TITANIC - Una breve Storia ...

RMS TITANIC - Una breve Storia ...

Secondo di tre transatlantici, il RMS Titanic, assieme ai suoi due gemelli Olympic e Britannic fu progettato per offrire un collegamento settimanale di linea con l'America e garantire il dominio delle rotte oceaniche alla White Star Linne. Costruito presso i cantieri Harland and Wolff di Belfast, il Titanic rappresentava la massima espressione della tecnologia navale di quei tempi ed era il più grande e lussuoso transatlantico del mondo.

 

Durante il suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, via Cherbourg e Queensrown, entrò in collisione con un iceberg alle 23,40 (ora di bordo) di domenica 14 aprile 1912. L'impatto provocò alcune falle lungo la fiancata destra del transatlantico, che affondò 2 ore e 40 minuti più tardi (alle 2,20 del 15 aprile) spezzandosi in due tronconi. Nel naufragio persero la vita 1.518 dei 2.223 passeggeri imbarcati compresi i 900 uomini dell'equipaggio; solo 705 persone riuscirono a salvarsi, alcune delle quali morirono subito dopo essere stati salvati dal Carpathia. L'evento suscitò un'enorme impressione sull'opinione pubblica e portò alla convocazione della prima “conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare”.

Il Titanic, come le gemelle RMS Olympic e Britannic, era stato progettato per competere con il Lusitania e il Mauretania, transatlantici della compagnia rivale Cunard Line che erano all'epoca le navi più lussuose, veloci e imponenti tra quelle impegnate sulle rotte transatlantiche. Poiché svolgeva anche il servizio postale, le fu assegnato il prefisso RMS (Royal Mail Ship) oltre a SS (Steam ship,nave a vapore). La nave era stata disegnata da William Pirrie, presidente della Harland and Wolff, e dall'architetto navale Thomas Andrews, che era il capo progettista. La costruzione del Titanic, finanziata dall'armatore americanoJohn Pierpont Morgan con la sua società International Mercantile Marine Co., iniziò il 31 marzo 1909; lo scafo fu varato il 31 maggio 1911 e le sovrastrutture furono completate il 31 marzo dell'anno seguente.

 

Venne registrato nel registro navale del porto di Liverpool col numero ufficiale N. 131428 e sigla telegrafica "MGY". Il costo finale del transatlantico fu di 7,5 milioni di dollari del 1912, equivalenti a 180 milioni di dollari del 2012. Il Titanic era lungo 269 metri e largo 28, aveva una stazza di 46.328 tons e l'altezza del ponte sulla linea di galleggiamento era di 18 metri (53 metri l'altezza totale). Sebbene avesse la stessa lunghezza dell'Olympic, aveva un tonnellaggio lordo maggiore per via del maggiore spazio interno, dovuto principalmente alla chiusura di parte della passeggiata sul ponte "A" con finestre parzialmente apribili.

La propulsione era a vapore (era un piroscafo, a differenza delle successive imbarcazioni – definite motonavi – dotate dimotori Diesel), con quattro cilindri contrapposti invertibili a triplice espansione (macchine alternative) più una turbina Parson a bassa pressione. Le macchine alternative del Titanic e dell'Olympic restano le più grandi mai costruite, occupavano quattro piani in altezza sviluppando quasi 38 MW (51 000 CV) di potenza e muovevano le due eliche laterali. La turbina muoveva la sola elica centrale.

 

Le 29 caldaie, aventi un diametro di 5 metri ciascuna, erano in grado di bruciare circa 728 tonnellate di carbone al giorno. La velocità massima era di 23 nodi (43 K/m ), inferiore di tre nodi rispetto alla velocità del Mauretania. Solamente tre dei quattro fumaioli erano funzionanti, il quarto aveva solo la funzione di presa d'aria e fu aggiunto per rendere la figura della nave più imponente; erano dipinti in ocra e nero, come voleva la tradizione della White Star, mentre il rosso era il colore della Cunard Line.

 

La nave aveva una capacità utile di 3.547 persone tra passeggeri ed equipaggio. L'allestimento di bordo comprendeva tra l'altro una piscina coperta di 9 m × 4 m s ul ponte D, sul modello dell'Olympic (per la prima volta su una nave), una palestra, un bagno turco e un campo di squash. Le cabine di prima classe erano rifinite con la massima sfarzosità. C'erano 34 suite, ognuna delle quali dotata di soggiorno, sala di lettura e sala da fumo; ogni suite era arredata in stile diverso. Erano disponibili tre ascensori per la prima classe e, come novità, un ascensore anche per la seconda classe.

 

La terza classe valeva la seconda sulle altre navi, ed era decorata con legno di pino verniciato di bianco, pareti smaltate e sedie di teak. Nel ristorante di terza classe era collocato un pianoforte. Il Titanic era un gioiello di tecnologia ed era ritenuto praticamente inaffondabile. La sua stazione radio era considerata (con l'Olympic) la più moderna e potente mai installata su un bastimento, la sua portata raggiungeva una distanza di 400 miglia (650 km) e le antenne erano collocate sui due alberi maestri ad un'altezza di 60 metri e distanti tra loro 180 metri (in caso di emergenza, il generatore elettrico poteva essere sostituito da un generatore diesel).

 

Il ponte lance era dotato delle nuovissime gru "Welin", in grado di sostenere complessivamente 32 lance di salvataggio e ammainarne 64 (alla fine furono montate soltanto 16 lance). La chiglia della nave aveva un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in 16 compartimenti stagni, le cui porte a ghigliottina si potevano chiudere automaticamente dal ponte di comando (in mancanza di energia elettrica si potevano chiudere sfruttando la forza di gravità). Questi compartimenti, però, non attraversavano tutta l'altezza dello scafo ma si fermavano al ponte E (più o meno a metà dello scafo, per dare più spazio alla disposizione delle sale). Il Titanic avrebbe potuto galleggiare anche con due dei compartimenti intermedi allagati oppure con tutti i primi quattro compartimenti di prua allagati. Lo scontro con l'iceberg causò però l'allagamento dei primi cinque compartimenti prodieri.

I Costi

Alla consegna il transatlantico Titanic costò circa 7,5 milioni di dollari (167 milioni di dollari del 2010 ), il biglietto di sola andata per New York, in suite di prima classe, costava 3.10o dollari dell'epoca, circa 40.000 euro del 2012, mentre in appartamento di prima classe costava 4.350 dollari (o 870 sterline del 1912 pari a 83.200 dollari del 2007, circa 64.100 euro), in cabina di prima classe 150 dollari (o 30 sterline dell'epoca, pari a 2.975 dollari del 2007 o 2300 euro), in cabina di seconda classe 60 dollari (o 12 sterline dell'epoca pari a 1.200 dollari del 2007, ovvero circa 930 euro), mentre un biglietto di terza classe solo 32-40 dollari (6-8 sterline dell'epoca, circa 595-793 dollari del 2007, fra i 458 e i 610 euro); inviare un telegramma privato di 10 parole dal servizio telegrafico di bordo costava 3,12 dollari (12 scellini e 6 pence di allora, l'equivalente di 62 dollari del 2007, 48 euro) e 9 pence per ogni parola aggiuntiva. Una partita asquash 50 cent. ed una seduta al bagno turco 1 dollaro (rispettivamente 9 e 18 dollari odierni)

 

Ed ora il calcolo degli stipendi del personale nel 1912 rapportati al controvalore di un secolo dopo (del 2012). Lo stipendio mensile del capitano Smith ammontava a 105 sterline (circa 6 050 dollari attuali), mentre quello di un marinaio era di 5 sterline al mese (290 dollari attuali), quello di una vedetta era di 5 sterline e 5 scellini (320 dollari attuali) e quello di una hostess era di 3 sterline e 10 scellini (attuali 190 dollari), mentre il salario medio di ciascun operaio addetto alla costruzione della nave era mensilmente pari a poco più d'una sterlina (corrispondente a circa 60 dollari odierni). I telegrafisti avevano stipendi diversi: a Philips spettavano 4 sterline e 5 scellini per il viaggio, mentre a Bride solo 2 sterline, 2 scellini e 6 penny.

 

Il primo e unico viaggio del Titanic

La durata del viaggio inaugurale del grande transatlantico era prevista di dieci giorni. Dopo la sua ultimazione, il 31 marzo 1912, la nave partì da Belfast il 2 aprile per giungere a Southampton due giorni dopo. La nave partì per il suo primo (e ultimo) viaggio il 10 aprile 1912 da Southhampton (Regno Unito) alle 12,00 verso New York, comandata dal capitano Edward John Smith. Per lui, il viaggio del nuovo transatlantico costituiva l'ultimo comando prima del pensionamento, e rappresentava il coronamento di una lunga e brillante carriera durata oltre 40 anni.

 

In una sua celebre dichiarazione aveva affermato di non riuscire a immaginare alcun tipo d'infortunio che potesse accadere a questi nuovi transatlantici, poiché la tecnica di costruzione era andata ben oltre gli incidenti che si potessero allora immaginare. Egli volle al suo fianco un comandante in seconda più esperto di quello che gli era stato assegnato e, all'ultimo momento, chiese alla Compagnia di trasferire Henry Wilde sul Titanic, almeno per il viaggio inaugurale Wilde, che prima si trovava sull'Olympic, subentrò così a William Murdoch, il quale retrocesse al rango di 1° ufficiale; il 1° ufficiale Charles Lightoller diventò il 2°, mentre il 2° fu trasferito (nello svuotare in fretta l'armadietto dei propri effetti personali, egli – inavvertitamente – pose in valigia pure le chiavi dell'armadietto in cui erano custoditi i binocoli). Sembra che Wilde non fosse entusiasta dell'improvviso cambiamento e prima dello scalo a Queenstown scrisse alla sorella: “Questa nave continua a non piacermi, mi dà una strana sensazione”.

 

Molti passeggeri della seconda classe, precedentemente prenotati su altre navi, vennero dirottati sul Titanic a causa di uno sciopero nelle forniture di carbone. Tra loro viaggiava il ceto medio della popolazione: impiegati, insegnanti, commercianti, ecc. La terza classe era affollata di emigranti provenienti da tutte le parti del mondo ed erano coadiuvati dall'interprete di bordo. In prima classe erano imbarcati alcuni degli uomini più in vista dell'epoca. Tra questi vi era il milionario John Jacob Astor IV possessore di 150 milioni di dollari e proprietario di alcuni preziosi immobili tra cui il noto Waldorf-Astoria Hotel di New York. Vi erano inoltre l'industriale Benjamin Guggenheim (il cui fratello era titolare dell'omonima fondazione d'arte), Isidor Straus (proprietario del centro commerciale Macy) e la moglie Ida, Washington Roebling (figlio del costruttore del Ponte di Brooklyn), il Consigliere presidenziale statunitense Archibald Butt (che tornava in America dopo una missione diplomatica in Vaticano insieme al compagno, il pittore Francis Millet), Arthur Ryerson (il magnate americano dell'acciaio), George Widener (figlio del magnate dell'industria tranviaria statunitense), il giornalista William Thomas Stead, la contessa di Rothes, lo scrittore Helen Churchill Candee, lo scrittore Jacques Futrelle, i produttori di Broaway Henry e Irene Harris, l'attrice cinematografica Dorothy Gibson, la milionaria Margaret "Molly" Brown, la contessa Lady Duff Gordon, George Elkins Widener e la moglie Eleonora, John Borland Thayer e molti altri.

 

 

Il capitano Edward John Smith

 

Le ultime ore

L'unica fotografia disponibile dell'iceberg che affondò il Titanic, immortalato pochi giorni dopo il disastro dal marinaio ceco Stephan Rehorek.

Il 14 aprile, dopo quattro giorni di navigazione, verso le 13,30 il capitano consegnò a Bruce Ismay un messaggio appena ricevuto dal vapore Baltic, che segnalava la presenza di ghiaccio a 400 km sulla rotta del Titanic, tuttavia, il capitano non diminuì la velocità. Il direttore della White Star non diede eccessivo peso alla cosa e giudicò sufficiente spostare la rotta del transatlantico sulla Outward Southern Track, un corridoio di navigazione concordato per le navi di linea. I due uomini discussero anche della velocità decidendo di portarla al massimo possibile. Nelle ultime 24 ore, infatti, erano state percorse ben 546 miglia e c'era la possibilità di arrivare a New York con un giorno di anticipo. Non fu mai chiarito di chi fu la responsabilità finale della decisione.

 

Comunque, l'eventualità di incontrare packs era un fatto assolutamente normale e le navi di linea erano solite mantenere alta la velocità per assicurare l'orario. Questa verità fu confermata durante l'inchiesta britannica successiva al disastro, quando parecchi comandanti (John Pritchard, William Stewart, Alexander Fairfull, Andrew Braes e molti altri) furono interrogati al riguardo. La velocità veniva ridotta solo in caso di effettivo avvistamento, ma finché la visibilità era buona e le vedette allertate, si poteva procedere normalmente. Durante il processo sulle cause del naufragio, vi fu chi ipotizzò che la compagnia di navigazione avesse espressamente richiesto di rimanere al di sopra dei 20 nodi di velocità al fine di assicurarsi il prestigioso "Nastro Azzurro" (Blue Ribbon).

 

Alle 13,45 arrivò un messaggio di "segnalazione iceberg" dal piroscafo Amerika, che inspiegabilmente non giunse al ponte di comando, mentre nel pomeriggio un altro avviso, questa volta dal Mesaba, non fu consegnato. I marconisti erano impegnati nell'invio dei numerosi messaggi privati dei passeggeri, che fin dal giorno prima si erano accumulati a causa di un guasto momentaneo all'apparecchiatura radio (i cavi del trasformatore secondario si erano bruciati).

 

Verso le 21,00 la temperatura era scesa a un grado sopra zero e l'ufficiale di turno – Lightoller – aveva avvertito il maestro d'ascia che la scorta d'acqua sarebbe probabilmente gelata. Circa a quell'ora, il comandante salì in plancia e discusse con Lightoller le condizioni eccezionalmente calme del mare. Prima di ritirarsi in cabina, Smith ordinò di chiamarlo se fosse accaduto qualcosa di strano e di diminuire la velocità in caso di foschia. L'abbassamento della temperatura indicava probabilmente che si stavano avvicinando ad un banco di iceberg e Lightoller disse alle vedette di prestare attenzione ai ghiacci galleggianti, soprattutto a quelli di ridotte dimensioni chiamarti growlers.

 

Alle 22,00 il 1° ufficiale Murdoch subentrò a Lightoller, dal quale ricevette gli ordini del Comandante. Mezz'ora più tardi Murdoch rispose ad un messaggio per mezzo di una lampada Morse proveniente dal piroscafo Rappahannock, che incrociò il Titanic alle 22,30. Lo informava di essere appena uscito da una banchisa circondata da iceberg. Lo stesso Murdoch ordinò al “lampista” di chiudere i boccaporti sul castello di prua, in modo che la luce non ostacolasse la visuale delle vedette, senza però risolversi a ridurre la velocità della nave. L'esperienza aveva infatti dimostrato che in condizioni normali una massa di ghiaccio era visibile grazie alle onde che si increspavano alla sua base. Tuttavia, con un mare assolutamente piatto come in quel momento, il margine di sicurezza era molto ridotto. Durante l'inchiesta britannica, Lightoller specificò che “…l'oceano era liscio come la superficie di un tavolo o di un pavimento; era un fatto veramente eccezionale”.

Alle 23,00 un importantissimo marconigramma giunse infine dal mercantile Californian, che sostava bloccato nella banchisa a poche decine di miglia a nord-ovest dal Titanic: nel messaggio veniva segnalata la presenza di un enorme campo di iceberg proprio sulla rotta del transatlantico, ma anche questo messaggio non venne recapitato in plancia. Anzi, il marconista Phillips rimproverò l'operatore del Californian per aver interrotto il suo lavoro con la stazione telegrafica di Capo Race, a Terranova. In generale, il risultato fu un atteggiamento di leggerezza e di eccessiva sicurezza che si impadronì di tutto l'equipaggio.

Collisione

Alle 23,40 (ora locale della nave, UTC-3), le vedette Frederik Fleet e Reginald Lee videro un iceberg di fronte alla nave. Gli iceberg che affollano le rotte atlantiche settentrionali provengono sempre dalla costa occidentale della Groenlandia o dal Labrador ed impiegano 2-3 anni per giungere al 41° di latitudine nord, sospinti prima dalla fredda Corrente del Labrador che li preserva, poi dalla calda Corrente del Golfo che li scioglie lentamente. L'iceberg che affondò il Titanic era praticamente coevo alla nave che ne rimase vittima ed al momento dell'urto – in base a recenti calcoli – dovrebbe aver sviluppato una pressione di almeno 985Kg/cm2 sull'acciaio della fiancata del transatlantico, quando l'acciaio stesso resiste fino ad una pressione di circa 690-750 kg/cm², in base al grado di purezza dalle scorie di fusione.

 

L'avvistamento avvenne “a occhio nudo” a causa della mancanza dei binocoli, e quindi in ritardo: si disse che la portata visiva della vedetta fosse di almeno 1 miglio di distanza, quando recenti simulazioni computerizzate, tenendo conto che quella notte non c'era il chiarore della luna ed il mare era “di calma piatta”, attestano che la portata visiva non poteva superare i 450–550 m di distanza, troppo pochi per evitare la collisione alla velocità di 21 nodi a cui filava il bastimento, per evitare l'urto fatale, la velocità della nave non avrebbe dovuto superare i 9 nodi, il che avrebbe ritardato di tre giorni l'arrivo a New York. La zona in cui avvenne il disastro è nota per essere un'area interessata dagli iceberg durante la primavera e dagli uragani in estate – autunno ed è considerato un fatto eccezionale la contemporanea assenza di luna e di calma piatta del mare, ragion per cui, con la sola illuminazione stellare e senza il frangersi delle onde sulle pareti dell'iceberg, l'iceberg stesso non poteva che esser avvistato a meno di 500 metri dalla prua della nave.

 

La mancanza dei binocoli – si appurò al processo – era imputabile alla fretta di dover salpare da Southampton nei tempi previsti, ragione per cui non furono distribuiti a bordo già alla partenza. Il motivo è anche spiegabile con il rimpasto dell'equipaggio voluto dal Comandante, in quanto il 2º ufficiale Blair (sostituito da Lightoller) prima del trasferimento diede istruzione di togliere dalla coffa i binocoli che lui stesso aveva portato. In pratica, l'iceberg che le vedette si trovarono di fronte era pressoché invisibile, venne avvistato non direttamente, ma indirettamente in quanto la sua sagoma nera interrompeva la linea dell'orizzonte e lasciava una piccola porzione della volta celeste priva apparentemente di stelle.

Dopo l'avvistamento, Fleet suonò tre volte la campana e telefonò sul ponte di comando dicendo: "Iceberg dritto di prua! Iceberg dritto di prua!". Il capitano Edward John Smith era sceso nella sua cabina da mezz'ora ed al comando della nave era in quel momento il secondo ufficiale, Murdoch, che comandò di virare immediatamente a sinistra, ordinando anche di mettere le macchine "indietro tutta", ma la nave viaggiava alla velocità di circa 22,5 nodi (velocità calcolata subito dopo dal 4º ufficiale Boxhall) e non riuscì a rallentare nel tempo necessario ad evitare l'impatto, in virtù dell'abbrivo del transatlantico. Inoltre, erano invertibili soltanto le due eliche laterali della nave, non l'elica centrale che doveva necessariamente essere fermata, impedendo così il supporto della stessa alla manovra in atto.

