini di terza classe sul ponte lance pare che fosse arrivato alle 00,30, quando un cameriere guidò piccoli gruppi di persone attraverso il dedalo di passaggi e il largo corridoio detto Scotland Road sul ponte E.

 

Intanto, poco dopo mezzanotte, il 4º ufficiale Boxhall scorse le luci di una nave a circa 10 miglia di distanza (si trattava del Californian) e fu autorizzato da Smith a sparare gli otto razzi di segnalazione, uno ogni cinque minuti, senza alcun risultato. Più o meno allo stesso momento, il Comandante si recò personalmente in sala radio a consegnare una richiesta di aiuto ai due marconisti, i quali, dopo aver usato il CQD, a partire dalle 00,45 cominciarono ad inviare l'SOS, il nuovo segnale di soccorso che aveva sostituito ufficialmente dal 1908 il precedente CQD. I marconisti si servivano raramente del nuovo segnale, che cominciò ad essere utilizzato universalmente dopo che Harold Bride lo usò a bordo del Titanic. A quell'epoca, inoltre, non tutte le navi avevano un servizio radio. Diversi bastimenti risposero, tra cui l'Olympic, ma erano tutti troppo lontani per intervenire in tempo.

 

Il primo uomo ad aver ricevuto una richiesta di soccorso è stato Arthur Moore. La nave più vicina era il Carpathia, distante 58 miglia; il marconista Cottam restò allibito quando ricevette un messaggio di soccorso dal celebre transatlantico al viaggio inaugurale e svegliò di corsa il capitano Arthur Rostron per comunicare la notizia. Subito fu dato ordine di invertire la rotta e dare tutto vapore, ma il Carpathia sarebbe giunto sul posto in non meno di quattro ore. Nell'ultimo messaggio captato dal Carpathia, alle 01,45, il marconista inviò: «Vieni il più presto possibile, amico. La nostra sala macchine si sta riempiendo fino alle caldaie.»

 

Un'ora dopo l'impatto con l'iceberg, il Titanic aveva imbarcato almeno 25 milioni di litri d'acqua e la situazione cominciò ad assumere aspetti drammatici; il ponte di prua si stava inondando e tutte le lance tranne due si erano già allontanate. A bordo rimanevano ancora più di 1.500 persone. Alcuni passeggeri tentarono di assaltare le ultime lance e il 5º ufficiale Lowe si vide costretto a sparare alcuni colpi di pistola in aria per allontanare la folla. Anche il Commissario di bordo sparò due colpi di pistola in aria, mentre Murdoch sventava un assalto alla barca n. 15.

 

Archibald Gracie ricorderà in seguito che l'orchestra di bordo continuò a suonare almeno fino all'1,40 circa. Riferì anche che alcuni suoi conoscenti (i signori Millet, Moore, Butt e Ryerson), una volta accortisi che non c'erano più lance, si misero a giocare a carte indifferenti a quel che accadeva. La signorina Katherine Gold (una cameriera che si trovava a bordo di una delle lance), vide da lontano tanti uomini seduti sul ponte A al suono di un ragtime. Udì anche un valzer ma non ricordò quale.

 

L'ultimo brano suonato dall'orchestra fu un inno religioso, forse Autunno o più probabilmente Nearer, My God, to Thee (Più vicino a te, mio Dio).

 

 

Fasi finali dell'affondamento

Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, e tramite le ricostruzioni effettuate grazie al relitto, si è stabilito che verso l'1,30 la prua della nave era completamente sommersa, con la poppa fuori dall'acqua. Prima di ritirarsi in plancia, sembra che il capitano avesse invitato i passeggeri ad esser galantuomini: «Be English!», (siate inglesi), diramando poi l'ordine «Save yourselves, if you can!» (si salvi chi può) liberando l'equipaggio dal suo lavoro. Thomas Andrews, il costruttore, aveva trascorso le ultime ore cercando di rassicurare passeggeri e camerieri incitandoli ad indossare i salvagente dicendo: «Giù di sotto è tutto in pezzi ma non affonderà se reggono le paratie poppiere». Alla fine fu visto dal cameriere John Stewart, in piedi, nel salone fumatori, con lo sguardo fisso su un quadro: Il porto di Plymouth, del pittore Norman Wilkinson.

 

Il cameriere (che riuscì a salvarsi) gli chiese se non voleva fare nemmeno un tentativo, ma Andrews restò lì come inebetito. Ida Straus rifiutò di salire sull'ultimo posto dell'ultima scialuppa per restare accanto al marito, Isidor Straus. Anche di Benjamin Guggenheim si ha una testimonianza curiosa, secondo la quale egli rifiutò il salvagente indossando l'abito da sera insieme al suo segretario: «Ci siamo messi gli abiti migliori e affonderemo come gentiluomini.» La frase passò alla storia ma non è chiaro a chi fosse rivolta. Il direttore del ristorante, monsieur Gatti, se ne stava in disparte in mantello e tuba, mentre il milionario J.J. Astor – che si era visto rifiutare da Lightoller un posto nella scialuppa n. 4 accanto alla moglie – rimase sul ponte lance fino alla morte.

 

Si disse che avesse messo in testa ad un ragazzino un cappello da bambina dicendo: «Ecco, adesso puoi andare». Poco dopo le 2,00 Lightoller tentò di calare in mare il battello pieghevole B arrampicandosi sul tetto degli alloggi ufficiali, ma non ci riuscì. Il pieghevole A venne portato via dal risucchio galleggiando capovolto. Il D venne calato in mare con 44 persone a bordo (la capacità era di 47) dopo che Lightoller e i suoi marinai lo difesero dall'assalto dei passeggeri tenendosi per le mani formando una catena umana. Queste lance erano le ultime lance rimaste a disposizione. Il colonnello Gracie riferì che in quel momento una folla immensa proveniente dai piani inferiori emerse coprendo tutto il ponte lance: si trattava dei passeggeri di terza classe rimasti fino ad allora sottocoperta. Circa un centinaio di persone si radunarono intorno a due sacerdoti e cominciarono a recitare il rosario. Con loro arrivarono anche tutti i macchinisti, che avevano lavorato alle pompe ritardando il più possibile l'affondamento e assicurando la luce elettrica fino quasi alla fine.

 

L'affondamento in un dipinto d'epoca di Willy Stower.

I macchinisti morirono tutti. Verso le ore 2,10 la poppa si era sollevata al punto da formare un angolo di 30° con la superficie del mare, stagliandosi contro il cielo stellato. La forza terrificante generata dall'emergere dello scafo provocò il lento schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che portarono lo scafo quasi al punto di rottura. Secondo i calcoli effettuati dagli scienziati della spedizione del 1997, sul Titanic agì in quel momento una pressione di tre tonnellate per centimetro quadrato. La ciminiera di prua si staccò, mentre l'acqua ruppe i vetri della cupola e inondò lo scalone riversandosi nella nave.

