COLIN ARCHER, le Barche della Tradizione

Colin Archer

Le Barche della Tradizione

 

 

Colin Archer nacque a Narvik (Norvegia) nel 1832 e vi morì nel 1921. Il padre, arrivato in Norvegia spinto dalla crisi economica inglese, intraprese un redditizio commercio di aragoste esportandole in Gran Bretagna. Si fece un nome, e in seguito fu nominato Console Britannico a Narvik. Suo figlio, lo studente Colin Archer dimostrò, fin da ragazzo, una notevole predisposizione alle discipline matematiche, base di lancio per il suo futuro di architetto navale. Fu dipendente in una ship chandlery (forniture navali) a Jordfalden e da qui iniziò anche la sua passione per la nautica. Nel 1850 emigrò in Australia per raggiungere suo fratello, poi alle Haway da un altro fratello e di nuovo in Australia fino al 1861. Quando a causa delle cattive condizioni di salute di suo padre, fu costretto a tornare in Norvegia. Nel 1862, morto suo padre, divenne capo famiglia e pensò di dare sfogo alla sua autentica passione: disegnare e costruire piccole imbarcazioni a vela. Nel 1867 iniziò la sua attività  e dopo circa dieci anni era già famoso in tutta la nazione ed anche all’estero. Nel 1879 gli fu conferita dal Re la “Croce all’Ordine di st.Olaf”.

 

 

Colin Archer sinonimo di sicurezza

 

Condusse il resto della sua vita navigando e viaggiando, con grande passione e rispetto per il mare. Fu proprio il rispetto per il mare che lo spinse a progettare un prototipo di “pilotina” e altre imbarcazioni di salvataggio. Verso il 1870 molte pilotine erano affondate in mare. Per questo motivo Colin Archer pensò di apportare modifiche tali da rendere queste imbarcazioni più sicure. Colin Archer non era completamente soddisfatto della manovrabilità e dello stare in mare della sua prima creazione “Minnie”. Costruì quindi il “Thor”, che divenne il vero prototipo di tutte le imbarcazioni in seguito realizzate. A partire dal 1876 ogni imbarcazione fu costruita secondo il principio “Wave line”, teoria sviluppata dall’ing. Inglese John Scott Russel. Secondo tale principio quando una barca è in navigazione genera due tipi diversi di onde, una a poppa ed una a prua, per ridurre la resistenza dell’acqua ogni imbarcazione sarebbe dovuta essere costruita tenendo fede a tale principio. Tuttavia gran parte del tempo impiegato da Colin Archer fu destinato alla sicurezza e alla solidità dell’imbarcazione. I suoi compratori potevano anche negoziare sul prezzo, ma mai sulla sicurezza. Il fatto che ancora oggi alcune imbarcazioni originali possano veleggiare nei mari di tutto il mondo dimostra che l’attenzione alla sicurezza e alla solidità, non erano promesse da “marinaio”... alcune di queste barche hanno ormai più di cento anni....

 

 

Quando l’8 febbraio del 1921 morì, aveva costruito oltre 200 imbarcazioni, 70 yachts, 60 pilotine, 14 cutter di salvataggio ed altre 72 imbarcazioni varie. Una delle più famose fu la nave “Fram” che fu utilizzata dagli esploratori norvegesi Nansen e poi Amundsen nei loro viaggi nei mari dell’Artico e dell’Antartico.

 

Colin Archer è spesso associato alle “pilotine”, ma occorre ricordare che C.A. iniziò la sua attività costruendo proprio magnifici yacth. Nel 1867 costruì "Maggie" il primo yacht che rimase per anni nella famiglia Colin Archer. Altri furono il "Venus" e il "Storegun", costruito per Wilhelm Wolf, il quale vinse alcuni premi proprio con quello yacht. In totale Colin Archer costruì 70 yachts.

 

 

RS1 COLIN ARCHER - CUTTER DI SALVATAGGIO

 

Nel 1891 fu fondato il NSSR (La società norvegese per il recupero in mare). L'anno successivo Colin Archer costruì il primo cutter "restaurato". Il risultato fu un cutter di 13 metri e 95, largo 4.65 con un pescaggio di 2.25 metri. Randa, mezzana, fiocco per un totale di 110 metri quadri di superficie velica. Al suo varo nel Luglio 1893 l'imbarcazione fu chiamata "RS1 Colin Archer". Nel corso del primo anno di navigazione l'imbarcazione si dimostrò valida e divenne lo standard costruttivo in Norvegia per i successivi 30 anni.

 

Dopo 40 anni di glorioso servizio, il prototipo fu venduto, portando con sé un record impressionante: 67 imbarcazioni salvate (per un totale di 236 persone), 1522 velieri assistiti in mare (per un totale di 4500 persone di equipaggio)..

 

 

Nel 1961 l' "RS-1" fu ritrovato in America in condizioni terribili, dopo molti anni di utilizzo privato. Fu ricondotto in Norvegia e divenne oggetto di culto per alcuni anni, fino a che non fu comprato definitivamente nel 1972 dal Museo Marittimo Norvegese. Nel 1973 il Museo si accordò con la SSCA (Club velico Colin Archer). e nel 1993 fu completamente restaurato e riportato allo splendore originale con un contributo privato.

Il Colin Archer R.S. N°1

L' "RS-1" vinse nel 1983 il Cutty Sark Tall Ships, superando 74 imbarcazioni.

L' "RS-10 Christiana" arrivò secondo, mentre l' "RS-5 Liv" si classificò al terzo posto. Tutte e tre le imbarcazioni furono disegnate da Colin Archer. Questo evento non fu una coincidenza, dal momento che anche nel 1987 ci fu lo stesso ordine d'arrivo (all'appello mancò solo "Liv"), nel 1993 l' "RS-1" vinse per la terza volta.

Conservare in acqua l' "RS-1" è non solo un dovere Storico", ma anche uno stimolo alla conoscenza marinara per le nuove generazioni.

Ancora oggi la tradizione e il fascino delle imbarcazioni firmate Colin Archer sono impulsi che stimolano la voglia di recuperare il significato della tradizione storica della vela, ed il cantiere finlandese Lydman ne è il più fulgido esempio.

 

Il Colin Archer in navigazione tra i  ghiacci

 

COLIN ARCHER 30 - (PILOT HOUSE VERSION)

Il Colin Archer 30 piedi è una comoda ed affascinante imbarcazione.

 

Non fatevi ingannare dalle sue dimensioni. 30 piedi di lunghezza sono proprio quelli che hanno permesso a Vito Dumas di navigare in solitario intorno al mondo!!!Cura nelle rifiniture e sobrietà degli interni fanno di questa barca il mezzo ideale per ogni mare ed ogni condizione atmosferica, dai marosi del Mare del nord, al calore avvolgente del mare Mediterraneo, facendo del colin Archer 30 piedi la barca ideale per navigare.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 17 Luglio 2013

 

 

 


I I NAUFRAGI CHE NON PASSARONO ALLA STORIA 8.9.43

8 SETTEMBRE 1943

QUELLE STRAGI DI ITALIANI CHE NON PASSARANO MAI ALLA STORIA

Migliaia di militari italiani internati naufragarono su fatiscenti carrette del mare durante lo sgombero dalle isole Greche

 

La massa dei prigionieri (10.000 solo a Rodi) e l’impossibilità di effettuare una costante sorveglianza su così tante isole e a rifornirle regolarmente, (non c’era vitto per gli indigeni essendo gli uomini lontani e ferma la pesca d’altura) spinse i tedeschi, fin da subito, a trasferire sul continente i prigionieri per avviarli ad attività di difesa, sia qui che in Germania (dove gli si offriva dall’agosto del 1944 la possibilità di lavorare fuori dai campi in regime di semilibertà). Molti di questi trasporti, come vedremo, affondarono sia per siluramenti, per bombe d’aerei, ma anche a causa di violente burrasche di mare trattandosi di vecchie navi super affollate. Si riepilogano qui sotto soltanto i più grossi disastri con le relative perdite, riservandoci un più ampio approfondimento per il più disastroso di tutti i naufragi, quello della Oria.

 

Gli affondamenti si concentrarono fra settembre 1943 e la primavera del 1944. Si cominciò il 23 Settembre quando si verificò il primo. I piroscafi ‘Donizetti’ - ‘Dithmarschen’ e la Torpediniera ‘TA 10’ vennero affondate. Si ebbero 1.584 morti fra gli internati in massima parte dovute alle inosservanze alle norme di sicurezza. Miglior sorte ebbero i trasporti aerei. Nel Gennaio 44 la situazione peggiora. Viene ordinato il trasferimento anche su mezzi di trasporto non idonei al trasferimento di truppe come chiatte, pontoni o altri mezzi civili non in grado di reggere il mare forte.

 

23/9/43 Rodi ‘Donizetti’ 1584
1835
28/9/43 Cefalonia Ardena’ 720 840
11/10/43 Corfù ‘Roselli’ 1300 5500
13/10/43 Cefalonia Marguerita 544 900
18/10/43 Creta Sinfra’ 1850 2390
8/2/44 Creta ‘Petrella’ 2646 3173
12/2/44 Rodi ‘Oria’ 4163 4200
22/11/44 ? ‘Alma’ 150 300

Totali: 12.907 morti su  19.038 imbarcati

 

QUADRO STORICO:

L’8 settembre 1943 si trovavano in Grecia circa 80.000 tedeschi del gruppo Armate Sudest, in nuclei di massicci distaccamenti motorizzati e gli italiani inquadrati nella XI armata italiana al comando del gen. Vecchiarelli così composta:

- III CdA - Tebe div. Forli, Pinerolo, truppe Eubea (Bersaglieri)

 

- VIII CdA - Cefalonia div. Acqui, Corfù Div. Casale

 

- Sett.Corinto, Argolide Pelopponeso Div. Piemonte, Cagliari distaccate a unità tedesche.

 

- XXVI CdA a Giannina div. Modena, Brigata Lecce

 

- Comando Egeo div. Cuneo (a Samo), Regina (Rodi e Castelrosso), Siena (a Creta)

 

La XI Armata era formata da circa 7.000 ufficiali e 175.000 militari di truppa disseminati in numerosi e statici presidi, sia nel continente che nelle centinaia di isole. Se in Italia, dopo l'annuncio dell'armistizio la sera dell'8, la situazione era confusa, senza ordini precisi se non quello di sparare se attaccati; nelle isole esistevano solo due situazioni: con i tedeschi o contro di loro.

 

Con gli Angloamericani a Salerno e il resto dell'Italia ancora agibile, si poteva raggiungere casa o nascondersi da qualche parte, naturalmente con le dovute precauzioni a causa delle continue retate, rastrellamenti, bombardamenti ecc...

 

Nelle isole greche questo barlume di speranza era tramontato da molto tempo, poiché il controllo del mare e del cielo ellenico era nelle mani dell’Inghilterra. Gli unici collegamenti con la madrepatria erano affidati ai sottomarini, ma il carico utile era ridotto alla corrispondenza, ai medicinali e poco altro.

 

Ovunque vi era scarsità di risorse, mezzi e carenze alimentari che erano già insufficienti per la popolazione civile, a cui si aggiungevano 50.000 italiani e 25.000 tedeschi.

 

Creta non era stata totalmente occupata dagli italiani, ma dal maggio 41 (dai giorni dell’operazione Merkur, vedi cartina)) avevamo un presidio stabile estratto dalla divisione Siena, dal 312° btg misto motocorazzato e il CXLI btg ccnn. (che molti autori qualificano come M). Dopo il breve periodo di grande confusione per effetto dell’Armistizio, la formazione italiana consegnava le armi. Non si ebbero notizie di scontri rilevanti e il T.Col. Carlo Gianoli procedette alla raccolta di tutto il personale dell’isola per costituire una Legione italiana volontari “Kreta” che inquadrava tre battaglioni più il CXLI btg ccnn. dislocato a Retymno. Il 25 aprile 1945 i reparti italiani vennero lasciati liberi, mentre i tedeschi idealmente o virtualmente continuarono la guerra, inquadrati con loro vi erano molti Italiani che non potevano scegliere. Il 6 maggio la Legione italiana Kreta depose le armi nelle mani degli Americani. Il 20 maggio con la nave francese “Ville d’Oran”, approdarono a Brindisi, erano 1400 e furono sistemati nel campo sportivo. In seguito furono trasferiti in parte Taranto, in parte ad Algeri al Campo 211. Quelli di Taranto una notte scapparono cantando “Giovinezza”.

RODI

A Rodi come a Creta, era presente una formazione tedesca, la divisione meccanizzata “Rhodos” al comando del gen. Kleemann che controllava soprattutto gli aeroporti nell’interno. Falliti i tentativi di resistenza e di negoziazione, ai più non resta che aderire al nuovo ordine. Il vice governatore Faralli accettò con diversi personaggi del regime di aderire alla neonata R.S.I. Vennero costituiti diversi reparti, compreso uomini della GNR, Genio e volontari dalla disciolta div. Regina. I volontari si erano divisi in 2 grandi famiglie: quelli che erano entrati direttamente nei reparti tedeschi (e non obbedivano più agli italiani) i Kawi (Kampfwillige soldati alleati volontari) o gli  Hiwi (Hilfswillge operai volontari di varie nazionalità, molti russi). Dei circa 32.000 italiani che stazionavano a  Rodi, in alcuni mesi aderirono circa 4.000 divisi fra costruttori e combattenti riuniti sotto un reggimento agli ordini del Col. Cerullo.

 

Entrambe le categorie dovevano prestare la formula di giuramento ad Hitler che diceva "In nome di Dio presto sacro giuramento di obbedire senza riserve ad Adolf Hitler, comandante supremo delle Forze armate tedesche, nella lotta per la mia patria ..."

 

Il 17 ottobre a Campochiaro i primi reparti prestano il giuramento di  fedeltà e furono riarmati dai tedeschi. Si formano così vari reparti di cui il maggiore era quello degli zappatori del genio con 2 battaglioni. Il resto era diviso in sussistenza (servizio sanitario), guardia, comunicazioni, ma anche GNR e combattenti. A Nauplia e a Zante l’artiglieria della Div. Piemonte passò senza discontinuità alla R.S.I. Lo stesso per le altre isole di Samo (24ª Legione GNR "Carroccio'') e Syra (Fucilieri della Cuneo). Altri: Compagnia compl. fascisti n.1, 201ª Legione CC.NN-GNR Egea "Conte Verde", ANR - LXVII° Btg. CC.NN. (a Salonicco)

 

 

Le posizioni a Cefalonia all’8 settembre 1943

 

A Cefalonia e Corfù la resistenza italiana ad opera della div. ACQUI è aspra. Si combatte dal 13 al 25 settembre con oltre 2000 morti. A Corfù dove staziona l'altra parte della divisione, si riesce a ricevere rinforzi dall'Albania (a sinistra). Qui aiutati dai Partigiani greci le sorti sembrano volgere a favore degli italiani, ma solo per poco. Il giorno 15 giungono a Corfù due cacciatorpediniere italiane, lo Stocco e il Sirtori, ma non serve a niente. Gli Stukas (aerei bombardieri da picchiata) affondano il primo e danneggiano il secondo. Il 24 i tedeschi sbarcano in forze e il giorno dopo è battaglia piena con l’attacco ai passi di Stavros, Coriza, e Garuna. L’appoggio aereo scompagina le difese e il colonnello Lusignani dà l’ordine di resa. Alle 14,30 il Col. Lusignani ed i suoi vengono fucilati. Tutti gli italiani prigionieri vengono imbarcati su piroscafi che rischiano prima le mine poi gli attacchi inglesi. Si calcola che almeno 13.000 italiani moriranno nell'affondamento del naviglio, che gli Inglesi ignari o coscienti continuano a colpire da sopra e da sotto il mare.

 

 

Ufficio Storico della Marina.

 

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

 

Per i contatti, vedi il link che segue:

http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx

 

L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

 

Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 29 aprile 2013


P.fo G.DONIZETTI affonda il 23 settembre 1943-1584 morti

P.fo G.DONIZETTI

affonda il 23 settembre 1943

1584 le Vittime

Dal Comando Grupsom – X°fit riportiamo:

LE  GRANDI  TRAGEDIE  DELL’EGEO

(Dodecaneso) Sito italiano....

Il P.fo DONIZETTI in navigazione

Il piroscafo Gaetano Donizetti di 3.428 tonnellate di stazza, apparteneva alla Società di Navig. Tirrenia quando fu sequestrata dalla Kriegsmarine dopo la dichiarazione dell’Armistizio (8 settembre 1943).

L’unità giunse a Rodi il 19 settembre 1943 con le stive piene di cannoni, munizioni e truppe di rincalzo per il Generale Kleeman. Nell’isola, la Divisione corazzata ‘Rhodos’ aveva già vinto la sua battaglia. Crollati i vertici italiani, avvenuta la resa, i marinai e gli artiglieri erano scesi dalle batterie, i fanti erano stati costretti ad uscire da postazioni spesso duramente difese, gli avieri - presi di mira nei loro campi dai panzer e dai bombardieri - dovettero  abbassare le loro armi davanti al nuovo nemico. Nel momento più drammatico della disarticolata resistenza, mancò del tutto l’appoggio inglese. La preziosa Rodi per la quale gli Stati Maggiori dell’Esercito di Sua Maestà Britannica avevano architettato almeno tre piani d’invasione nel corso del conflitto, stava diventando una fortezza tedesca che doveva, in tempi stretti, alleggerirsi della inutile presenza di trentacinquemila prigionieri in buona parte decisi alla resistenza passiva. Questa imponente presenza di braccia avrebbero, viceversa, trovato collocazione sul continente nel lavoro coatto.

La Donizetti in manovra

Di qui la necessità di un rapido anche se rischioso sgombero, con qualunque mezzo, non escluso l’aereo, con qualsiasi natante, piccolo o grande che fosse. Eccoci quindi alla ‘Donizetti’, resa disponibile in tutta fretta mediante un frenetico lavoro di scarico. Prima di una serie di navi ‘negriere’, la ‘Donizetti’ cominciò ad imbarcare internati la mattina del 22 settembre 1943. I Tedeschi intendevano ‘stivare’ almeno 2100 prigionieri - come bestie - negli spazi già difficili per 700. Il Col. Arcangioli, incaricato di coordinare l’operazione, s’accorse che superato il numero di 1600 uomini, la stiva sarebbe diventata un infernale carnaio. Di sua iniziativa sospese il tristissimo afflusso su per gli scalandroni, ma i tedeschi reagirono riprendendo immediatamente gli imbarchi, e solo quando si resero conto che Arcangioli aveva ragione, si fermarono a quota 1835. 256 uomini in meno che furono salvati da un ripensamento formulato controvoglia all’ultimo istante.

