P.fo ARDENA affonda il 28 settembre 1943-720 morti
P.fo ARDENA
affonda 28 settembre 1943
720 morti
Una bella immagine del P.Fo ARDENA in manovra
L’Ardena fu costruita dal cantiere: McMillan di Dumbarton nel 1915 come fregata per la Royal Navy. Originariamente si chiamava Peony. Varata il 25 agosto 1915, aveva una stazza di 1.210 ton. Faceva una velocità di sedici nodi
e mezzo. Nel 1919 fu venduta dall’Ammiragliato, prese il nuovo nome di Ardena e fece servizio dal 1924 al 1930 nella Manica per i collegamenti tra la Gran Bretagna e la Francia. Nel1934 fu rivenduta alla Togias Line (Grecia, Pireo) e fece servizio con le isole di Chios e Metilene. Aveva una lunghezza di duecentocinquanta piedi, una larghezza di trentatré piedi e un’immersione di diciassette piedi. I motori erano a triplice espansione con tre cilindri da 350 n.h.p. La nave fu bombardata ed affondata da aerei tedeschi nel giugno del 1941, durante l’invasione della Grecia. Fu riportata a galla e riparata per conto dei tedeschi, che la adibirono a trasporto prigionieri.
Immagini del relitto dell'Ardena
MAR IONIO 28 settembre 1943
Nome della nave: piroscafo ARDENA
In navigazione da Argostoli (720 morti) la nave affonda per la collisione con una mina sganciata da un aereo britannico.
Il piroscafo tedesco ARDENA aveva a bordo 840 soldati italiani. I morti furono 720, più 59 dei 120 soldati tedeschi.
Storia relitto
Domenica 9 agosto 2009
Cefalonia - I 720 morti della nave Ardena forse vittime di sabotaggio tedesco.
Il Messaggero ROMA - Dei 1.500 soldati della ‘Acqui’, morti nell'affondamento delle tre navi che li trasportavano verso i lager tedeschi, le 720 vittime della nave Ardena, il 28 settembre, potrebbero non essere deceduti per l'urto della nave contro una mina - come dice la storiografia - ma perché gli stessi tedeschi piazzarono delle bombe a bordo della nave. Sull'Ardena, al termine della mattanza di Cefalonia, furono imbarcati 840 militari italiani: nell'affondamento perirono i 720 che si trovavano nelle stive. Sull'ipotesi della volontarietà del massacro sta lavorando l'Associazione nazionale Divisione Acqui, presieduta dall'aretina Graziella Bettini, dopo alcune immersioni sul relitto compiute dai tecnici del Centro studi attività subacquee, che avrebbero trovato indizi in questo senso. La Bettini, figlia del colonnello Elia Bettini, fucilato a Corfù dai tedeschi, ha deciso di rendere nota questa ipotesi alla vigilia di una cerimonia che si svolgerà il 14 agosto nel mare di Cefalonia, con la partecipazione di una nave della Marina militare italiana. Nei giorni precedenti un gruppo di subacquei compirà altre immersioni sul relitto dell' Ardena alla ricerca della verità. Il giorno della commemorazione, sul fondale verrà deposta una lapide.
Ancora un reperto del relitto
“UNA ACIES”
Nave Ardena La cerimonia del 14 agosto nel mare di Argostoli
Nel precedente Notiziario era stata data notizia della cerimonia che si sarebbe svolta il 14 a- gosto 2009 a Cefalonia, nel mare antistante la baia di Argostoli, con la deposizione di una targa in ricordo dei 720 soldati della Divisione Acqui che, chiusi nelle stive, morirono nell’affondamento della nave Ardena, la quale li avrebbe dovuti portare prigionieri a Patrasso, per poi essere inviati nei campi di internamento nazisti. Nei giorni 12 e 13 agosto erano previ- ste immersioni sul sito della nave per riprese e documentazioni.
“Oggi, con voi autorità, con voi amici, con voi reduci dell’Acqui, è presente anche il ricordo della cerimonia del 14 agosto scorso a Cefalonia, nelle acque antistanti Argostoli, durante la quale lo Stato Italiano, con autorità greche ed italiane, e con tanti nostri connazionali, per la prima volta dopo 66 anni, ricordava, con noi dell’Acqui, i 720 giovani che affondarono con la nave Ardena nelle acque cefaliote.
Questo è il messaggio che mi onoro di portarvi oggi e che idealmente pongo ai piedi del nostro monumento. Nel 1943, il 28 settembre, 840 giovani dell’Acqui, che erano sfuggiti ai massacri tedeschi, avvenuti dopo la resa a Cefalonia (e Corfù), stanchi ed annientati dal dolore dei compagni morti nelle battaglie e nelle stragi naziste, sicuramente in quel giorno, quando furono imbarcati sulla nave Ardena, nutrivano la speranza, in quel 28 settembre ’43, che la prigionia cui erano destinati sarebbe finita presto e che presto avrebbero potuto tornare a casa.
Ma dopo pochi minuti dalla partenza la nave colò a picco...e con lei 720 acquini...Solo 120 si salvarono.
Le loro ossa giacciono ancora in fondo al mare: ma la loro voce, se si fa silenzio in noi ed intorno a noi, si può oggi sentire in questo parco dell’Acqui, in questo luogo nobile, ove si può riscoprire se stessi, la propria identità.
Perché non basta che abbiano dato la vita, che abbiano consegnato alla storia le loro scelte. Qui siamo obbligati a domandarci il senso del gesto di tanti migliaia di giovani; ed il dono della loro vita ci interroga.”
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 aprile 2013
M/n Mario ROSELLI - Naufragio 10 ottobre 1943 - 1302 morti
MARIO ROSELLI
Naufragio 10 ottobre 1943
1302 le vittime
La motonave Mario Roselli fu protagonista di una tra le più gravi tragedie della Seconda guerra mondiale dopo l’8 settembre del 1943. 1.300 furono le vittime su 5.500 militari italiani imbarcati.
Descrizione generale |
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Tipo |
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Classe |
Fabio Filzi |
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Proprietà |
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Costrutt. |
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Cantiere |
Monfalcone (GO) |
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Impostata |
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Varata |
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Completa |
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In serv. |
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Destino finale |
Affondata l'11 ottobre 1943 |
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Caratteristiche generali |
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6835,00 tsl |
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Lunga |
138,61 m |
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Larga |
18,92 m |
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Altezza |
12,10 m |
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Motore |
Un motore Diesel con potenza di 7500 CV, una elica |
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Velocità |
15,8 nodi |
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Capacità di carico |
9100,00 t.p.l. |
La Mario Roselli venne costruita dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone su ordinazione della Società Italia di Navigazione di Genova nel 1940 . Nello stesso cantiere vennero contestualmente costruite le navi gemelle Reginaldo Giuliani, Gino Allegri, Fabio Filzi e Carlo Del Greco, tutte su ordinazione del Lloyd Triestino.
Varata il 25 aprile 1941 , la nave venne consegnata al committente il 22 aprile 1942 requisita il giorno dopo a Trieste dalla Marina Milirae Italiana che la incorporò nel suo naviglio ausiliario di guerra .
La sua prima missione fu il rifornimento delle truppe italiane di stanza in Libia, sulla tratta Brindisi-Bengasi-Brindisi, con prima partenza da Brindisi il 16 maggio 1942. Il 24 maggio , in porto a Bengasi, venne colpita durante un attacco aereo degli alleati. Circa un mese dopo, il 23 giugno , in navigazione per Bengasi, la nave divenne bersaglio degli aerei alleati al largo di Capo Rizzuto, riportando danni rilevanti a causa dei siluri ricevuti. Assistito inizialmente dai rimorchiatori Gagliardo, proveniente da Taranto , Fauna, proveniente da Crotone. Il mercantile venne poi rimorchiato a Taranto dalla torpediniera Orsa con la scorta prima del cacciatorpedinier e Turbine e della torpediniera Partenope , e poi delle torpediniere Antares ed Aretusa . Rimorchiata da Taranto a Monfalcone nel settembre 1942 per le riparazioni, l'unità rimase in cantiere fino al 19 dicembre , quando rientrò in servizio sulla rotta Napoli-Palermo-Biserta , con cinque missioni totalizzate fino al marzo 1943. L'11 aprile dello stesso anno la nave venne nuovamente bombardata, questa volta nel porto di Napoli .
Il 9 settembre 1943 , il giorno dopo la comunicazione dell'avvenuto Armistizio di Cassibile, la Mario Roselli divenne preda bellica della Marina militare germanica , che la incorporò nel suo naviglio ausiliario di guerra. Il 20 settembre venne utilizzata per un trasporto di prigionieri italiani a Venezia , con successiva partenza per Trieste il 27 settembre.
La Mario Roselli adagiata sul bassofondale dell’isola di Corfù
M/n Alpe ex Mario Roselli
La strage di Corfù
Il 9 ottobre 1943 la motonave Mario Roselli giunse in rada a Corfù per imbarcare numerosi prigionieri italiani, circa 5.500 militari, che nei giorni prima erano stati catturati negli scontri tra i tedeschi e la resistenza , organizzata dagli stessi militari italiani. Le operazioni d’imbarco iniziarono all'arrivo della nave e si protrassero per tutta la notte tra il 9 ed il 10 ottobre; i prigionieri venivano trasbordati da riva alla nave tramite piccoli motoscafi . Ad imbarco quasi completato, alle ore 7,15 del 10 ottobre, venne avvistato un aereo alleato, che immediatamente attaccò la nave ed i motoscafi. Una bomba centrò con tragica precisione un motoscafo, stipato di prigionieri, ed un'altra, passando da un boccaporto aperto, cadde direttamente nella stiva della nave, gremita di italiani, ed esplose, causando una terribile strage e lo sbandamento della nave sulla dritta a causa dell'imbarco di acqua. Molti prigionieri sulla Roselli, non coinvolti nell'esplosione, tentarono di salvarsi gettandosi in mare, per poi affogare poco dopo. Il mare intorno alla nave si riempì quindi di cadaveri, rendendo l'idea di quanta sofferenza ed orrore si verificarono in questo tragico bombardamento su prigionieri inermi; sono state calcolate 1.302 vittime. I prigionieri a terra, capendo la gravità ed il pericolo della situazione, fecero un tentativo di fuga nelle campagne circostanti, inseguiti dai tedeschi che avevano aperto un fitto fuoco sugli inseguiti; alcuni di questi ultimi, nonostante l'odio dei greci per l'occupazione italiana, vennero aiutati e nascosti dalla popolazione, scampando a morte certa. I superstiti a bordo della nave vennero sbarcati, e la nave, gravemente sbandata, venne abbandonata in rada dove si trovava al momento del bombardamento. Il giorno dopo vi fu un nuovo attacco aereo, che causò il definitivo affondamento della Mario Roselli.
Il recupero e la ricostruzione
Nel 1952 il relitto della Mario Roselli, rimasto appoggiato sul fondale in assetto di navigazione con il fumaiolo affiorante, venne recuperato. Il recupero venne effettuato svuotando alcune cisterne di acqua dolce rimaste intatte durante l'affondamento. Reso il relitto galleggiante, fu rimorchiato ai Cantieri Navali Riuniti di Monfalcone (lo stesso cantiere dove era stata costruita la nave). La Mario Roselli, caso più unico che raro, venne ricoverata sullo stesso scalo dove era stata varata, e da dove poi ebbe luogo il secondo varo della sua vita. Terminati i lavori, l'11 giugno 1952 la motonave venne immatricolata come Alpe. La nave ricostruita aveva una stazza lorda di 6893,00 tonnellate.
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
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Carlo GATTI
Rapallo, 27 aprile 2013
M/n SINFRA affonda il 19 ottobre 1943-1850 morti
LE TOMBE INVISIBILI:
M/n SINFRA
18.10.1943
1850 Vittime
Due foto della FERNGLEN (Primo nome del SINFRA). scattate il giorno del varo (Nasjonalbiblioteket photo archive).
Una bella foto della SANDAHAMN, Secondo nome della futura SINFRA.
DATI NAVE:
Primo Nome: "Fernglen"
Tipo: Ocean liner/Cargo ship
Anno: 1929
Nazionalità: Norway
Primo Armatore: Fearnley & Eger, Oslo (old Christiania), Norway
Successivi Armatori / OWNERS:
1934: "Sandahamn"/Sven Salen (Rederi A/B Jamaica), Stochholm, Sweden
1939: "Sinfra" / Companie di Navigation A Vapeur Cyprien Fabre & Cie, La Ciotat, France
Dicembre 1942: "Sinfra" / German Government
Costruttore: Akers Mekaniske Verksted A/S
Cantiere: Oslo (old Christiania), Norway
YARD No: 434
Data del Varo: 15-05-1929
Data completamento: July 1929
Stazza Lorda: 4444 GRT
Lunghezza: 122.5 m
Larghezza: 16.7 m
Altezza: 7.32 m
Eliche: 2
Motore: Diesel
Velocità: 12.5 knots
Destino: AFFONDATO dalle bombe degli Alleati il 19 ottobre 1943.
La storia:
La motonave SINFRA arrivò nel porto di Heraklion (Creta) nei primi giorni di ottobre 1943. Da parecchi giorni i convogli ferroviari tedeschi ammassavano, presso questa base, materiale bellico (bombe d’aerei, in particolare) provenienti dagli aeroporti limitrofi. Queste bombe erano destinate ad essere sganciate dalla Luftwaffe in Nord Africa, ma dopo la vittoria Anglo-Americana, questo arsenale costituiva un surplus, così come gli stessi aeroporti dell’isola di Creta di grande valore strategico. Il 19 ottobre il carico di bombe fu completato e la nave era quasi pronta a partire per il Pireo. L’ultima operazione era soltanto quella di trasferire il carico “UMANO” di migliaia di militari internati dai campio di concentramento al porto. Molti greci si erano assemblati sui lati della strada per assistere alla partenza dei soldati italiani. Verso sera il trasferimento fu completato. La Schmeisser SINFRA era una nave da carico senza cabine ed i soldati furono ammassati nelle stive. I tedeschi permisero soltanto agli ufficiali di rimanere sui ponti aperti usando le poche cabine esistenti sui lati dei corridoi che correvano da poppa a prua. Prima del tramonto, i tedeschi consegnarono agli ufficiali italiani i giubbotti di salvataggio che non erano sufficienti per tutti gli ufficiali presenti a bordo. Nessun giubbotto fu consegnato agli uomini nelle stive. Sulla nave c’erano molti tedeschi di passaggio ed anche un piccolo gruppo di partigiani greci, tutti cretesi, destinati ai lager tedeschi. I boccaporti delle stive erano presidiati da sentinelle tedesche armate di maschinenpistole Schmeisser. La nave aveva due mitragliatrici, una a prua ed una a poppa, in funzione antiaerea.
Il mare era liscio come uno specchio e c’era anche la luna piena quando il SIFRA lasciò il porto di Heraklion, scortato da almeno una nave. Nessuna luce era permessa a bordo per evitare il pericolo d’essere individuati da aerei e da sottomarini nemici. Chi voleva fumare poteva farlo solo nei locali interni. Alcuni ufficiali italiani combattevano lo stress passeggiando da prua a poppa e discutendo delle situazioni ed erano divisi in piccoli gruppi. La maggior parte di loro si poneva la stessa domanda: “Cosa sarebbe successo una volta giunti al Pireo?”
Alle 23.30 una sentinella tedesca cominciò ad urlare: “Aerei nemici, allarme!”
Immediatamente l’antiaerea del SINFRA cominciò a crepitare. L’ufficiale Donato, uno dei tanti italiani presenti in coperta, dopo pochi secondi vide delle luci a gruppi sull’orizzonte, erano molto basse.
Fonti tedesche concordano che si trattasse di squadroni di bombardieri B-25 Mitchell della U.S.A.F e aerosiluranti Bristol Beaufighter della R.A.F provenienti dal Nord Africa e operativi sul Mediterraneo.
Appena gli aerei sorvolarono sopra il SINFRA, avvenne una forte esplosione. Lo shock dovuto all’esplosione fu così forte che Donato Dutto fu scagliato parecchi metri lontano dalla sua posizione originale. Mentre cercava di capire cosa fosse accaduto, vide le sentinelle aprire il fuoco all’interno delle stive. Il suono dei mitragliatori era alto, ma non tanto da coprire le urla di terrore che salivano dalle stive. Enzo Della Rovere, un altro italiano sopravvissuto, affermò che la bomba era entrata dalla ciminiera ed era esplosa all’interno della nave e che molti soldati italiani erano stati intrappolati all’interno nelle stive vicine all’esplosione di cui le scale di accesso erano collassate e crollate.
Anche un rapporto trovato negli Archivi della Marina Italiana conferma che la bomba attraversò la ciminiera e l’esplosione procurò confusione, panico e terrore nelle stive. Corrisponde anche l’azione compiuta dalle sentinelle tedesche che gettarono, inizialmente, alcune granate dai boccaporti e poco dopo fecero fuoco con le Schmeisser, quando i prigionieri tentarono di risalire in coperta.
Il motore della SINFRA si fermò e poco dopo la nave cominciò ad inclinarsi sul lato dritto. Quelli che erano già in coperta cominciarono a saltare in mare.
Nel contempo i bombardieri alleati compirono un largo giro intorno al SINFRA e ritornarono indietro per terminare il loro lavoro. La nave fu colpita nuovamente e l’incendio si propagò in breve da poppa a prua. Pochi attimi dopo il secondo attacco, un gruppo di ufficiali tedeschi con due civili (un diplomatico e sua moglie, secondo quanto testimonia Dutto) arrivarono sul ponte di coperta spingendo e sparando. Presero una scialuppa di salvataggio sul lato dritto e lasciarono velocemente la nave sotto incendio. Sul lato sinistro alcuni ufficiali italiani erano più fortunati e riuscirono a calare in mare una scialuppa di nascosto dei tedeschi. La nave di scorta fece molti e continui segnali luminosi al SINFRA ma non venne mai vicina alla nave bombardata per salvare i naufraghi finiti in mare, se non molte ore più tardi.
La nave non affondò subito, e dopo aver messo le due lance in mare, le sentinelle lasciarono le loro postazioni presso le stive aperte. Quello fu il momento atteso dai prigionieri sopravvissuti al massacro e si riversarono con tutti mezzi possibili sulla coperta della nave e si gettarono in mare. Molti di loro cercarono pezzi di legno o altro materiale galleggiante per sostenersi e vincere la stanchezza. Le acque intorno alla nave erano piene di naufraghi che lottavano per rimanere vivi. Donato Dutto cercò di rimanere a bordo della nave che bruciava il più a lungo possibile, poi trovò il coraggio di tuffarsi in mare. La soluzione si trovò quando un gruppo di naufraghi notò la biscaglina appesa fuoribordo che era stata usata dagli ufficiali tedeschi per salire sulla lancia. Dutto usò quello strumento per fuggire dalla nave sotto incendio. La nave scarrocciava lentamente mentre veniva consumata totalmente dal fuoco.
A fronte dell’estremo calore, molti militari correvano sul ponte della coperta e i loro urli d’aiuto si udivano chiaramente anche a distanza. Alle 02.30, quando il fuoco raggiunse le bombe d’aereo sistemate nelle stive, si compì il destino del piroscafo SINFRA. La nave fu sventrata da una colossale esplosione che deflagrò a molti chilometri di distanza. La mattina successiva, una flotta di pescherecci greci requisiti dai tedeschi, affluirono sulla scena del disastro alla ricerca di naufraghi sotto le direttive di un paio d’idrovolanti del 7° Squadrone Salvataggio Marittimo germanico e della nave di scorta.
Donato Dutto fu uno dei pochi militari italiani tratti in salvo dai pescherecci locali, nonostante l’ordine fosse molto chiaro: “prima salvate i militari tedeschi!”. Durante le operazioni di recupero e salvataggio dei naufraghi, uno stormo di caccia alleati attaccò e distrusse un idrovolante tedesco. Subito dopo l’attacco, i pescherecci fecero rotta per il porto di Cania. Ad attenderli in banchina c’erano i tedeschi che prelevarono i naufraghi italiani e li trasferirono con mezzi pesanti nelle carceri vicine alla città. Gli ufficiali italiani furono invece portati nella prigione di Panaghia dove rimasero quattro settimane prima di essere imbarcati per il Pireo.
LE CIFRE DEL DISASTRO
a) Nel suo libro (scritto 10 anni dopo gli eventi) Donato Dutto affermò che 523 italiani si salvarono (100 circa furono salvati dai pescherecci e almeno 400 furono tratti in salvo da dalla nave di scorta e dalle lance di salvataggio calate in mare dalla nave prima che affondasse). Inoltre, egli scrisse che soltanto 12 partigiani greci sopravvissero. Comunque, questi combattenti furono più tardi giustiziati perché ritenuti responsabili della morte di molti soldati tedeschi finiti in mare dopo il naufragio. Dutto stimò che a bordo del SINFRA si trovassero 400 militari tedeschi.
Il numero delle vittime: 2465
Superstiti: 535 Internati e prigionieri greci
Su un TOTALE di: 3000 presenti a bordo, incluse i milit. Germ.
b) Secondo il sito web di George Duncan’s le cifre sono diverse e meglio dettagliate:
Il numero delle vittime: 2098
Superstiti: 566 403 internati italiani, 163 tedeschi
Su un TOTALE di: 2664 Di cui 2389 italiani internati, 71 prigionieri greci, 204 militari tedeschi.
c) Il ricercatore greco Manos Mastorakos fornisce gli stessi dati di Duncan ma un diverso numero di superstiti: 757 italiani, 197 tedeschi
Il numero delle vittime 1710
Superstiti: 954
Su un TOTALE di: 2664 presenti a bordo
d) Il libro di Gerard Schreiber fornisce i seguenti dati:
Il numero delle vittime: 1850 Internati e prigionieri greci
Superstiti: 539 Internati e prigionieri greci
Su un TOTALE di: 2389 Internati e prigionieri greci
e) Gli Archivi della Marina Militare (Roma) forniscono un differente quadro:
Esiste un Rapporto del 7.8.1946 che certifica che 5.000 italiani imbarcarono sulla M/n SINFRA il 18 ottobre 1943. Furono poi imbarcate 500 proiettili di contraerea. Lo stesso rapporto riporta che ci furono circa 500 superstiti.
Le note del webmaster:
I dati forniti da Donato Dutto riguardo al totale delle persone imbarcate sulla SINFRA, non sembrano essere particolarmente accurate. Si tratta probabilmente delle cifre discusse dagli ufficiali italiani prima dell’imbarco sulla nave, poiché le cifre sono arrotondate. In ogni caso non vi sono grandi differenze sulla valutazione dei superstiti. Va detto invece che i dati forniti da Gerhard Schreiber che ha esaminato gli Archivi di Stato tedeschi, sono considerati attendibili e affidabili anche da molti storici italiani.
Purtroppo, il numero dei prigionieri italiani e greci uccisi dalle sentinelle tedesche durante il tentativo di fuga dalle stive, rimane sconosciuto.
La Posizione del Relitto
Il relitto della SINFRA si trova 7 miglia fuori della costa nord occidentale di Creta (meno di 25 km a nord del porto di Cania). Si pensa che il relitto sia difficilmente riconoscibile a causa dei danni subiti dall’esplosione.
