Göteborg-2-Il PORTO e la città
GÖTEBORG
la città figlia del mare
Göteborg é una città moderna che vive nel ricordo del suo passato marinaro. Il suo porto sulla costa occidentale della Svezia é il più importante della Scandinavia come traffici commerciali. La città, nella sua struttura urbana, caratterizzata dalla presenza di numerosi canali e ponti di collegamento che si estendono fra le colline della città, ricorda le città di San Francisco o Amsterdam. Ma il fascino della città scandinava è del tutto unico, rispetto alle simili città olandesi e americane, ma anche nei confronti degli altri centri della Svezia. La nostra gita a Göteborg ha avuto proprio il compito di cogliere le sue peculiarità usando lo scatto fotografico e la nostra innata curiosità. Buona lettura.
Poseidon
Storicamente la città fu la porta della Svezia per i traffici verso le Indie Orientali: nel porto resta la ricostruzione visitabile di un grande veliero commerciale affondato 250 anni fa (lo illustreremo in Göteborg-3), nonché un Museo della Navigazione (Sjöfartsmuseum) che descrive la gloriosa storia della marineria svedese, con esposizioni dedicate ai traffici, alla pesca e all'industria delle costruzioni navali. Nello stesso palazzo si trova anche l'acquario con pesci tropicali e ambientazione dell'habitat marino del Mare del Nord.
Stena Germanica
NOVHOTEL
Nelle due foto sopra si notano i ricchi palazzi monumentali degli armamenti e armatori svedesi lungo il Göta Älv.
Il Museo a cielo aperto Maritiman (a destra)
Attraccato lungo la Banchina Sud del fiume il Maritiman. Un Museo Marittimo a cielo aperto, in cui si possono visitare 19 navi galleggianti, dalla petroliera al Battello Fanale, dall'incrociatore lanciamissili Småland al sommergibile Nordkaparen e molti altri esemplari di naviglio nordico costiero e d’altura.
Cenni storici e geografici
Göteborg con mezzo milione di abitanti è la seconda città più popolosa della Svezia, dopo Stoccolma. Situata nella contea di Västra Götaland e collocata nella provincia storica del Västergötland, sorge allo sbocco del fiume Göta, che sfocia sul Mare di Kattegatt, espandendosi geograficamente lungo l’intero sbocco del fiume fino a comprendere un arcipelago di rocce aride e scogliere, tipico delle coste selvagge del Bohuslän (isolotti di roccia, insenature e pittoreschi villaggi di pescatori). I ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza dei primi insediamenti umani già 8 mila anni fa, e la città deve il suo nome alla tribù germanica dei Geati che abitava la parte meridionale della moderna Svezia. Il fiume su cui sorge la città si chiama Göta Älv (Fiume Göta), e Göta Borg è il forte/bastione costruito sulla foce del fiume per proteggere il porto, creato per essere la porta principale della Svezia per il commercio con l’occidente. Il porto fu attivo fin dal XII secolo, ma il borgo non fu vera e propria città fino al secolo XVI, quando un primo insediamento venne costruito dal re Carlo IX ad ovest del fiume Gota. Bisogna aspettare il 1612, data in cui Gustavo II Adolfo di Svezia costruì un nuovo insediamento alla foce del fiume secondo modelli olandesi, con strade e canali artificiali e una grande piazza, l’attuale Gustaf Adolfs Torg, vicino al canale principale. Dal XVIII secolo comincia l’era d’oro della città, divenuta porto principale della Svezia. Nel 1731 viene fondata infatti la Compagnia svedese delle Indie Orientali che avrebbe dovuto sviluppare il commercio con l’estremo oriente. Con l’avvento delle nuove tecnologie e l’aumento della concorrenza straniera, molti cantieri hanno oggi chiuso anche se il porto di Göteborg rimane il principale porto della Svezia. La città ha trasformato in parte la sua fonte di ricchezza nelle industrie manifatturiere, ed è sede di importanti aziende internazionali come SKF, Volvo ed Ericsson. Grazie all’influsso della corrente del golfo, la temperatura a Goteborg difficilmente in inverno scende sottozero, e le estati sono sempre molto fresche. Per muoversi in città in tutta comodità si può utilizzare la fitta rete tramviaria che la attraversa, la più grande d’Europa.
Parco divertimenti di Liseberg
In questa parte del Parco di Liseberg un tempo approdavano motovelieri per i loro traffici di cabotaggio. Oggi queste imbarcazioni fanno parte del paesaggio riportando alla luce la loro storia.
Hans, Gretel e la strega... (fratelli Grimm)
I caproni qui rappresentati fanno parte della ricca mitologia svedese
E’ sicuramente una delle attrazioni più visitate di Göteborg, a testimoniare anche la grande forza innovatrice che pervade tutta la città che in soli tre secoli di storia ha letteralmente trasformato più volte il proprio aspetto, adattandolo ai cambiamenti storici e culturali. Liseberg, a sud-est e a breve distanza dal centro, è il parco divertimenti più grande e più frequentato di tutto il Nord Europa, inserito in un magnifico scenario naturale, inserito nella top ten dei migliori dieci parchi divertimenti del mondo da Forbes Magazine nel 2005. Inaugurato nel 1923, oggi vanta oltre 50 tipi di attrazioni fra castelli incantati, giostre, giri d’acqua in canotto e montagne russe ed è visitato da oltre 3 milioni di persone e continua a essere acclamato come il più antico parco divertimenti della Svezia. Fra le attrazioni da non perdere, oltre alle montagne russe fra le migliori al mondo, l’Hotel dei fantasmi, un itinerario tra i corridoi di un albergo infestato. Oltre alla stagione estiva è possibile visitare il parco anche nei mesi invernali di novembre e dicembre, per le celebrazioni del Natale svedese, quando l’attrazione cardine diventa il mercatino di Natale, con la tradizionale cucina svedese, tra vin brûlé e specialità di carne di renna. Il parco è decorato da decine di giardini, il più recente dei quali è il Lisebergs Lustgård, una zona nuova con piante spettacolari intervallate da cascate e uno scenario naturale. Il parco ospita inoltre anche una sezione di sculture artistiche, concerti musicali ed esibizioni teatrali.
Il centro città
Il centro della città è vivo e giovane, e offre ai turisti una grande varietà di scelta fra eleganti caffetterie e locali alla moda, vicini a grandi centri commerciali. Qui si trova anche l’Università di Göteborg che con oltre 60 mila studenti è la più grande della Scandinavia e caratterizza lo spirito della città e ne anima le strade con eventi sportivi e musicali, soprattutto concerti rock, fiere e congressi. Per questo motivo Göteborg è spesso considerata come la città più accogliente di tutta la Svezia.
La Balena Blu imbalsamata
L'offerta culturale comprende il museo di Storia Naturale (Naturhistoriska Museet), con l'unica balena blu imbalsamata nel mondo, il museo d'Arte (Konstmuseum) con opere di maestri italiani come Veronese, Carracci, Canaletto e fiamminghi (Rembrandt, Rubens), il Museo di Arte Applicata e Design Industriale (Röhsska Museet) in un bell'edificio di inizio ‘900, il museo Etnografico (Ethnografiska Museet) con notevoli reperti sui Saami, la popolazione lappone della Svezia settentrionale.
Il cuore pulsante della città si trova nel grande viale di Göteborg (Kungsportsavenyn e comunemente noto come ‘avenyn’), ricco di negozi, gallerie d’arte, ristoranti, bar e alcune delle più importanti istituzioni culturali. Lo Stadsteatern (Teatro Comunale), il Konserthuset (la Sala Concerti), lo Stora Teatern (Teatro principale e uno dei più antichi della Svezia). Non lontano, sulla Christina Nilssons Gatan, si ammira uno dei teatri più moderni al mondo, la Opera House di Goteborg (1994) che ogni anno prevede un vasto programma di lirica, operette, musical, balletti e concerti. A lato del viale troviamo anche il grande parco cittadino di Trädgårdsföreningen, con una collezione molto bella di rose (il rosarium più grande d’Europa). Il parco è anche conosciuto per la Palmhuset (Casa delle Palme), un insieme di serre in stile diciannovesimo secolo. Ci troviamo lungo l’incrocio dei due principali canali di Göteborg, tra quello più grande, il Rosenlunds Kanalen, e il Stora Hamn Kanalen.
La cattedrale di Göteborg (Domkyrkan) è invece situata sulla Västa Hamngatan, nel versante nord. La piazza principale della città si chiama Gustav Adolfs Torg ed circondata da importanti monumenti storici: la Börsen (Borsa del cambio), la residenza Wenngren, il Stadshuset (il vecchio arsenale), il Municipio Rådhuset.
La visita delle città riserva ancora piacevoli sorprese: per una visione panoramica ci sono i bus turistici coperti o scoperti a seconda della stagione, oppure il vintage tram: una carrozza speciale vecchia di cent'anni, ma anche escursioni sull'acqua con i battelli Paddan in partenza da Kungsportsbron, costruiti per passare sotto ponti bassissimi. In un'ora si visitano tutte le vie d'acqua della città e si naviga nel porto commerciale sul fiume, sulle cui banchine gli architetti si sono sbizzarriti nel ridisegnare il profilo della città con il celebre palazzo dell'Opera, che ricorda le grandi navi oceaniche.
Göteborg e il suo porto
L’area del porto Lilla Bommen è dominata dalla Göteborg-Utkiken, il grattacielo dell’architetto Ralph Erskine, a strisce bianche e rosse, é familiarmente chiamato "il rossetto", domina la città dalla sua altezza di 86 metri. Da qui si può godere di uno dei panorami più belli di Goteborg. Un’altra grande attrazione è il Barken Viking, la più grande nave a vela commerciale mai costruita in Scandinavia a cui abbiamo dedicato la prima parte di questo viaggio. Salvata dalla demolizione dal governo scandinavo nel 1940, è una delle maggiori attrazioni turistiche della città ed ospita all’interno un albergo, un ristorante e una caffetteria. Attualmente l’ormeggio di questa magnifica nave a palo si trova nell’ambito portuale di Lilla Bommen vicino al “rossetto”.
Feskekörkan
Sorprendente é pure la sconsacrata "chiesa del pesce", un edificio neogotico di fine ‘800 con tetti spioventi, contrafforti e bovindi che ospita il mercato dove si possono comperare o degustare sul posto sgombri freschi del mare del Nord, gamberi, aragoste e i più delicati frutti di mare.
Nell’area del porto si possono visitare anche i cantieri navali di Terra Nova, nella zona di Majnabben per ripercorrere la storia navale della città con lo storico veliero Ostindiefararen Gotherborg, che apparteneva alla Compagnia Svedese delle Indie Orientali.
La Darsena dei Piloti di Göteborg
Il piloti del porto di Göteborg sono 24 e si alternano nel pilotaggio: mare, fiume, porto. A causa degli spazi ristretti, devono anch’essi lottare contro il “gigantismo navale” esattamente come i loro colleghi genovesi, amburghesi ecc... Siamo stati invitati ed ospitati con grande cordialità e promesse di rivederci per approfondire le problematiche tecniche organizzative e di manovra.
A sinistra un bella pilotina d’altomare
La pilotina di Marstrand (la Portofino svedese)
Potenti rimorchiatori in attesa della chiamata
December 28, 2015 by G-Captain
MSC MAYA
Ship Photo of the Day – Port of Gothenburg Welcomes World’s Largest Containership
On December 21, 2015, Mediterranean Shipping Company’s Ultra-Large Containership (ULCS) MSC Maya called at APM Terminals Gothenburg, becoming the largest containership ever to call in Sweden.
With 19,224 TEU capacity, MSC Maya ranks as one of the world’s biggest containerships by carrying capacity and measures 396 meters-long with a draft of 16 meters. The vessel arrived from the Port of Bremerhaven as part of the regular port rotation of the Maersk Line/Mediterranean Shipping Company AE-2/Swan Far East/North Europe Service in the 2M alliance.
The Port of Gothenburg is the only port in Sweden that can accommodate ships of this size. Since 2012, APM Terminals has planned to invest $115 million in the facility to establish Gothenburg as a deep-water hub for Scandinavia and the Baltic area. Gothenburg’s overall container throughput was 837,000 TEUs in 2014, with APM Terminals Gothenburg handling 759,000 TEUs, or approximately half of all Swedish container traffic for the year.
The MSC Maya is the fourth of 20 planned Oscar-class ULCSs’ for MSC. In January 2016, APM Terminals Gothenburg will also host the MSC Zoe, sister ship to MSC Maya.
Impianto per il collaudo dei mezzi di salvataggio navali
Molti castelli e fortezze nordiche sono adattati ad alberghi, ristoranti aperti tutto l'anno. Un esempio da seguire? Direi proprio di sì.
Sbarco alla Fortezza
Le Segrete
L’entrata del canale e porto di Goteborg vista dal Forte Älvborg. Sullo sfondo a sinistra il grande Terminal-containers dove inizia la vera e propria aerea commerciale del porto. Sulla sponda opposta i Servizi Nautici, Agenzie, Armamenti ecc...
L’interno della fortezza é adibito a Ristorante ed é frequentatissimo. Nella foto la sala da pranzo che nel ‘700 ospitava le camerate dei soldati.
Self service
Questo lungo ponte "Älvsborgsbron" collega le due sponde della città.
Della Göteborg più antica rimane poco. Sempre nella zona del porto troviamo la fortezza di Älvsborg alla foce del fiume Göta Älv. Serviva per proteggere l’accesso della Svezia all’oceano Atlantico. In realtà della fortezza medievale costruita attorno al XIII secolo rimangono solo le rovina delle mura, mentre la parte visibile è il nuovo castello (Nya Elfsborg), del XVII secolo. Nelle vicinanze è da non perdere il quartiere di Klippan, lo Skansen Kronan, fortificazione sulla collina a sud-ovest del centro della città.
Carlo GATTI
Rapallo, 22 Dicembre 2015
M/N BOCCADASSE, nacque dall'unione di due Liberty Ships
La M/N BOCCADASSE
Nacque dall'unione di due relitti di Liberty Ships
In una nostra precedente pubblicazione, definimmo i Liberty USA:
“Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”
“L’operazione Liberty” prese il via il 27 Settembre 1941 con l’entrata in linea dell’ormai celebre “PATRICK HENRY”, e si concluse con la consegna dell’ultimo esemplare, il “RODA SEAM” del tipo “collier” (carboniero) il 13 Ottobre 1945 da parte del Cantiere “Delta” di New Orleans-Louisiana. Tra queste due date ne scesero in mare ben 2710.
Queste carrette dei mari furono costruite per compiere una traversata oceanica durante la Seconda guerra mondiale, tra gli agguati dei sottomarini dell’Asse, che agivano negli Oceani adottando la ben nota tattica “a branco di lupi”. In seguito a queste azioni belliche, affondarono circa 200 Liberty.
