TSS EARNSLAW, LA NAVE A CARBONE PIU’ VECCHIA DEL MONDO
TSS EARNSLAW
LA NAVE A CARBONE PIU’ VECCHIA DEL MONDO
Viaggia ancora sul lago WAKATIPU
New Zealand del Sud
La Nuova Zelanda é uno stivale rovesciato composta da due grandi isole. Ha una Superficie di 268.021 Km2 - Poco meno dell'Italia 301.338 Km2 - Abitanti: 4.100.000.
Siamo “partiti” per la nuova Zelanda alla ricerca della nave in servizio più vecchia del mondo (109 anni). Nel suo palmarez si legge che ha ospitato la regina d’Inghilterra con il principe Filippo e quasi tutti gli ultimi Presidenti degli Stati Uniti.
Il mondo marittimo anglosassone é da sempre convinto che le navi abbiano un’anima come le persone, quindi un destino che talora é glorioso e va conservato come una reliquia e onorato come una bandiera nazionale! Noi italiani non siamo buoni recettori di questo sentimento che é tuttora sballottato tra le onde del nazionalismo e del patriottismo senza percepirne il vero confine.
Il piroscafo TSS EARNSLAW nell’attesa della sua crociera giornaliera
Su questa mappa del lago Wakatipu é marcata al centro la città di Queenstown capolinea della crociera della nave a carbone TSS Earnslaw una delle più antiche attrazioni turistiche di OTAGO.
Lago Wakatipu
Il TSS EARNSLAW in navigazione. Le crociere partono regolarmente durante il giorno.
La piacevole crociera di 90 minuti attraverso il lago Wakatipu mette in mostra alcuni spettacolari paesaggi alpini di Queenstown e offre la possibilità d’esplorare un pezzo della sua natura vivente.
UN PO’ DI STORIA
Il TSS Earnslaw è parte integrante della storia pioneristica di Queenstown di cui é anche l'icona più gettonata. Il piroscafo fu incaricato dalle ferrovie della Nuova Zelanda di servire le comunità intorno al lago Wakatipu. Lo Steamer Ship é stato varato nello stesso anno del TITANIC, il viaggio inaugurale (maiden voyage) della TSS Earnslaw avvenne il 18 ottobre 1912.
Conosciuta come La signora del lago, ha fornito un collegamento essenziale tra le comunità agricole isolate lungo il lago e il mondo esterno. Lunga 48 metri, era la più grande barca sul lago e trasportava passeggeri, pecore, bovini, posta e provviste.
Quasi demolita nel 1968, fu salvata e acquistata da Real Journeys e messa di nuovo in servizio per il trasporto passeggeri intorno al lago. Da allora il TSS Earnslaw è stata accuratamente restaurata nelle sue condizioni originali: tutto ciò che si vede di lei oggi è fedelmente identico all’aspetto del suo primo viaggio.
Oggi, la TSS Earnslaw è l'unica nave a vapore tuttora in funzione nell'emisfero meridionale, questa realtà le conferisce un alone epico unico al mondo.
Il TSS Earnslaw è apparso in diversi film tra cui un cameo in Indiana Jones e il Kingdom of the Crystal Skull come Amazon River Boat.
Parti della nave a strascico SS Venture nel King Kong di Peter Jackson sono state ispirate dal TSS Earnslaw. Il famoso compositore Ron Goodwin ha composto un brano musicale ispirato al ritmo delle macchine alternative della TSS Earnslaw.
Lo abbiamo già accennato, ma lo sapevate….?
Nel marzo 1990, il TSS Earnslaw ha trasportato la regina Elisabetta e il principe Filippo.
In altre occasioni sono state ospiti a bordo: il re e la regina del Belgio, il principe della Thailandia e numerosi presidenti degli Stati Uniti.
Seguono tre immagini d’epoca, un po’ ingiallite dal trascorrere del tempo, ma intatte nel loro fascino old fashion che si contrappone alla modernità “pacchiana” di tante navi che oggi solcano i sevenseas …
Il TSS Earnslaw è un piroscafo a doppia elica di epoca edoardiana*, l'unica nave a carbone che trasporta passeggeri nell'emisfero meridionale. È una delle più antiche attrazioni turistiche nel centro di Otago (una delle 16 regioni della N.Z. - situata nella parte Sud-Orientale dell’Isola Meridionale.
*L’Epoca Edoardiana (1901-1910)
L’Epoca Edoardiana è il periodo tra il 1901 ed il 1910, cioè l’epoca del regno di Edoardo VII.
Dopo la morte della regina Vittoria avvenuta il 22 gennaio 1901, il suo successore fu il primogenito Edoardo VII che segnò la fine dell’epoca vittoriana e l’inizio di un nuovo secolo.
Mentre la regina Vittoria non partecipava alle uscite in società (era solita ripetere “Noi no, che non ci divertiamo”), re Edoardo VII era un grande frequentatore di circoli mondani ed un grande viaggiatore.
La Londra ereditata dalla Regina Vittoria, era una Londra capitale di un impero che si estendeva per 4 Continenti e contava più di 500 milioni di abitanti.
VISITANDO LA NAVE …
TSS EARNSLAW
Cartatteristiche tecniche
Lunghezza: 51,2 m
Costruzione iniziata: 4 luglio 1911
Varo: 24 febbraio 1912
Pescaggio: 2,1 m
Velocità: 13 nodi
Sala Macchine
- La nave a carbone TSS Earnslaw è sottoposta a manutenzione annuale.
- Per ulteriori info rivolgersi: Centro visitatori Real Journeys, Steamer Wharf, 88 Beach Street, Queenstown
Sul depliant della Compagnia leggiamo:
QUEENSTOWN-DART RIVER SAFARI E CENA CON CROCIERA
Il tour di mezza giornata include un’emozionante escursione con un motoscafo moderno tipo Jetboat, una passeggiata in una foresta autoctona ed una gita in jeep: un’esperienza indimenticabile! Si raccomandano: abiti e scarpe comode - in inverno guanti e giacca impermeabile ed in estate cappellino ed occhiali da sole.
Nel pomeriggio inoltrato ci si imbarca su un vaporetto dello scorso secolo la TSS Earnslaw che ha solcato le acque del lago per oltre 100 anni ed é conosciuta affettuosamente come la SIGNORA DEL LAGO.
Si naviga attraverso il lago sino a raggiungere Walter Peak ove si visita in tutto relax i magnifici giardini della tenuta coloniale Colonel’s Homestead ove si é ospitati per una elegante cena nell’edificio originale. Il menù comprende le tipiche pietanze Neozelandesi a base di gustose carni e verdure seguite dall’immancabile dessert. Dopo la cena é possibile assistere ad uno spettacolo tipico degli allevamenti neozelandesi lo sheep shearing (tosatura delle pecore). Al termine si rientra a Queenstown sempre navigando sulla “signora del lago”.
A BORDO DELLA NAVE
Sala Macchine
La crociera sul lago è adatta a tutte le età. E’ possibile visitare la sala macchine per scoprire le due grandi macchine alternative (a vapore) al lavoro. Nelle vicinanze potrai vedere la raccolta di foto storiche nel nostro mini-museo, controllare il ponte e persino unirti a un cantante insieme al pianista.
Il pianista...
Oppure, se preferisci, rilassati e goditi un vino o una birra o un po' di cibo da caffetteria nel nostro Promenade Café a bordo.
DUE CHIACCHIERE CON IL COMANDANTE SUL PONTE DI COMANDO …
Telegrafo di macchina
Dopo averlo omaggiato del “crest” dei Piloti del porto di Genova, il cinquantenne barbuto Comandante m'invita sul Ponte di comando per scambiare due parole che presto diventano un’affabile conversazione tra vecchi amici avendo anche lui la Licenza di Pilotaggio del suo distretto, in pratica siamo colleghi che lavorano agli antipodi del mondo...
Ormai questa “vecchia signora” non ha più segreti per te …!
A dirti la verità appena mi distraggo un attimo mi frega... Ho lavorato su molte navi nella mia vita, ma nessuna di loro aveva la personalità di Earny ... dotata del temperamento di una anziana nobildonna decaduta... piena di sé, con poca umanità. Una signora scontrosa ed arrogante che vuole comandare in ogni situazione… perché é convinta che solo lei sappia ormeggiare e disormeggiare senza andare a sbattere… in fondo tutti la guardano, l'ammirano, parlano di lei... così si sente sempre bella e desiderata; in poche parole lei é il COMANDANTE ed io sono il suo timoniere...
Mi sembra di capire che tra voi ci sia un po' di rivalità: due primedonne sulla scena prima o poi fanno scintille...
Un po' di verità c'é nelle tue parole. Insomma non ci fidiamo troppo l’uno dell’altra ... ne parliamo spesso … a volte litighiamo, specialmente quando c’é vento di tramontana che ci scarroccia di pancia, purtroppo il nostro pescaggio é limitato a 2 metri a causa dei fondali. Inoltre, quando ci avviciniamo all’ormeggio, i turisti si spostano tutti dal lato banchina per vedere la manovra, la nave s’inclina, una delle due eliche fuoriesce e non lavora più come dovrebbe, per cui la Earnslaw tende ad accostare da un lato, dove incontra meno resistenza.
Ogni manovra risulta diversa da tutte le altre…
Una cosa é certa, se trasformassero la Earnslaw in una unità moderna con l’elica di prora, azipod ecc… tu faresti una vita migliore, ma la nave perderebbe quel fascino che attira turisti da tutto il mondo…!
Hai ragione! Devo anche dirti che spero di non essere io al comando qualora venisse in mente all’armatore di trasformarla in un “soggetto moderno”, facile da manovrare… sarebbe una noia tremenda! Questo antico “ferro”, come sai, ha il timone piccolo, le accostate sono lente e molto lunghe, le devi prevedere con largo anticipo ed é lì che mi diverto!
Allora provo ad andare sul personale… Ma tra voi, se non esiste un po’ di feeling, cos’altro vi tiene insieme?
Provo ad essere sincero: alla sera sono felice di “legarla alle bitte”, lasciarla sola in castigo nel suo “brodo”, e andarmene a casa. Ma dopo un po’ sento che questa “son of a bitch” strapiena d’idiosincrasie… mi manca! Allora chiedo a mia moglie di venire a fare quattro passi, ritorniamo sottobordo, io per controllare che Earny non sia scappata senza di me… mentre mia moglie ogni volta cerca di capirne qualcosa di più… e credo che sia anche un po’ gelosa…
di CARLO GATTI
Rapallo, 2 gennaio 2020
LE NAVI DEGLI EMIGRANTI
LE NAVI DEGLI EMIGRANTI
Furono molti i bastimenti che trasportarono nei loro viaggi transoceanici milioni di persone alla ricerca di fortuna in nuovi Continenti. Molte furono le persone che pur d'imbarcarsi vendettero quel poco che gli era rimasto: l'asino, la vigna, la casa, con la speranza di fare fortuna per poter un giorno ritornare.
Le piccole flotte di navigazione italiane dopo il 1870 furono curate e incentivate con sussidi dal Governo del Regno d'Italia: all'inizio del Novecento alcune di esse erano dei colossi grazie soprattutto al denaro degli emigranti.
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Negli ultimi decenni del XIX secolo il fenomeno dell'emigrazione iniziò ad avere numeri e aspetti che non poterono essere più sottovalutati e si fece sempre più stringente la necessità di provvedere ad una sua adeguata regolamentazione. E' in questa ottica che, con la legge Crispi del 30 dicembre 1888 n. 5866, si recepì il crescente fenomeno dell'emigrazione anche se, ancora per una volta, venne privilegiato l'aspetto repressivo a quello della tutela degli emigranti e dei loro diritti minimi. Con la nuova normativa, tuttavia, venne riconosciuto all’emigrante il pieno diritto di espatriare per motivi di lavoro ma furono introdotte delle discrete restrizioni dovute al mancato espletamento degli obblighi militari. La legge disciplinava, inoltre, tutti gli aspetti riferibili ai contratti di trasporto; introduceva la figura dell'agente che aveva il compito di rappresentare, in modo capillare sul territorio, gli interessi degli armatori e ne regolamentava le competenze in modo da garantire una sia pur blanda forma di tutela dell'emigrante nei confronti delle grandi compagnie di navigazione.
Sempre nell’ottica di questa filosofia, le norme stabilivano, infine, quali dovessero essere le condizioni minime relative alla sistemazione a bordo dei piroscafi a cui gli emigranti avevano diritto (1). La legge del 1888 ha il pregio di regolamentare per la prima volta in modo organico molti degli aspetti del flusso migratorio anche se non garantiva ancora in modo adeguato l'emigrante rispetto agli armatori e agli agenti delle compagnie di navigazione. Una delle critiche più sentite era quella che si esplicitava con la seguente considerazione “l'emigrante viene preso per mano fino al porto di imbarco e poi lasciato al proprio destino”.
La legge 31 gennaio 1901, n. 23
Dopo un ampio e articolato dibattito che vide come protagonisti diversi esponenti politici tra cui gli onorevoli Luzzatti e Pantano, si giungeva agli inizi del ‘900, alla formulazione di una nuova legge sull'emigrazione che finalmente veniva incontro agli emigranti tenendo in considerazione i loro diritti e assicurando efficaci strumenti di protezione. Si trattava della Frontespizio della legge del 1901legge n. 23 del 31 gennaio 1901. Il punto qualificante della nuova normativa fu quello di imporre la creazione di un unico ente di controllo, il Commissariato Generale per l'emigrazione (alle dipendenze del Ministero degli Affari esteri), a cui erano demandate tutte le incombenze relative al problema migratorio che, fino a quel momento erano state parcellizzate tra le diverse amministrazioni dello Stato (articolo 7). La legge, inoltre, aboliva gli agenti delle compagnie di navigazione e li sostituiva con i “rappresentanti dei vettori”, i quali, a loro volta furono obbligati, per diventare tali, a richiedere annualmente al Commissariato una specifica “patente di vettore” (articoli 13 e seguenti).
Per garantire un’adeguata tutela dell’emigrante la legge del 1901 istituiva delle commissioni ispettive nei vari porti di imbarco (Genova, Napoli, Palermo) con il compito di verificare se le navi impiegate a tale scopo rispondessero ai requisiti imposti dalle normative sanitarie. A bordo dei piroscafi, poi, furono previsti commissari viaggianti e medici militari che avevano il compito di verificare l’osservanza delle disposizioni sancite dal regolamento di attuazione della legge e l’adeguatezza degli spazi a disposizione degli emigranti. La protezione attiva della norma non si limitava a tutelare l'emigrante fino al momento dello sbarco in terra straniera, ma assicurava una adeguata protezione anche dopo la conclusione del viaggio con la creazione, nei principali paesi di immigrazione (anche se con ritardo e tra notevoli difficoltà), di patronati e di enti di tutela obbligati a fornire assistenza legale e sanitaria a chi ne avesse bisogno.
Furono istituite, inoltre, delle “commissioni arbitrali provinciali” che avevano il compito di intervenire in caso di controversie tra l’emigrante e il vettore di emigrazione o di un suo rappresentante (articoli 26 e 27). La legge del 1901 venne, in seguito, integrata dalla legge 2 agosto 1913 n. 1075 e dal decreto luogotenenziale del 29 agosto 1918 n. 1379 che rivedevano la normativa in materia di commissioni arbitrali (dando la facoltà agli ispettori d’emigrazione di derimere alcune controversie), e inasprivano le penali da comminare alle società di navigazione e ai loro agenti in caso di inosservanza della legge.
Con il testo unico del 1919 si intese, infine, riorganizzare tutta la normativa in materia di emigrazione conferendo maggiori poteri al Commissariato per l’emigrazione che fu in grado di intervenire nei paesi esteri in modo più incisivo per garantire l’emigrante con norme adeguate ai tempi e con il principio, finalmente del tutto affermato, della libertà di espatrio per motivi di lavoro (anche se era prevista la possibilità di impedire temporaneamente l’espatrio in quelle nazioni che non offrivano adeguati margini di sicurezza).
