IL MUSEO DELLA "DISCOVERY"- DUNDEE (SCOZIA)

IL MUSEO DELLA "DISCOVERY!

(DUNDEE - SCOZIA)

Robert Falcon Scott in alta uniforme. Questa é la foto ufficiale che appare sul frontespizio: Scott's The Voyage of the Discovery (London 1905).

Nasce a Plymouth (Devon) Inghilterra il 6 giugno 1868. Muore a 43 anni il 29 marzo a Ross Ice Shelf in Antartico. Fu Naval Cadet sulla HMS Britannia. Fu Ufficiale della Marina Britannica ed Esploratore del Mar Antartico.


La “Discovery" è conosciuta come la nave del Capitano R.F. Scott.

La RRS Discovery fu utilizzata in diverse spedizioni nelle regioni antartiche, come cargo durante la prima guerra mondiale e come nave d’addestramento per boy-scout. Attualmente si trova in un museo nella città scozzese di Dundee dove la nave fu costruita.

Il 6 agosto 1901, cinque mesi dopo il varo, la nave  salpa dall’isola di Wight in direzione Antartide che raggiunge nel gennaio del 1902.

La prima missione fu complicatissima: dopo aver impiegato il primo mese per cartografare la costa, in preparazione dell’inverno, la nave gettò l’ancora nel canale McMurdo. Contrariamente al piano che prevedeva di trascorrervi l’inverno e poi salpare per una nuova zona, la nave rimase bloccata dal ghiaccio per i successivi due anni.

Nonostante la sosta forzata, la spedizione fu in grado di localizzare il Polo Sud Magnetico. L’equipaggio stabilì anche un record raggiungendo 82° 18′ Sud. Dopo molte peripezie la RRS Discovery riuscì a salpare verso l’Inghilterra e far ritorno a Spithead il 10 settembre 1904.

Dopo la Prima guerra mondiale ed una serie di aggiornamenti, venne utilizzata nei mari antartici per studiare la migrazione delle balene come parte del programma Discovery Investigations.

E fu allora che salì a bordo il nostro Mr. Howard, per lavorare all’operazione Banzare.

La spedizione BANZARE (British Australian (and) New Zealand Antarctic Research Expedition) si svolse tra gli anni 1929 e 1931 ed ebbe come scopo l’esplorazione geografica.

Durante la spedizione vennero effettuati anche brevi voli a bordo di un piccolo aeroplano. In particolare vennero mappate le regioni costiere delle terre di Mac Robertson e della principessa Elisabetta.


Dopo anni d’abbandono, nel 1979 la nave fu salvata dal Maritime Trust che la fece ormeggiare ad una banchina sul Tamigi e fu aperta al pubblico. Nel 1985 il Trust spese 500.000 £ per i restauri, dopo di ché la nave fu consegnata al Dundee Heritage Trust.

Il 28 marzo 1986 la Discovery lasciò Londra a bordo della nave mercantile Happy Mariner per compiere il suo ultimo viaggio verso la città che l’aveva costruita. Il 3 aprile 1986 la “preziosa reliquia” arrivò a Dundee (Scozia) sul fiume Tay.  L’imbarcazione ricevette una calorosa accoglienza dalla popolazione. Nel 1992 la DISCOVERY terminò le sue peregrinazioni presso un attracco sicuro, appositamente costruito per lei, per accogliere milioni di visitatori ai quali poter raccontare la sua affascinante storia. La nave è oggi l’attrazione principale del Discovery Point di Dundee.


Ecco come si presentava la RRS DISCOVERY nel 2005

La città ha anche scelto come soprannome The City of Discovery in onore della nave e della ricerca pionieristica fatta dalla locale università nel campo della medicina.

W.F.Howard era imbarcato (la foto è del 28 dicembre del 1930) sulla nave RRS Discovery

IL MUSEO

La maggior parte degli schermi del Discovery Point mostrano materiale della nave e della documentazione originale del National Antarctic Expedition Britannica imbarcata sulla Discovery nelle operazioni che hanno avuto luogo tra il 1901 e il 1904. 

La Spedizione fu organizzata sotto l'egida delle RGS e la Royal Society con l’obiettivo di ottenere risultati inediti nella ricerca scientifica e nell’esplorazione geografica dell’Oceano Antartico allora sconosciuto. L’impresa é stata certamente una pietra miliare nella storia del British Antartic esploration. La spedizione è stata salutata come un grande successo, nonostante sia stato necessario organizzare una missione di soccorso per liberare la Discovery dai pericolosi ghiacciai. L'età eroica delle Esplorazioni Polari iniziò proprio da quel periodo che, in molti casi, produssero massicci sforzi finanziari,  che non furono sempre positivi,  ma che tuttavia portarono l’Inghilterra e l’Europa a primeggiare nel campo scientifico. Il Museo raccolto a giri concentrici sotto
una vistosa cupola,
 è eccellente. I percorsi sono individuati a partire dalla costruzione della nave in legno, che é oltremodo dettagliata con i disegni e i piani della Discovery, alla sua realizzazione figurata per opera dei Maestri d’Ascia, Carpentieri e Calafati; la composizione in scala del motore con tutte le sue componenti meccaniche; numerosa la strumentazione di bordo e quella degli scienziati impegnati nella ricerca; pregevolissima la ricostruzione dell’ambiente polare, gli animali presenti, la vivibilità tra i ghiacci perenni ecc.. Molti schermi TV documentano e raccontano le varie fasi dell’impresa con le voci narranti dei protagonisti; 
viene narrata la storia della scoperta di una vasta base, la caccia alle balene e la realtà della vita quotidiana a bordo mostrando e descrivendo: cibo, alloggio, vestiario ed armi.

Una sala con schermo gigante presenta a ciclo continuo i membri dellop Stato Maggiore che illustrano la programmazione della spedizione con molti dettagli tecnico-scentifici.

I vari percorsi circolari sotto la cupola terminano in un ampio e frequentatissimo negozio di souvenir. Ottimo il centro di ristoro, ampio e ben fornito.

La documentazione fotografica del Museo la trovate nell’Album Fotografico a seguire.


Ernest Shackleton, Scott, e Edward Wilson prima della loro marcia verso il Polo Sud durante la Discovery Expedition del 2 novembre 1902

Il rifugio del Discovery presso HUT POINT

 

La mappa sotto rappresentata mostra le rotte intraprese da Scott (verde) e da Amundsen (rossa) nel 1911 - 1912



Capitan Scott mentre scrive il suo giornale nel rifugio di Cape Evan nell’inverno del 1911


Il gruppo di Scott fece questo autoscatto il 17 gennaio 1912, il giorno seguente in cui seppero che Amundsen aveva raggiunto il Polo Sud.


Roald Amudsen


La foto ritrae la croce eretta nel 1913 presso Observation Hill a ricordo del Comandante SCOTT e della sua spedizione.


La statua dedicata a R.F. SCOTT fu realizzata dalla vedova scultrice Kathleen Scott nel 1915

 

ALBUM FOTOGRAFICO DEL MUSEO

La DISCOVERY sulle taccate del Bacino di carenaggio

Prora e Bompresso

Vista completa dell'alberatura del DISCOVERY

Alberatura

Proravia

Scalandroni sezione centro nave

Sezione Poppiera

Murata di babbordo

Ruota del Timone principale con doppia Bussola magnetica

Sartie e Bigotte

La Ciminiera

Cime, Caviglie, Manica a vento e oblò

Ruota del Timone e Bussola Magnetica

Telegrafo di Macchina

Due turisti italiani...

Albero Maestro, particolari dell'attrezzatura

Sala Nautica

Sala Comando

Cabina di un Ufficiale

Pinguino del Polo Sud imbalsamato

Strumenti per la navigazione

Balena catturata

Cala del nostromo

Utensili del calafato

Utensili del carpentiere e del calafato

Carpentiere

 

Carlo GATTI

Rapallo, 18 luglio 2016

 

 

 

 

 

 

 


IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE

IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE

Marcella Rossi Patrone

Nel 2013, a qualche hanno dal ritrovamento, la dottoressa Valentina Ruzzin ha pubblicato un incantevole saggio di storia medievale: La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese. Al convegno dal titolo Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, tenutosi a Friburgo lo stesso anno, l’intervento genovese ha suscitato grande interesse per il valore scientifico della scoperta, presentata dalla stessa Ruzzin e contestualizzata dalla prof. Valeria Polonio. Abbiamo avuto il privilegio ed il piacere di incontrare entrambe; riteniamo valga la pena divulgare l’argomento.

L’autrice del saggio citato, che da oltre un decennio svolge ricerca storica sugli atti notarili liguri dei secoli XII-XV, ci spiega chiaramente cosa sia un portolano sacro, conosciuto tra gli esperti come Santa Parola: «Si tratta, volendola definire rapidamente nella sua sostanza, di una lunga preghiera in uso presso la marineria del medioevo, strutturata come un elenco di invocazioni volte ad impetrare il soccorso di Dio, di Maria, dei santi e dei beati patroni di alcuni particolari luoghi, il cui dettato è organizzato in prevalenza secondo un particolare itinerario geografico, che racchiude gran parte del mondo allora conosciuto». Fino al ritrovamento l’unico manoscritto tramandato risaliva ad un codice del tardo XV secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. L’esemplare genovese, rinvenuto dalla dottoressa Ruzzin presso l’Archivio di Stato di Genova col titolo di Bonna Parolla, è l’unica altra testimonianza di questa devozione marittima.

Se l’origine e la diffusione della Santa Parola rimangono sconosciute, il manoscritto di Firenze ne ha descritto chiaramente l’uso:

«Incomincia la Santa Parole (sic). Si dice in galea o nave o altra fusta quando fussino stati alcuno giorno sanza vedere terra».

Tutti sanno del legame tra i santuari ed il mare, che si manifesta in modi e situazioni differenti. Alcuni santuari prendono spesso il nome dal mare o da santi protettori dei marinai, a loro volta i marinai ricordano bene i santuari costieri cui rivolgere le loro preghiere. Gli ex voto marinari rimangono poi la più semplice e visibile testimonianza di questo legame.

Dalla Palestina il cristianesimo si diffuse precocemente e rapidamente lungo le coste liguri, affacciate sul mar Mediterraneo. La sua radicata presenza affiancò per secoli le relazioni politiche e commerciali connesse alla navigazione, lungo le rotte mediterranee da e verso la terraferma. Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, sotto il dominio bizantino, longobardo e carolingio le vie del mare non persero importanza: la navigazione di cabotaggio fu praticata con perizia e continuità anche prima del X secolo, quando decollò l’attività marittima ligure. Lungo la costa passava infatti la rotta che univa i porti tirrenici a quelli del mediterraneo occidentale ed i liguri non dimenticarono mai l’esperienza acquisita con Etruschi, Romani e Bizantini. La documentazione rimane scarsa, comunque lo attestano alcuni particolari episodi che ci piace ricordare. Alla fine del VII secolo il mondo mediterraneo si trovò diviso in mondo romano germanico, mondo bizantino e mondo arabo, nuova espressione di uno stato teocratico in rapida espansione territoriale. Nei primi decenni dell’VIII secolo gli arabi invasero la Sardegna e si impadronirono di Cagliari, dov’erano custoditi i resti di Sant’Agostino. Il re cattolico longobardo Liutprando ordinò allora una spedizione navale per metterli in salvo e sbarcarli a Genova, da dove furono trasferiti a Pavia. Successivamente Carlo Magno assegnò ai territori liguri la protezione delle coste, isole comprese, e non esitò ad inviare in Liguria un proprio notaio perché allestisse una flotta adeguata al trasporto di un elefante, un ingombrante dono diplomatico del califfo di Bagdad; l’elefante fu sbarcato a Portovenere e raggiunse incolume la corte imperiale, dove visse per anni. Alla fine del IX secolo il vescovo Sabatino mandò alcune navi a Sanremo, per salvare e custodire a Genova le reliquie di San Romolo, in pericolo per le incursioni degli arabi stanziati a Frassineto, in Provenza. Nell’Alto Medioevo, quindi, la tradizione marinara ligure perdurò in difesa della dignità civile e della libertà religiosa. Nel 934 una flotta araba arrivò ad assaltare e saccheggiare Genova e la reazione fu immediata: una spedizione navale annientò il nemico, recuperando prigionieri e bottino. Quest’unica aggressione, ricordata con enfasi dagli annalisti di ambo le parti, confermò la forza della città, che nei decenni successivi passò definitivamente al contrattacco. Da questo momento Genova prese a costruire la propria affermazione sul mare con la supremazia navale, cui aggiunse la creazione di un geniale sistema mercantile e finanziario. Si cominciò a navigare studiando gli astri, i venti, le correnti e le coste, utilizzando lo scandaglio. Il cabotaggio permise di orientare la navigazione e di fare il punto nave riconoscendo il litorale, ma anche di localizzare le correnti e le secche, gli approdi e gli scogli. Quando gli strumenti di bordo erano scarsi, si tendeva a non perdere di vista la terraferma, appoggiandosi alla memoria geografica ed al portolano, che nel Medioevo si affermò come un vero e proprio genere letterario. I portolani indicavano qualsiasi irregolarità costiera utile e descrivevano le manovre necessarie per evitare i pericoli, avvalendosi di una tradizione ininterrotta di uso ed esperienza. Il Medioevo fu permeato di una religiosità che coinvolse la vita privata e le relazioni sociali, il pensiero e la parola. Il mare ebbe un’importante dimensione religiosa, connessa innanzi tutto ai pellegrinaggi nei luoghi santi della cristianità ed alle crociate, che rappresentarono anche un’esperienza marittima. Tra tempeste e bonacce, in mare si era in continuo pericolo e si recitavano le preghiere dei naviganti. Scrive l’Anonimo Genovese alla fine del XIII secolo:

«Noi chi semper naveghemo

E ‘n perigor semo

En questo perigoloso mar,

ni mai possamo repossar,

no devemo uncha cesar

lo pietoso De pregar

che ne scampe, con soi santi,

da li perigoli, chi son tanti,

…..

non compaiono né stelle, né sole, né luna;

scuro è il cielo di questa tempesta;

e non abbiamo nemmeno la speranza

di poter giunger al porto;

…..

En sì greve ruyna

no savemo aotra meixina

de qual alcun de noi spere

se no far a De preghere,

chi za mai no abandona

chi ge fa pregera bonna

e in gran tribulacion

sa tosto dar salvacion».

Mentre si faceva pregera bonna, con grande conforto si riconoscevano le chiese allineate luogo la costa, come i grani di un rosario. Molteplici usanze religiose si associarono così alla navigazione ed i santuari punteggiarono le coste, destinatari di preghiere e insieme puntuali riferimenti per le rotte.

Da oltre un secolo gli storici studiano la litania della Santa Parola recitata dai marinai medievali, ma la ritrovata versione genovese mostra oggi alcune differenze rilevanti. Rispetto a quella toscana, considerata mutila, la litania ligure ha la stessa struttura, ma aggiunge un’introduzione, un’orazione conclusiva e, come illustra Valentina Ruzzin, ha alcune particolarità. Premesso che le due versioni presentano la stessa la forma, che forniscono entrambe testimonianze religiose, storiche, geografiche, sociali ed economiche, soffermiamoci solo sul testo genovese.

La Bonna Parolla si divide in due parti: nella prima, secondo l’ordine gerarchico, ci si rivolge ai santi più importanti ed a quelli dei naviganti; nella seconda, che è la più lunga, ci si rivolge ai titolari di particolari luoghi sacri, presenti lungo le coste mediterranee e atlantiche. La litania segue una vera e propria rotta, che parte dal vicino Oriente e continua verso l’Europa senza alcuna rappresentazione grafica, come accade nel portolano. Per questo motivo si parla oggi di portolano sacro.

Resoconti di navigazione attestano che la marineria genovese ricorreva a questa preghiera in situazioni pericolose, particolarmente quando mancava la visibilità. Citiamo ad esempio il caso di Anselmo Adorno, nobile fiammingo di origine genovese, che nel 1470 salpò da Genova su una nave diretta in Terrasanta. L’Adorno descrisse come, per una fitta nebbia al largo della Sicilia, tutti gli imbarcati avessero intonato per diverse sere la Santa Parola.

La Bonna Parolla, prima solo immaginata, è ora leggibile. Lo scorso autunno, in occasione della mostra documentaria Tutti i Genovesi del Mondo, l’archivio di Stato di Genova ha esposto in una teca questo manoscritto anonimo, come primo documento. Appare scritta ordinatamente, sia pur con qualche correzione, in cinque colonne, su un bifoglio filigranato di secondo utilizzo. Recentemente la prof. Valeria Polonio ha anche tenuto la pubblica conferenza Andare per mare nel Medioevo: il portolano sacro dei liguri (Genova, 10 marzo 2016 Accademia Ligure di Scienze e Lettere – Palazzo Ducale).

La preghiera ligure si apre con l’esortazione illuminante

« Ostae su, varendomi, e diremo la Bonna Parolla da pardie, che Deo ne fassa salvi ».

tradotto

« Funi su, valentuomini, e diciamo la Buona Parola da partire, affinché Dio ci faccia salvi ». (Ruzzin)

Era quindi detta da pardie, ovvero per partire e benedire la partenza, non solo quando si navigava in difficoltà. Spiega Valentina Ruzzin: «Pensata dai genovesi per essere detta alla partenza, l’originaria litania potrebbe essersi propagata altrove, non diversamente da quel che è accaduto con altre realtà della nautica mediterranea… Dal momento che la partenza pare dunque essere il vero fulcro della Bonna Parolla genovese, si è proceduto ad indagare sommariamente alcune fonti documentarie in questa direzione». Cosicché si va a scoprire che questa pratica era comune già nella Genova del XIV secolo, tanto che un secolo dopo venne utilizzata come decorrenza ufficiale dei giorni di servizio pagati dal Comune agli imbarcati sulle galee.

Dee n’aie (Dio ci aiuti), ripetevano i marinai genovesi ad ogni invocazione, iniziando a raccomandarsi per tre volte alla basilica del Santo Sepolcro, a Maria ed alla croce del Monte Calvario in Terrasanta, il vertice della devozione. Continuavano poi invocando i santi, 41 in ordine d’importanza, qui in ordine trascritti:

Sam Pee e Sam Pero de Roma

Sam Zoane Baptisto e lo Evangelisto

lo angero Sam Michael

lo angero Sam Raffael

lo angero Sam Carbie,

lo angero cherubim

lo angero serafim

lo apostolo Santo Andrea

lo apostolo mese Sam Iacomo

lo apostolo mese Sam Feripo

lo apostoro mese Sam Berthome

lo apostoro m(ese) Sam Simon e Iuda

lo apostoro m(ese) Sam Mathee

lo apostoro m(ese) Sam Tadee

lo apostoro m(ese) Sam Bernabe

lo apostoro m(ese) Sam Pee

lo apostoro m(ese) Sam Mathia

lo apostoro m(ese) ***

lo avangelista mese Sam Luca

lo avangelista mese Sam Marcho

lo evangelista mese Sama Zoane

lo evangelista mese Samb Mathee

lo martoro m(ese) Sam Lorenso

lo martoro m(ese) Sam Vicentio

lo martoro m(ese) Sam Sibastiam

lo martoro m(ese) Sam Stevam

lo martoro m(ese) Sam Fabian

lo docto m(ese) Sam Grigorio

lo docto m(ese) Sam Avostim

lo docto m(ese) Sam Anbroxio

lo docto m(ese) Sam Ieronimo

lo confesao m(ese) Sam Francesco

lo pricao m(ese) Sam Domeneg

lo barom m(ese) Santo Antogno Corposamto

lo barom m(ese) Santo Cristofam

lo acorreo mesamc Sam Micherozo

lo acorreo m(ese) Sam Theramo

lo cavare m(ese) Sam Zorzo

lo cavare m(ese) Sam Martino.