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 febbraio 2013
P.fo PETRELLA- affondamento l'8.2.1944-2700 morti
AFFONDAMENTO
PIROSCAFO PETRELLA
8.2.1944
2646 Vittime
La ricerca di informazioni verte sull'affondamento del Petrella (ex Capo Pino-ex Aveyron) avvenuta 8/2/1944 nelle acque di Creta da parte del sommergibile inglese Sportsman.
Nella perdita di 2646 (2670 da Schreber) vite di prigionieri italiani vi era il padre di una cara amica che sarebbe molto contenta di conoscere qualche notizia in più sul fatto e sulla nave (dati tecnici,eventuale foto)
Dati che ho cercato anche dal R.I.N.A. e foto dal sito della Royal Navy (avendo saputo che il Petrella era stato monitorato e fotografato da ricognitori inglesi)
PETRELLA, exCAPO PINO, ex AVEYRON, Toulon (Archivio G. Spazzapan)
La nave da carico PETRELLA fu costruita nel 1923 a Granville con il nome di PASTEUR. Appartenne ad una serie di 9 unità, conosciute come le “4.800 tons” in riferimento alla loro stazza lorda, furono ordinate dallo Governo francese con lo scopo di ripristinare la flotta dopo il 1° conflitto mondiale. Varata il 3 febbraio 1923, entrò in linea con la bandiera francese il 10 agosto 1923. L’anno seguente fu acquistata dalla Compagnie des Chargeurs Français, nel 1925 fu presa a noleggio dalla Compagnie Navale de l’Océanie (Ballande Shipping Company) per la sua linea della Nuova Caledonia. Nel giugno 1928 fu acquistata dalla CGAM, e rinominata AVEYRON e fu assegnata alle linee della CGT, quella della West Indies e quelle di Nantes-Bordeaux-Algeri-Tunisi. Nel 1939 passò alla CGT.
Il 10 luglio 1941 fu trasferita in Italia e rinominata CAPO PINO sotto il controllo della Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore. L’8 settembre del 1943 fu sequestrata dai tedeschi a Patrasso, rinominata PETRELLA sotto il controllo della Mittelmeer GmbH. L’8 febbraio del 1944 il piroscafo PETRELLA fu affondato dal sottomarino inglese SPORTSMAN al largo della baia di Suda, Creta. Il numero delle vittime fu altissimo: 2.700 di 3200 prigionieri di guerra italiani (pow) che si trovavano a bordo.
Dati Nave:
Design features
Aveyron (steel cargo ship) 1939 - 1941
hull material : ...................steel
previous name(s) of ship : ........pasteur
detailed type : ...................steel cargo ship
type of propulsion : ..............1 propeller
building year of ship : ...........1923
name of shipyard : ................F. & Ch. De la Gironde
place of construction : ...........Graville
year of entering the fleet : ......1939
length (in meters) : ..............110,60
width (in meters) : ...............14,98
gross tonnage (in tons) : .........4785
deadweight (in tons) : ............6500
type of engine : ..................inverted, triple expansion 3 cylinders
engine power (in HP) : ............2500
nominal speed (in Knots) : ........12
Il materiale che segue é il Rapporto tradotto dal tedesco all’italiano, da un 'anonimo'. Il testo é stato ripreso dal Sito BETASOM –XI GRUPPO SOMMERGIBILI ATLANTICI.
Inviato l’11 febbraio 2010 con questa dizione:
Salve!
Di questa tragedia dimenticata, 'rompendo' un po’ da tutte le parti ho recuperato varie informazioni .... tra cui la trascrizione dei rapporti del traffico marittimo a Suda nei giorni a cavallo dell'affondamento .... che ho tradotto con un po’ di approssimazione ....
Centro di trasporto marittimo di Suda
23.01.44 vento W-NO mare forza 2-3, nuvoloso, visibilità 10 Miglia
Ore 09.35 arriva la nave Petrella con 4178 tonnellate di carico da Saloniko – il Pireo.
24.01.44 vento Debole di direzione variabile, mare forza 2-3, visibilità 12 Miglia.
06.50 arrivo della nave Susanne con un carico di 111 t. e 30 soldati tedeschi partita dal Pireo. La Petrella subiva un guasto al timone spostandosi dal posto di ancoraggio. L´attracco al molo avveniva con 1.5 ore di ritardo. Lo scarico della merce inizia ore 08.30
28.01.44 vento da N, mare forza 2-3, localmente di 4-5, foschia o nebbia, visibilità di 6 Miglia.
Ritardi nelle operazioni Scarico e carico per la forte pioggia. La Petrella dalle 11.00 alle 14.00 ha interrotto le operazioni per la rottura di un tubo di vapore. La navigazione dei piccoli natanti ostacolata dal tempo cattivo.
04.02.44 Vento da W-SW mare forza 3-4, localmente 5, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 00:40, 01:10, 02:40, 03:16, 08:10, 08:22, 09:22 e alle 09:36.
12.30 imbarco truppe.
La Susanne imbarca 87pers.ted. in vacanza. Il comandante riceve ordine per il trasporto. Ogni soldato riceve una salvagente.
17.00 imbarco truppe sulla Petrella. Vanno a bordo:
2.800 prigionieri italiani
72 volontari di combattimento ital.
41 prigionieri ( non ital.)
193 tedeschi ( militari di scorta)
Il comandante riceve gli ordini per il viaggio: ciascun soldato ted. Riceve salvagente. A bordo ci sono 4 zattere e 4 battelli gonfiabili, vengono aggiunti 5 zattere per 24 pers ciascuna
La Partenza a causa del brutto tempo viene spostato al 06.02 ore 06.00
05.02.44 vento da S-SW mare forza 4-5, piovoso, 12 Miglia di visibilità.
Su ordine del commando marina ted. A Creta salgono sulla Susanne 10 militari tedeschi di scorta.
Dalla Petrella sbarcano i soldati tedeschi eccetto 95 uomini. Vengono imbarcati altri 282 prig. Italiani e 19 ital. Disposti a combattere.
06.02.44 vento da W-NW mare forza 5-6, , nuvoloso, visibilità 15 Miglia.
La partenza delle navi per il Pireo viene spostata al 07.02 ore 06.00 a causa maltempo
07.02.44 vento da S-SW mare forza 3-4, coperto, forte pioggia, la visibilità è di 8-10 Miglia.
La partenza della Petrella e della Susanne è stato spostato al 08.02 ore 06.00 causa maltempo
08.02.44 vento da N, mare forza 2-3, tendente a 4, visibilità 12 Miglia.
Ore 06.30 Petrella e Susanne partono scortate verso il Pireo.
Alle ore 08.55 dal comm. porto Suda si ha notizia che il convoglio di questa mattina e´stato attaccato da sommergibile nemico appena fuori Suda , La Petrella è stat colpita da 2 siluri
I Motovelieri nel porto di Suda:
Agios Nicolaos Pi 783,
Athina Pi 722,
Ipapanti Sy 631,
Agia Matrona Pi 823,
Agios Mattheus Pi 55,
Agios Nicolaos Ch 54,
Agios Nicolaos Ch 51
Si sono diretti sul luogo di incidente
Alle 10.05 su richiesta il comm. Del porto Chania conferma che anche i motovelieri locali si dirigono verso luogo di incidente:
Agios Nicolaos Ch 216,
Agios Dimitrios Pi 2302
E il Pi 22
Alle 10.35 su ordine del comm. Del Porto di Suda parte il rimorchiatore Voltaire verso luogo incidente per rimorchiare la nave danneggiata . MSS Kalami (punto di Osservazione?) riferisce che è ancora galleggiante.
Alle 11.20 arriva la notizia dal MSS Kalami che la nave sta affondando
Alle 12.00 la scorta GK 61 e GK 91 e la Susanne arrivano a Suda con i primi superstiti .
Dalle 15.00 – 16.00 visita del porto di Suda del capo Ammiragliato del commando marina Sud Contrammiraglio Stange.
Alle 20.25 arriva la notizia da Rethymnon che i motovelieri partiti da Suda per il salvataggio della Petrella
Agios Nicolaos Pi 783,
Agia Matrona Pi 823,
Agios Nicolaos Ch 51,
Agios Mattheus Pi 55,
Athina Pi 722
Sono arrivati a Rethymnon finite le operazioni di salvataggio con 67 ital. Salvi e 4 morti.
Agia Matrona Pi 823 ha toccato fondo alla entrata nel porto di Rethymnon e ha una falla. A bordo aveva 44t di munizioni. Solo dopo averla scaricato è potuta entrare in porto.
Alle 20.40 La Susanne con 67t. di carico, 41 prigionieri, 40 ital. Volontari e 11 militari di scorta è partita per il Pireo.
09.02.44 Vento da S-SW mare forza 3-4, nuvoloso, visibilità 12 Miglia. Allarme aereo alle: 02:47, 03:06, 03:10, 04:00, 18:40 e alle 19:48.
Secondo le ns notizie del siluramento della Petrella di ieri, si sono salvati i seguenti naufraghi:
Equipaggio di bordo 29 su 34
Militari di bordo per l‘antiaerea 35 su 36
Militari tedeschi di accompagnamento 79 su 95
Soldati ted. non elencati 12
Italiani 424 su 3173
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Gatti Carlo
Rapallo, 27 febbraio 2013
P.fo ORIA, UN NAUFRAGIO DIMENTICATO 12.2.1944-4200 morti
Il piroscafo Oria in navigazione
IL NAUFRAGIO DEL PIROSCAFO
ORIA
12 febbraio 1944
4163 Vittime
La tomba dimenticata
Il piroscafo ORIA all’ormeggio
Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e dei 4200 militari italiani prigionieri dei nazisti che vi hanno perso la vita nel lontano 12 febbraio 1944. Si tratta di uno dei peggiori disastri navali della storia dell’umanità, il peggiore del Mediterraneo. La nave s’inabissò presso l’isolotto di Patroclo, presso Capo Sounion, a 25 miglia da Atene.
Nave |
Armatore |
Costrut. |
Varo |
Stazza l. |
Lunghez. |
Larg. |
Veloc. |
ORIA |
Feanley & Eger Oslo |
Osbourne Graham&co Oslo
|
1920 |
2127 |
86,9 mt |
13,3 |
10 n. |
L'Oria fu costruito nel 1920 nei cantieri Osbourne, Graham & Co di Oslo. Era un piroscafo da carico di bandiera norvegese, della stazza di 2127 tsl, di proprietà della compagnia di navigazione Fearnley & Eger di Oslo . All'inizio della seconda guerra mondiale fece parte di alcuni convogli inviati in Nord Africa. Poco dopo l'occupazione tedesca della Norvegia , avvenuta nel giugno del 1940, il piroscafo fu internato a Casablanca . L’anno successivo la nave fu requisita dalla Francia di Vichy, ribattezzata Sainte Julienne fu noleggiata dalla Société Nationale d’Affrètements di Rouen; quindi fu inviata in Mediterraneo. Nel novembre del 1942 fu restituita al suo primo proprietario che la rinominò Oria; dopodiché fu assegnata alla Mittelmeer Reederei di Amburgo (Sotto il comando del Terzo Reich).
*(Il termine governo di Vichy indica il nome con cui è noto il governo francese formatosi durante l'occupazione tedesca nella seconda guerra mondiale).
Il naufragio
Nell'autunno del 1943 , dopo la resa delle truppe italiane in Grecia, i tedeschi dovettero trasferire circa 17.000 prigionieri italiani via mare . Per questi trasporti decisero di usare vecchie carrette del mare che venivano stipate di prigionieri oltre ogni limite, nella violazione delle più ovvie norme di sicurezza della navigazione. Secondo molti sedicenti marinai, per lo più stranieri, questi viaggi dovevano durare pochi giorni essendo il Mediterraneo un specie di lago pacifico al confronto dei più famosi oceani. Sottovalutare i pericoli meteo-marini di certi tratti di mare Mediterraneo é l’errore fatale compiuto dall’uomo di mare fin dagli albori della navigazione e la presenza di migliaia e migliaia di relitti riversi nei nostri fondali sono ancora lì a testimoniare quella bugia che é destinata a sopravvivere in eterno. Nella realtà della Seconda guerra mondiale, molte di queste navi furono silurate da sottomarini Alleati , mitragliate dalle rispettive Aviazioni oppure, come nel caso della ORIA, affondarono alla prima burrasca seria perché viaggiavano con la “marca del bordo libero” affondata di chissà centimetri o metri procurando la morte di migliaia di prigionieri considerati ‘carne da macello’. Questa purtroppo é la verità.
Capo Sounion e sullo sfondo l’Isola di Patroclo
L'Oria fu tra le navi scelte per il trasporto dei prigionieri italiani. L'11 febbraio del 1944 partì da Rodi diretta al Pireo con a bordo 4046 prigionieri (43 ufficiali, 118 sottufficiali, 3885 soldati), 90 militari tedeschi e l'equipaggio norvegese, ma l'indomani, colta da una tempesta , affondò presso Capo Sounion . Alcuni rimorchiatori accorsi il giorno seguente, non poterono salvare che 21 italiani, 6 tedeschi ed un greco. Tutti gli altri persero la vita.
In questa immagine tratta da Google Earth, si rileva l’esatta posizione del relitto del piroscafo ORIA, inabissatosi sulla sponda orientale dell’Isola di Patroclo, presso lo scoglio della Medina, su fondali variabili da 5 a 30 metri.
Tutto tace nelle profondità degli abissi da ben 69 anni, così come i 4200 soldati italiani.
Ricostruzione del naufragio
Il piroscafo, con a bordo i nostri soldati che si erano rifiutati di aderire al nazifascismo, salpò dall’isola di Rodi (Grecia) alle ore 17.40, l'11 febbraio 1944. La nave era una vera e propria “carretta” di 87 metri di lunghezza e 24 anni di età. Caricata di soldati, di bidoni d’olio minerale e gomme di camion, era diretta al Pireo, dove i nostri soldati sarebbero stati smistati come forza lavoro verso le industrie belliche germaniche oppure nei lager del Terzo Reich.
Purtroppo, nella notte successiva alla partenza, una violenta tempesta investì il piroscafo che iniziò a sbandare e ad imbarcare acqua per mancanza di bordo libero. Dei 4.200 soldati italiani solo 37 riuscirono a salvarsi nell’attesa dei soccorsi che giunsero con due giorni di ritardo a causa delle pessime condizioni meteo. Anche il comandante norvegese Bjarne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina furono salvati insieme a 6 tedeschi, un greco e 5 uomini dell'equipaggio.
Su quella vecchia carretta che si spostava in Mediterraneo nella totale mancanza di sicurezza nautica, i militari italiani non erano trattati come prigionieri di guerra, secondo la Convenzione di Ginevra, ma come traditori.
Il loro sacrificio fu ignorato per decenni, anche in patria, da tutti i governi che nel frattempo si sono dichiarati “democratici”.... e questa fu l’omissione più grave che può solo sintetizzarsi con la parola: VERGOGNA!!!
Eppure gli “addetti ai lavori” conoscevano i fatti, persino nei dettagli. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco , che il 27 ottobre 1946 redasse di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio:
“Dopo l’urto della nave contro lo scoglio" - scrive Guarisco - "venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un'ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c'era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l'acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all'asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell'acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto s’inabissasse in fondo al mare.
All'indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell'oblò, ma non ad uscire da quell'anfratto, perché il buco era troppo stretto. Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso (…). Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo.
Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima.”
Una luce di verità emerge finalmente dagli abissi.
Reperti sul relitto dell’Oria
La tragedia dell'Oria fu omessa dalla storiografia ufficiale, fu ignorata dai libri di scuola, ma fu dimenticata persino da quei pochi superstiti che, avendola vissuta fino in fondo, avrebbero dovuto tramandarla ai posteri insieme al ricordo delle vittime ed al recupero delle loro spoglie.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci con l’intento di recuperare tutto il possibile, soprattutto il ferro. Da quel momento il mare cominciò a restituire i resti di circa 250 naufraghi. Spinti sulla costa dalla corrente, i resti di quei poveri militari italiani furono pietosamente raccolti e poi sepolti in fosse comuni. Successivamente furono traslati verso piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. Mancano all’appello ancora migliaia d’altri nostri connazionali che sono ancora sepolti negli abissi silenziosi di un mare amico, ma straniero.
Quei caduti italiani nell’Egeo, ritrovati attraverso il web
Sono trascorsi 69 anni dalla tragedia e i parenti delle giovani vittime hanno istituito delle ‘pagine internet’ per raccogliere le voci dei figli e dei nipoti dei nostri militari che sono ancora “imprigionati” tra le lamiere di quel relitto norvegese. Nelle loro ultime ore di vita, quando l’acqua di mare ormai invadeva lo spazio vitale nelle stive inghiottendo le ultime bolle d’aria esistenti, i nostri ragazzi incisero i loro nomi e la data del naufragio sui bidoni di olio che viaggiavano con loro sull'Oria, a testimonianza che quella sarebbe stata la loro tomba, la fine dei loro sogni.
Oggi, i parenti delle vittime sono determinati a riportare alla luce quelle lamiere ormai contorte, tagliate e distrutte dalle mareggiate perché sentono il dovere di dare una degna sepoltura a quei giovani eroi salvandoli almeno dal peggiore dei mali: l’oblio.
Riportiamo lo scritto di Giulia Floris che ben sintetizza il “work in progress” di tanti figli e soprattutto nipoti di quei poveri soldati inabissatisi ...
Altri reperti sul rellitto
“Quasi 70 anni dopo, le loro storie sono ritornate a galla, grazie alle ricerche dei loro discendenti, spesso nipoti che di quei nonni portano i nomi e che, cercando di saperne di più sui loro antenati, si sono ritrovati in Rete, mettendo insieme i frammenti di una storia per tanti versi mai raccontata.
Nasce così un vero e proprio gruppo di ricerca, nel quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze: c’è chi è appassionato di storia e sa cercare negli archivi, chi crea un sito per condividere le informazioni, chi è esperto di immersioni, come anche Ghirardelli. Nel corso di queste ricerche arriva l’incontro sul web con un sub greco, Aristotelis Zervoudis, che racconta di un relitto ritrovato al largo dell’isola di Patroclo (chiamata un tempo 'Gaiduronisi', Isola dei Somarelli). Così, nel settembre 2008, Ghirardelli si mette in viaggio insieme a un altro membro del coordinamento dei parenti anche lui sub esperto, e vede coi suoi occhi le ossa dei militari e le gavette degli italiani ancora nel fondale. Nel corso di diversi viaggi, Ghirardelli incontra anche testimoni ancora in vita, che videro coi loro occhi il naufragio in cui morirono migliaia di italiani e solo poche decine si salvarono.
Nel frattempo le ricerche negli archivi della marina di un altro familiare portano a un’altra svolta. La scoperta dell'elenco dei passeggeri del piroscafo Oria, partito da Rodi l’11 febbraio del '44 e naufragato al largo di capo Sunion, proprio nei pressi dell'isola di Patroclo. Nell'elenco figurano i nomi del nonno di Ghirardelli e di altri antenati. Così finalmente Michele ha un luogo e un nome, per quel che è capitato a suo nonno”.
Una vicenda, quella dell'Oria, nota anche alla Storia con la S maiuscola, come conferma il professor Pasquale Iuso, docente di Storia contemporanea dell’Università di Teramo, autore di alcune pubblicazioni sui militari italiani nell’Egeo. "L’episodio è tragicamente vero – spiega - In tutte le isole dell’Egeo c’erano quasi 100mila militari italiani e a tutti venne offerta la possibilità di unirsi alle forze collaborazioniste della RSI e con i tedeschi. Chi si rifiutava di collaborare diventava internato militare.
Altri casi di navi cariche di militari italiani, affondate dagli alleati o per cause naturali - continua - sono il Donizetti (i cui caduti furono 1584), il Petrella (2646 morti) e la nave Sinfra, in cui morirono oltre 1850 italiani. Ma quello dell’Oria è stato senz'altro il più grande naufragio di militari italiani".
Ma per un’ottantina di persone identificate tra i caduti e tra alcuni di coloro che sopravvissero, restano ancora migliaia di nomi: dispersi per la loro famiglia e dimenticati dalla Storia. La speranza di dare un volto e una storia a ciascun nome della lista passa per una mailing list, un gruppo facebook e un sito web.”
Dal sito di BETASOM estrapoliamo l’interessante punto di vista del noto storico Francesco Mattesini:
“Sull’affondamento del piroscafo norvegese ORIA, si hanno due versioni, la prima é precisa e attendibile, la seconda nettamente errata.
“1^ versione. La nave era stata internata dai francesi e, dopo l’invasione del sud della Francia nel novembre 1942, era stata catturata a Marsiglia dai tedeschi, che l’avevano presa al loro servizio.
L’ORIA partì alle ore 17.40 dell’11 febbraio 1944 da Rodi, diretto al Pireo, dopo aver imbarcato 4.200 prigionieri di Guerra italiani, 30 guardie e 60 soldati tedeschi. L’indomani, il 12.2., a causa di una tempesta, affondò capovolgendosi. Si salvarono soltanto 49 prigionieri, 6 soldati e 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante (capitano Bearne Rasmussen) e il primo ufficiale di macchina.
2^ versione. (assolutamente inesatta)
Sarebbe stato affondato dal sommergibile olandese DOLFIJN, che attaccò il piroscafo alle 08.18 del 31 gennaio 1944, colpendolo con 3 siluri. Il Piroscafo affondò a ovest di Stampalia, a 10-20 miglia da Rodi.
La prima versione è convalidata dai norvegesi, riportando anche l’elenco dei caduti dell’equipaggio. Quindi l’ORIA affondò a causa del ‘mare grosso’ e non per attacco di sommergibili.
Questo ridimensiona l’episodio ma non certamente l’elevato numero di caduti italiani, che fu per noi una vera tragedia.
Riferimento: http://www.warsailor...t/norfleeto.htm
L'attaco del DOLPIJN é una possibilità, ma non può essere confermata, perché la nave-bersaglio non é stata identificata con certezza. In ogni caso, i 3 siluri non hanno mai colpito il bersaglio”.
Il 2 febbraio del 1943 il Dolfijn aveva affondato il sommergibile Malachite, fuori di Capo Spartivento (Cagliari).
Interessante é la seguente testimonianza:
“Carissimi amici di "Betasom", mi chiamo Guido Ferretti sono nato e vivo a Milano e sono figlio di Carlo Alberto Ferretti del 331 reggimento di fanteria della divisione Brennero aggregato nel 1942 come truppa di occupazione alla divisione Regina a Rodi. Questo eroico reggimento, al comando del Capitano Venturini, fu il primo ad opporre resistenza alle truppe tedesche della Sturmdivision Rhodos equipaggiata con i temibili carri "Tigre", ma dopo tre giorni di combattimenti furono costretti alla resa...per mio padre ebbe cosi inizio la "prigionia" prima nei campi dei Tedeschi ed in seguito nei campi "Inglesi" e fu proprio in questo periodo che ebbe luogo la tragedia "mai ricordata" delle navi Donizetti, Petrella ed Oria.....tragedia per la quale mio padre, oggi 86enne, ed altri reduci di allora stanno cercando di portare alla ribalta della opinione pubblica per ricordare quei martiri, si parla di 17.000 vittime, caduti per la Patria, messi nel dimenticatoio e catalogati con un semplice "dispersi"...Uno fra tutti questi reduci il Sig. Carnevali intimo amico di mio padre ha fatto di questa vicenda una vera "crociata" recandosi decine e decine di volte a Rodi per dare un nome a tutti questi caduti e per rendere a loro tutti gli onori delle armi!!! è riuscito anni or sono, tramite il cappellano militare del 331 regimento Don Giuseppe della Vedova, a mettersi in contatto con il frate di Rodi Don Cesare Andolfi, il quale fu l'unico ad entrare in possesso delle liste dei prigionieri Italiani imbarcati anzi stivati come sardine in queste carrette del mare e lasciati annegare come topi, silurati come nel caso del Donizetti e del Petrella dagli "Inglesi" che erano perfettamente al corrente che erano ‘trasporti’ carichi di inermi prigionieri Italiani!!!! Ora la cosa più disdicevole di questa immane tragedia è che lo Stato Italiano ha sempre voluto dimenticare tutto questo ed è veramente assurdo che la TV di stato Greca lo scorso anno ha invitato il Sig. Carnevali mio padre, ed un altro reduce di Rodi ad una trasmissione televisiva per ricordare tutto questo, e non dimentichiamoci che per i Greci non eravamo come oggi graditi turisti, ma truppe di occupazione, mentre lo Stato Italiano nega persino a questi reduci la possibilità di deporre un monumento pagato da loro nel parco di Bresso, a ricordo di quei figli morti per l’Italia...è una vergogna!!!!