Il regime fascista e la fine del Commissariato per l’emigrazione
Con l’avvento del fascismo al potere, il fenomeno migratorio venne sottoposto dal regime ad un generale ripensamento che ne cambiò la natura arrivando, addirittura, ad abolire il termine “emigrante” per sostituirlo con quello di “lavoratore italiano all’estero”.
Sempre in questa ottica, l’emigrazione (i lavoratori italiani all’estero, appunto) fu sfruttata anche a fini propagandistici e di politica estera. Dal punto di vista legislativo il fascismo tenne fede a questo cambiamento di politica tanto che con il D.L. 26 aprile 1927, n. 628 fu abolito il Commissariato per l’emigrazione che diventò una “semplice” direzione generale del Ministero degli Affari Esteri (la Direzione generale degli italiani all’estero).
FONTI - LINK:
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
file:///Users/carlogatti/Desktop/Le%20NAVI%20PASSEGGERI%20di%20Linea%20italiane%201900-1970.webarchive
IL SOGNO AMERICANO
http://www.terraiblea.it/files/IL%20SOGNO%20AMERICANO.pdf
ALBUM FOTOGRAFICO
In questa stupenda immagine scattata nel 1926 sul ponte di Comando di una nave passeggeri del Lloyd Sabaudo, si vedono due personaggi della nostra Riviera di Levante: in primo piano, davanti al timoniere, il 1° Ufficiale chiavarese ERNANI ANDREATTA (Sr), un Commissario di bordo ed il celebre ANTONIO LENA Comandante del CONTE DI DAVOIA. Infine a destra tre passeggeri della 1a classe.
In aggiunta alle foto contenute nel mio artico: LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA - DAL 1900 AL 1970, riportiamo, in ordine cronologico, n.15 foto di navi famose nella loro epoca per aver trasportato numerosi emigranti dall'Italia al Nord America.
PERSEO
LOMBARDIA
FLORIDA
REGINA D'ITALIA
MANIFESTO PUBBLICITARIO
DUCA DEGLI ABRUZZI
RE D'ITALIA
AMERICA
GIULIO CESARE
DUILIO
A sinistra: PRINCIPESSA MAFALDA
DUCA DI GENOVA
GIUSEPPE VERDI
CONTE ROSSO
ROMA
CARLO GATTI
Rapallo, 19 Novembre 2019
ELLIS ISLAND (1892-1954)
ELLIS ISLAND (1892-1954)
FU LA META DEI POPOLI EUROPEI CHE INSIEME RISCOPRIRONO
THE NEW WORLD
Ellis Island è un isolotto parzialmente artificiale alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. L'originaria superficie (poco più di un ettaro) fu incrementata fra il 1890 e il 1930 con i detriti derivanti dagli scavi della Metropolitana di New York, fino a raggiungere gli attuali 11 ettari.
Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato il principale punto d'ingresso per gli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti. Attualmente l'edificio ospita l'Ellis Island Immigration Museum che è visitabile utilizzando il medesimo biglietto e traghetto che consente l'accesso anche alla vicina Statua della Libertà.
MUSEO DELL’IMMIGRAZIONE DI ELLIS ISLAND
ECCO DOVE SI TROVA
Nel Museo dell'emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l'Italia, nella disperazione si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.
Museo dell’Immigrazione – Ellis Island
UNA BREVE CITAZIONE
La Sinfonia n. 9 in mi minore di Antonín Dvořák (op. 95), nota anche col titolo di Sinfonia "Dal Nuovo Mondo", fu pubblicata come sinfonia n. 5, ma è in realtà la nona ed ultima fra le sinfonie di Dvořák (pron.Dvorgiak).
Il titolo si riferisce evidentemente al NUOVO MONDO, ossia il Continente Americano, dato che la sinfonia fu composta quando il compositore ceco era direttore del New York National Conservatory of Music. La cultura americana stimolò e arricchì Dvořák, che propose una sinfonia di matrice classica europea, spiritual afroamericani e la musica dei nativi americani, ma contaminata dalla musica autoctona, come gli spoirituaal afroamericani e la musica dei nativi americani.
Questa citazione ha una sua logica storica in quanto fu composta nel 1893 a New York, l’anno successivo all’apertura di ELLIS ISLAND. La sinfonia fu eseguita in prima assoluta alla Carnegie Hall il 16 dicembre di quello stesso anno dalla New York Philharmonic diretta da Anton Seidl, ottenendo un enorme successo.
Neil Armstrong portò l'opera sulla LUNA durante la missione APOLLO 11, la prima con atterraggio sulla Luna, nel 1969.
UN PO’ DI STORIA
Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani, su 9 milioni circa di emigranti che scelsero di attraversare l'Oceano verso le Americhe. Le cifre non tengono conto del gran numero di persone che rientrò in Italia: una quota considerevole (50/60%) nel periodo 1900-1914.
Circa il settanta per cento proveniva dal Meridione, anche se fra il 1876 ed il 1900 la maggior parte degli emigrati era del Nord Italia con il quarantacinque per cento composto solo da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Piemonte.
Le motivazioni che spinsero masse di milioni di Meridionali ad emigrare furono molteplici.
Durante l'invasione Piemontese, operata senza dichiarazione di guerra, dal Regno delle due Sicilie, i macchinari delle fabbriche, non dimentichiamo che Napoli era allora una città all'avanguardia in campo industriale, furono portati al Nord dove in seguito sorsero le industrie del Piemonte, della Lombardia e della Liguria.
Le popolazioni del Meridione, devastato dalle guerra con circa un milione di morti, da cataclismi naturali (il terremoto del 1908 con l'onda di marea nello Stretto di Messina uccise più di 100,000 persone nella sola città di Messina) depredato dall'esercito, dissanguato dal potere ancora di stampo feudale, non ebbero alternativa ad emigrare in massa. Il Sistema Feudale , ancora perfettamente efficiente, permetteva che la proprietà terriera ereditaria determinasse il potere politico ed economico, lo status sociale, di ogni individuo. In questo modo, le classi povere non ebbero praticamente alcuna possibilità di migliorare la propria condizione.
Da aggiungere ai motivi dell'esodo la crisi agraria dal 1880 in poi, successivamente l'aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali dopo l'unificazione del paese, il declino dei vecchi mestieri artigiani, delle industrie domestiche, la crisi della piccola proprietà e delle aziende montane, delle manifatture rurali.
Gli Stati Uniti dal 1880 aprirono le porte all'immigrazione nel pieno dell'avvio del loro sviluppo capitalistico; le navi portavano merci in Europa e ritornavano cariche di emigranti. I costi delle navi per l'America erano inferiori a quelli dei treni per il Nord Europa, per questo milioni di persone scelsero di attraversare l'Oceano.
L'arrivo in America era caratterizzato dal trauma dei controlli medici e amministrativi durissimi, specialmente ad Ellis Island, l'Isola delle Lacrime.
I primi 700 emigranti attraccano a Ellis Island il 1 gennaio 1892. Alla fine dell'anno saranno oltre 450mila gli immigrati passati dall'isola di fronte a Manhattan. Il picco sarà raggiunto nel 1907, con oltre 1 milione di arrivi, tanto da indurre le autorità newyorchesi a potenziare la struttura con un ampliamento importante, e ad affidare ad un commissario all'immigrazione, William Williams, la gestione del personale di Ellis Island per estirpare la piaga dilagante della corruzione.
Con lo scoppio della Grande Guerra l'attività del centro diminuì sensibilmente, e per un periodo la struttura fu destinata alla detenzione dei cosiddetti "enemy aliens", i potenziali nemici di origini straniere presenti sul territorio e sospettati di spionaggio.
Soltanto tre anni dopo la fine delle ostilità iniziò il declino di Ellis Island per effetto dell'Immigration Quota Act voluto dal Presidente Warren G. Harding, seguito nel 1924 dal National Origins Act, che fissava un tetto al flusso di immigrazione sul territorio Usa, stabilendo anche le quote massime per i rispettivi Paesi di provenienza.
Dalla Grande Depressione alla Seconda guerra mondiale Ellis Island fu praticamente svuotata, funzionando negli anni della guerra come ospedale militare. Dal 1950 alla chiusura definitiva alla metà di novembre del 1954, l'isola che accolse milioni di nuovi americani fu in parte ceduta alla Guardia Costiera e in parte adibita a centro di detenzione ed espulsione per stranieri sospettati di attività sovversive e di legami con i comunisti durante gli anni della Guerra Fredda.
Oggi è sede del Museo dell'Immigrazione e dal 1965 monumento nazionale degli Stati Uniti.
Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi (prima della sua apertura altri 8 milioni transitarono per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan), che all'arrivo dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. I Medici del Servizio Immigrazione controllavano rapidamente ciascun immigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali).
Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan.
I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. Secondo il vademecum destinato ai nuovi venuti, "i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordi e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano". Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza.
Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 persone approdate.
Dal 1917, modifiche alle norme d'ingresso limitarono i flussi immigratori. Venne introdotto il test dell'alfabetismo e dal 1924 vennero approvate le quote d'ingresso: 17.000 dall’Irlanda, 7.500 dal Regno Unito, 7.400 dall’Italia e 2.700 dalla Russia. La Depressione del 1929 ridusse ulteriormente il numero degli immigrati, dai 241.700 del 1930 ai 97.000 del 1931 e 35.000 nel 1932. Contemporaneamente Ellis Island diventò anche un centro di detenzione per i rimpatri forzati: dissidenti politici, anarchici, senza denaro e senza lavoro vennero obbligati a tornare al loro paese d'origine. Gli espulsi a forza dagli Stati Uniti furono 62.000 nel 1931, 103.000 l'anno successivo e 127.000 nel 1933.
Durante la Seconda guerra mondiale vi furono detenuti cittadini giapponesi, italiani e tedeschi e il 12 novembre 1954 il Servizio Immigrazione chiuse definitivamente, spostando i propri uffici a Manhattan. Dopo una parziale ristrutturazione negli anni ottanta, dal 1990 ospita il Museo dell'Immigrazione.
QUANDO LE FOTOGRAFIE RACCONTANO PIU’ DELLE PAROLE…
DOVE SI TROVA ELLIS ISLAND?
LE FOTO A SEGUIRE, DOVREBBERO AVERE ... UN ORDINE CRONOLOGICO A PARTIRE DAL 1 GENNAIO 1892 FINO ALLA META’ DEL NOVEMBRE 1954
1927 – Ellis Island ripresa dall’alto
Rappresentazione pittorica della speranza dipinta sui visi dei nostri emigranti dinanzi alla agognata AMERICA!
Ellis Island – E’ l’ora di pranzo
Circa 10 milioni di americani possono rintracciare le loro radici attraverso Ellis lsland. Al primo piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano, perché venivano.
Ellis Island, intorno al 1895. (Hulton Archive/Getty Images
Arrivo di emigranti ad Ellis Island, 1902
Anno 1902
Un gruppo di immigrati attendono di fare la visita medica presso a Ellis Island, prima di poter essere ammessi negli Stati Uniti, nel 1904.(Hulton Archive/Getty Images)
Controllo molto accurato della vista
Un gruppo di immigrati ebrei inglesi attendono l'ispezione a Ellis Island, prima di poter entrare negli Stati Uniti (Hulton Archive/Getty Images)
Due immigrati ebrei a Ellis Island con lo sfondo dei grattacieli di Manhattan
Un funzionario doganale distribuisce le etichette dell'immigrazione a una famiglia di immigrati tedeschi presso la sala di registrazione a Ellis Island. (Lewis Hine W/Getty Images)
Gli immigrati dall’Europa viaggiavano letteralmente ammassati…
La suffragetta inglese Emmeline Pankhurst, subito dopo il suo rilascio da Ellis Island, il 27 ottobre 1913. (Topical Press Agency/Getty Images)
Alcuni bambini che giocano su un carro a Ellis Island. Il carro ha scritto di lato 'Zio Sam' ed è decorato con numerose bandiere americane (Augustus Sherman/Hulton Archive/Getty Images)
Alcuni immigrati si sottopongono ad uno dei numerosi esami medici per completare le procedure per uscire da Ellis Island ed entrare negli Stati Uniti, nell'agosto del 1923. (Topical Press Agency/Getty Images)
Una foto, scattata prima della Prima Guerra Mondiale, di alcuni immigrati che pranzano a Ellis Island.
Alcuni immigrati in coda per bere a Ellis Island, nel 1920. (General Photographic Agency/Getty Images)
Uno sguardo intenso sul proprio futuro… é scolpito sul volto di una giovane immigrata ebrea russa a Ellis Island. (Lewis W Hine/Getty Images)
Una famiglia di immigrati italiani a bordo di un traghetto a Ellis Island. Lewis Hine W/Getty Images)
Il presidente americano Lyndon Johnson mentre parla a Ellis Island, dopo aver firmato il nuovo progetto di legge sull'immigrazione, ai piedi della Statua della Libertà. Sullo sfondo lo skyline di New York dell'epoca. (Central Press/Getty Images)
Un gruppo di bambini con un'insegnante, nel 1943: a molti giovani immigrati vennero insegnate diverse lingue durante il soggiorno a Ellis Island. (B. Newman/Three Lions/Getty Images)
Michael Corrie, un bambino di 9 anni rifugiato dall'Inghilterra, sul traghetto per Ellis Island da New York durante la Seconda guerra mondiale. Evacuato da Bedford nel 1941, Corrie arrivò a New York senza un visto d'ingresso, poiché suo padre si era dimenticato di darglielo e dovette andare a Ellis Island (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Henry "Red" Johnson (terzo da sinistra con il cappello bianco) mentre lascia il New Jersey, l'11 aprile 1932, in compagnia di alcuni funzionari dell'immigrazione e della polizia, verso Ellis Island. Verrà consegnato alle autorità federali per un'udienza con l'accusa di aver infranto le leggi sull'immigrazione. Johnson era un marinaio amico di Betty Gow, la babysitter del figlio di Charles Lindbergh: i due furono accusati di aver rapito il bambino, che fu in seguito trovato morto. Per il crimine fu poi condannato Bruno Richard Hauptmann, un immigrato clandestino tedesco, mentre Johnson venne espulso. (AP Photo)
Henri Barbusse, lo scrittore e pacifista francese, in una foto al suo arrivo a New York a bordo della nave Berengaria, il 29 settembre 1933. Si dichiarò membro del partito comunista e fu detenuto a Ellis Island prima di poter entrare nel Paese. (AP Photo)
Alcuni visitatori della stazione di detenzione di Ellis Island mentre arrivano sul traghetto da Manhattan il 13 giugno 1947. Il recinto di filo spinato racchiudeva l'area riservata ai detenuti in attesa di conoscere il loro destino. Molti di loro venivano espulsi e rimandati nel luogo di nascita dei genitori.
Alcuni giovani detenuti a Ellis Island che giocano mentre i genitori cercano di chiarire con l'immigrazione i problemi che impediscono loro l'ingresso a New York il 1° agosto, 1951. (AP Photo/Dan Grossi)
Arne Petterson è l'ultimo straniero a lasciare Ellis Island per entrare a New York, prima della chiusura del principale punto d'ingresso per gli immigranti. La foto ritrae Petterson sul traghetto da Ellis Island, il 12 novembre 1954. Petterson, un marinaio norvegese di Narvik, è stato rilasciato sulla parola grazie a un amico non identificato, che gli fece da sponsor per la cittadinanza. (AP Photo)
Pearl Buck, vincitrice del premio Nobel, apparve davanti a una commissione del Senato per discutere su una proposta per l'uso futuro di Ellis Island, a New York, il 6 dicembre, 1962. Pearl Buck, che era all'epoca la presidentessa del Consiglio di fondazione di una scuola di formazione a Vineland nel New Jersey, aveva proposto di usare l'isola per aprire un centro diagnostico internazionale per le persone con disabilità. Nella foto con il suo progetto.
