GESTI DI GRANDE MARINERIA: L'ULTIMA TEMPESTA

GESTI DI GRANDE MARINERIA

L’ULTIMA TEMPESTA

L’argomento “marinaro” del giorno, a giudicare dai video proiettati sui “social”, riguarda le “arrampicate” dei piloti portuali con cattivo tempo, ma che solo in epoca di smartphone hanno trovato la loro puntuale visibilità “riprendendosi” tra loro in piena autonomia. Per esperienza sappiamo che nessun fotografo specializzato si é mai voluto prendere il rischio d’avventurarsi in mare aperto con cattivo tempo e rischiare la propria incolumità … Tuttavia occorre precisare che le qualità acrobatiche di tempismo dei piloti sono cresciute nel tempo insieme all’abilità dei loro Timonieri/Pilotini che sono manovratori eccezionali e persone che dimostrano freddezza assoluta e coraggio da vendere… Doti che emergono specialmente quando le pilotine raggiungono vette ragguardevoli di 6/8 metri, a volte anche di più e la vita del pilota é nelle loro mani!

Alcuni di loro sono stati anche decorati per aver collaborato insieme al pilota in numerose operazioni di salvataggio: Vedi London Valour, Haven, Hakuyo Maru dei quali trovo utile riportare i LINK dei miei scritti ripresi dal nostro sito di Mare Nostrum.

Dopo questa premessa dedicata alla perizia dei Timonieri/Pilotini, oggi dedico il nostro scritto settimanale ad un fatto vero che ha avuto la massima visibilità grazie al film: L’ULTIMA TEMPESTA che, come vedremo, racconta l’eccezionale impresa di salvataggio compiuta proprio da un Conduttore/Timoniere della Guardia Costiera USA. Ma prima di “partire” desidero spendere qualche parola sulle petroliere T2 che furono per molti anni la “casa” di molti marittimi italiani e che in questo racconto due di esse si sono inabissate davanti alle coste USA.


Una petroliera T2 - 1943

La petroliera T2, o più semplicemente T2, era una nave per il trasporto di petrolio e suoi derivati, progettata e realizzata, in numeri rilevanti, negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale.

Le petroliere T2 avevano per l'epoca delle dimensioni rilevanti, superate solo dalle petroliere T3 che però furono costruite solo in cinque esemplari. Alla fine del conflitto furono 500 le T2 costruite tra il 1940 e il 1945. Molte furono utilizzate per decenni dopo la fine della guerra. Come altre navi realizzate in questo periodo andarono incontro a problemi di sicurezza. Dopo che nel 1952 due di queste navi - la SS Pendleton e la SS Fort Mercer - andarono perdute a distanza di poche ore, lo U.S. Coast Guard Marine Board of Investigation dichiarò che queste navi erano inclini a spezzarsi in due in acque fredde. Pertanto furono aggiunte alla struttura della nave delle strisce di acciaio. Le inchieste tecniche attribuirono inizialmente la tendenza delle navi a spezzarsi in due alle scarse tecniche di saldatura. In seguito venne stabilito che, durante la guerra, l'acciaio utilizzato per la loro costruzione aveva un contenuto di zolfo troppo elevato che rendeva fragile l'acciaio alle basse temperature.

L’ULTIMA TEMPESTA


Tratta dal libro: The Finest Hours, The True Story of the U.S. Coast Guard's Most Daring Sea Rescue di Michael J. Tougias e Casey Sherman. L'ultima tempesta racconta l'incredibile, eroico salvataggio di 32 uomini dell'equipaggio ad opera di 4 membri della Guardia Costiera USA, che contro ogni previsione, e a totale rischio di naufragio, riuscirono a raggiungere la nave spezzata superando scogliere e bassifondi tra onde altissime, con la piccola pilotina CG-36500, a recuperare i superstiti e a tornare a terra.


Il troncone della T2 SS/PENDLETON sta per affondare




E’ stata una delle peggiori tempeste che si siano mai abbattute sull’East Coast.

 

Quando un potente NOREASTER* invase la costa orientale degli Stati Uniti, due grosse petroliere T2 si ritrovano intrappolate nell’occhio della tempesta. La SS FORT MERCER venne letteralmente spezzata in due dal mare. Fece in tempo a lanciare un segnale di soccorso che mobilitò i soccorsi. Nel frattempo un'altra petroliera SS PENDLETON subì la stessa sorte…


Foto aerea di Rock Harbor – Orleans - Massachusetts

LA CRONACA

Il 18 febbraio del 1952 una violenta tempesta colpì il New England devastando, tra l’altro, centinaia d’imbarcazioni che si trovavano sulla sua traiettoria. Fra queste, la petroliera SS Pendleton, una petroliera T-2 diretta a Boston che venne letteralmente spezzata in due da onde gigantesche. Un troncone affondò subito, mentre l'altro si ritrovò in balia degli elementi, in pieno Oceano Atlantico intrappolando 32 marinai al suo interno a poppa. La loro sorte era ormai segnata per l’evidente impossibilità di governare ed erano destinati ad un rapido naufragio.

L'equipaggio, ritrovandosi su una parte soltanto “galleggiante” in balia della tempesta, senza radio, senza timone, senza capitano e con tutti i soccorsi impegnati alla ricerca della Fort Mercer, si mise nelle mani del suo più anziano ufficiale Ray Sybert.

Ma non fu facile per Sybert prendere in pugno la situazione in quei frangenti dove la paura ed il panico la facevano da padroni. Tuttavia, dopo aver domato con grande energia le divergenze tra i membri dell’equipaggio, riuscì a dare speranza a tutti operando alcune manovre che diedero al troncone la possibilità di rimanere a galla e poi di arenarsi su una secca a largo di Rock Harbor.

Nel mentre, un addetto portuale sentì la sirena di emergenza della nave e riconobbe la sagoma al largo ed avvisò la Guardia Costiera. La notizia del disastro raggiunse la Centrale Operativa di Chatham, nel Massachusetts. Il Sergente Maggiore Daniel Cluff diede l’ordine di effettuare una rischiosa operazione per mettere in salvo i naufraghi sopravvissuti dei 41 membri dell'equipaggio della PENDLETON. La missione di recupero e salvataggio venne immediatamente organizzata e fu affidata al nostromo in servizio, il giovane Bernie Webber che prese subito il largo a bordo della motovedetta CG 36500.

L’operazione presentava tali rischi da essere definita suicida dai propri colleghi per via delle enormi onde che si abbattevano sulla secca che proteggeva il porto. L'operazione di salvataggio fu un successo e i 32 membri della petroliera vennero messi in salvo in un solo viaggio eseguito a notte fonda, con bussola in avaria e senza alcun tipo di illuminazione oltre al faro della motovedetta (la petroliera era senza alimentazione elettrica, la sirena nel frattempo si era spenta così come tutte le luci: in blackout era anche il porto di partenza a causa della forte tempesta).


Bernard C. Webber con il suo equipaggio in porto dopo il salvataggio dei superstiti

 

Coast Guard Motor Lifeboat CG 36500


La Coast Guard Motor Lifeboat CG-36500 (nella foto) è la storica motovedetta della Guardia Costiera statunitense, divenuta famosa per il salvataggio di 32 membri dell'equipaggio della petroliera Tipo T2-SE-A1 SS PENDLETON al largo della costa di Rock Harbor, Orleans (Massachussetts).

Si è trattato del più grande salvataggio di tutta la storia della Guardia Costiera statunitense eseguito da una piccola imbarcazione. L'impresa è stata premiata con una medaglia al merito e nel 2016 è stata ricordata con il film: L’ULTIMA TEMPESTA (The Finest Hours).

ESPOSIZIONE MUSEALE

L'imbarcazione, messa fuori servizio nel 1968, fu consegnata al National Park Service per utilizzarla in una mostra a Cape Cod National Seashore. Nel novembre 1981, il Park Service, che non aveva effettuato alcun significativo intervento di restauro sulla nave, la cedette alla Orleans Historical Society, la quale avviò un restauro, grazie ad un gruppo di volontari da Chatham, Orleans,Harwich in Massachusetts.

In sei mesi i lavori di restauro furono completati e la barca venne messa in mostra in una cerimonia pubblica che ha visto la partecipazione di Bernard Webber e di sua moglie Miriam Penttinen.

*I Noreaster sono Cicloni Extratropicali che si sviluppano lungo la costa orientale degli USA soprattutto tra la fine dell’autunno e inizio primavera e la cui intensità, generalmente marcata, è data dalle forti differenze di temperatura e umidità fra l'aria fredda che in quei mesi comincia ad irrompere dal Canada e l'aria caldo umida che è presente sull’oceano Atlantico, che ancora ritiene il calore accumulato nei mesi estivi; il suo caratteristico nome è dato dal fatto che i forti venti che si sviluppano sulla costa orientale degli USA si dispongono da Nord-Est. Il centro della depressione si colloca poco al largo e la tempesta nel suo movimento di traslazione tende a seguire la linea di costa verso Nord.

LINK

Ricordando la HAVEN

vent’anni dopo...

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=150:haven&catid=41:sub&Itemid=162

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LONDON VALOUR

IL GIORNO DEL DIAVOLO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=139:il-giorno-del-diavolo&catid=34:navi&Itemid=160

Carlo GATTI

Rapallo, 28 febbraio 2019


IL GIGANTISMO NAVALE PETROLIFERO

IL GIGANTISMO NAVALE PETROLIFERO

SEAWISE GIANT

Un po’ di Storia...

Il Canale di SUEZ fu inaugurato il 17 giugno 1869 e il suo regime giuridico internazionale (nel 1875, il sovrano d'Egitto Ismā'il, per far fronte al grave deficit dello stato fu costretto a cedere alla Gran Bretagna la propria quota azionaria) fu definito dalla Convenzione di Costantinopoli del 1888. Essa restò in vigore fino al 23 luglio 1956, data in cui il presidente G.A.Nasser  annunciò la nazionalizzazione del Canale da parte dello stato egiziano. Trovandosi improvvisamente impedito il transito, Israele intervenne militarmente insieme a Francia e Inghilterra. Durante la "Crisi di Suez" il Canale fu chiuso al traffico e la situazione si sbloccò solo grazie all'azione congiunta degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, che imposero il ritiro degli anglo-francesi e, attraverso l'ONU, la cessazione delle ostilità; le stesse Nazioni Unite curarono la riapertura del Canale nell'aprile 1957, ma questo si era nel frattempo insabbiato e aveva perduto la preminente funzione di rotta più breve verso l'India e l'Estremo Oriente. Nel 1960 la Banca Mondiale offrì un prestito di 56,6 milioni di dollari per l'allargamento e l'approfondimento del Canale, ma nel 1967, in conseguenza del riacceso conflitto arabo-israeliano, esso fu nuovamente teatro di combattimenti e restò bloccato fino al 5 giugno 1975, quando fu riaperto al transito.

La petroliera T2 (fu un grande successo bellico e poi commerciale nel dopoguerra)

Il progetto della T2 venne formalizzato dalla United States Maritime Commission come tipologia di petroliera per la Difesa Nazionale di medie dimensioni. La nave veniva costruita per il servizio commerciale ma in caso di conflitto poteva essere utilizzata come nave militare inserita nella flotta ausiliaria. La Commissione si faceva carico della differenza dei costi aggiuntivi dovuti all'inserimento di tutte le caratteristiche necessarie per l'impiego militare della nave e che andavano oltre i normali standard commerciali.

Il modello T2 venne basato su due navi costruite nel 1938-1939 dai cantieri Bethlehem Steel per la Socony-Vacuum Oil Company. Le due navi, Mobifuel e Mobilube, differivano dalle altre navi Mobil principalmente per l'installazione di un motore più potente che poteva garantire una maggiore velocità. La T2 standard aveva una lunghezza totale di 152,9 mt. e una larghezza massima di 20,7 mt. La stazza era di 8.981 tons. ed aveva unaportata lorda di 16.104 tonnellate. Il dislocamento totale standard di una T2 si aggirava intorno alle 19.141 tonnellate.

 

Le sueturbine a vapore fornivano 8.900 KW (12.000 hp) ed azionavano un'elica singola che poteva spingere la nave fino ad una velocità di 16 nodi.

 

In totale ne sono state costruite sei utilizzate per l'impiego commerciale presso i cantieri Bethlehem-Sparrows Point Shipyard che avevano sede in Maryland. Subito dopo l'attacco a Pearl Harbour le navi sono state prese in carico dalla U.S. Navy dove vennero riunite nella classe Kennebec.