Amici di "Betasom" aiutate se potete questi reduci, oggi tutti di 86 anni, perchè il tempo per loro ormai è tiranno, alla fine cercano solo un Comune che gli conceda 10 metri quadrati in un parco per porre il loro monumento ai caduti e sarebbe l'unico monumento in Italia a ricordo dei 17.000 naufraghi....sono lieto a chi lo desidera di inviare gratuitamente una copia del libro scritto da Carnevali (non a scopo di lucro 100 copie stampate e pagate da lui per i reduci ed i conoscenti) che si intitola 17.000+1 dove 17.000 sono le giovani vittime di questa tragedia e l'1 rappresenta il Sig,Carnevali che racconta tutta la verità su questa triste vicenda o se volete una copia del CD dell'intervista fatta a Rodi per la TV nell'agosto 2007.
Ringrazio lo staff di Betasom per questa opportunità e porgo a tutti i miei più cordiali saluti.”
Guido Ferretti
Dal sito DODECANESO: il sito italiano sulla storia antica e moderna delle isole dell’Egeo, riportiamo:
AGGIORNAMENTO DEL GENNAIO 2011
Gli oltre 4.000 militari italiani deceduti ora non sono più anonimi. dopo un oblio durato decenni la tragedia dell'Oria viene finalmente alla luce grazie all'impegno di alcuni subacquei greci coordinati da Aristotelis Zervoudis. Essi compiono numerose immersioni sul sito dell'affondamento documentando l'entità della tragedia, l'impatto emotivo ed umano di quello che vedono è così forte che li spinge a coinvolgere la comunità locale indagando presso gli anziani dell'isola. Riescono così ad identificare il luogo della pietosa sepoltura dei corpi spiggiati dopo l'affondamento e decidono di costurire un monumento sulla spiaggia del naufragio. Tutta la comunità locale partecipa a quest'iniziativa ed il sindaco decide di mettere a disposizione dei fondi. Contemporaneamente alcuni parenti dei militari italiani deceduti nel naufragio, riesce a rintracciare la lista di tutti i militari imbarcati dopo lunghe e difficili ricerche. Questa lista è uno dei misteri dell'Oria, ritenuta inesistente era in realtà scomparsa nei polverosi archivi italiani, ne vennero trovati indizi negli archivi della Marina mentre alcuni sostenevano che una copia fosse stata custodita presso i francescani di Rodi. Finalmente la sig.ra Barbara Antonini, il cui nonno era scomparso nel naufragio, riuscì a rintracciare la lista presso la Croce Rossa. Grazie alla sua determinazione ed al supporto fornito dal coordinamento dei parenti, molte famiglie dei dispersi in Egeo (circa 15.000 militari) potranno almeno cercare il nome del proprio congiunto e se lo scopriranno in questa lista sapranno almeno dove poter depositare un fiore. Il sito Dodecaneso divulga pubblica per la prima volta, con l'autorizzazione delle famiglie, la lista completa degli imbarcati sull'Oria, si tratta di un documento di eccezionale importanza storica oltrechè umana.
Si ringrazia sentitamente i dirigenti del sito www.piroscafooria.it per le ricerche storiche effettuate che hanno permesso di arrivare alla conoscenza di fatti importantissimi della nostra storia.
Ufficio Storico della Marina.
Ai numerosi visitatori che richiedono informazioni sui naufraghi della Seconda guerra mondiale, consiglio la seguente prassi da seguire.
Di norma, i dati relativi a specifiche navigazioni e campagne di unità della Regia Marina, della Marina Militare e navi da carico militarizzati sono conservati all'UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE (USMM);
Per i contatti, vedi il link che segue:
http://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/default.aspx
L'Ufficio Storico non effettua ricerche "per conto terzi", ed è quindi necessario recarsi a Roma nella sua sede, su appuntamento. Tuttavia il servizio è efficiente perché, segnalando in anticipo qual è l'ambito della ricerca, gli addetti fanno trovare al ricercatore i faldoni già pronti nella sala consultazione, avendoli reperiti nell'archivio sotterraneo in precedenza.
Converrà, in sede di contatto con l'USMM, specificare in modo approfondito di cosa si necessita, onde verificare se hanno ciò che occorre, vale a dire una valutazione preventiva del materiale disponibile, soprattutto per evitare un viaggio a vuoto a Roma.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 Aprile 2013
T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE, un eroe ligure
T.V. GIUSEPPE BRIGNOLE
Un Eroe Ligure
Nasce a Noli (Savona) il 6 ottobre 1906.
Arruolato nella Regia Marina per obbligo di leva ed ammesso, dal 1° gennaio 1928, alla frequenza del Corso Ufficiali di complemento consegue, nel novembre dello stesso anno, la nomina a Guardiamarina. Imbarca prima sull'incrociatore QUARTO e poi su nave appoggio aerei MIRAGLIA e nell'agosto 1933, promosso Sottotenente di Vascello, viene in congedo per fine di ferma.
Dopo aver ripreso gli studi, nel 1935 consegue la laurea in Scienze Economiche presso l'Università di Genova e nel settembre dello stesso anno, per esigenze di carattere eccezionale, é richiamato in servizio ed assegnato alla Squadriglia MAS di La Spezia con la quale poi partecipa ad alcune missioni durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna. Nel 1937 consegue la nomina a Tenente di Vascello e nel gennaio dello stesso anno é destinato a Massaua, presso il Comando Superiore in Africa orientale.
Il 24 aprile 1940 ottiene il comando della torpediniera CALATAFIMI con sede a La Spezia. Il 14 giugno dello stesso anno contrasta efficacemente con quel mezzo una forte formazione navale francese diretta a colpire importanti obiettivi militari ed industriali nel Golfo Ligure.
Insignito della massima decorazione militare per l'audace azione, mantiene il comando del CALATAFIMI fino all'8 settembre 1943 quando, rifiutando ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I., viene internato in Germania. Rimpatriato nel settembre 1945 e conseguita la promozione a Capitano di Corvetta con anzianità 1.1.1944, nel febbraio 1947, a domanda, viene collocato in ausiliaria, passando poi nella riserva nel 1955, nel grado di Capitano di Fregata.
Muore a Genova il 30 luglio 1992.
Il giorno 6 ottobre 2006 é stato celebrato a Noli (pochi km da Savona) il centenario della nascita del C.te Giuseppe Brignole.
La torpediniera CALATAFIMI rientra in porto dopo l’azione contro la Squadra francese.
Al comando del cacciatorpediniere Calatafimi il 14 giugno 1940 riesce con ardita manovra a far ripiegare le navi francesi che avevano l'obiettivo di bombardare le installazioni industriali della zona Savona-Vado e Genova. Per tale azione viene insignito della M.O.V.M. (la prima concessa dopo l'inizio del conflitto mondiale) con la seguente motivazione:
"Comandante di torpediniera di scorta ad un posamine, avvistata una formazione di numerosi incrociatori e siluranti nemici che dirigevano per azioni di bombardamento di importanti centri costieri, ordinava al posamine di prendere il ridosso della costa ed attaccava l'avversario affrontando decisamente la palese impari lotta. Fatto segno ad intensa reazione, manovrava con serenità e perizia attaccando fino a breve distanza con il siluro e con il cannone, le unità nemiche. La sua azione decisa e i danni subiti dalle forze navali avversarie costringevano questa a ritirarsi.
"Esempio di sereno ardimento, di sprezzo del pericolo, di consapevole spirito di assoluta dedizione alla Patria"
(Mar Ligure, 14 giugno 1940)
(R.D.19 luglio 1940)
Altre Decorazioni e Riconoscimenti per merito di guerra:
Motivazione M.B.V.M.-
(1° concessione) "sul campo"
"Comandante di torpediniera, di scorta ad una pirocisterna, colpita con due siluri e incendiata da aerosiluranti nemici, impartiva rapidamente efficaci disposizioni al fine di arrecare soccorso ai naufraghi dell'unità sinistrata. Nonostante l'opera di salvataggio fosse resa estremamente difficile a causa della benzina in fiamme, riversatasi nella zona di mare circostante, riusciva in breve tempo a trarre in salvo tutti i naufraghi, dimostrando serena noncuranza del pericolo ed elevato spirito di abnegazione".
(Mediterraneo Orientale, notte sul 26 ottobre 1942)
(Determinazione del 22 marzo 1943)
(R.D.10 maggio 1943)
Motivazione M.B.V.M.-
(2° concessione) "sul campo"
"Comandante di torpediniera, ha compiuto numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque insidiate dal nemico. Animato da elevato sentimento del dovere, ha dimostrato in ogni circostanza sereno coraggio, capacità professionali ed elevato spirito combattivo ".
(Mediterraneo, 22 giugno 1942 - 8 settembre 1943)
(Determinazione del 20 marzo 1946)
(D.L.12 aprile 1946).
Da "Le Medaglie di Bronzo al V.M." - U.S.M.M.
Torpediniera CALATAFIMI
Il Bollettino di Guerra qui riportato riguarda un’azione della nostra Marina Militare ed é riportato con la sua sequenza numerica e con la loro data di diramazione.
Il Quartier Generale delle Forze Armate comunica :
4)-15 giugno 1940-XVIII
..........All'alba del giorno 13, unità della nostra marina si scontravano con una
formazione navale nemica composta di incrociatori e siluranti. Ne è seguito un
combattimento durante il quale sono entrate in azione anche le difese costiere
della R.Marina. La torpediniera CALATAFIMI ha colpito con siluri due grosse cacciatorpediniere, una delle quali è affondata. Località della Riviera Ligure sono state colpite dal tiro delle navi nemiche: si contano alcuni morti e feriti tra la popolazione civile.
Incrociatore francese ALGERIE
Incrociatore francese FOSCH
L’AZIONE - Descritta dal com.te Torricelli
"Alle ore 20 del 13 giugno la Calatafimi esce dalla rada della Spezia scortando il posamine Gasperi. Destinazione: posa campi di mine nelle acque antistanti la costa fra Genova e Savona. Nel frattempo le navi francesi navigano compatte per qualche ora, per separarsi poi in due sezioni: il "gruppo Vado", composto dagli incrociatori Algerie e Fosch, con i caccia Vauban, Lion, Aigle, Tartu, Chevalier Paul e Cassard che dirige per Vado Ligure, ed il "gruppo Genova" composto dagli incrociatori Dupleix e Colbert ed i caccia Vautour ed Albatros, che fa rotta su Genova, con i caccia Guepard , Valmy e Verdun in avanscoperta versi sud-est.
Alle 4,10 una vedetta del Calatafimi individua con il binocolo alcune unità nemiche. Brignole le riconosce immediatamente come caccia francesi. Ordina con il megafono al Gasperi di riparare alla massima velocità possibile verso Genova, rimanendo sotto costa. La nave inverte la rotta e si butta sottocosta dove la foschia lo protegge da un avvistamento che potrebbe risultargli fatale.
Sulla Calatafimi viene battuto il posto di combattimento, le macchine vengono spinte a tutta forza e viene assunta la rotta convergente sulle navi francesi. Nonostante non si abbia conoscenza della consistenza delle forze nemiche, il C.te Brignole muove risolutamente contro di esse. Poco dopo vengono individuate altre cinque navi: due sembrano incrociatori, gli altri caccia (si trattava del "Gruppo Genova"). Non importa. La manovra di attacco viene proseguita. La formazione francese è composta dai due incrociatori al centro e dai caccia ai lati, in funzione di scorta e protezione. Una volta comunicato via radio a Supermarina l'avvistamento, tutto a bordo viene preparato al combattimento: i cannoni sono in punteria, i tubi di lancio brandeggiati verso le navi nemiche”.
Dal Giornale di Chiesuola n. 234 della Calatafimi si riporta:
“Date le condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli a noi, io speravo di non essere scorto dal nemico e poter lanciare i siluri alla distanza minima con maggiori possibilità di colpire.
Questa manovra, oltre alla forte foschia ed alla sottile pioggia, era favorita anche dalla mia posizione, sperando che la mia ombra si confondesse con quella della costa.
Quindi potevo tentare di avvicinarmi il più possibile. Ho pensato anche di desistere dall'attacco alle unità sottili per rivolgerlo agli incrociatori che sempre più si profilavano e davano la prospettiva di maggior bottino. Però, per non essere visto, avrei dovuto agire con le sole macchine senza variare eccessivamente la mia rotta. Questa manovra non mi dava eccessivo affidamento. Ho continuato l'attacco sulle prime unità. Intanto preparavo i dati da trasmettere ai tubi di lancio con l'aiuto dell'Ufficiale di Rotta. Nessuno di noi pensava di tornare incolume da una siffatta impari lotta. Ma sono sicuro che in ogni cuore, come nel mio, c'è solo un proposito: difendere i paesi della costa. La nostra vita sarà perduta, ma sarà pagata a caro prezzo.”
Poco dopo le navi francesi modificano la loro formazione: "linea di rilevamento" passano in formazione "linea di fila" in modo da poter utilizzare tutte le artiglierie di maggior calibro.
Il "gruppo Vado" inizia la sua azione di fuoco contro gli obiettivi stabiliti, controbattuti dalle batterie costiere di Savona ed Albisola. Anche le batterie di Genova sono allertate. Interviene inoltre la 13a Squadriglia MAS di base a Savona che con una azione portata in fondo in modo deciso, lancia numerosi siluri che, pur non andando a segno, costringono le navi francesi, che già avevano bersagliati con successo alcuni obiettivi a vado e Savona, ad una precipitosa accostata infuori, interrompendo l'azione.
In mare i rapporti di forza sono drammatici: uno contro nove. Alla distanza di 6 - 7.000 metri il "gruppo Genova" apre il fuoco contro gli obiettivi assegnatigli. Anche i pezzi della Calatafimi entrano in azione, ma sulle prime, Brignole si rende conto che i francesci non hanno ancora avvistato la piccola Torpediniera. Passano pochi secondi e intorno all'Unità scoppia il finimondo. Le salve francesi cadono nutrite e centrate intorno alla Nave che prosegue, pur con continui zig-zag, nella sua rotta convergente sul nemico. Ad una distanza inferiore ai tremila metri, Brignole dà l'ordine di lanciare la prima coppiola di siluri, mentre il pezzo di prora continua a fare fuoco. Le continue accostate della Torpediniera fanno si che il tiro sia poco preciso. La distanza continua a diminuire e Brignole ordina, dopo un'accostata più pronunciata, il "fuori" di altri due siluri. Passa poco tempo ed un proietto della batteria Mameli di Genova colpisce il caccia Albatros. A bordo della Calatafimi l'equipaggio non può sapere cosa sia realmente accaduto, chi abbia colpito la nave, ma la gioia esplode irrefrenabile, punteggiate da urla di "Viva l'Italia, viva il Re!". Brignole, megafono in mano, riporta l'equipaggio alla calma: l'azione non può essere interrotta e deve essere proseguita senza distrazioni, rischiando altrimenti la perdita della nave. Sconcertati dalla reazione violentissima ed ignorando la consistenza dell'avversario che si trova di fronte, nel timore di essere attirato in una trappola il "gruppo Genova" inverte la rotta e si allontana rapidamente. A questo punto la Calatafimi si trasforma addirittura in inseguitrice. Brignole ordina di brandeggiare i tubi di lancio verso gli incrociatori. La distanza e velocità in gioco danno poche speranze, ma l'ordine del "fuori" viene impartito ugualmente. Un siluro, a seguito di un'accostata troppo rapida, va fuori punteria, mentre il secondo non fuoriesce regolarmente e rimane appeso, mezzo fuori e mezzo dentro il tubo, per un difetto del sistema di lancio. A questo punto l'equipaggio, pieno di entusiasmo, vorrebbe proseguire l'inseguimento, ma il C.te Brignole sa che lo scontro è giunto al termine e che è inutile rischiare ulteriormente, anche perchè la sua Nave non ha subito danni e apparentemente nessuna salva nemica ha raggiunto Genova ed il porto. La Calatafimi inverte la rotta, ma, mentre dirige su Genova, il suo pezzo poppiero continua imperterrito, per qualche tempo, a far fuoco sulle navi francesi in allontanamento. Quando queste ormai sono troppo lontane, la Calatafimi, esaurita la scorta di siluri, con la Bandiera di Combattimento a riva con il gran pavese, dirige verso il porto di Genova."
In questo foto sono visibili i tubi lanciasiluri ed il pezzo prodiero del CALATAFIMI mentre manovra per andare all’ormeggio
L'8 settembre 1943, come abbiamo già annotato all’inizio di questa rievocazione, Giuseppe Brignole rifiuta ogni forma di collaborazione con il Governo della R.S.I e viene internato in Germania. Durante questa “pesante” parentesi della sua vita, a detta di molti, G. Brignole compie il “vero capolavoro”, quando viene nominato “fiduciario” per i rapporti con i tedeschi nei campi di prigionia in Germania. Già a Leopoli nasce il “mito” di questo Ufficiale della Regia Marina: la sua tempra ed il suo carattere gli permettono di affrontare con grande dignità e fermezza i tedeschi ed allo stesso tempo di essere punto di riferimento per i commilitoni. A Deblin i tedeschi sanno che Brignole è “amato” dagli Ufficiali Italiani, sia per il modo di affrontare i problemi sia per l'esempio limpido di come ci si dovesse comportare da prigionieri: dignità, rispetto della disciplina e del regolamento. Molti Ufficiali tedeschi, quando Brignole entra nel loro ufficio, scattano in piedi e salutano militarmente. Il periodo nei campi in Germania é il più duro, soprattutto quello dell'inverno ‘44-‘45. Anche l'atteggiamento dei tedeschi peggiora, la sopravvivenza all'interno dei campi é difficilissima e molti Ufficiali periscono. Ma, come sempre, G. Brignole riesce ad essere esempio di forza ed allo stesso tempo di correttezza. La situazione sembra precipitare con l'avvicinarsi degli Alleati, ma alle 18 del 16 aprile 1945, finalmente, arriva la liberazione sotto forma di due carri inglesi che abbattono i cavalli di frisia e le recinzioni del campo. Questo passa sotto la responsabilità del capitano francese Pichegrou. La tempra del C.te Brignole ha modo di manifestarsi anche a guerra finita. Il 18 aprile, quando in tutti i lager del campo si svolge l'alzabandiera, l'ufficiale transalpino fa diffondere un messaggio: “In conformità agli ordini impartiti si ricorda che la Bandiera Italiana non deve sventolare sul campo”. Gli Ufficiali italiani s'indignano, Brignole si altera ed il foglio d'ordini viene stracciato da un colonnello americano anch'egli ex prigioniero.
Militari italiani internati a Fallingbostel il giorno dopo la liberazione.
Inverno 1945 a Fallingbostel. Scrive Vialli: “Numerose famiglie di lavoratori ucraini alloggiano accanto a noi in misere baracche.
E così, sul pennone del campo di Fallingbostel sventola il tricolore, l'unico esistente nel campo, la Bandiera di Combattimento della Calatafimi che Brignole era sempre riuscito a sottrarre alle ispezioni dei tedeschi.
Se oggi siamo liberi, lo dobbiamo anche a questi uomini che hanno combattuto per salvare i valori della nostra civiltà illuminando il significato della parola democrazia che oggi sta salvando l’Europa da altri conflitti.
ONORI AL COMANDANTE BRIGNOLE ED ALLA CALATAFIMI
Descrizione generale |
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Tipo |
cacciatorpediniere (1924-1938) torpediniera (1938-1943) |
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Classe |
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Proprietario/a |
Regia Marina (1924-1943) Kriegsmarine (1943-1944) |
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Identificazione |
CM |
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Costruttori |
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Impostata |
1º dicembre 1920 |
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Varata |
17 marzo 1923 |
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Entrata in servizio |
29 maggio 1924 |
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Destino finale |
catturato il 9 settembre 1943, incorporato nella Kriegsmarine come TA 19 Achilles, affondato dal sommergibile RHN Pipinos il 9 agosto 1944 |
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Caratteristiche generali |
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standard 953 o 966-967 t normale 1170 t a pieno carico 1214 t |
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Lunghezza |
tra le perpendicolari 84,90-84,94 m fuori tutto 84,6-84,9 m |
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Larghezza |
8,02 m |
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Pescaggio |
in carico normale 2, 90 (o 2,6, o 2,46) m a pieno carico 3,00 (o 3,1) m |
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Propulsione |
4 caldaie Thornycroft 2 turbine a vapore Zoelly 2 eliche |
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Velocità |
32 (o 34) nodi |
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Autonomia |
1395 miglia a 10 nodi 1800 miglia a 15 nodi 390 miglia a 28 nodi |
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Equipaggio |
117 tra ufficiali, sottufficiali e marinai Altra fonte: 6 ufficiali, 102 tra sottufficiali e marinai poi 134 tra ufficiali, sottufficiali e marinai |
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Equipaggiamento |
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Sensori di bordo |
radar FuMo 28 (dal 1943) |
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Armamento |
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Alla costruzione: • 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 2 pezzi da 76/30 (o 76/40) mm Armstrong 1914 Dal 1940: • 4 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939 • 2 mitragliere da 8/80 mm Dal 1943: • 2 pezzi da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1919 • 1 pezzo da 102/45 mm Schneider-Armstrong 1917 • 2 o 4 mitragliere da 20/77 mm Scotti-Isotta Fraschini 1939 • 4 mitragliere da 20/65 mm Breda 1935 • 2 mitragliere da 8/80 mm Dal 1944: • 2 pezzi da 102/45 mm • 1 mitragliera da 37/83 mm SK C/30 • 5 mitragliere da 20/65 mm Breda Mod. 1939 |
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Alla costruzione: • 6 tubi lanciasiluri da 450 mm Dal 1943: • 2 tubi lanciasiluri da 533 mm |
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Altro |
• attrezzature per il trasporto e la posa di 16 (o tra le 10 e le 40) mine • 2 scaricabombe di profondità (dal 1940) |
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Note |
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Motto |
Con una nuova fede e con lo stesso ardire |
Carlo GATTI
Rapallo, 21.3.2013
ITALNAVI Società di Navigazione - Genova
ITALNAVI
Società di Navigazione – GENOVA
Un po’ di Storia:
Desideriamo iniziare questa panoramica storica con l'Introduzione del Comandante PRO SCHIAFFINO ex Italnavi, che cita le prime cinque navi della Società Commerciale di Navigazione da cui trasse origine la ITALNAVI.