Una foto del 1924 della stanza in cui avvenivano le registrazioni degli immigrati a Ellis Island (AP Photo/
La foto di una guardia tra alcuni cittadini giapponesi in viaggio verso Ellis Island su una barca l'11 agosto 1945, dopo il loro arrivo a New York dall'Europa sulla SS Santa Rosa. Facevano parte di un gruppo di 158 cittadini giapponesi che sarebbero stati imprigionati come nemici stranieri. (AP Photo/Matty Zimmerman)
Harry Ferguson, mentre viene fotografato all'arrivo a Ellis Island, il 7 gennaio 1933. Si era fatto passare per il principe Michael Romanoff, per essere ammesso negli Stati Uniti. Ferguson fu scoperto e doveva essere espulso, ma scappò da Ellis Island per poter partecipare ad uno spettacolo teatrale. (AP Photo)
1927- New York - Ellis Island vista dall’alto
In questa bella immagine dall’alto si vede chiaramente la banchina d’ormeggio dei traghetti che trasportavano gli immigrati dai Piers dei transatlantici al controllo di Ellis Island
APPENDICE
MUSEO GALATA DEL MARE
GENOVA
"Da Genova a Ellis Island. Il viaggio per mare ai tempi della migrazione italiana" è la grande mostra sull'emigrazione italiana visitabile a partire dal 19 giugno al Galata Museo del Mare. L'allestimento - 8 sale in 3 gallerie per un totale di circa 1200 metri quadri - che intende mostrare le condizioni di viaggio degli emigranti diretti negli Stati Uniti nel periodo tra il 1892 (anno in cui entra in funzione Ellis Island) e il 1914 (scoppio del primo conflitto mondiale) rappresenta una tappa essenziale nel percorso che il Comune di Genova / Istituzione Mu.MA - Musei del Mare e della Navigazione si è prefisso per la realizzazione del "MEM - Museo dell'Emigrazione", quale sezione all'interno del Galata Museo del Mare.
Dopo il grande successo rappresentato dalla realizzazione della Sala "Piroscafo", una ricostruzione ambientale, che unisce allestimenti marittimi originali ad elementi multimediali (un simulatore navale, completo di videoproiezione, manovrabile dalla timoneria), il Galata Museo del Mare, con il sostegno della Regione Liguria e della Compagnia di San Paolo, sponsor sia della mostra che del nuovo allestimento museale MEM, prosegue sul filone del viaggio tra Otto e Novecento.
Rispetto alle mostre tradizionali sul tema dell'emigrazione, per lo più fotografiche e documentarie, "Da Genova a Ellis Island" vuole far rivivere al Visitatore l'esperienza "emigrazione". Munito di un passaporto e di un biglietto di viaggio, il Visitatore arriverà a Genova e qui incontrerà la realtà di una città che, in pieno sviluppo industriale, vive sull'emigrante eppure lo disprezza e lo considera un problema sociale. Attenderà, come molti, all'addiaccio - magari per giorni - l'arrivo del proprio battello e poi entrerà nella ricostruzione dell'antica stazione marittima di Ponte Federico Guglielmo (oggi è Ponte dei Mille) e, dopo i controlli e le raccomandazioni, potrà salire a bordo del piroscafo di emigrazione.
Come il momento dell'imbarco e della partenza è, nella vicenda dell'emigrazione, l'ora più drammatica, quando si tagliano i legami con la propria terra e i propri affetti, così nella mostra "Da Genova a Ellis Island" il centro emozionale è la grande scena dell'imbarco, con la ricostruzione della Stazione Marittima, del Molo e la fiancata del piroscafo "Taormina" ricostruita nei minimi dettagli a grandezza naturale, sulla scorta dei disegni originali conservati dal museo: e così, fisicamente, il Visitatore salirà a bordo, in cerca della sua cuccetta, nei cameroni comuni (divisi in uomini e donne) o potrà esplorare gli ambienti di servizio: come i bagni, il refettorio, la sala medica, ma anche la prigione - dove venivano rinchiusi i violenti e i clandestini - e l'Ufficio del Commissario di bordo.
Un viaggio negli ambienti del piroscafo d'emigrazione e, co contemporaneamente, un vero viaggio "virtuale". Dagli oblò e dalle finestrature sarà possibile vedere il mare, in diverse condizioni di luce, di giorno, al tramonto e durante una notte di luna, e infine passare sotto la Statua della Libertà, il momento del pathos e della commozione. Ma questa non è la fine del viaggio. Il Visitatore, da emigrante, sbarcherà a Ellis Island, l'isola a due miglia da New York: qui entrerà nella Inspection Line, il percorso fatto di visite mediche, interrogatori e test per verificare se possedeva i requisiti per essere accolto in America. E qui verrà ricostruito il percorso, fatto di attese, domande, visite, oltre a mostrare ciò che accadeva a chi non era in regola, o era malato o comunque giudicato non idoneo a entrare negli Stati Uniti. L'ultima scena, infine, apre le porte del Nuovo Mondo o, più esattamente, la città di New York dove la gran parte degli emigranti giunti dall'Europa si fermava alle prese con i problemi concreti del trovare un lavoro, una casa, curare la salute e sbarcare il lunario.
"Per realizzare la mostra Da Genova a Ellis Island - commenta Maria Paola Profumo, Presidente del Mu.Ma - abbiamo sviluppato una coproduzione, tra l'Istituzione Mu.MA e l'Ellis Island Immigration Museum di New York. Il contatto diretto e la collaborazione con anche l'Ambasciata USA in Italia, ha permesso visite, invio di materiale e documentazione. Un contatto importante, perché va ricordato, che gli italiani che passarono a Ellis Island furono oltre 3.000.000, una percentuale enorme sui circa 12.000.000 che tra il 1892 e il 1956 - periodo di funzionamento dell'isola - vi transitarono, il che fa del nostro popolo quello che maggiormente dovette subire le procedure e i controlli di questa fase dell'immigrazione americana".
Se Ellis Island Immigration Museum, struttura visitata ogni anno da milioni e milioni di visitatori, americani e no, luogo simbolo del "melting pot" è il partner di riferimento della mostra, l'elenco delle collaborazioni è molto lungo e qualificato. "La mostra si avvale della collaborazione di alcuni dei centri di studio sull'emigrazione e di raccolta documentaria più importanti in Italia: come la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, che ha collaborato per la parte iconografica e documentaria, con l'Archivio Ligure di Scrittura Popolare, diretto da Antonio Gibelli che ha messo a disposizione l'importante e variegata documentazione di lettere e immagini, per lo più di emigranti liguri, o il CISEI - Centro Internazionale di Studi sulla Emigrazione Italiana di Genova. Così come va ricordata la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma che ha messo a disposizione della mostra il dipinto più famoso e significativo dell'emigrazione italiana: "Gli Emigranti" di Angiolo Tommasi. Datato 1895, misura 4 metri x 3 e rapprsenta un grande affresco che mostra l'attesa degli emigranti, uomini e donne, vecchi e bambini, di regioni diverse. E dove li mostra? Proprio a Genova, lungo il Ponte Federico Guglielmo".
Genova, secondo Pierangelo Campodonico che è il curatore della mostra con il collaudato staff di museologi del Galata Museo del Mare, non è un "luogo qualunque dell'emigrazione italiana: è la porta attraverso la quale passano buona parte degli moltre 29.000.000 milioni di italiani che partono per l'emigrazione. E' perciò doveroso realizzare nella nostra città un luogo dove si possa fare memoria di questo".
Collaborazioni scientifiche, ma non solo: "una mostra non è un libro - prosegue Campodonico - pertanto abbiamo posto molta attenzione alle forme espressive: e così siamo stati aiutati dalla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, che ha messo "in scena" molti dei documenti raccolti, registrandoli, a voce e in video, a creare la straordinaria colonna sonora della mostra, fatta da musiche dell'emigrazione, ma anche e soprattutto da dialoghi, monologhi, testi di lettere, avvisi e avvertimenti che accompagneranno il Visitatore-Emigrante lungo il percorso. Ma anche l'iconografia ha la sua parte, e così l'Istituto Artistico Nicolò Barabino, con il suo corso di ritrattistica ha realizzato la reinterpretazione dei ritratti fotografici di Augustus Sherman, impiegato e fotografo di Ellis Island, le cui immagini rappresentano nel modo più struggente l'ansia e le speranze degli emigranti, ma anche la loro straordinaria varietà etnica e culturale".
Una mostra "diversa", nelle attese del Galata Museo del Mare, destinata a non essere il tradizionale percorso artistico o documentario in uno dei grandi temi del Novecento e della modernità, ma soprattutto "un percorso emozionale, segnato dall'ansia e dalla speranza. Perché la storia dell'emigrazione è una storia di uomini e donne, di persone, di sentimenti. E gli stessi sentimenti che furono dei nostri padri, sono oggi quelli di tanti emigranti tra noi, non dobbiamo scordarcerlo. E' questo il senso di una memoria civile", conclude Maria Paola Profumo.
CARLO GATTI
Rapallo, giovedì 14 Novembre 2019
LA MARINERIA DI CAMOGLI DALLA GUERRA DI CRIMEA ALL'UNITA' D'ITALIA
PREMESSA:
Ogni pietra di Camogli ci racconta una pagina della sua luminosa storia, grazie soprattutto alla sua gente che oggi, pur distratta dalla modernità, riesce a mantenere viva la sua antica tradizione marinara scolpita di ricordi legati ai suoi celebri Comandanti di velieri ed ai suoi valentissimi Armatori.
Sul nostro sito: MARE NOSTRUM RAPALLO abbiamo raccolto nel tempo tante pagine della sua gloria indiscussa, ma quella che oggi vi proponiamo fotografa l’apice raggiunto dalla potenza marittima di Camogli durante la Guerra di Crimea. Il conflitto fu combattuto, dal 4 ottobre 1853 al 1º febbraio 1856, fra l’Impero russo da un lato e un'alleanza composta da: Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna dall’altro. La guerra ebbe origine da una disputa fra Russia e Francia sul controllo dei luoghi santi della cristianità in territorio ottomano.
Vi lascio ora alla dotta esposizione dell’avv. G. B. Roberto Figari, rappresentante della Società Capitani & Macchinisti Navali, al convegno “Il contributo dei liguri all’unità d’Italia” promosso dalla Consulta Ligure e tenutosi nella fortezza del Priamar a Savona lo scorso 19 giugno 2011.
Carlo Gatti
LA MARINERIA DI CAMOGLI DALLA GUERRA DI CRIMEA ALL’UNITA’ D’ITALIA
La vicenda plurisecolare della marineria mercantile di Camogli - come del resto quella della marineria di ogni paese - si interseca fisiologicamente nel suo sviluppo con momenti di tensione politica, con crisi congiunturali e talora con vere e proprie vicende belliche.
Già ai tempi della spedizione d’Egitto del Buonaparte i camogliesi avevano messo a disposizione del Commissario del Governo di Francia numerose loro imbarcazioni per quell’impresa, che si risolse peraltro – almeno per alcuni di loro – come un vero disastro economico. Ed ancora ai tempi della campagna d’Algeria di Carlo X i camogliesi – frequentatori abituali delle coste provenzali e buoni conoscitori di quelle nordafricane – non si erano tirati indietro, noleggiando al nuovo Governo francese molti bastimenti per il trasporto di materiali e di truppe, tanto che non mancò il caso di interi nuclei familiari trasferitisi definitivamente prima da Camogli a Marsiglia e poi da Marsiglia addirittura ad Algeri. Si trattava di ghiotte occasioni di guadagno, colte con accortezza e tempismo dai camogliesi, i quali – avvezzi alla pratica del contrabbando fin dai tempi del blocco navale britannico - non si preoccupavano più di tanto di allinearsi con il proprio Governo, quanto di approfittare al meglio della congiuntura sul mercato internazionale dei noli. Non è questa la sede per soffermarci sulle origini di quel conflitto; basti ricordare che la contesa scoppiò tra Russia e Turchia e che Gran Bretagna e Francia, volendo tenere lo zar fuori dal Vicino Oriente, si allearono col sultano.
L’intervento sardo-piemontese fu poi un raffinato espediente di Cavour per inserire al meglio il piccolo regno nel gioco delle grandi potenze. Lo stesso Cavour, durante la discussione alla Camera sulle convenzioni con l’Inghilterra per l’intervento in Crimea, a chi gli faceva presente - per dissuaderlo dall’entrare in guerra con la Russia - che i negozianti liguri avevano già investito milioni per accaparrarsi il prossimo raccolto di grano russo, rispose malizioso che “i capitani mercantili genovesi già da lungo tempo hanno dichiarato la guerra alla Russia, poiché in gran numero hanno noleggiato le loro navi alle potenze occidentali belligeranti e stanno da più mesi nei porti del Mar Nero”. E se è vero che la partecipazione del regno di Sardegna alla guerra di Crimea pose utili premesse all’unificazione d’Italia, è ancor più vero che l’impegno degli armatori camogliesi nel supporto logistico a quella spedizione risultò determinante, così come lo stesso Cavour ebbe a riconoscere. Alcuni capitani ed armatori camogliesi si fregiarono infatti – alla fine della guerra - di decorazioni inglesi e francesi, oltre che sabaude, ma il più bel riconoscimento lo ebbero forse proprio tutti insieme da Cavour che, rivolgendosi all’industriale senatore Bombrini, pare abbia detto: “Se i servizi per le truppe di Crimea sono andati così bene, il merito è di quei diavoli di camogliesi che hanno saputo donare al Piemonte una vera marina mercantile”.
Ma ne valse la pena, dal momento che certi noli, come quelli per il trasporto di munizioni, garantivano in un viaggio di andata e ritorno utili pari al totale valore del bastimento impiegato, con rendite del 65% sul capitale investito nelle carature. Non furono infatti motivazioni patriottiche, o d’alta politica, a muovere i camogliesi, bensì l’esigenza di mettere comunque a profitto, al miglior profitto, la loro consolidata conoscenza delle rotte del Levante, l’esperienza secolare dei loro capitani, la versatilità d’uso e di manovra del loro naviglio.
In quegli anni Camogli aveva già raggiunto un notevole grado di prosperità, che venne consolidata dall’attuazione e dallo sviluppo di quell’importante iniziativa – inizialmente suggerita da un armatore della vicina Recco, ove peraltro l’idea non trovò seguito – che fu l’Associazione di mutua assicurazione marittima camogliese, fondata il 20 marzo 1853 e destinata ad operare fruttuosamente per oltre un trentennio. Riservata ai soli camogliesi, l’associazione, che nel 1855 assicurava ben centoquarantatre bastimenti, per più di ventitremila tonnellate complessive e per un valore totale di oltre tre milioni di lire, consentì per ben sette lustri un contenimento dei rischi reali d’esercizio dell’impresa marittima ed una maggiore disponibilità di capitale libero per gli armatori locali.
Si racconta che nel loro piccolo porto “si armava e si calafatava di giorno e di notte, …al chiarore… di due barili di pece, acceso uno sulla punta del molo e l’altro al centro della piazzetta della calata” per sfruttare al meglio il tempo disponibile. Gli armatori di Camogli trasportarono in Crimea di tutto: truppe, cavalli, ma soprattutto merci varie, munizioni, vettovaglie, artiglieria. Del resto gli inglesi avevano noleggiato solo delle grandi navi, il cui carico richiedeva molto più tempo che se la stessa quantità di materiale fosse distribuito su un maggior numero di bastimenti di minor portata.