 

Nei primi anni ’60 ho navigato sulla t/n FINA ITALIA da 3° e 2° uff.le di cop. Era soprannominata “la freccia del Golfo persico”. Aveva una portata lorda di 31.500 tonn. ed una velocità poco superiore ai 18 nodi.

Con la chiusura del Canale di Suez - dal 1967 al 1973 – iniziò il gigantismo navale petrolifero sulla ROTTA del Capo di Buona Speranza - “periplo d’Africa”. Aumentarono le portate e le velocità si ridussero alle attuali 16 nodi.

 

Nella prima metà degli anni ’80, da pilota del Porto di Genova, ho manovrato le gemelle NAI GENOVA e NAI SUPERBA (Lunghezza= 400 mt. - Portata lorda= 409.000 tonn. Velocità= 16,25 nodi.

 

 

Fu dunque dopo il 1945 che l’industria petrolifera raggiunse la sua maturità e il petrolio, dopo duecento anni, detronizzò definitivamente il carbone come principale fonte di energia. L’incredibile incremento della domanda di greggio (raddoppiata nell’arco di poco più di un decennio, dal 1958 al 1973) da parte delle nazioni più industrializzate e l’avvio del sistematico sfruttamento dei giacimenti del Medio Oriente determinò quello che Francisco Parra, segretario generale dell’Opec nel 1968, ha definito una sorta di vero e proprio “big bang” (Parra 2004, 33-54). Il traffico commerciale via mare, reso ulteriormente più vantaggioso dagli accordi che dettero vita al sistema di Bretton Woods aumentò esponenzialmente: tra il 1960 e il 1975 il traffico annuale di greggio subì un aumento dell’800% mentre la flotta mondiale di petroliere, che già all’inizio degli anni Sessanta per tonnellaggio ammontava già a 67 milioni (una cifra tre volte più grande di quella del 1939 e ben venticinque volte quella del 1914) aumentò del 600% (Scanlan 1984, 104). A metà degli anni Sessanta il 43% delle navi in costruzione nei vari cantieri del mondo erano petroliere (cit. in Hoye 1966b, 14-15. Cfr. inoltre Hartshorne 1962a; 1962b).

 

 

 

Fu in questi anni che si andarono definendo le principali rotte mondiali del greggio: la maggiore era senza dubbio quella che partiva dai giacimenti medio-orientali in direzione dell’Europa occidentale (con il canale di Suez quale via d’accesso privilegiata), del Nord America e dell’Asia, in particolare del Giappone e fu in questo stesso periodo che le navi adibite al trasporto del greggio crebbero ulteriormente in dimensioni. L’era delle superpetroliere iniziò negli anni Sessanta, quando fu costruita la Manhattan e quando la Torrey Canyon (inizialmente di 60.000 tonnellate) venne modificata in modo da poter praticamente raddoppiare il proprio carico. Si trattò di una evoluzione continua che toccò il suo apice nel 1977 con la Esso Atlantic, costruita con una stazza che superava le 500.000 tonnellate.

 

 

 

Questa tendenza a costruire petroliere sempre più capienti non rispondeva solo ad un continuo incremento della domanda di greggio da parte dei paesi più sviluppati, ma fu anche la conseguenza indiretta di alcune crisi internazionali che interessarono i paesi medio-orientali e in particolare l’Egitto: la crisi di Suez del 1956 e la Guerra dei Sei Giorni del 1967 con il primo embargo da parte dei paesi arabi produttori ma soprattutto la chiusura del canale, che nel frattempo si era trasformato da autostrada dell’impero britannico ad “autostrada del petrolio” (Yergin 1991), indussero le principali compagnie di petrolifere e di navigazione a raggiungere l’Europa occidentale e il Nord America attraverso una rotta più lunga di 6.000 miglia*, circumnavigando l’Africa. La riapertura del canale di Suez, negli anni Settanta e la crisi petrolifera seguita agli shock del 1973 e del 1979, provocarono solo una parziale inversione di tendenza, dal momento che le petroliere di nuova costruzione si attestarono comunque su una capacità di 200-300.000 tonnellate (IMO 2006, 11). D’altro canto, nonostante l’ulteriore diffusione degli oleodotti, gli ingenti investimenti iniziali richiesti nella loro costruzione e il costo alto delle royalties da versare ai paesi attraversati rendevano e avrebbero reso conveniente anche negli anni a venire il trasporto del petrolio via mare

 

 

* 6.000 miglia, alla velocità di 15 nodi corrispondono a circa di 17 giorni di navigazione, che sarebbero stati ammortizzati con l’incremento della portata delle petroliere in base alla classificazione sotto riportata.

 

 

Principali Rotte Petrolifere in milioni di tonnellate nel 1991 (Fonte IMO)

 

Le petroliere vengono classificate in base alle loro dimensioni:

 

ULCC (Ultra Large Crude Carrier) navi con portata superiore alle 300.000 tonnellate;

 

VLCC (Very Large Crude Carrier) petroliere con capacità di carico superiore alle 200.000 tonnellate;

 

SUEZMAX - petroliere tra le 125.000 e le 200.000 tonnellate di capacità che possono transitare nel Canale di Suez ;

 

AFRAMAX (Average Freight Rate Assessment) petroliere con capacità compresa tra le 125.000 e le 80.000 tonnellate;

 

PANAMAX Navi dalla capacità di trasporto compresa tra le 50.000 e le 79.000 tons e che hanno una larghezza massima di 32,2 mt e quindi in grado di transitare nel  Canale di Panama;

 

 

La velocità di crociera di una petroliera VLCC è di 12-16 nodi, la lunghezza “fuori tutto” di circa 350 metri e il pescaggio, a pieno carico, di circa 20 metri. Le grandi petroliere con capacità di trasporto superiore a 1,5 milioni di barili di greggio sono dette anche superpetroliere (Supertanker).

 

Al di sotto di queste dimensioni si adotta il termine di Porta-Prodotti (Product Carriers in Inglese) in quanto il traffico principale per queste navi è il trasporto di prodotti di raffineria e non più di petrolio greggio. Si usano ancora i termini LR (Long Range), e MR (Medium Range) a seconda delle dimensioni delle navi.

 

La più grande nave petroliera mai esistita è la Jahre Viking soprannominata "Happy Giant" o "Seawise Giant" con una lunghezza complessiva di ben 458 metri, 69 di larghezza ed una portata di 564.763 tonnellate circa. La Happy Giant fu bombardata durante la guerra dell'Iran-Irak nel 1987/88: fu poi completamente riparata, riprese servizio nel1991 ed infine fu demolita nel 2010 inIndia.

 

Tra le più grandi navi del mondo c'è anche la "TI Asia", una ULCC costruita nel 2002 nei cantieri Daewoo dellaCorea del Sud: è lunga 380 metri, larga 68 metri con una capacità di carico di 441.000 tonnellate. È dotata di un motore principale di oltre 50.000 cv.

 

 

1981 – La Super petroliera Knock Nevis in manovra. Stazza Lorda: 260,941 - Tonn. Portata: 564,763 tonn. Pescaggio: 24,611 mt – Velocità: 16 nodi - Lunghezza x Larghezza: 458 x 68 mt.

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, Venerdì 13 Febbraio 2015

 

 

 


PITTORI DI MARINA-CLAUS BERGEN

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL MARE

CLAUS BERGEN

La pittura di marina tedesca del novecento

Claus Friedrich Bergen (Stoccarda, 1885 - Lenggries (Baviera), 1964) è uno dei pochi pittori di marina tedeschi contemporanei i cui lavori sono conosciuti anche all’estero, in particolare per olii e acquerelli a riferiti a fatti della guerra navale in entrambi i conflitti mondiali.

Dal 1904 frequentò a Monaco gli studi dei pittori Moritz Weinhold, Otto Strützel, Peter Paul Müller e Hans von Bartels e, finalmente, nel 1909, riuscì ad essere ammesso all'Accademia d'arte di Monaco dove studiò e si esercitò sotto la guida del professor Carl von Marr. Nei primi tre decenni del secolo XX i lavori di Claus Bergen furono esposti a Monaco e in altre città tedesche ottenendo numerosi riconoscimenti non solo in patria ma anche all’estero, con medaglie e premi di cui fu destinatario a Monaco, Berlino, Amsterdam e Copenhagen.

Nel 1914 ottenne la nomina ufficiale a “Pittore di Marina” da parte del Kaiser Guglielmo II e, dopo la vittoriosa conclusione per la flotta tedesca della battaglia dello Jutland nella primavera del 1916, la richiesta di sue opere pittoriche relative a questo scontro divenne elevata, sia da parte del pubblico sia da parte di comandanti e ufficiali delle navi della Kaiserliche Marine che vi avevano preso parte.

Nel 1917, fatto sino ad allora senza precedenti, Claus Bergen venne aggregato all’equipaggio del sommergibile U-53 al comando del Kapitänleutnant (tenente di vascello) Hans Rose, prendendo parte ad una crociera in Atlantico della durata di due mesi nel corso della quale il battello affondò diversi mercantili britannici. I dipinti che realizzò al termine di questa navigazione sono considerati tra le sue migliori opere, abbinando alla perfetta rappresentazione dell’atmosfera nebbiosa e delle condizioni meteorologiche spesso tempestose dell’Oceano Atlantico settentrionale precise raffigurazioni di navi e sommergibili, il tutto permeato da una personale e intensa partecipazione emotiva agli eventi cui l’autore prese parte e che seppe traslare sulle numerose opere da lui realizzate ispirate alla guerra subacquea condotta dagli U-Boote della Marina Imperiale.

Tra le due guerre Claus Bergen si dedicò anche alla paesaggistica e alla tecnica pittorica della natura morta, come pure alla raffigurazione di navi mercantili e di transatlantici, ma la sua amicizia con gli ammiragli Erich Raeder e Karl Dönitz (come pure con Ernest Udet, “asso” della caccia tedesca nella Grande Guerra), gli fruttò numerose committenze per quadri e disegni raffiguranti navi militari tedesche dell’epoca. Nel 1922 Bergen, come molti altri artisti tedeschi, si iscrisse al Partito Nazionalsocialista e ciò - senza dubbio - favorì ulteriormente il suo talento e la sua notorietà, in particolare con la realizzazione, nel 1928, di dodici grandi tele relative alla storia della Marina germanica in seguito esposte in via permanente al Ministero della Marina a Berlino.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale l’attività di Bergen proseguì a un ritmo ancor più serrato e, soprattutto nei primi anni di guerra, produsse alcuni dei suoi lavori maggiormente conosciuti: U-53 im Atlantik (1939), Gegen England (1940), Beschiessung der Westerplatte, Wiedererstanden U-26, Schwerer Kreuzer Prinz Eugen im Gefecht in der Dänemarkstrasse (1940) e Kampfgebiet des Atlantiks (1941). Anche se ciò non può essere considerato un punto di merito, nove quadri di Claus Bergen furono acquistati dallo stesso cancelliere tedesco Adolf Hitler, mentre altri andarono ad arricchire le collezioni ufficiali di diverse città di mare tedesche e vennero esposti in palazzi e gallerie d’arte pubblici.

Al termine della seconda guerra mondiale, anche qui al pari di molti artisti tedeschi che avevano aderito al nazismo (verosimilmente, va detto, spesso più per convenienza che per convinzione…), pur non venendo epurato o messo al bando Bergen soffrì di un comprensibile periodo di “assenza mediatica”, ma, già verso la metà degli anni Cinquanta, aveva ripreso la sua attività dedicandosi soprattutto alla realizzazione di acquerelli a soggetto paesaggistico.

Ben presto, tuttavia, mise nuovamente mano a quella che era la sua più grande passione, ossia la pittura di Marina: all’inizio del 1963 fece personalmente dono al Presidente statunitense J.F. Kennedy di un grande quadro ad olio dal titolo The Atlantic (oggi esposto nella “Kennedy Library” di Boston) e, nello stesso anno, l’Ammiragliato britannico acquistò un suo grande quadro raffigurante il “tre ponti” HMS Victory, nave di bandiera dell’ammiraglio Nelson alla battaglia di Trafalgar.

Ai giorni nostri, opere a soggetto navale di Claus Bergen sono esposte in alcuni dei principali musei europei, tra cui il National Maritime Museum di Greenwich, e i suoi quadri fanno spesso parte di lotti a soggetto navale di aste e vendite d’arte ove raggiungono quotazioni assai spesso elevate, a testimonianza della valenza tecnica e professionale di un artista che ha fatto attraversare alla pittura di marina tedesca tutto il travagliato corso storico della sua nazione nel Novecento, esprimendo una grande passione per il mare e le navi militari e il suo personale riconoscimento per gli uomini che a bordo di esse hanno combattuto.