Era già buio quando la ‘Donizetti’ salpò da Rodi il 22 settembre. Tenendosi sotto la costa orientale di Rodi, la nave diresse per sud-ovest, passò davanti a Lindos e venne a trovarsi alle 01,10 poco al largo di Capo Prasso, estrema punta meridionale dell’isola. La scortava una silurante con equipaggio tedesco al comando dell’Oberleutnant Jobst Hahndorff. La piccola unità - 610 tonnellate, armata con due cannoni da 100 - era al terzo cambio di mano e dopo essere nata francese col nome ‘La Pomone’, era diventata FR 42 per la Marina italiana ed infine TA 10 per la Kriegsmarine.

Nelle stesse acque non troppo profonde, ma prossime alla “fossa di Scàrpanto”, il cacciatorpediniere britannico ‘Eclipse’ colse sul proprio radar i bersagli delle due unità che procedevano di conserva. La Royal Navy si era impegnata sin dai primi giorni dopo l’armistizio, in una vera e propria caccia ai convogli tra le isole. Partendo dalle basi lontane di Alessandria e di Cipro, unità veloci battevano i canali di Caso e di Scàrpanto e risalivano verso nord – ovest calcolando la giusta autonomia per operare al buio. L’obiettivo era quello di far piazza pulita di qualsiasi natante senza attardarsi mai; l’ordine era di disimpegnarsi a tutto vapore per trovarsi, all’alba, fuori dall’Egeo e il più lontano possibile dai ricognitori e bombardieri della Luftwaffe.

Quella notte l’Eclipse’ stava operando una ricerca tra Rodi e Scàrpanto assieme all’unità gemella ‘Fury’. Più a nord, tra Stampalia ed Amorgos, altri due caccia, il ‘Faulknor’ e il ‘Vassilissa Olga’ - (destinato quest’ultimo, tre giorni più tardi, a colare a picco in coppia con l’Intrepid’ nella baia di Portolago) - stavano conducendo un’analoga operazione. La messa a punto dell’’Eclipse’ prima di aprire il fuoco fu rapidissima. Fulmineo il tiro. La Donizetti affondò in pochi istanti trascinando nel gorgo 600 avieri, 1110 marinai, 114 sottufficiali e 11 ufficiali dei quali, in assenza di sopravvissuti e di liste nominative redatte all’imbarco, non si sono conosciuti i nomi. Con altrettanta rapidità la TA 10 finì la sua randagia carriera sotto le salve implacabili dell”Eclipse. Trascinatasi alla meglio sino ad un centinaio di metri dalla terraferma, posò lo scafo lacerato sugli scogli di Prassonisi lasciando emergere la plancia e il fumaiolo. I superstiti dell’equipaggio trovarono temporaneo rifugio nell’area abbandonata della batteria ‘Mocenigo’. Il Col. Arcangioli venuto da Rodi col permesso del Comando tedesco per conoscere i dettagli del disastro e raccogliere gli scampati all’ecatombe, non trovò naufraghi, né ebbe notizie di essi dai matrosen della TA 10. L’Eclipse, dopo i lanci e le salve andate a segno, si era eclissato dando il massimo dei giri alle eliche. Solo più tardi seppe di aver firmato la prima grande tragedia dell’Egeo, fino a quel momento. Una tragedia che si sarebbe potuto evitare con una segnalazione tempestiva. La Defence Security Office del Dodecanneso, ad una richiesta della Commissione per la tutela degli interessi italiani in Egeo, rispondeva con tono glaciale e burocratico che la ‘Donizetti’”was sunk in a naval action south west of Rhodes on 23th september 1943”. Null’altro.

Dal sito GRUPSOM riportiamo: La Motonave DONIZETTI, classe “musicisti”, era stata varata nel 1928 per conto della
ADRIA SA di navig. con sede a Fiume; era di tipo misto, cioè  attrezzata al trasporto di passeggeri di merce varia, aveva una stazza lorda di 2428 t. lungh. di 97 mt.
 Nel successivo riordino delle linee cosiddette ‘sovvenzionate’, la Donizetti entrò a far parte
della TIRRENIA SA di Navig. La nuova Società “entrò” in guerra con ben 56 navi uscendone con 7  soltanto in grado
di poter prendere ancora il mare, essendo state per la maggior parte requisite dalla Regia Marina
o comunque impiegate nel trasporto dei rifornimenti verso la sponda nordafricana, e sacrificate
nell’immane bagno di sangue che fu la Battaglia dei convogli. 
La Donizetti venne requisita il 16 Ottobre 1940 e impiegata massivamente per il trasporto di truppe
e materiali bellici nelle acque dell’Egeo.
Fu proprio in quelle acque, Iraklion (Creta), che venne sorpresa dall’armistizio proclamato l’8 Settembre 1943.
Subito catturata dai tedeschi, si rivelò l’asso nella manica per costoro che dovevano affrontare
e risolvere il problema dell’evacuazione di migliaia di militari italiani, specialmente dalle
isole Egee e quelle del Dodecanneso, dove la maggior parte delle nostre guarnigioni, non disposte
a continuare la guerra al fianco dell’ex alleato, avevano ottemperato al proclama di Badoglio.
Per questa enorme massa di militari d’ogni arma e specialità, l’unico destino era l’internamento
in Germania.
La Donizetti venne inviata a Rodi da dove partì la sera del 22 settembre: come consuetudine teutonica, e senza eccessivi formalismi, furono letteralmente “stivati” a bordo 1584 militari italiani,
mentre altri avevano preso posto sul mercantile DITMARSCHEN, ex Dimitrios del 1903 e di
1171 tsl catturata dai tedeschi in Egeo il 25 Aprile 1941.
Per maggior tranquillità, il comando tedesco aveva fornito al piccolo convoglio la scorta della
Torpediniera TA-10, ex LA POMONE francese.
Non fecero molta strada, dacché quella stessa notte, a Levante di Rodi, la formazione venne attaccata
sia da aerei inglesi che da forze di superficie costituite dai caccia HMS Eclipse e HMS Fury.
Ripetutamente bersagliate dalle salve, dalle bombe e dai mitragliamenti a bassa quota, nessuna delle navi riuscì a salvarsi, affondando in pochissimo tempo.
Sulla Donizetti non vi furono superstiti, ma è lecito intuire  quali soprusi dovettero subire
quei poveri soldati chiusi nelle stive e senza scampo, da parte dei loro aguzzini tedeschi, così
come accadde analogamente su altre navi nei giorni a seguire.
Ricordiamo brevemente, che dalla stessa isola di Rodi, quel fatale 22 settembre, l’Ammiraglio
Campioni, in veste di Governatore di quelle isole, fu catturato e prelevato insieme a due suoi ufficiali ed inviato in aereo in un campo di concentramento in Germania che lasciò nel Gennaio del 44 per andare incontro al suo destino.
Fu solo grazie alle pressioni del Colonnello Angiolini, che alcune centinaia di militari non
persero la vita sulla Donizetti giacchè i tedeschi avevano deciso di imbarcarne più di 2000: l’ufficiale
riuscì a convincere i tedeschi che non era assolutamente possibile riuscire ad imbarcarne così tanti
in uno spazio tanto esiguo.
Dopo l’affondamento della Donizetti, il TA-10 andò ad incagliarsi presso Prassonisi dove fu trovata
dal Comandante Arcangioli partito alla vana ricerca di naufraghi.
Qualche giorno dopo, un ulteriore incursione aerea inglese, ne provocò  irrimediabilmente la perdita.
In quest’ennesimo quanto inutile sacrificio, perirono:
il 2° Capo Cannoniere V. Restagno, nativo di Canosa ma residente a Savigliano, classe 1911 –
il Marinaio C.Cosso, nativo di Sommariva Bosco, classe 1921 – il Marinaio R.Dalmasso, nativo 
di Revello e residente ad Airasca, classe 1918.

Ufficio Storico della Marina.

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

Per i contatti, vedi il link che segue:

http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx

L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 27 aprile 2013






P.fo ARDENA affonda il 28 settembre 1943-720 morti

P.fo ARDENA

affonda 28 settembre 1943

720 morti

 

 

 

Una bella immagine del P.Fo ARDENA in manovra

 

 

 

 

L’Ardena fu costruita dal cantiere: McMillan di Dumbarton nel 1915 come fregata per la Royal Navy. Originariamente si chiamava Peony. Varata il 25 agosto 1915, aveva una stazza di 1.210 ton. Faceva una velocità di sedici nodi

 

e mezzo. Nel 1919 fu venduta dall’Ammiragliato, prese il nuovo nome di Ardena e fece servizio dal 1924 al 1930 nella Manica per i collegamenti tra la Gran Bretagna e la Francia. Nel1934 fu rivenduta alla Togias Line (Grecia, Pireo) e fece servizio con le isole di Chios e Metilene. Aveva una lunghezza di duecentocinquanta piedi, una larghezza di trentatré piedi e un’immersione di diciassette piedi. I motori erano a triplice espansione con tre cilindri da 350 n.h.p. La nave fu bombardata ed affondata da aerei tedeschi nel giugno del 1941, durante l’invasione della Grecia. Fu riportata a galla e riparata per conto dei tedeschi, che la adibirono a trasporto prigionieri.

 

 

Immagini del relitto dell'Ardena

 

MAR IONIO
28 settembre 1943

Nome della nave:  piroscafo ARDENA

In navigazione da Argostoli (720 morti) la nave affonda per la collisione con una mina sganciata da un aereo britannico.

Il piroscafo tedesco ARDENA aveva a bordo 840 soldati italiani. I morti furono 720, più 59 dei 120 soldati tedeschi.

 

 

 

Storia relitto

 

Domenica 9 agosto 2009

 

Cefalonia - I 720 morti della nave Ardena forse vittime di sabotaggio tedesco.

 

Il Messaggero ROMA - Dei 1.500 soldati della ‘Acqui’, morti nell'affondamento delle tre navi che li trasportavano verso i lager tedeschi, le 720 vittime della nave Ardena, il 28 settembre, potrebbero non essere deceduti per l'urto della nave contro una mina - come dice la storiografia - ma perché gli stessi tedeschi piazzarono delle bombe a bordo della nave. Sull'Ardena, al termine della mattanza di Cefalonia, furono imbarcati 840 militari italiani: nell'affondamento perirono i 720 che si trovavano nelle stive. Sull'ipotesi della volontarietà del massacro sta lavorando l'Associazione nazionale Divisione Acqui, presieduta dall'aretina Graziella Bettini, dopo alcune immersioni sul relitto compiute dai tecnici del Centro studi attività subacquee, che avrebbero trovato indizi in questo senso. La Bettini, figlia del colonnello Elia Bettini, fucilato a Corfù dai tedeschi, ha deciso di rendere nota questa ipotesi alla vigilia di una cerimonia che si svolgerà il 14 agosto nel mare di Cefalonia, con la partecipazione di una nave della Marina militare italiana. Nei giorni precedenti un gruppo di subacquei compirà altre immersioni sul relitto dell' Ardena alla ricerca della verità. Il giorno della commemorazione, sul fondale verrà deposta una lapide.

 

 

Ancora un reperto del relitto

“UNA ACIES”

 

Nave Ardena La cerimonia del 14 agosto nel mare di Argostoli

 

Nel precedente Notiziario era stata data notizia della cerimonia che si sarebbe svolta il 14 a- gosto 2009 a Cefalonia, nel mare antistante la baia di Argostoli, con la deposizione di una targa in ricordo dei 720 soldati della Divisione Acqui che, chiusi nelle stive, morirono nell’affondamento della nave Ardena, la quale li avrebbe dovuti portare prigionieri a Patrasso, per poi essere inviati nei campi di internamento nazisti. Nei giorni 12 e 13 agosto erano previ- ste immersioni sul sito della nave per riprese e documentazioni.

 

“Oggi, con voi autorità, con voi amici, con voi reduci dell’Acqui, è presente anche il ricordo della cerimonia del 14 agosto scorso a Cefalonia, nelle acque antistanti Argostoli, durante la quale lo Stato Italiano, con autorità greche ed italiane, e con tanti nostri connazionali, per la prima volta dopo 66 anni, ricordava, con noi dell’Acqui, i 720 giovani che affondarono con la nave Ardena nelle acque cefaliote.

 

Questo è il messaggio che mi onoro di portarvi oggi e che idealmente pongo ai piedi del nostro monumento. Nel 1943, il 28 settembre, 840 giovani dell’Acqui, che erano sfuggiti ai massacri tedeschi, avvenuti dopo la resa a Cefalonia (e Corfù), stanchi ed annientati dal dolore dei compagni morti nelle battaglie e nelle stragi naziste, sicuramente in quel giorno, quando furono imbarcati sulla nave Ardena, nutrivano la speranza, in quel 28 settembre ’43, che la prigionia cui erano destinati sarebbe finita presto e che presto avrebbero potuto tornare a casa.

 

Ma dopo pochi minuti dalla partenza la nave colò a picco...e con lei 720 acquini...Solo 120 si salvarono.

 

Le loro ossa giacciono ancora in fondo al mare: ma la loro voce, se si fa silenzio in noi ed intorno a noi, si può oggi sentire in questo parco dell’Acqui, in questo luogo nobile, ove si può riscoprire se stessi, la propria identità.

 

Perché non basta che abbiano dato la vita, che abbiano consegnato alla storia le loro scelte. Qui siamo obbligati a domandarci il senso del gesto di tanti migliaia di giovani; ed il dono della loro vita ci interroga.”

Ufficio Storico della Marina.

 

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

 

Per i contatti, vedi il link che segue:

 

http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx

 

L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

 

Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 27  aprile 2013

 


 

 


M/n Mario ROSELLI - Naufragio 10 ottobre 1943 - 1302 morti

MARIO ROSELLI

Naufragio 10 ottobre 1943

1302 le vittime

La motonave Mario Roselli fu protagonista di una tra le più gravi tragedie della Seconda guerra mondiale dopo l’8 settembre del 1943. 1.300 furono le vittime su 5.500 militari italiani imbarcati.

Descrizione generale

Tipo

Motonave cargo

Classe

Fabio Filzi

Proprietà

Italia - Società di Navigazione - Genova

Costrutt.

Cantieri Riuniti dell'Adriatico

Cantiere

Monfalcone (GO)

Impostata

22 aprile 1940

Varata

25 aprile 1941

Completa

1942

In serv.

22 aprile 1942

Destino finale

Affondata l'11 ottobre 1943

Caratteristiche generali

Stazza lorda

6835,00 tsl

Lunga

138,61 m

Larga

18,92 m

Altezza

12,10 m

Motore

Un motore Diesel con potenza di 7500 CV, una elica

Velocità

15,8 nodi

Capacità di carico

9100,00 t.p.l.

La Mario Roselli venne costruita dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone su ordinazione della Società Italia di Navigazione di Genova nel 1940 . Nello stesso cantiere vennero contestualmente costruite le navi gemelle Reginaldo Giuliani, Gino Allegri, Fabio Filzi e Carlo Del Greco, tutte su ordinazione del Lloyd Triestino.

 

Varata il 25 aprile 1941 , la nave venne consegnata al committente il 22 aprile 1942 requisita il giorno dopo a Trieste dalla Marina Milirae Italiana che la incorporò nel suo naviglio ausiliario di guerra .

 

La sua prima missione fu il rifornimento delle truppe italiane di stanza in Libia, sulla tratta Brindisi-Bengasi-Brindisi, con prima partenza da Brindisi il 16 maggio 1942. Il 24 maggio , in porto a Bengasi, venne colpita durante un attacco aereo degli alleati. Circa un mese dopo, il 23 giugno , in navigazione per Bengasi, la nave divenne bersaglio degli aerei alleati al largo di Capo Rizzuto, riportando danni rilevanti a causa dei siluri ricevuti. Assistito inizialmente dai rimorchiatori Gagliardo, proveniente da Taranto , Fauna, proveniente da Crotone. Il mercantile venne poi rimorchiato a Taranto dalla torpediniera Orsa con la scorta prima del cacciatorpedinier e Turbine e della torpediniera Partenope , e poi delle torpediniere Antares ed Aretusa . Rimorchiata da Taranto a Monfalcone nel settembre 1942 per le riparazioni, l'unità rimase in cantiere fino al 19 dicembre , quando rientrò in servizio sulla rotta Napoli-Palermo-Biserta , con cinque missioni totalizzate fino al marzo 1943. L'11 aprile dello stesso anno la nave venne nuovamente bombardata, questa volta nel porto di Napoli .

 

Il 9 settembre 1943 , il giorno dopo la comunicazione dell'avvenuto Armistizio di Cassibile, la Mario Roselli divenne preda bellica della Marina militare germanica , che la incorporò nel suo naviglio ausiliario di guerra. Il 20 settembre venne utilizzata per un trasporto di prigionieri italiani a Venezia , con successiva partenza per Trieste il 27 settembre.

 

La Mario Roselli adagiata sul bassofondale dell’isola di Corfù

 

M/n Alpe ex Mario Roselli

La strage di Corfù

Il 9 ottobre 1943 la motonave Mario Roselli giunse in rada a Corfù per imbarcare numerosi prigionieri italiani, circa 5.500 militari, che nei giorni prima erano stati catturati negli scontri tra i tedeschi e la resistenza , organizzata dagli stessi militari italiani. Le operazioni d’imbarco iniziarono all'arrivo della nave e si protrassero per tutta la notte tra il 9 ed il 10 ottobre; i prigionieri venivano trasbordati da riva alla nave tramite piccoli motoscafi . Ad imbarco quasi completato, alle ore 7,15 del 10 ottobre, venne avvistato un aereo alleato, che immediatamente attaccò la nave ed i motoscafi. Una bomba centrò con tragica precisione un motoscafo, stipato di prigionieri, ed un'altra, passando da un boccaporto aperto, cadde direttamente nella stiva della nave, gremita di italiani, ed esplose, causando una terribile strage e lo sbandamento della nave sulla dritta a causa dell'imbarco di acqua. Molti prigionieri sulla Roselli, non coinvolti nell'esplosione, tentarono di salvarsi gettandosi in mare, per poi affogare poco dopo. Il mare intorno alla nave si riempì quindi di cadaveri, rendendo l'idea di quanta sofferenza ed orrore si verificarono in questo tragico bombardamento su prigionieri inermi; sono state calcolate 1.302 vittime. I prigionieri a terra, capendo la gravità ed il pericolo della situazione, fecero un tentativo di fuga nelle campagne circostanti, inseguiti dai tedeschi che avevano aperto un fitto fuoco sugli inseguiti; alcuni di questi ultimi, nonostante l'odio dei greci per l'occupazione italiana, vennero aiutati e nascosti dalla popolazione, scampando a morte certa. I superstiti a bordo della nave vennero sbarcati, e la nave, gravemente sbandata, venne abbandonata in rada dove si trovava al momento del bombardamento. Il giorno dopo vi fu un nuovo attacco aereo, che causò il definitivo affondamento della Mario Roselli.

