Le NAVI ROMANE di Fiumicino

 

LA PORTUALITA' DI ROMA ANTICA

LE NAVI ROMANE DI FIUMICINO

 

Ostia Antica fu legata a Roma per essere stata a lungo la sua appendice commerciale ed economica. Quel passato operoso svolto lungo lo snodo fluviale del fiume Tevere, rappresenta ancora oggi un microcosmo in grado di rivelarci importantissime testimonianze, non solo della cultura marinara e della vita quotidiana di allora, ma anche della convivenza di etnie molto diverse dal punto di vista religioso, artistico e delle loro specifiche tradizioni. Dal porto fluviale di Ostia transitava, tramite chiatte trainate da animali, il grano depositato nei grandi horrea (silos dell’antichità) che risaliva il Tevere per arrivare a rifornire i depositi della capitale e a soddisfare le esigenze di un milione di abitanti che abitavano nella capitale 2000 anni fa.

 

Perché nacque il grande porto di Claudio?

 

Le grandi navi onerarie dell’epoca, con il carico destinato all’Urbe, non potevano ormeggiare nel porto fluviale per ragioni tecniche molto evidenti, ma dovevano pendolare al largo, oppure ormeggiare a Pozzuoli, da cui le merci venivano poi trasportate ad Ostia, a bordo di navi di piccole dimensioni. L’espansione della capitale ed il suo sviluppo urbanistico, produssero un incremento dei traffici marittimi che il porto fluviale di Ostia non era più in grado di sostenere.

1 - Claudio e  Traiano:  i due veri Porti di Roma

 

L’imperatore Claudio ne prese atto e decise di costruirne un nuovo, ma ebbe in mente, fin da subito, un progetto costosissimo, convinto com'era che Roma, capitale dell’Impero, avesse raggiunto ormai la sua massima ricchezza ed espansione. Il progetto non piacque agli ingegneri dell’epoca. La zona scelta era pericolosa a causa dei venti di traversia e delle frequenti mareggiate invernali che avrebbero favorito un graduale insabbiamento del nuovo scalo portuale. Ma l’imperatore fu inflessibile nelle sue decisioni e ordinò di scavare l'ampio bacino a due miglia a nord della foce del Tevere, con due moli, e fece erigere il faro (vedi Pharos nella cartina sopra). Lo scalo fu completato da Nerone ed intorno a questo cominciò a espandersi il nucleo della città di Porto.

 

L'inaffidabilità del bacino di Claudio era stata confermata già nel 62 d.C. quando una tempesta aveva distrutto non meno di duecento navi tra quelle ancorate nella rada interna e quelle ormeggiate alle banchine. Purtroppo le previsioni degli ingegneri romani si avverarono puntualmente: lo scalo, essendo molto ampio e poco profondo, raccoglieva e accumulava verso le banchine commerciali i detriti ed il fango spinti dal libeccio e dal maestrale. I lavori del Porto di Claudio furono talmente difficili e costosi che l'inaugurazione del Porto avvenne solamente sotto Nerone nel 64 d.C.

 

Toccò infine a Traiano di porre rimedio al fallimento annunciato dello scalo, e lo fece studiando una soluzione ultramoderna per l’epoca.

 

L’imperatore affidò il nuovo progetto all’architetto Apollodoro di Damasco che lo posizionò in una zona più interna e sicura, aveva una forma esagonale ed era provvisto di un sistema di canali di comunicazione tra il porto e il fiume,  (l'attuale canale di Fiumicino-Fossa Traiana), che avevano il duplice scopo sia d’impedire allagamenti e insabbiamenti, sia di alleggerire il traffico alla foce del Tevere.

 

L’eccezionale "sistema portuale" migliorò notevolmente la capacità e l'efficienza del porto di Roma, e determinò l'aumento della comunità di residenti nel territorio circostante e anche il cambiamento della denominazione da Portus Ostiensis a Portus Traiani o anche semplicemente Portus. A ridosso della nuova struttura (Portus Urbis) si sviluppò quindi la città di Porto, grande quanto la vicina Ostia.

 

 

2 - Il bacino traianeo (nella foto aerea), portato alla luce e restaurato negli scorsi anni Trenta, misurava 358 m. di lato, occupava una superficie di circa 33 ettari e consentiva l'attracco contemporaneo di almeno 200 navi di grande tonnellaggio, nonché lo svolgimento di tutte le operazioni connesse con il traffico-merci. Aveva le sponde ‘a scarpa’, una profondità media di 5 metri, era inclinato verso mare ed era lastricato con grandi pietre che ne facilitavano la manutenzione. I lavori terminarono nel 112 - 113 d.C.

Nel IV secolo il porto fu protetto da mura difensive, oggi parzialmente visitabili nel settore che comprende il canale d'ingresso al bacino esagonale con i cospicui resti dei magazzini traianei.

La struttura fu attiva fino al 537 d.C., quando, con l’invasione dei Goti di Vitige, si avviò ad un rapido declino. Nell’arco dei secoli, inoltre, in concomitanza con l’avanzamento della linea di costa, entrambi i bacini portuali subirono un insabbiamento naturale.

Il complesso portuale esagonale del Porto di Traiano é visibile ancora oggi atterrando con l’aereo a Fiumicino, ma l’opera artificiale, di grande fascino e suggestione, é anche interamente visitabile passeggiando tra i suoi immensi magazzini, banchine che ancora oggi parlano lo stesso linguaggio delle  strutture portuali del nuovo millennio.

Il porto di Traiano sostituì  lo scalo di Pozzuoli e furono costruiti imponenti edifici pubblici che disegnarono una nuova città, che inizialmente dipendeva da Ostia, la quale a sua volta divenne ancora più importante come centro di tutta l’attività amministrativa fluviale.

 

3 - Rappresentazione artistica del complesso portuale di Claudio e Traiano

 

Le Navi di Fiumicino - Storia del Ritrovamento

 

Nel 1957 sono stati portati alla luce i resti affioranti del molo destro del porto di Claudio, adiacenti all'attuale MUSEO DELLE NAVI di Fiumicino, insieme con murature di un edificio con tracce degli affreschi originari. Siamo nell’area di Monte Giulio e proprio qui sono emerse altre strutture del 2° secolo che s’affacciavano sul bacino.

 

Durante la costruzione dell’aeroporto L. Da Vinci di Fiumicino vennero alla luce, alla fine degli anni ’50, i relitti di cinque imbarcazioni di epoca imperiale romana, attualmente conservate nel Museo delle Navi Romane, il cui scavo e recupero fu promosso dalla Soprintendenza Archeologica di Ostia sotto la guida di Valnea Santa Maria Scrinari. Il Museo si trova accanto all’Aeroporto di Fiumicino, nell'area corrispondente all'imboccatura dell'antico porto di Claudio. La struttura museale fu inaugurata nel 1979 ed é gestito dalla Soprintendenza Archeologica di Ostia, che dipende dal Ministero per le Attività Culturali.

 

Dopo d'allora furono necessari circa vent'anni di lavoro e di studi, perché i reperti fossero accessibili al pubblico: solo gli scavi per riportarli alla luce durarono dal 1958 al 1968.

 

 

4 – Entrata del Museo delle navi romane di Fiumicino vista di lato

 

Visita al Museo delle Navi Romane

 

 

5 - Cartina che mostra il ritrovamento dei relitti rispetto al Museo

 

Attualmente il Museo è situato a sud dell'Aeroporto Intercontinentale di Fiumicino ed è collegato alla città di Roma dall'autostrada e dalla ferrovia. 
La struttura dell'edificio è molto funzionale: un grande contenitore lungo 33.5 m e largo 22 m costituisce una sorta di ricovero per imbarcazioni. Sul lato sinistro trovano posto uffici e stanze di servizio.

 

In un primo tempo il padiglione espositivo fu usato come rifugio per le imbarcazioni appena recuperate. Qui gli scafi furono trattati con resine e le parti lignee danneggiate vennero restaurate.

 

 

6 - Vista d’insieme del Museo.

 

Oggi entrando nel Museo delle Navi Romane è possibile ammirare, con un unico colpo d'occhio, i resti delle cinque imbarcazioni, i materiali recuperati durante gli scavi, così come altri oggetti archeologici, anche lapidei, provenienti dall'area dei porti imperiali. Le navi sono sorrette da telai in metallo costituiti dal minor numero possibile di pezzi. In questo modo è possibile mantenere in posizione i delicati elementi lignei delle imbarcazioni mantenendo visibili le linee d'acqua. Fiumicino 3 si trova  a sinistra dell'entrata del Museo. Di questa piccola imbarcazione fluviale rimane soltanto il fondo piatto pesantemente ricostruito durante il processo di restauro.

 

Varcata l'entrata, a destra, la prima imbarcazione esposta é Fiumicino 5, la barca da pesca. Si tratta di un ritrovamento unico nel suo genere. Al centro dello scafo è presente un pozzetto (contenitore-vivario), le cui tavole del fondo sono munite di aperture per permettere all'acqua marina di entrare. In questo modo il pesce appena pescato veniva mantenuto in vita e fresco fino al mercato.

 


 

7 - Tornando indietro, è possibile vedere due frammenti di scafi: una parte di murata che conserva anche due cinte tra i corsi del fasciame

 

Un piccolo corridoio separa questa chiatta da Fiumicino 3, un'imbarcazione marittima da carico. Lo scafo, molto ben conservato, si è mantenuto oltre alla linea di galleggiamento. A destra e a sinistra si trovano frammenti di sculture, tra cui quelli di un sarcofago con una scena marittima, elementi architettonici, una bitta d'ormeggio dal porto di Traiano e blocchi di cava.

 

8 - Riproduzione di un rilievo di Porto, ora nella collezione Torlonia, con scena portuale (III sec. d.C.)

Sul muro di fondo si trovano le riproduzioni di un rilievo di Porto (nella foto n.8), ora nella collezione Torlonia, con scena portuale (III sec. d.C.) e di un rilievo del Museo Nazionale Romano con raffigurata una navis caudicaria, uno speciale tipo di imbarcazione che veniva alata lungo la riva destra del Tevere per il trasferimento delle merci dal porto fino a Roma.

La parte centrale del padiglione espositivo è occupato dalle larghe chiatte fluviali a fondo piatto denominate Fiumicino 1 e 2. All'inizio del corridoio che separa le due imbarcazioni si trova un capitello in travertino rinvenuto durante gli scavi del porto di Claudio vicino alla bocca della Fossa Traiana.

L'intera collezione delle navi è collocata su telai metallici che sostengono il delicato ordito di legni senza disturbare il loro profilo architettonico. Sulla parete di fondo, una serie di vetrine ospita oggetti vari, in parte ritrovati all'interno degli scafi e in parte provenienti dalla zona dei moli oppure dall'agro portuense o dai fondali antistanti. Nel Museo delle Navi di Fiumicino sono esposti anche alcuni reperti lapidei provenienti dal territorio di Ostia, quali un frammento di sarcofago, elementi architettonici; una bitta d'ormeggio ed un blocco di cava. Sulla parete di fondo è il calco del rilievo Torlonia, celebre iconografia portuale ricca di elementi simbolici. Nelle vetrine sono inoltre conservati numerosi sigilli di piombo di età antonina, uno scandaglio; un ceppo d'ancora di piombo con iscrizione a rilievo IOVIS - IV; monete, anfore ed altri oggetti.

Per primi si incontrano, sulla destra, due frammenti di fiancata di imbarcazioni non altrimenti conservate. Nel frammento maggiore si nota il doppio parabordo a sezione semicircolare sporgente dal filo delle assi del fasciame

All'interno delle vetrine sono esposti i materiali recuperati durante lo scavo delle imbarcazioni tra cui oggetti in bronzo, ceramica, resti organici e elementi dell'attrezzatura di bordo. Tali reperti sono esposti insieme a materiali rinvenuti durante scavi e recuperi nelle aree vicine.

Sul muro perimetrale che porta verso l'uscita, i visitatori possono trovare pannelli che illustrano i vari momenti degli scavi degli anni 1950-60, oltre a diapositive con esempi di porti romani del Mediterraneo. 
In ultimo, grandi pannelli illustrano le principali rotte antiche, così come i principali rinvenimenti di navi antiche in Europa.

Facciamo ora la loro conoscenza dei relitti:

Fiumicino 1, 2, 3 erano destinate al trasporto fluviale. Fiumicino 4 era destinata al piccolo e medio cabotaggio. Fiumicino 5 é l’unica barca da pesca ritrovata, di epoca romana. I relitti furono ritrovati a ridosso del molo destro del porto di Claudio in una zona soggetta ad insabbiamento. Nell’antichità, quell’angolo non più operativo, probabilmente fu destinato ad accogliere le imbarcazioni obsolete che oggi sono state recuperate e costituiscono dei preziosi reperti che ci parlano della romanità marinara. La collezione di imbarcazioni incrementa pertanto la  conoscenza scientifica delle varie tipologie di “unità” utilizzate nelle attività che si svolgevano tra il “mare aperto” e il porto di Claudio e, tra questi e il porto interno dell’Urbe dopo aver risalito il Tevere. I relitti ritrovati ci offrono la chiave di lettura per capire i metodi costruttivi degli antichi mastri d’ascia.

La loro sistemazione definitiva in Museo. Per favorire il recupero ed il trasporto dei relitti, fu scavato un corridoio anulare attorno al perimetro dei relitti e, a partire da questo, passaggi trasversali al di sotto della chiglia. In questo modo, fu possibile costruire una centinatura lignea per sorreggere le fiancate e poter recuperare, nella loro interezza, le imbarcazioni. Trasportate all’interno del museo in via di allestimento, l’Istituto Centrale del Restauro di Roma procedette al consolidamento delle strutture con una miscela di resine. Infine, dopo la definitiva sistemazione degli scafi sui telai d’acciaio di supporto, il 10 novembre del 1979 il Museo venne aperto al pubblico. Il museo conserva inoltre alcuni oggetti ritrovati in prossimità delle navi od all'interno di esse. I pannelli illustrativi consentono al visitatore di ripercorrere le diverse fasi del recupero, e documentarsi su altri rinvenimenti effettuati nei numerosi siti sommersi nel Mediterraneo.

Nella maggior parte dei casi, si sono conservate le strutture intorno alla chiglia sul fondale marino. Queste parti strutturali sono state sigillate e conservate nel tempo dai depositi portuali. Infatti, in alcune parti sommerse, non ancora ricoperte dal limo, la teredine ha compiuto la sua azione perforatrice e distruttiva. L’aspetto nerastro degli scafi è il frutto, invece, della carbonizzazione attivata dai microrganismi presenti negli strati di sedimentazione.

 

9 - All'inizio del corridoio che separa le due imbarcazioni si trova un capitello in travertino rinvenuto durante gli scavi del porto di Claudio vicino alla bocca della Fossa Traiana.

Dalle fonti scritte e dalle conferme che pervengono dagli oggetti che si rinvengono sui relitti, è possibile conoscere la vita di bordo: resti di attrezzi da cucina, contenitori, pentole e vasellame fanno intuire il tipo di alimentazione; sono stati ritrovati oggetti personali, monete e persino attrezzi di bordo, come bozzelli di legno, frammenti di cime e cordami, ancore e scandagli.

10 - All'interno delle vetrine sono esposti i materiali recuperati durante lo scavo delle imbarcazioni tra cui oggetti in bronzo, ceramica, resti organici e elementi dell'attrezzatura di bordo. Tali reperti sono esposti insieme a materiali rinvenuti durante scavi e recuperi nelle aree vicine.

11 - Reperti marmorei. Sul muro di fondo si trovano le riproduzioni di un rilievo di Porto, ora nella collezione Torlonia, con scena portuale del III sec. d.C.(vedi foto n.8) e, sulla sua destra si vede un rilievo del Museo Nazionale Romano con raffigurata una navis caudicaria, uno speciale tipo di imbarcazione che veniva alata lungo la riva destra del Tevere per il trasferimento delle merci dal porto fino a Roma.

Tra gli altri reperti del Museo possiamo elencare:
del materiale lapideo ritrovato ad Ostia , tra cui un sarcofago; una bitta d'ormeggio, un calco del rilievo di Torlonia, delle vetrine mostranti dei sigilli di età antonina, uno scandaglio, un ceppo d'ancora, delle anfore, il calco di un'iscrizione trovata presso il porto, dei pannelli mostranti tra l'altro le fasi di scavo per il recupero delle navi e le tecniche della costruzione degli scafi.

Le imbarcazioni di maggiore stazza tra le cinque ritrovate, sono denominate "Onerarie minori" e "Onerarie maggiori" e sono databili nella media e tarda età imperiale.

12 - Nave Oneraria Maggiore II

Fiumicino 2 (Oneraria Maggiore II) risale al 1958. Questa unità é stata fortemente danneggiata durante le manovre successive al recupero, ma soprattutto per incresciosi atti di vandalismo, ma anche di furti.

13 - Fiumicino 1 (nella foto 14) (Oneraria Maggiore I), risale al 1959, di cui ha restituito dei corredi, è sconosciuto il suo periodo di sfruttamento. l’Oneraria maggiore I fu utilizzata durante il IV secolo. Sotto la poppa sono stati trovati tracce del mastice originale e tracce di una verosimile decorazione in bronzo. Al suo interno è stata ritrovata una lucerna con il Chrismòn (Cristogramma)


14 - Il Chrismon é un antico simbolo religioso cristiano. Esso rappresenta il nome di Cristo, il termine proviene dalle parole latine “Christi Monogramma” che significa monogramma di Cristo. Il simbolo é formato nella sua versione base da due lettere, una X e una P, che in greco corrispondono a “chi” e “rho”, il monogramma di Cristo é denominato pure Labarum, o “Chi Rho”, da cui si deduce facilmente il motivo della scelta delle due lettere X e P. Inoltre le suddette lettere contengono un secondo significato, la P e' impostata in modo tale da somigliare ad un bastone da pastore, e la X una croce, a testimonianza del fatto che Gesu' Cristo e' un buon pastore per il suo gregge, e cioè' per la Chiesa Cattolica.


Durante i lavori di restauro e consolidamento, all'interno della nave sono state rinvenute tracce di un'iscrizione, sul dorso di un madiere, che riportava il nome di Trituta, Tutelata o salvata-ricostruita per tre volte, con il legname costruttivo di altre imbarcazioni.

Fiumicino 3 (barca fluviale) risale al 1959 – Questa imbarcazione, la prima sulla sinistra, non ha restituito elementi di corredo se si eccettua un frammento identificato come parte del pennone esposto in vetrina.

15 -  Ritrovamento della Barca del Pescatore

16 - Barca del Pescatore. Particolare del POZZETTO destinato a conservare il pesce fresco

Fiumicino 5 (Barca del Pescatore) (nella foto) scoperta nel 1959 - Questa imbarcazione con il pozzetto al centro per conservare fresco il pescato é, al momento, considerata un unicum non essendo stati rinvenuti altri esemplari natanti simili a questo, per tipologia e soluzioni di allestimento. Nella barca sono stati trovati alcuni oggetti esposti nelle vetrine: un sandalo da ragazzo, di cuoio, un anello con sigillo, un conio greco e qualche frammento di terra sigillata italica.

Fiumicino 4 (Oneraria Minore II) fu ritrovata nel 1965. Utilizzata tra il III° ed il IV° secolo, la nave ha lo scafo quasi perfettamente conservato, fino alla linea di galleggiamento e permette di osservare numerosi dettagli del fasciame e del sistema di connessione delle assi, dei resti del pagliolato di stiva e della scassa dell'albero All'interno sono state ritrovate una Venere i n bronzo, delle lucerne tra cui una africana recante un simbolo cristiano del chrismon un gioco di dadi . Nello scafo della Oneraria minore II. Sono stati trovati: un bozzello e una rotella di carrucola, un bussolotto di legno per dadi da gioco, oltre a resti di vegetali commestibili.

 

Dettagli tecnici, costruttivi ed architettonici delle Navi Romane di Fiumicino.


 

 

17 – Disegno con Glossario in italiano di una imbarcazione romana d’epoca imperiale

Ci si accorge immediatamente che l’eccezionale ritrovamento ci permette di valutare alcune tra le differenze tra il sistema costruttivo antico e le attuali metodologie in uso nel Mediterraneo. Oggi s’inizia la costruzione su scheletro partendo dalla chiglia, con l’ossatura interna (ordinate) e il suo rivestimento con le tavole del fasciame. In età greco-romana, dopo aver sistemato la chiglia, s’iniziava la costruzione su guscio esterno, ossia il fasciame, mentre l’ossatura (le ordinate) era inserita successivamente con la funzione di rinforzo interno. Il collegamento tra le tavole del fasciame era assicurato dai tenoni, sottili linguette in legno duro, inserite in appositi incassi detti mortase nello spessore delle tavole. I tenoni, infine, erano bloccati da spinotti. In questo modo, le tavole del fasciame potevano mantenere la forma desiderata e il guscio acquistava  solidità tramite i numerosi collegamenti interni.

 

Le cinque navi di Fiumicino sono state costruite secondo il sistema della costruzione su guscio, esemplificato dall’imbarcazione Fiumicino 4 (II-III sec.d.C.) che presenta una grande omogeneità nei collegamenti a mortase e tenoni. Invece, Fiumicino 1 e 2, imbarcazioni gemelle, ci mostrano importanti differenze costruttive. Oltre al notevole utilizzo di chiodi in ferro per collegare il fasciame allo scheletro, si nota la lunghezza dei chiodi stessi per collegare alcuni madieri alla chiglia e la distanza tra i tenoni o, addirittura, la totale assenza di tali collegamenti. Tecniche che dimostrano l’evoluzione costruttiva in atto nei secoli successivi cui si riferiscono le imbarcazioni (IV-V sec. d.C.).

 

Le linee e le caratteristiche costruttive indicano i diversi utilizzi delle unità. La Fiumicino 4, 15 metri di lunghezza, rivela linee penetranti e idrodinamiche adatte ad una navigazione marittima di piccolo e medio cabotaggio. Il robusto alloggiamento del piede dell’albero dimostra che la nave era propulsa da  un’unica vela quadra. Sul fondo dello scafo, era alloggiata una pompa di sentina, fissata tra i paramezzali intorno al blocco dell’albero, mentre il fasciame interno dava robustezza longitudinale alla struttura a protezione dei movimenti del carico. Fiumicino 5, come si é già detto, è invece una piccola barca da pesca, un ritrovamento unico d’età romana (II sec. d.C.), con al centro un pozzetto per conservare vivo il pescato, grazie all’acqua di mare che poteva entrare dai fori, muniti di tappi, praticati sulle tavole del fondo.

 

 

Fiumicino 1, 2 e 3, sebbene abbiano dimensioni diverse, evidenziano tecniche costruttive simili per la loro forma piatta e allargata, con poco pescaggio, adatta soprattutto al trasporto fluviale, con scarso moto ondoso. Esse erano rimorchiate da animali dalla riva destra del fiume secondo un sistema di propulsione, quello dell’alaggio, ancora in uso sul Tevere fino al XIX secolo. La loro forma originale viene rappresentata su mosaici, rilievi, affreschi ed appartengono al gruppo navale definito: naves caudicariae.

Curiosità sulle navi e sulla navigazione

 

 

18 - Terminologia nautica latina della nave oneraria romana

 

Ci sono giunti molti esempi di iconografia navale, da cui è stato possibile ricavare interessanti notizie. Marinai, armatori e costruttori amavano infatti far scolpire le loro navi sul proprio monumento funebre; spesso gli imperatori fecero coniare monete con raffigurazioni navali per ricordare una battaglia vittoriosa o la floridità del commercio.


19 - Costruzione ipotetica di nave da carico romana (Oneraria)

 

Grazie alle rappresentazioni di navi su mosaici sappiamo che queste venivano solitamente colorate, in particolare con il porpora, il blu, il bianco, il giallo e il verde; alcune navi da guerra venivano dipinte con un colore “mare” per non essere individuate troppo facilmente.

 

Le navi romane non potevano navigare senza zavorra, poiché altrimenti il pescaggio non sarebbe stato sufficiente; la zavorra o saburra era costituita soprattutto da sabbia e pietre o dalle stesse merci (macine, lingotti, anfore, anche rottami, ...).

 

Ogni nave aveva un suo nome, generalmente maschile se nave romana, e femminile se nave greca; i nomi potevano essere luoghi geografici, divinità marine o protettrici della navigazione e anche nomi astratti. Solitamente tutte le imbarcazioni portavano con sé una statua evocativa del loro nome, che quasi mai era scritto sulla nave.

 

ll personale nei porti era molto vario e per lo più di umili origini. Vi erano fabri navales, i carpentieri e i costruttori; velarii, che fabbricavano e riparavano vele; vari tipi di scaricatori; mensores, che controllavano i carichi e i contenuti delle navi; tabularii, una sorta di ragionieri che registravano ciò che veniva misurato; horrearii, custodi dei magazzini.

Per quanto riguarda il personale della nave, oltre a rematori e marinai, le personalità più importanti erano: il gubernator, capitano e spesso anche timoniere; il proreute o pausarius, secondo e nostromo; il thoicharkos, una sorta di commissario di bordo che si occupava anche dei rapporti con i passeggeri; il diaetarius, che occupava la cabina della nave ed era forse lo scrivano; l’exercitor, l’armatore, che non era quasi mai a bordo.

 

Coloro che volevano viaggiare per mare si servivano delle navi da carico, perché erano più veloci e tendevano a fare un minor numero di scali rispetto a quelle da guerra. Le condizioni dei passeggeri erano molto spartane, poiché le cabine di poppa erano assegnate solamente ai più abbienti e non sempre le navi commerciali disponevano di questa comodità. Il resto delle persone dormiva all’aperto sul ponte, solo con qualche stuoia e qualche tenda come riparo, considerato che il clima era comunque mite. I passeggeri che si trovavano peggio erano quelli alloggiati nella stiva, tra il carico di merci. L’approvvigionamento di cibo era a carico dei passeggeri ed era costituito per lo più da pesce secco, carne e farinacei; solo l’acqua era messa a disposizione dalla nave.

