ANTONIO PARIS LENA, Comandante del Conte di Savoia
ANTONIO PARIS LENA
Riva Trigoso diede i natali al Comandante del
CONTE DI SAVOIA
Antonio Paris Lena, Comandante del Conte di Savoia
Primo Carnera col Comandante Paris Lena. Anni Quaranta – Dall’album di Edoardo Bo
Nel raccontare le imprese di navi importanti del passato, spesso ci chiediamo: perché la grande storia si occupa raramente degli uomini che le hanno comandate? Eppure quelle navi parlano il linguaggio di chi ha donato loro personalità, spirito marinaro, esperienza, fama e un’organizzazione così forte da riuscire ad essere UNICHE nel panorama internazionale.
Fateci caso, dal varo della nave al viaggio inaugurale, la pubblicità diffonde ampiamente i nomi degli architetti, ingegneri, pittori, scultori e arredatori che l’hanno impreziosita, ma poco o niente dei loro Capitani. Fanno eccezione le grandi tragedie navali, dalle quali le figure dei Comandanti ne escono quasi sempre a pezzi…
Tuttavia, dopo questa introduzione “controcorrente”, possiamo fare un paio di eccezioni estraendo dal cilindro della storia due figure di Comandanti che ancora oggi danno lustro alla marineria del levante ligure. Ricordiamo, infatti, che nel suo immenso album di valenti Comandanti, ci sono due nomi che raggiunsero l’apice della notorietà sul palcoscenico dell’Oceano Atlantico: Francesco TARABOTTO, di Lerici, vincitore del NASTRO AZZURRO con il transatlantico REX, e Antonio Paris LENA di Riva Trigoso che fu per molti anni il Comandante del CONTE DI SAVOIA (Near sister del Rex). Del primo ce ne siamo occupati in altre occasioni ricordando che abitò a Rapallo in via Aschieri nel periodo della Seconda guerra mondiale.
Oggi ci occuperemo del suo rivale – il Comandante running mate Antonio Paris Lena.
Maurizio Eliseo, nel suo libro “REX “ ha scritto:
….. Le navi sfrecciarono a poco distanza, ad una velocità combinata di 100 Km/h, mentre le bandiere, i passeggeri e le sirene si scambiavano i saluti. Probabilmente anche il comandante del Conte di Savoia, Antonio Lena, fece un cenno di saluto a Tarabotto, sperando avesse gradito la foto con dedica che gli aveva mandato da poco: i due comandanti non avevano tempo per frequentarsi e in genere erano sulle sponde opposte dell’oceano, ma la stima reciproca ed un carattere completamente agli antipodi, avevano fatto nascere tra loro una sincera amicizia.
Antonio Lena (1877-1943) nacque a Riva Trigoso e si diplomò al Nautico di Camogli. Fu considerato il più brillante Comandante dell’epoca: parlava cinque lingue, amava conversare di letteratura, cinema, poesia e musica con i suoi prestigiosi passeggeri ed aveva un carattere molto cordiale ed una personalità affascinante. Per queste speciali caratteristiche fu definito: “agli antipodi” del suo competitor Tarabotto. I due avevano anche una visione politica molto diversa. Il vincitore del Nastro Azzurro riteneva di avere un Comandante supremo da cui ricevere gli ordini: Mussolini. Al contrario, Antonio Lena non forzò mai i motori oltre il massimo consentito per non rovinare la nave e neppure lo stomaco dei passeggeri paganti. Sfiorò per pochi decimi la conquista del Nastro Azzurro che, evidentemente, non rientrava nei suoi orizzonti di gloria.
Ma per farci un’idea più precisa della personalità Di Antonio P.Lena, prendiamo a prestito una annotazione di Ulderico Munzi tratta dal suo libro: Il Romanzo del Rex.
Quando gli avevano dato l’ordine di battere il record (Nastro Azzurro) del transatlantico tedesco EUROPA, che resisteva dal marzo del 1930, il comandante Antonio Lena aveva detto semplicemente: “Ci proverò”. “Il duce ci tiene”, aveva esortato il ministro Costanzo Ciano. “Ha un debole per il Conte di Savoia”… “Le prometto che farò tutto il possibile”, aveva ribadito il comandante rispondendo con un saluto militare alla mano alzata nel saluto fascista del ministro. Antonio Lena non amava Francesco Tarabotto. In pubblico si salutavano, si scambiavano battute, erano impeccabili. Ma si detestavano. Erano due caratteri e due fisici opposti. Magro, di media statura, il volto affilato e i capelli radi, Lena pareva un nobiluomo in vacanza anche quand’era in plancia. Il suo alloggio traboccava di libri e giornali. Recitava i brani di Shakespeare e di Dante. Parlava l’Inglese senza alcun accento ed era molto amato dalle donne, soprattutto per la sua conversazione. Era un comandante di stile diverso, un gentleman dell’Oceano, come lo aveva definito la miliardaria Doris Duke. Francesco Tarabotto era in tutto e per tutto un marinaio. Lena poteva anche abitare in un castello della campagna inglese. Tarabotto, se restava a terra più di quindici giorni, cominciava a morire spiritualmente. In sostanza, questa era la differenza fra i due uomini”.
Avrete sicuramente capito che le versioni sulla amicizia tra i due Comandanti non combaciano… Purtroppo, come dicevo all’inizio, anche di questi due “giganti” è stato scritto troppo poco!
Il CONTE DI SAVOIA era raffinato come il suo comandante. Era un liner molto veloce, forse più veloce del suo rivale, aveva al suo interno un’atmosfera di modernità ed eleganza che andava oltre la tradizione classica del REX. Ma le grandi imprese non erano nel suo destino.
Antonio Lena, proprio come un inglese, amava le sfide e le scommesse, ma aveva anche un grande rispetto per le persone, quindi per i passeggeri. Per la sua mentalità era giusto mettercela tutta per conquistare il Nastro Azzurro, ma non per obbedire ad un ordine di Mussolini. Lo tentò per un senso di sportività che non gli mancava di certo, lo fece sfiorando il successo in virtù di quel traguardo che avrebbe esaltato semmai la Marineria Italiana, che nulla aveva di politicamente rilevante.
Il REX invece possedeva la grinta di Francesco Tarabotto che aveva motivazioni più aderenti all’ideologia ed alla propaganda del regime.
Antonio Paris Lena aveva un atteggiamento nobile perché discendeva da una facoltosa famiglia che aveva interessi commerciali ed armatoriali in tutto il mondo, ma dentro era un grande marinaio che si era formato sui leudi e poi sui brigantini oceanici della famiglia. Apparteneva a quella scuola che insegnava ad essere umili e rispettosi dinnanzi al dio-mare che impartisce lezioni e non ama le sfide.
La Seconda guerra mondiale blocca o disperde molte delle nostre navi. Antonio Paris Lena si ritira nella sua cittadina con l’angoscia nel cuore per la fine di tanti sogni. All’indomani dell’8 settembre muore a Sestri Levante travolto da un mezzo tedesco. Un membro d’acquisto della famiglia, l’avvocato Terzi, sarzanese, socialista, viene deportato e muore in Germania.
Nel destino del Comandante A.P.Lena era scritto che doveva morire pochi giorni prima della sua nave.
L’11 settembre 1943 la più bella unità italiana fu ridotta ad un ammasso di lamiere fumanti, sotto i bombardamenti di una squadriglia d’aerei tedeschi. I tedeschi incendiarono il CONTE DI SAVOIA per impedirne la fuga e la consegna agli alleati. La nave bruciò completamente e affondò nella rada. Il 6 ottobre 1945 il relitto fu recuperato, ma per una serie di motivi tecnici e soprattutto economici, la decisione fu quella di demolirla nel 1950.
Nessuno dei discendenti Lena intraprenderà più la carriera del comando marittimo dopo i fratelli Antonio Paris e Paolo Erasmo. Per la famiglia la guerra segna uno spartiacque non privo di risvolti tragici anche se l’attività prosegue, malgrado tutto, con successo. Il conflitto interrompe bruscamente i rapporti con l’America che le avevano dato nome, fama e prestigio, consolidando in maniera definitiva il suo rango di grande famiglia sestrese.
CARLO GATTI
Rapallo, 30 dicembre 2016
Il veliero FORTUNATA FIGARI rimorchia il vapore CONJEE
UNA IMPRESA ECCEZIONALE
La “Nave” FORTUNATA FIGARI
al comando del Capitano camogliese Rocco Schiaffino, ha preso a rimorchio e portato in salvo il Piroscafo da passeggeri CONJEE in avaria, contro il quale è entrato in collisione.
Lo Stretto di Bass tra l'Australia e la Tasmania.
Tutti conoscono, per sentito dire, le famose tempeste di Capo Horn che inghiottivano due velieri su cinque tra quanti osavano sfidarlo.
Pochi, invece, hanno sentito parlare dello Stretto di Bass, che è il tratto di mare che separa la costa meridionale dell’Australia dall’isola della Tasmania. Tutte le insidie che solitamente minacciano le rotte dei naviganti, si trovano concentrate e ben distribuite in quel braccio di mare: rocce semisommerse, bassi fondali, isole deserte, coste impervie, correnti forti, nebbie, venti fortissimi e variabili che giungono direttamente dall’Antartide.
Questa “Scilla e Cariddi” australiana cade in mezzo ai terribili “40 Ruggenti”. Questa denominazione, che risale all’epopea della vela, sta ad indicare le zone intorno ai 40° di latitudine Sud, ove si succedono in continuazione importanti perturbazioni accompagnate da venti tempestosi. Quattrocento sono le navi, fin qui annoverate, tra le vittime sacrificali della terribile natura di quel braccio di mare, tuttavia, la collisione che desideriamo raccontarvi è passata alla storia per il suo atipico ed eccezionale epilogo. Il drammatico episodio non rientrò, per fortuna, nelle “normali” statistiche dei naufragi di quella zona tremenda, sebbene le due navi protagoniste della collisione ne uscissero a pezzi da quella collisione e purtroppo si contarono anche due vittime. “Il Cooje, della Huddard Parker Co. salpò alla vigilia di Natale del 1903, per la sua ennesima traversata dello Stretto di Bass, proveniente da Victoria (Tasmania) ed era diretto a Merlbourne.
Il Piroscafo passò Low Hoad alle 19.15 con una notte chiara, buona visibilità e mare calmo. Purtroppo, il giorno di Natale, verso le 2 di notte, il Cooje incontrò dei banchi di foschia che poi s’infittirono formando una densa coltre di nebbia. Il Capitano Carrington, che aveva una notevole esperienza di simili condizioni meteo, decise di ridurre la velocità e di azionare ad intervalli regolari i segnali acustici per nebbia. Vi fu nuovamente un peggioramento della visibilità e, intorno alle 3,45, apparve sulla dritta la sagoma di un vascello fantasma ...
Si trattava del Veliero camogliese Fortunata Figari, al comando del Capitano Rocco Schiaffino di Camogli, che avanzava inesorabile, come un cavaliere medievale, “lancia in resta”, col suo lungo e micidiale bompresso metallico. Il Capitano Carrington ordinò immediatamente di fermare le macchine e di mettere il timone tutto a dritta, ma fu troppo tardi e tutto inutile. Le due navi si scontrarono con un frastuono straziante. L’albero di fiocco della Fortunata Figari penetrò e demolì la maggior parte delle sovrastrutture e dopo aver abbattuto il Ponte di Comando, distrusse le scialuppe, l’albero ed il fumaiolo del piroscafo Cooje.
Il più celebre e lussuoso postale australiano dell’epoca, in pochi attimi fu devastato e ridotto ad una massa di metalli contorti. Un giornale locale scrisse: “Il Coojee sembra più una chiatta che trasporta rottami che un piroscafo postale”. Il capitano morì sul suo ponte di comando. Un marinaio, rimasto imprigionato sotto le lamiere contorte, morì dissanguato ed il suo corpo fu recuperato dieci ore dopo la collisione. In quei momenti di panico non si riscontrarono vittime tra i 160 passeggeri. Alcuni di loro furono presi dal terrore che la nave stesse per affondare, ed il caos aumentò con il sibilo del vapore dei tubi rotti nella collisione. Molti passeggeri si arrampicarono sulla Fortunata Figari che nel frattempo si era affiancata al Coojee. Le avarie subite dal veliero camogliese furono tutt’altro che superficiali: la prua e l’ancora del piroscafo australiano avevano, infatti, causato una falla lunga tre metri ed alta uno, sul dritto di prora, all’altezza della linea di galleggiamento, ma nonostante la quantità d’acqua imbarcata, le paratie stagne avevano evitato ulteriori danni e soprattutto l’affondamento. Gio Bono Ferrari, nel resoconto dell’episodio pubblicato sul libro “La Città dei Mille Bianchi Velieri” racconta: “Capitan Schiaffino, il comandante della Fortunata Figari, non volle abbandonare al suo destino quelle 160 persone. Sebbene la sua nave fosse gravemente danneggiata, il camogliese tentò nobilmente il salvataggio e fatto calare un grosso cavo verso il vapore ormai sbandato, lo prese a rimorchio e lentamente proseguì la difficile e pericolosa navigazione.
La navigazione proseguì per vari giorni fra difficoltà; ma a tutto, rimediò la tenacia del Capitano e del suo equipaggio composto da camogliesi.
E così, un buon mattino, la vedetta del porto di Melbourne vide avanzarsi verso il porto un grande veliero battente bandiera italiana, con a rimorchio un più grosso vapore tutto sbandato e pullulante di passeggeri. Caso forse unico nella storia marinaresca: quello di un Barco che salva un Vapore.
La Camera di Commercio australiana votò la Cittadinanza Onoraria al valoroso Capitan Schiaffino e il Governo inglese lo condecorò della “Medaglia d’Argento al Valore.” L’Armatore del Coojee non volle accettare il compenso dovuto al salvatore e preferì ricorrere alla Corte dei Lloyd’s, la quale stabilì che il Capitano Carrington era colpevole per non aver ridotto a sufficienza la velocità in quelle condizioni di scarsa visibilità. Il Comandante Rocco Schiaffino fu completamente scagionato. “Dovreste essere nato in Inghilterra”, disse il Presidente della Corte al Capitano camogliese e crediamo che una lode di questo tipo non sia stata mai proferita da un giudice inglese.
La “Nave” FORTUNATA FIGARI al comando del Capitano camogliese Rocco Schiaffino, ha preso a rimorchio e portato in salvo il Piroscafo da passeggeri CONJEE in avaria, contro il quale è entrato in collisione.
Le guerre, solitamente, chiudono epoche che la gente vuole dimenticare; altri cicli si aprono e si riparte da zero. L’intera storia della gente di mare, al contrario, parte da lontano e avvolge a spirale tutti i suoi marinai, con un velo purissimo che si chiama solidarietà.
In questo senso siamo convinti che il mare, nonostante le sue continue “intemperanze”…sia pur sempre il più grande maestro di civiltà.
Carlo GATTI
Rapallo, 20.06.11
Si ringrazia Emilio Gandolfo per averci dato in visione materiale recuperato dal camoglino Vincenzo Merlo, residente in Tasmania, e che ci è servito per integrare la storia della collisione pervenutaci, a suo tempo, dagli scritti di Giò Bono Ferrari.
NAZARIO SAURO: STORIA DI UN MARINAIO
PRESENTAZIONE LIBRO
NAZARIO SAURO: STORIA DI UN MARINAIO
Lunedi 7 Novembre 2016 all'Auditorium San Francesco di Chiavari si è svolta la conferenza per la presentazione del libro NAZARIO SAURO - STORIA DI UN MARINAIO tenuta dal nipote dell’eroe, il Contrammiraglio Romano Sauro. L'evento è stato presentato dal Presidente della Lega Navale di Chiavari Umberto Verna in collaborazione con il Com.te Ernani Andreatta a nome del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta. Presenti all'EVENTO numerose Autorità, Associazioni cittadine e del comprensorio. Ottima lezione per le Amministrazioni extra chiavaresi che ignorano sistematicamente ogni sforzo di chi s’impegna per ricordare ed esaltare i valori culturali e storici della nostra Nazione.
Hanno partecipato all'evento: il Comandante della Scuola Telecomunicazioni FF. AA. Giuseppe Cannatà, una delegazione del Comune di Chiavari col Vicesindaco Sandro Garibaldi, il Dott. Maurizio Barsotti e il Dott. Nicola Orecchia.
L'Associazione Mare Nostrum Rapallo, era rappresentata dal suo Presidente Com.te Carlo Gatti e da una decina dei suoi soci. Presenti anche Membri dei Marinai d'Italia della sezione di Rapallo con il loro presidente Sergio Bernardini che ha donato un artistico crest al Contrammiraglio Romano Sauro.
Presenti anche i Marinai d'Italia della sezione di Santa Margherita ligure con il Presidente Luciano Cattaruzza.
L’occasione dell'evento era il centenario della morte dell’EROE ITALIANO avvenuta per impiccagione quale traditore dell’Impero Austriaco.
L’Austria applicava già a quell’epoca la legge IUS SOLI in virtù della quale, anche i cittadini delle terre occupate (in questo caso l’ISTRIA) erano austriaci.
Nel corso della conferenza abbiamo scoperto, con una certa meraviglia, che la maggioranza degli italiani, tuttora, credono che Nazario Sauro sia stato un uomo di terra, cioè dell’Esercito. Chi ha navigato per fortuna sa quanto siano MARINAI gli istriani, e lo siano stati per secoli nell’area politico-militare di Venezia.