Lo stesso Cavour aveva potuto rendersi conto dell’utilità del nostro naviglio, così come delle maggiori capacità ed operosità dei nostri equipaggi rispetto a quelli britannici. La grande conoscenza delle rotte da parte dei capitani camogliesi consentiva poi che spesso un loro bastimento effettuasse l’andata e il ritorno nello stesso tempo in cui un altro bastimento effettuava la sola andata e la discarica. I loro viaggi venivano organizzati in convogli, squadre da dieci o quindici velieri, che si davano appuntamento all’inizio dell’Egeo e da lì proseguivano di conserva nell’arcipelago, infestato dai pirati, e quindi per gli stretti, dopo i quali era l’insidia delle navi russe. Astuzie, colpi di fortuna, sciagure e gesti di coraggio sono retaggio dei discendenti di quanti presero parte ai viaggi della Crimea, la cui memoria è stata in taluni casi perpetuata dagli scritti di Gio Bono Ferrari.
Dopo la discussa partecipazione alla guerra di Crimea, il generale sviluppo della marina mercantile del regno sardo-piemontese - il cui fulcro era nel porto di Genova - fu indubitabile. Ma a ben vedere la realtà economica che – durante e dopo quell’esperienza bellica – seppe conseguire i maggiori benefici fu proprio l’armamento mercantile di Camogli, che giunse all’unificazione nazionale con una flotta di tutto rispetto, dopo aver investito in nuove costruzioni buona parte dei profitti ottenuti proprio durante la campagna di Crimea, ponendo così le solide basi di quella che divenne la marina mercantile del regno d’Italia.
Avv. G.B. FIGARI
Rapallo, 21 Ottobre 2019
STOCCOLMA-IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
STOCCOLMA
IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
Museo Wasa - 1.300.000 visitatori l'anno
10.000 visitatori giornalieri (alta stagione)
Nella bellissima Stoccolma c’è un relitto di un antico galeone da guerra svedese (custodito all’interno dell’omonimo museo ad esso dedicato), che ha avuto una fine tragica e paradossale proprio il giorno della sua inaugurazione. In ogni naufragio c’è un qualcosa che va storto, una forzatura ingegneristica, un errore umano in navigazione o più semplicemente una mancanza di rispetto dell’uomo verso le leggi del mare. Oggi vi raccontiamo la storia del galeone Vasa, la più grande nave da guerra mai costruita all’epoca, vanto della marina svedese ma incapace di navigare.
Durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella primavera del 1628, la flotta di Gustavo II Adolfo, re di Svezia, si arricchì di una nuova unità:
Il galeone a tre alberi Nya Wasa.
Il nome derivava dalla dinastia dei Wasa, alla quale Gustavo II apparteneva. Artigiani e artisti olandesi e svedesi, agli ordini di Henrik Hybertsson, aveva creato una splendida nave: il cassero di poppa raggiungeva i 20 metri d’altezza, di cui 15 sopra il livello del mare. L’albero maestro svettava a 52 metri d’altezza,
quelli di trinchetto e di maestra avevano vele quadre con vela di gabbia. L'albero di mezzana aveva una vela latina e, sul bompresso, c'era una civada. Complessivamente la nave poteva issare 1275 mq di vele che le consentivano di raggiungere una velocità di 10 nodi.
Gallerie esterne, cupole, arabeschi, bassorilievi e più di 700 statue di legno dorato ornavano l’opera morta, la parte emersa dello scafo.
Costruito a Stoccolma subì, prima ancora che scendesse in mare, numerose modifiche che influirono in modo disastroso sulla stabilità del galeone. Molte di queste furono richieste dal Re che interferì parecchio nella sua costruzione. La nave venne allungata e fu aggiunto un secondo ponte che permise di portare il numero dei cannoni a 64 pezzi. Il cassero era particolarmente alto e tutte le sovrastrutture furono pesantemente decorate. Fu imbarcato, oltre all'armamento completo, anche un enorme quantitativo di vasellame, quadri e arredi. La nave era imponente ma troppo stretta rispetto alla lunghezza ed al peso. Inoltre il baricentro era pericolosamente alto. Si cercò di porvi rimedio aumentando la zavorra ma questo avvicinò ancor più il ponte di batteria inferiore al pelo dell'acqua.
Alle quattro del pomeriggio del 10 agosto 1628 la nave uscì dal porto di Stoccolma per il viaggio inaugurale. Mollati gli ormeggi, la nave mise la prua su Alvsnabben, nell’arcipelago di Stoccolma. Rimorchiato fino a Södermalm, il maestoso veliero dai vivaci colori nazionali issò le prime vele di trinchetto, di mezzana e le due vele di gabbia.
Giunto a cento metri a sud dell’isolotto di Beckholmen, una raffica improvvisa investì il cassero di dritta, facendo sbandare la nave e provocando un rapido ingresso di acqua dai portelli aperti della seconda batteria.
Il timoniere fu molto bravo a recuperare la stabilità, ma una seconda raffica lo inclinò ancora. A questo punto l'acqua cominciò ad entrare dai portelli dei cannoni del ponte inferiore che erano aperti, e la nave affondò rapidamente.
In pochi minuti la nave la nave affondò in 32 metri d’acqua adagiandosi sul fianco sinistro. Circa 50 furono le vittime, ma con il Wasa andarono a fondo anche 100.000 riksdaler, la moneta svedese dell’epoca, pari a 50 milioni di dollari di oggi. Una vera catastrofe nazionale. Le operazioni di recupero furono subito effettuate. L’inglese Ian Bulmer riuscì a raddrizzare il relitto e a disalberarlo in parte. Nel 1664 lo svedese Hans Albrekt ed il tedesco Andreas Peckell, giovandosi di una campana pneumatica, recuperarono 53 dei 64 cannoni. Nel 1954 lo studiuoso Anders Franzen ed il campione subacqueo Arne Zetterström con la scuola navale subacquea svedese tentarono il recupero del relitto che, dopo sei anni, rivide la luce il 24 aprile 1961. Il relitto risultò miracolosamente ben conservato grazie alla ridotta salinità delle acque del Baltico, alla scarsa presenza di ossigeno nel fondale ed al fatto che la nave era costruita con massiccio legno di rovere. Il Wasa fa ora bella mostra di sé nel museo di Stoccolma che porta il suo nome e che fu inaugurato nel 1990 fornendoci l’unica preziosa testimonianza del veliero del XVII secolo.
Nelle sue sale si trovano anche i numerosissimi manufatti, fra cui 700 statue, che furono recuperati intorno al relitto.
ALBUM FOTOGRAFICO
Dati Nave:
Tipo: ..........................galeone a tre alberi
Varo: .........................1627
Lunghezza: .............metri 70 (dal bompresso
Larghezza: ..............metri 11,50
Immersione: ...........metri 4,80
Dislocamento: .......tonn. 1.400
Superficie velica: ...mq 1.150
Armamento: ...........Prima batteria: ....... 28 cannoni da 24 libbre
Seconda batteria:..... 22 cannoni da 24 libbre
Terza batteria: ......... 2 cannoni da 1 libbra
8 cannoni da 2 libbre
6 mortai da6 libbre
Equipaggio:............133 marinai, 300 soldati
Carlo GATTI
Rapallo venerdì 14 2017
LA DARSENA CUORE ANTICO DI GENOVA
LA DARSENA
CUORE ANTICO DI GENOVA
UN PO' DI STORIA
L’aspetto originario del porto è quello coincidente col naturale bacino (oggi cuore del Porto Antico) che risale al all’epoca del Comune, con l’istituzione dei Consoli del Mare, che sovrintendevano al corretto svolgimento di tutte le attività portuali ivi comprese le opere di manutenzione e ampliamento delle infrastrutture.
Il secolo XII vede l’espansione dei commerci genovesi nel Mediterraneo e la città diviene punto di smistamento del traffico di merci di lusso che arrivano dall’Oriente e dalle Fiandre, traffico che genera attività finanziarie e bancarie che nel volgere del tempo vedranno i banchieri genovesi protagonisti in Europa.
Il bottino di guerra derivante dalla sconfitta dell’acerrima nemica Pisa permette poi, sul finire del secolo, la realizzazione della darsena, con l’Arsenale per le costruzioni navali e il rimessaggio, e due bacini: uno destinato alla flotta di galee e l’altro al traffico del vino. Intanto, nel 1260, davanti a SOTTORIPA, viene completato il Palazzo del Mare, sede del Comune. Quello che oggi conosciamo come Palazzo San Giorgio sede dell’Autorità Portuale e che nel ‘400 ospitò l’antesignano di tutti i moderni sistemi bancari, il Banco di S. Giorgio.
Ai primi del ‘300 risale la costruzione della LANTERNA come la conosciamo noi oggi, anche se sappiamo dalle fonti che fin dal 1128 esiste una torre atta all’avvistamento di navi all’orizzonte e già dal 1161 le navi dirette in porto sono tenute a pagare un dazio per il servizio di segnalazione luminosa del faro.
La zona interna al molo vecchio è destinata all’attracco delle imbarcazioni minori e dal loro affollamento simile a quello di una mandria deriva il nome del luogo, detto Mandraccio.
Il nome "mandracchio" deriva dal lat. "mandra", “recinto, ricettacolo” e suo diminutivo lat. "mandraculum", spazio organizzato per non ingombrare e per occupare il minore spazio possibile. In greco esiste la voce corrispondente, mandràki (μανδράκι), prestito mediterraneo come altre parole comuni a varie culture del mare. Otre che ad indicare il mandracchio di Rodi, è anche nome proprio di due centri costieri: Mandràki Nisyrou (Μανδράκι Νισύρου), nell'isola di Nisiro, nel Dodecaneso, e Mandràki Serròn (Μανδράκι Σερρών), nell'unità di Serres, in Macedonia Centrale.
Vi erano altresì numerosi piccoli pontili, ma specialmente ritroviamo nell'iconografia la presenza di tre bacini separati da piccoli moli: la Darsena delle barche o del vino, cioè l'approdo del commercio di cabotaggio; la Darsena delle galere, rifugio delle navi mercantili e da guerra; l'Arsenale o Darsinale, luogo di costruzione delle galere e di deposito del loro armamento. Essi furono costruiti, secondo la tradizione, utilizzando diecimila marchi d'argento del bottino di guerra ottenuto contro i Pisani nella battaglia della Meloria (1284), e successivamente circondati da torri merlate e da mura (1312). Per secoli questi spazi e gli edifici esistenti su di essi hanno identificato il lato tecnico operativo, in chiave marinaresca, dapprima, nel Medioevo, di una politica di espansione commerciale e militare finalizzata alla costruzione di un impero coloniale tra i più importanti del Mediterraneo; successivamente, in Età moderna, della difesa dei confini operativi conquistati, commerciali e finanziari questa volta, con la scelta della neutralità e le arti della diplomazia.
La struttura portuale rimane invariata nei suoi aspetti fondamentali fino al Cinquecento inoltrato: gli interventi maggiori riguardano il Molo (corredato di un faro minore), che viene a più riprese ingrandito fino al 1553, quando a coronamento dei suoi 490 metri di lunghezza viene posta la Porta del Molo (o Porta Siberia) progettata da Galeazzo Alessi. I sei ponti perpendicolari alla Ripa Maris, cioè alla riva, prendono il nome dal tipo di merce che vi si scarica oppure dalle famiglie che hanno residenza nelle vicinanze: in origine interamente in legno, vengono ricostruiti in pietra a partire dal ‘400, contemporaneamente al progressivo potenziamento della darsena e all’escavazione del fondale per permettere l’attracco delle imbarcazioni man mano sempre più grandi.
A conferma dell’importanza del porto per la città, i Padri del Comune, già dal 1363, venivano nominati anche Salvatores Portus et Moduli, cioè Conservatori del Porto e del Molo, con responsabilità dirette nell’amministrazione portuale, dotati di poteri speciali e individuati in base a precise competenze tecniche.
La Darsena, "CUORE" della storia di Genova
Un grande spazio all'interno di quella che ora viene denominata area del Porto Antico era un tempo occupato da importanti infrastrutture al servizio del porto della città capitale della Repubblica di Genova. Vi si trovava il Molo vecchio, la struttura portante dell'approdo, caratterizzato dalla presenza dei "noraxi", cioè le grosse colonne, di marmo o di pietra di Promontorio, a cui le navi legavano gli ormeggi; da un faro, più piccolo della grande Lanterna, che chiudeva invece il bacino ad occidente; da "cannoni", cioè tubature che portavano l'acqua alle navi ancorate.
Sulla sinistra le arcate vecchie per le galee – Cristoforo Grassi Veduta di Genova particolare .
Dalle fonti sappiamo che era nato originariamente come uno degli spazi dell’Arsenale genovese per costruire o per tenere in manutenzione le galee della Repubblica di Genova.
L’edificio, che aveva il nome di Acate Nuove, si contrapponeva alle Arcate Vecchie costruite lungo la riva del mare, lo spazio che si trova tra il museo e la sopraelevata. Le Arcate Vecchie erano una quindicina di scali, disposti a pettine lunghi 50 metri, larghi 8, alte tra i 10 e i 15 metri. Qui le galee venivano costruite e poi scivolando sui tronchi, varate in mare.
Le Arcate Nuove invece, risalgono alla seconda metà del XVI secolo. La Repubblica decide di aumentare il numero di galee della sua flotta, per essere competitiva sul Mediterraneo. Alte e ampie arcate sono progettate per poter costruire e ospitare e al chiuso galee di grandi dimensioni.
Quando però nel ‘600 i lavori sono completati, le situazioni economiche e politiche mutano e le galee della Repubblica diminuiscono: da 25 passano a 15.
Di conseguenza anche gli edifici vengono modificati per avere utilizzi differenti. Le arcate alte nell’800 fanno posto a un edificio di tre piani e diventa magazzino della Dogana. L’area sul dock viene attrezzata allo scopo di carico, scarico e magazzino: gru, binari, scambi ferroviari, che vediamo ancora oggi.
L’edificio viene abbellito da un rivestimento neoclassico, con un torrino sulla facciata e la torre, che vediamo ancora. È in questo periodo che le “Arcate Nuove” prendono il nome di Galata.
Alla caduta della Repubblica Genovese, nel 1797, la Darsena è completamente militarizzata e così rimane, dopo l'annessione al Regno Sardo, fin dopo la metà dell'Ottocento. Durante questo periodo è interrato lo spazio acqueo dell'Arsenale e viene costruito un bacino di carenaggio, per altro ancora oggi esistente, al posto dell'ex bacino delle barche. Bisogna attendere il 1870, con la cessione dal Governo al Comune, perché abbia inizio la trasformazione della Darsena in emporio commerciale.
L’antica Darsena
Calata Simone Vignoso. Notare sullo sfondo gli alberi dei velieri ormeggiati alle “calate Interne”. Sulla sinistra il celebre PONTE REALE che permetteva agli armatori di scendere direttamente in porto.
1916 - Darsena e Ponte Reale
Darsena fine ’88 – Calata Simone Vignoso
Questa foto mostra la Darsena con un grande orologio sopra lo stemma del Comune di Genova.
Quattro navi ormeggiate in Darsena: due a Calata Ansaldo De Mari (calata Orologio) ed altre due a Calata Andalò Di Negro. Una selva di maone sono sotto carico o in attesa.
Porto Vecchio - Genova, primi '900
Chi scrive ricorda d’aver ormeggiato in Darsena (al Cembalo) navi lunghe circa 100 mt. fino alla fine degli Anni ’70.
Darsena - Magazzini Interni
Preziosa foto dei CADRAI che si apprestano alla distribuzione del pasto di mezzogiorno a diverse categorie di portuali, ma soprattutto alle navi in porto.