 

La religione era un elemento molto importante per coloro che andavano per mare; i marinai erano molto superstiziosi ed osservavano precise consuetudini che avevano come fine il buon esito del viaggio. Sulla prua della nave erano generalmente dipinti due occhi con significato apotropaico, per allontanare gli spiriti maligni. Si cercava di avere a bordo un uomo pio e allontanare gli empi, per propiziarsi gli dei; si era molto diffidenti verso le donne. Ci si affidava alle divinità protettrici della navigazione, tra cui le principali erano Castore e Polluce, Iside e Serapide. Sacrifici e preghiere venivano effettuati prima della partenza, durante la navigazione e prima di entrare in un nuovo porto; accadeva anche che si compissero riti sacri nel passare vicino ad un famoso tempio o nel momento del pericolo.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 16.1.2013



Il Sommergibilista AMEDEO CACACE

Com.te AMEDEO CACACE

MBVM

E' il testo di un'intervista che abbiamo realizzato con il comandante Cacace nella primavera 2007, durante la preparazione del volume "Marinai Savonesi" che il Gruppo ANMI "V. Folco" di Savona ha dato alle stampe nel settembre dello stesso anno, in occasione del 50° anniversario della sua fondazione.

di Maurizio Brescia

(Vicepresidente Associazione Mare Nostrum)

(in collaborazione con Carlo Cipollina e Luca Ghersi)

Descrivere la figura del comandante Cacace, rivisitare e commentare gli episodi di guerra sottomarina di cui è stato protagonista nel corso del secondo conflitto mondiale e – in ultima analisi – ritornare più in generale sulle azioni dei nostri sommergibili (in particolare in Atlantico) tra il 1940 e il 1943 è, per chi scrive, un fatto estremamente piacevole e gratificante.

E’ questa l’occasione non soltanto per ricordare questi fatti riferendoci (come in altri saggi del volume) a persone che non sono più tra noi e che ci hanno lasciato, da un tempo più o meno lungo… Il comandante Cacace è un personaggio “reale” anche agli effetti della sua presenza nel nostro Gruppo A.N.M.I. di cui – insieme a pochi altri – rappresenta quella “vecchia guardia” che è uno dei numerosi aspetti (se non il più importante) dell’attività dell’Associazione che spingono noi “giovani” a perseverare nella nostra attività e nel nostro “servizio” verso la Forza Armata, e verso chi di essa ha fatto parte, soprattutto negli anni difficili e drammatici dei conflitti cui essa ha partecipato.

Nel tempo, data anche la mia attività pubblicistica su riviste storico-navali e in collaborazione con varie case editrici, ho avuto modo di incontrare personalità, ufficiali, tecnici o semplici militari che avevano preso parte al secondo conflitto mondiale. Riferendomi poi al più specifico campo navale, i miei studi e le mie ricerche mi hanno portato in contatto con un grande numero di persone delle quali ho potuto apprezzare il valore e le capacità nel più ampio senso di questi termini.

Forse, a tutto ciò non è estraneo il ricordo di mio nonno materno che – da C1cl “E” (1)  – durante la “Grande Guerra” imbarcò sulla Regia Nave portaidrovolanti Europa (una delle prime unità a capacità aerea italiane) e che, durante la mia infanzia, ebbe modo di far nascere dentro di me quella grande passione verso le navi, la Marina Italiana e i suoi uomini che nel tempo è sempre cresciuta ed è diventata un elemento importante e insostituibile della mia vita…

Durante le varie “interviste” che il comandante Cacace ci ha concesso (ma è più giusto pensare a questi momenti come a incontri allo stesso tempo profondi e assolutamente amichevoli), ho rivissuto i miei personali ricordi di quando – già al tempo delle scuole elementari – ascoltavo i ricordi di mio nonno quasi rivivendo attimi di vicende che all’epoca, anche se inconsciamente, sentivo già in qualche modo che era giusto non far andare perduti perché parte della nostra vita e della nostra storia.

Oggi, trascorsi quattro decenni, ho avuto nuovamente l’occasione – ai giorni nostri sempre più rara – di immergermi una volta ancora in un’atmosfera ricca di eventi di grande rilevanza storica ed umana, spesso drammatici, talvolta più leggeri o distensivi, ma tutti permeati dal racconto a viva voce di chi ha preso parte a queste vicende in prima persona. L’emozione suscitata dall’ascoltare il racconto di Amedeo Cacace nasce anche dal fatto che nulla ci è stato narrato con toni epici o grandiosi, talvolta pareva di ascoltare riferimenti a fatti avvenuti pochi giorni prima, in tempo di pace e durante tranquille navigazioni: è questo un aspetto spesso comune a quanti hanno vissuto la storia con la “S” maiuscola, non c’è bisogno di esagerare quando si è stati parte di qualcosa di grande, e la “modestia” del racconto contribuisce, al contrario, a farne apprezzare la grandiosità.

Il comandante Cacace, insieme alla consorte sig.ra Leda, ci riceve nella sua casa di Savona. Una casa da cui la vista spazia sul mare, con la costa di Savona, Capo Noli e tutto il Mar Ligure sin verso il confine francese: sin da subito l’uomo si presenta, legato al mare che in guerra e in pace è stato il suo ambiente di lavoro e di vita e che ne ha forgiato il carattere schietto, forte, concreto ma al tempo stesso modesto e quasi schivo. Tutte qualità che – a ben vedere – hanno contraddistinto tutti i Marinai che ricordiamo in questa pubblicazione…

Nella casa del comandante Cacace abbondano i ricordi e le testimonianze di quella che è una vera e propria tradizione: il padre, il nonno e altri ancor prima facevano parte di una famiglia sorrentina da sempre legata alle attività marinare e, già a partire dal secolo XIX, numerosi “antenati” navigarono con navi a vela, brigantini e “vapori” in Mediterraneo e in Atlantico, prima con la bandiera borbonica e poi con quella italiana. Ed ecco quindi un altro aspetto, profondamente umano, di Amedeo Cacace, e cioè il forte legame e l’ancor più forte ricordo di quanti, nella sua famiglia, lo hanno preceduto sul mare in tempi ormai lontani: quadri di velieri, diplomi, fotografie d’epoca non sono solamente una “galleria di ricordi”, ma costituiscono anche un insieme dal grande valore storico e documentale che – a sua volta – meriterebbe un altro ciclo di interviste e l’opportuna valorizzazione sulla stampa specializzata…

Ma torniamo a Amedeo Cacace che nasce, per l’appunto a Sorrento, il 2 febbraio 1919; nella medesima cittadina campana frequenta tutte le scuole dell’obbligo e, successivamente, il locale Istituto Tecnico Nautico “Nino Bixio”, uscendone diplomato nel 1938 per il settore “coperta”.

Era quello il periodo in cui, appena concluso il conflitto civile spagnolo, si stavano addensando sull’Europa le nubi che avrebbero portato allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Regia Marina stava perseguendo da tempo un notevole programma di potenziamento per il quale erano richiesti uomini e mezzi, e fu quindi quasi “d’obbligo” per Amedeo Cacace fare domanda per l’ammissione ad uno dei corsi per la nomina a ufficiale di complemento. Arruolato come marinaio semplice il 26 ottobre 1939, fu ammesso all’Accademia Navale di Livorno il successivo 1° novembre e ottenne la nomina a guardiamarina di complemento (Corpo di Stato Maggiore) il 7 giugno 1940.

Il nostro comandante, con arguzia e senso della fatalità tutti partenopei, ricorda i pochi giorni successivi al 7 giugno:

“Subito dopo la nomina a guardiamarina, per me e per tanti altri giovani ufficiali, iniziò l’attesa – quasi spasmodica – della destinazione: attesa destinata ad una breve durata perché ricevetti ben presto il telegramma “per lista imbarchi” in base al quale appresi che dovevo raggiungere il sommergibile Maggiore Baracca. Era il 10 giugno 1940, e non fu questa l’unica volta in cui una data storica per l’Italia si incrociò con le mie personali vicende in Marina…”

Il sommergibile Maggiore Baracca era uno dei sei nuovi battelli appartenenti alla classe “Marconi”: da poco varato dai cantieri OTO del Muggiano, stava completando le ultime fasi dell’allestimento in attesa della consegna alla Regia Marina. Amedeo Cacace imbarcò sul Baracca, alla Spezia, il 12 giugno e partecipò alle numerose attività (imbarco di viveri e dotazioni, controllo e calibrazione di armi e apparecchiature) che coinvolsero l’equipaggio prima della consegna dell’unità alla Regia Marina, avvenuta il 10 luglio 1940.

Seguì un breve ma intenso periodo di addestramento al termine del quale – insieme ad altri sommergibili, il Baracca ricevette l’ordine di trasferirsi in Atlantico alle dipendenze del "Comando Superiore delle Forze subacquee italiane in Atlantico", che sarebbe diventato pienamente operativo a Bordeaux dal settembre 1940

Il sommergibile Maggiore Baracca verso la fine di giugno del 1940, nel golfo della Spezia, nell’imminenza della consegna alla Regia marina che avverrà il successivo 10 luglio. (Coll. M. Brescia)

Gli accordi tra la Kriegsmarine e Regia Marina, infatti, prevedevano la partecipazione di quest'ultima alla guerra sottomarina in Atlantico, e la scelta italiana per una base logistico-operativa per i propri sommergibili cadde sul porto fluviale di Bordeaux, ubicato sulla Garonne, a una cinquantina di chilometri a monte della via fluviale d'accesso al Golfo di Biscaglia, originata dalla confluenza della Garonne e della Dordogne nell'ampio estuario della Gironde.

Dalla "B" ("Beta"), lettera iniziale di Bordeaux, venne tratta la denominazione di "Betasom" (Bordeaux - Comando sommergibili) che, da allora, non soltanto nei documenti ufficiali – ma anche nell'immaginario collettivo – avrebbe contraddistinto la base atlantica dei battelli della Regia Marina.

“Ricordo i momenti, emozionanti, del passaggio in immersione dello stretto di Gibilterra… All’epoca la sorveglianza a/s britannica non era pressante e continua come sarebbe stata nei mesi successivi e, partiti dalla Spezia il 31 agosto, forzammo Gibilterra il 7 di settembre… Raggiungemmo subito la zona d’agguato cui eravamo stati destinati, a Nord-Ovest di Madera, ma non incontrammo alcun traffico. Il 1° ottobre, mentre già stavamo facendo rotta verso Bordeaux, venne avvistato un mercantile nemico di medio tonnellaggio. Fermatolo ed appreso che si stava dirigendo verso Belfast con un carico destinato all’Inghilterra, demmo tempo all’equipaggio di mettersi in salvo sulle scialuppe, dopodichè affondammo la nave a cannonate. Si trattava del mercantile greco Agios Nikolaos, che venne affondato in posizione 40° N – 16°55’ W…”

Dopo alcune settimane trascorse a “Betasom”, al comando del capitano di corvetta Enrico Bertarelli il Baracca fu destinato a una nuova missione in Atlantico e raggiunse la sua zona di agguato, a Ovest delle coste scozzesi tra i meridiani 15° e 20° W, ove si trattene tra il 1° e il 17 novembre 1940.

Il Baracca attaccò, senza tuttavia affondarli, un piccolo mercantile (il 31 ottobre, durante la navigazione di trasferimento) e una petroliera (il 9 novembre). Il 16 novembre, ricevuto un segnale di scoperta di un convoglio diretto a ponente, ne tentò l’avvicinamento; durante la navigazione di rientro, la sera del 18 novembre, il battello italiano intercettò il piroscafo da carico britannico Lilian Moller che venne affondato con due siluri. Ma, sull’affondamento del Lilian Moller, lasciamo la parola al com.te Cacace:

“Mi trovavo di servizio sulla falsatorre e, con il binocolo, avvistai il fumo di un piroscafo all’orizzonte. Passai subito tutte le informazioni al Comandante, che si trovava dabbasso in camera di manovra, e il Baracca si mise ben presto all’inseguimento del mercantile nemico. La cosa risultò parecchio difficile, perché eravamo ormai all’imbrunire e – in quelle latitudini – l’oscurità cala presto ed è subito molto fitta… non persi quindi mai di vista il fumo del piroscafo continuando a segnalarne la posizione… Alla fine raggiungemmo la distanza utile per il lancio e, con due siluri, colpimmo il Lilian Moller che affondò in posizione 52°57’N – 18°05’W. Purtroppo non vi furono sopravvissuti…”

Il Maggiore Baracca rientrò nuovamente a Bordeaux, dove Amedeo Cacace trovò ad attenderlo gli ordini che lo trasferivano nel teatro operativo del Mediterraneo; tuttavia, sono numerosi i ricordi delle due missioni in Atlantico:

“Ogni volta che uscivamo o entravamo dall’estuario della Gironde venivamo attaccati da velivoli britannici, e fummo sempre molto fortunati a non essere colpiti e affondati; questi momenti erano forse i più drammatici di ogni missione… La vita a bordo non era delle più facili, al fine di non intasare l’unico WC presente a bordo l’equipaggio utilizzava la coperta per l’espletamento delle proprie necessità “corporali” ma – se non altro – nella nostra permanenza all’esterno potevamo avvalerci di capi di abbigliamento pesanti forniti dagli alleati germanici… Infatti, eravamo stati destinati in Atlantico avendo in dotazione il normale vestiario previsto per le consuete missioni in Mediterraneo, e il freddo si era fatto sentire sin da subito durante la nostra prima navigazione oceanica. Al rientro da questa missione i tedeschi   ci fornirono così di cappotti, impermeabili in tela cerata, maglioni ecc. che consentivano di proteggerci dal freddo durante il servizio in falsatorre e in coperta…"

Il guardiamarina Cacace imbarcò sul sommergibile Zoea (uno dei tre battelli posamine della classe “Foca”) il 2 febbraio 1941, e il battello iniziò subito a venire impiegato per il trasporto di rifornimenti verso il fronte dell’Africa settentrionale. La scelta dello Zoea (e di altri sommergibili) per questo particolare ruolo era dovuta al fatto che gli ampi spazi presenti a bordo per il trasporto delle mine potevano essere utilizzati per stivare viveri, munizioni e combustibili.

Un’immagine prebellica (1938) del sommergibile posamine Zoea, in manovra nel Mar Piccolo a Taranto. (Coll. A. Fraccaroli)

Fu questa una particolare attività che coinvolse numerosi battelli italiani durante tutto il conflitto, e testimonia non soltanto le difficili condizioni (e le missioni spesso “impossibili”) in cui operavano i sommergibili adibiti a questo compito, ma soprattutto la precarietà della situazione “trasporti” verso il fronte libico, precarietà che rendeva necessario l’impiego di unità militari, anche di superficie. Ad esempio, come ricordato nel capitolo sull’amm. Marabotto, nel corso di una di queste missioni andarono perduti gli incrociatori Alberto di Giussano e Alberico da Barbiano, e durante le ultime fasi della campagna di Tunisia furono numerosi i cacciatorpediniere (diversi dei quali furono affondati da mine e nel corso di attacchi aerei) impiegati per il trasporto veloce di truppe e rifornimenti.

L’importanza dell’attività dello Zoea e degli altri battelli impiegati per il rifornimento dell’Africa settentrionale è testimoniata da questo episodio che Amedeo Cacace ricorda ancora con orgoglio:

“Eravamo appena giunti a Bardia al termine di una missione di rifornimento nel maggio 1941 e l’equipaggio stava procedendo allo sbarco del carico, costituito da 80 tonnellate di benzina in fusti da 40 litri. All’improvviso, giunsero sottobordo allo Zoea alcune autovetture “Horch” tedesche con le insegne del Deutsche Afrika Korps, e da queste discesero diversi ufficiali che indossavano la classica divisa khaki dei militari germanici destinati in Africa. Subito non facemmo caso alla presenza degli ufficiali, ma la nostra sorpresa fu grande quando a bordo si presentò il generale Erwin Rommel, comandante dell’Afrika Korps! Il generale Rommel, come ci disse l’interprete, aveva voluto venire personalmente a bordo dello Zoea per ringraziare l’equipaggio che aveva trasportato del prezioso combustibile, in assoluto il rifornimento più importante per i suoi reparti corazzati che, nella mobilità e nella rapida dislocazione sul fronte, individuavano la loro arma vincente…"

Bardia (Libia), maggio 1941. Il generale tedesco Erwin Rommel in visita a bordo dello Zoea per ringraziare personalmente l’equipaggio del battello che aveva trasportato 80 tonnellate di benzina per la sua armata corazzata. L’allora guardiamarina Cacace è il primo a destra, con il binocolo al collo. (g.c. com.te A. Cacace)

Alcune settimane dopo, durante un’altra missione di rifornimento, lo Zoea abbatté, con le sole mitragliere di bordo, un quadrimotore “Sunderland” della RAF: fu questo uno dei pochi casi di tutto il conflitto in cui un nostro sommergibile riuscì ad abbattere uno di questi micidiali idrovolanti utilizzati dall’aviazione britannica proprio per la caccia ai battelli italiani e tedeschi, tanto nel Mediterraneo quanto nell’Atlantico.

Il 14 ottobre 1941 Amedeo Cacace sbarcò dallo Zoea che, qualche giorno prima, era “affondato” all’ormeggio della banchina sommergibili di Taranto a causa di un’errata manovra delle valvole di presa a mare, durante un ciclo di lavori in arsenale.


Taranto, esatte 1941. Le camicie dei periscopi e l’antenna del radiogoniometro dello Zoea emergono parzialmente dalle acque del Mar Piccolo, dove il battello è accidentalmente affondato, probabilmente per un‘errata manovra degli sfoghi d’aria dei doppifondi o delle valvole di presa a mare. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)

Poiché i lavori di recupero e ripristino del battello avrebbero richiesto diverse settimane, con il “pagato” del 18 novembre 1941 il g.m. Cacace ricevette ordini per un “temporaneo imbarco” sul nuovo, grande sommergibile Ammiraglio Cagni, entrato in servizio nell’aprile precedente. Amedeo Cacace rimase a bordo del Cagni sino al 3 gennaio 1942, ma in un futuro a lui ancora sconosciuto avrebbe nuovamente imbarcato, e per lungo tempo, su questo battello…

Il 4 gennaio 1942 ripresero le navigazioni con lo Zoea, e Amedeo Cacace partecipò anche a una missione di trasporto rifornimenti a Lero: partito da Taranto lo Zoea diede fondo a Porto Lago, sulla costa meridionale di Lero (Dodecaneso italiano), rientrando subito dopo alla base di partenza. Ripresero quindi le “consuete” missioni di trasporto carburanti e munizioni in Africa settentrionale, e nel corso di una di queste…

“… fummo avvicinati da un velivolo sconosciuto che iniziò una serie di manovre sospette, manovrando come se si stesse preparando ad attaccarci con bombe o siluri. In considerazione della forte superiorità aerea britannica nella zona, e visti i movimenti del velivolo ritenuto nemico, venne battuto il “posto di combattimento” e gli armamenti delle nostre mitragliere fecero fuoco più volte contro l’aeroplano, tuttavia senza colpirlo. Dopo aver circuitato parecchio sopra lo Zoea, il velivolo si avvicinò (sempre con movimenti “sospetti”) e solo allora potemmo osservare le insegne tedesche sulle ali e sulla fusoliera. Cessammo immediatamente il fuoco, ma i piloti germanici – evidentemente quasi per vendicare l’ “affronto” subito – fecero fuoco contro lo Zoea a distanza e senza colpirlo, quando sapevano benissimo che il mancato rispetto da parte loro delle procedure per l’identificazione era stato la causa della nostra reazione. Fummo lieti, qualche tempo dopo, quando giunse a bordo una lettera proveniente dal comando del X° CAT , con la quale venivano rivolte scuse ufficiali allo Zoea per l’errato comportamento dell’equipaggio di quel loro velivolo…"


Un dettaglio della falsatorre dello Zoea, mimetizzato, nel 1942. (Coll. E. Bagnasco)

Il sommergibile posamine Marcantonio Bragadin (qui in una fotografia scattata a Venezia sul finire degli anni Trenta), a bordo del quale Amedeo Cacace imbarcò temporaneamente nell’aprile del 1942. (Coll. E. Bagnasco)

La permanenza di Amedeo Cacace a bordo dello Zoea, interrotta da un “temporaneo imbarco” (1° / 22 aprile 1942) sul Marcantonio Bragadin (2), si concluse il 5 settembre 1942.

Monfalcone, 20 luglio 1940. Il sommergibile oceanico Ammiraglio Cagni è appena sceso in mare dallo scalo di costruzione dei cantieri Riuniti dell’Adriatico. (Coll. M. Brescia)

Una fase della cerimonia della consegna alla Marina dell’Ammiraglio Cagni, avvenuta il 1° aprile 1941 a Monfalcone. A bordo del battello, già mimetizzato, oltre all’equipaggio imbarcano autorità civili e militari e dirigenti del cantiere di costruzione. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)

Amedeo Cacace, nel frattempo promosso sottotenente di vascello, ricevette ordini per raggiungere a La Maddalena il sommergibile oceanico Ammiraglio Cagni con l’incarico di ufficiale di rotta. Al comando del c.f. Carlo Liannazza (3), il Cagni lasciò la base sarda il 6 ottobre, e sei giorni dopo forzò lo stretto di Gibilterra.

Il 3 novembre 1942, all’interno della propria zona di operazioni nel Golfo di Guinea, con un attacco diurno in immersione, il Cagni silurò e affondò il mercantile britannico Dagomba (di 3.845 t.s.l.), Si trattava di un piroscafo isolato, disperso dal convoglio TS 23 che aveva lasciato Takoradi (Ghana) diretto nella Sierra Leone. Dell’equipaggio del Dagomba sopravvissero 23 uomini, e a bordo del Cagni si pensò di soccorrere i marinai britannici, che apparivano in difficoltà a bordo delle scialuppe di salvataggio, a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Ricorda con semplicità il comandante Cacace:

“Portammo il Cagni in emersione tra i detriti dell’affondamento, nelle vicinanze delle scialuppe di salvataggio. Facemmo comprendere, a gesti e a parole, le nostre intenzioni e, una volta affiancate le due scialuppe, passammo ai superstiti viveri, acqua, generi di conforto e anche una carta nautica ove segnammo la rotta che avrebbero dovuto seguire per raggiungere la costa più vicina. Si trattava di uomini come noi, e c’era solo da sperare che – se ci fossimo dovuti trovare nelle loro condizioni – ci potesse venire riservato il medesimo trattamento…”

Un’immagine risalente ai primi anni Trenta del mercantile britannico Dagomba. Il Dagomba sarà affondato in Atlantico dal Cagni il 3 novembre 1942, durante la prima missione oceanica del battello italiano. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)


Alcuni superstiti dell’equipaggio del Dagomba in due immagini scattate – probabilmente – durante il rientro in Inghilterra dal Senegal. I naufraghi del Dagomba erano stati riforniti di viveri e altri generi di conforto dall’equipaggio del Cagni, successivamente al siluramento della nave. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)

Il comportamento dell’equipaggio del Cagni trova riscontro in quella che è sempre stata una norma di comportamento degli equipaggi italiani in generale, e di quelli dei nostri sommergibili destinati in Atlantico in particolare. Tutti conoscono la vicenda del Cappellini che, al comando del c.c. Salvatore Todaro, la notte sul 15 ottobre 1940, intercettò in Atlantico il piroscafo armato belga Kabalo, che venne affondato a cannonate. Dopo l’affondamento, il comandante Todaro decise di rimorchiare la lancia di salvataggio della nave vicino a terra, e quando quest’ultima cominciò a fare acqua, trasferì l’equipaggio del piroscafo sul sommergibile. I 26 naufraghi trovarono sistemazione nella falsatorre, e dopo tre giorni di navigazione, furono sbarcati in una insenatura dell’Isola Santa Maria delle Azzorre.

L’umanità e il coraggio del comandante Todaro (che in seguito avrebbe comandato i reparti d’assalto di superficie della Xa Flottiglia MAS, cadendo in combattimento il 13 dicembre 1942) sono passati alla storia e non necessitano di ulteriori commenti: l’equipaggio del Cagni, il 3 novembre 1942, seppe ugualmente tenere alto l’onore della Regia Marina in circostanze del tutto analoghe (4).

Il 29 novembre 1942, durante la navigazione verso il Capo di Buona Speranza, il Cagni attaccò col siluro il piroscafo greco Argo, affondandolo in posizione 34°53’S – 17°54’E.

Un’immagine prebellica (1928) del mercantile San Josè, all’epoca appartenente alla compagnia norvegese “A/S Bonheur”. Nel 1939 venne ceduto ad una compagnia greca che ne mutò il nome in Argo; il piroscafo verrà colato a picco dal Cagni il 29 novembre 1942, al largo delle coste dell’Africa australe. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)

Continuano i ricordi del com.te Cacace:

Era previsto che il Cagni, grazie alle sue grandi dimensioni e all’elevata autonomia, si dirigesse verso l’Oceano indiano per continuare la lotta al traffico mercantile alleato nelle acque ad Est dell’Africa meridionale. Tuttavia, a Sud del capo di Buona Speranza non fu possibile incontrare un’unità ausiliaria tedesca che avrebbe dovuto rifornirci di nafta; facemmo quindi rotta verso nord e nella zona dell’equatore ci incontrammo con il sommergibile Tazzoli. Purtroppo, le avverse condizioni meteo impedirono di trasferire a bordo di quel battello otto siluri che aveva ancora in dotazione; iniziammo quindi la navigazione di rientro verso Bordeaux e, il 15 febbraio 1943, fummo attaccati da un “Sunderland” britannico nel Golfo di Biscaglia. I danni non furono gravi, ma le raffiche di mitragliera partite dal quadrimotore uccisero un Sergente armaiolo e ferirono un cannoniere…”

Anche se il Cagni non poté completare la sua missione, questa crociera durò 136 giorni ed è quindi la più lunga navigazione di guerra eseguita da una nave militare italiana nel corso del secondo conflitto mondiale. Come riporta la storia ufficiale della Marina, “… nel corso di questa missione … il Cagni diede prova di essere comandato ed equipaggiato da uomini di grande capacità professionale e di possedere un elevatissimo grado di efficienza; non ebbe infatti a lamentare avarie di alcun genere …”.

Il Cagni partì da Bordeaux per la sua ultima missione il 29 giugno 1943, al comando del c.f. Roselli Lorenzini (5): questa volta gli ordini erano ancora più complessi perché era previsto che il battello italiano, dopo aver attaccato il traffico nemico in Atlantico e nell’Oceano Indiano, raggiungesse Singapore. Una volta giunto nel porto asiatico, il Cagni avrebbe dovuto imbarcare un carico di rame e stagno (metalli fondamentali per l’industria bellica dell’Asse) e fare rientro a “Betasom” in navigazione occulta, senza esplicare attività offensiva durante la navigazione di rientro.

