AGGUATO AL CONTE ROSSO - 1297 LE VITTIME
AGGUATO AL CONTE ROSSO – 1297 LE VITTIME
Il "Lloyd Sabaudo", concorrente principale di N.G.I., mette in cantiere due nuovi e grandi transatlantici: il Conte Rosso e il Conte Verde. L’iniziativa nasce dalla consapevolezza di dover dare una chiara risposta alle grandi Compagnie di navigazione europee che gestiscono il mercato internazionale delle navi passeggeri. Con l’entrata in linea dei due CONTI anche l’Italia farà presto parte della competizione internazionale.
Il Conte Rosso fu impostato nel cantiere William Beardmore & Co in Scozia nel giugno 1914, ma le necessità belliche degli inglesi costrinsero il Lloyd Sabaudo a vendere l'unità ancora incompleta agli inglesi che, non solo ne cambiarono radicalmente il progetto, ma trasformarono la nave in portaerei con il nome H.M.S Argus. Nel 1918, terminata la Prima guerra mondiale, la compagnia italiana decise di riacquistarlo confermando anche la costruzione di un transatlantico gemello, il Conte Verde. Il 16 gennaio del 1920 ebbero inizio le costruzioni di entrambe le navi che furono impostate nello stesso cantiere.
Il CONTE ROSSO all’ancora
Tipo: Transatlantico
Proprietà: Lloyd Sabaudo-Genova-Lloyd Triestino-Trieste
Costruttori William Beardmore & Co. Cantiere Dalmuir,Glasgow (Scozia)
Varo 10 febbraio 1921
Entrata in servizio 29 marzo 1922
Destino finale Affondato il 24 maggio 1941
Caratteristiche generali:
Stazza Lorda: 18.017 tsl
Lunghezza 180,1 mt.
Larghezza 22,6 mt.
Propulsione: Vapore
2 gruppi turboriduttori a doppia demoltiplicazione
Potenza: 19.200 cv.
Velocità 18,5 nodi
Equipaggio 442
Passeggeri:
212 in prima classe
269 in seconda
310 in economica
510 in terza
SINTESI STORICA DEL TRAGICO AFFONDAMENTO
Alle 20.41 - AGGUATO AL
CONTE ROSSO
La Seconda Guerra Mondiale era ormai iniziata e la Marina Militare a Genova lo requisì di nuovo per adibirlo per l'ennesima volta al trasporto di soldati in Libia, oltre a migliaia di coloni. Ma ben presto il Conte Rosso andò incontro al suo tragico destino. Il 24 maggio 1941 il transatlantico partì da Napoli alle 4.40 del mattino insieme ad un convoglio formato da altri 3 grandi transatlantici: il Marco Polo, l'Esperia e la motonave Victoria, oltre a numerosi cacciatorpediniere e incrociatori di scorta. Il convoglio era diretto a Tripoli ma sulla rotta nelle vicinanze di Siracusa fu intercettato dal sommergibile inglese HMS Upholder che alle 20.40 lanciò un siluro che colpì la prua del Conte Rosso che si trovava a capo del convoglio e quindi facile bersaglio. Sebbene la nave iniziò fin da subito ad imbarcare acqua, l'affondamento sembrava avvenire lentamente lasciando la speranza a tutti i soldati a bordo di poter raggiungere le scialuppe e mettersi in salvo...ma un secondo siluro lanciato dall'Upholder provocò una tremenda esplosione che portò il CONTE ROSSO a colare a picco di prua in soli 10 minuti, innalzando la poppa sopra il livello dell'acqua e quindi senza lasciare scampo alle migliaia di persone che ancora si trovavano sui ponti del transatlantico.
La nostra Liguria pagò il suo tributo alla nazione con la perdita di oltre 500 navi mercantili. Nel conto non sono inclusi i pescherecci ed il naviglio minore. Lo storico navale Maurizio Brescia, nelle sue ricerche, ci ricorda quanto segue:
- da “ Cacciatorpediniere classe Navigatori” (Albertelli-Parma 1995): Il 18 settembre 1941, in posizione 33°02'N-14°42'E, il sommergibile Upholder silurava ed affondava i transatlantici Oceania e Neptunia. (Dei 5.818 uomini a bordo delle due navi, ne morirono 384). Il Da Recco, capo scorta, recuperò ben 2.083 naufraghi delle due navi e protesse poi il rientro a Napoli del Vulcania, unico superstite del convoglio”.
- da: “Cacciatorpediniere classe Freccia/Folgore/Maestrale e Oriani” (Albertelli-Parma, 1997): “…Quando la formazione si trovava ormai sulla rotta di sicurezza per l'entrata a Tripoli, alle 10.20 del 20 agosto 1941, il sommergibile inglese Inique silurò ed affondò l'Esperia; le unità di scorta recuperarono complessivamente 1.139 naufraghi, e tra questi 417 furono salvati dallo Scirocco …”
- “..La 3° Divisione assicurava la protezione a distanza della formazione e, vista l'importanza della missione, a bordo del Conte Rosso si trovava il contrammiraglio Canzonieri nella veste di capoconvoglio. Le numerose unità di scorta, la cui consistenza era stata rinforzata, all'altezza di Messina, da tre ulteriori torpediniere, non poterono però impedire il siluramento del Conte Rosso avvenuto alle 20.41 dello stesso 24 maggio, da parte del sommergibile britannico Upholder…”
Una vasta eco ebbe la perdita del glorioso Conte Rosso, militarizzato ed adibito al trasporto truppe. L'affondamento avvenne mentre navigava in convoglio a poche miglia da Siracusa. Morirono 1.297 dei 2.729 militari che si trovavano a bordo, diretti in Libia.
IL CONTE ROSSO IN NAVIGAZIONE
A bordo vi erano 2729 uomini tra soldati ed equipaggio, 1297 dei quali persero la vita nel naufragio...i sopravvissuti vennero recuperati quasi immediatamente proprio perchè il luogo dell'affondamento non distava molto dalla costa. Il relitto del Conte Rosso riposa nei pressi della costa di Siracusa, città che ancora oggi ricorda il naufragio con grande dedizione e commozione.
Il transatlantico Conte Rosso è noto per essere stato il naufragio in cui persero la vita il maggior numero di soldati durante la Seconda Guerra mondiale.
IL SOMMERGIBILE "KILLER" HMS UPHOLDER
In missione, durante la caccia AS (antisom) nel mare di Tripoli il 14/4/1942 la torpediniera Pegaso, comandata dal C.C. Francesco Acton, intercettò un sommergibile e sganciò su di esso diverse bombe di profondità colpendolo, era lo Upholder? Un sommergibile considerato dalla marina britannica per le sue ardue imprese un fiore all'occhiello. Questo affondamento è stato contestato con forza dallo Stato Maggiore della Marina Tedesca il quale asseriva che il sommergibile britannico Upholder era stato affondato il 14 aprile alle ore 13,10 dagli aerei Me-110 e Do-17 i quali, durante la scorta convoglio denominata operazione "Aprilia" hanno individuato un sommergibile, scoperto probabilmente dalla scia lasciata dall'idrofono. Gli aerei, sul bersaglio hanno sganciato un numero rilevante di bombe. In seguito, nel giro di ricognizione i piloti hanno avvistato in mare una macchia scura e diversi oggetti non bene identificati. Un rapporto della ricognizione aerea italiana asseriva che la mattina del 13 aprile il sommergibile Upholder si trovava a largo di Misurata, quindi la seconda ipotesi rimane la più attendibile.
Nota:
Posizione con le COORDINATE ESATTE DEL PUNTO DELL‘AFFONDAMENTO.
Notizia tratta dall’Estratto Notiziario Storico di Augusta N° 24 Edizione 2001.
Il volume Navi Mercantili Perdute Edito dall’Ufficio Storico M.M.I. precisa il punto di affondamento in 36°41′ Nord / 15°33′ Est. – Corretto nel 1977 in 37°01′ Nord / 15°33’ Est. Confermato anche dall’individuazione del relitto.
Riportiamo quanto scritto dallo storico augustano Francesco Carriglio:
Alle ore 20:41, in prossimità di Capo Murro di Porco di Capo Passero, l’incontro del convoglio con il sommergibile Upholder fu fatale, il sommergibile colpì il Conte Rosso con un primo siluro che distrusse la zona macchine, rallentandone così la velocità, un siluro successivo colpì la stiva provocando una grande esplosione; il Conte Rosso si inclinò su un fianco, gli uomini sopravvissuti all’esplosione cercarono di mettersi in salvo adoperando mezzi di salvataggio e di fortuna, ma il tempo fu tiranno per alcuni di essi, dopo solo 8 minuti dal secondo siluro il piroscafo si inabissò trascinando con esso molti uomini, adagiandosi su un fondale di 2.000 metri. Le navi di scorta coordinarono subito una azione offensiva nei confronti del sommergibile lanciando delle bombe di profondità, ma ben presto alcune di esse dovettero interrompere l’azione per dare soccorso alle moltissime persone che chiedevano, o meglio imploravano aiuto, il resto del convoglio, scortato da alcune Unità, proseguì per il porto di destinazione. Il Comando Marina di Augusta in allarme predisponeva l’organizzazione dei soccorsi, il prezzo di vite umane fu altissimo, al momento della tragedia sul piroscafo Conte Rosso vi erano 2.727 persone di cui 1.430 si salvarono e 1.297 morirono, di esse solo 290 salme furono recuperate dai mezzi di soccorso. La notizia non tardò a diffondersi tra la popolazione augustana. Alle ore 05:00 del mattino successivo alcuni superstiti del Conte Rosso giunsero nel porto di Augusta. Le banchine del porto si affollarono improvvisamente di persone che si volevano prodigare nell’aiuto agli sventurati naufraghi sopravvissuti all’immane tragedia. La cittadinanza diede il suo aiuto ai naufraghi offrendo ad essi cure, ospitalità, vestiario, vitto, alloggio ed affetto. Una cittadina che prese a cuore la sventura di questi uomini che nel tempo non hanno mai dimenticato l’affetto e la simpatia per questa città.
Il sottomarino KILLER UPHOLDER RIPRESO DA DUE ANGOLAZIONI DIVERSE.
La sua devastante carriera:
Fu comandato per la sua intera carriera dal Lt. Commander (equivalente del capitano di corvetta) Malcom David Wanklyn e divenne il sottomarino britannico di maggior successo della Seconda guerra mondiale, insignito della Victoria Cross e del Distinguished Service Order. Dopo un periodo di addestramento, partì per Malta il 10 dicembre 1940 e fu unito alla 10th Submarine Flotilla (la decima flottiglia) stanziata presso la base sottomarini dell’isola di Manoel, a nord de La Valletta, nello Stretto di di Marsamuscetto. Completò 24 ricognizioni, affondando 93.031 tonnellate di navi nemiche, ovvero il cacciatorpediniere Libeccio dopo la Battaglia del convoglio Duisburg (dal nome di uno dei piroscafi che lo componeva), due sommergibili (il Tricheco ed il Saint Bon), tre grossi trasporti truppe:
CONTE ROSSO, NEPTUNIA ed OCEANIA), sei navi da carico (Antonietta Lauro, Arcturus, Leverkusen, Laura C., Enotria, Tembien), una nave ausiliaria (il trasporto Lussin) ed un dragamine ausiliario (il B 14 Maria). Wanklyn fu insignito della Victoria Cross per una ricognizione nel 1941 quando attaccò un convoglio particolarmente ben difeso e affondò il transatlantico italiano tonnellate CONTE ROSSO la notte del 24 maggio. Danneggiò anche l'incrociatore italiano Giuseppe Garibaldi.