Uno dei tanti “Maciste” dell’epoca…
Traffico intenso alla Darsena
Calata Ansaldo De Mari
I grandi depositi merci della Darsena
La Darsena fece muro contro l’ondata dei containers fino al 1970, poi andò in disarmo insieme alle sue romantiche navette e, da quel giorno, l’intera zona si consolò con il Diporto. Oggi le sue banchine ospitano il Museo Galata, il sommergibile Nazario Sauro e altre importanti realtà culturali, ma, a quell’antica gente del porto, le calate Orologio, De Mari, Andalò Di Negro e Cembalo parlano ancora di duro lavoro in allegria e di gioventù vissuta in un ghetto dorato, tra tanta merce orientale che, in piccola parte, brilla ancora sui marmi lucidi di tanti comò genovesi…
In un fondaco della Darsena arrivava lo stokke direttamente dalla Norvegia, e in quella tana buia e salmastra, Gian e Charly lo scambiavano con alcune stecche di “bionde americane” che volavano impunite tra bordi, banchine e caruggi aggirando varchi e presidi spesso consenzienti…
Qui, al riparo da tutte le ansie e dai segugi della Finanza, Zanna, cugino di Gian ed eccellente velista dalle mani d’acciaio, faceva il “punto nave” dell’Italia de lungu in crisi e, a mezzogiorno li portava da Pino u frisciolà per un pieno di profumi e specialità genovesi. Era il regno del puro vernacolo celebrato in compagnia dei barillai, ligaballe, carenanti e camalli con gli inseparabili ganci appesi dietro le braghe.
Magazzini e depositi del Porto Franco in Darsena
Dopo l'acquisto della Darsena il Comune predispone infatti un progetto generale di sistemazione (1889) che prevede la costruzione di altri edifici a più piani ad uso magazzino accanto al Famagosta e al Galata, già parte dell'antico Arsenale: il primo costeggiava via Carlo Alberto (l'attuale via Gramsci); il secondo si affacciava sulla calata Ansaldo De Mari ed è stato per lungo tempo adibito a sezione di Deposito franco, utilizzando per la manodopera la Compagnia dei Caravana (di cui ci siamo già occupati su questo sito).
Scena di vita portuale lungo il banchinato di marmo
Anni '50
I nuovi "quartieri" (la denominazione deriva dall'antico Portofranco), anch'essi col nome delle antiche colonie genovesi (Caffa, Metelino, Cembalo, Tabarca e Scio) vengono terminati tra il 1895 e il 1898. Nel ventennio tra il 1879 ed il 1898, la Darsena è destinata, in tutto il suo coordinato complesso, al ricevimento, smistamento e immagazzinamento dei salumi in particolare e dei viveri in generale. Le merci provenivano dai porti nazionali, soprattutto dalla Sicilia e dalla Sardegna, e dai porti della Tunisia, dell'Algeria e del Portogallo; il baccalà arrivava direttamente dai luoghi di pesca e dai porti norvegesi, danesi, tedeschi, svedesi, islandesi. Al 1898 risale, come si è detto, la costruzione del quartiere Scio, il più grande, posto verso il mare, che utilizza, quale sedime del fronte longitudinale a settentrione, parte del molo cinquecentesco che delimitava il bacino dell'Arsenale. Sulla stessa linea di fronte mare il Cembalo, l'unico quartiere della Darsena servito da due gru di banchina atte allo sbarco delle merci a magazzino, adibito successivamente, nel 1916, a "frigorifero", con ventiquattro celle.
I celebri Caravana
I carbunin
Altra figura storica, diversa naturalmente ma non per questo meno importante, è quella del camallo, ossia lo scaricatore portuale, legata imprescindibilmente alla storia del porto fin dai suoi albori. L’organizzazione dei camalli in squadre affonda le radici in tempi remoti: l’atto di nascita della Compagnia dei Caravana, prima associazione di lavoratori portuali, risale al 1340, e si distingue fin da subito per le esclusive che riesce ad ottenere dal Comune riguardo lo scarico delle merci, nonché per le sue caratteristiche di mutuo soccorso, codificate nello Statuto, che prevedono il versamento di una quota del salario dell’associato nelle casse sociali, destinate all’assistenza dei malati e alle esequie di ciascun compagno.
LA DARSENA OGGI
Una nave museo a Genova - Il sottomarino NAZARIO SAURO (S 518)
Calata Ansaldo de Mari, entrata del GALATA MUSEO DEL MARE
PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE
ENTRATA IN DARSENA 1950 – IN GRAMSCI E QUARTIERE FAMAGOSTA
Il Programma di Riqualificazione Urbana della Darsena, area a mare di via Gramsci, ma appartenente al "Centro Storico", ha avuto inizio nel 1998 con la stipula dell’Accordo di programma.
Zona Darsena - L’ambito di intervento è la Darsena comunale, un’area di circa 10.000 metri quadri situata nel porto vecchio della città, sul fronte a mare del centro storico, caratterizzata da un insieme di edifici originati nell’antico nucleo dell’Arsenale al servizio del porto. La zona, che nel corso dei secoli è stata continuamente sottoposta a trasformazioni dettate dalle mutate esigenze della città e del porto, in tempi più recenti, venuta meno la funzione portuale a emporio commerciale:
-Con l’insediamento della Facoltà Universitaria di Economia e Commercio nel quartiere Scio e del Museo del Mare nell’edificio Galata, ha assunto un nuovo ruolo urbano connesso al processo di riconversione dell’intero porto storico e recupero dei quartieri Caffa e Metellino.
-Nei magazzini di calata Darsena ha sede l’Istituto Tecnico Nautico di Genova, antica scuola istituita nel 1816 da Vittorio Emanuele I e ancor oggi centro d’avanguardia per la formazione marinara.
-Davanti al Galata si trova la Urban Lab, una chiatta-laboratorio-urbanistico galleggiante, lunga 27 metri, disegnata da Renzo Piano per accogliere il team internazionale di architetti e urbanisti impegnati nel definire le linee del nuovo piano regolatore della città.
-La sistemazione della viabilità pedonale a livello banchina, con la realizzazione di una passeggiata in calata Simone Vignoso e calata Ansaldo De Mari.
-Il recupero di posti auto pubblici.
-La sistemazione della viabilità.
-Il restauro della pavimentazione di calata Dinegro.
-La demolizione e ricostruzione dell’edificio a ponente del bacino di carenaggio denominato "Bacinetto" (in via di progettazione esecutiva).
-La demolizione del quartiere Famagosta con recupero di posti auto.
-La manutenzione straordinaria del quartiere Tabarca.
-La realizzazione di una scuola materna nella nuova struttura edilizia e residenziale del quartiere Cembalo con recupero di spazi commerciali e artigianali.
Mappa della Darsena con i nomi storici delle sue Calate
Ricapitolando, il complesso architettonico della Darsena è stato ricostruito nel 1895 inglobando gli antichi arsenali della Repubblica e adibito allo smistamento e all’immagazzinamento dei viveri provenienti dai porti nazionali e internazionali. Nell’ambito del progetto di riqualificazione del water front della città, l’intera area è stata ridisegnata dagli architetti Enrico Bona e Guillermo Vázquez Consuegra e destinata a nuove funzioni.
Il Programma di Riqualificazione Urbana della Darsena, area a mare di via Gramsci, ma appartenente al "Centro Storico", ha avuto inizio nel 1998 con la stipula dell’Accordo di programma.
Edificio CEMBALO
Calata Andalò di Negro
Darsena - La conclusione dei lavori, il cui costo complessivo è pari a quasi 15 milioni di euro (7 milioni dei quali di provenienza pubblica), in un primo tempo prevista nel mese di novembre 2002, è stata poi prorogata dal Ministero delle Infrastrutture sino al 31/12/2011.
IL CEMBALO –
VEDUTA AEREA -
Nonostante la sua quasi completa trasformazione funzionale vengono conservati intatti il prospetto verso la città e le strutture in muratura, travi di ferro e voltine in mattoni del piano terra, a testimonianza delle tecnologie costruttive caratterizzanti la vecchia darsena di Genova, testimonianza arricchitasi nel corso dei lavori grazie al ritrovamento di antichi paramenti murari sotto il sedime dell’edificio, di cui si è mantenuta la visibilità attraverso le finestre che dai pavimenti del piano terra si affacciano sul molo medievale.
L’edificio CEMBALO
IL NAZARIO SAURO E' ARRIVATO A GENOVA
IL 18 SETTEMBRE 2009
È arrivato in porto a Genova il Nazario Sauro, il sottomarino che sarà musealizzato in acqua, primo in Italia, dal Galata-Museo del Mare.
Il direttore del museo, Pierangelo Campodonico, che ha effettuato il viaggio a bordo del Nazario Sauro, ha ricordato i caduti di Kabul prima di ringraziare la Marina Militare e Fincantieri che, con il museo genovese, hanno portato a termine l’operazione. Il sottomarino, scortato da una motovedetta della Capitaneria di Porto di Genova, verrà portato ai Cantieri Mariotti per gli ultimi ritocchi e poi sarà trasferito nella darsena davanti al Galata per la collocazione definitiva.
9 agosto 2019
– ultime novità –
Presentato il progetto di riorganizzazione che include pescatori, diving center, museo del mare e rimorchiatori riuniti
La nuova sistemazione è stata presentata questa mattina a Calata Vignoso, negli spazi del mercato dei pescatori a km-0 dal sindaco Marco Bucci e dall’assessore all’Urbanistica Simonetta Cenci. Il progetto è stato elaborato e condiviso con la sovrintendenza e i soggetti che ne saranno protagonisti, gli operatori del settore marittimo (Rimorchiatori Riuniti, pescatori, diving center, Galata Museo del Mare).
Gli spazi della Darsena che verranno rinnovati riguardano le Calate Andalò Dinegro, De Mari, Simone Vignoso e il Bacinetto. Tra gli aspetti del piano di sistemazione:
- lo spostamento della chiatta Fincantieri in altra zona del porto antico.
- Quello delle barche dei diving sul lato sud della Darsena in modo da creare, sulla banchina di fronte al museo del mare un’esposizione galleggiante di imbarcazioni storiche.
- I pescatori avranno un chiosco, chiamato “fish lab”, dove potranno tenere laboratori di cucina e altre iniziative, inoltre faranno costruire delle strutture apposite dove tenere le reti oggi ammassate sulla banchina.
- Altra novità è l’apertura al pubblico del molo che circonda il “bacinetto”, il bacino di carenaggio di Rimorchiatori Riuniti.
- L’obbiettivo dell’amministrazione è completare il progetto di risistemazione entro il prossimo mese di marzo.
-SUBACQUEI - La ditta Arco 89 Diving and Sailing Services, operante nel settore dei lavori subacquei ha trovato giusta permanenza in Darsena. Ma la sede è stata spostata al Cembalo e dotata di pontili galleggianti sistemati in prossimità di Calata Andalò Dinegro, tra le imbarcazioni dell’Istituto Nautico e quelle della Polizia di Stato. I nuovi pontili saranno analoghi a quelli già esistenti per quanto riguarda l’uso di materiali, colori e tipo costruttivo in modo da rendere, anche in questo caso, l’intervento coerente con il contesto di appartenenza.
BARCHE STORICHE E MUSEO DEL MARE
Il progetto di riordino prevede lo spostamento della chiatta, oggi davanti al Museo del Mare e ancorata alla Calata De Mari, che ospita l’associazione “Dialogo nel buio” al fine di collocarla in una parte dello specchio acqueo del Porto Antico. La nuova ubicazione consentirà una maggiore visibilità con una condivisione dei visitatori migliorando la sinergia con il sistema di bigliettazione Acquario Village di cui “Dialogo nel buio” fa parte.
GIOCHI BAMBINI E INSTALLAZIONE "BEFORE I DIE"
A Calata De Mari verranno ormeggiate le imbarcazioni storiche al fine di portare a compimento la valorizzazione dell’area in assonanza con il già presente sottomarino “Nazario Sauro” in modo da creare un polo turistico attrattivo antistante il Museo del Mare.
Nelle aree attigue a Calata De Mari, il progetto prevede il trasferimento dell’area giochi bambini in area limitrofa al Museo del Mare in modo da garantire maggiore protezione e sicurezza per i bambini.
In modo analogo a quanto già proposto in molte capitali europee con il progetto Before I Die, verrà realizzata un’installazione temporanea costituita da un allestimento di una parete sul lato del depuratore con funzione di ”lavagna” sulla quale i passanti, invitati a fermarsi e concedersi un attimo per riflettere, potranno scrivere con gessetti colorati un desiderio che vorrebbero realizzare prima di non poterlo più fare o solo lasciare un messaggio….”before I die”.
CHIOSCO FISH LAB PER LA PROMOZIONE ITTICA
Al lato sud-est di Calata Simone Vignoso, il progetto elaborato da un professionista genovese prevede l’inserimento di un manufatto destinato alla creazione di un chiosco Fish-lab in uso a membri dell’Associazione Pescatori Liguri per la lavorazione e la somministrazione dei prodotti del pescato. La forma, le dimensioni, i materiali e le cromie del chiosco riprenderanno e si accorderanno sia con quelli del chiosco già esistente sul lato opposto della Calata, sia del Mercato Ittico.
Il manufatto sarà utilizzato sia per la trasformazione dei prodotti pescati, in particolare per la stagionatura, marinatura ed altre lavorazioni delle acciughe, sia per la somministrazione.
La struttura consentirà di assistere all’attività, fortemente radicata nella cultura degli abitanti del versante marittimo della Liguria, di lavorazione e preparazione delle acciughe, prodotto di antichissima tradizione, e rappresenterà un’attrattiva per i molti turisti e cittadini che frequenteranno la zona della Darsena. Al fine di riqualificare lo spazio pubblico e rendere compatibile la presenza storica dei pescatori e della loro attività con la generale fruizione turistica e di vivibilità della Darsena è prevista l’installazione lungo banchina di alcuni porta reti da pesca, realizzati appositamente e grazie al supporto di RR.
RIMORCHIATORI RIUNITI PORTO DI GENOVA S.R.L. AL BACINETTO
Il progetto prevede la rimozione della chiatta ancorata alla banchina posta in prossimità al bacino di carenaggio della Darsena Vecchia (Bacinetto) che verrà riqualificata e delocalizzata per lasciare posto ad un nuovo attracco dei RR.
Nel Bacinetto, oggi destinato al carenaggio e refitting dei rimorchiatori e delle imbarcazioni private, vengono svolte attività cantieristiche secondo operazioni antiche ancor oggi tradizionalmente in uso.
In particolare la manovra di inversione con tonneggio dei natanti per il posizionamento e la messa in galleggiamento con uscita vengono svolte manualmente da operatori e sommozzatori con una tecnica antica di particolare aspetto scenografico.
Recentemente è stata autorizzata la posa in opera di cartellonistica dedicata che illustra la storia del Bacinetto e delle operazioni che ancor oggi vengono svolte e così divulgate ai frequentatori del Bacinetto attratti dall’antico saper fare genovese in mare.
Il Molo antico verrà riqualificato rimuovendo le incongrue finiture oggi presenti che verranno sostituite con la posa di pavimentazioni possibilmente riutilizzando materiali antichi. Inoltre, verranno installate bitte, colonnine di servizio e parabordi a protezione degli ormeggi.
Il molo potrà essere reso fruibile con visite guidate compatibilmente con le esigenze di sicurezza.
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Ottobre 2019
FONTI
- PALAZZO S.GIORGIO: Archivio Storico (1903-1945)
- UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA: La Darsena del porto di Genova
- GALATA Museo del Mare
- Guida di Genova.itComune di Genova: La nuova sistemazione della Darsena Municipale. Un museo a cielo aperto del saper fare genovese in mare
- Porto di Genova storia e attualità Copertina rigida – 1977 – di E.Poleggi e G.Timossi Il Porto visto dai fotografi - 1886-1969
- Il Porto visto dai fotografi: Genova 1886 – 1969 – SILVANA EDITORIALE
- Telenord: Vecchia Darsena di Genova, parte la rigenerazione…
- Mentelocale Genova: … come sarà la nuova Darsena…
- GenovaToday: Darsena di Genova, al via progetto di riqualificazione
- Porto di Genova storia e attualità Copertina rigida – 1977 – di E.Poleggi e G.Timossi Il Porto visto dai fotografi - 1886-1969
- Il Porto visto dai fotografi: Genova 1886 – 1969 – SILVANA EDITORIALE
KRUZENSHTERN - Una vera Tall-Ship
UNA VERA TALL SHIP
KRUZENSHTERN
DATI PRINCIPALI
Numero IMO: 6822979 - Nome dell'imbarcazione: KRUZENSHTERN (Sailing Vessel - Bandiera: Russia - Gross Tonnage:3.141 ton - Lunghezza: 115 mt. Larghezza: 14 mt.