Dopo il ritrovamento del relitto, in base alla posizione geografica, si scoprì che la velocità effettiva al momento della collisione era di circa 20,5 nodi. Inoltre, a posteriori, è stato ipotizzato che se Murdoch avesse mantenuto la ROTTA, la nave avrebbe subìto un violento impatto frontale contro l'iceberg, danneggiando i primi due compartimenti stagni e potendo probabilmente continuare la traversata verso New York. Il ghiaccio strisciò sulla dritta piegando le lamiere e provocando sei diversi squarci sotto la linea di galleggiamento. L'iceberg fotografato giorni dopo sul luogo del disastro, pare esser proprio quello incriminato in quanto appariva colorato da due strisce, una nera e una sottostante rossa, i colori dell'inaffondabile Titanic. La collisione non fu avvertita in maniera significativa dai passeggeri delle classi prima e seconda in virtù del fatto che le loro cabine erano posizionate al di sopra della linea di galleggiamento e solo chi si trovava sul ponte si accorse della presenza dell'iceberg, pur senza rendersi conto della gravità dell'evento, in quanto piovvero frammenti di ghiaccio distaccatesi dalla massa dell'iceberg in seguito all'avvenuto impatto.

 

Dalle testimonianze dei superstiti, l'impatto non fu avvertito in prima classe, mentre fu descritto dai passeggeri di seconda classe come "una vibrazione ovattata", come "un botto sordo" dai passeggeri di terza classe, come un rumore "assordante di ferraglia" dai fuochisti, i primi che si resero conto dello sventramento della fiancata (testimonianza dell'unico sopravvissuto del locale caldaie N°.6, il compartimento risultato più danneggiato in seguito all'impatto). Lightoller, che in quel momento si trovava lecitamente a letto nella sua cabina, testimoniò di aver avvertito soltanto “…un'interruzione nella monotonia del movimento”. In seguito i superstiti descrissero l'impatto come “…il rotolare di migliaia di biglie”, come “…se qualcuno avesse strusciato un enorme dito contro la fiancata della nave”, o come se “…un pezzo di stoffa si fosse lacerato”. Ben diversa fu la reazione in sala macchine, dove i fuochisti erano intenti ad alimentare le caldaie. Uno di essi diede la seguente testimonianza: “All'improvviso la murata di dritta parve rovinarci addosso. Si sentì come uno scoppio di arma da fuoco e l'acqua cominciò a scorrere intorno; ci gorgogliò tra le gambe e noi ci precipitammo con un balzo nel compartimento successivo chiudendoci alle spalle la porta stagna. Non pensai, e nessuno lo pensò in quel momento, che il Titanic sarebbe potuto affondare”.

 

 

Prime fasi dopo l'impatto

Mentre l'acqua cominciava ad invadere i compartimenti furono immediatamente chiuse le porte stagne e il Capitano Smith ordinò di scandagliare la nave. Secondo gli studi compiuti durante la progettazione, la nave sarebbe potuta rimanere a galla anche con quattro compartimenti allagati in successione ma non se ad essi se ne aggiungeva un quinto (le sei fessure aperte dall'iceberg interessarono infatti i primi cinque compartimenti prodieri). Inoltre, le paratie stagne non superavano il ponte "E", che si trovava all'incirca a metà dell'altezza della nave. A causa di questo, l'affondamento della prua avrebbe fatto tracimare l'acqua verso gli altri comparti rendendo pressoché inutile il lavoro delle pompe idrauliche. La situazione apparve immediatamente drammatica; i 4 compartimenti del carico, situati a prua della nave, in 10 minuti imbarcarono più di 4 metri cubi d'acqua causando un conseguente primo abbassamento della carena frontale di 2° facilitando l'entrata dell'acqua all'interno degli altri compartimenti e del primo dei compartimenti caldaie già colpito dall'iceberg (quinto compartimento da prua). La chiusura istantanea delle paratie non permise, almeno in un primo tempo, il fluire d'acqua nei compartimenti stagni di prua, destinati ad essere allagati completamente.

Sebbene le paratie furono chiuse prontamente, l'intervento delle pompe non facilitò l'evacuazione dei compartimenti caldaie in cui si registrarono le prime vittime, infatti la mancata chiusura di alcuni regolatori di pressione delle caldaie dei primi compartimenti durante le manovre di inversione permise la fuoriuscita di vapori che compromisero maggiormente l'evacuazione stessa. Dopo i primi 15 minuti tutti i locali caldaie furono evacuati, allo stesso tempo alle sale macchine e alle zone turbine fu ordinato di arrestare completamente la propulsione ma non fu detto loro di abbandonare i posti, di conseguenza tutti i banchi elettrici degli alternatori rimasero in funzione sino alle ultime fasi dell'affondamento. Tutti i macchinisti morirono nell'atto di ritardare il più possibile il triste destino della nave con l'ausilio delle pompe, azione che sarà poi ostacolata dall'allagamento dei piani superiori dove si trovavano le stesse. Per tutto il tempo, dopo il contatto con l'iceberg fino all'affondamento, dai 4 fumaioli uscì un forte sibilo dovuto ad una contromisura adottata per evitare lo scoppio delle caldaie ancora attive facendo fuoriuscire vapore in eccesso per ridurre la pressione.

L'allagamento delle sale macchine, ed in particolare la sala delle turbine elettriche, procedette per gradi e fu notevolmente ritardata dalle chiusure delle porte stagne e dalle pompe, questo fornì energia elettrica per il funzionamento delle apparecchiature e per l'illuminazione necessarie per le operazioni di evacuazione della nave. Dopo la completa chiusura del reparto caldaie e di tutte le 16 paratie stagne la situazione risultava essere la seguente: 5 dei 6 compartimenti interessati al contatto con l'iceberg imbarcavano acqua molto rapidamente; 21 delle 29 caldaie erano ancora accese (si vide necessario dunque aprire gli sbocchi per il vapore per evitare l'esplosione); macchine completamente ferme; alternatori ed impianti elettrici funzionanti; inizio inabissamento della prua e della carena frontale con progressivo innalzamento della poppa (ancora poco evidente) e con conseguente inclinazione dello scafo a babordo; progressivo allagamento dei compartimenti stagni, l'ingresso di tale quantità d'acqua avrebbe, infatti, determinato un "effetto domino" con tutti gli altri compartimenti proprio perché le chiusure stagne erano state progettate per raggiungere soltanto metà dell'altezza della nave; inizio procedure d'evacuazione dei passeggeri dalla nave.

 

I calcoli effettuati da Thomas Andrews rivelarono che il transatlantico sarebbe affondato entro un'ora e mezza o due ore al massimo. Fu dato quindi l'ordine di abbandonare la nave secondo le regole: Wilde si occupò delle lance, Murdoch chiamò i passeggeri a raccolta, il 6º ufficiale Moody preparò la lista delle assegnazioni di ogni barca, il 4º fu mandato a svegliare gli altri. Bisognava assolutamente evitare di diffondere il panico, per quanto la situazione sembrasse ancora relativamente sicura. In effetti, l'unica anomalia era costituita dal terribile sibilo del vapore che fuoriusciva dalle valvole dei fumaioli, onde impedire lo scoppio delle caldaie. Lightoller raccontò che il vapore faceva un tale frastuono che mille locomotive rombanti in un tunnel non sarebbero riuscite ad eguagliarlo. Perfino i marconisti, il cui alloggio si trovava dietro la base del fumaiolo n. 1, avevano difficoltà a sentire le trasmissioni radio. «Non sentiamo nulla per il rumore del vapore», fu il messaggio ricevuto una ventina di volte dal piroscafo giapponese Ypiranga. In seguito, il comandante riuscì a farlo diminuire.

Il Titanic era dotato di 3.560 salvagenti individuali ma di sole 16 lance (più 4 pieghevoli) per una capacità totale di 1.178 posti, insufficienti per i passeggeri e l'equipaggio. Le operazioni di carico si svolsero rispettando l'ordine del Capitano, che indicava di far salire "prima le donne e i bambini". L'equipaggio equivocò questo ordine impedendo agli uomini di salire sulle lance, ma in realtà il Capitano intendeva dire che gli uomini avrebbero potuto salire in seguito se fosse rimasto spazio libero. La prima scialuppa fu calata alle 00,40 dal lato destro con sole 28 persone a bordo; poco dopo ne fu calata una con solo 12 persone, sebbene le loro capacità fossero di 65 passeggeri. Sprecando tre quinti dei posti disponibili, molte delle lance vennero calate in mare mezze vuote.

 

Da parte loro i passeggeri tendevano a considerare la faccenda uno scherzo: se qualcuno aveva il salvagente veniva preso in giro, mentre altri esibivano blocchetti di ghiaccio come souvenir. L'orchestra si posizionò addirittura nel salone di prima classe e cominciò a suonare musica sincopata; si spostò poi all'ingresso dello scalone sul ponte lance.

La posizione registrata del Titanic al momento dell'impatto fu Lat. 41° 46' Long.N 50° 14' O. Il relitto fu trovato in Lat. 41° 43' N - Long. 49° 56' O.

I passeggeri di prima e seconda classe ebbero facile accesso al ponte lance tramite le scale che conducevano al ponte, mentre i passeggeri di terza ebbero notevoli difficoltà a trovare il percorso. Del totale dei passeggeri di terza classe se ne salvò solo un terzo, dando origine alla "leggenda" – supportata da alcune testimonianze – secondo cui vennero intenzionalmente trascurati.

 

L'ordine di far salire donne e bambini di terza classe sul ponte lance pare che fosse arrivato alle 00,30, quando un cameriere guidò piccoli gruppi di persone attraverso il dedalo di passaggi e il largo corridoio detto Scotland Road sul ponte E.

 

Intanto, poco dopo mezzanotte, il 4º ufficiale Boxhall scorse le luci di una nave a circa 10 miglia di distanza (si trattava del Californian) e fu autorizzato da Smith a sparare gli otto razzi di segnalazione, uno ogni cinque minuti, senza alcun risultato. Più o meno allo stesso momento, il Comandante si recò personalmente in sala radio a consegnare una richiesta di aiuto ai due marconisti, i quali, dopo aver usato il CQD, a partire dalle 00,45 cominciarono ad inviare l'SOS, il nuovo segnale di soccorso che aveva sostituito ufficialmente dal 1908 il precedente CQD. I marconisti si servivano raramente del nuovo segnale, che cominciò ad essere utilizzato universalmente dopo che Harold Bride lo usò a bordo del Titanic. A quell'epoca, inoltre, non tutte le navi avevano un servizio radio. Diversi bastimenti risposero, tra cui l'Olympic, ma erano tutti troppo lontani per intervenire in tempo.

 

Il primo uomo ad aver ricevuto una richiesta di soccorso è stato Arthur Moore. La nave più vicina era il Carpathia, distante 58 miglia; il marconista Cottam restò allibito quando ricevette un messaggio di soccorso dal celebre transatlantico al viaggio inaugurale e svegliò di corsa il capitano Arthur Rostron per comunicare la notizia. Subito fu dato ordine di invertire la rotta e dare tutto vapore, ma il Carpathia sarebbe giunto sul posto in non meno di quattro ore. Nell'ultimo messaggio captato dal Carpathia, alle 01,45, il marconista inviò: «Vieni il più presto possibile, amico. La nostra sala macchine si sta riempiendo fino alle caldaie.»

 

Un'ora dopo l'impatto con l'iceberg, il Titanic aveva imbarcato almeno 25 milioni di litri d'acqua e la situazione cominciò ad assumere aspetti drammatici; il ponte di prua si stava inondando e tutte le lance tranne due si erano già allontanate. A bordo rimanevano ancora più di 1.500 persone. Alcuni passeggeri tentarono di assaltare le ultime lance e il 5º ufficiale Lowe si vide costretto a sparare alcuni colpi di pistola in aria per allontanare la folla. Anche il Commissario di bordo sparò due colpi di pistola in aria, mentre Murdoch sventava un assalto alla barca n. 15.

 

Archibald Gracie ricorderà in seguito che l'orchestra di bordo continuò a suonare almeno fino all'1,40 circa. Riferì anche che alcuni suoi conoscenti (i signori Millet, Moore, Butt e Ryerson), una volta accortisi che non c'erano più lance, si misero a giocare a carte indifferenti a quel che accadeva. La signorina Katherine Gold (una cameriera che si trovava a bordo di una delle lance), vide da lontano tanti uomini seduti sul ponte A al suono di un ragtime. Udì anche un valzer ma non ricordò quale.

 

L'ultimo brano suonato dall'orchestra fu un inno religioso, forse Autunno o più probabilmente Nearer, My God, to Thee (Più vicino a te, mio Dio).

 

 

Fasi finali dell'affondamento

Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, e tramite le ricostruzioni effettuate grazie al relitto, si è stabilito che verso l'1,30 la prua della nave era completamente sommersa, con la poppa fuori dall'acqua. Prima di ritirarsi in plancia, sembra che il capitano avesse invitato i passeggeri ad esser galantuomini: «Be English!», (siate inglesi), diramando poi l'ordine «Save yourselves, if you can!» (si salvi chi può) liberando l'equipaggio dal suo lavoro. Thomas Andrews, il costruttore, aveva trascorso le ultime ore cercando di rassicurare passeggeri e camerieri incitandoli ad indossare i salvagente dicendo: «Giù di sotto è tutto in pezzi ma non affonderà se reggono le paratie poppiere». Alla fine fu visto dal cameriere John Stewart, in piedi, nel salone fumatori, con lo sguardo fisso su un quadro: Il porto di Plymouth, del pittore Norman Wilkinson.

 

Il cameriere (che riuscì a salvarsi) gli chiese se non voleva fare nemmeno un tentativo, ma Andrews restò lì come inebetito. Ida Straus rifiutò di salire sull'ultimo posto dell'ultima scialuppa per restare accanto al marito, Isidor Straus. Anche di Benjamin Guggenheim si ha una testimonianza curiosa, secondo la quale egli rifiutò il salvagente indossando l'abito da sera insieme al suo segretario: «Ci siamo messi gli abiti migliori e affonderemo come gentiluomini.» La frase passò alla storia ma non è chiaro a chi fosse rivolta. Il direttore del ristorante, monsieur Gatti, se ne stava in disparte in mantello e tuba, mentre il milionario J.J. Astor – che si era visto rifiutare da Lightoller un posto nella scialuppa n. 4 accanto alla moglie – rimase sul ponte lance fino alla morte.

 

Si disse che avesse messo in testa ad un ragazzino un cappello da bambina dicendo: «Ecco, adesso puoi andare». Poco dopo le 2,00 Lightoller tentò di calare in mare il battello pieghevole B arrampicandosi sul tetto degli alloggi ufficiali, ma non ci riuscì. Il pieghevole A venne portato via dal risucchio galleggiando capovolto. Il D venne calato in mare con 44 persone a bordo (la capacità era di 47) dopo che Lightoller e i suoi marinai lo difesero dall'assalto dei passeggeri tenendosi per le mani formando una catena umana. Queste lance erano le ultime lance rimaste a disposizione. Il colonnello Gracie riferì che in quel momento una folla immensa proveniente dai piani inferiori emerse coprendo tutto il ponte lance: si trattava dei passeggeri di terza classe rimasti fino ad allora sottocoperta. Circa un centinaio di persone si radunarono intorno a due sacerdoti e cominciarono a recitare il rosario. Con loro arrivarono anche tutti i macchinisti, che avevano lavorato alle pompe ritardando il più possibile l'affondamento e assicurando la luce elettrica fino quasi alla fine.

 

L'affondamento in un dipinto d'epoca di Willy Stower.

I macchinisti morirono tutti. Verso le ore 2,10 la poppa si era sollevata al punto da formare un angolo di 30° con la superficie del mare, stagliandosi contro il cielo stellato. La forza terrificante generata dall'emergere dello scafo provocò il lento schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che portarono lo scafo quasi al punto di rottura. Secondo i calcoli effettuati dagli scienziati della spedizione del 1997, sul Titanic agì in quel momento una pressione di tre tonnellate per centimetro quadrato. La ciminiera di prua si staccò, mentre l'acqua ruppe i vetri della cupola e inondò lo scalone riversandosi nella nave.

 

Alle 2,20 anche la parte poppiera si inabissò, portando a termine la breve vita del Titanic.

Le operazioni di salvataggio

La quasi totalità dei 706 superstiti risultò consistere nelle persone che avevano preso posto sulle lance, mentre pochissimi furono i superstiti tra quanti si trovavano a bordo del Titanic nella fase finale dell'affondamento. La temperatura era di circa 0 gradi e tutti coloro che erano in mare avrebbero potuto resistere al massimo 10 minuti prima di assiderarsi. Infatti, gran parte dei naufraghi morì appunto per ipotermia e non per annegamento, dato che quasi tutti indossavano il giubbotto salvagente. Nessuno fu vittima degli squali (peraltro presenti anche a quelle latitudini) e nessuno fu vittima del risucchio verso il fondo che si creò al momento dell'affondamento. Delle circa 1.550 persone che erano a bordo del Titanic, nella fase conclusiva dell'affondamento, quando 18 delle 20 lance erano state calate (le rimanenti due, le pieghevoli «A» e «B», non poterono essere calate e furono trascinate in mare quando la nave affondò), i sopravvissuti furono circa 50-60.

 

Otto membri dell'equipaggio, due dei quali morirono per ipotermia dopo il salvataggio, furono recuperati dalla scialuppa numero 4, la penultima a lasciare la nave, che, al comando del timoniere Walter Perkins, si era trattenuta nei pressi del transatlantico allo scopo di imbarcare altri passeggeri dai portelloni laterali (che però furono trovati chiusi) e che si avvicinò agli uomini in mare, recuperando quelli che riuscirono a raggiungerla a nuoto.

Due lance di salvataggio del Titanic fotografate da bordo del Carpathia; la scialuppa sulla destra è la n. 14, sulla quale si trovava il 5º ufficiale Harold Lowe.

Altri quattro naufraghi, uno dei quali deceduto dopo il recupero, vennero tratti in salvo dalla scialuppa n. 14, che, al comando del quinto ufficiale Harold Godfrey lowe, fu l’unica imbarcazione a tornare verso il gruppo dei naufraghi in cerca di superstiti. Ad eccezione delle persone recuperate dalle lance n.4 e n.14, gli unici altri superstiti tra quanti erano a bordo del Titanic nei suoi minuti finali furono 40-50 persone che riuscirono a raggiungere i relitti delle lance pieghevoli «A» e «B».

 

Venti o trenta naufraghi riuscirono a raggiungere la pieghevole «A», rimasta alla deriva semiallagata (all'interno vi erano 30-35 centimetri d'acqua) e con i fianchi di tela abbassati, tanto che i superstiti dovettero trascorrere ore con l’acqua alle ginocchia, ma molti di essi non erano riusciti a salire sull’imbarcazione, ma solo ad aggrapparsi al suo bordo, in particolare gli ultimi arrivati, già troppo sfiniti ed assiderati per riuscire a salire, morirono di ipotermia nel corso della notte, mentre i sopravvissuti, il cui numero non è mai stato del tutto accertato ma risulterebbe verosimilmente ammontare ad una cifra compresa tra le 14-15 (nove o dieci passeggeri – tre di prima classe e sei o sette di terza classe – e cinque membri dell’equipaggio) e le 18-20 persone, vennero recuperati, la mattina seguente, dalla scialuppa n.14.

 

Tra i superstiti della pieghevole «A» vi fu anche Rhoda Mary Abbott, l’unica donna sopravvissuta a non essere salita su una scialuppa prima del definitivo inabissamento. Alcune decine di superstiti si arrampicarono invece sul relitto della pieghevole «B», che si era capovolta, ma alcuni dei naufraghi, tre o quattro, secondo quanto riferito dai superstiti, tra cui il primo radiotelegrafista John George Phillips e probabilmente anche il passeggero di terza classe David Livshin, morirono anch’essi d’ipotermia nel corso della notte, mentre 30 superstiti (11 passeggeri – tre di prima classe, uno di seconda classe e sette di terza classe – e 19 membri dell’equipaggio) vennero presi a bordo, la mattina successiva, dalle lance 4 e 12. Tra i superstiti della pieghevole «B» vi furono il secondo ufficiale Charles Herbert Lightoller, il secondo radiotelegrafista Harold Sidney Bride ed i passeggeri di prima classe Jack Thayer ed Archibald Gracie, che furono tra i principali testimoni oculari delle fasi finali dell’affondamento del Titanic. Il capo panettiere Charles John Joughin affermò di essere sopravvissuto in acqua per circa due ore, prima di riuscire a raggiungere dapprima la pieghevole «B» ed in seguito la scialuppa n.12, sopravvivendo senza quasi riportare sintomi di congelamento, ma il suo racconto è discusso.