Il nostro eroe, prima Comandante di navi mercantili e poi Tenente di Vascello durante la Grande Guerra, nell’occasione della sua cattura, era imbarcato sul sommergibile italiano Giacinto PULLINO come esperto di navigazione, quindi Pilota pratico in quei mari insidiosi.
Il sommergibile era in missione in acque nemiche e finì incagliato su una scogliera non segnalata da luci, fari, fanali, boe e fu catturato dagli austriaci. Non era epoca di Radar, Loran, Decca , JPS ecc… per cui la notte era ceca veramente. Toccò proprio a lui pagarne in modo tragico le infauste conseguenze, per essere stato colto in fragrante al servizio degli italiani in guerra contro l’Austria.
Il dinamico Contrammiraglio Romano Sauro (che ha camminato per oltre un'ora da una parte all’altra della scena sotto il palco dell'Auditorium), sta compiendo in barca a vela il giro di 100 porti italiani (100 come gli anni del giubileo della morte). La MISSIONE si concluderà in questo periodo nel 2018 a Venezia, dove riposano le spoglie dell’eroe.
In tutte le soste programmate, il Contrammiraglio s’impegna nella presentazione del libro da lui scritto con la partecipazione del figlio Francesco. Ha inoltre precisato che il ricavato delle vendite andrà a favore dell’ente Peter Pan di ricerca che studia le diagnosi e le terapie per i bambini affetti da cancro. L’importanza di questo libro, sta nelle fonti documentali della famiglia e delle numerose testimonianze e racconti orali trasmessi da una generazione all’altra come preziosa eredità, oggi “patrimonio nazionale”.
Verso la fine della conferenza, il Comandante Ernani Andreatta ha emozionato il Contrammiraglio Romano Sauro con un’autentica “sorpresa”. E’ stato infatti tolto il velo da un reperto del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari:
ed è apparso un frammento metallico del sommergibile Giacinto Pullino sul quale era imbarcato l’eroe Nazario Sauro al momento della sua cattura da parte degli Austro-Ungarici.
E’ doveroso precisare che si tratta dell'unico frammento ancora esistente dello scafo del sommergibile Giacinto Pullino.
La conferenza si è poi conclusa con un aperitivo nel “Salone Mastro Checco” dell'antica Casa Gotuzzo in Piazza Gagliardo, con scambio di doni e gagliardetti. La manifestazione si é conclusa con un'ottima cena nel ristorante della celebre piazza dove cinquanta commensali hanno rievocato una gloriosa pagina della nostra marineria. Il taglio della torta offerta dalla Lega Navale ha suggellato il magnifico EVENTO.
A CURA DI MARE NOSTRUM RAPALLO
Rapallo, 21 Novembre 2016
ALBUM FOTOGRAFICO
Una parte del pubblico dell'Auditorium S.Francesco di Chiavari
Il Contrammiraglio Romano Sauro durante la conferenza
Da sinistra Romano Sauro, al centro Giuseppe Cannatà a destra Ernani Andreatta.
La torta offerta dalla Lega Navale di Chiavari
Umberto Verna taglia la torta offerta dalla Lega Navale.
STORIE DI NAVI: T/N FLAVIA
STORIE DI NAVI
T/N FLAVIA
La T/N FLAVIA fu acquistata dalla Cunard nel 1961 da parte della "Cogedar" (acronimo di "COmpagnia GEnovese Di ARmamento"), Società di Navigazione che nulla aveva all'epoca a che fare con la "Giacomo Costa fu Andrea" ovvero "Linea "C", come era pubblicizzata commercialmente.
La nave, ex-"MEDIA" della Cunard, fu infatti acquistata dalla Cogedar per essere adibita al servizio di linea di classe turistica Europa-Australia in coppia con la M/N "AURELIA" (ex-HUASCARAN) in sostituzione della M/N FLAMINIA (ex-GENOVA) oramai del tutto obsoleta. La "FLAVIA" venne sostanzialmente adibita al trasporto di Emigranti tra il Nord Europa (Bremerhaven) e l'Australia via Suez, talora (ma non sempre) con uno scalo a Napoli, mentre il viaggio di ritorno era un viaggio lungo un itinerario denominato "turistico" che comprendeva la traversata del Pacifico con scali a Auckland (Nuova Zelanda) e Papeete (Polinesia Francese), il passaggio del canale di Panama (scalo a Balboa), uno scalo a Curaçao (Antille Olandesi) per ritornare a Bremerhaven via Southampton e Rotterdam. Mentre il viaggio di andata era frequentato essenzialmente da emigranti che abbandonavano definitivamente l'Europa, quello di ritorno era frequentato da emigrati residenti in Australia e anche nelle Antille che tornavano in Europa in viaggi turistici, soprattutto verso la Gran Bretagna, ma mediamente senza ristabilirvisi.
La nave rimase su questo servizio, che a tutti gli effetti era un servizio di linea e non di crociera, fino alla chiusura del Canale di Suez nel 1967 quando le due navi, FLAVIA e AURELIA, furono fatte passare per Città del Capo. Ad un servizio del tutto analogo e con vicende del tutto analoghe erano adibite le navi della SITMAR (FAIRSEA, CASTEL FELICE e FAIRSKY, cui nel 1964 si aggiunse la FAIRSTAR (ex-OXFORDSHIRE).
I servizi della Cogedar, vuoi per cambiamenti nei contratti di trasporto degli emigranti, vuoi per la chiusura del Canale di Suez, furono sospesi nel 1968 e la FLAVIA, dopo l'ultima crociera in partenza dall' Australia, il 20 settembre 1968 lasciò Melbourne diretta in Europa.
Durante il suo viaggio di ritorno fu noleggiata alla "Atlantic Cruise Line" per crociere da Miami e verso la fine dell'anno venduta alla Costa cui la nave non era prima mai appartenuta. Con l'occasione gli equipaggi della Cogedar furono in parte trasferiti alla Costa e in parte alla SITMAR e da allora cominciò la nuova storia della "FLAVIA" sotto i colori dei Costa.
Dopo l'acquisto dalla Costa Armatori fu sottoposta a lavori di ristrutturazione e trasformazione presso le Officine A & R Navi di Genova e diventò una nave da crociera. Fu allungata di 7,92 m questo comportò l'aumento della stazza da 13.345 TSL a 15.465 TSL. Potè trasportare 1.320 passeggeri in classe turistica. La nave fu ribattezzata FLAVIA C e utilizzata per le crociere nel mondo. Nel 1982 fu venduta al Shipping Company di Hong Kong e rinominata FLAVIO per essere utilizzata come nave da crociera casinò, ma queste crociere erano impopolari e FLAVIO trascorse la maggior parte del tempo ormeggiata nel porto di Hong Kong. Nel 1986 fu rinominata LAVIA per la Lavia Shipping di Panama, il 7 gennaio 1989, durante alcuni lavori scoppiò un incendio che in breve si diffuse in tutta la nave, fortunatamente non vi furono morti. Furono impiegati quattro fireboats e oltre 250 vigili del fuoco per domare l'incendio ma LAVIA affondò a causa delle grandi quantità di acqua pompata a bordo nel tentativo di spegnere le fiamme. La nave fu rimessa a galla e rimorchiata a Taiwan, dove arrivò il 19 giugno. È stata demolita da Chi Shun Hia acciaio Co Ltd, Kaohsiung.
QUESTE INFORMAZIONI STORICHE SONO STATE AGGIORNATE GRAZIE ALLE RICERCHE DEL SIG.MARIO SANNINO.
A cura del Comandante Mario Terenzio PALOMBO
Fotografie a cura del webmaster Carlo GATTI
Rapallo, 19 ottobre 2016
LA GEOGRAFIA DEI MARINAI LIGURI NELL'ETA' DELLA GALEA
La geografia dei marinai liguri nell’età della galea
di Marcella Rossi Patrone
Genova Nervi, 26 agosto 2016.
Franz Hogenberg, acquaforte (in Civitates Orbis Terrarum di Georg Braun,1572)
I) La Geografia …
Nata in età greco-romana con l’obiettivo di rappresentare la Terra, la geografia è cresciuta descrivendo luoghi, producendo carte, esaminando il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, dividendosi infine nelle due grandi, articolate branche della geografia fisica e della geografia umana. Quest’ultima, che notoriamente si occupa degli aspetti economici, politici e culturali, è strettamente collegata alla storia, non solo studia come gli uomini si adattano e interagiscono in un ambiente, ma anche di come interpretano e vivono gli ambienti in cui si trovano ad operare.
Lo studio delle antiche rotte è quindi un affascinante filone di ricerca storico geografica, che garbatamente inoltra nelle fonti archeologiche, letterarie, iconografiche e archivistiche. Avvicinandosi al rapporto fra gli uomini e lo spazio marittimo, si aprono paesaggi, spuntano vicende e si muovono personaggi. Allora lo spazio marittimo diventa uno spazio umano fatto di prospettive, direzioni e distanze. Allora lo spazio marittimo diventa un’area di contatti e relazioni.
Gli studiosi hanno oramai dimostrato che nell’antichità le coste furono descritte seguendo le rotte marittime e le testimonianze dei naviganti, secondo lo spazio da loro percepito ed i percorsi da loro scelti.
Da sempre l’uomo ha desiderato conoscere il mondo, misurarlo e rappresentarlo nella sua totalità, esplorarlo e raccontarlo nei suoi particolari. Ben presto si capì che per produrre, commerciare, viaggiare e comunicare era necessaria la conoscenza geografica; questa divenne poi uno strumento al servizio della politica e della crescita economica. Nel considerare il rapporto tra potere e geografia basterà pensare come la denominazione mare nostrum si associò all’espansione romana nel mar Mediterraneo.
In età romana Ostia è centro commerciale e portuale
Comunque la geografia si intrecciò con la storia dell’uomo, anzi possiamo dire che l’uomo plasmò la geografia.
La necessità di riferimenti precisi, immediatamente riconoscibili, spinse poi a nominare i singoli luoghi con differenti inequivocabili appellativi. I primi luoghi ad essere nominati furono i monti elevati, i grandi corsi d'acqua, gli astri ed i tratti costieri capaci di imporsi alla vista. Costituirono quei toponimi che oggi tanto attirano l’attenzione e la fantasia dei geografi, perché evocano culture passate, manifestando non solo antiche reti di rapporti sociali e ambientali, ma anche gli atteggiamenti mentali che caratterizzarono questi rapporti. Nel caso nostro terremo conto quindi di documenti descrittivi e linguistici.
Kylix attica raffigurante nave commerciale e nave da guerra, VI secolo a.C. (Museo del Louvre).
La geografia mosse i primi passi col raccontare il mondo. Nell’Iliade e nell'Odissea Omero raccontò la geografia con precisi riferimenti e particolari illuminanti. Nei Canti Ciprii, il poema omerico sugli antefatti dell’Iliade, si narrò persino del madornale errore geografico dei guerrieri greci, che, partiti per saccheggiare Troia, sbagliarono rotta verso oriente sbarcando in Misia, dove combatterono ferocemente ma inutilmente.
Sicuramente nel secondo millennio a.C. i popoli affacciati sul Mediterraneo possedevano una rudimentale conoscenza geografica: la geografia come scienza nacque nell’ambito della Grecia classica. Gli studi geografici e cartografici dell’antichità classica, compresa l’intuizione della sfericità terrestre, furono riscoperti solo nel XV secolo, mentre in epoca alto medievale conoscenze, credenze e religiosità si mescolarono, per fornire comode nozioni d’orientamento a mercanti, pellegrini e viaggiatori.
Col disgregarsi del mondo classico la geografia aveva subito una sorta di arresto, era diventata un sapere fluido, capace di adattarsi a qualunque contenitore: da un lato si adattò alla cultura storica, letteraria e biblica, dall’altro si adattò alla tradizione degli spostamenti. Con l’espansione islamica, la rinascita carolingia e la ripresa economica dell’anno Mille le conoscenze geografiche rinnovarono un interesse, preparando la svolta delle grandi scoperte geografiche.
Riguardo a questo processo due considerazioni sono opportune: innanzi tutto il ruolo da protagonista del mar Mediterraneo, poi il contributo dei pellegrinaggi religiosi, delle repubbliche
Marinare e delle crociate.
A seconda dei punti di vista gli antichi popoli lo avevano chiamato il mare superiore, il mare grande, il nostro mare, per gli arabi fu il mare bianco, finché ci si accorse che era circondato da terre e divenne per tutti il mare interno.
Iniziò così ad essere chiamato mediterraneus, parola romana usata in verità per indicare un territorio senza sbocco al mere, esattamente l’opposto della parola maritimus. Già dal nome comprendiamo allora quanto il mare Mediterraneo sia stato il crocevia tra l’Europa, l’Asia e l’Africa e perché Fernand Braudel lo abbia definito un continente liquido, senza offendere alcun geografo.
A favorire la comunicazione, lo scambio di conoscenze geografiche el’affermarsi di rotte commerciali concorsero poii pellegrinaggi, la nascita delle repubbliche marinare e le crociate.
Madaba - Giordania,chiesa di S. Giorgio, particolare del mosaico pavimentale Mappa di Terrasanta (VI sec.)
La devozione e la penitenza permearono l’Europa medievale, che fu vitalizzata dalle vie terrestri, fluviali e marittime in direzione dei santuari cristiani di Gerusalemme, Roma e Santiago. Il movimento dei pellegrini favorì quello dei mercanti, che preferivano viaggiare con merci preziose e poco pesanti come le spezie e le sete.
Attorno all’anno Mille la popolazione europea cominciò a crescere rapidamente: da circa venticinque milioni, nel 1300 oltrepassò i settanta milioni. Aumentarono gli scambi, la varietà delle merci, la circolazione monetaria; crebbero i centri urbani e molti di essi si liberarono dai vincoli feudali trasformandosi in Comuni autonomi. In particolare, le città portuali di Amalfi, Gaeta, Venezia, Ragusa di Dalmazia, Ancona, Pisa, Genova e Noli arrivarono ad affermare la propria supremazia navale,a controllare i traffici nel Mediterraneo, a creare fondachi in Oriente. Fu proprio la posizione geografica ad agevolarle: difese da monti o da lagune, lontane dalle vie militari, si inserirono silenziosamente nei traffici mediterranei, tra bizantini e islamici. Le città stato di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia riuscirono anche a creare un'espansione territoriale oltremare.
Con lo sviluppo delle rotte commerciali le città marinare iniziarono così la propria storia economica e politica, organizzando delle flotte capaci di difendersi dagli attacchi pirateschi. Le rotte orientali furono definitivamente confermate dalla partecipazione alle Crociate, combattute in Terra Santa tra l'XI e il XIII secolo dagli eserciti cristiani europei contro gli eserciti islamici. Le crociate fecero seguito all’espansione dell’Islam, iniziata nel VII secolo con la conquista del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Asia Minore e di buona parte della Spagna, proseguita con la sottomissione della Sicilia, lo sbarco in Provenza, le incursioni in Liguria e in Piemonte. Nell’XI secolo l’Islam divenne una costante minaccia alle coste tirreniche, liguri e adriatiche.
L’espansione islamica
Come sappiamo, Amalfi fu la prima città marinara ad affermarsi, spingendosi a commerciare nei paesi africani e arabi, con basi d’appoggio fino in India. Venezia, rivolta all'Europa centrale ed all'Oriente, ottenne dall'Impero bizantino considerevoli privilegi nel Mediterraneo.
Pisa e Genova dapprima diressero i loro interessi nel Mediterraneo occidentale, sottraendo la Sardegna ai Saraceni, poi nel Mediterraneo orientale, fornendo un rilevante contributo alla prima crociata.
La prima crociata - 1096-1099
Sebbene la maggior parte dei crociati provenisse dalla Renania e dalla Normandia, la spedizione fu resa possibile dalle ricche città marinare italiane in grado di armare flotte attrezzate, che conoscevano bene le rotte e che finirono col reinventare la geografia del Mediterraneo.
Amalfi e Pisa decaddero di fronte alla potenza di Venezia e di Genova.
II) … dei marinai liguri …
A proposito di geografia ligure, Tiziano Mannoni scrisse:
La Liguria storica è una costa montagnosa di trecento chilometri circa, inserita fra due lunghi tratti di coste pianeggianti con foci di grandi fiumi … la sua parte centrale costituisce il tratto del Mediterraneo occidentale più vicino all’Europa continentale … si capisce perché lungo la costa ligure passasse la più importante rotta del Mediterraneo occidentale, quella che univa i porti tirrenici, e le rotte che per lo stretto di Messina proseguivano nel Mediterraneo orientale, a quelli della Francia e della Spagna, fino alla stretto di Gibilterra, dove incontrava l’altra rotta che seguiva invece le coste del Medio Oriente e del Nord Africa.
Da epoche antichissime nei territori liguri confluirono vie di comunicazione dirette ovunque e la realtà geografia fece i Liguri marinai.
Tra il Neolitico (9.000 - 4.500 a.C.) e l’Età del Ferro (1200- 750 a.C.) l’etnia ligure era presente nell’area continentale compresa tra l’Arno, l’Ebro e le Alpi, nelle isole tirreniche, in Sicilia e nel Lazio; tale diffusione mutò e si ridusse nel tempo, rendendo difficile la definizione di una Liguria preromana. Per i Romani i Liguri furono un insieme sfuggente di tribù montane e marine, capaci di destreggiarsi in ogni ambiente.