L'Europa era stata fortemente voluta dopo le due guerre mondiali, l'orrore delle trincee, dei gas asfissianti, delle bombe al fosforo, del delirio di onnipotenza di Hitler, Stalin e Mussolini. La seconda è stata generata dalle conseguenze della prima. Quando ancora i cannoni tuonavano e le atomiche americane, che avrebbero annientato le irriducibili resistenze del Giappone non erano state sganciate, alcuni uomini di buon senso, grande generosità e cultura, imprigionati dal regime del Benito nazionale, avevano concepito l'Unione Europea come antidoto ai nazionalismi ed alle follie dei dittatori.
Piercarlo Barale
L'azzurra linea del Mediterraneo, questo incantatore ed ingannatore di uomini audaci, manteneva il segreto del suo fascino e si stringeva al calmo petto le vittime di tutte le guerre, le calamità e le tempeste della sua storia, sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto.
da L'Avventuriero di Joseph Conrad
Carlo GATTI
Rapallo, 24 novembre 2017
FOTO STORICHE - RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
FOTO STORICHE DI RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
CORNOVAGLIA
Castelli sul mare della Cornovaglia
Vele nella tempesta
AMERICA'S CUP
La Cornovaglia, situata nella punta estrema a Sud-Ovest della Gran Bretagna è uno dei luoghi sede di miti e leggende, di popolazioni guerriere e legate al mare. Se moltissimi sono i castelli e le fortificazioni delle grandi famiglie nobili spesso legate al casato reale inglese, non vanno dimenticate le splendide spiagge, più di 300 chilometri di costa, molto frastagliate, ricche di insenature, calette e spazi ove il tempo, il mare e il vento hanno lavorato le rocce ricreando luoghi con un’aura magica ed enigmatica.
La Cornovaglia é una terra ai confini del mondo, tutta da scoprire! Camminando lungo i sentieri del South West Coast Path, tra cielo e mare, tra straordinarie formazioni geologiche e storie di marinai, corsari, relitti e minatori, si ammirano le scogliere di Land’s End e della penisola di Lizard, rispettivamente il punto più occidentale e meridionale dell’isola inglese e i piccoli borghi di pescatori come St. Ives e Penzance. C’é di più: nel tratto dell’antico sentiero percorso dai pellegrini per andare sul percorso Micaelico e visitare la suggestiva isola di St. Michael, sorella minore di quella in Normandia.
ALBUM FOTOGRAFICO DI RELITTI
JEUNE HORTENSIE - 1888
British Ship MALTA wrecking 1889
ANDOLA wrecking
BUSBY cargo ship
JEANNETTE 1878
The UMBRE SHIP wreking 1899
PANDORA
The SOCOA at Cadgwith - 1906
The HANSY ship wrecking - 1911
The CROMDALE wrecking - Lizard Peninsula - 1913
German U-BOAT blown ashore
The ANDROMEDA 1915
LIBERTY - wrecking
The VERT PRAIRAL capsizing - 1956 -
THe ALACRITY - Cornwall - 1963
PINO SORIO
A cura di Carlo Gatti
1909-COLLISIONE: P.fo FLORIDA - P.fo REPUBBLIC
23.1.1909 ore: 05.00 a.m.
COLLISIONE
tra le navi passeggeri:
P.fo FLORIDA e P.fo REPUBLIC
Nave | Armamento | Stazza L. | Passeggeri | Equipaggio | Comandante |
Florida |
Lloyd Italico | 5.106 | 323 | 205 | Ruspini |
Republic |
White Star |
15.378 | 492 | 300 | Scalby |
"REPUBBLIC" IN NAVIGAZIONE
"FLORIDA" IN NAVIGAZIONE
Il REPUBLIC con le sue 15.400 t. viaggiò indisturbato per anni riscuotendo, come detto prima, un enorme successo tra l'alta società europea e statunitense di quell'epoca.
Nonostante ciò la vita di questo transatlantico fu breve e terminò tragicamente il mattino del 23 gennaio 1909, anticipando di 47 anni, con le stesse modalità tecniche, meteo e geografiche, la TRAGEDIA DELLA ANDREA DORIA che fu SPERONATA DALLA STOCKHOLM.
L'RMS Republic era in navigazione da New York verso Gibilterra, diretto in alcuni porti del Mediterraneo. Al largo dell'isola di Nantucket entrò in una fitta nebbia. Nonostante la velocità ridotta, le luci antinebbia regolarmente accese e la presenza del fischio di segnalazione, dalla fitta foschia spuntò la prua del transatlantico italiano Florida che speronò violentemente la poppa del Republic proprio nella zona della sala macchine e delle caldaie, che immediatamente iniziarono ad imbarcare acqua. Le vittime della collisione furono 6 in tutto: 3 passeggeri sul Republic e 3 membri dell'equipaggio del Florida.
Per la prima volta nella storia della navigazione fu utilizzato il telegrafo senza fii Marconi per lanciare l'S.O.S al quale risposero subito il transatlantico Baltic della White Star e la US Gresham. Nonostante la prua completamente devastata il Florida rimase a galla senza nessuno pericolo di affondamento...Al contrario invece il Republic iniziò da subito ad inclinarsi sul lato dello squarcio. I capitani e l'equipaggio di entrambe le navi furono molto efficienti e tempestivi nell'organizzazione dei soccorsi e dell'evacuazione del transatlantico inglese. Infatti immediatamente molti passeggeri del Republic furono trasferiti con le lance sul Florida che però, essendo un piroscafo di piccole dimensioni, si trovò subito in una condizione di sovraccarico...
Fortunatamente giunse sul posto il Gresham che recuperò velocemente altri naufraghi e infine il Baltic che ebbe difficoltà ad individuare il luogo dell'incidente a causa, appunto, della fitta nebbia. Tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio furono tratti in salvo e divisi tra le due navi giunte in soccorso e sul Florida stesso, capace ancora di navigare nonostante gli ingenti danni. Intanto sul luogo del naufragio arrivarono anche i piroscafi New York e Lucania della Cunard Line che insieme al capitano e alcuni ufficiali tentarono di legare e trainare il Republic su un basso fondale per poterlo in un certo senso salvare, ma fu tutto inutile, in quanto oltre ad essere già pericolosamente inclinato su un lato, aveva ormai imbarcato molta acqua...
SINTESI
Punto di collisione:
Nella zona del battello fanale di NANTUCKET , tradizionale punto di atterraggio a New York delle navi provenienti dall’Europa, nonché antica stazione di Pilotaggio e quindi importante stazione di smistamento del traffico navale in tutte le direzioni.
Causa della collisione:
A causa della nebbia fitta, tipica della zona, le due navi passeggeri si avvistarono quando ormai era troppo tardi per correggere le rispettive rotte.
I Fatti:
Il Florida era partito da Napoli diretto a New York. Il Republic proveniva da Boston a velocità di crociera ed era diretto a Liverpool. Il Florida che procedeva a velocità ridotta, riuscì a mettere le macchine indietro a tutta forza, ma l’urto fu inevitabile. Il Republic fu colpito sul fianco sinistro, a poppavia.
Le vittime: Nella collisione morirono sul colpo 3 membri
dell’equipaggio italiano e 2 di quello inglese.
I danni:
Nella meccanica dell’incidente il Florida ebbe la meglio, perché la prima paratia stagna resistette all’urto, mentre il danno sofferto dal Republic fu tragicamente determinante per la sua stabilità e galleggiabilità.
Il Florida, con la prora accartocciata, proseguì con i propri mezzi per New York.
Il Republic percorse un breve tratto al traino del Gresham e poi colò a picco a qualche decina di miglia da Nantucket.
Salvataggio:
Operazioni di L’S.O.S lanciato nell’etere dal Republic, subito dopo la collisione, fece convergere in zona una petroliera della Standard Oil, la City of Everest e poco dopo la famosa nave passeggeri Baltic della stessa White Star, sulla quale furono trasbordati e salvati tutti i passeggeri delle due navi.
Protagonista: Il tragico avvenimento ebbe un grande protagonista: LA TELEGRAFIA SENZA FILI DI GUGLIELMO MARCONI
Commento: La stessa identica storia si ripeterà 47 anni dopo, nelle stesse acque, tra l’Andrea Doria e lo Stockholm.
Rumoured cargo - Da un giornale dell'epoca:
There are many rumours that the Republic was carrying gold and/or other valuables when she went down. One rumour is that she was carrying gold worth $250,000 in American gold coins to be used as payroll for the US Navy's Great White Fleet. Another theory that she was carrying money for the relief effort for the1908 earthquake in Messina, Italy. A third theory, put forward by Captain Martin Bayerle, is that she was carrying $3,000,000 in gold coins as part of a loan to the Imperial Russia Governement. All of these values, of course, are in 1909 dollars when gold was $20 per ounce. Today, the coin values would bring the recovery to at least many hundreds of millions of dollars, and some experts have estimated that the recovery (with proper marketing of the recovered coins) could approach $5 billion or more, making the Republic salvage the largest treasure recovery of all time.
Questa è la breve storia dello sfortunato RMS Republic, conosciuto anche con il nomignolo "Millionaires' Ship", la nave dei milionari, in quanto fu meta ambita da illustri personaggi di quell'epoca, tra i più ricchi del mondo che la sceglievano per i loro viaggi di piacere e d'affari tra il Regno Unito e New York.
Inizialmente il Republic si chiamava SS Columbus ed apparteneva alla compagnia Dominion Line (controllata appunto da White Star). Fu impostato e costruito nei cantieri Harland & Wolf di Belfast tra il 1902 e il 1903. Fu varato il 23 febbraio 1903 e, completato l'allestimento, partì per il viaggio inaugurale da Southampton ad ottobre dello stesso anno riscontrando un enorme successo nonostante fosse stato concepito per lo più seguendo altissimi standard di sicurezza e stabilità, piuttosto che di bellezza e lusso.
Interni della nave REPUBLIC
La nave Florida fu costruita nel 1905 dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso, in Italia, per la società Lloyd Italiano. Stazzava 5.018 tonn., era lunga 116 metri e larga 14. Aveva motori a vapore a triplice espansione e doppia elica. Poteva viaggiare ad una velocità di 14 nodi e trasportare fino a 1.625 passeggeri, di cui 25 in prima classe e 1.600 in terza. Era utilizzata sulla rotta Italia-New York. Nel 1911 venne acquistata dalla società Ligure Brasiliana, sempre di bandiera italiana, e ribattezzata Cavour. Nel 1917 affondò in seguito a una collisione al largo delle coste italiane.