 

L'unica altra scialuppa a recuperare dei superstiti dall'acqua fu la scialuppa pieghevole «D», i cui occupanti trassero in salvo il passeggero di prima classe Frederick Maxfield Hoyt, che era riuscito a raggiungere a nuoto la scialuppa, una delle più vicine al Titanic. Verso le 8 della mattina, giunse sul posto il Carpathia che recuperò i naufraghi sopravvissuti sulle lance. Le salme di quattro vittime decedute a bordo delle lance furono sepolte in mare dal piroscafo. A bordo fu poi tenuta una cerimonia religiosa per i dispersi ed alle 8,50 la nave partì per New York, dove arrivò il 18 aprile con 706 superstiti.

 

Le lance insufficienti

La legge emessa nel 1894 obbligava ad installare un minimo di sedici lance sulle navi eccedenti le 10.000 tons., all'epoca in cui la nave più grande del mondo: il Lucania pesava 13 000 tonnellate. Tuttavia, col passare del tempo, la legge non venne mai adeguata in proporzione all'aumento del tonnellaggio e nessuno si preoccupò di correggere la differenza. Il numero di lance a bordo del Titanic era quindi perfettamente in regola nonostante la nave pesasse 46.000 tonnellate. L'errore era ormai nettamente evidente nell'ambiente navale, tant'è vero che uno dei progettisti della White Star – Alexander Carlisle – fece installare sul Titanic le nuove gru di tipo "Welin", che potevano sostenere complessivamente 32 lance e ammainarne 64 (i bracci delle gru erano rotanti). Tuttavia, le lance aggiuntive non furono mai installate e la White Star si accontentò di aggiungerne soltanto quattro smontabili, più piccole, del tipo "Engelhardt". Pare che le decisioni finali siano state del progettista William Pirrie e di Bruce Ismay, secondo i quali il ponte lance con 16 lance avrebbe avuto un aspetto più dignitoso. Alla fine, Carlisle accettò la situazione dicendo: "A meno che il Board of Trade e i governi non costringano a installare un numero sufficiente di lance, nessun costruttore può permettersi tanto peso inutile".

Il problema delle paratie stagne

Come se non bastasse, la sciagurata decisione di eliminare ben 28 lance dal novero delle 48 previste (ne rimasero 16 in legno e 4 pieghevoli tipo Engelhardt), il presidente della White Star Line, Bruce Ismay, si rese responsabile anche della decisione di abbassare le paratie stagne per far posto ad un salone che avrebbe dovuto essere «…il più maestoso a memoria d'uomo». Prima della partenza, gli ispettori del Ministero del Commercio britannico fecero rilevare che era avventato aver abbassato le paratie stagne, ma concessero ugualmente il nulla osta alla partenza della nave. Le paratie vennero abbassate dai 4,5 m previsti dal progetto originale a 3 m, e questo risulterà fatale alla nave in quanto i compartimenti stagni non lo erano del tutto. Infatti, la riduzione dell'altezza delle singole paratie fece sì che esse non raggiungessero il tetto del compartimento, che stagno – a questo punto – non era più. Il mancato isolamento dei compartimenti danneggiati, durante l'appruamento, originò un sistema a "vasi comunicanti", tale per cui, quando un compartimento stagno si riempiva d'acqua, questa tracimava a cascata, causa il fatto che la paratia non chiudeva ermeticamente il vano non raggiungendo il tetto: si riempiva quindi il successivo e così via fino a che tutto lo scafo della nave si trovò invaso dall'acqua. Questa risultò – con ogni probabilità – esser stata la reale causa del rapido affondamento della nave, nonostante la buona qualità dell'acciaio impiegato.

 

L’affondamento del Titanic rappresentò la fine di un’epoca, il sogno infranto della Belle Epoque. Come per la caduta dell'Impero Babilonese, l’affondamento del Titanic ha rappresentato il simbolo dello sgretolamento di orgogliosi imperi, con una simile mescolanza di ricchi, borghesi e poveri tutti destinati insieme all'abisso. Era la fine di una leggenda che sposava la tecnologia alla ricchezza, il materialismo al romanticismo, l’illusione alla fantasia.

 

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 furono – forse per l’ultima volta – rigorosamente applicate le regole di una cavalleria un po’ romantica che costituiva, in senso esteriore, il punto d’arrivo della civiltà occidentale. Furono salvate per primi le donne e i bambini mentre gli uomini (e fra essi miliardari famosi) si rassegnarono a perire con dignità di gentlemen. Tramontò il mito dell’indistruttibilità di un prodotto della tecnologia moderna. Un mondo che sembrava sicuro e inviolabile, soprattutto per i ricchi, affondò insieme col transatlantico.

 

La tragedia che coinvolse la famosa nave non è solo da considerare come uno spiacevole e mortale incidente. Esso ha influito in maniera molto più incisiva nella coscienza dell’intero globo. A partire dagli anni ’30 del XIX secolo si erano diffuse idee di grande fiducia nei confronti della scienza e si credeva che la tecnologia potesse risolvere le problematiche della vita degli uomini. Inoltre, tutto ciò si inseriva in un quadro geo-politico di sostanziale stabilità: era la Belle époque. Si può ben capire come in un siffatto contesto l’affondamento di una nave ritenuta inaffondabile potesse colpire la coscienza generale. Il discorso diviene più chiaro se si tiene presente che solo due anni dopo l’Europa sarà coinvolta nella Grande Guerra che spazzerà via ogni speranza provocando la fine di buona parte delle classi dirigenti.

 

Il Titanic non rappresentò la fine di un'era ma un momento di pausa e riflessione sul fatto che forse non siamo così potenti come crediamo, con l'augurio che non ci sia più una "signora grigia", una "signora elegante" che abbia una così tragica fine.

CRONOLOGIA DELL’AFFONDAMENTO DEL TITANIC

0:30 – Iceberg spotted.

1:05 – Titanic collides with iceberg.

6:06 – The ship has stopped as damage inspections are carried out.

7:44 – Captain Smith orders engines to ‘Half Ahead’.

19:41 – Titanic stops for the last time.

20:04 – Excess steam is vented.

38:08 The Titanic begins taking on a ‘starboard list’.

43:03 – Thomas Andrews estimates 1-2 hours before the ship sinks.

46:23 – The first distress calls are sent out.

48:38 – Lights of another ship are spotted on the horizon.

53:07 – Most lifeboats are prepared to evacuate passengers.

58:20 – Carpathia responds to Titanic’s distress calls.

1:01:29 – Lifeboat 7 is launched.

1:05:03 – Lifeboat 5 is launched.

1:05:21 – The D-Deck gangway doors are opened.

1:06:04 – The telegraph operators begin using ‘SOS’.

1:07:22 – Lifeboat 5 encounters lowering difficulties.

1:08:02 – Officer Boxhall launches the first distress rocket in an attempt to signal the ship on the horizon.

1:10:24 – The Carpathia confirms it is on it’s way.

1:11:03 – Steam stops venting from the funnels.

1:13:20 – The starboard list is eliminated as Boiler Room 5 floods.

1:21:28 – Lifeboat 8 leaves.

1:28:22 – Suction pumps are activated.

1:31:33 – Lifeboat 6 is launched.

1:36:57 – Water is up to the Titanic’s nameplate.

1:39:37 – Titanic begins listing to port.

1:41:43 – Lifeboat 16 is launched.

1:46:54 – Lifeboat 14 is launched.

1:51:18 – Lifeboat 14 is dropped 4 feet into the sea from its falls after they jammed.

1:51:42 – Lifeboat 12 is launched.

1:52:29 – Lifeboat 9 is launched.

1:58:53 – Lifeboat 11 is launched.

2:00:41 – Lifeboat 13 is launched.

2:05:21 – Lifeboat 13 is pushed aft by the discharging condenser, jamming it on the falls.

2:05:50 – Lifeboat 15.

2:05:42 – Lifeboat 13 cannot release itself as Lifeboat 15 comes down on top of it.

2:07:07 – Lifeboat 13 is released and is pulled out from underneath Lifeboat 15 as 15 lands in the water.

2:07:38 – Lifeboat 2 is launched.

2:09:31 – The lights on the horizon disappear.

2:11:52 – Lifeboat 4.

2:12:22 – Lifeboat 10.

2:22:12 – It is now 2AM. The Titanic has 20 minutes left.

2:26:10 – Collapsible Boat D is launched.

2:29:39 – The last messages from the Titanic are heard.

2:30:46 – Collapsible A is slid off the Officers’ Quarters roof.

2:31:03 – The Wireless Room is abandoned.

2:31:42 – Collapsible B is thrown from the roof of the office quarters. It lands upside down in the water.

2:34:01 – Survivors distinctly hear 4 explosions from deep within the ship.

2:39:23 – All remaining power is lost. The ship breaks in two.

2:40:36 Titanic is gone. Rescuers do not arrive for another hour and 40 minutes.

2:40:51 – Titanic is heard below the surface as it breaks apart, implodes and falls to the sea floor.

 

TUTTI I NUMERI DEL TITANIC

http://www.titanicdiclaudiobossi.com/Html/Tutti%20i%20numeri_42.htm 

 

 

 

 

CARLO GATTI

 


30 Marzo 2015

 

 

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

Pino SORIO

Il Titanic ormai libero e pronto per il varo il 31 maggio 1911. Lo scalo lungo il percorso é già stato cosparso di 22 tons di sego, olio di balena e sapone in pasta.


 

Particolare dell'invasatura


Alle 12.15 del 31 maggio 1911 anche la poppa é libera ed il Titanic ormai é pronto per andare incontro al proprio destino

 


 

 

 

Poco dopo mezzogiorno, ad un gesto di Lord William James Pirrie, il Titanic viene lanciato in mare alla velocità di 22 nodi

Il Titanic subito dopo il varo


Il 3 Febbraio il Titanic entra in bacino per terminare i lavori di pitturazione

Il Titanic in allestimento in banchina con soli tre fumaioli

La pitturazione é quasi terminata

Belfast, sabato 6 Aprile 1912, il Titanic parte per prove in mare

Le prove furono effettuate per sole 12 ore


Titanic e Olympic

Successivamente la nave raggiunse il porto di Southampton e partì per il viaggio inaugurale il 10 Aprile 1912

Scala dal cielo a vetri della 1a classe

Veranda caffé vista dall'esterno

Veranda caffé vista dall'interno

Il ponte principale del Titanic in fase di completamento

Imbarco del fumaiolo

Il fumaiolo del Titanic

L'asse dell'elica centrale del Titanic in lavorazione al tornio

Uno dei due assi laterali del Titanic pronto per essere imbarcato

Particolare dell'asse dell'elica laterale carenato allo scafo

Le tre eliche dopo il montaggio

L'elica centrale del Titanic

Montaggio delle eliche

La macchina del timone del Titanic

Il timone del Titanic

Il ponte intermedio in costruzione

Il cielo del doppiofondo ormai stagno del Titanic

Il pistone idraulico allestito in occasione del varo per fornire la spinta iniziale che doveva consentire al Titanic di scorrere lungo lo scalo.

La Sala Macchine del Titanic


Il Motore a 4 cilindri a triplice espansione di vapore del Titanic
in assemblaggio quasi pronto per le prove al banco.

Albero a gomito pronti

Rotore turbina del Titanic in lavorazione

Rotore della turbina del Titanic in lavorazione sul tornio

Involucro contenente il rotore della turbina a vapore

Le 29 caldaie del Titanic

Particolari costruttivi delle porte stagne del Titanic

 

 

 

 


GEORGES VALENTINE - IL VELIERO RITROVATO

 

GEORGES VALENTINE

IL VELIERO RITROVATO

IL GEORGES  VALENTINE ERA STATO COSTRUITO A LIVEPOOL NEL 1870.  ATTRAVERSO’ L’OCEANO E ANDO’ A NAVIGARE INTORNO AL MONDO,  CON VIAGGI DALLA FLORIDA   VERSO L’AUSTRALIA !

NEL 1904 NAUFRAG0’ PRESSO STUART,  IN FLORIDA. MA  DOPO CENTODIECI  ANNI TORNO’ A CAMOGLI GRAZIE ALL’ASSOCIAZIONE CAPITANI E MACCHINISTI E AL MUSEO MARINARO GIO BONO FERRARI.

Il Comandante Roberto VOLPI

Una storia incredibile, legata a Camogli e alla sua marineria! Dopo molti decenni,  per la curiosità di un Comandante di Navi da Crociera,  Roberto Volpi, viene alla luce uno di quei naufragi che  chiameremmo spettacolari, e che una volta, purtroppo, non erano rari quando si navigava spinti soli dal “buon vento”.

Nel 1870, a Liverpool, dopo la sua costruzione nel 1869, viene registrata, dai LLOYDS di Londra,  una nave , che prende il nome di “ CAPE  CLEAR” per conto della Società MEIERS and COMPANY. In realtà si trattava di un piroscafo a un’elica, di 767 Tonnellate di registro, scafo in acciaio con vele ausiliarie, classificato  nell’uso comune “Vapore con Vele”.

Dopo il varo la nave fu impiegata nelle rotte Liverpool - Australia per il trasporto di passeggeri e merci varie.

Nel 1889 il “Cape Clear” fu venduto ad una compagnia di Navigazione Francese, con sede a Bordeax, che addirittura trasformò  il Piroscafo in Brigantino a Palo, eliminando la parte motrice a vapore, eccetto una caldaia. La Nave, così trasformata fu rinominata GEORGES VALENTINE e successivamente veniva venduta ad un armatore di DUNKERQUE.

Nel 1895 fu acquistata dagli armatori camogliesi Mortola e Simonetti  per essere adibita a viaggi regolari  per il trasporto del legname dal porto di Pensacola (Florida) per il Sud America.

Questa trasformazione “al contrario”, oppure in “controtendenza”   da Vapore a Brigantino a palo, rispetto all’evoluzione del tempo,  é davvero sorprendente...!

Nell'ottobre del 1904, per proseguire nel nostro racconto, il brigantino a palo GEORGES VALENTINE salpò da Pensacola per Buenos Aires con un carico di travi di mogano.

L'equipaggio consisteva in dodici uomini di differenti nazionalità, al comando del Cap. PROSPERO MORTOLA detto “TESTANEIGRA” di Camogli.

Il viaggio iniziò con tempo buono e venti favorevoli che si mantennero per tutta la traversata del Golfo del Messico. Il 13 ottobre era in vista delle luci dell'AVANA.

Improvvisamente, mentre era impegnato nell'attraversamento dello stretto della Florida, il brigantino fu investito da forti venti di burrasca che sostenne per un giorno e mezzo, senza riportare avarie. Nonostante ciò, dato il perdurare della burrasca, il Capitano preoccupato per la sicurezza dell'equipaggio e della nave,  ad un certo punto ordinò il gettito a mare del carico sopra coperta con l'intento di alleggerirla e migliorarne la stabilità.

Il terzo giorno le condizioni meteomarine peggiorarono ulteriormente, con venti forti, violenti piovaschi e mare molto agitato, con onde che spazzavano continuamente la coperta.

Il Capitano Mortola sapendo di essere scarrocciato verso la costa di sottovento, tentò ogni possibile manovra per mantenere il GEORGES VALENTINE in acque profonde, ma tutto fu inutile. Verso le 8.00 di sera del 16 ottobre, nel fragore delle onde che si infrangevano contro la   scogliera, la poppa urtò un banco di roccia sommerso e in breve tempo l'intero scafo fu sospinto contro la costa.

Nell'urto,  i tre alberi d'acciaio,  furono abbattuti uccidendo nella caduta uno degli uomini dell'equipaggio. Il cassero e le lance di salvataggio furono spazzate via dalle onde. Anche l'equipaggio, privo di ogni riparo, venne trascinato in mare e sospinto verso la costa molto accidentata.

Casa Rifugio com'era, com'é

Victor Erickson, un marinaio svedese, fu il primo a toccare terra, sostenendo l'ufficiale Ernest Bruce, troppo debole per lottare contro il mare. I due risalirono la pericolosa costa rocciosa nudi, feriti, stanchi e infreddoliti e raggiunsero la Casa Rifugio a Gilbert's Shoal, dove svegliarono il responsabile della struttura, il Capitano William  Rea, che diede immediato aiuto ai due uomini e organizzò la ricerca degli altri naufraghi.

La Casa Rifugio di Gilter's Bar, costruita nel 1876, è l'unica rimasta delle dieci Case Rifugio edificate dal Governo degli Stati Uniti lungo la brulla costa orientale della Florida, per offrire  assistenza ai superstiti dei numerosi naufragi che si verificavano lungo quella costa. Infatti i naufraghi che riuscivano a raggiungere la riva, generalmente in cattive condizioni fisiche per i traumi subiti nel disastro della loro nave, spesso morivano per mancanza di aiuto.

I custodi di queste Case Rifugio percorrevano la costa, specialmente dopo le tempeste, alla ricerca di persone che necessitavano di assistenza in seguito ai “non rari naufragi”.

Attualmente, la Casa Rifugio di Gilter's Bar,  è adibita a Museo, ma durante l'ultimo conflitto, tra 1942 e il 1945 fu ancora utilizzata come punto di osservazione per l'avvistamento di eventuali sommergibili tedeschi.

Erickson, si pose in alto sulle rocce, con una lanterna, per guidare i restanti membri dell'equipaggio sopravvissuti verso la salvezza, sfidando con il Capitano Rea il pericolo di essere colpiti dal legname trasportato dalla nave, scaraventato sulla costa dal vento. Le ricerche durarono per tutta la notte e portarono al ritrovamento di altri cinque uomini.

Tutti avevano riportato ferite, lacerazioni e fratture agli arti e furono aiutati a raggiungere la Casa Rifugio, dove vennero rifocillati e curati.

La tempesta imperversò ancora per due giorni e l'intero equipaggio del brigantino a palo sarebbe sicuramente perito se il naufragio non fosse avvenuto nei pressi della Casa Rifugio.

Nessuno dei cinque uomini mancanti, tra cui i camogliesi Prospero Modesti, allievo ufficiale, Francesco Schiaffino detto “Barbasecca”, nostromo e Filippo Chiesa, dispensiere, fu recuperato.

Il Georges Valentine divenne la loro tomba.

Quattro giorni  dopo il  Naufragio del Brigantino Camogliese, Il 17 ottobre 1904, durante la stessa tempesta, la nave spagnola “Cosme Calzado” si incagliò tre miglia a nord del Georges Valentine. Dei sedici uomini d'equipaggio uno solo annegò, impigliato nel sartiame, mentre gli altri riuscirono a guadagnare la spiaggia e a rifugiarsi in un capanno, sino a quando furono trovati e ospitati nella Casa Rifugio insieme all'equipaggio del Georges Valentine.

Il Capitano Rea e sua moglie, con l'aiuto di alcuni residenti locali, curarono tutti i naufraghi, sino a che furono in condizioni di intraprendere il viaggio verso le loro case.

Il Capitano Rea dichiarò: “Con questi due equipaggi abbiamo avuto scozzesi, russi, italiani, spagnoli e svedesi; mai tanti naufraghi erano stati ricoverati insieme nella Casa Rifugio, eppure tutto è andato bene e tutti hanno collaborato. Quando finalmente li ho accompagnati  a Jacksonville per il rimpatrio tutti gli uomini mi hanno salutato sull'attenti e il Capitano Mortola, abbracciandomi, mi ha detto commosso “Good-bye Captain, non ci rivedremo più'”.

Il George Valentine, del valore di  18,000 dollari, andò completamente perduto, mentre il carico di travi di mogano, per buona parte recuperato sulla scogliera e sulla spiaggia, con un valore iniziale di  7,000 dollari, fu venduto all'asta per soli 200 dollari.

Molti dei travi recuperati sulle spiagge o sulla costa, furono usati per la costruzione di case nella zona di Stuart in Florida.