Subito dopo la fine del conflitto “i brutti anatroccoli”, come li definì F. D. Roosvelt, ripresero a navigare e i più longevi lo fecero dignitosamente per circa trent’anni, partecipando alla ricostruzione della flotta mercantile di quasi tutti i paesi belligeranti.
Nel 1945 si concluse una tragica guerra che fu combattuta in cielo, in terra ed in mare, lasciando ovunque distruzione, miseria e rovina.
Soltanto poche cifre sono sufficienti per mettere a fuoco un quadro spaventoso:
- nel 1939 la flotta mercantile italiana contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per un totale di oltre 1200 navi.
- nel 1945 le navi superstiti erano ridotte ad un numero molto esiguo che non raggiungeva in totale le 200.000 tsl. Inoltre le strutture ed infrastrutture portuali erano distrutte ed inagibili, i fondali da sgomberare da centinaia di relitti e da bonificare per la presenza di migliaia di proiettili e bombe inesplose.
A questo punto cruciale della storia martoriata del nostro paese, era necessario reagire con fermezza alla pericolosa situazione di stallo, ed era oltremodo impellente chiamare a raccolta tutte le forze vive e disponibili sul territorio, per passare ad un rapido piano di ricostruzione.
In quel periodo in cui c’era solo da rimboccarsi le maniche, anche il cervello degli uomini più attivi esplodeva d’idee: non c’era nulla da buttare, ma tanto da recuperare, specialmente dai relitti che nel Mediterraneo erano presenti a migliaia, a tutte le profondità.
Da questa idea nacque la storia che ora andiamo a raccontarvi.
Siamo alla fine del 1946. La Liberty “Natahaniel Bacon” è in piena burrasca. Per chi non conosce le “Spiagge Romane”, ventose e senza ridossi, è portato a sottovalutare le difficoltà che le navi incontrano da sempre in questa zona di mare. In questo caso si tratta di una nave carica di scatolame, con scarsa potenza di macchina e quindi con poche possibilità di allontanarsi verso zone più calme. Le onde le imprimono forti movimenti di rollio e beccheggio, sollevano schiuma e limitano la visibilità. La zona non è stata ancora bonificata dalle mine più o meno vaganti ed il comandante è cosciente o forse incosciente di scarrocciare proprio verso una zona “rossa” pericolosamente infestata da questi terribili ordigni. Non ha scampo! Poco dopo si ode una deflagrazione immane: della Liberty galleggia solo la poppa che si allontana alla deriva.
La seconda storia prende inizio nell’aprile del 1948. Complice è sempre la burrasca.
la Liberty “Bert Willians”, va ad incagliarsi al largo del faro di Al Shrat nel Mar Rosso. Viene deciso il rimorchio a Genova, ma dopo un lungo, pericoloso e travagliato viaggio, quando finalmente si trova in Mediterraneo, s’incaglia nuovamente nelle vicinanze di Marsa Matruk (Egitto). Il mare finisce per un terzo l’opera di demolizione, a galla rimane solo la prua, rimorchiata in un primo momento verso il porto di Taranto e poi definitivamente verso il Porto di Genova.
Si sa: “quando il gioco si fa duro, in duri entrano in gioco”.
E furono senza dubbio dei duri gli uomini che pensarono di realizzare, con quei due tronconi galleggianti, un TERZO LIBERTY. La nave che risultò allungata di 10 metri, fu chiamata BOCCADASSE, da una famosa frazione balneare affacciata come un balcone sul mare di Genova.
Giunti a questo punto, ho scelto il servizio più completo che ho trovato su questa operazione. Si tratta di un breve estratto dell’ articolo:
La tecnica che Genova ha dimenticato /La STORIA
di Alberto Quarati – 08 Marzo 2016.
Tratto dalla Rivista SHIPYARD & OFFSHORE
“Le vecchie dinastie vennero affiancate da nuove società di navigazione, alcune destinate a dominare il mercato, altre semplici meteore. Della Industriale Marittima - che ordinò la “Boccadasse”, prima e penultima nave costruita con la prua e la poppa di altre due - rimane solo una citazione presso l’archivio storico della Banca commerciale italiana.
Il creatore della “Boccadasse”, nel 1950, fu Angelo Cassanello, direttore delle Officine meccaniche navali Campanella, allora nel pieno dell’attività. Pietro Campanella, figlio del fondatore Tito, è stato presidente degli industriali genovesi nel primo dopoguerra, e lo stesso Cassanello sarebbe stato tra i fondatori dell’associazione dei riparatori navali. Gli stabilimenti di Savona e Genova (uno per costruire le navi, l’altro per ripararle) erano ancora lontani dalla crisi degli anni Ottanta, dai passaggi di proprietà, dalle divisioni. Il lavoro delle maestranze genovesi dirette da Cassanello produsse quella che gli americani battezzarono “super-Liberty”, una nave di 136 metri in luogo dei 127 standard, e circa 7000 tonnellate di portata lorda.
La novità stava anche nel modo con cui l’operazione venne condotta, cioè tramite elettrosaldatura, e la società che ha fornito questa tecnologia - la svedese Esab - è l’unica realtà ancora esistente tra i protagonisti di questa storia. Per diverso tempo la “Boccadasse” ha navigato per i mari di tutto il mondo, fino al suo smantellamento del 1962, alla Spezia”.
Concludiamo con alcune osservazioni:
Da quell’operazione siderurgica di grande impatto ingegneristico, sono passati 66 anni densi di grandi evoluzioni nel settore navale. Tuttavia, lo straordinario esperimento della BOCCADASSE, è degno di essere ricordato perché fu il primo, nell’era moderna, di una lunga serie di “allungamenti” eseguiti su navi passeggeri, petroliere e container per renderle più “economicamente competitive”.
All’epoca della BOCCADASSE, l’obiettivo era quello di creare navi che fossero in grado di far circolare merci, unica vera “linfa vitale” per la ripresa dell’economia del mondo, oggigiorno gli allungamenti, frutto di quella antica esperienza genovese, sono sempre di moda, ma l’obiettivo appare rovesciato nel suo significato: occorre favorire la massima circolazione di merce con poche navi.
Questo fenomeno si chiama: GIGANTISMO NAVALE ed impensierisce il mondo moderno per le sue cruciali controindicazioni.
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo affrontato questo problema con molti servizi mirati che trovate in NAVI E MARINAI - Sezione Mondo Marittimo.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 Settembre 2016
LA VIA DELLE SPEZIE
LA VIA DELLE SPEZIE
Le antiche vie delle SPEZIE terrestri e marittime
Un po’ di Storia:
Enrico il Navigatore
Il principe portoghese Enrico il Navigatore fu l’ideatore ed il promotore della ricerca di una via marittima per l'India che fu realizzata con la missione di Vasco da Gama nel 1498. Il successo di questo progetto significò fin dall’inizio l’eliminazione di quella vasta gamma d’intermediari composta da commercianti arabi, persiani, turchi e veneziani, che gravava sul prezzo delle spezie orientali insiemi agli elevati dazi richiesti dall'Impero Ottomano.
I Portoghesi per primi, attraverso la circumnavigazione dell’Africa aprirono una nuova via marittima che consentiva di raggiungere l’Oriente evitando l’attraversamento dei Paesi arabi. Ciò comportò la decadenza di fiorenti città commerciali, come Antiochia e Alessandria.
La rottura del monopolio commerciale di veneziani, turchi e arabi nel commercio delle spezie ebbe, come conseguenza immediata, il calo dei prezzi che produsse il rialzo della domanda e dell’offerta. La seconda ripercussione a livello mondiale di quell’epoca, si ebbe con la consapevolezza che l'apertura della rotta marittima avrebbe segnato la fine di un’epoca riducendo al minimo l'importanza delle antichissime rotte terrestri come la Via della seta e la Via dell'Incenso e la via transafricana.
A partire dalla fine del XVI secolo, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Oostindische Compagnie o VOC) riuscì a conquistare un gran numero di basi portoghesi nell'Asia orientale e a portare sotto il loro controllo la Rotta delle Spezie, che da allora in poi aveva come snodi principali Batavia (l'odierna Giacarta) in Indonesia e, dall'altra parte, Anversa e Amsterdam.
La ROTTA DELLE SPEZIE - Fu quindi aperta da esploratori portoghesi tra il XV e il XVI secolo.
Posizione delle Molucche (Maluku) – (verde chiaro) - ad EST dell'Indonesia
Carta generale delle Indie Orientali
Una delle tante isole di Banda
Mappa delle isole MOLUCCHE (Maluku Utara)
Dall'Europa all'India, proseguiva fino alle Isole delle Spezie (Molucche-Indonesia). E’ stata la via marittima più rappresentativa dell’espansione europea nel mondo e del colonialismo, in parte ottenuta con l’uso della forza militare. Queste isole offrono numerose opportunità: distendersi sulla sabbia bianca a Ohoidertawun o Pasir Panjang, ammirare il tramonto da Pulau Ternate contemplando i raggi dorati del sole che risplendono sul vulcano ammantato di fitta giungla della vicina Pulau Tidore, scoprire idilliache spiagge deserte e tracce della seconda guerra mondiale sulle isole disabitate intorno a Morotai.
Volendo seguire il percorso dell'originaria Via delle Spezie, occorre visitare le dieci Isole Banda, un minuscolo ma incantevole arcipelago. Nel Medioevo la preziosa noce moscata veniva prodotta quasi esclusivamente sulle Banda. Gli abitanti del posto la cedevano ai mercanti arabi, cinesi, giavanesi e bughinesi in cambio di cibo e abiti, ma la situazione cambiò rapidamente quando arrivarono gli europei (i portoghesi nel 1512 e gli olandesi a partire dal 1599), che pretesero il monopolio.
Porti scalati dalle navi “Indiaman” in Estremo Oriente
PERCORSO – La prima parte della navigazione iniziava da Lisbona fino a doppiare il Capo di Buona Speranza, risaliva le coste dell’Africa orientale e, attraverso il Mare Arabo, raggiungeva le città di Goa, Calicut, e Cochin nel Malabar (costa occidentale dell’India). La seconda parte “commerciale” della Rotta delle Spezie proseguiva circumnavigando India e Ceylon, attraversava il Golfo del Bengala, lo Stratto di Malacca (tra Indonesia e Malaysia), il Mar di Sonda (tra Sumatra e Java) e il Mar di Banda fino alle Isole delle Spezie: Ambon, Tidore e Ternate. (Vedi carta Molucche)
COMMERCIO – Su questa rotta dell’Estremo-Oriente, le navi venivano caricate soprattutto di spezie come il pepe, i chiodi di garofano, la noce moscata e la cannella. In Europa questi prodotti avevano un valore commerciale immenso, poiché non servivano solo per insaporire i cibi, ma venivano utilizzate anche per la produzione di farmaci e dei profumi. Altre merci importanti erano la mirra e l'incenso.
Spezie indiane
Suk di Marrakesch - Marocco
Marrakesch
Spezie in un mercato di Istambul (Turchia)
Zafferano indiano in un mercato del Cairo (Egitto)
Spezie in un SUK del Magreb
In un Suk del Nord Africa
Campionario di SPEZIE a Giacarta (Indonesia)
Spezie a Dubai
Spezie Indiane
Polvere delle “Cinque Spezie Cinesi”
La Polvere cinque spezie o polvere delle cinque spezie è un tradizionale miscuglio de spezie utilizzato in origine nella cucina cinese e poi diffusosi in altre cucine orientali, ad esempio in quella vietnamita.
CONCLUSIONE
Nel 3000 a.C. erano già note 5.000 spezie, nel Medioevo il pepe era usato come moneta. A Firenze si quotavano radici, erbe e semenze. Tuttavia desideriamo aggiungere ancora qualcosa sulla curcuma, in quanto é oggetto ancora ai giorni nostri di studi scientifici molto interessanti.
La curcuma nella cura del cancro (Dal web: Studenti)
La curcuma delle Molucche
La curcuma è una spezia dalle molteplici virtù e la curcumina, pigmento naturale contenuto appunto nella curcuma, e responsabile del colore giallo del curry, è oggetto di ricerche particolari in materie di salute. Fra le sue preziose proprietà è stata, infatti, recentemente annoverata la capacità di rallentare lo sviluppo di alcuni tumori come il cancro.
Seppur lo studio sia ancora in fase di sperimentazione, la propensione a ritenerla attivamente positiva in questo campo, apre sicuramente nuove speranze sul fronte della ricerca anti cancro. Le premesse di questi studi sulla curcuma, rilevano come la spezia in questione sia capace di esercitare un effetto anti-cancro grazie alle sue ben note proprietà antinfiammatorie. Una recensione del 2011 pubblicata nella “Gazzetta della National Academy of Sciences”, ha rilevato che quasi il 25% delle forme tumorali sono causate da infiammazioni croniche; queste infiammazioni provocano l’aumento di una molecola, l’RNA-155, responsabile dell’abbassamento dei livelli della proteina addetta alla riparazione del DNA danneggiato. La curcumina è in grado, secondo alcuni studi, di ostacolare questo processo distruttivo, riportando le cellule al loro equilibrio.
Questo potere specifico della curcuma è stato scoperto dai ricercatori del Jonsson Comprehensive Cancer Center dell’Università della California, i quali hanno evidenziato l’azione anti-cancro della curcumina soprattutto in relazione ai tumori della zona cervico-facciale. La dottoressa Marilene Wang, coordinatrice dello studio, ha affermato che la curcumina opera nella bocca dei pazienti affetti da tumori della testa e del collo, riducendo le attività che promuovono la crescita del cancro.
In questa specifica ricerca sono stati presi 21 pazienti, con tumore alla testa o al collo, ai quali è stato prelevato un campione di saliva, prima e dopo la masticazione di due compresse a base di curcumina. Trascorsa un’ora è stato prelevato un altro campione di saliva. Contemporaneamente è stato condotto lo stesso esperimento su un gruppo di controllo, formato da 13 soggetti affetti da carie dentale e 5 soggetti sani. I risultati hanno evidenziato che mangiare curcumina mette in contatto cancro e saliva, riducendo i livelli di citochine (molecole proteiche che presentano sovente alti livelli in stati tumorali) collegate alla crescita del tumore.
Ovviamente la straordinaria capacità della curcuma nella cura del cancro, ancora in fase di sperimentazione, non può sostituire le terapie tradizionali, scientificamente comprovate, ma può sicuramente svolgere un’importante azione preventiva e di supporto. Infondo unire sapore e salute può diventare una buona e sana abitudine per noi occidentali, arricchendo i nostri piatti con spezie che oltre a rendere la cucina deliziosa contribuiscono al benessere dell’organismo. Questa scelta di vita può risultare utile e benefica per qualsiasi persona, ancor di più in persone sottoposte a un maggior rischio per abitudini di vita, come i fumatori e i bevitori, o affette da patologie specifiche come i portatori di HPV.