 

Alle 2,20 anche la parte poppiera si inabissò, portando a termine la breve vita del Titanic.

Le operazioni di salvataggio

La quasi totalità dei 706 superstiti risultò consistere nelle persone che avevano preso posto sulle lance, mentre pochissimi furono i superstiti tra quanti si trovavano a bordo del Titanic nella fase finale dell'affondamento. La temperatura era di circa 0 gradi e tutti coloro che erano in mare avrebbero potuto resistere al massimo 10 minuti prima di assiderarsi. Infatti, gran parte dei naufraghi morì appunto per ipotermia e non per annegamento, dato che quasi tutti indossavano il giubbotto salvagente. Nessuno fu vittima degli squali (peraltro presenti anche a quelle latitudini) e nessuno fu vittima del risucchio verso il fondo che si creò al momento dell'affondamento. Delle circa 1.550 persone che erano a bordo del Titanic, nella fase conclusiva dell'affondamento, quando 18 delle 20 lance erano state calate (le rimanenti due, le pieghevoli «A» e «B», non poterono essere calate e furono trascinate in mare quando la nave affondò), i sopravvissuti furono circa 50-60.

 

Otto membri dell'equipaggio, due dei quali morirono per ipotermia dopo il salvataggio, furono recuperati dalla scialuppa numero 4, la penultima a lasciare la nave, che, al comando del timoniere Walter Perkins, si era trattenuta nei pressi del transatlantico allo scopo di imbarcare altri passeggeri dai portelloni laterali (che però furono trovati chiusi) e che si avvicinò agli uomini in mare, recuperando quelli che riuscirono a raggiungerla a nuoto.

Due lance di salvataggio del Titanic fotografate da bordo del Carpathia; la scialuppa sulla destra è la n. 14, sulla quale si trovava il 5º ufficiale Harold Lowe.

Altri quattro naufraghi, uno dei quali deceduto dopo il recupero, vennero tratti in salvo dalla scialuppa n. 14, che, al comando del quinto ufficiale Harold Godfrey lowe, fu l’unica imbarcazione a tornare verso il gruppo dei naufraghi in cerca di superstiti. Ad eccezione delle persone recuperate dalle lance n.4 e n.14, gli unici altri superstiti tra quanti erano a bordo del Titanic nei suoi minuti finali furono 40-50 persone che riuscirono a raggiungere i relitti delle lance pieghevoli «A» e «B».

 

Venti o trenta naufraghi riuscirono a raggiungere la pieghevole «A», rimasta alla deriva semiallagata (all'interno vi erano 30-35 centimetri d'acqua) e con i fianchi di tela abbassati, tanto che i superstiti dovettero trascorrere ore con l’acqua alle ginocchia, ma molti di essi non erano riusciti a salire sull’imbarcazione, ma solo ad aggrapparsi al suo bordo, in particolare gli ultimi arrivati, già troppo sfiniti ed assiderati per riuscire a salire, morirono di ipotermia nel corso della notte, mentre i sopravvissuti, il cui numero non è mai stato del tutto accertato ma risulterebbe verosimilmente ammontare ad una cifra compresa tra le 14-15 (nove o dieci passeggeri – tre di prima classe e sei o sette di terza classe – e cinque membri dell’equipaggio) e le 18-20 persone, vennero recuperati, la mattina seguente, dalla scialuppa n.14.

 

Tra i superstiti della pieghevole «A» vi fu anche Rhoda Mary Abbott, l’unica donna sopravvissuta a non essere salita su una scialuppa prima del definitivo inabissamento. Alcune decine di superstiti si arrampicarono invece sul relitto della pieghevole «B», che si era capovolta, ma alcuni dei naufraghi, tre o quattro, secondo quanto riferito dai superstiti, tra cui il primo radiotelegrafista John George Phillips e probabilmente anche il passeggero di terza classe David Livshin, morirono anch’essi d’ipotermia nel corso della notte, mentre 30 superstiti (11 passeggeri – tre di prima classe, uno di seconda classe e sette di terza classe – e 19 membri dell’equipaggio) vennero presi a bordo, la mattina successiva, dalle lance 4 e 12. Tra i superstiti della pieghevole «B» vi furono il secondo ufficiale Charles Herbert Lightoller, il secondo radiotelegrafista Harold Sidney Bride ed i passeggeri di prima classe Jack Thayer ed Archibald Gracie, che furono tra i principali testimoni oculari delle fasi finali dell’affondamento del Titanic. Il capo panettiere Charles John Joughin affermò di essere sopravvissuto in acqua per circa due ore, prima di riuscire a raggiungere dapprima la pieghevole «B» ed in seguito la scialuppa n.12, sopravvivendo senza quasi riportare sintomi di congelamento, ma il suo racconto è discusso.

 

L'unica altra scialuppa a recuperare dei superstiti dall'acqua fu la scialuppa pieghevole «D», i cui occupanti trassero in salvo il passeggero di prima classe Frederick Maxfield Hoyt, che era riuscito a raggiungere a nuoto la scialuppa, una delle più vicine al Titanic. Verso le 8 della mattina, giunse sul posto il Carpathia che recuperò i naufraghi sopravvissuti sulle lance. Le salme di quattro vittime decedute a bordo delle lance furono sepolte in mare dal piroscafo. A bordo fu poi tenuta una cerimonia religiosa per i dispersi ed alle 8,50 la nave partì per New York, dove arrivò il 18 aprile con 706 superstiti.

 

Le lance insufficienti

La legge emessa nel 1894 obbligava ad installare un minimo di sedici lance sulle navi eccedenti le 10.000 tons., all'epoca in cui la nave più grande del mondo: il Lucania pesava 13 000 tonnellate. Tuttavia, col passare del tempo, la legge non venne mai adeguata in proporzione all'aumento del tonnellaggio e nessuno si preoccupò di correggere la differenza. Il numero di lance a bordo del Titanic era quindi perfettamente in regola nonostante la nave pesasse 46.000 tonnellate. L'errore era ormai nettamente evidente nell'ambiente navale, tant'è vero che uno dei progettisti della White Star – Alexander Carlisle – fece installare sul Titanic le nuove gru di tipo "Welin", che potevano sostenere complessivamente 32 lance e ammainarne 64 (i bracci delle gru erano rotanti). Tuttavia, le lance aggiuntive non furono mai installate e la White Star si accontentò di aggiungerne soltanto quattro smontabili, più piccole, del tipo "Engelhardt". Pare che le decisioni finali siano state del progettista William Pirrie e di Bruce Ismay, secondo i quali il ponte lance con 16 lance avrebbe avuto un aspetto più dignitoso. Alla fine, Carlisle accettò la situazione dicendo: "A meno che il Board of Trade e i governi non costringano a installare un numero sufficiente di lance, nessun costruttore può permettersi tanto peso inutile".