Tutti gli uomini degli equipaggi dei due velieri rientrarono alle loro case, tranne un russo, Edward Sarkenglov, che cambiò nome in Ed Smith e divenne un pescatore locale, conosciuto come “Big Ed”.

Capitan Rea e sua moglie restarono alla Casa Rifugio sino al maggio 1907.

Questa è la storia del Georges Valentine, una storia drammatica, con risvolti tragici per la perdita di vite umane, ma soprattutto di solidarietà allo stesso tempo. Una storia sconosciuta, fino a poco tempo fa,  dai conservatori  della Storia Marinara di Camogli del Museo Marinaro Gio Bono Ferrari.

Ma ecco che il caso e la curiosità di un camogliese la riporta alla luce.

Al centro, il comandante Roberto Volpi

Bruno Malatesta a sinistra ospite della Casa Rifugio

Da sinistra: G.Massone, N.Andreatta, G.Gazzale, Pro.Schiaffino, C.Gatti, Mario Peccerini

Un membro veterano della Società Capitani di Camogli, il Comandante Roberto Volpi, comandante di prestigiose e moderne Navi da Crociera, contattò dalla Florida, dove si trovava imbarcato,  il Capitano  Bruno Malatesta, vice presidente della Società Capitani e Macchinisti. Egli riferì che a Stuart, circa 150 kilometri a Nord di Miami, si trovava un Museo che conservava alcuni reperti di un veliero camogliese, il Georges Valentine.

Qui ci fermiamo un momento per sottolineare la continuità della nostra tradizione marinara: un capitano di oggi che ha studiato al nostro Istituto Nautico – responsabile della vita di migliaia di persone e della sicurezza della sua nave - riportava alla luce dei fatti riguardanti la nave di un capitano camogliese di oltre cento anni fa!

Il Comandante Volpi, inviò a Malatesta  una documentazione riguardante i registri di accoglienza della Casa Rifugio di Gilbert’s Shoals, nelle vicinanze di Stuart. Quei fogli parlavano di un naufragio dove persero la vita delle persone e nel quale il brigantino camogliese Georges Valentine” fu dichiarato “perdita totale”.

I nomi registrati dall’allora responsabile della Casa Rifugio, Capitano William  Rea, riportati in maniera scorretta, erano  inconfutabili nomi camogliesi.

Bisognava però saperne di più: al giorno d’oggi è difficile far funzionare la macchina del tempo che ti riporta 110 anni indietro; per alimentarla hai bisogno di documentazione e ricerca che sono propellente raro, poiché introvabile in rete.
Ma l’occasione era ghiotta: ci veniva fornito il segmento finale, dice Malatesta,  di una tragica storia che, sul versante americano era motivo di interesse culturale,  ma per noi era anche la conoscenza di fatti tragici che coinvolsero dei concittadini naviganti.

Ovviamente iniziò una fitta corrispondenza con la direttrice capo del Museo di Stuart, Janet Hendrix, la quale ci fornì della preziosa documentazione, a noi completamente sconosciuta. Dal canto nostro, avevamo poco da offrire, se non la certezza che quei nomi riguardavano Camogli e la sua tradizione marinara e così, Malatesta,   si impegnò  ad effettuare delle ricerche.

Ma ecco finalmente la corrispondenza inconfutabile: nel famoso testo di Gio Bono Ferrari, “Capitani e Bastimenti di Liguria”, esattamente a Pag.478  - è sempre Malatesta che parla -  trovai l’annotazione che, a grandi linee, descrive il naufragio del Georges Valentine! Anche noi avevamo finalmente un riscontro ufficiale!

Immediatamente lo inviai alla signora Hendrix per un confronto, e di lì nacque un solido legame tra due remoti punti geografici della vita di questo veliero. Specifico qui che nella lista dei diplomati nautici del 1883, a Camogli, c’era solo la sezione Coperta, ed è riportato  elencato il nome Prospero Mortola, che all’epoca dei fatti avrebbe avuto circa  quarantanni.  Ogni ulteriore informazione – forse da San Rocco, dove il cognome Mortola è  molto comune - sarebbe  benvenuta.

Prospero Modesti, l’Allievo ed il suo compagno di classe,  Bartolomeo Simonetti, anch’egli forse Allievo,  si diplomarono al nostro Istituto Nautico nel 1903, cioè l’anno prima del naufragio, per cui erano ovviamente giovanissimi.

Il ricordo  del Georges Valentine che naufragò nel 1904, è ancora vivo e tangibile ai nostri giorni in Florida. A circa 50 metri dalla scogliera di Gilbert’s Shoals, ancora adesso,  incredibilmente,   i suoi resti strutturali sono   visibili  in fondo al mare a circa 12 metri di profondità. L’ossatura delle sue ordinate e della  chiglia, sono  diventate un paradiso per gli escursionisti subacquei ed è l’undicesima  “Area Protetta Marina” dello Stato della Florida.

In queste foto vediamo i resti dello scafo del Georges Valentine che giace su bassi fondali visitati dai sub.

Non solo, anche  RAI 3, poco più di una anno fa, si interessò alla storia del Georges Valentine. Lo stesso Malatesta collaborò a realizzare un interessante filmato  e ne venne fuori un ottimo servizio su Camogli e la sua importante  tradizione marinara.

Casa Rifugio per i naufraghi

Ma la storia non finisce qui, nel Giugno del 2014, racconta sempre Malatesta,  “mi recai in Florida,  per  visitare la “Casa Rifugio” ancora perfettamente conservata,  che oggi appartiene al sistema Museale Elliot. Incontrai  il Custode, Jim Mc Cormick,  ed altri suoi assistenti. Come souvenir,  dal lato camogliese, avevo un crest della Società Capitani e Macchinisti e il testo di Gio Bono Ferrari, opportunamente tradotto, nel punto in cui specificava la perdita del veliero camogliese.

Durante quella visita fui accompagnato dal Comandante Volpi che aveva segnalato per primo a noi di Camogli la connessione tra la Casa Rifugio e il  brigantino camogliese.

Rimasi entusiasmato dalle condizioni interne della Casa e dei suoi reperti, tra cui anche alcuni resti, proprio del Georges Valentine.

Le Case Rifugio, ai tempi dell’Epoca Eroica della Vela, ebbero grande sviluppo un po’ in tutto il mondo, soprattutto lungo le coste più  impervie,  privi di segnalazioni luminose e in acque ritenute pericolose dai naviganti anche per la frequenza di tempo cattivo”.

Molte sono le testimonianze che vengono descritte   nella letteratura di mare, e pensiamo sia interessate citarne alcune.

Spesso venivano redatte delle cartine come quelle qui riprodotte nel cosidetto “atterraggio” della costa inglese, della Cornovaglia. I nomi evidenziati in giallo sono quelli di velieri o navi naufragati mentre quelli sottolineati sono i nomi geografici dei luoghi. Questa che vi mostriamo,  più recente,  riporta anche il nome Torrey Canyon, una famosa petroliera che inquinò la costa inglese nel suo naugragio avvenuto nel 1967. (Vedi articolo sul sito)

La Torrey Canyon è stata una delle prime petroliere, battente bandiera liberiana ,  capace di trasportare 120.000 tonnellate di petrolio greggio.

Si arenò al largo della Cornovaglia ne 1967, causando il primo rilevante disastro ambientale dovuto allo sversamento in mare di grandi quantità di petrolio e successiva contaminazione costiera da parte del greggio fuoriuscito.

Per evitare altri danni alle coste francesi e inglesi, dato che il mare mosso impediva un intervento adeguato e non esistevano esperienze precedenti di contenimento di simili disastri, il governo inglese diede ordine alla RAF di bombardare la nave ed incendiare il petrolio fuoriuscito.

Possiamo solo commentare che per lo meno,  i velieri non erano inquinanti quando naufragavano,  mentre il progresso nell’uso del combustibile di petrolio ha portato anche a queste spaventose conseguenze, tragiche soprattutto per la fauna e flora marina. Infatti,  negli anni seguenti altre grosse petroliere provocarono disastri ambientali e non di poco conto. In seguito a questi disastri, per primo negli Stati Uniti, si sono introdotte norme di sicurezza molto più restrittive e da molti anni tutte le petroliere, devono essere costruite a doppio scafo.

Sable Island (Nuova Scozia)

Un’altra straordinaria testimonianza di quanto era dura la vita per i marinai nell’800, è questa incredibile riproduzione  dell’Isola di SABLE ISLAND cioè  Isola della Sabbia, con tutte le date e i nomi delle navi naufragate,  che si trova a circa 80 miglia a est  della Nuova Scozia,  in Atlantico.

Soprattutto per la sua posizione, e la sua costa bassa e sabbiosa,  i naufragi, sono stati incredibilmente numerosi. Sable Island è stata anche soprannominata "TRISTE ISOLA DI LUTTO", e se guardiamo questa stampa su tela,  esposta al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta  di Chiavari,  comprendiamo facilmente il perché di questo soprannome. I marinai del tempo della vela hanno pagato prezzi spaventosi se pensiamo soltanto ai passaggi di Capo Horn o altre difficili navigazioni. Spesso,  la solidarietà umana ha cercato di lenire queste tragiche ferite che per secoli sono sono state un flagello per tanti naviganti.

Nei  maggiori porti di armamento o provenienza della “gente di mare” verso la metà dell'Ottocento  sorgeranno  delle associazioni a scopo prettamente umanitario  come la Società di Mutuo Soccorso di Lerici datata 1852 con scopi di assistenza sociale per le vittime dei naufragi o per chi rimanenva senza imbarco.

Mentre l'Assicurazione Marittima Camogliese riveste  scopi maggiormente assicurativi data la rilevanza economica armatoriale di tutto il mondo marittimo camogliese di quei tempi.

Molti anni prima, lungo le coste tempestose sorgevano le Case di Rifugio dette anche Case dei Marinai.

Molti di questi rifugi erano addirittura senza custodi dove il naufrago, infreddolito, bagnato e spesso ferito, all’interno vi trovava legna da ardere, cibo appeso al riparo dei roditori e istruzioni per raggiungere la sede di soccorso più vicina.

Un tipico esempio di questa straordinaria solidarietà era proprio l’isola della Sabbia che annovera circa 150 anni di soccorsi.

La prima stazione si formò nel 1801 e fu attiva sino al 1958. Molti naufraghi devono la vita alla preparazione e al coraggio degli equipaggi di soccorso. Chi è andato per mare sa bene che ogni puntino di questa carta ha rappresentato una tragedia. Vite perdute, famiglie distrutte, vedove  e bambini orfani.  Fin dal 1583,  i naufragi,  puntualmente registrati su Sable Island,  sono stati oltre 250. Un record non certo invidiabile crediamo.

Ma perché tanti naufragi a Sable Island!

Prima di tutto il mare attorno all’isola della Sabbia (nella foto),  è una delle zone più pescose del mondo. E’ anche vicino a una delle rotte più frequentate tra Europa e Nord America. Centinaia di navi vi passano   ogni anno.

Ma è una zona soggetta a tempeste.  Sable Island giace proprio sul passaggio della maggior parte delle tempeste che punteggiano la costa Atlantica del Nord America. Tempeste estremamente ingannevoli per i velieri che erano semplicemente spinti dal vento contro quest’isola.

La nebbia poi circonda l’isola: d’estate, l’aria calda della Corrente del Golfo produce densi banchi di nebbia incontrandosi con  l’aria raffreddata della Corrente del Labrador intorno a Sable. Sable è soggetta a nebbia 125 giorni all’anno; a Toronto,  nella costa vicina, sono soltanto 25.

Le correnti intorno a Sable sono ingannevoli. L'isola giace vicino al punto d’incontro di tre correnti oceaniche maggiori: la Corrente del Golfo, del Labrador e di Belle Isle.

Ma anche queste tragedie, per fortuna,  hanno avuto fine.

Sin dal 1947 non ci sono stati più naufragi: fino a tempi recenti, si usavano i sestanti per fare il punto nave. I  sestanti,  possiamo affermare  che  erano precisi, anche se si basavano sulla visibilità del sole o delle stelle ed erano inutili in caso di nebbia fitta o cielo coperto. In cattivo tempo, il Capitano navigava a “intuito” o meglio con la “navigazione stimata”,  usando la velocità della nave e la direzione per stimare la sua posizione. Ma anche in buone condizioni era un indovinare basato sull’esperienza. Correnti e temporali confondevano i calcoli del miglior “capitano”;  così si chiamavano sui velieri, non Comandante, come spiegano  al Museo Marinaro di Camogli.

Molti rapporti di naufragi riportano che il Capitano,  semplicemente …… “si perse”: giudicò erroneamente il punto nave e s’imbattè nell’isola della Sabbia per sbaglio.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, il radar e altri strumenti di navigazione più avanzati in ultimo il GPS  si diffusero sulle navi mercantili. L’isola della Sabbia cessò così di essere un pericolo incombente per la navigazione.

Trascorsi 11 anni senza naufragi, l’insediamento umano fu chiuso nel 1958. Ora i fari sono automatici, la sede principale é in rovina. I  residenti permanenti di Sable sono ora mezza dozzina di osservatori meteorologici, talvolta con le loro famiglie.

Un altro aspetto di questi naufragi erano le svariate quantità di materiale di bordo compresi pezzi dello scafo che arrivavano a terra,  il cui legname serviva a molteplici usi non escluso quello edilizio. A quei tempi tutto era utile e non sono rari i saccheggi che avvenivano quando un veliero naufragava in una costa impervia. In certi casi, parliamo di qualche secolo addietro, si arrivava persino a spostare le poche e rare luci che servivano per la navigazione, ingannando il capitano e facilitandone l’incaglio in qualche scoglio. Dobbiamo anche ricordare che il calcolo della longitudine, insieme a quello della latitudine determina il punto nave, ma questo dato importantissimo  cominciò ad  assumere connotati di una certa  precisione soltanto ai primi dell’ottocento con la costruzione e la dotazione obbligatoria sulle navi di precisi cronometri di bordo in seguito alle insistenze quasi ossessionanti,  ma giuste, dell’orologiaio inglese John Harrison. Un orologiaio vinse la battaglia della Longitudine contro i "dotti" astronomi del tempo. Ma questa è un’altra storia, anche se non meno affascinante.

Abbiamo voluto collegare la straordinaria storia del Georges Valentine alle tante Stazioni di Soccorso o Case Rifugio che esistevano al tempo della vela, per far capire  una volta di più, quanto è stata dura la vita del marinaio, che spesso viveva giorni di supplizi e di paure con poco cibo, quasi sempre  avariato,  ed il mare che gli demoliva la nave. Nell’imminente naufragio,  la sua unica speranza e salvezza era una solida fede in Dio o al suo Santo protettore che spesso era l’unico salvagente al quale tenersi aggrappato.

Nave Narcissus (Quadreria Santuario di Montallegro-Rapallo)

Gli ex voto dei marinai che si trovano in molti  Santuari sparsi un po’ in tutta Italia, da Milazzo a quello di Montenero a Livorno, a quello di Montallegro, alla Madonna della Guardia o al nostro Boschetto di Camogli,  sono una rilevante testimonianza religiosa e di fede, che in mezzo ad  una tempesta è l’unica cosa in cui credere.

Possiamo solo aggiungere che il naufragio del “GEORGES VALENTINE” , grazie al Comandante Roberto Volpi,  è stato un importante  salvataggio della memoria.

Un ringraziamento è doveroso verso i membri dell’Associazione Capitani e Macchinisti, che con determinazione hanno contribuito a questa scoperta.

Mentre il Museo Marinaro, Gio Bono Ferrari,   rappresenta la memoria vivente e operante delle attività produttive della nostra gente, che permisero ai nostri padri e ai nostri nonni di crescere e prosperare.

Ancora una volta scrigno prezioso di tanti tesori, avventure e ... tempeste.

Ernani ANDREATTA

Rapallo, 4 Marzo 2015


Webmaster: Carlo GATTI


Bibliografia:

- Gio Bono Ferrari – Capitani e bastimenti di Liguria–Arti Grafiche Tigullio– Rapallo-1939

- Florida Departement of State – Division of Historical Resources

- Geaorges Valentie Archaeological Preserve – Historical Society of Martin County

- Sandra Henderson e Deanna Wintercon – Home of History –

Southeastern Printing Inc. - Stuart, Florida.

- Michael Barnett – Florida's Shipwrecks – Arcadia Publishing Charleston, S.Caroline.

Foto:

- Bruno Malatesta

- Agenzia Bozzo - Camogli

- The Historical Society of Martin County (gentilmente concesse)

-Grande Atlante del Mondo – Vallardi Editore - 1988





COSTA VICTORIA - I NAUFRAGHI FORTUNATI

COSTA VICTORIA

I NAUFRAGHI FORTUNATI

Caraibi

Il 15 aprile 2001, la domenica di Pasqua, coincise con l’inizio della crociera di rientro. La nave attese i passeggeri provenienti dall’Europa con l’ultimo volo e alle 19.00 partì per la traversata atlantica. Gli scali previsti nei Caraibi erano Nassau, Isola Catalina, Tortola e St. Lucia. Dopo la partenza, alle 20.00  ci fu la santa Messa pasquale celebrata in teatro con una grande partecipazione dei nostri ospiti, alla quale seguì una bella cena. Il tempo era buono e dopo una sosta tranquilla e soleggiata a St. Lucia, il 20 aprile alle 18.00 iniziammo la traversata atlantica con destinazione St. Cruz de Tenerife.

Martinica

Dopo circa tre ore di navigazione, ci venne segnalata la presenza di una barca da pesca alla deriva in Atlantico con tre uomini a bordo; il motore funzionava, ma, essendo il sistema di ingrana/sgrana in avaria, era in balia del mare da due giorni. Era vicinissima alla nostra rotta. I tre uomini, stavano per perdere le speranze quando videro avvicinarsi un gigante enorme, l’imponente “Costa Victoria”, pronta a dare una mano alla loro fragile imbarcazione.

La barca da pesca alla deriva

Erano terrorizzati nel veder la nave sempre più vicina. Nel frattempo era arrivato anche un aereo da ricognizione che stava illuminando il mare con il proiettore.

 

Ricognitore

I tre giovani, grazie ad un piccolo Gps, erano riusciti a trasmettere le coordinate esatte, l’ultima opportunità, per loro, di essere soccorsi, essendo già piena d’acqua la barca, carica di circa 700 chilogrammi di pesce. Il mare lungo ed il vento forza 5 causavano non poche difficoltà alla manovra di avvicinamento alla piccola imbarcazione. Dopo una serie di manovre compiute sottovento, venne lanciata la cima. Fallito il primo tentativo, andò a segno il secondo, avendo sempre l’accortezza di fare in modo che il battello non finisse a poppa, dove avrebbe potuto essere risucchiato dalle eliche. Il Comandante in seconda, intanto, oltre ad essermi di supporto nella manovra, aveva destinato il nostro personale, sotto la destrezza del bravo e giovane  nostromo,  ai vari portelloni perché fosse pronto ad ogni evenienza. Intanto l’hotel director, molto collaborativo e attento, si preoccupava di informare i passeggeri sulla nostra manovra e di avvertire il capo alloggi del personale che stesse pronto con il vestiario del guardaroba di bordo e che provvedesse a predisporre la sistemazione dei naufraghi in cabina. Fu una mezz’ora di grande tensione, seguita dai circa 1900 passeggeri e dagli 800 uomini di equipaggio, poi finalmente si riuscì ad affiancare la barca al portellone già aperto e a recuperare i pescatori, tre robusti giovanotti creoli, provati da due giorni terribili.