Nel terzultimo, Sam Theramo riconosciamo il protettore dei marinai Sant'Erasmo detto anche Sant’Elmo.

Da Oriente inizia poi il sacro itinerario, differente da quello toscano a volte per l’ordine d’invocazione, a volte per le località menzionate, a volte per le chiese menzionate. In volgare sono invocati ben 129 riferimenti e nell’ ordine si riconoscono:

1) il monastero di Santa Caterina,

1) il monastero di Santa Caterina, Monte Sinai

2) il monastero di Ayios Sabas, Alessandria d’Egitto

3) San Salvatore ?, Lattakieh

4) il monastero di Santa Maria, Monte Carmelo

5) la chiesa di San Giorgio (moschea al-Kidr), Beirut

6) il monastero di Stavrovouni

7) la chiesa di Santa Maria della Cava, Famagosta

8) la chiesa di San Giovanni, Rodi

9) la chiesa di Sant’Antonio, Rodi

10) il convento di San Francesco, Feodosija

11) la chiesa di San Michele, Pera (Istanbul)

12) Santa Sofia, Istanbul

13) la chiesa di Ayios Dimitrios, Thessaloniki

14) la chiesa di San Giorgio, Metilene

15) la chiesa di Sant’Isidoro, Chios

16) la chiesa di San Pantaleone, Chios

17) la chiesa di Santa Maria, Chios

18) la chiesa di Ayia Paraskevi, Candia

19) il monastero di San Michele, Capo Maleas

20) San Leone (?), Methoni

21) la chiesa di Sveti Vlaho, Dubrovnik

22) la chiesa di San Marco, Zara

23) la chiesa di San Marco, Venezia

24) la chiesa di San Ciriaco, Ancona

25) la chiesa di San Nicola, Bari

26) la basilica di San Michele Arcangelo,Monte Sant’Angelo

27) la chiesa di Santa Maria del Casale, Brindisi

28) la chiesa di San Cataldo, Taranto

29) la chiesa di Santa Maria di Leuca

30) la chiesa di Santa Maria della Scala, Messina

31) la chiesa di Santa Lucia, Siracusa

32) la chiesa di Sant’Agata, Catania

33) la chiesa di Santa Caterina, Malta

34) la cappella di San Dimitri, Garb, Gozo

35) San Cristoforo (?), Agrigento

36) Sant’Oberto (?), Sciacca

37) la chiesa Maria Santissima Annunziata, Trapani

38) la chiesa di Sant’Oliva, Palermo

39) la chiesa di San Bartolomeo, Lipari

40) la chiesa di Sant’Andrea, Amalfi

41) la chiesa di San Matteo, Salerno

42) la chiesa di San Costanzo, Capri

43) la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, Napoli

44) lachiesa di Santa Restituta, Ischia

45) la chiesa della Santissima Annunziata, Gaeta

46) la chiesa della Santissima Trinità, Gaeta

47) Sette pomi (?), Roma

48) Santa Fermina di Civitavecchia

49) la chiesa di Santa Manza, Bonifacio

50) il convento di San Francesco, Calvi

51) la cappella di Sant’Antonino, Ersa

52) San Nicola (?), Piombino

53) San Ranieri di Pisa (santo patrono)

54) la chiesa di Santa Maria della Spina, Pisa

55) il santuario di Santa Liberata, Cerreto Guidi, Firenze

56) Volto Santo, Lucca

57) Santa Zita, Lucca

58) San Francesco di Assisi, La Spezia (?)

59) monastero di San Venerio del Tino, La Spezia

60) l’ eremo di Sant’Antonio di Punta Mesco, La Spezia

61) la chiesa di San Francesco, Chiavari

62) la chiesa di San Michele, San Michele di Pagana, Genova

63) Santa Margherita Ligure, Genova

64) l’abazia di San Fruttuoso, Capodimonte, Genova

65) la chiesa di San Nicolò, Capodimonte, Genova

66) la chiesa di San Gerolamo, Quarto, Genova

67) la chiesa di San Giuliano, Albaro, Genova

68) la chiesa di San Siro e Lorenzo, Genova

69) la chiesa di Nostra Signora del Carmine, Genova

70) la chiesa di Santa Maria del Garbo in Polcevera, Genova

71) la chiesa di Santa Maria, Coronata, Genova

72) la chiesa di Sant’Andrea, Sestri, Genova

73) la chiesa di Sant’Ambrogio,

74) la chiesa di San Pietro, Vesima, Genova

75) la chiesa di San Nazario e Celso, Arenzano, Genova

76) il convento di San Domenico, Varazze, Savona

77) la chiesa di Santa Maria, Savona

78) la chiesa di San Paragorio, Noli, Savona

79) l’abazia di Santa Maria di Finalpia, Savona

80) la chiesa di Santa Margherita, Noli, Savona

81) la chiesa di San Martino, Albenga, Savona

82) la chiesa di Sant’Elmo, Diano Marina, Imperia

83) la chiesa di San Maurizio, Porto Maurizio, Imperia

84) la cappella di Saint-Hospice, Cap Ferrat

85) Île Saint-Honorat (località)

86) Île Sainte-Marguerite (località)

87) abazia di Saint-Victor, Marseille

88) Sant’Antonio abate (reliquie), Vienne

89) chiesa di Saint-Paul, Narbonne

90) la chiesa di Saint-Pierre, Villeneuve-lès-Maguelone

91) la chiesa de Santa Eulalia, Barcelona

92) il monastero di Santa María de Montserrat, Barcelona

93) la chiesa di Santa María (detta La Ceu), Palma de Mallorca

94) la chiesa di Sant Nicolau, Palma de Mallorca

95) la chiesa di Santa María, Minorca

96) la chiesa di Santa María la Mayor, Ibiza

97) la chiesa de la Asunción de Nuestra Señora, Valencia

98) il monasterio de San Ginés de la Jara, Cartagena

99) la chiesa di Santa Cruz, Cádiz

100) El Puerto de Santa María, Cádiz

101) la chiesa di Santa María de la Sede, Sevilla

102) la chiesa di Santa Ana, Triana, Sevilla

103) Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe, Cáceres

104) Sanlúcar de Barrameda

105) il santuario de Nuestra Señora de Regla, Chipiona

106) Cabo de São Vicente

107) San Giuliano (?), Lisbona

108) Sant’Eustachio (?), Isole Berlengas

109) monastero di San Estevo (?), Isla de Faro

110) eremo di San Guillermo, Finisterre

111) la chiesa di Nuestra Señora de la Blanca, Muxía

112) Santiago de Compostela

113) La Coruña

114) monastero di Saint-Mathieu, Pointe Saint-Mathieu

115) cappella di St Clare, Dartmouth

116) il convento di St Francis, Plymouth

117) il priorato di Belvoir, Belvoir, Leicestershire

118) l’abazia di Netley, Netley, Hampshire

119) la chiesa di St Paul, Londra

120) la chiesa di St Thomas, Canterbury

121) la chiesa di Holy Cross, Goodnestone, Kent

122) San Luigi di Francia

123) la chiesa di Saint-Denis, Parigi

124) Sinte-Katherine, Ostende

125) San Giovanni (?), Sluis

126) San Cristoforo (?), Sluis

127) la basilica du Saint-Sang, Bruges

128) Unserer Lieben Frauen St. Marien, Altenburg

129) Reichsabtei Weingarten, Weingarten.

Riusciamo a ricordare qualche chiesa o qualche località?

Per calarci nell’itinerario, su gentile concessione della dottoressa Valentina Ruzzin, replichiamo una delle quattro tavole geografiche della pubblicazione.

Scopriamo qualche punto?

 

 

Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione scaramantica, forse, di non semplice interpretazione. Si richiamano oggetti reali – il ghindazzo, la sentina, il timone – posti in condizione di pericolo o una serie di eventualità cui scampare. Tutto è comunque volto a richiedere a Dio una bonna nocte per tutti… Con le ultime parole della litania si chiede a Dio una notte quieta, un mare tranquillo, un vento sicuro. Sono probabilmente originali, le sole esclusive di questa preghiera; sono semplici e dirette. In fondo, ad una buona navigazione non si può aggiungere altro». (Ruzzin)

Concludendo, il ritrovamento della Bonna Parolla testimonia come a Genova la litania marinara fosse già recitata nel XIV secolo ed apre a nuove ricerche. Evidentemente una caratteristica del portolano sacro fu quella di modificarsi nel tempo ad opera dei marinai, secondo le particolari devozioni, le trasformazioni delle chiese, le diverse rotte. Siamo di fronte ad una pagina fondamentale della storia marinara italiana in Europa: una geografia sacra, dove la funzione religiosa si sposa a quella geografico-orientativa, dove i simboli diventano anche segnali. Accade ancor oggi nel mondo della navigazione. E non dimentichiamo che i pescatori, di generazione in generazione, hanno tramandato le posizioni di pesca ricorrendo a precisi punti d’orientamento a terra, tra cui le chiese ed i campanili che orlano le coste europee.

Ringraziamo allora i giovani studiosi genovesi, impegnati in progetti esemplari di ricerca e didattica, che oggi affrontano la ricchezza della storia medievale, ne trasmettono la vivacità ed offrono indispensabili strumenti per la comprensione del mondo attuale. Ringraziamo chi li sostiene.

Genova Nervi, 16 maggio 2016

Bibliografia:

Anonimo Genovese, Le poesie storiche, testo e versione italiana a cura di Jean Nicolas, Editore Casabianca (per conto dell’associazione “A Compagna” di Genova), Sanremo, 1983.

Bacci Michele, Rohde Martin (Edité par), Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, Colloque Fribourgeois 2013, De Gruyter, Germany, 2014.

Bacci Michele, Portolano sacro. Santuari e immagini sacre lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo tra tardo Medioevo e prima età moderna, in: E. Thunø and G. Wolf (eds.), The Miraculous Image in the Middle Ages and Renaissance, L’Erma di Bretschneider, Rome, 2004, pp. 223- 248.

Bellomo Elena, Sapere nautico e geografi a sacra alle radici dei portolani medievali (secoli XII-XIII) [a stampa in Dio, il mare e gli uomini, Quaderni di storia religiosa”, 15 (2008), pp. 215-241

Mannoni Tiziano, Quando il mare diventa una grande via di comunicazione, in Storia della cultura ligure, a cura di Dino Puncuh, 2, Genova 2004 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s. 118)Ruzzin Valentina, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, Atti della Società Ligure di Storia Patria, Brigati, Genova, 2013.

Ruzzin Valentina, Alcune osservazioni in merito al ritrovamento della Bonna Parolla genovese, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 221.

Polonio Valeria, La Liguria e la sua originalità: una variante del Portolano sacro, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 227.

 

Rapallo, 20 maggio 2016

 

 

 

 

 

 


RICORDO DI ANGELO BELLONI

RICORDO DI ANGELO BELLONI

'Uomini d'acciaio'

Rivierasco d’adozione, scelse Lavagna come dimora e “pensatoio”....

La Spezia - Prosegue, nell’ambito della mostra “Uomini d’Acciaio 1900-1920. La Spezia tra sogno e divenire”, il ciclo di conferenze tematiche dedicate ai personaggi illustri selezionati per l’esposizione.

Dopo Augusto Magli e Raffaele Rossetti, è la volta dunque di Angelo Belloni, poliedrica e geniale figura del nostro Novecento. A presentare il personaggio è la Fondazione Fincantieri, che ha raccolto parte dell’eredità lasciata da Belloni grazie all’attività di recupero e salvaguardia del patrimonio archivistico condotta dall’Archivio Storico del Muggiano.

La conferenza dal titolo “Angelo Belloni spirito del ferro e dell’acciaio” si terrà il 22 gennaio 2016 alle 17 presso l’auditorium del Camec (P.zza C. Battisti, 1 La Spezia) e sarà introdotta dai saluti di Roberto Alinghieri, presidente dell’Istituzione per i Servizi Culturali, e di Mauro Martinenzi, direttore della Fondazione Fincantieri.

Faranno seguito due interventi scientifici, il primo dedicato alla situazione sociale e politica del territorio nazionale alla vigilia dell’entrata in guerra, contributo dell’Avvocato Giovanni Pardi, dal titolo “L’Italia all’avvio della Grande Guerra”; il secondo di Gianpaolo Trucco, Capo Nucleo Pubblica Informazione di Comsubin dal titolo “Angelo Belloni: una vita per il mare” che esplorerà gli aspetti più creativi e avventurosi del genio Belloni.

In conclusione la testimonianza dei nipoti di Belloni, Niccolò e Angelo, che attraverso alcuni ricordi intimi e familiari, racconteranno le vita e le gesta del nonno.

Angelo Belloni é stato definito: Ufficiale di marina, sommergibilista, progettista e sperimentatore d’innovative apparecchiature navali. Angelo Belloni può essere considerato uno dei padri dei mezzi subacquei e del loro impiego in accoppiata con gli incursori della Marina. Tra i tanti personaggi ospitati nel Tigullio, A. Belloni fu il più poliedrico, eclettico e geniale. Da sommozzatore, inventò la tuta da palombaro, fu esploratore ed inventore ai limiti del fantascientifico, fu militare spavaldo ed infine dedicò molte energie come precursore dell’energia pulita e delle odierne forme di turismo...

ANGELO BELLONI tuttavia, compare raramente nella storiografia ufficiale italiana eppure, come vedremo, meriterebbe per il suo valore di essere conosciuto almeno dalla gente della “sua” Riviera, dove questo affascinante personaggio visse, progettò, sperimentò gran parte delle sue importanti invenzioni. Nacque  a Pavia nel 1882, ma scelse la Liguria come regione d’adozione. Trascorse gli ultimi 11 anni della sua vita a Lavagna, dove visse nel Castello Frugone. Morì in un incidente stradale a Genova nel 1957.

Angelo Belloni fu amico e ammiratore di Gabriele D’Annunzio dal quale trasse sicuramente ispirazione per le sue imprese esemplari per amor patrio e grande coraggio. Tuttavia, il nostro eroe rivierasco, al contrario del Vate che fu il precursore della pubblicità in grande stile, fu un uomo che scelse fin dall’inizio della sua carriera la difficile missione delle “operazioni segrete”, i cosiddetti “colpi di mano”, applicandosi anima e corpo allo studio di armi innovative in previsione di renderle efficaci nelle fasi di pericolo per la Patria.


La VASCA BELLONI

Dopo aver concepito nei primi anni del '900 la “Vasca Belloni”, il "Cappuccio Belloni", gli autorespiratori e le tute da salvataggio, l'inventiva di Belloni si scatenò una volta giunto a nella riviera ligure. Quel che salta subito agli occhi scorrendo l'elenco delle sue invenzioni è l'incredibile anticipo con cui si dedicò alla ricerca di un'energia pulita, pura e teoricamente inesauribile. Fu così che propose al primo cittadino di Lavagna - anche con una certa insistenza, ammette con un sorriso il figlio Emanuele - un meccanismo chiamato “ondopompa”, studiato per catturare l'energia sprigionata dalle onde e tramutarla in corrente elettrica. Progettò poi un impianto per la produzione di energia elettrica attraverso il calore solare (in pratica un'anticipazione dei moderni pannelli solari) e ancora un distillatore solare la cui alimentazione avveniva anche grazie all'acqua stessa che veniva distillata. La ricerca del moto perpetuo, era questo che lo muoveva e che lo portò a brevettare molte delle sue invenzioni, tanto che la Pirelli, con i proventi forniti per l'utilizzo dei suoi progetti, gli garantì una vita tranquilla sulla spiaggia lavagnese.

Del progetto di un ostello della gioventù galleggiante con tanto di box per le Vespa. Aprirsi al mondo! È questo che fece la famiglia Belloni una volta arrivata nel Castello Frugone di Cavi di Lavagna quando nel 1946 decise di aprirvi uno dei pochi Alberghi Italiani della Gioventù. Un'idea che mise in contatto la numerosa famiglia di Belloni, in particolare i suoi sette figli, con il resto del mondo. Belloni provò a tramutare questa iniziativa in un'incredibile invenzione, progettando la prima darsena galleggiante, un ostello galleggiante completamente autosufficiente dal punto di vista energetico e fornito addirittura di un box per Vespa. Un'idea che rimarrà tale perché nel '57 la sorte giocò un brutto scherzo ad Angelo Belloni. Un personaggio unico, che nella propria vita aveva affrontato avventure pericolose, era sopravvissuto ad incidenti terribili durante le sue sperimentazioni e alle due guerre mondiali, ma che morì travolto da un tram a Genova, proprio mentre si recava ad un convegno di sommozzatori”.

Acceso interventista durante la fase della neutralità italiana, il 4 ottobre 1914 compie un vero e proprio “atto di pirateria” impossessandosi – assieme ad una quindicina di marinai convinti di partecipare ad una missione segreta – di un sommergibile costiero costruito nei cantieri navali del Muggiano e destinato alla Marina russa (l’unità era contraddistinta solo dalla sigla di costruzione, F-43, se fosse stata consegnata avrebbe avuto il nome di Svyatoi Georgjy; sarebbe poi stato requisito dalla Regia Marina e iscritto al quadro del naviglio militare con il nome di ARGONAUTA).


Una rara immagine dell’ARGONAUTA in navigazione

LA CATTURA DEL SOTTOMARINO RUSSO FU UN VERO E PROPRIO ATTO DI PIRATERIA!

L’idea di Angelo Belloni era quella di attaccare unità della Marina austro-ungarica costringendo così l’Italia ad entrare in guerra. Il tentativo fallì, anche perché Belloni si recò prima in Corsica per rifornirsi di siluri e cercare l’appoggio della Marina francese, che, sentite le autorità italiane, bloccò il battello ad Ajaccio.
Messo agli arresti, Belloni fu processato con l’accusa di “furto di sommergibile” e altre dodici imputazioni. In tempi normali sarebbe stato condannato, ma l’entrata in guerra dell’Italia e le sue indubbie capacità convinsero i giudici del tribunale militare ad assolverlo con formula piena. All’entrata in guerra dell’Italia, gli alti gradi della Marina dimenticarono i suoi difetti d’udito e lo richiamarono in servizio con il grado di sottotenente di vascello.
Convinto dell’importanza del “sommergibile” e delle potenzialità militari insite nelle attrezzature subacquee, divenne ben presto sostenitore dell’arma sottomarina, tanto da essere destinato alla nuova specialità.

Il giornalista Simone Parma rievoca così l’impresa più famosa di Angelo Belloni, di quando rubò un sottomarino...

Essere interventista fu sicuramente una di quelle cose rimaste cucite addosso a Belloni. Amico di D'Annunzio e dipendente della Fiat San Giorgio al cantiere del Muggiano di La Spezia, decise che era il momento di agire. Così ai primi di Ottobre del 1914, dovendosi occupare della consegna di un nuovo sommergibile alla Russia pensò bene di dirottarlo segretamente verso i porti austriaci dell'Adriatico con l'intento di affondare la flotta dell'impero e innescare la guerra con grande vantaggio italiano. Un'idea di cui erano all'oscuro persino i membri dell'equipaggio! Nessuno però, né i russi, né i francesi ne appoggiò l'avventura e il “comandante-pirata” dovette far rotta su Nizza dove si rifugiò in attesa di tempi migliori per ritornare in patria. Fu processato due mesi dopo con il singolare (e probabilmente unico) capo di imputazione di “furto di sommergibile”, ma venne assolto anche grazie al cambio di posizione dei giudici del Regno D'Italia, che nel frattempo era entrato in guerra. Se la cavò così con una semplice sgridata del patron della FIAT Giovanni Agnelli senior che lo ammonì così: «Ti sei comportato da cattivo impiegato!». 