ALBUM FOTOGRAFICO

La Hochseeflotte (Flotta d’alto mare) tedesca  in navigazione nel Mare del Nord il 31 maggio 1916 (il quadro è del 1917), nell’imminenza dello scontro dello Jutland con la Flotta britannica al comando dell’ammiraglio Jellicoe. Si noti la particolare “resa” pittorica delle onde e della schiuma, indice di una considerevole padronanza delle tecniche della pittura di matina e di conoscenze dirette dell’aspetto del mare e di tutti gli elementi meteorologici correlati.

Navi e incrociatori da battaglia tedeschi alla battaglia dello Jutland (1917, Monaco, collezione privata).

L’interno di una torre di grosso calibro di una nave da battaglia tedesca alla battaglia dello Jutland ove, con grande partecipazione emotiva da parte dell’autore, è raffigurato l’intenso sforzo degli addetti al caricamento di proietti e cariche di lancio (1917).

L’incrociatore da battaglia tedesco Seydlitz, gravemente danneggiato alla battaglia dello Jutland, si allontana dalla zona dello scontro (1918, Greenwich, National Maritime Museum).

Il Kaiser parla agli equipaggi delle navi della Hochseeflotte dopo il rientro delle unità alle basi successivamente alla conclusione della battaglia dello Jutland (fine 1916, collezione privata).

Uno dei numerosi quadri realizzati da Claus Bergen al termine della sua navigazione di guerra sull’U-53 nel 1917: il battello si appresta ad attaccare in superficie un brigantino a palo britannico, visibile sullo sfondo a sinistra.

 

Il tema dell’affondamento di mercantili da parte degli U-Boote germanici fu affrontato da Claus Bergen tanto nel primo quanto nel secondo conflitto mondiale. Venticinque anni separano queste due opere: quella a sinistra (1917), è una delle tante realizzate al termine della navigazione di guerra sull’U-17; quella a destra, senza neppure “aggiornare” le caratteristiche della falsatorre del battello, tipiche dei sommergibili tedeschi della Grande Guerra, venne dipinta nel 1942.

Ritorno da un pattugliamento in Atlantico - Un U-Boot tipo “VII” rientra alla base dopo una lunga crociera di guerra nell’Atlantico settentrionale: il pittore ha reso al meglio le condizioni del sommergibile al termine di un lungo periodo operativo, con numerose chiazze di ruggine su tutto lo scafo; si noti sullo sfondo un caccia tipo “Z-1” (1942, Monaco, collezione privata).

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 14 Febbraio 2019

 

 


PITTORI DI MARINA-DOMENICO GAVARRONE: Ritratti di Navi nella Genova dell'Ottocento

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL MARE

 

DOMENICO GAVARRONE

Ritratti di navi nella Genova

dell'800

 

Con vero piacere, giunti ormai alla decima uscita di questa rubrica sulle pagine de “Il Mare”, mi accingo a presentare ai nostri lettori uno tra i più celebri pittori di marina dell’Ottocento genovese, la cui notorietà ha travalicato i confini liguri e italiani arrivando sino oltreoceano, consegnandone le opere ai momenti più significativi di questo genere artistico e inserendole - per le loro indubbie qualità - nell’immaginario collettivo a quanti studiano e si appassionano alla “ritrattistica navale” nel senso più artistico, e allo stesso tempo tecnico, del termine.

In realtà, gli elementi biografici su Domenico Gavarrone (1821-1874, nato e vissuto a Genova) non sono poi molti anche se, fortunatamente, sono stati approfonditi e ben descritti dall’attuale direttore del Museo del Mare e della Navigazione di Genova, Pierangelo Campodonico, in un bel volume del 2000 edito da Tormena (I velieri di Domenico Gavarrone) che, ad oggi, è il saggio più completo ed esaustivo sull’attività e la produzione di questo artista ligure e marittimo “a tutto tondo”.

L’arte di Domenico Gavarrone si inserisce, di diritto, nella categoria dello ship portrait: un genere pittorico assai in voga nel Settecento e, soprattutto, sino agli anni Ottanta del secolo XIX quando la fotografia non si era ancora affermata quale fonte documentale primaria anche per il campo marittimo e navale. Erano difatti numerosissimi gli artisti attivi all’estero in questo settore: basterà citare la dinastia marsigliese dei Roux (tra l’altro protagonista di questa rubrica sul numero de “Il Mare” dello scorso mese di febbraio), le cui realizzazioni non mancarono di influenzare per stile, soggetti e tecnica pittorica quelle di Gavarrone. Va inoltre ricordata, dall’era napoleonica ai primi decenni dell’Ottocento, la presenza a Genova del maltese Nicolas Cammilleri (1777-1860) che, ancor più dei Roux, rivestì per Gavarrone un ruolo di guida e ispirazione sicuramente fondamentale.

In pratica, come avveniva all’epoca nei principali porti europei e degli Stati Uniti, armatori, comandanti e ufficiali erano usi commissionare a pittori specializzati lo ship portait (ossia un vero e proprio “ritratto” della propria nave, solitamente una vista al traverso di dritta o di sinistra) da esporre nella sede della compagnia, a bordo oppure nell’abitazione di residenza come ancora avviene ai nostri giorni con le stampe fotografiche. Negli anni, gli ship portrait hanno assunto una valenza non soltanto artistica ma anche documentale, in quanto una delle loro caratteristiche è costituita dall’assolutamente fedele riproduzione di scafi, alberature, attrezzature ed elementi dell’allestimento: in molti casi questi dipinti costituiscono l’unico documento iconografico certo e preciso su una determinata nave e, in quanto tali, il loro valore risulta ancor più accresciuto anche sul mercato delle opere d’arte, talvolta raggiungendo ragguardevoli quotazioni nell’ordine delle decine di migliaia di dollari o di euro.

A cavallo dei decenni centrali dell’Ottocento l’attività di Domenico Gavarrone e del suo studio fu frenetica, con centinaia di dipinti (in particolare olii su tela e acquerelli) realizzati per committenti dalle diverse origini ma, nella maggioranza dei casi, riferiti all’area dello shipping genovese e della Liguria di levante, all’epoca e sino agli anni del secondo dopoguerra tra gli ambiti italiani più importanti per l’armamento e la marineria mercantili. Al fine di accelerare quanto più possibile le tempistiche della realizzazione di uno ship portrait, gli artisti dell’epoca (ed anche Gavarrone non mancò di sfruttare questo escamotage) preparavano in anticipo gli sfondi di un quadro con il mare, il cielo e - spesso - un tratto di costa in lontananza, disponendone quindi sempre in buona quantità: a questo modo era possibile riprodurre soltanto il bastimento una volta che il dipinto veniva commissionato, ciò anche perché, allora come oggi, la permanenza di una nave in porto poteva non essere lunga in ragione delle tempistiche commerciali e delle condizioni meteorologiche. Non pochi furono pure gli armatori stranieri che si avvalsero dell’arte di Domenico Gavarrone: una delle più vaste collezioni estere di suoi ship portrait è esposta al Peabody Essex Museum di Salem (Massachusetts, USA), ma suoi lavori sono presenti anche in musei francesi, britannici e canadesi.

Soprattutto in ambito Mediterraneo (e, più specificatamente, italiano, greco, maltese e spagnolo) la tipologia pittorica dell’ex-voto visse nell’Ottocento il suo momento più fulgido: Domenico Gavarrone non mancò di rendersi attivo interprete in questo campo, con le sue opere che - insieme a quelle del coevo Angelo Arpe - aggiungono importanti valenze documentali e artistiche a dipinti devozionali che costituiscono uno delle più significative espressioni del sentimento religioso ligure. Ex-voto di Gavarrone sono presenti nei santuari di Montallegro a Rapallo, di N.S. del Boschetto a Camogli e della Madonna del Monte sulle alture di San Fruttuoso a Genova.

Infine (anche se non pochi suoi quadri si trovano al Mueso del Mare e della Navigazione nel Porto Antico di Genova), una tra le più vaste e importanti collezioni di ship portrait di Domenico Gavarrone è esposta al Museo Navale di Pegli: un corpus di quasi quaranta olii ed acquerelli che costituisce, di per sé, una tra le più importanti testimonianze della pittura di marina genovese, italiana ed europea oggi esistenti al mondo.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

La permanenza a Genova del pittore maltese Nicolas Cammilleri portò alla realizzazione di numerose opere i cui soggetti e stile influenzarono la pittura di marina di Domenico Gavarrone. Questo ex-voto di Cammilleri, raffigurante una difficile situazione fronteggiata dal brigantino Concordia il 10 novembre 1937, è esposto all’interno del Santuario di N.S. del Boschetto di Camogli.

In un olio su tela di Domenico Gavarrone del 1848, il brigantino Laura, all’epoca comandato da Lazzaro Bertolotto. Si noti che il tricolore italiano a riva alla varea dell’asta della randa è raffigurato posteriormente alla vela in modo da non rendere visibile  lo stemma sabaudo: un espediente spesso posto in atto dai pittori di marina del periodo (o richiesto dallo stesso committente) al fine evidenziarne i sentimenti repubblicani in contrapposizione alle istanze di Casa Savoia. Nel riquadro, tratto da un’altra opera del Gavarrone, la bandiera navala e mercantile del Regno di Sardegna in uso precedentemente al 1848 (Museo Marinaro Gio Bono Ferrari, Camogli).

Al Santuario di Montallegro a Rapallo è conservato questo ex-voto di Domenico Gavarrone risalente al 1849, donato all’istituzione religiosa “per grazia ricevuta” dal capitano Filippo Campodonico, raffigurante il brigantno Granduca Leopoldo che scampa al naufragio.

Il bovo San Giuseppe in un quadro del 1854 esposto al Museo del Mare e della Navigazione di Genova. Insieme al “pinco” (con un solo albero e antenna con vela latina), il “bovo” era un’altra tipologia di imbarcazione ligure per il cabotaggio costiero, a due alberi attrezzati con vela latina (il trinchetto) e vela aurica (la mezzana). Si noti, sullo sfondo a sinistra, il promontorio di Portofino.

Il brigantino a palo Fortuna del comandante Angelo Pillo nel 1862. In questo caso, ormai conseguita l’unità d’Italia nel 1861, la bandiera mercantile con lo stemma sabaudo fa mostra di sé a poppa del bastimento (Museo del Mare e della Navigazione, Genova).

Domenico Gavarrone raffigurò nelle sue opere anche navi estere in entrata o in uscita dal porto di Genova. In questo acquerello, oggi conservato al Peabody Essex Museum di Salem (Massachusetts, USA) e raffigurato il “tre alberi” statunitense Sooloo in navigazione di bolina e con velatura ridotta.

Nello specifico genere dello ship portrait, gli artisti (che spesso avevano esperienza diretta di navigazione o costruzione navale) ponevano grande attenzione nell’esatta raffigurazione di alberi e attrezzature. Nell’immagine, un dettaglio dell’albero e della velatura di trinchetto del brigantino a palo Fratelli Cadenaccio in un acquerello di Angelo Arpe (artista coevo di Gavarrone), conservato al Museo Navale di Pegli (foto M. Brescia).

Pegli, Museo Navale: un angolo della sala che ospita una selezione di ship portrait di Domenico Gavarrone. Si tratta, per la maggior parte, di acquerelli che - verosimilmente - costituiscono la più vasta raccolta di opere del Gavarrone custodite in una singola istituzione museale (foto M. Brescia).

Da un acquerello di Domenico Gavarrone, uno degli sfondi “standard” con la Lanterna e l’accesso al porto di Genova che venivano preparati “in serie” nello studio dell’artista e ai quali, in un secondo tempo veniva sovrapposta la vista laterale della nave richiesta dal comandante.

 

 

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile

 


 

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

 

 

Rapallo, 8 Febbraio 2019

 


TOSCANA - Una nave, una storia

P.fo TOSCANA

dal 1935 al 1961

Fu la nave della

“SPERANZA, della SALVEZZA e della RINASCITA”!