 

Ormai sicuri di salvarsi, ebbero la prontezza di  prendere il  miglior pesce tra tutto quello che avevano a bordo - alcune cassette di capponi - per regalarlo al personale che li stava aiutando a salire a bordo. Dopo di ché affidai alle cure del medico di bordo i tre giovani ormai disidratati e sfiniti, che dissero di essere fratelli. Presi poi contatto con la capitaneria di Martinica per comunicare l’avvenuto salvataggio e la posizione dell’imbarcazione lasciata alla deriva che fu, il giorno dopo, ritrovata da altri pescherecci più grossi e trainata sino in porto. Con la salvezza, i tre fratelli si conquistarono anche un’enorme simpatia tra i passeggeri che vollero incontrarli  nella tarda serata, dopo la fine dello spettacolo. Ci fu un grande applauso in loro onore, perché oltre ad essere giovani e robusti erano anche dei bei ragazzi. La solidarietà dell’equipaggio e dei passeggeri  fu grandissima, organizzammo una colletta che fruttò 2581 dollari, una fortuna per i tre fratelli.

Con parte del denaro poterono così riparare la loro barca al rientro a Martinica. All’arrivo a Santa Cruz de Tenerife, il 26 aprile, venne il console francese a bordo e i tre fratelli, dopo aver espletato le pratiche di sbarco, ci salutarono e lasciarono la nave.

 

La traversata fu tranquilla, dopo gli scali a Gibilterra e a Barcellona, martedì 1 maggio arrivammo a Genova.

 

 

Santa Cruz de Tenerife

 

CSLC Mario Terenzio PALOMBO

Rapallo, 23 Febbraio 2015



TORREY CANYON - Primo Disastro del Gigantismo Navale -

Petroliera TORREY CANYON 121.000 G.T.

PRIMO DISASTRO DEL GIGANTISMO NAVALE

18 MARZO 1967

 

CANALE DELLA MANICA

TORREY CANYON: Petroliera monoscafo

Varo: 28 ottobre 1958 – Affondata il 18 marzo 1967

Portata lorda: 118.285 tpl

Lunghezza f.t.: 296,90 mt

Larghezza: 31,70 mt

Pescaggio: 17,20 mt

Velocità: 17 nodi

Alle 08.40, il Comandante si rese conto che vi era stato un errore nella posizione calcolata dal 3° Ufficiale, e che la nave si trovava troppo vicina al Seven Stones Reef. Ordinò al timoniere di passare dal pilota automatico al manuale e di portare la barra a sinistra, ma da questo momento, per una serie di concause dovute all’urgenza ed alla conseguente perdita della necessaria lucidità, il passaggio al manuale non avvenne, o avvenne in ritardo, per cui ritenendo il timone in avaria si ripassò sull’automatico e successivamente ancora al manuale, con la perdita del governo della nave, sino all’inevitabile disastro.

 

La Torrey Canyon, alla velocità di 17 nodi andò a urtare Pollard’s Rock, nella parte più occidentale di Seven Stones Reef, producendo un’enorme squarcio a sei tanche: ebbe così inizio il primo dei grandi disastri ecologici provocati dal naufragio di superpetroliere.

 

I tentativi di disincagliare la nave e portarla in mare aperto, messi in opera da alcuni rimorchiatori olandesi giunti rapidamente sul luogo del disastro, risultarono vani e nelle fasi convulse di queste operazioni perse la vita il marinaio di uno dei rimorchiatori.

 

Il 18 marzo 1967 la petroliera ” Torrey Canyon naufraga nel canale della Manica: 120.000 tonnellate di grezzo si riversano su 180 Km di coste inglesi e francesi. Distrutte 35.000 tonnellate di pesci, crostacei, conchiglie, oltre a 100.000 tonnellate di alghe.

In questa cartina, la macchia scura rappresenta la fascia d’inquinamento che ha minacciato il Canale della Manica, le coste della Normandia e della Bretagna.

Alle ore 03,30 del 18 marzo 1967, la M/N “Torrey Canyon” lanciò l’ S.O.S. seguito dal seguente messaggio: “Siamo incagliati sulle Isles of Shilly – Chiediamo assistenza immediata”. I soccorsi si attivarono subito. Iniziò la trattativa tra la società armatrice della petroliera e la Compagnia dei rimorchiatori Olandesi che rispose per prima alla chiamata di soccorso. Anche in questo caso, le parti si accordarono sull’applicazione della ben nota: “No cure, No Pay”. La OPEN FORM degli Assicuratori  Lloyd di Londra – Tuttavia si dovette registrare un increscioso ritardo nelle operazioni di salvataggio, perché la società armatrice dei rimorchiatori, inizialmente, si sarebbe rifiutata di firmare il contratto. Come al solito si pensò prima agli interessi economici...

Numerosi e complessi furono i tentativi di disincagliare e salvare la nave, ma tutti con esito negativo. Dai numerosi squarci nello scafo, l’intero carico composto di “crude oil” finì praticamente tutto in mare. Unità della Marina Britannica versarono in mare 10.000 tonnellate di solventi nel tentativo di emulsionare e disperdere il petrolio, purtroppo questi prodotti chimici erano però altamente tossici e produssero a loro volta molti danni alla fauna ittica. Dopo alcuni giorni di strenua lotta su tutti i versanti, le condizioni meteo peggiorarono raggiungendo forza 8  a causa del vento e del mare da Sud Ovest. La conseguenza più immediata fu che la Torrey Canyon cessò di essere una nave, si spezzò in più parti, e divenne un ammasso di relitti in un mare inquinato ed in tempesta. Si dovette anche registrare la morte di un marinaio imbarcato su un rimorchiatore di salvataggio. In seguito a questo scenario ormai irrecuperabile e diventato pericolosissimo per la navigazione, oltre che per l’ambiente, le Autorità Britanniche decisero di bombardare la nave, ormai ridotta in pezzi alla deriva, con aerei della Royal Air Force per farla affondare ed incendiare il petrolio fuoriuscito. Per giustificare il proprio comportamento, le autorità inglesi fecero riferimento allo "stato di necessità". Non vi fu quindi il salvataggio della nave, non vi fu quindi il “no cure no pay” per i partecipanti alle operazioni di salvataggio.

La Torrey Canyon fu la prima petroliera (battente bandiera liberiana) capace di trasportare 120,000 tonnellate di petrolio grezzo.

 

Si può soltanto dire che il tragico evento della TORREY CANYON fu una sconfitta per tutti: Stati, trasporti, armatori, turismo, pesca, fauna di ogni tipo.... Si arenò al largo dellaCornovaglia nel 1967 causando il primo rilevantedisastro ambientale dovuto allo sversamento in mare di grandi quantità di petrolio e successiva contaminazione costiera da parte del petrolio fuoriuscito.

 

L’equipaggio, composto interamente da italiani, fu miracolosamente tratto in salvo.

La causa dell’incaglio: secondo i risultati di numerose inchieste effettuate dalle Autorità competenti, é da imputarsi al difettoso funzionamento degli apparati di conversione dal passaggio automatico a quello manuale del timone.

ALBUM FOTOGRAFICO

I Rimorchiatori che risposero alla chiamata di soccorso della TORREY CANYON

Rimorchiatore di salvataggio UTRECHT

Rimorchiatore di salvataggio STENTOR

Rimorchiatore di salvataggio TITAN


Carlo GATTI

Rapallo, 23 Febbraio 2015

 

 

 

 

 


COSTA ROMANTICA - Salvataggio Naufraghi Cubani

COSTA ROMANTICA

Salvataggio naufraghi cubani


Nel febbraio 1994 mi trovavo al comando della M/n Costa Romantica, (GRT 53.049,  Lunghezza mt. 220,6 – Larghezza mt. 30,8 – Velocita max. 20 nodi, propulsione Diesel, potenza 28,800 BHP, dotata di 2 X 1200 KW bow thursters, 1 X 1200 KW stern thruster, capacità max passeggeri 1690, equipaggio 579). La nave, in quel periodo, effettuava crociere di sette giorni nei Caraibi, con partenze da Miami.  Avevo seguito, da circa un anno, l’allestimento di questa bella nave che era, allora, l’ammiraglia della flotta Costa Crociere e della marina italiana. Era stata un’esperienza molto interessante e fui molto onorato di assumerne il comando. Sabato 5 febbraio, partiti da Grand Cayman, ultimo scalo della crociera, stavamo navigando verso Miami e ci trovavamo 40 miglia al traverso di Key West; lontanissima, dalla parte opposta, si intravedeva Cuba. Eravamo in acque internazionali. Ad un certo punto il primo ufficiale di guardia, mi informò di aver visto in lontananza, sul lato sinistro, una chiatta con molte  persone a bordo che stavano facendo segnali di luce. Erano circa le 18.00. Mi recai sul ponte di comando, osservai con il binocolo per rendermi conto della situazione e, senza esitare, assunsi il comando riducendo subito la velocità, avvertendo la sala macchina che accostavamo per una manovra di emergenza in mare. Chiamai sul ponte il comandante in seconda, gli ufficiali e il personale addetto alla manovra.  Furono avvertiti i passeggeri e, in pochi minuti, la “Costa Romantica” invertì la rotta andando incontro ai presunti naufraghi. Mentre ci avvicinavamo, avvertivamo sempre più chiaramente le urla e i segnali degli occupanti la zattera. Mandammo anche a tutte le altre navi e alla Coast Guard di Miami il messaggio che stavamo facendo un recupero di emergenza. Non ci furono problemi e ottenni l’autorizzazione anche dell’ immigrazione americana con la richiesta di inviare, subito dopo, i nominativi dei naufraghi recuperati.


 

 

Mi avvicinai lentamente, date le condizioni del mare molto mosso,  non feci mettere la nostra lancia in mare perché sarebbe stato poi molto difficoltoso riagganciarla, ma sfruttando l’ottima manovrabilità della nave, mi accostai lentamente alla zattera sino a sfiorarla,  azionai le macchine e le eliche di manovra, feci aprire il grande portellone centrale della nave dotato di rampa estendibile in senso orizzontale e manovrabile in senso verticale, fermai le macchine e i naufraghi, con l’aiuto del nostro personale, salirono a bordo. Erano in dieci: sette  uomini, due donne e un bambino di 12 anni; erano tutti giovani, il maggiore aveva 41 anni, gli altri un’età compresa tra i 20 e i 30. Erano cubani, tutti provvisti di documenti. La zattera di circa sei metri per tre metri aveva un telaio in ferro sul quale erano state compresse cassette di legno e polistirolo. Erano in mare da oltre  una settimana, allo stremo delle forze, disidratati, bagnati fradici, assetati e affamati. Avevano una cartina nautica che raffigurava la costa americana sulla quale era indicata la rotta da seguire, non avevano però fatto i conti con la corrente del Golfo. Quando li trovammo erano proprio sull’asse della corrente  con un motorino da 15 HP, senza benzina. La corrente li avrebbe portati lontano dalle coste verso il largo. Furono visitati dal nostro medico, vestiti e rifocillati. Riuscimmo  pure a sollevare e recuperare la zattera che poteva costituire un pericolo per la navigazione. Feci fare un annuncio ai passeggeri informandoli che tutti i naufraghi erano sani e salvi e notificai l’esito dell’operazione alle autorità di Miami e alla nostra Società.  Il giorno dopo, effettuato  il controllo dei loro passaporti da parte delle autorità di immigrazione, i naufraghi  furono assegnati ad una associazione che si sarebbe occupata della loro integrazione nella comunità cubana in America.

Capitano Superiore di Lungo Corso

Mario Terenzio PALOMBO

Rapallo, 10 Gennaio 2015

 

 


"MARINA DI EQUA": Naufragio assistito

MARINA DI EQUA - TITO CAMPANELLA

NAUFRAGATE

PREMESSA

 

I naufragi delle Bulk Carrier avvenuti a distanza di tre anni l’uno dall’altro, hanno in comune alcune coincidenze:

 

- Erano navi obsolete

 

- Avevano caricato laminati in Nord Europa

 

- Era inverno. Mare forza e onde alte 10 metri

 

- Sono affondate nello stesso cimitero di navi: Golfo di Guascogna

 

- Nessun superstite

 

- Naufragio assistito... per la MARINA DI EQUA

 

- Naufragio fantasma... per la TITO CAMPANELLA

 

 

I due articoli che seguono intendono essere una raccolta di dati, di testimonianze raccolte qua e là per tenere sempre accesa la fiamma del ricordo delle vittime, ma anche per tenere “alta la guardia” contro coloro che perseguono soltanto il profitto economico e considerano la SICUREZZA una tassa da pagare, non un cammino di civiltà da percorrere insieme.

 

 

 

33° ANNIVERSARIO DELL’AFFONDAMENTO DELLA BULK CARRIER

“MARINA DI EQUA”

UN NAUFRAGIO ASSISTITO

30 vittime, la perdita della nave e del suo carico. Questo é l’ennesimo tributo pagato al Golfo di Biscaglia

 

 

 

29 Dicembre 1981

 

La Marina d’Equa, 32mila tonnellate di stazza e 178 metri di lunghezza, di proprietà della compagnia Italmare, s’inabissò nel golfo di Biscaglia, a circa 175 miglia dalla costa spagnola di La Coruña, nel pomeriggio del 29 dicembre del 1981, trascinando in fondo al mare, in pochi secondi, il carico e i trenta marinai: undici di Meta, sette di Piano di Sorrento, uno di Sorrento e due di Massa Lubrense, insieme ai cinque di Torre del Greco, ai tre dell’isola di Procida ed all’unico cileno.

 

 


Monumento ai Caduti del Mare

In data 29 Dicembre 2006 si è commemorato a Meta il 25° anniversario della scomparsa dei trenta uomini di mare dell'equipaggio della M/n MARINA D’EQUA affondata nel golfo di Guascogna il 29-12-1981.

 

Alle ore 09.50 è stata celebrata una messa in suffragio dall'arcivescovo Mons. Felice Cece presso la Basilica di S. M. del Lauro.

 

Al termine della Santa messa, alla presenza della autorità civili, militari e religiose ci si è recati in corteo sino al largo "Stella Maris" per l'inaugurazione del monumento a tutti i caduti del mare scolpito dal M° Umberto De Martino. Sono intervenuti alla cerimonia diversi sindaci della penisola sorrentina, le autorità portuali di Napoli, e dalla Spagna la testimonianza di un ex marinaio della marina militare spagnola Josè Ignacio ANDRES, all'epoca impegnato nelle purtroppo vane operazioni di soccorso.

 

Alle 17.55, ora precisa in cui la nave è definitivamente inabissata in mare, due minuti di raccoglimento su tutta l'area comunale con rintocchi funerei delle campane di tutte le chiese e serrata estemporanea di tutti gli esercizi commerciali, con le luci spente.

Foto scattata dall’aereo francese poco prima dell’affondamento. La stiva n.1 appare scoperchiata.


La M/n MARINA D'EQUA durante la navigazione sul fiume WESER (Germania) tra BREMEN e BRAKE, alle 02.00 del 10.12.1981 subiva un'avaria ai generatori che le procurava un "Black-Out". Tale fenomeno, comportante l'arresto del Motore Principale, si ripeté più volte nell'arco di circa un'ora; allo scopo di evitare pericolose conseguenze,alle 02.55 fu deciso di ancorare dando fondo all'ancora di sinistra per una lunghezza. Durante la manovra, per effetto della corrente del fiume, la nave ruotò, toccando col lato dritto della poppa sul fondo del canale. Riparato l'inconveniente, la nave proseguì per Brace dove si ormeggiò regolarmente. Successivamente, il giorno 11, fu eseguita una visita occasionale allo scafo da parte del R.I.NA. (a seguito dell'incaglio) e confermata nella sua Classe, non essendo emerso alcun danno. Anche l'avaria ai generatori, individuatane la causa, fu  eliminata e dopo opportune prove, tutto fu trovato in ordine. Si trasferì quindi ad ANVERSA (Belgio) per imbarcare un carico di lamiere in rotoli (coils) e manufatti  metallici per un totale di Tonn. 30.196 da sbarcare in più porti del Golfo Messico.

 

IL VIAGGIO (In sintesi)

DESCRIZIONE DEI FATTI

 

26/12/81 07,18 Sbarcato il Pilota all'altezza della Boa A1 (largo di Ostenda)

 

 

 

26-27/12    Navigazione lungo il Canale della Manica seguendo le rotte prescritte

 

 

 

27/12/81 11,30 Posizione Lat. 49° N - Long. 04° W

 

 

 

28/12/81 12,00 Posizione Lat. 48° N - Long. 08° W

 

 

 

29/12/81 13,55 Posizione Lat. 45°35' N - Long. 11° W - SOS

 

 

 

29/12/81 14,43 La Nave "THEODORE FONTANE" (Germ.Est) riceve sul canale 16 la chiamata di soccorso del MARINA D’EQUA e subito cambia rotta per raggiungere la nave in pericolo.

 

 

 

29/12/81 14.50 circa Inverte la rotta puntando su Brest, mettendo il mare in poppa

 

 

 

29/1278115,36 Le due navi sono in "contatto visivo". e su richiesta del M.d'Equa procedono per Rotta = 070° - Velocità 7 nodi, la nave tedesca in assistenza (Stand-by)

 

 

 

29/12/81 15,47 Giunge sulla verticale del M.d'Equa un aereo "Atlantic 4 CZ" dirottato appositamente da altra missione da parte del CECLANT  (Comando dell'Atlantico della Marina Francese di Brest) che conferma la rotta e la velocità delle due navi.

 

 

 

29/12/81 16,34 Via Roma radio Il M. d'Equa comunica con la Società Armatrice.

 

 

 

29/12/81 17,00 Un altro aereo della Marina Francese (CXI) rileva il precedente (4 CZ) che rientra alla base per fine autonomia.

 

 

 

29/12/81 17,44 Il M.d'Equa chiede che l'equipaggio sia evacuato a mezzo elicotteri.

 

 

 

29/12/81 17,55 Posizione Lat. 45°41'N - Long. 09° 54' W - Le luci del M.d'Equa scompaiono dalla vista della nave tedesca e svanisce l'eco radar.

 

 

 

LA NAVE E' AFFONDATA

 

Queste, in modo sinottico, le ore drammatiche del naufragio. Alle 17,55 del 29 Dicembre 1981 a circa  320 miglia a SW di BREST, il MARINA D'EQUA s'inabissava nell'Atlantico in tempesta. Le cause del sinistro furono attribuite, dalla Commissione d'Inchiesta Ministeriale - come fatto iniziale  - al cedimento degli elementi n° 2 e 3 dei boccaporti della stiva n°1 e come causa finale -  al collasso della paratia tra la stiva 1e 2.

 

 

 

 

 

 

 

Il tutto per le proibitive condizioni del tempo instauratesi nei giorni 27, 28 e 29 Dicembre per la presenza di una depressione di 975 mb. (731 m/m) posizionata in Lat. 43°N e Long. 28°W  che provocava, sopratutto il 29 Dicembre, vento da SW forza 10 e mare  da WSW di altezza significativa di 11 metri. Il ché provocò, come detto, dapprima un notevole imbarco d'acqua nella stiva e, successivamente, per lo sbattimento della massa d'acqua penetrata nella stessa stiva n°1, il cedimento (collasso) della paratia stagna fra la stiva 1 e 2, con conseguente perdita di galleggiabilità e quindi l'affondamento della nave. Nel tragico epilogo, persero la vita trenta uomini di mare, il più giovani dei quali aveva solo diciassette anni.