Il problema delle paratie stagne

Come se non bastasse, la sciagurata decisione di eliminare ben 28 lance dal novero delle 48 previste (ne rimasero 16 in legno e 4 pieghevoli tipo Engelhardt), il presidente della White Star Line, Bruce Ismay, si rese responsabile anche della decisione di abbassare le paratie stagne per far posto ad un salone che avrebbe dovuto essere «…il più maestoso a memoria d'uomo». Prima della partenza, gli ispettori del Ministero del Commercio britannico fecero rilevare che era avventato aver abbassato le paratie stagne, ma concessero ugualmente il nulla osta alla partenza della nave. Le paratie vennero abbassate dai 4,5 m previsti dal progetto originale a 3 m, e questo risulterà fatale alla nave in quanto i compartimenti stagni non lo erano del tutto. Infatti, la riduzione dell'altezza delle singole paratie fece sì che esse non raggiungessero il tetto del compartimento, che stagno – a questo punto – non era più. Il mancato isolamento dei compartimenti danneggiati, durante l'appruamento, originò un sistema a "vasi comunicanti", tale per cui, quando un compartimento stagno si riempiva d'acqua, questa tracimava a cascata, causa il fatto che la paratia non chiudeva ermeticamente il vano non raggiungendo il tetto: si riempiva quindi il successivo e così via fino a che tutto lo scafo della nave si trovò invaso dall'acqua. Questa risultò – con ogni probabilità – esser stata la reale causa del rapido affondamento della nave, nonostante la buona qualità dell'acciaio impiegato.

 

L’affondamento del Titanic rappresentò la fine di un’epoca, il sogno infranto della Belle Epoque. Come per la caduta dell'Impero Babilonese, l’affondamento del Titanic ha rappresentato il simbolo dello sgretolamento di orgogliosi imperi, con una simile mescolanza di ricchi, borghesi e poveri tutti destinati insieme all'abisso. Era la fine di una leggenda che sposava la tecnologia alla ricchezza, il materialismo al romanticismo, l’illusione alla fantasia.

 

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 furono – forse per l’ultima volta – rigorosamente applicate le regole di una cavalleria un po’ romantica che costituiva, in senso esteriore, il punto d’arrivo della civiltà occidentale. Furono salvate per primi le donne e i bambini mentre gli uomini (e fra essi miliardari famosi) si rassegnarono a perire con dignità di gentlemen. Tramontò il mito dell’indistruttibilità di un prodotto della tecnologia moderna. Un mondo che sembrava sicuro e inviolabile, soprattutto per i ricchi, affondò insieme col transatlantico.

 

La tragedia che coinvolse la famosa nave non è solo da considerare come uno spiacevole e mortale incidente. Esso ha influito in maniera molto più incisiva nella coscienza dell’intero globo. A partire dagli anni ’30 del XIX secolo si erano diffuse idee di grande fiducia nei confronti della scienza e si credeva che la tecnologia potesse risolvere le problematiche della vita degli uomini. Inoltre, tutto ciò si inseriva in un quadro geo-politico di sostanziale stabilità: era la Belle époque. Si può ben capire come in un siffatto contesto l’affondamento di una nave ritenuta inaffondabile potesse colpire la coscienza generale. Il discorso diviene più chiaro se si tiene presente che solo due anni dopo l’Europa sarà coinvolta nella Grande Guerra che spazzerà via ogni speranza provocando la fine di buona parte delle classi dirigenti.

 

Il Titanic non rappresentò la fine di un'era ma un momento di pausa e riflessione sul fatto che forse non siamo così potenti come crediamo, con l'augurio che non ci sia più una "signora grigia", una "signora elegante" che abbia una così tragica fine.

CRONOLOGIA DELL’AFFONDAMENTO DEL TITANIC

0:30 – Iceberg spotted.

1:05 – Titanic collides with iceberg.

6:06 – The ship has stopped as damage inspections are carried out.

7:44 – Captain Smith orders engines to ‘Half Ahead’.

19:41 – Titanic stops for the last time.

20:04 – Excess steam is vented.

38:08 The Titanic begins taking on a ‘starboard list’.

43:03 – Thomas Andrews estimates 1-2 hours before the ship sinks.

46:23 – The first distress calls are sent out.

48:38 – Lights of another ship are spotted on the horizon.

53:07 – Most lifeboats are prepared to evacuate passengers.

58:20 – Carpathia responds to Titanic’s distress calls.

1:01:29 – Lifeboat 7 is launched.

1:05:03 – Lifeboat 5 is launched.

1:05:21 – The D-Deck gangway doors are opened.

1:06:04 – The telegraph operators begin using ‘SOS’.

1:07:22 – Lifeboat 5 encounters lowering difficulties.

1:08:02 – Officer Boxhall launches the first distress rocket in an attempt to signal the ship on the horizon.

1:10:24 – The Carpathia confirms it is on it’s way.

1:11:03 – Steam stops venting from the funnels.

1:13:20 – The starboard list is eliminated as Boiler Room 5 floods.

1:21:28 – Lifeboat 8 leaves.

1:28:22 – Suction pumps are activated.

1:31:33 – Lifeboat 6 is launched.

1:36:57 – Water is up to the Titanic’s nameplate.

1:39:37 – Titanic begins listing to port.

1:41:43 – Lifeboat 16 is launched.

1:46:54 – Lifeboat 14 is launched.

1:51:18 – Lifeboat 14 is dropped 4 feet into the sea from its falls after they jammed.

1:51:42 – Lifeboat 12 is launched.

1:52:29 – Lifeboat 9 is launched.

1:58:53 – Lifeboat 11 is launched.

2:00:41 – Lifeboat 13 is launched.

2:05:21 – Lifeboat 13 is pushed aft by the discharging condenser, jamming it on the falls.

2:05:50 – Lifeboat 15.

2:05:42 – Lifeboat 13 cannot release itself as Lifeboat 15 comes down on top of it.

2:07:07 – Lifeboat 13 is released and is pulled out from underneath Lifeboat 15 as 15 lands in the water.

2:07:38 – Lifeboat 2 is launched.

2:09:31 – The lights on the horizon disappear.

2:11:52 – Lifeboat 4.

2:12:22 – Lifeboat 10.

2:22:12 – It is now 2AM. The Titanic has 20 minutes left.

2:26:10 – Collapsible Boat D is launched.