Il 25 luglio 1943, nel Golfo di Guinea alle ore 01.45 locali, il Cagni avvistò un convoglio britannico composto da una grande nave da guerra scortata da alcuni cacciatorpediniere e corvette. L’ufficiale di rotta (si trattava proprio dell’stv Cacace…) diresse con perizia il battello nella manovra di attacco al convoglio e, in breve tempo, il Cagni lanciò una salva di siluri contro la nave più grande della formazione nemica, identificata come una portaerei ausiliaria. Due siluri giunsero a segno, e a bordo del Cagni (immersosi nel frattempo per sfuggire alla reazione a/s delle unità di scorta), furono udite due distinte esplosioni. Il comandante Roselli Lorenzini ritenne pertanto di aver affondato l’unità inglese, e manovrò con perizia il battello sino alle ore 17.00, quando cessò finalmente il lancio di bombe di profondità da parte dei caccia e delle altre navi scorta britanniche.

Il “liner” Asturias nel 1938: poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale fu requisito dalla Royal Navy e armato come incrociatore ausiliario. Sarà danneggiato gravemente dai siluri del Cagni nel Golfo di Guinea il 25 luglio 1943. (Coll. M. Brescia)

L’unità attaccata era in realtà l’incrociatore ausiliario HMS Asturias, una grande nave passeggeri armata con numerosi pezzi di artiglieria ed equipaggiata con una catapulta e due idrovolanti. Ancorché gravemente danneggiato dai siluri del Cagni, l’Asturias – assistito da una corvetta e rimorchiato da una nave salvataggio olandese, riuscì a raggiungere Freetown il 1° agosto. I danni furono tuttavia gravissimi, e l’Asturias poté rientrare in servizio solamente parecchi mesi dopo la fine del conflitto.

Per la perizia, il coraggio e la freddezza dimostrate nell’azione, Amedeo Cacace fu in seguito decorato con una Medaglia di Bronzo al V.M., ma il nostro comandante preferisce rimarcare che

“L’attacco all’Asturias ebbe luogo proprio il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo depose il Capo del Governo dando avvio a quella drammatica serie di eventi che avrebbero portato all’8 settembre… Captammo difatti alla radio le trasmissioni provenienti dall’Italia che ci informavano su questo evento, ma tutti a bordo del Cagni avevano fatto il loro dovere e avevano l’intenzione di continuare a farlo: certo, lo spirito dell’equipaggio era ben diverso da quello delle missioni precedenti, poiché da tempo sapevamo tutti che la guerra aveva preso una brutta china e poteva ormai essere considerata perduta. Ma lo spirito di corpo, l’attaccamento alla Regia Marina e l’amor di Patria ci consentivano di continuare le nostre attività e di portare avanti la nostra missione con abnegazione e senso del dovere…”.

Il 28 agosto 1943 il Cagni entrò nell’Oceano Indiano, facendo rotta verso Singapore alla massima velocità consentita dai suoi motori diesel quando, l’8 settembre, vennero ricevute a bordo alcune trasmissioni radio provenienti dall’Inghilterra che comunicavano l’avvenuta firma dell’armistizio; nei giorni successivi, queste notizie furono confermate anche da Radio Roma, insieme alle istruzioni di raggiungere porti alleati dirette a tutte le navi italiane.

“Il comandante Roselli Lorenzini seppe gestire, al tempo stesso con ‘democrazia’ e fermezza, la situazione: alcuni uomini dell’equipaggio intendevano proseguire la navigazione, altri avrebbero preferito rientrare a Bordeaux… Alla fine il comandante seppe convincere tutti che il nostro dovere era quello di eseguire gli ordini impartiti da S.M. il Re. Probabilmente aveva già capito che – solo così facendo – la Regia Marina poteva mantenere quanto più possibile intatte la sua forza e la sua credibilità, e ben presto tutti convennero con Roselli Lorenzini che questa era la via da seguire… Facemmo quindi rotta verso Durban (costa orientale del Sud-Africa), ed entrammo in quel porto alle 23.30 del 19 settembre 1943…”.


20 settembre 1943. Il sommergibile Ammiraglio Cagni in manovra nelle acque del porto di Durban, in Sud Africa, dove verrà internato. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)

I rapporti con le locali autorità britanniche non furono subito dei migliori: agli iniziali sospetto e diffidenza fecero seguito anche veri e propri atti di prevaricazione:

“Un giorno verso la fine di settembre alcuni ufficiali della Royal Navy salirono a bordo e cominciarono a impadronirsi di binocoli, sestanti, strumentazione varia e altri elementi dell’allestimento… (ciò – tra l’altro – in contrasto con le clausole armistiziali in base alle quali le Regie Navi non avrebbero mai dovuto ammainare la bandiera, mantenendo quindi inalterate le proprie prerogative e sovranità – n.d.r.). … Il comportamento di Roselli Lorenzini fu, come in tutte le altre occasioni, fermissimo ed esemplare: “sbarcò” senza tanti complimenti gli ufficiali della Royal Navy e comunicò al locale Comando britannico che era pronto anche ad autoaffondare immediatamente il Cagni se simili episodi si fossero ripetuti. La durezza e la chiarezza con cui il nostro comandante si rivolse agli inglesi consentirono di sbloccare ben presto la situazione e, dopo i primi di ottobre, l’equipaggio del Cagni (che viveva in condizioni disagiate a bordo del battello), fu trasferito a terra in un campo ove – con svariate comodità – erano alloggiati numerosi ufficiali della Marina britannica…”

La situazione era mutata completamente, e gli italiani del Cagni seppero ben presto acquisire una posizione di “preminenza”:

“Una volta giunti nel campo a terra, il personale di cucina del Cagni avviò subito un “servizio mensa” che – con le non molte risorse disponibili – consentiva tuttavia di disporre di un “menù” ottimo e abbondante, secondo le migliori tradizioni della cucina italiana. La fama dei nostri cuochi fu anzi tale che gli ufficiali inglesi che alloggiavano insieme a noi facevano la fila (e pagavano regolarmente il conto…) pur di poter pranzare e cenare alla nostra mensa…”

Il Cagni fu sottoposto ad un ciclo di lavori di raddobbo nell’Arsenale di Durban, e l’8 novembre 1943 iniziò la navigazione di rientro verso l’Italia. Dopo aver sostato a Mombasa e Aden, il battello transitò nel Canale di Suez giungendo ad Haifa, ove l’equipaggio trascorse le festività natalizie. Ricorda ancora il comandante Cacace:

“Durante la nostra permanenza ad Haifa salirono a bordo ufficiali del genio navale delle Marine britannica e americana; tutti rimasero stupiti dalle caratteristiche tecniche del nostro battello, le cui prestazioni ed armamento ne facevano una vera e propria unità “oceanica” paragonabile alle migliori realizzazioni della Kriegsmarine, della Royal Navy e dell’U.S. Navy. In particolare, il possente armamento (14 tubi lanciasiluri, con una dotazione massima di 42 armi, e due cannoni da 100/47) facevano dei battelli della classe “Cagni” delle unità potenti e ben equilibrate, contraddistinte da ottime doti di velocità e autonomia. E’ un vero peccato che gli altri tre battelli della classe (Ammiraglio Caracciolo, Ammiraglio Millo e Ammiraglio Saint-Bon) siano andati perduti poco dopo l’entrata in servizio, anche perchè impiegati in ruoli diversi da quelli per cui erano stati progettati e costruiti… il solo Ammiraglio Cagni sopravvisse al conflitto e fu demolito nel 1948…”

Il 4 gennaio 1944 il Cagni ormeggiò a Taranto, alla banchina sommergibili dell’Arsenale, concludendo una missione iniziata più di sei mesi prima a Bordeaux nel corso della quale erano state affondate due navi alleate, danneggiata una terza, con il periplo dell’Africa e durante la quale erano avvenute le drammatiche vicende – navali, militari e politiche, ma soprattutto umane – che avevano coinvolto le vite e le coscienze degli uomini dell’equipaggio successivamente alla proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943.


Il Cagni nell’Arsenale di Taranto, nel 1945, all’ormeggio tra un altro sommergibile e una corvetta tipo “Gabbiano” (coll.E.Bagnasco)

Poche settimane dopo, Amedeo Cacace si congedò dalla Regia Marina che – in seguito alle riduzioni di mezzi e personale dovute alla nuova posizione di co-belligeranza assunta dall’Italia – favoriva l’ “esodo” di talune aliquote di personale, ormai eccedente le proprie necessità.

L’stv Cacace prese quindi servizio a bordo del mercantile Sfinge che, sin dalle prime settimane successive all’armistizio, era impiegato nel cabotaggio tra i porti dell’Italia meridionale. La permanenza del nostro comandante a bordo dello Sfinge si protrasse sino al 1946, quando entrò a far parte dei cinquanta equipaggi italiani che, a bordo della m/n Sestriere, furono inviati negli Stati Uniti per prendere in carico i primi “Liberty” destinati all’Italia, in base al “Piano Marshall”, per la ripresa dei traffici mercantili nazionali. Per un certo tempo, Amedeo Cacace navigò anche su una di queste unità: il Sirena (ex Alexander Mitchell), sbarcando nel 1952.

Sul finire del 1952 Amedeo Cacace ebbe notizia che il Corpo dei Piloti del Porto di Savona bandiva un concorso per coprire alcune nuove posizioni: con lo spirito di intraprendenza che lo aveva caratterizzato negli anni di guerra, il nostro comandante partecipò al concorso risultando vincitore e – dal 1953 al 1984 – fece parte dei Piloti della nostra città. Anzi, dal 1972 e sino alla pensione, ricoprì l’incarico di Capo dei Piloti del Porto di Savona, meritando la stima di tutti gli operatori dello “shipping” (e non solo savonese…) per le sue doti professionali e di profonda umanità.

1973: Amedeo Cacace a Livorno riceve l’abbraccio dell’amm. sq. Giuseppe Roselli Lorenzini, Capo di Stato Maggiore della Marina, già suo comandante sul Cagni nel 1943. (g.c. A. Cacace)

Nel frattempo, transitato alla forza “ausiliaria” della Marina Militare, Amedeo Cacace venne promosso più volte, sino a raggiungere il suo attuale grado di capitano di fregata del Corpo di Stato Maggiore.

Uno solo è oggi il rammarico di Amedeo Cacace, e le sue parole sull’argomento sono forse la migliore conclusione di queste note:

“Nel 1986, per il tramite dell’Ufficio Storico della Marina Militare, ricevetti la copia di una lettera inviata da un ex-marittimo inglese, Mr. David Mac Connell, imbarcato sull’Asturias all’epoca del siluramento da parte del Cagni il 25 luglio 1943. Mr. Mac Connell richiedeva notizie sul sommergibile che aveva silurato la sua nave in Atlantico, e i responsabili dell’Ufficio Storico mi avevano inviato la lettera in quanto – già all’epoca – ero uno dei pochi ufficiali “superstiti” dell’equipaggio del Cagni… Ancora oggi sono veramente dispiaciuto di non aver avuto la possibilità di organizzare un incontro con questo ex-nemico che, prima di tutto, era un uomo e un marinaio come me e che, anche se su un fronte opposto al mio, aveva condiviso le mie medesime esperienze di mare e di guerra negli anni ormai lontani del secondo conflitto mondiale…”


Una recentissima immagine del comandante Amedeo Cacace scattata nel corso di una manifestazione organizzata dal Gruppo A.N.M.I. di Savona, di cui è uno dei Soci più anziani e rappresentativi. (Foto L. Ghersi)

Note

(1) C1Cl “E” – ovvero “comune di prima classe”, categoria Elettricisti

(2) Il Bragadin era un altro sommergibile posamine, che costituiva una classe con il gemello Filippo Corridoni. Questi due battelli (entrata in servizio: novembre 1931) erano più vecchi rispetto allo Zoea e furono impiegati principalmente per il rifornimento di basi avanzate durante tutto il corso del conflitto. Vennero entrambi radiati nel 1948.

(3) A bordo del Cagni imbarcava anche il c.c. Giuseppe Roselli Lorenzini, destinato a sostituire il c.f. Liannazza al termine della missione.

(4) I “casi” delle vicende belliche sono tuttavia molto più complessi… I fatti che seguono sono stati narrati all’autore dal segretario del Naval Photograph Club, Mr. Mike Cooper, nell’ambito di uno scambio di e-mail che ha permesso di reperire alcune fotografie che illustrano l’articolo. Mr. Cooper, che nel dopoguerra navigò con la compagnia britannica Elder Dempster (cui apparteneva il Dagomba), riporta che conobbe uno steward di nome James Cowan, imbarcato sul Dagomba al momento dell’affondamento,: mentre Mr. Cowan conservava un ottimo ricordo dell’equipaggio del Cagni (che, ricordiamolo, aveva affondato la sua nave!), aveva invece una pessima opinione – che rasentava l’odio – nei confronti dei francesi che avevano raccolto i naufraghi del Dagomba su una spiaggia del Senegal (all’epoca colonia francese), trattandoli con estrema rudezza. Questo è il testo inglese della testimonianza raccolta da Mr. Cooper: “The survivors were badly treated by the French in Senegal.  I can remember even in my time in the Company a Chief steward named Jimmy Cowan who loathed and detested the French and wouldn't have a good word to say about them… he was a Dagomba man!”.

(5) Giuseppe Roselli Lorenzini, nel dopoguerra, avrebbe ricoperto importanti incarichi nella ricostituita Marina Militare, sino a diventarne il Capo di Stato Maggiore nel periodo 1970-1973.

--------------------------------------------

Bibliografia

- E. Bagnasco, I sommergibili della seconda guerra mondiale, Parma Albertelli, 1973

- E. Bagnasco, In guerra sul mare, Parma, Albertelli, 2005

- E. Bagnasco, E. Cernuschi, Le navi da guerra italiane 1939-1945, Parma, Albertelli, 2003

- E. Bagnasco, A. Rastelli, Sommergibili in guerra, 2a edizione, Parma, Albertelli, 1994

- G. Fioravanzo, La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto (vol. XV della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale”), Roma, USMM, 1962

- A. Hague, The allied convoy system – 1939/1945, Annapolis, USNI, 2000

- R. Jordan, The world’s merchant Fleets 1939, Annapolis, USNI, 1999

- F. Mattesini, Betasom, la guerra negli oceani 1940-43, Roma, USMM, 1993

- U. Mori Ubaldini, I sommergibili negli Oceani (vol. XII della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale”), Roma, USMM, 1976

- J. Rohwer, G. Hummelchen, Chronology of the war at sea 1939-1945, (2 voll.), Londra, Ian Allan, 1974

- A. Turrini, O. Miozzi, Sommergibili italiani, (2 voll.), Roma, USMM, 1999

--------------------------------------------

I sommergibili del comandante Cacace

Sommergibile Maggiore Baracca

Cantiere OTO, Muggiano

Impostazione: 1-III-1939   -   Varo: 21-IV-1940   -   e.i.s.: 10-VII-1940

Dislocamento: 1.171 tonn (in superficie), 1.406 tonn (in immersione)

Dimensioni: lunghezza 76 m, larghezza 6,7 m, pescaggio 5,21 m

Apparato motore: due motori diesel (3.500 hp) e due motori elettrici (1.500 hp)

Velocità max: 17,5 nd in superficie, 8 nd in immersione

Autonomia: 10.550 mg a 8 nd, 2.900 mg a 17 nodi (110 mg a 3 nodi in immersione)

Armamento: 1-100/47 – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 8 tls (4AV e 4AD) da 533 mm (16 siluri)

Equipaggio: 7 ufficiali e 52 tra sottuficiali, sottocapi e comuni

Classe composta da:

Maggiore Baracca, Michele Bianchi, Leonardo da Vinci, Alessandro Malaspina, Guglielmo Marconi e Luigi Torelli

Sommergibili di grande crociera a scafo semplice con controcarene, furono tutti varati dal cantiere OTO del Muggiano tra il 1939 e il 1940. Impiegati esclusivamente in Atlantico e nell’Oceano Indiano, furono battelli innovativi, i primi realizzati in Italia con scafo saldato eletricamente anziché chiodato. Il Torelli fu catturato dai giapponesi a Singapore il 10 settembre 1943, ceduto alla Kriegsmarine e nuovamente catturato dai giapponesi nel maggio 1945; fu rinvenuto danneggiato a Kobe nel settembre 1945 e demolito l’anno successivo. Gli altri cinque battelli andarono tutti perduti in Atlantico tra il 1941 e il 1943. Il Baracca, in particolare, fu affondato l’8 settembre 1941 dal cacciatorpediniere britannico HMS Broome.

Sommergibile Zoea

Cantiere Tosi, Taranto

Impostazione: 3-II-1936   -   Varo: 5-XII-1937   -   e.i.s.: 12-II-1938

Dislocamento: 1.333 tonn (in superficie), 1.659 tonn (in immersione)

Dimensioni: lunghezza 82,8 m, larghezza 7,1 m, pescaggio 5,3 m

Apparato motore: due motori diesel (2.900 hp) e due motori elettrici (1.300 hp)

Velocità max: 15 nd in superficie, 7,4 nd in immersione

Autonomia: 9.880 mg a 8 nd, 3.500 mg a 15 nodi (84,5 mg a 4 nodi in immersione)

Armamento: 1-100/43 (1-100/47 dal 1941) – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 6 tls (4AV e 2AD) da 533 mm (8 siluri) – 2 tubi posamine (16 armi); camera centrale per la posa di mine (20 armi)

Equipaggio: 7 ufficiali e 53 tra sottuficiali, sottocapi e comuni

Classe composta da:

Atropo, Foca e Zoea

Battelli posamine e siluranti a doppio scafo parziale tipo “Cavallini”, furono progettati e costruiti dai cantieri Tosi sulla base dell’esperienza fatta con il precedente Pietro Micca. La Regia Marina li utilizzò per tutto il corso del conflitto per il trasporto rifornimenti, e le missioni di posa di mine cui presero parte furono – nel complesso – molto poche. Nel corso di una di queste missioni, a ottobre del 1940, il Foca andò perduto al largo di Haifa. Atropo e Zoea, sopravissuti alla guerra, furono radiati e demoliti nel 1947.

Sommergibile Ammiraglio Cagni

Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Monfalcone

Impostazione: 16-IX-1939   -   Varo: 20-VII-1940   -   e.i.s.: 1-IV-1941

Dislocamento: 1.703 tonn (in superficie), 2.185 tonn (in immersione)

Dimensioni: lunghezza 87,9 m, larghezza 7,76 m, pescaggio 5,8 m

Apparato motore: due motori diesel + un gruppo elettrogeno (4.370 + 600 hp) e due motori elettrici (1.280 hp)

Velocità max: 16,5 nd in superficie, 8,5 nd in immersione

Autonomia: 19.500 mg a 7,5 nd, 10.700 mg a 12 nodi (107 mg a 3,5 nodi in immersione)

Armamento: 2-100/47 (I x 2) – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 14 tls (8AV e 6AD) da 450 mm (38 + 4 siluri)

Equipaggio: 7 ufficiali e 71 tra sottuficiali, sottocapi e comuni

Classe composta da:

Ammiraglio Cagni, Ammiraglio Caracciolo, Ammiraglio Millo, Ammiraglio Saint-Bon

Battelli di grande crociera a semplice scafo con controcarene, furono i più grandi battelli “oceanici” della Regia Marina. Concepiti per la lotta al traffico, erano armati con tubi lanciasiluri da 450 mm, un calibro ritenuto più che sufficiente per l’utilizzo contro il naviglio mercantile (il calibro ridotto, tuttavia, può essere una delle cause del mancato affondamento dell’Asturias). Il Cagni, unica unità della classe impiegata in Atlantico, passò in disarmo nel 1948: la falsatorre fu salvata dalla demolizione ed è conservata a Taranto, come monumento ai sommergibilisti Caduti. Gli altri tre battelli, impiegati per il trasporto di rifornimenti verso l’Africa settentrionale, furiono tutti affondati tra il dicembre 1941 e il febbraio 1942.

--------------------------------------------

I successi in Atlantico

Agios Nikolaos

(greco – affondato a cannonate dal sommergibile Baracca il 1° ottobre 1940 in posizione 40°00’N – 16°55’W)

Appartenente alla compagnia “Ioannis, Adamantios e Hadjipateras” del Pireo

Costruito nel 1915 dal cantiere Napier & Miller di Glasgow – 3.687 t.p.l., lunghezza 109 m

Lilian Moller

(britannico – silurato e affondato dal sommergibile Baracca il 18 novembre 1940 in posizione 52°57’N – 18°05’W)

Appartenente alla compagnia “Moller Line Ltd” con bandiera inglese e sede a Shanghai

Costruito nel 1917 dal cantiere Sir James Laing & Sons Ltd. di Sunderland – 4.866 t.p.l., lunghezza 117 m

Dagomba

(britannico – silurato e affondato dal sommergibile Cagni il 3 novembre 1942 in posizione 02°29’N – 19°00’W)

Appartenente alla compagnia “Elder Dempster Lines Ltd.” Di Liverpool

Costruito nel 1928 dal cantiere A mCmillan & Son Ltd. Di Dumbarton – 3.845 t.p.l., lunghezza 110 m

Argo

(greco – silurato e affondato dal sommergibile Cagni il 29 novembre 1942 in posizione 34°53’S – 17°54’E)

Appartenente alla compagnia “Argonaut Shipping Co. (E. Eugenides)” del Pireo

Costruito nel 1920 dal cantiere Wood, Skinneer & Co. di Newcastle-upon-Tyne – 3.100 t.p.l., lunghezza 90 m

Asturias

(britannico – silurato e gravemente danneggiato dal sommergibile Cagni in posizione 06°40’N – 21°00’W)

Requisito dal Ministry or War Transport e reimmesso in servizio come HMS Asturias il 28 agosto 1939

Costruito nel 1925 dal cantiere Harland & Wolff Ltd. di Belfast – 22.048 t.p.l., lunghezza 199 m

--------------------------------------------

Motivazioni delle decorazioni conferite al Comandante Amedeo Cacace

Medaglia di bronzo al V. M. - Sottotenente di vascello

"Imbarcato su Sommergibile Oceanico che durante la lunga missione negli Oceani Atlantico ed Indiano affondava una grande Portaerei Ausiliaria attaccata all'interno delle Siluranti di scorta, recava all'efficienza dei servizi il contributo delle proprie elevate qualità militari e professionali e con la pronta e precisa esecuzione degli ordini assicurava il successo del vittorioso attacco".

Oceano Atlantico e Oceano Indiano, 29 giugno 1943 -2 gennaio 1944.

Croce di guerra al V. M.  - Aspirante Guardiamarina

"Sottordine alla rotta di un sommergibile oceanico, nel corso di due lunghe missioni di guerra nell'Oceano Atlantico dimostrava profondo entusiasmo e continuo attaccamento al servizio; in particolare, durante l'affondamento col siluro di un grosso piroscafo armato nemico, era di ausilio al Comandante dimostrando alto senso del dovere e sereno

sprezzo del pericolo".

8 gennaio 1941.

Croce di guerra al V. M.  - Guardiamarina

"Imbarcato su un sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo senza misurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria".

Maggio - agosto 1941.

Croce di guerra al V. M.  - Guardiamarina

"Imbarcato su sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo

senza lisurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria"

Ottobre - dicembre 1941

Croce di guerra al V. M.  - Guardiamarina

"Imbarcato su sommergibile, in una missione di guerra coadiuvava con serenità e ardimento il Comandante nella

efficace reazione ad attacchi di aerei nemici, contribuendo all'abbattimento di un grosso apparecchio da bombardamento".

14 novembre 1941.

Croce di guerra al V. M.  - Sottotenente di Vascello

"Imbarcato su Unità subacquea partecipava con entusiasmo alla preparazione del battello per lunga missione atlantica. Durante detta missione collaborava col Comandante per 137 giorni spiegando nella quotidiana durisssima fatica spirito di sacrificio. Durante il passaggio dello Stretto di Gibilterra, l'affondamento di due mercantili e durante attacco aereo avversario esplicava con calma ed entusiasmo il proprio compito.

Oceano Atlantico, 6 ottobre 1942 - 20 febbraio 1943.

Croce di guerra al V. M.  - Sottotenente di Vascello

"Ufficiale di rotta di Sommergibile durante il terzo anno della guerra 1940-43, partecipava a numerose missioni di guerra, in acque contrastate dal nemico, assolvendo in ogni circostanza il proprio incarico con coraggio, abnegazione ed elevato sentimento del dovere".

Mediterraneo Orientale -Atlantico, 10 giugno 1942 -8 settembre 1943.

La scuola di Amedeo Cacace:

Nel 1782 furono fondate le Scuole Nautiche a Meta e Piano e quindi nel 1784 anche ad Alberi.

Nel 1863 veniva istituita la “Scuola Nautica e di Costruzione Navale” che veniva elevata poi nel 1865 ad “Istituto di Marina Mercantile” di Piano di Sorrento. Fu dal 1° Gennaio 1864 che il Prof. Sebastiano Enrico De Martino ne fu il Preside fino al 1905.

Nel 1884 la scuola assunse il nome di Nino Bixio “. Dal 1866, primo anno, e fino al 1966 – cioè in cento anni – si sono diplomati:1698 Capitani di Lungo Corso – 1350 Macchinisti Navali – 143 Capitani di Gran Cabotaggio – 2 Costruttori Navali di 1^ Classe.

1937 – CACACE Amedeo, in seguito Ufficiale di Rotta su Sommergibili Oceanici di base a Bordeaux –    pluridecorato nella 2^ Guerra Mondiale - Capo Pilota del Porto di Savona

A cura di

Carlo Gatti

Rapallo, 12.1.2013


Il Corsaro genovese GIUSEPPE BAVASTRO

GIUSEPPE BAVASTRO

Il corsaro genovese

 

Ritratto di Giuseppe Bavastro

 

La sciabola di gala di Bavastro, riccamente lavorata con accanto il fodero, é conservata a Venezia, presso il Museo Storico Navale

Il corsaro del cinema

L’audace navigatore genovese al servizio della Francia di Napoleone, condusse una spietata guerra di corsa contro le navi inglesi che assediavano il capoluogo ligure nel 1800. Dalle sue imprese esce il ritratto di un combattente feroce verso i nemici e generoso con gli amici fino alla prodigalità, temerario e passionale; un uomo che visse tra storia e leggenda.

 

Pirata o Corsaro ?

 

- Il pirata é una sorta di brigante del mare che assale e depreda navi per fini individuali compiendo un reato di diritto internazionale. Può quindi essere catturato e tradotto dinanzi ai giudici di qualsiasi Paese. Il fenomeno é ancora in corso.

 

- Il corsaro attaccava solo dietro autorizzazione del sovrano che gli dava facoltà di arrembare con una nave armata in corsa i mercantili nemici; era la cosiddetta “guerra di corsa”.