La Società Commerciale di Navigazione, con sede a Genova in Vico Giannini 2, fu costituita dalla FIAT nel 1924 con lo scopo di divulgare i Motori Marini Fiat costruiti a Torino dall’Ing. Chiesa.
La S.C.N acquistò sul mercato cinque navi con motrici a vapore che vennero sostituiti dal “motore marino”.
Dopo la guerra cambiò il nome in ITALNAVI e chiamò le sue navi con nomi composti con il prefisso “ITAL”, oppure con nomi di paesi montani piemontesi.
I Comandanti e i Direttori di macchina provenivano da tutte le parti d’Italia ed erano stati scelti in modo particolare.
Quando la SESTRIERE andò in America, con il comandante Pastorino e gli equipaggi dei 50 liberty Americani acquistati dall’Italia, il Com.te camoglino Giuseppe Ferrari, purtroppo mancato l’anno scorso, imbarcò poi sui Liberty della Flotta Lauro diventandone in seguito il Capitano d’Armamento.
Le navi della “Commerciale” erano quindi tutte motonavi:
GHISONE, 1922-Bagnoli, 6.168 t.s.l. - Affondata a Tolone il 29.4.1944.
Ricuperata dopo la guerra, fu rinominata ITALVALLE dall’ITALNAVI.
JUVENTUS, 1920-Taranto, 4.920 t.s.l. - Affondata a Kuriat il 16.1.1941.
PELLICE, 1920-S.Ponente, 5.350 t.s.l.-catturata a Newcastle il 10.6.1940, affondata il 12.1940.
RIV, 1921- N.Castle, 6.630 t.s.l. Affondata nei pressi di Tripoli il 31.8.1941
VILLARPEROSA, 1921-Piombino 6.255 t.s.l. catturata a Willington nel 1941. Affondata il 4.1944 .
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Un approfondito studio della FLOTTA: SOCIETA' COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE ci é nel frattempo pervenuta dal Comandante Celeste Spinelli di Trieste che ringraziamo.
FLEET LIST: SOCIETA’ COMMERCIALE DI NAVIGAZIONE - GENOVA
1
1921 |
Turbonave |
VALDIERI |
Lloyd Sabaudo - Genova |
5304 tsl |
Carico generale |
2.1924 |
|
VALDIERI |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
2.1928 |
Motonave |
JUVENTUS |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
16.2.1941 Silurata da aerei inglesi mentre era in viaggio da Napoli a Sfax. Fatta incagliare e abbandonata a 3 mg NE di Kuriat. Silurata nuovamente da un somm. britannico. |
2
1921 |
Turbonave |
PIOMBINO PRIMO |
Ordine: Ilva S.A. – Genova |
6224 tsl |
Carico generale |
1921 |
|
PIOMBINO I |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
|
|
1923 |
|
VALSUGANA |
“ |
|
|
9.1924 |
|
VALSUGANA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1926 |
Motonave |
VILLARPEROSA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1941 |
|
COLIN |
U.S.Maritime Commission |
|
|
26.4.1944 Affondata dal somm. U 859 in posizione 54°16’N 31°58’W |
3
1920 |
Turbonave |
PIOMBINO SECONDO |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
6604 tsl |
Portarinfuse |
1923 |
|
VALSESIA |
“ |
|
|
9.1924 |
|
VALSESIA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
25.8.1926 Naufragata a Treharne Point. |
4
1923 |
Turbonave |
BAGNOLI |
Ilva S.A. - Genova |
6283 tsl |
Carico generale |
1923 |
|
VALTELLINA |
Lloyd Mediterraneo – Roma |
|
|
1.1926 |
|
VALTELLINA |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1927 |
Motonave |
CHISONE |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
29.4.1944 Affondata a Tolone da bombardamento aereo. 1947 ricuperata. |
|||||
1948 |
|
ITALVALLE |
Italnavi - Genova |
|
|
1952 |
|
CESARE BATTISTI |
Navigazione Libera Giuliana SpA - Venezia |
|
|
1962 demolita a Vado Ligure |
5
1921 |
Turbonave |
ANSALDO VIII |
Società Nazionale di Navigazione-Genova |
5380 tsl |
Carico generale |
1924 |
|
ANSALDO OTTAVO |
Società Nazionale di Navigazione-Genova |
|
|
1928 |
|
PELLICE |
Tito Campanella - Genova |
|
|
10.1928 |
Motonave |
PELLICE |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
1940 |
|
EMPIRE STATESMAN |
Ministry of Transport - London |
|
|
11.12.1940 Silurata ed affondata dal somm. U 94 in navigazione da Pepel per Middlesbrough |
6
1921 |
Piroscafo |
MONTGOMERYSHIRE |
Royal Mail Steam Packet Co. London |
6630 tsl |
Carico generale |
1931 |
Motonave |
RIV |
Società Commerciale di Navigazione, Genova |
|
|
30.8.1941 Affondata a Tripoli da bombardamento aereo. Recuperata e demolita dagli inglesi. |
7
1942 |
Motonave |
SESTRIERE |
Società Commerciale di Navigazione - Venezia |
7992 |
Carico generale |
1947 |
|
|
Italnavi - Genova |
|
|
196.. |
|
|
Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova |
|
|
1969 |
|
|
Costa Armatori SpA - Genova |
|
|
25.10.1969 Incendiata a Santos. 16.4.1970 Demolita a Vado Ligure. |
8
1948 |
Motonave |
SISES |
Italnavi . Genova |
9177 |
Trasporto emigranti |
1955 |
|
|
|
|
Carico Generale |
196.. |
|
|
Cia.Marittima Carlo Cameli - Genova |
|
|
1969 |
|
|
Costa Armatori SpA - Genova |
|
|
1980 Demolita alla Spezia. |
L’ITALNAVI traeva, quindi, le sue origini dalla Società Commerciale di Navigazione, costituita a Genova nel 1924 per il traffico merci, e aveva mutato la sua ragione sociale nell’attuale il 30 aprile 1947, quando si decise di estendere l’attività al traffico d’emigrazione. Ma già in precedenza la motonave SESTRIERE di 8652 t.s.l. – 5274 t.s.n., varata a Taranto nel 1942, era stata trasformata per il trasporto di 737 emigranti in cameroni ed aveva effettuato un primo lungo viaggio l’8 novembre 1946 per Philadelphia con gli equipaggi di alcune navi tipo “Liberty” cedute all’Italia dalla United States Marittime Commission,* rientrando a Napoli il 14 maggio 1947 via canale di Panama, Shanghai (dove aveva imbarcato 300 marinai del Battaglione “S.Marco”), Ta-Ku, Yokohama, Batavia, Colombo, Marmagoa e Massaua. La SESTRIERE partì quindi con i colori ITALNAVI da Genova il 5 agosto 1947 per il Brasile e il Plata restandovi adibita fino al 1955 allorché fu disarmata, riadattata per il solo servizio merci dal dicembre 1955 con il nuovo tonnellaggio di 6259 t.s.l. – 3636 t.s.n. Anche la motonave SISES di 9176 t.s.l. – 5448 t.s.n. varata a Taranto il 12 settembre 1948 e consegnata il 15 dicembre dello stesso anno, fu subito adibita al trasporto di 56 passeggeri in cabine e 510 emigranti in cameroni, effettuando la prima partenza da Genova il 29 dicembre 1948 per il Brasile e il Plata. Nel luglio-novembre 1955 venne trasformata per il solo trasporto merci, con 6422 t.s.l. – 3869 t.s.n. Entrambe le unità cessarono questa attività nel 1969 quando furono vendute al Gruppo COSTA.
In campo puramente commerciale, l’ITALNAVI mantenne le sue linee per l’America Meridionale con la motonave ALPE (ex Mario Roselli, costruzione bellica di 6893 t.s.l. – 4060 t.s.n. – affondata a Corfù e ripristinata a Monfalcone nel 1952) e con le “Liberty” ITALMARE, ITALCIELO, ITALSOLE, ITALVEGA e ITALTERRA. Queste “Liberty” furono i primi in Italia ad installare un apparato motore a ciclo diesel; la ITALTERRA fu inoltre la prima nave ad essere trasformata in trasporto autovetture destinate all’esportazione sul mercato americano, anticipando un tipo di nave che si sarebbe sviluppato solo in anni successivi.
Dopo la conversione in unità da carico delle motonavi SISES e SESTRIERE e la vendita delle “Liberty”, nel 1966 l’ITALNAVI rilevò dalla SICILNAVIGLIO S.p.A. la motonave VILLARPEROSA e dalla SIDARMA, in difficoltà finanziarie, le motonavi ENRICO DANDOLO e LORENZO MOCENIGO, ribattezzate CESANA e CERVINIA; l’anno seguente però la stessa ITALNAVI venne liquidata e incorporata nella Compagnia Marittima CARLO CAMELI, che dal 1969 vendette tutta la flotta al Gruppo COSTA.
Nota *: A questo avvenimento storico Mare Nostrum ha dedicato una pubblicazione: “LIBERTY: LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE” che potete trovare nel presente sito di Mare Nostrum, nella sezione Storia Navale.
Stemma Sociale dell’ITALNAVI
I colori sociali della Ciminiera
Un ulteriore approfondimento storico:
Dal sito Navi e Armatori:
classekilo-23/04/2012:
Il senatore Giovanni Agnelli, presidente della Fiat, nel 1924 fondò la “Commerciale di Navigazione” con sede amministrativa a Torino e Operativa a Genova. Lo scopo, oltre quello commerciale, era di sponsorizzare il motore Diesel navale, poi ci fu la guerra.... Il 30 aprile 1947 la “Commerciale di Navigazione” cambiò la ragione sociale e divenne “ITALNAVI-SOCIETA' DI NAVIGAZIONE”. Nello stesso anno, 1947, comprò 4 Liberty, rinominati ITALCIELO - ex Walter Wyman del 1944, ITALMARE - ex Henry V. Alvarado del 1943, ITALSOLE - ex Fort La Traie del 1942, ITALTERRA - ex Nelson Dingley del 1943, poi chiaramente tutti rimotorizzati FIAT. L'ITALVEGA ex Fort Udson's Hope del 1942 fu acquistato nei primi anni ‘50. L'ITALICO ex Howard Gray fu concesso (o aquistato dal Governo) alla “Società Italia di Navigazione” con altri 7 Liberty, poi rinominati: Etna, Pegaso, Stromboli, Tritone, Vesuvio, Nereide, Atlanta II. Credo di non sbagliare dicendo che facevano parte dei 50 Liberty concessi al Governo italiano, durante la famosa "SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE", guardacaso eseguita con il la m/n Sestriere al comando del capitano Giacinto Arimondi, della COMMERCIALE di NAVIGAZIONE partita l'8 novembre 1946.
M/n SESTRIERE in navigazione (foto di repertorio)
M/n SESTRIERE entra in porto (foto di repertorio)
DATI NAVE:
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M/n PORTOVADO a Venezia (Foto di repertorio)
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M/N PORTOVADO in entrata a Savona
DATI NAVE:
Costruita nel 1960 dal Cantiere Breda, Marghera, per Italnavi SpA, con il nome PORTO VADO – 11.203 tons. DWTnos 16.250, Lft=166,50 mt. Lpp 154,70 mt, Vel.15,5 nodi. Nel 1968: SAN MARTIN - 1970: SAINT ETIENNE – 1979: GUNGNIR III – 1980: SAN MARCO –
Fu demolita a Padani Beacj da Paramount Steel Industries.
TESTIMONIANZA del Com.te. Nunzio CATENA
“Nel Settembre 1962, entrai a far parte della "famiglia" ITALNAVI, proprio su questa nave in qualità di Allievo di Coperta.
Tutte le precise caratteristiche tecniche, le aggiungerà, gentilmente, successivamente chi ne sarà in possesso.
Nave nuova (bulk carrier, autostivante, casse alte per zavorra), 2 Allievi di coperta, cabina singola...il non plus ultra!!
Io posso limitarmi a descrivere l'utilizzo della Nave nel periodo in cui restai a bordo. Il primo viaggio, andammo a Norfolk per carbone (ricordo bene quel viaggio, perché ci fu la crisi di Cuba - i Russi stavano trasportando dei missili a Cuba- e aerei americani ci sorvolavano notte e giorno!!) Viaggio di ritorno per Vado Ligure, dove inaugurammo il nostro omonimo pontile, dotato di un modernissimo nastro trasportatore, alla presenza dei massimi vertici Fiat ed altre autorita'. Poi, intervallato da qualche carico di carbone, viaggi da Taranto di tubi (15\20)mt. di lung. e 91 cm. diamtr. Per costruzione gasodotto SNAM, da Patagonia a B.Aires! I tubi vevivano caricati in stiva e moltissini in coperta opportunamente rizzati. Quindi: porto Deseado, porto Madrin, Bahia blanca.... e poi a caricare mais lungo il Rio della Plata, Rosario, Villa Costitution, B.Aires per completare il carico.
Allora c'erano tempi lunghi di attesa sopratutto a Genova,(fino a30 giorni!!!!). Parliamo dell'Equipaggio, con alcuni
Sono ancora in contatto il Com.te Pegazzano, (quasi eta' della pensione..) restavo affascinato dai racconti della sua carriera! 1° Uff.le Gandolfo, 2°Uff. Nardini Aldo (con il quale facevo la guardia) al quale devo molto per il suo
insegnamento, da quello professionale a quello umano. (ha concluso la carriera con Costa, al comando delle navi piu' grandi!). 3°Uff.Ferrero Cesare, l'altro All.vo Benvevuto Francesco, amici fraterni.
Dopo piu' di un anno, mentre eravamo in attesa agli "Oli Minerali", vidi entrare una vecchia nave con lo stesso nostro fumaiolo.. Chiesi informazioni e mi risposero "quelli sono i dannati del Pacifico..!!!" dopo ormeggiata, andai a vederla....caso volle, incontrai un mio ex mio compagno di scuola, anche lui imbarcato da All.vo il quale, imprecando mi disse che sarebbe sbarcato il giorno dopo. Senza esitazione, gli proposi di fare cambio (Armatore permettendo). La mattina successiva, andai in via Fiasella, e feci la proposta al Com. Armam. Por Schiaffino che aveva avuto modo di conoscermi e gli dissi esattamente: "Comandante, io del Portovado, conosco anche quanti chiodi ha, se possibile vorrei andare sull'Italvega.."Ricordo il suo sguardo, abbozzo' un sorriso ed acconsenti'.
La mattina successiva imbarcavo sull'Italvega... Sono contento di aver fatto quella scelta oltre che dal punto di vista professionale, perche' forse e' stato l’ultimo periodo della navigazione con un po' di avventura, e l'intervento dell'uomo era ancora determinante!! Chiedo scusa per quello che ho scritto ma e' come se lo stessi scrivendo per i miei nipoti che vivono lontano...!!?”
M/n ITALVEGA (ex Liberty canadese) a Venezia (Foto di repertorio)
TESTIMONIANZA del Comandante Nunzio CATENA
ITALVEGA
“Vorrei scrivere questa testimonianza, soprattutto per i più giovani
I “Liberty” - Italvega, Italsole, italcielo, Italmare, Italterra - erano della Compagnia Italnavi (FIAT), trasformate nelle stive con la costruzione di tanti corridoi di altezza poco più di 2mt, per il trasporto di macchine Fiat (1100, 600, 500 ed infine ricordo qualche 1500 spyder decappottabile, bellissime!). Le navi, inizialmente con macchine alternative a vapore, furono trasformate in motonavi con nuovi motori, anch'essi FIAT, costruiti appunto dalla FIAT Grandi Motori e noi facevamo anche da "cavie" con questi motori, tant'é che spesso portavamo dei Tecnici FIAT per ulteriori rilievi! Anche noi eravamo forse considerati parte della "famiglia" FIAT, perché gli Ufficiali, avevamo lo sconto del 10% sull'acquisto di una macchina FIAT !
Come ho potuto constatare dopo anni, eravamo davvero una famiglia...con il massimo rispetto reciproco, ma legati da un senso di sincera amicizia (forse perché gli imbarchi non erano di pochi mesi come ora, ma per tempi molto più lunghi!) Le macchine imbarcate erano circa 1200, ma per il 1° ufficiale, caricarne una in più, magari nella sua cabina, dell'altra gemella, costituiva un merito non indifferente!
Per questo motivo, le auto venivano stivate a qualche cm. l'una dall'altra, rizzate con 4 tornichetti agli assi e cunei alle 4 ruote. Periodicamante, prima e dopo tempi cattivi, bisognava controllare il rizzaggio, mentre la tenuta dei "controllori" era la seguente: senza scarpe, (eventuali calzettoni di lana), senza cinghia ai pantaloni (a causa della fibia metallica), senza bottoni per evitare che le macchine all'arrivo risultassero minimamente rigate! Permettete che dopo tutto quello che é stato fatto, con tanti sacrifici per la FIAT, anche da noi poveri Naviganti, il fatto che qualcuno arrivi e porti via la FIAT, faccia girare le eliche anche senza motore?
Torniamo alle Liberty - L'ITALNAVI, con le 5 Liberty, oltre che trasportare le auto negli USA, gestiva una regolare linea di trasporto di merce varia, dai porti del Mediterraneo verso tutti i porti della costa del Pacifico, da Long Beach a Vancouver. Ora che sono in una particolare situazione...., riguardando su Google Hearth quei porti che vi elenco dal capolinea Nord: Vancouver, Crofton, Everet, Seattle, (navigazione simile a quella nei fiordi norvegesi), poi si riusciva nel Pacifico, diretti a Portland-Oregon (qualche centinaio di miglia lungo il Columbia River, all'uscita del quale, racconterò qualche episodio!), Eureka, Coos Bay, S.Francisco e Long beach (andata 1^ e 2^ porti, e ritorno), Ensenada, poi Golfo di California, Guaymas (Messico) e Champerico (Guatemala). Poi Canale di Panama e finalmente Atlantico in direzione Mediterraneo, se non con qualche scalo imprevisto su qualche Isola per lo sbarco di qualche malato! Finalmente il Mediterraneo: Alicante, Malaga, Barcellona, Isolele Baleari, Marsiglia, GENOVA, da dove si ripartiva per Livorno, Napoli, Venezia, Pireo, poi di nuovo GENOVA (caricazione auto) e si ricominciava il giro. (Forse ora risulterà più chiara la complessità dei piani di carico di queste navi, come ho cercato di descrivere nel commento dell'Italterra! E tutto quello che era il da fare a bordo per ognuno... Io da All.vo ne rimasi affascinato, e preso il ‘Patentino’ fui contento di andare sull'Italterra da 3° Ufficiale, dove era tutto uguale, (solo le navi erano di tipo diverso: Italvega tipo Canadese e Italterra tipo Americano!).
Come dicevo innanzi, rivedere quei posti, all'altro capo del mondo e ripensare com’erano quelle navi, fatte per compiere un solo viaggio, mentre noi le stavamo ancora navigando dopo 25 anni! Le prime navi saldate (i saldatori erano donne e uomini abilitati con un corso di 10 giorni!). Molti Liberty, specialmente all’inizio della produzione, si sono infatti spezzate, altre sono affondate per tempi cattivi in Atlantico! Anche noi avevamo imparato qualcosa dal mestiere di muratore, a forza di impastare cemento per fare le famose "cassette" che avevano il compito di tamponare le infiltrazione d'acqua! Eppure tempi cattivi ne abbiamo anche presi! Non parliamo degli “Ausilii alla navigazione”. Oggi le navi potrebbero navigare da un posto all'altro della terra, senza equipaggio, al limite, potrebbero essere comandate da una sola persona di terra. Noi avevamo: bussola magnetica, (la gyro c'era, ma quasi mai era funzionante), cronometro, sestante, (non esisteva neanche la calcolatrice), i calcoli venivano fatti con le tavole logaritmiche per trovare il punto nave (quando il sole o le stelle erano visibili!). Il radar aveva una portata limitata, ma solo il Comandante poteva metterlo in moto qualora ci fosse stata scarsa visibilità e lo lasciava scritto nelle consegne all’ufficiale di guardia. Che succedeva, quindi, se c'erano piovaschi o banchi di nebbia? Si faceva il bambino piagnucolante che ricorreva all’aiuto di papà? Eh no! Si tirava avanti... ma in quelle 4 ore di guardia, si aveva un certo patema d'animo! Oggi, sul ponte di comando, di radar accesi ce ne sono 2, e per di più anticollisione!
Per quanto riguarda le ‘Previsioni Meteo’, il Marconista, a determinate ore, portava in plancia il bollettino dattiloscritto: “una depressione di ... millibar in lat... e long. ... si muove verso... una direzione... " Ma era il Comandante, a seconda dell'andamento del barografo, la direzione del vento, e in considerazione del carico che si aveva a bordo, a decidere quale rotta seguire. Altro aiuto che si aveva erano: le Pilot Charts, in cui erano riportate, a seconda del mese, le rotte seguite negli ultimi anni dei vari cicloni che si sono susseguiti. Non era molto, tuttavia, per andare a Panama, per forza di cose dovevamo far rotta verso i Caraibi, dove nei mesi estivi e autunnali, qualcosa di brutto era facile incontrare!
Mezzi di comunicazione: il radiotelefono (era grande come un armadio a 4 ante che riusciva a comunicare al massimo fino a 300/350 mg. Dopo Gibilterra c'era solo la Radio, con la quale si riusciva a inviare telegrammi, via Roma Radio quando era possibile, altrimenti il Marconista (altra figura scomparsa da bordo) doveva fare ponte con altre stazioni europee.
Con le radio che avevamo allora, si perdeva il contatto molto presto con l'Italia, e le uniche notizie fresche erano contenute in una paginetta dell’ANSA che Marconi appendeva nella bacheca della mensa a mezzogiorno. Altro fatto molto importante, era il calcolo della stabilità della nave circa la dislocazione delle merci. Occorreva calcolare quanto carico poteva essere imbarcato in coperta, cosa sarebbe accaduto se al 1^ porto avessimo dovuto sbarcare dalla bassa stiva, un peso rilevante e tante altre situazioni che si sarebbero potute verificare? Si risolveva il problema applicando le formule teoriche imparate a scuola. Non esistevano “Lodicator” di stabilità, ecc. Si doveva calcolare con esattezza matematica dove sistemare un peso per partire o arrivare con un certo assetto.
La lettura dei pescaggi a fine caricazione era compito dell’Allievo di coperta, che si faceva ammainare la biscaglina sottile dal nostromo per verificare i pescaggi a prora e poppa. Mentre ora basta leggerli semplicemente su uno strumento posto in segreteria che ti risolve tutti i vari problemi.
Mi accorgo di avere scritto molto, ma siccome vedo che tra i lettori del sito, ci sono tanti giovani, penso che a qualcuno di loro potrebbe interessare sapere come si navigava con le navi di 50 anni fa, magari dal racconto diretto di chi lo ha vissuto in prima persona”.