2:29:39 – The last messages from the Titanic are heard.

2:30:46 – Collapsible A is slid off the Officers’ Quarters roof.

2:31:03 – The Wireless Room is abandoned.

2:31:42 – Collapsible B is thrown from the roof of the office quarters. It lands upside down in the water.

2:34:01 – Survivors distinctly hear 4 explosions from deep within the ship.

2:39:23 – All remaining power is lost. The ship breaks in two.

2:40:36 Titanic is gone. Rescuers do not arrive for another hour and 40 minutes.

2:40:51 – Titanic is heard below the surface as it breaks apart, implodes and falls to the sea floor.

 

TUTTI I NUMERI DEL TITANIC

http://www.titanicdiclaudiobossi.com/Html/Tutti%20i%20numeri_42.htm 

 

 

 

 

CARLO GATTI

 


30 Marzo 2015

 

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Pino SORIO

Il Titanic ormai libero e pronto per il varo il 31 maggio 1911. Lo scalo lungo il percorso é già stato cosparso di 22 tons di sego, olio di balena e sapone in pasta.


 

Particolare dell'invasatura


Alle 12.15 del 31 maggio 1911 anche la poppa é libera ed il Titanic ormai é pronto per andare incontro al proprio destino

 


 

 

 

Poco dopo mezzogiorno, ad un gesto di Lord William James Pirrie, il Titanic viene lanciato in mare alla velocità di 22 nodi

Il Titanic subito dopo il varo


Il 3 Febbraio il Titanic entra in bacino per terminare i lavori di pitturazione

Il Titanic in allestimento in banchina con soli tre fumaioli

La pitturazione é quasi terminata

Belfast, sabato 6 Aprile 1912, il Titanic parte per prove in mare

Le prove furono effettuate per sole 12 ore


Titanic e Olympic

Successivamente la nave raggiunse il porto di Southampton e partì per il viaggio inaugurale il 10 Aprile 1912

Scala dal cielo a vetri della 1a classe

Veranda caffé vista dall'esterno

Veranda caffé vista dall'interno

Il ponte principale del Titanic in fase di completamento

Imbarco del fumaiolo

Il fumaiolo del Titanic

L'asse dell'elica centrale del Titanic in lavorazione al tornio

Uno dei due assi laterali del Titanic pronto per essere imbarcato

Particolare dell'asse dell'elica laterale carenato allo scafo

Le tre eliche dopo il montaggio

L'elica centrale del Titanic

Montaggio delle eliche

La macchina del timone del Titanic

Il timone del Titanic

Il ponte intermedio in costruzione

Il cielo del doppiofondo ormai stagno del Titanic

Il pistone idraulico allestito in occasione del varo per fornire la spinta iniziale che doveva consentire al Titanic di scorrere lungo lo scalo.

La Sala Macchine del Titanic


Il Motore a 4 cilindri a triplice espansione di vapore del Titanic
in assemblaggio quasi pronto per le prove al banco.

Albero a gomito pronti

Rotore turbina del Titanic in lavorazione

Rotore della turbina del Titanic in lavorazione sul tornio

Involucro contenente il rotore della turbina a vapore

Le 29 caldaie del Titanic

Particolari costruttivi delle porte stagne del Titanic

 

 

 

 


GEORGES VALENTINE - IL VELIERO RITROVATO

 

GEORGES VALENTINE

IL VELIERO RITROVATO

IL GEORGES  VALENTINE ERA STATO COSTRUITO A LIVEPOOL NEL 1870.  ATTRAVERSO’ L’OCEANO E ANDO’ A NAVIGARE INTORNO AL MONDO,  CON VIAGGI DALLA FLORIDA   VERSO L’AUSTRALIA !

NEL 1904 NAUFRAG0’ PRESSO STUART,  IN FLORIDA. MA  DOPO CENTODIECI  ANNI TORNO’ A CAMOGLI GRAZIE ALL’ASSOCIAZIONE CAPITANI E MACCHINISTI E AL MUSEO MARINARO GIO BONO FERRARI.

Il Comandante Roberto VOLPI

Una storia incredibile, legata a Camogli e alla sua marineria! Dopo molti decenni,  per la curiosità di un Comandante di Navi da Crociera,  Roberto Volpi, viene alla luce uno di quei naufragi che  chiameremmo spettacolari, e che una volta, purtroppo, non erano rari quando si navigava spinti soli dal “buon vento”.

Nel 1870, a Liverpool, dopo la sua costruzione nel 1869, viene registrata, dai LLOYDS di Londra,  una nave , che prende il nome di “ CAPE  CLEAR” per conto della Società MEIERS and COMPANY. In realtà si trattava di un piroscafo a un’elica, di 767 Tonnellate di registro, scafo in acciaio con vele ausiliarie, classificato  nell’uso comune “Vapore con Vele”.

Dopo il varo la nave fu impiegata nelle rotte Liverpool - Australia per il trasporto di passeggeri e merci varie.

Nel 1889 il “Cape Clear” fu venduto ad una compagnia di Navigazione Francese, con sede a Bordeax, che addirittura trasformò  il Piroscafo in Brigantino a Palo, eliminando la parte motrice a vapore, eccetto una caldaia. La Nave, così trasformata fu rinominata GEORGES VALENTINE e successivamente veniva venduta ad un armatore di DUNKERQUE.

Nel 1895 fu acquistata dagli armatori camogliesi Mortola e Simonetti  per essere adibita a viaggi regolari  per il trasporto del legname dal porto di Pensacola (Florida) per il Sud America.

Questa trasformazione “al contrario”, oppure in “controtendenza”   da Vapore a Brigantino a palo, rispetto all’evoluzione del tempo,  é davvero sorprendente...!

Nell'ottobre del 1904, per proseguire nel nostro racconto, il brigantino a palo GEORGES VALENTINE salpò da Pensacola per Buenos Aires con un carico di travi di mogano.

L'equipaggio consisteva in dodici uomini di differenti nazionalità, al comando del Cap. PROSPERO MORTOLA detto “TESTANEIGRA” di Camogli.

Il viaggio iniziò con tempo buono e venti favorevoli che si mantennero per tutta la traversata del Golfo del Messico. Il 13 ottobre era in vista delle luci dell'AVANA.

Improvvisamente, mentre era impegnato nell'attraversamento dello stretto della Florida, il brigantino fu investito da forti venti di burrasca che sostenne per un giorno e mezzo, senza riportare avarie. Nonostante ciò, dato il perdurare della burrasca, il Capitano preoccupato per la sicurezza dell'equipaggio e della nave,  ad un certo punto ordinò il gettito a mare del carico sopra coperta con l'intento di alleggerirla e migliorarne la stabilità.