 

Famosi corsari italiani furono i liguri Enrico Pescatore, ammiraglio di Federico II di Svevia, e Giuseppe Bavastro (1760-1833) al servizio dei Francesi in epoca napoleonica. I più celebri corsari furono comunque inglesi e francesi: Francis Drake, Raleigh, Hawkins, Surcouf, Jean Bart, Duguay-Trouin, i quali resero grandi servigi alle rispettive nazioni.

 

Giuseppe Bavastro nacque a Sampiedarena il 10 maggio 1760 da una famiglia

 

della borghesia nizzarda. Praticamente analfabeta, il ragazzone alto e robusto, combattivo e indipendente, preferì infatti imbarcarsi e sfidare le intemperie nautiche e della vita avventurosa piuttosto che abbracciare una vita sicura, agiata, ma incolore.

 

Nel 1783 sposò Annetta, figlia di un locandiere francese, ma il matrimonio non gli impedì di riprendere la vita sul mare.

A 22 anni, Bavastro armò una goletta da 100 tonnellate dello zio Giovan Battista Parodi per i traffici con la Sicilia e fu proprio in quel periodo che conobbe gli scontri con i pirati algerini dai quali imparò le varie tattiche di combattimento.

 

Con la Rivoluzione Francese, nel periodo del terrore, si offrì per compiere il trasporto dei profughi e fu preso in seria considerazione quando si offrì di comandare uno dei quattro trasporti di truppe napoleoniche in Egitto senza pretendere compensi. Fedele ai francesi, nel 1800 si trasferì nella sua Genova con la moglie, ma qui visse i tragici momenti dell'assedio degli inglesi via mare, e degli austriaci via terra. In quell'occasione Bavastro si distinse forzando ripetutamente il blocco navale con le sue piccole imbarcazioni, al servizio dell'amico generale Andrea Massena. Il suo nome ed il suo coraggio passarono alla storia della nostra regione per un’impresa davvero eroica. Ogni notte una nave inglese s’avvicinava indisturbata al porto e lanciava proiettili di bombarde su Genova.

Sciabecco arabo

 

A Bavastro venne in mente una missione suicida: armò una vecchissima galea, provvista di soli tre cannoni, imbarcò una schiera di galeotti al remo, un equipaggio di coraggiosi incursori e, contando sulla sorpresa, uscì dal porto e mise la prua sulla nave inglese mentre stava salpando. Ma questa volta, nelle tenebre di una notte illune, si nascondeva un “genovese” che la sapeva più lunga del diavolo e, appena fu a tiro,  armò i cannoni e fece fuoco contro lo scafo inglese. I suoi colpi partirono improvvisi, veloci e precisi e tagliarono in due lo scafo degli assedianti. Purtroppo, le navi della flotta inglese che componevano il blocco, non erano distanti e attaccarono a loro volta la vecchia galea che puntando sull’agilità riusciva ad evitare le cannonate con rapide accostate. Agli inglesi non rimaneva che la tattica dell’abbordaggio avendo per obiettivo la cattura di quello sfacciato corsaro che aveva osato tanto contro le navi di sua maestà. Bavastro non ebbe il tempo di fuggire, ma non volle neppure  indietreggiare. Fu circondato e continuò a combattere in violenti corpo a corpo sul ponte della galea. Resistette ancora un’ora poi, ricordandosi d’essere un formidabile nuotatore, si tuffò in mare e sparì dalla vista del nemico. Il generale Massena, suo vecchio amico d’infanzia, conosceva le sue vie di fuga come pochi altri, e lo fece recuperare da un gozzo posizionato da tempo come “civetta” in quel braccio di mare.

 

Nel 1806 Napoleone incoraggiò  la guerra di corsa e in questa sua specialità Bavastro s’impegnò da protagonista con continui abbordaggi e atti di pirateria basati sulla rapidità della manovra.

 


 

Sciabecco arabo

 

Per questo tipo di d’ingaggio, Bavastro usava vecchi ma affidabili sciabecchi come l’Intrepido, armato di  soli quattro cannoni, che manovrava con la sua eccezionale capacità. In questa fase si rafforza la leggenda dei duelli vincenti contro gli abili corsari inglesi che conducevano un'analoga guerra nel Mediterraneo. I suoi scafi antiquati e la sua ridotta capacità di fuoco, inducevano il nemico a sottovalutarlo fino a farlo avvicinare oltre ogni limite di prudenza. Ciò che ne seguiva per il suo intrepido coraggio era solo routine. Giustamente fu definito dai genovesi il classico “gundun”.

 

Celebre fu l’episodio che lo vide, presso le Isole Baleari, attaccare e mettere alle strette la grande fregata inglese Phoenix. Anche quella volta Bavastro era al comando di una  nave molto obsoleta rispetto alle navi inglesi, ma questa volta era armata con 14 cannoni.

 

Il corsaro genovese Giuseppe Bavastro si sposta successivamente nell’Adriatico

 

per istruire e rinforzare le file dei corsari che agiscono dall’operoso porto di Ancona. La sua strategia di base é sempre la stessa: un piccolo e antiquato  sciabecco come il “Massena” che non desta alcun sospetto nella marina austriaca, ma che é veloce, ben armato di cannoni moderni e di tanto coraggio.

 

I danni che procura sono peggio della grandine...

 

Ricevette varie onorificenze: l'ascia d'onore per meriti marittimi, la rosetta d'ufficiale della Legion d’Onore, il grado onorario d Capitano di Fregata. Napoleone in un colloquio diretto con lui lo definì l'unico mio Ammiraglio vittorioso.

 

Bavastro rimane, tuttavia, un fighter solitario che agisce improvvisando tattiche basate sul coraggio. Si sceglie accuratamente l’equipaggio  che più gli assomiglia, ma lui solo decide quando e come attaccare il nemico. I suoi principi basati sull’individualismo gli impediscono di inserirsi in una struttura militare organizzata e quando nel 1806 Massena lo chiama a Napoli per dargli il comando della corvetta Fama della Marina del Regno si sente a disagio e preferisce riprendere la sua guerra da corsa.

 

Al comando del Principe Eugenio, armata di 16 cannoni, compie altre storiche  imprese contro navi inglesi sempre più potenti, ma soccombe e perde il suo “legno”. Si salva con pochi uomini nell’unico modo che conosce: raggiungendo a nuoto la lontana riva di Tarragona. Qui trova il modo di organizzarsi recuperando il brigantino Fanny, naviglio corsaro inglese che aveva precedentemente conquistato. Con esso riprende la sua guerra da corsa. A bordo di questa veloce imbarcazione opera ancora a lungo nel Mediterraneo spagnolo.

 

Bavastro era affascinato dall'imperatore Napoleone e quando questi cadde in disgrazia pensò di liberarlo dalla reclusione dell’Isola d’Elba, ma dovette rinunciare.Conclusa l'era napoleonica, Bavastro vide respinta la sua richiesta d'iscrizione nei quadri della marina sarda, memore delle sue imprese da corsaro napoleonico. Reagì a quella delusione mettendosi a disposizione di Simon Bolivar in America Latina. Terminata la guerra di liberazione del Venezuela, ritornò in Mediterraneo al servizio della Francia. Grazie alla perfetta conoscenza della lingua francese e di quella arabo-algerina, divenne CADI (magistrato mussulmano di nomina politica cui si demandava l’amministrazione della giustizia ordinaria). In seguito divenne Comandante del Porto di Algeri. Questa splendida città era stata a lungo scalata dal corsaro genovese, sia in tempo di pace con le navi da carico, sia in tempo della guerra “di corsa” in epoca napoleonica.

 

Il re di Francia Luigi Filippo nel 1832 gli concesse la cittadinanza francese. Nel marzo del 1833, mentre si trovava ad Algeri, Bavastro fu colto da malore e dopo 10 giorni morì, a 73 anni ancora da compiere. Le ultime sue parole pare siano state: “Aprite le finestre, voglio vedere il Mare”.A Genova-Pegli gli è oggi intitolata una via. Anche a Roma gli è stata intitolata una via, in zona Ostiense. Anche a Nizza (Francia) esiste Rue Bavastro - Corsaire Niçois (via Bavastro - Corsaro Nizzardo)

 

Carlo Gatti

 

Stöia vëa de 'na Gondonata e de 'n Gondon

 

di Franco Bampi - * Presidente "A Compagna"

Zena a l'ëa 'na repubblica piccinn-a, ma ricca. A preferiva pagâ pe avei paxe e taere; a no gh'aiva sordatti e quande ghe servivan a i piggiava a pagamento. Pe questo i ciû potenti in scio-o cian militare han faeto a-i Zeneixi un mûggio de gondonate, ma de quelle cattive. E questa chì, che ve veuggio contâ, a l'é staeta proprio ben ben grossa. In to 1800 o Napolion, ch'o curriva in sà e in là pe l'Europa, o s'ëa invexendòu a fâ a guaera in to nord dell'Italia. O generale Massena, ch'o s'ëa dovùo retiâ chì a Zena, o gh'aiva l’incarego de tegnî impegnae Austriachi e Ingleixi pe-o ciû lungo tempo poscibile. Pe questo, da-o frevâ do 1800 finn-a a-i primmi de zugno do maeximo anno, Zena a l'ha dovùo patî quello che i libbri de stöia (no guaei a dî a veitae) arregordan comme "O Blocco de Zena". O l'é staeto un assedio terribile e ben ben diffiçile da violâ, ma ben ben importante pe Napolion ch'o l'é riescïo a intrâ in Milan e a guägnâ a Marengo: vittöie che han determinòu o destin de tutta l'Europa. Pe via do Blocco, a Zena o mangiâ o mancava: l'ëa sparïo da-a çittae gatti, chen, ratti e ratti pennughi. A gente a se desbëlava pe 'na feuggia de leituga marsa. I zeneixi ean costreiti a mangiâ de tutto e, comme se lëze in sci-i libbri, finn-a a mangiâse anche tra de liätri. 'Na bella gondonata, ma con morti a rëo, perché tutta questa stöia a no l'é staeta vosciùa da Zena: Zena a l'é staeta tiatro e vittima: Zena a l'ha solo patïo con sacrifissio e dignitae a voentae de 'n foresto. E da tutto questo remescio Zena a l'aviä solo da perde: e de faeti a perdiä a seu secolare indipendensa in to 1815 pe-e decisioin do Congresso de Vienna. Ma, in te quello periodo, un bello gondon, in to senso bon, o l'é staeto anche o Capitan Bavastro. Nasciùo in scia spiägia de San Pê d’Aenn-a e subito lavòu da-a seu mamà in te l'aequa do mâ, o l'é staeto quello ch'o l'é riescïo a piggiâ in gïo e nave ingleixi do Blocco co 'na vegia galëa ciammä "Prima". O Bavastro o l'ha affondòu a nave ch'a bombardava Zena. Alloa trenta ätre nave ingleixi se son misse a combatte contra de lë e doppo un terribile scontro o Capitannio o s'é sarvòu cacciandose in mâ e vegnindo a neuo verso taera. Da quella neutte i Ingleixi han smisso de bombardâ Zena.

Un bello gondon pe 'na grossa gondonata!

Traduzione:

Storia vera di un tiro mancino e di una geniale trovata

 

Genova era una repubblica piccola, ma ricca. Preferiva pagare per ottenere pace e possedimenti: non aveva soldati e quando ne aveva bisogno li assoldava. Per questo gli stati più potenti sul piano militare hanno giocato ai genovesi una quantità di brutti scherzi, alcuni anche molto crudeli. E questo che vi voglio raccontare è stato uno dei peggiori.

 

Nel 1800 Napoleone, che correva in qua e in là per tutta l'Europa, si era incaponito di far guerra nel nord dell'Italia. Il generale Massena, che si era dovuto ritirare a Genova, aveva l'incarico di tenere impegnati Austriaci e Inglesi, il più a lungo possibile. Per questo, dal febbraio del 1800 ai primi di giugno dello stesso anno, Genova ha dovuto sopportare quello che i libri di storia (non molti, a dire il vero) ricordano come "Il blocco di Genova". Si è trattato di un terribile assedio e difficilissimo da violare, ma molto importante per Napoleone che nel frattempo è riuscito a entrare a Milano e a vincere la battaglia di Marengo: vittorie che hanno determinato il destino dell'Europa intera. A causa dell'assedio, a Genova mancava il cibo: dalla città erano scomparsi gatti, cani, topi e pipistrelli. La gente si contendeva una foglia di lattuga marcia. I genovesi erano costretti a mangiare qualsiasi cosa e, come si legge sui libri, persino a divorarsi l'uno con l'altro. Un tiro mancino, con morti in quantità, perché questa storia non è stata voluta da Genova: Genova è stata teatro e vittima. La città ha solo patito con spirito di sacrificio e dignità le conseguenze della volontà di uno straniero. E da tutto questo Genova avrà soltanto da perdere, e infatti nel 1815 dovrà rinunciare alla sua secolare indipendenza per decisione del Congresso di Vienna.

 

Ma in quello stesso periodo, un bel farabutto, in senso buono, è stato anche il Capitan Bavastro. Nato sulla spiaggia di San Pier d'Arena e subito lavato da sua madre nell'acqua di mare, è stato quello che è riuscito a farla in barba alle navi inglesi del blocco con una vecchia galera chiamata "Prima". Bavastro è riuscito ad affondare la nave che bombardava Genova. Allora trenta altre navi inglesi gli si sono rivolte contro e dopo una terribile battaglia il Capitano si è salvato gettandosi in mare e raggiungendo a nuoto la riva. Da quella notte gli inglesi cessarono il bombardamento di Genova.

 

Una geniale trovata in risposta ad un tiro mancino.

 

Carlo Gatti

Rapallo, 8.12.2012

 

 

 

 

 

 

 

 


Il REX conquista il NASTRO AZZURRO

REX

BREVE STORIA DEL NASTRO AZZURRO

BLUE RIBBAND

La Hales Trophy, istituita nel 1932 dall'armatore e uomo politico inglese Harold Keates Hales, è un vero e proprio trofeo che viene tuttora conferito alla nave passeggeri che sfida l’Oceano Atlantico in entrambe le direzioni abbassando il record di velocità precedente. Questo riconoscimento non va confuso con il più informale Nastro Azzurro che va inteso come un semplice riconoscimento visivo, una striscia di seta azzurra generalmente issata sull'alberatura delle navi passeggeri di linea, e che lo hanno conquistato in servizio sulla rotta atlantica da Est verso Ovest.

Il NASTRO AZZURRO (Blue Ribbon) è il riconoscimento che viene attribuito alla nave che stabilisce il RECORD di VELOCITA’ in regolare servizio di linea, senza scali di rifornimento, tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. Non esistono regole scritte, tuttavia, i regolamenti ufficiali per aggiudicarsi il prestigioso trofeo, prevedono che le unità concorrenti siano navi mercantili regolarmente iscritte nei registri ufficiali del naviglio dello stato di bandiera, che siano ufficialmente autorizzate al servizio passeggeri, che siano abilitate al trasporto postale, che nel corso della traversata atlantica da Est ad Ovest nella quale il record viene realizzato, abbiano a bordo posta e passeggeri paganti e che siano armate con un equipaggio di cui i membri tutti, dal comandante all'ultimo, siano naviganti professionisti. Ogni Comandante può scegliere la ‘sua’ rotta, percorrere qualsiasi distanza, impiegare qualsiasi tempo; il TROFEO viene attribuito soltanto sulla base della velocità media oraria stabilita. Per tradizione, una nave può fregiarsi del Nastro Azzurro solo quando infrange il precedente record di velocità compiendo la traversata in direzione Est - Ovest, sfidando la Corrente del Golfo (Gulf Stream). Nell’epoca delle grandi sfide, la gara classica iniziava al traverso di Bishop Rock (Isole Scilly-Cornovaglia-UK), ma le navi partivano anche da Eddystone, Needles e Cherbourg; il REX partì da Gibilterra.

 

Bishop Rock

Ambrose Light V. New York

Sandy Hook Light

La corsa, nella tradizione, termina al traverso di Ambrose (Battello fanale di New York) ma può essere Boston, Halifax ecc.. I records stabiliti in senso opposto, cioé da Ovest a Est, godono comunque di un certo prestigio e vengono tuttora pubblicati generando qualche confusione. Comparando una decina di elenchi di navi vincitrici del Nastro Azzurro, pubblicati da editori di differenti nazionalità, ma anche sul web, emerge un quadro piuttosto disomogeneo. A volte l’elenco é corto e comprende solo le navi più importanti, a volte si allunga e comprende le stesse navi che hanno battuto il proprio record nello stesso anno. Purtroppo ci siamo anche imbattuti in statistiche in cui sono miscelati ‘primati’ battuti nelle opposte direzioni. Quando non corrispondono i tempi  cronometrici di partenza e d’arrivo, la velocità media oraria presenta, ovviamente, qualche piccola differenza. Si ha l’impressione che questa storia pseudo sportiva sia ‘infiltrata’ d’errori di stampa e di calcolo, con l’aggiunta di qualche Record ‘chiacchierato’ e mai accettato da tutti, ma é anche probabile che questa confusione sia stata generata dall’intrusione di esperti in altre discipline...! La presa di distanza dai ‘numeri’ della presente pubblicazione é rivolta soprattutto ai lettori più attenti che potrebbero sicuramente rilevare qualche anomalia in questo lavoretto che non ha certo l’ambizione di rimettere le cose al loro posto, né tanto meno di scoprire le ragioni di certe imprecisioni. Va anche detto, tuttavia, che i tabulati si fanno più seri e attendibili a partire dalla seconda metà della loro estensione, quando i sistemi di controllo internazionali, i riscontri radio e gli Enti delle scommesse funzionavano ormai alla perfezione. Infatti, per chi non lo sapesse, Il Nastro Azzurro (Blue Ribbon) nacque proprio dal feeling, tutto britannico, per le scommesse e per l’agonismo. Ne vale forse la pena di rievocare brevemente l’antefatto.

Armi dell’Ordine della Giarrettiera

Prima del Blue Ribbon, esisteva già il Trofeo Blue Ribband (1860) che premiava il clipper più veloce sulla rotta Cina-Inghilterra. Il trofeo discendeva dall’insegna blu del British Order of the Garter, il nobilissimo Ordine della Giarrettiera fondato nel 1348.

Nella Londra Vittoriana, con il consumo del tè, ci fu un vero cambiamento di costume nazionale, in pratica s’instaurò una moda che ebbe molte ripercussioni persino nei trasporti marittimi. L’annuale arrivo del primo carico di tè primaverile cinese era considerato il migliore. Al Capitano del clipper che arrivava per primo sui mercati, veniva consegnato un premio di 100 sterline. Questo tangibile riconoscimento diede il via ad una vera e propria corsa del tè che coinvolse navi e capitani famosi, in primo luogo il Cutty Sark che, per ironia della sorte, non riusciva ad imporsi sul diretto concorrente Thermopylae, malgrado la sua meritatissima fama. Molte furono le coppie rivali di clippers che divisero l’opinione pubblica mondiale in vere e proprie tifoserie di scommettitori e appassionati che investivano somme ingenti sulle vittorie di questi levrieri d’altura.

La macchina a vapore, inesorabilmente, subentrò alla vela e cambiò il modo di navigare e di commerciare tra le sponde degli oceani, ma rimase intatta la ‘seduzione’ proveniente dal mondo delle scommesse, alle quali si aggiunse la rivalità internazionale che si trasformò ben presto negli scellerati nazionalismi che caratterizzarono tutto il ‘900.

Fu subito chiaro a tutti, fin dalla sua progettazione, che il REX avrebbe scritto una pagina importante nella storia della navigazione.
Doveva essere il LINER più grande mai costruito sotto il Tricolore; doveva cambiare le regole dell’andar per mare, inaugurando il cosiddetto viaggio di piacere, quella ‘vacanza navale’ che da allora chiamiamo crociera; doveva essere un esempio di tecnologia unita allo stile, alla ricercatezza nei particolari, al lusso; doveva essere potente, bella, elegante, confortevole, veloce e innovativa. Fu tutto questo e altro ancora. Il REX nacque da una sfida molto ambiziosa: assicurare un collegamento tra l’Italia e New York, mettendosi in concorrenza con le già famose unità della Cunard Line e le altrettanto potenti unità tedesche, BREMEN ed EUROPA che battevano incontrastate le rotte nord-atlantiche. La sfida del REX contro il resto del mondo iniziò nel 1930 sugli scali del Cantiere Navale Ansaldo di Sestri Ponente (Genova). Il suo VARO avvenne il 1° agosto 1931. Il 2 gennaio 1932 fu sancita la fusione tra la N.G.I. (Navig.Gen. Italiana) di Genova, il Lloyd Sabaudo di Torino e la Compagnia Cosulich di Trieste. Queste tre Compagnie operavano già nel servizio transatlantico collegando i porti del Mediterraneo con il Nord America. I colori sociali delle unità delle tre flotte furono unificati.

Il com.te Antonio Lena di Riva Trigoso

Manifesto pubblicitario dell’epoca

Manifesto pubblicitario dell’epoca

Il nuovo ente si chiamò Nuova Società Italia Flotte Riunite e, proprio in quel periodo, si ritrovò sullo scalo di costruzione non solo il REX, ma anche il suo near-sister CONTE DI SAVOIA. Questo transatlantico fu costruito nei Cantieri S.Marco di Trieste e, a detta di molti, era ancora più raffinato ed elegante del REX e, a questo punto, ricordiamo con gran piacere che al comando del CONTE DI SAVOIA fu posto un altro vero uomo del ‘mare nostrum’, Antonio Lena di Riva Trigoso, considerato il più brillante Comandante dell’epoca. Con questi Giganti di Linea, l’arte della costruzione navale italiana, entrò di diritto nell’olimpo delle grandi tradizioni marinare. La loro perfetta armonia, esito felice d’eleganza e tecnica avanzata, ebbe l’ambito riconoscimento da parte della più qualificata clientela dell’epoca, che li scelse dinnanzi alle più celebrate signore dei mari che collegavano già da tempo le due sponde dell’Oceano Atlantico.

Completato l’allestimento, il REX fu consegnato il 22 settembre 1932 alla Nuova Società Italia Flotte Riunite e apparve subito ai primi visitatori come un miracolo dell’industria reso ancor più unico da quel Made in Italy destinato a diventare un’icona mondiale della bellezza, dell’eleganza, della raffinatezza e cura dei particolari. Dodici piani di lusso e innovazione, collegati con ascensori e scale. La nave accoglieva i suoi oltre duemila passeggeri tra legni pregiati, opere d’arte, ottoni finemente lavorati. In tutta la nave si respirava aria di ricercatezza, di comfort, relax e benessere esclusivo. Per allietare le traversate atlantiche il REX disponeva di due piscine, una palestra, un cinema moderno, un teatro, una libreria, uno studio fotografico ed anche una piccola Chiesa, uno studio per la fisioterapia, diversi negozi, barbieri e parrucchieri. La ristorazione era d’eccellenza. A bordo del REX era presente una tipografia con tre stampatrici in grado di pubblicare un proprio giornale chiamato Le notizie di mare. In onore della più grande nave italiana mai costruita fino a quella data, fu promossa una campagna pubblicitaria tra le più curate e costose dell’epoca. Il REX entrò in servizio sulla linea celere del Nord America il 27 settembre 1932.

Il Nastro Azzurro al suo posto


L’attestato Ufficiale

Manifesto pubblicitario

Nel 1933 il REX fu consacrato alla storia come ‘Dominatore del tempo’

Con la conquista del Trofeo IL NASTRO AZZURRO, il REX entrò nella leggenda!

RECORD UFFICIALE

4 giorni, 13 ore, 58 minuti - velocità media oraria di 28,92 nodi

(Un nodo marino corrisponde ad un miglio all’ora, il miglio marino corrisponde a 1.852 metri)

Questo dato rappresenta il Record di Velocità della traversata atlantica Gibilterra - New York. Il REX lo conquistò strappandolo al transatlantico tedesco BREMEN che lo aveva detenuto in precedenza, purtroppo, dovette consegnarlo, due anni più tardi, al mastodontico liner francese NORMANDIE. Ecco come G. Annovazzi ricorda l’impresa: “Il 10 agosto del 1933 il REX, al comando del capitano Francesco Tarabotto, partiva da Genova alle 11,30 del mattino, diretto a New York. Arrivò a Gibilterra il giorno successivo alle 5.30 del pomeriggio e ne ripartì dopo un’ora. Nei giorni 13 e 14 incontrò mare agitato e venti da Ovest e Sud-Ovest. Ed il 16 alle ore 4,40 del mattino, era al traverso del battello-fanale di Ambrose. La distanza da Gibilterra al battello-fanale di Ambrose di 3.181 miglia, venne coperta in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti, alla velocità di 28,92 nodi. Il massimo percorso effettuato in un giorno fu di 736 miglia alla velocità di 29,61 nodi. Il Nastro Azzurro conquistato dal REX fu un meritato premio al lavoro dei tecnici, delle maestranze, degli equipaggi italiani”. Il comandante Francesco Tarabotto fu rilevato quando la nave era ancora in possesso del primato dal comandante camogliese:

Vittorio Olivari (nella foto).

Cap. V. Olivari

Manifesti pubblicitari del REX

E’ inutile negarlo, il leggendario REX fu l’emblema della sfida lanciata da Mussolini a tedeschi, francesi e inglesi per la supremazia sui mari. L’idea beffarda del tragico nazionalismo, che doveva imporsi anche con i record navali, svanì con la fine della Seconda guerra mondiale, quando, come per incanto, tutto cadde nell’oblio, anche i ricordi più belli, le conquiste tecnologiche e artistiche legate a quelle meravigliose costruzioni.

Si dovette arrivare alla caduta del Muro di Berlino per togliere il velo che copriva quelle “vergogne nazionali”. Va da sé che fino a quella fatidica data, esaltare il REX ed il CONTE DI SAVOIA, in molti ambienti del nostro Paese, era interpretato come apologia di fascismo. La caduta del muro di Berlino non solo tolse il paravento a tante ipocrisie, ma ebbe il pregio di trascinare con sé quel radicalismo ideologico che, per almeno cinque decenni, aveva contrastato l’idea di commemorare certi primati che avevano fatto entrare, di diritto, l’Italia nella storia mondiale della navigazione. In questo senso vanno interpretati i vuoti di memoria esistenti tuttora in certi nostri musei navali, all’interno dei quali, ancora oggi, si prova la strana sensazione d’immergersi nella lettura di  un vecchio e pregiato libro, al quale siano state strappate le pagine più belle! Questo gap storico, purtroppo, diventa lapalissiano se osiamo paragonare la produzione bibliografica nazionale a quella di provenienza anglosassone e francese. Lo stesso discorso vale per la presenza qualitativa e quantitativa dei siti internet di questo settore.