Il sommergibile commerciale, la pesca delle perle e il telegramma dal Mar Rosso Dopo la Prima Guerra Mondiale Belloni non rimase con le mani in mano e acquistò il sommergibile “Ferraris”, ormai disarmato, per gettarsi in una nuova avventura: andare a pesca di perle nel Mar Rosso. Nel frattempo però lo stravagante inventore aveva incontrato l'amore della sua vita, Gabriella, la figlia del Senatore Vinassa de Regny, della quale chiese la mano con un telegramma inviato proprio dal suo sommergibile nel Mar Rosso! Il senatore non poté che apprezzare l'iniziativa e avallò le nozze dei due.”


Il sommergibile GALILEO FERRARIS

Belloni è ricordato anche per aver dato vita al Corpo degli Incursori Subacquei. Il 27 novembre 1917, mentre stava tornando alla base dopo una missione, il sommergibile Galileo Ferraris si incagliò un paio di miglia a settentrione della foce del Po di Gnocca. Una volta trainato a La Spezia, valutati i danni, si decise di procedere al disarmo del mezzo. Belloni, tuttavia, riuscì a convincere i vertici della Marina a utilizzare il sommergibile come mezzo “avvicinatore” degli incursori. Così nel febbraio 1919 il Ferraris, al comando di Belloni, iniziò una serie di prove nelle acque comprese tra La Spezia e Palmaria.
Esaurite le risorse economiche a disposizione, la Regia Marina radiò il sommergibile il 15 dicembre 1919. Nel 1920, primo e unico caso della Marina italiana, il Belloni acquistò per centomila lire (dell’epoca!) il Galileo Ferraris, che fu classificato “sommergibile da commercio”. Con il Ferraris, Belloni ottenne dalla Regia Marina in affitto, con facoltà di acquisto, anche due vedette, il Cerboli, da 280 tonnellate e il Fortunale da 340, immatricolate come piropescherecci. Entrambe queste unità avrebbero dovuto svolgere il ruolo di unità d’appoggio al sommergibile nella nuova attività che il Belloni intendeva intraprendere, quella della ricerca di banchi perliferi e di pesca delle perle nel Mar Rosso. La sua intenzione prevedeva che il Ferraris si appoggiasse sul fondo, consentendo ad alcuni membri dell’equipaggio, con indosso una sorta di guaina di tessuto gommato ed impermeabile, dotata di cappuccio con oculari (quella che fu poi chiamato “vestito Belloni”) di uscire dallo scafo tramite un compartimento stagno e, camminando sul fondo, identificare i banchi perliferi. Ma l’ostilità dei pescatori, la scarsità dei banchi e la cattiva qualità delle perle, convinsero Belloni ad abbandonare il progetto.
 Decise quindi di impiegare il Ferraris nel recupero dei relitti e a tale scopo ottenne in prestito dalla Regia Marina un pontone e due vedette. Ma anche questa iniziativa non sortì grande successo: alla metà del 1921 il sommergibile venne parzialmente demolito per far fronte alle spese.


Il sommergibile GONDAR con due SLC (siluri a lenta corsa) alloggiati sul ponte di coperta.

Nella Seconda guerra mondiale, con il perfezionamento tecnico dei mezzi, si giunse ad eclatanti successi come quello della Baia di Suda (25-26 marzo 1941, a cui partecipò un altro pavese Angelo Cabrini) e all’impresa di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941, che privò per un lungo periodo la Royal Navy delle sue navi da battaglia nel Mediterraneo. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la X Flottiglia Mas, sotto il comando di Junio Valerio Borghese (1906-1974), rimase in gran parte bloccata a La Spezia, dove si riorganizzò in corpo franco, poi entrato nella Marina Nazionale Repubblicana.
Gli elementi rimasti al sud, assieme a numerosi prigionieri rilasciati dai campi di prigionia alleati, riorganizzarono l’unità con il nuovo nome di “Mariassalto”, di base a Taranto e comandata dal capitano di fregata Ernesto Forza (1900-1975). Questa unità partecipò ad azioni al fianco delle unità alleate, come quella effettuata nella notte del 21 giugno 1944 nel porto di La Spezia che portò all’affondamento dell’incrociatore pesante Bolzano, ultimo superstite della sua classe, e all’ulteriore danneggiamento dell’incrociatore Gorizia, già in riparazione per i danni subiti in un bombardamento.
In questo gruppo era inquadrato anche il reparto NP (Nuotatori Paracadutisti) del reggimento San Marco, che effettuò numerose operazioni d’infiltrazione dietro le linee nemiche, sbarcando da MAS italiani o da sommergibili. I Nuotatori Paracadutisti furono il primo reparto alleato ad entrare in Venezia il 30 aprile 1945. Nel 1954 il gruppo fu ricostituito con il nome di Comsubin (Comando Subacqueo Incursori), con base al Varignano di La Spezia).


Un operatore Gamma della X^ MAS indossa l’autorespiratore ad ossigeno di cui Angelo Belloni fu co-progettista.

Esisteva, all'epoca, un autorespiratore ad ossigeno a ciclo chiuso, chiamato maschera "Davis", che veniva utilizzato per le fuoriuscite dell'equipaggio da sommergibili in avaria. Tale autorespiratore, che aveva causato diversi incidenti (incidenti che avevano scosso la fiducia nell'uso dell'apparecchio stesso da parte del personale sommergibilista), aveva una scarsa autonomia e un'ancora più scarsa affidabilità.

A questi problemi lavorava il comandante Angelo Belloni, in servizio nel 1940 alla Direzione dei corsi e alla consulenza tecnica di una "Scuola Sommozzatori" istituita a Livorno. Questi, con l'aiuto dell’eroe Teseo Tesei, portò l'autonomia dell'autorespiratore da venti minuti a qualche ora (lo stesso Tesei rimase per tre ore e un quarto in immersione per testarlo) e soprattutto lo rese più affidabile: nel luglio 1936 venne approvato l'autorespiratore a lunga autonomia 49/bis.

Teseo Tesei vide nell'autorespiratore a ciclo chiuso il congegno che avrebbe dato nuova importanza al tipo di operazione che, nella prima guerra mondiale, Rossetti e Paolucci avevano, con successo, condotto contro la Viribus Unitis nel corso dell'Impresa di Pola. Egli pensò che, ora che l'uomo poteva andare sott'acqua, sott'acqua doveva portare la "Mignatta".


Dal http://www.difesa.it/ Riportiamo:


Il Raggruppamento Subacquei ed Incursori "Teseo Tesei" (COMSUBIN)

Il Comando militare il cui acronimo è tra i più conosciti al mondo è COM.SUB.IN., il  Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militari.  Costituito il 15 febbraio 1960 nella sua organizzazione attuale, per volontà dell'ammiraglio Gino Birindelli (Medaglia d'Oro al Valor Militare per l'operazione BG2 condotta con i Mezzi di Assalto della Marina durante la 2° guerra mondiale) è stato intitolato alla memoria Maggiore del Genio NavaleTeseo Tesei, anch'egli Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Oggi Comsubin è retto da un Ufficiale Ammiraglio dal quale dipendono:

il Gruppo Operativo Incursori (G.O.I.), che costituisce l'unico reparto di Forze Speciali della Marina Militare erede degli uomini dei Mezzi di Assalto della Marina;

il Gruppo Operativo Subacquei (G.O.S.), il reparto alle cui dipendenze sono posti i Palombari, gli operatori subacquei con le capacità d'immersione più spinte frutto di una tradizione residente in Marina da oltre 160 anni;

l'Ufficio Studi, il cuore pulsante dello sviluppo tecnologico dei materiali e mezzi utilizzati dagli uomini dei Gruppi Operativi

il Gruppo Scuole, suddiviso nelle scuole Subacquei, Incursori e di Medicina Subacquea ed Iperbarica, che oltre a selezionare e formare i nuovi Palombari, Incursori, Medici ed Infermieri, ha il compito di addestrare gli operatori subacquei di tutte le Forze Armate e Corpi di Polizia dello Stato;

il Gruppo Navale Speciale, alle cui dipendenze sono poste tre Unità Navali (Aneto, Pedretti e Marino) che sono state progettate per fornire il supporto subacqueo al personale dei Gruppi Operativi e delle Scuole di Comsubin;

il Quartier Generale del Raggruppamento, che assicura i servizi ed il mantenimento dell'efficienza del Comando al fine di consentire ai Gruppi sopra indicati di assolvere alla loro missione.

Il Comsubin ha sede nell'antica fortezza del Varignano la cui realizzazione si deve al Magistrato di Sanità della Repubblica Genovese che nel 1656 deliberò la costruzione di un grande Lazzaretto da erigersi sul tale promontorio. Successivamente con l'avvento di Napoleone, il Golfo della Spezia veniva dichiarato Porto Militare ed il Lazzaretto passò al servizio della Marina da Guerra francese (11 maggio 1808). Lì vi si installò la sede del Comando Militare del golfo e della guarnigione ed iniziarono gli studi per edificarvi un grandioso arsenale marittimo.

Al termine dell'epoca napoleonica il Varignano passò prima sotto il Regno di Sardegna e, successivamente, sotto quello d'Italia divenendo celebre per aver ospitato nel 1862 il Generale Giuseppe Garibaldi. 

Nel 1888 terminava la funzione sanitaria delle strutture del Lazzaretto per assumere quella di Comando della Difesa Marittima locale e, successivamente, di Scuola del Corpo Reali Equipaggi di Marina per le categoria Torpedinieri e Radiotelegrafisti. 

Il Varignano è diventata la sede dei Palombari dal 1910, quando la Scuola Palombari sorta a Genova il 24 luglio 1849 vi venne trasferita, e degli Incursori dal 1952, quando venne costituita tale categoria dall'esperienza acquisita dai Mezzi di Assalto della Marina durante il secondo conflitto mondiale. 

Propulsore di quella che sarà l'epopea dei Mezzi d'Assalto italiani sarà il Maggiore del Genio Navale Teseo Tesei.  Grazie alla considerevole esperienza nel settore subacqueo che la Marina possedeva già da oltre 80 anni, il Maggiore Tesei, unitamente al Maggiore Elios Toschi, idearono il "Siluro a Lenta Corsa" (S.L.C.) che fu immediatamente ribattezzato col termine "maiale" dallo spirito toscano di Tesei. 

Si trattava di un mezzo subacqueo che trasportava una carica esplosiva da oltre 200 Kg, in grado di muoversi sottacqua su brevi distanze, portando due operatori subacquei fin sotto le navi nemiche.

Nel 1938 presso il I° Gruppo Sommergibili si costituì così il Comando dei Mezzi d'Assalto, assumendo il nominativo di copertura I^ Flottiglia MAS, che venne cambiato in  X^ Flottiglia MAS nel 1940.

Nel settembre di quell'anno venne istituita la prima Scuola Sommozzatori presso il porticciolo di San Leopoldo dell'Accademia Navale di Livorno che fu realizzata ed avviata da Angelo Belloni. In questa scuola vennero accentrati ufficiali e sottufficiali provenienti da tutte le categorie per essere addestrati all'uso dei primi autorespiratori ad ossigeno, inventati dal Belloni stesso. Lì venivano individuate le peculiarità dei singoli subacquei che determinavano la loro assegnazione al gruppo degli uomini Gamma oppure a quello dei Siluri a Lenta Corsa.

In particolare, coloro che avrebbero dovuto specializzarsi all'uso degli SLC venivano inviati nella base di Bocca di Serchio, sita in un luogo isolato di proprietà della famiglia Salviati, dove in gran segreto si addestravano per poter condurre le eroiche imprese che fecero scalpore in tutto il mondo.

Complessivamente, nel corso della seconda guerra mondiale (dal 10 giugno 1940 all'8 settembre 1943), gli uomini dei Mezzi d'Assalto della Regia Marina affondarono o danneggiarono gravemente naviglio da guerra per 72.190 tonnellate e naviglio mercantile per un totale di 130.572 tonnellate. Le prede più significative furono le corazzate Valiant e Quenn Elisabeth, colpite nella rada di Alessandria nella notte tra il 18 ed il 19 Dicembre 1941.

In riconoscimento del valore dimostrato dagli "Uomini dei mezzi d'assalto" della Marina Militare sono state assegnate:

la Medaglia d'Oro al Valor Militare allo stendardo della X^ Flottiglia MAS e successivamente alla bandiera del Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militare;

33 Medaglie d'Oro, 104 Medaglie d'Argento, 33 Medaglie di Bronzo al Valore Militare  al personale dei "Mezzi d'Assalto" della Marina Militare (alla memoria o ai viventi).

Gli incursori della Marina oggi.

Seppur con notevole ritardo, le idee di Belloni propagandate fin dal 1914 in convegni e scritti, si fecero largo. Numerose le sue invenzioni, poi brevettate: come la “vasca” per le uscite di salvataggio dai sommergibili, il salvagente a cappuccio, il cappuccio a respiratore subacqueo, migliorie ai boccaporti di accesso ai sommergibili, la segnalazione ottica a distanza tra le navi.
La sua fama di abile tecnico era così nota che nel 1940, nonostante avesse ormai 58 anni, la Regia Marina lo richiamò in servizio affidandogli la direzione della scuola per l’addestramento degli operatori subacquei del VARIGNANO. Insieme al maggiore del genio navale Teseo Tesei (1909-1941), gettò le basi della X Flottiglia Mas. Senza Belloni, le sue invenzioni e la sua insistenza nell’allestire la scuola sommozzatori, le coraggiose imprese compiute dagli operatori della X Mas, non sarebbero state possibili. L’idea originale di Belloni di impiegare dei guastatori subacquei che, fuoriuscendo da un sommergibile, potessero camminare sul fondo trasportando sulle spalle una carica esplosiva da collocare poi sotto le carene delle navi nemiche era stata, infatti, modificata, prevedendo di utilizzare nuotatori subacquei che, sempre uscendo da un sommergibile immerso o da appositi vani ricavati nella carena di una nave riuscissero ad avvicinarsi agli obiettivi e ad agganciare dei bauletti esplosivi alle alette antirollio delle navi nemiche. L’attacco alle navi inglesi prevedeva l’utilizzo dei siluri SLC (conosciuti come “maiali”) che venivano modificati per utilizzarli come moto subacquee. Il Varignano fu Scuola e Arena di grandi operatori subacquei, incursori ed eroi che riuscirono ad affondare e a danneggiare, grazie al loro coraggio, 72.000 tonnellate di naviglio da guerra e 130.000 di naviglio mercantile. Per questo pugno di uomini il nemico nutrì sempre la più grande ammirazione e non poca “invidia”, come più volte ammise lo stesso Churchill.

Preghiera dell'Assaltatore

“Prego bensì che l’una e l’altra cosa,

la vittoria e il ritorno, Tu conceda,

ma se una cosa sola, o Dio, darai, la vittoria concedi sola”

La dedizione di Angelo Belloni alla M.M. fu totale e questo spiega come tuttora il suo nome sia un mito, proprio al Varignano ed in pochi altri ambienti molto “riservati” della Marina ma che, incredibilmente, il suo nome sia quasi sconosciuto altrove.

Al termine della guerra Belloni collaborò con gli alleati allo sminamento di alcuni porti italiani, fino al momento in cui fu congedato dalla Marina con il grado di capitano di corvetta. Continuò quindi la collaborazione con la Pirelli, che aveva rilevato i suoi principali brevetti, e grazie ai diritti d’invenzione poté vivere dignitosamente e rivolgere le sue attenzioni, con oltre mezzo secolo d’anticipo, alle fonti di energia legate al mare e al sole, progettando una centrale ondo-idroelettrica, una centrale turboelettrica sottomarina e un distillatore d’acqua marina azionato dal sole. Trascorse gli ultimi undici anni della sua vita nel castello Frugone di Cavi di Lavagna. Morì il 9 marzo 1957, a Genova, travolto da un tram mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.

Qui sotto riportiamo un interessante passaggio Tratto da CORFOLE! del 3/2015.

“Il dimenticatoio politico: il militare davanti all'inventore. Anche se non fu impegnato direttamente in azioni belliche, il passato da militare fascista non ha permesso alla figura di Belloni di essere ricordata a dovere. È con un po' di nostalgia che il figlio Emanuele  Belloni e il nipote Manfredi Vinassa de Regny ammettono che l'amministrazione di Lavagna ha sempre evitato di onorare la memoria del loro stravagante e geniale avo, nonostante le iniziative e la petizione del CIV di Cavi di Lavagna.


Il trasferimento a Lavagna alla ricerca del moto perpetuo e dell’energia pulita. Dopo aver collaborato ed essersi successivamente arruolato volontario durante il secondo conflitto mondiale con la Xª Flottiglia MAS, l'unità speciale della Regia Marina Italiana e poi della Repubblica Sociale Italiana, fu catturato insieme alla famiglia dai partigiani a Venezia e venne relegato in una piccola isola all'interno della laguna. Nel 1946 arrivò per la famiglia Belloni l'occasione di trasferirsi a Cavi di Lavagna, più precisamente nel Castello Frugone, che da lì in poi diverrà il laboratorio di idee dell'inventore Belloni.

Quel che è certo è che l'incredibile ingegno dell'ospite del Castello Frugone rimarrà in eredità a tutti noi e, chissà, magari verrà ricordato proprio a bordo uno di quegli ostelli acquatici che con così tanta passione aveva progettato nei lontani anni '50.

LA BIOGRAFIA INTEGRALE DI ANGELO BELLONI

Angelo Belloni nasce il 4 marzo del 1882 a Pavia.  Il padre Cesare, è un agente di cambio, la madre, Aurelia Rossi della Volta, proviene da una famiglia di notabili di Genova. 

Alunno volenteroso e capace, frequenta a Pavia e Vigevano le scuole elementari. Gli studi superiori lo portano al Liceo Beccaria di Milano, dove è licenziato con onore nel giugno 1899. Brillante in molte materie, si distingue soprattutto in fisica. 

A diciassette anni prova ad entrare all’Accademia Navale di Livorno, ma viene scartato per insufficienza toracica. Si iscrive, così, al primo di anno di matematica presso il Collegio Ghislieri di Pavia e, per sviluppare i suoi muscoli, si sottopone ad un duro e costante allenamento di voga, presso la Società Canottieri del Ticino. Dopo solo un anno, tornato a Livorno, il 1 agosto 1900 viene finalmente ammesso al 1° anno dell’Accademia Navale, distinguendosi tra i primi allievi del suo corso. Nel 1903 è promosso Guardiamarina, ma si manifestano in lui i sintomi di una sordità incipiente, conseguenza di problemi alle orecchie da cui è affetto sin da bambino.

Il suo primo imbarco sull’incrociatore Marco Polo nel 1904 lo porta in Estremo oriente. Con l’Elba arriva a Shangai e sulla Puglia raggiunge la Corea e il Giappone. A Chemulpo, in Corea, il recupero dell’incrociatore russo Variag costituisce il suo debutto in materia subacquea. A Shangai, forte della sua esperienza di canottiere, allena una squadra di 14 uomini portandola alla vittoria in una regata contro i soldati americani imbarcati sull’Oregon.

Rientrato in patria dal 1905 è imbarcato sulle navi Morosini, Saint Bon e Benedetto Brin. 

Nel 1909 studia e brevetta il primo congegno di punteria a linea di mira indipendente e nel 1910 viene mandato prima a Brindisi e poi all’Officina Siluri di San Bartolomeo della Spezia. 

Aggregato alla missione di Collaudo dei nuovi siluri Whitehead ad aria calda, è inviato a Fiume, dove accosta studenti irredentisti, italiani e slavi, appassionandosi ardentemente alla loro causa.

Avviato ad una brillante carriera tecnica e militare, viene ostacolato dai suoi problemi di sordità e, il 16 settembre del 1911, collocato in congedo provvisorio. 

Entra così in contatto con la Fiat San Giorgio, presso il cantiere del Muggiano alla Spezia, dove viene assunto nel 1911, con l’incarico di responsabile per i collaudi dei sommergibili. 

Per conto del cantiere, nel maggio 1914, si reca a Rio De Janeiro per consegnare tre sommergibili di tipo F (F1, F3 e F5) alla Marina brasiliana, dove lo coglie lo scoppio della Grande Guerra.