Non era una nave grande, non era una nave veloce, non era una nave lussuosa, non è stata famosa per le sue caratteristiche, e in definitiva non era neanche una bella nave. Eppure, molti sono i libri ed gli articoli dedicati a questa nave che sarebbe rimasta del tutto "anonima" se non fosse stata coinvolta in eventi che hanno segnato la nostra storia e sui quali ancora oggi poco è stato scritto. Il piroscafo TOSCANA fu costruito in Germania nel 1923 col nome Saarbrùcken ma per noi la sua storia comincia nel 1935, come trasporto truppe per l'avventura africana, continua con la guerra civile spagnola, l'occupazione dell'Albania e poi, come nave ospedale, con la tragica seconda guerra mondiale. Fra i pochi sopravvissuti alla guerra fu quindi coinvolto nei primi collegamenti con le Isole maggiori, con il rimpatrio di nostri prigionieri dal Nord Africa e con il drammatico esodo di Pola come conseguenza di un iniquo trattato di pace. Finalmente ripristinato al servizio civile e posto in linea regolare dal Lloyd Triestino fra Trieste e l'Australia il Toscana contribuì in modo determinante all'esodo di circa 22.000 Triestini e Giuliani verso quel grande e lontano paese.

 

TIPO: Piroscafo Misto (1923-1935 e 1945-1961) Nave Ospedale (1941-1945)

PROPRIETA’: Norddeutscher Lloyd (1923-1935)-Italia Flotte Riunite (1935-1936)- Lloyd Triestino (1936-1943)

CANTIERE: AG Weser, Bremen – Impostazione: 1922 – Varo 1923 ed entra in servizio lo stesso anno come nave civile. 1° febbraio 1941 come nave militare.
GESTIONE: dalla-FlottaLauro nel-1938-1939
REQUISITO: Regia-Marina nel-1941-1945
Co.Ge.Na. (Comitato ministeriale Gestione Navi) 1945-1947

CIME (Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee) 1947-1961

Nome precedente: P/s Saarbrücken – Radiata nel 1961 – Demolita nel 1962

Stazza Lorda: 9442 tsl - Lunghezza: 146,2 mt – Larghezza: 17,57 mt – Pescaggio: 9,52 mt.

Propulsione: 5 caldaia a carbone (poi dal 1947 a nafta) – Potenza: 4200 CV – 2 Eliche – Velocità 12,5 nodi Capacità carico: 9142 tonn.

Equipaggio: 176 – Passeggeri: (nel 1923) 198+142 - (Nel 1947) 826

 

UN PO’ DI STORIA

 

Militari in partenza per le colonie italiane sul TOSCANA

 

In vista della guerra d’Etiopia, il governo italiano decise di acquistare un certo numero di navi passeggeri per destinarle al Trasporto Truppe ribattezzandole con nomi delle regioni italiane. Sul mercato europeo c’era la Saarbrücken, che rientrava nelle specifiche previste per quell’impiego. Fu comprata nel 1935 e fu ribattezzata TOSCANA. La nave trasportò truppe dapprima nella guerra d’Etiopia e poi nella guerra civile spagnola trasportando ogni volta 1990 uomini, per un totale di 80.000 uomini e 4.000 veicoli.

Data in gestione alla Flotta Lauro, nel novembre 1938 la nave venne impiegata per qualche mese nel trasporto di 1720 famiglie italiane verso la Libia per un totale di 20.000 coloni; nel maggio 1939, la nave fu inviata in Spagna per rimpatriare 1900 militari italiani.

 

DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE IL TOSCANA FU CONVERTITA IN NAVE OSPEDALE

 

Per esigenze belliche, nel dicembre 1940, la Regia Marina decise la trasformazione della TOSCANA in Nave Ospedale. Fu ridipinta secondo le norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra per le navi ospedale, fu fornita di adeguate attrezzature sanitarie, di 700 posti letto, imbarcò il personale medico ed entrò in servizio nel marzo 1941.

Nel corso di questi mesi compì molte missioni umanitarie e subì anche numerosi bombardamenti aerei notturni.

Il 2 dicembre 1942 il Toscana, insieme alle piccole navi soccorso Capri e Laurana nonché a diversi cacciatorpediniere, venne inviata alla ricerca dei superstiti delle navi del Convoglio “H” che fu quasi totalmente distrutto in uno scontro notturno contro una formazione navale inglese presso SKERKI – costa tunisina. Complessivamente vennero tratti in salvo circa 1.100 naufraghi, un terzo del totale degli uomini imbarcati sulle navi del convoglio.

Il 28 aprile 1943 il Toscana trasse in salvo 72 naufraghi dell’equipaggio del piroscafo italiano Teramo, incendiato quello stesso giorno da motosiluranti britanniche ed aerei Kittyhawk durante la navigazione da Napoli a Tunisi carico di benzina (il relitto alla deriva si arenò il 29 aprile a sud di Capo Bon).

Il 29 aprile il Toscana, mentre rientrava dalla Tunisia con a bordo 938 tra feriti e malati, venne nuovamente attaccata con lancio di bombe e mitragliamenti – nonostante la trasmissione di segnali radio di riconoscimento – e fu stavolta colpita, con 15 feriti tra il personale medico e l'equipaggio, alcuni dei quali di notevole gravità.

Nel luglio-agosto 1943 la nave prese parte alle operazioni di evacuazione sanitaria della Sicilia, dopo lo Sbarco Alleato. Nel mese di luglio il Toscana e le navi ospedale Aquileia e Virgilio effettuarono cinque missioni, imbarcando circa 3.400 tra feriti e malati gravi sia tedeschi che italiani, radunati sulle spiagge di Sant’Agata e Ganzirri (Stretto di Messina). In agosto le stesse tre navi compirono altre tre missioni sino al giorno della caduta di Messina.

Il 17 agosto recuperarono altri 3.000 infermi. La Toscana e l'Aquileia furono le ultime navi ospedale ad abbandonare le rive dello stretto di Messina, sotto reiterati attacchi aerei.

 

Alla Proclamazione dell’Armistizio il Toscana si trovava a Gaeta da dove salpò la sera del 9 settembre 1943, mentre le truppe tedesche occupavano la piazzaforte, riuscendo così ad evitare la cattura.

 

Tra il settembre ed il dicembre 1943, il Principessa Giovanna e Toscana effettuarono in tutto sei missioni di trasporto di feriti e malati sia britannici (per i due terzi) che italiani (per il rimanente terzo).

 

Di fatto, tuttavia, il Toscana (a differenza del Principessa Giovanna), benché formalmente iscritta nei registri britannici come Hospital Ship N.59, continuò ad essere impiegata per conto del Comando navale italiano del Levante sino alla fine del 1945, quando venne derequisita.  Il 16 febbraio 1945 la Toscana venne inviata a Yarrow e vi rimase per tre settimane, venendo sottoposta ad un turno di lavori

Nel corso della seconda guerra mondiale la Toscana aveva svolto complessivamente 54 missioni come nave ospedale, trasportando 4.720 tra feriti e naufraghi e 28.684 ammalati.

 

IL DOPOGUERRA E L’ESODO ISTRIANO

UNA PAGINA DI DOLORE E DI TRISTEZZA

Tornata a Napoli il 4 dicembre 1945 ed issata nuovamente la bandiera italiana, il TOSCANA venne utilizzata dal Co.Ge.Na. (Comitato ministeriale Gestione Navi) per conto del governo italiano, svolgendo collegamenti d'urgenza tra Napoli, Palermo e Cagliari. Restituita formalmente al Lloyd Triestino nell'ottobre 1946, la nave venne impiegata per il rimpatrio da Libia e Tunisia di profughi ed ex prigionieri. Nello stesso periodo la nave trasportò anche da Napoli a Massaua, via Suez e Porto Said, ex coloni italiani che tornavano in Africa Orientale dopo esserne partiti nel 1942, a seguito dell'occupazione britannica. Ad inizio gennaio 1947 il governo decise di impiegare il Toscana per l'evacuazione dei profughi di Pola, intenzionati a lasciare la città prima che questa venisse annessa alla Iugoslavia.


La nave TOSCANA durante l'abbandono di Pola (1947)

 

 

Una giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, una bandiera tricolore (1945)

 

I VIAGGI DEI PROFUGHI ISTRIANI SUL TOSCANA

 

L'esodo giuliano-dalmata, noto anche come esodo istriano, coinvolse la maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia; iniziò alla fine della Seconda guerra mondiale (1945) e  continuò negli anni successivi. Si stima che i giuliani, i fiumani e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone.

Il fenomeno, conseguente agli eccidi noti come massacri delle foibe, coinvolse in generale tutti coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo e fu particolarmente rilevante in Istria e nel Quarnaro, dove interi villaggi e cittadine si svuotarono dei propri abitanti. Nell'esilio forzato, furono coinvolti tutti i territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia in base al Trattato di Parigi, compresa la Dalmazia dove vivevano i dalmati italiani.

I massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata sono ricordati dal:

Giorno del Ricordo

solennità civile nazionale italiana che si celebra il 10 febbraio di ogni anno.

Questo modesto articolo é dedicato anche alla loro memoria!

 

I VIAGGI DEL RITORNO IN PATRIA:

- Giunta a Pola, al comando del Capitano Caro agli inizi di febbraio, il TOSCANA imbarcò 1.865 profughi e ripartì dal Molo Carboni alle 8.30 del 2 febbraio 1947 diretta a Venezia.

- Dopo aver sbarcato i profughi, la nave tornò a Pola il 5 febbraio, imbarcando 2.085 persone e ripartendo il 7 febbraio alla volta di Venezia.

- Il 9 febbraio la nave fece ritorno nel capoluogo istriano, dove prese a bordo 1.550 persone salpando verso Venezia l'11 febbraio.

- Tornato a Pola il 14 febbraio, il piroscafo ne ripartì il 16 febbraio con 2.300 profughi a bordo, per poi tornare il 18.

- La successiva partenza (per Ancona e non per Venezia) del Toscana, che aveva imbarcato 2.156 profughi (tra cui 16 malati, 50 lattanti e 120 bambini con meno di quattro anni, oltre a numerosi anziani) era prevista per il 19, ma causa il maltempo venne inizialmente rimandata al 20 febbraio e poi, persistendo le condizioni meteorologiche avverse, poté infine avvenire solo il 21 febbraio.

- Rientrata a Pola il 23 febbraio, la nave ripartì il 26 febbraio con il sesto carico di profughi istriani.

- Il 2 marzo 1947 il Toscana partì da Pola per Venezia con 1.580 profughi in quello che avrebbe dovuto essere l'ultimo viaggio;

- ma il 4 marzo la nave tornò di nuovo nel porto istriano. Il 7 marzo, con un giorno di ritardo a causa di problemi tecnici, il Toscana ripartì da Pola, portando a bordo, oltre a 1.400 profughi.

- Negli ultimi due viaggi la nave trasportò soprattutto personale rimasto a Pola per le operazioni di evacuazione della città, che si presentava a bordo provvisto di documenti con apposito timbro di riconoscimento.

- Il 13 marzo il Toscana si presentò ancora una volta a Pola, con a bordo il capo della Pontificia Commissione di Assistenza. Ripartì il 14 marzo alla volta di Ancona, nuovamente carico di profughi.

- Il 17 marzo il Toscana fece ritorno a Pola per l'ultimo viaggio. La partenza era prevista per il 19, ma in realtà la nave partì con un giorno di ritardo. Dopo aver ricevuto dal Comitato di Liberazione Nazionale e dal Comitato di Assistenza per l'Esodo una PERGAMENA MINIATA in segno di riconoscenza, il Toscana lasciò Pola per l'ultima volta il 20 marzo 1947. (vedi foto sotto)

In dieci viaggi  tra il 2 febbraio ed il 20 marzo 1947, il piroscafo aveva trasportato complessivamente 16.800 profughi istriani.

- (più del numero inizialmente previsto) -

Terminato il suo mandato di evacuazione degli Italiani dal Nord Adriatico,  il Toscana riprese il servizio di rimpatrio di profughi ed ex prigionieri dall’Africa Settentrionale.

UNA BREVE PARENTESI STORICA

 


L'Italia nel 1796

 

Le tonalitè verdi della cartina, indicano le modifiche del confine orientale italiano dal 1920 al 1975.

 

Il Litorale Austriaco poi ribattezzato Venezia Giulia fu assegnato all'Italia nel 1920 con il TRATTATO DI RAPALLO (con ritocchi del suo confine nel 1924 dopo il Trattato di Roma) e che fu poi ceduto alla Jugoslavia nel 1947 con i Trattati di Parigi.

In verde - Le Aree annesse all'Italia nel 1920 e rimaste italiane anche dopo il 1947. - Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente all'Italia nel 1975 con l'infelice Trattato di Osimo.

In giallo - Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1975 con il trattato di Osimo.