TESTIMONIANZA del com.te Nunzio CATENA
2/03/1964 – “Eravamo all'uscita del Columbia River, provenienti da Portland (Oregon), con una copertata di legname (tavole -red wood-), assicurata tutto a regola d'arte (con cavi acciaio, catene, cavi ecc.). Avevamo il Pilota a bordo, il quale ci aveva avvisato che fuori c'era un po' di mare lungo. Il Com.te fece sistemare bene ancore, bighi ecc. e ad un certo punto mandava via tutti da prora. Anche io ero sul Ponte, addetto al brogliaccio e al telegrafo di macchina (ancora quello meccanico..!!). Cominciammo ad uscire e lo spettacolo che si presentava, con due tre relitti sulla spiaggia, non era allettante! All'uscita, la corrente piuttosto forte del fiume, incontrando l'onda del mare, ne provoca l'innalzamento e ne diminuisce il periodo (quindi sono alte e molto ravvicinate). Ricordo come ora, appena usciamo, la prora va giù e pesantemente riesce, la seconda ce la fa ancora, dopodiché di prora si era generato quasi..un vuoto.., la prora va giù.. giù.., mentre, a 45° Dr., si alza un'onda gigantesca ...."watch"... Il Pilota fa abbassare tutti ... Io mi son tenuto ai galletti del finestrino, dicendomi "se devo morire....lo voglio vedere!” - (e non lo dimenticherò mai!) - L'onda, facendo inclinare paurosamente la nave a Sn. frange ed avvolge quasi tutta la parte di prora, ponte comando e quasi tutta la tuga. L'Italvega, stenta... ma poi riesce finalmente a riemergere!
(Archivio N.Catena)
I danni sono evidenti, dalla coperta sono stati strappati interi settori di legnami, tutti gli altri sono stati sconnessi, come si vede bene dal gruppo di foto riportate successivamente. In stiva i danni sono ingenti. Come si vede dalla foto sopra, l'onda battendo sulla plancia, ha sfondato proprio il finestrino dove ero io, rompendomelo in faccia! Il vetro, frantumato in mille pezzi, ha picchettato la paratia dietro il timoniere! A me, la faccia l'ha ammaccata un bel po', qualche ferita, ma ne é valsa la pena !! (io non sono credente, ma credo che le continue preghiere di mia madre, siano valse a qualcosa....!!) Danni alle persone fortunatamente pochi... Alcuni marinai che si trovavano in coperta, si sono salvati attaccandosi ai tubi o altri appigli sul cielo del corridoio e la valanga d'acqua che da prora andava verso poppa non e' riuscita a travolgerli !!!! Fuori dalla barra del fiume, il mare era accettabile...la maggior parte scampato il pericolo, le solite imprecazioni e.. Io all'arrivo sbarco e non metterò più piede su una barca...! Io magari vado a fare il minatore..., ma il mare non mi vedrà più! Ed altro. Poi, piano piano, basta un porto, un bel tramonto, un po' di bonaccia... e il marinaio ricomincia, dimenticando tutto..., perché quello é il suo elemento! Magari fino alla prossima tempesta!
Segue la TESTIMONIANZA (diario) del Comandante Nunzio CATENA
(Archivio N.Catena)
(Archivio N.Catena)
Rapporto e foto dei danni riportati dalla M/N ITALVEGA in uscita alla foce del Columbia River.
Questa locandina, composta di due sezioni, é il Manifesto Pubblicitario delle 1.000 autovetture FIAT. Sotto, Modello del liberty ITALTERRA. La nave era stata modificata per il trasporto di auto.
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1943 dal cantiere New England, Portland West, USA con il nome NELSON DINGLEY –Impostata il 10.6.1943, varata il 20.7.1943. Dislocamento= 7.176 tons., Lungh.= 134,57 mt. f.t. Largh.= 17,34 mt. - Pescag.= 2,35-8,46 mt. Propuls. Macchina a triplice espans. - 2.500 hp, Velocità 11 nodi - Autonomia 14.000 n.mi a 10 nodi, Equipaggio 81, Armamento= Artiglieria alla costruz. 1 o 2 cannoni da 76 o 127 m/m, varie mitragliere.
1947: ITALTERRA, per Italnavi, Genova – 1953: motrice sostituita con un diesel FIAT 686 da 3.600 CVA – 1959: convertita per trasporto autovetture utilitarie con una capacità di 1.200 auto – 1965: BAYPORT – 07.1072: demolita a Santander (Recupetraciones Submarinas SA)
L'ITALTERRA fu acquistato dalla Società ITALNAVI di Genova. Dalla fine del 1957 il mercantile venne utilizzato per conto della FIAT per il trasporto di automobili negli Stati Uniti che raggiungeva mensilmente, partendo dal porto di Genova. La nave viaggiava carica di circa mille vetture, trasportando prevalentemente 1100, 600 e la 500 America in diverse versioni. Nel 1965 passò all'armatore Salvatores & Co con il nome di Bayport. Venne demolita nel 1972.
TESTIMONIANZA del com.te Nunzio CATENA
M/n ITALTERRA (foto di reperetorio)
“La sovrastruttura di colore marrone (sopra la plancia bianca, che si nota per i 5 finestrini centrali e probabilmente dal fanale di via, verde), é stata ricavata sulla controplancia, una nuova plancia, sala nautica, nuove alette di plancia. La plancia originale, era diventata una specie di segreteria, con un lungo tavolo, necessario per la compilazione del piano di carico, che doveva essere fatto con la massima chiarezza (nome partita, n. pezzi, peso, da.. a..., ubicazione). Tenuto conto del numero di porti di caricazione in America e tutti i porti di discarica in Mediterraneo, si provi ad immaginare tutte le varie combinazioni, fare un piano di carico era davvero difficile! Da tener presente che a quel tempo in segreteria, oltre a qualche biro, matite e gomme, c’era una sommatrice, il poligrafo e niente altro. Da considerare poi che a fine caricazione a Long Beach, l'Agente doveva prenotare il Pilota per la partenza e non si poteva rimandare di molto la partenza, ma occorreva spedire via aerea, i piani di carico ai porti mediterranei per essere pronti a ricevere il carico con tutta la documentazione: polizze di carico, annotazioni ecc. Ecco perché si era ritenuto necessario fare questa modifica, in modo che tutti, potessero collaborare. Di solito dopo poche ore, per quanto i marinai avessero preparato la nave per la navigazione (stive, bighi ecc.), era tutto finito, contenti di riprendere il mare, anche se ci attendevano 30 giorni di navigazione.
M/n ITALMARE
ITALMARE assistita da due rimorchiatori (Archivio C.Gatti)
“In quel tempo noi portavamo le macchine Fiat in America con le navi Fiat (Italnavi).....adesso, forse per eliminare le spese di trasporto, qualcuno ha trasferito la Fiat in America....!!!!!!”
M/n ITALCIELO in avamporto a Genova (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.
1969 – Luglio – Da “Bandiere ombra e armatori fantasma”, nel capitolo “Le carrette del mare”, si legge: “Nel luglio 1969, mentre la nave da carico liberiana Greenport era in rada a Norfolk, in attesa di entrare in porto per scaricare il carbone, verso l’una di notte, tre giovani italiani, che si erano imbarcati come marinai di bassa forza, si gettano nelle gelide acque del mare vestiti con maglioni, pantaloni di velluto e scarpe. Hanno deciso di abbandonare la nave cercando di raggiungere terra e fuggire. L’intero equipaggio è al corrente della fuga tanto che mentre i tre si gettano in mare il resto degli uomini trattiene un quarto giovane, anch'’gli italiano, che voleva raggiungere il suolo degli Stati Uniti persino con una valigia. Il comandante della nave dorme. Viene svegliato solo quando iniziano, da parte delle autorità portuali, le operazioni di soccorso ai tre. Purtroppo per Mauro Mastrofilippi di 23 anni, gli altri due fuggiaschi avevano 18 anni, le acque americane dovevano risultare fatali. Il suo corpo viene ripescato due giorni dopo in rada. I suoi due compagni d’avventura sono ritrovati all’alba, aggrappati ad una boa e riportati a bordo della nave liberiana. Non si può escludere che i tre giovani avessero architettato la fuga per poter entrare clandestinamente negli Stati Uniti. Quando a bordo di navi ombra scompaiono uomini d’equipaggio nessuno si preoccupa di farne denuncia alle autorità competenti; è più facile quindi rimanere nel Paese dove si è sbarcati. Questa tesi può suffragare l’ipotesi che i tre avessero qualche appuntamento sulla costa americana, ed essendo la nave in ritardo, rispetto alle previsioni, di oltre 24 ore essi avessero tentato di raggiungere a nuoto la costa per non mancare all’appuntamento.
M/n ITALCIELO va all’ormeggio a Genova con 2 RR (Archivio NEA)
M/n ITALCIELO - Il rim.re PERU’ sta per prendere il cavo a prora dritta (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Liberty USA costruita nel 1944 da Permanente Metals Corporation (Shipbuilding Division), No.1 Yard, Richmond, Calif., USA, con il nome WALTER WYMAN - 1947 ITALCIELO, per Italnavi Genova - 1950: trasformata in motonave a Genova, motore Fiat 686 da 3600 HP – 1959: trasformata per trasporto auto con una capacità di 1.200 vetture utilitarie –1965: GREENPORT – 04.1972: Demolita a Faslane.
M/n CESANA (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Cargo - Costruita nel 1956 dal Cant. Nav. Breda SpA. Marghera con il nome ENRICO DANDOLO per Sidarma SpA, Venezia. –8.520 GRTons, 10.796 DWTonms, Lft 145.3 mt., Lpp 135.0 mt., Larg ft 19.1 mt., 1 diesel, 15.5 nodi - 1964: CESANA, per Italnavi SpA, Genova – 1969: CESANA “C”, per Costa Armatori SpA - 10.1980: demolita a La Spezia (CN del Golfo).
TESTIMONIANZA del Com.te Nunzio Catena
“Nel Dicembre 1965 sbarcai dall’Italterra – motivo: “vendita della nave all’estero” e trasbordai sulla M/n CESANA (20/12/65) ai lavori a La Spezia per rinnovo e sistemazione stive e celle frigorifere. La nave era già dei Costa.
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La Nave, al termine dei lavori, eseguì tutte le prove in mare (velocità, consumi, ecc.) alle quali partecipò l'Armatore Andrea Costa! (quindi la Nave non passò prima a Cameli !). I viaggi erano interessanti: Genova, Sud America, merce varia, (a volte Cabedelo, nord Brasile, con ananas in coperta per B. Aires), Montevideo, Rosario per mais, B.Aires carne congelata e refrigerata per GE, Tenerife (dove nelle foto successive racconto di un incidente occorso nel '67) o Las palmas, (a volte caricavamo casse di pomodori in coperta per GE).
Bella nave, abbastanza veloce per quei tempi, solo che vibrava un po' troppo e quando scrivevi, sembrava di avere un pò di Parkinson!!.
Lo S.M. era così composto: Com.te Cervia Aldo, 1° Uff. Panconi Giovanni, 2° Catena Nunzio, 3° Uff. Ugo ..... All..... – Sbarcai a febb.67.
Continua la testimonianza:
“Come illustrato nella foto seguente, il giorno 19 Gennaio1967, alle ore 05.15, all'ingresso del porto di Santa Crus de Tenerife, con Pilota a bordo, entrammo in collisione con la nave passeggera Cabo San Roque per fortuna senza gravi danni per persone!
Foto dei “danni” provocati dalla collisione con m/n CABO SAN ROQUE (Archivio N.Catena)
(Archivio N.Catena)
RAPPORTO DELLA COLLISIONE TRA LE M/navi CESANA e CABO SAN ROQUE
M/n CABO SAN ROQUE della YBARRA & Cla di Siviglia (NEA)
M/N PORTOFINO (Archivio N.Catena)
Questo scatto coglie l’incontro tra la M/N Portofino, (gemella della Portovado), con la nave sociale M/N Cesana.
DATI NAVE:
Domenica 11 settembre 1960 è scesa in mare a Taranto la Motonave Portofino costruita dalle Officine di costruzioni e Riparazioni Navali di Taranto. Madrina della nave la Signora Elda Dardanelli.
La Motonave Portofino è la prima di due navi da carico gemelle che la Società di Navigazione Sicilnaviglio di Genova ha commesso ai Cantieri di Taranto ed è uguale alla M/n Portovado costruita dal Cantiere Breda di Venezia per la stessa Società entrata in questi giorni in servizio. La M/n Portofino era azionata da un motore Diesel Fiat del tipo più moderno uscito dallo Stabilimento Grandi Motori di Torino.
E' un motore a due tempi sovralimentato tipo C. 757 S costituito da 7 cilindri del diametro di 750 mm. e corsa 1320 mm. e sviluppa una potenza di 8400 Cv. con una velocità di 16 nodi.
La Portofino è del tipo autostivante, munita di 12 verricelli per il carico e di tutte le attrezzature atte a renderla, oltrechè una bulk-carrier, anche adatta per i carichi generali. Munita di tutti gli strumenti di navigazione dei tipi più moderni: radar, girobussola, giropilota, ecometro, ecc.
Gli ambienti della motonave (cabine, mense, corridoi, ecc.) hanno caratteristiche lussuose, essendo rivestiti di Plastirivmel.
La M/n PORTOFINO incontra la M/n CESANA in navigazione
1967 - Un'altra immagine dell'incontro tra M/N Portofino e la M/N Cesana, presso La Plata (Argentina prov. Buenos Aires). La terza unità, gemella delle motonavi "Portofino" e "Portovado" é la "PORTOVENERE", costruita nel cantiere di Taranto, lo stesso che costruì la "Portofino".
"LA NOSTRA" - M/n ALPE ex MARIO ROSELLI (Collez.A.C.)
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DATI NAVE:
Costruzione n° 1240 - MARIO ROSELLI
Motonave da carico costruita nel 1942 (Impostazione 22. 04. 1940, varo 25. 04. 1941, consegna 22. 04. 1942)
6835 tsl - 4017 tsn - 9100 tpl - 138,61 x 18,92 x 12,10 m - 1 diesel - 7500 CA - 1 elica – Velocità= 15,8 nodi
Compartimento Marittimo di Trieste - matricola n. 457.
22. 04. 1942: MARIO ROSELLI: Italia S.A. di Navigazione - Genova
23. 04. 1942: requisita a Trieste dalla Marina militare italiana
16. 05. 1942: prima missione Brindisi – Bengasi - Brindisi
24. 05. 1942: danneggiata da un attacco aereo su Bengasi
23. 06. 1942: in navigazione per Bengasi venne silurata da aerei nemici a 39 miglia per 139° da Capo Rizzuto. Dopo la prima assistenza da parte dei rimorchiatori GAGLIARDO da Taranto, PLUTO e FAUNA da Crotone e PORTOFERRAIO, viene rimorchiata a Taranto dalla torpediniera ORSA sotto scorta prima del cacciatorpediniere TURBINE e della torpediniera PARTENOPE e poi dalle torpediniere ANTARES e ARETUSA
09. 1942: in cantiere a Monfalcone fino al 12. 1942
19.12.1942: rientra in servizio sulla rotta Napoli, Palermo, Biserta effettuando in totale cinque missioni fino al 03. 1943
11. 04. 1943: bombardata a Napoli
09. 1943: preda bellica tedesca
20. 09. 1943: arriva a Venezia con prigionieri italiani
27. 09. 1943: parte da Venezia per Trieste
10. 10. 1943: in partenza da Corfù con prigionieri italiani viene attaccata da aerei britannici. Colpita sbarca i prigionieri superstiti (1302 muoiono) ma affonda il giorno seguente nel corso di un secondo attacco aereo
1952: ricuperata e rimorchiata a Monfalcone per il ripristino
11. 06. 1952: ribattezzata ALPE
10. 1952 ALPE: Italnavi, Società di Navigazione - Genova (6893 tsl, 4060 tsn, 9191 tpl)
10. 1965: Compagnia Marittima Carlo Cameli - Genova
07. 1969: Costa Armatori S.p.A. - Genova (9136 tsl, 5540 tsn, 10790 tpl)
1970: Flemar - Montevideo
1972: demolita.
La m/n SISES
Quattro fotografie della M/n SISES: Nell'attesa del Pilota, in navigazione e in uscita dal porto. (Archivio C.Gatti-NEA)
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DATI NAVE:
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M/n VILLARPEROSA (Archivio NEA) DATI Nave: Costruita presso i cantieri Breda di Marghera nel 1957 per Italnavi Soc di Navigazione di Milano - Lunghezza ft 145,37 mt. - Lunghezza pp 135,21 mt. - larghezza 19,08 mt. - Bordo libero 3.04 mt.- 8642,56 tsl – 5.224 tsn - 11.977 tpl – Pescaggio 8,83 mt. - Dislocam 17.120 tons. - 5 stive 17.080 mc. - Motore diesel FIAT a 2 tempi 7 cilindri, diam. Mm 750, corsa mm 1.320, potenza 7.700 CA, 1 elica, Velocità alle prove 17,14 nodi - 1966: la Soc Italnavi è stata incorp. nella Compagnia Carlo Cameli, Genova –1968: Acquistata da Costa Armatori SpA, Genova – 1982: Intra Tribute – 09/'82: demol. a Kaoshiun |
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M/n CERVINIA (Archivio NEA) |
DATI NAVE: Nominativo Internazionale ICVL Lunghezza ft metri 145,36 - L. fra le 135,02 mt larghezza = 19,08 metri – Immersione =9,155mt. Bordo Libero= mm 1172 Stazza Lorda= 6.213,02 tons. Stazza Netta= 3.796,39 tons. Portata Lorda= 10.662 tons. Dislocamento= 15.040 tons. Volume Lordo Totale =9.741 mc. 5 stive per un volume di 18600 mc. N.2 imbarcazioni di salvatag. per 114 pers. Iscritta al Compart. di Venezia al n. 587 Iscritta al compart. di Genova al n. 3333 Costruita presso i Cant. Breda di Marghera nel '59 - Costruzione n 209. Varata a Venezia il 4 luglio 1959 per conto della Sidarma Società Italiana di Arm. Un motore diesel FIAT a due tempi 7 cilindri Sovralimentato, diametro mm 750, Potenza di 7700 CA. 1 elica-Scafo in acciaio standard N. 8 paratie stagne trasversali. 2 ponti (1+Shd) Doppi Fondi 1.416 mc - Cisterna avanti: 140 mc - Cisterna add. 320 mc - Poppa ad incrociatore. Deposito cisterna: 1600 mc Ex Lorenzo Marcello 1964- venduta alla Italnavi 1966- La Società Italnavi viene incorp. 1980 - Cortina II - 1981-Pistis -
M/n CORTINA (Storia dei Trasporti Italiani)
Dal Volume VII - TRASPORTI MARITTIMI DI LINEA - STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI: da pagina 2270 riportiamo: "Nel 1969 con l'acquisizione del numero di navi facenti parte della flotta dell'Italnavi: Cesana, Sestriere, Sises, Alpe, Cervinia e Villarperosa venne riorganizzata la linea commerciale per il Sud America mentre con l'acquisto delle nuove navi Giovanna C. - Luisa C. - Anna C. - e Cortina, venne gestita in proprio la linea del Golfo del Messico dove in precedenza avevano operato soprattutto unità noleggiate".
M/n ANTONIO VALLETTA - OBO Carrier Costr. a Monfalcone per conto della Soc. ITALNAVI S.p.a. di Navigazione (Archivio NEA)
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M/N SICILMOTOR (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Tanker – Costruita nel 1958 da Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi Soc. Nav., Genova – 20.617 tons, tdw 31.268, Lft 204.80 mt., Lpp 189.20 mt., Larg. ft 26.30 mt., 16.5 nodi – 1984: SICILMO – 09.1984: demolita a Chittagong da Nine Star Re-rolling Mills.
Varo ITALMOTOR (Archivio C.Gatti)
ITALMOTOR é scesa in mare a Sestri Ponente-Ge (Archivio C.Gatti)
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M/N ITALMOTOR (Archivio NEA)
DATI NAVE:
Tanker – Costruita nel 1953 dai cantieri Ansaldo, Sestri Ponente, per Italnavi
Soc. di Navigazione SpA, Genova – Tsl 17.174, DWT 26.278, Lft 191.3 mt., Lpp
181.0 mt., Larg ft 25.0 mt., 2 diesel, 16.0 nodi – 12.1976: demolita a La Spezia (CN del Golfo).
Riteniamo utile riportare l’interessante commento di “Mario from Genoa” del 19/5/11 sulla M/n Cesana sul sito ‘Navi e Armatori’:
“.....nel 1968, alla chiusura delle attività dell'ITALNAVI (che all'epoca aveva già assorbito la SIDARMA), le navi sono state divise effettivamente fra COSTA e CAMELI però le navi da carico secco (ad eccezione della Alpe venduta alla argentina ELMA e di qualcosa altro, forse la Sestriere, che a memoria mi sfugge), sono state acquistate da COSTA mentre le due petroliere Italmotor e Sicilmotor sono state acquistate da CAMELI. E` vero anche che una certa parte degli equipaggi é andata con la CAMELI, seguendo la sorte delle due petroliere, mentre altri sono andati con COSTA.
Dette navi erano, dal punto di vista tecnico, gestite direttamente dall'ufficio tecnico della allora COSTA Armatori S.p.A. senza alcun contatto diretto con CAMELI per la gestione. Per inciso la Cesana si chiamava in origine, come correttamente indicato da “Celeste” (pseudonimo), Enrico Dandolo ed era stato costruito per la SIDARMA che, fin dagli anni cinquanta del secolo scorso, era in servizio congiunto con la SIDARMA ed entrambe a Genova, se ricordo bene, erano, dal punto di vista commerciale, prese in cura dall'allora Agenzia Marittima Oceania”.
CONCLUSIONE:
Vorrei terminare questo importante capitolo di Storia Navale Nazionale con due considerazione: la prima di ordine generale, la seconda di ordine particolare.
- Chi vede le navi soltanto da una banchina o da una finestra, magari se ne innamora e ne parla, oppure ne scrive come fosse un’opera d’arte, una chiesa, un quadro, oppure non ne parla affatto. Chi invece calca i bordi per lavoro, parla della nave e pensa ai suoi compagni di bordo come appartenessero all’ “inventario” di quella nave. Per il navigante, la nave é un pezzo della propria storia che quasi mai rappresenta un’opera d’arte, bensì sudore e sofferenza che ha diviso con altri uomini di mare legati dallo stesso destino. Questo sentimento rimane intatto e sopravvive alla demolizione della nave. Quando la nave scompare rimangono i suoi uomini a cantarne le gesta. Pro Schiaffino, Comandante e poi Direttore Marittimo della ITALNAVI e di altri importanti Armamenti, ha scritto che nessuno chiamava la nave (ALPE n.d.a) per nome, ma con il nomignolo “LA NOSTRA”, alla quale ognuno attribuiva il suo segreto rapporto affettivo di madre, sposa, sorella, amica, compagna... chissà?
- La SESTRIERE, tra le pochissime navi sopravvissute ai siluri, bombe e mine della Seconda guerra mondiale, fu considerata, giustamente, una nave fortunata, quindi un po’ speciale, che assunse nel dopoguerra il ruolo di nave ammiraglia della ITALNAVI anche perché, come accennato in precedenza, ebbe un ruolo importantissimo nella “SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE”, titolo che diedi ad un mio saggio pubblicato nel 2003 per MARE NOSTRUM e che ho riportato su questo sito nella sezione Storia Navale.