Mal sopportando la neutralità italiana, aderisce con fervore alle idee interventiste, vedendo nel conflitto un’occasione per recuperare le terre “irredente”. Intuisce da subito le grandi potenzialità dell’impiego insidioso” dei sommergibili: un attacco alla flotta austriaca con tali mezzi, non solo porterebbe l’Italia a capovolgere le proprie alleanze con l’Austria, ma anche ad entrare nel conflitto dal quale si era tenuta fuori.

E’ con l’animo pieno di fervore patriottico, dunque, che una volta rientrato al Muggiano ed incaricato del collaudo del sommergibile F43 (costruito per la Russia), decide di trafugare il mezzo, per tentare autonomamente l’attacco alla flotta Austro Ungarica, a Pola. 

Il 4 ottobre 2014, con un equipaggio ignaro dei suoi veri propositi, lascia il cantiere del Muggiano dirigendosi verso Ajaccio. La sua idea è quella di portare il mezzo nel porto belligerante più vicino, chiedere ai francesi il permesso di proseguire per Malta per imbarcare alcuni siluri e, dopo essersi accordato con i russi, tornare in Alto Adriatico e attaccare l’Austria.

Ad Ajaccio i francesi gli permettono di proseguire il suo viaggio verso Malta, ma il trasferimento verso l’isola dura un solo giorno perché a causa del mare grosso e dei problemi con l’equipaggio è costretto a rientrare in Corsica. Qui, le autorità Francesi, temendo ripercussioni dallo stato italiano, requisiscono il sommergibile, ponendo fine sul nascere alla sua avventura. Messo agli arresti, nel dicembre 1914, viene processato per “furto di sommergibile” e altre 12 imputazioni. 

Il 27 febbraio 1915 viene assolto “perché il fatto non costituiva reato” e dopo pochi giorni richiamato in servizio, assegnato alla flottiglia sommergibili di Venezia, città dove ha inizio anche la sua amicizia con D’Annunzio.

Durante la Grande Guerra Belloni partecipa ad innumerevoli missioni, avviando un periodo di sperimentazioni, con l’addestramento di sommozzatori autonomi, non più legati alla nave, dando vita al corpo degli incursori subacquei.

Nel 1920 prende in affitto il sommergibile Galileo Ferraris, per dedicarsi alla pesca delle perle nel Mar Rosso; impresa audace e innovativa, interrotta nel 1921 per mancanza di fondi. Il viaggio è l’occasione per festeggiare le nozze con Gabriella Vinassa de Régny, con la quale avrà negli anni ben 7 figli. 

Rientrato in Italia Belloni riprende lo studio e le sperimentazioni dei mezzi e delle attrezzature subacquee. Partecipa a missioni di guerra nelle zone non smobilitate nell’Alto Adriatico, entrando a far parte della Divisione Sommergibili.

Nel 1928 crea la “vasca” e il “cappuccio” Belloni, invenzioni straordinarie, che sperimenterà negli anni successivi, destinate a passare alla storia poiché cambieranno completamente il modo di affrontare il mondo sottomarino. 

Nel 1935, per diretto intervento di Mussolini e del Duca Amedeo d’Aosta, fonda la Scuola Sommozzatori; tra i primi allievi: Tesei, Dorello e Sirrentino.

Il 29 agosto 1940 viene richiamato in servizio dal Congedo Assoluto, come 1° T.V. e Consulente Tecnico della Ia Flottiglia MAS, poi rinominata Xa, per creare e dirigere la prima “Scuola Palombari e Sommozzatori” a S. Leopoldo, Accademia Navale di Livorno. 

Gli anni del Secondo conflitto mondiale lo vedono impegnato tra addestramento e sperimentazioni, nell’ambito delle operazioni subacquee dei “maiali”. 

L’8 settembre 1943, restando fedele al Com.te Junio Valerio Borghese, aderisce alla repubblica Sociale, assumendo il ruolo di Consulente Tecnico e Comandante della Squadriglia di tre piccoli sommergibili “C A”. 

Il 10 marzo 1945 ottiene da Borghese di riprendere servizio presso il Nucleo Sommozzatori “Bocca Serchio” a Sant’Andrea (Venezia). 

Di lì a poco gli eventi modificheranno radicalmente il corso della storia d’Italia: la guerra finisce, Belloni viene arrestato dai partigiani e rinchiuso nel carcere di S. Maria Maggiore, con molti altri della Xa Flottiglia Mas. 

L’arrivo degli alleati cambia nuovamente il corso degli eventi: l’8 maggio del 1945 viene liberato dagli Anglo-Americani, che hanno bisogno della sua esperienza e collaborazione per la creazione di una Stazione Sperimentale Subacquea, nel Forte di Sant’Andrea. Come Technical Adviser della “Allied Navies Experimental Station”, con un gruppo di uomini “Gamma” mette a punto nuovi autorespiratori, dedicandosi all’arduo compito di sminamento della Laguna. 

Un anno dopo, il 1° luglio del 1946, gli Anglo-Americani lasciano sant’Andrea e consegnano la Stazione Sperimentale alla Marina Italiana. Belloni resterà in forza come Consulente Tecnico, mettendo a disposizione di Maricentrosub tutta la sua esperienza in materia, nonché la sua documentazione di 35 anni di attività subacquea. 

Negli anni successivi, Angelo Belloni continua a sviluppare e sperimentare apparati tecnici di ogni tipo, quasi sempre legati al mondo della subacquea, dando prova, ancora una volta, della sua immensa fantasia e capacità progettuale.

Nell’ultima parte della sua vita, che trascorre nel castello Frugone di Cavi di Lavagna, si dedica, in anticipo di 50 anni, alle fonti di energia alternativa.

Muore a Genova, il 9 marzo 1957, travolto da un tram che, a causa della sua sordità, non aveva sentito arrivare, mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.

Carlo GATTI

Rapallo, 18 Gennaio 2016

Bibliografia:

sito: STORIA IN NETWORK

sito: Army and Spy

sito: Enciclopedia Erlendur - I leggendari Comsubin italiani

sito: Corfole! Le notizie e gli eventi del Levante

sito: Città della Spezia. Ufficio Stampa

 


SUL LAGO LEMANO, DAI VIGNETI ALLE GALEE GENOVESI

Chi cerca trova

si propone come un raccoglitore di argomenti che leghino la Svizzera a Genova ed alla Liguria. Chi cerca trova significa semplicemente cogliere uno spunto per mettere in moto una ricerca e creare un documentario, che apra la strada a relazioni e conoscenze spesso inaspettate.

di Andrea Patrone e Marcella Rossi Patrone


La Svizzera e la Liguria concentrano entrambe una varietà unica di attrazioni turistiche e percorsi suggestivi. Le più evidenti caratteristiche in comune sono l’asprezza del territorio ed il fascino del paesaggio.


Sfogliando il catalogo di Svizzera Turismo siamo rimasti colpiti da questa immagine: le terrazze viticole del Lavaux, nel Canton Vaud, una zona che si affaccia sulle sponde nord orientali del lago di Ginevra, più propriamente lago Lemano.


Questi vigneti a terrazza ci hanno immediatamente ricordato quelli sul mar Ligure delle Cinque Terre, che dal 1997 sono Patrimonio dell’Umanità dell’ UNESCO con questa motivazione:


Scopriamo allora che dal 2007 anche la regione viticola del Lavaux è Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, eletta con questa motivazione:



Da Svizzera unica


Nel 2011 la Posta Svizzera ha dedicato al Lavaux tre speciali francobolli affiancati, mentre nel 2013 le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo ordinario al Parco Nazionale delle Cinque Terre, nella serie tematica Parchi, giardini ed orti botanici d’Italia.

Entrambi i siti sono dunque zone eccezionali, dove la natura si incontra con il duro lavoro dell’uomo. Per sfruttare un soleggiamento ed un clima straordinari l’uomo ha inventato terrazze a picco sull’acqua, sorrette da muri in pietra.

Sotto i nostri occhi ci sono oggi due paesaggi fratelli, ricchi di storia e di fatica. Senza la presenza dei vigneti avrebbero un aspetto completamente diverso.


Il duro lavoro agricolo fu iniziato dai monaci benedettini e cistercensi, poi fu proseguito da generazioni di viticoltori. Nell’arco di millecinquecento anni i monaci ebbero un’influenza determinante sulla civiltà occidentale, non solo nelle attività di studio, ma anche nelle arti pratiche come l'agricoltura. Trasformarono terre disabitate in terre coltivate e furono i pionieri della produzione vinicola europea.

Tutti conosciamo il simbolismo che collega il cristianesimo alla vite e l’utilizzo liturgico del vino, ma i monaci andarono ben oltre: le proprietà viticole degli ordini monastici portarono continuità nella coltivazione, sedi di studio e sperimentazione, facile diffusione e trasmissione delle tecniche innovative. La viticoltura sistematica nel Lavaux si deve all’opera dei monaci cistercensi borgognoni, che avviarono i terrazzamenti dopo il Mille.

Sul Dizionario storico della Svizzera alla voce Cistercensi leggiamo: I cistercensi crearono un proprio sistema economico, nel quale ogni stabilimento aveva da cinque a 15 curtes (grangia), affidate soprattutto ai figli di contadini, i quali, come frati laici (i cosiddetti conversi), sfruttavano i terreni su vasta scala a seconda della posizione geografica - campicoltura nell'Altopiano, viticoltura lungo i laghi, allevamento nell'area Prealpina - e con metodi innovativi. Le eccedenze della produzione agricola e dei prodotti artigianali venivano vendute nei mercati cittadini. I cistercensi praticavano anche il commercio (sale, vino) e gli scambi finanziari.

Nell’Europa nel XII secolo erano presenti settecentoquarantadue monasteri cistercensi. Presso la città di Cheserex, nel Canton Vaud a 7 chilometri dal lago di Lemano, è ancora visitabile il convento di Bonmont, il primo convento in Svizzera entrato a far parte dell’ordine cistercense nell’anno 1131. Oggi è un monumento nazionale, aperto da Pasqua a ottobre per visite guidate e concerti.


I vigneti rimasero proprietà della Chiesa fino al XVI secolo, quando i Bernesi conquistarono il Vaud e vi insediarono i loro signori.

Prima del lavoro dei monaci benedettini, i 15 chilometri di vigneti terrazzati sul mare tra Levanto e La Spezia erano brulli, impervi e disabitati. Oggi sono famosi in tutto il Mondo come le Cinque Terre. Il monachesimo vi giunse presto, proveniente dall’abbazia di San Colombano a Bobbio. Tra il VII ed il X secolo Bobbio divenne un grande feudo monastico con possedimenti dal mar Ligure al Piemonte, ai laghi di Como e Garda, ai bacini del Ticino e del Po, fino al mar Adriatico. Il monachesimo si diffuse in Liguria anche nelle zone meno adatte ad accogliere importanti conventi, perché la regione funzionava da raccordo fra terraferma e mare. Oggi restano solo piccole testimonianze, tradizioni, nomi, ruderi. Eppure su una collina a 3 chilometri da Monterosso al Mare c’è ancora l’eremo benedettino di S. M. Maddalena, restaurato e divenuto residenza storica. Questo accolse i monaci benedettini dipendenti dal monastero di San Gerolamo della Cervara a Portofino. Fu titolato a S. Lorenzo in Terriccio ed è menzionato per la prima volta nel 1244. Non lontano dalle Cinque Terre, presso Talavorno in Lunigiana, si trovano invece i pochi resti del convento di S. Benedetto, menzionato per la prima volta nel 1014. Il convento e l’annessa casa del pellegrino sono ora casa colonica, mentre la chiesa è un rudere.


I monaci gettarono le basi dell’economia medievale, che attivò scambi via mare e via terra, sfruttando la navigazione lacustre.

Genova fu al centro del Mediterraneo ed il lago Lemano fu al centro delle comunicazioni terrestri europee.

E’ facile ora capire l’importanza ed i contatti che Genova ed il lago Lemano ebbero all’interno di tale sistema economico.

Il lago Lemano è il più grande lago dell’Europa occidentale.

Si trova per il 40% in Francia, nel dipartimento dell'Alta Savoia, e per il 60% in Svizzera.

Bagna il Canton Ginevra, il Canton Vallese e il Canton Vaud.


ECCO IL LAVAUX:



ECCO LE CITTA’ RIVIERASCHE:




Da oltre un secolo le città che si affacciano sul lago sono collegate tra loro da battelli. Dal 1873 opera la Compagnia Generale di Navigazione sul Lago Lemano (CGN), che ha sede a Losanna e fa navigare sedici imbarcazioni: dieci contemporanee e sei d’epoca.

Questa compagnia è conosciuta per i battelli a vapore Belle Époque, che dal 2011 sono parte dei monumenti storici del Canton Vaud.



Ma non è tutto. Sul lago naviga oggi la riproduzione semplificata di una galea mediterranea.



Si chiama La Liberté ed è stata costruita a Morges. Perché mai una galea in crociera sul Lemano? La Liberté ci ricorda che tra il XIII ed il XVIII secolo sul lago navigarono le galee dei Savoia, di Ginevra e di Berna. Ne ha disegnato le fattezze il dottore in scienze Oliver Gonet, nato sul Lemano. Gonet è pittore, scrittore e curatore di un interessante sito web.


Sebbene sui laghi svizzeri vi fosse una scarsa presenza di navi da guerra, a partire dal XIII secolo i Savoia mantennero una flottiglia sul lago, ormeggiata nel porto di Villeneuve, che serviva anche da cantiere navale. Successivamente la costruzione navale progredì grazie a Ginevrini, Bernesi e Zurighesi, per fronteggiare i savoiardi.

Il lago Lemano divenne un frequentato nodo commerciale presidiato da galee da guerra. In particolare il porto di Morges fu ultimato nel 1695 ad uso sia militare che commerciale.


Lago Lemano

Mappa disegnata nel 1635 dagli olandesi Willem e Joan Blaeu


Sapere che una galea mediterranea, parente delle antiche galee genovesi, naviga oggi sul lago Lemano, ci ha incuriositi a tal punto da progettare una visita a Morges, che dista da Genova circa 400 km.


L’efficiente rete autostradale svizzera ci ha permesso di raggiungere velocemente la costa nord orientale del Lemano e procedere direttamente fino a Morges, riconoscendo da lontano Villeneuve, Chillon, Montreaux, Vevey, Losanna, città costiere posizionate tra lago e vigneti.



Alla ricerca della galea La Liberté, la nostra prima tappa è stata quindi Morges, di fronte al maestoso Monte Bianco.


Siamo entrati in una città fiorita, con una grande strada pedonale ricca di mercatini, negozi e ristoranti, dove viene servito l’omonimo vino bianco.



Un castello medievale controlla il porto. Il castello fu fatto erigere dai Savoia nel 1286. E’ un classico esempio di quadrato savoiardo, ovvero fortificazione a pianta quadrata caratteristica della Savoia medievale, con la corte interna rialzata e quattro torri rotonde angolari a scopo difensivo.

Oggi ospita ben quattro musei: il Museo militare vodese, il Museo dell’artiglieria, il Museo della Gendarmeria vodese e il Museo svizzero delle figurine storiche.

Il castello di Morges ha una parte da protagonista nella storia vodese. Prima fu residenza dei conti e duchi di Savoia, poi dei funzionari bernesi.

A levante del porto c’è Quai Igor Stravinsky, la banchina in passeggiata a mare dedicata al famoso compositore russo, che visse in questa zona durante la prima guerra mondiale.



Qui ormeggia La Liberté, la galea, ovvero la nave utilizzata nel Mediterraneo per la guerra ed il commercio. Galea deriva dal greco γαλέoς ovvero squalo, perché lo scafo affusolato ne ricorda le sembianze. Dotata di remi e vele latine, era una nave agile e veloce.


La galea del Lemano naviga a scopo turistico e svolge un servizio di coinvolgenti crociere sul lago.

Siamo andati a vedere dov’è nata ed abbiamo passeggiato sul lungolago.



Varata a Morges nell’estate del 2001, alla presenza di oltre 45.000 spettatori, è stata costruita impiegando oltre 650 disoccupati, che hanno lavorato 5 anni per realizzarla, utilizzando le proprie competenze. E’ stata definita un sogno divenuto realtà.



Naviga a motore (110 passeggeri) ed a vela (60 passeggeri) con membri d’equipaggio. E’ dotata di due motori diesel da 150 CV, di 550m2 di vela e di 36 remi. Ogni remo necessita di tre vogatori.

Il progetto de La Liberté è nato nel 1992. Dopo due anni di progettazione e di ricerca finanziamenti, a Morges è stato costruito un cantiere navale.

Il libro Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, pubblicato dalla casa editrice Cabétita nel 1998, ha narrato e documentato questo sogno.


La casa editrice Cabédita, nata nel Canton Vaud, dal 1988 si dedica a pubblicare libri di storia, memoria e tradizione nella collana chiamata Archivi viventi.

Nel 2004 anche Genova ha avuto la ricostruzione della propria galea, esposta al Galata, il Museo del Mare costruito dov’era l’antico Arsenale. E’ la fedele riproduzione della galea genovese San Francesco, risalente al 1620. Lunga 42 metri e alta 9, è posta sullo scivolo usato nell’Arsenale per varare le navi. E’ possibile salirvi per esplorarla e viverla.

Solo un cenno sulla galea genovese: era un’imbarcazione veloce e manovrabile, lunga dai 40 ai 50 metri. Poteva avere a bordo più di 400 uomini. L'equipaggio era formato da: comandante, nostromo, ufficiali militari e di manovra, soldati, cambusiere, barbiere medico, calafato e circa 200 marinai.

Da Morges abbiamo inseguito la galea La Liberté,

percorrendo con l’auto il lungolago, fino …

antichissimo centro culturale e commerciale capoluogo del Canton Vaud.

abbiamo proseguito …

vere perle della riviera svizzera,

che si erge in riva al lago…

E’ uno straordinario edificio acquatico eretto su un’isola rocciosa, che fu protezione naturale e posizione strategica sugli antichissimi transiti tra il Nord e il Sud dell’Europa.

Da qui si possono percorrere stimolanti sentieri didattici che portano a conoscere la riviera.

Annotiamo che il lago Lemano fu una tappa della via Francigena.

L’arcivescovo di Canterbury Sigerico, di ritorno da Roma tra il 990 ed il 994, descrisse un percorso che verrà poi chiamato via Francigena.

La descrizione di Sigerico attesta che la via Francigena passava da Losanna, città commerciale fin dal VI secolo e sede vescovile, nota per la stupenda cattedrale medievale di Notre Dame.

E’ un documento fondamentale per la storia della comunicazione europea.

Il castello di Chillon esisteva già ai tempi di Sigerico. Apparteneva ai vescovi di Sion, capoluogo del Canton Vallese. Poi passò ai Savoia.

Secondo i documenti, dal 1150 il traffico navale sul Lago Lemano e la strada per il Passo del Gran San Bernardo erano controllati dalla Casa di Savoia, dinastia documentata dai primi anni del Mille.

Il territorio del Vaud dominava il Moncenisio ed il Gran San Bernardo, due rilevanti passaggi dei grandi itinerari commerciali. Era ottima fonte di reddito per i dazi doganali sulle merci trasportate. Per ragioni economiche e strategiche fu ampliato il castello. Nel 1214 fu fondata la città nuova di Chillon, l’odierna Villeneuve e fu eretta la chiesa di Saint-Paul, visibile oggi nella Grand-Rue. I Savoia mantennero una flotta e cantieri navali a Villeneuve.

I registri contabili di Chillon dell’anno 1258 citano l'esistenza di una galea appartenente al Conte di Savoia. Dal 1561 questi documenti sono a Torino, divenuta capitale del Ducato di Savoia.

I maestri d’ascia per dirigere il cantiere giunsero specialmente da Genova, nella cui area eccelleva la costruzione navale.