 

 

Grado - Cognome – Nome - Luogo d'Origine

1- Comandante MASSA Michele Torre del Greco

2- 1° Ufficiale BUONOCORE Anselmo Meta

3- 2° Ufficiale ESPOSITO Raffaele Meta

4- 3° Ufficiale CASTELLANO Costantino Meta

5- All.Uff.Cop. PISANO Gennaro Sorrento

6- All.Uff.Cop. S.N: LAURO Salvatore Piano

7- Radio Telegr. POLESE Salvatore Torre del Greco

8- Dir. di Macchina GAGLIARDI Tullio Meta

9- 1° Macch. CIBELLI Pietro Procida

10- 2° Macch. VISAGGIO Giuseppe Procida

11- 3° Macch. MARESCA Luigi Meta

12- All.Uff.Macch. RUGGIERO Giovanni Meta

13- All.Macch.S.N. VINACCIA Angelo Sorrento

14- Nostromo CIOFFI Luigi Piano

15- Marinaio TORTORA Guglielmo Torre del Greco

16- Marinaio PALOMBA Raffaele Torre del Greco

17- Marinaio TORTORA Luigi Torre del Greco

18- Marinaio D'ELIA Giuseppe Piano

19- Marinaio QUINTANA CORREA Carlos Santiago (Cile)

20- Mozzo PEPE Michele Meta

21- Mozzo S.N. VINACCIA Francesco Piano

22- Caporale SCOTTO di MARRAZZO Giuseppe Procida

23- Operaio AVERSA Antonino Meta

24- Elettricista D'ANGELO Ciro Meta

25- Fuochista CIOFFI Antonio Piano

26- Giov. Macch. ESPOSITO Maurizio Meta

27- Cuoco ESPOSITO Antonio Meta

28- Picc. Cucina CACACE Pietro Massa Lubrense

29- Garz. 2^ GELZO Antonino Massa Lubrense

30- Piccolo PAESE Antonio Meta

Da un documento dattiloscritto riportante la dichiarazione del Comandante Dieter HOHLE resa a Rostock (Germania Est) l’8 Febbraio 1982.

 

………………………………….omissis……………………………

 

“Il giorno 29 dicembre alle ore 14,43 GMT l’Ufficiale di Guardia ricevette un messaggio sul canale 16 che diceva: SHIP ON MY PORTSIDE COME IN (Nave sulla mia sinistra, rispondete) ripetuto a brevi secondi con l’aggiunta: THIS IS A MAY-DAY CALL (Questa è una chiamata di soccorso)- Il 2° Ufficiale Hans Jurgen WOLF, appunto di guardia, rispose al messaggio e furono scambiati i nomi delle navi. Sul nostro radar appariva una sola eco sulla sinistra a circa 11 miglia di distanza ed era inequivocabilmente il M.d’E. Conseguentemente alle 14,50 GMT cambiammo rotta dirigendo per 125°sul bersaglio rilevato e potemmo comprendere meglio il messaggio che diceva : HATCHCOVERS N° 1 STOVE IN (?) (probabilmente Hold = Stiva) SINKING IN POSITION 45°40’N 10°53’W ( Pannelli di copertuta della stiva n° 1 stanno affondando nella posizione 45°40’N 10°53’W). Ci accorgemmo che la longitudine non era corretta. Più tardi la M.d’E. ci chiese a che ora l’avremmo raggiunta e fu risposto: ”IN 40 MINUTI”-

 

Alle 15,36 la M.d’E. ci chiese di metterci in “STAND-BY”  con rotta parallela alla sua, cioè 070°. Ormai la nave era visibile otticamente. Alle 15,50 il primo aereo (aereo militare francese) volò basso sopra di noi.- Dalle 15,54 ci fu uno scambio di messaggi a tre (noi – aereo –M.d’E.) ed apprendemmo che la M.d’E. dirigeva per BREST (distante 300 miglia) che aveva un equipaggio di 30 persone e richiedeva l’intervento di elicotteri per evacuare la gente. L’areo rispose però che a quella distanza l’area non era coperta da elicotteri di salvataggio francesi. Il M.d’E. replicò che dalle coste spagnole la distanza era inferiore e l’aereo rispose che doveva accertarsi se fosse operabile tale possibilità. Successivamente intercettammo un messaggio dell’aereo (francese) che aveva chiamato un peschereccio francese che era nelle vicinanze.

 

Quando fummo al traverso della MARINA D’EQUA. (distanza 0,7 mg. a dritta) notammo che i portelloni centrali della stiva n°1 erano mancanti. Non potei stabilire se questi portelloni erano caduti nelle stive o portati via. Le onde venivano da poppa, spazzavano sulla prua con creste che si rompevano vicino alla stiva n° 1 permettendo così all’acqua di entrare nella stiva. La prua della nave. era molto bassa sull’acqua. La MARINA D’EQUA è affondata alle 17,55 GMT (tempo medio di Greewnich) in posizione 45° 45’ N e 09°45’ W. Circa 10-15 minuti dopo, l’oscurità era totale.

 

 

 

Io non osservai direttamente l’affondamento, perché, in quel momento, ero all’interno del ponte ad ascoltare un messaggio della MARINA D’EQUA, che ascoltavo sul canale 16 VHF (canale di soccorso) ed era la parte finale del suddetto messaggio.

 

In questo messaggio dicevano che un peschereccio francese si stava portando rapidamente nelle vicinanze e sulla sua rotta. E’ mia opinione che la MARINA D’EQUA, al momento dell’affondamento, avesse una prua di circa 70° ed una velocità stimata al disopra dei 7 nodi. Al momento dell’affondamento il MARINA D’EQUA era sulla nostra dritta – a circa un miglio di distanza – mentre noi eravamo su una rotta parallela. L’affondamemto del MARINA D’EQUA, a mia stima, non deve aver superato i 20-30 secondi. Quando la vidi per l’ultima volta, notai il suo fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi, l’antenna radar era in moto e penso che anche qualche luce nei locali interni fosse accesa.

 

 

 

Immediatamente dopo l’affondamento noi girammo sulla sinistra dando l’allarme generale e localizzammo il luogo dove la M.d’E. era scomparsa. All’arrivo notammo cinque o sei portelloni galleggiare, di colore grigio-marrone, una parte di lancia di salvataggio, uno zatterino gonfiabile inadoperato con ancora l’involucro ed altri due sommersi e parzialmente gonfiati. Al tempo dell’affondamento le condizioni meteorologiche erano: vento da 240° forza nove – mare forza otto.

 

 

Per completezza di informazione il Capitano HOHLE, precisa che le precedenti condimeteo erano state le seguenti:

 

12,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

13,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

14,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8

 

15,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8

 

16,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

Da quanto sopra, si evince che il picco massimo della tempesta si è verificato tra le 14,00 e le 16,00 GMT proprio nelle ore (14,43 e 15,36) dei messaggi di soccorso e di richieste di elicotteri.

 

Qui finisce la deposizione del Comandante del Theodore Fontane, che come già detto risulta da un dattiloscritto, peraltro privo di qualsiasi attestato di autenticità da parte di autorità consolari, ma comunque di notevole attendibilità.

Abbiamo consultato la Relazione della Commissione Ministeriale (Biblioteca Collegio Capitani-Compartimento di Napoli) ed in particolare al paragrafo “Condotta della Navigazione” così si esprime:

 

La nave navigava per SW con grosso mare in prora ad una velocità non superiore ai sei nodi quando si verificò il primo sinistro cioè il collasso dei pannelli della stiva n° 1.

 

……………omissis…………

 

E’ altresì  evidente che, dato il tipo di nave, le onde coprivano con frequenza la prora, per cui, la stiva n°1 con la boccaporta aperta, imbarcasse acqua continuamente. Vista l’impossibilità di reggere il mare per i violenti urti che la nave subiva al rovesciarsi delle onde sulla prora, il Comandante deve aver avvisato la macchina di tenersi pronti ad aumentare i giri al momento opportuno, quando, tra un’onda ed un’altra, fosse apparso possibile virare per mettersi col mare in poppa. Quantunque questa fosse notoriamente una manovra rischiosa, peraltro venne considerato un rischio preferibile e fu condotta a buon fine, non risulta esattamente quando, anche se è presumibile entro 1 ora circa dallo sfondamento della boccaporta.

 

…………omissis…………

 

La virata produsse la rottura delle rizze del carico in coperta (telefonata della nave agli Armatori alle 16,34) e ciò può aver fatto presumere che anche il carico nelle stive potesse aver avuto qualche spostamento, comunque la situazione si presentava, nel suo complesso, migliore, in quanto la nave non era più soggetta ai rudi impatti con le onde. Tuttavia la nave era appruata ed il mare lungo, più veloce della nave, entrava da poppavia nella stiva n°1 che si appesantiva sempre più.

 

………omissis………

 

La richiesta di soccorso via elicotteri dimostra la preoccupazione del Comandante, quantunque non sia facile valutare la misura di tale preoccupazione. E’ comunque certo che egli decise di tenere l’equipaggio a bordo sin quando la nave resistesse al mare, piuttosto che affrontare il rischio sicuro connesso con la scelta di farlo scendere in mare, con mezzi salvataggio che, benchè regolamentari, apparivano del tutto inadatti a quelle condizioni di vento e di mare. La commissione ritiene che la decisione fu calcolata e sofferta e presume che l’apparente tranquillità dell’equipaggio nelle ultime ore di vita dellla nave ed anche il senso della telefonata si possono interpretare come segno di responsabilità del Comandante e dell’equipaggio.

 

………omissis………

 

L’imprevisto accadde intorno alle 17,55 del 29 Dicembre, quando la nave affondò, infilandosi di prua in un’onda alla velocità fino ad allora tenuta di 7 nodi restando sommersa in meno di un minuto. La Commissione fa rilevare che l’affondamento in un tempo così breve, può essere collegato soltanto al collasso strutturale della paratia tra la stiva 1 e 2, difficilmente prevedibile senza l’ausilio di calcoli appositi eseguiti con mezzi e con teoria di non comune applicazione.

 

………omissis………

 

Dal paragrafo “ Commento al Traffico RT/RTF/VHF

 

 

Non si spiega come mai il Theodore Fontane non abbia ricevuto il segnale S.O.S. in RT 500 kc/s emesso alle 13,55 dalla Marina di Equa e successivamente ripetuto dalla stazione RT di La Coruna; anche se non ci fosse stato ascolto continuo sul T. Fontane, doveva scattare l’autoallarme. Si rileva altresì che l’autoallarme RT e RTF non è scattato su nessuna delle navi in zona.

 

………omissis………

 

 

Dal paragrafo Coordinamento delle operazioni

 

 

Il punto in cui si trovava la marina di Equa quando chiese soccorso alle 13,55 ed anche il punto in cui la nave affondò alle 17,55 si trovano nella zona di giurisdizione del Centro di Soccorso /SAR) di Plymouth /Gran Bretagna) , a poche miglia di distanza dei limiti delle Regioni dei Centri di Soccorso /SAR) di Madrid e di Brest.

 

………omissis………

 

Riteniamo con queste citazioni di aver in qualche modo apportato altre conoscenze e commenti al disastro della Marina di Equa. Aggiungiamo che in ogni modo parteciparono, dopo l’affondamento, alla ricerca di eventuali superstiti e per diversi giorni seguenti:

 

Mezzi navali

 

Oltre al Theodore Fontane, i pescherecci 280 e 120, peschereccio spagnolo Efru, M/n liberiana Mary Beth, peschereccio Monte Sant’Alberto, Piroscafi Churruca, Langara, AR 41, Lagollan Guidhe. Mari Conchi, Mironich

 

Mezzi aerei

 

Oltre agli arei della marina francese Atlantic 4 CZ e CXI che agirono prima dell’affondamento,gli aerei francesi P2H, Atlantic FXCXE, velivolo inglese Rescue 52, aereo Atlantic francese WH, Fokker spagnolo 27.

 

Quanto sopra fino al 1° Gennaio quando furono interrotte le ricerche. Ma su intervento del Governo italiano, le ricerche furono riprese il 2 e proseguite fino al 4 Gennaio. A quest’ultima ricerca parteciparono gli aerei: francese Atlantic WE, Fokker spagnolo 27, Atlantic italiano I-1015. Il risultato di questa complessa operazione di ricerca a cui hanno partecipato in tempi e a titolo diversi 12 mezzi navali e 10 aerei dalle 17,55 del 29 Dicembre 1981 alle 16,09 del 4 Gennaio 1982, ha portato all’avvistamento ....

 

 

DATA/ORA AVVISTAMENTO MEZZO

 

29/12-22,11     Theodore FONTANE        Due dinghy rossi con bande argentate – VUOTI

 

30/12-05,48           “              “          Due zatterini gonfiabili lanciatidall’aereofrancese –VUOTI

 

30/12-03,17     Aereo franc.FXCXR          Salvagente con luce- VUOTO

 

30/10-10,00     M/pesca Monte Sant’Alberto Massa estesa di nafta 45°54’N e 09°40’ W

 

30/12-16,42     P.fo Churruca                   Resti del naufragio tra 46°40’N/45°40’N e 10°W/09°W

 

30/12-12,30     P.fo Mary Beth                  Pezzo di un’imbarcazione e 1 zattera da 10 persone-

 

VUOTA in 46°06’N

 

30/12-12,55     P.fo Mari Conchi              Un salvagente con la dicutura Duncan

 

30/12-13,06              “         “                   Un salvagente con la dicitura Schothlite

 

04/01-17,15     M/n Camberra                       Avvistato un cadavere in 47°14’N e 06°48’W (*)

 

94/01-18,10     Aereo ital.I-1015               Esplora la zona su indicata con esito negativo

 

(*) circa 150 mg. a Nord Est dal punto di affondamento. Ho qualche riserva che possa essere un membro dell’equipaggio del MARINA DI EQUA. Però tutto può essere possibile. Rimane purtroppo deludente il mancato ritrovamento e/o recupero.

 

Cartina con le rotte seguite dalle due navi a partire dalle 12,00/12,30 fino alle 17,55 del 29/12/1981 ora dell’affondamento in 45°45’N e 09°45’W. In rosso la rotta della MARINA D’EQUA. In Blu la rotta della nave tedesca THODORE FONTANE.

 

CONCLUSIONI

La  Commissione ministeriale d’inchiesta sul naufragio della MARINA DI EQUA, composta da quindici membri – tra cui il Presidente (Consiglio di Stato) due ammiragli, un Capitano di Vascello (CP), sei ingegneri, tre Capitani Superiori di Lungo Corso, due avvocati – insediatosi il 12 Gennaio 1982, ha tenuto complessivamente 19 sedute plenarie e l’ultima – conclusiva – il 31 Gennaio 1983, ascoltato 25 testimonianze dirette o per rogatoria ed aver acquisito agli atti centinaia di documenti e decine di perizie tecniche ed aver effettuato tre visite di accertamento all’estero e dopo aver espresso alcune raccomandazioni per il miglioramento generale delle strutture e dotazioni delle navi esprimeva – tra l’altro – la richiesta di un  maggior dimensionamento dei pannelli dei boccaporti (colonna battente attuale da 7 metri a 11 metri ) dotazioni anche sulle navi da carico di tute protettive galleggianti e protettive della temperatura del mare da 2° a 30° ed all’unanimità così si esprimeva:

 

che il naufragio della MARINA DI EQUA e la conseguente perdita dell’equipaggio e del carico verificatosi il 29 Dicembre 1981 siano da attribuirsi alle circostanze eccezionali sopradescritte e che, pertanto, il sinistro sia avvenuto esclusivamente per caso fortuito, senza dolo o colpa da parte di chicchesia.”

A noi non resta altro che esprimere – a distanza di 25 anni - il rinnovato e più vivo cordoglio ai famigliari delle 30 vittime e notiamo comunque che una serie di circostanze particolarmente negative quali l’eccezionale cattivo tempo – la distanza dalla costa – l’impossibilità di usare i messi di salvataggio e, soprattutto la giovanissima età della maggior parte dell’equipaggio, rendono ancora drammaticamente collettivo il dolore per una tragedia che ha visto coinvolto tanti individui di questa costiera. A loro và il nostro pensiero e la preghiera: riposino in pace!

 

Fortunato IMPERATO


di LUIGI DE ROSA

Le onde colpivano lo scafo incessantemente, cazzotti in pieno volto, jab destro e sinistro, gancio destro e poi montante sinistro a stordirti. Upper cut infiniti d’acqua salata colpivano rabbiosi, senza pietà, e tu, niente,impotente, sbattuto sul ring della vita a resistere sul ponte di una nave. Un freddo micidiale ed un mare infernale, quel lontano dicembre del 1981, mi riempivano di sconforto l’anima; lo avevo detto ad Hans: “maledetta vita la nostra, anni interi su quest’acqua amara e pochi giorni a terra per carpire affetto a una moglie ed a dei figli che ti guardano di anno in anno, di imbarco in imbarco, come uno sconosciuto, vorrei farla finita!” Ma non so fare altro che governare una nave!”
Poi , d’improvviso, quel gracchiare sommesso e sempre più insistente della radio: ”SHIP ON MY PORTSIDE COME IN… THIS IS A MAY-DAY CALL…” Venisti tu, Hans (secondo ufficiale ) ad avvisarmi”: ”Herr Commander Dieter Hohle una nave è in difficoltà… Comandante, una nave italiana ha lanciato il may-day……” Mi precipitai sul ponte di comando, calcolai il tempo che rimaneva :”quaranta minuti e siamo lì” - Dio dammi di più!, pensai,gridai, pregai Arrivammo che la MARINA D’EQUA era lì, fuscello di metallo in un inferno salato, ago di bussola alla deriva senza più né nord né sud, il rumore di un aereo ci fece sperare in soccorsi che non giunsero mai in tempo,…non furono ali d’angelo a sorvolare i sogni, le speranze e il futuro di quei trenta marinai sorrentini, ma quelle impotenti di un semplice aereo militare francese!
A mio parere Signor giudice il mare inghiottì quella nave in venti, trenta secondi….
Vidi il fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi e poi delle luci nei locali sparire nell’oscurità… in quel mare di pece, vidi quelle luci affievolirsi a poco a poco e poi sparire nella notte che non prevede il sorgere di una futura alba, le onde cucirono il sudario d’acqua che finì per inghiottire tutto e tutti.
Pensai alla luce che brilla negli occhi di una madre a cui danno il batuffolo di carne appena partorito ed alla luce che si spense negli occhi delle madri alle quali comunicarono che quel figlio non l’avrebbero più visto. Pensai al figlio e alla figlia, alle mogli che aspettano con gioia, timore e trepidazione il padre e marito che scende dalla scaletta a fine imbarco ed alla solitudine di quella scaletta vuota, poggiata sul fianco della nave…non scenderà più nessuno.

In ricordo dei trenta marinai della nave Marina d’Equa affondata al largo del Golfo di Biscaglia il 29 dicembre 1981

 

 

A cura del webmaster

Carlo GATTI

Rapallo, 23 Ottobre 2014



"TITO CAMPANELLA": Un naufragio fantasma...

“M/n TITO CAMPANELLA

UN NAUFRAGIO FANTASMA

 

14 gennaio 1984

 

La Bulk Carrier M/n TITO CAMPANELLA in navigazione

 

 

Armatore: AFRAMAR – Savona

 

Stazza lorda= 13.342 tonn.

 

Lunghezza ft.= 175,30 metri

 

Larghezza= 21 metri

 

Cantiere: Ansaldo S.A. Livorno

 

Varata:25-giugno-1961
Consegnata: gennaio 1962

 

Velocità: 13,50 nodi

 

Andata perduta in data 14 gennaio 1984  (Golfo di Biscaglia)

 

Ultima posizione: latitudine=45° Nord – longitudine= 8° Ovest in data 13 gennaio. Persero la vita l'intero equipaggio composto da 24 marittimi.

 

 

 

Oxelösund é una città della Svezia meridionale situata 92 km a SW di Stoccolma. La M/n TITO CAMPANELLA, al comando del C.L.C. Luigi Specchi di Viareggio, partì il 7 gennaio 1984 da questo porto con un carico di 20.000 tonnellate di laminati (steel plate) destinato ad Eleusis (Grecia), dove era attesa il 23 o 24 gennaio. La nave fece bunker a Flushing (Olanda) da dove ripartì il 12 gennaio. L’ultima comunicazione Nave-Roma Radio fu trasmessa il 14 gennaio: “navigazione regolare nel Golfo di Guascogna (Biscay). 100 miglia da Capo Villano” – (Estremità della penisola Iberica). La nave, da lì a pochi giorni, sarebbe entrata in Mediterraneo. Secondo i risultati dell’inchiesta parlamentare, che riportiamo in questo articolo, le condizioni avverse del mare incontrate nel Golfo di Biscaglia provocarono lo spostamento delle pesanti lamiere che avrebbero sfondato alcune paratie dello scafo nella stiva n.5. Da questa falla la nave avrebbe imbarcato tonnellate di mare in brevissimo tempo provocandone l’affondamento. La tragedia fu immediata e da bordo non ebbero neppure il tempo di attivare i soccorsi. A bordo c'erano 23 uomini e una donna, Alga Soligo Malfatti, 1° ufficiale di coperta e moglie del comandante.