L’EPOPEA  DEI  LEVRIERI: REX”  -  “CONTE  DI  SAVOIA”

Con queste due autentiche opere d’arte, l’operosa genovesità entrò nell’olimpo delle grandi tradizioni marinare del mondo. I loro nomi da sempre colpiscono la nostra immaginazione: il REX è forse il più famoso, il più sognato, il più iconografico transatlantico italiano, una leggenda resa immortale da Fellini nel suo film ‘Amarcord’.

16 .8.1933 - Il Rex, con il Gran Pavese delle grandi occasioni, entra trionfante a New York. Lo attende l’ambito Nastro Azzurro guadagnato sulla distanza storica Gibilterra-New York (Ambrose) di 3.181 miglia coperta in 4 giorni -13 ore e 58 minuti, alla velocità oraria di 28,92 nodi. Il Record gli fu strappato, dopo soli due anni, dal francese Normandie, un ‘mostro’ da 83.000 tonnellate di stazza e 314 metri di lunghezza.


Il comandante Tarabotto e la prua del REX in una illustrazione dell’epoca

Francesco Tarabotto, il Comandante del REX abitò a Rapallo durante il Secondo conflitto mondiale.

Nave

REX

CONTE DI SAVOIA

Bandiera

Italiana

Italiana

Compartimento

Genova

Genova

Ordinato

2.12.29

28.12.29

Cantieri

Ansaldo-Genova

S.Marco-trieste

Committente

N.G.I

Lloyd Sabaudo

Varo

1.8.31

28.10.31

Stazza Lorda

51.062

48.502

Lunghezza f.t. in metri

268

248

Larghezza

29,5

29

Equipaggio

756

786

Potenza Cavalli

142.000

130.000

Ponti

12

11

Archittetura-Stile

‘800

‘900

Velocità Massima

29,5

29,5

Passeggeri in 3 classi

1392

1278

Il numero dei passeggeri era così suddiviso: 604 passeggeri in 1° classe - 378 in 2° classe - 410 in classe turistica - 866 in 3° classe.

Francesco Tarabotto, il Comandante del REX

2.12.1929 - Il REX nel giorno del varo

Sono passati 80 anni dall’impresa del Nastro Azzurro e 82 da quel pomeriggio in cui il REX scivolò in mare, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, della Regina Elena e di settantamila spettatori diventando la nave ammiraglia della flotta italiana. Un personaggio importante di allora così ricorda il Comandante della nave:

“Il comandante Francesco Tarabotto non parlava molto. Conosceva tutta la nave e tutti gli uomini dell’equipaggio. Erano i suoi bravi ragazzi. A volte qualche parola la scambiava con il suo comandante in seconda, Luigi Gallo, per il resto era concentrato nel suo ruolo, nel suo mondo, nei suoi doveri. Quando lo chiamavano sul ponte di comando, di giorno o di notte, Tarabotto si presentava sempre vestito di tutto punto, cravatta compresa.
Era un ufficiale d’altri tempi, prestato ad un mondo moderno in rapida evoluzione. Lui questo lo aveva compreso bene e riusciva a conciliare la transizione del Novecento verso l’era tecnologica. Il suo mondo, il suo grande amore era il mare, che viveva da vero gentiluomo. Con gli ospiti di bordo era sempre affabile e disponibile, soprattutto con chi voleva visitare la sua nave”.

Il suo nome è legato a filo doppio con la storia del REX. Il comandante Tarabotto salì per la prima volta a bordo della nave il 5 settembre 1932, quando il transatlantico uscì in mare per le prove di macchina.
Alla vigilia di ogni viaggio si presentava sul ponte di comando per controllare che tutti i membri dell’equipaggio fossero ai loro posti. Congedandosi, rispondeva al saluto dell’equipaggio e si rivolgeva al primo ufficiale dicendo: «A lei la nave!». L’uomo Francesco Tarabotto nacque nel 1877 a Lerici, borgo marinaro situato nel Golfo dei Poeti a La Spezia. All’inizio del Novecento con la famiglia si trasferì a Genova. Conseguito il diploma all’Istituto Nautico di Genova, iniziò la carriera con degli imbarchi sui velieri che facevano rotta verso il Sud America; fece il servizio militare sulla corazzata Lepanto. Finito il militare navigò come 3° ufficiale su navi minori in rotta verso la Cina e l’Inghilterra. Nel 1909 imbarcò come 1° ufficiale sulla Principessa Mafalda al comando del cap. Renzo de la Penne, padre di Luigi Durand de la Penne, l’eroe di Alessandria d’Egitto.

F. Tarabotto ebbe il suo primo comando nel 1913 sul piroscafo Indiana (sulla rotta del Nord America) che comandò anche durante la Grande Guerra, quindi ritornò sempre da comandante sulla nave Mafalda. Successivamente comandò il Duilio e poi l’Augustus, infine portò il REX alla conquista del Nastro Azzurro.
Nell’estate del 1937, a pochi giorni dal suo sessantesimo compleanno, lasciò la turbonave REX al suo sostituto, il comandante Attilio Frugoni.
Fino al 1946 gestì delle linee marittime. Si concesse, infine, la pensione che trascorse a Genova dove visse fino alla soglia dei novant’anni

Targa commerativa di Lerici al suo Comandante

A Lerici una targa apposta sulla facciata della sua casa natale, in Via Roma, a pochi passi dal lungomare, ricorda il capitano Francesco Tarabotto che dedicò la vita al mare e legò per sempre il suo nome al REX ed al Nastro Azzurro.

Il dott. Lodola, noto farmacista rapallese dell’epoca, affittò il piano terra della sua villa posta sulle alture della città alla famiglia del comandante del REX. Gli anziani di Via Aschieri non hanno mai dimenticato l’austera figura di Francesco Tarabotto.

“Un uomo di poche parole” – racconta la signora Lola Lodola ved. Barbiroglio –  “e il suo atteggiamento severo ci metteva in soggezione. Aveva un pizzetto curatissimo e gli occhi piccoli e neri che ti fissavano soltanto per dare degli ordini. Sembrava che indossasse la divisa anche quando curava i fiori in giardino; era l’epoca che dopo Dio c’era il Comandante della nave. Io credo che Tarabotto sia stato in gara anche con il Padreterno per avere il comando assoluto sia in mare che in terra. Devo dire che i tempi erano difficili per tutti, specialmente per gli ‘sfollati’ come il Comandante e la sua famiglia, che avevano lasciato tutto al loro paese, nell’attesa di ritornarvi dopo la tempesta della guerra. Io ero ragazzina e non capivo veramente nulla dell’importanza di quella personalità che avevamo in casa. Ricordo, in ogni modo, che gli anziani di quegli anni parlavano di lui come una persona molto seria e onesta perchè era  un buon pagatore!”

Nuvole nere apparvero tuttavia all’orizzonte e presagirono tempeste su tutto il mondo. Presto calò il sipario sulla stagione d’oro dei transatlantici che dovettero lasciare la scena dinanzi alla calata dei nuovi barbari. Gli eventi bellici della Seconda guerra mondiale interruppero e terminarono la brillante e breve carriera del REX e del CONTE DI SAVOIA in modo tragico.

Riprendiamo ora il racconto del Nastro Azzurro. La RMS Queen Mary si aggiudicò l'ambito trofeo nel 1938 e detenne il record per 14 anni prima di essere superata nel 1952 dalla potentissima nave passeggeri statunitense SS United States che abbassò il tempo della traversata a 82 ore 31 minuti. Richard Branson cercò di riportare il record in Inghilterra nel 1985 facendo un tempo record di 80 ore 31 minuti con il Virgin Atlantic Challenger, ma nonostante il tempo eccezionale non riuscì nell'intento di strappare il premio custodito nel Maritime Museum a Long Island, perché si rifornì per tre volte, non rispettando in tal modo le condizioni necessarie per vincere il trofeo.

Nel 1990 la nave HSC Hoverspeed Great Britain con un tempo di 79 ore 54 minuti strappò il record agli USA che però decisero arbitrariamente di non riconoscere ufficialmente nuovi record. Nel 1992 la nave italiana Destriero , con una velocità media di quasi 100 km/h, migliorò di 21 ore e mezza il precedente record, portandolo a 58 ore e 34 minuti. Queste performance sono lo specchio tecnologico dei nostri tempi, ma hanno ben poco a che fare con  la sfida all’Oceano Atlantico che animò tanti armatori ed equipaggi di NAVI DI LINEA che erano adibite al trasporto passeggeri/emigranti e merci. Quello spirito marinaro maturò per necessità commerciali in periodi difficilissimi (due guerre mondiali) e fu condiviso da tutte le più importanti nazioni marinare del recente passato.

Elenco dei Transatlantici che sono stati detentori del Nastro Azzurro sul percorso EST-OVEST

Ripreso dal libro: Il Nastro Azzurro  By F.O Braynard – Mursia Editore

4-22 aprile 1838SIRIUS - Bandiera UK – Armatore B&A (British and American Steam Navig. Company)

Anno di Costruz. 1837 Tipo: wood-paddler Stazza L. 700 t. –

Percorso: Cork (Irlanda)-Sandy Hook (N.Y.)-3583 miglia – Record: 18g.14h.22m-Velocità=8,03 nodi

La SIRIUS é considerata la prima detentrice del PRIMATO.

Un affascinante dipinto della Sirius

M/Pubblicitario

La Sirius fu noleggiata per rispettare un contratto stipulato al posto di un’altra nave che non era pronta.

La nave lasciò Cork il 4 aprile 1838, con 450 tonnellate di carbone, 94 passeggeri, posta e merce varia, giungendo a New York alle prime luci dell’alba del 23 aprile, dopo un viaggio durato 18 giorni e mezzo.

La Great Western, partita da Bristol l’8 aprile, giunse a New York

poche ore dopo il Sirius, ma dimostrando la sua netta

velocità e assicurando affidabilità per il mantenimento di una linea

regolare tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti. La Sirius ritornò in Inghilterra e fece ancora un viaggio di andata e ritorno nel corso del 1838. Terminò la sua breve carriera transatlantica per gli alti costi di noleggio e gli scarsi profitti.

 

8-23 aprile1838 – GREAT WESTERN – Bandiera UK – Armatore GW

Percorso: (Avonmouth-Bristol) - N.Y.) Distanza= 3220 - Record: 15g.03h.00m/ Velocità= 08,66 nodi

La Great Western affronta la sua prima traversata atlantica.

M /pubblicitario

Se il celebre Savannah (1819) unanimemente é considerato il primo ‘vapore’ che ha attraversato l’Oceano Atlantico, il Great Western fu il primo ‘liner’ costruito per il trasporto regolare di passeggeri e merci. La nave poteva trasportare 120 pass. in 1a classe - 20 in 2a classe. Equipaggio: 60 uomini - lungh.72 mt. costruita in legno con rinforzi longitudinali. Prua tipo clipper a bompresso slanciato. La nave attrezzata a vela per l’impiego autonomo dal motore, fu progettata dal più famoso ingegnere navale dell’epoca: Isambard K. Brunel e varata nel 1837 a Bristol. Propulsione a ruote, due motori della potenza complessiva di 750 cavalli asse. Quattro caldaie a vapore con pressione effettiva di 0,35 atm. Consumo 30 tonn. di carbone al giorno.

1840 – BRITANNIA – Sister ships: Arcadia, Caledonia, Columbia, Paddle Steamer – Scafo in legno- Bandiera UK – Compagnia Cunard Line. La nave fu costruita dal Cantiere R.Duncan & Co Greenock Scozia. Stazza L. 1.139 t.- Misure in ft.: 207 x 34,2 x 24,4 - Potenza 740 Cv - 115 passeggeri. Nel febbraio del 1844 la nave rimase imprigionata nei ghiacci nel porto di Boston ed il suo scafo in legno fu danneggiato. In seguito fu liberata da squadre di operai pagati grazie ad un fondo stanziato dai commercianti della città.

Record: 12g.10h.00m-Velocità= 08,50 nodi Fu il primo piroscafo della Cunard Line a stabilire il N.R.

Il Britannia affondò nel 1880.

Francobolli commemorativi dei postali dell’800 con le immagini di Sir Samuel Cunard e Sir Hugh Allan.

La Britannia in un celebre dipinto  d’epoca

Stemma Sociale

1840 – ARCADIAsister ships: Britannia, Caledonia, Columbia

Stazza L. 1.139 t. Bandiera UK Cunard Line Record: 11g.04h.00m – Velocità= 09,45 nodi

1841 – ARCADIABandiera UK – Cunard Line Record: 10g.22h.00m – Velocità= 09,67 nodi

Cantiere: Robert Duncan & Co.Glasgow –

Avevano 80 membri d’equipaggio e potevano alloggiare 115 passeggeri, carico 225 t. Potenza 440 Cv.

Le ruote a pale avevano un diametro di 8,35 mt.-16 giri al minuto. Questi proscafi furono definiti “lussuosi”.  I migliori artigiani dell’epoca eseguirono servizi di porcellana con i loro shapes. Queste navi entrarono in servizio con la British & North American Royal Mail Steam Packet Co. Più tardi conosciuta  in tutto il mondo come CUNARD LINE. Con la loro apparizione in mare nacque anche la definizione “Ocean Liner”.


Dipinto pubblicitario di grande effetto della Arcadia

Stemma Sociale

6 - 16 agosto 1851 - BALTIC Bandiera USA – Armatore Collins fondata nel 1818 (N.Y.&Liverpool U.S.M)

Erano quattro navi gemelle: Pacific, Arctic, Atlantic, Baltic ma quest’ultima fu la più veloce.

Liverpool-New York: 3039 mg. – Record: 9g.19h.26m – Velocità=12,91 nodi

28 giugno - 7 luglio 1854BALTICBandiera USA – Armatore Collins

Liverpool-New York: 3037 mg. - Record: 9g.16h.52m – Velocità= 13,04 nodi

Fu il primo vapore costruito in America (Cantiere W.H.Brown & Bell di N.Y.) ad ottenere il Nastro Azzurro. Stazza L. 2.860 t. Lungh. 282 ft. - Largh. 45 ft - Potenza 3.600 Cv. - Capacità Passeg. 200 1a cl. – 80 2a cl.

Le 4 navi erano dotate di vele ed erano attrezzate a brigantino a palo, spesso usavano l’andatura mista.

Tecnicamente aveva il dritto di prua, in contrasto con le prue affinate a veliero dell’epoca. Il fondo era piatto in legno di quercia. Aveva tre ponti e la poppa grande e rotonda. Queste 4 navi costituirono un notevole progresso anche nell’eleganza e nel confort, le cabine erano scaldate a vapore e ventilate meccanicamente.

La Baltic in navigazione con mare agitato

Dipinto pubblicitario

19 aprile-29 aprile 1856 - PERSIABand. UK – Armatore Cunard Line

Percorso: Liverpool-Sandy Hook (N.Y.): 3045 mg. - Record: 09g.16h.16m – Velocità = 13,11 nodi

Costruito a Glasgow dal Cantiere R.Napier & Sons. Novità assoluta: scafo in ferro Stazza L. 3.300 t. lungh.121,31mt - Largh.13,78 mt. - pescaggio 6.94 mt. Trasporto 1.100 tonn. merci e 250 passeggeri in due classi. Aveva due alberi con vele quadre e rande, due fumaioli distanziati. La sua prua a clipper con bompresso lo salvò da una collisione con un iceberg, perse la prua ma fu salvata dai suoi 7 compartimenti stagni trasversali e 2 longitudinali. Aveva il doppiofondo e 8 lance di salvataggio come alto fattore di sicurezza. La nave aveva il propulsore a ruote ed una macchina di 3.600 Cv. Venne demolita nel 1870.

La Persia in navigazione mista vela-motore

Stemma Sociale

19-27 luglio 1862 – SCOTIABandiera UK – Fu l’ultimo piroscafo a pale varato dalla Cunard Line.

Cantiere: Robert Napier & Sons di Glasgow. Scafo in ferro di Stazza L. 3.871 t. Lungh.121,92mt - Largh. 23,29 (con cassa di protez. pale) Capac. Passeg.: 300 – 1.400 t/carico. Macchine a bilanciere della potenza di 4.000 Cavalli/asse. Consumo giornaliero di carbone 180 t. - Batté il record due volte di seguito:

Giugno 1862 - Percorso: Queenstown-N.Y. 2731 mg. Record: 08g.04h.34m - Velocità= 13,54 nodi

Dicem. 1863 - Percorso: N.Y-Queenstown 2820 mg. Record: 08g.03h.00m - Velocità= 14,46 nodi

Prua a clipper, due fumaioli distanziati, due alberi a vele quadre le conferivano una bellissima linea. Fu convertita in nave posacavi nel 1879. Nel 1896 fu danneggiata da uno scoppio in Atlantico. Naufragò presso l’isola di Guam in Pacifico nel 1904.

La Scotia in navigazione a motore

Stemma Sociale

1869 - CITY OF BRUSSELS Bandiera UK - La Compagnia Inman Line fu fondata nel 1850. Si distinse tra le principali concorrenti impegnate nel commercio transatlantico di merci e passeggeri.

La City of Brussels fu costruita nel 1869 dal Cantiere Tod & Mc Gregor. Stazza L. 3.081 t. - Lungh. 118,8 mt. largh. 12,19 mt. All’epoca, era in atto una vera guerra ideologica tra la vela e il motore e questa nave segnò una pietra miliare nella storia della costuzione navale. Fu installato il primo timone azionato da una trasmissione a vapore. Fece il suo viaggio inaugurale alla fine del 1869 e vinse il Nastro Azzurro

Stabilendo il Record: 07g.22h.03m – Velocità=14,66 nodi sul percorso: Queenstown(Irlan.)-N.Y.

Nel 1871 fu ceduta alla White Star, fu aggiunto un ponte, aumentò la stazza e nel 1883 entrò in collisione

con il piroscafo Kirby Hall sul fiume Mersey e affondò con la perdita di 10 persone.

La City of Brussels in navig. mista vela-motore

Artistico M/Pubblicitario

La Guerra Civile rovinò la Marina Mercantile USA che dovette rivolgersi all’estero per svolgere gli affari commerciali. Nacque così il rapporto tra gli USA e la U.K. Guion, ex Liverpool & Great Steamship Co.

Le gemelle Arizona, Alaska, Oregon furono in successione le tre nuove costruzioni. Alaska fu il campione

del trio, la nave più veloce, denominata il greyhound of the Atlantic. Stazza l. 6.392 t. - lungh.152,5 mt. - largh.15,24 mt.-Capacità Passeggeri: 270 1a cl. e oltre 1000 nella cl. Economica. Cifre da record per l’epoca. La nave era illuminata elettricamente, cosa eccezionale per l’epoca. Potenza 11.000 Cv, una sola elica. Il piroscafo aveva due fumaioli ravvicinati e quattro alberi, due a vele quadre e quelli poppieri armati con rande. Per questioni economiche nel 1884 fu venduta la Oregon alla rivale Cunard Line. Alaska e Arizona operarono sino al 1894 tra Liverpool e N.Y. anno del fallimento della Compagnia.

1879 – ARIZONA - Record: 07g.10h.22m - Velocità= 15.73 nodi

Foto dell’Arizona all’ancora

M/P dei postali USA

9-16 aprile 1882 ALASKA

Percorso: Queenstown(Irl.)-Sandy Hook (N.Y)= 2802 mg. Record: 07g.06h.19m - Velocità = 16,08 n

1884 - OREGON - .......................................................Record: 06g.09h.42m - Velocità = 18,14 n

Le gemelle Etruria, Umbria, di bandiera UK – Armatore Cunard Line –

Percorso: Queenstown (Irlanda) - Sandy Hook (N.Y.)

1885 – ETRURIA - Record: 06g.05h.31m - Velocità= 18,91 nodi 2801 mg.

1887 – UMBRIA - Record: 06g.04h.34m - Velocità= 18,93 nodi 2848 mg.

1888ETRURIA - Record: 06g.02h.27m - Velocità= 19,65 nodi 2854 mg.

RMS Umbria e la sua nave gemella RMS Etruria furono le ultime due Cunarders equipaggiate con vele ausiliarie. La RMS Umbria fu costruita da John Elder & Co in Glasgow, Scozia nel 1884. Le due navi gemelle infransero numerosi record. Furono le più grandi navi di linea in servizio sulla rotta da Liverpool a New York La RMS Umbria fu inaugurata il 25 giugno 1884 con grande copertura degli organi di stampa, perché veniva considerata la più grande nave in servizio, ad esclusione della Great Eastern. Lunghezza: 158,2 mt. Largh. 17,43 mt. - Varo 25.6.1884 – In Servizio: 1.11 1884 – Demolita: 4.3.1910

La Etruria entra in porto col Gran Pavese

Stemma Sociale

21-26 maggio 1889 – CITY OF PARIS IIBandiera UK - Armatore Inman Line - I&I (1850-1893)

Questa grande Compagnia di Navigazione ha avuto oltre 30 navi passeggeri, molte delle quali avevano nomi di città. City Of Paris era la gemella della City of New York III. Avevano tre fumaioli e tre alberi, vele quadre al trinchetto e rande all’albero di maestra e mezzana. Erano considerate le navi più belle mai costruite. Avevano due eliche ed erano velocissime. Queste navi segnarono il passaggio importantissimo dalla “ruota” all’elica, e quindi dalla vela alla propulsione a motore definitiva. Il piroscafo con una sola elica continuava invece a portare le vele per sicurezza. Il passaggio architettonico consentì di costruire i ponti continui e sovrapposti per i passeggeri. Ponti che erano sempre stati occupati da vele e attrezzature varie. La nave aveva una bella prora slanciata a clipper. Stazza L.10.499 t. – Lungh. 161 mt. – largh. 19,20 mt.

L’apparato motore: due macchine a triplice espansione, potenza 19.000 Cv asse x le due eliche.

Percorso: Queenstown(Irl)-Sandy Hook(N.Y.)= 2855 mg. Record: 05g.23h.07m – Velocità= 19,95 n

13-19 agosto 1891 – TEUTONICBandiera Uk – Armatore White Star F.42 A

Percorso: Queenstown-Sandy Hook =2778 mg. Record: 05g.16h.31m - Velocità= 20,35 nodi

Stazza L. 9.984 t. Lungh. 177,7 mt. – Largh.17,6 mt. – Due eliche – Capacità Passeggeri 1.490

Varo 19.1.1889 – Completata 7 luglio 1889 –

Stemma della famosa White Star

La Teutonic in navigazione sotto costa

Splendido M/P della White Star L.

Foto della City of Paris II all’ancora

Bellissimo M/Pubblicitario

22-27 luglio 1892 – CITY OF PARIS IIBandiera - UK - Armatore I&I

Percorso: Queenstown (Irl)-Sandy Hook (N.Y.)= 2735 mg. Record: 05g.15h.58m - Velocità= 20,48 n

18-23 giugno 1893 – CAMPANIA e LUCANIA erano sister ships della Co. Cunard Line – Bandiera UK

Percorso: Queestown(Irl.)-Sandy Hook(N.Y.) = 2864 mg. Record: 05g.15h.37m - Velocità= 21,12 n

Famoso dipinto della Campania-Lucania (sister ships)

Artistico M/P-Cunard

12-17 agosto 1894 - CAMPANIA Bandiera UK – Armatore Cunard Line

Percorso: Queenstown (Irl.) - Sandy Hook(N.Y.)= 2776 mg. Record: 05g.12h.57m - Velocità= 21,75 n

21-26 ottobre 1894 - LUCANIA Bandiera UK - Armatore Cunard Line

Percorso: Queestown (Irl.) - Sandy Hook (N.Y.)= 2779 mg. Record: 05g.11h.41m - Velocità= 22.00 n

Lucania/Campania: Stazza L. 12.950 t. – Lungh. 182,27 mt – Largh.19,81 mt.-Capacità Passeggeri: 450 1° cl. – 280 2° cl. - 1.000 emigranti – Sia gli alberi, ma soprattutto i due fumaioli, conferivano alle due gemelle un aspetto molto maestoso. L’innovazione architettonica del ponte di comando presagiva alle future linee che sarebbero state applicate da lì a poco tempo. Le navi avevano due eliche azionate da macchine di potenza compl.= 30.000 Cv. Sulla Lucania fu installata per la prima volta la ‘telegrafia senza fili’ che collegò le due coste dell’Atlantico. La carriera della Lucania fu bruscamente interrotta nel 1909 in seguito ad un incendio che la distrusse completamente nel porto di Liverpool. La Campania fu militarizzata nella Grande Guerra dalla Royal Navy, ma fu sfortunata, entrò in collisione con la H.M.S. Revenge ed affondò.

30 marzo - 3 aprile1897 – KAISER WILHELM DER GROSSE Bandiera Tedesca –

Armatore: Norddeutscher Lloyd (NDL)

Percorso: Needles (I.Wight.UK)-Sandy Hook= 3120 mg. Record: 05g.22h.30m - Velocità: 22,29 nodi

Una delle prime foto a colori della Kaiser W.d.Grosse


Stemma Sociale NDL

Stazza Lorda: 14.349 t. – lungh: 191,11 mt. largh: 20,11 mt. – Potenza: due macchine a quadruplice espansione alte ben 12 metri, ognuna con 18 cilindri – 28.000 Cv. – Consumo giornaliero 520 t.

Velocità 22 nodi. Capacità Passeggeri: 332 1° cl. - 343 di 2° cl. - 1074 in alloggi per emigranti.

Fu il 1° vapore a quattro ciminiere a coppie che fece moda per alcuni anni e fu l’orgoglio della Germania. Uscì dal Cantiere Vulcan di Stettino e, nella sua epoca, fu considerata la nave grande del mondo. Era dotata di un apparato radio Marconi della portata di soli 25 mg. una novità che additava ben altri traguardi.

Nel 1900 si salvò da un incendio ad Hoboken-N.Y che coinvolse molte altre navi. Nel 1914 fu trasformata in incrociatore ausiliario per la Kriegsmarine, affondò due navi da caricò e permise ad altre due di salvarsi.

Nell’agosto 1914 durante un’azione contro l’incr. Inglese H.M.S. Highflyer fu affondata al largo dell’Africa-W.

6-12 luglio 1900 – DEUTSCHLAND - Bandiera Tedesca – Armatore: Hapag Lloyd

Percorso: Eddystone (Devon.UK.)-Sandy Hook 3044 mg - Record: 05g.15h.46m - Velocità= 22,46 n.