Sulla galea i soldati stavano a prua e dietro di loro c’erano le file dei rematori.

Con il vento favorevole, si issava la vela latina (triangolare) o le due vele latine sui due alberi di maestra al centro e di trinchetto a prua.

Il contabile del castello di Chillon annotò duecento “aulnes” di stoffa (quasi trecento metri quadrati) per confezionare le vele.

La galea più grande, varata verso il 1300, poteva portare fino a trecentottanta uomini.

Come nel Mediterraneo, dal XIII al XVIII secolo sul lago Lemano è testimoniata la navigazione di galee.

Venivano utilizzate per saccheggiare o proteggere le merci commerciate.

Le prime galee varate sul Lemano erano simili a quelle che combattevano nel Mediterraneo, ma furono adattate alle esigenze del lago.

Sul Lemano si combatterono delle vere battaglie navali e le galee ne furono protagoniste.


Nel 1536 il Vaud fu conquistato dai Bernesi ed il castello di Chillon divenne la residenza permanente del balivo, funzionario e rappresentante dell'autorità politica centrale.

Il territorio fu allora presidiato dalle galee bernesi Le Grand Ours e Le Petit Ours. Nel 1695 il porto di Morges fu ultimato per uso militare e commerciale. La flotta bernese venne disarmata alla fine del XVIII secolo. Nel 1803 fu fondato il Canton Vaud.

Una nota è dovuta.

Tutti sappiamo che la Svizzera com’è oggi risale al 1848. Prima è corretto parlare della storia di un mosaico di cantoni diversamente governati. I cantoni rurali tenevano un'assemblea popolare formata da tutti gli uomini dei comuni influenti e le funzioni amministrative prestigiose erano ricoperte da alcune famiglie. Nei cantoni di città come Zurigo, Basilea e Sciaffusa, l’amministrazione era affidata alle corporazioni. Altri cantoni di città come Berna, Lucerna, Friborgo, Soletta, erano gestiti dall’aristocrazia locale. I diversi cantoni si riunivano per discutere questioni comuni nella Dieta Federale, che trae le prime origini nel XIV secolo ed ancor prima dal Patto eterno confederale del Grütli tra le comunità di Uri, Svitto e Untervaldo.



Riportiamo le parole della professoressa Gabriella Airaldi, illustre medievalista genovese: …la marineria ligure ha una storia antica ed è l'unica tra quelle europee, che, molto prima di quella inglese, si sia proiettata nel mondo. In piena età medievale l'azione trainante svolta dal porto di Genova e dal network solido e interattivo di clan familiari…prevede, per una regione che diventa “porta” dell'Occidente europeo, un’inevitabile opzione marittima. Da quel momento in poi la Liguria diventa un centro di eccellenza per tutto ciò che ha a che vedere con la nave e la navigazione… Legati a una cultura dell'espansione e impegnati a sfidare orizzonti sempre più ampi i liguri sono obbligati all'approfondimento costante di strumenti e competenze tecniche essenziali, che non riguardano solo la loro cultura economica e uno shipping estremamente sofisticato, ma interessano tutto il territorio in funzione di una cantieristica sviluppata su tutta la costa, impegnata a elaborare e rielaborare costantemente una tipologia navale utile al cabotaggio o alla navigazione di lungo corso. … per quanto attiene i mestieri del mare le maestranze - dai maestri d'ascia ai calafati - sono assai richieste sul piano internazionale…

Così riemerge la storia dei maestri d’ascia liguri nel Castello di Chillon sul lago Lemano

Non a caso Lemano, secondo l’antica denominazione di origine greca Λιμένος Λίμνη, significa lago del porto.

λμνη [-ης, ] = lago, λιμν [-ένος, ] = porto.


Dai porti liguri ci si mosse quindi verso i porti svizzeri.

Non ci stupiranno ora le parole di Antonio Calegari, comandante della Marina Militare e Mercantile italiana, studioso di storia e letteratura navale, che nell’articolo Il passato di Rapallo sul mare scrisse: Rapallo manda persino sulle rive del Lemano alcuni suoi figli, un Sacolosi ed un Andreani, quali maestri d’ascia per la costruzione di galee sabaude.

 


 

Fonti:

Airaldi Gabriella, Sabedores de mar, in Genova Impresa, rivista, 2/2009

Archivio di Stato di Torino

Calegari Antonio, Il passato di Rapallo sul mare, in Il Mare, rivista 11 Luglio 1954

Collectif Auteur, Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, Edité par Cabédita, Yens-sur-Morges (Suisse) (1998)

Cox Eugene, The Green Count of Savoy: Amadeus VI and Transalpine Savoy in the Fourteenth Century, Princeton-New Jersey, Princeton University Press, 1967.

Dizionario Storico della Svizzera (DSS), Locarno, Armando Dadò editore, 2002

Gillard Charles La conquête du Pays de Vaud par les Bernois, in Dictionnaire historique de la Suisse, VII, s. v.

Gimpel Jean, The Medieval Machine: The Industrial Revolution of the Middle Ages Holt, Rinehart and Winston, Austin TX, 1976

Gonet Olivier, Lac Leman ou Lac de Genève - Le Léman: Son histoire, ses pirates, les galères savoyardes, sa géologie, l’eutrophisation - www.oliviergonet.com/

Kohler Eric Alain, Christian Reymond, Les Cahiers de la Bibliothéque de Chillon - N° 0 Le Léman des Voiles Latines, Exposition Château de Chillon, Mai-Juin 2005

Le Canton de Vaud 1803 - 1953, Ouvrage publié à l'occasion du cent cinquantième anniversaire de son entrée dans la Confédération , Edition Felix Perret, Lausanne, 1953

Naef Albert, La flottille de guerre de Chillon aux 13e et 14e siècles, Lausanne, 1904.

Penco Gregorio, Centri e movimenti monastici nella Liguria altomediovale, in: Benedictina vol. 10 (1956)

swissinfo.ch, unità aziendale internazionale della Società svizzeradi radiotelevisione (SRG SSR).


DRAGUT e la vita di bordo delle galee nel secolo XVI

 

DRAGUT

la drammatica vita a bordo delle galee

nel secolo XVI

La vita di bordo delle galee era alquanto dura. Quanto ingrata fosse la navigazione sui vascelli mercantili in quell'epoca possiamo intuirlo da un manoscritto del prosatore spagnolo frate Antonio da Guevara, vescovo, cronista e membro del consiglio di Carlo I ('Gli inventori dell'arte del navigare e dei molti lavori sulle galere', pubblicato a Pamplona nel 1579) nella quale sono raccolti vari appunti sul suo viaggio a Tunisi avvenuto nel 1536.

Quanto al vitto il vescovo segnalava che: "...l'acqua pulita, fresca di buon sapore non si trova, mentre è presente un'acqua calda, torbida, fangosa e spesso fetida" mentre "...se i passeggeri chiedono di bere talvolta vino debbono tacere e far finta di niente, anche se annacquato, torbido, acido, marcio, poco e caro...E ancora sul cibo aggiunge "...E' privilegio della galera che la carne che han ordinariamente da consumare sia carne secca di caprone, frattaglie di pecora, vacca salata, bufalo pressato elardo rancido; il tutto meglio mezzo crudo che cotto, meglio bruciato che arrostito meglio poco che molto. Posta sulla tavola la carne deve muovere nausea solo a guardarla, essere dura come il diavolo a masticarsi, salata come rabbia per essere mangiata, indigesta come come pietre per essere digerita".

"E' privilegio della galera che se il passeggero desidera mangiare un poco di carne, manzo o capretto fresco, la debba comprare dai soldati che la ebbero a rubare oppure avventurarsi a rubarne "gli stesso..."

Ed ecco un suo appunto relativo al pane: "...si trovano biscotti neri e duri, pieni di vermi, spesso coperti di ragnatele e qualche volta rosi dai sorci; la carne per lo piú è mal cotta, più dura del legno e più salata del sale, piú difficile da digerire che non una pietra".

Tornando al vitto, col nome biscotti si intendevano le gallette e, all'uopo, negli angiporti, c'erano appositi forni specializzati per quel tipo di panificazione destinata alle navi.

Il cibo era pressoché identico in tutte le marinerie dell’epoca e, ad esempio, la Repubblica di Genova passava ai suoi galeotti una razione di biscotto, dure gallette di circa mezzo chilo: in parte sotto forma di minestra a base di 'massamoro', un pastone di gallette polverizzate e, le restanti, intere.

La razione restava invariata sia d’estate sia d’inverno e in più, due volte il mese, era servita una minestra di riso, fave e olio, che veniva arricchita nelle festività, con l’aggiunta di una libbra di carne, 300 grammi circa, e un boccale di vino da 73 centilitri.

Un altro esempio? Vediamo come erano trattati i rematori.

Durante le battaglie dovevano restare incatenati e vogare secondo gli ordini, così da collaborare a facilitare le manovre per vincere e, se qualcuno di loro fosse stato ferito, per non sovrastare con i suoi lamenti gli ordini urlati dai responsabili, gli veniva infilato in bocca un grosso tappo di sughero.

Ecco un estratto di alcuni capitoli estrapolati dal volume di Emilio Carta "DRAGUT: le avventure dell'ammiraglio pirata nemico acerrimo di Andrea Doria" e legati al mare nel XVI secolo: come era la vita di bordo degli schiavi legati ai remi, come e cosa si mangiava e tante altre curiosità di sicuro interesse per il pubblico.

Dragut è stato un personaggio importante nello scacchiere mediterraneo di quei tempi e un grande rivale di Andrea Doria  ed Emilio Carta ha effettuato una seria ed attenta ricerca storica, anche attraverso diverse fonti turche, aggiundovi curiosità e aneddoti rivalutando insomma Dragut cui, per troppo tempo, è stato riservato un ruolo generico di pirata tout court. Sono convinto che sabato pomeriggio sarà una conversazione divertente".


Emilio CARTA


Rapallo, 31.12.2015




Göteborg -3-Indiaman GÖTHEBORG

L’INDIAMAN GÖTHEBORG

Una passeggiata a ritroso nel tempo

L’Indiaman Götheborg appartenne alla Compagnia Svedese delle Indie Orientali. L’originale si arenò il 22 settembre 1745 sulla scogliera di casa (Rivöfjorden),  di ritorno dal viaggio in Cina. L'incidente avvenne con mare calmo, tempo sereno e a mezzogiorno. Sono tuttora in corso degli studi per accertarne scientificamente le cause.

Nei due precedenti servizi abbiamo scoperto Göteborg: una città giovane, frizzante e vivace con 25 teatri, 19 musei, due università che contano oltre 60.000 studenti. Dopo Stoccolma, è la meta svedese che attrae più turisti stranieri con il famoso parco di divertimenti di Liseberg estesa su un'ampia superficie nel cuore della città, con attrazioni di tutti i tipi, ristoranti, negozi, spazi per concerti, spettacoli e giochi. Ma Göteborg é anche molto laboriosa. Seconda città della Svezia con mezzo milione di abitanti, pullula di cantieri e traffici portuali che si snodano ordinatamente lungo il fiume Göta Älv fino all’estuario.

In questo Paese modernità, efficienza e cultura si fondano con la storia del mare. Il collante si chiama “spirito marinaro” il cui profumo di pece, catrame, pitture di bordo, cordami e containers esotici permea le calate di questa magica città e ricorda al visitatore l’anima pellegrina della Svezia su tutti i mari del globo. Già, quel mare freddo e infido che nella sfida quotidiana con la gente di queste parti ha, tuttavia, concesso loro ricchezza, bellezza, stile e amore per una convivenza e tolleranza che non ha pari al mondo.

Storicamente la città fu la “porta principale” della Svezia per i traffici navali verso le Indie Orientali. Oggi, il desiderio collettivo di tenere in vita una parte importante della propria storia navale, ha da circa un ventennio  il suo simbolo più significativo nell’INDIAMAN GÖTHEBORG affondato 250 anni fa. La sua perfetta replica di veliero commerciale, porta lo stesso nome (antico) della città.

Il Götheborg appartenne alla Compagnia Svedese delle Indie Orientali. L’originale si arenò il 22 settembre 1745 sulla scogliera prospiciente il fiordo di casa (Rivöfjorden), di ritorno dal viaggio in Cina. L'incidente avvenne con mare calmo, tempo sereno  e a mezzogiorno.

Nel 1990, le Autorità decisero di ricostruire il Götheborg, ed il 6 giugno 2003 ci fu la cerimonia del varo. La replica del vascello fu eseguita rispettando la costruzione originale dello scafo, usando lo stesso materiale dell’epoca: alberi, sartie, vele, attrezzature nautiche ecc... tuttavia, la nave venne dotata anche di apparati moderni: due motori ausiliari per le manovre e per i servizi di bordo, impianti di refrigerazione, acqua potabile ecc...

Il 2 ottobre 2005 il Götheborg imbarcò l’equipaggio che era composto di 70 uomini e donne. Di questi più di 20 erano professionisti, altri 50 erano volontari. Pether Ribbefors, membro del Gothic Knights e Direttore del Museo Nazionale svedese, fece parte dell'equipaggio.

Cosa successe quel 12 settembre 1745 ?

Il veliero Götheborg originale, fu costruito nel cantiere Terranova di Stoccolma e fu varato nel 1738. Nonostante le dimensioni e lo scarso allenamento delle maestranze... dopo un anno e mezzo d’intenso lavoro, quel curioso vascello d’altri tempi era pronto  a sfidare gli oceani.

Fu chiamato Götheborg perché nel ‘700 la Compagnia delle Indie Orientali Svedese aveva il suo Quartiere Generale a Göteborg e tutti i viaggi per l’Oriente iniziavano e terminavano nella città portuale che portava il suo nome ed il compartimento navale. La nave aveva una portata di circa 830 tonnellate. Il maiden voyage ebbe inizio il 20 gennaio nel 1739. Il Götheborg fu armato con 30 cannoni (per la difesa anti pirateria) ed un equipaggio di 144 persone.

Divenuto ormai famoso nei Seven Seas, l’Indiaman aveva già concluso felicemente tre viaggi per la Cina, ma il 12 settembre 1745, dopo un viaggio di 30 mesi, concluse la sua giovane esistenza inabissandosi in un modo inspiegabile, dopo aver urtato in pieno giorno contro un banco roccioso vicino all’estuario dell’Älv. Gran parte del carico: tè, porcellana, spezie e seta fu recuperato e salvato. Una delle teorie più accreditate spiegherebbe l’affondamento con la posizione assunta dalla nave trovatasi improvvisamente incuneata tra due correnti diverse e contrarie, quindi “senza governo”: un fiume di acqua salata più pesante ed uno di acqua dolce più leggera. Da queste due forze di densità diversa, ne sarebbe risultata una terza che avrebbe spinto il veliero fuori rotta nonostante il vento fosse favorevole da SW (di poppa) e maneggevole come intensità.

Passarono più di 200 anni dal naufragio ed il Götheborg fu completamente dimenticato. Nel 1984, grazie al ritrovamento di un sacco contenente frammenti di porcellane da parte di alcuni subacquei, iniziò un’intensa opera di recupero che incuriosì l’opinione pubblica e, in seguito coinvolse poco alla volta tutti gli strati sociali della Västkusten e poi dell’intera Svezia. Si trattò per gli svedesi stessi di una strepitosa occasione di prendere coscienza del proprio passato navale. Nessuno all’inizio dell’avventura aveva immaginato che in breve tempo sarebbero sorte iniziative serie e molto costose tendenti a “ricostruire” quel pezzo di storia della  East India Company svedese con tanto fervore.

Fu intrapresa una ricognizione archeologica sottomarina con l'aiuto di oltre 100 volontari che fu supportata dall'industria svedese della Regione. Tra gli anni 1985 e 1993 il progetto ottenne un sostegno finanziario di circa 8 milioni di euro, mentre il lavoro dei volontari ebbe un finanziamento di circa 5 milioni.

Ben presto si consolidò l'idea di costruire una “replica” fedele all’originale, ma solo nel 1992 ebbero inizio i lavori costruttivi del nuovo Götheborg, per il quale fu necessario realizzare un nuovo Cantiere Navale denominato TERRANOVA (come quello originale di Stoccolma) nella parte Nord della città (Hisingen) con un ampio scalo e tutte le sezioni tecniche per la realizzazione dello scafo, degli alberi, delle vele e delle attrezzature nautiche.

Il varo avvenne il 6 giugno 2003 alla presenza del re Carlo XVI Gustavo, della Regina Silvia e del Principe Carlo Filippo in una spettacolare cornice di pubblico di oltre 90.000 spettatori e i media di tutto il mondo. Il 3 settembre 2004 la nave fu battezzata dalla regina Silvia, in una solenne cerimonia avvenuta fuori del Teatro dell’Opera House.

Il progetto “Nuovo Götheborg” fu gestito dalla Compagnia delle Indie Orientali Svedese, che tuttora fa parte di una Fondazione senza scopo di lucro.

Dopo circa due anni d’allestimento, finalmente tutta la Svezia poté raccogliersi entusiasta intorno all’attesa PARTENZA, a vele spiegate, del Götheborg: destinazione Cina. Una folla immensa, assiepata ovunque, assistette alla lunga processione d’imbarcazioni sul fiume a sirene spiegate che accompagnarono invelate e con il Gran Pavese, quell’anacronistico viaggio a ritroso nel tempo. La tradizione era emersa dagli abissi per dire ancora la sua nel mondo del commercio globalizzato. Fu una giornata memorabile!

Quella bella e possente nave di legno seguita da centinaia di barche in uscita dal porto di Göteborg, si ripropose il 9 giugno 2007 quando il vascello fece ritorno alla base destando lo stesso incredibile entusiasmo. Era passato un anno e mezzo e di quel giorno esistono ancora pittoresche testimonianze di chi rimase sugli scogli alla foce del fiume da quando spuntarono gli alberi all’orizzonte, fino a quando il vascello ormeggiò felicemente nel cuore della città.

Il primo viaggio di prova ebbe luogo il 22 marzo 2005. In seguito La nave visitò ben 56 città tra il 2005 e il 2010.

Da allora l’Indiaman si é cimentata ogni anno in numerose  spedizioni di rappresentanza in Svezia, Inghilterra, Irlanda, Francia ecc.. Nell'estate 2010 partecipò, ai festeggiamenti di nozze della Principessa ereditaria Vittoria.

Notevoli sforzi sono stati compiuti durante il periodo di progettazione e di costruzione per adeguare il veliero al concetto di sicurezza moderna. Ricostruire un modello antico in sintonia con gli standard moderni, é stata una sfida molto più difficile del previsto.  La nuova Götheborg soddisfa oggi elevate esigenze in materia di sicurezza, stabilità e robustezza disponendo di paratie stagne, isolamento antincendio e vie di fuga di emergenza. Un moderno motore ausiliario le consente di avanzare senza vento, di manovrare in emergenza e in fase di ormeggio e disormeggio in porto. Un motore diesel genera energia elettrica, attiva il sistema di ventilazione, mette in moto pompe si sentina e  antincendio, produce acqua potabile e permette l’esercizio delle cucine di bordo.

ALBUM FOTOGRAFICO


Il vascello Götheborg si avvicina a Stenpiren di Göteborg, il suo "ormeggio estivo" (Sommarförtöjningen), per il resto dell'anno la nave attracca a Eriksberg, dove il Grande Porto Canale incontra il fiume Gota, nel centro della città. Questo attracco è simbolico: in mezzo al Grande Porto Canale si trova un grande edificio, la sede della Compagnia delle Indie Orientali del 1700, ora prestigioso Museo della città. Vicino a questo edificio sono visibili chiatte e merci provenienti dall’Estremo Oriente. In questo suggestivo scenario, molti spedizionieri svedesi dell’epoca d’oro hanno ancora la loro sede.