 

 

La folla festante per il ritorno di Trieste all'Italia, 26 ottobre 1954

Nella parte finale della Seconda guerra mondiale e durante il successivo dopoguerra ci fu la contesa sui territori della Venezia Giulia tra Italia e Jugoslavia, che è chiamata "questione giuliana" o "questione triestina". Trieste era stata occupata dalle truppe del Regno d'Italia il 3 novembre del 1918, al termine della Prima guerra mondiale, e poi ufficialmente annessa all'Italia con la ratifica del Trattato di Rapallo del 1920.

Al termine della Seconda guerra, con la sconfitta dell'Italia, ci furono infatti le occupazioni militari della Germania e poi della Jugoslavia.

L'occupazione jugoslava fu ottenuta grazie alla cosiddetta “corsa per Trieste”, ovvero all'avanzata verso la città giuliana compiuta in maniera concorrenziale nella primavera del 1945 da parte della quarta armata jugoslava e dell’ottava armata britannica.

Territorio libero di Trieste: con il trattato di Osimo (1975), la zona A fu definitivamente assegnata all'Italia, mentre la zona B alla Jugoslavia

 

Il 10 febbraio del 1947 fu firmato il trattato di pace dell’Italia, che istituì il Territorio Libero di Trieste, costituito dal litorale triestino e dalla parte Nord Occidentale dell'Istria, provvisoriamente diviso da un confine passante a sud della cittadina di Muggia ed amministrato dal Governo Militare Alleato (zona A) e dall'esercito jugoslavo (zona B), in attesa della creazione degli organi costituzionali del nuovo stato.

Nella regione la situazione si fece incandescente e numerosi furono i disordini e le proteste italiane: in occasione della firma del trattato di pace, la maestra Maria Pasquinelli uccise a Pola il generale inglese Robin De Winton, comandante delle truppe britanniche. All'entrata in vigore del trattato (15 settembre 1947) corse addirittura voce che le truppe jugoslave della zona B avrebbero occupato Trieste. Negli anni successivi la diplomazia italiana cercò di ridiscutere gli accordi di Parigi per chiarire le sorti di Trieste, senza successo.

La situazione si chiarì solo il 5 ottobre 1954 quando col Memorandum di Londra la Zona "A" del TLT passò all'amministrazione civile del governo italiano, mentre l'amministrazione del governo militare jugoslavo sulla Zona "B" passò al governo della Repubblica socialista. Gli accordi prevedevano inoltre alcune rettifiche territoriali a favore della Jugoslavia fra cui il centro abitato di Albaro Vescovà/Škofije con alcune aree appartenenti al Comune di Muggia (pari a una decina di km²). Il trattato fu un passo molto gradito alla NATO, che valutava particolarmente importante la stabilità internazionale della Jugoslavia.

 

IL RITORNO DEL TOSCANA

AL SERVIZIO CIVILE

 

Emigranti italiani a bordo del Toscana a Trieste nel 1954, in partenza per l'Australia

 

 

Nell'estate 1947 Il TOSCANA fu restituito FINALMENTE alla navigazione mercantile. Il piroscafo subì un turno di grandi lavori di rimodernamento eseguiti presso il Cantiere San Marco di Trieste. I bruciatori delle caldaie, alimentati a carbone, vennero convertiti alla nafta, venne sostituito il fumaiolo con uno più basso e tozzo (la velocità tuttavia non mutò, restando di 12 nodi) La stazza fu portata a 9.584 tsl. Anche le sistemazioni passeggeri vennero ampliate, potendo quindi alloggiare 826 persone.

Il TOSCANA, superate le prove di collaudo, tornò in servizio di linea e  il 7 febbraio 1948 gli venne assegnato il collegamento diretto da Trieste a Durban. alle rotte dell'Estremo Oriente via Suez.

Dal 19 ottobre 1948 fu destinato al trasporto di emigranti (tra cui numerosi giuliani ed istriani, esuli dalle loro terre annesse alla Iugoslavia.

Nel 1954, 20.000 triestini che, dopo la restituzione della città all'Italia avevano lasciato Trieste perché disoccupati, raggiunsero Perth-l’Australia, a disposizione del CIME (Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee), partendo inizialmente da Napoli e successivamente da Trieste (capolinea). I

Il 14 settembre 1960 l'anziana nave TOSCANA lasciò Trieste per l'ultimo viaggio di linea.

Disarmato a Trieste sul finire del 1961, il Toscana venne infine demolito, sempre a Trieste, nel 1962.

E' nostro parere che il TOSCANA avrebbe dovuto continuare a vivere nel tempo come NAVE MUSEO a perenne ricordo di TANTE SOFFERENZE, patite dagli italiani, proprio a TRIESTE, città che tutti noi di una certa età abbiamo tuttora nel cuore.

CONCLUSIONE

 

Siamo giunti al termine di questa breve carrellata storica in cui lo shape del transatlantico TOSCANA si staglia come emblema di una Italia “confusa” che mandò i suoi coloni in Africa a cercare lavoro e fortuna, poi a raccogliere feriti nel Mediterraneo nelle vesti di crocerossina, ed infine a riportare in Patria 350.000 profughi, ESODO GIULIANO-DAMATA per cui si é meritato il seguente riconoscimento:

 

Le missioni di pace e di speranza del TOSCANA si concluse, come abbiamo visto, con i viaggi degli emigranti triestini diretti a Fremantle-Perth, Australia.

Questo articolo lo abbiamo dedicato soprattutto a questo PIROSCAFO che, a distanza di molti decenni, dopo la decantazione naturale di errori infarciti di odio e stragi tra i Paesi belligeranti, ancora oggi ci riempie il cuore di stupore e di affetto per aver svolto un ruolo protettivo, direi MATERNO per migliaia e migliaia di militari e civili, anche non italiani, talvolta persino nemici.

Il TOSCANA, nell’arco della sua esistenza sui mari, fu davvero la nave della

 

“SPERANZA, della SALVEZZA e della RINASCITA”!

LA FIGURA DEL COMANDANTE

ERNANI ANTONIO ANDREATTA

S’INCROCIA CON LA VITA DEL TOSCANA

Nel frattempo sono proseguite le nostre ricerche sulla M/n TOSCANA e, con grande sorpresa, abbiamo scoperto che il Comandante Ernani Antonio Andreatta di Chiavari ha comandato la celebre nave per  un lungo periodo sia durante la guerra che nel dopoguerra.

E’ stato proprio il figlio, il noto Fondatore e Curatore del Museo Marinaro di Chiavari: Comandante Ernani Andreatta a sottoporci in visione l’estratto matricolare di suo padre del quale riportiamo alcune parti:


Capitano             Nave           Date IMBARCO     MESI   GIORNI  Qualifica

SBARCO

Se stesso         TOSCANA 14.2.39/9.3.39                   -        24        Com.te

Se stesso         TOSCANA 31.10.39/8.3.40                 4        09        Com.te

Se stesso         TOSCANA 20.8.49/8.8.50                 11        09        Com.te

Se stesso         TOSCANA 29.11.52/30.4.53              05       01        Com.te

 

A metà circa della pagina allegata si legge: Sbarcato a Napoli il 3.9.1946 rimpatriato dalla prigionia in Siam (Tainlandia), già imbarcato sulla M/n SUMATRA”…

(notare la data: ….fu rimpatriato quando la guerra era finita da un anno e mezzo!)

Gli ultimi imbarchi del Comandante Ernani Antonio Andreatta, da come si evince dall’estratto matricolare, li ha effettuati sulle moderne motonavi della Compagnia di Navig. Lloyd Triestino di cui si conservano i modelli nel Museo Marinaro di Chiavari.

Il Comandante Ernani Antonio Andreatta con i gradi di 1° Ufficiale

In questa stupenda immagine scattata nel 1926 sul ponte di Comando di una nave passeggeri del Lloyd Sabaudo, si vedono due personaggi della nostra Riviera di Levante: in primo piano, davanti al timoniere, il 1° Ufficiale chiavarese ERNANI ANDREATTA (Sr)un Commissario di bordo ed il celebre ANTONIO LENA Comandante del CONTE DI SAVOIA. Infine a destra tre passeggeri della 1a classe.

Carlo GATTI

Rapallo, 6 febbraio 2019


PITTORI DI MARINA-WILLEM VAN DE VELDE IL VECCHIO E IL GIOVANE

PITTORI DI MARINA

Eco del Golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL MARE

 

WILLEM VAN DE VELDE IL VECCHIO

E

WILLEM VAN DE VELDE IL GIOVANE

Dall’Olanda alla corte di Sua Maestà: i Willem van de Velde

Willem van de Velde padre (noto anche come “il vecchio” 1611-1693) e figlio (noto come “il giovane”, 1633-1707) sono senza ombra di dubbio i pittori di marina seicenteschi più completi e preparati.

Dopo la ben più numerosa “dinastia” marsigliese dei Roux, descritta in questa rubrica su “Il mare” dello scorso febbraio, ci avviciniamo oggi a un altro gruppo famigliare, numericamente più ristretto ma di grande importanza per la storia della pittura in generale e per quella di marina in particolare: i pittori olandesi (omonimi) Willem van de Velde padre e figlio che - nel contesto culturale e storico del XVII secolo - rivestono un’importanza fondamentale che trascende dai già eccellenti aspetti qualitativi della loro attività artistica.

Nativi di Leiden (Leida) in Olanda, Willem van de Velde padre (noto anche come “il vecchio”, 1611-1693) e figlio (noto anche come “il giovane”, 1633-1707) sono senza ombra di dubbio i pittori di marina seicenteschi più completi e preparati e tali da aver saputo “traghettare” questo specifico genere dalle ridondanze barocche verso un più moderno neoclassicismo, che raggiungerà la sua più completa maturità nella pittura di marina britannica del successivo secolo XVIII.

Willem van de Velde padre nacque in una famiglia di comandanti dello shipping mercantile olandese e, anzi, talune biografie riportano che in giovinezza praticò questa professione prima di dedicarsi alla pittura di marina come apprendista nello studio di Simon De Vlieger (1601-1653), artista di quel genere piuttosto rinomato all’epoca, soprattutto a Rotterdam. Analoga fu la scelta artistica del figlio che, anzi, dette avvio ad una fattiva collaborazione con l’Ammiragliato delle “Province Unite” divenendo, al pari del padre, pittore ufficiale della Flotta olandese.


Da sinistra: Willem van de Velde il vecchio (incisione di G. Sibelius, ca. 1689) e Willem van de Velde il giovane (olio su tela di Lodewijk van der Helst, ca, 1665-1670, Rijksmuseum, Amsterdam).

L’attività dei van de Velde si svolse quindi, in particolare ad Amsterdam, in abbinamento con quella della Marina dei Paesi Bassi all’epoca delle guerre anglo-olandesi: tre conflitti che - tra il 1652 e il 1674 - ebbero come protagoniste le sette “Provincie Unite” e la Gran Bretagna per motivi di preminenza marittima e commerciale sulle rotte dell’Europa settentrionale e dell’Oceano Atlantico. Nella fattispecie, Willem van de Velde padre fu presente alla “Battaglia dei quattro giorni” (giugno 1666) e alla “Battaglia di San Giacomo (o “dei due giorni”) del luglio successivo, scontri navali che videro contrapposte le flotte olandese e britannica con la prima vincitrice ai “quattro giorni” e la seconda ai “due giorni”. Ad entrambi gli scontri il pittore partecipò a bordo di una piccola unità a remi, prendendo appunti e realizzando schizzi che avrebbe poi utilizzato per la realizzazione di successive opere pittoriche.

Willem van de Velde il vecchio: “Studio del due ponti olandese De Zeven Provincien” (disegno a matita e inchiostro grigio, ca, 1665-1668, National Maritime Museum, Greenwich via Sotheby’s).

Nel 1672, con un repentino “cambio di campo” in parte dovuto anche al rischio di un attacco francese ai Paesi Bassi, subito dopo lo scoppio della terza guerra anglo-olandese i van de Velde trasferirono la propria attività in… Gran Bretagna, passando al servizio della corte inglese - anche in questo caso come pittori ufficiali di marina - al fine di celebrare, per l’innanzi, le glorie e le vittorie della Royal Navy. Gli attuali canoni etici potrebbero far considerare una mossa del genere un vero e proprio tradimento ma così non era nell’Europa dei secoli XVI e XVII, quando il concetto di “guerra totale” era ben lungi dall’essere acquisito e tra Stati belligeranti rimanevano sempre in essere rapporti artistici, culturali (e talvolta anche politici) che non interrompevano taluni interscambi economici e passaggi di personalità, anche di rilievo, da un Paese all’altro a discapito della nazionalità.