Come KRUZENSHTERN
Il 12 gennaio 1946 fu consegnata all’URSS e integrata nella flotta baltica della marina sovietica. Rimase attraccata nel porto di Kronstadt fino al 1961, subendo importanti lavori di riparazione ed un completo riallestimento, comprendente anche l'installazione dei suoi primi motori, finalizzato a rendere la nave adatta ad effettuare missioni per il dipartimento idrografico della marina sovietica. Dal 1961 al 1965 intraprese numerose ricerche idrografiche e oceanografiche per l’ACCADEMIA delle scienze dell’URSS nell’Oceano Atlantico, ai Caraibi e nel Mediterraneo, e fu utilizzata come nave da addestramento per i cadetti navali. Nel 1965 fu trasferita al Ministero della Pesca dell'URSS a Riga per essere utilizzata come nave scuola per futuri ufficiali di pesca.
Dal 1968 al 1972 ha avuto luogo un altro importante ammodernamento: sono stati installati i due attuali motori Diesel da 1000 CV l'uno, e lo scafo è stato riverniciato secondo l'attuale schema cromatico, nero con un'ampia striscia bianca.
Nel gennaio 1981 la nave fu trasferita all'"Industria della pesca estone" a Tallin, e nel 1991 entrò a far parte della flotta "Accademia statale del Baltico della pesca", con porto di origine a Kaliningrad.
La Kruzenshtern ha partecipato a molte regate internazionali, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica trasportando anche passeggeri per coprire i costi delle traversate. Ha compiuto una circumnavigazione del globo nel 1995-1996, e nuovamente nel 2005-2006.
Il 23 giugno 2009 mentre si trovava in viaggio verso Charleston, l’albero di trinchetto fu danneggiato, spezzandosi a causa di una violenta tempesta al largo delle Bermuda.
Oggi ben poco é rimasto di quella singolare epopea velica, legata ai ricordi di quei trasporti commerciali. Per fortuna, grazie alle donazioni di alcuni speciali Armatori nordici, citiamo fra tutti Gustaf Erikson, possiamo ancora ammirare nel loro antico splendore alcune navi a palo che galleggiano solitarie, fuori dal tempo, e sono in perfetta “good shape”.
Una di queste é il veliero Kruzenstern, una delle poche unità che può vantare, con orgoglio, il nobile pedegree di vera nave da trasporto commerciale. L’anziano veliero regge ancora magnificamente il confronto con le giovani Tall-Ships del nuovo millennio, non solo sul piano estetico, ma anche su quello della velocità.
La Kruzenshtern è un veliero a quattro alberi, costruito nel 1926 a Geestemünde, nella città di Bremenrhaven, in Germania, varato originariamente come Padua (dal nome della città italiana). Fu ceduta all'URSS nel 1946 come riparazione di guerra e ribattezzata con l'attuale denominazione in onore dell'esploratore Adam Johann von Kruzenstern (1770-1846). Attualmente presta servizio come nave scuola per la Marina militare russa.
È una delle quattro Flying P-Liner* ancora esistenti (delle oltre 100 costruite), l'unica ancora in servizio; quando non è impegnata in campagne di addestramento si trova ormeggiata nel porto di Kaliningrad o in quello di Murmansk. Dopo la Sedov, un'altra ex nave tedesca, è la più grande nave a vela tradizionale ancora in funzione.
* Le Flying P-Liner erano grandi navi a vela appartenenti alla compagnia di trasporti marittimi F. Laeisz di Amburgo. Il nome deriva dal fatto che avevano tutte un nome iniziante con la lettera P.
EX PADUA
Varata nel 1926 come ultimo esemplare dei P-Liners, la PADUA fu commissionata come nave da carico, utilizzata principalmente per spedire materiale da costruzione in Sud America e caricare salnitro nel viaggio di ritorno verso l'Europa. In seguito fu utilizzata anche per trasportare grano dall’Australia. Il suo viaggio inaugurale da Amburgo a Talchhuano, in Cile, durò 87 giorni. Nel 1933-1934 realizzò il record di navigazione da Amburgo a Port Lincoln, in Australia meridionale, impiegando 67 giorni.
Prima della seconda guerra mondiale compì un totale di 15 viaggi in Cile e in Australia. La traversata più veloce fu nel 1938-1939, da Amburgo all'Australia passando per il Cile e ritorno ad Amburgo in 8 mesi e 23 giorni, sotto il comando del capitano Richard Wendt; questo viaggio detiene tuttora il record mondiale per navi a vela.
Come tutti i P-liner, la PADUA era stata dipinta secondo i colori della bandiera nazionale dell'Impero tedesco: nero (scafo sopra l'acqua, parti superiori), bianco (area della linea di galleggiamento) e rosso (carena).
Come KRUZENSHTERN
Il 12 gennaio 1946 fu consegnata all’URSS e integrata nella flotta baltica della marina sovietica. Rimase attraccata nel porto di Kronstadt fino al 1961, subendo importanti lavori di riparazione ed un completo riallestimento, comprendente anche l'installazione dei suoi primi motori, finalizzato a rendere la nave adatta ad effettuare missioni per il dipartimento idrografico della marina sovietica. Dal 1961 al 1965 intraprese numerose ricerche idrografiche e oceanografiche per l’ACCADEMIA delle scienze dell’URSS nell’Oceano Atlantico, ai Caraibi e nel Mediterraneo, e fu utilizzata come nave da addestramento per i cadetti navali. Nel 1965 fu trasferita al Ministero della Pesca dell'URSS a Riga per essere utilizzata come nave scuola per futuri ufficiali di pesca.
Dal 1968 al 1972 ha avuto luogo un altro importante ammodernamento: sono stati installati i due attuali motori Diesel da 1000 CV l'uno, e lo scafo è stato riverniciato secondo l'attuale schema cromatico, nero con un'ampia striscia bianca.
Nel gennaio 1981 la nave fu trasferita all'"Industria della pesca estone" a Tallin, e nel 1991 entrò a far parte della flotta "Accademia statale del Baltico della pesca", con porto di origine a Kaliningrad.
La Kruzenshtern ha partecipato a molte regate internazionali, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica trasportando anche passeggeri per coprire i costi delle traversate. Ha compiuto una circumnavigazione del globo nel 1995-1996, e nuovamente nel 2005-2006.
Il 23 giugno 2009 mentre si trovava in viaggio verso Charleston, l’albero di trinchetto fu danneggiato, spezzandosi a causa di una violenta tempesta al largo delle Bermuda.
Carlo GATTI
Rapallo, 17 Ottobre 2019
ALEXANDER von HUMBOLDT - Veliero
ALEXANDER von HUMBOLDT
Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt (Berlino 14 settembre 1769 – Berlino, 6 maggio 1859) è stato un naturalista, esploratore, geografo e botanico tedesco.
La corrente di Humboldt (o corrente del Perù) è una CORRENTE MARINA fredda che circola nell’Oceano Pacifico al largo delle coste occidentali del Cile e del Perù e scorre da Sud a Nord. Deve il suo nome allo scienziato tedesco ALEXANDER von HUMBOLDT.
La corrente è prodotta dai venti occidentali delle medie latitudini e, al suo avvicinarsi alle coste a ovest del Sudamerica, viene deviata in direzione equatoriale rinfrescando le coste della fascia tropicale, questo fa sì che le temperature dell'acqua lungo la costa occidentale del Sudamerica siano mediamente inferiori di 7°- 8° rispetto alla temperatura dell'acqua alla stessa latitudine nelle aree dell'Oceano Pacifico più lontane dalla costa.
Questo provoca anche un abbassamento della temperatura dell'aria, riducendo le precipitazioni e facendo sì che le aree costiere siano aride, desertiche, ma molto umide, uggiose e nebbiose allo stesso tempo per il fenomeno dell’inversione termica nei bassissimi strati troposferici che nel contempo inibisce la Convezione e dunque la formazione di cumulonembi, causando siccità marcata in diverse aree.
Al grande scienziato tedesco é stata dedicata la costruzione del brigantino a palo:
Alexander von Humboldt
Anno di costruzione: 1906 dal cantiere Weserwerft di Brema (costruzione N° 155) per essere utilizzato come nave faro per conto della Wasserbauamt di Flensburg.
Costo: RM 538.400 (Reichmarks) dell'epoca.
Inizialmente era armato a goletta a tre alberi.
Scafo in acciaio
Stazza: 396 tonnellate lorde.
Lunghezza: f.t 53,50 metri, scafo 46,60 metri,
Larghezza 8,02. Immersione min. 4,50 metri, max. 5,50.
Dislocamento: 700 tonnellate.
Propulsione principale: superficie velica 1.035 m².
Il faro fungeva da albero maestro.
Propulsione secondaria: macchina a vapore da 175 PS che dava una velocità di 6 nodi.
L'illuminazione interna era a petrolio.
Equipaggio di complemento: 14 uomini.
Venne varato: il 10 settembre 1906. Prima della consegna venne ribattezzato Reserve.
Operò come nave faro in tutte le stazioni del Mare del Nord. Il porto di armamento era Sonderburg e così ricevette il nome di Reserve Sonderburg.
Nel 1914 venne militarizzato. Dotato di due cannoni, fu inviato nel Baltico con il nome di Ost.
Nel 1918 fece ritorno da Dünamünde a Kiel sotto vela per mancanza di carbone.
Nel 1919 venne comandato come faro di riserva per le stazioni del Mare del Nord.
Nel 1920 venne comandato a Holtenau essendo Sonderburg diventata danese.
Nel 1925 venne sottoposto a lavori di modernizzazione degli impianti luminosi.
Tra il 1933 ed il 1935 venne riallestito integralmente con nuovo motore diesel da 300 PS, fu montato un nuovo e più potente faro con luce elettrica prodotta da due motori diesel, la stazione radiotelegrafica potenziata, ecc.
Nel 1937 vennero rifatte le sistemazioni interne, gli alloggiamenti e le cabine.
Tra il 1939 ed il 1945 venne utilizzato spostandolo in varie località della costa del Mare del Nord.
Nel 1946 venne utilizzato sia come nave faro che come nave appoggio per i piloti portuali a Kiel.
Nel 1950 venne ancora trasformato e rimodernato con aggiunta di altri alloggi per i piloti.
Il 5 luglio 1957 venne speronato e semiaffondato.
Nello stesso anno venne recuperato e mandato in cantiere per le riparazioni ed altri ammodernamenti. I lavori terminarono nel 1959.
Il 19 giugno 1959 riprese servizio a Kiel.
Nel 1963 vi fu installato il radar.
Il 5 luglio 1967 fu trasferito nel Mare del Nord essendosi soppressa la postazione di Kiel per la costruzione di un faro fisso.
Il 21 settembre 1983 la nave faro Reserve cambiò armatore: dall'Amminsistrazione Marittima di Lubecca passa all'Amministrazione Marittima di Wilhelmshaven.
Gli ultimi stazionamenti furono il Golfo di Germania, la foce dell'Elba e, dal 17 settembre 1986, la foce del Weser dove il 17 settembre 1986 venne speronata dal mercantile liberiano Ocean Wind.
I danni furono ingenti e la nave faro dovette essere rimorchiata in cantiere a Wilhelmshaven.
Messa in disarmo, il 23 settembre 1986 venne venduta alla Deutsche Stiftung Sail Training che la portò in cantiere a Brema per i lavori di restauro.
Nel 1987 venne completamente rifatta dal cantiere Motorenwerk di Bremerhaven su progetto del cantiere Lenin di Danzica.
Nel 1988 venne riarmata a brigantino a palo e fu montato un nuovo motore diesel MAN Tipo R 8V 16/18 T4 da quattro tempi della potenza di 510 PS.
L'equipaggio odierno è di 60 uomini più 45 passeggeri od allievi.
Il suo faro originale è nel Museo della Navigazione di Kiel.
Il suo porto di armamento è Brema.
Inizialmente ribattezzata Confidentia, il 20 maggio 1988 alla consegna della nave alla società proprietaria prese il nome di Alexander von Humboldt.
Da allora con le sue caratteristiche vele verdi solca in tutti i mari e partecipa ai raduni delle Tall Ships di tutto il mondo.
Carlo GATTI
Rapallo, venerdì 27 Settembre 2019
INDIVIDUATO IL RELITTO DEL VASCELLO SVEDESE MARS
LA NAVE DA GUERRA MARS (MARTE)
MAKALÖS (l’impareggiabile)
VIENE INDIVIDUATA DOPO 449 ANNI
ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
I Paesi Scandinavi, come li conosciamo oggi, sono civilissimi, politicamente “neutrali”, pacifici e molto invidiati per la loro organizzazione sociale che va dal wellfare all’accoglienza ecc…
Eppure queste monarchie che tuttora sopravvivono, sono state rivali tra loro, espansioniste, molto bellicose e spesso in conflitto armato tra loro.
Oggi si parla sempre più spesso di “sovranismi” in riferimento alle due Guerre mondiali che ci hanno visto coinvolti in quei massacri, ma gli Stati Scandinavi hanno saputo voltar pagina al momento opportuno e sono stati capaci di abbracciare e difendere quella posizione di neutralità, su cui torneremo tra breve, che ha consentito loro di limitare i danni della Seconda guerra mondiale, pur mantenendo tutte le caratteristiche antropologiche legate alle loro tradizioni storiche a cui sono legatissimi.
Qualche “ciccatrice” del passato é ancora presente, per esempio nella Skandia (la parte meridionale della Svezia), che un tempo apparteneva alla Danimarca, stranamente, si parla lo SKÅNSKA, una lingua più danese che svedese. Anche l’isola di Bornholm é molto più vicina alla Svezia che alla madrepatria danese.
In altri articoli del sito di Mare Nostrum ho scritto la storia di Bornholm ed anche dell’isola di Åland che si trova tra Svezia e Finlandia. Ma la cosa più curiosa é che nonostante le rispettive lingue appartengano allo stesso gruppo linguistico Nord Germanico, tra loro preferiscono parlare inglese… e questo la dice lunga sullo spirito di conservazione delle rispettive radici.
Per quanto riguarda la Finlandia il discorso é ancora più complicato, nel senso che i finlandesi appartengono ad una razza completamente diversa da quella scandinava e la loro lingua (incomprensibile) appartiene al gruppo uralo-altaico (ugro-finnico).
La Svezia e la Danimarca sono tra i più antichi e più tipici casi di stato-nazione e di conseguenza vanno studiati, alla pari di Francia, Gran Bretagna e Spagna, più come varianti dello stato-nazione nato nell’Europa moderna che non come casi di “piccoli stati”. I due stati, in competizione tra loro, hanno esercitato una forma di supremazia sulla gran parte del Nord Europa, dal tardo Medioevo in avanti.
Nel tempo furono gradualmente rimpiazzati dall’egemonia russa, prussiana e inglese, e ridotti allo status di piccoli poteri statuali.
In ragione di cambiamenti simultanei nella grande politica durante il XVIII e il XIX secolo, i maggiori conflitti europei si dislocarono lontano dal Nord Europa e ciò produsse una “neutralizzazione” virtuale dei paesi scandinavi a nord del Mar Baltico. Questa situazione di relativa neutralità fa sentire la sua presenza nella memoria collettiva dei danesi e nonostante anni di appartenenza alla Nato e all’Unione Europea l’ideologia neutralista mantiene una forte presa sulla popolazione. Un effetto secondario della propria esperienza di periferia privilegiata del Nord Europa fu la crescita di una identità nordica transnazionale al di sopra delle identificazioni nazionali per cui si sentono solidali nella comune appartenenza alle Nordinska Länder (Terre Nordiche).