Il recupero e la ricostruzione

Nel 1952 il relitto della Mario Roselli, rimasto appoggiato sul fondale in assetto di navigazione con il fumaiolo affiorante, venne recuperato. Il recupero venne effettuato svuotando alcune cisterne di acqua dolce rimaste intatte durante l'affondamento. Reso il relitto galleggiante, fu rimorchiato ai Cantieri Navali Riuniti di Monfalcone (lo stesso cantiere dove era stata costruita la nave). La Mario Roselli, caso più unico che raro, venne ricoverata sullo stesso scalo dove era stata varata, e da dove poi ebbe luogo il secondo varo della sua vita. Terminati i lavori, l'11 giugno 1952 la motonave venne immatricolata come Alpe. La nave ricostruita aveva una stazza lorda di 6893,00 tonnellate.

Ufficio Storico della Marina.

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

 

Per i contatti, vedi il link che segue:

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L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

 

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Carlo GATTI

Rapallo, 27 aprile 2013

 



M/n SINFRA affonda il 19 ottobre 1943-1850 morti

 

LE TOMBE INVISIBILI:

M/n SINFRA

18.10.1943

1850 Vittime

 

Due foto della FERNGLEN (Primo nome del SINFRA). scattate il giorno del varo (Nasjonalbiblioteket photo archive).

Una bella foto della SANDAHAMN, Secondo nome della futura SINFRA.

DATI NAVE:

Primo Nome: "Fernglen"

Tipo: Ocean liner/Cargo ship

Anno: 1929

Nazionalità: Norway

Primo Armatore: Fearnley & Eger, Oslo (old Christiania), Norway

Successivi Armatori / OWNERS:

1934: "Sandahamn"/Sven Salen (Rederi A/B Jamaica), Stochholm, Sweden

1939: "Sinfra" / Companie di Navigation A Vapeur Cyprien Fabre & Cie, La Ciotat, France

Dicembre 1942: "Sinfra" / German Government

Costruttore: Akers Mekaniske Verksted A/S

Cantiere: Oslo (old Christiania), Norway

YARD No: 434

Data del Varo: 15-05-1929

Data completamento: July 1929

Stazza Lorda: 4444 GRT

Lunghezza: 122.5 m

Larghezza: 16.7  m

Altezza: 7.32 m

Eliche: 2

Motore: Diesel

Velocità: 12.5 knots

Destino: AFFONDATO dalle bombe degli Alleati il 19 ottobre 1943.

La storia:

La motonave SINFRA arrivò nel porto di Heraklion (Creta) nei primi giorni di ottobre 1943. Da parecchi giorni i convogli ferroviari tedeschi ammassavano, presso questa base, materiale bellico (bombe d’aerei, in particolare) provenienti dagli aeroporti limitrofi. Queste bombe erano destinate ad essere sganciate dalla Luftwaffe in Nord Africa, ma dopo la vittoria Anglo-Americana, questo arsenale costituiva un surplus, così come gli stessi aeroporti dell’isola di Creta di grande valore strategico. Il 19 ottobre il carico di bombe fu completato e la nave era quasi pronta a partire per il Pireo. L’ultima operazione era soltanto quella di trasferire il carico “UMANO” di migliaia di militari internati dai campio di concentramento al porto. Molti greci si erano assemblati sui lati della strada per assistere alla partenza dei soldati italiani. Verso sera il trasferimento fu completato. La Schmeisser SINFRA era una nave da carico senza cabine ed i soldati furono ammassati nelle stive. I tedeschi permisero soltanto agli ufficiali di rimanere sui ponti aperti usando le poche cabine esistenti sui lati dei corridoi che correvano da poppa a prua. Prima del tramonto, i tedeschi consegnarono agli ufficiali italiani i giubbotti di salvataggio che non erano sufficienti per tutti gli ufficiali presenti a bordo. Nessun giubbotto fu consegnato agli uomini nelle stive. Sulla nave c’erano molti tedeschi di passaggio ed anche un piccolo gruppo di partigiani greci, tutti cretesi, destinati ai lager tedeschi. I boccaporti delle stive erano presidiati da sentinelle tedesche armate di maschinenpistole Schmeisser. La nave aveva due mitragliatrici, una a prua ed una a poppa, in funzione antiaerea.

Il mare era liscio come uno specchio e c’era anche la luna piena quando il SIFRA lasciò il porto di Heraklion, scortato da almeno una nave. Nessuna luce era permessa a bordo per evitare il pericolo d’essere individuati da aerei e da sottomarini nemici. Chi voleva fumare poteva farlo solo nei locali interni. Alcuni ufficiali italiani combattevano lo stress passeggiando da prua a poppa e discutendo delle situazioni ed erano divisi in piccoli gruppi. La maggior parte di loro si poneva la stessa domanda: “Cosa sarebbe successo una volta giunti al Pireo?”

Alle 23.30 una sentinella tedesca cominciò ad urlare: “Aerei nemici, allarme!”

Immediatamente l’antiaerea del SINFRA cominciò a crepitare. L’ufficiale Donato, uno dei tanti italiani presenti in coperta, dopo pochi secondi vide delle luci a gruppi sull’orizzonte, erano molto basse.

Fonti tedesche concordano che si trattasse di squadroni di bombardieri B-25 Mitchell della U.S.A.F e aerosiluranti Bristol Beaufighter della R.A.F provenienti dal Nord Africa e operativi sul Mediterraneo.

Appena gli aerei sorvolarono sopra il SINFRA, avvenne una forte esplosione. Lo shock dovuto all’esplosione fu così forte che Donato Dutto fu scagliato parecchi metri lontano dalla sua posizione originale. Mentre cercava di capire cosa fosse accaduto, vide le sentinelle aprire il fuoco all’interno delle stive. Il suono dei mitragliatori era alto, ma non tanto da coprire le urla di terrore che salivano dalle stive. Enzo Della Rovere, un altro italiano sopravvissuto, affermò che la bomba era entrata dalla ciminiera ed era esplosa all’interno della nave e che molti soldati italiani erano stati intrappolati all’interno nelle stive vicine all’esplosione di cui le scale di accesso erano collassate e crollate.

Anche un rapporto trovato negli Archivi della Marina Italiana conferma che la bomba attraversò la ciminiera e l’esplosione procurò confusione, panico e terrore nelle stive. Corrisponde anche l’azione compiuta dalle sentinelle tedesche che gettarono, inizialmente, alcune granate dai boccaporti e poco dopo fecero fuoco con le Schmeisser, quando i prigionieri tentarono di risalire in coperta.

Il motore della SINFRA si fermò e poco dopo la nave cominciò ad inclinarsi sul lato dritto. Quelli che erano già in coperta cominciarono a saltare in mare.

Nel contempo i bombardieri alleati compirono un largo giro intorno al SINFRA e ritornarono indietro per terminare il loro lavoro. La nave fu colpita nuovamente e l’incendio si propagò in breve da poppa a prua. Pochi attimi dopo il secondo attacco, un gruppo di ufficiali tedeschi con due civili (un diplomatico e sua moglie, secondo quanto testimonia Dutto) arrivarono sul ponte di coperta spingendo e sparando. Presero una scialuppa di salvataggio sul lato dritto e lasciarono velocemente la nave sotto incendio. Sul lato sinistro alcuni ufficiali italiani erano più fortunati e riuscirono a calare in mare una scialuppa di nascosto dei tedeschi. La nave di scorta fece molti e continui segnali luminosi al SINFRA ma non venne mai vicina alla nave bombardata per salvare i naufraghi finiti in mare, se non molte ore più tardi.

La nave non affondò subito, e dopo aver messo le due lance in mare, le sentinelle lasciarono le loro postazioni presso le stive aperte. Quello fu il momento atteso dai prigionieri sopravvissuti al massacro e si riversarono con tutti mezzi possibili sulla coperta della nave e si gettarono in mare. Molti di loro cercarono pezzi di legno o altro materiale galleggiante per sostenersi e vincere la stanchezza. Le acque intorno alla nave erano piene di naufraghi che lottavano per rimanere vivi. Donato Dutto cercò di rimanere a bordo della nave che bruciava il più a lungo possibile, poi trovò il coraggio di tuffarsi in mare. La soluzione si trovò quando un gruppo di naufraghi notò la biscaglina appesa fuoribordo che era stata usata dagli ufficiali tedeschi per salire sulla lancia. Dutto usò quello strumento per fuggire dalla nave sotto incendio. La nave scarrocciava lentamente mentre veniva consumata totalmente dal fuoco.

A fronte dell’estremo calore, molti militari correvano sul ponte della coperta e i loro urli d’aiuto si udivano chiaramente anche a distanza. Alle 02.30, quando il fuoco raggiunse le bombe d’aereo sistemate nelle stive, si compì il destino del piroscafo SINFRA. La nave fu sventrata da una colossale esplosione che deflagrò a molti chilometri di distanza. La mattina successiva, una flotta di pescherecci greci requisiti dai tedeschi, affluirono sulla scena del disastro alla ricerca di naufraghi sotto le direttive di un paio d’idrovolanti del 7° Squadrone Salvataggio Marittimo germanico e della nave di scorta.

Donato Dutto fu uno dei pochi militari italiani tratti in salvo dai pescherecci locali, nonostante l’ordine fosse molto chiaro: “prima salvate i militari tedeschi!”. Durante le operazioni di recupero e salvataggio dei naufraghi, uno stormo di caccia alleati attaccò e distrusse un idrovolante tedesco. Subito dopo l’attacco, i pescherecci fecero rotta per il porto di Cania. Ad attenderli in banchina c’erano i tedeschi che prelevarono i naufraghi italiani e li trasferirono con mezzi pesanti nelle carceri vicine alla città. Gli ufficiali italiani furono invece portati nella prigione di Panaghia dove rimasero quattro settimane prima di essere imbarcati per il Pireo.

LE CIFRE DEL DISASTRO

a) Nel suo libro (scritto 10 anni dopo gli eventi) Donato Dutto affermò che 523 italiani si salvarono (100 circa furono salvati dai pescherecci e almeno 400 furono tratti in salvo da dalla nave di scorta e dalle lance di salvataggio calate in mare dalla nave prima che affondasse). Inoltre, egli scrisse che soltanto 12 partigiani greci sopravvissero. Comunque, questi combattenti furono più tardi giustiziati perché ritenuti responsabili della morte di molti soldati tedeschi finiti in mare dopo il naufragio. Dutto stimò che a bordo del SINFRA si trovassero 400 militari tedeschi.

Il numero delle vittime: 2465

Superstiti: 535 Internati e prigionieri greci

Su un TOTALE di: 3000 presenti a bordo, incluse i milit. Germ.

b) Secondo il sito web di George Duncan’s le cifre sono diverse e meglio dettagliate:

Il numero delle vittime: 2098

Superstiti: 566 403 internati italiani, 163 tedeschi

Su un TOTALE di: 2664 Di cui 2389 italiani internati, 71 prigionieri greci, 204 militari tedeschi.

c) Il ricercatore greco Manos Mastorakos fornisce gli stessi dati di Duncan ma un diverso numero di superstiti: 757 italiani, 197 tedeschi

Il numero delle vittime 1710

Superstiti: 954

Su un TOTALE di: 2664 presenti a bordo

d) Il libro di Gerard Schreiber fornisce i seguenti dati:

Il numero delle vittime: 1850 Internati e prigionieri greci

Superstiti: 539 Internati e prigionieri greci

Su un TOTALE di: 2389 Internati e prigionieri greci

e) Gli Archivi della Marina Militare (Roma) forniscono un differente quadro:

Esiste un Rapporto del 7.8.1946 che certifica che 5.000 italiani imbarcarono sulla M/n SINFRA il 18 ottobre 1943. Furono poi imbarcate 500 proiettili di contraerea. Lo stesso rapporto riporta che ci furono circa 500 superstiti.

Le note del webmaster:

I dati forniti da Donato Dutto riguardo al totale delle persone imbarcate sulla SINFRA, non sembrano essere particolarmente accurate. Si tratta probabilmente delle cifre discusse dagli ufficiali italiani prima dell’imbarco sulla nave, poiché le cifre sono arrotondate. In ogni caso non vi sono grandi differenze sulla valutazione dei superstiti. Va detto invece che i dati forniti da Gerhard Schreiber che ha esaminato gli Archivi di Stato tedeschi, sono considerati attendibili e affidabili anche da molti storici italiani.

Purtroppo, il numero dei prigionieri italiani e greci uccisi dalle sentinelle tedesche durante il tentativo di fuga dalle stive, rimane sconosciuto.

La Posizione del Relitto

Il relitto della SINFRA si trova 7 miglia fuori della costa nord occidentale di Creta (meno di 25 km a nord del porto di Cania). Si pensa che il relitto sia difficilmente riconoscibile a causa dei danni subiti dall’esplosione.

 

Ufficio Storico della Marina.

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

 

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Per i contatti, vedi il link che segue:

 

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Carlo GATTI

Rapallo, 27 febbraio 2013


P.fo PETRELLA- affondamento l'8.2.1944-2700 morti

 

AFFONDAMENTO

PIROSCAFO PETRELLA

 

8.2.1944

2646 Vittime

 

 

La ricerca di informazioni verte sull'affondamento del Petrella (ex Capo Pino-ex Aveyron) avvenuta 8/2/1944 nelle acque di Creta da parte del sommergibile inglese Sportsman.

 

Nella perdita di 2646 (2670 da Schreber) vite di prigionieri italiani vi era il padre di una cara amica che sarebbe molto contenta di conoscere qualche notizia in più sul fatto e sulla nave (dati tecnici,eventuale foto)

 

Dati che ho cercato anche dal R.I.N.A. e foto dal sito della Royal Navy (avendo saputo che il Petrella era stato monitorato e fotografato da ricognitori inglesi)

 


 

PETRELLA, exCAPO PINO, ex AVEYRON, Toulon    (Archivio G. Spazzapan)

 

La nave da carico PETRELLA fu costruita nel 1923 a Granville con il nome di PASTEUR. Appartenne ad una serie di 9 unità, conosciute come le “4.800 tons” in riferimento alla loro stazza lorda, furono ordinate dallo Governo francese con lo scopo di ripristinare la flotta dopo il 1° conflitto mondiale. Varata il 3 febbraio 1923, entrò in linea con la bandiera francese il 10 agosto 1923. L’anno seguente fu acquistata dalla Compagnie des Chargeurs Français, nel 1925 fu presa a noleggio dalla Compagnie Navale de l’Océanie (Ballande Shipping Company) per la sua linea della Nuova Caledonia. Nel giugno 1928 fu acquistata dalla CGAM, e rinominata AVEYRON e fu assegnata alle linee della CGT, quella della West Indies  e quelle di Nantes-Bordeaux-Algeri-Tunisi. Nel 1939 passò alla CGT.

 

Il 10 luglio 1941 fu trasferita in Italia e rinominata CAPO PINO sotto il controllo della Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore. L’8 settembre del 1943 fu sequestrata dai tedeschi a Patrasso, rinominata PETRELLA sotto il controllo della Mittelmeer GmbH. L’8 febbraio del 1944 il piroscafo PETRELLA fu affondato dal sottomarino inglese SPORTSMAN al largo della baia di Suda, Creta. Il numero delle vittime fu altissimo: 2.700 di 3200 prigionieri di guerra italiani (pow) che si trovavano a bordo.

 

Dati Nave:

 

Design features

 

Aveyron (steel cargo ship) 1939 - 1941

 

hull material : ...................steel

 

previous name(s) of ship : ........pasteur

 

detailed type : ...................steel cargo ship

 

type of propulsion : ..............1 propeller

 

building year of ship : ...........1923

 

name of shipyard : ................F. & Ch. De la Gironde

 

place of construction : ...........Graville

 

year of entering the fleet : ......1939

 

length (in meters) : ..............110,60

 

width (in meters) : ...............14,98

 

gross tonnage (in tons) : .........4785

 

deadweight (in tons) : ............6500

 

type of engine : ..................inverted, triple expansion 3 cylinders

 

engine power (in HP) : ............2500

 

nominal speed (in Knots) : ........12

 

Il materiale che segue é il Rapporto tradotto dal tedesco all’italiano, da un 'anonimo'. Il testo é stato ripreso dal Sito BETASOM –XI GRUPPO SOMMERGIBILI ATLANTICI.

 

Inviato l’11 febbraio 2010 con questa dizione:

 

Salve!

 

Di questa tragedia dimenticata, 'rompendo' un po’ da tutte le parti ho recuperato varie informazioni .... tra cui la trascrizione dei rapporti del traffico marittimo a Suda nei giorni a cavallo dell'affondamento .... che ho tradotto con un po’ di approssimazione ....

 

Centro di trasporto marittimo di Suda

 

23.01.44 vento W-NO mare forza 2-3, nuvoloso, visibilità 10 Miglia

 

Ore 09.35 arriva la nave Petrella con 4178 tonnellate di carico da Saloniko – il Pireo.

 

24.01.44 vento Debole di direzione variabile, mare forza 2-3, visibilità 12 Miglia.

 

06.50 arrivo della nave Susanne con un carico di 111 t. e 30 soldati tedeschi partita dal Pireo. La Petrella subiva un guasto al timone spostandosi dal posto di ancoraggio. L´attracco al molo avveniva con 1.5 ore di ritardo. Lo scarico della merce inizia ore 08.30

 

28.01.44 vento da N, mare forza 2-3, localmente di 4-5, foschia o nebbia, visibilità di 6 Miglia.