«Sembra accertato», scrisse il 26 gennaio 1984 un’importata testata: «la Tito Campanella era fatiscente e non affidabile». Un giudizio che non deve stupire visto che un perito svedese, nel dicembre 1983, firmò un rapporto nel quale si diceva: «La nave presenta numerose deformazioni in tutte le stive, interessanti strutture trasversali e paratie». Inoltre, come sostenne la Commissione d'indagine, la stazione telegrafica di bordo era fatiscente, il personale a bordo insufficiente e i mezzi di salvataggio erano vecchi.

 

 

 

 

A distanza di 40 anni da quel tragico naufragio, siamo andati a visitare il porto di Oxelösund in Svezia. La giornata buia e piovosa ha reso ancora più triste il ricordo di quella lunga “bara” che trascinò con sé il suo equipaggio verso gli abissi.

 

 

 

 

 

 

Quei poveri marittimi furono abbandonati  a se stessi, “prima, durante e dopo il naufragio”. Su quel famigerato epilogo, si lessero tante illazioni, supposizioni, intrecci di verità e menzogne che finirono per confondere le idee a tutti. Il caso si chiuse tra polemiche, inchieste di ogni tipo, ma senza una spiegazione attendibile. La verità sparì in Atlantico con il suo carico, forse “mal stivato”, e con il suo equipaggio incolpevole. La nave era obsoleta, ne veniva da un anno di disarmo e non era in ordine, né sotto il profilo meccanico, né per la robustezza dello scafo. Tuttavia, nessuno di quelli rimasti a terra pagò penalmente per quelle disattenzioni... sicuramente qualcuno pagò per farla partire!

 

“Chi é in mare naviga, chi é in terra giudica”

 

Si diceva un tempo. Purtroppo, chi muore non può difendersi e non può puntare il dito contro i veri responsabili, né raccontare il film di quella tragedia. Le Assicurazioni sistemarono le “cose terrene” e gli armatori girarono pagina... Al contrario, le mogli, i figli, i parenti e gli amici piangono da 40 anni quel dolore senza fine, soprattutto non dimenticano, e noi vecchi marinai con il sale nel sangue, siamo ancora e sempre con loro, con quello spirito di solidarietà che in terra si predica... ma che in mare si pratica sempre, allora come oggi.

 

 

Lo spirito di questo scritto é racchiuso in questo semplice collage di memorie, di ricordi, di articoli pubblicati, di foto raccolte qua e là affinché non si perda la memoria di un NAUFRAGIO ANNUNCIATO, di una “vergogna marinara” che non ha testimoni, ma solo silenziosi uomini di mare che ricordano con dolore quella triste perdita e intendono semplicemente tramandarlo alle nuove generazioni di marinai e alla grande Storia, per non dimenticare!

 

 

Vi mostriamo una serie d’immagini di Oxelösund e del suo porto. Un contesto di isolotti, pinete e canali che fanno da scudo a queste banchine fiancheggiate da dune di minerale che il vento solleva e sparge dovunque. Questi porti sono tutti uguali: isolati e squallidi!

 

 

 

 

 

Da una di queste banchine del porto di Oxelösund (Svezia), la nave mollò gli ormeggi per il suo ultimo viaggio. Superate le insidie del Mar Baltico e del Mare del Nord, fu inghiottita dalle onde del Golfo di Biscaglia. Nella tragedia persero la vita 24 persone dell'equipaggio.

Da questa Stazione uscì il Pilota che  vide la nave ed il suo equipaggio per l’ultima volta.

 

 

 

 

Nelle pagine che seguono, riportiamo una raccolta di articoli che uscirono sulla stampa in quei drammatici giorni e delle ottime foto che furono scattate a bordo alcuni mesi prima della tragedia e che ho raccolto dal BLOG “pagine di mare”. Segue infine la Relazione del Senatore dott. Aldo Pastore alla Camera dei Deputati in merito all'affondamento. Tale intervento, a nostro giudizio, fu molto efficace, preciso e puntuale sotto ogni punto di vista: amministrativo, tecnico-marinaro e politico. Da quella relazione emerse un quadro d’insieme che a definire DISASTROSO sarebbe molto riduttivo.

 

 

Purtroppo, dopo quanto é successo a Genova, il 7 maggio 2013, con l’abbattimento della Torre di Controllo dei Piloti da parte di una nave sub standard, non siamo più sicuri che TRAGEDIE come quella della TITO CAMPANELLA abbiano insegnato qualcosa agli “imprenditori del mare”.

 

E’ giusto affermare che nel campo della SICUREZZA NAVALE si sono fatti passi giganteschi, ma é soprattutto consigliabile non abbassare mai la guardia: contro certi “virus” che si annidano nelle pieghe della peggior marineria del pianeta, non esiste alcun vaccino.

 

 

 

 

Intervento alla Camera dei Deputati del Senatore dott. Aldo Pastore

 

 

Signor Presidente, Signor Ministro, Onorevoli Colleghi,

 

 

 

credo sia doveroso, da parte nostra, tributare un sentito riconoscimento ai componenti della Commissione d'Indagine Amministrativa per il lavoro svolto; si trattava di una inchiesta complessa e difficile, si dovevano valutare, con serena obiettività, tutta una serie di fatti e di circostanze in partenza difficilmente spiegabili o interpretabili; ebbene ritengo che la Commissione abbia svolto questo compito con serietà, diligenza e competenza.

 

 

 

Certo: esistono, nella documentazione presentata, ancora delle lacune, dei nodi non sciolti, dei problemi rimasti insoluti e non si tratta, signor Ministro, di problemi di scarsa importanza; tuttavia la Commissione è riuscita a giungere a conclusioni che mi paiono verosimili e pertanto largamente condivisibili.

 

 

 

Quali sono queste conclusioni?

 

 

 

La Commissione ritiene non esservi più alcun dubbio sulla scomparsa per naufragio della nave.

 

 

Aggiunge che il naufragio stesso è stato repentino ed imprevisto.

 

 

Inoltre la Commissione ritiene che la causa più probabile del Sinistro sia rappresentata da uno spostamento del carico, dovuto ai violenti e bruschi movimenti della nave soggetta ad un mare assai tempestoso.

 

 

In particolare (conclude la Commissione) è verosimile che lo spostamento sia avvenuto nella stiva numero cinque, in relazione al tipo di caricazione e rizzaggio eseguiti in tale settore; lo spostamento avrebbe provocato una falla sul fasciame esterno, determinando l'ingresso dell'acqua con il riempimento della stiva suddetta fino al piano di galleggiamento relativo.

 

 

La "Tito Campanella" affondò quindi parallelamente al proprio assetto, senza quindi che il personale sul ponte potesse tempestivamente rendersi conto di quanto stava accadendo.

 

 

 

 

Queste dunque le sintetiche conclusioni della Commissione di Indagine Amministrativa; ma, stando così le cose, noi tutti, signor Ministro, dobbiamo chiederci quali sono state le cause più antiche che hanno condotto al determinarsi di questo tragico evento.

 

 

E queste cause più remote noi le troviamo scritte qua e là nel contesto della relazione della Commissione; vogliamo aggiungere, in tal senso, che il lavoro della Commissione non ha fatto altro che confermare (totalmente o parzialmente) le certezze, le intuizioni o più semplicemente i sospetti che il nostro gruppo parlamentare aveva puntualmente denunciato nell'interrogazione presentata alla Camera in data 24 gennaio 1984.

 

 

Quali sono queste cause più antiche?

 

 

 

1) La vetustà della nave: si trattava di una nave costruita nell'anno 1962, ridotta (come da noi denunciato nella interrogazione) ad un "ammasso di ferro", rassomigliante ad "un relitto appena tirato su dal fondo".

 

 

Queste nostre affermazioni hanno trovato puntuale conferma nel rapporto redatto dal perito svedese Eric Baldall in data 26-27 dicembre 1983; in tale rapporto si legge, infatti, che "la nave presentava numerose deformazioni ed indentature in tutte le stive, interessanti strutture trasversali, paratie, cielo del doppio fondo ed anche la coperta; nessuna delle stive risultava asciutta: in particolare le stive 1, 3 e 6 contenevano da 7 a 70 centimetri di acqua; anche il ponte della nave è stato trovato rugginoso.

 

 

 

 

2) La stazione radio-telegrafica era fatiscente (come da noi puntualmente evidenziato); a tal proposito è vero che la Commissione ha affermato che "un giudizio esauriente sulla funzionalità delle apparecchiature radio-telegrafiche potrà essere dato solo quando sarà completata la raccolta di tutte le informazioni ancora mancanti", ma vi sono, nel contesto della relazione e della documentazione allegata, indizi certi che la stazione non era idonea allo scopo; basti accennare al contenuto del giornale radiotelegrafico del mese di dicembre 1983 (pagine 8 e 9 della relazione della Commissione di Indagine), regolarmente firmate dal Marconista e vistate dal Comandante della nave, o alle dichiarazioni dell'ex Marconista Nappi Raffaele (pagina 45 della relazione).

 

 

 

3) I mezzi di salvataggio a bordo erano sicuramente vetusti; di questo problema si parla soltanto incidentalmente nella relazione della Commissione; ma che la situazione al riguardo fosse disastrosa lo si deduce dalla descrizione fatta a pagina 5 di tali mezzi di salvataggio.

 

 

Essi erano rappresentati da:

 

 

n. 2 imbarcazioni da 40 posti ciascuna, una delle quali munite di motore;

 

 

n. 1 zattera da 20 posti sistemata a poppa;

 

 

n. 1 zattera autogonfiabile da 6 posti;

 

 

n. 40 giubbotti di salvataggio.

 

 

Orbene, l'età di questi mezzi di salvataggio coincideva con l'età della nave e non si sa se essi siano mai stati usati e se su di essi veniva eseguita una regolare e periodica opera di manutenzione.

 

 

L'unica eccezione è costituita dalla zattera di salvataggio autogonfiabile, che è stata sostituita nel corso dei lavori di riparazione e di manutenzione della nave, avvenuti dal 30 agosto al 17 settembre 1983.

 

 

 

4) Il carico delle lamiere è risultato eccedente, sproporzionato alle caratteristiche statiche della Tito Campanella e per di più sistemato in maniera assolutamente scorretta nelle stive della nave.

 

 

Questa affermazione (che peraltro era già presente nel testo della nostra interrogazione) ha trovato esatta conferma nei documenti acquisiti dalla Commissione ed in particolare risulta evidente nelle pagine 27-28 e 29 della relazione.

 

 

 

5) La composizione dell'equipaggio (così come risulta dalla tabella esibita dall'armatore) era insufficiente perchè non comprendeva né il terzo ufficiale di coperta, né il terzo ufficiale di macchina, espressamente previsti dalla Tabella di armamento, approvata nella riunione tenutasi il 23.10.1983 presso la Capitaneria di Porto di Savona tra l'armatore ed i rappresentanti sindacali.

 

 

Queste sono dunque, a nostro giudizio, le cause più antiche che hanno condotto al tragico evento.

 

 

Ma, signor Ministro, la Commissione d'Indagine Amministrativa ha dato altresì conferma alle nostre certezze ed ai nostri sospetti anche per quanto concerne i soccorsi prestati (o meglio non prestati) ed i ritardi con i quali si sono iniziate le ricerche del la nave scomparsa.

 

 

 

Dalla documentazione agli atti e dalla stessa relazione della Commissione si evince infatti che:

 

 

 

1) nessuna notizia sul mercantile è pervenuta in Italia dal 14 gennaio al 19 gennaio senza che alcuno, ai diversi livelli di responsabilità, si preoccupasse della totale assenza di notizie sul mercantile;

 

 

 

2) i mezzi di soccorso italiani hanno partecipato alle operazioni di ricerca in grave ritardo; questi delicati compiti sono stati, in effetti, delegati ai mezzi di soccorso spagnoli, portoghesi e francesi.

 

 

 

Dalla documentazione allegata alla relazione si ricava infatti che:

 

 

 

a) gli spagnoli hanno iniziato le ricerche della Tito Campanella al mattino del sabato 21.1.1984 (pag. 14) mediante aerei e successivamente hanno attivato alla ricerca anche la marina (pag. 20);

 

 

b) i portoghesi hanno partecipato alle ricerche mediante velivoli, inviati in data 23.1.1984 (pag. 21);

 

 

c) i francesi, dalla stessa data, hanno esplorato la zona nord della punta Estaca de Vares (pag. 51);

 

 

d) gli italiani hanno iniziato le ricerche soltanto all'alba del giorno 26 gennaio (pag. 13) mediante due aerei e due elicotteri, in grave ritardo quindi rispetto agli altri e soltanto dopo la visita a Madrid del ministro Carta (visita avvenuta il 24.1.1984).

 

 

 

Sorge, quindi, a questo punto, il problema delle responsabilità, pubbliche e private.

 

 

Certo: tali responsabilità saranno precisate dagli ulteriori accertamenti che verranno effettuati dalla Commissione d'inchiesta formale, prevista dall'art. 580 del Codice della Navigazione; è ovvio, d'altra parte, che ci troviamo di fronte a responsabilità di tipo diverso, alcune aventi rilevanza penale (e come tali di competenza della Magistratura ordinaria), altre aventi significato più propriamente politico.

 

 

Ma non saremmo sinceri e leali con noi stessi e con la società civile che qui rappresentiamo se, già sin d'ora, noi non esprimessimo il nostro pensiero su tali responsabilità, ben sapendo di pronunciare parole dure ed impietose verso tutti coloro che, in qualche modo, consideriamo coinvolti in questa dolorosa vicenda.

 

 

 

Ed allora dobbiamo dire, senza mezzi termini, che a nostro giudizio, portano grandi responsabilità:

 

 

 

1) La società armatrice:

 

 

- per aver consentito ad una nave di tal fatta di compiere viaggi di navigazione internazionali di lungo percorso;

 

 

- per aver posto in mare la Tito Campanella dal maggio all'agosto 1983 (dopo undici mesi di disarmo), senza far effettuare alcun lavoro di manutenzione (vedi pagina 24); per essersi disinteressata del destino della nave dal 14 gennaio al 19 gennaio, ben conoscendo le caratteristiche statiche del mercantile, ben conoscendo la difficile rotta seguita dalla nave e ben conoscendo, infine, quale tipo di bufera si era, in quei giorni scatenata sui mari percorsi dalla Tito Campanella;

 

 

- per avere provveduto a dotare la nave di un organico di personale insufficiente quantitativamente e qualitativamente.

 

 

 

2) Le autorità ed i tecnici preposti alla caricazione della nave (nel porto svedese di Oxelösund)

 

 

- per aver autorizzato ed effettuato un carico sproporzionato rispetto alle effettive possibilità della nave e, per di più, utilizzando un sistema di rizzaggio tecnicamente inidoneo.

 

 

 

3) Il RINA (Registro Navale Italiano).

 

 

 

- per aver dichiarato che la nave era in regola (con tutte le prescritte documentazioni) allorquando riprese i viaggi, partendo da Genova in data 17.9.1983, dopo aver effettuato i lavori di riparazione effettuati dalla ditta Mariotti, lavori che furono controllati dal RINA tramite i suoi Ispettori.

 

 

- Qualcuno, in particolare, deve venirci a spiegare la contraddizione esistente tra le dichiarazioni del RINA del settembre 1983 ed il rapporto del perito svedese Eric Baldall del dicembre 1983; confrontando le due documentazioni sembra addirittura di trovarci di fronte a due navi diverse, l'una quasi nuova, l'altra ridotta ad un ammasso di rottame; in buona sostanza qualcuno deve dirci come sia possibile che una nave possa aver subito un tale rapido deterioramento delle sue condizioni statiche e funzionali in soli tre mesi; sorge veramente il fondato sospetto che la certificazione del RINA sia stata in effetti una documentazione "di comodo" ad uso e consumo esclusivo dell'armatore.

 

 

 

4) Il Governo italiano

 

 

In questa vicenda le responsabilità politiche del Governo possono ricondursi a due distinti tipi di omissione:

 

 

 

a) la prima (contingente e legata direttamente alle vicende della Tito Campanella) è costituita dal fatto che il nostro Governo ha provveduto ad organizzare e ad inviare i mezzi di soccorso con grave ritardo e senza un organico piano di intervento;

 

 

b) la seconda (di carattere più generale e che trascende l'episodio contingente e coinvolge responsabilità governative ben più ampie e complesse in tema di sicurezza del lavoro in mare) è costituita dal cronico e colpevole ritardo con il quale il Governo onora i trattati e le convenzioni internazionali sulla materia; desidero ricordare, a tal proposito, che dopo il naufragio della "AMOCO CADIZ" il Parlamento europeo ha predisposto una direttiva (trasformata dal Consiglio dei Ministri della Comunità in raccomandazione) contenente disposizioni precise in tema di standards minimi di navigabilità e contemplante, tra l'altro, ispezioni di bordo e l'immobilizzo delle navi in condizioni di substandard, prive cioè delle"condizioni minime"; ebbene il nostro Governo ha sempre e costantemente disatteso tale raccomandazione.

 

 

Analoghe considerazioni possono farsi relativamente alla Convenzione Internazionale SAR '79 relativa ai problemi della ricerca e del soccorso marittimo ed al Regolamento Internazionale delle radio-comunicazioni (emanato a Ginevra dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni), destinato a facilitare la ricerca della posizione di relitti e di naufraghi nel corso di operazioni di ricerca e salvataggio.

 

 

 

Emergono dunque dalla relazione della Commissione, dalla documentazione allegata ed, in ultimo, dalle "conclusioni e proposte di carattere generale (pag. 63 e seguenti) 1.1 delle gravi e precise responsabilità politiche del Governo; e la conferma di questa assenza del Governo sul tema della sicurezza del lavoro in mare deriva altresì dal fatto che durante l'attuale legislatura il Governo, su questo argomento, è riuscito a varare soltanto il Disegno di Legge n. 1230, Disegno di Legge che, per la sua inconsistenza e per la sua fumosità, è stato addirittura dichiarato improponibile dalla Commissione affari costituzionali di questa Camera.

 

 

 

Concludo, signor Presidente, e voglio terminare questo mio intervento con un auspicio (auspicio che, peraltro, è implicitamente racchiuso anche nei suggerimenti formulati dalla Commissione d'Indagine Amministrativa); voglio cioè augurarmi che tragedie come quella della Tito Campanella e di molte altre navi che l'hanno preceduta non abbiano più a ripetersi in futuro; il progresso scientifico e tecnologico consentono oggi di ridurre, in misura significativa, il rischio del lavoro in mare; è compito del Governo, è compito del Parlamento far sì che la nostra legislazione nel settore vada al passo con i tempi ed anticipi, in qualche caso, le innovazioni tecnologiche più significative, tenendo presente che, costantemente, la vita e la dignità dell'uomo debbono prevalere sempre sulla logica mercantile del profitto.

CONCLUSIONE:

 

Le accuse lanciate dal sen. Pastore sono come un proiettore sul luogo del delitto, hanno il grande pregio di fare chiarezza su tanti punti oscuri e sono ancora oggi molto valide e più che giustificate.

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, sullo sfondo della tragedia rimangono ancora alcuni interrogativi: com’é possibile, in tempo di pace, che una nave di grandi dimensioni come la “TITO CAMPANELLA” svanisca nel nulla senza lasciare tracce nell’etere (S.O.S-Chiamate di Soccorso), sul mare (lance di salvataggio-zattere) o residui sulla costa? La rotta obbligata che congiunge La Manica a Gibilterra é sempre affollata di navi, com’é possibile che nessuno si accorse della sua sparizione? Probabilmente le condizioni meteo marine erano pessime, ma non proibitive. Non si verificarono (grazie a Dio) altri naufragi in quella terribile zona di mare e non ci furono danni alle città costiere.

 

 

 

 

 

 

 

I motivi del naufragio vanno ricercati altrove. Per fortuna la Storia non ha premura...