Splendida foto della Deutschland in navigazione

Stemma Sociale  NDL

26 agosto-1 settembre 1900 – DEUTSCHLAND - Bandiera Tedesca – Armatore: Hapag Lloyd

Percorso: Cherbourg - Sandy Hook 3050 mg – Record: tempo ?? - Velocità= 23,02 nodi

26 luglio 1 agosto 1901 – DEUTSCHLAND

Percorso: Cherburg - Sandy Hook 3141 mg. – Record: 05g.16h.12m - Velocità= 23,06 nodi

La Deutschland uscì dal Cantiere Vulcan di Stettino. Stazza l. 16.502 mt. - Lungh. 201,40 mt e largh.20,50 mt. Capacità Passeggeri: 700 1° cl. - 300 2° cl. - 280 3° cl. – Due motori di 33.000 Cv. – Velocità 22 nodi.

Ebbe molti problemi con le vibrazioni per tutta la sua esistenza che durò fino al 1922 quando fu demolita.

10-16 settembre 1902KRONPRINZ WILHELM Band. Tedesca. Armatore: Norddeutscher Ll.

navi gemelle: Kaiser Wilhelm der Grosse (1897) – Kaiser Wilhelm II 1903Kronprinzessin Cecilie (1907)

Percorso: Cherbourg-Sandy Hook 3047 mg. - Record: tempo ?? - Velocità = 23,09 nodi

Viaggio Inaugurale sett.1901- Equipaggiata ad uso militare - Sperimentali apparati Radio/Marconi. Per alcuni anni fu la nave più lussuosa in circolazione. Navigò senza problemi importanti fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. In questa data si trovò a N.Y. ma cancellò il programma e partì per incontrarsi con l’incrociatore tedesco Karlsruhe, a est di Cuba. Imbarcò cannoni e munizioni e si trasformò in unità militare poco armata, ma veloce. Nei mesi successivi catturò e affondò 14 navi da carico inglesi, francesi e norvegesi. Nel corso della guerra rimase senza rifornimenti di carbone ed altre provviste. Si consegnò agli americani a Newport News. Aveva navigato 251 giorni di seguito, affondato 58.000 t. naviglio nemico senza alcuna perdita. Nell’aprile 1917 fu presa in consegna dalla marina americana e fu rinominata Von Steuben come trasporto truppe. Superò molte vicissitudini con successo. Fu messa in disarmo nel 1919 e demolita nel 1923.

Antica cartolina della Kronprinz Wilhelm alla fonda


Stemma Sociale  NDL

6-10 ottobre 1907 LUSITANIA /MAURETANIABandiera UK - Armatore Cunard Line

Le due navi erano gemelle - Percorso: Queenstown (Irlanda) - Sandy Hook (N.Y.) 2780 mg.

Record: 04g.19h.52m - Velocità = 23,99 nodi

 

Carrozze e cavalli  al terminal della Cunard

Splendido M/P-Cunard

17-21 maggio 1908 LUSITANIA - Bandiera UK – Armatore Cunard Line -

Percorso: Queenstown (Irlanda) - Sandy Hook (n.Y) 2889 mg.

Record: 04g.20h.22m - Velocità = 24,83 nodi

5-10 luglio 1908 LUSITANIA - Bandiera UK – Armatore Cunard Line

Percorso: Queenstown-Sandy Hook 2891 mg.

Record: 4g.19h.36m - Velocità = 25,01 nodi

8-12 agosto 1909 LUSITANIA - Bandiera UK – Armatore Cunard Line

Percorso: Queenstown-Sandy Hook 2890 mg.

Record: 4g.16g.40m - Velocità = 25,65 nodi

Fu costruita dal cantiere J.Brown & Co. Clydebank-Varo 7.6.1906 –Completato agosto 1907-

Stazza L. 31.550 – Lungh.787 ft –Largh. 87,8 ft. – Turbine Parsons-Potenza 76.000 Cv. Velocità 25 nodi

Rotta princip. Liverpool-N.Y. - Capacità Paseggeri: 1° cl. 563 - 2° cl 464 - 3°cl. 1.138

L’unica apparente differenza che distingueva le due gemelle, era la prominenza delle maniche a vento davvero imponenti sulla Mauretania. Poteva montare 12 cannoni da 6 pollici. In guerra la Mauretania diventò nave ospedale. La Lusitania rimase un postale-passeggeri tra UK-USA. Nell’Aprile 1915, L’Ambasciata tedesca a N.Y. ritenne di avvertire, con un annuncio sul N.Y.Time, del pericolo che avrebbero incontrato i passeggeri imbarcati su una nave alleata in rotta per l’Europa. La Lusitania lasciò N.Y. il 3.5.1915 per il suo ultimo tragico viaggio. La nave, con 1.959 passeggeri a bordo, era attesa dall’U-20 tedesco a sud delle coste irlandesi. Un siluro la colpì sul lato dritto ed affondò nel giro di 20 minuti. Le vittime furono 1.198 tra cui 124 americani. Il capitano dell’unità tedesca asserì d’aver usato soltanto un siluro e che la seconda più devastante esplosione sarebbe stata causata dalla presenza di depositi di munizioni a bordo. Il capitano della Lusitania Turner fu ‘esonerato senza colpa’, ma dovette affrontare diversi atti di ostilità che gli procurarono molta amarezza per il resto della sua vita. Il tragico affondamento, secondo la maggioranza dei manuali di storiografia, contribuì a determinare l'intervento degli Stati Uniti d'America nella Prima guerra mondiale.

1907MAURETANIA - Cunard Line – Bandiera UK (sister ship: Lusitania)

Percorso: Queenstown-Ambrose Record: 04g.05h.10m – Vel. = 23,21 nodi

1907 - MAURETANIA - Record: 04g.12h.06m – Vel. = 25,55 nodi

Percorso: Queenstown - Ambrose

26-30 settembre 1909 – MAURETANIA

Percorso: Queenstown-Ambrose 2784 mg. Velocità = 26,06 nodi

La Mauretania in manovra

M/P-Cunard


Stemma/S

Fu una delle navi più famose, belle e amate. Aveva quattro eleganti fumaioli rossi fasciati di nero alla sommità che le fornivano una linea molto elegante e di raffinata estetica navale. Sia la Mauretania che la gemella Lusitania erano state progettate per detenere il più a lungo tutti primati dello shipping di allora ed il governo inglese sponsorizzò la Cunard Line per tenere alto il prestigio della U.K. Le due navi stazzavano: 31.938 t. Lungh.240,8 mt – largh.26,8 mt. La Mauretania fu costruita dal Cantiere  Swan Hunter & Wigham Richardson, a Wallsend on Tyne. Il Varo avvenne nel settembre del 1907. Aveva 4 turbine a vapore per complessivi 68.000 Cv, alimentate da 25 caldaie a quasi 14 atmosfere che azionavano direttamente 4 eliche a circa 180 giri/m. 15 paratie stagne dividevano la nave in 175 compartimenti stagni fornendole un ampio margine di sicurezza in caso di collisioni con squarci nello scafo. Le due navi avevano la seguente Capacità Passeggeri: 560 in 1° classe, 4560 in 2° classe, 1.180 in 3° classe. La Mauretania mantenne il Nastro Azzurro fino al 1929 quando la Bremen glielo strappò. Lo scafo bianco della foto, si riferisce al periodo in cui fu impiegata come nave da crociera nel 1931. Fu demolita nel 1934 nel Cantiere scozzese di Rosyth.

17-22 luglio 1929 – BREMEN(sister ship: Europa) - Bandiera Tedesca Armatore: Norddeutscher Lloyd

Percorso: Cherbourg-Abrose 3164 mg. Record: 04g.17g.42m – Velocità = 27,83 nodi

Commissionata al Cantiere A.G. Weser di Brema. La Bremen ebbe un travolgente successo.

Varo:16.7.1928 – Viaggio Inaugurale luglio 1929. Aveva 11 ponti. Famoso era il “salone di porcellana”. Le cabine di 1a cl. erano dotate di vasche da bagno con acqua corrente calda e fredda. Elegantissime decorazioni abbellivano la nave in tutti i suoi ambienti. I mobili erano in mogano. Novità assoluta: aveva a bordo un piccolo aereo che, lanciato da una catapulta, recapitava la posta con tre giorni d’anticipo rispetto all’arrivo della nave.

Aveva la prora a bulbo e linee aerodinamiche. Capacità Passeggeri: 600 in 1a classe, 500 in 2° cl. 300 in turistica e 600 nella 3° cl. Purtroppo finì presto la sua esistenza sotto un bombardamento aereo a Bremenhaven il 15.3.41 - Stazza Lorda: 51.656 t. – Lungh.284,27 mt – largh.31 mt. Potenza: 125.000 Cv. – 4 eliche

 

La Bremen in navigazione di manovra

Manifesto Pubblicitario

Stemma Sociale

 

20-25 marzo1930 – EUROPABandiera Tedesca- Armatore: Norddeutscher Loyd (NDL)

Percorso: Cherbourg-Ambrose 3157 mg. Record: 04g.17h.06m - Velocità = 27,91 nodi

Una bella foto della superba Europa in navigazione

Stemma Sociale NDL

27 giugno-2 luglio 1933 – EUROPA - Bandiera Tedesca – Armatore NDL

Percorso: Cherbourg-Ambrose 3149 mg. Record: 04g.16h.48m - Velocità = 27,92 nodi

Stazza Lorda: 49.746 t. Varo: 15.7.1928 – Viaggio Inaugurale: 25.3.1930 – Insieme alla Bremen, dalla conquista del Nastro Azzurro fino all’inizio della guerra, furono le più veloci navi in Atlantico.

Alla metà del 1946, nel porto di Le Havre, l’Europa era ferma ai lavori durante una forte burrasca. Strappò gli ormeggi e derivò contro una nave semiaffondata. Constatati i danni la nave fu fatta affondare per evitare pericoli maggiori. Fu recuperata dopo 5 mesi e rimessa in efficienza. Riprese a navigare con il nome di Liberté, il suo tonnellaggio fu portato a 51.840 t. sotto bandiera francese. Nel 1961 la Liberté venne venduto ai Cantieri italiani di demolizione.

1933 – BREMEN – (gemella Europa) Bandiera Tedesca – Armatore Norddeutscher Lloyd (NDL)

Dipinto pubblicitario della Bremen all’atterraggio

Campana-Bremen

Stemma/S-NDL

Record: 04g.16h.15m - Velocità= 28,51 nodi

11-16 agosto 1933 – REX - BANDIERA ITALIANA - Armatore NS Flotte Riunite.

Percorso: Gibilterra-Ambrose 3181 mg. Record: 04g.13g.58m – Velocità 28,92 nodi

I dati della nave sono riportati nell’articolo.

 

l REX in navigazione –

Bandiera e ciminiera della nuova Società ITALIA FLOTTE RIUNITE

30 maggio-3 giugno 1935 – NORMANDIE - Bandiera Francese – Armatore CGT

Percorso: Bishop Rock - Ambrose 2971 mg. Record: 03g.02h.32m - Velocità = 29,98 nodi

29 luglio 1 agosto 1937 - NORMANDIE - Bandiera Francese - Armatore CGT

Percorso: Bishop Rock - Ambrose 2906 mg. Record: 03g.23h.02m - Velocità = 30,58 nodi

Impostata: 26.1.1931 – Varata: 29.10.1932 – Viaggio Inaugurale: 29.5.1935

Stazza Lorda dichiarata: 79.280 S.L. - accertata: 83.433 – Lungh: 313,64 mt.– Largh: 36,27 mt

N.4 eliche – potenza 160.000 cv – 29 caldaie - 4 turboalternatori da 33.400 kw a 2.430 giri/m

Capacità Passeggeri: 848 1° classe – 670 classe cabina – 454 classe turistica

Prestò servizio in Nord Atlantico fino alla caduta della Francia nel 1940. Ribattezzata Lafayette dagli

Americani che se ne impossessarono a N.Y. - Fu trasformata in trasporto truppe, ma non svolse mai questo ruolo: il 9.2.1942 infatti scoppiò un incendio nello splendido salone principale. Per l’estinzione fu usata una quantità d’acqua talmente eccessiva che la nave sbandò e si capovolse in porto. Il fatto gravissimo sarebbe stato attribuito a negligenza, ma si parlò anche di sabotaggio. Recuperato il relitto, l’unità fu venduta come rottame e demolita nel 1946

La gigantesca Normandie in arrivo

Raffinato M/P

Stemma Sociale

20-24 agosto 1936 QUEEN MARY Bandiera UK – Armatore Cunard Line

Percorso: Bishop Rock-Ambrose 2907 mg. Record: 04g.00h.27m - Velocità= 30,14 nodi

4-8 agosto 1938 QUEEN MARY Bandiera U.K. – Armatore Cunard Line

Percorso: Bishop Rock-Ambrose 2907 mg. Record: 03g.21h.48m - Velocità= 30,99 nodi

Curiosità: 1940-1946 fu adibita al trasporto truppe. Arrivò a trasportarne 15.000. Insieme alla Queen Helizabet riprese a navigare nel 1947. La nave continuò per altri 20 anni nel servizio transatlantico tenendo sempre alto il suo nome. E’ tra le navi più longeve al mondo. Esiste tuttora, trasformata in museo e albergo galleggiante in California.

Bellissima foto della Queen Mary in navigazione

Interno Timoneria

S/Sociale

Impostazione:   Clyde – Viaggio Inaugurale:  27.5.1936  Southampton-N.Y.

Stazza lorda:          81.237 ts - Lunghezza: 310,28 mt – Larghezza: 35,97 mt

Velocità:                 31.69 (Nastro Azzurro) - Eliche: n.4

Apparato Motore:   Turbine Parsons alimentate da 27 caldaie Yarrow - Potenza 200.000 cavalli

1952 – UNITED STATES – Bandiera USA – Armatore USL – Progettista: W.Francis Gibbs

La United States fu la nave pass. più veloce

Stemma/S

United States Navy

Percorso: Bishop Rock-Ambrose - 2906 mg. Record: 03g.12h.12m  -  Velocità= 34,51

Impostazione:  8.2 1950 - Varo:  23.6.1951 – Viaggio Inaugurale: maggio 1952

Stazza lorda:   53.329 t. - Lunghezza:  301,25 mt  -  Larghezza:  30,94 mt. - Potenza: mai dichiarata

Velocità: (Segreto Militare) - Si suppone che potesse raggiungere 46 nodi – Aveva 12 ponti.

Capacità passeggeri: 888 in 1a classe – 524 classe cabina - 544 classe turistica

Terminò la sua carriera nel 1969. La sua brillante tecnologia non era più in grado di competere con i jet dell’aviazione. Curiosità: Vista di prora dalla banchina, mi ha dato l’impressione di una lunghissima lama di coltello che si allarga soltanto a centro nave.

9 agosto 1992 – DESTRIERO – Bandiera Italiana

Percorso: Bishop Rock (U.K.) – Ambrose (N.Y.) - mg. 3016

Record: 58h.34m.50s Velocità media oraria = 58,4 nodi

Il Destriero sotto il Verrazano-Narrows a New York

Il vessillo della Marina Merc. Italiana

Il Destriero è il monoscafo in alluminio con carena a V profondo con propulsione a idrogetti costruito dalla Fincantieri che é l’ultimo detentore ancora in carica del Nastro Azzurro impiegando ventuno ore e mezza in meno del precedente record appartenuto al catamarano inglese (del tipo wavepiercing) Hoverspeed Great Britain . La miglior distanza coperta nell'arco di 24 ore è stata di 1.402 miglia nautiche alla velocità media di 58,4 nodi.

L'equipaggio che prese parte all'impresa era composto da Cesare Fiorio, come responsabile e organizzatore, da Odoardo Mancini come comandante, Aldo Benedetti come comandante in seconda, Sergio Simeone come primo ufficiale, Franco De Mei come operatore di telecomunicazioni, Giuseppe Carbonaro come direttore di macchina, Mario Gando e Nello Andreoli come capi macchinisti, Massimo Robino come elettricista, Silvano Federici e Cesare Quondamatteo come motoristi e i tecnici Davide Maccario, Giacomo Petriccione, Giuseppe Valenti e Michael Hurrle.

Bibliografia:

Il Nastro Azzurro - Frank O.Braynard - Mursia

I Giganti di Linea – Vincenzo Zaccagnino – Mursia

The Cunard Line - Peter W.Woolley & Terry Moore-Ship Pictorial Publications

Cunard – Glory Days- David L.Williams

IL ROMANZO DEL REXUlderico Munzi –Sperling & Kupfer Editori

La N.G.I - Francesco Ogliari – Lamberto Radogna – Cavallotti Editori-Milano 1977 (Storia dei Trasporti Italiani di linea )- Volume terzo

Le 100 navi più famose – G.Annovazzi

Passenger Liners from Germany - 1816-1990 – Clas Broder Hansen Schiffer Pubblishing Ltd

Ocean Liners - Beken Of Cowes – Philip J.Fricker – Reed’s Nautical Books – London

Das grosse Buch der SCHIFFS TYPEN – A.Dudszus-A.Koepke – Weltbild Verlag

Seven Century of Sea Travel – From the Crusaders to the Cruises - B.W.Bathe-Portland House Editor

 

Carlo Gatti

Rapallo, 29.11.2012



Gli ARMATORI chiavaresi

GLI ARMATORI CHIAVARESI

 

(di Ranieri Degli Esposti e Ernani Andreatta)

 

Abbiamo inteso limitare la nostra conversazione a un periodo ben preciso “l'epoca eroica della vela” che presenta per la marineria ligure due limiti chiaramente definiti. L'epoca eroica comincia con il periodo napoleonico e precisamente con l'assedio di Massena a Genova all'inizio del secolo e termina con la guerra 1915 - 1918. Le due date seguono la rottura dell'equilibrio precedente, l'inizio e la fine di un'attività marinara armatoriale e mercantile durante il quale la nostra città si affermò in tutti i campi e in tutto il mondo. Con questo non intendiamo affermare che l'attività marinara di Chiavari abbia avuto inizio con Napoleone, ma essa risale a molto tempo prima.

 

Nel libro di Gio Bono Ferrari, appassionato raccoglitore di notizie marinare liguri “Capitani di mare e bastimenti della Liguria” è citato il ricordo di un Vecchio quadro chiuso in una sua vecchia chiesa con la scritta «una galeazza del Capitano Jacobo Fontana di Chiavari fugge da Algeri avente a bordo la famiglia del Capitano e 50 cristiani da lui liberati il 15 agosto del 1600 » . La chiesa è il Santuario della Madonna delle Grazie dove è conservata ancora.

 

Il problema della liberazione degli schiavi a Chiavari è durato fino al secolo scorso ed era una questione cittadina, nell'archivio Rivarola, custodito presso la società economica esiste lo statuto della congregazione per il ratto dei chiavaresi fatti schiavi. Sino alla caduta della Repubblica Genovese erano in uso le “questue” che davano risultati finanziari notevoli, sino ad un milione di lire genovesi e davano origine a frequenti inconvenienti con l'intervento dei magistrati.

 

I Marana-Falcone erano armatori di galeazze mercantili e mercanti nei porti e nella città-spagnola. Il Cardinale Domenico Rivarola, Archiatra di Urbano VII, donò alla Repubblica di Genova cinquantamila lire in “pezzi d'argento” a condizione che fosse costruita una galea da chiamarsi “Chiavari” e che portasse quale polena una statua della Madonna dell'Orto.

 

Nel 1792, i chiavaresi per sottoscrizione pubblica armarono e donarono alla Repubblica di Genova, quando ormai le istituzioni erano già entrate nella loro crisi mortale, una galeazza che fu intitolata “Nostra Signora dell'Orto”. Chiavari deve anche al mare un aspetto agricolo: la coltivazione del mais - la comune “meliga”. Nel primo decennio del 1700 giunse dall'America, dove erano state caricate per zavorra, alcune pannocchie di mais, un chiavarese che abitava in quel palazzo quattrocentesco il cui portone è decorato in ardesia che si trova in via Rivarola. Constatato che la melica era gradita ai cavalli, ne iniziò la coltivazione che ben presto si diffuse.

 

 

Una Scuna di metà ‘800

 

Nello stesso periodo si sviluppò la produzione e la vendita dei remi di faggio che proveniva dall'Appennino in tronchi ed era lavorato nella via che ancora oggi è detta via Remolari. Nel 1797 - caduta della Repubblica Genovese - fu sostituito l'ultimo governatore Ferdinando Panesi con l'amministrazione liberale, preceduta dal Mongiardino prima e dal Bontà poi, divenuti in seguito “maire”. È stato osservato che la Liguria in generale, nel cambiamento di regime, non migliorò molto le sue condizioni. Ad una oligarchia gretta, intollerante e spesso incapace, successe una democrazia ciarliera, altrettanto intollerante e servile verso i francesi.

 

La nostra terra nominalmente governata dal Direttorio genovese e dagli anziani della città, di fatto dipendeva dai soldati francesi di Bonaparte e dal Direttorio. Nel 1800 durante l'assedio di Massena a Genova i francesi si stabilizzarono a Recco mentre il Levante era dominato dagli inglesi. L'ammiraglio Bentinck pose il comando a Sestri Levante e svolse le sue azioni belliche contro i francesi operando in due sensi: l'uno militare, impedire l'arrivo di rinforzi a Massena, l'altro navale, distruggere la flotta mercantile ligure che cominciava a dar fastidio sui mari ai mercantili del Lloyds. Lo scopo inglese fu raggiunto oltre Portofino ma fallì nella nostra città.

 

L'epoca eroica della vela comincia con le imprese di Bavastro, corsaro ligure in difesa della libertà di Genova assediata, contro la flotta inglese di Lord Bentinck. È il periodo delle lotte napoleoniche sul finire del secolo XVIII, l'aristocrazia genovese appresa della forza dei francesi e logorata dalla propria debolezza, cedeva il governo della cosa pubblica alla borghesia giacobina. Anche Chiavari non fu assente dal movimento.

 

Nel decennio successivo alla caduta di Napoleone e al congresso di Vienna si sviluppò nel mondo marinaro chiavarese un'interessante serie di iniziative. A questo impulso contribuirono alcuni fatti tecnici e finanziari. A Genova era sorta la Scuola Nautica che, in seguito, doveva sorgere e prosperare anche a Chiavari. I Nostri giovani comandanti sino ad allora fermi alla categoria dei “padroni”, cioè autorizzati a navigare entro il Mediterraneo e con navi di portata inferiore alle 100 tonnellate, cominciarono a frequentare, nei mesi invernali la Scuola Nautica ed in breve tempo, dopo aver accumulato i 4 anni prescritti di navigazione, affrontarono l'esame teorico-pratico che ancora oggi viene detto di “patente”.

 

Superata la prova divennero “Capitani di Lungo Corso, abilitati a comandare navi di qualunque portata ed estendere la navigazione in qualunque viaggio dei due emisferi” - come dice il Codice della Marina Mercantile sino dall'edizione del 1865. Quando si pensi che per essere Comandanti occorreva l'età minima di 24 anni e per essere ammesso a navigare quale secondo, il quale sostituiva il Capitano allorché questo era assente, erano sufficienti 21 anni, si comprende facilmente come lo stato maggiore di una nave oceanica spesso non superasse con i suoi 4 elementi i 100 anni di età complessiva.

 

Un Leudo in navigazione

 

Un altro mutamento avvenuto nella marineria ligure di cabotaggio: lo sciabecco, il pinco, la feluca, la bombarda scomparvero per lasciare il posto al “leudo”. La maggior sicurezza dei mari consentì di anteporre la portata alla velocità, lo scafo divenne più ampio e solido, meno snello ma più capace, l'armatura comprende una sola vela triangolare molto ampia, con uno o due fiocchi. È questa la tipica nave da carico per il piccolo cabotaggio lungo la costa.

 

Per tutto il resto del secolo XIX i vini di Pantelleria, le sabbie del Magra, i limoni, gli aranci di Sicilia, i vini e gli oli delle Puglie saranno portati al Nord con questi barchi, ormai scomparsi. Il terzo mutamento è costituito dall'abbandono della pesca del corallo. I marinai lasciavano questo genere di attività per dedicarsi alla navigazione di lungo corso. La stazza dei velieri era aumentata, l'emigrazione si era ormai affermata, stretti rapporti economici e familiari legavano la città al Nuovo Mondo. Il Mediterraneo appariva a tutti, armatori, capitani e marinai, troppo angusto anche se cominciava una nuova e redditizia attività: il commercio dei grani russi e quindi, i viaggi nel Mar Nero.

 

La Marineria di Chiavari benché composta di bastimenti di limitato tonnellaggio - in maggioranza pinchi, sciabecchi, feluche e bombarde - seppe superare la crisi e approfittando delle circostanze gli imprenditori chiavaresi riuscirono a impadronirsi di gran parte dei traffici delle Puglie, la Calabria e la Sicilia.

 

La disponibilità di forti capitali liquidi, di navi, lo spirito di iniziativa e il continuo contatto con le forze operanti, prima inglesi poi francesi, consentì ai commercianti chiavaresi di conquistare il monopolio dei traffici di grano, olio e vini, tra i vari porti tra i porti del Regno di Napoli e quelli della Francia e della Spagna. Due fattori favorirono le operazioni: Chiavari nel 1805 fu fatta da Napoleone capoluogo del dipartimento marittimo degli Appennini e il fatto che le flotte dei belligeranti erano insufficienti a fronteggiare le esigenze di rifornimento in Francia e nella Spagna. I capitali guadagnati in quella occasione furono rilevanti e, questo è significativo, furono impiegati per la quasi totalità nella costruzione di nuove navi di maggior tonnellaggio.

 

Una caratteristica si affermò in quei tempi e persistette per parecchi decenni, all'incirca fino al 1880: i bastimenti degli armatori chiavaresi furono costruiti sugli scali dei cantieri cittadini. Dagli archivi dei registri navali italiani risulta confermata questa tradizione rilevata per primo, molti anni or sono, da Gio Bono Ferrari e ampiamente trattata nel libro di Chiavari Marinara presentato nel 1993.

 

Lo sviluppo economico della nostra città si consolidò e si incrementò in occasione di un'altra impresa bellica: la conquista dell'Algeria da parte dei francesi. Le navi chiavaresi appoggiarono la campagna sia come navi di trasporto delle truppe sia come navi onerarie per i rifornimenti già nel decennio 1830-1840 i Chiarella, i Borzone, i Copello, i Raffo, i Dall'Orso ed i Sanguineti armavano velieri di 500 tonnellate.

 

I chiavaresi ormai si avviavano verso gli oceani; mentre i Chiarella si rivolgevano verso l'Oceano Indiano, senza trascurare tuttavia l'Atlantico, e verso i Mari della Cina, i Borzone, i Dallorso, i Puccio, i Raffo e i Sanguineti battevano i porti del Mar della Plata e del Pacifico, i Copello trafficavano nei Caraibi.