LO SCONTRO NAVALE TRA DANIMARCA E SVEZIA
Non sempre nei libri di storia dell’Europa meridionale si racconta di quella guerra (detta dei Sette Anni o delle Tre Corone) che nel XVI secolo fu combattuta nelle fredde acque del nord Europa, dalla Svezia di Erik XIV contro la Danimarca di Federico II e la sua alleata città di Lubecca.
Stemma dell’Unione di Kalmar
Una guerra forse minore a fronte di quelle combattute tra le grandi nazioni europee meridionali ma che forse riserva ancora molte sorprese per gli storici e gli archeologi. Tutto ebbe inizio nel 1523 quando la Svezia uscì dall’Unione di Kalmar, diventando un regno indipendente con il re Gustavo I Wasa. Questa azione suscitò la disapprovazione del re danese Cristiano III che per ripicca incluse nel proprio stemma le Tre Corone (da cui il nome della guerra), che rappresentava i tre regni nordici dell’Unione di Kalmar e che, fino a quel momento, era presente solo nello stemma svedese. Ciò ovviamente non piacque alla Svezia che si senti tradita dopo che avevano avuto interessi comuni quando nella prima guerra del nord, combattuta per arginare l’espansionismo russo sulle coste del Baltico.
Sulla carta é segnata la posizione del relitto della MARS
Il XVI secolo fu molto interessante sia dal punto di vista dell’architettura navale sia nello sviluppo degli armamenti, quando videro la nascita dei nuovi cannoni realizzati usando ferro e bronzo. Questo vascello apparteneva alla prima generazione di grandi navi da guerra a tre alberi, armato con oltre cento canne da fuoco. Per poterle approntare fu necessario reperire il bronzo, metallo assai raro sul mercato. L’impiego del Mars in battaglia differisce da quello delle navi precedenti per un’importante novità tattica. Lo scontro di Öland, che gli fu fatale, fu storicamente la prima battaglia navale in cui le navi usarono il fuoco diretto dei cannoni per offendere l’avversario, piuttosto che per perseguire l’abbordaggio classico del nemico. In realtà nel primo giorno di battaglia gli Svedesi comandanti dall’ammiraglio Bagge avevano sbaragliato i Danesi, grazie ad una potenza di fuoco non comparabile, ma il secondo giorno, i Danesi della flotta di Lubecca cambiarono tattica e decisero di concentrarsi sulla grande nave da battaglia, lanciando palle di fuoco incendiarie sul grande vascello.
L’idea era di creare scompiglio al fine di riuscire ad abbordarla mentre era in fiamme. L’incendio si propagò velocemente, alimentato dalle esplosioni dei depositi di polvere da sparo e degli stessi cannoni. Si ritiene che furono proprio le loro esplosioni a causarne l’affondamento. Uno squarcio si apri sulla prua trascinando oltre mille uomini negli abissi. Quel 30 maggio 1564, il Mars scomparve ed iniziò la storia della sua maledizione.
IL RITROVAMENTO DEL RELITTO
Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.
La Mars con i suoi 50 metri di lunghezza era uno dei vascelli più grandi della flotta militare svedese, dotata di 107 cannoni e con quasi 1.000 persone di equipaggio, era una delle navi da guerra più famosi della sua epoca. Era il 1564 quando il vascello s’inabissò nel Mar Baltico, nel corso della Guerra dei Sette Anni, probabilmente a causa di una esplosione che la distrusse facendola colare a picco.
Reperti trovati all’interno del relitto
Nel 2011, dopo anni di ininterrotte ricerche, il relitto è stato individuato a 75 metri di profondità al largo dell’isola di Öland, la nave era inclinata sul lato destro sul fondale dove per quasi 450 si è conservata incredibilmente bene, grazie soprattutto a condizioni ambientali favorevoli, come la scarsità di sedimenti e la lentezza delle correnti.
Il relitto è stato scoperto da un team guidato da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di subacquei professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi e a Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'Università di Södertörn in Svezia, sono state affidate le ricerche per ricostruire la storia della nave.
Il team guidato da Rönnby sta ispezionando il relitto millimetro per millimetro e, grazie ai fondi della National Geographic Foundation, gli archeologi subacquei stanno scansionando il relitto per realizzare una foto mosaico e riproduzioni tridimensionali che consentiranno di condividere la Mars con studiosi e appassionati di tutto il mondo. Riportare un relitto in superficie, infatti, è un’operazione finanziariamente onerosa e pericolosa per la sopravvivenza dei resti archeologici, ma oggi grazie ai laser scanner utilizzati dagli studiosi il sito potrà esse esplorato e studiato senza ulteriori costi e rischi.
La tradizione, però, narra una storia leggermente diversa. Rönnby spiega che i sovrani svedesi, all'epoca, erano impegnati a consolidare la propria posizione. "Ma la chiesa cattolica, potente com'era, costituiva un grosso ostacolo". Proprio nel tentativo di sminuire il potere della Chiesa, re Erik XIV - colui che commissionò la MARS – diede ordine di confiscare le campane delle chiese, le fusero e utilizzarono il metallo per forgiare i cannoni delle navi da guerra. A bordo c'erano oltre cento cannoni di svariate dimensioni. Secondo il mito, proprio la "nuova vita" forzata di quelle che erano soltanto campane, portò la nave verso la rovina.
La leggenda narra che dopo l’affondamento uno spettro si alzò dalle profondità degli abissi per proteggere il relitto in modo che non fosse mai più scoperto.
Lundgren e i suoi colleghi recuperarono 50 cannoni di bronzo dell'epoca, ma il fortunato sommozzatore ci tiene a precisare: «Non abbiamo cercato ricchezze, anche perché, secondo una severissima legge svedese, ogni tesoro ritrovato nelle acque territoriali appartiene allo Stato, che a sua volta può rilasciare una "generosa mancia" a chi l'ha trovato. Purtroppo c'è troppa gente senza scrupoli che ha selvaggiamente violato i relitti, asportandone reperti preziosi. E così non può continuare».
Ma è impossibile controllare e tenere d'occhio tutte le imbarcazioni che incrociano nel Golfo di Botnia a caccia di tesori. Di grandi galeoni ricchi di tesori che giacciono sul fondo ne sono stati ritrovati otto, mentre di due non si sono trovate ancora le tracce. Inoltre, nel corso di varie guerre, comprese le ultime due mondiali, sono numerosissime le unità affondate con siluri o cannoneggiamenti. Lo stato di conservazione dei relitti, anche quelli più antichi, è ottimo, anche grazie alla mancanza, nel Golfo di Botnia, del mollusco «Tiridinidae», presente nei mari caldi e temperati, che mangia il legno delle navi. Secondo l'archeologo marittimo Johan Rònnby, sarebbe quindi possibile ritrovare anche relitti risalenti all'epoca vichinga o alla preistoria, perfettamente conservati e forse ricchi di reperti preziosi per gli studiosi di antichità. Sempre che cercatori di tesori senza scrupoli non arrivino prima a saccheggiarli.
Carlo GATTI
Rapallo, giovedì 6 maggio 2019
HORATIO NELSON - EROE E VERO MARINAIO
HORATIO NELSON
EROE E VERO MARINAIO
La Colonna di Nelson domina Trafalgar Square – Londra
Il monumento fu costruito tra il 1840 e il 1843 per commemorare la morte dell'ammiraglio Horatio Nelson alla battaglia di Trafalgar, nel 1805. La statua di Nelson è alta 5,5 m e si trova sopra una colonna di granito alta 46 m di circa 3 m di diametro. La statua di arenaria è orientata verso sud verso il Palazzo di Westminster e il Pall Mall. La cima della colonna ha un capitello corinzio (ispirato alle colonne del tempio di Marte Ultore di Roma) ed è decorato con foglie d’acanto in bronzo ottenute dalla fusione di cannoni britannici. Il piedistallo è decorato da quattro pannelli che raffigurano le quattro grandi vittorie di Nelson ottenuti dalla fusione dei cannoni francesi catturati. Nel 1868 agli angoli del piedistallo furono aggiunti quattro grandi leoni di bronzo.
Horatio Nelson, visconte. - Ammiraglio inglese (Burnham Thorpe, Norfolk, 1758 - Trafalgar 1805). Considerato uno dei più celebri eroi nazionali inglesi, si distinse particolarmente nelle guerre antinapoleoniche. A Napoli (1799) patrocinò la spietata rappresaglia contro gli esponenti della Repubblica partenopea. Comandante supremo della flotta inglese nel mar Mediterraneo, nel 1805 sconfisse i francesi a Trafalgar, dove morì in battaglia.
(Nella foto) - L’ammiraglio britannico Lord Horatio Nelson, primo visconte Nelson e primo duca di Bronte (Burnham Thorpe, 29 settembre 1758 – Capo Trafalgar, 21 ottobre 1805)
Per le sue vittorie nelle tre grandi battaglie navali in cui era Comandante in capo è ancora oggi uno dei più amati e celebrati eroi nazionali d'Inghilterra, ma non mancano nella sua vita episodi controversi, come la parte avuta negli orrori seguiti alla fine della Repubblica partenopea nel 1799.
BIOGRAFIA
HORATIO NELSON entrò in marina all'età di dodici anni grazie a un suo zio, il Capitano Maurice Suckling. Il suo primo viaggio in mare lo portò a visitare le Indie Occidentali, ed al rientro prese ad esercitarsi, affascinato dal mare, a pilotare piccoli velieri nell'estuario del Tamigi.
Fu promosso Tenente di Vascello nell'aprile del 1777, dopo aver preso parte ad una spedizione nell'Artico agli ordini del Comandante Phipps e dopo aver fatto esperienza nel mare delle Indie.
Avendo portato a termine diverse operazioni ancora nelle Indie Occidentali, all'età di vent'anni fu promosso Capitano di Vascello nel 1778. Nel 1780 partecipò ad una spedizione in Nicaragua dalla quale dovette anticipatamente rientrare a causa di gravi problemi di salute.
Ripresosi dalla malattia, nel 1781 fu pronto per una nuova spedizione in Canada, a bordo della fregata ALBEMARLE, comandata dall'Ammiraglio Hood.
Nel 1783 rientrò in patria dopo la guerra contro le colonie americane che si risolse con la dichiarazione d'indipendenza delle stesse; l'anno seguente operò ancora una volta nelle Indie Occidentali dove conobbe e sposò nel 1787 Frances Nisbet.
Frances Nisbet moglie di Orazio Nelson da una pittura di anonimo
Il primo comando
Nel 1793 a Nelson fu affidato il comando del vascello HMS AGAMENNON durante la guerra contro la Francia rivoluzionaria. Di nuovo agli ordini dell'Ammiraglio Hood, fu inviato nel Mediterraneo dove partecipò all'assedio di Tolone. L'esito positivo di tale operazione contribuì ad accrescere la già elevata popolarità di cui Horatio Nelson godeva in patria. Nel corso di una missione a Napoli, nel settembre del 1793, conobbe Emma Lyon, moglie dell'ambasciatore britannico presso la corte borbonica Sir William Hamilton, con la quale strinse successivamente una intensa relazione sentimentale.
Il vascello HMS AGAMENNON - Da mediadecor.com
Fu poi impegnato nelle operazioni militari che puntavano alla conquista della Corsica: nel luglio del 1794 durante un attacco a Calvi, perse l'occhio destro. Nel 1795 al comando dell'HMS AGAMENNON si distinse nella battaglia di Genova, attaccando coraggiosamente la nave francese di classe superiore ÇA IRA catturandola assieme alla CENSEUR e impedendo uno sbarco di truppe francesi in Corsica. Nel 1796 fu nominato commodoro e poi gli fu affidato il comando della CAPTAIN, un vascello di linea di terza classe (74 cannoni).
L'anno seguente si distinse nel corso della battaglia di Capo San Vincenzo (14 febbraio 1797), durante la quale una manovra, divenuta poi famosa, che contravveniva apertamente alle Istruzioni per il Combattimento della marina Inglese permise all'ammiraglio John Jervis (nominato poi conte di St. Vincent) di portare in patria due grandi navi catturate, a prova della sua vittoria sulla flotta spagnola.
La battaglia di Capo San Vincenzo - Da it.wahooart.com
L'esperienza, la fama, l’ASCESA…
Promosso Contrammiraglio della "squadra blu” e creato Cavaliere dell'Ordine del Bagno, nel luglio del 1797 partecipò al temerario ma inutile attacco sferrato contro la città di Santa Cruz de Tenerife, nelle Isole Canarie, durante il quale fu gravemente ferito al braccio destro che, divenuto incurabile, gli venne amputato.
Nell'aprile del 1798 riprese servizio dopo un lungo periodo di convalescenza. Gli fu assegnata nel Mediterraneo una divisione incaricata di sorvegliare i movimenti della flotta francese con base a Tolone. Essendosi lasciato sfuggire la flotta comandata dall'Ammiraglio Brueys, diretta in Egitto con la spedizione di Napoleone Bonaparte, iniziò una lunga caccia che lo portò ad inseguire l'armata navale nemica per quasi due mesi dopo i quali, il 1º agosto 1798, sorprese il nemico ancorato nella baia di Abukir e lo annientò (battaglia del Nilo), bloccando in tal modo le truppe di Napoleone sul suolo egiziano.
Nelson nella battaglia del Nilo nella baia di Abukir
Successivamente fu inviato a Napoli con una flotta congiunta britannico-portoghese, divisa in due flotte comandate dallo stesso Nelson e dall'ammiraglio portoghese Domingos Xavier de Lima noto come il Marchese di Nisa, per colpire gli insorti giacobini e mettere in salvo la corte borbonica, ma al suo arrivo sul teatro di guerra la Repubblica Napoletana, sconfitta su tutti i fronti dal cardinale Fabrizio Ruffo e abbandonata dalle truppe francesi, aveva già capitolato. Tuttavia Nelson non volle rispettare i patti della resa che gli vennero trasmessi dal cardinale Ruffo, consegnando così i capi giacobini ed i fautori della rivolta alla vendetta di Ferdinando IV, tra cui l'ammiraglio Francesco Caracciolo, ritenuto colpevole di alto tradimento e condannato all'impiccagione.
Durante la parentesi napoletana Nelson strinse un legame più intenso con Lady Hamilton.
Nominato Duca di Bronte da Re Ferdinando, Nelson tornò in Inghilterra con Emma Hamilton agli inizi del 1800 dopo alcune divergenze con l'ammiragliato; poco tempo dopo si separò dalla moglie Frances Nisbet per vivere con l'amante, dalla quale lo stesso anno ebbe una figlia, Horatia.
Lady Hamilton ritratta come Circe, dipinto di George Romney
Le turbolente vicende legate alla sua vita privata non ridussero la stima che l'Ammiragliato e gli alti vertici della marina militare britannica riponevano nei confronti di Nelson: nel 1801 difatti fu promosso dall'Ammiragliato viceammiraglio e comandante in seconda della flotta con la quale il comandante Hyde Parker doveva reprimere le forze della Lega dei Neutri.
L'operazione comandata da Parker e Nelson aveva il compito di sconfiggere le flotte di Danimarca e Svezia; entrambi i paesi infatti appoggiavano economicamente la Francia napoleonica e per questo dovevano essere rapidamente fermate. Il 2 aprile del 1801 Nelson e Parker riportarono una brillante vittoria con la Battaglia di Copenaghen che cancellò in modo definitivo la minaccia navale scandinava.