Verso la metà del I secolo a.C. lo storico Diodoro Siculo tramandò: Sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle circostanze della vita che comportano terribili difficoltà. Commerciando, infatti, navigano per il mare Sardo e per quello Libico affrontando prontamente pericoli dai quali non esiste difesa. Una cinquantina d’anni dopo il geografo greco Strabone scrisse: … occupano le terre vicine al mare e specialmente i monti. Hanno qui ricche foreste che forniscono legname per la costruzione delle navi.
Nel 14 d.C.Augusto sottomise definitivamente i Liguri, creando la IX regio Italiae: la Liguria. Allora le navi romane furono le protagoniste della storia. Allora lentamente e gradualmente crebbe la marineria ligure e crebbe la città portuale di Genova, prima all’ombra della dominazione romana, poi di quella bizantina, longobarda, carolingia, alla frontiera tra il mar Mediterraneo e l’Europa occidentale, dove si intrecciarono spostamenti religiosi, commerciali e bellici. Evidenziamo alcune tappe esemplari.
Ostia Antica, Foro delle Corporazioni, mosaico con navi e faro (tardo II sec d.C.).
Secondo l’editto sui prezzi di Diocleziano,nel 301Genova fu uno dei principali scali di mercato, con altri quali Roma, Aquileia, Alessandria d’Egitto, Efeso, Tessalonica, Bisanzio, Nicomedia, Trebisonda. L’articolato calmiere del tardo impero ha per noi un grande valore geografico, perché involontariamente delinea le rotte commerciali e fa comparire l’importanza di Genova.
Decaduto l’Impero romano, la Liguria marittima sopravvisse ai Goti e trasse notevoli vantaggi mercantili sotto i Bizantini, diventando Provincia Maritima Italorum. Neppure la violenta conquista del re longobardo Rotari(643) riuscì a sottrarla al mare. Nel 680il re dei Sassoni Cledoal navigò da Genova a Ostia per ricevere il Battesimo a Roma,un esempio presto seguito da re, nobili, chierici e popolani anglosassoni. Nel 711, quando il condottiero islamico Tāriq oltrepassò lo stretto di Gibilterra, da Tarragona il vescovo Prospero fuggì con le reliquie di San Fruttuoso per mare, sbarcando prima a Cagliari poi a Portofino.
Nel 725il re cattolico longobardo Liutprando riscattò dagli arabi insediati in Sardegna i resti di sant’Agostino, che navigarono da Cagliari a Genova per essere portati a Pavia.
All’epoca la navigazione ligure si svolgeva nel Mediterraneo occidentale, tra le coste ispano-francesi, le isole, l’Africa, e tale restò in epoca carolingia, quando fu introdotto il feudalesimo.
Nella geografia carolingia il territorio ligure venne denominato Litora maris ed ebbe un’amministrazione comitale, cui fu affidata la protezione delle coste e delle isole. Sappiamo che nell’806 un comes civitatis ianuensis di nome Ademaro morì in Corsica combattendo i Saraceni.
Carlo Magno aveva ereditato un territorio esposto alla pirateria, che alla fine del secolo si fece minacciosa per il covo di Frassinetum, nella baia di Saint-Tropez.In questo periodo le reliquie di San Romolo furono trasferite da Villa Matutiana, oggi Sanremo, a Genova.
Genova, che pure risultava una città murata e sicura, nel 934 subì l’assalto ed il saccheggio di una flotta araba;quest’unica aggressione suscitò l’immediata reazione degli abitanti ed una spedizione navale annientò il nemico. Quindi si decise di passare al contrattacco, in difesa della libertà civile e religiosa.
Ora possiamo con chiarezza individuare un decisivo momento di passaggio all’età comunale:il ruolo delle città costiere cresceva e si affermava l’economia mercantile, che grazie alla navigazione assunse ben presto portata internazionale.
Navigando dalle coste iberiche al mar Nero, passando per le coste africane e la Sicilia, nell’XI secolo i Liguri iniziarono a creare monopoli di grano, zucchero, pesce essiccato, corallo, allume, mastice, ad aprire fondachi, a fondare colonie commerciali. Incredibilmente, ma non troppo, le crociate, le azioni militari, le operazioni diplomatiche, le relazioni internazionali tessute con bizantini e islamici concorsero tutte insieme ad una politica estera che assicurasse rotte commerciali. Di conseguenza si rafforzò e si esportò il modello politico, economico e sociale cittadino, creando una geografia tutta ligure, in Liguria e fuori Liguria.
Il paesaggio ligure si divideva tra la coltura promiscua, il pascolo montano ed il bosco, fondamentale per la costruzione navale. Per la scarsità di proprie risorse lo sviluppo delle città costiere fu legato tanto ai collegamenti degli approdi con l’entroterra padano ed il Nord Europa, quanto all’attività di abili commercianti che navigassero per procurarsi merci da rivendere. Naturalmente maggiori erano la rarità della merce, la lunghezza del viaggio e la difficoltà del trasporto, maggiore era l’utile. Quando si sviluppò la società mercantile si prese la via del mare. Da levante a ponente, Lerici, La Spezia, Portovenere, Levanto, Sestri, Lavagna, Chiavari, Rapallo, Portofino, Recco ,Varazze, Celle, Savona, Vado, Noli, Finale, Loano, Albenga, Laigueglia, Cervo, Diano, Oneglia, Porto Maurizio, Sanremo e Ventimiglia furono le comunità rivierasche che prosperarono con Genova fin dalla prima crociata. La sovranità di Genova lungo il golfo si affermò nei secoli attraverso alterne e complicate vicende, favorita da concessioni di autonomia e sgravi fiscali, sfavorita dal monopolio per la vendita del sale e dall’imposizione dei caratti, ovvero i tributi sul commercio marittimo.
I liguri si sparsero poi nel mar Mediterranea e nel mar Nero. A ricchezza, emancipazione politica, espansione territoriale nel 1138 si era aggiunto il privilegio di batter moneta. Nel corso dei secoli XIII e XIV gli insediamenti mercantili di Genova divennero sorprendenti.
Proprio di fronte a Costantinopoli c’era Pera, in greco Galata, dove il numero delle contrattazioni era pari a quello di Genova; Caffa, in Crimea, era popolata da centomila commercianti di differenti etnie ed attorno ad essa gravitavano gli altri borghi con partecipazione genovese; Trebisonda era una preziosa base navale della costa turca affacciata sul mar Nero; floridi possedimenti erano a San Giovanni d’Acri in Palestina, a Focea in Asia Minore, a Famagosta di Cipro, sulle isole di Lesbo, di Chio, di Tabarca.
Chio in un dipinto anonimo del XVI secolo(Museo Navale di Pegli).
Le colonie agivano da tramite tra economie lontane e complementari, oppure valorizzavano le risorse locali. Dalle sponde della Crimea partivano per l’Occidente sete, spezie e schiavi, da Focea l’allume, dall’isola di Chio il mastice, dall’isola di Tabarca il corallo.
Senza sottomettere la popolazione, si prendevano accordi economici con le élite locali per avere una banchina riservata nel porto prescelto e poter popolare un quartiere cittadino dotandolo di botteghe e fondachi.
Istambul: la torre sulla sommità dell’antica cittadella genovese di Pera, o Galata.
Col complicarsi dei traffici navali e dei rapporti economici tra popoli diversi,assunsero un ruolo fondamentale i notai. Non era strano che si imbarcassero nelle spedizioni militari e commerciali per relazionarne lo svolgimento e redigere eventuali atti giuridici di efficacia esecutiva. La ricca documentazione del notariato genovese offre quindi un prezioso contributo nell’identificazione dei luoghi di scambio e delle imbarcazioni utilizzate, tratteggiando l’intenso movimento di risorse umane e commerciali che si legò alle navi genovesi.
La navigazione medievale necessitava di scali intermedi e lungo tutte le rotte commerciali sviluppò una serie di approdi ben conosciuti, un patrimonio di comuni punti di riferimento che costituì la geografia dei marinai liguri. I portolani, veri e propri manuali di navigazione, e le carte nautiche ne furono l’espressione multiforme.
Un grande geografo francese ha scritto che la nave scivola sull’acqua, i flutti divisi riprendono la propria forma ed il solco si cancella; la terra è più fedele e conserva la traccia dei cammini che per tempo gli uomini hanno calcato (Vidal de la Blache 1922); ma nel Medioevo, quando dominava la visione teologica del mondo, le descrizioni dei portolani e i disegni delle carte nautiche furono la prima razionalizzazione della superficie terrestre.
Le rotte mediterranee erano determinate dai venti e dall’uso della bussola. Grazie alla bussola ed all’esperienza dei marinai si produssero carte di una precisione incredibile, perché il mondo veniva rappresentato dal punto di vista del navigante ed i contorni terrestri venivano disegnati dai mari.
La documentazione presente oggi nei musei è di alto livello, perché alcune preziose carte portolaniche non furono mai usate in navigazione, ma conservate come un bene pregiato.
Osserviamo che i cartografi medievali non utilizzavano determinazioni astronomiche, gradi di latitudine o longitudine, meridiani e paralleli, ma nei loro disegni compariva un fitto reticolato di rette multicolori che si intersecavano: erano il prolungamento dei raggi della rosa dei venti, posta generalmente al centro di una porzione di mare. Su questa rete il cartografo ordinava sistematicamente direzioni e distanze sui dati della propria esperienza; con l’aiuto della bussola disegnava il contorno delle coste e posizionava i luoghi, senza tener molto conto della loro reale distanza.
Pietro Vesconte, cartografo genovese. Autoritratto (Atlas 1313,Bibliothèque Nationale de France a Parigi) e particolare della costa georgiana del Mar Nero (Carta nautica 1321, Zentralbibliothek di Zurigo).
La carta più antica che possediamo è la Carta Pisana, tracciata da un anonimo genovese nella seconda metà del XIII secolo, rinvenuta nei dintorni di Pisa ed oggi conservata al Départment descartes et plans della Biblioteca Nazionale di Parigi. Si tratta di una carta portolanica, che dettaglia le coste ed i porti del mar Mediterraneo, del mar Nero e dell’Europa Atlantica.
La Carta Pisana
Foto della Tabula del Mediterraneo
Al 1333 risale la Tabula del Mediterraneo firmata dal monaco genovese Giovanni di Mauro da Carignano, a lungo conservata nell’Archivio di Stato di Firenze e andata distrutta in un bombardamento del 1943. Alla prima metà del XIV secolo risalirebbe anche il cosiddetto atlante Tammar Luxoro, dal nome della famiglia genovese cui appartenne, composto da otto piccole tavole (Genova, Biblioteca Berio).
Atlante Tammar Luxoro
Sono solo alcune citazioni, ma esemplari come questi richiedono trattazioni specialistiche, sostenute da conoscenze cartografiche, nautiche, storiche, sociologiche e artistiche.
Le carte potevano avere diverse funzioni perché potevano essere degli strumenti d’orientamento, o di riconoscimento, o di sicurezza, o di pianificazione militare; inoltre nella redazione e nella lettura presupponevano saperi diversi, da quello dell’ammiraglio a quello del comandante, o del pilota, o del nostromo, o del nocchiero. Il marinaio analfabeta ricorreva invece alla cultura orale ed alle cosiddette carte mentali, come la litania della Bonna Parolla, il cosiddetto portolano sacro. Era una preghiera recitata in latino ed in genovese prima dell’imbarco ed in caso di pericolo, per chiedere il soccorso di Dio, della Madonna e dei santi patroni di alcuni luoghi, che si susseguivano formando un itinerario geografico del mondo medievale. Tra le funzioni, la Bonna Parolla univa la funzione religiosa di pregare per la salvezza della nave, degli uomini e delle merci, a quella geografica di memorizzare la successione dei luoghi. L’itinerario sacro iniziava in Egitto e toccava la Palestina, il Libano, la Siria, le isole di Cipro e di Rodi, la Crimea, la Turchia, il golfo di Tessalonica, le isole di Lesbo, di Chio e di Creta, il Peloponneso, le terre affacciate sul mar Adriatico, l’isola di Sicilia, le terre affacciate sul mar Tirreno, l’isola di Corsica, la Liguria, la Francia, la penisola Iberica, l’Inghilterra e le Fiandre. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentrava sulle colonie genovesi e chiaramente prestava grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi.
Cartina da: Valentina Ruzzin, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, 2013
Lo scorso autunno, il percorso documentario Tutti i Genovesi del Mondo, ovvero una mostra creata con le carte conservate nell'Archivio di Stato di Genova,ha testimoniato la presenza e l’attività dei Genovesi nei mercati di tutto il bacino del Mediterraneo, dell’Estremo Oriente, dell’Inghilterra, delle Fiandre e del Mar Nero.
Particolare della locandina
I Genovesi impararono presto a disegnare i loro mari. Secondo la cronaca dell’ottava crociata, redatta nel 1270dal monaco francese Guglielmo de Nangis, ad un certo punto della navigazione i genovesi srotolarono una carta nautica davanti allo sbigottito re francese Luigi IX, per convincerlo senza troppi discorsi che erano vicini a Cagliari.
Alla fin fine, la memoria, il portolano e la carta nautica fissavano le stesse rotte ed insieme andavano a costituire quella che chiamiamo la geografia dei marinai liguri. Ma chi erano in realtà questi marinai liguri? Sarebbe forse meglio parlare di uomini di mare, perché la terminologia attuale non è in grado di esporre i numerosi ruoli svolti da ciascun navigante. Prendiamo ad esempio Benedetto Zaccaria, che nel XIII secolo percorse tutte le coste del Mediterraneo: fu ammiraglio, pirata, commerciante, imprenditore, finanziere, diplomatico, politico, spia, signore di Focea e di Chio. Per noi fu sicuramente un esperto conoscitore della geografia marittima. Vero è che nel XIV secolo la marineria ligure era capace di percorrere grandi distanze ed era rappresentata da una solida, pragmatica e consapevole classe dirigente.
Vi si aggiunsero gli esploratori. Se nel 1291 i fratelli Vivaldi scomparvero nel tentativo di circumnavigare l’Africa, anni dopo Lanzarotto Malocello e Nicoloso da Recco trovarono le Isole Canarie, mentre Luca Tarigo raggiunse il mar Caspio partendo da Caffa sul mar Nero, attraverso il Mar d'Azov , risalendo il Don e discendendo il Volga. I Liguri frequentarono il mondo conosciuto e si spinsero oltre, usando due mezzi differenti e complementari quali la diplomazia e la galea. Quest’ultima issò il vessillo di San Giorgio dappertutto.
In progressione serrata dal Medioevo fino a tutto il XVII secolo,la galea fu l’icona dello spregiudicato sistema commerciale mediterraneo, dove si combatteva per conquistare una posizione privilegiata sul mare. Possiamo quindi pensare ad un’età della galea? Certo, poiché questa imbarcazione caratterizzò la storia marinara di un lungo periodo, prima di uscire lentamente dalla scena.
III) …nell’età della galea.
Cristoforo Grassi (Genova, Museo Galata)
Nell’Alto Medioevo dominarono le flotte orientali, prima quella bizantina e poi quella islamica, finché dopo il Mille comparve all’orizzonte la marineria ligure e crebbe in fretta. I commerci e le guerre non potevano rinunciare all'efficienza ed alla velocità della comunicazione marittima. Nel XII secolo, gli Annali del Caffaro e gli atti del notaio Giovanni Scriba citano la galea, la sottile imbarcazione a remi, e la navis, il veliero tondo da carico, insieme a navi di piccole dimensioni come il bucious e il golabis. La sostanziale differenza stava già tra la galea e la navis. Entrambe si evolsero nel tempo mantenendo queste caratteristiche: la prima era agile, veloce e indipendente dal vento, che poteva comunque sfruttare grazie alla presenza di alberi e vele; la seconda aveva maggior capacità di carico e maggiore opera viva, ma dipendeva dal vento ed era più lenta.
L’espansione mercantile innescò competizioni,conflitti navali, azioni di contrabbando e di pirateria, guerre di corsa senza esclusione di colpi. In questo scenario le galee vennero utilizzate sia a scopo militare che mercantile e ben presto si trasformarono in uno strumento di dominio navale tale da disegnare la geografia europea fino all’epoca delle grandi scoperte oceaniche. Si navigava a remi con disinvoltura, avendo ben chiaro dove ricoverarsi, nascondersi, riposare, fare rifornimento d’acqua, identificando parimenti i porti maggiori e gli scali minori.
Nel 1602, dopo che le grandi scoperte geografiche avevano sconvolto il mondo, Iacopo Vesconte Maggiolo, magister cartarum pro navigando della Repubblica di Genova, diede alle stampe una mirabile carta portolanica. Nel 2010 la Utet - De Agostini ha riedito quest’opera in tiratura limitata, per favorirne la conoscenza. Fu questa una grande carta nautica del Mediterraneo e del Nord Europa destinata a principi e potenti, una vera opera d’arte decorata in oro, dove a grandi caratteri svettava Genova, la capitale dei traffici e della finanza,città simbolo dell’epoca. La carta, posta su una pergamena poteva essere ruotata e letta da tutti i lati, poiché i toponimi erano scritti perpendicolari alla costa. In quei disegni, testimoni di vasta conoscenza geografica, si poteva e si può ancora leggere la grandiosa storia della Repubblica.