Il carisma di questa nave fu tale da suggestionare anche i suoi equipaggi che, ancora oggi, si ritrovano per rinnovare ogni anno quelle memorie che dovranno durare lungo l’arco della loro intera esistenza. Ho conosciuto molti comandanti e ufficiali ITALNAVI, e posso affermare, senza tema di smentita, che ho sempre riscontrato in tutti loro lo stesso marchio indelebile di gentleman del mare, e fedeltà assoluta alla ITALNAVI Compagnia di Navigazione - Genova
Non ho parole per ringraziare il caro amico Comandante Nunzio Catena per avermi consegnato le sue preziosissime “testimonianze” di ex ITALNAVI che dipingono alla perfezione il “Quadro Nautico” di come si navigava in epoca scarsamente tecnologica, ma di grande fascino marinaro. Ringrazio altresì il comandante Patalano, uno dei fondatori del NEA e degli altri collaboratori del sito che hanno dimostrato una rara competenza in materia.
P.S. – Le fotografie appartengono, in parte all’archivio dell’autore, in parte sono state prese a scopo divulgativo dal sito NAVI E ARMATORI, dal sito della MARINA MERCANTILE e dal Web, mentre alcune sono firmate da fotografi professionisti ai quali rivolgo un sincero ringraziamento da parte dell’Associazione Mare Nostrum di cui mi onoro d’essere il Presidente.
A cura di:
Nunzio CATENA e Carlo GATTI
Rapallo, Sabato 16 febbraio 2013
Le NAVI ROMANE di Fiumicino
LA PORTUALITA' DI ROMA ANTICA
LE NAVI ROMANE DI FIUMICINO
Ostia Antica fu legata a Roma per essere stata a lungo la sua appendice commerciale ed economica. Quel passato operoso svolto lungo lo snodo fluviale del fiume Tevere, rappresenta ancora oggi un microcosmo in grado di rivelarci importantissime testimonianze, non solo della cultura marinara e della vita quotidiana di allora, ma anche della convivenza di etnie molto diverse dal punto di vista religioso, artistico e delle loro specifiche tradizioni. Dal porto fluviale di Ostia transitava, tramite chiatte trainate da animali, il grano depositato nei grandi horrea (silos dell’antichità) che risaliva il Tevere per arrivare a rifornire i depositi della capitale e a soddisfare le esigenze di un milione di abitanti che abitavano nella capitale 2000 anni fa.
Perché nacque il grande porto di Claudio?
Le grandi navi onerarie dell’epoca, con il carico destinato all’Urbe, non potevano ormeggiare nel porto fluviale per ragioni tecniche molto evidenti, ma dovevano pendolare al largo, oppure ormeggiare a Pozzuoli, da cui le merci venivano poi trasportate ad Ostia, a bordo di navi di piccole dimensioni. L’espansione della capitale ed il suo sviluppo urbanistico, produssero un incremento dei traffici marittimi che il porto fluviale di Ostia non era più in grado di sostenere.
1 - Claudio e Traiano: i due veri Porti di Roma
L’imperatore Claudio ne prese atto e decise di costruirne un nuovo, ma ebbe in mente, fin da subito, un progetto costosissimo, convinto com'era che Roma, capitale dell’Impero, avesse raggiunto ormai la sua massima ricchezza ed espansione. Il progetto non piacque agli ingegneri dell’epoca. La zona scelta era pericolosa a causa dei venti di traversia e delle frequenti mareggiate invernali che avrebbero favorito un graduale insabbiamento del nuovo scalo portuale. Ma l’imperatore fu inflessibile nelle sue decisioni e ordinò di scavare l'ampio bacino a due miglia a nord della foce del Tevere, con due moli, e fece erigere il faro (vedi Pharos nella cartina sopra). Lo scalo fu completato da Nerone ed intorno a questo cominciò a espandersi il nucleo della città di Porto.
L'inaffidabilità del bacino di Claudio era stata confermata già nel 62 d.C. quando una tempesta aveva distrutto non meno di duecento navi tra quelle ancorate nella rada interna e quelle ormeggiate alle banchine. Purtroppo le previsioni degli ingegneri romani si avverarono puntualmente: lo scalo, essendo molto ampio e poco profondo, raccoglieva e accumulava verso le banchine commerciali i detriti ed il fango spinti dal libeccio e dal maestrale. I lavori del Porto di Claudio furono talmente difficili e costosi che l'inaugurazione del Porto avvenne solamente sotto Nerone nel 64 d.C.
Toccò infine a Traiano di porre rimedio al fallimento annunciato dello scalo, e lo fece studiando una soluzione ultramoderna per l’epoca.
L’imperatore affidò il nuovo progetto all’architetto Apollodoro di Damasco che lo posizionò in una zona più interna e sicura, aveva una forma esagonale ed era provvisto di un sistema di canali di comunicazione tra il porto e il fiume, (l'attuale canale di Fiumicino-Fossa Traiana), che avevano il duplice scopo sia d’impedire allagamenti e insabbiamenti, sia di alleggerire il traffico alla foce del Tevere.
L’eccezionale "sistema portuale" migliorò notevolmente la capacità e l'efficienza del porto di Roma, e determinò l'aumento della comunità di residenti nel territorio circostante e anche il cambiamento della denominazione da Portus Ostiensis a Portus Traiani o anche semplicemente Portus. A ridosso della nuova struttura (Portus Urbis) si sviluppò quindi la città di Porto, grande quanto la vicina Ostia.
2 - Il bacino traianeo (nella foto aerea), portato alla luce e restaurato negli scorsi anni Trenta, misurava 358 m. di lato, occupava una superficie di circa 33 ettari e consentiva l'attracco contemporaneo di almeno 200 navi di grande tonnellaggio, nonché lo svolgimento di tutte le operazioni connesse con il traffico-merci. Aveva le sponde ‘a scarpa’, una profondità media di 5 metri, era inclinato verso mare ed era lastricato con grandi pietre che ne facilitavano la manutenzione. I lavori terminarono nel 112 - 113 d.C.
Nel IV secolo il porto fu protetto da mura difensive, oggi parzialmente visitabili nel settore che comprende il canale d'ingresso al bacino esagonale con i cospicui resti dei magazzini traianei.
La struttura fu attiva fino al 537 d.C., quando, con l’invasione dei Goti di Vitige, si avviò ad un rapido declino. Nell’arco dei secoli, inoltre, in concomitanza con l’avanzamento della linea di costa, entrambi i bacini portuali subirono un insabbiamento naturale.
Il complesso portuale esagonale del Porto di Traiano é visibile ancora oggi atterrando con l’aereo a Fiumicino, ma l’opera artificiale, di grande fascino e suggestione, é anche interamente visitabile passeggiando tra i suoi immensi magazzini, banchine che ancora oggi parlano lo stesso linguaggio delle strutture portuali del nuovo millennio.
Il porto di Traiano sostituì lo scalo di Pozzuoli e furono costruiti imponenti edifici pubblici che disegnarono una nuova città, che inizialmente dipendeva da Ostia, la quale a sua volta divenne ancora più importante come centro di tutta l’attività amministrativa fluviale.
3 - Rappresentazione artistica del complesso portuale di Claudio e Traiano
Le Navi di Fiumicino - Storia del Ritrovamento
Nel 1957 sono stati portati alla luce i resti affioranti del molo destro del porto di Claudio, adiacenti all'attuale MUSEO DELLE NAVI di Fiumicino, insieme con murature di un edificio con tracce degli affreschi originari. Siamo nell’area di Monte Giulio e proprio qui sono emerse altre strutture del 2° secolo che s’affacciavano sul bacino.
Durante la costruzione dell’aeroporto L. Da Vinci di Fiumicino vennero alla luce, alla fine degli anni ’50, i relitti di cinque imbarcazioni di epoca imperiale romana, attualmente conservate nel Museo delle Navi Romane, il cui scavo e recupero fu promosso dalla Soprintendenza Archeologica di Ostia sotto la guida di Valnea Santa Maria Scrinari. Il Museo si trova accanto all’Aeroporto di Fiumicino, nell'area corrispondente all'imboccatura dell'antico porto di Claudio. La struttura museale fu inaugurata nel 1979 ed é gestito dalla Soprintendenza Archeologica di Ostia, che dipende dal Ministero per le Attività Culturali.
Dopo d'allora furono necessari circa vent'anni di lavoro e di studi, perché i reperti fossero accessibili al pubblico: solo gli scavi per riportarli alla luce durarono dal 1958 al 1968.
4 – Entrata del Museo delle navi romane di Fiumicino vista di lato
Visita al Museo delle Navi Romane
5 - Cartina che mostra il ritrovamento dei relitti rispetto al Museo
Attualmente il Museo è situato a sud dell'Aeroporto Intercontinentale di Fiumicino ed è collegato alla città di Roma dall'autostrada e dalla ferrovia. La struttura dell'edificio è molto funzionale: un grande contenitore lungo 33.5 m e largo 22 m costituisce una sorta di ricovero per imbarcazioni. Sul lato sinistro trovano posto uffici e stanze di servizio.
In un primo tempo il padiglione espositivo fu usato come rifugio per le imbarcazioni appena recuperate. Qui gli scafi furono trattati con resine e le parti lignee danneggiate vennero restaurate.
6 - Vista d’insieme del Museo.
Oggi entrando nel Museo delle Navi Romane è possibile ammirare, con un unico colpo d'occhio, i resti delle cinque imbarcazioni, i materiali recuperati durante gli scavi, così come altri oggetti archeologici, anche lapidei, provenienti dall'area dei porti imperiali. Le navi sono sorrette da telai in metallo costituiti dal minor numero possibile di pezzi. In questo modo è possibile mantenere in posizione i delicati elementi lignei delle imbarcazioni mantenendo visibili le linee d'acqua. Fiumicino 3 si trova a sinistra dell'entrata del Museo. Di questa piccola imbarcazione fluviale rimane soltanto il fondo piatto pesantemente ricostruito durante il processo di restauro.
Varcata l'entrata, a destra, la prima imbarcazione esposta é Fiumicino 5, la barca da pesca. Si tratta di un ritrovamento unico nel suo genere. Al centro dello scafo è presente un pozzetto (contenitore-vivario), le cui tavole del fondo sono munite di aperture per permettere all'acqua marina di entrare. In questo modo il pesce appena pescato veniva mantenuto in vita e fresco fino al mercato.
7 - Tornando indietro, è possibile vedere due frammenti di scafi: una parte di murata che conserva anche due cinte tra i corsi del fasciame
Un piccolo corridoio separa questa chiatta da Fiumicino 3, un'imbarcazione marittima da carico. Lo scafo, molto ben conservato, si è mantenuto oltre alla linea di galleggiamento. A destra e a sinistra si trovano frammenti di sculture, tra cui quelli di un sarcofago con una scena marittima, elementi architettonici, una bitta d'ormeggio dal porto di Traiano e blocchi di cava.
8 - Riproduzione di un rilievo di Porto, ora nella collezione Torlonia, con scena portuale (III sec. d.C.)
Sul muro di fondo si trovano le riproduzioni di un rilievo di Porto (nella foto n.8), ora nella collezione Torlonia, con scena portuale (III sec. d.C.) e di un rilievo del Museo Nazionale Romano con raffigurata una navis caudicaria, uno speciale tipo di imbarcazione che veniva alata lungo la riva destra del Tevere per il trasferimento delle merci dal porto fino a Roma.
La parte centrale del padiglione espositivo è occupato dalle larghe chiatte fluviali a fondo piatto denominate Fiumicino 1 e 2. All'inizio del corridoio che separa le due imbarcazioni si trova un capitello in travertino rinvenuto durante gli scavi del porto di Claudio vicino alla bocca della Fossa Traiana.
L'intera collezione delle navi è collocata su telai metallici che sostengono il delicato ordito di legni senza disturbare il loro profilo architettonico. Sulla parete di fondo, una serie di vetrine ospita oggetti vari, in parte ritrovati all'interno degli scafi e in parte provenienti dalla zona dei moli oppure dall'agro portuense o dai fondali antistanti. Nel Museo delle Navi di Fiumicino sono esposti anche alcuni reperti lapidei provenienti dal territorio di Ostia, quali un frammento di sarcofago, elementi architettonici; una bitta d'ormeggio ed un blocco di cava. Sulla parete di fondo è il calco del rilievo Torlonia, celebre iconografia portuale ricca di elementi simbolici. Nelle vetrine sono inoltre conservati numerosi sigilli di piombo di età antonina, uno scandaglio; un ceppo d'ancora di piombo con iscrizione a rilievo IOVIS - IV; monete, anfore ed altri oggetti.
Per primi si incontrano, sulla destra, due frammenti di fiancata di imbarcazioni non altrimenti conservate. Nel frammento maggiore si nota il doppio parabordo a sezione semicircolare sporgente dal filo delle assi del fasciame
All'interno delle vetrine sono esposti i materiali recuperati durante lo scavo delle imbarcazioni tra cui oggetti in bronzo, ceramica, resti organici e elementi dell'attrezzatura di bordo. Tali reperti sono esposti insieme a materiali rinvenuti durante scavi e recuperi nelle aree vicine.
Sul muro perimetrale che porta verso l'uscita, i visitatori possono trovare pannelli che illustrano i vari momenti degli scavi degli anni 1950-60, oltre a diapositive con esempi di porti romani del Mediterraneo. In ultimo, grandi pannelli illustrano le principali rotte antiche, così come i principali rinvenimenti di navi antiche in Europa.
Facciamo ora la loro conoscenza dei relitti:
Fiumicino 1, 2, 3 erano destinate al trasporto fluviale. Fiumicino 4 era destinata al piccolo e medio cabotaggio. Fiumicino 5 é l’unica barca da pesca ritrovata, di epoca romana. I relitti furono ritrovati a ridosso del molo destro del porto di Claudio in una zona soggetta ad insabbiamento. Nell’antichità, quell’angolo non più operativo, probabilmente fu destinato ad accogliere le imbarcazioni obsolete che oggi sono state recuperate e costituiscono dei preziosi reperti che ci parlano della romanità marinara. La collezione di imbarcazioni incrementa pertanto la conoscenza scientifica delle varie tipologie di “unità” utilizzate nelle attività che si svolgevano tra il “mare aperto” e il porto di Claudio e, tra questi e il porto interno dell’Urbe dopo aver risalito il Tevere. I relitti ritrovati ci offrono la chiave di lettura per capire i metodi costruttivi degli antichi mastri d’ascia.
La loro sistemazione definitiva in Museo. Per favorire il recupero ed il trasporto dei relitti, fu scavato un corridoio anulare attorno al perimetro dei relitti e, a partire da questo, passaggi trasversali al di sotto della chiglia. In questo modo, fu possibile costruire una centinatura lignea per sorreggere le fiancate e poter recuperare, nella loro interezza, le imbarcazioni. Trasportate all’interno del museo in via di allestimento, l’Istituto Centrale del Restauro di Roma procedette al consolidamento delle strutture con una miscela di resine. Infine, dopo la definitiva sistemazione degli scafi sui telai d’acciaio di supporto, il 10 novembre del 1979 il Museo venne aperto al pubblico. Il museo conserva inoltre alcuni oggetti ritrovati in prossimità delle navi od all'interno di esse. I pannelli illustrativi consentono al visitatore di ripercorrere le diverse fasi del recupero, e documentarsi su altri rinvenimenti effettuati nei numerosi siti sommersi nel Mediterraneo.
Nella maggior parte dei casi, si sono conservate le strutture intorno alla chiglia sul fondale marino. Queste parti strutturali sono state sigillate e conservate nel tempo dai depositi portuali. Infatti, in alcune parti sommerse, non ancora ricoperte dal limo, la teredine ha compiuto la sua azione perforatrice e distruttiva. L’aspetto nerastro degli scafi è il frutto, invece, della carbonizzazione attivata dai microrganismi presenti negli strati di sedimentazione.
9 - All'inizio del corridoio che separa le due imbarcazioni si trova un capitello in travertino rinvenuto durante gli scavi del porto di Claudio vicino alla bocca della Fossa Traiana.
Dalle fonti scritte e dalle conferme che pervengono dagli oggetti che si rinvengono sui relitti, è possibile conoscere la vita di bordo: resti di attrezzi da cucina, contenitori, pentole e vasellame fanno intuire il tipo di alimentazione; sono stati ritrovati oggetti personali, monete e persino attrezzi di bordo, come bozzelli di legno, frammenti di cime e cordami, ancore e scandagli.
10 - All'interno delle vetrine sono esposti i materiali recuperati durante lo scavo delle imbarcazioni tra cui oggetti in bronzo, ceramica, resti organici e elementi dell'attrezzatura di bordo. Tali reperti sono esposti insieme a materiali rinvenuti durante scavi e recuperi nelle aree vicine.
11 - Reperti marmorei. Sul muro di fondo si trovano le riproduzioni di un rilievo di Porto, ora nella collezione Torlonia, con scena portuale del III sec. d.C.(vedi foto n.8) e, sulla sua destra si vede un rilievo del Museo Nazionale Romano con raffigurata una navis caudicaria, uno speciale tipo di imbarcazione che veniva alata lungo la riva destra del Tevere per il trasferimento delle merci dal porto fino a Roma.
Tra gli altri reperti del Museo possiamo elencare: del materiale lapideo ritrovato ad Ostia , tra cui un sarcofago; una bitta d'ormeggio, un calco del rilievo di Torlonia, delle vetrine mostranti dei sigilli di età antonina, uno scandaglio, un ceppo d'ancora, delle anfore, il calco di un'iscrizione trovata presso il porto, dei pannelli mostranti tra l'altro le fasi di scavo per il recupero delle navi e le tecniche della costruzione degli scafi.
Le imbarcazioni di maggiore stazza tra le cinque ritrovate, sono denominate "Onerarie minori" e "Onerarie maggiori" e sono databili nella media e tarda età imperiale.
12 - Nave Oneraria Maggiore II
Fiumicino 2 (Oneraria Maggiore II) risale al 1958. Questa unità é stata fortemente danneggiata durante le manovre successive al recupero, ma soprattutto per incresciosi atti di vandalismo, ma anche di furti.
13 - Fiumicino 1 (nella foto 14) (Oneraria Maggiore I), risale al 1959, di cui ha restituito dei corredi, è sconosciuto il suo periodo di sfruttamento. l’Oneraria maggiore I fu utilizzata durante il IV secolo. Sotto la poppa sono stati trovati tracce del mastice originale e tracce di una verosimile decorazione in bronzo. Al suo interno è stata ritrovata una lucerna con il Chrismòn (Cristogramma)
14 - Il Chrismon é un antico simbolo religioso cristiano. Esso rappresenta il nome di Cristo, il termine proviene dalle parole latine “Christi Monogramma” che significa monogramma di Cristo. Il simbolo é formato nella sua versione base da due lettere, una X e una P, che in greco corrispondono a “chi” e “rho”, il monogramma di Cristo é denominato pure Labarum, o “Chi Rho”, da cui si deduce facilmente il motivo della scelta delle due lettere X e P. Inoltre le suddette lettere contengono un secondo significato, la P e' impostata in modo tale da somigliare ad un bastone da pastore, e la X una croce, a testimonianza del fatto che Gesu' Cristo e' un buon pastore per il suo gregge, e cioè' per la Chiesa Cattolica.
Durante i lavori di restauro e consolidamento, all'interno della nave sono state rinvenute tracce di un'iscrizione, sul dorso di un madiere, che riportava il nome di Trituta, Tutelata o salvata-ricostruita per tre volte, con il legname costruttivo di altre imbarcazioni.
Fiumicino 3 (barca fluviale) risale al 1959 – Questa imbarcazione, la prima sulla sinistra, non ha restituito elementi di corredo se si eccettua un frammento identificato come parte del pennone esposto in vetrina.
15 - Ritrovamento della Barca del Pescatore
16 - Barca del Pescatore. Particolare del POZZETTO destinato a conservare il pesce fresco
Fiumicino 5 (Barca del Pescatore) (nella foto) scoperta nel 1959 - Questa imbarcazione con il pozzetto al centro per conservare fresco il pescato é, al momento, considerata un unicum non essendo stati rinvenuti altri esemplari natanti simili a questo, per tipologia e soluzioni di allestimento. Nella barca sono stati trovati alcuni oggetti esposti nelle vetrine: un sandalo da ragazzo, di cuoio, un anello con sigillo, un conio greco e qualche frammento di terra sigillata italica.
Fiumicino 4 (Oneraria Minore II) fu ritrovata nel 1965. Utilizzata tra il III° ed il IV° secolo, la nave ha lo scafo quasi perfettamente conservato, fino alla linea di galleggiamento e permette di osservare numerosi dettagli del fasciame e del sistema di connessione delle assi, dei resti del pagliolato di stiva e della scassa dell'albero All'interno sono state ritrovate una Venere i n bronzo, delle lucerne tra cui una africana recante un simbolo cristiano del chrismon un gioco di dadi . Nello scafo della Oneraria minore II. Sono stati trovati: un bozzello e una rotella di carrucola, un bussolotto di legno per dadi da gioco, oltre a resti di vegetali commestibili.
Dettagli tecnici, costruttivi ed architettonici delle Navi Romane di Fiumicino.
17 – Disegno con Glossario in italiano di una imbarcazione romana d’epoca imperiale
Ci si accorge immediatamente che l’eccezionale ritrovamento ci permette di valutare alcune tra le differenze tra il sistema costruttivo antico e le attuali metodologie in uso nel Mediterraneo. Oggi s’inizia la costruzione su scheletro partendo dalla chiglia, con l’ossatura interna (ordinate) e il suo rivestimento con le tavole del fasciame. In età greco-romana, dopo aver sistemato la chiglia, s’iniziava la costruzione su guscio esterno, ossia il fasciame, mentre l’ossatura (le ordinate) era inserita successivamente con la funzione di rinforzo interno. Il collegamento tra le tavole del fasciame era assicurato dai tenoni, sottili linguette in legno duro, inserite in appositi incassi detti mortase nello spessore delle tavole. I tenoni, infine, erano bloccati da spinotti. In questo modo, le tavole del fasciame potevano mantenere la forma desiderata e il guscio acquistava solidità tramite i numerosi collegamenti interni.
Le cinque navi di Fiumicino sono state costruite secondo il sistema della costruzione su guscio, esemplificato dall’imbarcazione Fiumicino 4 (II-III sec.d.C.) che presenta una grande omogeneità nei collegamenti a mortase e tenoni. Invece, Fiumicino 1 e 2, imbarcazioni gemelle, ci mostrano importanti differenze costruttive. Oltre al notevole utilizzo di chiodi in ferro per collegare il fasciame allo scheletro, si nota la lunghezza dei chiodi stessi per collegare alcuni madieri alla chiglia e la distanza tra i tenoni o, addirittura, la totale assenza di tali collegamenti. Tecniche che dimostrano l’evoluzione costruttiva in atto nei secoli successivi cui si riferiscono le imbarcazioni (IV-V sec. d.C.).
Le linee e le caratteristiche costruttive indicano i diversi utilizzi delle unità. La Fiumicino 4, 15 metri di lunghezza, rivela linee penetranti e idrodinamiche adatte ad una navigazione marittima di piccolo e medio cabotaggio. Il robusto alloggiamento del piede dell’albero dimostra che la nave era propulsa da un’unica vela quadra. Sul fondo dello scafo, era alloggiata una pompa di sentina, fissata tra i paramezzali intorno al blocco dell’albero, mentre il fasciame interno dava robustezza longitudinale alla struttura a protezione dei movimenti del carico. Fiumicino 5, come si é già detto, è invece una piccola barca da pesca, un ritrovamento unico d’età romana (II sec. d.C.), con al centro un pozzetto per conservare vivo il pescato, grazie all’acqua di mare che poteva entrare dai fori, muniti di tappi, praticati sulle tavole del fondo.