La prora della FLORIDA dopo la collisione con la REPUBLIC
LA REPUBLIC é ingavonata di prora e sta per affondare
CARLO GATTI
Rapallo, 16 novembre 2017
GENOVA, Tragico INCENDIO, M/n LINDAROSA
Genova, 27.7.1998
TRAGICO INCENDIO
a bordo del traghetto da carico italiano
“LINDA ROSA”
Nave |
Bandiera Compartimento |
Stazza Lorda |
Lunghezza-Larghezza |
|
LINDA ROSA
|
ItalianaBari |
18.469 tonn. |
198 metri 26 metri |
I FATTI
Il traghetto LINDA ROSA della “Società Levante Trasporti” era ormeggiato nel nostro porto a Ponte Canepa.
Alle 14.20 del 27.7.1998, la nave, con il Pilota a bordo, muoveva verso il Bacino n°5 con una bava di vento da sud.
Il Comandante Crescenzo Mendella aveva un problema:
OTTO CLANDESTINI A BORDO
erano stati scoperti in un container a bordo della nave. La Polizia italiana aveva però deciso di respingerli, nonostante le rimostranze del Comandante del traghetto, il quale denunciò alle Autorità la difficoltà della loro custodia, dovendo la nave entrare in bacino di carenaggio per le visite periodiche.
L’INCENDIO
Forse fu proprio la prospettiva di una sosta lunga e laboriosa che indusse i clandestini ad appiccare il fuoco ai materassi delle cabine dove si trovavano rinchiusi. La loro strategia doveva essere semplice ma efficace:
- creare uno stato d’allarme a bordo
- attirare l’attenzione dei guardiani e dei marinai
- uscire dalle cabine
- attuare un piano di fuga
TESTIMONE
Lasciamo ora la parola al pilota di turno Roberto Zucchi:
“In prossimità della testata Ponte Eritrea scattava l’allarme di Incendio a bordo e quasi contemporaneamente del fumo raggiungeva il ponte di comando.”
Mentre a bordo venivano prese immediatamente le misure del caso, il Pilota allertava le Autorità e quindi tutti i servizi di terra: VVFF-Ambulanze ecc…
Il Pilota prosegue così la sua testimonianza:
“…il rimorchiatore Giappone era a prora, il Brasile a spingere e il Francia a poppa. Con il ponte di comando completamente avvolto da un fumo nero e denso ed i motori principali fermi si continuava la manovra dalla controplancia e si decideva di attraccare al pontile OARN- CNR, che era la banchina libera più vicina. Durante la fase d’attracco, l’elicottero dei VV. FF. atterrava sulla coperta della nave con personale medico, mentre i VV.FF. di terra iniziavano l’opera di spegnimento”.
Quando divamparono le fiamme dalle cabine dei clandestini, scattò l’allarme antincendio a bordo della LINDA ROSA ed il nostromo, visto il pericolo, fu il più rapido ad abbattere le porte. Troppo tardi.
LE VITTIME
La tragedia, perché di questo si trattò, apparve in tutta la sua gravità quando l’equipaggio dovette prendere atto che: Cinque degli otto extracomunitari erano già morti per soffocamento.
L’incendio veniva completamente domato intorno alle Ore 16.15.
Il Capo Pilota Ottavio Lanzola, ad operazioni terminate, così si espresse:
“Il pilota di turno R.Zucchi ha lavorato con grande professionalità e tempestività nel rendersi conto della gravità di quanto poi sarebbe accaduto dando immediato allarme a tutti gli Enti interessati e collaborando al massimo col Comandante della nave con la calma e la freddezza indispensabili in queste circostanze. Inoltre ci siamo resi conto dell’inestimabile funzionalità della Torre di Controllo e di tutta la sua innovativa strumentazione, che ci ha consentito di coordinare e dirigere a distanza, sin dall’inizio, le operazioni in corso tramite le telecamere a circuito chiuso. Forse abbiamo salvato una nave con la rapidità dei nostri interventi, ma dentro ci sentiamo un vuoto, una specie di fallimento per non essere stati in grado di evitare, tra tutti, quell’orrenda tragedia che ancora una volta ha insanguinato il nostro porto.”
Carlo GATTI
Rapallo, 1 Novembre 2017
SUPER PETROLIERA "SALEM"- Una Frode Colossale
Super petroliera SALEM
Una Frode Colossale
Vista aerea della T/t Sea Sovereign, in seguito South Sun, ed infine T/t SALEM
Esiste un capitolo poco pubblicizzato della Storia Navale che riguarda le navi affondate senza una causa ben precisa e riscontrata: cattivo tempo, collisione, falla, errore di manovra … tolte le quali, rimane soltanto l’intenzionalità:
La nave deve essere affondata!
Queste pratiche criminali sono raccolte in un faldone antico come il mondo e precisamente da quando esistono forme di protezione finanziaria contro la perdita totale di una nave. In questi casi l’osso da spolpare é l’Assicurazione, un Ente che copre finanziariamente i danni al carico e alla nave. Il relativo PREMIO a carico dell’armatore é obbligatorio per tutte le navi in circolazione sui settemari. (Soltanto le supercargo in circolazione nel mondo oggi sono: 60.000).
Com’é noto, la categoria d’incidenti “provocati” a cui ci riferiamo, riguarda la TRUFFA concordata tra un armatore disonesto ed un equipaggio consenziente che definire “pirata” sarebbe molto riduttivo, non solo, ma come vedremo in questa sceneggiata compaiono anche altri attori insospettati …
L’obiettivo da raggiungere é sempre lo stesso: entrare in possesso della cifra STIPULATA CON L’ASSICURAZIONE per la perdita della nave.
Il fenomeno riguarda lo shipping internazionale, in particolare quello che si riferisce alle “bandiere ombra”.
Con il termine bandiera di comodo (o anche bandiera ombra o bandiera di convenienza) si indica la bandiera (Insegna) di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un'altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile; la nazione che fornisce la bandiera riceve soldi in cambio di questo servizio.
I bassi oneri di registrazione, la bassa tassazione, la libertà dalle leggi sul lavoro e la sicurezza, sono fattori motivanti per molte bandiere di comodo.
Citando The Outlaw Sea di William Langewiesche:
«Nessuno pretende che una nave provenga dal porto dipinto sulla sua poppa, o che ci sia mai almeno passata vicino. Panama è la più grande nazione marittima sulla terra, seguita dalla sanguinosa Liberia, che a malapena esiste. Non c'è bisogno nemmeno di avere una costa. Ci sono navi provenienti da La Paz, nella Bolivia senza sbocco al mare. Ci sono navi che provengono dal deserto della Mongolia. Inoltre, gli stessi registri sono raramente basati nelle nazioni di cui portano il nome: Panamá è considerata una "bandiera" vecchio stile, perché i suoi consolati gestiscono la documentazione e raccolgono le quote di registrazione, ma la "Liberia" è gestita da una società in Virginia, la Cambogia da un'altra nella Corea del Sud e la fiera e indipendente Bahama da un gruppo che opera dalla City di Londra.»
Secondo l'International Transport Workers Federation:
«Le vittime sono più numerose sulle navi con bandiera di comodo. Nel 2001, il 63% di tutte le perdite in termini di tonnellaggio assoluto erano a carico di 13 registri di bandiere di comodo. I primi sei registri in termini di navi perse erano tutti bandiere di comodo: Panama, Cipro, Saint Vincent, Grenadine, Cambogia e Malta.
Questo é il quadro generale. Ora ci occuperemo di un caso “archiviato” da tempo, anche dalle vecchie generazioni… ma noi riteniamo che vada sempre ricordato sia per le dimensioni della nave colata a picco sia per il valore del carico “scomparso”... non in fondo al mare (per fortuna), ma venduto prima che la nave affondasse dolosamente.
Caso “emblematico” di un fenomeno ricorrente per il quale occorre essere sempre vigili. Un tempo si diceva:
“MAI abbassare la guardia!”
T/T SEA SOVEREIGN
Foto della collezione di Micke Asklander
Breve storia della nave
La superpetroliera T/T Sea Sovereign, fu ordinata nel 1969 a Stoccolma per la Società Salénrederierna AB e venne costruita presso il Cantiere Kockums di Malmö. Nel 1977 la Salénrederierna vendette la supertank a Pimmerton Shipping Ltd. (Liberia), mentre la South Sun e la gestione delle navi furono assegnate alla Wallem Ship Management Ltd. (Hong Kong). Due anni dopo, la South Sun fu venduta a Oxford Shipping Inc. (USA). La nave fu ribattezzata SALEM, ma rimase sotto bandiera liberiana.
Caratteristiche della nave
Class and type: VLCC
Tonnage: 96,228 GRT
Lunghezza fuori tutta: 316.08 m (1,037.0 ft)
Larghezza: 48.77 m (160.0 ft)
Altezza: 24.50 m (80.4 ft)
Potenza installata: 32,000 hp (24,000 kW)
Turbina: 1 × Stal-Laval steam turbine
Velocità: 16 knots (30 km/h; 18 mph) max
Equipaggio: 25
SALEM was a supertanker which was scuttled off the coast of Guinea on 17 January 1980, after secretly unloading 192,000 tons of oil in Durban, South Africa. The oil was delivered in breach of the South African oil embargo and the ship was scuttled to fraudulently claim Insurance.
T/T SEA SOVEREIGN presso il Cantiere Blohm & Voss, Hamburg, l’1 marzo 1972
© Foto Torkjell Bang Pedersen.
LA TRUFFA
Quattro giorni dopo aver lasciato Mina Al Ahmadi-Kuwait, porto di caricazione, il noleggiatore Mantovani di Genova vendette il carico trasportato dalla SALEM al gruppo SHELL per 56 milioni di dollari. Questo tipo di transazione non è raro.
A metà gennaio la SALEM ormeggiò ad una piattaforma off-shore di Durban (Sudafrica) e scaricò 180.000 tonn. Di crude oil.
Lasciata Durban, la nave fece rotta per un punto al largo della costa del Senegal, uno dei più profondi dell’Oceano Atlantico. Quando la nave si trovò sul posto, il Comandante diede ordine di aprire le valvole di presa/scarico mare (sea-valves) Kingston.
La SALEM si zavorrò fino a colare a picco.
Era il 17 gennaio 1980
MA SUCCESSE L'IMPREVISTO
Un’ora prima che la nave affondasse, una petroliera inglese BP’s British TRIDENT apparve all’orizzonte.
Non era stato lanciato alcun segnale di soccorso (S.O.S) nell’etere, e l’equipaggio della TRIDENT fu sorpreso nel vedere quella enorme petroliera che stava lentamente affondando mentre il suo equipaggio era da tempo sulle lance di salvataggio. Inoltre furono ancor più sorpresi quando videro che i naufraghi avevano con sé gli effetti personali raccolti in perfetto ordine nelle proprie valigie, non solo, ma avevano anche svaligiato la cambusa di bordo di generi alimentari di ogni tipo, anche di conforto: bottiglie, sigarette, liquori duty-free, ma non ebbero il tempo di salvare i libri di bordo….
L’equipaggio dichiarò ingenuamente:
“ ... che la petroliera affondò rapidamente, dopo diverse esplosioni…”
Ma la vera sorpresa, la più incredibile per il comando della TRIDENT, fu l’assenza completa di tracce del naufragio della nave nella zona, neppure una goccia delle 200.000 tonnellate di carico era stato versato in mare, nonostante la nave fosse esplosa in più riprese (così fu dichiarato dall’equipaggio) e quindi fosse affondata senza rilasciare neppure un pezzo di legno, un salvagente, una boetta… durante l’inabissamento. Neppure una vittima!