GATTI Carlo
Rapallo, 18 settembre 2015
LE SPEZIE IN CUCINA - OGGI
ANICE STELLATO - l’albero, chiamato “badiana”, è originario della Cina e del Nord Vietnam e se ne usano essenzialmente i frutti a forma di stella. Si utilizza per aromatizzare aperitivi, “vin brulè”, pane speziato cioccolato ma anche pesce.
CANNELLA - proviene dallo Sri Lanka e se ne utilizza la scorza. Profuma qualunque dolce a base di frutta (strudel, crumble) o the, cioccolato e il classico vin brulé”.
CARDAMONO – pianta tropicale che vive principalmente in Nepal.Dal gusto vagamente di menta, lo si utilizza nei dolci per insaporirli e come spezia nelle carni o il riso.
CORIANDOLO - origine Europea e Marocchina; se ne utilizzano le foglie e i semi. Indicato per insaporire qualunque verdura, pesci e carni.
CUMINO - proviene dal Nilo ma è coltivato ormai tutto attorno al Mediterraneo e se ne utilizza il seme. Insaporisce i formaggi cotti, le carni, le verdure; indicato per carote e/o patate al forno.
CURCUMA - origine indiana e zone tropicali. Sostituisce, a basso costo, il colore dello zafferano, avendo però un sapore quasi ininfluente. Colora riso o semola (cuscus) o brodo o pesci o verdure cotte. In combinazione con lo zafferano, ne incrementa il colore.
CURRY - miscela composta in Estremo Oriente, non appartiene alle spezie naturali ma è un’insieme di droghe; molto vari ne sono quindi i gusti, determinati dalla diversa percentuale dei componenti che lo formano. Indicato per quasi tutti i tipi di “umidi”.
GAROFANO - sono coltivati in India, Malaisia e Madagascar e se ne utilizzano i fiori immaturi essiccati. Insaporiscono brodi, stracotti, brasati, marinate, selvaggina da pelo e conserve sott’aceto; indispensabile nel “vin brulè”
GINEPRO - proviene dal Nord e se ne utilizzano le bacche. Insaporisce la cacciagione, le marinate, gli arrosti, i cavoli crauti ecc.
MACIS - è il rivestimento esterno della noce moscata. Essicato e polverizzato, anche se meno profumato di quella, può sostituirla. Il suo vero uso è però in salumeria e nelle miscele per formare altre spezie.
NOCE MOSCATA - proviene dalle isole Molucche, dall’india e dalle Antille e se ne utilizza il nocciolo essiccato mentre, dalla polpa che lo ricopre, se ne ricava il macis (vedere). Insaporisce tutti manicaretti a base di uova e di formaggi, come bechamel, soufflè, gratin di verdure oppure per aromatizzare biscotti, cakes, panpepati e “vin brulè”.
PAPAVERO - proviene dal Medio Oriente e se ne utilizzano i semi azzurri. Lo si incontra sul pane, nei dolci, con lo yogurt, il miele, miscelato alla pasta di certi formaggi, ecc.
PAPRICA - nasce in Ungheria ma oggi è difficile distinguerla dai peperoncini piccanti che colà esportiamo, per poi tornarci con il nome di “paprica”. Profuma tutte le ricette di carne che si vogliano insaporire oppure nelle minestre, o nelle verdure o nel pollo allo spiedo.
PEPE - quello nero, il verde e il bianco si ricavano dalla stessa bacca della omonima pianta a seconda di quando, nella stagione, lo si raccoglie e lo si essicca. Il rosa è originario del Brasile mentre quello rosso, pepe non è, e dovrebbe chiamarsi <pimento della Giamaica>. L’uso è a tutti noto ma forse lo è meno il suo potere irritante delle mucose interne, ben più del nostrano peperoncino.
SESAMO - nasce in India, Indonesia, Africa e Cina e se ne utilizzano i semi. Nota la spolverata per insaporire i pani, tostati con le verdure o con insalate, sul pesce o su spiedini di carne prima di cucinarli. Molto presente nella cucina siciliana
VANIGLIA – è originaria del Messico ma oggi viene coltivata anche in Madagascar, Isole della Reunion e Tahiti ed è simile ad lungo fagiolino che, lavorato ed essicato, si presenta come quella che conosciamo. Profuma il latte, le creme, soufflé, charlotte, torte, biscotti e le uova; miscelata allo zucchero diviene zucchero vanigliato. Non tutti sanno che le bacche si possono riutilizzare più volte; basta recuperarle e sciacquarle.
ZENZERO - originario dell’Asia tropicale e della Giamaica; se ne utilizzano i rizomi. E’ componente essenziale in molte misture come il Curry e profuma piatti di pesce o carne oppure biscotti, cakes,panpepati, ecc. Lo si può anche candire.
a cura di
Renzo Bagnasco®
da <<GARGANTUA, idee per cucinare>> edito da Panesi Edizioni, in versione a-book
CAPO HORN - L'inferno dei Marinai
VERSO CAPO HORN
Foto Nejrotti
L’inferno dei marinai
Sabato 13 Agosto 2016 – ore 21.00 Piazza Gagliardo – Chiavari
Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta con il patrocinio del Comune di Chiavari
Presentano
Com.te Ernani Andreatta - Fondatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari
Com.te Carlo Gatti - Presidente Associazione Culturale Mare Nostrum Rapallo
Nel 1616 due intrepidi olandesi videro ed affrontarono per primi il famigerato CAPO HORN. Dunque proprio 400 anni fa, il mercante-navigatore Jacob Le Maire (figlio di Isaac, uno dei fondatori della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali e finanziatore della spedizione) e il capitano di lungo corso Willem Cornelius Schouten. Salparono da Texel, nei Paesi Bassi, in cerca della Terra Australis, ma soprattutto di una nuova rotta per il Pacifico, con due navi, la Hoorn, il nome della città di Schouten, che andrà distrutta, e la Eendracht, con la quale doppiarono il fatidico “Scoglio” il 29 gennaio 1616:
La storia di Kaap Hoorn parte da qui, anche se per alcuni scritti il primato dell’avvistamento spetterebbe a Francis Drake, che avrebbe sottaciuto la scoperta. Capo Horn (55°58’28” Sud 67°16’20” Ovest) è uno sperone di roccia che segna la fine della Terra del fuoco, e con essa del continente americano. Si alza al cielo a 424 metri dal suolo dell’isla Hornos, la più occidentale del gruppo delle Hermite. È un pezzo di Cile e cileno è il presidio militare che si prende cura dei due fari che lo segnalano.
L'albatross. Scultura simbolo di Capo Horn
MALLYHAWK — “E' a Saint Malo, dove aveva sede l’Amicale, venne chiuso il libro delle firme”, conclude Flavio Serafini. Nel 2003, la cerimonia finale, sempre a Saint Malo, con lo scioglimento dell’Amicale. Resta il monumento di Imperia, i cimeli dei Cap Hornier nel suo Museo Navale e un altro monumento proprio a Capo Horn. Venne eretto nel 1992 in ricordo di quanti affrontarono e spesso persero la vita in quel mare che, nell’800 o a giorni nostri, a bordo di un brigantino o di una supertecnologica barca a vela come quella di Stamm e Le Cam, con o senza diavoleria elettroniche, che si arrivi da Est o da Ovest, impone, senza sconti e possibili scorciatoie, di essere un grande marinaio degno di diventare un cap hornier”.
Segue l’intervista del Comandante Ernani Andreatta, Fondatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari, al Comandante Carlo Gatti, Presidente dell’Associazione Culturale Mare Nostrum di Rapallo.
E. Andreatta - PERCHE’ GLI HANNO DATO QUEL NOME?
C. Gatti – Nel 1616 – Lo avvistarono e lo rimontarono gli OLANDESI Shouten e Lemaire che lo chiamarono così in onore della città di Horn i cui mercanti avevano finanziato la spedizione.
Fino al 1400 – ebbero il predominio marinaro l’ITALIA (con le Repubbliche Marinare) e il Portogallo. Dopo essere arrivati in Brasile, esplorarono minuziosamente il Rio de la Plata che però era solo un fiume... dopo di ché la flotta ripartí verso SUD alla ricerca di una vera via d’acqua che collegasse i due OCEANI. Il 1° Novembre 1520, la Spedizione capitanata da Ferdinando Magellano entrò finalmente nello Stretto che fu subito battezzato: Stretto di Ognissanti e che solo in seguito fu rinominato: “Stretto di Magellano”. Le terre al Nord dello Stretto furono chiamate “Terre dei Patagoni” (Patagonia) e quelle al sud “Terra dei Fumi” (Tierra del Fuego). Ci vollero cinque settimane di navigazione difficile tra montagne, secche, fondali variabili, strettoie e venti ghiacciati, ma alla fine le tre navi superstiti si trovarono davanti un nuovo oceano che parve loro calmo, accogliente, invitante a tal punto da chiamarlo “Mare Pacifico”.
Nel 1500 – La SPAGNA ebbe il predominio sui mari / Nel 1600 – L’ OLANDA / Nel 1700 – la FRANCIA / Nel 1800 - l’INGHILTERRA
Ma dopo il 1616, per due secoli quella via di comunicazione rimase deserta. Soltanto qualche nave filibustiera di corsari o esploratori inglesi come Drake, Howe e più tardi Cook ebbero il coraggio di affrontarlo. Nel 1790 l’italiano Alessandro Malaspina, Capitano di Vascello nella Marina Spagnola (con le corvette Descubierta e Atrevida), rimontò Capo Horn da Ovest ad Est in rotta per Cadice.
E. Andreatta - QUANDO CAPO HORN DIVENNE IMPORTANTE E PER QUALI MOTIVI?
C. Gatti - Dopo il 1815 le cose cambiarono. Capo Horn cominciò ad essere frequentato dai velieri sardi in rotta per Valparaiso e Lima.
1) - L’esercito francese (Campagne Napoleoniche) occupò la SPAGNA che si ritrovò isolata dal suo impero d’oltremare. Le guerre in Europa fornirono ai creoli americani la possibilità di conquistare l'indipendenza dalla madre patria, e le rivoluzioni cosiddette Atlantiche iniziarono a scoppiare in tutta l'America Spagnola. Toccò anche a Garibaldi passare Capo Horn.....
2) - 1840 – La SCOPERTA DELL’ORO IN CALIFORNIA richiamò masse di pionieri che imbarcarono su centinaia di velieri diretti per l’unica via conosciuta: CAPO HORN. Una rotta che, con la corsa all’oro della California del 1848 diventò leggenda. Si calcola che solo nel 1849 dai porti dell’Atlantico ben 777 navi salparono per Capo Horn dirette a San Francisco. Navi che si aggiungevano a quelle che già battevano quella rotta.
CORSA ALL’ORO — “Gli equipaggi si imbarcavano con contratti di due o tre anni. Si sapeva quando si partiva, ma non quando si tornava. Se si tornava. Mesi e mesi in mare e a volte, semplicemente, si scompariva. E poi Horn. Le difficoltà di manovrare vele e cime ridotte a blocchi di ghiaccio manovrate da gente sottoalimentata, con abbigliamenti che non possiamo neppure immaginare, impegnati per settimane e settimane a tirare bordi controvento per guadagnare qualche miglio, scapolare il Capo e andare a nord”. Occorreva essere uomini di ferro prima che grandi marinai. Un’epopea quella di Horn che ha avuto un prezzo molto alto; si parla di oltre 800 navi e di 10.000 persone perse in quel mare. E un’epopea che finisce, oltre che per il Canale di Panama, anche con la prima guerra mondiale. “Il grosso dei grandi velieri italiani finì sott’acqua per i siluri tedeschi, ma erano bastimenti vecchi che avevano fatto Capo Horn al comando di capitani per la maggior parte liguri. Come quello, era di Recco (30 km da Genova), dell’ultima nave italiana che passò Horn nel 1914. C’erano anche comandanti che venivano da Procida, da Sorrento e Trapani, ma per lo più erano liguri, come i maggiori armatori dei velieri di allora”. Anche se l’ultima nave a vela a doppiare Horn è stata, nel 1949, la nave-scuola tedesca Pamir, l’epopea del Capo era da tempo finita. Tanto da spingere, nel 1937, un gruppo di capitani cap hornier francesi a fondare, a Saint Malo, l’Amicale Internationale des Capitaines au Long Cours Cap Horniers, per riunire e ricordare quella pagina, già allora lontana, della storia della navigazione. “L’associazione arrivò a contare cap hornier di 14 nazioni e nel 1983 la sezione italiana, di cui ero allora segretario, contava ancora una ventina di membri”, ricorda Serafini. “Fu in quella occasione che venne inaugurato il monumento ai cap hornier a Imperia”. Poi, naturalmente, come “la schiuma sul mare dopo la tempesta”, prendendo le parole della relazione del congresso del 1996 dell’Amicale tenuto a Brest, in Francia, il numero dei cap hornier scomparirono uno dopo l’altro. Quell’anno di comandanti cap hornier ne restava uno solo, un finlandese di 98 anni e se n’era rimasto a casa. Gli altri, età media 85 anni, erano mallyhawk. Ma se ne sono andati tutti.
3) - Una forte corrente commerciale navale da Capo Horn iniziò quando dal litorale peruviano iniziò il commercio del GUANO diretto in Europa.
Capo Horn divenne così l’incrocio obbligato delle rotte commerciali più importanti e quindi la via CLASSICA della marineria velica.
4) - Ma L’avvento del motore, la Prima Guerra mondiale, e soprattutto l’apertura del CANALE DI PANAMA (1914), fecero morire la vela mercantile e le acque di Capo Horn rimasero quasi deserte. Ma una cosa é certa: che per tutto l’800 e 900, Capo Horn fu il banco di prova per tutti i velieri del mondo e dei loro equipaggi.
E. Andreatta - Quando ebbe Origine l’emigrazione italiana in Cile ed in Peru’ ?
C.Gatti - Non c’é famiglia nella nostra Riviera di Levante che non abbia o non abbia avuto parenti in Cile e in Perù. Di una cosa siamo certi: I PRIMI ITALIANI CHE EMIGRARONO DA QUELLE PARTI furono marinai che per un motivo o per l’altro (paura di ripassare Capo Horn, malattie, incidenti di navigazione ecc....) disertarono, non rientrarono più a bordo, in pratica si stabilirono nelle principali città del Sud Pacifico e diedero vita ad attività di pesca e vendita del pescato, altri si diedero all’agricoltura, altri ancora diventarono commercianti aprendo negozi o magazzini (ALMACIEN). I più fortunati e intraprendenti iniziarono con piccole laboratori artigianali che divennero via via fabbrichette sempre più importanti le quali fecero nel corso degli anni da calamita per tanti loro parenti amici che poi lasciarono la Liguria in cerca di fortuna.
E.Andreatta - La ferrovia Transandina evitò a tanti emigranti di affrontare CAPO HORN e quindi si può dire che li salvò dai tanti naufragi.
La ferrovia Transandina attraversa la cordigliera delle Ande e collega le due sponde oceaniche; la parte centrale, aperta nel 1910, collega Buenos Aires-Mendoza-Valparaíso: è lunga 1420 km e raggiunge i 3150 mt. s.l.m.