Fiumicino 1, 2 e 3, sebbene abbiano dimensioni diverse, evidenziano tecniche costruttive simili per la loro forma piatta e allargata, con poco pescaggio, adatta soprattutto al trasporto fluviale, con scarso moto ondoso. Esse erano rimorchiate da animali dalla riva destra del fiume secondo un sistema di propulsione, quello dell’alaggio, ancora in uso sul Tevere fino al XIX secolo. La loro forma originale viene rappresentata su mosaici, rilievi, affreschi ed appartengono al gruppo navale definito: naves caudicariae.
Curiosità sulle navi e sulla navigazione
18 - Terminologia nautica latina della nave oneraria romana
Ci sono giunti molti esempi di iconografia navale, da cui è stato possibile ricavare interessanti notizie. Marinai, armatori e costruttori amavano infatti far scolpire le loro navi sul proprio monumento funebre; spesso gli imperatori fecero coniare monete con raffigurazioni navali per ricordare una battaglia vittoriosa o la floridità del commercio.
19 - Costruzione ipotetica di nave da carico romana (Oneraria)
Grazie alle rappresentazioni di navi su mosaici sappiamo che queste venivano solitamente colorate, in particolare con il porpora, il blu, il bianco, il giallo e il verde; alcune navi da guerra venivano dipinte con un colore “mare” per non essere individuate troppo facilmente.
Le navi romane non potevano navigare senza zavorra, poiché altrimenti il pescaggio non sarebbe stato sufficiente; la zavorra o saburra era costituita soprattutto da sabbia e pietre o dalle stesse merci (macine, lingotti, anfore, anche rottami, ...).
Ogni nave aveva un suo nome, generalmente maschile se nave romana, e femminile se nave greca; i nomi potevano essere luoghi geografici, divinità marine o protettrici della navigazione e anche nomi astratti. Solitamente tutte le imbarcazioni portavano con sé una statua evocativa del loro nome, che quasi mai era scritto sulla nave.
ll personale nei porti era molto vario e per lo più di umili origini. Vi erano fabri navales, i carpentieri e i costruttori; velarii, che fabbricavano e riparavano vele; vari tipi di scaricatori; mensores, che controllavano i carichi e i contenuti delle navi; tabularii, una sorta di ragionieri che registravano ciò che veniva misurato; horrearii, custodi dei magazzini.
Per quanto riguarda il personale della nave, oltre a rematori e marinai, le personalità più importanti erano: il gubernator, capitano e spesso anche timoniere; il proreute o pausarius, secondo e nostromo; il thoicharkos, una sorta di commissario di bordo che si occupava anche dei rapporti con i passeggeri; il diaetarius, che occupava la cabina della nave ed era forse lo scrivano; l’exercitor, l’armatore, che non era quasi mai a bordo.
Coloro che volevano viaggiare per mare si servivano delle navi da carico, perché erano più veloci e tendevano a fare un minor numero di scali rispetto a quelle da guerra. Le condizioni dei passeggeri erano molto spartane, poiché le cabine di poppa erano assegnate solamente ai più abbienti e non sempre le navi commerciali disponevano di questa comodità. Il resto delle persone dormiva all’aperto sul ponte, solo con qualche stuoia e qualche tenda come riparo, considerato che il clima era comunque mite. I passeggeri che si trovavano peggio erano quelli alloggiati nella stiva, tra il carico di merci. L’approvvigionamento di cibo era a carico dei passeggeri ed era costituito per lo più da pesce secco, carne e farinacei; solo l’acqua era messa a disposizione dalla nave.
La religione era un elemento molto importante per coloro che andavano per mare; i marinai erano molto superstiziosi ed osservavano precise consuetudini che avevano come fine il buon esito del viaggio. Sulla prua della nave erano generalmente dipinti due occhi con significato apotropaico, per allontanare gli spiriti maligni. Si cercava di avere a bordo un uomo pio e allontanare gli empi, per propiziarsi gli dei; si era molto diffidenti verso le donne. Ci si affidava alle divinità protettrici della navigazione, tra cui le principali erano Castore e Polluce, Iside e Serapide. Sacrifici e preghiere venivano effettuati prima della partenza, durante la navigazione e prima di entrare in un nuovo porto; accadeva anche che si compissero riti sacri nel passare vicino ad un famoso tempio o nel momento del pericolo.
Carlo GATTI
Rapallo, 16.1.2013
Il Sommergibilista AMEDEO CACACE
Com.te AMEDEO CACACE
MBVM
E' il testo di un'intervista che abbiamo realizzato con il comandante Cacace nella primavera 2007, durante la preparazione del volume "Marinai Savonesi" che il Gruppo ANMI "V. Folco" di Savona ha dato alle stampe nel settembre dello stesso anno, in occasione del 50° anniversario della sua fondazione.
di Maurizio Brescia
(Vicepresidente Associazione Mare Nostrum)
(in collaborazione con Carlo Cipollina e Luca Ghersi)
Descrivere la figura del comandante Cacace, rivisitare e commentare gli episodi di guerra sottomarina di cui è stato protagonista nel corso del secondo conflitto mondiale e – in ultima analisi – ritornare più in generale sulle azioni dei nostri sommergibili (in particolare in Atlantico) tra il 1940 e il 1943 è, per chi scrive, un fatto estremamente piacevole e gratificante.
E’ questa l’occasione non soltanto per ricordare questi fatti riferendoci (come in altri saggi del volume) a persone che non sono più tra noi e che ci hanno lasciato, da un tempo più o meno lungo… Il comandante Cacace è un personaggio “reale” anche agli effetti della sua presenza nel nostro Gruppo A.N.M.I. di cui – insieme a pochi altri – rappresenta quella “vecchia guardia” che è uno dei numerosi aspetti (se non il più importante) dell’attività dell’Associazione che spingono noi “giovani” a perseverare nella nostra attività e nel nostro “servizio” verso la Forza Armata, e verso chi di essa ha fatto parte, soprattutto negli anni difficili e drammatici dei conflitti cui essa ha partecipato.
Nel tempo, data anche la mia attività pubblicistica su riviste storico-navali e in collaborazione con varie case editrici, ho avuto modo di incontrare personalità, ufficiali, tecnici o semplici militari che avevano preso parte al secondo conflitto mondiale. Riferendomi poi al più specifico campo navale, i miei studi e le mie ricerche mi hanno portato in contatto con un grande numero di persone delle quali ho potuto apprezzare il valore e le capacità nel più ampio senso di questi termini.
Forse, a tutto ciò non è estraneo il ricordo di mio nonno materno che – da C1cl “E” (1) – durante la “Grande Guerra” imbarcò sulla Regia Nave portaidrovolanti Europa (una delle prime unità a capacità aerea italiane) e che, durante la mia infanzia, ebbe modo di far nascere dentro di me quella grande passione verso le navi, la Marina Italiana e i suoi uomini che nel tempo è sempre cresciuta ed è diventata un elemento importante e insostituibile della mia vita…
Durante le varie “interviste” che il comandante Cacace ci ha concesso (ma è più giusto pensare a questi momenti come a incontri allo stesso tempo profondi e assolutamente amichevoli), ho rivissuto i miei personali ricordi di quando – già al tempo delle scuole elementari – ascoltavo i ricordi di mio nonno quasi rivivendo attimi di vicende che all’epoca, anche se inconsciamente, sentivo già in qualche modo che era giusto non far andare perduti perché parte della nostra vita e della nostra storia.
Oggi, trascorsi quattro decenni, ho avuto nuovamente l’occasione – ai giorni nostri sempre più rara – di immergermi una volta ancora in un’atmosfera ricca di eventi di grande rilevanza storica ed umana, spesso drammatici, talvolta più leggeri o distensivi, ma tutti permeati dal racconto a viva voce di chi ha preso parte a queste vicende in prima persona. L’emozione suscitata dall’ascoltare il racconto di Amedeo Cacace nasce anche dal fatto che nulla ci è stato narrato con toni epici o grandiosi, talvolta pareva di ascoltare riferimenti a fatti avvenuti pochi giorni prima, in tempo di pace e durante tranquille navigazioni: è questo un aspetto spesso comune a quanti hanno vissuto la storia con la “S” maiuscola, non c’è bisogno di esagerare quando si è stati parte di qualcosa di grande, e la “modestia” del racconto contribuisce, al contrario, a farne apprezzare la grandiosità.
Il comandante Cacace, insieme alla consorte sig.ra Leda, ci riceve nella sua casa di Savona. Una casa da cui la vista spazia sul mare, con la costa di Savona, Capo Noli e tutto il Mar Ligure sin verso il confine francese: sin da subito l’uomo si presenta, legato al mare che in guerra e in pace è stato il suo ambiente di lavoro e di vita e che ne ha forgiato il carattere schietto, forte, concreto ma al tempo stesso modesto e quasi schivo. Tutte qualità che – a ben vedere – hanno contraddistinto tutti i Marinai che ricordiamo in questa pubblicazione…
Nella casa del comandante Cacace abbondano i ricordi e le testimonianze di quella che è una vera e propria tradizione: il padre, il nonno e altri ancor prima facevano parte di una famiglia sorrentina da sempre legata alle attività marinare e, già a partire dal secolo XIX, numerosi “antenati” navigarono con navi a vela, brigantini e “vapori” in Mediterraneo e in Atlantico, prima con la bandiera borbonica e poi con quella italiana. Ed ecco quindi un altro aspetto, profondamente umano, di Amedeo Cacace, e cioè il forte legame e l’ancor più forte ricordo di quanti, nella sua famiglia, lo hanno preceduto sul mare in tempi ormai lontani: quadri di velieri, diplomi, fotografie d’epoca non sono solamente una “galleria di ricordi”, ma costituiscono anche un insieme dal grande valore storico e documentale che – a sua volta – meriterebbe un altro ciclo di interviste e l’opportuna valorizzazione sulla stampa specializzata…
Ma torniamo a Amedeo Cacace che nasce, per l’appunto a Sorrento, il 2 febbraio 1919; nella medesima cittadina campana frequenta tutte le scuole dell’obbligo e, successivamente, il locale Istituto Tecnico Nautico “Nino Bixio”, uscendone diplomato nel 1938 per il settore “coperta”.
Era quello il periodo in cui, appena concluso il conflitto civile spagnolo, si stavano addensando sull’Europa le nubi che avrebbero portato allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Regia Marina stava perseguendo da tempo un notevole programma di potenziamento per il quale erano richiesti uomini e mezzi, e fu quindi quasi “d’obbligo” per Amedeo Cacace fare domanda per l’ammissione ad uno dei corsi per la nomina a ufficiale di complemento. Arruolato come marinaio semplice il 26 ottobre 1939, fu ammesso all’Accademia Navale di Livorno il successivo 1° novembre e ottenne la nomina a guardiamarina di complemento (Corpo di Stato Maggiore) il 7 giugno 1940.
Il nostro comandante, con arguzia e senso della fatalità tutti partenopei, ricorda i pochi giorni successivi al 7 giugno:
“Subito dopo la nomina a guardiamarina, per me e per tanti altri giovani ufficiali, iniziò l’attesa – quasi spasmodica – della destinazione: attesa destinata ad una breve durata perché ricevetti ben presto il telegramma “per lista imbarchi” in base al quale appresi che dovevo raggiungere il sommergibile Maggiore Baracca. Era il 10 giugno 1940, e non fu questa l’unica volta in cui una data storica per l’Italia si incrociò con le mie personali vicende in Marina…”
Il sommergibile Maggiore Baracca era uno dei sei nuovi battelli appartenenti alla classe “Marconi”: da poco varato dai cantieri OTO del Muggiano, stava completando le ultime fasi dell’allestimento in attesa della consegna alla Regia Marina. Amedeo Cacace imbarcò sul Baracca, alla Spezia, il 12 giugno e partecipò alle numerose attività (imbarco di viveri e dotazioni, controllo e calibrazione di armi e apparecchiature) che coinvolsero l’equipaggio prima della consegna dell’unità alla Regia Marina, avvenuta il 10 luglio 1940.
Seguì un breve ma intenso periodo di addestramento al termine del quale – insieme ad altri sommergibili, il Baracca ricevette l’ordine di trasferirsi in Atlantico alle dipendenze del "Comando Superiore delle Forze subacquee italiane in Atlantico", che sarebbe diventato pienamente operativo a Bordeaux dal settembre 1940
Il sommergibile Maggiore Baracca verso la fine di giugno del 1940, nel golfo della Spezia, nell’imminenza della consegna alla Regia marina che avverrà il successivo 10 luglio. (Coll. M. Brescia)
Gli accordi tra la Kriegsmarine e Regia Marina, infatti, prevedevano la partecipazione di quest'ultima alla guerra sottomarina in Atlantico, e la scelta italiana per una base logistico-operativa per i propri sommergibili cadde sul porto fluviale di Bordeaux, ubicato sulla Garonne, a una cinquantina di chilometri a monte della via fluviale d'accesso al Golfo di Biscaglia, originata dalla confluenza della Garonne e della Dordogne nell'ampio estuario della Gironde.
Dalla "B" ("Beta"), lettera iniziale di Bordeaux, venne tratta la denominazione di "Betasom" (Bordeaux - Comando sommergibili) che, da allora, non soltanto nei documenti ufficiali – ma anche nell'immaginario collettivo – avrebbe contraddistinto la base atlantica dei battelli della Regia Marina.
“Ricordo i momenti, emozionanti, del passaggio in immersione dello stretto di Gibilterra… All’epoca la sorveglianza a/s britannica non era pressante e continua come sarebbe stata nei mesi successivi e, partiti dalla Spezia il 31 agosto, forzammo Gibilterra il 7 di settembre… Raggiungemmo subito la zona d’agguato cui eravamo stati destinati, a Nord-Ovest di Madera, ma non incontrammo alcun traffico. Il 1° ottobre, mentre già stavamo facendo rotta verso Bordeaux, venne avvistato un mercantile nemico di medio tonnellaggio. Fermatolo ed appreso che si stava dirigendo verso Belfast con un carico destinato all’Inghilterra, demmo tempo all’equipaggio di mettersi in salvo sulle scialuppe, dopodichè affondammo la nave a cannonate. Si trattava del mercantile greco Agios Nikolaos, che venne affondato in posizione 40° N – 16°55’ W…”
Dopo alcune settimane trascorse a “Betasom”, al comando del capitano di corvetta Enrico Bertarelli il Baracca fu destinato a una nuova missione in Atlantico e raggiunse la sua zona di agguato, a Ovest delle coste scozzesi tra i meridiani 15° e 20° W, ove si trattene tra il 1° e il 17 novembre 1940.
Il Baracca attaccò, senza tuttavia affondarli, un piccolo mercantile (il 31 ottobre, durante la navigazione di trasferimento) e una petroliera (il 9 novembre). Il 16 novembre, ricevuto un segnale di scoperta di un convoglio diretto a ponente, ne tentò l’avvicinamento; durante la navigazione di rientro, la sera del 18 novembre, il battello italiano intercettò il piroscafo da carico britannico Lilian Moller che venne affondato con due siluri. Ma, sull’affondamento del Lilian Moller, lasciamo la parola al com.te Cacace:
“Mi trovavo di servizio sulla falsatorre e, con il binocolo, avvistai il fumo di un piroscafo all’orizzonte. Passai subito tutte le informazioni al Comandante, che si trovava dabbasso in camera di manovra, e il Baracca si mise ben presto all’inseguimento del mercantile nemico. La cosa risultò parecchio difficile, perché eravamo ormai all’imbrunire e – in quelle latitudini – l’oscurità cala presto ed è subito molto fitta… non persi quindi mai di vista il fumo del piroscafo continuando a segnalarne la posizione… Alla fine raggiungemmo la distanza utile per il lancio e, con due siluri, colpimmo il Lilian Moller che affondò in posizione 52°57’N – 18°05’W. Purtroppo non vi furono sopravvissuti…”
Il Maggiore Baracca rientrò nuovamente a Bordeaux, dove Amedeo Cacace trovò ad attenderlo gli ordini che lo trasferivano nel teatro operativo del Mediterraneo; tuttavia, sono numerosi i ricordi delle due missioni in Atlantico:
“Ogni volta che uscivamo o entravamo dall’estuario della Gironde venivamo attaccati da velivoli britannici, e fummo sempre molto fortunati a non essere colpiti e affondati; questi momenti erano forse i più drammatici di ogni missione… La vita a bordo non era delle più facili, al fine di non intasare l’unico WC presente a bordo l’equipaggio utilizzava la coperta per l’espletamento delle proprie necessità “corporali” ma – se non altro – nella nostra permanenza all’esterno potevamo avvalerci di capi di abbigliamento pesanti forniti dagli alleati germanici… Infatti, eravamo stati destinati in Atlantico avendo in dotazione il normale vestiario previsto per le consuete missioni in Mediterraneo, e il freddo si era fatto sentire sin da subito durante la nostra prima navigazione oceanica. Al rientro da questa missione i tedeschi ci fornirono così di cappotti, impermeabili in tela cerata, maglioni ecc. che consentivano di proteggerci dal freddo durante il servizio in falsatorre e in coperta…"
Il guardiamarina Cacace imbarcò sul sommergibile Zoea (uno dei tre battelli posamine della classe “Foca”) il 2 febbraio 1941, e il battello iniziò subito a venire impiegato per il trasporto di rifornimenti verso il fronte dell’Africa settentrionale. La scelta dello Zoea (e di altri sommergibili) per questo particolare ruolo era dovuta al fatto che gli ampi spazi presenti a bordo per il trasporto delle mine potevano essere utilizzati per stivare viveri, munizioni e combustibili.
Un’immagine prebellica (1938) del sommergibile posamine Zoea, in manovra nel Mar Piccolo a Taranto. (Coll. A. Fraccaroli)
Fu questa una particolare attività che coinvolse numerosi battelli italiani durante tutto il conflitto, e testimonia non soltanto le difficili condizioni (e le missioni spesso “impossibili”) in cui operavano i sommergibili adibiti a questo compito, ma soprattutto la precarietà della situazione “trasporti” verso il fronte libico, precarietà che rendeva necessario l’impiego di unità militari, anche di superficie. Ad esempio, come ricordato nel capitolo sull’amm. Marabotto, nel corso di una di queste missioni andarono perduti gli incrociatori Alberto di Giussano e Alberico da Barbiano, e durante le ultime fasi della campagna di Tunisia furono numerosi i cacciatorpediniere (diversi dei quali furono affondati da mine e nel corso di attacchi aerei) impiegati per il trasporto veloce di truppe e rifornimenti.
L’importanza dell’attività dello Zoea e degli altri battelli impiegati per il rifornimento dell’Africa settentrionale è testimoniata da questo episodio che Amedeo Cacace ricorda ancora con orgoglio:
“Eravamo appena giunti a Bardia al termine di una missione di rifornimento nel maggio 1941 e l’equipaggio stava procedendo allo sbarco del carico, costituito da 80 tonnellate di benzina in fusti da 40 litri. All’improvviso, giunsero sottobordo allo Zoea alcune autovetture “Horch” tedesche con le insegne del Deutsche Afrika Korps, e da queste discesero diversi ufficiali che indossavano la classica divisa khaki dei militari germanici destinati in Africa. Subito non facemmo caso alla presenza degli ufficiali, ma la nostra sorpresa fu grande quando a bordo si presentò il generale Erwin Rommel, comandante dell’Afrika Korps! Il generale Rommel, come ci disse l’interprete, aveva voluto venire personalmente a bordo dello Zoea per ringraziare l’equipaggio che aveva trasportato del prezioso combustibile, in assoluto il rifornimento più importante per i suoi reparti corazzati che, nella mobilità e nella rapida dislocazione sul fronte, individuavano la loro arma vincente…"
Bardia (Libia), maggio 1941. Il generale tedesco Erwin Rommel in visita a bordo dello Zoea per ringraziare personalmente l’equipaggio del battello che aveva trasportato 80 tonnellate di benzina per la sua armata corazzata. L’allora guardiamarina Cacace è il primo a destra, con il binocolo al collo. (g.c. com.te A. Cacace)
Alcune settimane dopo, durante un’altra missione di rifornimento, lo Zoea abbatté, con le sole mitragliere di bordo, un quadrimotore “Sunderland” della RAF: fu questo uno dei pochi casi di tutto il conflitto in cui un nostro sommergibile riuscì ad abbattere uno di questi micidiali idrovolanti utilizzati dall’aviazione britannica proprio per la caccia ai battelli italiani e tedeschi, tanto nel Mediterraneo quanto nell’Atlantico.
Il 14 ottobre 1941 Amedeo Cacace sbarcò dallo Zoea che, qualche giorno prima, era “affondato” all’ormeggio della banchina sommergibili di Taranto a causa di un’errata manovra delle valvole di presa a mare, durante un ciclo di lavori in arsenale.
Taranto, esatte 1941. Le camicie dei periscopi e l’antenna del radiogoniometro dello Zoea emergono parzialmente dalle acque del Mar Piccolo, dove il battello è accidentalmente affondato, probabilmente per un‘errata manovra degli sfoghi d’aria dei doppifondi o delle valvole di presa a mare. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)
Poiché i lavori di recupero e ripristino del battello avrebbero richiesto diverse settimane, con il “pagato” del 18 novembre 1941 il g.m. Cacace ricevette ordini per un “temporaneo imbarco” sul nuovo, grande sommergibile Ammiraglio Cagni, entrato in servizio nell’aprile precedente. Amedeo Cacace rimase a bordo del Cagni sino al 3 gennaio 1942, ma in un futuro a lui ancora sconosciuto avrebbe nuovamente imbarcato, e per lungo tempo, su questo battello…
Il 4 gennaio 1942 ripresero le navigazioni con lo Zoea, e Amedeo Cacace partecipò anche a una missione di trasporto rifornimenti a Lero: partito da Taranto lo Zoea diede fondo a Porto Lago, sulla costa meridionale di Lero (Dodecaneso italiano), rientrando subito dopo alla base di partenza. Ripresero quindi le “consuete” missioni di trasporto carburanti e munizioni in Africa settentrionale, e nel corso di una di queste…
“… fummo avvicinati da un velivolo sconosciuto che iniziò una serie di manovre sospette, manovrando come se si stesse preparando ad attaccarci con bombe o siluri. In considerazione della forte superiorità aerea britannica nella zona, e visti i movimenti del velivolo ritenuto nemico, venne battuto il “posto di combattimento” e gli armamenti delle nostre mitragliere fecero fuoco più volte contro l’aeroplano, tuttavia senza colpirlo. Dopo aver circuitato parecchio sopra lo Zoea, il velivolo si avvicinò (sempre con movimenti “sospetti”) e solo allora potemmo osservare le insegne tedesche sulle ali e sulla fusoliera. Cessammo immediatamente il fuoco, ma i piloti germanici – evidentemente quasi per vendicare l’ “affronto” subito – fecero fuoco contro lo Zoea a distanza e senza colpirlo, quando sapevano benissimo che il mancato rispetto da parte loro delle procedure per l’identificazione era stato la causa della nostra reazione. Fummo lieti, qualche tempo dopo, quando giunse a bordo una lettera proveniente dal comando del X° CAT , con la quale venivano rivolte scuse ufficiali allo Zoea per l’errato comportamento dell’equipaggio di quel loro velivolo…"
Un dettaglio della falsatorre dello Zoea, mimetizzato, nel 1942. (Coll. E. Bagnasco)
Il sommergibile posamine Marcantonio Bragadin (qui in una fotografia scattata a Venezia sul finire degli anni Trenta), a bordo del quale Amedeo Cacace imbarcò temporaneamente nell’aprile del 1942. (Coll. E. Bagnasco)
La permanenza di Amedeo Cacace a bordo dello Zoea, interrotta da un “temporaneo imbarco” (1° / 22 aprile 1942) sul Marcantonio Bragadin (2), si concluse il 5 settembre 1942.