 

Ritardi nelle operazioni Scarico e carico per la forte pioggia. La Petrella dalle 11.00 alle 14.00 ha interrotto le operazioni per la rottura di un tubo di vapore. La navigazione dei piccoli natanti ostacolata dal tempo cattivo.

 

04.02.44 Vento da W-SW mare forza 3-4, localmente 5, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 00:40, 01:10, 02:40, 03:16, 08:10, 08:22, 09:22 e alle 09:36.

 

12.30 imbarco truppe.

 

La Susanne imbarca 87pers.ted. in vacanza. Il comandante riceve ordine per il trasporto. Ogni soldato riceve una salvagente.

 

17.00 imbarco truppe sulla Petrella. Vanno a bordo:

 

2.800 prigionieri italiani

 

72 volontari di combattimento ital.

 

41 prigionieri ( non ital.)

 

193 tedeschi ( militari di scorta)

 

Il comandante riceve gli ordini per il viaggio: ciascun soldato ted. Riceve salvagente. A bordo ci sono 4 zattere e 4 battelli gonfiabili, vengono aggiunti 5 zattere per 24 pers ciascuna

 

La Partenza a causa del brutto tempo viene spostato al 06.02 ore 06.00

 

05.02.44 vento da S-SW mare forza 4-5, piovoso, 12 Miglia di visibilità.

 

Su ordine del commando marina ted. A Creta salgono sulla Susanne 10 militari tedeschi di scorta.

 

Dalla Petrella sbarcano i soldati tedeschi eccetto 95 uomini. Vengono imbarcati altri 282 prig. Italiani e 19 ital. Disposti a combattere.

 

06.02.44 vento da W-NW mare forza 5-6, , nuvoloso, visibilità 15 Miglia.

 

La partenza delle navi per il Pireo viene spostata al 07.02 ore 06.00 a causa maltempo

 

 

07.02.44 vento da S-SW mare forza 3-4, coperto, forte pioggia, la visibilità è di 8-10 Miglia.

 

La partenza della Petrella e della Susanne è stato spostato al 08.02 ore 06.00 causa maltempo

 

 

08.02.44 vento da N, mare forza 2-3, tendente a 4, visibilità 12 Miglia.

 

Ore 06.30 Petrella e Susanne partono scortate verso il Pireo.

 

Alle ore 08.55 dal comm. porto Suda si ha notizia che il convoglio di questa mattina e´stato attaccato da sommergibile nemico appena fuori Suda , La Petrella è stat colpita da 2 siluri

 

I Motovelieri nel porto di Suda:

 

Agios Nicolaos Pi 783,

 

Athina Pi 722,

 

Ipapanti Sy 631,

 

Agia Matrona Pi 823,

 

Agios Mattheus Pi 55,

 

Agios Nicolaos Ch 54,

 

Agios Nicolaos Ch 51

 

Si sono diretti sul luogo di incidente

 

Alle 10.05 su richiesta il comm. Del porto Chania conferma che anche i motovelieri locali si dirigono verso luogo di incidente:

 

Agios Nicolaos Ch 216,

 

Agios Dimitrios Pi 2302

 

E il Pi 22

 

Alle 10.35 su ordine del comm. Del Porto di Suda parte il rimorchiatore Voltaire verso luogo incidente per rimorchiare la nave danneggiata . MSS Kalami (punto di Osservazione?) riferisce che è ancora galleggiante.

 

Alle 11.20 arriva la notizia dal MSS Kalami che la nave sta affondando

 

Alle 12.00 la scorta GK 61 e GK 91 e la Susanne arrivano a Suda con i primi superstiti .

 

Dalle 15.00 – 16.00 visita del porto di Suda del capo Ammiragliato del commando marina Sud Contrammiraglio Stange.

 

Alle 20.25 arriva la notizia da Rethymnon che i motovelieri partiti da Suda per il salvataggio della Petrella

 

Agios Nicolaos Pi 783,

 

Agia Matrona Pi 823,

 

Agios Nicolaos Ch 51,

 

Agios Mattheus Pi 55,

 

Athina Pi 722

 

Sono arrivati a Rethymnon finite le operazioni di salvataggio con 67 ital. Salvi e 4 morti.

 

Agia Matrona Pi 823 ha toccato fondo alla entrata nel porto di Rethymnon e ha una falla. A bordo aveva 44t di munizioni. Solo dopo averla scaricato è potuta entrare in porto.

 

Alle 20.40 La Susanne con 67t. di carico, 41 prigionieri, 40 ital. Volontari e 11 militari di scorta è partita per il Pireo.

 

09.02.44 Vento da S-SW mare forza 3-4, nuvoloso, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 02:47, 03:06, 03:10, 04:00, 18:40 e alle 19:48.

 

Secondo le ns notizie del siluramento della Petrella di ieri, si sono salvati i seguenti naufraghi:

 

Equipaggio di bordo 29 su 34

 

Militari di bordo per l‘antiaerea 35 su 36

 

Militari tedeschi di accompagnamento 79 su 95

 

Soldati ted. non elencati 12

 

Italiani 424 su 3173

Ufficio Storico della Marina.

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

 

Per i contatti, vedi il link che segue:

http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx

L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.

 

Gatti Carlo

 

 

Rapallo, 27 febbraio 2013

 

 


P.fo ORIA, UN NAUFRAGIO DIMENTICATO 12.2.1944-4200 morti

Il piroscafo Oria in navigazione

 

IL NAUFRAGIO DEL PIROSCAFO

ORIA

12 febbraio 1944

4163 Vittime

La tomba dimenticata

 

Il piroscafo ORIA all’ormeggio

Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e dei 4200 militari italiani prigionieri dei nazisti che vi hanno perso la vita nel lontano 12 febbraio 1944. Si tratta di uno dei peggiori disastri navali della storia dell’umanità, il peggiore del Mediterraneo. La nave s’inabissò presso l’isolotto di Patroclo, presso Capo Sounion, a 25 miglia da Atene.

Nave

Armatore

Costrut.

Varo

Stazza l.

Lunghez.

Larg.

Veloc.

ORIA

Feanley & Eger Oslo

Osbourne Graham&co Oslo

1920

2127

86,9 mt

13,3

10 n.

L'Oria fu costruito nel 1920 nei cantieri Osbourne, Graham & Co di Oslo. Era un piroscafo da carico di bandiera norvegese, della stazza di 2127 tsl, di proprietà della compagnia di navigazione Fearnley & Eger di Oslo . All'inizio della seconda guerra mondiale fece parte di alcuni convogli inviati in Nord Africa. Poco dopo l'occupazione tedesca della Norvegia , avvenuta nel giugno del 1940, il piroscafo fu internato a Casablanca . L’anno successivo la nave fu requisita dalla Francia di Vichy, ribattezzata Sainte Julienne fu noleggiata dalla Société Nationale d’Affrètements di Rouen; quindi fu inviata in Mediterraneo. Nel novembre del 1942 fu restituita al suo primo proprietario che la rinominò Oria; dopodiché fu assegnata alla Mittelmeer Reederei di Amburgo (Sotto il comando del Terzo Reich).

*(Il termine governo di Vichy indica il nome con cui è noto il governo francese formatosi durante l'occupazione tedesca nella seconda guerra mondiale).

Il naufragio

Nell'autunno del 1943 , dopo la resa delle truppe italiane in Grecia, i tedeschi dovettero trasferire circa 17.000 prigionieri italiani via mare . Per questi trasporti decisero di usare vecchie carrette del mare che venivano stipate di prigionieri oltre ogni limite, nella violazione delle più ovvie norme di sicurezza della navigazione. Secondo molti sedicenti marinai, per lo più stranieri, questi viaggi dovevano durare pochi giorni essendo il Mediterraneo un specie di lago pacifico al confronto dei più famosi oceani. Sottovalutare i pericoli meteo-marini di certi tratti di mare Mediterraneo é l’errore fatale compiuto dall’uomo di mare fin dagli albori della navigazione e la presenza di migliaia e migliaia di relitti riversi nei nostri fondali sono ancora lì a testimoniare quella bugia che é destinata a sopravvivere in eterno. Nella realtà della Seconda guerra mondiale, molte di queste navi furono silurate da sottomarini Alleati , mitragliate dalle rispettive Aviazioni oppure, come nel caso della ORIA, affondarono alla prima burrasca seria perché viaggiavano con la “marca del bordo libero” affondata di chissà centimetri o metri procurando la morte di migliaia di prigionieri considerati ‘carne da macello’. Questa purtroppo é la verità.

Capo Sounion e sullo sfondo l’Isola di Patroclo

 

L'Oria fu tra le navi scelte per il trasporto dei prigionieri italiani. L'11 febbraio del 1944 partì da Rodi diretta al Pireo con a bordo 4046 prigionieri (43 ufficiali, 118 sottufficiali, 3885 soldati), 90 militari tedeschi e l'equipaggio norvegese, ma l'indomani, colta da una tempesta , affondò presso Capo Sounion . Alcuni rimorchiatori accorsi il giorno seguente, non poterono salvare che 21 italiani, 6 tedeschi ed un greco. Tutti gli altri persero la vita.

 

In questa immagine tratta da Google Earth, si rileva l’esatta posizione del relitto del piroscafo ORIA, inabissatosi sulla sponda orientale dell’Isola di Patroclo, presso lo scoglio della Medina, su fondali variabili da 5 a 30 metri.

 

Tutto tace nelle profondità degli abissi da ben 69 anni, così come i 4200 soldati italiani.

Ricostruzione del naufragio

 

Il piroscafo, con a bordo i nostri soldati che si erano rifiutati di aderire al nazifascismo, salpò dall’isola di Rodi (Grecia) alle ore 17.40, l'11 febbraio 1944. La nave era una vera e propria “carretta” di 87 metri di lunghezza e 24 anni di età. Caricata di soldati, di bidoni d’olio minerale e gomme di camion, era diretta al Pireo, dove i nostri soldati sarebbero stati smistati come forza lavoro verso le industrie belliche germaniche oppure nei lager del Terzo Reich.

 

Purtroppo, nella notte successiva alla partenza, una violenta tempesta investì il piroscafo che iniziò a sbandare e ad imbarcare acqua per mancanza di bordo libero. Dei 4.200 soldati italiani solo 37 riuscirono a salvarsi nell’attesa dei soccorsi che giunsero con due giorni di ritardo a causa delle pessime condizioni meteo. Anche il comandante norvegese Bjarne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina furono salvati insieme a 6 tedeschi, un greco e 5 uomini dell'equipaggio.

 

Su quella vecchia carretta che si spostava in Mediterraneo nella totale mancanza di sicurezza nautica, i militari italiani non erano trattati come prigionieri di guerra, secondo la Convenzione di Ginevra, ma come traditori.

 

Il loro sacrificio fu ignorato per decenni, anche in patria, da tutti i governi che nel frattempo si sono dichiarati “democratici”.... e questa fu l’omissione più grave che può solo sintetizzarsi con la parola: VERGOGNA!!!

 

Eppure gli “addetti ai lavori” conoscevano i fatti, persino nei dettagli. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco , che il 27 ottobre 1946 redasse di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio:

 

“Dopo l’urto della nave contro lo scoglio" - scrive Guarisco - "venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un'ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c'era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l'acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all'asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell'acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto s’inabissasse in fondo al mare.

 

All'indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell'oblò,
ma non ad uscire da quell'anfratto, perché il buco era troppo stretto. Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo.

 

Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima.”

 

Una luce di verità emerge finalmente dagli abissi.

Reperti sul relitto dell’Oria

 

La tragedia dell'Oria fu omessa dalla storiografia ufficiale, fu ignorata dai libri di scuola, ma fu dimenticata persino da quei pochi superstiti che, avendola vissuta fino in fondo, avrebbero dovuto tramandarla ai posteri insieme al ricordo delle vittime ed al recupero delle loro spoglie.

 

Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci con l’intento di recuperare tutto il possibile, soprattutto il ferro. Da quel momento il mare cominciò a restituire i resti di circa 250 naufraghi. Spinti sulla costa dalla corrente, i resti di quei poveri militari italiani furono pietosamente raccolti e poi sepolti in fosse comuni. Successivamente furono traslati verso piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. Mancano all’appello ancora migliaia d’altri nostri connazionali che sono ancora sepolti negli abissi silenziosi di un mare amico, ma straniero.

Quei caduti italiani nell’Egeo, ritrovati attraverso il web

 

Sono trascorsi 69 anni dalla tragedia e i parenti delle giovani vittime hanno istituito delle ‘pagine internet’ per raccogliere le voci dei figli e dei nipoti dei nostri militari che sono ancora “imprigionati” tra le lamiere di quel relitto norvegese. Nelle loro ultime ore di vita, quando l’acqua di mare ormai invadeva lo spazio vitale nelle stive inghiottendo le ultime bolle d’aria esistenti, i nostri ragazzi incisero i loro nomi e la data del naufragio sui bidoni di olio che viaggiavano con loro sull'Oria, a testimonianza che quella sarebbe stata la loro tomba, la fine dei loro sogni.

 

Oggi, i parenti delle vittime sono determinati a riportare alla luce quelle lamiere ormai contorte, tagliate e distrutte dalle mareggiate perché sentono il dovere di dare una degna sepoltura a quei giovani eroi salvandoli almeno dal peggiore dei mali: l’oblio.

 

Riportiamo lo scritto di Giulia Floris che ben sintetizza il “work in progress” di tanti figli e soprattutto nipoti di quei poveri soldati inabissatisi ...

Altri reperti sul rellitto

 

Quasi 70 anni dopo, le loro storie sono ritornate a galla, grazie alle ricerche dei loro discendenti, spesso nipoti che di quei nonni portano i nomi e che, cercando di saperne di più sui loro antenati, si sono ritrovati in Rete, mettendo insieme i frammenti di una storia per tanti versi mai raccontata.

Nasce così un vero e proprio gruppo di ricerca, nel quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze: c’è chi è appassionato di storia e sa cercare negli archivi, chi crea un sito per condividere le informazioni, chi è esperto di immersioni, come anche Ghirardelli. Nel corso di queste ricerche arriva l’incontro sul web con un sub greco, Aristotelis Zervoudis, che racconta di un relitto ritrovato al largo dell’isola di Patroclo (chiamata un tempo 'Gaiduronisi', Isola dei Somarelli). Così, nel settembre 2008, Ghirardelli si mette in viaggio insieme a un altro membro del coordinamento dei parenti anche lui sub esperto, e vede coi suoi occhi le ossa dei militari e le gavette degli italiani ancora nel fondale. Nel corso di diversi viaggi, Ghirardelli incontra anche testimoni ancora in vita, che videro coi loro occhi il naufragio in cui morirono migliaia di italiani e solo poche decine si salvarono.

 

Nel frattempo le ricerche negli archivi della marina di un altro familiare portano a un’altra svolta. La scoperta dell'elenco dei passeggeri del piroscafo Oria, partito da Rodi l’11 febbraio del '44 e naufragato al largo di capo Sunion, proprio nei pressi dell'isola di Patroclo. Nell'elenco figurano i nomi del nonno di Ghirardelli e di altri antenati. Così finalmente Michele ha un luogo e un nome, per quel che è capitato a suo nonno”.

Una vicenda, quella dell'Oria, nota anche alla Storia con la S maiuscola, come conferma il professor Pasquale Iuso, docente di Storia contemporanea dell’Università di Teramo, autore di alcune pubblicazioni sui militari italiani nell’Egeo. "L’episodio è tragicamente vero – spiega - In tutte le isole dell’Egeo c’erano quasi 100mila militari italiani e a tutti venne offerta la possibilità di unirsi alle forze collaborazioniste della RSI e con i tedeschi. Chi si rifiutava di collaborare diventava internato militare.

 

Altri casi di navi cariche di militari italiani, affondate dagli alleati o per cause naturali - continua - sono il Donizetti (i cui caduti furono 1584), il Petrella (2646 morti) e la nave Sinfra, in cui morirono oltre 1850 italiani. Ma quello dell’Oria è stato senz'altro il più grande naufragio di militari italiani".

 

Ma per un’ottantina di persone identificate tra i caduti e tra alcuni di coloro che sopravvissero, restano ancora migliaia di nomi: dispersi per la loro famiglia e dimenticati dalla Storia. La speranza di dare un volto e una storia a ciascun nome della lista passa per una mailing list, un gruppo facebook e un sito web.”

 

Dal sito di BETASOM estrapoliamo l’interessante punto di vista del noto storico Francesco Mattesini:

 

“Sull’affondamento del piroscafo norvegese ORIA, si hanno due versioni, la prima é precisa e attendibile, la seconda nettamente errata.

“1^ versione. La nave era stata internata dai francesi e, dopo l’invasione del sud della Francia nel novembre 1942, era stata catturata a Marsiglia dai tedeschi, che l’avevano presa al loro servizio.

L’ORIA partì alle ore 17.40 dell’11 febbraio 1944 da Rodi, diretto al Pireo, dopo aver imbarcato 4.200 prigionieri di Guerra italiani, 30 guardie e 60 soldati tedeschi. L’indomani, il 12.2., a causa di una tempesta, affondò capovolgendosi. Si salvarono soltanto 49 prigionieri, 6 soldati e 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante (capitano Bearne Rasmussen) e il primo ufficiale di macchina.

 

2^ versione. (assolutamente inesatta)

 

Sarebbe stato affondato dal sommergibile olandese DOLFIJN, che attaccò il piroscafo alle 08.18 del 31 gennaio 1944, colpendolo con 3 siluri. Il Piroscafo affondò a ovest di Stampalia, a 10-20 miglia da Rodi.

 

La prima versione è convalidata dai norvegesi, riportando anche l’elenco dei caduti dell’equipaggio. Quindi l’ORIA affondò a causa del ‘mare grosso’ e non per attacco di sommergibili.

 

Questo ridimensiona l’episodio ma non certamente l’elevato numero di caduti italiani, che fu per noi una vera tragedia.

 

Riferimento: http://www.warsailor...t/norfleeto.htm

 

L'attaco del DOLPIJN é una possibilità, ma non può essere confermata, perché la nave-bersaglio non é stata identificata con certezza. In ogni caso, i 3 siluri non hanno mai colpito il bersaglio”.