Ma la VERITA’ venne a galla ...
La famosa Compagnia di Assicurazioni LLOYD’S di Londra ricevette dall’armatore della nave la richiesta di 56,3 milioni di dollari per la “perdita totale” della SALEM, si trattava della cifra più alta mai ricevuta fino ad allora…
Gli investigatori dei LLOY’S si misero al lavoro e ben presto scoprirono che la SALEM aveva scaricato “segretamente” 192.000 tonnellate presso l'Oil Drilling Platform di Durban (Sudafrica) che era in quel periodo sottoposta a Sanzioni Economiche. (La risoluzione n. 1761 dell'assemblea generale delle Nazioni Unite fu approvata il 6 novembre 1962 in risposta alle politiche razziste di apartheid istituite dal Governo Sudafricano). Il crude-oil fu quindi sbarcato in questa splendida città dell’emisfero australe:
"in violazione dell’embargo petrolifero sudafricano"
Gli altri attori famosi di cui parlavamo erano: lo Stato Sudafricano e la Compagnia Petrolifera Sudafricana SASOL che acquistò il carico (crude-oil) per 43 milioni di dollari USA.
La truffa “sarebbe” stata più credibile se, una volta “imboscato il carico”, fosse sparita anche la superpetroliera per ATTI DI DIO. E così fu! Sotto questa voce "Atti di Dio" vengono catalogati tutti i disastri navali dovuti ad uragani, cicloni, tempeste ecc…
MA… i fatti andarono diversamente dal previsto; é stata sufficiente la stupidità dell’equipaggio ... ed un po' di sfortuna.
Le sentenze
Dalla rivista SEATRADE WEEK NEWSFRONT del Giugno 1995 Estrapoliamo alcuni dati interessanti:
Com.te della SALEM: Dimitrios Georgoulis
Direttore di Macchina: Antonis Kalamiropoulos
Capt. d’Armamento: Nikoleos Mitakis
Marconista: Vassilios Evagelides
Fred Soudan: Il regista dell’intera operazione
Nel 1985, tredici membri dell’equipaggio furono processati in Grecia.
- Otto furono assolti
- Capt. Mitakis fu condannato a 11 anni di carcere per aver scelto ad hoc un equipaggio adatto all'impresa.
- Il Comandante Dimitrios Georgoulis fu condannato a 4 anni di carcere.
- Il Direttore di macchina ed il 1° Macchinista ebbero 3 anni.
- Il marconista Vassilios Evagelides fu condannato a due anni per non aver lanciato l’S.O.S.
- Fred Soudan fu giudicato negli USA da una corte del Texas e fu condannato a 35 anni di carcere. Pare, però, che l'illustre "pirata" abbia scontato soltanto due anni della pena. Complice la moglie, evase dal carcere. A questo punto non é difficile immaginare che la coppia sia stata accolta "trionfalmente" su una di quelle isolette "appartate" del mare Oceano che battono "bandiera ombra".
- Gli investigatori stimarono che “la banda criminale” ricavò dalla frode un profitto di circa 20 milioni di dollari, di cui 4 milioni andarono a Fred Soudan.
Conclusione: Al termine della ricostruzione di questo colossale imbroglio, ho la sensazione d'aver scritto la sceneggiatura di un film d'avventura: INCREDIBILE, MA VERO!
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!
Carlo GATTI
Si ringrazia il dott. Cesare Ientile per la segnalazione del caso che fu definito: "La più grande truffa del Secolo".
20 Settembre 2017
STOCCOLMA-IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
STOCCOLMA
IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
Museo Wasa - 1.300.000 visitatori l'anno
10.000 visitatori giornalieri (alta stagione)
Nella bellissima Stoccolma c’è un relitto di un antico galeone da guerra svedese (custodito all’interno dell’omonimo museo ad esso dedicato), che ha avuto una fine tragica e paradossale proprio il giorno della sua inaugurazione. In ogni naufragio c’è un qualcosa che va storto, una forzatura ingegneristica, un errore umano in navigazione o più semplicemente una mancanza di rispetto dell’uomo verso le leggi del mare. Oggi vi raccontiamo la storia del galeone Vasa, la più grande nave da guerra mai costruita all’epoca, vanto della marina svedese ma incapace di navigare.
Durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella primavera del 1628, la flotta di Gustavo II Adolfo, re di Svezia, si arricchì di una nuova unità:
Il galeone a tre alberi Nya Wasa.
Il nome derivava dalla dinastia dei Wasa, alla quale Gustavo II apparteneva. Artigiani e artisti olandesi e svedesi, agli ordini di Henrik Hybertsson, aveva creato una splendida nave: il cassero di poppa raggiungeva i 20 metri d’altezza, di cui 15 sopra il livello del mare. L’albero maestro svettava a 52 metri d’altezza,
quelli di trinchetto e di maestra avevano vele quadre con vela di gabbia. L'albero di mezzana aveva una vela latina e, sul bompresso, c'era una civada. Complessivamente la nave poteva issare 1275 mq di vele che le consentivano di raggiungere una velocità di 10 nodi.
Gallerie esterne, cupole, arabeschi, bassorilievi e più di 700 statue di legno dorato ornavano l’opera morta, la parte emersa dello scafo.
Costruito a Stoccolma subì, prima ancora che scendesse in mare, numerose modifiche che influirono in modo disastroso sulla stabilità del galeone. Molte di queste furono richieste dal Re che interferì parecchio nella sua costruzione. La nave venne allungata e fu aggiunto un secondo ponte che permise di portare il numero dei cannoni a 64 pezzi. Il cassero era particolarmente alto e tutte le sovrastrutture furono pesantemente decorate. Fu imbarcato, oltre all'armamento completo, anche un enorme quantitativo di vasellame, quadri e arredi. La nave era imponente ma troppo stretta rispetto alla lunghezza ed al peso. Inoltre il baricentro era pericolosamente alto. Si cercò di porvi rimedio aumentando la zavorra ma questo avvicinò ancor più il ponte di batteria inferiore al pelo dell'acqua.
Alle quattro del pomeriggio del 10 agosto 1628 la nave uscì dal porto di Stoccolma per il viaggio inaugurale. Mollati gli ormeggi, la nave mise la prua su Alvsnabben, nell’arcipelago di Stoccolma. Rimorchiato fino a Södermalm, il maestoso veliero dai vivaci colori nazionali issò le prime vele di trinchetto, di mezzana e le due vele di gabbia.
Giunto a cento metri a sud dell’isolotto di Beckholmen, una raffica improvvisa investì il cassero di dritta, facendo sbandare la nave e provocando un rapido ingresso di acqua dai portelli aperti della seconda batteria.
Il timoniere fu molto bravo a recuperare la stabilità, ma una seconda raffica lo inclinò ancora. A questo punto l'acqua cominciò ad entrare dai portelli dei cannoni del ponte inferiore che erano aperti, e la nave affondò rapidamente.
In pochi minuti la nave la nave affondò in 32 metri d’acqua adagiandosi sul fianco sinistro. Circa 50 furono le vittime, ma con il Wasa andarono a fondo anche 100.000 riksdaler, la moneta svedese dell’epoca, pari a 50 milioni di dollari di oggi. Una vera catastrofe nazionale. Le operazioni di recupero furono subito effettuate. L’inglese Ian Bulmer riuscì a raddrizzare il relitto e a disalberarlo in parte. Nel 1664 lo svedese Hans Albrekt ed il tedesco Andreas Peckell, giovandosi di una campana pneumatica, recuperarono 53 dei 64 cannoni. Nel 1954 lo studiuoso Anders Franzen ed il campione subacqueo Arne Zetterström con la scuola navale subacquea svedese tentarono il recupero del relitto che, dopo sei anni, rivide la luce il 24 aprile 1961. Il relitto risultò miracolosamente ben conservato grazie alla ridotta salinità delle acque del Baltico, alla scarsa presenza di ossigeno nel fondale ed al fatto che la nave era costruita con massiccio legno di rovere. Il Wasa fa ora bella mostra di sé nel museo di Stoccolma che porta il suo nome e che fu inaugurato nel 1990 fornendoci l’unica preziosa testimonianza del veliero del XVII secolo.
Nelle sue sale si trovano anche i numerosissimi manufatti, fra cui 700 statue, che furono recuperati intorno al relitto.
ALBUM FOTOGRAFICO
Dati Nave:
Tipo: ..........................galeone a tre alberi
Varo: .........................1627
Lunghezza: .............metri 70 (dal bompresso
Larghezza: ..............metri 11,50
Immersione: ...........metri 4,80
Dislocamento: .......tonn. 1.400
Superficie velica: ...mq 1.150
Armamento: ...........Prima batteria: ....... 28 cannoni da 24 libbre
Seconda batteria:..... 22 cannoni da 24 libbre
Terza batteria: ......... 2 cannoni da 1 libbra
8 cannoni da 2 libbre
6 mortai da6 libbre
Equipaggio:............133 marinai, 300 soldati
Carlo GATTI
Rapallo venerdì 14 2017
M/N MONICA RUSSOTTI, una Tragedia Evitata
M/N MONICA RUSSOTTI
Una tragedia evitata
Breve Storia:
Roll-on/Roll-off (anche detto Ro-Ro): Locuzione inglese che letteralmente significa: “rotola dentro/rotola fuori”. E' il termine per indicare una nave-traghetto vera e propria, progettata e costruita per il trasporto con modalità di imbarco e sbarco di veicoli gommati (sulle proprie ruote), e di carichi disposti su pianali o in contenitori, caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni. Generalmente sono dotate di più ponti garage collegati con rampe d'accesso e/o montacarichi. A differenza dell'ambito mercantile dove il carico è normalmente misurato in tonnellate. il carico dei Ro/Ro è tipicamente misurato dalle corsie in metri lineari (LIMs, Lanes in meters in lingua inglese). Questo è calcolato sommando i metri delle corsie dedicate al trasporto di semirimorchi.
NULLA MEGLIO DI UNA FOTO PUO’ SPIEGARE L’ORIGINE DEL SISTEMA DI TRASPORTO NAVALE ROLL-ON / ROLL-OFF.
Un carro armato "Sherman" sbarca su una spiaggia dall'USS LST-517, il 2 agosto del 1944 durante l'invasione della Normandia
Dal 1964, dopo aver subito un restyling operativo, la nave nella foto fu chiamata ELBANO PRIMO - Compagnia Sarda di Navigazione Marittima – Cagliari.
Noi di una certa età ricordiamo il PRIMO Ro/Ro italiano ELBANO PRIMO, ex LST (Landing Ship Tank) 3028: Royal Navy 1946 – “SNOWDEN SMITH” – (Ministry of Transport Army) – London.
Notare nella foto l’enorme rampa di poppa, autentico ponte tra il garage e la banchina.