Il terzo giorno le condizioni meteomarine peggiorarono ulteriormente, con venti forti, violenti piovaschi e mare molto agitato, con onde che spazzavano continuamente la coperta.

Il Capitano Mortola sapendo di essere scarrocciato verso la costa di sottovento, tentò ogni possibile manovra per mantenere il GEORGES VALENTINE in acque profonde, ma tutto fu inutile. Verso le 8.00 di sera del 16 ottobre, nel fragore delle onde che si infrangevano contro la   scogliera, la poppa urtò un banco di roccia sommerso e in breve tempo l'intero scafo fu sospinto contro la costa.

Nell'urto,  i tre alberi d'acciaio,  furono abbattuti uccidendo nella caduta uno degli uomini dell'equipaggio. Il cassero e le lance di salvataggio furono spazzate via dalle onde. Anche l'equipaggio, privo di ogni riparo, venne trascinato in mare e sospinto verso la costa molto accidentata.

Casa Rifugio com'era, com'é

Victor Erickson, un marinaio svedese, fu il primo a toccare terra, sostenendo l'ufficiale Ernest Bruce, troppo debole per lottare contro il mare. I due risalirono la pericolosa costa rocciosa nudi, feriti, stanchi e infreddoliti e raggiunsero la Casa Rifugio a Gilbert's Shoal, dove svegliarono il responsabile della struttura, il Capitano William  Rea, che diede immediato aiuto ai due uomini e organizzò la ricerca degli altri naufraghi.

La Casa Rifugio di Gilter's Bar, costruita nel 1876, è l'unica rimasta delle dieci Case Rifugio edificate dal Governo degli Stati Uniti lungo la brulla costa orientale della Florida, per offrire  assistenza ai superstiti dei numerosi naufragi che si verificavano lungo quella costa. Infatti i naufraghi che riuscivano a raggiungere la riva, generalmente in cattive condizioni fisiche per i traumi subiti nel disastro della loro nave, spesso morivano per mancanza di aiuto.

I custodi di queste Case Rifugio percorrevano la costa, specialmente dopo le tempeste, alla ricerca di persone che necessitavano di assistenza in seguito ai “non rari naufragi”.

Attualmente, la Casa Rifugio di Gilter's Bar,  è adibita a Museo, ma durante l'ultimo conflitto, tra 1942 e il 1945 fu ancora utilizzata come punto di osservazione per l'avvistamento di eventuali sommergibili tedeschi.

Erickson, si pose in alto sulle rocce, con una lanterna, per guidare i restanti membri dell'equipaggio sopravvissuti verso la salvezza, sfidando con il Capitano Rea il pericolo di essere colpiti dal legname trasportato dalla nave, scaraventato sulla costa dal vento. Le ricerche durarono per tutta la notte e portarono al ritrovamento di altri cinque uomini.

Tutti avevano riportato ferite, lacerazioni e fratture agli arti e furono aiutati a raggiungere la Casa Rifugio, dove vennero rifocillati e curati.

La tempesta imperversò ancora per due giorni e l'intero equipaggio del brigantino a palo sarebbe sicuramente perito se il naufragio non fosse avvenuto nei pressi della Casa Rifugio.

Nessuno dei cinque uomini mancanti, tra cui i camogliesi Prospero Modesti, allievo ufficiale, Francesco Schiaffino detto “Barbasecca”, nostromo e Filippo Chiesa, dispensiere, fu recuperato.

Il Georges Valentine divenne la loro tomba.

Quattro giorni  dopo il  Naufragio del Brigantino Camogliese, Il 17 ottobre 1904, durante la stessa tempesta, la nave spagnola “Cosme Calzado” si incagliò tre miglia a nord del Georges Valentine. Dei sedici uomini d'equipaggio uno solo annegò, impigliato nel sartiame, mentre gli altri riuscirono a guadagnare la spiaggia e a rifugiarsi in un capanno, sino a quando furono trovati e ospitati nella Casa Rifugio insieme all'equipaggio del Georges Valentine.

Il Capitano Rea e sua moglie, con l'aiuto di alcuni residenti locali, curarono tutti i naufraghi, sino a che furono in condizioni di intraprendere il viaggio verso le loro case.

Il Capitano Rea dichiarò: “Con questi due equipaggi abbiamo avuto scozzesi, russi, italiani, spagnoli e svedesi; mai tanti naufraghi erano stati ricoverati insieme nella Casa Rifugio, eppure tutto è andato bene e tutti hanno collaborato. Quando finalmente li ho accompagnati  a Jacksonville per il rimpatrio tutti gli uomini mi hanno salutato sull'attenti e il Capitano Mortola, abbracciandomi, mi ha detto commosso “Good-bye Captain, non ci rivedremo più'”.

Il George Valentine, del valore di  18,000 dollari, andò completamente perduto, mentre il carico di travi di mogano, per buona parte recuperato sulla scogliera e sulla spiaggia, con un valore iniziale di  7,000 dollari, fu venduto all'asta per soli 200 dollari.

Molti dei travi recuperati sulle spiagge o sulla costa, furono usati per la costruzione di case nella zona di Stuart in Florida.

Tutti gli uomini degli equipaggi dei due velieri rientrarono alle loro case, tranne un russo, Edward Sarkenglov, che cambiò nome in Ed Smith e divenne un pescatore locale, conosciuto come “Big Ed”.

Capitan Rea e sua moglie restarono alla Casa Rifugio sino al maggio 1907.

Questa è la storia del Georges Valentine, una storia drammatica, con risvolti tragici per la perdita di vite umane, ma soprattutto di solidarietà allo stesso tempo. Una storia sconosciuta, fino a poco tempo fa,  dai conservatori  della Storia Marinara di Camogli del Museo Marinaro Gio Bono Ferrari.

Ma ecco che il caso e la curiosità di un camogliese la riporta alla luce.

Al centro, il comandante Roberto Volpi

Bruno Malatesta a sinistra ospite della Casa Rifugio

Da sinistra: G.Massone, N.Andreatta, G.Gazzale, Pro.Schiaffino, C.Gatti, Mario Peccerini

Un membro veterano della Società Capitani di Camogli, il Comandante Roberto Volpi, comandante di prestigiose e moderne Navi da Crociera, contattò dalla Florida, dove si trovava imbarcato,  il Capitano  Bruno Malatesta, vice presidente della Società Capitani e Macchinisti. Egli riferì che a Stuart, circa 150 kilometri a Nord di Miami, si trovava un Museo che conservava alcuni reperti di un veliero camogliese, il Georges Valentine.