 

Il 2 febbraio del 1943 il Dolfijn aveva affondato il sommergibile Malachite, fuori di Capo Spartivento (Cagliari).

 

Interessante é la seguente testimonianza:

 

“Carissimi amici di "Betasom", mi chiamo Guido Ferretti sono nato e vivo a Milano e sono figlio di Carlo Alberto Ferretti del 331 reggimento di fanteria della divisione Brennero aggregato nel 1942 come truppa di occupazione alla divisione Regina a Rodi. Questo eroico reggimento, al comando del Capitano Venturini, fu il primo ad opporre resistenza alle truppe tedesche della Sturmdivision Rhodos equipaggiata con i temibili carri "Tigre", ma dopo tre giorni di combattimenti furono costretti alla resa...per mio padre ebbe cosi inizio la "prigionia" prima nei campi dei Tedeschi ed in seguito nei campi "Inglesi" e fu proprio in questo periodo che ebbe luogo la tragedia "mai ricordata" delle navi Donizetti, Petrella ed Oria.....tragedia per la quale mio padre, oggi 86enne, ed altri reduci di allora stanno cercando di portare alla ribalta della opinione pubblica per ricordare quei martiri, si parla di 17.000 vittime, caduti per la Patria, messi nel dimenticatoio e catalogati con un semplice "dispersi"...Uno fra tutti questi reduci il Sig. Carnevali intimo amico di mio padre ha fatto di questa vicenda una vera "crociata" recandosi decine e decine di volte a Rodi per dare un nome a tutti questi caduti e per rendere a loro tutti gli onori delle armi!!! è riuscito anni or sono, tramite il cappellano militare del 331 regimento Don Giuseppe della Vedova, a mettersi in contatto con il frate di Rodi Don Cesare Andolfi, il quale fu l'unico ad entrare in possesso delle liste dei prigionieri Italiani imbarcati anzi stivati come sardine in queste carrette del mare e lasciati annegare come topi, silurati come nel caso del Donizetti e del Petrella dagli "Inglesi" che erano perfettamente al corrente che erano ‘trasporti’ carichi di inermi prigionieri Italiani!!!! Ora la cosa più disdicevole di questa immane tragedia è che lo Stato Italiano ha sempre voluto dimenticare tutto questo ed è veramente assurdo che la TV di stato Greca lo scorso anno ha invitato il Sig. Carnevali mio padre, ed un altro reduce di Rodi ad una trasmissione televisiva per ricordare tutto questo, e non dimentichiamoci che per i Greci non eravamo come oggi graditi turisti, ma truppe di occupazione, mentre lo Stato Italiano nega persino a questi reduci la possibilità di deporre un monumento pagato da loro nel parco di Bresso, a ricordo di quei figli morti per l’Italia...è una vergogna!!!!

 

Amici di "Betasom" aiutate se potete questi reduci, oggi tutti di 86 anni, perchè il tempo per loro ormai è tiranno, alla fine cercano solo un Comune che gli conceda 10 metri quadrati in un parco per porre il loro monumento ai caduti e sarebbe l'unico monumento in Italia a ricordo dei 17.000 naufraghi....sono lieto a chi lo desidera di inviare gratuitamente una copia del libro scritto da Carnevali (non a scopo di lucro 100 copie stampate e pagate da lui per i reduci ed i conoscenti) che si intitola 17.000+1 dove 17.000 sono le giovani vittime di questa tragedia e l'1 rappresenta il Sig,Carnevali che racconta tutta la verità su questa triste vicenda o se volete una copia del CD dell'intervista fatta a Rodi per la TV nell'agosto 2007.

 

Ringrazio lo staff di Betasom per questa opportunità e porgo a tutti i miei più cordiali saluti.”

 

Guido Ferretti

 

Dal sito DODECANESO: il sito italiano sulla storia antica e moderna delle isole dell’Egeo, riportiamo:

AGGIORNAMENTO DEL GENNAIO 2011

Gli oltre 4.000 militari italiani deceduti ora non sono più anonimi. dopo un oblio durato decenni la tragedia dell'Oria viene finalmente alla luce grazie all'impegno di alcuni subacquei greci coordinati da Aristotelis Zervoudis. Essi compiono numerose immersioni sul sito dell'affondamento documentando l'entità della tragedia, l'impatto emotivo ed umano di quello che vedono è così forte che li spinge a coinvolgere la comunità locale indagando presso gli anziani dell'isola. Riescono così ad identificare il luogo della pietosa sepoltura dei corpi spiggiati dopo l'affondamento e decidono di costurire un monumento sulla spiaggia del naufragio. Tutta la comunità locale partecipa a quest'iniziativa ed il sindaco decide di mettere a disposizione dei fondi. Contemporaneamente alcuni parenti dei militari italiani deceduti nel naufragio, riesce a   rintracciare la lista di tutti i militari imbarcati dopo lunghe e difficili ricerche. Questa lista è uno dei misteri dell'Oria, ritenuta inesistente era in realtà scomparsa nei polverosi archivi italiani, ne vennero trovati indizi negli archivi della Marina mentre alcuni sostenevano che una copia fosse stata custodita presso i francescani di Rodi. Finalmente la sig.ra Barbara Antonini, il cui nonno era scomparso nel naufragio, riuscì a rintracciare la lista presso la Croce Rossa. Grazie alla sua determinazione ed al supporto fornito dal coordinamento  dei parenti, molte famiglie dei dispersi in Egeo (circa 15.000 militari) potranno almeno cercare il nome del proprio congiunto e se lo scopriranno in questa lista sapranno almeno dove poter depositare un fiore. Il sito Dodecaneso divulga pubblica per la prima volta, con l'autorizzazione delle famiglie, la lista completa degli imbarcati sull'Oria, si tratta di un documento di eccezionale importanza storica oltrechè umana.

Si ringrazia sentitamente i dirigenti del sito www.piroscafooria.it per le ricerche storiche effettuate che hanno permesso di arrivare alla conoscenza di fatti importantissimi della nostra storia.

Ufficio Storico della Marina.

 

 

Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.

 

 

Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);

 

 

Per i contatti, vedi il link che segue:

 

http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx

L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.

 

 

Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 27 Aprile 2013


T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE, un eroe ligure

T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE

Un Eroe Ligure

 

 

Nasce a Noli (Savona) il 6 ottobre 1906.

 

Arruolato nella Regia Marina per obbligo di leva ed ammesso, dal 1° gennaio 1928, alla frequenza del Corso Ufficiali di complemento consegue, nel novembre dello stesso anno, la nomina a Guardiamarina. Imbarca prima sull'incrociatore QUARTO e poi su nave appoggio aerei MIRAGLIA e nell'agosto 1933, promosso Sottotenente di Vascello, viene in congedo per fine di ferma.

 

Dopo aver ripreso gli studi, nel 1935 consegue la laurea in Scienze Economiche presso l'Università di Genova e nel settembre dello stesso anno, per esigenze di carattere eccezionale, é richiamato in servizio ed assegnato alla Squadriglia MAS di La Spezia con la quale poi partecipa ad alcune missioni durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna. Nel 1937 consegue la nomina a Tenente di Vascello e nel gennaio dello stesso anno é destinato a Massaua, presso il Comando Superiore in Africa orientale.

 

Il 24 aprile 1940 ottiene il comando della torpediniera CALATAFIMI con sede a La Spezia. Il 14 giugno dello stesso anno contrasta efficacemente con quel mezzo una forte formazione navale francese diretta a colpire importanti obiettivi militari ed industriali nel Golfo Ligure.

 

Insignito della massima decorazione militare per l'audace azione, mantiene il comando del CALATAFIMI fino all'8 settembre 1943 quando, rifiutando ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I., viene internato in Germania. Rimpatriato nel settembre 1945 e conseguita la promozione a Capitano di Corvetta con anzianità 1.1.1944, nel febbraio 1947, a domanda, viene collocato in ausiliaria, passando poi nella riserva nel 1955, nel grado di Capitano di Fregata.

 

Muore a Genova il 30 luglio 1992.

 

Il giorno 6 ottobre 2006 é stato celebrato a Noli (pochi km da Savona) il centenario della nascita del C.te Giuseppe Brignole.

 

 

La torpediniera CALATAFIMI rientra in porto dopo l’azione contro la Squadra francese.

Al comando del cacciatorpediniere Calatafimi il 14 giugno 1940 riesce con ardita manovra a far ripiegare le navi francesi che avevano l'obiettivo di bombardare le installazioni industriali della zona Savona-Vado e Genova. Per tale azione viene insignito della M.O.V.M. (la prima concessa dopo l'inizio del conflitto mondiale) con la seguente motivazione:

 

"Comandante di torpediniera di scorta ad un posamine, avvistata una formazione di numerosi incrociatori e siluranti nemici che dirigevano per azioni di bombardamento di importanti centri costieri, ordinava al posamine di prendere il ridosso della costa ed attaccava l'avversario affrontando decisamente la palese impari lotta. Fatto segno ad intensa reazione, manovrava con serenità e perizia attaccando fino a breve distanza con il siluro e con il cannone, le unità nemiche. La sua azione decisa e i danni subiti dalle forze navali avversarie costringevano questa a ritirarsi.

"Esempio di sereno ardimento, di sprezzo del pericolo, di consapevole spirito di assoluta dedizione alla Patria"

(Mar Ligure, 14 giugno 1940)

 

(R.D.19 luglio 1940)

 

Altre Decorazioni e Riconoscimenti per merito di guerra:

 

Motivazione M.B.V.M.-

 

(1° concessione) "sul campo"

 

"Comandante di torpediniera, di scorta ad una pirocisterna, colpita con due siluri e incendiata da aerosiluranti nemici, impartiva rapidamente efficaci disposizioni al fine di arrecare soccorso ai naufraghi dell'unità sinistrata. Nonostante l'opera di salvataggio fosse resa estremamente difficile a causa della benzina in fiamme, riversatasi nella zona di mare circostante, riusciva in breve tempo a trarre in salvo tutti i naufraghi, dimostrando serena noncuranza del pericolo ed elevato spirito di abnegazione".

(Mediterraneo Orientale, notte sul 26 ottobre 1942)

 

(Determinazione del 22 marzo 1943)

 

(R.D.10 maggio 1943)

 

Motivazione M.B.V.M.-

 

(2° concessione) "sul campo"

 

"Comandante di torpediniera, ha compiuto numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque insidiate dal nemico. Animato da elevato sentimento del dovere, ha dimostrato in ogni circostanza sereno coraggio, capacità professionali ed elevato spirito combattivo ".

(Mediterraneo, 22 giugno 1942 - 8 settembre 1943)

 

(Determinazione del 20 marzo 1946)

 

(D.L.12 aprile 1946).

 

Da "Le Medaglie di Bronzo al V.M." - U.S.M.M.

 


Torpediniera CALATAFIMI

 

Il Bollettino di Guerra qui riportato riguarda un’azione della nostra Marina Militare ed é riportato con la sua sequenza numerica e con la loro data di diramazione.

 

Il Quartier Generale delle Forze Armate comunica :

 

4)-15 giugno 1940-XVIII

 

..........All'alba del giorno 13, unità della nostra marina si scontravano con una

 

formazione navale nemica composta di incrociatori e siluranti. Ne è seguito un

 

combattimento durante il quale sono entrate in azione anche le difese costiere

della R.Marina. La torpediniera CALATAFIMI ha colpito con siluri due grosse cacciatorpediniere, una delle quali è affondata. Località della Riviera Ligure sono state colpite dal tiro delle navi nemiche: si contano alcuni morti e feriti tra la popolazione civile.

 

 

Incrociatore francese ALGERIE

Incrociatore francese FOSCH

L’AZIONE  -  Descritta dal com.te Torricelli

"Alle ore 20 del 13 giugno la Calatafimi esce dalla rada della Spezia scortando il posamine Gasperi. Destinazione: posa campi di mine nelle acque antistanti la costa fra Genova e Savona. Nel frattempo le navi francesi navigano compatte per qualche ora, per separarsi poi in due sezioni: il "gruppo Vado", composto dagli incrociatori AlgerieFosch, con i caccia Vauban, Lion, Aigle, Tartu, Chevalier Paul e Cassard che dirige per Vado Ligure, ed il "gruppo Genova" composto dagli incrociatori Dupleix e Colbert ed i caccia Vautour ed Albatros, che fa rotta su Genova,  con i caccia Guepard , Valmy e Verdun in avanscoperta versi sud-est.

 

Alle 4,10 una vedetta del Calatafimi individua con il binocolo alcune unità nemiche. Brignole le riconosce immediatamente come caccia francesi. Ordina con il megafono al Gasperi di riparare alla massima velocità possibile verso Genova, rimanendo sotto costa. La nave inverte la rotta e si butta sottocosta dove la foschia lo protegge da un avvistamento che potrebbe risultargli fatale.

 

Sulla Calatafimi viene battuto il posto di combattimento, le macchine vengono spinte a tutta forza e viene assunta la rotta convergente sulle navi francesi. Nonostante non si abbia conoscenza della consistenza delle forze nemiche, il C.te Brignole muove risolutamente contro di esse. Poco dopo vengono individuate altre cinque navi: due sembrano incrociatori, gli altri caccia (si trattava del "Gruppo Genova"). Non importa. La manovra di attacco viene proseguita. La formazione francese è composta dai due incrociatori al centro e dai caccia ai lati, in funzione di scorta e protezione. Una volta comunicato via radio a Supermarina l'avvistamento, tutto a bordo viene preparato al combattimento: i cannoni sono in punteria, i tubi di lancio brandeggiati verso le navi nemiche”.

 

Dal Giornale di Chiesuola n. 234 della Calatafimi si riporta:

 

“Date le condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli a noi, io speravo di non essere scorto dal nemico e poter lanciare i siluri alla distanza minima con maggiori possibilità di colpire.

Questa manovra, oltre alla forte foschia ed alla sottile pioggia, era favorita anche dalla mia posizione, sperando che la mia ombra si confondesse con quella della costa.

 

Quindi potevo tentare di avvicinarmi il più possibile. Ho pensato anche di desistere dall'attacco alle unità sottili per rivolgerlo agli incrociatori che sempre più si profilavano e davano la prospettiva di maggior bottino. Però, per non essere visto, avrei dovuto agire con le sole macchine senza variare eccessivamente la mia rotta. Questa manovra non mi dava eccessivo affidamento. Ho continuato l'attacco sulle prime unità. Intanto preparavo i dati da trasmettere ai tubi di lancio con l'aiuto dell'Ufficiale di Rotta. Nessuno di noi pensava di tornare incolume da una siffatta impari lotta. Ma sono sicuro che in ogni cuore, come nel mio, c'è solo un proposito: difendere i paesi della costa. La nostra vita sarà perduta, ma sarà pagata a caro prezzo.”

 

 

Poco dopo le navi francesi modificano la loro formazione: "linea di rilevamento" passano in formazione "linea di fila" in modo da poter utilizzare tutte le artiglierie di maggior calibro.

 

Il "gruppo Vado" inizia la sua azione di fuoco contro gli obiettivi stabiliti, controbattuti dalle batterie costiere di Savona ed Albisola. Anche le batterie di Genova sono allertate. Interviene inoltre la 13a Squadriglia MAS di base a Savona che con una azione portata in fondo in modo deciso, lancia numerosi siluri che, pur non andando a segno, costringono le navi francesi, che già avevano bersagliati con successo alcuni obiettivi a vado e Savona, ad una precipitosa accostata infuori, interrompendo l'azione.

 

In mare i rapporti di forza sono drammatici: uno contro nove. Alla distanza di 6 - 7.000 metri il "gruppo Genova" apre il fuoco contro gli obiettivi assegnatigli. Anche i pezzi della Calatafimi entrano in azione, ma sulle prime, Brignole si rende conto che i francesci non hanno ancora avvistato la piccola Torpediniera. Passano pochi secondi e intorno all'Unità scoppia il finimondo. Le salve francesi cadono nutrite e centrate intorno alla Nave che prosegue, pur con continui zig-zag, nella sua rotta convergente sul nemico. Ad una distanza inferiore ai tremila metri, Brignole dà l'ordine di lanciare la prima coppiola di siluri, mentre il pezzo di prora continua a fare fuoco. Le continue accostate della Torpediniera fanno si che il tiro sia poco preciso. La distanza continua a diminuire e Brignole ordina, dopo un'accostata più pronunciata, il "fuori" di altri due siluri. Passa poco tempo ed un proietto della batteria Mameli di Genova colpisce il caccia Albatros. A bordo della Calatafimi l'equipaggio non può sapere cosa sia realmente accaduto, chi abbia colpito la nave, ma la gioia esplode irrefrenabile, punteggiate da urla di "Viva l'Italia, viva il Re!". Brignole, megafono in mano, riporta l'equipaggio alla calma: l'azione non può essere interrotta e deve essere proseguita senza distrazioni, rischiando altrimenti la perdita della nave. Sconcertati dalla reazione violentissima ed ignorando la consistenza dell'avversario che si trova di fronte, nel timore di essere attirato in una trappola il "gruppo Genova" inverte la rotta e si allontana rapidamente. A questo punto la Calatafimi si trasforma addirittura in inseguitrice. Brignole ordina di brandeggiare i tubi di lancio verso gli incrociatori. La distanza e velocità in gioco danno poche speranze, ma l'ordine del "fuori" viene impartito ugualmente. Un siluro, a seguito di  un'accostata troppo rapida, va fuori punteria, mentre il secondo non fuoriesce regolarmente e rimane appeso, mezzo fuori e mezzo dentro il tubo, per un difetto del sistema di lancio. A questo punto l'equipaggio, pieno di entusiasmo, vorrebbe proseguire l'inseguimento, ma il C.te Brignole sa che lo scontro è giunto al termine e che è inutile rischiare ulteriormente, anche perchè la sua Nave non ha subito danni e apparentemente nessuna salva nemica ha raggiunto Genova ed il porto. La Calatafimi inverte la rotta, ma, mentre dirige su Genova, il suo pezzo poppiero continua imperterrito, per qualche tempo, a far fuoco sulle navi francesi in allontanamento. Quando queste ormai sono troppo lontane, la Calatafimi, esaurita la scorta di siluri, con la Bandiera di Combattimento a riva con il gran pavese, dirige verso il porto di Genova."