Iacopo Vesconte Maggiolo, carta portolanica del 1602
Iacopo Vesconte Maggiolo discendeva dalla famiglia di cartografi più importante d’Italia, una famiglia che aveva le sue origini in Rapallo, ai piedi della collina di Sant’Ambrogio.
Gli atti notarili provano che da un ramo Maggiolo di Rapallo nacque a Genova il Vesconte Maggiolo capostipite dei cartografi. Nella Storia letteraria della Liguria (1826) Giovanni Battista Spotorno a pag. 282 scrisse: Alle glorie di Ottaviano Fregoso, doge celebratissimo, non doveva mancare quella di promuovere i buoni studi e le arti migliori. E di fatto, giunto egli alla suprema dignità della sua patria nel 1513, chiamò in Genova alcuni eccellenti ingegni...Tal fu Vesconte Maggiolo, rinomato per la sua perizia nel delineare carte geografiche e mappe nautiche. Effettivamente il doge Ottaviano Fregoso aveva chiesto a Vesconte Maggiolo, che allora lavorava a Napoli, di ricoprire l'incarico di magister cartarum pro navigando con l'obbligo di risiedere nello Stato genovese. Nel 1529 il Senato gli aveva inoltre riconosciuto la facoltà di trasmettere il suo privilegio ai figli. Vesconte Maggiolo compose atlanti, planisferi e carte nautiche del Mediterraneo con due finalità: fornire strumenti di navigazione mediterranea alla marineria genovese ed aggiornare sui progressi delle conoscenze geografiche. Fu il primo ad inserire nelle carte nautiche una miniatura dell'orbe conosciuto.
Il figlio minore Iacopo ereditò in fine l’attività paterna, concentrandosi sulle carte nautiche del mar Mediterraneo, nelle quali apportò continui aggiornamenti, con abbondanza di illustrazioni.
Osservando la carta di Iacopo Vesconte Maggiolo sorge spontanea la nostra conclusione. Mentre i toponimi infittivano i portolani e le carte nautiche, i marinai liguri continuarono a navigare con sapienza e perizia nel Mediterraneo, spesso stabilendo e modificando le rotte per opportunità o necessità, magari allungando il percorso ed i tempi di sosta. Rimane indubbio che l’esistenza di Genova come Stato marittimo sarebbe impensabile senza la particolare geografia dei marinai liguri nell’età della galea.
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webmaster: Carlo Gatti
Rapallo, 29 Agosto 2016
MARINERIA NELLA ANTICA ROMA
MARINERIA NELLA ANTICA ROMA
Uno dei tanti misteri irrisolti riguardante Roma Imperiale è il capire come i romani riuscissero a costruire delle flotte di notevole consistenza in tempi incredibilmente celeri.
TRIREME
Replica di un CORVUS in primo piano
La più sorprendente flotta fu approntata nel 260 a.C. in 60 giorni dal taglio degli alberi: comprendeva 100 quinqueremi e 20 trireme che, mancando di esperienza, le copiarono dai Cartaginesi. Poi, nel 254 a.C. misero in acqua in soli tre mesi, 220 quinqueremi e durante la prima guerra Punica, costruirono ben 900 quinqueremi. Inesperti marinai, i romani specialisti sulla terra ferma, inventarono il “corvo”, passerella rostrata che agganciava il battello nemico trasformando l’arrembaggio in una battaglia “in piano”, famigliare ai legionari.
Nella seconda guerra contro Cartagine, iniziarono con 220 per passare, sotto l’impulso che diede Scipione, a 30 nuove poliremi utilizzate come scorta delle prime che erano destinate a portare tutto l’occorrente per sbarcare in Africa e distruggere Cartagine. Queste 30 le approntarono in 44 giorni dall’arrivo del legname in cantiere e, siamo nel 205 a.C.
Da lì in poi il Mediterraneo fu veramente < Mare nostrum>. Iniziando da Pompeo e sino ad Ottaviano Augusto (30-23 a.C.), Roma raggiunse e mantenne la completa egemonia sul mare.
Questa sorprendente potenzialità, và anche detto che molte navi erano realizzate con legname ancora fresco rivelandosi quindi di difficile governo, si pensa dipendesse dalle tecniche di assemblaggio di elementi prefabbricati ma questo non basta a spiegarne la rapidità di allestimento. Tutto fa pensare che contemporaneamente lavorassero più cantieri disseminati lungo il Tevere visto che tutte le flotte, nel III secolo, partivano o da Roma o da Ostia.
Modellino statico di una BIREME
Una bireme è un tipo di imbarcazione a vela e a remi, diffusa principalmente nell'età classica: si trattava di un'imbarcazione, prevalentemente destinata a usi militari, con la particolarità di avere una doppia fila di remi su ogni fiancata, da cui deriva il nome.
Le navi da guerra più usate furono: le BIREME, lunghe 23 metri e larghe 3, disponevano di due file di rematori seduti nella stessa panca;
Classica rappresentazione pittorica della TRIREME
la TRIREME, lunga 40 metri e larga 5,5 era la più comune, pesava 250 tonnellate e contava su 156 rematori più l’equipaggio e i militi; cosiddetta perché disponeva di tre serie di rematori.
QUADRIREMI. Cosiddetta perché disponeva di quattro ordini di rematori
QUINQUIREMI. Cosiddetta perché disponeva di cinque ordini di rematori.
la QUADRIREME, 48 metri per 8,10 con 240 rematori e infine la QUINQUIREMI, nave veloce che, per essere tale, venne costruita utilizzando una struttura più leggera del solito per cui il mare ne disfece i resti affondati senza lasciarcene reperti, e quindi non si possono sapere con precisione le proporzioni. Plinio dice che avevano 470 uomini a bordo di cui 300 rematori, 120 armati e 50 membri dell’equipaggio. Per essere veloci pescavano attorno al metro. Và anche detto che i rematori, all’epoca, non erano schiavi ma stipendiati, reclutati nelle classi più povere, la quinta e non incatenati e, solo eventualmente se carenti, rinforzati con galeotti o schiavi.
Ma torniamo all’importanza e alla costruzione delle navi.P er il commercio e l’approvvigionamento alimentare dell’Impero, si utilizzavano, oltre alle navi dei fornitori stranieri, anche e soprattutto le proprie navi ‘onerarie’. Tondeggianti, pescavano circa 3 metri ed erano di varie dimensioni, oggi ben documentate negli interessanti Musei archeologici in cui sono custoditi tutti i reperti rinvenuti, frutto di campagne di ricerche subacquee.
In genere erano galere a propulsione mista, cioè remi e vele quadre che venivano issate su di un albero, o due o tre a seconda della capacità di trasporto delle navi stesse. Una apposita flottiglia era dedicata esclusivamente ad approvvigionare il grano proveniente dalle varie regioni mediterranee.
Chi faceva giungere derrate dalle 70 tonnellate in su, godeva di vantaggi concessi da Roma sui canoni di noleggio, pur di essere approvvigionata. E’ ragionevole stimare che la stessa fosse abitata, mediamente, da circa 800.000 persone e che tutti i giorni venissero distribuiti quasi gratis a pressoché 650.000 persone, sia il frumento che la carne di maiale. Sotto i vari Imperatori, i “beneficiari” e le “quantità”variavano a seconda del consenso che il Governante di turno desiderava ricavarne. Facile quindi immaginare la quantità di derrate che dovevano arrivare a Roma tutti i giorni perché non tutte erano immagazzinabili; ci si nutriva con legumi, cereali, grano e farro; ortaggi, frutta, vino e olio che giungeva da tutto il Mediterraneo; basti pensare che la collina dell’attuale Parco del Testaccio, al Porto di Ripa Grande ( Emporium), è sorta a furia di accumularvi i cocci di 25 milioni di anfore utilizzate per trasportare grano, olio e semiliquidi da Ostia a Roma, risalendo il Tevere con barconi trainati da bufali. Molto presente la carne suina, caprina e ovina in genere allevata in zona (agro pontino) oltre alla selvaggina quali il ghiro o l’asino selvatico, passando per i cinghiali e le lepri; molto presenti le costose spezie orientali già allora provenienti dalla Persia o dall’India. La carne bovina, da prima ritenuta di animale sacro e poi da lavoro, era poco utilizzata. C’era un grande consumo di oche, polli, uova e piccoli volatili; non mancava il consumo di latte di capra ma molto meno quello di vacca. Il dolcificante era il miele; il pesce lo si gustava sia che fosse d’acqua dolce che di mare. Con un tale consumo di derrate alimentari, l’efficienza della flotta aveva un’importanza vitale perché molte merci, specie le più “sofisticate”, arrivavano alle banchine di carico dalle più svariate parti del mondo conosciuto, magari attraversando deserti a dorso di cammello, passando persino da quelle zone sconosciute ai Romani e che loro indicavano con <hic sunt leones>.
La mancanza degli attuali mezzi di conservazione obbligava a consumare presto certe derrate che dovevano quindi arrivare subito all’Urbe.
MADRAGUE DE GIENS 75 - 60 a. C. - Scoperto nel 1967 in Francia. A circa 20 metri di profondità, a largo della Penisola di Giens, in Francia. Ha una lunghezza di 40 metri e larga 9 metri per un’altezza di 4,5 metri. Lo scavo, durato dieci anni iniziato nel 1972, è stato portato avanti con estrema precisione e rigore scientifico, da Patrice Pomey e Andrè Tchernia. La nave poteva contenere 7000-8000 anfore, come grandezza fino ad ora è seconda solo alla nave di Albenga. È accertato che la nave fu visitata in antico probabilmente ...
Si ha testimonianza nel Museo di Madrague de Giens, Francia, del recupero di una imbarcazione lunga 40 metri da 400 tonnellate contenente 10.000 anfore per il trasporto dell’olio, del vino o del rinomato sugo di pesce (Garum) provenienti dalla Spagna, per un carico pari a 500 tonnellate; per altro oneraria del tutto simile alla nave “A” romana di Albenga; oggi diremmo <della stessa “classe”>. La propulsione era esclusivamente a vela. Va tenuto presente che le speciali anfore utilizzate, a che non si frantumassero con i marosi, venivano appilate e infilate con il “piede”, la parte terminale, fra i colli e le anse di quelle poste al di sotto e poi il tutto stabilizzato con sabbia: immaginarsi quindi il peso complessivo e la difficile manovrabilità di quelle “super” panciute navi. Siccome la navigazione era preferibilmente a vista lungo le coste, in presenza di improvvise tempeste o ventolate, e la rotta proprio quella zona piena di capi percorreva, era facile essere sbattuti dal libeccio o dal maestrale contro gli scogli; da lì i tanti reperti subacquei disseminati lungo quella rotta.
Si ha descrizione di navi ancora più grandi, tanto da non potere navigare lungo il Tevere e addirittura presentavano difficoltà a ormeggiarsi persino nei due porti che Roma si costruì ad Ostia: quello di Claudio prima ed il successivo di Traiano, un vero gioiello esagonale (vedere: Storia Navale- Articoli Storia n° 101). Si sa che è esistita una nave attrezzata per portare l’obelisco di Caligola (1.500 ton.) e altre grandi, costruite per specifici trasporti speciali. Le imbarcazioni erano realizzate, lo abbiamo visto, con legnami a volte non ancora stagionati, ma tutte terribilmente “massicce” per resistere ai marosi. Così costruite non potevano che avere limitate velocità; infatti viaggiavano sui 4/5 nodi che consentivano di raggiungere Alessandria in 6 giorni e l‘Africa, da Ostia, in 2 giorni.
Ma torniamo alla cantieristica. E’ evidente che, data la difficoltà dei trasporti via terra, di solito trainati da lenti buoi e per facilitarne i vari, i cantieri venissero approntati lungo i fiumi e nel nostro caso il Tevere o il Nera suo affluente mentre il legname per gli scafi veniva ricavato dai vicini boschi; l’Italia all’epoca era tutta un bosco. Unica eccezione i remi e gli alberi delle navi. Di solito i primi venivano fatti altrove per la facilità di trovare colà il legno idoneo e gli alberi perché dovevano essere alti e diritti, tipico delle piante che crescono nei folti boschi di montagna dove si “allungano” per raggiungere il sole.
La struttura del Cantiere Navale di Stifone di Narni
Cantiere Navale Romano (di Stifone di Narni)
In tempi recenti gli archeologi hanno individuato spazi per cantieri in un sito lungo il Nera e poco discosto da Narni, l’antica colonia romana chiamata Narnia, a conferma e testimonianza che molti erano i cantieri che costruivano le navi tutto lungo il Tevere.
Questa simultaneità di costruzione mi fa venire in mente la realizzazione delle mitiche Liberty nell’ultima guerra e che poi fecero la fortuna di tanti nostri armatori; gli Americani riuscirono a produrne tante perché incaricarono più cantieri di costruirle.
Anche Giulio Cesare quando, nel 49 a.C., dovendo sottomettere Marsiglia che era proprio sulla strada per la Spagna e che godeva o, meglio, abusava di precedenti accordi con Roma e della amicizia con Pompeo Magno, suo grande nemico, decise di dare vita ad un cantiere navale per assediarla anche via mare, visto che nel precedente tentativo essa si salvò proprio grazie al mare non ostacolato. Ne costruì uno sul Rodano per realizzarvi la flotta necessaria. Poi, sconfitta Marsiglia, verso la quale si dimostrò generoso, era pur sempre sulla strada per la Spagna, andò a Roma per sistemare una volta per tutte le cose: e ci riuscì oltrepassando il famoso Rubicone, dal Senato considerato confine invalicabile se armati, perché questo gesto sarebbe stato considerato un imperdonabile affronto da Roma.
Recenti studi e ricerche d’archivio tendono invece a indicare la piana di Voltri-Pra come sito che lui individuò al posto di quello sul fiume francese. Il sito alle spalle è collinoso e, a quel tempo, ricoperto di boschi che potevano garantire legna per le costruzioni e da Masone si vuole giungessero le alte piante da utilizzare per fare gli alberi. Si narra che costruì navi atte a trainare dei barconi/chiatte che riempì di cavalli e attrezzature e partì per Marsiglia. Questa volta, capito il punto di forza di quella Città, fu proprio neutralizzando quello che la conquistò.
Cosa ci sia di vero in questa affascinante ipotesi, non saprei; certo l’idea è esaltante specie per me che sono “prain”, (di Prà), ma purtroppo contrasta con la confermata abitudine di far sorgere cantieri lungo i fiumi e non con davanti il mare aperto senza il riparo di un porto. Oltretutto per arrivare poi ad assediare la Città avrebbe dovuto doppiare tutto l’Esterel e i successivi Capi, spesso battuti da improvvisi e indomabili “Mistralate”; il Rodano sfocia invece proprio in faccia a Marsiglia. Stiamo parlando del temuto, ancor oggi, Golfo del Leone.
Certo che più si studiano i romani e maggiore è l’ammirazione per la loro genialità e capacità organizzativa.
Renzo BAGNASCO
Fratello della Costa "Bareno".
Disegni e foto di Carlo GATTI
Rapallo, 19 agosto 2016
CONSIDERAZIONI SU DRAGUT
CONSIDERAZIONI su DRAGUT
Nella rilettura del libro che Emilio Carta ha scritto sul “pirata” Dragut, ancora una volta ci si è soffermati sugli aspetti militari e non si è evidenziato quello religioso delle varie fedi in quel periodo storico.
Le tre Religioni Monoteiste, l’Islam, il Giudaismo e il Cristianesimo, nate tutte sulle parole e sull’operato dei profeti e messaggeri di Dio, sono basate sulla tolleranza e il rispetto delle religioni altrui.
Gli uomini poi nei vari secoli, l’attuale compreso, le hanno “piegate” al loro tornaconto personale e al potere che poteva derivarne se opportunamente manipolate, fuorviandone le finalità. Ne è prova che tutte siano di origine divine, il fatto che gli uomini passano ma loro no.
All’epoca del Dragut l’Islam era tollerante tanto che se i rapiti dai pirati e poi non riscattati nei luoghi esibiti nella vicinanze dei loro paesi, venivano portati e venduti come schiavi in Nord Africa, se cattolici restavano in stato di schiavitù dal punto di vista fisico ma liberi di professare le rispettive religioni. Lo dimostra il fatto che i sacerdoti o i monaci, pur essi rapiti nelle varie razzie, una volta a Tunisi o ad Algeri o altrove potevano, la Domenica, celebrare Messa a conforto dei cristiani cola’ prigionieri: era sufficiente devolvessero ai loro “padroni”, parte delle offerte raccolte.
Di contro la Chiesa Cattolica, che vedeva che molti suoi fedeli, durante la prigionia, abbracciavano la fede islamica, cercava di contrastare queste improvvise vocazioni. Per certo un ruolo importante lo giocava il fatto che, una volta abiurata la vecchia fede per abbracciare la nuova, il “convertito” poteva godere di tutti i diritti degli Islamici. Cessava la schiavitù e poteva esercitare qualsiasi attività alla pari degli Arabi sino, se erano in gamba, ad inserirsi e risalire nella gerarchia locale. Alcuni, lo abbiamo visto, divennero Capi in quei paesi.
A fronte di questa tolleranza Islamica, la Chiesa Cattolica, seguiva la linea del Diritto che si era imposta, dimenticandosi del comportamento di Cristo e di quanto predica il Vangelo. Se un cristiano, una volta fuggito e liberatosi dalla schiavitù tornava alla sua fede originale, Essa stessa anziché ricordarsi del buon Pastore che lascia le 99 pecore per cercare quella smarrita o far festa per il ritorno del figliol prodigo, sottoponeva il “ritornato “ ai soliti suoi processi, basati su leggi che essa stessa e non il Cristo, si era data per mantenere il suo potere temporale e le cose spesso si volgevano al peggio per il malcapitato che aveva a fatica ripreso la propria liberta’.