In questa suggestiva immagine del 4 Giugno 2015, la Indiaman GÖTHEBORG salpa per la sua crociera estiva sulla costa occidentale norvegese. Il viaggio proseguirà per Bremerhaven e Amsterdam e alcuni porti inglesi. Il ritorno a Goteborg é previsto il 27 settembre 2015.


Ecco come si presenta l’ormeggio invernale dell’Indiaman GÖTHEBORG nel porto di Göteborg.

DATI NAVE

Lunghezza fuori tutta: 47,54 mt

Lunghezza totale compreso l’albero di bompresso: 58,5 mt

Altezza sopra la linea di galleggiamento: 47 mt

Larghezza: 10.84 mt

Superficie velica: 1964 m². Le vele di tela di lino inglese hanno iniziato la loro cucitura nella primavera del 2001.

Pescaggio a poppa: 5.25 m

Pescaggio a prua: 4,75 m

Zavorra: 292 tonnellate di piombo

Peso totale: 1.150 tonnellate

Motori: 2 Volvo Penta per il funzionamento dell'elica (405 kW).

Motori: 2 Volvo Penta A 180 funzionamento del generatore kW. (produzione di elettricità)

Eliche: 2 Rolls-Royce Seffle, a passo variabile.

Quattro serbatoi di carburante con una capacità totale di 36.000 litri di carburante.

Velocità media: 5-6 nodi (9-11 km / h), velocità massima di motore: 8 nodi (15 km / h)

Equipaggio: 80 (di cui 50-60 sono studenti).

Provviste per 80 persone  (60 giorni), e archiviazione di backup per 30 giorni.

Navigazione e strumenti di comunicazione: GPS, radar e Satcom B (terminale Inmarsat B).

Pompa acqua con capacità di produzione di 18.000 litri di acqua dolce al giorno.

10 cannoni (Salut). L'originale aveva 30 cannoni da 3 libbre come difesa contro i pirati o altre navi nemiche.

La polena di prora e le decorazioni a poppa, furono realizzate da Andy Peters di Oxford in Inghilterra.

Il viaggio in Cina, gli approdi

Domenica 2 Ottobre 2005 alle 13,45 il Götheborg lasciò il suo Home-port svedese e si diresse verso la Cina. Già nel fiordo Älvsborgsbron aveva una velocità di 9.7 nodi. Alle ore 21 del 3 issò arriva due vele di trinchetto.

Il Götheborg navigò lungo la rotta storica verso la Cina via:

Cadice (Spagna) 19 novembre 2005 - 28 Novembre 2005

Recife (Brasile) 30 dicembre 2005 - 10 Gennaio, 2006

Città del Capo (South Africa) 19 febbraio 2006 - 28 febbraio 2006

Porth Helizabeth (Sud Africa) - 9 marzo 2006 - 25 Mar 2006

Fremantle (Australia) - 13 maggio 2006 - 25 Maggio 2006

Jakarta (Indonesia) - 18 giugno 2006 - 28 Giugno 2006

Canton (Cina) - 18 luglio 2006 - 12 agosto 2006

Shanghai (Cina) - 24 agosto, 2006

Hong Kong (Cina) - 29 novembre 2006 - 12 DICEMBRE 2006

Singapore (Singapore) - 30 dicembre 2006 - 14 gennaio, 2007

Chennai (India) - 31 gennaio 2007 - 10 Febbraio 2007

Djibouti (Djibouti) -14 marzo 2007 - 17 marzo 2007

Alessandria d’Egitto - 1 Aprile 2007 - 3 Aprile 2007

Nizza (Francia) - 17 aprile 2007 - 24 aprile 2007

Londra (Regno Unito) - 19 maggio 2007 - 2 Giugno 2007

Göteborg (Svezia) - 9 Giugno, 2007

Il 21 luglio 2006 raggiunse finalmente l'obiettivo storico di arrivare a Canton (Cina) dopo quasi 20.000 Miglia Nautiche.

Il 9 giugno 2007 il Götheborg, dopo quasi 20 mesi complessivi di viaggio rientrò nella sua Göteborg ed ormeggiò al Pier 4 alle ore 18,30. A riceverla era presente il presidente cinese Hu Jintao e il Re Carl XVI Gustaf.

Carlo GATTI

Rapallo, 24 dicembre 2015


 




 



Göteborg-2-Il PORTO e la città

GÖTEBORG

la città figlia del mare

Göteborg é una città moderna che vive nel ricordo del suo passato marinaro. Il suo porto sulla costa occidentale della Svezia é il più importante della Scandinavia come traffici commerciali. La città, nella sua struttura urbana, caratterizzata dalla presenza di numerosi canali e ponti di collegamento che si estendono fra le colline della città, ricorda le città di San Francisco o Amsterdam. Ma il fascino della città scandinava è del tutto unico, rispetto alle simili città olandesi e americane, ma anche nei confronti degli altri centri della Svezia. La nostra gita a Göteborg ha avuto proprio il compito di cogliere le sue peculiarità usando lo scatto fotografico e la nostra innata curiosità. Buona lettura.

Poseidon

Storicamente la città fu la porta della Svezia per i traffici verso le Indie Orientali: nel porto resta la ricostruzione visitabile di un grande veliero commerciale affondato 250 anni fa (lo illustreremo in Göteborg-3), nonché un Museo della Navigazione (Sjöfartsmuseum) che descrive la gloriosa storia della marineria svedese, con esposizioni dedicate ai traffici, alla pesca e all'industria delle costruzioni navali. Nello stesso palazzo si trova anche l'acquario con pesci tropicali e ambientazione dell'habitat marino del Mare del Nord.

Stena Germanica

NOVHOTEL

Nelle due foto sopra si notano i ricchi palazzi monumentali degli armamenti e armatori svedesi lungo il Göta Älv.


Il Museo a cielo aperto Maritiman (a destra)

Attraccato lungo la Banchina Sud del fiume il Maritiman. Un Museo Marittimo a cielo aperto, in cui si possono visitare 19 navi galleggianti, dalla petroliera al Battello Fanale, dall'incrociatore lanciamissili Småland al sommergibile Nordkaparen e molti altri esemplari di naviglio nordico costiero e d’altura.

Cenni storici e geografici

Göteborg con mezzo milione di abitanti è la seconda città più popolosa della Svezia, dopo Stoccolma.  Situata nella contea di Västra Götaland e collocata nella provincia storica del Västergötland, sorge allo sbocco del fiume Göta, che sfocia sul Mare di Kattegatt, espandendosi geograficamente lungo l’intero sbocco del fiume fino a comprendere un arcipelago di rocce aride e scogliere, tipico delle coste selvagge del Bohuslän (isolotti di roccia, insenature e pittoreschi villaggi di pescatori). I ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza dei primi insediamenti umani già 8 mila anni fa, e la città deve il suo nome alla tribù germanica dei Geati che abitava la parte meridionale della moderna Svezia. Il fiume su cui sorge la città si chiama Göta Älv  (Fiume Göta), e Göta Borg è il forte/bastione costruito sulla foce del fiume per proteggere il porto, creato per essere la porta principale della Svezia per il commercio con l’occidente. Il porto fu attivo fin dal XII secolo, ma il borgo non fu vera e propria città fino al secolo XVI, quando un primo insediamento venne costruito dal re Carlo IX ad ovest del fiume Gota. Bisogna aspettare il 1612, data in cui Gustavo II Adolfo di Svezia costruì un nuovo insediamento alla foce del fiume secondo modelli olandesi, con strade e canali artificiali e una grande piazza, l’attuale Gustaf Adolfs Torg, vicino al canale principale.  Dal XVIII secolo comincia l’era d’oro della città, divenuta  porto principale della Svezia. Nel 1731 viene fondata infatti la Compagnia svedese delle Indie Orientali che avrebbe dovuto sviluppare il commercio con l’estremo oriente. Con l’avvento delle nuove tecnologie e l’aumento della concorrenza straniera, molti cantieri hanno oggi chiuso anche se il porto di Göteborg rimane il principale porto della Svezia. La città ha trasformato in parte la sua fonte di ricchezza nelle industrie manifatturiere, ed è sede di importanti aziende internazionali come SKF, Volvo ed Ericsson. Grazie all’influsso della corrente del golfo, la temperatura a Goteborg difficilmente in inverno scende sottozero, e le estati sono sempre molto fresche. Per muoversi in città in tutta comodità si può utilizzare la fitta rete tramviaria che la attraversa, la più grande d’Europa.

Parco divertimenti di Liseberg


In questa parte del Parco di Liseberg un tempo approdavano motovelieri per i loro traffici di cabotaggio. Oggi queste imbarcazioni fanno parte del paesaggio riportando alla luce la loro storia.

Hans, Gretel e la strega... (fratelli Grimm)


I caproni qui rappresentati fanno parte della ricca mitologia svedese

E’ sicuramente una delle attrazioni più visitate di Göteborg, a testimoniare anche la grande forza innovatrice che pervade tutta la città che in soli tre secoli di storia ha letteralmente trasformato più volte il proprio aspetto, adattandolo ai cambiamenti storici e culturali. Liseberg, a sud-est e a breve distanza dal centro, è il parco divertimenti più grande e più frequentato di tutto il Nord Europa, inserito in un magnifico scenario naturale, inserito nella top ten dei migliori dieci parchi divertimenti del mondo da Forbes Magazine nel 2005. Inaugurato nel 1923, oggi vanta oltre 50 tipi di attrazioni fra castelli incantati, giostre, giri d’acqua in canotto e montagne russe ed è visitato da oltre 3 milioni di persone e continua a essere acclamato come il più antico parco divertimenti della Svezia. Fra le attrazioni da non perdere, oltre alle montagne russe fra le migliori al mondo, l’Hotel dei fantasmi, un itinerario tra i corridoi di un albergo infestato. Oltre alla stagione estiva è possibile visitare il parco anche nei mesi invernali di novembre e dicembre, per le celebrazioni del Natale svedese, quando l’attrazione cardine diventa il mercatino di Natale, con la tradizionale cucina svedese, tra vin brûlé e specialità di carne di renna. Il parco è decorato da decine di giardini, il più recente dei quali è il Lisebergs Lustgård, una zona nuova con piante spettacolari intervallate da cascate e uno scenario naturale. Il parco ospita inoltre anche una sezione di sculture artistiche, concerti musicali ed esibizioni teatrali.

Il centro città

Il centro della città è vivo e giovane, e offre ai turisti una grande varietà di scelta fra eleganti caffetterie e locali alla moda, vicini a grandi centri commerciali. Qui si trova anche l’Università di Göteborg che con oltre 60 mila studenti è la più grande della Scandinavia e caratterizza lo spirito della città e ne anima le strade con eventi sportivi e musicali, soprattutto concerti rock, fiere e congressi. Per questo motivo Göteborg è spesso considerata come la città più accogliente di tutta la Svezia.


La Balena Blu imbalsamata

L'offerta culturale comprende il museo di Storia Naturale (Naturhistoriska Museet), con l'unica balena blu imbalsamata nel mondo, il museo d'Arte (Konstmuseum) con opere di maestri italiani come Veronese, Carracci, Canaletto e fiamminghi (Rembrandt, Rubens), il Museo di Arte Applicata e Design Industriale (Röhsska Museet) in un bell'edificio di inizio ‘900, il museo Etnografico (Ethnografiska Museet) con notevoli reperti sui Saami, la popolazione lappone della Svezia settentrionale.

Il cuore pulsante della città si trova nel grande viale di Göteborg (Kungsportsavenyn e comunemente noto come ‘avenyn’), ricco di negozi, gallerie d’arte, ristoranti, bar e alcune delle più importanti istituzioni culturali. Lo Stadsteatern (Teatro Comunale), il Konserthuset (la Sala Concerti), lo Stora Teatern (Teatro principale e uno dei più antichi della Svezia). Non lontano, sulla Christina Nilssons Gatan, si ammira uno dei teatri più moderni al mondo, la Opera House di Goteborg (1994) che ogni anno prevede un vasto programma di lirica, operette, musical, balletti e concerti.  A lato del viale troviamo anche il grande parco cittadino di Trädgårdsföreningen, con una collezione molto bella di rose (il rosarium più grande d’Europa). Il parco è anche conosciuto per la Palmhuset (Casa delle Palme), un insieme di serre in stile diciannovesimo secolo.  Ci troviamo lungo l’incrocio dei due principali canali di Göteborg, tra quello più grande, il Rosenlunds Kanalen, e il Stora Hamn Kanalen.

La cattedrale di Göteborg (Domkyrkan) è invece situata sulla Västa Hamngatan, nel versante nord. La piazza principale della città si chiama Gustav Adolfs Torg ed circondata da importanti monumenti storici: la Börsen (Borsa del cambio), la residenza Wenngren, il Stadshuset (il vecchio arsenale), il Municipio Rådhuset.

La visita delle città riserva ancora piacevoli sorprese: per una visione panoramica ci sono i bus turistici coperti o scoperti a seconda della stagione, oppure il vintage tram: una carrozza speciale vecchia di cent'anni, ma anche escursioni sull'acqua con i battelli Paddan in partenza da  Kungsportsbron, costruiti per passare sotto ponti bassissimi. In un'ora si visitano tutte le vie d'acqua della città e si naviga nel porto commerciale sul fiume, sulle cui banchine gli architetti si sono sbizzarriti nel ridisegnare il profilo della città con il celebre palazzo dell'Opera, che ricorda le grandi navi oceaniche.

Göteborg e il suo porto

L’area del porto Lilla Bommen è dominata dalla Göteborg-Utkiken, il grattacielo dell’architetto Ralph Erskine, a strisce bianche e rosse, é familiarmente chiamato "il rossetto", domina la città dalla sua altezza di 86 metri. Da qui si può godere di uno dei panorami più belli di Goteborg. Un’altra grande attrazione è il Barken Viking, la più grande nave a vela commerciale mai costruita in Scandinavia a cui abbiamo dedicato la prima parte di questo viaggio. Salvata dalla demolizione dal governo scandinavo nel 1940, è una delle maggiori attrazioni turistiche della città ed ospita all’interno un albergo, un ristorante e una caffetteria. Attualmente l’ormeggio di questa magnifica nave a palo si trova nell’ambito portuale di Lilla Bommen vicino al “rossetto”.

Feskekörkan

Sorprendente é pure la sconsacrata "chiesa del pesce", un edificio neogotico di fine ‘800 con tetti spioventi, contrafforti e bovindi che ospita il mercato dove si possono comperare o degustare sul posto sgombri freschi del mare del Nord, gamberi, aragoste e i più delicati frutti di mare.

Nell’area del porto si possono visitare anche i cantieri navali di Terra Nova, nella zona di Majnabben per ripercorrere la storia navale della città con lo storico veliero Ostindiefararen Gotherborg, che apparteneva alla Compagnia Svedese delle Indie Orientali.

La Darsena dei Piloti di Göteborg


Il piloti del porto di Göteborg sono 24 e si alternano nel pilotaggio: mare, fiume, porto. A causa degli spazi ristretti, devono anch’essi lottare contro il “gigantismo navale” esattamente come i loro colleghi genovesi, amburghesi  ecc... Siamo stati invitati ed ospitati con grande cordialità e promesse di rivederci per approfondire le problematiche tecniche organizzative e di manovra.


A sinistra un bella pilotina d’altomare


La pilotina di Marstrand (la Portofino svedese)


Potenti rimorchiatori in attesa della chiamata

December 28, 2015 by G-Captain

MSC MAYA

Ship Photo of the Day – Port of Gothenburg Welcomes World’s Largest Containership

On December 21, 2015, Mediterranean Shipping Company’s Ultra-Large Containership (ULCS) MSC Maya called at APM Terminals Gothenburg, becoming the largest containership ever to call in Sweden.

With 19,224 TEU capacity, MSC Maya ranks as one of the world’s biggest containerships by carrying capacity and measures 396 meters-long with a draft of 16 meters. The vessel arrived from the Port of Bremerhaven as part of the regular port rotation of the Maersk Line/Mediterranean Shipping Company AE-2/Swan Far East/North Europe Service in the 2M alliance.

The Port of Gothenburg is the only port in Sweden that can accommodate ships of this size. Since 2012, APM Terminals has planned to invest $115 million in the facility to establish Gothenburg as a deep-water hub for Scandinavia and the Baltic area. Gothenburg’s overall container throughput was 837,000 TEUs in 2014, with APM Terminals Gothenburg handling 759,000 TEUs, or approximately half of all Swedish container traffic for the year.

The MSC Maya is the fourth of 20 planned Oscar-class ULCSs’ for MSC. In January 2016, APM Terminals Gothenburg will also host the MSC Zoe, sister ship to MSC Maya.


Impianto per il collaudo dei mezzi di salvataggio navali

Molti castelli e fortezze nordiche sono adattati ad alberghi, ristoranti aperti tutto l'anno. Un esempio da seguire? Direi proprio di sì.


Sbarco alla Fortezza



Le Segrete


L’entrata del canale e porto di Goteborg vista dal Forte Älvborg. Sullo sfondo a sinistra il grande Terminal-containers dove inizia la vera e propria aerea commerciale del porto. Sulla sponda opposta i Servizi Nautici, Agenzie, Armamenti ecc...


L’interno della fortezza é adibito a Ristorante ed é frequentatissimo. Nella foto la sala da pranzo che nel ‘700 ospitava le camerate dei soldati.



Self service


Questo lungo ponte "Älvsborgsbron" collega le due sponde della città.

Della Göteborg più antica rimane poco. Sempre nella zona del porto troviamo la fortezza di Älvsborg alla foce del fiume Göta Älv. Serviva per proteggere l’accesso della Svezia all’oceano Atlantico. In realtà della fortezza medievale costruita attorno al XIII secolo rimangono solo le rovina delle mura, mentre la parte visibile è il nuovo castello (Nya Elfsborg), del XVII secolo. Nelle vicinanze è da non perdere il quartiere di Klippan, lo Skansen Kronan, fortificazione sulla collina a sud-ovest del centro della città.

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Dicembre 2015

 


M/N BOCCADASSE, nacque dall'unione di due Liberty Ships

La M/N BOCCADASSE

Nacque dall'unione di due relitti di Liberty Ships

In una nostra precedente pubblicazione, definimmo i Liberty USA:

“Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”


“L’operazione Liberty” prese il via il 27 Settembre 1941 con l’entrata in linea dell’ormai celebre “PATRICK HENRY”, e si concluse con la consegna dell’ultimo esemplare, il “RODA SEAM” del tipo “collier” (carboniero) il 13 Ottobre 1945 da parte del Cantiere “Delta” di New Orleans-Louisiana. Tra queste due date ne scesero in mare ben 2710.

Queste carrette dei mari furono costruite per compiere una traversata oceanica durante la Seconda guerra mondiale, tra gli agguati dei sottomarini dell’Asse, che agivano negli Oceani adottando  la ben nota tattica  “a branco di lupi”. In seguito a queste azioni belliche, affondarono circa  200 Liberty.

Subito dopo la fine del conflitto “i brutti anatroccoli”, come li definì F. D. Roosvelt,  ripresero a navigare e i più longevi lo fecero dignitosamente per circa trent’anni, partecipando alla ricostruzione della flotta mercantile  di quasi tutti i paesi belligeranti.

Nel 1945 si concluse una tragica guerra che fu combattuta in cielo, in terra ed in mare, lasciando ovunque distruzione, miseria e rovina.

Soltanto poche cifre sono sufficienti per mettere a fuoco un quadro spaventoso:

-  nel 1939 la flotta mercantile italiana contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per un totale di oltre 1200 navi.

- nel 1945 le navi superstiti erano ridotte ad un numero molto esiguo che non raggiungeva in totale le 200.000 tsl. Inoltre le strutture ed infrastrutture portuali erano distrutte ed inagibili, i fondali da sgomberare da centinaia di relitti e da bonificare per la presenza di migliaia di proiettili e bombe inesplose.