In questo foto sono visibili i tubi lanciasiluri ed il pezzo prodiero del CALATAFIMI mentre manovra per andare all’ormeggio

L'8 settembre 1943, come abbiamo già annotato all’inizio di questa rievocazione, Giuseppe Brignole rifiuta ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I e viene internato in Germania.  Durante questa “pesante” parentesi della sua vita, a detta di molti, G. Brignole compie il “vero capolavoro”, quando viene nominato “fiduciario” per i rapporti con i tedeschi nei campi di prigionia in Germania. Già a Leopoli nasce il “mito” di questo Ufficiale della Regia Marina: la sua tempra ed il suo carattere gli permettono di affrontare con grande dignità  e fermezza i tedeschi ed allo stesso tempo di essere punto di riferimento per i commilitoni. A Deblin i tedeschi sanno che Brignole è “amato” dagli Ufficiali Italiani, sia per il modo di affrontare i problemi sia per l'esempio limpido di come ci si dovesse comportare da prigionieri: dignità, rispetto della disciplina e del regolamento. Molti Ufficiali tedeschi, quando Brignole entra nel loro ufficio, scattano in piedi e salutano militarmente. Il periodo nei campi in Germania é il più duro, soprattutto quello dell'inverno ‘44-‘45. Anche l'atteggiamento dei tedeschi peggiora, la sopravvivenza all'interno dei campi é difficilissima e molti Ufficiali periscono. Ma, come sempre, G. Brignole riesce ad essere esempio di forza ed allo stesso tempo di correttezza. La situazione sembra precipitare con l'avvicinarsi degli Alleati, ma alle 18 del 16 aprile 1945, finalmente, arriva la liberazione sotto forma di due carri inglesi che abbattono i cavalli di frisia e le recinzioni del campo. Questo passa sotto la responsabilità  del capitano francese Pichegrou. La tempra del C.te Brignole ha modo di manifestarsi anche a guerra finita. Il 18 aprile, quando in tutti i lager del campo si svolge l'alzabandiera, l'ufficiale transalpino fa diffondere un messaggio: “In conformità  agli ordini impartiti si ricorda che la Bandiera Italiana non deve sventolare sul campo”. Gli Ufficiali italiani s'indignano, Brignole si altera ed il foglio d'ordini viene stracciato da un colonnello americano anch'egli ex prigioniero.

 

 

Militari italiani internati a Fallingbostel il giorno dopo la liberazione.

Inverno 1945 a Fallingbostel. Scrive Vialli: “Numerose famiglie di lavoratori ucraini alloggiano accanto a noi in misere baracche.

 

E così, sul pennone del campo di Fallingbostel sventola il tricolore, l'unico esistente nel campo, la Bandiera di Combattimento della Calatafimi che Brignole era sempre riuscito a sottrarre alle ispezioni dei tedeschi.

 

Se oggi siamo liberi, lo dobbiamo anche a questi uomini che hanno combattuto per salvare i valori della nostra civiltà illuminando il significato della parola democrazia che oggi  sta salvando l’Europa da altri conflitti.

 

ONORI AL COMANDANTE BRIGNOLE ED ALLA CALATAFIMI

Descrizione generale

 

 

 

 

Tipo

cacciatorpediniere (1924-1938)

torpediniera (1938-1943)

Classe

Curtatone

Proprietario/a

Regia Marina (1924-1943)

Kriegsmarine (1943-1944)

Identificazione

CM

Costruttori

Fratelli Orlando, Livorno

Impostata

1º dicembre 1920

Varata

17 marzo 1923

Entrata in servizio

29 maggio 1924

Destino finale

catturato il 9 settembre 1943, incorporato nella Kriegsmarine come TA 19 Achilles, affondato dal sommergibile RHN Pipinos il 9 agosto 1944

Caratteristiche generali

Dislocamento

standard 953 o 966-967 t

normale 1170 t

a pieno carico 1214 t

Lunghezza

tra le perpendicolari 84,90-84,94 m

fuori tutto 84,6-84,9 m

Larghezza

8,02 m

Pescaggio

in carico normale 2, 90 (o 2,6, o 2,46) m

a pieno carico 3,00 (o 3,1) m

Propulsione

4 caldaie Thornycroft

2 turbine a vapore Zoelly

potenza 22.000-27.500 HP

2 eliche

Velocità

32 (o 34) nodi

Autonomia

1395 miglia a 10 nodi

1800 miglia a 15 nodi

390 miglia a 28 nodi

Equipaggio

117 tra ufficiali, sottufficiali e marinai

Altra fonte: 6 ufficiali, 102 tra sottufficiali e marinai

poi 134 tra ufficiali, sottufficiali e marinai

Equipaggiamento

Sensori di bordo

radar FuMo 28 (dal 1943)

Armamento

Artiglieria

Alla costruzione:

• 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 2 pezzi da 76/30 (o 76/40) mm Armstrong 1914

Dal 1940:

• 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939

• 2 mitragliere da 8/80 mm

Dal 1943:

• 2 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919

• 1 pezzo da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1917

• 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939

• 4 mitragliere da 20/65 mm Breda 1935

• 2 mitragliere da 8/80 mm

Dal 1944:

• 2 pezzi da 102/45 mm

• 1 mitragliera da 37/83 mm SK C/30

• 5 mitragliere da 20/65 mm Breda Mod. 1939

Siluri

Alla costruzione:

• 6 tubi lanciasiluri da 450 mm

Dal 1943:

• 2 tubi lanciasiluri da 533 mm

Altro

• attrezzature per il trasporto e la posa di 16 (o tra le 10 e le 40) mine

• 2 scaricabombe di profondità (dal 1940)

Note

Motto

Con una nuova fede e con lo stesso ardire

Carlo GATTI

Rapallo, 21.3.2013



ITALNAVI Società di Navigazione - Genova

ITALNAVI

Società di Navigazione – GENOVA

Un po’ di Storia:

Desideriamo iniziare questa panoramica storica con l'Introduzione del Comandante PRO SCHIAFFINO ex Italnavi, che cita le prime cinque navi della Società Commerciale di Navigazione da cui trasse origine la ITALNAVI.

La Società Commerciale di Navigazione, con sede a Genova in Vico Giannini 2, fu costituita dalla FIAT nel 1924 con lo scopo di divulgare i Motori Marini Fiat costruiti a Torino dall’Ing. Chiesa.

 

La S.C.N acquistò sul mercato cinque navi con motrici a vapore che vennero sostituiti dal “motore marino”.

 

Dopo la guerra  cambiò il nome in ITALNAVI e chiamò le sue navi con nomi composti con il prefisso  “ITAL”, oppure con nomi di paesi montani piemontesi.

 

I Comandanti  e i Direttori di macchina provenivano da tutte le parti d’Italia ed erano stati scelti in modo particolare.

 

Quando la SESTRIERE andò in America, con il comandante Pastorino e gli equipaggi dei 50 liberty Americani acquistati dall’Italia, il Com.te camoglino Giuseppe Ferrari, purtroppo mancato l’anno scorso, imbarcò poi sui Liberty della Flotta Lauro diventandone in seguito il Capitano d’Armamento.

 

Le navi della “Commerciale” erano quindi tutte motonavi:

GHISONE, 1922-Bagnoli, 6.168 t.s.l.   - Affondata a Tolone il 29.4.1944.

Ricuperata dopo la guerra, fu rinominata ITALVALLE dall’ITALNAVI.

JUVENTUS, 1920-Taranto, 4.920 t.s.l.  - Affondata a Kuriat il 16.1.1941.

PELLICE, 1920-S.Ponente, 5.350 t.s.l.-catturata a Newcastle il 10.6.1940, affondata il 12.1940.

RIV,   1921- N.Castle,  6.630 t.s.l. Affondata nei pressi di Tripoli il 31.8.1941

VILLARPEROSA, 1921-Piombino 6.255 t.s.l. catturata a Willington nel 1941. Affondata il 4.1944 .

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Un approfondito studio della FLOTTA: SOCIETA' COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE ci é nel frattempo pervenuta dal Comandante Celeste Spinelli di Trieste che ringraziamo.

 

FLEET LIST: SOCIETA’ COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE - GENOVA

1

1921

Turbonave

VALDIERI

Lloyd Sabaudo - Genova

5304 tsl

Carico generale

2.1924

 

VALDIERI

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

2.1928

Motonave

JUVENTUS

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

16.2.1941 Silurata da aerei inglesi mentre era in viaggio da Napoli a Sfax. Fatta incagliare e abbandonata a 3 mg NE di Kuriat. Silurata nuovamente da un somm. britannico.

 

2

1921

Turbonave

PIOMBINO PRIMO

Ordine: Ilva S.A. – Genova

6224 tsl

Carico generale

1921

 

PIOMBINO I

Lloyd Mediterraneo – Roma

 

 

1923

 

VALSUGANA

 

 

9.1924

 

VALSUGANA

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

1926

Motonave

VILLARPEROSA

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

1941

 

COLIN

U.S.Maritime Commission

 

 

26.4.1944 Affondata dal somm. U 859 in posizione 54°16’N 31°58’W

 

3

1920

Turbonave

PIOMBINO SECONDO

Lloyd Mediterraneo – Roma

6604 tsl

Portarinfuse

1923

 

VALSESIA

 

 

9.1924

 

VALSESIA

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

25.8.1926 Naufragata a Treharne Point.

4

1923

Turbonave

BAGNOLI

Ilva S.A. - Genova

6283 tsl

Carico generale

1923

 

VALTELLINA

Lloyd Mediterraneo – Roma

 

 

1.1926

 

VALTELLINA

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

1927

Motonave

CHISONE

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

29.4.1944 Affondata a Tolone da bombardamento aereo. 1947 ricuperata.

1948

 

ITALVALLE

Italnavi - Genova

 

 

1952

 

CESARE BATTISTI

Navigazione Libera Giuliana SpA - Venezia

 

 

1962 demolita a Vado Ligure

5

1921

Turbonave

ANSALDO VIII

Società Nazionale di Navigazione-Genova

5380 tsl

Carico generale

1924

 

ANSALDO OTTAVO

Società Nazionale di Navigazione-Genova

 

 

1928

 

PELLICE

Tito Campanella - Genova

 

 

10.1928

Motonave

PELLICE

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

1940

 

EMPIRE STATESMAN

Ministry of Transport - London

 

 

11.12.1940 Silurata ed affondata dal somm. U 94 in navigazione da Pepel per Middlesbrough

6

1921

Piroscafo

MONTGOMERYSHIRE

Royal Mail Steam Packet Co. London

6630 tsl

Carico generale

1931

Motonave

RIV

Società Commerciale di Navigazione, Genova

 

 

30.8.1941 Affondata a Tripoli da bombardamento aereo. Recuperata e demolita dagli inglesi.

7

1942

Motonave

SESTRIERE

Società Commerciale di Navigazione - Venezia

7992

Carico generale

1947

 

 

Italnavi - Genova

 

 

196..

 

 

Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova

 

 

1969

 

 

Costa Armatori SpA - Genova

 

 

25.10.1969 Incendiata a Santos. 16.4.1970 Demolita a Vado Ligure.

8

1948

Motonave

SISES

Italnavi . Genova

9177

Trasporto emigranti

1955

 

 

 

 

Carico Generale

196..

 

 

Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova

 

 

1969

 

 

Costa Armatori SpA - Genova

 

 

1980 Demolita alla Spezia.

L’ITALNAVI traeva, quindi, le sue origini dalla Società Commerciale di Navigazione, costituita a Genova nel 1924 per il traffico merci, e aveva mutato la sua ragione sociale nell’attuale il 30 aprile 1947, quando si decise di estendere l’attività al traffico d’emigrazione. Ma già in precedenza la motonave SESTRIERE di 8652 t.s.l. – 5274 t.s.n., varata a Taranto nel 1942, era stata trasformata per il trasporto di 737 emigranti in cameroni ed aveva effettuato un primo lungo viaggio l’8 novembre 1946 per Philadelphia con gli equipaggi di alcune navi tipo “Liberty” cedute all’Italia dalla United States Marittime Commission,* rientrando a Napoli il 14 maggio 1947 via canale di Panama, Shanghai (dove aveva imbarcato 300 marinai del Battaglione “S.Marco”), Ta-Ku, Yokohama, Batavia, Colombo, Marmagoa e Massaua. La SESTRIERE partì quindi con i colori ITALNAVI da Genova il 5 agosto 1947 per il Brasile e il Plata restandovi adibita fino al 1955 allorché fu disarmata, riadattata per il solo servizio merci dal dicembre 1955 con il nuovo tonnellaggio di 6259 t.s.l. – 3636 t.s.n. Anche la motonave SISES di 9176 t.s.l. – 5448 t.s.n. varata a Taranto il 12 settembre 1948 e consegnata il 15 dicembre dello stesso anno, fu subito adibita al trasporto di 56 passeggeri in cabine e 510 emigranti in cameroni, effettuando la prima partenza da Genova il 29 dicembre 1948 per il Brasile e il Plata. Nel luglio-novembre 1955 venne trasformata per il solo trasporto merci, con 6422 t.s.l. – 3869 t.s.n. Entrambe le unità cessarono questa attività nel 1969 quando furono vendute al Gruppo COSTA.

In campo puramente commerciale, l’ITALNAVI mantenne le sue linee per l’America Meridionale con la motonave ALPE (ex Mario Roselli, costruzione bellica di 6893 t.s.l. – 4060 t.s.n. – affondata a Corfù e ripristinata a Monfalcone nel 1952) e con le “Liberty” ITALMARE, ITALCIELO, ITALSOLE, ITALVEGA e ITALTERRA. Queste “Liberty” furono i primi in Italia ad installare un apparato motore a ciclo diesel; la ITALTERRA fu inoltre la prima nave ad essere trasformata in trasporto autovetture destinate all’esportazione sul mercato americano, anticipando un tipo di nave che si sarebbe sviluppato solo in anni successivi.

Dopo la conversione in unità da carico delle motonavi SISES e SESTRIERE e la vendita delle “Liberty”, nel 1966 l’ITALNAVI rilevò dalla SICILNAVIGLIO S.p.A. la motonave VILLARPEROSA e dalla SIDARMA, in difficoltà finanziarie, le motonavi ENRICO DANDOLO e LORENZO MOCENIGO, ribattezzate CESANA e CERVINIA; l’anno seguente però la stessa ITALNAVI venne liquidata e incorporata nella Compagnia Marittima CARLO CAMELI, che dal 1969 vendette tutta la flotta al Gruppo COSTA.

Nota *: A questo avvenimento storico Mare Nostrum ha dedicato una pubblicazione: “LIBERTY: LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE” che potete trovare nel presente sito di Mare Nostrum, nella sezione Storia Navale.

Stemma Sociale dell’ITALNAVI


I colori sociali della Ciminiera

 

Un ulteriore approfondimento storico:

Dal sito Navi e Armatori:

 

classekilo-23/04/2012:

Il senatore Giovanni Agnelli, presidente della Fiat, nel 1924 fondò la “Commerciale di Navigazione” con sede amministrativa a Torino e Operativa a Genova. Lo scopo, oltre quello commerciale, era di sponsorizzare il motore Diesel navale, poi ci fu la guerra.... Il 30 aprile 1947 la “Commerciale di Navigazione” cambiò la ragione sociale e divenne “ITALNAVI-SOCIETA' DI NAVIGAZIONE”. Nello stesso anno, 1947, comprò 4 Liberty, rinominati ITALCIELO - ex Walter Wyman del 1944, ITALMARE - ex Henry V. Alvarado del 1943, ITALSOLE - ex Fort La Traie del 1942, ITALTERRA - ex Nelson Dingley del 1943, poi chiaramente tutti rimotorizzati FIAT. L'ITALVEGA ex Fort Udson's Hope del 1942 fu acquistato nei primi anni ‘50. L'ITALICO ex Howard Gray fu concesso (o aquistato dal Governo) alla “Società Italia di Navigazione” con altri 7 Liberty, poi rinominati: Etna, Pegaso, Stromboli, Tritone, Vesuvio, Nereide, Atlanta II. Credo di non sbagliare dicendo che facevano parte dei 50 Liberty concessi al Governo italiano, durante la famosa "SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE", guardacaso eseguita con il la m/n Sestriere al comando del capitano Giacinto Arimondi, della COMMERCIALE di NAVIGAZIONE partita l'8 novembre 1946.

M/n SESTRIERE in navigazione (foto di repertorio)

M/n SESTRIERE entra in porto (foto di repertorio)

 

 

 

DATI NAVE:

 


Cargo – Costruita nel 1942 - Tosi, Taranto – 7.992 tons.-DW 9.700 T.

Lft 145.1 mt., Lpp 135.0 mt., Larg. ft 18.6 mt., 14.0 nodi - Nel 1946
trasporto’ in USA gli equipaggi per le navi Liberty che erano state
assegnate ad armatori italiani. Comandanti e direttori di macchina
furono straferiti in USA con la Mn.SESTRIERE.
04.1970: demolita a Vado Ligure.


M/n PORTOVADO a Venezia (Foto di repertorio)


 

M/N PORTOVADO  in entrata a Savona

DATI NAVE:

Costruita nel 1960 dal Cantiere Breda, Marghera, per Italnavi SpA, con il nome PORTO VADO – 11.203 tons. DWTnos 16.250, Lft=166,50 mt. Lpp 154,70 mt, Vel.15,5 nodi. Nel 1968: SAN MARTIN - 1970: SAINT ETIENNE – 1979: GUNGNIR III – 1980: SAN MARCO –

Fu demolita a Padani Beacj da Paramount Steel Industries.

TESTIMONIANZA del  Com.te. Nunzio CATENA

“Nel Settembre 1962, entrai a far parte della "famiglia" ITALNAVI, proprio su questa nave in qualità di Allievo di Coperta.

Tutte le precise caratteristiche tecniche, le aggiungerà, gentilmente, successivamente chi ne sarà in possesso.

Nave nuova (bulk carrier, autostivante, casse alte per zavorra), 2 Allievi di coperta, cabina singola...il non plus ultra!!