Quando il Profeta Maometto dovette abbandonare la Mecca a seguito di difficolta’ e opposizioni sempre crescenti ed emigrò a Medina, trovò in quella citta’, oltre ai suoi fedeli, anche moltissimi ebrei che non cercò di convertire anzi, stipulò con loro accordi di pace e non li chiamò “infedeli” ma <ahlul kitab> cioè ‘Gente del libro’. Nonostante le torture che i suoi seguaci subirono, il Profeta trattò sempre con tolleranza i miscredenti di Mecca. A tale proposito ci resta un pezzo della sua cultura alla tolleranza in un breve capitolo della <rivelazione>. Quando scrisse ai vari Paesi confinanti, non li minacciò di aggressione militare nell’ipotesi non avessero accettato il messaggio dell’Islam. La lettera al Re cristiano di Abissinia ne è testimonianza, diceva <Io ho trasmesso il messaggio ed ora spetta a voi accettarlo. Una volta ancora, pace su colui che segue la vera guida>.
Certo oggi, come capitò a noi cristiani quando nel medio evo, assetati di potere, cercammo di piegare la religione a nostro vantaggio (Dio lo vuole !) i suoi seguaci, per fortuna non tutti, abusano pur di sfogare il loro odio contro chi gli sottrae seguaci e dimostra alla storia che l’oscurantismo becero che loro professano, non fa fare progressi. Cancellano così una loro cultura importante, per tornare in dietro di secoli.
L’altro aspetto che mi premeva sottolineare è l’idea che i Pirati, assetati solo di schiavi da vendere e meno alle povere merci che arredavano le case del popolino in quei tempi, assalissero le Chiese per odio religioso: niente di più fuorviante.
Per antica consuetudine, sempre rispettata da tutti gli eserciti, le chiese erano territori inviolabili. Anche qui và precisato che questa norma non scritta era voluta dai vari capi perché era loro convenienza non inimicarsi il Papa che, all’epoca, fungeva da Tribunale Supremo a cui tutti i Regnanti si rivolgevano a che mediasse fra le loro liti.
La basilica nel XVIII secolo in un disegno-stampa di Gio Bono Ferrari
Forti di questa consolidata esperienza le donne, le più ricercate dai rapitori, fuggivano nelle Chiese locali, (a proposito: la Basilica di Rapallo all’epoca era limitata all’attuale abside) portando con se quelle poche gioie di casa mentre gli uomini o fuggivano o erano a tentare di sottrarre più che difendere, disarmati come erano, la Citta’ e con essa le loro case. Le donne in quel luogo Sacro si ritenevano al sicuro. Ben presto i Pirati capirono questo meccanismo e così, assalendo le chiese, prendevano in un sol colpo donne e preziosi. Non rispettando la, per loro sconosciuta, inviolabilità le assalivano. I loro Capi, i vari Sultani, non si servivano del Papa per derimere le loro controversie, che risolvevano ogni volta con bagni di sangue.
Bartolomeo Maggiocco, effigiato in un dipinto che decora l'aula consiliare, verrà sempre ricordato per questo gesto e meriterà anche l'intitolazione d'una strada.
Un’ultima constatazione. Come la storia cambia a seconda di chi la “rilegge”. Il Magiocco, l’eroe locale, quando il Dragut assalì la citta’ non corse sulla spiaggia o fra i vicoli a combattere gli invasori, ma si precipitò a prendere la sua ragazza per fuggire in altura, zona che ai pirati non interessava. Con questo non edificante episodio, abbiamo trasformato in eroe difensore della Patria, un giovane innamorato e veloce di gamba.
E’ per questo che i più accorti evitano di fare atti eroici e pensano invece a salvare la pelle. La storia insegna che, dopo, se sei vivo conti ma se muori, al di la’ della medaglia, non resta altro.
Oggi la strada che, costeggiando il San Francesco, porta in altura, è intestata appunto a lui: decisione subliminale ??
Renzo BAGNASCO
Rapallo, 20 luglio 2016
IL MUSEO DELLA "DISCOVERY"- DUNDEE (SCOZIA)
IL MUSEO DELLA "DISCOVERY!
(DUNDEE - SCOZIA)
Robert Falcon Scott in alta uniforme. Questa é la foto ufficiale che appare sul frontespizio: Scott's The Voyage of the Discovery (London 1905).
Nasce a Plymouth (Devon) Inghilterra il 6 giugno 1868. Muore a 43 anni il 29 marzo a Ross Ice Shelf in Antartico. Fu Naval Cadet sulla HMS Britannia. Fu Ufficiale della Marina Britannica ed Esploratore del Mar Antartico.
La “Discovery" è conosciuta come la nave del Capitano R.F. Scott.
La RRS Discovery fu utilizzata in diverse spedizioni nelle regioni antartiche, come cargo durante la prima guerra mondiale e come nave d’addestramento per boy-scout. Attualmente si trova in un museo nella città scozzese di Dundee dove la nave fu costruita.
Il 6 agosto 1901, cinque mesi dopo il varo, la nave salpa dall’isola di Wight in direzione Antartide che raggiunge nel gennaio del 1902.
La prima missione fu complicatissima: dopo aver impiegato il primo mese per cartografare la costa, in preparazione dell’inverno, la nave gettò l’ancora nel canale McMurdo. Contrariamente al piano che prevedeva di trascorrervi l’inverno e poi salpare per una nuova zona, la nave rimase bloccata dal ghiaccio per i successivi due anni.
Nonostante la sosta forzata, la spedizione fu in grado di localizzare il Polo Sud Magnetico. L’equipaggio stabilì anche un record raggiungendo 82° 18′ Sud. Dopo molte peripezie la RRS Discovery riuscì a salpare verso l’Inghilterra e far ritorno a Spithead il 10 settembre 1904.
Dopo la Prima guerra mondiale ed una serie di aggiornamenti, venne utilizzata nei mari antartici per studiare la migrazione delle balene come parte del programma Discovery Investigations.
E fu allora che salì a bordo il nostro Mr. Howard, per lavorare all’operazione Banzare.
La spedizione BANZARE (British Australian (and) New Zealand Antarctic Research Expedition) si svolse tra gli anni 1929 e 1931 ed ebbe come scopo l’esplorazione geografica.
Durante la spedizione vennero effettuati anche brevi voli a bordo di un piccolo aeroplano. In particolare vennero mappate le regioni costiere delle terre di Mac Robertson e della principessa Elisabetta.
Dopo anni d’abbandono, nel 1979 la nave fu salvata dal Maritime Trust che la fece ormeggiare ad una banchina sul Tamigi e fu aperta al pubblico. Nel 1985 il Trust spese 500.000 £ per i restauri, dopo di ché la nave fu consegnata al Dundee Heritage Trust.
Il 28 marzo 1986 la Discovery lasciò Londra a bordo della nave mercantile Happy Mariner per compiere il suo ultimo viaggio verso la città che l’aveva costruita. Il 3 aprile 1986 la “preziosa reliquia” arrivò a Dundee (Scozia) sul fiume Tay. L’imbarcazione ricevette una calorosa accoglienza dalla popolazione. Nel 1992 la DISCOVERY terminò le sue peregrinazioni presso un attracco sicuro, appositamente costruito per lei, per accogliere milioni di visitatori ai quali poter raccontare la sua affascinante storia. La nave è oggi l’attrazione principale del Discovery Point di Dundee.
Ecco come si presentava la RRS DISCOVERY nel 2005
La città ha anche scelto come soprannome The City of Discovery in onore della nave e della ricerca pionieristica fatta dalla locale università nel campo della medicina.
W.F.Howard era imbarcato (la foto è del 28 dicembre del 1930) sulla nave RRS Discovery
IL MUSEO
La maggior parte degli schermi del Discovery Point mostrano materiale della nave e della documentazione originale del National Antarctic Expedition Britannica imbarcata sulla Discovery nelle operazioni che hanno avuto luogo tra il 1901 e il 1904. La Spedizione fu organizzata sotto l'egida delle RGS e la Royal Society con l’obiettivo di ottenere risultati inediti nella ricerca scientifica e nell’esplorazione geografica dell’Oceano Antartico allora sconosciuto. L’impresa é stata certamente una pietra miliare nella storia del British Antartic esploration. La spedizione è stata salutata come un grande successo, nonostante sia stato necessario organizzare una missione di soccorso per liberare la Discovery dai pericolosi ghiacciai. L'età eroica delle Esplorazioni Polari iniziò proprio da quel periodo che, in molti casi, produssero massicci sforzi finanziari, che non furono sempre positivi, ma che tuttavia portarono l’Inghilterra e l’Europa a primeggiare nel campo scientifico. Il Museo raccolto a giri concentrici sotto una vistosa cupola, è eccellente. I percorsi sono individuati a partire dalla costruzione della nave in legno, che é oltremodo dettagliata con i disegni e i piani della Discovery, alla sua realizzazione figurata per opera dei Maestri d’Ascia, Carpentieri e Calafati; la composizione in scala del motore con tutte le sue componenti meccaniche; numerosa la strumentazione di bordo e quella degli scienziati impegnati nella ricerca; pregevolissima la ricostruzione dell’ambiente polare, gli animali presenti, la vivibilità tra i ghiacci perenni ecc.. Molti schermi TV documentano e raccontano le varie fasi dell’impresa con le voci narranti dei protagonisti; viene narrata la storia della scoperta di una vasta base, la caccia alle balene e la realtà della vita quotidiana a bordo mostrando e descrivendo: cibo, alloggio, vestiario ed armi.
Una sala con schermo gigante presenta a ciclo continuo i membri dellop Stato Maggiore che illustrano la programmazione della spedizione con molti dettagli tecnico-scentifici.
I vari percorsi circolari sotto la cupola terminano in un ampio e frequentatissimo negozio di souvenir. Ottimo il centro di ristoro, ampio e ben fornito.
La documentazione fotografica del Museo la trovate nell’Album Fotografico a seguire.
Ernest Shackleton, Scott, e Edward Wilson prima della loro marcia verso il Polo Sud durante la Discovery Expedition del 2 novembre 1902
Il rifugio del Discovery presso HUT POINT
La mappa sotto rappresentata mostra le rotte intraprese da Scott (verde) e da Amundsen (rossa) nel 1911 - 1912
Capitan Scott mentre scrive il suo giornale nel rifugio di Cape Evan nell’inverno del 1911
Il gruppo di Scott fece questo autoscatto il 17 gennaio 1912, il giorno seguente in cui seppero che Amundsen aveva raggiunto il Polo Sud.
Roald Amudsen
La foto ritrae la croce eretta nel 1913 presso Observation Hill a ricordo del Comandante SCOTT e della sua spedizione.
La statua dedicata a R.F. SCOTT fu realizzata dalla vedova scultrice Kathleen Scott nel 1915
ALBUM FOTOGRAFICO DEL MUSEO
La DISCOVERY sulle taccate del Bacino di carenaggio
Prora e Bompresso
Vista completa dell'alberatura del DISCOVERY
Alberatura
Proravia
Scalandroni sezione centro nave
Sezione Poppiera
Murata di babbordo
Ruota del Timone principale con doppia Bussola magnetica
Sartie e Bigotte
La Ciminiera
Cime, Caviglie, Manica a vento e oblò
Ruota del Timone e Bussola Magnetica
Telegrafo di Macchina
Due turisti italiani...
Albero Maestro, particolari dell'attrezzatura
Sala Nautica
Sala Comando
Cabina di un Ufficiale
Pinguino del Polo Sud imbalsamato
Strumenti per la navigazione
Balena catturata
Cala del nostromo
Utensili del calafato
Utensili del carpentiere e del calafato
Carpentiere
Carlo GATTI
Rapallo, 18 luglio 2016
IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE
IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE
Marcella Rossi Patrone
Nel 2013, a qualche hanno dal ritrovamento, la dottoressa Valentina Ruzzin ha pubblicato un incantevole saggio di storia medievale: La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese. Al convegno dal titolo Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, tenutosi a Friburgo lo stesso anno, l’intervento genovese ha suscitato grande interesse per il valore scientifico della scoperta, presentata dalla stessa Ruzzin e contestualizzata dalla prof. Valeria Polonio. Abbiamo avuto il privilegio ed il piacere di incontrare entrambe; riteniamo valga la pena divulgare l’argomento.
L’autrice del saggio citato, che da oltre un decennio svolge ricerca storica sugli atti notarili liguri dei secoli XII-XV, ci spiega chiaramente cosa sia un portolano sacro, conosciuto tra gli esperti come Santa Parola: «Si tratta, volendola definire rapidamente nella sua sostanza, di una lunga preghiera in uso presso la marineria del medioevo, strutturata come un elenco di invocazioni volte ad impetrare il soccorso di Dio, di Maria, dei santi e dei beati patroni di alcuni particolari luoghi, il cui dettato è organizzato in prevalenza secondo un particolare itinerario geografico, che racchiude gran parte del mondo allora conosciuto». Fino al ritrovamento l’unico manoscritto tramandato risaliva ad un codice del tardo XV secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. L’esemplare genovese, rinvenuto dalla dottoressa Ruzzin presso l’Archivio di Stato di Genova col titolo di Bonna Parolla, è l’unica altra testimonianza di questa devozione marittima.
Se l’origine e la diffusione della Santa Parola rimangono sconosciute, il manoscritto di Firenze ne ha descritto chiaramente l’uso:
«Incomincia la Santa Parole (sic). Si dice in galea o nave o altra fusta quando fussino stati alcuno giorno sanza vedere terra».
Tutti sanno del legame tra i santuari ed il mare, che si manifesta in modi e situazioni differenti. Alcuni santuari prendono spesso il nome dal mare o da santi protettori dei marinai, a loro volta i marinai ricordano bene i santuari costieri cui rivolgere le loro preghiere. Gli ex voto marinari rimangono poi la più semplice e visibile testimonianza di questo legame.
Dalla Palestina il cristianesimo si diffuse precocemente e rapidamente lungo le coste liguri, affacciate sul mar Mediterraneo. La sua radicata presenza affiancò per secoli le relazioni politiche e commerciali connesse alla navigazione, lungo le rotte mediterranee da e verso la terraferma. Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, sotto il dominio bizantino, longobardo e carolingio le vie del mare non persero importanza: la navigazione di cabotaggio fu praticata con perizia e continuità anche prima del X secolo, quando decollò l’attività marittima ligure. Lungo la costa passava infatti la rotta che univa i porti tirrenici a quelli del mediterraneo occidentale ed i liguri non dimenticarono mai l’esperienza acquisita con Etruschi, Romani e Bizantini. La documentazione rimane scarsa, comunque lo attestano alcuni particolari episodi che ci piace ricordare. Alla fine del VII secolo il mondo mediterraneo si trovò diviso in mondo romano germanico, mondo bizantino e mondo arabo, nuova espressione di uno stato teocratico in rapida espansione territoriale. Nei primi decenni dell’VIII secolo gli arabi invasero la Sardegna e si impadronirono di Cagliari, dov’erano custoditi i resti di Sant’Agostino. Il re cattolico longobardo Liutprando ordinò allora una spedizione navale per metterli in salvo e sbarcarli a Genova, da dove furono trasferiti a Pavia. Successivamente Carlo Magno assegnò ai territori liguri la protezione delle coste, isole comprese, e non esitò ad inviare in Liguria un proprio notaio perché allestisse una flotta adeguata al trasporto di un elefante, un ingombrante dono diplomatico del califfo di Bagdad; l’elefante fu sbarcato a Portovenere e raggiunse incolume la corte imperiale, dove visse per anni. Alla fine del IX secolo il vescovo Sabatino mandò alcune navi a Sanremo, per salvare e custodire a Genova le reliquie di San Romolo, in pericolo per le incursioni degli arabi stanziati a Frassineto, in Provenza. Nell’Alto Medioevo, quindi, la tradizione marinara ligure perdurò in difesa della dignità civile e della libertà religiosa. Nel 934 una flotta araba arrivò ad assaltare e saccheggiare Genova e la reazione fu immediata: una spedizione navale annientò il nemico, recuperando prigionieri e bottino. Quest’unica aggressione, ricordata con enfasi dagli annalisti di ambo le parti, confermò la forza della città, che nei decenni successivi passò definitivamente al contrattacco. Da questo momento Genova prese a costruire la propria affermazione sul mare con la supremazia navale, cui aggiunse la creazione di un geniale sistema mercantile e finanziario. Si cominciò a navigare studiando gli astri, i venti, le correnti e le coste, utilizzando lo scandaglio. Il cabotaggio permise di orientare la navigazione e di fare il punto nave riconoscendo il litorale, ma anche di localizzare le correnti e le secche, gli approdi e gli scogli. Quando gli strumenti di bordo erano scarsi, si tendeva a non perdere di vista la terraferma, appoggiandosi alla memoria geografica ed al portolano, che nel Medioevo si affermò come un vero e proprio genere letterario. I portolani indicavano qualsiasi irregolarità costiera utile e descrivevano le manovre necessarie per evitare i pericoli, avvalendosi di una tradizione ininterrotta di uso ed esperienza. Il Medioevo fu permeato di una religiosità che coinvolse la vita privata e le relazioni sociali, il pensiero e la parola. Il mare ebbe un’importante dimensione religiosa, connessa innanzi tutto ai pellegrinaggi nei luoghi santi della cristianità ed alle crociate, che rappresentarono anche un’esperienza marittima. Tra tempeste e bonacce, in mare si era in continuo pericolo e si recitavano le preghiere dei naviganti. Scrive l’Anonimo Genovese alla fine del XIII secolo:
«Noi chi semper naveghemo
E ‘n perigor semo
En questo perigoloso mar,
ni mai possamo repossar,
no devemo uncha cesar
lo pietoso De pregar
che ne scampe, con soi santi,
da li perigoli, chi son tanti,
…..
non compaiono né stelle, né sole, né luna;
scuro è il cielo di questa tempesta;
e non abbiamo nemmeno la speranza
di poter giunger al porto;
…..