La Transandina, Ferrovia del Nord, entrata in servizio nel 1962, unisce la città argentina di Salta, collegata a Buenos Aires, con il porto cileno di Antofagasta.
Questa opera fu di grande importanza per gli emigranti provenienti dall’Italia e dalla Europa che non erano più obbligati a doppiare Capo Horn rischiando la vita.... Arrivavano nei porti Argentini con i velieri, le navi passeggeri e da carico, sbarcavano e saltavano sul treno della Transandina e, in poco tempo, raggiungevano le loro destinazioni. Tuttavia, un rischio incombeva, su di loro: l’altitudine eccessiva che colpiva i cardiopatici. Non poche furono le vittime di questa situazione.
E.Andreatta - PERCHE’ CAPO HORN ERA COSI’ TEMUTO DAI NAVIGANTI?
C.Gatti - L'espressione Quaranta ruggenti (in inglese : Roaring Forties) è stata coniata dagli Inglesi all'epoca dei grandi velieri che passavano per Capo Horn. Poiché la forza del vento aumenta procedendo verso sud, oltre il 50° parallelo gli stessi inglesi parlavano di Furious Fifties (che in italiano viene tradotto conn Cinquanta urlanti).
Con Quaranta ruggenti e Cinquanta urlanti vengono convenzionalmente indicate nel mondo marinaro due fasce di latitudini australi caratterizzate da forti venti provenienti dal settore OVEST (predominanti), le quali si collocano rispettivamente tra il 40º e il 50º parallelo e tra il 50º e il 60º parallelo dell'emisfero meridionale. Tali venti hanno la stessa origine dei venti da Ovest dell'emisfero settentrionale), ma la loro intensità è superiore di circa il 40 per cento: ciò è dovuto alla serie di intense depressioni che interessano queste zone, dovute all'incontro tra l'aria fredda dell'Antartide e l'aria calda proveniente dal centro degli oceani, inoltre questi venti sono amplificati dalla relativa scarsità di terre emerse nell'emisfero sud, cosicché soffiando sempre sul mare non incontrano mai la terraferma che li potrebbe frenare.
La denominazione deriva dal nome dei paralleli alla cui latitudine soffiano questi venti: Quaranta o Cinquanta e dal rumore che il vento produce sibilando attraverso gli alberi, il sartiame e la velatura delle imbarcazioni a vela, che somiglia a un ruggito sui 40° e ad un grido sui 50°
E.Andreatta - CAPO HORN UN CIMITERO DI NAVI?
1983-Imperia - L’opera dedicata ai Cap Horniers è dell’artista genovese Stelvio PESTELLI.
C.Gatti - Il monumento al navigante di Capo Horn nel Borgo Marina / Imperia-Porto Maurizio, fu realizzato dallo scultore Stelvio Pestelli e inaugurato il 24 maggio 1983, in occasione del XXXIX Congresso Mondiale dei Cap Horniers, alla presenza del Presidente Pertini e dell’allora Sindaco Scaiola. Esso é dedicato ai naviganti di Capo Horn, agli 800 velieri affondati, ai 10000 marinai che giacciono sul fondo del mare più tremendo del globo.
La Statua rappresenta il classico Lupo di mare dal volto rugoso e barbuto, con cerata, "sudovest" e stivaloni, con le mani sulle caviglie della ruota del timone, teso nello sforzo di governare il suo veliero.
Eretta alla radice del molo di Porto Maurizio, alta m. 2,30, in bronzo, poggia su un piedistallo di m. 2 sul quale c’è la dedica dell’A.I.C.H. (Amicale des Capitaines au Long Cours Cap Horniers) di Saint Malo, sezione italiana. La facilità di navigazione di oggi rende ancora più leggendario il navigare di allora quando, chi doppiava Capo Horn per la prima volta, aveva il diritto di mettere l’orecchino all’orecchio che era dalla parte del Capo in quel momento e di "pisciare" controvento.
Sulla targa l'albatro, simbolo dell'Amicale e l'iscrizione: A ricordo / dei naviganti della / vela oceanica di / Capo Horn.
E.Andreatta – Poco a Nord di Capo Horn c’é una città: USHUAIA che é molto cara agli Italiani. Puoi raccontarci il perché?
C. Gatti - Una Storia dimenticata - Italiani alla Fine del Mondo - Ushuaia (Patagonia del Sud-Argentina)
Nell'immediato dopoguerra una nave, un'impresa italiana e tanta mano d'opera specializzata in cerca di lavoro e fortuna partono per la Terra del Fuoco, regione inospitale, difficile e senza strutture. Ushuaia si trova 140 km a NW di Capo Horn - Cile.
Ushuaia è la città più australe del mondo e si trova sulla costa meridionale della Terra del Fuoco, in un paesaggio circondato da montagne che dominano il Canale Beagle (Ushi = al fondo, Waia=baia). Baia al fondo, alla fine. È così che gli indigeni Yamanas, da oltre seimila anni, chiamano il loro mondo: la "fine del mondo".
Nell’immediato dopoguerra, la decisione del governo argentino di costruire la capitale Ushuaia nella Terra del Fuoco fu presa per riaffermare la sovranità del paese sull'isola Grande, all'epoca oggetto di aspre dispute con il confinante Cile. Siamo nel 1947 e le imprese italiane ricevono l’incarico di costruire opere pubbliche. L’unica struttura presente sull’isola è un vecchio penitenziario ormai fatiscente. Occorre partire da zero: case, strade, ospedale, scuola, centrale idroelettrica. Ad organizzare la spedizione è Carlo Borsari, imprenditore edile bolognese e proprietario di una fabbrica di mobili che convince il governo argentino di saper operare con le sue maestranze anche in climi molto rigidi. Nella primavera del 1948 il presidente Peròn firma il decreto che attribuisce all'imprenditore italiano la commessa di lavoro. Il 26 settembre 1948 salpa dal porto di Genova la prima nave che, guarda caso, si chiama “GENOVA”, con a bordo, 506 uomini e 113 donne, per un totale di 619 lavoratori.
La M/n GENOVA della Co.Ge.Da. è in partenza da Ponte dei Mille per la Terra del Fuoco. Questa rara fotografia è una preziosa testimonianza di quella grande spedizione.
Durante il lungo viaggio della nave, le autorità argentine vietano di scalare i soliti porti intermedi per evitare defezioni. La paga dei lavoratori è di circa 3,5 pesos, superiore rispetto ad altri luoghi in Argentina e permette di mandare soldi alle famiglie in Italia.
Il 28 ottobre 1948, dopo 32 giorni di oceano, la M/n Genova giunge ad Ushuaia con un carico umano colmo di speranze e con le stive stracolme di materiale. Ad accoglierla c’è il ministro della Marina argentina dell'epoca. La stagione è la più favorevole per iniziare i lavori. Per i primi mesi una parte degli operai è sistemata nei locali dell'ex penitenziario, il rimanente alloggia a bordo di una nave militare del governo.
La mano d'opera è soprattutto emiliana, ma non mancano piccole comunità di veneti, friulani e croati. Nelle ampie stive della nave c’è tutto l’occorrente per la costruzione ed il montaggio di un paese moderno. Del carico fanno parte 7.000 tonnellate di materiale per allestire una fornace e la centrale idroelettrica, vi sono mezzi di trasporto leggeri e pesanti, gru, scavatrici, case prefabbricate, generatori, l’attrezzatura per la costruzione di una fabbrica di legno compensato e persino le stoviglie per la mensa dei dipendenti. L’inventario della merce trasportata comprende tutto il necessario alla comunità per essere autosufficiente ed il suo valore attuale corrisponde a venti milioni di euro che il governo argentino, ha pagato all'impresa Borsari che li aveva anticipati.
Agli emigranti provenienti dal nord Italia, le montagne alle spalle di Ushuaia ricordano le Alpi, e per tutti loro la nuova terra significa un futuro migliore per se stessi e per i propri figli. I primi due anni pattuiti con Borsari sono veramente duri per il freddo, la neve, l’oscurità e con le difficoltà di costruire opere murarie e idrauliche. Onorato il contratto, in molti decidono di stabilirsi definitivamente in questa città che hanno creato dal nulla e che sentono ormai propria. Grazie al lavoro di un nucleo di avventurieri italiani, si assiste ad un fenomeno di migrazione di massa unico al mondo. Ushuaia cresce, si popola e si trasforma in una città viva, speciale per varietà di razze e culture.
Restano i ricordi. Lo sforzo per l’ambientamento climatico fu sostenuto dagli emigranti grazie anche al promesso ricongiungimento con le famiglie, che fu rispettato e si concretizzò con l’arrivo di una seconda nave italiana, la M/n "Giovanna C." che giunse a Ushuaia il 6 settembre 1949 con mogli e figli. Quel giorno la comunità italiana raggiunse le 1300 unità.
Gino Borsani aveva promesso due anni di lavoro ben pagato, terre e case ai suoi uomini. “Alcuni di noi non sapevano neppure dove erano diretti” - dice Elena Medeot 78 anni, nata a Zara – “In Italia c'era il mito dell' Argentina, ma quando siamo arrivati qui, dopo un mese di navigazione, abbiamo scoperto la verità. Per scaldarsi, in un posto dove in piena estate la temperatura raramente supera i 10 gradi, si doveva risalire la montagna per fare un po’ di legna. Le promesse del bolognese svanirono in pochi mesi, così come il sogno di tutti, mettere da parte un po' di soldi e tornare a casa.
“Però si mangiava carne tutti i giorni e questo già sembrava un miracolo”. Ricorda Dante Buiatti nato a Torreano di Martignacco. “Nel 1923 Avevo un lavoro in Friuli, ma era più importante dimenticare la guerra e a casa non ce la facevo”.
Dante fu uno dei pochi pionieri, arrivati ad Ushuaia con la ditta Borsari, che scelse di restare in quella terra al confine del mondo. La maggioranza, infatti, rincorse orizzonti più caldi, spostandosi in altre province “più ospitali” dell’Argentina. Buiatti s’impegnò nell’attività commerciale del paese, che oggi continua con sua figlia Laura; mentre Leonardo, il figlio minore, gestisce un albergo. Sempre col cuore rivolto alla sua cittadina natale, Dante Buiatti fu uno dei principali animatori dell’associazionismo friulano e italiano nella Terra del Fuoco. Fino al giorno della sua morte è stato il principale punto di riferimento per gli studiosi dei processi migratori, per la collettività italiana, per i giovani della comunità friulana di Argentina ed Uruguay e, fondamentalmente per i suoi cinque nipoti.
GATTI Carlo
Rapallo, 31 Agosto 2016
Göteborg-1-Nave a Palo VIKING
V I K I N G
La nave a palo in ferro quando navigava con bandiera danese
Il famoso windjammer di bandiera svedese ha cambiato vita riciclandosi in un rinomato Albergo a Göteborg. Il suo elegante scafo bianco simboleggia tuttora quella marineria che lottò strenuamente sino al 1950 per sopravvivere all’avvento del motore.
La navigazione a vela, dopo cinquemila anni di universale pratica, veniva lentamente sconfitta dal nuovo mezzo meccanico. Già! Lentamente, perché la lotta fu aspra e durò ancora nel corso della Prima guerra mondiale, quando gli U-BOOT tedeschi ne fecero scempio con il cannone.
Riservate ai velieri d’altomare rimanevano solo alcune rotte, quelle estreme dei collegamenti con le regioni più lontane (Australia e Cile). Regioni troppo lontane per la limitata autonomia della nave a vapore.
Il grande veliero da carico-WINDJAMMER presentava ancora due notevoli vantaggi:
- non doveva fermarsi per caricare carbone
- il vento non costava nulla
Facendo presa e insistendo coraggiosamente su questi due concetti, Francesi, Tedeschi e Scandinavi costruirono velieri sempre più grandi, destinati a caricare quantità sempre maggiori di merce. Mentre la flotta dei velieri americani andava lentamente declinando, quella inglese divenne la prima al mondo.
La nave a Palo VIKING
Di poppa si erge il grattacielo a strisce bianche e rosse Utkiken, familiarmente battezzato "il rossetto", alto 86 metri che domina il porto di Lilla Bommen.
L’autore
Dal 2013 la nave a palo VIKING è di proprietà della ESS Hotell AB di Göteborg, dov'è ancora conservata intatta, manutenuta ed utilizzata come Albergo, Ristorante e Bar galleggiante. La foto mosta la nave nell’attuale ormeggio nella Lilla Bommens Hamn sul canale Göta Älv e, con molto fascino, si erge a simbolo della tradizione marinara svedese nella splendida aerea interna del porto di Göteborg. La costruzione rossa e bianca che si erge di poppa alla VIKING si chiama Lilla Bomen, ma la gente la chiama Skanskaskrapan oppure Läppstiftet (perché ricorda il rossetto usato dal gentil sesso).
La nave a palo VIKING fu costruita nel 1906 dal cantiere Burmeister & Wain di Copenaghen per il consorzio di armatori chiamato "Den Danske Handelsflaadens Skoleskib for Befalningsmænd AS" per essere utilizzata come nave mercantile e nave scuola per gli allievi della marina mercantile danese, che lo tenne dal 1906 al 1915. E' il più grande veliero mai costruito in Scandinavia. Costò 591.000 corone danesi. Scafo in acciaio. Lunghezza ft 118 m, al ponte 97,30 metri. Larghezza 13,90 m. Immersione 7,30 metri. Stazza 2.959 tonnellate lorde, 2.665 nette. Superficie velica 3,690 m². Disponeva di vele di gabbia fisse e volanti, velacci, velaccini e vele di belvedere. Velocità massima di crociera 15,5 nodi. Dislocamento 6.300 tonnellate. Capacità di carico 4.100 t. Varato il 1° dicembre 1906, fece il suo “maiden voyage” il 19 luglio 1907. Dal 1915 al 1929 divenne proprietà della Società De Forenede Dampskibs AS di Copenaghen (It)-Köpenhamn (Sv)-Köbenhavn (Da).
Nel 1929 venne venduta al celebre armatore Gustaf Erikson di Mariehamn, Isole Åland, che la impiegò nei traffici del grano australiano verso l'Europa che la tenne sino al 1950.
Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, venne disarmata a Mariehamn insieme con la POMMERN e la PASSAT. Nel 1946-47 fece ancora due viaggi del grano in Australia e nel 1947-48 ne fece altri due con il Passat.
Nel 1950 venne rivenduta alla città di Göteborg ed utilizzata come nave scuola stazionaria sino al 1998.