Io posso limitarmi a descrivere l'utilizzo della Nave nel periodo in cui restai a bordo. Il primo viaggio, andammo a Norfolk per carbone (ricordo bene quel viaggio, perché ci fu la crisi di Cuba - i Russi stavano trasportando dei missili a Cuba- e aerei americani ci sorvolavano notte e giorno!!) Viaggio di ritorno per Vado Ligure, dove inaugurammo il nostro omonimo pontile, dotato di un modernissimo nastro trasportatore, alla presenza dei massimi vertici Fiat ed altre autorita'. Poi, intervallato da qualche carico di carbone, viaggi da Taranto di tubi (15\20)mt. di lung. e 91 cm. diamtr. Per costruzione gasodotto SNAM, da Patagonia a B.Aires! I tubi vevivano caricati in stiva e moltissini in coperta opportunamente rizzati. Quindi: porto Deseado, porto Madrin, Bahia blanca.... e poi a caricare mais lungo il Rio della Plata, Rosario, Villa Costitution, B.Aires per completare il carico.

Allora c'erano tempi lunghi di attesa sopratutto a Genova,(fino a30 giorni!!!!). Parliamo dell'Equipaggio, con alcuni

Sono ancora in contatto il Com.te Pegazzano, (quasi eta' della pensione..) restavo affascinato dai racconti della sua carriera! 1° Uff.le Gandolfo, 2°Uff. Nardini Aldo (con il quale facevo la guardia) al quale devo molto per il suo

insegnamento, da quello professionale a quello umano. (ha concluso la carriera con Costa, al comando delle navi piu' grandi!). 3°Uff.Ferrero Cesare, l'altro All.vo Benvevuto Francesco, amici fraterni.

Dopo piu' di un anno, mentre eravamo in attesa agli "Oli Minerali", vidi entrare una vecchia nave con lo stesso nostro fumaiolo.. Chiesi informazioni e mi risposero "quelli sono i dannati del Pacifico..!!!" dopo ormeggiata, andai a vederla....caso volle, incontrai un mio ex mio compagno di scuola, anche lui imbarcato da All.vo il quale, imprecando mi disse che sarebbe sbarcato il giorno dopo. Senza esitazione, gli proposi di fare cambio (Armatore permettendo). La mattina successiva, andai in via Fiasella, e feci la proposta al Com. Armam. Por Schiaffino che aveva avuto modo di conoscermi e gli dissi esattamente: "Comandante, io del Portovado, conosco anche quanti chiodi ha, se possibile vorrei andare sull'Italvega.."Ricordo il suo sguardo, abbozzo' un sorriso ed acconsenti'.

La mattina successiva imbarcavo sull'Italvega... Sono contento di aver fatto quella scelta oltre che dal punto di vista professionale, perche' forse e' stato l’ultimo periodo della navigazione con un po' di avventura, e l'intervento dell'uomo era ancora determinante!! Chiedo scusa per quello che ho scritto ma e' come se lo stessi scrivendo per i miei nipoti che vivono lontano...!!?”


M/n ITALVEGA (ex Liberty canadese) a Venezia (Foto di repertorio)

 

TESTIMONIANZA del Comandante Nunzio CATENA

 

ITALVEGA

“Vorrei scrivere questa testimonianza, soprattutto per i più giovani

I “Liberty” - Italvega, Italsole, italcielo, Italmare, Italterra -  erano della Compagnia Italnavi (FIAT), trasformate  nelle stive con la costruzione di tanti corridoi di altezza poco più di 2mt, per il trasporto di macchine Fiat (1100, 600, 500 ed infine ricordo qualche 1500 spyder decappottabile, bellissime!). Le navi, inizialmente con macchine alternative a vapore, furono trasformate in motonavi con nuovi motori, anch'essi FIAT, costruiti appunto dalla FIAT Grandi Motori e noi facevamo anche da "cavie" con questi motori, tant'é che spesso portavamo dei Tecnici FIAT per ulteriori rilievi! Anche noi eravamo forse considerati parte della "famiglia" FIAT, perché gli Ufficiali, avevamo lo sconto del 10% sull'acquisto di una macchina  FIAT !

Come ho potuto constatare dopo anni,  eravamo davvero una famiglia...con il massimo rispetto reciproco, ma legati da un senso di sincera amicizia (forse perché gli imbarchi non erano di pochi mesi come ora, ma per tempi molto più lunghi!)  Le macchine imbarcate erano circa 1200, ma per il 1° ufficiale, caricarne una in più, magari nella sua cabina, dell'altra gemella, costituiva un merito non indifferente!

Per questo motivo, le auto venivano stivate a qualche cm. l'una dall'altra, rizzate con 4 tornichetti agli assi e cunei alle 4 ruote. Periodicamante, prima e dopo tempi cattivi, bisognava controllare il rizzaggio, mentre  la tenuta dei "controllori" era la seguente: senza scarpe, (eventuali calzettoni di lana), senza cinghia ai pantaloni (a causa della fibia metallica), senza bottoni per evitare che le macchine all'arrivo risultassero minimamente rigate!  Permettete che dopo tutto quello che é stato fatto, con tanti sacrifici per la  FIAT, anche da noi poveri Naviganti, il fatto che qualcuno arrivi e porti via la FIAT, faccia girare le eliche anche senza motore?

Torniamo alle Liberty - L'ITALNAVI, con le 5  Liberty, oltre che trasportare le auto negli USA, gestiva una regolare linea di trasporto di merce varia, dai porti del Mediterraneo verso tutti i porti della costa del Pacifico, da Long Beach  a Vancouver. Ora che sono in una particolare situazione...., riguardando su Google Hearth quei porti che vi elenco dal capolinea Nord: Vancouver, Crofton, Everet, Seattle, (navigazione simile a quella nei fiordi norvegesi), poi si riusciva nel Pacifico, diretti a Portland-Oregon (qualche centinaio di miglia lungo il Columbia River, all'uscita del quale, racconterò qualche episodio!), Eureka, Coos Bay, S.Francisco e Long beach (andata 1^ e 2^ porti, e ritorno), Ensenada, poi Golfo di California, Guaymas (Messico) e Champerico (Guatemala). Poi  Canale di Panama e finalmente Atlantico in direzione Mediterraneo, se non con qualche  scalo imprevisto su qualche Isola per lo sbarco di qualche malato! Finalmente il Mediterraneo: Alicante, Malaga, Barcellona, Isolele Baleari, Marsiglia, GENOVA, da dove si ripartiva per Livorno, Napoli, Venezia, Pireo, poi di nuovo GENOVA (caricazione auto) e si ricominciava il giro. (Forse ora risulterà più chiara la complessità dei piani di carico di queste navi, come ho cercato di descrivere nel commento dell'Italterra! E tutto quello che era il da fare a bordo per ognuno... Io da All.vo ne rimasi affascinato, e preso il ‘Patentino’ fui contento di andare sull'Italterra da 3° Ufficiale, dove era tutto uguale, (solo le navi erano di tipo diverso: Italvega tipo Canadese e Italterra tipo Americano!).

Come dicevo innanzi, rivedere quei posti, all'altro capo del mondo e ripensare com’erano  quelle navi, fatte per compiere un solo viaggio, mentre noi le stavamo ancora navigando dopo 25 anni! Le prime navi saldate (i saldatori erano donne e uomini abilitati con un corso di 10 giorni!). Molti Liberty, specialmente all’inizio della produzione, si sono infatti spezzate, altre sono affondate per tempi cattivi in Atlantico! Anche noi avevamo imparato qualcosa dal mestiere di muratore, a forza di impastare cemento per fare le famose "cassette" che avevano il compito di tamponare le infiltrazione d'acqua! Eppure tempi cattivi ne abbiamo anche presi! Non parliamo degli “Ausilii alla navigazione”. Oggi le navi potrebbero navigare da un posto all'altro della terra, senza equipaggio, al limite, potrebbero essere comandate da una sola persona di terra. Noi avevamo: bussola magnetica, (la gyro c'era, ma quasi mai era funzionante), cronometro, sestante,  (non esisteva neanche la calcolatrice), i calcoli venivano fatti con le tavole logaritmiche per trovare il punto nave (quando il sole o le stelle erano visibili!). Il radar aveva una portata limitata, ma solo il Comandante poteva metterlo in moto qualora ci fosse stata scarsa visibilità e lo lasciava scritto nelle consegne all’ufficiale di guardia. Che succedeva, quindi, se c'erano piovaschi o banchi di nebbia? Si faceva il bambino piagnucolante che ricorreva all’aiuto di papà? Eh no! Si tirava avanti... ma in quelle 4 ore di guardia, si aveva un certo patema d'animo! Oggi, sul ponte di comando, di radar accesi ce ne sono 2, e per di più anticollisione!

Per quanto riguarda le ‘Previsioni Meteo’, il Marconista, a determinate ore, portava in plancia il bollettino dattiloscritto: “una depressione di ... millibar in lat... e long. ... si muove verso... una direzione... " Ma era il Comandante, a seconda dell'andamento del barografo, la direzione del vento, e in considerazione del carico che si aveva a bordo, a decidere quale rotta seguire. Altro aiuto che si aveva erano: le Pilot Charts, in cui erano riportate, a seconda del mese, le rotte seguite negli ultimi anni dei vari cicloni che si sono susseguiti. Non era molto, tuttavia, per andare a Panama, per forza di cose dovevamo far rotta verso i Caraibi, dove nei mesi estivi e autunnali, qualcosa di brutto era facile incontrare!

Mezzi di comunicazione: il radiotelefono (era grande come un armadio a 4 ante che riusciva a comunicare al massimo  fino a 300/350 mg. Dopo Gibilterra c'era solo la Radio, con la quale si riusciva a inviare telegrammi, via Roma Radio quando era possibile, altrimenti il Marconista (altra figura scomparsa da bordo) doveva fare ponte con altre stazioni europee.

Con le radio che avevamo allora, si perdeva il contatto molto presto con l'Italia, e le uniche notizie fresche erano contenute in una paginetta dell’ANSA che Marconi appendeva nella bacheca della mensa a mezzogiorno. Altro fatto molto importante, era il calcolo della stabilità della nave circa la dislocazione delle merci. Occorreva calcolare quanto carico poteva essere imbarcato in coperta, cosa sarebbe accaduto se al 1^ porto avessimo dovuto sbarcare dalla bassa stiva, un peso rilevante e tante altre situazioni che si sarebbero potute verificare? Si risolveva il problema applicando le formule teoriche imparate a scuola. Non esistevano “Lodicator” di stabilità, ecc. Si doveva calcolare con esattezza matematica dove sistemare un peso per partire o arrivare con un certo assetto.

La lettura dei pescaggi a fine caricazione era compito dell’Allievo di coperta, che si faceva ammainare la biscaglina sottile dal nostromo per verificare i pescaggi a prora e poppa. Mentre ora basta leggerli semplicemente su uno strumento posto in segreteria che ti risolve tutti i vari problemi.

Mi accorgo di avere scritto molto, ma siccome vedo che tra i lettori del sito, ci sono tanti giovani, penso che a qualcuno di loro potrebbe interessare sapere come si navigava con le navi di 50 anni fa, magari dal racconto diretto di chi lo ha vissuto in prima persona”.

 

TESTIMONIANZA del com.te  Nunzio CATENA

2/03/1964 – “Eravamo all'uscita del Columbia River, provenienti da  Portland (Oregon), con una copertata di legname (tavole -red wood-), assicurata tutto a regola d'arte (con cavi acciaio, catene, cavi ecc.). Avevamo il Pilota a bordo, il quale ci aveva avvisato che fuori c'era un po' di mare lungo. Il Com.te fece sistemare bene ancore, bighi ecc. e ad un certo punto mandava via tutti da prora. Anche io ero sul Ponte, addetto al brogliaccio e al telegrafo di   macchina (ancora quello meccanico..!!). Cominciammo ad uscire e lo spettacolo che si presentava, con due tre relitti sulla spiaggia, non era allettante! All'uscita, la corrente piuttosto forte del fiume, incontrando l'onda del mare, ne provoca l'innalzamento e ne diminuisce il periodo (quindi sono alte e molto ravvicinate). Ricordo come ora, appena usciamo, la prora va giù e pesantemente riesce, la seconda ce la fa ancora, dopodiché di prora si era generato quasi..un vuoto.., la prora va giù.. giù.., mentre, a 45° Dr., si alza un'onda gigantesca ...."watch"... Il Pilota  fa abbassare tutti ... Io mi son tenuto ai galletti del finestrino, dicendomi "se devo morire....lo voglio vedere!” - (e non lo dimenticherò mai!) -  L'onda, facendo inclinare paurosamente la nave a Sn. frange ed avvolge quasi tutta la parte di prora, ponte comando e quasi tutta la tuga. L'Italvega, stenta... ma poi riesce finalmente a riemergere!

(Archivio N.Catena)

I danni sono evidenti, dalla coperta sono stati strappati interi settori di legnami, tutti gli altri sono stati sconnessi, come si vede bene dal gruppo di foto riportate successivamente. In stiva i danni sono ingenti. Come si vede dalla foto sopra, l'onda battendo sulla plancia, ha sfondato  proprio il  finestrino dove ero io, rompendomelo in faccia! Il vetro, frantumato in mille pezzi, ha picchettato la paratia dietro il timoniere! A me, la faccia l'ha ammaccata un bel po', qualche ferita, ma ne é valsa la pena !! (io  non sono credente, ma credo che le continue preghiere di mia madre, siano valse a qualcosa....!!) Danni alle persone fortunatamente pochi... Alcuni marinai che si trovavano in coperta, si sono salvati attaccandosi ai tubi o altri appigli sul cielo del corridoio e la valanga  d'acqua che da prora andava verso poppa non e' riuscita a travolgerli !!!! Fuori dalla barra del fiume, il mare era accettabile...la maggior parte scampato il pericolo, le solite imprecazioni e.. Io all'arrivo sbarco e non metterò più piede su una barca...! Io magari vado a fare il minatore..., ma il mare non mi vedrà più! Ed altro. Poi, piano piano, basta un porto, un bel tramonto, un po' di bonaccia... e il marinaio ricomincia, dimenticando tutto..., perché quello é il suo elemento! Magari fino alla prossima tempesta!

 

Segue la TESTIMONIANZA (diario) del Comandante Nunzio CATENA

(Archivio N.Catena)

(Archivio N.Catena)

Rapporto e foto dei danni riportati dalla M/N ITALVEGA in uscita alla foce del Columbia River.

Questa locandina, composta di due sezioni, é il Manifesto Pubblicitario delle 1.000 autovetture FIAT. Sotto, Modello del liberty ITALTERRA. La nave era stata modificata per il trasporto di auto.

 

DATI NAVE:

 

Liberty USA costruita nel 1943 dal cantiere New England, Portland West, USA con il nome NELSON DINGLEY –Impostata il 10.6.1943, varata il 20.7.1943. Dislocamento= 7.176 tons., Lungh.= 134,57 mt. f.t. Largh.= 17,34 mt. - Pescag.= 2,35-8,46 mt. Propuls. Macchina a triplice espans. - 2.500 hp, Velocità 11 nodi - Autonomia 14.000 n.mi a 10 nodi, Equipaggio 81, Armamento= Artiglieria alla costruz. 1 o 2 cannoni da 76 o 127 m/m, varie mitragliere.

1947: ITALTERRA, per Italnavi, Genova – 1953: motrice sostituita con un diesel FIAT 686 da 3.600 CVA – 1959: convertita per trasporto autovetture utilitarie con una capacità di 1.200 auto – 1965: BAYPORT – 07.1072: demolita a Santander (Recupetraciones Submarinas SA)

 

L'ITALTERRA fu acquistato dalla Società ITALNAVI di Genova. Dalla fine del 1957 il mercantile venne utilizzato per conto della FIAT per il trasporto di automobili negli Stati Uniti che raggiungeva mensilmente, partendo dal porto di Genova. La nave viaggiava carica di circa mille vetture, trasportando prevalentemente 1100, 600 e la 500 America in diverse versioni. Nel 1965 passò all'armatore Salvatores & Co con il nome di Bayport. Venne demolita nel 1972.

 

TESTIMONIANZA del com.te  Nunzio CATENA

M/n ITALTERRA                   (foto di reperetorio)

“La sovrastruttura di colore marrone (sopra la plancia bianca, che si nota per i 5 finestrini centrali e probabilmente dal fanale di via, verde), é stata ricavata sulla controplancia, una nuova plancia, sala nautica, nuove alette di plancia. La plancia originale, era diventata una specie di segreteria, con un lungo tavolo, necessario per la compilazione del piano di carico, che doveva essere fatto con la massima chiarezza (nome partita, n. pezzi, peso, da.. a..., ubicazione). Tenuto conto del numero di porti di caricazione in America e tutti i porti di discarica in Mediterraneo, si provi ad immaginare tutte le varie combinazioni, fare un piano di carico era davvero difficile! Da tener presente che a quel tempo in segreteria, oltre a qualche biro, matite e gomme, c’era una sommatrice, il poligrafo e niente altro. Da considerare poi che a fine caricazione a Long Beach, l'Agente doveva prenotare il Pilota per la partenza e non si poteva rimandare di molto la partenza, ma occorreva spedire via aerea, i piani di carico ai porti mediterranei per essere pronti a ricevere il carico con tutta la documentazione: polizze di carico, annotazioni ecc. Ecco perché si era ritenuto necessario fare questa modifica, in modo che tutti, potessero collaborare. Di solito dopo poche ore, per quanto i marinai avessero preparato la nave per la navigazione (stive, bighi ecc.), era tutto finito, contenti di riprendere il mare, anche se ci attendevano 30 giorni di navigazione.

 


 

M/n ITALMARE

ITALMARE assistita da due rimorchiatori (Archivio C.Gatti)

“In quel tempo noi portavamo le macchine Fiat in America con le navi Fiat (Italnavi).....adesso, forse per eliminare le spese di trasporto, qualcuno ha trasferito la Fiat in America....!!!!!!”

M/n ITALCIELO in avamporto a Genova  (Archivio NEA)

DATI NAVE:

Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.