Dopo oltre 50 anni di attività, questa tipologia di trasporto, vede in circolazione la più grande Roll-on/Roll-off del mondo: TØNSBERG della Compagnia (norvegese-svedese) Wallenius-Wilhelmsen. Dati: lunghezza f.t.265 mt.- larghezza 32,26 – Stazza Lorda 76.500 t. equipaggio 36. Giro del mondo in 41 giorni: toccati quattro continenti. Capacità di trasporto Auto 6.000.
13.4.1974
SPETTACOLARE INCIDENTE
alla Ro/Ro
“MONICA RUSSOTTI”
Nave |
Bandiera |
Stazza Lorda |
L.x.lar. |
Costruz. |
Cantiere |
M.Russotti |
Italiana |
2986 |
115 x 19mt. |
1973 |
Messina |
Luogo dell’Incidente:
Nella zona del Porto di Genova denominata “Porto Vecchio”.
I Fatti:
Quando nel tardo pomeriggio, caratterizzato da for tramontana, il pilota giunse a bordo della moderna Ro/Ro Monica Russotti per metterla in partenza, tutto sembrava normale. Persino l’impiego del rimorchiatore appariva superfluo al Comandante ed al Pilota, nonostante il vento teso colpisse la nave al traverso sinistro, all’ormeggio di Ponte Colombo. La nave era dotata di un’elica di prora, di due eliche e due timoni a poppa. Si trattava quindi di una nave molto manovriera di recentissima costruzione.
“Molla tutto”- suggerì il Pilota al Comandante, che ripeté l’ordine ai posti di manovra a prora e poppa.
L’Incidente:
La nave si abbrivò in avanti e subito cominciò a sbandare a sinistra, prima lentamente, poi s’inclinò paurosamente. La spinta del vento sulla struttura poppiera che in quella circostanza fece la funzione di una vela, fece orzare la nave, che venne con la prora a nord. Impeccabile fu la manovra del Pilota che non si perse d’animo e riuscì a portare la nave verso il Molo vecchio, dove in tempi brevi, con l’aiuto dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, assicurò la nave, al limite del rovesciamento, alla nuova banchina con cavi alla lunga. La Monica Russotti fu assistita, scaricata, raddrizzata e rimessa definitivamente in sicurezza.
I Danni:
Durante il fortissimo sbandamento, il carico, composto prevalentemente da TIR, si rovesciò sia in garage che in coperta, scagliando e spandendo la merce ovunque. Molti camion finirono in mare e tanti marinai si ferirono nell’arduo tentativo di arginare il rotolamento del carico. La nave subì molti danni materiali un po’ dovunque, ma in particolare nel locale macchine dove si ebbero notevoli infiltrazioni d’acqua di mare.
Le Cause:
Ci furono probabilmente due cause concomitanti:
- Un piano di carico portato a termine in modo difettoso.
- Un probabile errore nella fase d’assetto di stabilità della nave.
I Protagonisti:
Questo incidente, del tipo “spettacolare”, non registrò fortunatamente alcuna vittima tra coloro che vi si trovarono coinvolti. Tuttavia crediamo che l’infortunio legato alla Monica Russotti debba rimanere nella mente degli addetti ai lavori, come un monito da non dimenticare. I veri protagonisti della giornata furono: tutti i servizi portuali, nessuno escluso, che con la loro proverbiale tempestività intervennero a rimediare un possibile affondamento, in una posizione vitale del porto, evitando quindi un comprensibile blocco forzato delle attività commerciali. Ma se ci è consentito, vorremmo citare il pilota Adriano Maccario, dal cui sangue freddo dipese la contenuta dimensione dei danni alla nave, al suo equipaggio e l’affondamento della nave che avrebbe bloccato ll traffico nel Porto Vecchio per lungo tempo.
ALBUM FOTOGRAFICO
Le foto che seguono sono state scattate dal celebre “maestro” Francesco LEONI ed acquistate dall’autore.
La Ro-Ro “MONICA RUSSOTTI” subito dopo aver mollato gli ormeggi di Ponte Colombo ha iniziato a sbandare sulla sinistra e, grazie al sangue freddo del Pilota Adriano Maccario, é riuscita a procedere in situazione molto precaria fino ad arrivare alla prospiciente banchina del Molo Vecchio, dove grazie al pronto intervento dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, la nave é stata assicurata alle bitte con i cavi di bordo evitando il rovesciamento ed un ben più fatale esito...
In questa splendida quanto drammatica istantanea, la MONICA RUSSOTTI é vista nella sezione longitudinale.
Molti camion si sono abbattuti insieme alla nave e parte del carico si é rovesciato in mare.
In primo piano il M/r INDIA al comando dell’autore. L’altro rimorchiatore di prora alla nave é M/r ISTRIA. In coppia, i due rotori Voith-Schneider sostengono la MONICA RUSSOTTI nell’attesa dell’ormeggio provvisorio e precario in testata al Molo Vecchio.
Foto Francesco Leoni - P.zza Vittoria 4/1 - Genova
Carlo GATTI
19 gennaio 2015
ACHILLE LAURO-ANGELINA LAURO, due navi predestinate?
“ACHILLE LAURO” - “ANGELINA LAURO”
DUE NAVI PREDESTINATE ?
Nel gennaio 1964 l’Armatore napoletano Achille Lauro acquistò le due illustri ed attempate navi olandesi:
La “Oranje” (nella foto), fu varata ad Amsterdam nel 1939.
La Oranje fu ribattezzata: Angelina Lauro ed iniziò i lavori il 4.9.64. presso l’O.A.R.N di Genova
La “Willem Ruys” – (nella foto) Fu varata a Flessinga nel 1947.
La Willem Ruys fu ribattezzata: Achille Lauro ed iniziò i lavori il 7.1.65 presso i C. N. R. di Palermo.
Le due navi subirono radicali lavori di ristrutturazione e restyling. Ma l’allestimento delle due navi venne ritardato di sei mesi a causa di incendi che, a pochi giorni di distanza, danneggiarono le due navi. I giornali dell’epoca parlarono di sabotaggio contro la “politica armatoriale”.
ACHILLE LAURO
Un po’ di Storia:
Ordinata nel 1938, il suo scafo venne impostato nel 1939 a Vlissingen, Olanda, per i Rotterdamsche Lloyd. La costruzione venne ritardata dalla Seconda guerra mondiale e da due bombardamenti, la nave fu varata nel luglio 1946. Venne completata alla fine del 1947 e compì il suo viaggio inaugurale il 2 dicembre 1947.
Nel 1964, venne venduta alla Flotta Lauro e ribattezzata Achille Lauro (dal nome del precedente sindaco di Napoli Achille Lauro). Ricostruita estensivamente e modernizzata nei Cantieri del Tirreno di Palermo rientrò in servizio nel 1966, subì degli incendi che descriveremo tra breve.
Nell’aprile 1975, mentre si trovava nello stretto dei Dardanelli entrò in collisione con una nave trasporto bestiame, la Yousset che affondò. Nel 1982 successivamente al fallimento della Flotta Lauro, passò alla Mediterranean Shipping Company.
Le due navi si somigliavano nello scafo, ma avevano alcune differenze: come si può notare nelle rispettive foto, l’ACHILLE LAURO aveva una ciminiera in più. Anche la Stazza Lorda e la Lunghezza delle due navi erano leggermente diverse. (Vedi tabelle)
Ricordo personale dell’autore:
Anche la motorizzazione ed il sistema propulsivo delle due navi era diverso: l’ANGELINA LAURO aveva a poppa una grande elica propulsiva centrale e due eliche laterali di dimensioni minori per la manovra: un unicum della sua epoca. La near sister ship ACHILLE LAURO aveva invece due eliche propulsive normali (una era destrorsa e l’altra sinistrorsa).
Achille Lauro: band.Italiana, Stazza Lorda 23.951, Lungh.xlargh. 196 x 25- Pax. 900 - Velocità, 25 nodi - Varo 1965
19.5.1972
INCENDI sulla Mn ACHILLE LAURO
1° Incendio avvenne durante i lavori di ristrutturazione nel 1965 a Palermo. Nel 1971 la nave urtò un peschereccio all’uscita del porto di Napoli. Morì un pescatore.
2° Incendio in Cantiere a Genova nel maggio 1972
Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore
Genova, 19 Maggio 1972 La M/N ACHILLE LAURO é affiancata al molo del Cantiere Navale. L’incendio é appena divampato. La nave é stata evacuata dal personale. I Vigili del Fuoco sono arrivati ed hanno sistemato i loro mezzi antincendio sottobordo alla nave. Presto entreranno in azione.
Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore
Il 19 Maggio 1972 – L’incendio divampò tra i Ponti Superiori della ACHILLE LAURO In questa istantanea ripresa con il teleobiettivo dal famoso fotografo genovese Francesco Leoni, ci colpisce l’impagabile opera dei Vigili del Fuoco che si distinguono sparpagliati per tutta la superficie surriscaldata ed impregnata di fumi tossici. Li vediamo arrampicarsi, trascinare, distendere e puntare le manichette antincendio contro il nemico più insidioso delle navi:
IL FUOCO.
Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore
Genova, 19 Maggio 1972 - La foto presa di prora, mostra lo sbandamento dell’ACHILLE LAURO avvenuto per effetto dell’acqua pompata dai rimorchiatori FORTE e SVEZIA (nella foto). L’incendio appare tuttavia sotto controllo e lo dimostra l’apparente tranquillità del gruppetto di civili che assiste a poche decine di metri dalla prora della nave.
Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore
19 Maggio 1972 - Il traffico scorre veloce sulla sopraelevata della città. A pochi metri di distanza prende fuoco la M/n ACHILLE LAURO ormeggiata nel sottostante Cantiere per gli annunciati lavori di restyling.
Nel 1973 la Flotta Lauro rischia il fallimento, in concomitanza con il raddoppio del prezzo del greggio.
Nel 1975 l’Achille Lauro speronò un cargo libanese all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli, morirono quattro marinai dell’altra nave.
3°Incendio
La M/n ACHILLE LAURO in difficoltà a causa del terzo incendio
Nel 1981, al largo delle Gran Canarie, la nave subì il terzo incendio. Morirono due passeggeri che si lanciarono in mare in preda al panico e affogarono. La nave fu fermata a Tenerife per pignoramento e poi fu disarmata a Genova. La “nave azzurra” venne nuovamente rimessa in servizio nel 1984 da un gruppo di armatori sorrentini sotto la vecchia ragione sociale e noleggiata ad interessi greci per l’impiego in crociere estive nel Mediterraneo.
IL DIROTTAMENTO IN EGITTO
Il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, l’ACHILLE LAURO venne dirottata da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP). A bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio. Si giunse in un primo momento ad una felice conclusione della vicenda, grazie all’intercessione dell’Egitto, dell’OLP di Arafat e dello stesso Abu Abbas (uno dei due negoziatori, proposti da Arafat).
Due giorni dopo si scoprì che a bordo era stato ucciso un cittadino americano, Leon Klinghoffer, ebreo e paralitico: l’episodio provocò la reazione degli Stati Uniti. L’11 ottobre dei caccia statunitensi intercettarono l’aereo egiziano (un Boeing 737), che, secondo gli accordi raggiunti conduceva in Tunisia i membri del commando di dirottatori, lo stesso Abu Abbas, Hani El Hassan (l’altro mediatore dell’OLP) oltre ad degli agenti dei servizi e diplomatici egiziani, costringendolo a dirigersi verso la base NATO di Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte.
Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti tra Italia e USA, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del ministero di Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi.
In seguito ci furono gli strascichi di Sigonella e la crisi politica nei rapporti tra Italia e Stati Uniti.
Il 4° Incendio
Ed eccoci al dramma finale. La nave era partita da Genova il 19.11.94. mentre era in navigazione al largo della Somalia scoppiò un improvviso incendio a bordo.
Era il 30.11.94, tre giorni più tardi, il 2 dicembre 1994 la nave affondò.
l’Achille Lauro si trovava a:
-100 miglia al largo della Somalia, a
-250 miglia a sud del corno d’Africa.
-Alle 05.00 fu dato l’Allarme generale
-Alle 05.50 venne lanciato l’S.O.S.
-Alle 06.00 furono calate le prime scialuppe di salvataggio.
-Alle 09.00 la nave Hawayan King giunse in soccorso.
-Alle 11.00 il Comandante ordinò l’Abbandono nave.
Le Vittime:
Durante il naufragio dell’ Achille Lauro nell’Oceano Indiano, perirono due turisti uno dei quali fu schiacciato da una lancia di salvataggio, altri otto rimasero feriti.
La maggior parte dei passeggeri venne salvato dalla nave battente bandiera panamense Hawaiian King. Una parte dell'equipaggio venne tratta in salvo dalla fregata ZEFFIRO della Marina Militare Italiana che rientrava da una missione a Gedda. Le operazioni di salvataggio dei superstiti andarono a buon fine. I passeggeri vennero scortati nel porto di Gibuti sotto il controllo di Davide Bottalico ufficiale medico della fregata Zeffiro. Secondo la Commissione d'Inchiesta istituita dal Ministero dei Trasporti, l'incendio fu dovuto al caso. Non è pensabile il recupero del relitto che si trova a 95 miglia dalla costa somala, in pieno Oceano Indiano, alla profondità di circa 5.000 mt.
“ANGELINA LAURO” - Band. Italiana - Stazza Lorda, 24.377 - Lungh. x Largh. 200 x 25,5 metri - Capacità Pax, 665 - Velocità, 26,5 - Varo 1964
28.8.1965 ore 05.00
Luogo Incendio:
Genova-Cantieri O.A.R.N. – I lavori di ristrutturazione si prolungarono per 17 mesi e compresero il rifacimento della prora, della ciminiera e di tutti i ponti destinati ai passeggeri. L’incendio divampò alle 05 del mattino del 28.8.65. Il luogo dell’incidente fu localizzato sul ponte “F” verso proravia, a vari metri sotto la linea di galleggiamento della nave. Ma soltanto dopo molte ore i vigili del fuoco poterono inoltrarsi in quei locali bui e devastati dall’esplosione che provocò l’incendio e recuperare i corpi ormai irriconoscibili:
Le sette Vittime: G.Bruno, G.Tebaldi, P.Dellepiane, G.Sessarego, C.A.Pagano, G.B.Chiossone, G.Olcese.
Le Cause: In questi frangenti, la causa e quasi sempre la stessa: presenza di sacche di gas che sprigionano dalle casse dei combustibili non perfettamente degasificate e che esplodono in presenza di fiamme libere.
Dopo la cessione dell’Angelina Lauro al gruppo Costa nel 1977 ed il ritiro di Lauro dalla gestione diretta del gruppo, le sorti della Compagnia peggiorarono fino alla dichiarazione di fallimento ed alla Gestione Commissariale dal 1882.
Ultimo Incendio:
La Angelina Lauro andò completamente perduta in seguito ad un altro incendio che la distrusse il 31.3.1978 quando si trovava all’ormeggio a St.Thomas nelle Isole Vergini Statunitensi (Caraibi).
Il fuoco era divampato nelle cucine del transatlantico che presto si piegò di 25° sul fianco sinistro. Non vi furono vittime a bordo. La nave fu recuperata soltanto nel mese di luglio, ma fu venduta ad un demolitore di Taiwan.
Concludiamo questa triste storia con un articolo pubblicato da: Epoca n.49, domenica 11 dicembre 1994) che rende ancora oggi l’idea della drammaticità di certi avvenimenti che ciclicamente si ripetono, anche con navi moderne a tecnologia avanzata. Le riflessioni che ne derivano sono numerose e denunciano quanto sia pericoloso “abbassare la guardia” sul fronte della SICUREZZA NAVALE.
La nave maledetta. L’agonia della Achille Lauro
di REMO URBINI
Un inferno. Il fuoco si è fatto strada dalla sala macchine, il fumo ha invaso le cabine, l’odore di bruciato è arrivato fino alla sala da ballo affollata da passeggeri in smoking e lamé. Roy Boltman, sudafricano, mago e intrattenitore, è stato uno dei primi a capire: lui, un naufragio lo aveva già vissuto tre anni fa sulla nave greca «Oceanos». Poi la musica si è interrotta con un fischio e sono arrivati gli ufficiali, nervosi, ma decisi: signori seguiteci sul ponte, per favore, c’è un incendio a bordo. Stavano per arrivare in paradiso i passeggeri di questa crociera sull'Achille Lauro partita da Genova e diretta in Sud Africa: : il 1° dicembre avrebbero dovuto approdare sulle spiagge delle Seychelles, il 5 sdraiarsi al sole delle Mauritius. Invece sono finiti in coperta, stipati e terrorizzati: chi in abito da sera, chi, come un gruppo di olandesi, in pigiama, chi ancora, come una comitiva di inglesi, in maglietta. Hanno lasciato tutte le loro cose nella cabina: sulle scialuppe c’è posto solo per le persone.
Sos affondiamo. Era la notte di martedì 29 novembre 1994: alle 5 e 54 ora italiana, dal transatlantico è partito l’Sos. Ed è iniziata l’ultima giornata di una nave da crociera leggendaria e famigerata: dicono che porti sfortuna. E fortuna di certo non ne ha avuta, nove anni prima, quando un commando di terroristi palestinesi la dirottarono e uccisero un passeggero. Ora c’è chi dice che la sfortuna non c’entra, che la nave non era sicura, che il boom delle crociere esploso nell’ultimo periodo spinge le compagnie ad abbassare i livelli di controllo pur di partire sempre a pieno carico.
Sull'Achille Lauro c’erano 572 passeggeri e 402 membri d’equipaggio, due persone sono morte: il cuore di Gerard Szimke, 68 anni, tedesco, ha ceduto alla paura. Arthur Morris, 64 anni, inglese residente in Sud Africa, invece ha incontrato il suo destino: era già salito sulla scialuppa di salvataggio quando un palo, caduto dalle fiancate della nave, l’ha colpito alla testa uccidendolo sul colpo. Tutti gli altri, compresi i 12 passeggeri italiani, si sono salvati, raccolti dalle navi accorse alla richiesta d’aiuto: la panamense «Hawaian King», la greca «Treasure Island», la liberiana «Bardu». Poi, dopo i primi soccorsi improvvisati, sono arrivate altre navi e i naufraghi sono stati avviati verso Gibuti e Mombasa.
L'Achille Lauro, quella che tutti a Napoli conoscono come la Nave Blu per il colore delle sue fiancate, è rimasta a bruciare in mezzo al mare. Cento marinai hanno lottato fino all’ultimo per spegnere le fiamme, hanno esaurito la schiuma dell’ultimo estintore, poi hanno ceduto. Per mezz’ora, l’unico ad aggirarsi sui ponti, in uno scenario spettrale, è stato il comandante Giuseppe Orsi, 58 anni. Alla fine anche lui se ne è andato, ultimo come prescrive la legge e l’onore degli uomini di mare. La nave si è inclinata, poi, dopo due giorni di agonia, si è inabissata.
Mezzo secolo di guai. Così l'Achille Lauro, una nave che aveva quasi mezzo secolo, ha ceduto. Negli uffici napoletani della Starlauro, gli armatori avevano accarezzato un sogno da irriducibili: recuperare lo scafo, magari anche ripararlo. Ma il comandante era pessimista. "L'Achille Lauro di nuovo in mare? Impossibile. Può anche darsi che non affondi, ma ormai è distrutta". Aveva ragione: quando uno dei rimorchiatori mandati dagli armatori ha cercato di trainare la nave in fiamme, l'Achille Lauro ha abbandonato la lotta, è affondata.
Questa volta insomma, il fuoco ha vinto la sua battaglia. Non c’era riuscito nel 1971 quando il transatlantico speronò un peschereccio (un marittimo morì) e si incendiò, non c’era riuscito l’anno dopo quando una parte della nave bruciò nel porto di Genova. Due episodi di una lunga storia di disavventure. Quelle che hanno guadagnato all'Achille Lauro la fama di “nave maledetta”. Progettata nel 1939 in un cantiere olandese, lega la sua nascita al terribile destino del suo armatore, Willem Ruys, ucciso in un campo di concentramento tedesco. Varata nel 1947 col nome appunto di Willem Ruys, naviga per quasi vent’anni negli oceani di tutto il mondo. Sui ponti in alto ci sono passeggeri come Henry Ford o Alfred Hitchcock, in quelli bassi si stipano gli emigranti in viaggio verso l'America. Nel 1964 sul transatlantico mette gli occhi Achille Lauro, armatore, monarchico, sindaco e padre-padrone di Napoli. La nave è in brutte condizioni: Lauro, «’o comandante» la spedisce in cantiere per quattro anni. Quando esce, con quel suo colore blu che la differenzia dalle navi bianche delle compagnie concorrenti, è una fuoriserie del mare. Ma la sfortuna non l’abbandona: incidenti, incendi (ce ne fu uno anche alle Canarie nel 1981, dove la nave era sotto sequestro dopo il crack della flotta Lauro). Fino a quel 7 ottobre 1985 quando la nave in viaggio verso Port Said viene dirottata da un gruppo di terroristi palestinesi. Per dieci giorni rimane in mano a un gruppo di esaltati che vuole utilizzarla per attaccare Israele. I 450 passeggeri vivono giorni di terrore, uno di loro, Leon Klinghoffer, un americano in sedia a rotelle, viene ucciso. Alla fine i terroristi trattarono, si consegnarono agli italiani: ora tre sono tornati liberi, in carcere resta solo l’assassino dell’americano.
Una carretta del mare? Ora la storia della nave maledetta è finita. E cominciano le polemiche. Qualcuno parla di equipaggio poco qualificato (tanti filippini e peruviani a basso costo), di cattive condizioni di manutenzione. La stampa rispolvera il termine abusato, ma sempre efficace, di carretta del mare . Ma gli armatori insorgono. Il direttore amministrativo della Starlauro, Antonio De Rosa spiega: “È vero che il personale straniero costa meno, ma viene impiegato nelle cabine, ai tavoli, come inservienti insomma. I marinai sono tutti specializzati. Cattive condizioni della nave? Tutte frottole: l’Achille Lauro aveva passato un’ispezione il 14 novembre”.
Tutto vero? Per saperne di più bisognerà aspettare i risultati dell’inchiesta (ci sono in ballo anche i 27 miliardi per cui era assicurata la nave). Ma quella di oggi sembra proprio l’ultima puntata della battaglia tra l’Achille Lauro e la sfortuna.