Qui ci fermiamo un momento per sottolineare la continuità della nostra tradizione marinara: un capitano di oggi che ha studiato al nostro Istituto Nautico – responsabile della vita di migliaia di persone e della sicurezza della sua nave - riportava alla luce dei fatti riguardanti la nave di un capitano camogliese di oltre cento anni fa!

Il Comandante Volpi, inviò a Malatesta  una documentazione riguardante i registri di accoglienza della Casa Rifugio di Gilbert’s Shoals, nelle vicinanze di Stuart. Quei fogli parlavano di un naufragio dove persero la vita delle persone e nel quale il brigantino camogliese Georges Valentine” fu dichiarato “perdita totale”.

I nomi registrati dall’allora responsabile della Casa Rifugio, Capitano William  Rea, riportati in maniera scorretta, erano  inconfutabili nomi camogliesi.

Bisognava però saperne di più: al giorno d’oggi è difficile far funzionare la macchina del tempo che ti riporta 110 anni indietro; per alimentarla hai bisogno di documentazione e ricerca che sono propellente raro, poiché introvabile in rete.
Ma l’occasione era ghiotta: ci veniva fornito il segmento finale, dice Malatesta,  di una tragica storia che, sul versante americano era motivo di interesse culturale,  ma per noi era anche la conoscenza di fatti tragici che coinvolsero dei concittadini naviganti.

Ovviamente iniziò una fitta corrispondenza con la direttrice capo del Museo di Stuart, Janet Hendrix, la quale ci fornì della preziosa documentazione, a noi completamente sconosciuta. Dal canto nostro, avevamo poco da offrire, se non la certezza che quei nomi riguardavano Camogli e la sua tradizione marinara e così, Malatesta,   si impegnò  ad effettuare delle ricerche.

Ma ecco finalmente la corrispondenza inconfutabile: nel famoso testo di Gio Bono Ferrari, “Capitani e Bastimenti di Liguria”, esattamente a Pag.478  - è sempre Malatesta che parla -  trovai l’annotazione che, a grandi linee, descrive il naufragio del Georges Valentine! Anche noi avevamo finalmente un riscontro ufficiale!

Immediatamente lo inviai alla signora Hendrix per un confronto, e di lì nacque un solido legame tra due remoti punti geografici della vita di questo veliero. Specifico qui che nella lista dei diplomati nautici del 1883, a Camogli, c’era solo la sezione Coperta, ed è riportato  elencato il nome Prospero Mortola, che all’epoca dei fatti avrebbe avuto circa  quarantanni.  Ogni ulteriore informazione – forse da San Rocco, dove il cognome Mortola è  molto comune - sarebbe  benvenuta.

Prospero Modesti, l’Allievo ed il suo compagno di classe,  Bartolomeo Simonetti, anch’egli forse Allievo,  si diplomarono al nostro Istituto Nautico nel 1903, cioè l’anno prima del naufragio, per cui erano ovviamente giovanissimi.

Il ricordo  del Georges Valentine che naufragò nel 1904, è ancora vivo e tangibile ai nostri giorni in Florida. A circa 50 metri dalla scogliera di Gilbert’s Shoals, ancora adesso,  incredibilmente,   i suoi resti strutturali sono   visibili  in fondo al mare a circa 12 metri di profondità. L’ossatura delle sue ordinate e della  chiglia, sono  diventate un paradiso per gli escursionisti subacquei ed è l’undicesima  “Area Protetta Marina” dello Stato della Florida.

In queste foto vediamo i resti dello scafo del Georges Valentine che giace su bassi fondali visitati dai sub.

Non solo, anche  RAI 3, poco più di una anno fa, si interessò alla storia del Georges Valentine. Lo stesso Malatesta collaborò a realizzare un interessante filmato  e ne venne fuori un ottimo servizio su Camogli e la sua importante  tradizione marinara.

Casa Rifugio per i naufraghi

Ma la storia non finisce qui, nel Giugno del 2014, racconta sempre Malatesta,  “mi recai in Florida,  per  visitare la “Casa Rifugio” ancora perfettamente conservata,  che oggi appartiene al sistema Museale Elliot. Incontrai  il Custode, Jim Mc Cormick,  ed altri suoi assistenti. Come souvenir,  dal lato camogliese, avevo un crest della Società Capitani e Macchinisti e il testo di Gio Bono Ferrari, opportunamente tradotto, nel punto in cui specificava la perdita del veliero camogliese.

Durante quella visita fui accompagnato dal Comandante Volpi che aveva segnalato per primo a noi di Camogli la connessione tra la Casa Rifugio e il  brigantino camogliese.

Rimasi entusiasmato dalle condizioni interne della Casa e dei suoi reperti, tra cui anche alcuni resti, proprio del Georges Valentine.

Le Case Rifugio, ai tempi dell’Epoca Eroica della Vela, ebbero grande sviluppo un po’ in tutto il mondo, soprattutto lungo le coste più  impervie,  privi di segnalazioni luminose e in acque ritenute pericolose dai naviganti anche per la frequenza di tempo cattivo”.

Molte sono le testimonianze che vengono descritte   nella letteratura di mare, e pensiamo sia interessate citarne alcune.

Spesso venivano redatte delle cartine come quelle qui riprodotte nel cosidetto “atterraggio” della costa inglese, della Cornovaglia. I nomi evidenziati in giallo sono quelli di velieri o navi naufragati mentre quelli sottolineati sono i nomi geografici dei luoghi. Questa che vi mostriamo,  più recente,  riporta anche il nome Torrey Canyon, una famosa petroliera che inquinò la costa inglese nel suo naugragio avvenuto nel 1967. (Vedi articolo sul sito)

La Torrey Canyon è stata una delle prime petroliere, battente bandiera liberiana ,  capace di trasportare 120.000 tonnellate di petrolio greggio.

Si arenò al largo della Cornovaglia ne 1967, causando il primo rilevante disastro ambientale dovuto allo sversamento in mare di grandi quantità di petrolio e successiva contaminazione costiera da parte del greggio fuoriuscito.

Per evitare altri danni alle coste francesi e inglesi, dato che il mare mosso impediva un intervento adeguato e non esistevano esperienze precedenti di contenimento di simili disastri, il governo inglese diede ordine alla RAF di bombardare la nave ed incendiare il petrolio fuoriuscito.

Possiamo solo commentare che per lo meno,  i velieri non erano inquinanti quando naufragavano,  mentre il progresso nell’uso del combustibile di petrolio ha portato anche a queste spaventose conseguenze, tragiche soprattutto per la fauna e flora marina. Infatti,  negli anni seguenti altre grosse petroliere provocarono disastri ambientali e non di poco conto. In seguito a questi disastri, per primo negli Stati Uniti, si sono introdotte norme di sicurezza molto più restrittive e da molti anni tutte le petroliere, devono essere costruite a doppio scafo.