1969 – Luglio – Da “Bandiere ombra e armatori fantasma”, nel capitolo “Le carrette del mare”, si legge: “Nel luglio 1969, mentre la nave da carico liberiana Greenport era in rada a Norfolk, in attesa di entrare in porto per scaricare il carbone, verso l’una di notte, tre giovani italiani, che si erano imbarcati come marinai di bassa forza, si gettano nelle gelide acque del mare vestiti con maglioni, pantaloni di velluto e scarpe. Hanno deciso di abbandonare la nave cercando di raggiungere terra e fuggire. L’intero equipaggio è al corrente della fuga tanto che mentre i tre si gettano in mare il resto degli uomini trattiene un quarto giovane, anch'’gli italiano, che voleva raggiungere il suolo degli Stati Uniti persino con una valigia. Il comandante della nave dorme. Viene svegliato solo quando iniziano, da parte delle autorità portuali, le operazioni di soccorso ai tre. Purtroppo per Mauro Mastrofilippi di 23 anni, gli altri due fuggiaschi avevano 18 anni, le acque americane dovevano risultare fatali. Il suo corpo viene ripescato due giorni dopo in rada. I suoi due compagni d’avventura sono ritrovati all’alba, aggrappati ad una boa e riportati a bordo della nave liberiana. Non si può escludere che i tre giovani avessero architettato la fuga per poter entrare clandestinamente negli Stati Uniti. Quando a bordo di navi ombra scompaiono uomini d’equipaggio nessuno si preoccupa di farne denuncia alle autorità competenti; è più facile quindi rimanere nel Paese dove si è sbarcati. Questa tesi può suffragare l’ipotesi che i tre avessero qualche appuntamento sulla costa americana, ed essendo la nave in ritardo, rispetto alle previsioni, di oltre 24 ore essi avessero tentato di raggiungere a nuoto la costa per non mancare all’appuntamento.

M/n ITALCIELO va all’ormeggio a Genova con 2 RR (Archivio NEA)

M/n ITALCIELO - Il rim.re PERU’ sta per prendere il cavo a prora dritta  (Archivio NEA)

DATI NAVE:

Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.

M/n CESANA     (Archivio NEA)

 

DATI NAVE:

 

Cargo - Costruita nel 1956 dal Cant. Nav. Breda SpA. Marghera con il nome ENRICO DANDOLO per Sidarma SpA, Venezia. –8.520 GRTons, 10.796 DWTonms, Lft 145.3 mt., Lpp 135.0 mt., Larg ft 19.1 mt., 1 diesel, 15.5 nodi - 1964: CESANA, per Italnavi SpA, Genova – 1969: CESANA “C”, per Costa Armatori SpA - 10.1980: demolita a La Spezia (CN del Golfo).

TESTIMONIANZA    del Com.te  Nunzio Catena

Nel Dicembre 1965 sbarcai dall’Italterra – motivo: “vendita della nave all’estero” e trasbordai sulla M/n CESANA (20/12/65) ai lavori a La Spezia per rinnovo e sistemazione stive e celle frigorifere. La nave era già dei Costa.



La Nave, al termine dei lavori, eseguì tutte le prove in mare (velocità, consumi, ecc.) alle quali partecipò l'Armatore Andrea Costa! (quindi la Nave non passò prima a Cameli !). I viaggi erano interessanti: Genova, Sud America, merce varia, (a volte Cabedelo, nord Brasile, con ananas in coperta per B. Aires), Montevideo, Rosario per mais, B.Aires carne congelata e refrigerata per GE, Tenerife (dove nelle foto successive racconto di un incidente occorso nel '67) o Las palmas, (a volte caricavamo casse di pomodori in coperta per GE).

Bella nave, abbastanza veloce per quei tempi, solo che vibrava un po' troppo e quando scrivevi, sembrava di avere un pò di Parkinson!!.

Lo S.M. era così composto: Com.te Cervia Aldo, 1° Uff. Panconi Giovanni, 2° Catena Nunzio, 3° Uff. Ugo ..... All..... – Sbarcai a febb.67.

 

Continua la testimonianza:

 

“Come illustrato nella foto seguente,  il giorno 19 Gennaio1967, alle ore 05.15, all'ingresso del porto di Santa Crus de Tenerife, con Pilota a bordo, entrammo in collisione con la nave passeggera Cabo San Roque per fortuna senza gravi danni per persone!

Foto dei “danni”  provocati dalla collisione con m/n CABO SAN ROQUE                                         (Archivio N.Catena)

(Archivio N.Catena)

 

RAPPORTO DELLA COLLISIONE TRA LE M/navi CESANA e CABO SAN ROQUE

 

M/n CABO SAN ROQUE della YBARRA & Cla di Siviglia (NEA)

 

M/N PORTOFINO (Archivio N.Catena)

 

Questo scatto coglie l’incontro tra la M/N Portofino, (gemella della Portovado), con la nave sociale M/N Cesana.

DATI  NAVE:

Domenica 11 settembre 1960 è scesa in mare a Taranto la Motonave Portofino costruita dalle Officine di costruzioni e Riparazioni Navali di Taranto. Madrina della nave la Signora Elda Dardanelli.

La Motonave Portofino è la prima di due navi da carico gemelle che la Società di Navigazione Sicilnaviglio di Genova ha commesso ai Cantieri di Taranto ed è uguale alla M/n Portovado costruita dal Cantiere Breda di Venezia per la stessa Società  entrata in questi giorni in servizio. La M/n Portofino era azionata da un motore Diesel Fiat del tipo più moderno uscito dallo Stabilimento Grandi Motori di Torino.

E' un motore a due tempi sovralimentato tipo C. 757 S costituito da 7 cilindri del diametro di 750 mm. e corsa 1320 mm. e sviluppa una potenza di 8400 Cv. con una velocità di 16 nodi.

 

La Portofino è del tipo autostivante, munita di 12 verricelli per il carico e di tutte le attrezzature atte a renderla, oltrechè una bulk-carrier, anche adatta per i carichi generali. Munita di tutti gli strumenti di navigazione dei tipi più moderni: radar, girobussola, giropilota, ecometro, ecc.

Gli ambienti della motonave (cabine, mense, corridoi, ecc.) hanno caratteristiche lussuose, essendo rivestiti di Plastirivmel.

La M/n PORTOFINO incontra la M/n CESANA in navigazione

1967 - Un'altra immagine dell'incontro tra M/N Portofino e la M/N Cesana, presso La Plata (Argentina prov. Buenos Aires). La terza unità, gemella delle motonavi "Portofino" e "Portovado" é la "PORTOVENERE", costruita nel cantiere di Taranto, lo stesso che costruì la "Portofino".

"LA NOSTRA" - M/n ALPE  ex  MARIO ROSELLI (Collez.A.C.)

 

 

 

 

DATI NAVE:

 


Costruzione n° 1240 - MARIO ROSELLI
Motonave da carico costruita nel 1942 (Impostazione 22. 04. 1940, varo 25. 04. 1941, consegna 22. 04. 1942)
6835 tsl - 4017 tsn - 9100 tpl - 138,61 x 18,92 x 12,10 m - 1 diesel - 7500 CA - 1 elica – Velocità= 15,8 nodi
Compartimento Marittimo di Trieste - matricola n. 457.
22. 04. 1942: MARIO ROSELLI: Italia S.A. di Navigazione - Genova
23. 04. 1942: requisita a Trieste dalla Marina militare italiana
16. 05. 1942: prima missione Brindisi – Bengasi - Brindisi
24. 05. 1942: danneggiata da un attacco aereo su Bengasi
23. 06. 1942: in navigazione per Bengasi venne silurata da aerei nemici a 39 miglia per 139° da Capo Rizzuto. Dopo la prima assistenza da parte dei rimorchiatori GAGLIARDO da Taranto, PLUTO e FAUNA da Crotone e PORTOFERRAIO, viene rimorchiata a Taranto dalla torpediniera ORSA sotto scorta prima del cacciatorpediniere TURBINE e della torpediniera PARTENOPE e poi dalle torpediniere ANTARES e ARETUSA
09. 1942: in cantiere a Monfalcone fino al 12. 1942
19.12.1942: rientra in servizio sulla rotta Napoli, Palermo, Biserta effettuando in totale cinque missioni fino al 03. 1943
11. 04. 1943: bombardata a Napoli
09. 1943: preda bellica tedesca
20. 09. 1943: arriva a Venezia con prigionieri italiani
27. 09. 1943: parte da Venezia per Trieste
10. 10. 1943: in partenza da Corfù con prigionieri italiani viene attaccata da aerei britannici. Colpita sbarca i prigionieri superstiti (1302 muoiono) ma affonda il giorno seguente nel corso di un secondo attacco aereo
1952: ricuperata e rimorchiata a Monfalcone per il ripristino
11. 06. 1952: ribattezzata ALPE
10. 1952 ALPE: Italnavi, Società di Navigazione - Genova (6893 tsl, 4060 tsn, 9191 tpl)
10. 1965: Compagnia Marittima Carlo Cameli - Genova
07. 1969: Costa Armatori S.p.A. - Genova (9136 tsl, 5540 tsn, 10790 tpl)
1970: Flemar - Montevideo
1972: demolita.

La m/n SISES


 

Quattro fotografie della M/n SISES:

Nell'attesa del Pilota, in navigazione e in uscita dal porto.               (Archivio C.Gatti-NEA)

DATI NAVE:


Cargo – Costruita nel 1942 a  Taranto
per Italnavi SpA, Genova – 9.177 GRTons,
9.008 DWTons, Lft 144.5 Mt., Lpp 135.4 mt.,
Larg. Ft 18.7, 1 diesel, 16.0 nodi – 1969:
a Costa Armatori SpA, Napoli – 12.1978:
demolita a La Spezia (CN Santa Maria) -


M/n VILLARPEROSA     (Archivio NEA)
DATI Nave:

Costruita presso i cantieri Breda di Marghera nel

1957 per Italnavi Soc di

Navigazione di Milano - Lunghezza ft 145,37 mt. - Lunghezza pp 135,21

mt. - larghezza 19,08 mt. - Bordo libero 3.04 mt.- 8642,56 tsl – 5.224

tsn - 11.977 tpl – Pescaggio 8,83 mt. - Dislocam

17.120 tons. - 5

stive 17.080 mc. - Motore diesel FIAT a 2 tempi 7 cilindri, diam. Mm

750, corsa mm 1.320, potenza 7.700 CA, 1 elica, Velocità alle prove

17,14 nodi - 1966: la Soc Italnavi è stata incorp.

nella Compagnia

Carlo Cameli, Genova –1968: Acquistata da

Costa Armatori SpA, Genova

– 1982: Intra Tribute – 09/'82: demol. a Kaoshiun

 

 

M/n CERVINIA                                     (Archivio NEA)

DATI NAVE:
Nominativo Internazionale ICVL
Lunghezza ft metri 145,36 - L. fra le 135,02 mt
larghezza = 19,08 metri –
Immersione =9,155mt.
Bordo Libero= mm 1172
Stazza Lorda= 6.213,02 tons.
Stazza Netta= 3.796,39 tons.
Portata Lorda= 10.662 tons.
Dislocamento= 15.040 tons.
Volume Lordo Totale =9.741 mc.
5 stive per un volume di 18600 mc.
N.2 imbarcazioni di salvatag. per 114 pers.
Iscritta al Compart. di Venezia al n. 587
Iscritta al compart. di Genova al n. 3333
Costruita presso i Cant. Breda di Marghera
nel '59 - Costruzione n 209.
Varata a Venezia il 4 luglio 1959 per conto
della Sidarma Società Italiana di Arm.
Un motore diesel FIAT a due tempi 7 cilindri
Sovralimentato, diametro mm 750,
Potenza di 7700 CA.
1 elica-Scafo in acciaio standard
N. 8 paratie stagne trasversali.
2 ponti (1+Shd) Doppi Fondi 1.416 mc -
Cisterna avanti: 140 mc - Cisterna add.
320 mc - Poppa ad incrociatore.
Deposito cisterna: 1600 mc
Ex Lorenzo Marcello
1964- venduta alla Italnavi

1966- La Società Italnavi viene incorp.
dalla Compagnia Carlo Cameli
1969-Acquistata dalla Costa Armatori

1980 - Cortina II - 1981-Pistis -
1981-Kerasons - 1984-Leixoes
Fu demolita nel Dicembre 1984 ad Alang.

M/n CORTINA (Storia dei Trasporti Italiani)

 

Dal Volume VII - TRASPORTI MARITTIMI DI LINEA - STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI: da pagina 2270 riportiamo:

"Nel 1969 con l'acquisizione del numero di navi facenti parte della flotta dell'Italnavi: Cesana, Sestriere, Sises, Alpe, Cervinia e Villarperosa venne riorganizzata la linea commerciale per il Sud America mentre con l'acquisto delle nuove navi Giovanna C. - Luisa C. - Anna C. - e Cortina, venne gestita in proprio la linea del Golfo del Messico dove in precedenza avevano operato soprattutto unità noleggiate".


 

 

M/n ANTONIO VALLETTA - OBO Carrier Costr. a Monfalcone per conto della Soc. ITALNAVI S.p.a. di Navigazione                                     (Archivio NEA)


M/N SICILMOTOR                                    (Archivio NEA)

DATI NAVE:

Tanker – Costruita nel 1958 da Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi Soc. Nav., Genova – 20.617 tons, tdw 31.268, Lft 204.80 mt., Lpp 189.20 mt., Larg. ft 26.30 mt., 16.5 nodi – 1984: SICILMO – 09.1984: demolita a Chittagong da Nine Star Re-rolling Mills.

Varo ITALMOTOR        (Archivio C.Gatti)

ITALMOTOR é scesa in mare a Sestri Ponente-Ge (Archivio C.Gatti)

 

M/N ITALMOTOR (Archivio NEA)

DATI NAVE:

Tanker – Costruita nel 1953 dai cantieri Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi

Soc. di Navigazione SpA, Genova – Tsl 17.174, DWT 26.278, Lft 191.3 mt., Lpp

181.0 mt., Larg ft 25.0 mt., 2 diesel, 16.0 nodi – 12.1976: demolita a La Spezia (CN del Golfo).

 

Riteniamo utile riportare l’interessante commento di “Mario from Genoa” del 19/5/11 sulla M/n Cesana sul sito ‘Navi e Armatori’:

 

“.....nel 1968, alla chiusura delle attività dell'ITALNAVI (che all'epoca aveva già assorbito la SIDARMA), le navi sono state divise effettivamente fra COSTA e CAMELI però le navi da carico secco (ad eccezione della Alpe venduta alla argentina ELMA e di qualcosa altro, forse la Sestriere, che a memoria mi sfugge), sono state acquistate da COSTA mentre le due petroliere Italmotor e Sicilmotor sono state acquistate da CAMELI. E` vero anche che una certa parte degli equipaggi é andata con la CAMELI, seguendo la sorte delle due petroliere, mentre altri sono andati con COSTA.

Dette navi erano, dal punto di vista tecnico, gestite direttamente dall'ufficio tecnico della allora COSTA Armatori S.p.A. senza alcun contatto diretto con CAMELI per la gestione. Per inciso la Cesana si chiamava in origine, come correttamente indicato da “Celeste” (pseudonimo), Enrico Dandolo ed era stato costruito per la SIDARMA che, fin dagli anni cinquanta del secolo scorso, era in servizio congiunto con la SIDARMA ed entrambe a Genova, se ricordo bene, erano, dal punto di vista commerciale, prese in cura dall'allora Agenzia Marittima Oceania”.

 

CONCLUSIONE:

Vorrei terminare questo importante capitolo di Storia Navale Nazionale con due considerazione: la prima di ordine generale, la seconda di ordine particolare.

- Chi vede le navi soltanto da una banchina o da una finestra, magari se ne innamora e ne parla, oppure ne scrive come fosse un’opera d’arte, una chiesa, un quadro, oppure non ne parla affatto. Chi invece calca i bordi per lavoro, parla della nave e pensa ai suoi compagni di bordo come appartenessero all’ “inventario” di quella nave. Per il navigante, la nave é un pezzo della propria storia che quasi mai rappresenta un’opera d’arte, bensì sudore e sofferenza che ha diviso con altri uomini di mare legati dallo stesso destino. Questo sentimento rimane intatto e sopravvive alla demolizione della nave. Quando la nave scompare rimangono i suoi uomini a cantarne le gesta. Pro Schiaffino, Comandante e poi Direttore Marittimo della ITALNAVI e di altri importanti Armamenti, ha scritto che nessuno chiamava la nave (ALPE n.d.a) per nome, ma con il nomignolo “LA NOSTRA”, alla quale ognuno attribuiva il suo segreto rapporto affettivo di madre, sposa, sorella, amica, compagna... chissà?

- La SESTRIERE, tra le pochissime navi sopravvissute ai siluri, bombe e mine della Seconda guerra mondiale, fu considerata, giustamente, una nave fortunata, quindi un po’ speciale, che assunse nel dopoguerra il ruolo di nave ammiraglia della ITALNAVI anche perché, come accennato in precedenza, ebbe un ruolo importantissimo nella “SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE”, titolo che diedi ad un mio saggio pubblicato nel 2003 per MARE NOSTRUM e che ho riportato su questo sito nella sezione Storia Navale.

Il carisma di questa nave fu tale da suggestionare anche i suoi equipaggi che, ancora oggi, si ritrovano per rinnovare ogni anno quelle memorie che dovranno durare lungo l’arco della loro intera esistenza. Ho conosciuto molti comandanti e ufficiali ITALNAVI, e posso affermare, senza tema di smentita, che ho sempre riscontrato in tutti loro lo stesso marchio indelebile di gentleman del mare, e fedeltà assoluta alla ITALNAVI Compagnia di Navigazione - Genova

Non ho parole per ringraziare il caro amico Comandante Nunzio Catena per avermi consegnato le sue preziosissime “testimonianze” di ex ITALNAVI che dipingono alla perfezione il “Quadro Nautico” di come si navigava in epoca scarsamente tecnologica, ma di grande fascino marinaro. Ringrazio altresì il comandante Patalano, uno dei fondatori del NEA e degli altri collaboratori del sito che hanno dimostrato una rara competenza in materia.

P.S. – Le fotografie appartengono, in parte all’archivio dell’autore, in parte sono state prese a scopo divulgativo dal sito NAVI E ARMATORI, dal sito della MARINA MERCANTILE e dal Web, mentre alcune sono firmate da fotografi professionisti ai quali rivolgo un sincero ringraziamento da parte dell’Associazione Mare Nostrum di cui mi onoro d’essere il Presidente.

A cura di:

Nunzio CATENA e Carlo GATTI

Rapallo, Sabato 16 febbraio 2013