Carlo GATTI
Rapallo, 8 Luglio 2015
INDIVIDUATO IL RELITTO DEL VASCELLO SVEDESE MARS
LA NAVE DA GUERRA MARS (MARTE)
MAKALÖS (l’impareggiabile)
VIENE INDIVIDUATA DOPO 449 ANNI
ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
I Paesi Scandinavi, come li conosciamo oggi, sono civilissimi, politicamente “neutrali”, pacifici e molto invidiati per la loro organizzazione sociale che va dal wellfare all’accoglienza ecc…
Eppure queste monarchie che tuttora sopravvivono, sono state rivali tra loro, espansioniste, molto bellicose e spesso in conflitto armato tra loro.
Oggi si parla sempre più spesso di “sovranismi” in riferimento alle due Guerre mondiali che ci hanno visto coinvolti in quei massacri, ma gli Stati Scandinavi hanno saputo voltar pagina al momento opportuno e sono stati capaci di abbracciare e difendere quella posizione di neutralità, su cui torneremo tra breve, che ha consentito loro di limitare i danni della Seconda guerra mondiale, pur mantenendo tutte le caratteristiche antropologiche legate alle loro tradizioni storiche a cui sono legatissimi.
Qualche “ciccatrice” del passato é ancora presente, per esempio nella Skandia (la parte meridionale della Svezia), che un tempo apparteneva alla Danimarca, stranamente, si parla lo SKÅNSKA, una lingua più danese che svedese. Anche l’isola di Bornholm é molto più vicina alla Svezia che alla madrepatria danese.
In altri articoli del sito di Mare Nostrum ho scritto la storia di Bornholm ed anche dell’isola di Åland che si trova tra Svezia e Finlandia. Ma la cosa più curiosa é che nonostante le rispettive lingue appartengano allo stesso gruppo linguistico Nord Germanico, tra loro preferiscono parlare inglese… e questo la dice lunga sullo spirito di conservazione delle rispettive radici.
Per quanto riguarda la Finlandia il discorso é ancora più complicato, nel senso che i finlandesi appartengono ad una razza completamente diversa da quella scandinava e la loro lingua (incomprensibile) appartiene al gruppo uralo-altaico (ugro-finnico).
La Svezia e la Danimarca sono tra i più antichi e più tipici casi di stato-nazione e di conseguenza vanno studiati, alla pari di Francia, Gran Bretagna e Spagna, più come varianti dello stato-nazione nato nell’Europa moderna che non come casi di “piccoli stati”. I due stati, in competizione tra loro, hanno esercitato una forma di supremazia sulla gran parte del Nord Europa, dal tardo Medioevo in avanti.
Nel tempo furono gradualmente rimpiazzati dall’egemonia russa, prussiana e inglese, e ridotti allo status di piccoli poteri statuali.
In ragione di cambiamenti simultanei nella grande politica durante il XVIII e il XIX secolo, i maggiori conflitti europei si dislocarono lontano dal Nord Europa e ciò produsse una “neutralizzazione” virtuale dei paesi scandinavi a nord del Mar Baltico. Questa situazione di relativa neutralità fa sentire la sua presenza nella memoria collettiva dei danesi e nonostante anni di appartenenza alla Nato e all’Unione Europea l’ideologia neutralista mantiene una forte presa sulla popolazione. Un effetto secondario della propria esperienza di periferia privilegiata del Nord Europa fu la crescita di una identità nordica transnazionale al di sopra delle identificazioni nazionali per cui si sentono solidali nella comune appartenenza alle Nordinska Länder (Terre Nordiche).
LO SCONTRO NAVALE TRA DANIMARCA E SVEZIA
Non sempre nei libri di storia dell’Europa meridionale si racconta di quella guerra (detta dei Sette Anni o delle Tre Corone) che nel XVI secolo fu combattuta nelle fredde acque del nord Europa, dalla Svezia di Erik XIV contro la Danimarca di Federico II e la sua alleata città di Lubecca.
Stemma dell’Unione di Kalmar
Una guerra forse minore a fronte di quelle combattute tra le grandi nazioni europee meridionali ma che forse riserva ancora molte sorprese per gli storici e gli archeologi. Tutto ebbe inizio nel 1523 quando la Svezia uscì dall’Unione di Kalmar, diventando un regno indipendente con il re Gustavo I Wasa. Questa azione suscitò la disapprovazione del re danese Cristiano III che per ripicca incluse nel proprio stemma le Tre Corone (da cui il nome della guerra), che rappresentava i tre regni nordici dell’Unione di Kalmar e che, fino a quel momento, era presente solo nello stemma svedese. Ciò ovviamente non piacque alla Svezia che si senti tradita dopo che avevano avuto interessi comuni quando nella prima guerra del nord, combattuta per arginare l’espansionismo russo sulle coste del Baltico.
Sulla carta é segnata la posizione del relitto della MARS
Il XVI secolo fu molto interessante sia dal punto di vista dell’architettura navale sia nello sviluppo degli armamenti, quando videro la nascita dei nuovi cannoni realizzati usando ferro e bronzo. Questo vascello apparteneva alla prima generazione di grandi navi da guerra a tre alberi, armato con oltre cento canne da fuoco. Per poterle approntare fu necessario reperire il bronzo, metallo assai raro sul mercato. L’impiego del Mars in battaglia differisce da quello delle navi precedenti per un’importante novità tattica. Lo scontro di Öland, che gli fu fatale, fu storicamente la prima battaglia navale in cui le navi usarono il fuoco diretto dei cannoni per offendere l’avversario, piuttosto che per perseguire l’abbordaggio classico del nemico. In realtà nel primo giorno di battaglia gli Svedesi comandanti dall’ammiraglio Bagge avevano sbaragliato i Danesi, grazie ad una potenza di fuoco non comparabile, ma il secondo giorno, i Danesi della flotta di Lubecca cambiarono tattica e decisero di concentrarsi sulla grande nave da battaglia, lanciando palle di fuoco incendiarie sul grande vascello.
L’idea era di creare scompiglio al fine di riuscire ad abbordarla mentre era in fiamme. L’incendio si propagò velocemente, alimentato dalle esplosioni dei depositi di polvere da sparo e degli stessi cannoni. Si ritiene che furono proprio le loro esplosioni a causarne l’affondamento. Uno squarcio si apri sulla prua trascinando oltre mille uomini negli abissi. Quel 30 maggio 1564, il Mars scomparve ed iniziò la storia della sua maledizione.
IL RITROVAMENTO DEL RELITTO
Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.
La Mars con i suoi 50 metri di lunghezza era uno dei vascelli più grandi della flotta militare svedese, dotata di 107 cannoni e con quasi 1.000 persone di equipaggio, era una delle navi da guerra più famosi della sua epoca. Era il 1564 quando il vascello s’inabissò nel Mar Baltico, nel corso della Guerra dei Sette Anni, probabilmente a causa di una esplosione che la distrusse facendola colare a picco.
Reperti trovati all’interno del relitto
Nel 2011, dopo anni di ininterrotte ricerche, il relitto è stato individuato a 75 metri di profondità al largo dell’isola di Öland, la nave era inclinata sul lato destro sul fondale dove per quasi 450 si è conservata incredibilmente bene, grazie soprattutto a condizioni ambientali favorevoli, come la scarsità di sedimenti e la lentezza delle correnti.
Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.
Il team guidato da Rönnby sta ispezionando il relitto millimetro per millimetro e, grazie ai fondi della National Geographic Foundation, gli archeologi subacquei stanno scansionando il relitto per realizzare una foto mosaico e riproduzioni tridimensionali che consentiranno di condividere la Mars con studiosi e appassionati di tutto il mondo. Riportare un relitto in superficie, infatti, è un’operazione finanziariamente onerosa e pericolosa per la sopravvivenza dei resti archeologici, ma oggi grazie ai laser scanner utilizzati dagli studiosi il sito potrà esse esplorato e studiato senza ulteriori costi e rischi.
La tradizione, però, narra una storia leggermente diversa. Rönnby spiega che i sovrani svedesi, all'epoca, erano impegnati a consolidare la propria posizione. "Ma la chiesa cattolica, potente com'era, costituiva un grosso ostacolo". Proprio nel tentativo di sminuire il potere della Chiesa, re Erik XIV - colui che commissionò la MARS – diede ordine di confiscare le campane delle chiese, le fusero e utilizzarono il metallo per forgiare i cannoni delle navi da guerra. A bordo c'erano oltre cento cannoni di svariate dimensioni. Secondo il mito, proprio la "nuova vita" forzata di quelle che erano soltanto campane, portò la nave verso la rovina.
La leggenda narra che dopo l’affondamento uno spettro si alzò dalle profondità degli abissi per proteggere il relitto in modo che non fosse mai più scoperto.
Lundgren e i suoi colleghi recuperarono 50 cannoni di bronzo dell'epoca, ma il fortunato sommozzatore ci tiene a precisare: «Non abbiamo cercato ricchezze, anche perché, secondo una severissima legge svedese, ogni tesoro ritrovato nelle acque territoriali appartiene allo Stato, che a sua volta può rilasciare una "generosa mancia" a chi l'ha trovato. Purtroppo c'è troppa gente senza scrupoli che ha selvaggiamente violato i relitti, asportandone reperti preziosi. E così non può continuare».
Ma è impossibile controllare e tenere d'occhio tutte le imbarcazioni che incrociano nel Golfo di Botnia a caccia di tesori. Di grandi galeoni ricchi di tesori che giacciono sul fondo ne sono stati ritrovati otto, mentre di due non si sono trovate ancora le tracce. Inoltre, nel corso di varie guerre, comprese le ultime due mondiali, sono numerosissime le unità affondate con siluri o cannoneggiamenti. Lo stato di conservazione dei relitti, anche quelli più antichi, è ottimo, anche grazie alla mancanza, nel Golfo di Botnia, del mollusco «Tiridinidae», presente nei mari caldi e temperati, che mangia il legno delle navi. Secondo l'archeologo marittimo Johan Rònnby, sarebbe quindi possibile ritrovare anche relitti risalenti all'epoca vichinga o alla preistoria, perfettamente conservati e forse ricchi di reperti preziosi per gli studiosi di antichità. Sempre che cercatori di tesori senza scrupoli non arrivino prima a saccheggiarli.
Carlo GATTI
Rapallo, giovedì 6 maggio 2019
AMOCO CADIZ - Disastro Ambientale
Petroliera
AMOCO CADIZ
233.564 G.T.
QUARTO DISASTRO DEL GIGANTISMO NAVALE
16 MARZO 1978
Il relitto della AMOCO CADIZ a Portsall (Finistèrre) Francia
Armatore :.... Amoco Transport Company
-
Lunghezza:334 Mt Larghezza:51 Mt - Puntale:26,18 Mt -Portata Lorda:230.000 T. - Impostata:28/06/1973
Entrata in linea: 11/05/1974
Dopo aver caricato greggio in Golfo Persico, navigava verso la costa da Limebay a Rotterdam, percorso abituale negli ultimi anni.