ALBUM FOTOGRAFICO
Primo piano della VIKING
Lo scalandrone innevato della VIKING. Benvenuti a bordo! Hotell*Ristorante*Conferenze
Suggestiva immagine della VIKING e del “rossetto” a sinistra
La reception della nave
Sala delle Feste
Sala da pranzo
Carlo GATTI
Rapallo, 19 dicembre 2015
COMPAGNIE DELLE INDIE - La VOC -
COMPAGNIE DELLE INDIE
LA VOC
Per molti versi, il XVII secolo si caratterizzò per l’esplosione delle “attività commerciali” in tutto il mondo. Molti Stati europei, a grande tradizione marinara, assegnarono il monopolio di questi nuovi flussi mercantili a delle Società di Navigazione che divennero famose per il “brand”:
COMPAGNIE DELLE INDIE ORIENTALI / OCCIDENTALI
che possiamo così riassumere:
1) - Compagnia britannica delle Indie Orientali - fondata nel 1600
2) - Compagnia Olandese delle Indie Orientali - fondata nel 1602
3) - Compagnia Francese delle Indie Orientali - fondata nel 1664
4) - Compagnia Danese delle Indie Orientali - fondata nel 1670
5) -Compagnia Svedese delle Indie Orientali - fondata nel 1731
6) - Compagnia Olandese delle Indie Occidentali - fondata nel 1621
7)-Compagnia francese delle Indie Occidentali- fondata nel 1635
Con le scoperte geografiche culminate con i viaggi di C.Colombo nel Nuovo Mondo, la geopolitica del mondo voltò pagina. Nuovi interessi spinsero gli uomini di mare a battere rotte anche inesplorate per avviare contatti commerciali.
Se fino al 1500 era stato il continente asiatico ad esprimere le forme più evolute di società organizzata, a partire da quella data il baricentro della storia andò gradualmente spostandosi verso l’Europa, che si impose come la civiltà dominante a livello mondiale.
Il perfezionarsi delle tecniche di navigazione, congiunto al miglioramento delle carte e strumenti nautici, incoraggiò lo stabilirsi di basi e mercati via mare tra i vari continenti e ciò ebbe come conseguenza, non solo un ampliamento della scena storica di regioni fin lì vissute in totale isolamento, ma anche la rottura di quell’antico equilibrio fra le civiltà euroasiatiche che per millenni era rimasto inalterato. Di questi sconvolgimenti su scala planetaria si avvantaggiò soprattutto l’Europa che, anche in virtù di una vitalità culturale radicata nei suoi trascorsi classici, seppe nel giro di due secoli estendere la propria influente potestà a quasi tutto il mondo di allora.
Nel XV secolo, con il trattato di Tordesillas, Spagna e Portogallo si erano divise le terre d’Oriente scoraggiando qualsiasi tentativo da parte di olandesi, francesi e inglesi di viaggiare verso le Indie. Faceva soprattutto gola l’intero capitolo riguardante LE SPEZIE di cui gli iberici detenevano il monopolio. Questo precario equilibrio trovò il suo punto di rottura nel 1580 quando la Spagna di Filippo II sottomise il Portogallo. Da allora i suoi vascelli carichi di spezie solcavano tutti i mari del mondo e tornavano in patria vendendoli a prezzi sempre più elevati chiudendo di fatto i porti di Cadice e Lisbona ai mercanti degli altri Paesi europei. Tuttavia, questo fine secolo fu caratterizzato da repentini cambiamenti strategici. L’impero spagnolo, essendo troppo vasto e mal amministrato, lentamente entrò in crisi e quando le Province Unite dei Paesi Bassi si rivoltarono contro gli Spagnoli che li dominavano, ottennero l’indipendenza.
Agli inizi del Seicento, con l’indebolimento di Spagna e Portogallo, si aprirono ampi spazi commerciali sulle nuove rotte tracciate da Capitani astuti e coraggiosi degli armamenti del Nord Europa. Nacquero, in questo stallo geopolitico, le Compagnie delle Indie in Olanda, Inghilterra e Francia le quali, con l’appoggio dei rispettivi governi, riversarono cospicui investimenti verso potenti flotte navali per la conquista dei mercati delle spezie in Asia. Le Compagnie divennero sempre più motivate verso un unico obiettivo: accaparrarsi nuovi territori e basi commerciali. La concorrenza fu spietata e non mancarono le guerre.
Le Compagnie diventarono quindi le principali protagoniste della colonizzazione del mondo e della costruzione di un unico mercato “globale” sotto l'egemonia europea. Nel Settecento esse rifornirono l'Europa di SPEZIE (pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cannella ecc..) e tessuti orientali, ai quali si aggiunsero, nel secolo successivo, tè, caffè e zucchero. Poiché in Asia i prodotti europei non erano richiesti, le Compagnie dovevano pagare in oro le merci asiatiche. Talvolta, però, per evitarlo, organizzarono commerci interasiatici, scambiando, per esempio, tessuti indiani o pepe e spezie indonesiane con tè e porcellane cinesi. I privilegi delle Compagnie scontentavano in Europa sia i mercanti che non ne godevano sia gli artigiani in difficoltà, per la concorrenza dei prodotti coloniali (soprattutto tessili) importati dalle Compagnie.
In seguito ai crescenti contrasti con la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, culminati nel 1623 con il massacro dei mercanti inglesi ad Amboina (Molucche), i due paesi: Olanda e Inghilterra raggiunsero una sorta di tacito accordo che dava all'Olanda una posizione dominante sull'isola di Giava e sulle altre isole dell'arcipelago indonesiano e agli inglesi il controllo dei commerci con l'India (esclusa Ceylon), mentre entrambe le Compagnie restarono libere nei propri movimenti in estremo Oriente.
Il Secolo d'Oro che segnò l'egemonia marittima e commerciale fuori dall'Europa
AMSTERDAM - Liberandosi dall'opposizione degli invasori spagnoli, da piccolo villaggio di pescatori, divenne la città più potente economicamente in tutte Europa, raggiungendo l'apogeo, nell'era che fu definita quella del suo Secolo d'Oro: il XVII. In questo periodo, Amsterdam, ricchissima città mercantile con 200.000 abitanti divenne la terza città d'Europa dopo Parigi e Londra, e si avventurò in quello che sarà un impero coloniale di lunga durata. Fu definita anche una delle più belle metropoli del rinascimento, per avere un'idea, è sufficiente ammirare le traccie lasciate dai rifugiati fiamminghi nel "Tornante d'oro" definito dai tre canali che sono stati tracciati dal 1612 e che presero il nome di Herengracht, Keizersgracht e Prinsengracht.
Con la fondazione nel 1602 delle Compagnie delle Indie orientali, l’Olanda acquisisce il monopolio sull'importazione di spezie dall'Indonesia, di porcellana dalla Cina e dal Giappone, di prodotti tessili dalle Indie. Nel 1664, con la Compagnia delle Indie occidentali, invece controlla il commercio degli schiavi tra l'Africa e le Americhe, ma questa é un’altra storia.
Dopo questa lunga premessa, facciamo ora la diretta conoscenza della Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
Il logo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie), abbreviato in VOC, fu costituita il 20 marzo 1602 con un capitale sociale di 6.459.840 fiorini sottoscritto dalle sei Camere olandesi Il varo della nuova COMPAGNIA avvenne quando il Governo le garantì il monopolio delle attività commerciali nelle colonie nelle colonoie in Asia.
Quale fu la reale causa politica di questa svolta epocale?
Tutto quanto accadde dopo che la ribellione delle Province UNITE dei Paesi Bassi contro la Spagna (1566), e il passaggio del Portogallo sotto la dominazione spagnola (1580), avevano prodotto la chiusura dei tradizionali porti di rifornimento: Cadice e Lisbona ai mercanti olandesi, costringendoli a procurarsi le spezie direttamente all'origine.
Mappa anacronistica delle Colonie Olandesi. In verde scuro i territori occupati dalla Compagnia Olandese delle Indie Occidentali
La Compagnia Olandese delle Indie Orientali nacque dalla fusione di otto compagnie minori messe sotto pressione dagli Stati Generali Olandesi intenti a coagulare le proprie risorse per strappare il monopolio commerciale dei mari delle Indie al Portogallo. La Compagnia era composta da 6 Camere (Kamers) fondatrici. Il suo organo esecutivo era costituito dagli Heeren XVII, ossia i Direttori, scelti in seno ad una assemblea di 60 rappresentanti degli azionisti con una presenza fissa di otto delegati della Camera di Amsterdam e quattro provenienti dalla Zelandia (Paesi Bassi). Il capitale iniziale fu in seguito diviso in piccole azioni rapidamente sottoscritte e successivamente rastrellate dagli stessi Direttori, che assunsero così una posizione oligarchica. Per il governo delle terre coloniali acquisite, la Compagnia creò un'amministrazione stabile con sede a Batavia, facente capo ad un Governatore Generale assistito da un Consiglio delle Indie composto da sedici membri.
Il monopolio dei traffici olandesi tra il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Magellano era stato concesso alla Compagnia per la durata di ventun anni, le fu data inoltre l'autorità di costruire difese militari, trattare con altri Stati e anche di guerreggiare. Nella prima metà del XVII secolo , la Compagnia invase più o meno pacificamente l'arcipelago delle Molucche (Amboina nel 1605, Banda nel 1609) dove la sottomissione dei Principati marittimi di Ternate, Tidore, Batjam raggiunse il culmine della sua potenza.
Sede della VOC ad Amsterdam
Pochi anni dopo, Francesi ed Inglesi furono estromessi e gli Olandesi s’installarono nel mar di Giava, occupando Bantam e fondando Batavia (1619). In questa città la Compagnia stabilì la sua Direzione Operativa Orientale la quale, essendo più a Est di Malacca e Goa, le conferì un permanente vantaggio strategico.
La capillare penetrazione della Compagnia proseguì più ad occidente con l'impianto di Fondi Commerciali a Johore e Malacca (1641), con la costruzione di basi sulla costa indiana del Malabar (1661), con l'invio di mercanti nel Borneo settentrionale (1665) e di missioni religiose a Formosa.
Il Trattato di Breda (1667) sancì l'esistenza di un Impero Coloniale Olandese d'Oriente costituito da una serie di basi commerciali fortificate dal capo di Buona Speranza (1652) a Timor, passando per lo scalo persiano di Bandar Abbas. La situazione di assoluto monopolio di cui la Compagnia godeva nel commercio di alcuni prodotti, permise agli azionisti di realizzare profitti altissimi, con un dividendo del 22% nell'arco della sua esistenza con punte del 132,5% nel 1610 e del 37,5% nel 1619, malgrado cospicui reinvestimenti per rafforzare la Compagnia dal punto di vista militare ed economico.
Entriamo adesso nel merito della consistenza della flotta olandese, e dei suoi metodi non del tutto democratici...
Un vascello della VOC al suo arrivo a Cape Town. Nel corso del Seicento le navi della Compagnia delle Indie Orientali Olandese (abbreviata in V.O.C., Vereenigde Oostindische Compagnie) battevano le acque dell'Atlantico e dell'Indiano e con il loro continuo andirivieni lungo una delle rotte più lunghe al mondo rappresentavano il simbolo stesso del potere navale olandese. Considerate dall'esterno, questi Indiamen (così venivano chiamate, genericamente, tutte le navi utilizzate nel commercio con le Indie) non erano molto diversi dalle navi da guerra che venivano costruite in quel periodo. La caratteristica che li accomunava era di avere la poppa quadra, a differenza dei mercantili di dimensioni più piccole che invece ne avevano una tonda. Per il resto, i costruttori si limitavano a farli un po' più larghi delle navi da guerra, per far posto al carico, e con la poppa un poco più alta, per far spazio ai passeggeri. Queste navi misuravano di solito circa 40 metri di lunghezza, misurati al ponte principale, ma non erano certo le più grandi che venivano costruite in Europa in quegli anni: spagnoli e portoghesi, per esempio, preferivano concentrare le loro merci su un numero minore di trasporti ma di dimensioni maggiori, fino a 1600 tonnellate di stazza o più, illudendosi che la sicurezza fosse in funzione diretta delle dimensioni.
Il Batavia è il relitto di una nave della VOC (Compagnia Olandese delle Indie Orientali) costruita ad Amsterdam nel 1628. La nave affondò nel 1629 durante il suo viaggio inaugurale e divenne famosa a seguito dell'ammutinamento e del massacro che ebbe luogo fra i sopravvissuti. Nei primi anni ‘70 molti oggetti vennero recuperati: alcuni di essi sono ora in mostra al Maritime Museum di Fremantle e altri sono al Geraldton Region Museum. Il relitto si trova oggi a una profondità di 6 metri, nelle vicinanze di Morning reef nelle Houtman Abrolhos, e sono ancora visibili cannoni e ancore, fra cui nuotano diverse specie di pesci. Una replica della Batavia è stata realizzata tra il 1985 e il 1995 ed è attualmente visitabile presso Lelystad in Olanda.
La vicenda del Batavia risulta particolarmente interessante grazie anche alla sua storia caratterizzata dall’ammutinamento della ciurma capeggiato dal capo mercante Jeronimus Cornelisz e dal timoniere Ariaen Jacobsz. L’ammutinamento influenzò notevolmente sia la storia precedente che quella successiva al naufragio, caratterizzando inoltre il sito dal punto di vista della ricostruzione storico – archeologica. La scoperta del Batavia, datata 1963, si deve ad alcuni subacquei sportivi che rinvennero i resti del relitto nelle acque antistanti la Beacon Island nel arcipelago denominato Houtman Abrolhos al largo delle coste del Western Australia.
Nel 1628 il Batavia prese il largo dal porto dell’isola di Texel nel nord dell’Olanda, diretto a Batavia (odierna Jakarta, Indonesia), sotto il commando di Francisco Pelsaert. La nave, costruita l’anno precedente, compiva il suo viaggio inaugurale trasportando un carico di oro e argento utile all’acquisto di spezie nella colonia della Compagnia delle Indie Orientali Olandese. Lasciata Città del Capo in Sud Africa, ove l’imbarcazione aveva fatto sosta per il rifornimento delle provviste necessarie per il proseguimento del viaggio, i due cospiranti diedero inizio al loro piano. Preso il commando della nave cambiarono rotta con l’intenzione di iniziare una nuova vita grazie anche al cospicuo e ricco carico trasportato. E’ noto come Jacobsz ebbe attriti personali con Pelsaert in India, anni prima, mentre Cornelisz si trovava in fuga dalle Netherlands, dove era stato accusato di bancarotta, e dov’era a rischio di arrestato per alcune accuse di eresia.
Museo del BATAVIA
Il viaggio terminò il 4 giugno 1629 allorché l’imbarcazione urtò il Morning Reef nel Wallabi Group dell’Houtman Abrolhos, un gruppo di isolotti e barriere coralline al largo di Geraldton nel Western Australia. Delle 322 persone a bordo, 40 perirono nel tentativo di raggiungere la terraferma, mentre i sopravvissuti organizzarono un campo di sopravvivenza nella Beacon Island. La mancanza di acqua potabile e di approvvigionamenti nell’isola obbligarono il comandante Pelsaert, il timoniere Jacobsz, alcuni membri dell’equipaggio e alcuni passeggeri a compiere un disperato viaggio, a bordo di una scialuppa di salvataggio (9.1 metri di lunghezza), in direzione di Batavia alla ricerca di soccorsi. Dopo 33 giorni di navigazione il comandante e gli altri a bordo (non vi fu’ alcuna perdita!) riuscirono a raggiungere l’Indonesia e, ottenuta un altra imbarcazione – la Sardam – ripresero il largo in direzione dell’Houtman Abrolhos.