En sì greve ruyna
no savemo aotra meixina
de qual alcun de noi spere
se no far a De preghere,
chi za mai no abandona
chi ge fa pregera bonna
e in gran tribulacion
sa tosto dar salvacion».
Mentre si faceva pregera bonna, con grande conforto si riconoscevano le chiese allineate luogo la costa, come i grani di un rosario. Molteplici usanze religiose si associarono così alla navigazione ed i santuari punteggiarono le coste, destinatari di preghiere e insieme puntuali riferimenti per le rotte.
Da oltre un secolo gli storici studiano la litania della Santa Parola recitata dai marinai medievali, ma la ritrovata versione genovese mostra oggi alcune differenze rilevanti. Rispetto a quella toscana, considerata mutila, la litania ligure ha la stessa struttura, ma aggiunge un’introduzione, un’orazione conclusiva e, come illustra Valentina Ruzzin, ha alcune particolarità. Premesso che le due versioni presentano la stessa la forma, che forniscono entrambe testimonianze religiose, storiche, geografiche, sociali ed economiche, soffermiamoci solo sul testo genovese.
La Bonna Parolla si divide in due parti: nella prima, secondo l’ordine gerarchico, ci si rivolge ai santi più importanti ed a quelli dei naviganti; nella seconda, che è la più lunga, ci si rivolge ai titolari di particolari luoghi sacri, presenti lungo le coste mediterranee e atlantiche. La litania segue una vera e propria rotta, che parte dal vicino Oriente e continua verso l’Europa senza alcuna rappresentazione grafica, come accade nel portolano. Per questo motivo si parla oggi di portolano sacro.
Resoconti di navigazione attestano che la marineria genovese ricorreva a questa preghiera in situazioni pericolose, particolarmente quando mancava la visibilità. Citiamo ad esempio il caso di Anselmo Adorno, nobile fiammingo di origine genovese, che nel 1470 salpò da Genova su una nave diretta in Terrasanta. L’Adorno descrisse come, per una fitta nebbia al largo della Sicilia, tutti gli imbarcati avessero intonato per diverse sere la Santa Parola.
La Bonna Parolla, prima solo immaginata, è ora leggibile. Lo scorso autunno, in occasione della mostra documentaria Tutti i Genovesi del Mondo, l’archivio di Stato di Genova ha esposto in una teca questo manoscritto anonimo, come primo documento. Appare scritta ordinatamente, sia pur con qualche correzione, in cinque colonne, su un bifoglio filigranato di secondo utilizzo. Recentemente la prof. Valeria Polonio ha anche tenuto la pubblica conferenza Andare per mare nel Medioevo: il portolano sacro dei liguri (Genova, 10 marzo 2016 Accademia Ligure di Scienze e Lettere – Palazzo Ducale).
La preghiera ligure si apre con l’esortazione illuminante
« Ostae su, varendomi, e diremo la Bonna Parolla da pardie, che Deo ne fassa salvi ».
tradotto
« Funi su, valentuomini, e diciamo la Buona Parola da partire, affinché Dio ci faccia salvi ». (Ruzzin)
Era quindi detta da pardie, ovvero per partire e benedire la partenza, non solo quando si navigava in difficoltà. Spiega Valentina Ruzzin: «Pensata dai genovesi per essere detta alla partenza, l’originaria litania potrebbe essersi propagata altrove, non diversamente da quel che è accaduto con altre realtà della nautica mediterranea… Dal momento che la partenza pare dunque essere il vero fulcro della Bonna Parolla genovese, si è proceduto ad indagare sommariamente alcune fonti documentarie in questa direzione». Cosicché si va a scoprire che questa pratica era comune già nella Genova del XIV secolo, tanto che un secolo dopo venne utilizzata come decorrenza ufficiale dei giorni di servizio pagati dal Comune agli imbarcati sulle galee.
Dee n’aie (Dio ci aiuti), ripetevano i marinai genovesi ad ogni invocazione, iniziando a raccomandarsi per tre volte alla basilica del Santo Sepolcro, a Maria ed alla croce del Monte Calvario in Terrasanta, il vertice della devozione. Continuavano poi invocando i santi, 41 in ordine d’importanza, qui in ordine trascritti:
Sam Pee e Sam Pero de Roma
Sam Zoane Baptisto e lo Evangelisto
lo angero Sam Michael
lo angero Sam Raffael
lo angero Sam Carbie,
lo angero cherubim
lo angero serafim
lo apostolo Santo Andrea
lo apostolo mese Sam Iacomo
lo apostolo mese Sam Feripo
lo apostoro mese Sam Berthome
lo apostoro m(ese) Sam Simon e Iuda
lo apostoro m(ese) Sam Mathee
lo apostoro m(ese) Sam Tadee
lo apostoro m(ese) Sam Bernabe
lo apostoro m(ese) Sam Pee
lo apostoro m(ese) Sam Mathia
lo apostoro m(ese) ***
lo avangelista mese Sam Luca
lo avangelista mese Sam Marcho
lo evangelista mese Sama Zoane
lo evangelista mese Samb Mathee
lo martoro m(ese) Sam Lorenso
lo martoro m(ese) Sam Vicentio
lo martoro m(ese) Sam Sibastiam
lo martoro m(ese) Sam Stevam
lo martoro m(ese) Sam Fabian
lo docto m(ese) Sam Grigorio
lo docto m(ese) Sam Avostim
lo docto m(ese) Sam Anbroxio
lo docto m(ese) Sam Ieronimo
lo confesao m(ese) Sam Francesco
lo pricao m(ese) Sam Domeneg
lo barom m(ese) Santo Antogno Corposamto
lo barom m(ese) Santo Cristofam
lo acorreo mesamc Sam Micherozo
lo acorreo m(ese) Sam Theramo
lo cavare m(ese) Sam Zorzo
lo cavare m(ese) Sam Martino.
Nel terzultimo, Sam Theramo riconosciamo il protettore dei marinai Sant'Erasmo detto anche Sant’Elmo.
Da Oriente inizia poi il sacro itinerario, differente da quello toscano a volte per l’ordine d’invocazione, a volte per le località menzionate, a volte per le chiese menzionate. In volgare sono invocati ben 129 riferimenti e nell’ ordine si riconoscono:
1) il monastero di Santa Caterina,
1) il monastero di Santa Caterina, Monte Sinai
2) il monastero di Ayios Sabas, Alessandria d’Egitto
3) San Salvatore ?, Lattakieh
4) il monastero di Santa Maria, Monte Carmelo
5) la chiesa di San Giorgio (moschea al-Kidr), Beirut
6) il monastero di Stavrovouni
7) la chiesa di Santa Maria della Cava, Famagosta
8) la chiesa di San Giovanni, Rodi
9) la chiesa di Sant’Antonio, Rodi
10) il convento di San Francesco, Feodosija
11) la chiesa di San Michele, Pera (Istanbul)
12) Santa Sofia, Istanbul
13) la chiesa di Ayios Dimitrios, Thessaloniki
14) la chiesa di San Giorgio, Metilene
15) la chiesa di Sant’Isidoro, Chios
16) la chiesa di San Pantaleone, Chios
17) la chiesa di Santa Maria, Chios
18) la chiesa di Ayia Paraskevi, Candia
19) il monastero di San Michele, Capo Maleas
20) San Leone (?), Methoni
21) la chiesa di Sveti Vlaho, Dubrovnik
22) la chiesa di San Marco, Zara
23) la chiesa di San Marco, Venezia
24) la chiesa di San Ciriaco, Ancona
25) la chiesa di San Nicola, Bari
26) la basilica di San Michele Arcangelo,Monte Sant’Angelo
27) la chiesa di Santa Maria del Casale, Brindisi
28) la chiesa di San Cataldo, Taranto
29) la chiesa di Santa Maria di Leuca
30) la chiesa di Santa Maria della Scala, Messina
31) la chiesa di Santa Lucia, Siracusa
32) la chiesa di Sant’Agata, Catania
33) la chiesa di Santa Caterina, Malta
34) la cappella di San Dimitri, Garb, Gozo
35) San Cristoforo (?), Agrigento
36) Sant’Oberto (?), Sciacca
37) la chiesa Maria Santissima Annunziata, Trapani
38) la chiesa di Sant’Oliva, Palermo
39) la chiesa di San Bartolomeo, Lipari
40) la chiesa di Sant’Andrea, Amalfi
41) la chiesa di San Matteo, Salerno
42) la chiesa di San Costanzo, Capri
43) la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, Napoli
44) lachiesa di Santa Restituta, Ischia
45) la chiesa della Santissima Annunziata, Gaeta
46) la chiesa della Santissima Trinità, Gaeta
47) Sette pomi (?), Roma
48) Santa Fermina di Civitavecchia
49) la chiesa di Santa Manza, Bonifacio
50) il convento di San Francesco, Calvi
51) la cappella di Sant’Antonino, Ersa
52) San Nicola (?), Piombino
53) San Ranieri di Pisa (santo patrono)
54) la chiesa di Santa Maria della Spina, Pisa
55) il santuario di Santa Liberata, Cerreto Guidi, Firenze
56) Volto Santo, Lucca
57) Santa Zita, Lucca
58) San Francesco di Assisi, La Spezia (?)
59) monastero di San Venerio del Tino, La Spezia
60) l’ eremo di Sant’Antonio di Punta Mesco, La Spezia
61) la chiesa di San Francesco, Chiavari
62) la chiesa di San Michele, San Michele di Pagana, Genova
63) Santa Margherita Ligure, Genova
64) l’abazia di San Fruttuoso, Capodimonte, Genova
65) la chiesa di San Nicolò, Capodimonte, Genova
66) la chiesa di San Gerolamo, Quarto, Genova
67) la chiesa di San Giuliano, Albaro, Genova
68) la chiesa di San Siro e Lorenzo, Genova
69) la chiesa di Nostra Signora del Carmine, Genova
70) la chiesa di Santa Maria del Garbo in Polcevera, Genova
71) la chiesa di Santa Maria, Coronata, Genova
72) la chiesa di Sant’Andrea, Sestri, Genova
73) la chiesa di Sant’Ambrogio,
74) la chiesa di San Pietro, Vesima, Genova
75) la chiesa di San Nazario e Celso, Arenzano, Genova
76) il convento di San Domenico, Varazze, Savona
77) la chiesa di Santa Maria, Savona
78) la chiesa di San Paragorio, Noli, Savona
79) l’abazia di Santa Maria di Finalpia, Savona
80) la chiesa di Santa Margherita, Noli, Savona
81) la chiesa di San Martino, Albenga, Savona
82) la chiesa di Sant’Elmo, Diano Marina, Imperia
83) la chiesa di San Maurizio, Porto Maurizio, Imperia
84) la cappella di Saint-Hospice, Cap Ferrat
85) Île Saint-Honorat (località)
86) Île Sainte-Marguerite (località)
87) abazia di Saint-Victor, Marseille
88) Sant’Antonio abate (reliquie), Vienne
89) chiesa di Saint-Paul, Narbonne
90) la chiesa di Saint-Pierre, Villeneuve-lès-Maguelone
91) la chiesa de Santa Eulalia, Barcelona
92) il monastero di Santa María de Montserrat, Barcelona
93) la chiesa di Santa María (detta La Ceu), Palma de Mallorca
94) la chiesa di Sant Nicolau, Palma de Mallorca
95) la chiesa di Santa María, Minorca
96) la chiesa di Santa María la Mayor, Ibiza
97) la chiesa de la Asunción de Nuestra Señora, Valencia
98) il monasterio de San Ginés de la Jara, Cartagena
99) la chiesa di Santa Cruz, Cádiz
100) El Puerto de Santa María, Cádiz
101) la chiesa di Santa María de la Sede, Sevilla
102) la chiesa di Santa Ana, Triana, Sevilla
103) Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe, Cáceres
104) Sanlúcar de Barrameda
105) il santuario de Nuestra Señora de Regla, Chipiona
106) Cabo de São Vicente
107) San Giuliano (?), Lisbona
108) Sant’Eustachio (?), Isole Berlengas
109) monastero di San Estevo (?), Isla de Faro
110) eremo di San Guillermo, Finisterre
111) la chiesa di Nuestra Señora de la Blanca, Muxía
112) Santiago de Compostela
113) La Coruña
114) monastero di Saint-Mathieu, Pointe Saint-Mathieu
115) cappella di St Clare, Dartmouth
116) il convento di St Francis, Plymouth
117) il priorato di Belvoir, Belvoir, Leicestershire
118) l’abazia di Netley, Netley, Hampshire
119) la chiesa di St Paul, Londra
120) la chiesa di St Thomas, Canterbury
121) la chiesa di Holy Cross, Goodnestone, Kent
122) San Luigi di Francia
123) la chiesa di Saint-Denis, Parigi
124) Sinte-Katherine, Ostende
125) San Giovanni (?), Sluis
126) San Cristoforo (?), Sluis
127) la basilica du Saint-Sang, Bruges
128) Unserer Lieben Frauen St. Marien, Altenburg
129) Reichsabtei Weingarten, Weingarten.
Riusciamo a ricordare qualche chiesa o qualche località?
Per calarci nell’itinerario, su gentile concessione della dottoressa Valentina Ruzzin, replichiamo una delle quattro tavole geografiche della pubblicazione.
Scopriamo qualche punto?
Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione scaramantica, forse, di non semplice interpretazione. Si richiamano oggetti reali – il ghindazzo, la sentina, il timone – posti in condizione di pericolo o una serie di eventualità cui scampare. Tutto è comunque volto a richiedere a Dio una bonna nocte per tutti… Con le ultime parole della litania si chiede a Dio una notte quieta, un mare tranquillo, un vento sicuro. Sono probabilmente originali, le sole esclusive di questa preghiera; sono semplici e dirette. In fondo, ad una buona navigazione non si può aggiungere altro». (Ruzzin)
Concludendo, il ritrovamento della Bonna Parolla testimonia come a Genova la litania marinara fosse già recitata nel XIV secolo ed apre a nuove ricerche. Evidentemente una caratteristica del portolano sacro fu quella di modificarsi nel tempo ad opera dei marinai, secondo le particolari devozioni, le trasformazioni delle chiese, le diverse rotte. Siamo di fronte ad una pagina fondamentale della storia marinara italiana in Europa: una geografia sacra, dove la funzione religiosa si sposa a quella geografico-orientativa, dove i simboli diventano anche segnali. Accade ancor oggi nel mondo della navigazione. E non dimentichiamo che i pescatori, di generazione in generazione, hanno tramandato le posizioni di pesca ricorrendo a precisi punti d’orientamento a terra, tra cui le chiese ed i campanili che orlano le coste europee.
Ringraziamo allora i giovani studiosi genovesi, impegnati in progetti esemplari di ricerca e didattica, che oggi affrontano la ricchezza della storia medievale, ne trasmettono la vivacità ed offrono indispensabili strumenti per la comprensione del mondo attuale. Ringraziamo chi li sostiene.
Genova Nervi, 16 maggio 2016
Bibliografia:
Anonimo Genovese, Le poesie storiche, testo e versione italiana a cura di Jean Nicolas, Editore Casabianca (per conto dell’associazione “A Compagna” di Genova), Sanremo, 1983.
Bacci Michele, Rohde Martin (Edité par), Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, Colloque Fribourgeois 2013, De Gruyter, Germany, 2014.
Bacci Michele, Portolano sacro. Santuari e immagini sacre lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo tra tardo Medioevo e prima età moderna, in: E. Thunø and G. Wolf (eds.), The Miraculous Image in the Middle Ages and Renaissance, L’Erma di Bretschneider, Rome, 2004, pp. 223- 248.
Bellomo Elena, Sapere nautico e geografi a sacra alle radici dei portolani medievali (secoli XII-XIII) [a stampa in Dio, il mare e gli uomini, Quaderni di storia religiosa”, 15 (2008), pp. 215-241
Mannoni Tiziano, Quando il mare diventa una grande via di comunicazione, in Storia della cultura ligure, a cura di Dino Puncuh, 2, Genova 2004 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s. 118)Ruzzin Valentina, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, Atti della Società Ligure di Storia Patria, Brigati, Genova, 2013.
Ruzzin Valentina, Alcune osservazioni in merito al ritrovamento della Bonna Parolla genovese, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 221.
Polonio Valeria, La Liguria e la sua originalità: una variante del Portolano sacro, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 227.
Rapallo, 20 maggio 2016
RICORDO DI ANGELO BELLONI
RICORDO DI ANGELO BELLONI
'Uomini d'acciaio'
Rivierasco d’adozione, scelse Lavagna come dimora e “pensatoio”....