Sable Island (Nuova Scozia)

Un’altra straordinaria testimonianza di quanto era dura la vita per i marinai nell’800, è questa incredibile riproduzione  dell’Isola di SABLE ISLAND cioè  Isola della Sabbia, con tutte le date e i nomi delle navi naufragate,  che si trova a circa 80 miglia a est  della Nuova Scozia,  in Atlantico.

Soprattutto per la sua posizione, e la sua costa bassa e sabbiosa,  i naufragi, sono stati incredibilmente numerosi. Sable Island è stata anche soprannominata "TRISTE ISOLA DI LUTTO", e se guardiamo questa stampa su tela,  esposta al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta  di Chiavari,  comprendiamo facilmente il perché di questo soprannome. I marinai del tempo della vela hanno pagato prezzi spaventosi se pensiamo soltanto ai passaggi di Capo Horn o altre difficili navigazioni. Spesso,  la solidarietà umana ha cercato di lenire queste tragiche ferite che per secoli sono sono state un flagello per tanti naviganti.

Nei  maggiori porti di armamento o provenienza della “gente di mare” verso la metà dell'Ottocento  sorgeranno  delle associazioni a scopo prettamente umanitario  come la Società di Mutuo Soccorso di Lerici datata 1852 con scopi di assistenza sociale per le vittime dei naufragi o per chi rimanenva senza imbarco.

Mentre l'Assicurazione Marittima Camogliese riveste  scopi maggiormente assicurativi data la rilevanza economica armatoriale di tutto il mondo marittimo camogliese di quei tempi.

Molti anni prima, lungo le coste tempestose sorgevano le Case di Rifugio dette anche Case dei Marinai.

Molti di questi rifugi erano addirittura senza custodi dove il naufrago, infreddolito, bagnato e spesso ferito, all’interno vi trovava legna da ardere, cibo appeso al riparo dei roditori e istruzioni per raggiungere la sede di soccorso più vicina.

Un tipico esempio di questa straordinaria solidarietà era proprio l’isola della Sabbia che annovera circa 150 anni di soccorsi.

La prima stazione si formò nel 1801 e fu attiva sino al 1958. Molti naufraghi devono la vita alla preparazione e al coraggio degli equipaggi di soccorso. Chi è andato per mare sa bene che ogni puntino di questa carta ha rappresentato una tragedia. Vite perdute, famiglie distrutte, vedove  e bambini orfani.  Fin dal 1583,  i naufragi,  puntualmente registrati su Sable Island,  sono stati oltre 250. Un record non certo invidiabile crediamo.

Ma perché tanti naufragi a Sable Island!

Prima di tutto il mare attorno all’isola della Sabbia (nella foto),  è una delle zone più pescose del mondo. E’ anche vicino a una delle rotte più frequentate tra Europa e Nord America. Centinaia di navi vi passano   ogni anno.

Ma è una zona soggetta a tempeste.  Sable Island giace proprio sul passaggio della maggior parte delle tempeste che punteggiano la costa Atlantica del Nord America. Tempeste estremamente ingannevoli per i velieri che erano semplicemente spinti dal vento contro quest’isola.

La nebbia poi circonda l’isola: d’estate, l’aria calda della Corrente del Golfo produce densi banchi di nebbia incontrandosi con  l’aria raffreddata della Corrente del Labrador intorno a Sable. Sable è soggetta a nebbia 125 giorni all’anno; a Toronto,  nella costa vicina, sono soltanto 25.

Le correnti intorno a Sable sono ingannevoli. L'isola giace vicino al punto d’incontro di tre correnti oceaniche maggiori: la Corrente del Golfo, del Labrador e di Belle Isle.

Ma anche queste tragedie, per fortuna,  hanno avuto fine.

Sin dal 1947 non ci sono stati più naufragi: fino a tempi recenti, si usavano i sestanti per fare il punto nave. I  sestanti,  possiamo affermare  che  erano precisi, anche se si basavano sulla visibilità del sole o delle stelle ed erano inutili in caso di nebbia fitta o cielo coperto. In cattivo tempo, il Capitano navigava a “intuito” o meglio con la “navigazione stimata”,  usando la velocità della nave e la direzione per stimare la sua posizione. Ma anche in buone condizioni era un indovinare basato sull’esperienza. Correnti e temporali confondevano i calcoli del miglior “capitano”;  così si chiamavano sui velieri, non Comandante, come spiegano  al Museo Marinaro di Camogli.

Molti rapporti di naufragi riportano che il Capitano,  semplicemente …… “si perse”: giudicò erroneamente il punto nave e s’imbattè nell’isola della Sabbia per sbaglio.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, il radar e altri strumenti di navigazione più avanzati in ultimo il GPS  si diffusero sulle navi mercantili. L’isola della Sabbia cessò così di essere un pericolo incombente per la navigazione.

Trascorsi 11 anni senza naufragi, l’insediamento umano fu chiuso nel 1958. Ora i fari sono automatici, la sede principale é in rovina. I  residenti permanenti di Sable sono ora mezza dozzina di osservatori meteorologici, talvolta con le loro famiglie.

Un altro aspetto di questi naufragi erano le svariate quantità di materiale di bordo compresi pezzi dello scafo che arrivavano a terra,  il cui legname serviva a molteplici usi non escluso quello edilizio. A quei tempi tutto era utile e non sono rari i saccheggi che avvenivano quando un veliero naufragava in una costa impervia. In certi casi, parliamo di qualche secolo addietro, si arrivava persino a spostare le poche e rare luci che servivano per la navigazione, ingannando il capitano e facilitandone l’incaglio in qualche scoglio. Dobbiamo anche ricordare che il calcolo della longitudine, insieme a quello della latitudine determina il punto nave, ma questo dato importantissimo  cominciò ad  assumere connotati di una certa  precisione soltanto ai primi dell’ottocento con la costruzione e la dotazione obbligatoria sulle navi di precisi cronometri di bordo in seguito alle insistenze quasi ossessionanti,  ma giuste, dell’orologiaio inglese John Harrison. Un orologiaio vinse la battaglia della Longitudine contro i "dotti" astronomi del tempo. Ma questa è un’altra storia, anche se non meno affascinante.

Abbiamo voluto collegare la straordinaria storia del Georges Valentine alle tante Stazioni di Soccorso o Case Rifugio che esistevano al tempo della vela, per far capire  una volta di più, quanto è stata dura la vita del marinaio, che spesso viveva giorni di supplizi e di paure con poco cibo, quasi sempre  avariato,  ed il mare che gli demoliva la nave. Nell’imminente naufragio,  la sua unica speranza e salvezza era una solida fede in Dio o al suo Santo protettore che spesso era l’unico salvagente al quale tenersi aggrappato.