 

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 20 ottobre 2014

 


 

 


TROMBE D'ARIA A GENOVA

 

 

LE TROMBE D’ARIA

UN INCUBO PER L’ARCO LIGURE ED IL PORTO DI GENOVA

Le cronache di mezzo agosto 2014 si sono dovute occupare, ancora una volta, di trombe d’aria che si sono abbattute sulla costa genovese provocando gravissimi danni materiali alle strutture del litorale. Per non dimenticare, abbiamo pensato di rievocare, a dieci anni esatti di distanza, i due episodi che misero in ginocchio il porto di Genova paralizzando il settore “containers” per un anno intero. A quei danni ingentissimi, si aggiunse la morte di un portuale genovese che rimase schiacciato dalla gru che doveva proteggerlo.

31.8.1994 - 17.9.1994

 

Due date che i genovesi non hanno più dimenticato

 

 

Il fenomeno meteorologico si ripeté dopo 17 giorni in un’altra zona del porto di Genova: otto gru furono abbattute.

 

Data

Zona

Tipo di gru

Danni Lire

Mor.Fer.

31

Agosto 1994

P.te Rubattino

Elevatori

 

1 - 50

17 Settem.1994

P.te Libia

Portainer

Centinaia di Miliardi

due date

Su tutto l’arco ligure si scatenarono in quel periodo gigantesche trombe d’aria che portarono scompiglio, allarmi, danni e morte. Forse sarebbe più corretto chiamarli tornado*, perché essi dimostarono la stessa forza distruttiva dei loro parenti americani.

La tromba d’aria si sta avvicinando minacciosa alla diga del porto di Genova.

 

Ai piedi della Lanterna si consumò questa ennesima tragedia. Di prora alla nave si vede la gru appena abbattuta. La “VECTIS ISLE” di appena 2.330 t. é stata risparmiata dalla tromba d’aria per pochi metri.

 

Il 1° settembre ’94, l’autore mise in partenza la piccola nave britannica Vectis Isle (vedi foto) da calata Bettolo ponente, a pochi metri dal punto in cui perse la vita lo sfortunato gruista genovese.

L’anziano comandante inglese era ancora sotto schock e raccontò la tragedia al pilota, così come la vide e la visse: “Seguivamo con apprensione la rotta a zig-zag dell’enorme tromba d’aria che proveniva dal mare, mentre eravamo rinchiusi dietro i vetri del nostro ponte di comando. Quando vidi quell’immensa colonna nera puntare decisamente verso il nostro molo, uscii sull’aletta ed urlai al gruista di scendere e scappare. Il portuale si rese conto immediatamente del pericolo, scese e si mise al riparo dietro la gru stessa, che forse, molte altre volte lo aveva protetto da fenomeni atmosferici ben più comuni.

Distruzione e morte. In primo piano la gru che ha investito lo sfortunato portuale. Le gru di Ponte Rubattino erano - “Elevatori Ansaldo IV” – da sei tonnellate costruiti nel 1952.

Nel frattempo il tornado (così lo definì) colpì ed ingoiò brutalmente la prima gru, quella che era posizionata in testata Rubattino, la sollevò e la scagliò come fosse un giocattolo verso la gru più vicina a noi, la stessa che divenne la tragica tomba di quel pover’uomo che vi si era rifugiato dietro.

Non avevo mai visto nulla di più terrificante! Mi creda, anch’io sono all’ultimo imbarco prima del mio “retire”.

 

Ma oggi sono ancora più triste perché ho saputo dal mio Agente che anche il gruista, la vittima del tornado, era al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione.”

 

Per avere una conferma, ancora più precisa, della forza immensa di queste trombe d’aria, si dovette attendere soltanto diciassette giorni, per assistere esterrefatti alla demolizione di gru alte più di venti metri ed un peso di centinaia di tonnellate.

9Queste gru erano del tipo Portainer, costruite dalle officine Reggiane su licenza Paceco e furono allestite nel 1971. Gru di questo tipo, sono tuttora operative, hanno una portata di 45 tonn. ed uno sbraccio di oltre quaranta metri.

Genova ed il suo porto dovettero attendere circa un anno, prima di vedere rimarginate quelle ferite che tante perplessità avevano suscitato non solo negli addetti ai lavori, ma soprattutto nell’opinione pubblica, tuttora incredula, dinanzi a ciò che razionalmente, è fuori statistica e si chiede:

“come è possibile che nel nostro organizzatissimo porto si possano verificare due identici e tragici incidenti, in tempi così ravvicinati”?

COME SI FORMA LA TROMBA D’ARIA?

 

L’insorgere di questo genere di fenomeni e’ strettamente legato alle condizioni atmosferiche. Quando si e’ in presenza di correnti d’aria calda negli strati inferiori e di correnti d’aria fredda negli strati piu’ alti, possono innescarsi fenomeni turbolenti. A causa della differenza di peso, l’aria calda degli strati sottostanti tende a salire verso l’alto, mentre quella fredda e’ spinta verso il basso. Se le condizioni delle correnti lo consentono, questo movimento di masse d’aria puo’ provocare un cilindro d’aria rotante intorno ad un asse perpendicolare al terreno. Processo di formazione di una tromba d’aria: la continua spinta delle correnti d’aria calda verso l’alto, puo’ allungare il cilindro d’aria verso l’alto creando appunto la tromba d’aria.

*Dalla grande enciclopedia “IL MARE”:

TORNADO: colonna d’aria posta in violenta rotazione, apparentemente sospesa alla base di un cumulolembo. Il terribile vortice presenta in genere un diametro di alcune centinaia di metri; ruota in senso antiorario e produce vento stimato da 100 a 300 km orari. La sua traiettoria è governata dalla sua nuvola madre. Il tornado che non è una per turbazione tropicale come uragani o tifoni, può verificarsi anche in Italia (Venezia 11 settembre 1970), ma raggiunge le massime frequenze in Australia e negli Stati Uniti dove se ne contano fino a 200 l’anno, specialmente nelle grandi pianure dei Fiumi Missisipi, Ohio e Missouri.

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 

 


COSTA VICTORIA - SOCCORSO IN ATLANTICO

COSTA VICTORIA

SOCCORSO IN OCEANO ATLANTICO


Al comando della Costa Victoria, (nella foto) il pomeriggio del 27 novembre 1998, partimmo da Genova, salutando come sempre con i fischi della sirena e con tanta tristezza nei  cuori i nostri famigliari che continuavano a farci segno dalla banchina, sino a quando la nave era in vista. Le traversate atlantiche erano crociere che stavano diventando sempre più richieste. I nostri ospiti erano per il 50% italiani e per il resto di varie nazionalità; i porti più o meno erano sempre gli stessi. Questa volta, per avere una navigazione più confortevole e una minore onda lunga atlantica dopo Gibilterra, la nave fece scalo a Casablanca e, a seguire, a Santa Cruz de Tenerife per poi raggiungere i Caraibi.

St.Marteen

Partimmo da Tenerife con un forte vento in poppa, diretti al primo scalo dei Caraibi, la bella isola di St. Maarten. Il vento si manteneva teso, la nave superava tranquillamente i 21 nodi e i passeggeri si godevano la splendida giornata sui ponti esterni rinfrescati da una lieve brezza che dava un senso di piacere a chi si  stava crogiolando al sole.


Stavamo navigando tranquillamente da due giorni, quando, sul tardo pomeriggio, avvistammo  all’orizzonte una barca a vela (nella foto) lunga circa 18 metri. Poco dopo fummo chiamati dall’imbarcazione che ci segnalava di avere delle difficoltà: stava procedendo a vela, ma utilizzava soltanto il fiocco in quanto il forte vento dei giorni precedenti le aveva spezzato il boma, si erano scardinati i perni della connessione del giunto con l’albero e lo stesso giunto era danneggiato. Secondo l’equipaggio della barca a vela - tre donne e quattro uomini di nazionalità francese - il danno sarebbe stato riparabile se avesse potuto avere assistenza. Mi feci dare le generalità: erano due coppie intorno ai 50 anni, con tre figli, due ragazzi e una ragazza di oltre 20 anni. Tutti appassionati di vela, avevano intenzione di proseguire verso l’isola di Antigua. Dal nostro ufficio  security di terra, al quale chiedemmo di controllare le generalità avemmo conferma della veridicità delle informazioni ricevute. Per ridurre i tempi di avvicinamento diedi agli occupanti della barca la rotta sulla quale dovevano procedere per venirci incontro. Non appena fossimo stati a circa due miglia di distanza avrebbero dovuto ammainare il fiocco e non tentare alcuna manovra di contatto con noi. Gradatamente cominciai a ridurre la velocità, mentre il nostro personale era al portellone principale, pronto alla manovra.


Fermai la nave quando la barca era a una distanza di circa cinque metri al nostro traverso. La barca che ci apprestavamo ad assistere era veramente bella e comoda, ricordo che si chiamava “La Belle Etoile”. Data la vicinanza il lancio delle nostre cime a bordo fu facile. Comunicai via radio a Louis, che stava al timone, di utilizzare il motore e mettersi con la prora al mare, tirare le cime e affiancarsi, assicurandolo che i nostri parabordi avrebbero protetto l’imbarcazione. La manovra riuscì perfettamente, l’onda lunga causava un po’ di beccheggio, ma l’ormeggio sottobordo era sicuro. Gradatamente, utilizzando le eliche di manovra, mi traversai al mare lungo, proteggendo ulteriormente la piccola imbarcazione dall’onda lunga.  Il nostro carpentiere e l’operaio meccanico salirono a bordo e verificarono che per la riparazione erano necessarie almeno due ore, in quanto si doveva ricostruire un pezzo solido di rinforzo in acciaio, fattibile  con i nostri mezzi. Avvertii i passeggeri della situazione; molti di essi avevano già filmato con le cineprese la manovra ed erano curiosi di sapere che cosa avremmo fatto. Nel frattempo, dal nostro portellone, su gentile richiesta di Louis, provvedemmo a completargli il rifornimento di gasolio e a fornirgli due grossi sacchi di provviste alimentari di ogni genere. Il lavoro fu completato in oltre due ore, nel corso delle quali il nostro personale aveva effettuato una riparazione permanente. Sicuramente, in quel punto, il boma non si sarebbe più rotto, neppure con vento forte. La gioia dei francesi fu immensa, si sentivano ora sicuri di poter continuare il loro viaggio. Era loro intenzione trasferire l’imbarcazione ad Antigua per poi ritornare in patria in aereo perché i ragazzi frequentavano l’università; successivamente, in estate, avrebbero visitato tutte le isole dei Caraibi.

Dopo circa 20 giorni ricevetti, tramite posta elettronica, la conferma del buon esito del loro viaggio con molti ringraziamenti per la nostra assistenza ed efficienza. I francesi aggiungevano di aver fotografato la “Costa Victoria” dalla loro barca, e di averne  fatto una foto gigante da tenere in ricordo di quella loro esperienza in mare.

I nostri passeggeri si erano entusiasmati nel seguire l’operazione di soccorso ed avevano ascoltato con interesse dal direttore di crociera, la sera, in teatro, tutti i dettagli dell’intervento, esposti nelle varie lingue straniere. Avevano apprezzato molto il nostro gesto e ricevetti numerose lettere  lusinghiere di complimenti, specialmente dagli ospiti francesi. Il nostro viaggio proseguì tranquillo sino all’arrivo, dopo aver effettuato gli scali più belli e interessanti dei Caraibi.

Una nave di "Costa Crociere" in uscita da Port Everglades

Domenica 13 dicembre entrammo in porto a Port Everglades (Florida), concludendo ancora una volta con successo e gradimento degli Ospiti la traversata atlantica.

C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO

COSTA VICTORIA

Dati Tecnici:

Consegnata alla Costa Crociere  nel 1996 dal cantiere Lloyd Werft  (Bremerhaven- Germania), dove è stata costruita. (DESIGN Italiano – progettata da uno studio di  ingegneri italiani).  Ho avuto l’onore di seguirne l’allestimento e assumerne  il comando.

Le dimensioni della nave erano state studiate dall’armatore sulla base di parametri logistici e commerciali, perché potesse transitare lungo il Canale di Panama, passare sotto i ponti più importanti del mondo e operare tranquillamente in quasi tutti i porti del Mediterraneo.

La “Costa Victoria”  è lunga 253 metri, larga 32.2, GRT: 75.176, (Stazza lorda) potenza apparato motori 30.000 KW, (propulsione diesel elettrica)  capacità massima passeggeri 2370, equipaggio 790. E' dotata di tre eliche di manovra prodiera da 1.700 KW ciascuna e 2 poppiere da 1.700 KW ciascuna, due timoni attivi tipo “Becker” che danno alla nave un notevole effetto evolutivo.

Webmaster Carlo GATTI

Rapallo, 28 Agosto 2014






COSTA CONCORDIA - Un incubo da ricordare....

 

COSTA CONCORDIA

 

Un incubo da ricordare, tra superstizione e realtà.

Si sono spenti i riflettori sulla Costa Concordia e il mondo intero ha tirato un sospiro di sollievo.

 

Il TEAM del Giglio, composto da tecnici di 26 nazionalità, suddivisi in numerose specializzazioni, ha avuto ragione di esultare e lasciarsi andare a manifestazioni “liberatorie” contro un nemico insidioso che era presente sin dalla nascita  della nave: la sfortuna! Le navi, come le persone, hanno un destino e se “il buon giorno si vede dal mattino”, la rituale e ben augurante bottiglia di champagne, come molti ricorderanno, non andò in frantumi al momento del varo. Un segno premonitore? I marinai sono superstiziosi e quel giorno non pochi si coprirono gli occhi per non vedere la fine del varo… osarono troppo? Ma non ebbero tutti i torti. I marinai e le navi hanno dei riti da rispettare, come tutte le cose antiche, materiali e spirituali di questo mondo.


Il relitto della Costa Concordia é finalmente ormeggiata sulla diga del porto di Voltri. Sullo sfondo una Maersk sta scaricando i suoi containers. (foto J.C.Gatti)

 

La nave è una creatura modellata dall’uomo che le ha dato una struttura, la forma, lo slancio, la velocità, il movimento, persino il “mugugno” quando soffre, quindi ha una sua personalità.

Il relitto attraccato alla diga di Voltri non è la Costa Concordia vista da lontano sugli schermi di casa nostra, mentre certi commentatori esultavano ed esaltavano la magia dei tecnici, come se questi avessero potuto ridare un volto umano all’oggetto di quel macabro funerale che lentamente procedeva verso la meta finale. Oggi, nulla di tutto questo è percepibile. Chi è stato a bordo a contatto con le sue strutture dilaniate, ci ha raccontato dell’odore acre, pungente del relitto tirato sul da fondo, d’aver visto un ammasso di strutture deformate dalla sua caduta sul fianco e uomini senza sorriso e senza volto alla ricerca affannosa di un naufrago ancora mancante e delle membra di altri passeggeri identificati soltanto in parte.

 

Diciamocelo con sincerità: la più grande sfortuna della Costa Concordia fu l’imbarco di un capitano che non era all’altezza di tanta grandezza ingegneristica, innovativa architettura e superba tecnologia e con un equipaggio addestrato, nonostante le “malignità diffuse”. La nave era talmente up-to-date da poter navigare come un drone telecomandato da terra. Magari gli armatori avessero osato tanto…!

 

Il Comandante di un veliero oceanico, fino alla seconda metà dell’800, aveva a bordo soltanto un collaboratore: lo scrivano, un 1° ufficiale ante litteram che aspirava al comando senza interferire nel “magistero” del suo superiore considerato dall’equipaggio: secondo soltanto a Dio.

 

Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, le navi furono motorizzate e le responsabilità del Comandante cominciarono a dividersi con il Direttore di macchina e gli ufficiali macchinisti. Per non essere da meno, furono imbarcati anche gli ufficiali di coperta che avrebbero garantito giorno e notte la guardia sul ponte di comando.  Con l’emigrazione verso le Americhe e l’Australia, le responsabilità del Comandante aumentarono e si divisero con quelle dei Commissari di bordo. Con l’avvento della Radio, ci furono immediati vantaggi per la sicurezza dei viaggi oceanici, ed anche i Radiotelegrafisti diventarono protagonisti di salvataggi accanto al Comandante. In seguito, con l’imbarco dei Medici di bordo ed oggi con gli ufficiali Periti-Elettronici, il Direttore di Crociera e gli Ingegneri addetti al controllo delle strutture portanti della nave, il Comandante è diventato il manager che coordina l’insieme di questi  settori, sebbene egli stesso, sia tenuto ad emettere gli ordini e le procedure che la legge gli impone.

 

In quella lunga notte del naufragio all’isola del Giglio, emerse inoltre una nuova “struttura di comando” che opera da terra: l’Unità di Crisi della Compagnia, istituita per supportare il Comandante nei momenti di grave difficoltà.

 

A questo punto la domanda che sorge quasi spontanea è la seguente:

 

“Ma cosa è rimasto a bordo dell’antico carisma del Comandante?”

 

Qualcuno potrebbe rispondere: “Nulla o quasi nulla!”

 

Eppure, in quel “quasi” solitamente pronunciato con tono sommesso e rassegnato, si nasconde l’elemento più importante della questione:  l’EQUILIBRIO.

 

La nave ha bisogno di un Comandante che sia dotato di grande equilibrio, di grande personalità, ma soprattutto di tanta esperienza. Un uomo che conservi lo stile del vecchio Comandante di velieri, ma che sia anche padrone assoluto delle insidie nascoste nella tecnologia del nuovo millennio.

 

La nave moderna è ancora più “sensibile” delle navi di vecchia generazione. I timoni sono molto più reattivi di un tempo e basta un nonnulla per “esagerare” un’accostata. Per questo motivo è erroneo ed insensato scaricare colpe su un modesto  timoniere che in manovra, ancor più che in passato, deve essere assistito ed affiancato da un ufficiale di coperta che ripeta gli ordini e ne controlli le esecuzioni, nello stesso modo in cui fu esercitato per secoli su tutti i ponti di comando del mondo, fin dai tempi più remoti. Le moderne eliche propulsive e di manovra sono in grado di garantire una velocità rotatoria vertiginosa, che è simile a quel giocattolo elettronico che ogni bimbo manovra in modo perfetto sotto i nostri occhi, senza avere  - naturalmente -  4.000 persone a bordo.

 

Allora ci si chiede: Per quale recondito motivo quel tizio passò al comando? In fase dibattimentale emerse, fra l’altro, il contenuto di certe “note caratteristiche”, non proprio esaltanti, che furono stilate nei suoi confronti. Cosa sia successo in seguito? Non ci é dato sapere. Forse il vero responsabile di tanta imperizia lo si può immaginare inserito in quella lista “epurata”  da Carnival subito dopo la tragedia.

 

Rimane da affrontare un ultimo punto: la formazione dei Comandanti.

 

Lo psichiatra Gian Paolo Buzzi, socio di Mare Nostrum, nonché studioso della materia e membro di Commissioni USA per la formazione di Comandanti di navi e di aerei, ci ha raccontato che da circa un decennio queste categorie sono sottoposte a TEST e controlli molto innovativi sulla soglia di reazione al pericolo, con la valutazione di parametri operativi come il coraggio, la freddezza, la determinazione, la capacità organizzativa nei momenti di grave difficoltà ecc… Possiamo solo augurarci che questa terribile esperienza della nostra marineria abbia scosso tutti gli ambienti decisionali del settore che, secondo le ultime statistiche, è diventato tra l’altro l’unico elemento realmente trainante dell’economia italiana.

 

 

Completiamo il senso di questo articolo con una fotografia che circola sul web e che certifica, più di tante parole, la pericolosa tendenza di certi comandanti-esibizionisti, sostenuti da armatori senza scrupoli, nel regalare EMOZIONI ai passeggeri in modo del tutto gratuito...

Lasciamo al lettore i commenti su questo incredibile passaggio tra i faraglioni di Capri di una nave di 20.000 tonnellate.

Carlo GATTI

Rapallo, 12 Agosto 2014