La Spezia - Prosegue, nell’ambito della mostra “Uomini d’Acciaio 1900-1920. La Spezia tra sogno e divenire”, il ciclo di conferenze tematiche dedicate ai personaggi illustri selezionati per l’esposizione.
Dopo Augusto Magli e Raffaele Rossetti, è la volta dunque di Angelo Belloni, poliedrica e geniale figura del nostro Novecento. A presentare il personaggio è la Fondazione Fincantieri, che ha raccolto parte dell’eredità lasciata da Belloni grazie all’attività di recupero e salvaguardia del patrimonio archivistico condotta dall’Archivio Storico del Muggiano.
La conferenza dal titolo “Angelo Belloni spirito del ferro e dell’acciaio” si terrà il 22 gennaio 2016 alle 17 presso l’auditorium del Camec (P.zza C. Battisti, 1 La Spezia) e sarà introdotta dai saluti di Roberto Alinghieri, presidente dell’Istituzione per i Servizi Culturali, e di Mauro Martinenzi, direttore della Fondazione Fincantieri.
Faranno seguito due interventi scientifici, il primo dedicato alla situazione sociale e politica del territorio nazionale alla vigilia dell’entrata in guerra, contributo dell’Avvocato Giovanni Pardi, dal titolo “L’Italia all’avvio della Grande Guerra”; il secondo di Gianpaolo Trucco, Capo Nucleo Pubblica Informazione di Comsubin dal titolo “Angelo Belloni: una vita per il mare” che esplorerà gli aspetti più creativi e avventurosi del genio Belloni.
In conclusione la testimonianza dei nipoti di Belloni, Niccolò e Angelo, che attraverso alcuni ricordi intimi e familiari, racconteranno le vita e le gesta del nonno.
Angelo Belloni é stato definito: Ufficiale di marina, sommergibilista, progettista e sperimentatore d’innovative apparecchiature navali. Angelo Belloni può essere considerato uno dei padri dei mezzi subacquei e del loro impiego in accoppiata con gli incursori della Marina. Tra i tanti personaggi ospitati nel Tigullio, A. Belloni fu il più poliedrico, eclettico e geniale. Da sommozzatore, inventò la tuta da palombaro, fu esploratore ed inventore ai limiti del fantascientifico, fu militare spavaldo ed infine dedicò molte energie come precursore dell’energia pulita e delle odierne forme di turismo...
ANGELO BELLONI tuttavia, compare raramente nella storiografia ufficiale italiana eppure, come vedremo, meriterebbe per il suo valore di essere conosciuto almeno dalla gente della “sua” Riviera, dove questo affascinante personaggio visse, progettò, sperimentò gran parte delle sue importanti invenzioni. Nacque a Pavia nel 1882, ma scelse la Liguria come regione d’adozione. Trascorse gli ultimi 11 anni della sua vita a Lavagna, dove visse nel Castello Frugone. Morì in un incidente stradale a Genova nel 1957.
Angelo Belloni fu amico e ammiratore di Gabriele D’Annunzio dal quale trasse sicuramente ispirazione per le sue imprese esemplari per amor patrio e grande coraggio. Tuttavia, il nostro eroe rivierasco, al contrario del Vate che fu il precursore della pubblicità in grande stile, fu un uomo che scelse fin dall’inizio della sua carriera la difficile missione delle “operazioni segrete”, i cosiddetti “colpi di mano”, applicandosi anima e corpo allo studio di armi innovative in previsione di renderle efficaci nelle fasi di pericolo per la Patria.
La VASCA BELLONI
Dopo aver concepito nei primi anni del '900 la “Vasca Belloni”, il "Cappuccio Belloni", gli autorespiratori e le tute da salvataggio, l'inventiva di Belloni si scatenò una volta giunto a nella riviera ligure. Quel che salta subito agli occhi scorrendo l'elenco delle sue invenzioni è l'incredibile anticipo con cui si dedicò alla ricerca di un'energia pulita, pura e teoricamente inesauribile. Fu così che propose al primo cittadino di Lavagna - anche con una certa insistenza, ammette con un sorriso il figlio Emanuele - un meccanismo chiamato “ondopompa”, studiato per catturare l'energia sprigionata dalle onde e tramutarla in corrente elettrica. Progettò poi un impianto per la produzione di energia elettrica attraverso il calore solare (in pratica un'anticipazione dei moderni pannelli solari) e ancora un distillatore solare la cui alimentazione avveniva anche grazie all'acqua stessa che veniva distillata. La ricerca del moto perpetuo, era questo che lo muoveva e che lo portò a brevettare molte delle sue invenzioni, tanto che la Pirelli, con i proventi forniti per l'utilizzo dei suoi progetti, gli garantì una vita tranquilla sulla spiaggia lavagnese. Del progetto di un ostello della gioventù galleggiante con tanto di box per le Vespa. Aprirsi al mondo! È questo che fece la famiglia Belloni una volta arrivata nel Castello Frugone di Cavi di Lavagna quando nel 1946 decise di aprirvi uno dei pochi Alberghi Italiani della Gioventù. Un'idea che mise in contatto la numerosa famiglia di Belloni, in particolare i suoi sette figli, con il resto del mondo. Belloni provò a tramutare questa iniziativa in un'incredibile invenzione, progettando la prima darsena galleggiante, un ostello galleggiante completamente autosufficiente dal punto di vista energetico e fornito addirittura di un box per Vespa. Un'idea che rimarrà tale perché nel '57 la sorte giocò un brutto scherzo ad Angelo Belloni. Un personaggio unico, che nella propria vita aveva affrontato avventure pericolose, era sopravvissuto ad incidenti terribili durante le sue sperimentazioni e alle due guerre mondiali, ma che morì travolto da un tram a Genova, proprio mentre si recava ad un convegno di sommozzatori”.
Acceso interventista durante la fase della neutralità italiana, il 4 ottobre 1914 compie un vero e proprio “atto di pirateria” impossessandosi – assieme ad una quindicina di marinai convinti di partecipare ad una missione segreta – di un sommergibile costiero costruito nei cantieri navali del Muggiano e destinato alla Marina russa (l’unità era contraddistinta solo dalla sigla di costruzione, F-43, se fosse stata consegnata avrebbe avuto il nome di Svyatoi Georgjy; sarebbe poi stato requisito dalla Regia Marina e iscritto al quadro del naviglio militare con il nome di ARGONAUTA).
Una rara immagine dell’ARGONAUTA in navigazione
LA CATTURA DEL SOTTOMARINO RUSSO FU UN VERO E PROPRIO ATTO DI PIRATERIA!
L’idea di Angelo Belloni era quella di attaccare unità della Marina austro-ungarica costringendo così l’Italia ad entrare in guerra. Il tentativo fallì, anche perché Belloni si recò prima in Corsica per rifornirsi di siluri e cercare l’appoggio della Marina francese, che, sentite le autorità italiane, bloccò il battello ad Ajaccio. Messo agli arresti, Belloni fu processato con l’accusa di “furto di sommergibile” e altre dodici imputazioni. In tempi normali sarebbe stato condannato, ma l’entrata in guerra dell’Italia e le sue indubbie capacità convinsero i giudici del tribunale militare ad assolverlo con formula piena. All’entrata in guerra dell’Italia, gli alti gradi della Marina dimenticarono i suoi difetti d’udito e lo richiamarono in servizio con il grado di sottotenente di vascello. Convinto dell’importanza del “sommergibile” e delle potenzialità militari insite nelle attrezzature subacquee, divenne ben presto sostenitore dell’arma sottomarina, tanto da essere destinato alla nuova specialità.
Il giornalista Simone Parma rievoca così l’impresa più famosa di Angelo Belloni, di quando rubò un sottomarino...
“Essere interventista fu sicuramente una di quelle cose rimaste cucite addosso a Belloni. Amico di D'Annunzio e dipendente della Fiat San Giorgio al cantiere del Muggiano di La Spezia, decise che era il momento di agire. Così ai primi di Ottobre del 1914, dovendosi occupare della consegna di un nuovo sommergibile alla Russia pensò bene di dirottarlo segretamente verso i porti austriaci dell'Adriatico con l'intento di affondare la flotta dell'impero e innescare la guerra con grande vantaggio italiano. Un'idea di cui erano all'oscuro persino i membri dell'equipaggio! Nessuno però, né i russi, né i francesi ne appoggiò l'avventura e il “comandante-pirata” dovette far rotta su Nizza dove si rifugiò in attesa di tempi migliori per ritornare in patria. Fu processato due mesi dopo con il singolare (e probabilmente unico) capo di imputazione di “furto di sommergibile”, ma venne assolto anche grazie al cambio di posizione dei giudici del Regno D'Italia, che nel frattempo era entrato in guerra. Se la cavò così con una semplice sgridata del patron della FIAT Giovanni Agnelli senior che lo ammonì così: «Ti sei comportato da cattivo impiegato!». Il sommergibile commerciale, la pesca delle perle e il telegramma dal Mar Rosso Dopo la Prima Guerra Mondiale Belloni non rimase con le mani in mano e acquistò il sommergibile “Ferraris”, ormai disarmato, per gettarsi in una nuova avventura: andare a pesca di perle nel Mar Rosso. Nel frattempo però lo stravagante inventore aveva incontrato l'amore della sua vita, Gabriella, la figlia del Senatore Vinassa de Regny, della quale chiese la mano con un telegramma inviato proprio dal suo sommergibile nel Mar Rosso! Il senatore non poté che apprezzare l'iniziativa e avallò le nozze dei due.”
Il sommergibile GALILEO FERRARIS
Belloni è ricordato anche per aver dato vita al Corpo degli Incursori Subacquei. Il 27 novembre 1917, mentre stava tornando alla base dopo una missione, il sommergibile Galileo Ferraris si incagliò un paio di miglia a settentrione della foce del Po di Gnocca. Una volta trainato a La Spezia, valutati i danni, si decise di procedere al disarmo del mezzo. Belloni, tuttavia, riuscì a convincere i vertici della Marina a utilizzare il sommergibile come mezzo “avvicinatore” degli incursori. Così nel febbraio 1919 il Ferraris, al comando di Belloni, iniziò una serie di prove nelle acque comprese tra La Spezia e Palmaria. Esaurite le risorse economiche a disposizione, la Regia Marina radiò il sommergibile il 15 dicembre 1919. Nel 1920, primo e unico caso della Marina italiana, il Belloni acquistò per centomila lire (dell’epoca!) il Galileo Ferraris, che fu classificato “sommergibile da commercio”. Con il Ferraris, Belloni ottenne dalla Regia Marina in affitto, con facoltà di acquisto, anche due vedette, il Cerboli, da 280 tonnellate e il Fortunale da 340, immatricolate come piropescherecci. Entrambe queste unità avrebbero dovuto svolgere il ruolo di unità d’appoggio al sommergibile nella nuova attività che il Belloni intendeva intraprendere, quella della ricerca di banchi perliferi e di pesca delle perle nel Mar Rosso. La sua intenzione prevedeva che il Ferraris si appoggiasse sul fondo, consentendo ad alcuni membri dell’equipaggio, con indosso una sorta di guaina di tessuto gommato ed impermeabile, dotata di cappuccio con oculari (quella che fu poi chiamato “vestito Belloni”) di uscire dallo scafo tramite un compartimento stagno e, camminando sul fondo, identificare i banchi perliferi. Ma l’ostilità dei pescatori, la scarsità dei banchi e la cattiva qualità delle perle, convinsero Belloni ad abbandonare il progetto. Decise quindi di impiegare il Ferraris nel recupero dei relitti e a tale scopo ottenne in prestito dalla Regia Marina un pontone e due vedette. Ma anche questa iniziativa non sortì grande successo: alla metà del 1921 il sommergibile venne parzialmente demolito per far fronte alle spese.
Il sommergibile GONDAR con due SLC (siluri a lenta corsa) alloggiati sul ponte di coperta.
Nella Seconda guerra mondiale, con il perfezionamento tecnico dei mezzi, si giunse ad eclatanti successi come quello della Baia di Suda (25-26 marzo 1941, a cui partecipò un altro pavese Angelo Cabrini) e all’impresa di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941, che privò per un lungo periodo la Royal Navy delle sue navi da battaglia nel Mediterraneo. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la X Flottiglia Mas, sotto il comando di Junio Valerio Borghese (1906-1974), rimase in gran parte bloccata a La Spezia, dove si riorganizzò in corpo franco, poi entrato nella Marina Nazionale Repubblicana. Gli elementi rimasti al sud, assieme a numerosi prigionieri rilasciati dai campi di prigionia alleati, riorganizzarono l’unità con il nuovo nome di “Mariassalto”, di base a Taranto e comandata dal capitano di fregata Ernesto Forza (1900-1975). Questa unità partecipò ad azioni al fianco delle unità alleate, come quella effettuata nella notte del 21 giugno 1944 nel porto di La Spezia che portò all’affondamento dell’incrociatore pesante Bolzano, ultimo superstite della sua classe, e all’ulteriore danneggiamento dell’incrociatore Gorizia, già in riparazione per i danni subiti in un bombardamento. In questo gruppo era inquadrato anche il reparto NP (Nuotatori Paracadutisti) del reggimento San Marco, che effettuò numerose operazioni d’infiltrazione dietro le linee nemiche, sbarcando da MAS italiani o da sommergibili. I Nuotatori Paracadutisti furono il primo reparto alleato ad entrare in Venezia il 30 aprile 1945. Nel 1954 il gruppo fu ricostituito con il nome di Comsubin (Comando Subacqueo Incursori), con base al Varignano di La Spezia).
Un operatore Gamma della X^ MAS indossa l’autorespiratore ad ossigeno di cui Angelo Belloni fu co-progettista.
Esisteva, all'epoca, un autorespiratore ad ossigeno a ciclo chiuso, chiamato maschera "Davis", che veniva utilizzato per le fuoriuscite dell'equipaggio da sommergibili in avaria. Tale autorespiratore, che aveva causato diversi incidenti (incidenti che avevano scosso la fiducia nell'uso dell'apparecchio stesso da parte del personale sommergibilista), aveva una scarsa autonomia e un'ancora più scarsa affidabilità.
A questi problemi lavorava il comandante Angelo Belloni, in servizio nel 1940 alla Direzione dei corsi e alla consulenza tecnica di una "Scuola Sommozzatori" istituita a Livorno. Questi, con l'aiuto dell’eroe Teseo Tesei, portò l'autonomia dell'autorespiratore da venti minuti a qualche ora (lo stesso Tesei rimase per tre ore e un quarto in immersione per testarlo) e soprattutto lo rese più affidabile: nel luglio 1936 venne approvato l'autorespiratore a lunga autonomia 49/bis.
Teseo Tesei vide nell'autorespiratore a ciclo chiuso il congegno che avrebbe dato nuova importanza al tipo di operazione che, nella prima guerra mondiale, Rossetti e Paolucci avevano, con successo, condotto contro la Viribus Unitis nel corso dell'Impresa di Pola. Egli pensò che, ora che l'uomo poteva andare sott'acqua, sott'acqua doveva portare la "Mignatta".
Dal http://www.difesa.it/ Riportiamo:
Il Raggruppamento Subacquei ed Incursori "Teseo Tesei" (COMSUBIN)
Il Comando militare il cui acronimo è tra i più conosciti al mondo è COM.SUB.IN., il Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militari. Costituito il 15 febbraio 1960 nella sua organizzazione attuale, per volontà dell'ammiraglio Gino Birindelli (Medaglia d'Oro al Valor Militare per l'operazione BG2 condotta con i Mezzi di Assalto della Marina durante la 2° guerra mondiale) è stato intitolato alla memoria Maggiore del Genio NavaleTeseo Tesei, anch'egli Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Oggi Comsubin è retto da un Ufficiale Ammiraglio dal quale dipendono:
• il Gruppo Operativo Incursori (G.O.I.), che costituisce l'unico reparto di Forze Speciali della Marina Militare erede degli uomini dei Mezzi di Assalto della Marina;
• il Gruppo Operativo Subacquei (G.O.S.), il reparto alle cui dipendenze sono posti i Palombari, gli operatori subacquei con le capacità d'immersione più spinte frutto di una tradizione residente in Marina da oltre 160 anni;
• l'Ufficio Studi, il cuore pulsante dello sviluppo tecnologico dei materiali e mezzi utilizzati dagli uomini dei Gruppi Operativi
• il Gruppo Scuole, suddiviso nelle scuole Subacquei, Incursori e di Medicina Subacquea ed Iperbarica, che oltre a selezionare e formare i nuovi Palombari, Incursori, Medici ed Infermieri, ha il compito di addestrare gli operatori subacquei di tutte le Forze Armate e Corpi di Polizia dello Stato;
• il Gruppo Navale Speciale, alle cui dipendenze sono poste tre Unità Navali (Aneto, Pedretti e Marino) che sono state progettate per fornire il supporto subacqueo al personale dei Gruppi Operativi e delle Scuole di Comsubin;
• il Quartier Generale del Raggruppamento, che assicura i servizi ed il mantenimento dell'efficienza del Comando al fine di consentire ai Gruppi sopra indicati di assolvere alla loro missione.