Intanto nel campo dei sopravvissuti, durante l’assenza del comandante, Cornelisz continuò a portare avanti il suo piano. Egli era infatti cosciente di essere a rischio di giudizio in caso il comandante fosse riuscito a ritornare con i soccorsi. A questo proposito, progettò addirittura di dirottare eventuali imbarcazioni di soccorso, prendendone possesso, per poter così completare il suo piano e stabilirsi da qualche parte ad iniziare una nuova vita grazie al carico di oro e argento. Cornelisz era comunque cosciente di dover eliminare qualsiasi ostacolo che potesse frapporsi tra lui ed il successo del suo piano. A questo riguardo, il primo provvedimento che attuò fu di ottenere che tutte le armi e le provviste fossero poste sotto il suo diretto controllo. Ordinò inoltre al gruppo di soldati, posti a guarnigione del prezioso carico, di andare a cercare provviste d’acqua in uno dei vicini isolotti e, convinto dell’impossibilita’ di successo, li lasciò al loro destino. A questo punto, sicuri di aver ottenuto il completo controllo dei sopravvissuti, Cornelisz e gli altri ammutinati si lasciarono ad atti di barbarie.
La replica dell'Indiaman Batavia è stata realizzata nel 1995 e riproduce fedelmente la nave originale, affondata lungo le coste australiane nel 1628. La realizzazione degli Indiamen era supervisionata direttamente dalla Compagnia, dal momento che questa, sin dai suoi inizi, aveva scelto di trasportare solo merci proprie su navi proprie, e il modo in cui la Compagnia coordinava attività commerciale e attività cantieristica rimane uno degli episodi più interessanti di programmazione produttiva dell'epoca pre-industriale. La VOC infatti controllava tutta una serie di cantieri, sparsi in tutti i Paesi Bassi. Il più grande era situato ad Amsterdam, su un'isola artificiale del fiume Ij realizzata intorno alla metà del Seicento, e conteneva al suo interno le officine per tutte le fasi di produzione e lavorazione degli accessori necessari a far funzionare una macchina complessa come una vascello a vela. La centralizzazione delle attività permetteva alla VOC di programmare accuratamente, nella tarda primavera o nell'estate di una certa annata, tutte le fasi della costruzione delle sue navi. Il numero delle unità da impostare volta per volta nei cantieri nazionali dipendeva infatti dalla composizione del convoglio di ritorno dalle Indie che si voleva ottenere circa due anni dopo (le navi costruite in questi cantieri infatti venivano usate esclusivamente sulla redditizia rotta Olanda-Indonesia). Una volta fissata la quantità di navi da costruire veniva raccolto il materiale da costruzione, che doveva essere interamente importato, dal momento che i Paesi Bassi erano totalmente sprovvisti di foreste di alberi d'alto fusto. Le querce, i pini, gli abeti arrivavano dalla Polonia, dalla Norvegia, dalla Russia settentrionale e dalla Germania, e venivano lasciati per almeno sei mesi immersi in acqua per evitare spiacevoli deformazioni e crescite del legname una volta tagliato e utilizzato. Verso novembre o dicembre i tronchi erano tirati all'asciutto con argani e falegnami e carpentieri cominciavano a lavorare per dare forma al nuovo vascello. Ci volevano circa tre mesi di tempo perché lo scafo dell'Indiaman venisse completato, e questo era anche il tempo richiesto perché il legname si seccasse. Il varo avveniva in primavera, e l'allestimento veniva completato nelle immediate vicinanze del cantiere, con la nave solidamente bloccata in una specie di fitta staccionata di pali conficcati nel fondo del porto. La nave era pronta a salpare verso settembre, proprio in tempo per lasciare libero lo spazio e le risorse del cantiere per le riparazioni delle navi che ritornavano in quel periodo dalle Indie.
La nave Amsterdam era un vascello della Compagnia delle Indie Orientali, usato nel XVII secolo per scopi commerciali. Dal 1991 è ormeggiata accanto allo Scheepvaartmuseum o museo marittimo di Amsterdam. In realtà, la maestosa nave è una replica dell'originale, naufragata nel 1749 in viaggio verso l'Estremo Oriente a causa di una violenta tempesta. Il vascello è visitabile come singola attrazione o in combinazione con l'ingresso al museo.
Nel 1669 la Compagnia Olandese delle Indie Orientali possedeva 40 vascelli da guerra, 150 navi cargo e 10.000 soldati che difendevano i trasporti. Gli Olandesi arrivavano nelle isole delle spezie e con ogni mezzo, anche il più violento, assoggettavano le popolazioni locali per entrare in possesso delle piantagioni. Cercavano di specializzare ogni isola con la coltura di ogni tipo di spezia, e adottavano regole severissime per impedire a chiunque di trasportare anche solo una pianta al di fuori del terreno nativo. In questo modo, conquistarono l’isola di Banda che aveva il monopolio della noce moscata, l’isola di Ternate conosciuta per i chiodi di garofano e altre isole ricche di cannella e pepe. Soprattutto la conquista dell’Isola di Banda è emblematica del metodo di conquista da essi adottato: poiché la popolazione locale non voleva cooperare, fu sterminata e di circa 15.000 persone ne rimasero qualche centinaio che furono ridotte in schiavitù. Le spezie venivano conservate nei magazzini per regolarne l’afflusso sul mercato e mantenere alti i prezzi e - se le produzioni erano comunque eccessive - venivano bruciate.
Declino e soppressione
Tuttavia, alla fine del Seicento la potenza della Compagnia cominciò a scemare e nel secolo successivo, nel corso della quarta guerra anglo-olandese (1780-1784), furono persi numerosi stabilimenti, altri furono ceduti ai Britannici dopo l'invasione dell'Olanda da parte delle armate rivoluzionarie nel 1794 e nel 1798.
Altre cause del profondo declino della Compagnia Olandese delle Indie Orientali vanno viste:
- nella concorrenza francese e inglese
- nella cattiva amministrazione
- nelle ingenti spese militari dovute alle frequenti ribellioni indigene
- nella crescente corruzione
- nei debiti finanziari che condussero allo scioglimento della Compagnia nel 1799 quando la Compagnia cessò i traffici e fu sciolta due anni dopo lasciando i propri resti allo Stato Olandese.
Si può quindi affermare che in ORIENTE, il più potente gruppo europeo per tutto il XVI e XVII secolo fu la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, lo fu soprattutto per la sua organizzazione commerciale e militare che toccò il suo apice nel 1619.
Non spetta a noi assegnare Patenti di Merito ... ma siamo convinti che la MARINERIA Olandese abbia avuto un ruolo determinante in questa affascinante pagina della storia di quel Paese. I suoi capitani furono i primi a trovare una rotta diretta per Batavia, facendo rifornimento (dopo il 1652) nel nuovo emporio olandese del Capo di Buona Speranza, sia navigando verso oriente sfruttando i venti dominanti intorno al 40° di latitudine Sud, sia entrando nell’arcipelago malese attraverso lo Stretto della Sonda.
Nel XVII secolo la Compagnia non diventò mai una grande potenza territoriale, né i suoi Direttori lo desideravano; ma assicurandosi basi in posizioni strategiche, esercitando pressioni sui principi locali e costringendo gli altri Europei ad andarsene dalla zona riuscì a garantirsi il monopolio di lucrosi commerci dell’arcipelago. Nelle altre zone dell’Estremo Oriente la Compagnia commerciava, come gli altri Europei, in concorrenza con gli altri mercanti occidentali e locali, secondo le regole stabilite dai governi asiatici.
La Compagnia Inglese delle Indie Orientali
Fondata nel 1600 per il commercio con le Indie Orientali. Fu costretta dall’Olanda a lasciare l’India dopo il massacro di Amboina nel 1623. La Compagnia negoziò concessioni con l’India Moghul e ottenne il controllo del Bengala nel 1757; le sue attività politiche furono fortemente limitate dal Regulating Act del 1773 e dall’India Act del 1784. Il suo monopolio commerciale in India cessò nel 1813, quello in Cina nel 1833. L’importanza della Compagnia decadde fino allo scioglimento legale decretato nel 1873.
La Compagnia Inglese delle Indie Orientali, costituita nel 1600, era un’impresa di minori dimensioni, che raramente fu in grado di resistere alle pressioni olandesi nell’arcipelago malese, e comunque era impegnata soprattutto nel commercio di cotonerie e pepe dall’India, dapprima nel porto di Moghul di Sarat, poi in scali propri a Madras, Bombay e Calcutta. Nel 1685 avviò un modesto commercio con la Cina, comprando té e porcellane ad Amoy, e più tardi a Canton, dove dal 1698 in poi i suoi agenti si trovarono in concorrenza con la Compagnie de Chine francese.
Come risultato delle rivalità commerciali e delle aggressioni armate da parte delle navi di queste Compagnie, che non tenevano in nessun conto lo stato di pace o di guerra in Europa, l’Estado da India portoghese subì gravi perdite sia territoriali che economiche; e anche molte correnti di commercio locali, marittime o carovaniere, che i Portoghesi avevano lasciato pressoché intatte (limitandosi tutt’al più ad imporre dogane) cominciarono a scemare.
Carlo GATTI
Rapallo, 19 Settembre 2015
CANALE DI PANAMA - RADDOPPIA ...
CANALE DI PANAMA – RADDOPPIA ...
Il CORRIERE DELLA SERA - Milano, 26 giugno 2016 - 15:09
Intitola oggi:
Festa a Panama per il nuovo Canale - Un gioiello del «Made in Italy»
Una nave cinese inaugura la terza corsia destinata ai moderni giganti del mare Opera monumentale da 5,25 miliardi di dollari, che sfida la crisi dei commerci.
La prima nave ad imboccare il nuovo Canale di Panama, dal lato Atlantico, è stata una portacontainer cinese, 300 metri di lunghezza, battente bandiera delle Isole Marshall. La “Cosco Shipping Panama”, ribattezzata così per l’occasione, ha varcato all’alba di oggi, domenica 26 giugno, le nuove chiuse di Agua Clara per poi attraversare il lago artificiale Gatún e presentarsi puntuale all’appuntamento del pomeriggio, dopo otto ore di viaggio, davanti alla tribuna d’onore montata accanto alle chiuse gemelle di Cocoli, sul versante Pacifico. Ad accogliere il moderno mercantile, avanguardia di quelli che verranno, il presidente della Repubblica centroamericana, Juan Carlos Varela, e un drappello di capi di Stato e ministri stranieri. “Abbiamo costruito la nuova via del commercio mondiale”, commenta Pietro Salini, della Salini-Impregilo e “guida” del consorzio responsabile dei lavori.
Informiamo i nostri followers che su questo stesso sito (Mare Nostrum Rapallo), nella Sezione STORIA NAVALE, il 19.04.2012 abbiamo redatto un saggio sul CANALE DI PANAMA. Lo trovate al LINK:
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=214:canale-di-panama&catid=36:storia&Itemid=163
Con questo aggiornamento ci proponiamo di sottolineare il nuovo assetto del CANALE che, dopo i lavori di ampliamento, ha reso agibile il passaggio anche alle nuove navi che appartengono, com’é noto, alla categoria del GIGANTISMO NAVALE, argomento più volte affrontato sul nostro sito.
Nome del progetto:
Ampliamento del Canale di Panama - Terzo set di chiuse
Paese: Panama
Cliente: Autoridad del Canal de Panama - ACP
Valore: 3.356 milioni di euro - quota parte 1.288 milioni di euro
Inizio lavori: agosto 2009
Durata prevista: 65 mesi
Il progetto prevedeva la realizzazione di un nuovo Canale che – a complemento dell’esistente – da oggi consente il transito di navi di maggiori dimensioni, incrementando il traffico commerciale in risposta agli sviluppi ed alla continua espansione del mercato dei trasporti marittimi.
DATI PRINCIPALI:
C’é subito da rilevare che l’opera ingegnieristica é tra le più ambiziose mai realizzate al mondo e parla italiano al 50%! Le PARATOIE sono state costruite dalla ditta CIMOLAI che ha battuto sul filo di lana la concorrenza USA. Aggiungiamo il software operativo e molti materiali speciali. La SALINI-IMPREGILO é stata la “guida operativa” al 48% di un progetto che cambierà il commercio mondiale.
ELENCHIAMO LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LE NAVI COSIDETTE PANAMAX, CHE TRANSITAVANO PER IL CANALE DI PANAMA PRIMA DELL’AMPLIAMENTO, E LE NAVI POST PANAMAX, DI GRANDI DIMENSIONI, ATTUALMENTE IN CIRCOLAZIONI SUGLI OCEANI.
La realizzazione del Terzo Set di Chiuse del Canale permette oggi il passaggio di navi di maggiore tonnellaggio denominate Post Panamax, con una capacità: ......................12.600 TEUs;
lunghezza max: ............... 366 metri;
larghezza max: ...................49 metri;
pescaggio max ................... 15 metri.
Con il vecchio sistema di chiuse, il passaggio di navi tipo Panamax consentiva i le seguenti misure (ben inferiori):
capacità: .......................... 5.000 TEUs;
lunghezza max: ................... 294 metri;
larghezza max: ...................... 32 metri;
pescaggio max: ...................... 12 metri.
In particolare é stata realizzata la costruzione di due chiuse a salto triplo: una chiusa a salto triplo sul lato Atlantico ed una sul lato Pacifico. Queste chiuse permetteranno il sollevamento delle navi dal livello degli Oceani al Lago Gatun (intermedio rispetto ai due Oceani) e viceversa, in un tempo inferiore a due ore. Ognuna delle tre camere che costituiscono ciascuna chiusa:
larghezza: ........................... 55 metri;
lunghezza: ........................ 427 metri;
profondità: ...................23 a 33 metri;
Sono dotate di sistemi di paratie scorrevoli, in senso orizzontale, che consentono di superare il dislivello esistente di circa 27 metri tra gli oceani ed il lago Gatun.
Le Paratoie (Lock Gates).
Il funzionamento efficiente e sicuro delle Chiuse è regolato da Paratoie tipo: “Porte a Scorrimento Orizzontale” che, parimenti alle Porte tipo “Vinciane” delle chiuse esistenti, sono di provata tecnologia ed applicazione in installazioni di questo tipo. Queste Paratoie, azionate da argani elettrici, impiegano circa 3-4 minuti per realizzare la chiusura/apertura delle Chiuse. Le dimensioni di queste Paratoie:
altezza: ..........................23-33 metri;
larghezza: .......................... 10 metri;
lunghezza: ......................... 58 metri.
Impatto ambientale: il riutilizzo dell’acqua attraverso il sistema di Water Saving Basins.