Willem van de Velde il vecchio: “Consiglio di guerra a bordo del De Zeven Provincien, 10 giugno 1666” (olio e inchiostro su tela, 1667, Rijksmuseum, Amsterdam). Da un’osservazione diretta dell’artista nell’imminenza della “Battaglia dei quattro giorni”, vinta dalla flotta olandese su quella britannica.

Willem van de Velde il vecchio: “La flotta olandese in navigazione”, opera probabilmente riferita alla spedizione navale olandese del 1667 verso la Medway e Sheerness. Alcuni lavori dei van de Welde sono esposti anche in musei italiani. Questo inchiostro su pergamena fu acquistato nel 1674 dal cardinale Leopoldo dei Medici e fa oggi parte delle collezioni di palazzo Pitti a Firenze.

Willem van de Velde il giovane: “Resa del tre ponti britannico Prince Royal alla Battaglia dei quattro giorni” (olio su tela, da un disegno a inchiostro su carta di Willem van de Velde il vecchio, ca. 1666-1667, Rijksmuseum, Amsterdam). Si noti, sulla destra, il Prince Royal con le vele “a collo” mentre alcune lance olandesi si avvicinano al suo lato sinistro. Le bandiere bianche dell’unità britannica non sono un’indicazione di resa, ma attestano l’appartenenza della nave al “White Squadron” della Royal Navy, all’epoca divisa in tre gruppi operativi (White, Red e Blue Squadron), contraddistinti per l’appunto da bandiere bianche, rosse e blu.


Willem van de Velde il giovane: “Uno yacht del Servizio di Stato olandese , con navi e chiatte mercantili in calma di vento” (olio su tela, ca. 1660, New York, Newhouse Galleries sino al 1991, ora collezione privata).


Willem van de Velde il giovane: “Il due ponti britannico HMS St. Andrew in navigazione” (olio su tela, 1673, National Maritime Museum, Greenwich). Dopo il passaggio al servizio della Corte inglese i van de Velde si dedicarono alla raffigurazione di unità della Royal Navy: il St. Andrew faceva parte, come indicato dalle bandiere a riva, del “Blue Squadron” della Marina britannica.


In alto - Willem van de Velde il giovane: “Navi olandesi in calma di vento” (olio su tela, 1665, Rijksmuseum, Amsterdam). In basso - Willem van de Velde il giovane: “L’HMS Royal Sovereign spara una cannonata di saluto in calma di vento”, 1701, Weston Park, collezione privata). Cambiano i tempi, i committenti e le Marine di riferimento ma lo stile resta il medesimo… Si notino i colori più vivi del quadro del 1701, indici di un rinnovato stile che influenzerà tutta la pittura di marina settecentesca in Gran Bretagna; il Royal Sovereign e lo “Yacht” in primo piano a sinistra hanno inferita sull’asta di poppa la bandiera del “Red Squadron” della Royal Navy.

I van de Velde furono attivissimi alla corte di Carlo II sino al 1688, quando la “Glorious Revolution” portò sul trono britannico Guglielmo III di Orange che - verosimilmente anche per le sue origini olandesi e senz’altro meno interessato all’arte e alla pittura di marina - privò i due pittori di alcuni privilegi. Cionondimeno, l’attività di Willem van de Velde padre e figlio proseguì senza particolari contraccolpi grazie alle loro eccellenti doti artistiche, sempre più apprezzate dalla committenza pubblica e da quella privata.

Mentre Willem padre si specializzò in grandi “cartoni” disegnati a penna con inchiostro scuro, Willem figlio sviluppò un vero e proprio talento nella realizzazione di olii su tela che, in parte, erano ispirati a precedenti disegni a penna del padre. Le opere di entrambi i pittori, al di là della loro indubbia valenza artistica, permettono di apprezzare nel dettaglio ogni aspetto delle navi dell’epoca, e consentono agli storici navali di acquisire preziose informazioni sull’allestimento, sulle manovre, sulla velatura, sull’armamento e su ogni altro dettaglio delle unità navali seicentesche che, a tutti gli effetti, possono essere considerate le antesignane dei celebri vascelli a due e a tre ponti del Settecento, l’”epoca d’oro” della marina velica sino all’era napoleonica.

Non stupisce quindi che, grazie al trasferimento a Londra dei Van de Velde (e del loro ricchissimo archivio di disegni, appunti e quadri) il maggior depositario di loro opere - più di ottocento! - sia il National Maritime Museum di Greenwich, anche se non pochi cartoni e quadri sono oggi conservati anche al Rijksmuseum di Amsterdam.

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 23 Gennaio 2019


 

 


UNA SERATA SUL RIMORCHIATORE "STORICO" PLÖN

UNA SERATA SUL RIMORCHIATORE STORICO

PLÖN


PLÖN - Burrasca di prora



Il Rimorchiatore PLÖN ormeggiato al  Muggiano di punta, poppa a terra. La barca da pesca di Renato é affiancata al rimorchiatore.

Renato Rozzi, Comandante (Cap.l.c.) vecchia conoscenza dei tempi dell'armatore Lolli Ghetti, dopo un po’ di anni di silenzio, ha convocato un gruppo di vecchi Amici per aggiornarli sulla sua “vita di bordo” a tutto campo!

Questo omone dal carattere mite e “nostalgico” per tante cose del passato, pur parlando poco, com’é nel suo carattere, è riuscito ad emozionarci con non poche sorprese.

La prima riguarda la sua famigliola: La dolcissima moglie Zoila, di Santo Domingo e due bellissimi ragazzi, Caterina e Mario. Insieme hanno accettato di vivere stabilmente a bordo del rimorchiatore tedesco PLÖN per condividere le stesse passioni per il MARE e per il lavoro sul mare.

Renato, tra le comodità che offre oggi la società e quelle che può offrire un rimorchiatore di 76 anni ci passa un bel mare di cose… Rifaresti questa tua scelta?


Motore IVECO da 650 CV.

- La vita é quella che ti scegli!  Dagli altri… tu sai a chi mi riferisco, non mi aspetto nulla. Quindi conto soltanto sulle mie braccia di pescatore e sull’amore della mia famiglia.

Ma per rispondere alla tua domanda vengo subito al sodo con un esempio che taglia la testa al toro. Mi sono venduto un appartamento per comprare il nuovo motore che ho installato sul rimorchiatore, un IVECO di quasi 700 CV. -

L’idea é molto originale, piena di suggestioni ed esprime tutto il tuo coraggio di essere in una sola persona: armatore, comandante e dipendente-lavoratore imbarcato H24.

- Per la verità tutto si svolge entro limiti ben precisi: in estate, a richiesta, faccio qualche viaggetto  portando soci e membri di importanti Associazioni verso mete rinomate della zona portuale e del golfo di Spezia. Negli intervalli, in pratica sempre, faccio il pescatore e modestamente anche il cuoco, ovviamente cucino pesci, ma le mie migliori performance le ottengo a bordo, nel mio ambiente naturale, con il mio pescato dedicato agli Amici, come stasera. Presto capirai a cosa mi riferisco! Ti premetto che senza l’aiuto di mia moglie, della sua mente organizzatrice e naturalmente dell’essere una cuoca provetta, non vi avrei invitati. -

 

Levami una curiosità: come ha fatto tua moglie ad adattarsi a questa vita per certi versi eroica?

 

Labaro dei Fratelli della Costa

- Certamente non viviamo su un Yacht di lusso, questo lo sappiamo entrambi, ma in questo modo abbiamo meno da pulire e nessuno da stipendiare… Mia moglie é nata sugli scogli di Santo Domingo ed é più ”marinaio” di me! -

 

Non ricordavo nulla della tua manualità da operaio specializzato. Oggi mi sento veramente sorpreso davanti alle cose che sai fare. Dove hai fatto pratica?

Notturno

- Come vedi ho avuto l’autorizzazione per ormeggiarmi qui di punta al Muggiano. Siamo all’interno di uno dei maggiori Cantieri navali del nostro Paese. Tutti mi conoscono ed io conosco tutti. In caso di necessità non mi mancano gli Amici. E’ vero! Appartengo alla sezione ”coperta”, ma le mie mani hanno imparato a fare di tutto, anche il macchinista, l’elettricista, l’idraulico il carpentiere, il nostromo ecc... Acquistai il PLÖN dieci anni fa a Savona, ed era la classica ”barca da lavoro” giornaliera. Per renderla adatta ai nostri scopi, ho dovuto attuare modifiche un po’ dappertutto: sotto coperta, nella zona di poppavia per ricavarne alloggi per la mia famiglia  e, naturalmente, per le nostre esigenze di lavoro. Nulla, comunque, che modificasse la fisionomia e la personalità eccezionale del PLÖN. -

La seconda sorpresa Renato ce la serve sul piatto d’argento della storia. Già! Si tratta dell’incredibile storia del PLÖN che ora andiamo a sintetizzare.

Renato, prima di addentrarci nei meandri del PLÖN, ti vorrei subito porre una domanda: nell’Ambiente degli Arditi Incursori del Varignano, di cui mio figlio John ha fatto parte, circola la voce che il PLÖN sia stato costruito con l’acciaio della Bismarck. Riporto quanto scritto su un sito:

 

"Alle tredici, sempre di domenica, siamo a bordo del rimorchiatore “PLÖN”, costruito nel 1939 con l’acciaio della corazzata Bismarck; lì troviamo un altro caro amico Renato Rozzi, insieme ad alcuni giovani ragazzi…..ecc…."

- Mi è stato riferito di questa possibile origine del PLÖN. So che sono state fatte ricerche presso l’Archivio Storico della Germania del Nord. Ma non ho nulla in mano per certificarne o meno la verità.-

 

Dal momento che l’affondamento della Bismarck è successivo al varo del PLÖN, penso piuttosto che l’accostamento storico delle due unità sia nato dal fatto che la prima era ritenuta “inaffondabile” dalla propaganda, mentre per la seconda è il tempo che continua a testimoniare la sua “inaffondabilità”.

Possiamo vedere la documentazione del PLÖN?

 

- La ricostruzione storica, da quando il rimorchiatore PLÖN fu varato, è scritta in queste due pagine che un amico tedesco mi ha inviate dalla Germania, sono scritte in tedesco e per fortuna anche in inglese.-


Stemma della città di Elmshorn

PLÖNFu costruito nel Cantiere S.W. Kremer nella città di Elmshorn (Schleswig-Holstein/Germania del Nord) come RIMORCHIATORE MILITARE denominato BODDEN.

 

Caratteristiche dell’unità al momento dell’entrata in servizio il 18.7.1940 presso la Marinehafenbauamt-Rügen:

 

Stazza lorda:…….101 tonn.

Lunghezza f.t.:…..22,02 mt

Larghezza:……………5,18 mt

Motore:…………….260 CV. (6 cilindri-4 tempi)

Velocità:…………….10 nodi

Equipaggio…………. 8 membri

 

Nel Volume 6° di GRÖNER:  (Die deutschen Kriegsschiffe 1815-1945)

a  pag.100, viene riportata una annotazione del periodo bellico in cui risulta che il PLÖN fu attivo sotto diversi Comandi operativi.

 

Nel 1941 fu trasferito presso la Hafenbaudirektion di Gotenhafen. (Polonia occupata - oggi città e porto polacco di Gdynia), dove rimase in servizio, per periodi alterni, fino alla resa della Germania agli Stati Uniti. In seguito l’unità rimase sotto la direzione del Porto di Brema fino al termine del conflitto.

 

31.1.1946 .....in charter presso la WSD di Kiel

16.8.1946..... in charter presso la Società Rimorchiatori URAG

23.2.1948 .....viene acquistato dalla DDG Hansa-Bremen

18.5.1948..... rinominato BOMBAY

20.10.1954... passa alla Guardia Costiera Tedesca (Bundesgrenzschutz) come pattugliatore di frontiera.

Maggio 1955.. Viene rinominato PLÖN

1.7.1956....... Passa alla Marina Militare Tedesca

19.8.1970..... L’unità viene radiata

8.7.1972...... PLÖN é venduto all’Olanda e rinominato PIRANHA

1975.............Viene venduto ad una Società di Savona.

1996............ Viene acquistato dal sig. Renato Rozzi di La Spezia.

 

 

 

 

Nota storica

Quanto segue è stato ripreso da un saggio che l’autore di questo articolo ha scritto sul sito di Mare Nostrum Rapallo il 2.8.2012, dopo aver effettuato un viaggio di studio nel Mar Baltico, e s’intitola:

Da BORNHOLM a PEENEMÜNDEMare Nostrum in giro per il BALTICO. (Sezione- Storia Navale).