A questo punto cruciale della storia martoriata del nostro paese, era necessario reagire con fermezza alla pericolosa situazione di stallo, ed era oltremodo impellente chiamare a raccolta tutte le forze vive e disponibili sul territorio, per passare ad un rapido piano  di ricostruzione.

In quel periodo in cui c’era solo da rimboccarsi le maniche, anche il cervello degli uomini più attivi esplodeva d’idee: non c’era nulla da buttare, ma tanto da recuperare, specialmente dai relitti che nel Mediterraneo erano presenti a migliaia, a tutte le profondità.

Da questa idea nacque la storia che ora andiamo a raccontarvi.

Siamo alla fine del 1946. La Liberty “Natahaniel Bacon” è in piena burrasca. Per chi non conosce le “Spiagge Romane”, ventose e senza ridossi, è portato a sottovalutare le difficoltà che le navi incontrano da sempre in questa zona di mare. In questo caso si tratta di una nave carica di scatolame, con scarsa potenza di macchina e quindi con poche possibilità di allontanarsi verso zone più calme. Le onde le imprimono forti movimenti di rollio e beccheggio, sollevano schiuma e limitano la visibilità. La zona non è stata ancora bonificata dalle mine più o meno vaganti ed il comandante è cosciente o forse incosciente di scarrocciare proprio verso una zona “rossa” pericolosamente infestata da questi terribili ordigni. Non ha scampo!  Poco dopo si ode una deflagrazione immane: della Liberty galleggia solo la poppa che si allontana alla deriva.

La seconda storia prende inizio nell’aprile del 1948. Complice è sempre la burrasca.

la Liberty “Bert Willians”, va ad incagliarsi al largo del faro di Al Shrat nel Mar Rosso. Viene deciso il rimorchio a Genova, ma dopo un lungo, pericoloso e travagliato viaggio, quando finalmente si trova in Mediterraneo, s’incaglia nuovamente nelle vicinanze di Marsa Matruk (Egitto). Il mare finisce per un terzo l’opera di demolizione, a galla rimane solo la prua, rimorchiata in un primo momento verso il porto di Taranto e poi definitivamente verso il Porto di Genova.

Si sa: “quando il gioco si fa duro, in duri entrano in gioco”.


E furono senza dubbio dei duri gli uomini che pensarono di realizzare, con quei due tronconi galleggianti, un TERZO LIBERTY. La nave che risultò allungata di 10 metri, fu chiamata BOCCADASSE, da una famosa frazione balneare affacciata come un balcone sul mare di Genova.

Giunti a questo punto, ho scelto il servizio più completo che ho trovato su questa operazione. Si tratta di un breve estratto dell’ articolo:

La tecnica che Genova ha dimenticato /La STORIA

di Alberto Quarati – 08 Marzo 2016.

Tratto dalla Rivista SHIPYARD & OFFSHORE

Le vecchie dinastie vennero affiancate da nuove società di navigazione, alcune destinate a dominare il mercato, altre semplici meteore. Della Industriale Marittima - che ordinò la “Boccadasse”, prima e penultima nave costruita con la prua e la poppa di altre due - rimane solo una citazione presso l’archivio storico della Banca commerciale italiana.



Il creatore della “Boccadasse”, nel 1950, fu Angelo Cassanello, direttore delle Officine meccaniche navali Campanella, allora nel pieno dell’attività. Pietro Campanella, figlio del fondatore Tito, è stato presidente degli industriali genovesi nel primo dopoguerra, e lo stesso Cassanello sarebbe stato tra i fondatori dell’associazione dei riparatori navali. Gli stabilimenti di Savona e Genova (uno per costruire le navi, l’altro per ripararle) erano ancora lontani dalla crisi degli anni Ottanta, dai passaggi di proprietà, dalle divisioni. Il lavoro delle maestranze genovesi dirette da Cassanello produsse quella che gli americani battezzarono “super-Liberty”, una nave di 136 metri in luogo dei 127 standard, e circa 7000 tonnellate di portata lorda.

La novità stava anche nel modo con cui l’operazione venne condotta, cioè tramite elettrosaldatura, e la società che ha fornito questa tecnologia - la svedese Esab - è l’unica realtà ancora esistente tra i protagonisti di questa storia. Per diverso tempo la “Boccadasse” ha navigato per i mari di tutto il mondo, fino al suo smantellamento del 1962, alla Spezia”.

Concludiamo con alcune osservazioni:

Da quell’operazione siderurgica di grande impatto ingegneristico, sono passati 66 anni densi di grandi evoluzioni nel settore navale. Tuttavia, lo straordinario esperimento della BOCCADASSE, è degno di essere ricordato perché fu il primo, nell’era moderna, di una lunga serie di “allungamenti” eseguiti su navi passeggeri, petroliere e container per renderle più “economicamente competitive”.

All’epoca della BOCCADASSE, l’obiettivo era quello di creare navi che fossero in grado di far circolare merci, unica vera “linfa vitale”  per la ripresa dell’economia del mondo, oggigiorno gli allungamenti, frutto di quella antica esperienza genovese, sono sempre di moda, ma l’obiettivo appare rovesciato nel suo significato: occorre favorire la massima circolazione di merce con poche navi.

Questo fenomeno si chiama:  GIGANTISMO NAVALE ed impensierisce il mondo moderno per le sue cruciali controindicazioni.

Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo affrontato questo problema con molti servizi mirati che trovate in NAVI E MARINAI - Sezione Mondo Marittimo.

Carlo GATTI

Rapallo, 27 Settembre 2016


LA VIA DELLE SPEZIE

LA VIA DELLE SPEZIE

Le antiche vie delle SPEZIE terrestri e marittime

Un po’ di Storia:

 

Enrico il Navigatore

 

Il principe portoghese Enrico il Navigatore fu l’ideatore ed il promotore della ricerca di una via marittima per l'India che fu realizzata con la missione di Vasco da Gama nel 1498. Il successo di questo progetto significò fin dall’inizio l’eliminazione di quella vasta gamma d’intermediari composta da commercianti arabi, persiani, turchi e veneziani, che gravava sul prezzo delle spezie orientali insiemi agli elevati dazi richiesti dall'Impero Ottomano.

 

I Portoghesi per primi, attraverso la circumnavigazione dell’Africa aprirono una nuova via marittima che consentiva di raggiungere l’Oriente evitando l’attraversamento dei Paesi arabi. Ciò comportò la decadenza di fiorenti città commerciali, come Antiochia e Alessandria.

La rottura del monopolio commerciale di veneziani, turchi e arabi nel commercio delle spezie ebbe, come conseguenza immediata, il calo dei prezzi che produsse il rialzo della domanda e dell’offerta. La seconda ripercussione a livello mondiale di quell’epoca, si ebbe con la consapevolezza che l'apertura della rotta marittima avrebbe segnato la fine di un’epoca riducendo al minimo l'importanza delle antichissime rotte terrestri come la Via della seta e la Via dell'Incenso e la via transafricana.

 

A partire dalla fine del XVI secolo, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Oostindische Compagnie o VOC) riuscì a conquistare un gran numero di basi portoghesi nell'Asia orientale e a portare sotto il loro controllo la Rotta delle Spezie, che da allora in poi aveva come snodi principali Batavia (l'odierna Giacarta) in Indonesia e, dall'altra parte, Anversa e Amsterdam.

 

La ROTTA DELLE SPEZIE - Fu quindi aperta da esploratori portoghesi tra il XV e il XVI secolo.

Posizione delle Molucche (Maluku) – (verde chiaro) - ad EST dell'Indonesia

Carta generale delle Indie Orientali

Una delle tante isole di Banda

Mappa delle isole MOLUCCHE (Maluku Utara)

Dall'Europa all'India, proseguiva fino alle Isole delle Spezie (Molucche-Indonesia). E’ stata la via marittima più rappresentativa dell’espansione europea nel mondo e del colonialismo, in parte ottenuta con l’uso della forza militare. Queste isole offrono numerose opportunità: distendersi sulla sabbia bianca a Ohoidertawun o Pasir Panjang, ammirare il tramonto da Pulau Ternate contemplando i raggi dorati del sole che risplendono sul vulcano ammantato di fitta giungla della vicina Pulau Tidore, scoprire idilliache spiagge deserte e tracce della seconda guerra mondiale sulle isole disabitate intorno a Morotai.

 

Volendo seguire il percorso dell'originaria Via delle Spezie, occorre visitare le dieci Isole Banda, un minuscolo ma incantevole arcipelago. Nel Medioevo la preziosa noce moscata veniva prodotta quasi esclusivamente sulle Banda. Gli abitanti del posto la cedevano ai mercanti arabi, cinesi, giavanesi e bughinesi in cambio di cibo e abiti, ma la situazione cambiò rapidamente quando arrivarono gli europei (i portoghesi nel 1512 e gli olandesi a partire dal 1599), che pretesero il monopolio.

 

 

Porti scalati dalle navi “Indiaman” in Estremo Oriente

 

PERCORSO – La prima parte della navigazione iniziava da Lisbona fino a doppiare il Capo di Buona Speranza, risaliva le coste dell’Africa orientale e, attraverso il Mare Arabo, raggiungeva le città di Goa, Calicut, e Cochin nel Malabar (costa occidentale dell’India). La seconda parte “commerciale” della Rotta delle Spezie proseguiva circumnavigando India e Ceylon, attraversava il Golfo del Bengala, lo Stratto di Malacca (tra Indonesia e Malaysia), il Mar di Sonda (tra Sumatra e Java) e il Mar di Banda fino alle Isole delle Spezie: Ambon, Tidore e Ternate. (Vedi carta Molucche)

 

COMMERCIO – Su questa rotta dell’Estremo-Oriente, le navi venivano caricate soprattutto di spezie come il pepe, i chiodi di garofano, la noce moscata e la cannella. In Europa questi prodotti avevano un valore commerciale immenso, poiché non servivano solo per insaporire i cibi, ma venivano utilizzate anche per la produzione di farmaci e dei profumi.
Altre merci importanti erano la mirra e l'incenso.

 

Spezie indiane

 

 

Suk di Marrakesch - Marocco

 

Marrakesch

 

 

Spezie in un mercato di Istambul (Turchia)

 

 

Zafferano indiano in un mercato del Cairo (Egitto)

 

 

Spezie in un SUK del Magreb

 

 

In un Suk del Nord Africa

 


 

 

Campionario di SPEZIE a Giacarta (Indonesia)

 

 

Spezie a Dubai

 

 

Spezie Indiane

 

 

Polvere delle “Cinque Spezie Cinesi”

La Polvere cinque spezie o polvere delle cinque spezie è un tradizionale miscuglio de spezie utilizzato in origine nella cucina cinese e poi diffusosi in altre cucine orientali, ad esempio in quella vietnamita.

 

CONCLUSIONE

Nel 3000 a.C. erano già note 5.000 spezie, nel Medioevo il pepe era usato come moneta. A Firenze si quotavano radici, erbe e semenze. Tuttavia desideriamo aggiungere ancora qualcosa sulla curcuma, in quanto é oggetto ancora ai giorni nostri di studi scientifici molto interessanti.

La curcuma nella cura del cancro (Dal web: Studenti)

La curcuma delle Molucche

La curcuma è una spezia dalle molteplici virtù e la curcumina, pigmento naturale contenuto appunto nella curcuma, e responsabile del colore giallo del curry, è oggetto di ricerche particolari in materie di salute. Fra le sue preziose proprietà è stata, infatti, recentemente annoverata la capacità di rallentare lo sviluppo di alcuni tumori come il cancro.

 

 

 

Seppur lo studio sia ancora in fase di sperimentazione, la propensione a ritenerla attivamente positiva in questo campo, apre sicuramente nuove speranze sul fronte della ricerca anti cancro. Le premesse di questi studi sulla curcuma, rilevano come la spezia in questione sia capace di esercitare un effetto anti-cancro grazie alle sue ben note proprietà antinfiammatorie. Una recensione del 2011 pubblicata nella “Gazzetta della National Academy of Sciences”, ha rilevato che quasi il 25% delle forme tumorali sono causate da infiammazioni croniche; queste infiammazioni provocano l’aumento di una molecola, l’RNA-155, responsabile dell’abbassamento dei livelli della proteina addetta alla riparazione del DNA danneggiato. La curcumina è in grado, secondo alcuni studi, di ostacolare questo processo distruttivo, riportando le cellule al loro equilibrio.

 

 

 

Questo potere specifico della curcuma è stato scoperto dai ricercatori del Jonsson Comprehensive Cancer Center dell’Università della California, i quali hanno evidenziato l’azione anti-cancro della curcumina soprattutto in relazione ai tumori della zona cervico-facciale. La dottoressa Marilene Wang, coordinatrice dello studio, ha affermato che la curcumina opera nella bocca dei pazienti affetti da tumori della testa e del collo, riducendo le attività che promuovono la crescita del cancro.

 

In questa specifica ricerca sono stati presi 21 pazienti, con tumore alla testa o al collo, ai quali è stato prelevato un campione di saliva, prima e dopo la masticazione di due compresse a base di curcumina. Trascorsa un’ora è stato prelevato un altro campione di saliva. Contemporaneamente è stato condotto lo stesso esperimento su un gruppo di controllo, formato da 13 soggetti affetti da carie dentale e 5 soggetti sani. I risultati hanno evidenziato che mangiare curcumina mette in contatto cancro e saliva, riducendo i livelli di citochine (molecole proteiche che presentano sovente alti livelli in stati tumorali) collegate alla crescita del tumore.

 

Ovviamente la straordinaria capacità della curcuma nella cura del cancro, ancora in fase di sperimentazione, non può sostituire le terapie tradizionali, scientificamente comprovate, ma può sicuramente svolgere un’importante azione preventiva e di supporto. Infondo unire sapore e salute può diventare una buona e sana abitudine per noi occidentali, arricchendo i nostri piatti con spezie che oltre a rendere la cucina deliziosa contribuiscono al benessere dell’organismo. Questa scelta di vita può risultare utile e benefica per qualsiasi persona, ancor di più in persone sottoposte a un maggior rischio per abitudini di vita, come i fumatori e i bevitori, o affette da patologie specifiche come i portatori di HPV.

 

GATTI Carlo

Rapallo, 18 settembre 2015

LE SPEZIE IN CUCINA - OGGI

ANICE STELLATO - l’albero, chiamato “badiana”, è originario della Cina e del Nord Vietnam e se ne usano essenzialmente i frutti a forma di stella. Si utilizza per aromatizzare aperitivi, “vin brulè”, pane speziato cioccolato ma anche pesce.

CANNELLA - proviene dallo Sri Lanka e se ne utilizza la scorza. Profuma qualunque dolce a base di frutta (strudel, crumble) o the, cioccolato e il classico vin brulé”.

CARDAMONO – pianta tropicale che vive principalmente in Nepal.Dal gusto vagamente di menta, lo si utilizza nei dolci per insaporirli e come spezia nelle carni o il riso.

CORIANDOLO - origine Europea e Marocchina; se ne utilizzano le foglie e i semi. Indicato per insaporire qualunque verdura, pesci e carni.

CUMINO - proviene dal Nilo ma è coltivato ormai tutto attorno al Mediterraneo e se ne utilizza il seme. Insaporisce i formaggi cotti, le carni, le verdure; indicato per carote e/o patate al forno.

CURCUMA -  origine indiana e zone tropicali. Sostituisce, a basso costo, il colore dello zafferano, avendo però un sapore quasi ininfluente. Colora riso o semola (cuscus) o brodo o pesci o verdure cotte. In combinazione con lo zafferano, ne incrementa il colore.

CURRY - miscela composta in Estremo Oriente, non appartiene alle spezie naturali ma è un’insieme di droghe; molto vari ne sono quindi i gusti, determinati dalla diversa percentuale dei componenti che lo formano. Indicato per quasi tutti i tipi di “umidi”.

GAROFANO - sono coltivati in India, Malaisia e Madagascar e se ne utilizzano i fiori immaturi essiccati. Insaporiscono brodi, stracotti, brasati, marinate, selvaggina da pelo e conserve sott’aceto; indispensabile nel “vin brulè”

GINEPRO - proviene dal Nord e se ne utilizzano le bacche. Insaporisce la cacciagione, le marinate, gli arrosti, i cavoli crauti ecc.

MACIS - è il rivestimento esterno della noce moscata. Essicato e polverizzato, anche se meno profumato di quella,  può sostituirla. Il suo vero uso è però in salumeria e nelle miscele per formare altre spezie.

NOCE MOSCATA - proviene dalle isole Molucche, dall’india e dalle Antille e se ne utilizza il nocciolo essiccato mentre, dalla polpa che lo ricopre, se ne ricava il macis (vedere). Insaporisce tutti manicaretti a base di uova e di formaggi, come bechamel, soufflè, gratin di verdure oppure per aromatizzare biscotti, cakes, panpepati e “vin brulè”.

PAPAVERO - proviene dal Medio Oriente e se ne utilizzano i semi azzurri. Lo si incontra sul pane, nei dolci, con lo yogurt,  il miele, miscelato alla pasta di certi formaggi, ecc.

PAPRICA -  nasce in Ungheria ma oggi è difficile distinguerla dai peperoncini piccanti che colà esportiamo, per poi tornarci con il nome di “paprica”. Profuma tutte le ricette di carne che si vogliano insaporire oppure nelle minestre, o nelle verdure o nel pollo allo spiedo.

PEPE - quello nero, il verde e il bianco si ricavano dalla stessa bacca della omonima pianta a seconda di quando, nella stagione, lo si raccoglie e lo si essicca. Il rosa è originario del Brasile mentre quello rosso, pepe non è, e dovrebbe chiamarsi <pimento della Giamaica>. L’uso è a tutti noto ma forse lo è meno il suo potere irritante delle mucose interne, ben più del nostrano peperoncino.

SESAMO - nasce in India, Indonesia, Africa e Cina e se ne utilizzano i semi. Nota la spolverata per insaporire i pani, tostati con le verdure o con insalate, sul pesce o su spiedini di carne  prima di cucinarli. Molto presente nella cucina siciliana

VANIGLIA – è originaria del Messico ma oggi viene coltivata anche in Madagascar, Isole della Reunion e Tahiti ed è simile ad lungo fagiolino che, lavorato ed essicato, si presenta come quella che conosciamo. Profuma il latte, le creme, soufflé, charlotte, torte, biscotti e le uova; miscelata allo zucchero diviene zucchero vanigliato. Non tutti sanno che le bacche si possono riutilizzare più volte; basta recuperarle e sciacquarle.

ZENZERO - originario dell’Asia tropicale e della Giamaica; se ne utilizzano i rizomi. E’ componente essenziale in molte misture come il Curry e profuma piatti di pesce o carne oppure biscotti, cakes,panpepati, ecc. Lo si può anche candire.

a cura di

Renzo Bagnasco®

da <<GARGANTUA, idee per cucinare>> edito da Panesi Edizioni, in versione a-book

 

 

 


CAPO HORN - L'inferno dei Marinai

 

VERSO CAPO HORN

Foto Nejrotti


L’inferno dei marinai

Sabato 13 Agosto 2016 – ore 21.00 Piazza Gagliardo – Chiavari

Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta con il patrocinio del Comune di Chiavari

Presentano

Com.te Ernani Andreatta - Fondatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari


Com.te Carlo Gatti - Presidente Associazione Culturale Mare Nostrum Rapallo

Nel 1616 due intrepidi olandesi videro ed affrontarono per primi il famigerato CAPO HORN. Dunque proprio 400 anni fa, il mercante-navigatore Jacob Le Maire (figlio di Isaac, uno dei fondatori della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali e finanziatore della spedizione) e il capitano di lungo corso Willem Cornelius Schouten. Salparono da Texel, nei Paesi Bassi, in cerca della Terra Australis, ma soprattutto di una nuova rotta per il Pacifico, con due navi, la Hoorn, il nome della città di Schouten, che andrà distrutta, e la Eendracht, con la quale doppiarono il fatidico “Scoglio” il 29 gennaio 1616:

La storia di Kaap Hoorn parte da qui, anche se per alcuni scritti il primato dell’avvistamento spetterebbe a Francis Drake, che avrebbe sottaciuto la scoperta. Capo Horn (55°58’28” Sud 67°16’20” Ovest) è uno sperone di roccia che segna la fine della Terra del fuoco, e con essa del continente americano. Si alza al cielo a 424 metri dal suolo dell’isla Hornos, la più occidentale del gruppo delle Hermite. È un pezzo di Cile e cileno è il presidio militare che si prende cura dei due fari che lo segnalano.