Gli studi effettuati hanno permesso di realizzare una strategia di sviluppo del progetto ambientalmente e socialmente sostenibile al fine di mitigare tutti gli impatti sul territorio, sull’ambiente e sulla popolazione. Una particolare attenzione è stata attribuita sin dalla fase progettuale alla riduzione del consumo di acqua del lago Gatun durante le fasi di transito. A tal fine è stato studiato un nuovo sistema – definito Water Saving Basins – che consente attraverso l’introduzione di Bacini ausiliari il recupero ed il riutilizzo parziale dell’acqua del lago Gatun. In questo modo si ha un risparmio di acqua pari al 60% ed il transito che richiederebbe l’utilizzo di circa 500 milioni di litri di acqua si realizzerà con circa 200 milioni di litri.
PRINCIPALI DATI TECNICI DELL’AMPLIAMENTO:
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Dragaggi: ............................7.100.000 m³ |
Scavi:................................74.000.000 m³ |
Reinterri:...........................18.000.000 m³ |
Calcestruzzi:....................... 5.000.000 m³ |
Cemento: ...........................1.600.000 ton |
Acciaio di Armatura:............... 290.000 ton |
Acciaio per paratoie e valvole:... 71.000 ton |
Edifici (96 unità):..................... 40.000 m² Dal SECOLO XIX riportiamo il seguente commento di A.Q. Viene rilevato da più parti che se si saprà cogliere questa opportunità del Nuovo Canale di Panama che coincide con quello di Suez, il Mediterraneo può Rrtornare ad essere il centro di molte rotte navali. Oggi nel Mare Nostrum Transita il 19% del traffico mondiale in volume ed il 25% per le rotte. L’Italia é Terza in Europa per traffico merci con 473 milioni di tonnellate e prima nei Paesi UE nel corto raggio. In vent’anni il numero dei container movimentati nei 30 Porti maggiori é cresciuto del 425% con un tasso medio del 21% annuo. Ma servono novità sia nelle Autorità Portuali sia nelle infrastrutture: i principali Porti italiani soffrono ancora troppo la concorrenza nel Mediterraneo.
ALBUM FOTOGRAFICO PROVE DI TRANSITO DEL CANALE della bulk carrier BAROQUE
La nave ha salpato, si avvicina nell’attesa che il pilotadel Canale di Panama salga a bordo. In navigazione verso le nuove chiuse. Nel centro della foto si vede a destra il nuovo passaggio, a sinistra il vecchio. Panama Canal Authority
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9.6.2016 - La Bulk carrier BAROQUE (Post-Panamax) all’interno delle nuove chiuse del lato Atlantico del Canale di Panama.
REUTERS/Carlos Jasso
Il rimorchiatore di prora é il Cerro Santiago, uno tra i tanti fatti costruire dal Panama Canal Authority in previsione dell’uso delle nuove chiuse (new locks).
REUTERS/Carlos Jasso
Come si può notare da questa foto, si tratta sempre di manovre di precisione.
Il rimorchiatore di prora é di ultimo tipo. E’ collegato alla nave con due cavi, uno per lato. Notare che entrambi i cavi passano nello stesso passacavi centrale del RR e sono incappellati alla bitta a doppia croce sulla poppa. I due cavi formano la cosiddetta “briglia” che permette di tenere la nave nel centro della chiusa.
REUTERS/Carlos Jasso
In questa successiva immagine si nota chiaramente la briglia in tensione del Rimorchiatore.
In questa immagine panoramica si vede chiaramente sulla destra la Torre di Controllo del Panama Canal Authority
Lato Atlantico del Canale di Panama. La prima nave a transitare sta per affrontare la prima chiusa. Sulla destra della foto s’intravede il vecchio passaggio.
La B/c BAROQUE tra breve metterà la prora nel centro del lago Gatun
Ecco come si presenta la porta galleggiante della chiusa in fase di chiusura.
REUTERS/Carlos Jasso
Gli operatori della Torre di Controllo del traffico del Canale di Panama.
CARLO GATTI
NUNZIO CATENA
Rapallo, 30 giugno 2016
IL RADDOPPIO DEL CANALE DI SUEZ
IL RADDOPPIO DEL CANALE DI SUEZ
Vista satellitare del Canale di Suez
Un po’ di storia
Il bisogno di collegare il Mediterraneo con il Mar Rosso fu soddisfatto per la prima volta dagli antichi egizi, circa quattromila anni fa, con l’apertura di un’altra via d’acqua, che collegava il braccio più orientale del Delta del Nilo con il Grande Lago Amaro e questo con il Golfo di Suez. Di un collegamento diretto fra i due mari si cominciò a discutere prima a Venezia, nel Cinquecento, poi, nei due secoli successivi, in Francia. Fu anche allo scopo di esaminare sul posto il problema che il Direttorio inviò Napoleone in Egitto nel 1799, ma l’ingegnere incaricato dello studio, Charles le Père, scrisse nella relazione che l’idea era irrealizzabile, a causa di un presunto dislivello di dieci metri fra i due mari. L’errore fu corretto mezzo secolo dopo da un altro ingegnere francese, M.L. Linant de Bellefonds, il quale dimostrò che in realtà il dislivello era di scarsa importanza. Così il «sogno» millenario tornò di attualità. Uno dei tecnici che con più passione si dedicò alla realizzazione del progetto fu un ingegnere italiano, Luigi Negrelli di Moldelba, nato nel Trentino e perciò suddito austriaco. Grande tecnico ferroviario e idraulico, realizzatore di opere importanti in Austria, Italia, Svizzera, Germania, il Negrelli studiò il problema dal 1838 al 1858, anno della sua morte, redigendo, insieme con esperti di varie nazionalità, compreso il piemontese Pietro Paleocapa, ministro dei Lavori pubblici del Regno Sabauda, i piani con cui la via d’acqua fu poi effettivamente realizzata da Lesseps. Geniale avventuriero, Lesseps riuscì a persuadere il pascià d’Egitto Mohammed Said della possibilità e necessità di aprire il canale, che fu scavato in dieci anni (dal 25 aprile 1859 al 17 novembre 1869) da una compagnia internazionale con capitali francesi ed egiziani.
Il canale, costato il doppio delle stime originali, era di proprietà del governo egiziano (44%) e della Francia (attraverso più di 20.000 azionisti), mentre altre grandi potenze si mostrarono molto scettiche sulla redditività dell'opera. La prima nave attraversò il canale il 17 febbraio 1867, ma l’inaugurazione dello stesso avvenne il 17 novembre 1869 alla presenza dell'Imperatrice Eugenia con una cerimonia sfarzosa, per la quale Johann Strauss jr compose la Egyptischer Marsch (Marcia egizia). Per l'inaugurazione, il Kdivé d'Egitto aveva chiesto a Giuseppe Verdi di comporre un inno, ma Verdi, restio a comporre musica d'occasione, aveva rifiutato; i contatti con Verdi comunque continuarono, e culminarono nella composizione dell'AIDA, andata in scena al Teatro Khediviale dell'Opera del Cairo il 24 dicembre del 1871.
Inaugurato con fastose cerimonie, il canale misurava all’epoca 161 km di lunghezza, da 70 a 110 metri di larghezza alla superficie, 45 metri alla profondità navigabile e 32 metri a livello del fondo piatto; il pescaggio massimo era di 11 metri e mezzo; il limite di velocità (negli anni Trenta e Quaranta di questo secolo) era di 10 km all’ora. Il transito richiedeva circa 18 ore. In base alla convenzione internazionale di Istanbul, il canale fu dichiarato «neutrale», nel senso che tutti potevano usarlo, «in pace o in guerra, senza distinzione di bandiera. Controllato militarmente dagli inglesi dal 1882 al 1954, nazionalizzato da Nasser il 26 luglio 1956, con un anticipo di 13 anni rispetto alla scadenza della concessione di 99 anni, il Canale di Suez fu chiuso due volte: dal 29/30 ottobre 1956 all’aprile 1957, in seguito alla triplice aggressione anglo-franco-israeliana, e dal 5 giugno 1967 al 5 giugno 1975 a causa della «guerra dei sei giorni».
Fu poi notevolmente ampliato, in modo da poter accogliere petroliere da 260 mila tonnellate a pieno carico e da 370 mila scariche. Le nuove misure sono le seguenti: larghezza alla superficie da 193 a 352 metri; sul fondo 107; pescaggio massimo 16 metri e mezzo. Il transito dura circa 15 ore.
Il Canale di Suez nel 2015
Egitto, pronto il nuovo canale di Suez: un'opera faraonica voluta da al-Sisi
Tutto è pronto per domani. L'Egitto si prepara all'inaugurazione del nuovo tratto del Canale di Suez. Le misure di sicurezza sono state rafforzate in tutto il Paese. Per questa giornata speciale si potrà viaggiare gratuitamente in treno. L'annuncio è arrivato dal ministro dei Trasporti, Hany Dahy, che ha così voluto «ringraziare» i cittadini che hanno finanziato il progetto. Oltre ai treni, sarà gratuito anche il servizio ferroviario metropolitano nei governatorati del Cairo e di Giza. Una fastosa cerimonia alla presenza del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Per l'occasione sono stati mobilitati più di 10mila poliziotti e soldati, compresi quelli dei reparti speciali.
Opera maestosa. Questa grande opera è considerato un vero e proprio dono dell'Egitto al mondo. A 146 anni dalla costruzione del Canale di Suez, si realizza un sogno: il raddoppio di una parte del tratto esistente, grazie ad un canale parallelo, che velocizzerà il traffico rilanciando l'economia del Paese. Una vera opera faraonica voluta dal presidente al-Sisi e costruita a tempo di record, in un solo anno. Decine di capi di Stato e di governo, re e principi, emiri e governatori sono stati invitati ad assistere domani all'inaugurazione di questa nuova autostrada del mare. Maestosa la cerimonia con il presidente al-Sisi che attraverserà la seconda via acquatica sullo yacht Mahroussa, la prima nave che navigò nello storico passaggio nel lontano 1869, studiato da Ferdinando Lesseps e realizzato da Alberto Negrelli. A bordo vi saranno le delegazioni dei diversi Paesi.
Dall'acqua al cielo, dove alcuni F16 sorvoleranno l'area con una dimostrazione aerea. Poi l'entrata in funzione effettiva del tratto seguito dal suono delle sirene che risuoneranno in vari porti del mondo. Una lunga giornata di festa, con fuochi d'artificio e performance di folklore locale, che si concluderà con un concerto della marcia trionfale dell'Aida, opera che fu commissionata dal vicerè d'Egitto, Ismail Pascià a Giuseppe Verdi in occasione dell'apertura del Canale sul finire del XIX secolo ma mai eseguita in quella occasione, bensì due anni dopo. Da settimane i principali quotidiani del Paese esaltano l'opera e parlano di uno «storico» evento, mettendo in evidenza come il progetto, «leggendario e mitico» rilancerà l'economia, con ricadute positive sull'occupazione. Nazionalismo e orgoglio anche sui social media con numerosi cinguettii: «Siamo i nuovi faraoni, facciamo miracoli» o «Scriviamo la storia».
Il Canale si allunga per 72 km: un nuovo tratto di 35 chilometri parallelo a quello esistente, oltre all'ampliamento e all'approfondimento dell'attuale per una tratta di 37 km. Un lavoro considerato necessario. Il Canale era diventato inadeguato perché non vi potevano transitare le gigantesche
superpetroliere e i mercantili erano costretti a lunghe attese prima di poterlo percorrere. Lo scopo è velocizzare il transito, diminuendo i tempi di percorrenza attraverso la riduzione dei tratti a senso unico alternato e raddoppiando il traffico giornaliero. Si prevede che farà salire gli incassi dei moli dai 5,3 miliardi di dollari attuali a 13,2 nel 2023, portando vantaggi ai trasporti mondiali. Il costo stimato del progetto è di 8,2 miliardi di dollari. Oltre al raddoppio il piano prevede la costruzione di porti, di una zona industriale, con cantieri navali per riparazioni e altre strutture. Tantissimi egiziani hanno risposto un anno fa all'appello del governo del Cairo a finanziare il progetto e in soli otto giorni sono stati raccolti 6,5 miliardi di dollari tramite la vendita di obbligazioni. Secondo alcuni studi entro il 2050 il nuovo Canale potrebbe garantire all'economia egiziana fino al 35% delle sue risorse.
Con il raddoppio del Canale aumenterà la centralità del Mediterraneo. Sarà questo, secondo l'Osservatorio di Srm sui trasporti marittimi e la logistica, l'effetto dell'apertura del nuovo Canale di Suez, che sarà inaugurato giovedì 6 agosto, sulle rotte marittime. Nel Mediterraneo, infatti, circola già il 19% del traffico mondiale di merci ed i traffici sonoaumentati negli ultimi 15 anni di oltre il 120%. Nell'area inoltre vanno insistendo importanti investimenti portuali nelle varie nazioni del bacino, come Tanger Med, Pireo, Algesiras e Valencia. Tra il 2000 e il 2014 il trend di traffico del Canale ha visto registrare un aumento di oltre il 120% delle merci transitate, valore che sale +202% se si considerano solo i traffici container; (+187% nella direzione Nord-Sud e +219% nella direzione Sud-Nord). Il Raddoppio del Canale consentirà l'aumento del numero di navi di passaggio da 49 a 97 navi al giorno e la diminuzione del tempo di transito da 18 ore a 11 ore; inoltre, a differenza del Canale di Panama che manterrà anche dopo i lavori di ampiamento il limite delle navi da 13.000-14.500 container, il Canale di Suez non ha limiti nella dimensione delle navi che possono transitare. La combinazione di questi tre fattori (diminuzione dei tempi, aumento del numero dei passaggi e nessun limite dimensionale) aumenterà la convenienza di passaggio attraverso Suez anche per alcune rotte dall'Asia verso la costa occidentale degli Stati Uniti che attualmente usano Panama.
In questa foto si nota il raddoppio del Canale
I numeri del secondo canale
Un progetto che avrebbe dovuto essere completato in tre anni ma che il Al-Sisi ha voluto venisse terminato in meno di uno. E così è stato: 72 chilometri resi operativi in meno di dodici mesi, anche grazie all'entusiasmo della comunità industriale e finanziaria locale che in appena otto giorni ha messo a disposizione gli 8,5 miliardi di dollari necessari per la costruzione del passaggio. Il primo Canale di Suez, inaugurato nell'ormai lontano 1869 , è stato costruito in dieci anni.
Carlo GATTI
Rapallo, 28 Agosto 2015
SYRAKOSIA: Gigantismo dell'Antichità
SYRAKOSIA
Gigantismo Navale nell’antichità
Modello del SYRAKOSIA
Il re di Siracusa Ierone II, a dimostrazione della prosperità del suo regno, fece costruire, nei cantieri navali siracusani intorno al 240 a.C., quella che a tutto oggi è ritenuta la più grande Nave dell’antichità. Di questa Nave hanno scritto molti autori attingendo tutti alla medesima ed unica fonte, quella che Ateneo erudito enciclopedista ci ha fatto pervenire con il suo capolavoro: I Deipnosofisti, cioè I Dotti a Banchetto, fortunatamente e fortunosamente sopravvissuto sino ai nostri giorni.