 

Nel 1840 un brigantino di 361 tonnellate di stazza, l'“Adelaide Chiavari” faceva viaggi regolari a Callao e a Santiago. È sufficiente pensare che con quella stazza la lunghezza era sui trenta metri e il bordo libero era di pochi metri sul pelo dell'acqua mentre le onde dell'Atlantico arrivano sino a 15-20 metri di altezza, per comprendere ed ammirare il coraggio che avevano i nostri vecchi ad intraprendere questi viaggi, sia come marinai, sia come passeggeri. A conferma di quanto detto consentitemi di ricordare un episodio avvenuto il 15 luglio 1846 alle dieci della notte nella zona di Capo Horn, a 57 gradi di latitudine sud, cioè in quella zona che gli inglesi chiamavano i “roaring forties” - i “quaranta ruggenti” - per le continue burrasche. Un enorme colpo di mare ruppe la murata del brigantino “Antonietta” degli armatori Raffo, il Capitano Antonio Descalzi e i sei marinai della guardia che si trovavano in coperta furono travolti dalle onde.

 

 

 

Brigantino Due Fratelli’, costruito a Chiavari nel 1860

 

I pericoli non fermarono i chiavaresi, come è confermato dall'emigrazione in Argentina, in Cile, in Perù. Già dal 1840 un Giacomo Borzone aveva un negozio a Buenos Aires ed un suo cugino, il Capitano marittimo Giuseppe Borzone, morì sulla tolda della “Costitucion” nel 1842, combattendo a fianco dei garibaldini, contro la flotta del dittatore argentino Rosas, che era agli ordini dell'Ammiraglio inglese Brown.

 

La prima casata ad entrare in lizza furono i Raffo che si affermarono subito dopo la caduta di Napoleone, già nel 1818 il Capitano armatore Niccolò Raffo caricava nel Mar Nero grano con destinazione Trieste, sulla polacca “Pellicano”, nome destinato a divenire famoso nella marineria italiana. I suoi eredi continuarono con il brigantino a palo “Chiavari”, l'“Alessandro”, l'“Edipo”, lo “Spartaco”, nel frattempo cominciarono le costruzioni dei Tappani, il “Fanny” nel 1856 a cui seguirono il “Saturnina”, l'“Erasmo”, divisi nei due gruppi dal Cap. Erasmo e dal Cap. Sebastiano.

 

Al secondo appartenne il famoso “Pellicano” che si incendiò nel porto di Cardiff carico di carbone per il Callao diventando un gigantesco braciere che durò una settimana. L'avvenimento è ricordato in un quadro del Barchi alla Chiesa di Bacezza. Per sostituire il veliero incendiatosi, ne fu costruito da Tappani un altro battezzato “Pellicano II” che fece per lungo tempo i viaggi di Rangoon, affrancandosi tra i più veloci “rice clipper”, cioè i clipper del riso che portavano in Inghilterra il prezioso alimento.

 

La stessa casa fece poi costruire, sempre da Tappani la “Luigia Raffo” che fu considerato il capolavoro del costruttore. Il “Luigia Raffo aveva forma bellissime, era solido e veloce e si affermò subito tra i migliori velieri dell'epoca, arrivando a percorrere sino a 300 miglia giornaliere, giungendo a Singapore in soli 109 giorni, attirando l'attenzione del mondo marinaro, italiano e inglese; finì, colto da un tifone, sulla costa sud di Giava.

 

Il “Maria Raffo” divenne famoso per la magnifica resistenza opposta ad un uragano in Atlantico, in cui molte navi perirono, la stampa marittima americana parlò, con ammirazione, della solidissima costruzione del bastimento italiano.La casa Raffo fu anche armatrice del famoso “Saturnina Fanny”, nave in ferro costruita da Odero a Sestri Ponente, su piani e disegni di Francesco Tappani, il figlio di Matteo, e sotto la direzione dell'Ing. Fabio Garelli, fondatore del Museo Navale di Pegli. Fu questa la più bella nave dell'epoca, Giava, Tailandia, Nord America, Australia, ovunque il bastimento arrivasse, sempre comandato da Capitani di grande abilità, era un avvenimento. Celebri le sue sfide con altri velieri: famosa rimase quella con una nave inglese, da Samarang a Capo Agulhas, cioè dal Giappone al Capo di Buona Speranza; il Saturnina impiegò 50 giorni, l'inglese 51 e 7 ore. La più grande nave chiavarese fu l'“Erasmo”, costruita a Riva Trigoso da Francesco Tappani.

 

Era un brigantino a palo della portata di 3.200 tonnellate che diventò un nome tradizionale nella casa Raffo e che era stato dato ad un bimbo appena nato: “Erasmo Bacigalupi”, indimenticato gentiluomo e sportivo chiavarese, a cui si deve lo sviluppo dello sport velico a Chiavari e nel Tigullio. questa nave, al comando del Capitano Lorenzo Queirolo di Zoagli, arrivò a New York, i barcaioli dei doks le affibbiarono un nomignolo: “l'Ammiraglia”, tanto era bella e maestosa. Il veliero navigò per molti anni sulla rotta dell'Australia in competizione con un altro veliero famoso: il “Cutty Sark”, nel 1913 fu venduto ad armatori stranieri.

 

La casa armatoriale dei Dallorso fu fondata nel 1840 dal Capitano Michele Dallorso che fece varare la prima nave goletta ( in dialetto “barco bestià”) della Liguria: il “Cavallo Marino”, superba nave che il pittore Roux immortalò, nei colori tradizionali della casa - scafo verde con una striscia orizzontale bianca - in un bellissimo acquerello che si trova al Museo della Marina a Parigi.

 

La casa Dallorso continuò a rappresentare le tradizioni di Chiavari per tutto il secolo XIX. Io posseggo il “libro delle bandiere”, “Flags” in inglese, stampato nel 1891 a Portsmouth, che è appartenuto al Principe Tommaso di Savoia, il Duce di Genova, zio del Re V. M. III, in questa pubblicazione ci sono le bandiere mercantili di 780 armatori di tutto il mondo, per la vela vi è soltanto quella dei Dallorso, un guidone triangolare con i colori italiani disposti orizzontalmente e le lettere A. D. L'anno successivo, quando l'Eroe dei due mondi, dopo la battaglia sul fiume Paranà, raggiunse la provincia di Entre Rios, dove fu costretto a bruciare le sue navi, iniziando la ritirata per terra, egli fu rifornito a Gualeaychu dai chiavaresi colà residenti, tra i quali primeggiava un Capitan Copello. Nel 1820 il brigantino goletta “Valente Rupinaro”, al comando del chiavarese Cap. Copello, batteva i porti del Messico e della Colombia, che allora comprendeva anche l'attuale Repubblica di Panama. Pochi anni dopo la stessa casa armatoriale inviò nei Caraibi un secondo brigantino il “N. S. dell'Orto” per caricare cacao, caffè, tabacco, indaco per l'Europa. Al Santuario di Monte Allegro esiste un ex-voto donato dal nostro chiavarese G. B. Podestà, in ringraziamento per il salvataggio dell'equipaggio di un brigantino equipaggiato da concittadini e al comando del Capitano G. B. Podestà, fratello del notaro naufragato verso il 1825 sulle coste dell'isola di Cuba.

 

 

 

Brigantino a palo Fido’, costruito a Chiavari nel 1861

 

Nello stesso periodo un brigantino al comando del Capitano armatore Puccio, faceva i viaggi da Genova al Callao, doppiando Capo Horn, impiegandovi 100 giorni o poco più a seconda dei venti. Nel 1845 un brigantino goletta “La Vittoriosa” dei fratelli Chiarella si affermava nei traffici con il Mar della Plata, nel 1847 il brigantino “Europa” scaricava - come dirò dopo - nel porto di Callao, 40 gozzetti fatti a Chiavari.

 

Le prime guerre della indipendenza erano appena terminate, Novara era un cocente ricordo, quando una nave chiavarese portante un nome augurale, “Unione Italiana” partì per iniziare i suoi traffici in mari lontani. Una relazione consolare sarda comunicò al governo nel luglio 1851 che il Capitano Sebastiano Chiarella era presente lungo le coste del Meinam, in Cocincina, oggi Min-Nan-Trang nelle vicinanze di Da-Nang e di Huè, la capitale imperiale dell'attuale Vietnam.

 

Questo fu il primo bastimento italiano che giunse in quelle regioni, allora riservate agli inglesi, ai portoghesi e ai parsi. Pochi anni dopo un'altra nave dei Chiarella, il “Colombo”, al comando del Capitano Chiappara di Cavi rimase per quattro anni a trafficare nei mari della Cina. Sorge spontanea una domanda: - come potevano economicamente realizzare imprese del genere? - La risposta è semplice, mediante il contratto marittimo “en comandita”, quello da cui è derivato il contratto di società in accomandita, ancora oggi in uso.

 

“L'Appennino”, tipico brigantino a palo, fu varato nel 1867 da Tappani per i fratelli Chiarella e comandato dal Cap. De Barbieri, percorse lungo le rotte di Ceylon, della Birmania, affermandosi tra i più famosi “rice clipper”, le navi del riso. Un secondo avvenimento tecnico influenzerà nel decennio la marineria chiavarese: la poppa delle navi da quadrata diventa rotonda. Non si conosce esattamente chi ha inventato la modifica, né dove essa si realizzò per la prima volta.

 

Il terzo mutamento è costituito dall'abbandono della pesca del corallo. I marinai lasciarono questo genere di attività per dedicarsi alla navigazione di lungo corso. La stazza dei velieri era aumentata, l'emigrazione si era ormai affermata, stretti rapporti economici e familiari legavano la città al Nuovo Mondo. Il Mediterraneo appariva a tutti: armatori, capitani, marinai, troppo angusto, anche se cominciava una nuova e redditizia attività: il commercio dei grani russi e, quindi, i viaggi del Mar Nero. È opportuno dire qualche cosa della pesca del corallo nella quale erano impiegate nel 1853 ben 79 bastimenti.

 

Chiavari, con Portofino e Santa Margherita nella Riviera di Levante e Laigueglia nel Ponente, partecipò per lungo tempo alla pesca del corallo in dura competizione con i catalani. Per i marittimi chiavaresi fu un attività stagionale che si svolgeva quando i viaggi nel Mar Nero erano sospesi a causa dei ghiacci che chiudevano quel mare. Per i santa-margheritesi fu un'attività peculiare al punto che nello stemma della città figura un ramo di corallo rosso sangue.

 

Le barche impiegate nella pesca erano battelli grossi, lunghi otto metri, chiusi da prua a poppa da una solida coperta molto armata, curva, con i lati bassi e chiusa a poppa da un boccaporto. La vela era triangolare e l'albero molto inclinato sul davanti. Questo tipo di imbarcazione, durante le più grandi tempeste, galleggiava chiusa come una botte e poteva così resistere ai più violenti colpi di mare.

 

Una “scuna” chiavarese chiamata “Giulietta” fu per molti anni la nave appoggio dei battelli corallini portandone, ben sistemati nella stiva, oltre sessanta, che caricava a Chiavari ed a Santa Margherita, trasportandoli fino alle coste della Corsica e della Sardegna, luoghi di pesca preferiti, benché non di rado, si spingesse fino alle coste africane. La pesca avveniva mediante un ordigno di legno con le braccia in croce recante alla estremità un uncino di ferro a cui era appeso un sacco di tela ruvida resistente, sostenuto da un cavo. Manovrando con la barca a remi, l'ordigno sradicava il corallo che cadeva nel sacco. La pesca durò fino alla metà del secolo scorso.

 

Un altro fatto; non è marinaro ma ha rapporti con il nostro argomento. Nel secolo scorso prosperarono a Chiavari numerose imprese di tessitura. I tessuti di “bordato”, di canapa, frustagno ed un particolare tipo di tela molto apprezzato in tutto il paese, la “tela imbiancata”, oltre, si intende, tutta la materia prima per le vele dei velieri ed il loro corredo da camera. Nel 1850 avvenne a Chiavari il primo sciopero della storia.

 

Scrisse il Conte di Cossilla Sovrintendente: i malumori che da tempo scoppiarono ad un tratto con la decisione dei tessitori di abbandonare i telai se i fabbricanti non tornassero a pagare i prezzi primitivi. Furono commessi fatti contro gli appaltatori più invisi e contro le loro proprietà, disertate le officine, minacciati i più protervi, gli operai più timidi, i più necessitosi che primi volevano tornare al lavoro. In una parola si ebbero una di quelle moderne calamità, assai comuni nei paesi dediti a grandi industrie che hanno il nome di “coalizione di operai” .delle figure caratteristiche della marineria al tempo della vela, in particolare di quella ligure, era il “proprietario armatore capitano”. Erano numerosi i proprietari di piccoli velieri, di solito adibito al traffico di cabotaggio, che provvedevano al loro armamento e ne assumevano il comando lungo le rotte più varie. Il bastimento, di frequente, era l'unica ricchezza familiare, ma, non di rado, era completato da negozi bene avviati nei quali venivano vendute le merci portate nei viaggi. La figura del mercante armatore che si reca in paesi lontani per approvigionarsi di merci risale, nella marineria ligure, al medioevo, ma si affermò soprattutto verso la fine del secolo XVII e l'inizio del XIX. La famiglia Garibaldi per esempio apparteneva allo stadio del “mercante armatore, capitano”.

 

La “Santa Reparata”, tartana di proprietà familiare era comandata dal padre Domenico ed era utilizzata, sia per trasporti di merci per conto terzi lungo le riviere liguri e provenzale, sia per il carico di merce acquistata in proprio nei vari mercati, secondo le circostanze e portata a Nizza per la vendita. Giuseppe Garibaldi abbandonò questo tipo di attività per dedicarsi al comando puro e semplice, egli fu, dall'inizio della sua carriera marinara sino al soggiorno in Brasile, uno stipendiato, di vario grado e incarico, ma sempre alle dipendenze di un armatore-proprietario che restava a terra.

 

Egli giunto a Rio de Janeiro, prese contatto con gli Italiani ivi residenti tra i quali Giovanni Picasso al quale consegnò una lettera di Mazzini e il Grondoni a cui portò del materiale inviato dal Pensatore Genovese. Questi lo presentarono al Rossetti e tutti insieme organizzarono una piccola società di navigazione che armò una “garopera” che fu ribattezzata “Mazzini” per esercitare il cabotaggio da Rio de Janeiro a Cabo Frio. A Garibaldi era stato affidato il comando del bastimento ed egli era “alla parte” con gli utili che, modesti agli inizi, divennero più consistenti in seguito, come scrisse all'amico G. B. Cuneo in quell'epoca a Montevideo. Gli eventi, la costituzione della Repubblica del Rio Grande do Sol, e le patenti di corsa fecero concludere questa attività commerciale marittima per sostituirla con quella bellica.

 

 

Giuseppe Garbaldi

 

Nel Museo Centrale del Risorgimento a Roma esiste nell'archivio Garibaldi una busta in cui sono contenute le copie e le diverse redazioni del progetto sotto il titolo “Proposta di una società commerciale per le linee transatlantiche periodiche tra New York e Genova”. Nel testo del progetto è detto “Si propone pertanto di acquistare o far costruire una nave agli Stati Uniti della portata di 4 - 500 tonnellate con bandiera di quel governo da servire periodicamente da pacchetto tra Genova e New York e viceversa ad imitazione di quei da New York all'Havre du Grace e Liverpool, con il solo oggetto di caricare a nolo le merci e passeggeri sotto il comando del capitano Giuseppe Garibaldi”. Gli storici hanno considerato l'iniziativa del Carpanetto come un nobile tentativo per aiutare l'amico esule, non è stato affatto considerato lo spirito innovatore del progetto, risultato, non solo della abilità del Carpanetto, ma anche dei lunghi colloqui tra lui e il Generale nei sei mesi di sosta a Tangeri.

 

Il primo pensiero fu di far navigare la nave sotto bandiera nazionale, ma, tenuto conto della situazione italiana che non conferiva al tricolore la forza e il rispetto necessari, si optò per quella di una nazione straniera. Nella discussione della iniziativa si giunge alla conclusione che fosse meglio comperare il bastimento in America del Nord e fosse consigliabile che la nave battesse bandiera americana, Garibaldi accettò. A Lorenzo Valerio, Direttore de “La Concordia” scrisse nel giugno 1850 “I miei amici d'Italia mi favoriscono con l'acquisto di un legno al mio comando. Io vado in America a tale oggetto, navigherò al mercantile sinché piaccia a Dio. Io avrei, ad onta del rischio navigato sotto gli auspici dei colori nostri ma certe considerazioni speculative lo vietano ed io - mercantile, ora! mi conformo”.

 

Questo gruppo di patrioti concepì con trent'anni di anticipo, l'attività che fece la fortuna della Marineria italiana nella seconda metà del secolo XIX. Mentre la patria ancora languiva sotto il dominio straniero Garibaldi e Carpanetto concepirono l'idea di avviare regolarmente delle navi italiane sulle rotte degli Oceani, in un servizio di linea. Il progetto non ebbe buon fine per ragioni finanziarie, resta il fatto incontrovertibile della geniale intuizione di una via economica che, compiuta l'Unità d'Italia, fu seguita con successo. Per realizzare il progetto, Garibaldi si recò negli Stati Uniti partendo da Liverpool appunto per poter studiare l'organizzazione del servizio e la tecnica applicata nella navigazione da quei “packet ship”, pacchetti come furono chiamati nella nostra lingua, che tanto successo risentivano in quel momento.

 

La mancata raccolta dei mezzi finanziari per la costituzione della società fece cadere il progetto e, Garibaldi si fermò a New York ospite del Meucci. Le idee ed i progetti di Carpanetto e Garibaldi rientravano in un movimento di sviluppo economico che si affermava in quei difficili anni.

 

Nel 1830-35 la Camera di Commercio di Genova diede ripetutamente parere sfavorevole alla proposta, avanzata dal Console piemontese a Filadelfia, per la costituzione di una compagnia sardo-americana con cinque navi per l'esercizio di una linea Genova-Nord America. La Camera di Commercio oppose la prevista esiguità del traffico tra i due paesi che non avrebbe alimentato una attività redditizia. La spiegazione di questo atteggiamento può essere il fatto che gli armatori liguri trovavano, in quel tempo, più conveniente sfruttare i mercati vicini senza correre rischi eccessivi, l'individualismo e la mancanza di spirito associativo fecero il resto.

 

Nella primavera del 1849, quando più pesante incombeva la sventura sulla Patria, l'ambiente economico genovese cominciava a risvegliarsi. Le costruzioni navali iniziavano la loro espansione, la marineria si avviava verso nuove rotte con ritorno alla audacia tipica dei Liguri. Già nel 1848 numerosi brigantini a “scune” avevano portato gruppi di emigranti a Montevideo, a Buenos Aires, a Valparaiso, a Lima, si trattava però di iniziative individuali e, benché tempestivamente annunciate, non programmate a ampio respiro.

 

Nel 1852 fu costituita la Compagnia Transatlantica che doveva operare con vapori in ferro, dopo numerose peripezie finanziarie fu posta in liquidazione. Nel Corriere Mercantile del 20 Agosto 1857 apparve una breve notizia: “Prende consistenza la voce che una potente società nazionale si vada costituendo per la costruzione e l'esercizio di un certo numero di “Clippers”. Fu interpellato anche Nino Bixio, il quale si trovava al comando del “Goffredo Mameli”, nel viaggio di ritorno dall'Australia.

 

Bixio in una lettera all'avvocato Carcassi espresse il parere favorevole alla costruzione di quattro clippers di grossa portata per la navigazione oceanica, suggerendo che le navi avessero un tonnellaggio di almeno 1500/2800 tonnellate, fossero costruite in ferro e munite di propulsione meccanica.

 

Questa lettera conferma, ove ve ne fosse bisogno, la capacità e l'intuizione degli uomini che gravitavano attorno a Garibaldi, non soltanto audaci in battaglia, e aperti alle idee avanzate in politica, ma lungimiranti in economia e in tecnica navale e marittima. Il disegno degli intraprendenti genovesi, tra i quali erano uomini quali Carlo Bombrini, Raffaele Rubattino e Giovanni Ansaldo, fu osteggiato dal Governo Piemontese e da parte di molti parlamentari perché parve troppo impegnativo e boicottato dalla burocrazia, la grettezza e la limitatezza di vedute di una classe politica troppo chiusa nel proprio ambiente provinciale e non aperta, con la marineria ligure,all'ampio contatto con le economie straniere già avviate su vie moderne, fu soprattutto la causa della mancata realizzazione dell'iniziativa.3

 

Nel 1864 un capitano di Recco, G.B. Lavarello, realizzò per primo in Italia la linea transatlantica applicando l'idea di Bixio di integrare la vela con il vapore. Egli fece costruire in Italia, a Sestri Ponente, un clipper ad elica che chiamò “Buenos Aires”. Fu questo l'inizio, ancora difficile, ma promettente di una nuova attività della marineria italiana, da Carpanetto a Garibaldi intuita, mentre ancora il paese era provato dalle sconfitte del 1849. 4

 

Tornato in Italia nel 1854 e ripresi i contatti con l'ambiente marinaro mentre ferveva il lavoro di preparazione per la guerra contro l'Austria, Garibaldi si diede da fare per lavorare nel campo a lui più congeniale: il mare. Nell'agosto del 1851 gli fu concessa la patente di Capitano di 1ª classe che lo abilitava a viaggi di lungo corso.

 

“Garibaldi G. Maria portato al N° 12946 Matricola Gente di Mare della Direzione di Genova”.volte vi sono detti di cui facilmente se ne perde l'origine, ma tutti, come le leggende, hanno una loro origine storica che a volte può anche differire dal significato originale perché si è modificato, per varie ragioni, nel corso degli anni o dei secoli. Nei tempi antichi, uno degli elementi fondamentali della navigazione era l'equipaggio. Così come era importante la qualità delle attrezzature e dei materiali della nave, altrettanto importante erano gli uomini occorrenti a farla navigare. Nel tardo medioevo, gli equipaggi delle navi e delle galee genovesi erano formati, da marinai volontari, provenienti per la maggior parte dalle riviere. Genova, per molti secoli aveva escluso il ricorso agli schiavi incatenati al remo, ma ad un certo punto dovette decidersi a questo uso, per quanto barbaro, dopo che i Turchi avevano incatenato ai banchi i Cristiani fatti prigionieri a Costantinopoli o nelle colonie tauriche.

 

 

Bandiere segnaletiche navali d’epoca

 

Gli equipaggi logicamente erano formati da elementi rudi, aspri, coraggiosi, dai muscoli ben fermi e dai nervi di acciaio. Era gente della Riviera, ma fedele a Genova e cresciuta sul mare. Erano anche uomini d'arme oltre che bravi marinai tanto che in seguito furono anche chiamati “buonevoglie”, cioè rematori non incatenati, ma liberi, che all'occorrenza, afferravano la spada per combattere. La tradizione fu così viva e fiorente che, ancora nel secolo scorso, a piazza Banchi a Genova, per indicare marinai esperti si diceva, senz'alcuna intenzione dispregiativa: “Gente da Rivea, gente da Galea”.

 

In genere il reclutamento avveniva per spontanea volontà e questi uomini in relazione a quei tempi, venivano ben pagati. Ma in caso di necessità, la Repubblica imponeva il reclutamento obbligatorio. In questo caso, un decreto del senato stabiliva il numero degli uomini che ogni località doveva fornire, la cosiddetta “taglia”. Nell'ultima guerra contro Pisa, che cominciò nel 1286 e durò sette anni, Genova e le due Riviere armarono ben 627 navigli i cui equipaggi, fra marinai e soldati raggiunsero i 45.000 uomini, tutti sudditi abitanti a Genova o nelle due Riviere.

 

Nel 1290 il Podestà Luchino stabilì la “taglia” per Chiavari di 100 uomini, per Rapallo di 30 e per Sestri di 72 uomini. Questa somministrazione di “galeotti” era così obbligatoria e la scelta era decisa dalla sorte che decideva chi doveva partire. Chi poteva, poteva anche fornire una persona in cambio, cioè inviare un sostituto che naturalmente doveva essere idoneo allo scopo. Il sostituto poteva essere anche un forestiero proveniente da lontano. La paga di ogni galeotto era di sei fiorini d'oro al mese e non era raro il caso in cui giovani di buona famiglia si offrissero di fare il “galeotto” che a quei tempi era addirittura un grado di poco inferiore a quello di “padrone”.

 

Solo con l'introduzione da parte dei Turchi della “galera forzata” e l'uso della pena dell'incatenamento ai banchi dei remi per i colpevoli di reati e per i prigionieri di guerra il termine “galeotto” acquistò un significato infamante che ha tutt'ora.I rapporti disciplinari a bordo alle navi Genovesi erano sì severi, ma sempre improntati a rispetto reciproco. Nella marineria Ligure non si sono mai verificati episodi terribili come quelli descritti da romanzieri come Stevenson o Jack London, sia nelle galee, nelle navi e nei vascelli o nei velieri del XIX Secolo. Soltanto la introduzione della “galera forzata” da parte dei Turchi, modificò profondamente la situazione a bordo alle galee.

 

La disciplina divenne più dura facendo sorgere la figura del cosiddetto “aguzzino” ma i marinai rivieraschi continuarono ad arruolarsi sia come soldati sia come rematori assumendo il nome di “buonevoglie”. Erano liberi, non incatenati e durante i combattimenti potevano prendere le armi. Ma il detto, “Gente da Rivea, Gente da Galea” è rimasto fino ai nostri giorni assumendo i significati più disparati e adatti all'uso che se ne vuole fare.

 

(Ranieri Degli Esposti e Ernani Andreatta - Tratto da "Memorie dal mare di E.Andreatta - Libritalia 1997)

 

A cura del webmaster: Carlo Gatti

Rapallo, 27.11.2012


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Cesare ROSASCO - Un Eroe da ricordare

CESARE ROSASCO

UN EROE DA RICORDARE

Ricordo personale:

 

Il 1° giugno 1975, il comandante Cesare Rosasco presenziò come 'ospite d’onore' alla cerimonia della mia nomina a Pilota del Porto di Genova.

Ci trovavamo nel Covo più celebre della marineria genovese: lo Yacht Club Italiano nel Porticciolo Duca degli Abruzzi. Di lui mi é rimasta impressa nella memoria la sua imponente stazza, ma soprattutto le sue parole: Si ricordi che il pilota é il guardiano e il testimone di tutto ciò che succede in porto. Conservi questo sentimento fino all’ultimo giorno di servizio!”