 

L'albatross. Scultura simbolo di Capo Horn

MALLYHAWK — “E' a Saint Malo, dove aveva sede l’Amicale, venne chiuso il libro delle firme”, conclude Flavio Serafini. Nel 2003, la cerimonia finale, sempre a Saint Malo, con lo scioglimento dell’Amicale. Resta il monumento di Imperia, i cimeli dei Cap Hornier nel suo Museo Navale e un altro monumento proprio a Capo Horn. Venne eretto nel 1992 in ricordo di quanti affrontarono e spesso persero la vita in quel mare che, nell’800 o a giorni nostri, a bordo di un brigantino o di una supertecnologica barca a vela come quella di Stamm e Le Cam, con o senza diavoleria elettroniche, che si arrivi da Est o da Ovest, impone, senza sconti e possibili scorciatoie, di essere un grande marinaio degno di diventare un cap hornier”.

Segue l’intervista del Comandante Ernani Andreatta, Fondatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari, al Comandante Carlo Gatti, Presidente dell’Associazione Culturale Mare Nostrum di Rapallo.

E. Andreatta - PERCHE’ GLI HANNO DATO QUEL NOME?


C. Gatti – Nel 1616 – Lo avvistarono e lo rimontarono gli OLANDESI Shouten e Lemaire che lo chiamarono così in onore della città di Horn i cui mercanti avevano finanziato la spedizione.

Fino al 1400 – ebbero il predominio marinaro l’ITALIA (con le Repubbliche Marinare) e il Portogallo. Dopo essere arrivati in Brasile, esplorarono minuziosamente il Rio de la Plata che però era solo un fiume... dopo di ché la flotta ripartí verso SUD alla ricerca di una vera via d’acqua che collegasse i due OCEANI. Il 1° Novembre 1520, la Spedizione capitanata da Ferdinando Magellano entrò finalmente nello Stretto che fu subito battezzato: Stretto di Ognissanti e che solo in seguito fu rinominato: “Stretto di Magellano”. Le terre al Nord dello Stretto furono chiamate “Terre dei Patagoni” (Patagonia) e quelle al sud “Terra dei Fumi” (Tierra del Fuego). Ci vollero cinque settimane di navigazione difficile tra montagne, secche, fondali variabili, strettoie e venti ghiacciati, ma alla fine le tre navi superstiti si trovarono davanti un nuovo oceano che parve loro calmo, accogliente, invitante a tal punto da chiamarlo “Mare Pacifico”.

Nel 1500 – La SPAGNA ebbe il predominio sui mari / Nel 1600 – L’ OLANDA / Nel 1700 – la FRANCIA / Nel 1800 - l’INGHILTERRA

Ma dopo il 1616, per due secoli quella via di comunicazione rimase deserta. Soltanto qualche nave filibustiera di corsari o esploratori inglesi come Drake, Howe e più tardi Cook ebbero il coraggio di affrontarlo. Nel 1790 l’italiano Alessandro Malaspina, Capitano di Vascello nella Marina Spagnola (con le corvette Descubierta e Atrevida), rimontò Capo Horn da Ovest ad Est in rotta per Cadice.

E. Andreatta - QUANDO CAPO HORN DIVENNE IMPORTANTE E PER QUALI MOTIVI?

C. Gatti - Dopo il 1815 le cose cambiarono. Capo Horn cominciò ad essere frequentato dai velieri sardi in rotta per Valparaiso e Lima.

1) - L’esercito francese (Campagne Napoleoniche) occupò la SPAGNA che si ritrovò isolata dal suo impero d’oltremare. Le guerre in Europa fornirono ai creoli americani la possibilità di conquistare l'indipendenza dalla madre patria, e le rivoluzioni cosiddette Atlantiche iniziarono a scoppiare in tutta l'America Spagnola. Toccò anche a Garibaldi passare Capo Horn.....

2) - 1840 – La SCOPERTA DELL’ORO IN CALIFORNIA richiamò masse di pionieri che imbarcarono su centinaia di velieri diretti per l’unica via conosciuta: CAPO HORN. Una rotta che, con la corsa all’oro della California del 1848 diventò leggenda. Si calcola che solo nel 1849 dai porti dell’Atlantico ben 777 navi salparono per Capo Horn dirette a San Francisco. Navi che si aggiungevano a quelle che già battevano quella rotta.

CORSA ALL’ORO — “Gli equipaggi si imbarcavano con contratti di due o tre anni. Si sapeva quando si partiva, ma non quando si tornava. Se si tornava. Mesi e mesi in mare e a volte, semplicemente, si scompariva. E poi Horn. Le difficoltà di manovrare vele e cime ridotte a blocchi di ghiaccio manovrate da gente sottoalimentata, con abbigliamenti che non possiamo neppure immaginare, impegnati per settimane e settimane a tirare bordi controvento per guadagnare qualche miglio, scapolare il Capo e andare a nord”. Occorreva essere uomini di ferro prima che grandi marinai. Un’epopea quella di Horn che ha avuto un prezzo molto alto; si parla di oltre 800 navi e di 10.000 persone perse in quel mare. E un’epopea che finisce, oltre che per il Canale di Panama, anche con la prima guerra mondiale. “Il grosso dei grandi velieri italiani finì sott’acqua per i siluri tedeschi, ma erano bastimenti vecchi che avevano fatto Capo Horn al comando di capitani per la maggior parte liguri. Come quello, era di Recco (30 km da Genova), dell’ultima nave italiana che passò Horn nel 1914. C’erano anche comandanti che venivano da Procida, da Sorrento e Trapani, ma per lo più erano liguri, come i maggiori armatori dei velieri di allora”. Anche se l’ultima nave a vela a doppiare Horn è stata, nel 1949, la nave-scuola tedesca Pamir, l’epopea del Capo era da tempo finita. Tanto da spingere, nel 1937, un gruppo di capitani cap hornier francesi a fondare, a Saint Malo, l’Amicale Internationale des Capitaines au Long Cours Cap Horniers, per riunire e ricordare quella pagina, già allora lontana, della storia della navigazione. “L’associazione arrivò a contare cap hornier di 14 nazioni e nel 1983 la sezione italiana, di cui ero allora segretario, contava ancora una ventina di membri”, ricorda Serafini. “Fu in quella occasione che venne inaugurato il monumento ai cap hornier a Imperia”. Poi, naturalmente, come “la schiuma sul mare dopo la tempesta”, prendendo le parole della relazione del congresso del 1996 dell’Amicale tenuto a Brest, in Francia, il numero dei cap hornier scomparirono uno dopo l’altro. Quell’anno di comandanti cap hornier ne restava uno solo, un finlandese di 98 anni e se n’era rimasto a casa. Gli altri, età media 85 anni, erano mallyhawk. Ma se ne sono andati tutti.

3) - Una forte corrente commerciale navale da Capo Horn iniziò quando dal litorale peruviano iniziò il commercio del GUANO diretto in Europa.

Capo Horn divenne così l’incrocio obbligato delle rotte commerciali più importanti e quindi la via CLASSICA della marineria velica.

4) - Ma L’avvento del motore, la Prima Guerra mondiale, e soprattutto l’apertura del CANALE DI PANAMA (1914), fecero morire la vela mercantile e le acque di Capo Horn rimasero quasi deserte. Ma una cosa é certa: che per tutto l’800 e 900, Capo Horn fu il banco di prova per tutti i velieri del mondo e dei loro equipaggi.

E. Andreatta - Quando ebbe Origine l’emigrazione italiana in Cile ed in Peru’ ?


C.Gatti - Non c’é famiglia nella nostra Riviera di Levante che non abbia o non abbia avuto parenti in Cile e in Perù. Di una cosa siamo certi: I PRIMI ITALIANI CHE EMIGRARONO DA QUELLE PARTI furono marinai che per un motivo o per l’altro (paura di ripassare Capo Horn, malattie, incidenti di navigazione ecc....) disertarono, non rientrarono più a bordo, in pratica si stabilirono nelle principali città del Sud Pacifico e diedero vita ad attività di pesca e vendita del pescato, altri si diedero all’agricoltura, altri ancora diventarono commercianti aprendo negozi o  magazzini (ALMACIEN). I più fortunati e intraprendenti iniziarono con piccole laboratori artigianali che divennero via via fabbrichette sempre più importanti le quali fecero nel corso degli anni da calamita per tanti loro parenti amici che poi lasciarono la Liguria in cerca di fortuna.

E.Andreatta - La ferrovia Transandina evitò a tanti emigranti di affrontare CAPO HORN e quindi si può dire che li salvò dai tanti naufragi.

La ferrovia Transandina attraversa la cordigliera delle Ande e collega le due sponde oceaniche; la parte centrale, aperta nel 1910, collega Buenos Aires-Mendoza-Valparaíso: è lunga 1420 km e raggiunge i 3150 mt. s.l.m.

La Transandina, Ferrovia del Nord, entrata in servizio nel 1962, unisce la città argentina di Salta, collegata a Buenos Aires, con il porto cileno di Antofagasta.

Questa opera fu di grande importanza per gli emigranti provenienti dall’Italia e dalla Europa che non erano più obbligati a doppiare Capo Horn rischiando la vita.... Arrivavano nei porti Argentini con i velieri, le navi passeggeri e da carico, sbarcavano e saltavano sul  treno della Transandina e, in poco tempo, raggiungevano le loro destinazioni. Tuttavia, un rischio incombeva, su di loro: l’altitudine eccessiva che colpiva i cardiopatici. Non poche furono le vittime di questa situazione.

E.Andreatta - PERCHE’ CAPO HORN ERA COSI’ TEMUTO DAI NAVIGANTI?

C.Gatti - L'espressione Quaranta ruggenti (in inglese : Roaring Forties) è stata coniata dagli Inglesi all'epoca dei grandi velieri che passavano per Capo Horn. Poiché la forza del vento aumenta procedendo verso sud, oltre il 50° parallelo gli stessi inglesi parlavano di Furious Fifties (che in italiano viene tradotto conn Cinquanta urlanti).


Con Quaranta ruggenti e Cinquanta urlanti vengono convenzionalmente indicate nel mondo marinaro due fasce di latitudini australi caratterizzate da forti venti provenienti dal settore OVEST (predominanti), le quali si collocano rispettivamente tra il 40º e il 50º parallelo e tra il 50º e il 60º parallelo dell'emisfero meridionale. Tali venti hanno la stessa origine dei venti da Ovest dell'emisfero settentrionale), ma la loro intensità è superiore di circa il 40 per cento: ciò è dovuto alla serie di intense depressioni che interessano queste zone, dovute all'incontro tra l'aria fredda dell'Antartide e l'aria calda proveniente dal centro degli oceani, inoltre questi venti sono amplificati dalla relativa scarsità di terre emerse nell'emisfero sud, cosicché soffiando sempre sul mare non incontrano mai la terraferma che li potrebbe frenare.

La denominazione deriva dal nome dei paralleli alla cui latitudine soffiano questi venti: Quaranta o Cinquanta e dal rumore che il vento produce sibilando attraverso gli alberi, il sartiame e la velatura delle imbarcazioni a vela, che somiglia a un ruggito sui 40° e ad un grido sui 50°

E.Andreatta - CAPO HORN UN CIMITERO DI NAVI?

1983-Imperia - L’opera dedicata ai Cap Horniers è dell’artista genovese Stelvio PESTELLI.

C.Gatti - Il monumento al navigante di Capo Horn nel Borgo Marina / Imperia-Porto Maurizio, fu realizzato dallo scultore Stelvio Pestelli e inaugurato il 24 maggio 1983, in occasione del XXXIX Congresso Mondiale dei Cap Horniers, alla presenza del Presidente Pertini e dell’allora Sindaco Scaiola. Esso é dedicato ai naviganti di Capo Horn, agli 800 velieri affondati, ai 10000 marinai che giacciono sul fondo del mare più tremendo del globo.

La Statua rappresenta il classico Lupo di mare dal volto rugoso e barbuto, con cerata, "sudovest" e stivaloni, con le mani sulle caviglie della ruota del timone, teso nello sforzo di governare il suo veliero.

Eretta alla radice del molo di Porto Maurizio, alta m. 2,30, in bronzo, poggia su un piedistallo di m. 2 sul quale c’è la dedica dell’A.I.C.H. (Amicale des Capitaines au Long Cours Cap Horniers) di Saint Malo, sezione italiana. La facilità di navigazione di oggi rende ancora più leggendario il navigare di allora quando, chi doppiava Capo Horn per la prima volta, aveva il diritto di mettere l’orecchino all’orecchio che era dalla parte del Capo in quel momento e di "pisciare" controvento.

Sulla targa l'albatro, simbolo dell'Amicale e l'iscrizione: A ricordo / dei naviganti della / vela oceanica di / Capo Horn.

E.Andreatta – Poco a Nord di Capo Horn c’é una città: USHUAIA che é molto cara agli Italiani. Puoi raccontarci il perché?


C. Gatti - Una Storia dimenticata - Italiani alla Fine del Mondo - Ushuaia (Patagonia del Sud-Argentina)

Nell'immediato dopoguerra una nave, un'impresa italiana e tanta mano d'opera specializzata in cerca di lavoro e fortuna partono per la Terra del Fuoco, regione inospitale, difficile e senza strutture. Ushuaia si trova 140 km a NW di Capo Horn - Cile.

Ushuaia è la città più australe del mondo e si trova sulla costa meridionale della Terra del Fuoco, in un paesaggio circondato da montagne che dominano il Canale Beagle (Ushi = al fondo, Waia=baia). Baia al fondo, alla fine. È così che gli indigeni Yamanas, da oltre seimila anni, chiamano il loro mondo: la "fine del mondo".

Nell’immediato dopoguerra, la decisione del governo argentino di costruire la capitale Ushuaia nella Terra del Fuoco fu presa per riaffermare la sovranità del paese sull'isola Grande, all'epoca oggetto di aspre dispute con il confinante Cile. Siamo nel 1947 e le imprese italiane ricevono l’incarico di costruire opere pubbliche. L’unica struttura presente sull’isola è un vecchio penitenziario ormai fatiscente. Occorre partire da zero: case, strade, ospedale, scuola, centrale idroelettrica. Ad organizzare la spedizione è Carlo Borsari, imprenditore edile bolognese e proprietario di una fabbrica di mobili che convince il governo argentino di saper operare con le sue maestranze anche in climi molto rigidi. Nella primavera del 1948 il presidente Peròn firma il decreto che attribuisce all'imprenditore italiano la commessa di lavoro. Il 26 settembre 1948 salpa dal porto di Genova la prima nave che, guarda caso, si chiama “GENOVA”, con a bordo, 506 uomini e 113 donne, per un totale di 619 lavoratori.


La M/n GENOVA della Co.Ge.Da. è in partenza da Ponte dei Mille per la Terra del Fuoco. Questa rara fotografia è una preziosa testimonianza di quella grande spedizione.

Durante il lungo viaggio della nave, le autorità argentine vietano di scalare i soliti porti intermedi per evitare defezioni. La paga dei lavoratori è di circa 3,5 pesos, superiore rispetto ad altri luoghi in Argentina e permette di mandare soldi alle famiglie in Italia.

Il 28 ottobre 1948, dopo 32 giorni di oceano, la M/n Genova giunge ad Ushuaia con un carico umano colmo di speranze e con le stive stracolme di materiale. Ad accoglierla c’è il ministro della Marina argentina dell'epoca. La stagione è la più favorevole per iniziare i lavori. Per i primi mesi una parte degli operai è sistemata nei locali dell'ex penitenziario, il rimanente alloggia a bordo di una nave militare del governo.

La mano d'opera è soprattutto emiliana, ma non mancano piccole comunità di veneti, friulani e croati. Nelle ampie stive della nave c’è tutto l’occorrente per la costruzione ed il montaggio di un paese moderno. Del carico fanno parte 7.000 tonnellate di materiale per allestire una fornace e la centrale idroelettrica, vi sono mezzi di trasporto leggeri e pesanti, gru, scavatrici, case prefabbricate, generatori, l’attrezzatura per la costruzione di una fabbrica di legno compensato e persino le stoviglie per la mensa dei dipendenti. L’inventario della merce trasportata comprende tutto il necessario alla comunità per essere autosufficiente ed il suo valore attuale corrisponde a venti milioni di euro che il governo argentino, ha pagato all'impresa Borsari che li aveva anticipati.

Agli emigranti provenienti dal nord Italia, le montagne alle spalle di Ushuaia ricordano le Alpi, e per tutti loro la nuova terra significa un futuro migliore per se stessi e per i propri figli. I primi due anni pattuiti con Borsari sono veramente duri per il freddo, la neve, l’oscurità e con le difficoltà di costruire opere murarie e idrauliche. Onorato il contratto, in molti decidono di stabilirsi definitivamente in questa città che hanno creato dal nulla e che sentono ormai propria. Grazie al lavoro di un nucleo di avventurieri italiani, si assiste ad un fenomeno di migrazione di massa unico al mondo. Ushuaia cresce, si popola e si trasforma in una città viva, speciale per varietà di razze e culture.


Restano i ricordi. Lo sforzo per l’ambientamento climatico fu sostenuto dagli emigranti grazie anche al promesso ricongiungimento con le famiglie, che fu rispettato e si concretizzò con l’arrivo di una seconda nave italiana, la M/n "Giovanna C." che giunse a Ushuaia il 6 settembre 1949 con mogli e figli. Quel giorno la comunità italiana raggiunse le 1300 unità.

Gino Borsani aveva promesso due anni di lavoro ben pagato, terre e case ai suoi uomini. “Alcuni di noi non sapevano neppure dove erano diretti” - dice Elena Medeot 78 anni, nata a Zara – “In Italia c'era il mito dell' Argentina, ma quando siamo arrivati qui, dopo un mese di navigazione, abbiamo scoperto la verità. Per scaldarsi, in un posto dove in piena estate la temperatura raramente supera i 10 gradi, si doveva risalire la montagna per fare un po’ di legna. Le promesse del bolognese svanirono in pochi mesi, così come il sogno di tutti, mettere da parte un po' di soldi e tornare a casa.

“Però si mangiava carne tutti i giorni e questo già sembrava un miracolo”. Ricorda Dante Buiatti nato a Torreano di Martignacco. “Nel 1923 Avevo un lavoro in Friuli, ma era più importante dimenticare la guerra e a casa non ce la facevo”.

Dante fu uno dei pochi pionieri, arrivati ad Ushuaia con la ditta Borsari, che scelse di restare in quella terra al confine del mondo. La maggioranza, infatti, rincorse orizzonti più caldi, spostandosi in altre province “più ospitali” dell’Argentina. Buiatti s’impegnò nell’attività commerciale del paese, che oggi continua con sua figlia Laura; mentre Leonardo, il figlio minore, gestisce un albergo. Sempre col cuore rivolto alla sua cittadina natale, Dante Buiatti fu uno dei principali animatori dell’associazionismo friulano e italiano nella Terra del Fuoco. Fino al giorno della sua morte è stato il principale punto di riferimento per gli studiosi dei processi migratori, per la collettività italiana, per i giovani della comunità friulana di Argentina ed Uruguay e, fondamentalmente per i suoi cinque nipoti.

GATTI Carlo

Rapallo, 31 Agosto 2016