Peenemünde dista soltanto 35 miglia nautiche da Rügen, circa due ore di traghetto da Bornholm e circa quattro ore da Gdynia, cioè l’intera zona che fu battuta dal PLÖN nel periodo bellico.

“Gli alleati, come si seppe in seguito, erano completamente allo scuro di ciò che accadeva nella vicina Peenemünde, (isola di Usedom nel Land del Maclemburgo-Pomerania anteriore che dista solo 115 km in linea d’aria da Bornholm), dove una sezione speciale di scienziati del Terzo Reich, guidata da Wernher von Braun, costruiva e sperimentava lanci di armi micidiali note con le sigle: V-1  e  V-2, ma anche aerei a reazione che superavano in velocità gli Hurricane e gli Spitfire inglesi di oltre 200 K/h e almeno altri 20 tipi di armi tra cui minisommergibili, giganteschi cannoni, fucili che sparavano dietro agli angoli delle case. Anche la bomba teleguidata PC-1.4400X (Fritz) che colpì la corazzata italiana Roma era stata progettata e testata a Peenemünde.


 

Regione del Mecklenburg-Pomerania. L’isola di Rügen a sinistra in alto, Peenemünde al centro.


Un esemplare di V-1 sulla rampa di lancio a Peenemünde


Un esemplare di V-2 sulla rampa di lancio a Peenemünde

Nei paraggi di questo sito segreto, si parla della vicina isola di Rügen dove si sarebbero sperimentati gli effetti della prima bomba atomica ‘sporca’ (sulla pelle di chi, non é ancora dato di sapere?) come sostiene lo storico berlinese Rainer Karlsch nel suo saggio Hitlers Bombe pubblicato nel marzo 2005.

Le informazioni destinate agli Alleati erano molto precise e dettagliate essendo ravvicinati gli avvistamenti di ordigni volanti che si proiettavano sempre più spesso sui cieli di Bornholm. A volte lo erano anche troppo: secondo alcune testimonianze, pare infatti che alcuni razzi fallirono la traiettoria e caddero sull’isola danese (più vicina alla Svezia che alla Danimarca). Sulla stessa Bornholm, i tedeschi costruirono speciali sistemi di antenne collegate alle sperimentazioni di Peenemünde che furono puntualmente sabotate da uomini della Resistenza locale. L’occupazione nazista durò ben cinque anni, una vera angoscia per questa minoranza di danesi staccata dalla madrepatria.

Il momento peggiore si verificò, tuttavia, negli ultimi giorni di guerra, quando l’Armata Rossa,  temendo che i tedeschi ritardassero la resa per consegnarsi ‘soltanto’ agli americani, attaccò l’isola dal cielo. Il 7 maggio 1945 L’aviazione di Stalin sganciò sull’isola un numero esagerato di bombe che danneggiarono gravemente le città, in particolare Rønne e Nexø. Nel capoluogo, furono completamente distrutte 250 case su 3400, 23 incendiate e 3000 più o meno danneggiate. A Nexø fu distrutto quasi tutto il centro cittadino ed il porto dove erano ammassate le difese militari tedesche. I morti si contarono a centinaia.

Ancora oggi, gli isolani di una certa età ricordano con grande rabbia la vigilia della liberazione da parte dei sovietici e provano a raccontarne l’orrore a tutti coloro che s’intrattengono sull’argomento.

Bornholm fu liberata dai Russi ma non fece mai parte dei Paesi che varcarono  la ‘cortina di ferro’ amministrata  dalla Unione Sovietica.

Renato, sembra addirittura incredibile che il tuo rimorchiatore PLÖN sia sopravvissuto ai massicci bombardamenti anglo-americani piovuti dal cielo proprio nell’area di massimo interesse per l’evoluzione strategica (missilistica ed atomica) che si stava sviluppando in quel momento.

 

- Ogni nave, come ogni persona, ha il proprio destino. Non conosco le ragioni ultraterrene che determinano questi meccanismi. Nessuno le conosce! Tuttavia ognuno di noi può farsene una ragione. Personalmente ritengo che il mio PLÖN, possa degnamente rappresentare, come essere vivente e ancora navigante, a 76 anni dal suo varo, la memoria di quei 55.000.000 che morirono per un ideale nella Seconda guerra mondiale. Il PLÖN é un Mausoleo Navigante che merita di essere conosciuto e rispettato come un anziano guerriero che da tempo ha abbassato le armi nel nome della pace e della convivenza pacifica.-

 

Renato, ti ringrazio insieme alla tua famiglia per l’accoglienza, per l’umanità del tuo pensiero e per averci fatto vivere un pezzo di storia del tuo PLÖN che non conoscevo.

 

Concludo questa piacevole conversazione presentando il menù con il quale Renato e Zoila ci hanno deliziato.

-       Frittelle di muscoli

-       Insalata di polpi e patate

-       Insalata di acciughe, peperoni, sedano e pomodori

-       Gamberoni alla piastra

-       Linguine con sugo di muscoli

-       Muscoli

-       Vino bianco locale

-       Caffé

-       Liquore di Santo Domingo MAMA UANA (miscela di Rum,  vino rosso, miele)

Ringrazio il Comandante Renato Rozzi e la sua famiglia per l’ospitalità a noi riservata a bordo del “mausoleo navigante” e per le sue sorprendenti scelte esistenziali che ci avvicinano, ancor più, a quello spirito marinaro che ormai alberga soltanto in pochi rari esemplari…

Ringrazio caldamente gli amici della Tavola Fratelli della Costa: il suo Luogotenente Rolando Spezia, Luciano Brighenti membro nazionale Commissione degli esperti, Marcello Bedogni dal 2007 al 2013 Gran Commodoro della Fratellanza, il caro amico Renzo Bagnasco che insieme ad altri Fratelli mi hanno “rimorchiato” sul “leggendario PLÖN”.

 

ALBUM FOTOGRAFICO



Sala Nautica

Ruota del timone


Salpancore





Renato, l’armatore-comandante tuttofare é in piedi a destra


Crest del PLÖN


 

Carlo GATTI

Rapallo, 17 settembre 2013

 

 


PITTORI DI MARINA-"CHARLES PEARS“-La nave da battaglia HMS Howe

PITTORI DI MARINA

Eco del Golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL MARE

CHARLES PEARS

“La nave da battaglia HMS Howe nel Canale di Suez, 1944

Charles Pears (1873-1958) è una figura emblematica nel campo della pittura di marina d’oltremanica a cavallo tra Ottocento e Novecento, avendo incarnato molte “anime” di questo particolare settore artistico in Gran Bretagna e risultando un attento testimone degli sviluppi tecnici, storici, marinareschi ed emozionali tanto nel settore della marina militare quanto in quello della marina mercantile.

Un poster di Charles Pears realizzato nei primi anni Trenta: intitolato “Gibraltar”, propagandava per l’Empire Marketing Board le linee delle Compagnie di navigazione britanniche per il trasporto passeggeri attive all’epoca.

Nativo dello Yorkshire, già nel 1890 era attivo come illustratore navale per la stampa periodica e, dopo il suo trasferimento a Londra nel 1904, differenziò le sue tecniche pittoriche e grafiche dagli acquerelli, agli olii e alle incisioni e fu autore, nel contempo, di alcuni testi di tecnica marinaresca e di navigazione da diporto. Ufficiale dei Royal Marines durante la Grande Guerra, entrò a far parte della Royal Society of Marine Artists e fu ufficialmente inserito nel novero dei “War Artists” britannici, operando in questo ruolo già tra il 1914 e il 1918 come pure all’epoca del secondo conflitto mondiale.

Al di là della già ricordata differenziazione delle tecniche utilizzate e della specializzazione nell’ambito della pittura di marina più strettamente intesa, l’opera di Charles Pears fu anche rivolta alla realizzazione di manifesti pubblicitari per compagnie di navigazione e ferroviarie. In particolare, tra il 1926 e il 1933 collaborò con l’Empire Marketing Board, un ente governativo che, in quegli anni, era preposto alla promozione turistica e commerciale di compagnie di navigazione e di altri soggetti economici del Regno Unito e dell’Impero. A questo periodo va anche fatta risalire una sua vasta produzione di advertisement per importanti società (P & O, White Star, Cunard) del trasporto passeggeri, attività che proseguì anche nel secondo dopoguerra.


Verso la fine della sua carriera Pears si ritirò in Cornovaglia, ma sino a dopo la metà degli anni Cinquanta continuò a dare vita ad una vasta produzione avente per soggetto ciò che maggiormente lo appassionava, ossia le navi militari e mercantili e l’ambiente marinaresco più largamente inteso, con tutte le sue opere sempre contraddistinte da una particolare ma efficace rappresentazione del mare nei suoi vari stati, delle onde e dell’ambiente oceanico.

L’olio su tela che qui presentiamo, oggi conservato al National Maritime Museum di Greenwich, è contraddistinto dalla firma “Chas Pears”, un’abbreviazione del nome proprio presente in moltissime opere di questo autore; l’opera raffigura la nave da battaglia HMS Howe, mimetizzata, nel 1944 (e fu verosimilmente realizzata in quell’anno) durante il passaggio del Canale di Suez. È possibile datare l’evento con una certa precisione, in quanto l’unità operò sempre nell’Atlantico e nel Mediterraneo sino a quando, tra il gennaio e l’aprile del 1944, fu sottoposta ad un ciclo di lavori di raddobbo nell’arsenale di Devonport al cui termine raggiunse Scapa Flow. L’Howe lasciò questa base nelle Isole Orcadi il 1° luglio 1944 diretta a Ceylon, con l’attraversamento del Mediterraneo, ed è quindi verosimile che il suo transito nel canale di Suez verso il Mar Rosso sia avvenuto tra il 10 e il 15 di quel mese.

Un’incisione di Charles Pears risalente al 1917 e raffigurante una nave trasporto truppe in Atlantico (National Gallery of Victoria, Melbourne)

La nave da battaglia Howe faceva parte della classe “King George V”, cinque unità (King George V, Anson, Duke of York, Prince of Wales e, per l’appunto, Howe) entrate in servizio tra il 1940 e il 1942; con un dislocamento a pieno carico superiore alle 45.000 tonnellate, erano armate con dieci cannoni da 356/45 su due torri quadruple e una binata. Il Prince of Wales, veterano dello scontro con la corazzata Bismarck durante il quale l’unità tedesca affondò l’incrociatore da battaglia Hood, andò a sua volta perduto (insieme all’incrociatore da battaglia Repulse) a dicembre 1941 nello stretto di Malacca, pochi giorni dopo l’inizio delle operazioni militari giapponesi che avrebbero portato alla caduta di Singapore. Le altre quattro unità furono attive nei più importanti settori operativi nel corso della seconda guerra mondiale e vennero tutte radiate nel 1957, quando ormai la nave da battaglia era stata soppiantata dalla portaerei nel ruolo di capital ship delle moderne flotte militari.


Una rara immagine, da una diapositiva a colori originale di fonte statunitense, raffigurante la nave da battaglia HMS King George V nel 1941

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile        

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 17 Gennaio 2019


PITTORI DI MARINA-EX VOTO A RAPALLO E NEL MEDITERRANEO

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DEL MARE

 

"EX-VOTO A RAPALLO E NEL

MEDITERRANEO"

 

In concomitanza con le celebrazioni in onore di N.S. di Montallegro, in programma all’inizio del prossimo mese di luglio, oggi l’attenzione di questa nostra rubrica non può non essere rivolta ai numerosi “ex-voto”, soprattutto di ambito marittimo e navale, conservati all’interno del celebre Santuario che sovrasta Rapallo.

Quella dell’”ex-voto” è una tradizione che affonda le sue radici nell’antichità. In ambito archeologico sono noti e documentati numerosi elementi riconducibili a questa categoria: già nell’era fenicio-punica, e poi in quelle ellenico-classica e romana non mancano esempi di statuette e monili offerti - anche allora “per grazia ricevuta” - ad una certa qual divinità, tradizione poi proseguita e accresciuta con l’avvento della cristianità dall’epoca medievale sino ai giorni nostri.

Il Santuario di Montallegro e la sua ricchissima galleria di “ex-voto” marinari rappresentano quindi il punto di partenza di un percorso che parte dal Tigullio e dal Golfo Ligure per poi “espandersi” non soltanto nel Mediterraneo ma anche negli Oceani e nei mari più esotici e lontani.