Il Comsubin ha sede nell'antica fortezza del Varignano la cui realizzazione si deve al Magistrato di Sanità della Repubblica Genovese che nel 1656 deliberò la costruzione di un grande Lazzaretto da erigersi sul tale promontorio. Successivamente con l'avvento di Napoleone, il Golfo della Spezia veniva dichiarato Porto Militare ed il Lazzaretto passò al servizio della Marina da Guerra francese (11 maggio 1808). Lì vi si installò la sede del Comando Militare del golfo e della guarnigione ed iniziarono gli studi per edificarvi un grandioso arsenale marittimo. Al termine dell'epoca napoleonica il Varignano passò prima sotto il Regno di Sardegna e, successivamente, sotto quello d'Italia divenendo celebre per aver ospitato nel 1862 il Generale Giuseppe Garibaldi. Nel 1888 terminava la funzione sanitaria delle strutture del Lazzaretto per assumere quella di Comando della Difesa Marittima locale e, successivamente, di Scuola del Corpo Reali Equipaggi di Marina per le categoria Torpedinieri e Radiotelegrafisti. Il Varignano è diventata la sede dei Palombari dal 1910, quando la Scuola Palombari sorta a Genova il 24 luglio 1849 vi venne trasferita, e degli Incursori dal 1952, quando venne costituita tale categoria dall'esperienza acquisita dai Mezzi di Assalto della Marina durante il secondo conflitto mondiale. Propulsore di quella che sarà l'epopea dei Mezzi d'Assalto italiani sarà il Maggiore del Genio Navale Teseo Tesei. Grazie alla considerevole esperienza nel settore subacqueo che la Marina possedeva già da oltre 80 anni, il Maggiore Tesei, unitamente al Maggiore Elios Toschi, idearono il "Siluro a Lenta Corsa" (S.L.C.) che fu immediatamente ribattezzato col termine "maiale" dallo spirito toscano di Tesei. Si trattava di un mezzo subacqueo che trasportava una carica esplosiva da oltre 200 Kg, in grado di muoversi sottacqua su brevi distanze, portando due operatori subacquei fin sotto le navi nemiche.
Nel 1938 presso il I° Gruppo Sommergibili si costituì così il Comando dei Mezzi d'Assalto, assumendo il nominativo di copertura I^ Flottiglia MAS, che venne cambiato in X^ Flottiglia MAS nel 1940.
Nel settembre di quell'anno venne istituita la prima Scuola Sommozzatori presso il porticciolo di San Leopoldo dell'Accademia Navale di Livorno che fu realizzata ed avviata da Angelo Belloni. In questa scuola vennero accentrati ufficiali e sottufficiali provenienti da tutte le categorie per essere addestrati all'uso dei primi autorespiratori ad ossigeno, inventati dal Belloni stesso. Lì venivano individuate le peculiarità dei singoli subacquei che determinavano la loro assegnazione al gruppo degli uomini Gamma oppure a quello dei Siluri a Lenta Corsa.
In particolare, coloro che avrebbero dovuto specializzarsi all'uso degli SLC venivano inviati nella base di Bocca di Serchio, sita in un luogo isolato di proprietà della famiglia Salviati, dove in gran segreto si addestravano per poter condurre le eroiche imprese che fecero scalpore in tutto il mondo.
Complessivamente, nel corso della seconda guerra mondiale (dal 10 giugno 1940 all'8 settembre 1943), gli uomini dei Mezzi d'Assalto della Regia Marina affondarono o danneggiarono gravemente naviglio da guerra per 72.190 tonnellate e naviglio mercantile per un totale di 130.572 tonnellate. Le prede più significative furono le corazzate Valiant e Quenn Elisabeth, colpite nella rada di Alessandria nella notte tra il 18 ed il 19 Dicembre 1941.
In riconoscimento del valore dimostrato dagli "Uomini dei mezzi d'assalto" della Marina Militare sono state assegnate:
la Medaglia d'Oro al Valor Militare allo stendardo della X^ Flottiglia MAS e successivamente alla bandiera del Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militare;
33 Medaglie d'Oro, 104 Medaglie d'Argento, 33 Medaglie di Bronzo al Valore Militare al personale dei "Mezzi d'Assalto" della Marina Militare (alla memoria o ai viventi).
Gli incursori della Marina oggi.
Seppur con notevole ritardo, le idee di Belloni propagandate fin dal 1914 in convegni e scritti, si fecero largo. Numerose le sue invenzioni, poi brevettate: come la “vasca” per le uscite di salvataggio dai sommergibili, il salvagente a cappuccio, il cappuccio a respiratore subacqueo, migliorie ai boccaporti di accesso ai sommergibili, la segnalazione ottica a distanza tra le navi. La sua fama di abile tecnico era così nota che nel 1940, nonostante avesse ormai 58 anni, la Regia Marina lo richiamò in servizio affidandogli la direzione della scuola per l’addestramento degli operatori subacquei del VARIGNANO. Insieme al maggiore del genio navale Teseo Tesei (1909-1941), gettò le basi della X Flottiglia Mas. Senza Belloni, le sue invenzioni e la sua insistenza nell’allestire la scuola sommozzatori, le coraggiose imprese compiute dagli operatori della X Mas, non sarebbero state possibili. L’idea originale di Belloni di impiegare dei guastatori subacquei che, fuoriuscendo da un sommergibile, potessero camminare sul fondo trasportando sulle spalle una carica esplosiva da collocare poi sotto le carene delle navi nemiche era stata, infatti, modificata, prevedendo di utilizzare nuotatori subacquei che, sempre uscendo da un sommergibile immerso o da appositi vani ricavati nella carena di una nave riuscissero ad avvicinarsi agli obiettivi e ad agganciare dei bauletti esplosivi alle alette antirollio delle navi nemiche. L’attacco alle navi inglesi prevedeva l’utilizzo dei siluri SLC (conosciuti come “maiali”) che venivano modificati per utilizzarli come moto subacquee. Il Varignano fu Scuola e Arena di grandi operatori subacquei, incursori ed eroi che riuscirono ad affondare e a danneggiare, grazie al loro coraggio, 72.000 tonnellate di naviglio da guerra e 130.000 di naviglio mercantile. Per questo pugno di uomini il nemico nutrì sempre la più grande ammirazione e non poca “invidia”, come più volte ammise lo stesso Churchill.
Preghiera dell'Assaltatore
“Prego bensì che l’una e l’altra cosa,
la vittoria e il ritorno, Tu conceda,
ma se una cosa sola, o Dio, darai, la vittoria concedi sola”
La dedizione di Angelo Belloni alla M.M. fu totale e questo spiega come tuttora il suo nome sia un mito, proprio al Varignano ed in pochi altri ambienti molto “riservati” della Marina ma che, incredibilmente, il suo nome sia quasi sconosciuto altrove.
Al termine della guerra Belloni collaborò con gli alleati allo sminamento di alcuni porti italiani, fino al momento in cui fu congedato dalla Marina con il grado di capitano di corvetta. Continuò quindi la collaborazione con la Pirelli, che aveva rilevato i suoi principali brevetti, e grazie ai diritti d’invenzione poté vivere dignitosamente e rivolgere le sue attenzioni, con oltre mezzo secolo d’anticipo, alle fonti di energia legate al mare e al sole, progettando una centrale ondo-idroelettrica, una centrale turboelettrica sottomarina e un distillatore d’acqua marina azionato dal sole. Trascorse gli ultimi undici anni della sua vita nel castello Frugone di Cavi di Lavagna. Morì il 9 marzo 1957, a Genova, travolto da un tram mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.
Qui sotto riportiamo un interessante passaggio Tratto da CORFOLE! del 3/2015.
“Il dimenticatoio politico: il militare davanti all'inventore. Anche se non fu impegnato direttamente in azioni belliche, il passato da militare fascista non ha permesso alla figura di Belloni di essere ricordata a dovere. È con un po' di nostalgia che il figlio Emanuele Belloni e il nipote Manfredi Vinassa de Regny ammettono che l'amministrazione di Lavagna ha sempre evitato di onorare la memoria del loro stravagante e geniale avo, nonostante le iniziative e la petizione del CIV di Cavi di Lavagna.
Il trasferimento a Lavagna alla ricerca del moto perpetuo e dell’energia pulita. Dopo aver collaborato ed essersi successivamente arruolato volontario durante il secondo conflitto mondiale con la Xª Flottiglia MAS, l'unità speciale della Regia Marina Italiana e poi della Repubblica Sociale Italiana, fu catturato insieme alla famiglia dai partigiani a Venezia e venne relegato in una piccola isola all'interno della laguna. Nel 1946 arrivò per la famiglia Belloni l'occasione di trasferirsi a Cavi di Lavagna, più precisamente nel Castello Frugone, che da lì in poi diverrà il laboratorio di idee dell'inventore Belloni.
Quel che è certo è che l'incredibile ingegno dell'ospite del Castello Frugone rimarrà in eredità a tutti noi e, chissà, magari verrà ricordato proprio a bordo uno di quegli ostelli acquatici che con così tanta passione aveva progettato nei lontani anni '50.
LA BIOGRAFIA INTEGRALE DI ANGELO BELLONI
Angelo Belloni nasce il 4 marzo del 1882 a Pavia. Il padre Cesare, è un agente di cambio, la madre, Aurelia Rossi della Volta, proviene da una famiglia di notabili di Genova. Alunno volenteroso e capace, frequenta a Pavia e Vigevano le scuole elementari. Gli studi superiori lo portano al Liceo Beccaria di Milano, dove è licenziato con onore nel giugno 1899. Brillante in molte materie, si distingue soprattutto in fisica. A diciassette anni prova ad entrare all’Accademia Navale di Livorno, ma viene scartato per insufficienza toracica. Si iscrive, così, al primo di anno di matematica presso il Collegio Ghislieri di Pavia e, per sviluppare i suoi muscoli, si sottopone ad un duro e costante allenamento di voga, presso la Società Canottieri del Ticino. Dopo solo un anno, tornato a Livorno, il 1 agosto 1900 viene finalmente ammesso al 1° anno dell’Accademia Navale, distinguendosi tra i primi allievi del suo corso. Nel 1903 è promosso Guardiamarina, ma si manifestano in lui i sintomi di una sordità incipiente, conseguenza di problemi alle orecchie da cui è affetto sin da bambino. Il suo primo imbarco sull’incrociatore Marco Polo nel 1904 lo porta in Estremo oriente. Con l’Elba arriva a Shangai e sulla Puglia raggiunge la Corea e il Giappone. A Chemulpo, in Corea, il recupero dell’incrociatore russo Variag costituisce il suo debutto in materia subacquea. A Shangai, forte della sua esperienza di canottiere, allena una squadra di 14 uomini portandola alla vittoria in una regata contro i soldati americani imbarcati sull’Oregon. Rientrato in patria dal 1905 è imbarcato sulle navi Morosini, Saint Bon e Benedetto Brin. Nel 1909 studia e brevetta il primo congegno di punteria a linea di mira indipendente e nel 1910 viene mandato prima a Brindisi e poi all’Officina Siluri di San Bartolomeo della Spezia. Aggregato alla missione di Collaudo dei nuovi siluri Whitehead ad aria calda, è inviato a Fiume, dove accosta studenti irredentisti, italiani e slavi, appassionandosi ardentemente alla loro causa. Avviato ad una brillante carriera tecnica e militare, viene ostacolato dai suoi problemi di sordità e, il 16 settembre del 1911, collocato in congedo provvisorio. Entra così in contatto con la Fiat San Giorgio, presso il cantiere del Muggiano alla Spezia, dove viene assunto nel 1911, con l’incarico di responsabile per i collaudi dei sommergibili. Per conto del cantiere, nel maggio 1914, si reca a Rio De Janeiro per consegnare tre sommergibili di tipo F (F1, F3 e F5) alla Marina brasiliana, dove lo coglie lo scoppio della Grande Guerra. Mal sopportando la neutralità italiana, aderisce con fervore alle idee interventiste, vedendo nel conflitto un’occasione per recuperare le terre “irredente”. Intuisce da subito le grandi potenzialità dell’impiego insidioso” dei sommergibili: un attacco alla flotta austriaca con tali mezzi, non solo porterebbe l’Italia a capovolgere le proprie alleanze con l’Austria, ma anche ad entrare nel conflitto dal quale si era tenuta fuori. E’ con l’animo pieno di fervore patriottico, dunque, che una volta rientrato al Muggiano ed incaricato del collaudo del sommergibile F43 (costruito per la Russia), decide di trafugare il mezzo, per tentare autonomamente l’attacco alla flotta Austro Ungarica, a Pola. Il 4 ottobre 2014, con un equipaggio ignaro dei suoi veri propositi, lascia il cantiere del Muggiano dirigendosi verso Ajaccio. La sua idea è quella di portare il mezzo nel porto belligerante più vicino, chiedere ai francesi il permesso di proseguire per Malta per imbarcare alcuni siluri e, dopo essersi accordato con i russi, tornare in Alto Adriatico e attaccare l’Austria. Ad Ajaccio i francesi gli permettono di proseguire il suo viaggio verso Malta, ma il trasferimento verso l’isola dura un solo giorno perché a causa del mare grosso e dei problemi con l’equipaggio è costretto a rientrare in Corsica. Qui, le autorità Francesi, temendo ripercussioni dallo stato italiano, requisiscono il sommergibile, ponendo fine sul nascere alla sua avventura. Messo agli arresti, nel dicembre 1914, viene processato per “furto di sommergibile” e altre 12 imputazioni. Il 27 febbraio 1915 viene assolto “perché il fatto non costituiva reato” e dopo pochi giorni richiamato in servizio, assegnato alla flottiglia sommergibili di Venezia, città dove ha inizio anche la sua amicizia con D’Annunzio. Durante la Grande Guerra Belloni partecipa ad innumerevoli missioni, avviando un periodo di sperimentazioni, con l’addestramento di sommozzatori autonomi, non più legati alla nave, dando vita al corpo degli incursori subacquei. Nel 1920 prende in affitto il sommergibile Galileo Ferraris, per dedicarsi alla pesca delle perle nel Mar Rosso; impresa audace e innovativa, interrotta nel 1921 per mancanza di fondi. Il viaggio è l’occasione per festeggiare le nozze con Gabriella Vinassa de Régny, con la quale avrà negli anni ben 7 figli. Rientrato in Italia Belloni riprende lo studio e le sperimentazioni dei mezzi e delle attrezzature subacquee. Partecipa a missioni di guerra nelle zone non smobilitate nell’Alto Adriatico, entrando a far parte della Divisione Sommergibili. Nel 1928 crea la “vasca” e il “cappuccio” Belloni, invenzioni straordinarie, che sperimenterà negli anni successivi, destinate a passare alla storia poiché cambieranno completamente il modo di affrontare il mondo sottomarino. Nel 1935, per diretto intervento di Mussolini e del Duca Amedeo d’Aosta, fonda la Scuola Sommozzatori; tra i primi allievi: Tesei, Dorello e Sirrentino. Il 29 agosto 1940 viene richiamato in servizio dal Congedo Assoluto, come 1° T.V. e Consulente Tecnico della Ia Flottiglia MAS, poi rinominata Xa, per creare e dirigere la prima “Scuola Palombari e Sommozzatori” a S. Leopoldo, Accademia Navale di Livorno. Gli anni del Secondo conflitto mondiale lo vedono impegnato tra addestramento e sperimentazioni, nell’ambito delle operazioni subacquee dei “maiali”. L’8 settembre 1943, restando fedele al Com.te Junio Valerio Borghese, aderisce alla repubblica Sociale, assumendo il ruolo di Consulente Tecnico e Comandante della Squadriglia di tre piccoli sommergibili “C A”. Il 10 marzo 1945 ottiene da Borghese di riprendere servizio presso il Nucleo Sommozzatori “Bocca Serchio” a Sant’Andrea (Venezia). Di lì a poco gli eventi modificheranno radicalmente il corso della storia d’Italia: la guerra finisce, Belloni viene arrestato dai partigiani e rinchiuso nel carcere di S. Maria Maggiore, con molti altri della Xa Flottiglia Mas. L’arrivo degli alleati cambia nuovamente il corso degli eventi: l’8 maggio del 1945 viene liberato dagli Anglo-Americani, che hanno bisogno della sua esperienza e collaborazione per la creazione di una Stazione Sperimentale Subacquea, nel Forte di Sant’Andrea. Come Technical Adviser della “Allied Navies Experimental Station”, con un gruppo di uomini “Gamma” mette a punto nuovi autorespiratori, dedicandosi all’arduo compito di sminamento della Laguna. Un anno dopo, il 1° luglio del 1946, gli Anglo-Americani lasciano sant’Andrea e consegnano la Stazione Sperimentale alla Marina Italiana. Belloni resterà in forza come Consulente Tecnico, mettendo a disposizione di Maricentrosub tutta la sua esperienza in materia, nonché la sua documentazione di 35 anni di attività subacquea. Negli anni successivi, Angelo Belloni continua a sviluppare e sperimentare apparati tecnici di ogni tipo, quasi sempre legati al mondo della subacquea, dando prova, ancora una volta, della sua immensa fantasia e capacità progettuale. Nell’ultima parte della sua vita, che trascorre nel castello Frugone di Cavi di Lavagna, si dedica, in anticipo di 50 anni, alle fonti di energia alternativa. Muore a Genova, il 9 marzo 1957, travolto da un tram che, a causa della sua sordità, non aveva sentito arrivare, mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.
Carlo GATTI
Rapallo, 18 Gennaio 2016
Bibliografia:
sito: STORIA IN NETWORK
sito: Army and Spy
sito: Enciclopedia Erlendur - I leggendari Comsubin italiani
sito: Corfole! Le notizie e gli eventi del Levante
sito: Città della Spezia. Ufficio Stampa