La Battaglia di Copenhagen di Thomas Luny (1759-1837)
L'ultima battaglia
Dopo un periodo di congedo a seguito della Pace di Amiens, Nelson fu nominato comandante in capo della flotta operante nel Mar Mediterraneo, la prestigiosa Mediterranean Fleet. Con queste forze riuscì a bloccare a Tolone la flotta francese che si preparava all'invasione dell'Inghilterra; Nelson assediò la città per due anni, attendendo le mosse della marina avversaria dall'isola de La Maddalena fino al marzo 1805, quando l'ammiraglio Pierre Charles Silvestre de Villeneuve riuscì ad eludere la sorveglianza ed a dirigersi verso le Indie Occidentali.
La manovra avrebbe dovuto far credere ad un attacco francese ai possedimenti inglesi nell'America Centrale mentre Napoleone sarebbe potuto sbarcare in Inghilterra ed in effetti essa riuscì. Ma l'ammiraglio Villeneuve, sfuggito all'inseguimento inglese, anziché dirigersi nel canale della Manica per "coprire" lo sbarco francese in territorio inglese, si lasciò impressionare da uno scontro di poco conto al largo di El Ferrol e riparò a Cadice.
- La battaglia di Trafalgar (1822) - dipinto di Turner
Il 21 ottobre l'ammiraglio Villeneuve, ricongiuntosi con le forze navali spagnole del Gravina, si portò al largo di Capo Trafalgar dove la flotta britannica era pronta alla battaglia: benché le forze navali inglesi fossero numericamente inferiori a quelle franco-spagnole (trentatré navi franco-spagnole contro le ventisette inglesi), NELSON inflisse una decisiva sconfitta alla flotta nemica (battaglia di Trafalgar). Questo evento bellico permise all'Inghilterra di rafforzare la propria supremazia navale su quella francese che da quel momento non ebbe più alcun peso nello scacchiere operativo navale.
Il giorno in cui si svolse la battaglia navale di Trafalgar, Horatio Nelson fece innalzare sull'albero maestro della sua nave ammiraglia, la VICTORY il segnale d'incitamento rivolto a tutta la sua flotta: ("L'Inghilterra si aspetta che ogni uomo compia il proprio dovere").
"England expects that every man will do his duty"
Trafalgar - Morte di Nelson
Tuttavia Nelson non poté godere degli allori della vittoria poiché fu colpito a morte da un tiratore francese che sparò dall'albero maestro della nave Redoutable.
Il cadavere dell'ammiraglio, come confermano i documenti degli archivi britannici, venne conservato in una botte di rum (in quanto a base di alcol) fino al rientro in Inghilterra, dove ricevette i funerali di Stato.
Il suo corpo venne solennemente tumulato nella Cattedrale di San Paolo a Londra, all'interno di una bara ricavata da un pezzo di legno, ripescato in mare, dell'albero maestro de L'Orient. Quest'ultima era ammiraglia francese nella battaglia del Nilo. Prese fuoco e affondò in seguito all'esplosione dei due depositi di polveri situati uno a poppa e l'altro a prua.
Alla vigilia della partenza per la campagna d'oriente, Napoleone aveva appropriatamente fatto cambiare il nome della nave da Sans Culotte a L'Orient, risvegliando la superstizione dei marinai, per i quali cambiare nome ad una nave porta disgrazia. C'è da aggiungere che si trattava del secondo cambio di nome, essendo la nave stata varata col nome di Le Dauphin Royal.
LA PARENTESI GENOVESE DI HORATIO NELSON
Omaggio di Mauro Salucci (storico genovese)
"Era il settembre 1794, Horatio Nelson sbarcava a Genova. Trentaseienne, ancora uno sconosciuto, rossiccio di capelli e mingherlino. Quel 20 settembre scese dalla nave Agamennon ormeggiata nel porto. Vestito in alta uniforme, in mezzo agli sguardi interrogativi di lerci marinai e pendagli da forca nell'ora d'aria dalle galee, imboccò i caruggi da Sottoripa per raggiungere Palazzo Ducale. La sua intenzione era richiedere un'udienza al Doge per spiegare un incidente diplomatico dell'anno precedente, durante il quale una flotta inglese era entrata nel porto di Genova senza permesso, violando la neutralità politica della Superba. Ci volle poco e i genovesi si presero la loro rivincita, perchè negarono la richiesta di permesso d'imbarco nel porto di cinquemila soldati austriaci per la difesa di Tolone strappata ai francesi. Giunto al cospetto del doge, venne accolto con tutti gli onori, ma questi gli disse chiaro e tondo che Genova non avrebbe mai e poi mai preso le armi contro la Francia. Quando uscì dal palazzo lo fece mesto e corrucciato. Mai si sarebbe atteso una risposta tanto risoluta. Alzò gli occhi e giunto sulla nave scrisse alla moglie Fanny una lettera "Questa città è senza eccezione la più bella che io abbia mai visitato, persino superiore a Napoli, sebbene vista dal mare il suo aspetto non le renda giustizia, ma vista da vicino è semplicemente splendida. Tutte le case sono palazzi e dalle dimensioni imponenti". Seguiranno notti bianche per il povero Nelson, che iniziò una rappresaglia verso i genovesi nei mari di tutto il mondo che commerciavano con i nemici, avendo Nelson spesso la peggio. Scrisse "Vedremo chi, tra me e i genovesi, si stancherà prima...". Poi scrive il 29 luglio 1795 "... qui sono parecchio detestato. Non posso più scendere a terra in Genova senza correre probabili rischi..."
Come abbiamo già visto, nel maggio 1793, l’ammiraglio della flotta britannica Horatio Nelson soggiornò a Napoli presso la corte borbonica dove conobbe la giovanissima Lady Emma Hamilton, donna controversa, nota al pubblico europeo dell’epoca anche con il nome di Emma Hart, soggetto dei ritratti di George Romney. Nonostante entrambi fossero sposati, intrapresero una relazione amorosa.
In quegli anni Nelson era capitano dell’Agamennon, vascello della flotta britannica nel Mediterraneo. La Rivoluzione Francese imperversava e i giacobini miravano all’occupazione di nuovi territori: fu così che gli inglesi ingaggiarono gli eterni rivali prima nella battaglia di Calvi (Corsica, 1794), nella quale Nelson perse un occhio e un braccio, e poi nella battaglia di Genova, dove la flotta britannica si era diretta dopo l’occupazione dell’isola tirrenica.
Ristorante Panson - Genova
In Piazza delle Erbe ci sono molti locali, tra questi si trova L'Antico Ristorante Panson, che era già in attività nel 1790. Conta due sale da pranzo, una delle quali è detta saletta Nelson.
A noi piace immaginare Nelson e Lady Hamilton a braccetto, come nuovi innamorati, mentre passeggiano ancora in Piazza delle Erbe.
Dopo le mutilazioni subite, Nelson stesso era stato inviato a Genova per instaurare nuovi rapporti diplomatici tra la Repubblica e il Regno Unito. Fu durante questo periodo, prima della battaglia navale del marzo 1795, che soggiornò presso le stanze di quella che allora era l’osteria Panson. E’ da questo episodio che prende nome la sala da pranzo dell’odierno ristorante.
Lady Hamilton raggiunse Nelson a Genova per un breve periodo, poi ritornò nel regno di Ferdinando I, dove proseguiva la sua permanenza a Napoli con il marito. Nel 1798 incontrò di nuovo il suo amato.
I tre in Inghilterra condussero una vita di scandalo, vivendo sotto lo stesso tetto. I due amanti, rispettavano i propri coniugi e non avevano intenzione di chiedere un divorzio che avrebbe disonorato le loro vite per sempre. Horatio ed Emma ebbero due figlie, la primogenita Horatia, nacque nel 1801, mentre la sorella nacque nel 1804, ma morì poche settimane dopo la nascita.
Uno dei tanti ritratti in cui George Romney ha immortalato Emma Hamilton, in arte Emma Hart
Hamilton, Emma, nata Lyon. - Avventuriera inglese (Great Neston, Cheshire, forse 1761 - Calais 1815). Di umile origine, nel 1782 divenne l'amante di Charles Greville, deputato ai Comuni, che la introdusse nella brillante società londinese del tempo, dove la ritrasse più volte, nel fulgore della sua bellezza, il pittore George Romney. Nel 1786 era a Napoli presso Sir William Hamilton, che nel 1791 la sposò; bene accolta alla corte napoletana, in particolare dalla regina, servì da tramite tra questa e l'ambasciatore inglese. Nel settembre del 1793 H. Nelson, di passaggio da Napoli, l'incontrò per la prima volta, ma solo al suo ritorno a Napoli nel settembre 1798, dopo la battaglia di Abukir (al cui felice esito contribuì la concessione fatta dalla regina alla flotta inglese, sembra proprio per intervento della H., di rifornirsi in Sicilia), ebbe inizio la sua passione per lei, che tanta influenza doveva avere sulla sua vita pubblica e privata; quando, poco dopo, la corte borbonica si rifugiò a Palermo sotto la protezione della flotta inglese, la H. divenne l'amante ufficiale dell'ammiraglio, sulla cui sleale politica di repressione (1799) influì per istigazione della regina. Nelson, alla sua morte (1805), le lasciava una pensione che essa, trasferitasi a Londra in seguito al richiamo del marito fin dal 1800, dilapidò presto; fu anche, sul finire della vita, imprigionata per debiti (1813).
Il resto è storia, lui morì a Trafalgar nel 1815, lei disperata si diede al gioco d’azzardo e all’alcol, prima di morire all’età di 49 anni.
L’EPILOGO
Ferito a morte durante la battaglia di Trafalgar, HORATIO NELSON fu riportato in patria dentro un barile di rum inglese.
Capo Trafalgar, Spagna sud-occidentale.
È l’alba del 21 ottobre 1815: 17.000 inglesi stanno per affrontare 25.000 tra francesi e alleati spagnoli, in una delle battaglie navali più famose di sempre.
Al comando della Royal Navy britannica, impeccabile sulla nave ammiraglia VICTORY, Lord Horatio Nelson fa issare una bandiera che passerà alla Storia:
“L’Inghilterra si aspetta che ogni uomo compia il proprio dovere”
L’inizio della battaglia di Trafalgar fu violentissimo: gli inglesi disponevano di ventisette vascelli, contro le trentatré navi da guerra franco-spagnole. Dopo cinque ore di combattimento, i francesi avevano perso ventidue navi, gli inglesi nemmeno una. L’ammiraglio Villeneuve si arrese così alla flotta di Sua Maestà.
La vittoria era stata indubbiamente merito dell’ammiraglio HORATIO NELSON e delle sue ardite (e innovative) manovre, che avrebbero consegnato alla Gran Bretagna il dominio dei mari fino al secolo successivo. Il Lord inglese non avrebbe però potuto assistere ai festeggiamenti: era morto nella sua cabina poco prima del termine della battaglia, ma in tempo utile per conoscerne l’esito positivo.
I TRAGICI MOMENTI DELLA MORTE DI NELSON
Nelson era una vera e propria leggenda.
- Aveva perso un braccio nella battaglia di Santa Cruz de Tenerife
- l’occhio destro a Calvi
- aveva in fronte una grossa cicatrice risalente alla battaglia di Abukir
- ferite più da semplice marinaio che da ammiraglio di Sua Maestà.
Ma il Lord inglese era fatto così: le cronache raccontano di un uomo sempre al fianco dei suoi marinai, il primo a esporsi ai rischi degli abbordi. E ai tiri dei cecchini avversari, posizionati sulle coffe.
Poco dopo l’inizio delle ostilità un cecchino lo centrò in pieno petto, perforandogli un polmone. Rimasto cosciente per qualche ora, sembra che sia vissuto abbastanza da venire informato della vittoria, ma pochi minuti dopo spirò.
La leggenda narra che la scelta della marsina rosso sangue fosse stata scelta appositamente da Nelson: in caso egli fosse stato ferito (come poi avvenne) la marsina avrebbe nascosto il sangue, così da non demoralizzare le proprie truppe.
L’ultimo trucco di uno dei più grandi strateghi militari della storia.
Anche quella mattina era in coperta – nonostante gli avvertimenti dei suoi attendenti – in alta uniforme, con le decorazioni che scintillavano al sole spagnolo. Durante la battaglia, il suo segretario viene colpito in pieno da una palla di cannone.
Verso le 14, un tiratore scelto nemico lo colpisce alla spalla sinistra: il colpo viene dall’alto: attraversa l’omero, spezza due costole, trancia un’arteria polmonare e frattura due vertebre dorsali. Nelson si accascia in una pozza di sangue, ma quasi nessuno se ne accorge, forse grazie anche alla mantella scarlatta che indossa. La notizia del ferimento così non trapela e nessun marinaio cede allo scoramento. Nelson viene portato sottocoperta, assistito dal capitano Hardy e dal dottor Beatty. Il dolore è insopportabile e le condizioni appaiono subito critiche.
Dopo due ore di agonia, Hardy lo informa che la battaglia sta per essere vinta. È il segnale che Nelson stava aspettando. Fa promettere al capitano di non buttarlo in mare, una volta morto, e lo bacia sulla guancia. Rivolgendosi al cappellano Scott, mormora le sue ultime parole
“Non sono stato un grande peccatore. Grazie a Dio, ho compiuto il mio dovere”.
Alle 17 in punto Nelson muore.
Particolare dell’uniforme di Nelson. In alto si nota il foro di entrata del proiettile mortale.
La notizia della vittoria (e della morte dell’ammiraglio) arriverà a Londra soltanto quindici giorni dopo, il 5 novembre. Il Times intitolerà:
“Non sappiamo se dobbiamo piangere o gioire, il paese ha vinto la più splendida e decisiva battaglia che abbia mai adornato gli annali navali d’Inghilterra, ma è stata acquistata a caro prezzo. Il grande e galante Nelson non è più”.
A bordo, il corpo di Nelson viene denudato e rasato. Per conservarlo fino al ritorno in Inghilterra, si decide di immergerlo in un grosso barile di rum. Qui inizia la leggenda.
IL NELSON’S BLOODY RUM
Da quasi due secoli, sulle navi di Sua Maestà, il rum veniva distribuito ai marinai quotidianamente, diluito con succo di limone per prevenire lo scorbuto. La VICTORY non faceva eccezione. Per la conservazione della salma dell’ammiraglio viene però usato molto liquore e le razioni giornaliere per l’equipaggio diminuiscono. Iniziano i mugugni.
Durante il viaggio di rientro, il barile con all’interno il corpo dell’ammiraglio viene scoperto da un marinaio che, ignaro di ciò che il barile in realtà “ospita”, pratica un foro su un lato e ne spilla a piccole dosi il contenuto, per compensare la penuria di rum distribuito legalmente.
La VICTORY attracca a Portsmouth il 4 dicembre 1815, dopo essere stata riparata a Gibilterra. Quando il barile viene aperto, per concedere al grande ammiraglio degna sepoltura, di rum non ve n’è più neppure una goccia.
L’episodio ispirerà la nascita di un famoso rum dal colore rosso, il Nelson’s Bloody, per l’appunto.
Nelson’s Bloody Rum
Una volta in patria, Nelson viene composto in una bara ricavata dal legno dell’ORIENT, una nave da guerra francese da lui catturata ad Abukir e, dopo solenni funerali, sepolto nella cattedrale di Saint Paul.
L’uniforme indossata da Nelson durante la battaglia è conservata al National Maritime Museum di Londra; il proiettile che lo colpì si trova invece al Castello di Windsor; mentre a Portsmouth è possibile visitare l’Ammiraglia VICTORY.
HONOURS
· Battle of Ushant …………………. 1781
· Battle of the Saintes …………… 1782
· Battle of Genoa....................... 1795
· Battle of the Hyeres Islands … 1795
· Battle of Copenhagen …………. 1801
· Battle of Cape Finisterre …….. 1805
· Battle of Trafalgar ………………. 1805
· Battle of San Domingo ………… 1806
· Battle of Copenhagen …………. 1807
Fonti: Wikipedia e Nautica Report
A cura di Carlo GATTI
Rapallo, 15 Maggio 2019