La costruzione del Santuario di Montallegro trae origine da motivazioni non soltanto devozionali che - all’epoca della Controriforma - portarono alla realizzazione di numerosi luoghi di culto, soprattutto nell’Europa meridionale e mediterranea. Tuttavia, questo particolare Santuario acquisì sin da subito una particolarissima e ulteriore valenza che ne fece l’ideale punto di riferimento morale e spirituale per tanti marinai di Rapallo impegnati sui mari del globo: prima sui “barchi” a vela, poi sui “vapori” ed oggi su unità moderne e tecnologicamente avanzate.

Da questa religiosità popolare e allo stesso tempo artistica è nata la grande quadreria di “ex-voto” marinari, che - a partire dai secoli passati - è stata arricchita nel tempo da opere che, tutte, accomunano il ringraziamento e l’affetto che tanti rapallesi hanno voluto testimoniare alla Madonna di Montallegro. Ciò ha portato alla creazione di autentiche opere d’arte che venivano commissionate ai più quotati pittori di marina in attività, soprattutto in ambito ottocentesco.

Angelo Arpe, Domenico Gavarrone e Antonio Luzzo, beneficiano oggi di una fama a livello nazionale e internazionale: del tutto meritata poiché le loro opere (comprese quelle esposte al Santuario di N.S. di Montallegro) si confrontano - in parecchi casi su un piano vincente - con quelle di accreditate scuole pittoriche, come il “circolo” francese della famiglia Roux (già approfondito in questa rubrica su “Il mare” dello scorso mese di marzo) ed anche con non pochi quadri a soggetto navale di noti artisti britannici dell’Ottocento e del primo Novecento.

Tuttavia, l’appassionato di cose di mare (come pure il semplice visitatore della quadreria di Montallegro) non potranno non rilevare come - tra i numerosi “ex-voto” del Santuario - ve ne siano alcuni che, ancorché diversi da quelli più “classici” per tipologia, stile pittorico e caratteristiche morfologiche, riconducono a importanti eventi della storia navale del nostro paese, dai primi anni dell’Unità d’Italia sino alla seconda guerra mondiale.

Infine, a Montallegro sono custoditi alcuni ex voto che si discostano dall’iconografia più “tradizionale” di questo settore (anche perché realizzati su base fotografica anziché pittorica) ma che, proprio perché riferiti a particolari e significativi eventi della storia navale del nostro paese, ci permettono non soltanto di rivisitare importanti vicende, affondamenti e battaglie in cui si trovarono coinvolte famose navi della Regia Marina, ma di evidenziare - una volta di più - la devozione e la riconoscenza di tanti rapallesi che su di esse furono imbarcati.

Altri “ex-voto” di non secondaria importanza sono costituiti da modelli di navi di ogni foggia e dimensione e dalle più disparate caratteristiche qualitative: molti santuari liguri conservano, spesso appesi al soffitto di navate e cappelle, modelli di galere e velieri di grandi dimensioni e di ottima fattura che - in aggiunta alla tradizionale valenza religiosa - sono anche importanti elementi documentali sulle tecniche costruttive, le alberature, le attrezzature e i dettagli di navi del passato.

Queste forme alternative di “ex-voto” sono diffuse non soltanto in Italia ma anche in tutte le nazioni rivierasche cristiane della costa settentrionale del Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia passando per l’Italia, la costa orientale dell’Adriatico e l’Isola di Malta: testimonianze non certo mute, anzi, ricche di significati religiosi, e talvolta personali ed addirittura allegorici, ma sempre denominatore comune di un “sentire” intimo e mai venuto a mancare che accomuna la gente di mare di ogni tempo e paese.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

1

Al Santuario di Montallegro a Rapallo è conservato questo ex-voto di Domenico Gavarrone risalente al 1849, donato all’istituzione religiosa “per grazia ricevuta” dal capitano Filippo Campodonico, raffigurante il brigantno Granduca Leopoldo che scampa al naufragio.

 

2

 

Santuario N.S. di Montallegro (Rapallo),

Battaglia di Lissa, 20 luglio 1866.

Piccolo acquerello su carta di donatore ignoto - probabilmente ricavato da una litografia contemporanea dell’evento - in cui il primo, sfortunato, scontro tra la Marina italiana e l’Imperial Regia Marina austro-ungarica è raffigurato secondo il gusto delle stampe popolari dell’epoca. Interessante la presenza, in basso a sinistra, dell’ “ariete corazzato” Affondatore, nave di bandiera dell’ammiraglio Persano durante la battaglia navale.

3

Santuario N.S. del Boschetto, Camogli-Genova

Un “ex-voto” particolare, dovuto all’abile mano dello ship painter genovese Giuseppe Roberto, attivo nel capoluogo ligure nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Questo quadro del piroscafo Antonio al traverso del promontorio di Portofino nacque - verosimilmente - come uno ship portrait tradizionale e la rappresentazione religiosa venne inserita in alto a sinistra solo in un secondo tempo, come ringraziamento “cumulativo” per dodici anni di servizio prestati a bordo della nave dal capitano P. Massa.

 

4

Santuario N.S. di Montallegro (Rapallo)

Affondamento del R. Ct. Antoniotto Usodimare, 8 giugno 1942

Questo disegno a china con fotografia, di donatore ignoto, ci riconduce ad un particolare, tragico, episodio della guerra navale nel Mediterraneo del giugno 1942, quando il cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare fu silurato e affondato per errore dal sommergibile Alagi, anch’esso italiano. Tra i sopravvissuti all’affondamento vi fu uno sconosciuto marinaio di Rapallo che volle testimoniare la sua riconoscenza con queste semplici parole: “Quando - – quando torno, sempre guardo al tuo monte con grande amore, o Madre Celeste”.

5

Santuario N.S. della Misericordia (Savona)

Modello di nave a palo (ossia con tre alberi a vele quadre ed uno più a poppa, con vele auriche) appeso nel cielo della navata sinistra del più importate santuario savonese, anch’esso ricco di “ex-voto” marinari.

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Un antico “ex-voto” francese (1741)

Conservato a La Rochelle, sulla costa dell’Atlantico, quindi in un ambiente etno-geografico che si discosta da quello tradizionale del Mar Mediterraneo. L’opera è di autore ignoto e, abbastanza curiosamente, in luogo della tradizionale icona della Madonna compare quella del Cristo. Con ogni probabilità, l’”ex-voto” è riferito ad un incidente occorso durante la manovra di una delle vele, dato che gli sguardi degli uomini dell’equipaggio sono rivolti verso l’alto.

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Nella chiesa parrocchiale di Zabbar (Isola di Malta) è conservato questo “ex-voto” tardo-seicentesco, commissionato ad un pittore locale dall’equipaggio di un vascello dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, attaccato da imbarcazioni ottomane e dal fuoco di postazioni di artiglieria costiera durante un raid sulle coste di un’isola dell’Egeo in mano ottomana.

 

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Santuario di Maria SS. della Libera (Rodi Garganico, Foggia)

Anche l’Italia meridionale è ricca di “ex-voto” nei numerosi santuari che popolano le coste tirreniche, ioniche, adriatiche e siciliane. Nel Santuario di Maria SS. della Libera è esposto questo “ex-voto” relativo allo scampato naufragio (27 gennaio 18590) dell’equipaggio di un piccolo “due alberi” da cabotaggio costiero, dalle linee prodiere e poppiere tipiche delle imbarcazioni da carico adriatiche.

9

Santuario di Maria SS. della Libera (Rodi Garganico, Foggia)

Ancora un “x-voto”, di gusto e realizzazione sicuramente “popolari”, per un altro scampato naufragio occorso il 17 febbraio 1875.

 

 

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile               

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 30 Gennaio 2019

 


PITTORI DI MARINA - LA DINASTIA MARSIGLIESE DEI ROUX

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

 

LA QUADRERIA DEL MARE

La “dinastia” marsigliese dei

ROUX

La famiglia francese, a partire dalla metà del secolo XVIII, si specializzò nella realizzazione di testi e tavole a soggetto idrografico e cartografico soprattutto grazie all’attività del capostipite Joseph Roux, fornitore della Marina francese e della Royal Navy britannica.

Ange-Joseph Antoine Roux (1725-1793) – La fregata britannica Camilla, Norfolk, Mariners’ Museum.

Nell’ambito artistico della pittura, e di quella di marina in particolare, non si riscontrano molti casi di “dinastie” famigliari ove più artisti si tramandano - di padre in figlio - i segreti di un’arte e, soprattutto, la passione per soggetti peculiari e comunque “difficili” quali sono, per l’appunto, le opere pittoriche riferite alle navi, alla loro storia e alle loro caratteristiche tecniche.

Un’eccezione è costituita dai pittori olandesi Willem van de Velde padre e figlio che, per tutto il Seicento, seppero imprimere alla pittura di marina (fiamminga prima e britannica poi) una nuova vitalità che influenzò questo specifico settore artistico per tutto il secolo successivo.

L’esempio “dinastico” quantitativamente (ma in non pochi casi anche qualitativamente) più rilevante è costituito dalla famiglia marsigliese Roux che, dalla metà del Settecento sin verso la fine dell’Ottocento, costituì non soltanto una scuola pittorica di rilevanza europea ma che - grazie ad alcuni dei suoi più importanti esponenti - seppe anche indicare alla pittura di marina una nuova via verso la modernità e nuove forme didascaliche e artistiche.

La famiglia Roux di Marsiglia, a partire dalla metà del secolo XVIII, si specializzò nella realizzazione di testi e tavole a soggetto idrografico e cartografico soprattutto grazie all’attività del capostipite Joseph Roux (1725-1793), fornitore tanto della Marina francese quanto della Royal Navy britannica. Il figlio Ange-Joseph Antoine (1765-1823) si dedicò invece alla pittura di marina dando vita al nuovo genere dello ship portrait, ossia la raffigurazione dettagliata e precisa di una nave a vela, spesso richiesta dal comandante o dall’armatore in un’epoca in cui la fotografia non aveva fatto ancora la sua comparsa nell’ambito mediatico e documentale nell’importante ruolo che oggi tutti le riconoscono.

Mathieu (detto Antoine) Roux (1799-1872) - Il brigantino a palo italiano Mortola (circa 1865), Norfolk, Mariners’ Museum.


Mathieu (detto Antoine) Roux (1799-1872) - Il brigantino francese Dauphin (1825), Norfolk, Mariners’ Museum.

Il figlio di Ange-Joseph Antoine (Mathieu, 1799-1872, che spesso firmava le sue opere “Antoine Roux” creando talvolta anche ai giorni nostri, taluni problemi nell’attribuzione della “paternità” di alcune specifiche tele), indirizzo anch’egli la sua attività artistica verso gli ship portraits. Parimenti, il fratello François Joseph Frédéric (1805-1870) già da adolescente si era evidenziato per il suo talento nel campo della pittura di marina, aprendo nel 1835 uno studio nella citta portuale di Le Havre dove diede vita a un fiorente commercio di opere a stampa a soggetto idrografico e di quadri di marina tanto di ambito militare quanto mercantile.

Un altro figlio di Ange-Joseph Antoine (François Geoffroi, 1811-1882) seppe infine infondere nuova linfa all’arte dello ship portrait realizzando non soltanto viste laterali dei soggetti ritratti (quale in effetti è la principale caratteristica di questo specifico genere), ma anche vedute prospettiche di navi a vela che si evidenziano per l’ottima resa artistica e, nel contempo per i dettagli - precisi e realistici - della velatura, delle manovre fisse e correnti, dello scafo e di numerosi altri elementi dell’allestimento. Non a caso, di François Geoffroi Roux fu detto che era “… un profondo conoscitore delle navi a vela del suo tempo, tanto dal punto di vista progettuale e costruttivo quanto da quello di un esperto marinaio”.

François Geoffroi Roux (1811-1882) - il brigantino a palo francese Parnasse (1841), Salem, Peabody Museum. Un nuovo modo di intendere lo ship portrait, con una vista prospettica e dinamica dell’unità raffigurata.

Non ultimo, va ricordato che l’arte dello ship portrait (sviluppata dai principali membri della famiglia Roux, suoi più autentici precursori) influenzò in misura considerevole due importanti pittori italiani particolarmente dediti all’attenta e precisa raffigurazione artistica di navi a vela ed anche ”vapori”, attivi attorno alla seconda metà dell’Ottocento: Domenico Gavarrone e Angelo Arpe dei quali non mancheremo, in qualche prossima puntata di questa serie, di descrivere alcune delle opere più note e artisticamente rilevanti.

Maurizio BRESCIA

Direttore del Mensile

Rivista fondata nel 1992 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 10 gennaio 2019