NOTA: Passaggio di Fromveur
Il Passaggio di Fromveur (« Passage du Fromveur » in francese) è situato tra l'arcipelago di Molène e l'isola di Ouessant, nel mer d'Iroise (Finistère, Francia). Questo tratto di mare è percorso da correnti molto violente: fino a 8 o 9 nodi localmente, e circa 7 nodi in mare aperto.
La navigazione è molto pericolosa anche perché il vento che vi spira è contrario rispetto alla direzione della corrente, per questo il mare risulta essere sempre molto agitato.
Per proteggere e aiutare i naviganti, ci sono due fari, tra i più famosi della Bretagna: la Jument e Kéreon.
Prima della creazione della Torre Radar di Ouessant nel 1982, questo luogo è stato teatro di una serie di tragici naufragi, tra cui le petroliere Olympic Bravery (1976) e Amoco Cadiz (1978) che causarono disastri naturali gravissimi. Infatti questo tratto di mare è frequentato annualmente da circa 50.000 navi.
Cronaca del disastro
Alle ore 09,45 del 16 Marzo 1978, il timone del “colosso” và fuori uso, tutto l'equipaggio della nave viene messo al corrente della situazione, la navigazione prosegue e il comandante Bardari comunica, via radio, all'armatore il problema. C'è uno scambio di pareri, ma il Comandante rifiuta ogni offerta d'aiuto. Purtroppo la nave senza la possibilità di governare finisce incagliata.
Le condizioni del tempo peggiorano, due rimorchiatori Olandesi navigano a tutta velocità verso la Amoco Cadiz. La nave continua ad avvicinarsi pericolosamente verso la costa.
Verso le ore 22,00 i rimorchiatori riescono ad agganciare la Amoco Cadiz, che si trova a sole tre miglia della costa di Portsall. Il comandante della Amoco Cadiz lancia un disperato SOS, il vento è tanto forte che rende difficilissimo il salvataggio dei 44 uomini dell'equipaggio, la nave ferita a morte, comincia a perdere greggio e le 230.000 tonnellate di prodotto finiscono in mare. Durante quella forte tempesta la nave si spezza in due e affonda.
La sistematica ricerca di trasporti a bassissimo costo spiega la lunga litania di disastri petroliferi, soprattutto nell'Europa occidentale: Torrey-Canyon nel 1967, Olympic-Bravery, Urquiola e Boehlen nel 1976, Amoco-Cadiz nel 1978, Gino nel 1979, Tanio nel 1980, Haven nel 1991, Aegean-Sea nel 1992, Braer nel 1993 e Sea-Empress nel 1996 (anno in cui sono naufragate, in tutto il mondo, 70 petroliere). Ultimo in ordine cronologico, quello della petroliera Erika che, partita da Dunkerque alla volta di un porto italiano, si è spezzata ed è colata a picco in seguito a una tempesta al largo di Penmarch, il 12 dicembre scorso.
La "AMOCO TANKER COMPANY", ordinò presso gli stessi cantieri una serie di quattro navi che hanno avuto i seguenti numeri di costruzione:
- C 93 AMOCO MILFORD HAVEN (affondata in rada a Genoa)
- C 94 AMOCO SINGAPORE
- C 95 AMOCO CADIZ (affondata a Portsall)
- C 96 AMOCO EUROPA
Una delle caratteristiche salienti di questa classe è la prua filante con il bulbo molto pronunciato, questo particolare rende subito riconoscibile la nave di questa classe, lunga 334 metri, larga 51, l'altezza della linea di costruzione è di 26,18 metri, la sovrastruttura è alta sette ponti.
Il viaggio della nave iniziò nel Golfo Persico con destinazione il porto di Le Havre (Francia) ed il disastro causato è considerato il 5º nella storia delle maree nere. Il carico era di 230.000 tonnellate di petrolio greggio iraniano trasportato, al quale si aggiunsero 3.000 tonnellate di gasolio, che si riversarono insieme lungo 400 km di coste bretoni della Francia.
La mattina del 16 marzo del 1978, verso le ore 09.00, le condizioni meteorologiche erano davvero proibitive: mare in burrasca, temporali e forti venti causarono, per le fortissime sollecitazioni, la rottura dell'impianto idraulico del timone. L'equipaggio della nave non ebbe altra scelta che richiedere soccorsi e assistenza alle autorità francesi. Nonostante l'arrivo di un potente rimorchiatore d’altomare, ci fu un ritardo operativo dovuto all’attesa dell’autorizzazione da parte della società Amoco. “Ritardo burocratico” che si protrasse a causa della TRATTATIVA in corso tra le parti sulla formula NO CURE NO PAY (Pago se mi salvi). Il comandante fu costretto ad attendere l'ordine dei dirigenti, ma a causa dei fortissimi venti, la superpetroliera raggiunse in poco tempo gli scogli affioranti in prossimità della costa e qui s'incagliò, si spezzò in due riversando il suo carico inquinante.
La mobilitazione
Centinaia di volontari si mossero immediatamente organizzati da Associazioni Ecologiste si rimboccarono le maniche per scongiurare una contaminazione dei litorali. In seguito, le Autorità locali dichiararono che non bastarono sei mesi per pompare e disperdere il petrolio che aveva ricoperto le spiagge colpite. Ben 90 comuni ebbero le spiagge invase dalla marea nera.
Le reazioni
La catastrofe nel paese transalpino suscitò notevole sconcerto e apprensione. Poco dopo l'accaduto, alcune Organizzazioni Ecologiste diramarono un appello per boicottare la SHELL, la società destinataria del carico, anche perché la stessa multinazionale non si era affatto impegnata nelle operazioni di bonifica delle aree contaminate.
Le conseguenze all'ambiente e il danno causato
Questo incidente fu il decimo per gravità nella storia dei naufragi di petroliere. I decessi non sono avvenuti immediatamente, bensì la più alta mortalità di animali avvenne nell'arco di due mesi dalla catastrofe. Già dopo un paio di settimane, milioni di molluschi e echinoidee (ricci di mare) morirono, a cui si aggiunsero circa 9.000 tonnellate di ostriche. Per molti mesi i pescatori raccolsero animali con ulcere e tumori alla pelle, e quelli che a "prima vista" apparivano sani, avevano uno sgradevole sapore di petrolio.
Nel 1988 il danno al turismo ed ai pescatori fu stimato in circa 250 milioni di dollari. Il Governo francese presentò un "conto" di 2 miliardi di dollari da destinare ai richiedenti: Stato, Comuni, singoli privati, associazioni professionali e ambientali.
A seguito di questo incidente, nel 1982 sull'isola di Ouessant fu costruita una Torre Radar che assicura da allora il controllo e l’assistenza ai naviganti che transitano in questo trafficatissimo tratto di mare.
Anziché adoperarsi per impedire che il greggio raggiungesse le coste della Cornovaglia, emerse in modo evidente l’inesistenza di coordinamento tra gli Stati confinanti per la salvaguardia del mare e delle coste, al contrario fu chiaro fin dall’inizio il tentativo estremo di salvare la petroliera con il suo carico. Solo quando fu chiaro che la Torrey Canyon era definitivamente perduta fu presa la decisione di far levare in volo otto aerei Buccaneers della RAF per bombardare la nave provocandone l’affondamento per evitare danni maggiori. L’uso massiccio ed indiscriminato di sostanze chimiche, molte delle quali tossiche, per il trattamento e la bonifica delle coste invase dal petrolio, finì per causare danni peggiori e duraturi all’ambiente. Il naufragio della Torrey Canyon fu un’Apocalisse nel vero senso del termine, cioè una rivelazione: la fiducia pressoché illimitata del pubblico nella possibilità di poter trasportare senza alcun rischio sostanze altamente inquinanti come il petrolio, colò a picco con essa.
Disastri navali e inquinamento da idrocarburi: il bilancio di un quarantennio.
Anche se in realtà dal 1959 i disastri navali con conseguente sversamento di idrocarburi erano già stati almeno una quarantina, fu solo nel 1967, cioè all’indomani dell’incidente della Torrey Canyon che l’opinione pubblica mondiale ebbe la reale percezione dei pericoli ambientali legati al trasporto del greggio via mare e che sul piano normativo e della gestione delle emergenze si prese coscienza della necessità di intervenire in modo più incisivo di quanto non si fosse fatto fino a quel momento. Tralasciando la ricostruzione cronachistica dei singoli incidenti e tentando una sia pure sommaria analisi dell’elenco di questi incidenti nell’arco dei decenni successivi al 1967 in base alla quantità di greggio rilasciato in mare e nell’ambiente circostante (Tabella 1), è possibile avanzare alcune interessanti riflessioni.
Tabella 1. Elenco dei maggiori disastri petroliferi (in milioni di galloni) (in corsivo gli incidenti provocati da petroliere)
1. Guerra del Golfo (1991) |
240.0 |
|
2. Piattaforma Deepwater Horizon, Golfo del Messico (2010) |
205.8 |
|
3. Piattaforma Ixtoc, Golfo del Messico (1979) |
140. |
|
4. Abt Summer, largo della Angola (1991) |
80.8 |
|
5. Nowruz, Arabia Saudita (1980) |
80.0 |
|
6. Fergana, Uzbekistan (1992) |
80.0 |
|
7. Castillo de Bellver, largo del Sudafrica (1983) |
78.5 |
|
8. Amoco Cadiz, Nord Ovest al largo della Francia (1978) |
68.7 |
|
9. Atlantic Empress – Aegean Captain, largo di Trinidad e Tobago (1979) |
48.8 |
|
10. MT Haven, largo di Genova (1991) |
44.4 |
|
11. Pozzo petrolifero, 480 miglia a sud-est di Tripoli (1980) |
42.0 |
|
12. Odyssey, largo della Nuova Scozia (1988) |
40.7 |
|
13. Pozzo di Lakeview, California (1910) |
37.8 |
|
14. Irene’s Serenade, Grecia (1980) |
36.6 |
|
15. Torrey Canyon, largo delle isole Scilly (1967) |
35.0 |
|
16. Sea Star, largo dell’Oman (1972) |
34.0 |
|
17. Shuaybat, Kuwait (1981) |
31.2 |
|
18. Urquiola, largo della costa Nord della Spagna (1976) |
29.0 |
|
19. Hawaian Patriot, Nord del Pacifico (1977) |
29.0 |
|
Premesso che quantificare con precisione la effettiva quantità di sostanze nocive, in questo caso idrocarburi, riversate nell’ambiente per cause accidentali è molto difficile e che le stime tendono a divergere, spesso anche notevolmente, a seconda delle fonti, si può infatti affermare che, a dispetto della loro fama le petroliere, pur restando una delle maggiori cause di sversamenti di petrolio (considerati convenzionalmente quei disastri che provocano il rilascio di più di 700 tonnellate di idrocarburi nell’ambiente), non solo non sono responsabili di almeno delle tre più gravi catastrofi della storia, ma che molti degli incidenti più gravi presenti nell’elenco sono prevalentemente concentrati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta (dalla Torrey Canyon alla Amoco Cadiz e alla Atlantic Empress, fino alla Castillo de Bellver) fino ai primi anni Novanta (la Haven e soprattutto la ABT Summer entrambe affondate nel 1991, vero e proprio annus horribilis nella storia di questo tipo di disastri ambientali).
Carlo GATTI
8 Aprile 2015