Il trattato rappresenta un’opera importantissima che non è esagerato definire enciclopedica, nella quale si conservano la maggior parte dei frammenti della commedia attica media e nuova, e copiosissimi resti di storiografia greca, e rarità di ogni genere, oggi fondamentali per conoscere la cultura greca.
Ierone di Siracusa, amico incondizionato dei Romani, era anche un ambizioso armatore che costruiva navi da trasporto oltre che templi e ginnasi, infatti fu proprio lui a rivolgersi ad Archimede per la costruzione della famosa nave di cui oggi ci occupiamo.
La Syrakosia in un dipinto del 1798 – In servizio con Gerone II – Tolomeo III
Lunghezza: 110 mt. – Capacità: 1000 tonnelate di carico – Equipaggio: 400 soldati, 100 passeggeri
Artiglieria: 1 balista – 2 catapulte
(senza fonte precisa)
La grandiosa nave Syrakosia, (Siracusana), che Archimede progettò per Ierone II.
Si tratta della più grandiosa nave dell'antichità. La descrizione del Syrakosia, scritta dall’antico costruttore navale Moschione, fu inserita insieme a tantissimi resti di storiografia greca, da Ateneo (II-III sec. d.C.) ne "I Deipnosofisti" (I Dotti a banchetto). La conferma che si tratta della più grande nave dell'antichità, ci viene da Lionel Casson, dell'Università di New York, il quale ne stima la portata in 4.000 tonnellate, superata soltanto da navi costruite nel XIX secolo, quando si utilizzò ferro e acciaio per costruire le stive. La Syrakosia era, quasi certamente, un catamarano, ed il progetto di Archimede, nell'anno 240 a.C., venne affidato, per la realizzazione, ad Archia di Corinto, a Moschione e ad un certo Filea di Taormina.
Alcuni dati tecnici
Moschione ci racconta: “Per costruire questa vera e propria città galleggiante, gran parte del legno arrivò dai boschi dell'Etna, per la corda, sparto dall'Iberia, mentre la canapa e la pece arrivarono dal Rodano. Per i lavori vennero impiegati 300 artigiani e tantissimi aiutanti, che lavorarono i necessari materiali. La Syrakosia, che mostrava al mondo la potenza ed il benessere di Siracusa, disponeva di venti banchi di remi. La cabina del capitano aveva 15 divani e tre camere. Tutte avevano un pavimento a quadrelli di mosaico, fatti di pietre diverse, ove era ricostruito tutto il racconto dell'Iliade. Sulla nave erano stati impiantati anche dei giardini, formati da centinaia di piante, contenute in giare ed irrigate da sentieri di tegole di piombo.
C'era anche un padiglione dedicato ad Afrodite e gran parte delle porte erano in avorio e tuia. Tutte le camere interne erano arredate con quadri, statue, calici e suppellettili oltre ogni immaginazione. Una sala era adibita a biblioteca e sul soffitto di questa sala era disegnata una volta celeste, copia fedele dell'eliotropio di Acradina. Nel bagno realizzato in marmo di Tauromenio, vi erano tre caldaie di bronzo. Tantissime stanze erano riservate ai circa 600 soldati che trasportava ed altro spazio della nave era riservata alle dieci scuderie, contenenti i cavalli, gli attrezzi dei cavalieri. Si trovava anche un serbatoio d'acqua a prua dalla capacità di 2000 metri e nei pressi del serbatoio c'era una peschiera chiusa, piena di acqua di mare e tanti pesci. C'erano 4 àncore di legno e otto di ferro, c'erano, poi, 8 torri e su ognuna montavano 4 giovani con armatura pesante e due arcieri. Sui tre alberi si trovano degli uomini a cui, in cesti intrecciati, erano affidati pietre e proiettili. Infatti, la Syrakosia, benchè sia stata varata come nave mercantile, era equipaggiata anche come nave da guerra e conteneva diverse macchine belliche inventate da Archimede. L'equipaggiamento da guerra era necessario per fare fronte ai pirati che infestavano il Mediterraneo. Poteva trasportare 60 mila misure di grano, 10 mila vasi di pesce siculo sotto sale, 20 mila talenti di lana e 20 mila di altra merce. Soltanto che la Syrakosia fu vittima della sua stessa grandezza. Infatti, non tutti i porti dell'antichità erano attrezzati per ospitarla e quindi, Ierone decise di disafarsene. In occasione di un periodo di carestia in Egitto, la riempì di grano e decise di spedirla in dono al re Tolomeo, ad Alessandria. Qui, venne tirata a secco e si concluse la storia della più grande nave che nell'antichità abbia solcato il Mediterraneo. Archimelo, il poeta degli epigrammi, scrisse un carme per ricompensare Ierone: ‘Chi portò a terra questa nave, questo prodigio?... Già, dice, fu Ierone di Ierocle che a tutta la Grecia e alle isole in dono portò ricche messi, quello che ha lo scettro di Sicilia, il Dorico. Ma, Posidone, custodisci tu questa nave sul bianco fragore dei flutti".
Archia di Corinto quale direttore dei lavori. Dalla storiografia confluita in Ateneo sappiamo che Archimede, nel suo ruolo di epóptes (soprintendente ai lavori), programmò la costruzione della nave in due fasi:
1) - Il varo al termine dei primi sei mesi di lavoro, cioè al completamento dell’opera viva, quando lo scafo sarebbe stato ancora privo degli allestimenti e delle sovrastrutture dell’opera morta e soprattutto quando la stabilità (altezza metacentrica) dello scafo avrebbe garantito un equilibrio idrostatico perfetto.
2) – La fase successiva al varo, prevedeva altri sei mesi di cantiere in mare, da dedicare all’opera morta distribuita su tre ponti con sfarzosi allestimenti interni e imponenti attrezzature belliche.
La nave disponeva di venti banchi di remi, con tre passaggi: il più basso portava al carico, e vi si accedeva da una rampa di scale dritta; il secondo passaggio consentiva l'accesso alle cabine; dopo di questo l'ultimo, per gli amanti. Dal passaggio mediano, lungo i fianchi, vi erano trenta cabine per gli uomini, ognuna delle quali con quattro divani. La cabina del capitano aveva tre camere con tre divani, di cui quella di poppa era adibita a cucina. Tutte le cabine avevano un pavimento a mosaico, che ricostruiva tutto il racconto dell'Iliade, realizzato con pietre diverse. All'altezza del passaggio più alto c'erano una palestra e dei giardini ricchi di piante, irrigati da sentieri di tegole in piombo coperti, e fondali di edera bianca e viti, le cui radici affondavano in giare riempite di terra e irrigate con lo stesso sistema di tegole. Accanto vi era il padiglione di Afrodite, con tre divani, un pavimento in gemme d'agata e altre, tutte preziose. I fianchi e il soffitto del padiglione erano realizzati in cipresso, le porte di avorio e tuia. Quadri, statue e suppellettili adornavano l'ambiente. Accanto una sala studio con biblioteca era arredata con cinque divani. I fianchi e le prte erano in bosso, sul soffitto vi era una volta celeste, copia fedele dell'eliotropi di Acradina. E ancora un bagno a tre divani con tre caldaie in bronzo e una tinozza. Erano state costruite anche diverse stanze per i soldati di bordo e per le guardie. Su ogni fianco erano infine dieci scuderie, ed in corrispondenza di queste, le provviste per i cavalli e gli attrezzi per servi e cavalieri. A prua c'era anche un serbatoio d'acqua, fatto di assi con pece e pezze di lino, dalla capacità di 2000 litri.
L'imbarcazione era talmente complessa e organizzata da possedere una giurisdizione speciale per i crimini commessi a bordo, giudicati da un tribunale costituito dal naukléros , dal kybernétes e dal proréus, secondo le leggi di Siracusa.
La grandiosa imbarcazione fu concepita come una vera e propria domus aurea galleggiante, la cui magnificenza conclude l’iter della fervida attività cantieristica siracusana; venne battezzata con il nome di Syrakosía e donata a Tolomeo Filadelfo (!?) con il nome di Alexandrís.
Un’altra versione modellistica della Syrakosia
La "Syrakosia", progettata e realizzata nei cantieri navali siracusani, è la nave fatta costruire da Ierone II intorno al 240 a.C., a dimostrazione della prosperità del suo regno.
Carlo GATTI
Rapallo, 26 Agosto 2015
GIGANTISMO NAVALE - Un sogno che viene da lontano
“GIGANTISMO NAVALE”
Un sogno che viene da lontano ...
JAHRE VIKING
Ecco come si presenta la nave più grande del mondo! “L’opera viva”, cioé la parte immersa della nave s’aggira sui 30 metri d’altezza o giù di lì. È una superpetroliera che, ovviamente, non è in grado di navigare nella Manica e neppure nei canali di Suez e Panama. Nessun porto al mondo é in grado di ospitarla, la supernave può ormeggiare soltanto in certe rade provviste d’impianti particolari. Lo stesso problema si ripropone oggigiorno con le grandi navi porta container di 400 metri di lunghezza che continuano ad essere varate ignorando i limiti strutturali e logistici della portualità mondiale: “E ora dove la metto?” Pare sia questa la domanda che ricorre più frequentemente nelle calate dei nostri porti d’impianto medievale. Ma oggi ci occupiamo d’altro!
ll primato di ‘nave più grande al mondo’ lo detiene la super petroliera JAHRE VIKING che oggi non è più in circolazione. Questa nave nel corso degli anni ha cambiato diversi nomi: la sua costruzione è iniziata nel 1979 con il nome Knock Nevis, poi, prima ancora di esser stata ultimata, diventò Seawise Giant. Il nuovo proprietario la fece allungare e raggiunse le dimensioni che ancora oggi le garantiscono il primato: si parla di una lunghezza di 458 metri, larghezza di 69 metri e una portata lorda di 564.763 tonnellate. Dal 1986 al 1989 fu impiegata come nave magazzino nella guerra tra Iran e Iraq e in quegli anni fu pesantemente danneggiata dalle bombe. Nel 2010 venne demolita in India.
GREAT EASTERN
Andando a ritroso nel tempo, c’imbattiamo in un’altra nave che navigò fuori del suo tempo ... La Great Eastern fu costruita nel 1854 da Isambard Kingdom Brunel, uningegnere inglese specializzato nel settore dei trasporti, noto per aver collaborato alla realizzazione della galleria sotto il Tamigi. La G.E. era la nave più grande mai costruita al mondo. Lunga 211 mt. e con stazza superiore alle 30.000 t. mantenne tale primato per quasi cinquant'anni. Alta come un palazzo, era dotato di cinque fumaioli; poteva portare 4.000 persone (come una nave passeggeri della nostra epoca) ed era mossa da due gigantesche ruote a pale, un'elica e sei alberature per la navigazione a vela di sicurezza. Era inoltre dotata di un doppio fondo che si estendeva per tutta la lunghezza della chiglia. A causa delle sue dimensioni, subì molti incidenti di vario tipo. Il suo maggior contributo lo diede durante la posa del primo cavo telegrafico tra l'Europa e l'America, nel 1865. Il cavo era lungo 3.700 chilometri e fu arrotolato in tre stive della nave; fu steso sul fondale tra l'Irlanda e Terranova. Dopo la prima trasmissione transoceanica, l'evento fu celebrato come l'Ottava meraviglia del mondo. Il Great Eestern fu demolito nel 1888. A questo famoso bastimento s’ispirò Jules Verne per ambientare il suo celebre romanzo "Una città galleggiante", edito nel 1870.
LE NAVI DI NEMI
Tra sogno e realtà. La nostra curiosità ci porta ancora indietro di 2000 anni per immaginare due magnifiche navi che per pochi anni hanno ‘oziato’ alla fonda sul lago di Nemi, poi hanno dormito due millenni nel letto del vulcano, proprio come in certe favole per bambini, ed infine sono riapparse per essere distrutte dalle fiamme e dalla stupidità dell’uomo. Di loro non si sono mai trovate tracce scritte, ma solo testimonianze di pescatori locali che hanno alimentato per secoli il mito di un tesoro di proporzioni inaudite. La spoliazione di reperti archeologici continuò per secoli nell’attesa che sarebbe maturata l’idea della ricerca scientifica, quindi una forte volontà di recuperare una parte ancora nascosta della nostra storia nazionale. E, per fortuna, così fu!
Ricostruzione ideale d'una delle navi di Nemi, quella che, secondo un’interpretazione degli storici, l'imperatore Caligola costruì per i suoi svaghi personali, ma anche per sbalordire i suoi ospiti. Le navi di Nemi confermano la predilezione che ebbe Caligola per l’arte, non solo navale, del periodo ellenistico e pompeiano.
LA NAVE CHE TRASPORTO’ L’OBELISCO VATICANO DALL’EGITTO
Sicuramente il lettore avrà in mente l’obelisco di piazza San Pietro che viene inquadrato ogni domenica al momento dell’Angelus, raramente invece é focalizzata la storia del viaggio avventuroso dello splendido monolite dall’Egitto in Italia. Il tanto bistrattato Caligola lasciò dietro di sé molte brutte storie, ma come uomo di mare, o quanto meno di “genio navale”, detiene ancora oggi qualche primato imbattuto... Plinio ce lo conferma con le seguenti notizie (Nat. Hist. XVI, 40,201): “Un abete degno di particolare ammirazione fu usato sulla nave che trasportò, per ordine dell’imperatore Caligola, l’obelisco destinato al circo Vaticano. Nulla di più meraviglioso di questa nave fu senza dubbio visto dal mare: ebbe un carico di zavorra di 120 mila moggi di lenticchia (=1.050 tonnellate n.d.r.). Con la sua lunghezza si ricoprì quasi tutto lo spazio del molo sinistro del porto Ostiense.
Ivi infatti fu affondata dall’imperatore Claudio e sopra vi fu edificata una triplice torre (il celebre Faro di Ostia Antica) costruita con pietra di Pozzuoli...”.
Trasportare l'obelisco egiziano (25 metri d’altezza x 350 tonnellate di peso) a Roma fu un'autentica impresa navale. A bordo della nave pensarono di riempire la stiva con delle lenticchie utilizzate come imballaggio. L’obiettivo fu raggiunto grazie all’alto grado di marineria, ed al ‘sorprendente’ livello raggiunto dall’ingegneria navale romana che seppe costruire una nave lunga ben 130 metri e che fu utilizzata solo per quella missione. Infatti, una volta terminato il suo compito, la nave fu rimorchiata nel porto che l'imperatore Claudio stava costruendo ad Ostia, fu riempita di massi e affondata. Su questa solida base fu edificato il celebre faro di Ostia Antica!
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Luglio 2015