 

Carlo Gatti

QUADRO STORICO

Marina Mercantile

di Achille Rastelli

 

Le principali cause di affondamento delle navi rimaste fuori del Mediterraneo. Le Nuove Motonavi Prede di guerra. Navi catturate dai tedeschi.

 

II 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra, e i marinai delle navi mercantili rimaste fuori del Mediterraneo furono fra i primi italiani a subirne le conseguenze. Per quanto riguarda la Marina da traffico, avvenne poi un altro fatto importante: la quasi totalità delle navi, pur restando formalmente di proprietà degli armatori, venne gestita dallo Stato, o con requisizioni per scopi di guerra veri e propri (navi scorta, vedette, dragamine, ecc.), o con noleggi per convogli e rifornimenti di guerra. Del resto, nella storia della nostra Nazione non ci fu mai alcuna operazione navale che non abbia avuto necessità delle navi mercantili: esigenza sempre risolta in varie forme, quali il noleggio a tempo, il noleggio a viaggio, il trasporto obbligatorio, la requisizione o la requisizione con acquisto.

 

La guerra navale dell'ultimo conflitto fu, per l'Italia, essenzialmente una guerra di convogli, necessari per rifornire le truppe combattenti in Africa e nei Balcani, per mantenere i collegamenti con le isole e per assicurare il traffico costiero. Anche le operazioni maggiori della Squadra da Battaglia furono eseguite per proteggere convogli nostri o per attaccare quelli del nemico per Malta, continua spina nel fianco per tutta la durata della guerra.

 

La conseguenza di questo tipo di guerra fu che, insieme alle navi da guerra, un enorme sacrificio fu pagato dalla Marina mercantile italiana, sia in vite umane sia in materiali; e le cifre sono eloquenti.

 

Al giugno 1940, la flotta mercantile italiana era composta di 786 navi superiori alle 500 tsl, per un totale di 3. 318. 129 tsl, e di circa 200 navi fra le 100 e le 500 tsl. Ben 212 navi, per 1. 216. 637 tsl, rimasero fuori dal Mediterraneo all'inizio del conflitto, e vennero, di conseguenza, quasi tutte catturate o affondate dal nemico. Fra il 10 giugno 1940 e 1'8 settembre 1943 entrarono in servizio, fra nuove costruzioni e catturate, 204 navi, per 818.619 tsl; ma 460 navi, per 1. 700.096 tsl, andarono perdute.

 

All'8 settembre, erano in servizio 324 navi, per 1. 247. 092 tsl, che, in seguito ai fatti armistiziali, vennero per la maggior parte catturate dai tedeschi (e poi affondate), oppure autoaffondate per sfuggire alla cattura. Alla fine, nel maggio 1945, le navi mercantili italiane superiori alle 500 tsl erano solo 95, per 336.810 tsl, il 10% di quelle esistenti all'inizio del conflitto.

 

Andò perduto un patrimonio immenso, non solo per quantità, ma anche per qualità: parecchie navi erano nuove e ottime unità, migliaia di bravi marinai scomparvero in mare: 3.100 marittimi caddero su navi mercantili iscritte nel naviglio ausiliario, 3.257 perirono tra gli equipaggi di navi requisite e non requisite, 537 morirono in prigionia; in totale, 7.164 caduti su circa 25.000 naviganti inscritti nei ruoli. I porti italiani vennero distrutti, e ci vollero anni per sgombrarli dai relitti e ricostruirli; anche la navigazione di cabotaggio, assai fiorente, dovette ripartire da zero.

 

Nonostante ciò, è giusto ricordare che le navi mercantili in guerra svolsero il loro compito in maniera esemplare, portando a destinazione quasi tutti i carichi bellici imbarcati: di 4.199.375 t di merci imbarcate, solo 449.225 t non giunsero a destinazione e cioè il 10,5%. I soldati imbarcati furono 1.266.172, e di questi ne scomparvero in mare 23.443, cioè il 2%: tanti, però numericamente pochi rispetto allo sforzo compiuto. Alla luce di queste cifre, si può dire che fu ben meritata la Medaglia d'Oro al Valore Militare assegnata alla bandiera della Marina mercantile, concessa l'11 aprile 1951 con decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.

 

La Medaglia venne consegnata il 16 settembre 1951 a Genova dallo stesso Luigi Einaudi: in porto si trovavano, per rendere omaggio, le motonavi Saturnia, Conte Grande e Italia, l'incrociatore Giuseppe Garibaldi e le corvette Ibis e Chimera. La bandiera, portata dalla Medaglia d'Oro, capitano di lungo corso Cesare Rosasco, venne decorata dal Presidente della Repubblica, quale solenne atto di riconoscimento della Nazione al valore e al sacrificio dei marinai delle navi mercantili.

Ministero della Difesa

 

Marina Militare Italiana

Cesare Rosasco


Capitano di Lungo Corso Cesare ROSASCO

Medaglia d'oro al Valor Militare

Comandante di un piccolo piroscafo, attaccato da sommergibile immerso, evitati con la manovra due siluri, con pronta ed accorta decisione immediatamente predisponeva per il combattimento la propria nave, armata con un cannone di piccolissimo calibro, cosicché, appena il sommergibile molto più potentemente armato emergeva, il piroscafo apriva il fuoco a breve distanza.
Colpita la sua nave da numerose cannonate, sotto incessanti raffiche di mitragliera, caduti ai suoi piedi il timoniere e la vedetta, rimasto solo sul ponte di comando, non potendo governare dalla plancia, per sopravvenuta avaria alla trasmissione, benché gravemente ferito ad una gamba, scendeva nel locale sottostante e manovrava direttamente la macchina del timone. Saldo nel proposito di salvare, oltre l'equipaggio, anche la nave, rinunciava a portarla in costa. Con alta e ferma parola e con il proprio eroico contegno, incitava l'equipaggio militare e civile a continuare a distanza serrata l'impari combattimento fino a quando il sommergibile, a causa di ripetuti colpi ricevuti, non desistette dalla lotta.
Stremate di forze, ma sorretto da ferrea volontà, portava in salvamento la sua nave crivellata dai colpi, con i suoi morti, con i suoi feriti, fulgido esempio delle più elette virtù marinare e guerriere.
Mediterraneo Occidentale, aprile 1943

Cesare Rosasco nacque a Genova il 22 gennaio 1892. Conseguito il diploma di Capitano Marittimo nel 1910 iniziò la sua lunga carriera sul mare imbarcando, come mozzo, su un mercantile e percorrendo poi tutti i gradi della sua brillante carriera, che lo vide comandante di unità passeggeri di grande tonnellaggio.
Assolse l'obbligo di leva nella Regia Marina, dall'ottobre 1912 all'ottobre dell'anno successivo, e venne posto in congedo nel grado di Sottocapo Timoniere.
Partecipo al primo conflitto mondiale stando imbarcato su unità mercantili requisite ed armate, meritandosi una Croce di Guerra al V.M.: al termine dei conflitto prestò continuativamente servizio su unità mercantile della Societa Nazionale di Navigazione, prima nell'incarico di 1° Ufficiale e poi di Comandante.
Nel secondo conflitto mondiale, nuovamente al comando di unità mercantili requisite ed armate, si distinse particolarmente a Tobruk quando, al comando del piroscafo Ezilda Croce carico di munizioni, riuscì a spegnere un grosso incendio provocato da spezzoni incendiari lanciati dal nemico e a porre in salvo l'unità con il suo prezioso carico. Nel giugno 1942, al comando ora del piroscafo armato Mauro Croce, di 600 tsl, in navigazione da Genova e diretto ad un porto spagnolo, venne fatto oggetto da un attacco da parte di sommergibile inglese che danneggiò gravemente l'unità. Benché ferito si portò personalmente al pezzo a riuscì ad avere ragione dell'avversario, che si allontanò con avarie a bordo. Riusciva poi a porre in salvo la sua nave, dirigendo sul porto spagnolo di Sagunto.
Dal 1945 al 1957 ebbe la carica di Capo Pilota del Porto di Genova. Nel 1947 assunse la Presidenza della Federazione Italiana dei Piloti dei Porti. Fu anche Presidente della Società di Navigazione Cristoforo Colombo.

 

Il Comandante Cesare Rosasco è morto a Roma il 19 febbraio 1977.

 

Altre decorazioni:

 

Croce di Guerra al Valore Militare (Mediterraneo occidentale, 1917).

 

 

Autore: Walter Molino Argomento: II° Guerra Mondiale Soggetto: Marina Luoghi: Mediterraneo

Didascalia: Eroici marinai d'Italia. - Cesare Rosasco, genovese, comandante di una piccola nave mercantile attaccata da un sommergibile, evita due siluri. Colpito il timoniere, lo sostituisce e, col cannoncino di bordo, lotta contro il nemico più armato e riesce a metterlo in fuga. E' stato decorato con medaglia d'oro.

 

 

Capitani Coraggiosi di Franco Maria Puddu

 

Diversa è invece la vicenda del capitano Cesare Rosasco. Un po’ misteriosa perché in guerra è buona norma non parlare troppo (il nemico ascolta), e anche dopo la fine del conflitto è sempre meglio essere parchi di parole, specialmente se si sono verificati episodi poco gratificanti come alcuni di quelli dell’8 settembre.

Forse per questo ancora oggi la motivazione della Medaglia d’Oro concessa a Cesare Rosasco parla genericamente della sua eroica resistenza all’attacco di un sommergibile nemico, senza spiegare che lui era stato una delle preziose pedine della catena logistica che aveva consentito agli operatori subacquei della X MAS di violare la base britannica di Gibilterra. Vediamo come.

Sin dall’inizio del conflitto la Marina aveva predisposto che l’Olterra, un mercantile incagliatosi nella baia di Algesiras per non cadere in mano inglese, in territorio spagnolo ma ad un tiro di schioppo da Gibilterra, divenisse una piccola base segreta dove gli incursori della X MAS approntavano i Siluri a Lenta Corsa, i “maiali”, all’interno dello scafo, per poi uscirne nottetempo e attacca- re le navi nemiche ormeggiate in rada.

Questa strana base era stata realizzata con cautela e rifornita di uomini e mezzi tramite alcuni mercantili. Uno di questi era il Mauro Croce, un piro- scafetto da 600 tonnellate armato di un asmatico cannoncino da 55 mm, comandato da Cesare Rosasco, un ligure sulla cinquantina che spesso, ve- nendo dall’Italia, era costretto a sostare nei porti spagnoli per denunciare alle locali autorità la scomparsa di qualche marinaio: la guerra è brutta, la Spagna era un Paese compiacente e i marittimi dell’equipaggio, tutti civili militarizzati, quando potevano, disertavano.

Questi finti disertori, in realtà, erano incursori di Marina che, entrati clandestinamente nella neutrale Spagna, proseguivano poi verso Algesiras, dove il Mauro Croce avrebbe sbarcato, giorni dopo, là o in porti vicini, carichi “di ferramenta e carpenteria” che alcuni emissari avrebbero provveduto ad inoltrare all’Olterra: erano i componenti per realizzare maiali, mignatte e bauletti esplosivi.

Il 23 aprile del 1942, nelle acque di Valencia, il sommergibile inglese Olympus attacca il Croce lanciandogli contro due siluri; Rosasco li schiva e il battello emerge per attaccare in superficie. Il piroscafo si difende con il suo cannoncino, ma le artiglierie del battello lo soverchiano, colpendolo ripetutamente.

Il ponte di comando è un mattatoio, ma il comandante, gravemente ferito, si fa portare al timone a mano per governare la nave; a questo punto viene colpito anche l’Olympus, dove le munizioni del cannone esplodono ferendo 20 mari- nai e permettendo così a Rosasco di portare la sua malconcia nave, con il prezioso carico, nel porto di Sagunto, dove sarà soccorsa.

 

 


 

Nel riquadro il Capitano di L. C. Cesare Rosasco, decorato di Medaglia d'Oro al V. M., per aver affondato a colpi di cannone un sommergibile inglese che aveva attaccato in superficie la sua unità mercantile navigante senza scorta.

 

Il Corpo Piloti di Genova

 

Testo del Comandante Sergio Nesi

 

Il Corpo Piloti del porto di Genova è stato istituito duecentodue anni or sono con un decreto di Napoleone Buonaparte con il compito di assistenza a tutto quanto riguarda la vita di un grande porto, dall'assistenza a tutte le navi in partenza e all'attracco alle banchine, all'assistenza al naviglio in difficoltà entro e fuori dal bacino per incendi o per grandi mareggiate ecc.

 

Questo comporta una grande preparazione tecnica da parte dei piloti, che in due secoli hanno dovuto modificare i metodi di intervento, con il passaggio dalla vela al motore, con l'adozione di nuove pilotine sempre aggiornate ai tempi. Pur essendo un Corpo civile, anche in tempo di guerra i piloti del porto di Genova hanno operato come protagonisti di eventi bellici, ottenendo, oltre a prestigiosi riconoscimenti al Valor di Marina, anche due Medaglie d'Oro (Com.te. Cesare Rosasco – Com.te Emilio Legnani) e una Medaglia di Bronzo (Com.te Alberto Bencini) al Valor Militare. Non posso non ricordare su questo foglio della X Flottiglia MAS la prestigiosa figura del Capitano L.c.  Cesare Rosasco, che, pure ignorato dalla Storia ufficiale dei Mezzi d'Assalto, ne fa parte a pieno titolo, in quanto, posto al comando del piroscafo armato Mauro Croce per trasportare ad Algeçiras i pezzi costituenti i 'maiali' che dall'Olterra avrebbero attaccato Gibilterra. Il 23 aprile 1942, navigando nelle  acque di Valençia, Il Mauro Croce fu attaccato da un sommergibile inglese che gli lanciò contro due siluri. Rosasco riuscì a schivarli. Il sommergibile allora emerse per attaccare il piroscafo con il cannone, riuscendo a colpirlo anche con le mitragliere uccidendo tre membri dell'equipaggio e ferendone undici, tra cui il comandante che subì una grave lesione ad una gamba. Ma a quel fuoco nemico Rosasco fece rispondere con l'unico cannoncino da 55 mm. in dotazione, colpendo a sua volta la torretta del sommergibile e la riservetta delle munizioni, che esplose causando gravi danni e venti feriti, come confermato da un bollettino inglese.

 

Il comandate Rosasco riuscì a fare raggiungere il porto di Sagunto alla nave con tutto il suo prezioso carico, dove fu ricoverato per trentadue giorni. La sua Medaglia d'oro dovrebbe uscire quindi dal suo anonimato ed entrare a far parte della Storia della X Flottiglia MAS e il Comandante Rosasco è il perfetto Trait d'Union tra i Piloti del Porto di Genova e i Mezzi d'Assalto.

 

 

Carlo Gatti

Rapallo, 26 Novembre 2012

 

 

 


INCIDENTE DIPLOMATICO nel Porto di Genova

14.8.1967

INCIDENTE  DIPLOMATICO
NEL  PORTO  DI  GENOVA

 

Con rivolti semicomici.....

 

La nave da carico cinese LIMING diventò famosa per l’esposizione di striscioni che esaltavano non solo l’amicizia tra il popolo italiano e quello  cinese, ma esibivano anche delle massime di Mao Tze-Tung che si prestavano ad interpretazioni polemiche e soprattutto politiche.

 

Nave

Bandiera

Varo

Stazza L.

Lung-Larg

Soc.

LIMING

cinese

1961

9575

155 x 20,5

Shanghai

Ship.Co.

Era domenica. I primi striscioni comparvero poco dopo il termine  della  manovra d’attracco della nave, nel Porto Nuovo e la rappresentazione semi comica andò in scena verso le nove.

Nella striscia centrale della M/n cinese LIMING c’é scritto: “Lunga vita all’amicizia tra i popoli Cinese e Italiano”.

In particolare cadde l’occhio su un cartellone, esposto a poppa (verso la calata), che fu contestato e censurato dalle Autorità Marittima e Portuale. Ecco il testo:

 

Sollevare una pietra per poi lasciarsela cadere sui piedi è, secondo un proverbio cinese, il modo di agire di certi sciocchi. I reazionari di ogni paese appartengono a questa categoria di stupidi.”

Le Autorità genovesi invitarono, in un primo tempo, il comandante cinese Ku-Fu (che non era siciliano) a togliere, oppure a rivoltare verso l’interno i discutibili proclami.

La delegazione dei Compagni di Genova del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), in rappresentanza della Associazione Italia-Cina (Comitato Provinciale genovese) fraternizzano con i marinai della Rep.Popolare Cinese della nave “Liming”, alla fonda nelle acque del porto di Genova (al momento non era stato ancora concesso l’attracco, negando il rifornimento idrico e l’approvigionamento alimentare), il 13 agosto del 1967.

 

 

Questo è il manifesto dell'Associazione Italiana per i rapporti culturali e di amicizia con la Repubblica Popolare Cinese, affisso in Genova e in molte altre città italiane (Milano, Taranto, Firenze, Savona), per la vittoria ottenuta dai coraggiosi marinai della Liming, che hanno sfidato e vinto una provocazione inscenata dalle autorità del nostro paese contro la diffusione del pensiero del Compagno Mao Tse-tung.

La risposta del bordo fu sicuramente arrogante. I cinesi non avrebbero modificato i loro atteggiamenti dichiaratamente provocatori.

 

S’impose  così una sorta di braccio di ferro:

 

Il generale Luigi Gatti, l’allora Vice Presidente del Consorzio Autonomo del Porto, diede agli ospiti asiatici una specie di ultimatum:

 

“O voi togliete la scritta, oppure ve n’andate. Qui siete a casa nostra e soltanto noi decidiamo cosa è bene e che cosa non va per il nostro porto.”

A quest’ordine preciso e perentorio, i cinesi reagirono con sbandieramenti ritmici di libretti rossi, intervallati da incomprensibili comizi. Il tutto pareva orchestrato da una  sapiente regia che seppe di sicuro improvvisare una comica pantomima che attirò, in brevissimo tempo, l’attenzione di mezzo mondo.

 

Poi comparvero altri cartelli in italiano:

 

“Protestiamo energicamente contro le Autorità Italiane che hanno creato grave incidente politico ostile contro il popolo cinese”.

 

“Protestiamo violentemente contro le Autorità Portuali per l’ordine illegale di lasciare il porto di Genova.”

Qui occorre precisare che, a salvaguardia dell’ordine pubblico, nonché per altri seri motivi, rientra nelle normali funzioni del Comandante del Porto, invitare o costringere una nave a lasciare lo scalo.

In porto la situazione si mantenne sempre sotto controllo, mentre le acque rimasero agitate, a livello politico-diplomatico, ancora per qualche tempo, poi tutto si ricompose. Per gli uomini del porto, della cinese LIMING è rimasto il ricordo di una

 

macacata” un po’ forzata ed eccessiva, ma  con indubbi risvolti di pittoresca politica. Il porto di Genova n’aveva visto di ben altre….

 

Il caso della LIMING destò grande meraviglia nello shipping internazionale proprio perché le navi cinesi, da secoli, hanno scalato porti italiani senza mai destare preoccupazioni e problemi di alcun tipo.

 

Carlo Gatti

 

 

Rapallo, 25.11.2012



H-VITTORIALE degli Italiani, Mausoleo

 

IL MAUSOLEO DEL VITTORIALE

 

 

La Arche degli Eroi intorno alla Tomba di Gabriele D’Annunzio

 

Mausoleo del Vittoriale, le Arche degli Eroi (particolare)

 

Nella parte più alta del parco del Vittoriale, detta Monumentale, si trova il Mausoleo dove sono sepolti in cerchio i Legionari Fiumani e al centro la tomba di D'Annunzio. L'architetto Maroni costruì il Mausoleo sul colle più alto del Vittoriale.

 

 

Visibile nella foto: il triplice giro di mura: Vittoria degli umili (il primo), Vittoria degli Artieri (il secondo) e Vittoria degli Eroi (il terzo). In cerchio le arche dove sono sepolti (alcuni simbolicamente) i legionari di Fiume fra cui lo stesso Maroni. Le Arche sembrano volere fare da guardia al sarcofago posto in alto e dominante la zona dove dal 1963 (centenario della nascita di D'Annunzio) sono custodite le sue spoglie.

 

 

Sopra al masso dell'Adamello che fa da altare, un grande crocifisso dello scultore simbolista Leonardo Bistolfi (originale del 1901). Appesa al centro la lampada in bronzo resta accesa perennemente. (vedi foto)

 

Uscendo dall'interno del Mausoleo e girandosi verso il lago quello che si vede è di grande effetto. L'ultima impresa condotta da Maroni dopo la morte di D'Annunzio è la progettazione del Mausoleo; a partire dal 1939 si approntano il modellino e le fondamenta. I lavori si concludono solamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Mausoleo sostituisce definitivamente il Mastio o il Colle delle Arche, allestito a partire dal 1928 con la traslazione dei sarcofaghi romani donati dalla città di Vicenza e le salme di alcuni legionari. Giancarlo Maroni (1893 - 1952) è l'architetto del Vittoriale, alpino irredentista medaglia d'argento al valor militare. Si diploma in architettura a Milano e nel 1921 il legionario di Riva del Garda Giuseppe Piffer lo presenta a D'Annunzio, da poco trasferitosi a Gardone Riviera.

 

Carlo Gatti

Rapallo, 14.11.2012



G-Il VITTORIALE degli Italiani: La R.N.Puglia

Regia Nave PUGLIA

 

 

Renato Brozzi, Vittoria angolare per la prora rostrata della nave PUGLIA

 

 

Nella foto, il Ponte di Comando della PUGLIA ripresa dalla coperta della nave e sullo sfondo il Mausoleo.

 

Sotto il colle mastio è collocata la la Nave Militare Puglia, forse il più suggestivo cimelio del Vittoriale. La nave, sulla quale trovò la morte Tommaso Gulli nelle acque di Spalato , fu donata a d'Annunzio dalla Marina Militare nel 1923. I lavori per portarla al Vittoriale si rilevarono particolarmente impegnativi: si trattava di sezionare una nave e trasportarne per via ferroviaria la prora a 300 km da La Spezia; per l’impresa furono necessari venti vagoni ferroviari e numerosi camion militari. A coordinare l’invio dei materiali e dirigere i lavori di ricostruzione venne designato l’ingegner Silla Giuseppe Fortunato, allora tenente del Genio Navale. La prua, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico e la Dalmazia , fu adornata da una polena raffigurante una Vittoria scolpita da Renato Brozzi. Nel sottocastello della nave, dal 2002, è stato allestito il Museo di Bordo che raccoglie alcuni preziosi modelli d'epoca di navi da guerra della collezione di Amedeo di Savoia, duca d'Aosta.

L'ariete torpediniere Puglia della Regia Marina apparteneva alla Classe Regioni o Lombardia, ed era derivato dall'ariete torpediniere Dogali. Esso fu uno dei tanti progetti creat i dal Generale Masdea, del genio navale della Regia Marina. Svolse il suo servizio principalmente nell'Adriatico, dove dopo la Prima guerra mondiale fu utilizzato anche come presenza in porti dalmati, trovandosi anche al centro degli "incidenti di Spalato" tra il 1918 e il 1920, che causarono tra l'altro la morte del comandante Tommaso Gulli. La nave venne riclassificata come posamine nel 1921. La nave Puglia nel 1923 venne donata dalla Regia Marina a G.D'Annunzio : la prua e gran parte delle sovrastrutture (castello, ponte, artiglierie, ecc.) vennero quindi inserite dal poeta nel parco del Vittoriale degli Italiani, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico.

 

 

La prua della nave PUGLIA rivolta verso l’Adriatico...

 

 

R.N.PUGLIA, Artiglieria di bordo

Puglia

 

Descrizione generale

 

 

Tipo

Ariete torpediniere

Classe

Lombardia (o Regioni)

Cantiere

Arsenale di Taranto

Impostata

1893

Varata

1898

Completata

1901

Radiata

1923

Caratteristiche generali

Dislocamento

2.538 (3.096 pieno carico)

Lunghezza

88,2 m

Larghezza

12,4 m

Altezza

5,4 m

Propulsione

*4 caldaie

▪ 2 motrici alternative

▪ 2 eliche

▪ Potenza: 7.000 HP

Velocità

17 nodi

Autonomia

4000 NumeroMiglia mn a 10 nodi NumeroNodi(Numerokm km a Velocità km/h)

Equipaggio

201

Armamento

Armamento

*4 pezzi da 152/32 mm.

▪ 6 pezzi da 120/40 mm.

▪ 8 pezzi da 57 mm.

▪ 8 pezzi da 37 mm.

▪ 2 mitragliere

▪ 3 tubi lanciasiluri

 

 

Le grandi maniche a vento della nave PUGLIA

R.N. PUGLIA, la Campana di Bordo 1904

 

Carlo Gatti

Rapallo, 14.11.2012

 

 


F-IL VITTORIALE degli Italiani: Ansaldo SVA 10

ANSALDO SVA - 10

SCHIFAMONDO

l’Auditorium

 

Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.

 

Schifamondo comprende anche l'auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA-10 del celebre Volo su Vienna. Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio De Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della "Figlia di Iorio" e di "Parisina" Jonathan Meese, Luigi Ontani.

 

 

Alla cupola della grande sala é sospeso il biplano biposto da ricognizione e bombardamento (SVA-10) con il quale il 9 agosto 1918 d’Annunzio partì dal Campo di San Pelagio, presso Treviso, in direzione di Vienna; d’Annunzio era sull’aereo pilotato dal comandante Natale Palli.

 

 

Ansaldo SVA-10 visto dal basso

 

L’87° squadriglia della “La Serenissima” (11 Ansaldo-SVA, ma in realtà 4 velivoli furono costretti a fermarsi prima), seguendo un progetto ideato dal poeta già nel 1917, sorvolò la capitale dell’impero a 800 metri di altezza, lanciando sulla città 50.000 copie di un volantino in lingua italiana che, “per la gioia  dell’arditezza” e “per la prova di quel potremo osare”, inneggiava al “vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà”. Furono lanciate anche 350.000 copie di un altro testo, scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco, meno lirico, ma ugualmente chiaro nel suo messaggio al governo austroungarico, “nemico delle libertà nazionali”. Poche ore dopo, la squadriglia era di ritorno.

 

 

Ansaldo SVA 10 con vista del cockpit

 

A ricordare l’impresa, d’Annunzio vorrà nel gonfalone della Reggenza del Carnaro e nel blasone del principato di Monte Nevoso, le sette stelle dell’Orsa Maggiore, sette come gli aerei giunti a Vienna. L’effetto dell’impresa sull’opinione pubblica viennese, italiana e mondiale fu enorme, e d’Annunzio venne proposto per la medaglia d’oro al valore militare.


Carlo Gatti

Rapallo, 14.11.2012