Nave Narcissus (Quadreria Santuario di Montallegro-Rapallo)

Gli ex voto dei marinai che si trovano in molti  Santuari sparsi un po’ in tutta Italia, da Milazzo a quello di Montenero a Livorno, a quello di Montallegro, alla Madonna della Guardia o al nostro Boschetto di Camogli,  sono una rilevante testimonianza religiosa e di fede, che in mezzo ad  una tempesta è l’unica cosa in cui credere.

Possiamo solo aggiungere che il naufragio del “GEORGES VALENTINE” , grazie al Comandante Roberto Volpi,  è stato un importante  salvataggio della memoria.

Un ringraziamento è doveroso verso i membri dell’Associazione Capitani e Macchinisti, che con determinazione hanno contribuito a questa scoperta.

Mentre il Museo Marinaro, Gio Bono Ferrari,   rappresenta la memoria vivente e operante delle attività produttive della nostra gente, che permisero ai nostri padri e ai nostri nonni di crescere e prosperare.

Ancora una volta scrigno prezioso di tanti tesori, avventure e ... tempeste.

Ernani ANDREATTA

Rapallo, 4 Marzo 2015


Webmaster: Carlo GATTI


Bibliografia:

- Gio Bono Ferrari – Capitani e bastimenti di Liguria–Arti Grafiche Tigullio– Rapallo-1939

- Florida Departement of State – Division of Historical Resources

- Geaorges Valentie Archaeological Preserve – Historical Society of Martin County

- Sandra Henderson e Deanna Wintercon – Home of History –

Southeastern Printing Inc. - Stuart, Florida.

- Michael Barnett – Florida's Shipwrecks – Arcadia Publishing Charleston, S.Caroline.

Foto:

- Bruno Malatesta

- Agenzia Bozzo - Camogli

- The Historical Society of Martin County (gentilmente concesse)

-Grande Atlante del Mondo – Vallardi Editore - 1988





COSTA VICTORIA - I NAUFRAGHI FORTUNATI

COSTA VICTORIA

I NAUFRAGHI FORTUNATI

Caraibi

Il 15 aprile 2001, la domenica di Pasqua, coincise con l’inizio della crociera di rientro. La nave attese i passeggeri provenienti dall’Europa con l’ultimo volo e alle 19.00 partì per la traversata atlantica. Gli scali previsti nei Caraibi erano Nassau, Isola Catalina, Tortola e St. Lucia. Dopo la partenza, alle 20.00  ci fu la santa Messa pasquale celebrata in teatro con una grande partecipazione dei nostri ospiti, alla quale seguì una bella cena. Il tempo era buono e dopo una sosta tranquilla e soleggiata a St. Lucia, il 20 aprile alle 18.00 iniziammo la traversata atlantica con destinazione St. Cruz de Tenerife.

Martinica

Dopo circa tre ore di navigazione, ci venne segnalata la presenza di una barca da pesca alla deriva in Atlantico con tre uomini a bordo; il motore funzionava, ma, essendo il sistema di ingrana/sgrana in avaria, era in balia del mare da due giorni. Era vicinissima alla nostra rotta. I tre uomini, stavano per perdere le speranze quando videro avvicinarsi un gigante enorme, l’imponente “Costa Victoria”, pronta a dare una mano alla loro fragile imbarcazione.

La barca da pesca alla deriva

Erano terrorizzati nel veder la nave sempre più vicina. Nel frattempo era arrivato anche un aereo da ricognizione che stava illuminando il mare con il proiettore.

 

Ricognitore

I tre giovani, grazie ad un piccolo Gps, erano riusciti a trasmettere le coordinate esatte, l’ultima opportunità, per loro, di essere soccorsi, essendo già piena d’acqua la barca, carica di circa 700 chilogrammi di pesce. Il mare lungo ed il vento forza 5 causavano non poche difficoltà alla manovra di avvicinamento alla piccola imbarcazione. Dopo una serie di manovre compiute sottovento, venne lanciata la cima. Fallito il primo tentativo, andò a segno il secondo, avendo sempre l’accortezza di fare in modo che il battello non finisse a poppa, dove avrebbe potuto essere risucchiato dalle eliche. Il Comandante in seconda, intanto, oltre ad essermi di supporto nella manovra, aveva destinato il nostro personale, sotto la destrezza del bravo e giovane  nostromo,  ai vari portelloni perché fosse pronto ad ogni evenienza. Intanto l’hotel director, molto collaborativo e attento, si preoccupava di informare i passeggeri sulla nostra manovra e di avvertire il capo alloggi del personale che stesse pronto con il vestiario del guardaroba di bordo e che provvedesse a predisporre la sistemazione dei naufraghi in cabina. Fu una mezz’ora di grande tensione, seguita dai circa 1900 passeggeri e dagli 800 uomini di equipaggio, poi finalmente si riuscì ad affiancare la barca al portellone già aperto e a recuperare i pescatori, tre robusti giovanotti creoli, provati da due giorni terribili.

 

Ormai sicuri di salvarsi, ebbero la prontezza di  prendere il  miglior pesce tra tutto quello che avevano a bordo - alcune cassette di capponi - per regalarlo al personale che li stava aiutando a salire a bordo. Dopo di ché affidai alle cure del medico di bordo i tre giovani ormai disidratati e sfiniti, che dissero di essere fratelli. Presi poi contatto con la capitaneria di Martinica per comunicare l’avvenuto salvataggio e la posizione dell’imbarcazione lasciata alla deriva che fu, il giorno dopo, ritrovata da altri pescherecci più grossi e trainata sino in porto. Con la salvezza, i tre fratelli si conquistarono anche un’enorme simpatia tra i passeggeri che vollero incontrarli  nella tarda serata, dopo la fine dello spettacolo. Ci fu un grande applauso in loro onore, perché oltre ad essere giovani e robusti erano anche dei bei ragazzi. La solidarietà dell’equipaggio e dei passeggeri  fu grandissima, organizzammo una colletta che fruttò 2581 dollari, una fortuna per i tre fratelli.

Con parte del denaro poterono così riparare la loro barca al rientro a Martinica. All’arrivo a Santa Cruz de Tenerife, il 26 aprile, venne il console francese a bordo e i tre fratelli, dopo aver espletato le pratiche di sbarco, ci salutarono e lasciarono la nave.

 

La traversata fu tranquilla, dopo gli scali a Gibilterra e a Barcellona, martedì 1 maggio arrivammo a Genova.

 

 

Santa Cruz de Tenerife

 

CSLC Mario Terenzio PALOMBO

Rapallo, 23 Febbraio 2015