Monfalcone, 20 luglio 1940. Il sommergibile oceanico Ammiraglio Cagni è appena sceso in mare dallo scalo di costruzione dei cantieri Riuniti dell’Adriatico. (Coll. M. Brescia)
Una fase della cerimonia della consegna alla Marina dell’Ammiraglio Cagni, avvenuta il 1° aprile 1941 a Monfalcone. A bordo del battello, già mimetizzato, oltre all’equipaggio imbarcano autorità civili e militari e dirigenti del cantiere di costruzione. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)
Amedeo Cacace, nel frattempo promosso sottotenente di vascello, ricevette ordini per raggiungere a La Maddalena il sommergibile oceanico Ammiraglio Cagni con l’incarico di ufficiale di rotta. Al comando del c.f. Carlo Liannazza (3), il Cagni lasciò la base sarda il 6 ottobre, e sei giorni dopo forzò lo stretto di Gibilterra.
Il 3 novembre 1942, all’interno della propria zona di operazioni nel Golfo di Guinea, con un attacco diurno in immersione, il Cagni silurò e affondò il mercantile britannico Dagomba (di 3.845 t.s.l.), Si trattava di un piroscafo isolato, disperso dal convoglio TS 23 che aveva lasciato Takoradi (Ghana) diretto nella Sierra Leone. Dell’equipaggio del Dagomba sopravvissero 23 uomini, e a bordo del Cagni si pensò di soccorrere i marinai britannici, che apparivano in difficoltà a bordo delle scialuppe di salvataggio, a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Ricorda con semplicità il comandante Cacace:
“Portammo il Cagni in emersione tra i detriti dell’affondamento, nelle vicinanze delle scialuppe di salvataggio. Facemmo comprendere, a gesti e a parole, le nostre intenzioni e, una volta affiancate le due scialuppe, passammo ai superstiti viveri, acqua, generi di conforto e anche una carta nautica ove segnammo la rotta che avrebbero dovuto seguire per raggiungere la costa più vicina. Si trattava di uomini come noi, e c’era solo da sperare che – se ci fossimo dovuti trovare nelle loro condizioni – ci potesse venire riservato il medesimo trattamento…”
Un’immagine risalente ai primi anni Trenta del mercantile britannico Dagomba. Il Dagomba sarà affondato in Atlantico dal Cagni il 3 novembre 1942, durante la prima missione oceanica del battello italiano. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)
Alcuni superstiti dell’equipaggio del Dagomba in due immagini scattate – probabilmente – durante il rientro in Inghilterra dal Senegal. I naufraghi del Dagomba erano stati riforniti di viveri e altri generi di conforto dall’equipaggio del Cagni, successivamente al siluramento della nave. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)
Il comportamento dell’equipaggio del Cagni trova riscontro in quella che è sempre stata una norma di comportamento degli equipaggi italiani in generale, e di quelli dei nostri sommergibili destinati in Atlantico in particolare. Tutti conoscono la vicenda del Cappellini che, al comando del c.c. Salvatore Todaro, la notte sul 15 ottobre 1940, intercettò in Atlantico il piroscafo armato belga Kabalo, che venne affondato a cannonate. Dopo l’affondamento, il comandante Todaro decise di rimorchiare la lancia di salvataggio della nave vicino a terra, e quando quest’ultima cominciò a fare acqua, trasferì l’equipaggio del piroscafo sul sommergibile. I 26 naufraghi trovarono sistemazione nella falsatorre, e dopo tre giorni di navigazione, furono sbarcati in una insenatura dell’Isola Santa Maria delle Azzorre.
L’umanità e il coraggio del comandante Todaro (che in seguito avrebbe comandato i reparti d’assalto di superficie della Xa Flottiglia MAS, cadendo in combattimento il 13 dicembre 1942) sono passati alla storia e non necessitano di ulteriori commenti: l’equipaggio del Cagni, il 3 novembre 1942, seppe ugualmente tenere alto l’onore della Regia Marina in circostanze del tutto analoghe (4).
Il 29 novembre 1942, durante la navigazione verso il Capo di Buona Speranza, il Cagni attaccò col siluro il piroscafo greco Argo, affondandolo in posizione 34°53’S – 17°54’E.
Un’immagine prebellica (1928) del mercantile San Josè, all’epoca appartenente alla compagnia norvegese “A/S Bonheur”. Nel 1939 venne ceduto ad una compagnia greca che ne mutò il nome in Argo; il piroscafo verrà colato a picco dal Cagni il 29 novembre 1942, al largo delle coste dell’Africa australe. (Coll. Mike Cooper, via Naval Photograph Club)
Continuano i ricordi del com.te Cacace:
“Era previsto che il Cagni, grazie alle sue grandi dimensioni e all’elevata autonomia, si dirigesse verso l’Oceano indiano per continuare la lotta al traffico mercantile alleato nelle acque ad Est dell’Africa meridionale. Tuttavia, a Sud del capo di Buona Speranza non fu possibile incontrare un’unità ausiliaria tedesca che avrebbe dovuto rifornirci di nafta; facemmo quindi rotta verso nord e nella zona dell’equatore ci incontrammo con il sommergibile Tazzoli. Purtroppo, le avverse condizioni meteo impedirono di trasferire a bordo di quel battello otto siluri che aveva ancora in dotazione; iniziammo quindi la navigazione di rientro verso Bordeaux e, il 15 febbraio 1943, fummo attaccati da un “Sunderland” britannico nel Golfo di Biscaglia. I danni non furono gravi, ma le raffiche di mitragliera partite dal quadrimotore uccisero un Sergente armaiolo e ferirono un cannoniere…”
Anche se il Cagni non poté completare la sua missione, questa crociera durò 136 giorni ed è quindi la più lunga navigazione di guerra eseguita da una nave militare italiana nel corso del secondo conflitto mondiale. Come riporta la storia ufficiale della Marina, “… nel corso di questa missione … il Cagni diede prova di essere comandato ed equipaggiato da uomini di grande capacità professionale e di possedere un elevatissimo grado di efficienza; non ebbe infatti a lamentare avarie di alcun genere …”.
Il Cagni partì da Bordeaux per la sua ultima missione il 29 giugno 1943, al comando del c.f. Roselli Lorenzini (5): questa volta gli ordini erano ancora più complessi perché era previsto che il battello italiano, dopo aver attaccato il traffico nemico in Atlantico e nell’Oceano Indiano, raggiungesse Singapore. Una volta giunto nel porto asiatico, il Cagni avrebbe dovuto imbarcare un carico di rame e stagno (metalli fondamentali per l’industria bellica dell’Asse) e fare rientro a “Betasom” in navigazione occulta, senza esplicare attività offensiva durante la navigazione di rientro.
Il 25 luglio 1943, nel Golfo di Guinea alle ore 01.45 locali, il Cagni avvistò un convoglio britannico composto da una grande nave da guerra scortata da alcuni cacciatorpediniere e corvette. L’ufficiale di rotta (si trattava proprio dell’stv Cacace…) diresse con perizia il battello nella manovra di attacco al convoglio e, in breve tempo, il Cagni lanciò una salva di siluri contro la nave più grande della formazione nemica, identificata come una portaerei ausiliaria. Due siluri giunsero a segno, e a bordo del Cagni (immersosi nel frattempo per sfuggire alla reazione a/s delle unità di scorta), furono udite due distinte esplosioni. Il comandante Roselli Lorenzini ritenne pertanto di aver affondato l’unità inglese, e manovrò con perizia il battello sino alle ore 17.00, quando cessò finalmente il lancio di bombe di profondità da parte dei caccia e delle altre navi scorta britanniche.
Il “liner” Asturias nel 1938: poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale fu requisito dalla Royal Navy e armato come incrociatore ausiliario. Sarà danneggiato gravemente dai siluri del Cagni nel Golfo di Guinea il 25 luglio 1943. (Coll. M. Brescia)
L’unità attaccata era in realtà l’incrociatore ausiliario HMS Asturias, una grande nave passeggeri armata con numerosi pezzi di artiglieria ed equipaggiata con una catapulta e due idrovolanti. Ancorché gravemente danneggiato dai siluri del Cagni, l’Asturias – assistito da una corvetta e rimorchiato da una nave salvataggio olandese, riuscì a raggiungere Freetown il 1° agosto. I danni furono tuttavia gravissimi, e l’Asturias poté rientrare in servizio solamente parecchi mesi dopo la fine del conflitto.
Per la perizia, il coraggio e la freddezza dimostrate nell’azione, Amedeo Cacace fu in seguito decorato con una Medaglia di Bronzo al V.M., ma il nostro comandante preferisce rimarcare che
“L’attacco all’Asturias ebbe luogo proprio il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo depose il Capo del Governo dando avvio a quella drammatica serie di eventi che avrebbero portato all’8 settembre… Captammo difatti alla radio le trasmissioni provenienti dall’Italia che ci informavano su questo evento, ma tutti a bordo del Cagni avevano fatto il loro dovere e avevano l’intenzione di continuare a farlo: certo, lo spirito dell’equipaggio era ben diverso da quello delle missioni precedenti, poiché da tempo sapevamo tutti che la guerra aveva preso una brutta china e poteva ormai essere considerata perduta. Ma lo spirito di corpo, l’attaccamento alla Regia Marina e l’amor di Patria ci consentivano di continuare le nostre attività e di portare avanti la nostra missione con abnegazione e senso del dovere…”.
Il 28 agosto 1943 il Cagni entrò nell’Oceano Indiano, facendo rotta verso Singapore alla massima velocità consentita dai suoi motori diesel quando, l’8 settembre, vennero ricevute a bordo alcune trasmissioni radio provenienti dall’Inghilterra che comunicavano l’avvenuta firma dell’armistizio; nei giorni successivi, queste notizie furono confermate anche da Radio Roma, insieme alle istruzioni di raggiungere porti alleati dirette a tutte le navi italiane.
“Il comandante Roselli Lorenzini seppe gestire, al tempo stesso con ‘democrazia’ e fermezza, la situazione: alcuni uomini dell’equipaggio intendevano proseguire la navigazione, altri avrebbero preferito rientrare a Bordeaux… Alla fine il comandante seppe convincere tutti che il nostro dovere era quello di eseguire gli ordini impartiti da S.M. il Re. Probabilmente aveva già capito che – solo così facendo – la Regia Marina poteva mantenere quanto più possibile intatte la sua forza e la sua credibilità, e ben presto tutti convennero con Roselli Lorenzini che questa era la via da seguire… Facemmo quindi rotta verso Durban (costa orientale del Sud-Africa), ed entrammo in quel porto alle 23.30 del 19 settembre 1943…”.
20 settembre 1943. Il sommergibile Ammiraglio Cagni in manovra nelle acque del porto di Durban, in Sud Africa, dove verrà internato. (Coll. E. Bagnasco, da: In guerra sul mare, op. cit. in bibliografia)
I rapporti con le locali autorità britanniche non furono subito dei migliori: agli iniziali sospetto e diffidenza fecero seguito anche veri e propri atti di prevaricazione:
“Un giorno verso la fine di settembre alcuni ufficiali della Royal Navy salirono a bordo e cominciarono a impadronirsi di binocoli, sestanti, strumentazione varia e altri elementi dell’allestimento… (ciò – tra l’altro – in contrasto con le clausole armistiziali in base alle quali le Regie Navi non avrebbero mai dovuto ammainare la bandiera, mantenendo quindi inalterate le proprie prerogative e sovranità – n.d.r.). … Il comportamento di Roselli Lorenzini fu, come in tutte le altre occasioni, fermissimo ed esemplare: “sbarcò” senza tanti complimenti gli ufficiali della Royal Navy e comunicò al locale Comando britannico che era pronto anche ad autoaffondare immediatamente il Cagni se simili episodi si fossero ripetuti. La durezza e la chiarezza con cui il nostro comandante si rivolse agli inglesi consentirono di sbloccare ben presto la situazione e, dopo i primi di ottobre, l’equipaggio del Cagni (che viveva in condizioni disagiate a bordo del battello), fu trasferito a terra in un campo ove – con svariate comodità – erano alloggiati numerosi ufficiali della Marina britannica…”
La situazione era mutata completamente, e gli italiani del Cagni seppero ben presto acquisire una posizione di “preminenza”:
“Una volta giunti nel campo a terra, il personale di cucina del Cagni avviò subito un “servizio mensa” che – con le non molte risorse disponibili – consentiva tuttavia di disporre di un “menù” ottimo e abbondante, secondo le migliori tradizioni della cucina italiana. La fama dei nostri cuochi fu anzi tale che gli ufficiali inglesi che alloggiavano insieme a noi facevano la fila (e pagavano regolarmente il conto…) pur di poter pranzare e cenare alla nostra mensa…”
Il Cagni fu sottoposto ad un ciclo di lavori di raddobbo nell’Arsenale di Durban, e l’8 novembre 1943 iniziò la navigazione di rientro verso l’Italia. Dopo aver sostato a Mombasa e Aden, il battello transitò nel Canale di Suez giungendo ad Haifa, ove l’equipaggio trascorse le festività natalizie. Ricorda ancora il comandante Cacace:
“Durante la nostra permanenza ad Haifa salirono a bordo ufficiali del genio navale delle Marine britannica e americana; tutti rimasero stupiti dalle caratteristiche tecniche del nostro battello, le cui prestazioni ed armamento ne facevano una vera e propria unità “oceanica” paragonabile alle migliori realizzazioni della Kriegsmarine, della Royal Navy e dell’U.S. Navy. In particolare, il possente armamento (14 tubi lanciasiluri, con una dotazione massima di 42 armi, e due cannoni da 100/47) facevano dei battelli della classe “Cagni” delle unità potenti e ben equilibrate, contraddistinte da ottime doti di velocità e autonomia. E’ un vero peccato che gli altri tre battelli della classe (Ammiraglio Caracciolo, Ammiraglio Millo e Ammiraglio Saint-Bon) siano andati perduti poco dopo l’entrata in servizio, anche perchè impiegati in ruoli diversi da quelli per cui erano stati progettati e costruiti… il solo Ammiraglio Cagni sopravvisse al conflitto e fu demolito nel 1948…”
Il 4 gennaio 1944 il Cagni ormeggiò a Taranto, alla banchina sommergibili dell’Arsenale, concludendo una missione iniziata più di sei mesi prima a Bordeaux nel corso della quale erano state affondate due navi alleate, danneggiata una terza, con il periplo dell’Africa e durante la quale erano avvenute le drammatiche vicende – navali, militari e politiche, ma soprattutto umane – che avevano coinvolto le vite e le coscienze degli uomini dell’equipaggio successivamente alla proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943.
Il Cagni nell’Arsenale di Taranto, nel 1945, all’ormeggio tra un altro sommergibile e una corvetta tipo “Gabbiano” (coll.E.Bagnasco)
Poche settimane dopo, Amedeo Cacace si congedò dalla Regia Marina che – in seguito alle riduzioni di mezzi e personale dovute alla nuova posizione di co-belligeranza assunta dall’Italia – favoriva l’ “esodo” di talune aliquote di personale, ormai eccedente le proprie necessità.
L’stv Cacace prese quindi servizio a bordo del mercantile Sfinge che, sin dalle prime settimane successive all’armistizio, era impiegato nel cabotaggio tra i porti dell’Italia meridionale. La permanenza del nostro comandante a bordo dello Sfinge si protrasse sino al 1946, quando entrò a far parte dei cinquanta equipaggi italiani che, a bordo della m/n Sestriere, furono inviati negli Stati Uniti per prendere in carico i primi “Liberty” destinati all’Italia, in base al “Piano Marshall”, per la ripresa dei traffici mercantili nazionali. Per un certo tempo, Amedeo Cacace navigò anche su una di queste unità: il Sirena (ex Alexander Mitchell), sbarcando nel 1952.
Sul finire del 1952 Amedeo Cacace ebbe notizia che il Corpo dei Piloti del Porto di Savona bandiva un concorso per coprire alcune nuove posizioni: con lo spirito di intraprendenza che lo aveva caratterizzato negli anni di guerra, il nostro comandante partecipò al concorso risultando vincitore e – dal 1953 al 1984 – fece parte dei Piloti della nostra città. Anzi, dal 1972 e sino alla pensione, ricoprì l’incarico di Capo dei Piloti del Porto di Savona, meritando la stima di tutti gli operatori dello “shipping” (e non solo savonese…) per le sue doti professionali e di profonda umanità.
1973: Amedeo Cacace a Livorno riceve l’abbraccio dell’amm. sq. Giuseppe Roselli Lorenzini, Capo di Stato Maggiore della Marina, già suo comandante sul Cagni nel 1943. (g.c. A. Cacace)
Nel frattempo, transitato alla forza “ausiliaria” della Marina Militare, Amedeo Cacace venne promosso più volte, sino a raggiungere il suo attuale grado di capitano di fregata del Corpo di Stato Maggiore.
Uno solo è oggi il rammarico di Amedeo Cacace, e le sue parole sull’argomento sono forse la migliore conclusione di queste note:
“Nel 1986, per il tramite dell’Ufficio Storico della Marina Militare, ricevetti la copia di una lettera inviata da un ex-marittimo inglese, Mr. David Mac Connell, imbarcato sull’Asturias all’epoca del siluramento da parte del Cagni il 25 luglio 1943. Mr. Mac Connell richiedeva notizie sul sommergibile che aveva silurato la sua nave in Atlantico, e i responsabili dell’Ufficio Storico mi avevano inviato la lettera in quanto – già all’epoca – ero uno dei pochi ufficiali “superstiti” dell’equipaggio del Cagni… Ancora oggi sono veramente dispiaciuto di non aver avuto la possibilità di organizzare un incontro con questo ex-nemico che, prima di tutto, era un uomo e un marinaio come me e che, anche se su un fronte opposto al mio, aveva condiviso le mie medesime esperienze di mare e di guerra negli anni ormai lontani del secondo conflitto mondiale…”
Una recentissima immagine del comandante Amedeo Cacace scattata nel corso di una manifestazione organizzata dal Gruppo A.N.M.I. di Savona, di cui è uno dei Soci più anziani e rappresentativi. (Foto L. Ghersi)
Note
(1) C1Cl “E” – ovvero “comune di prima classe”, categoria Elettricisti
(2) Il Bragadin era un altro sommergibile posamine, che costituiva una classe con il gemello Filippo Corridoni. Questi due battelli (entrata in servizio: novembre 1931) erano più vecchi rispetto allo Zoea e furono impiegati principalmente per il rifornimento di basi avanzate durante tutto il corso del conflitto. Vennero entrambi radiati nel 1948.
(3) A bordo del Cagni imbarcava anche il c.c. Giuseppe Roselli Lorenzini, destinato a sostituire il c.f. Liannazza al termine della missione.
(4) I “casi” delle vicende belliche sono tuttavia molto più complessi… I fatti che seguono sono stati narrati all’autore dal segretario del Naval Photograph Club, Mr. Mike Cooper, nell’ambito di uno scambio di e-mail che ha permesso di reperire alcune fotografie che illustrano l’articolo. Mr. Cooper, che nel dopoguerra navigò con la compagnia britannica Elder Dempster (cui apparteneva il Dagomba), riporta che conobbe uno steward di nome James Cowan, imbarcato sul Dagomba al momento dell’affondamento,: mentre Mr. Cowan conservava un ottimo ricordo dell’equipaggio del Cagni (che, ricordiamolo, aveva affondato la sua nave!), aveva invece una pessima opinione – che rasentava l’odio – nei confronti dei francesi che avevano raccolto i naufraghi del Dagomba su una spiaggia del Senegal (all’epoca colonia francese), trattandoli con estrema rudezza. Questo è il testo inglese della testimonianza raccolta da Mr. Cooper: “The survivors were badly treated by the French in Senegal. I can remember even in my time in the Company a Chief steward named Jimmy Cowan who loathed and detested the French and wouldn't have a good word to say about them… he was a Dagomba man!”.
(5) Giuseppe Roselli Lorenzini, nel dopoguerra, avrebbe ricoperto importanti incarichi nella ricostituita Marina Militare, sino a diventarne il Capo di Stato Maggiore nel periodo 1970-1973.
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Bibliografia
- E. Bagnasco, I sommergibili della seconda guerra mondiale, Parma Albertelli, 1973
- E. Bagnasco, In guerra sul mare, Parma, Albertelli, 2005
- E. Bagnasco, E. Cernuschi, Le navi da guerra italiane 1939-1945, Parma, Albertelli, 2003
- E. Bagnasco, A. Rastelli, Sommergibili in guerra, 2a edizione, Parma, Albertelli, 1994
- G. Fioravanzo, La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto (vol. XV della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale”), Roma, USMM, 1962
- A. Hague, The allied convoy system – 1939/1945, Annapolis, USNI, 2000
- R. Jordan, The world’s merchant Fleets 1939, Annapolis, USNI, 1999
- F. Mattesini, Betasom, la guerra negli oceani 1940-43, Roma, USMM, 1993
- U. Mori Ubaldini, I sommergibili negli Oceani (vol. XII della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale”), Roma, USMM, 1976
- J. Rohwer, G. Hummelchen, Chronology of the war at sea 1939-1945, (2 voll.), Londra, Ian Allan, 1974
- A. Turrini, O. Miozzi, Sommergibili italiani, (2 voll.), Roma, USMM, 1999
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I sommergibili del comandante Cacace
Sommergibile Maggiore Baracca
Cantiere OTO, Muggiano
Impostazione: 1-III-1939 - Varo: 21-IV-1940 - e.i.s.: 10-VII-1940
Dislocamento: 1.171 tonn (in superficie), 1.406 tonn (in immersione)
Dimensioni: lunghezza 76 m, larghezza 6,7 m, pescaggio 5,21 m
Apparato motore: due motori diesel (3.500 hp) e due motori elettrici (1.500 hp)
Velocità max: 17,5 nd in superficie, 8 nd in immersione
Autonomia: 10.550 mg a 8 nd, 2.900 mg a 17 nodi (110 mg a 3 nodi in immersione)
Armamento: 1-100/47 – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 8 tls (4AV e 4AD) da 533 mm (16 siluri)
Equipaggio: 7 ufficiali e 52 tra sottuficiali, sottocapi e comuni
Classe composta da:
Maggiore Baracca, Michele Bianchi, Leonardo da Vinci, Alessandro Malaspina, Guglielmo Marconi e Luigi Torelli
Sommergibili di grande crociera a scafo semplice con controcarene, furono tutti varati dal cantiere OTO del Muggiano tra il 1939 e il 1940. Impiegati esclusivamente in Atlantico e nell’Oceano Indiano, furono battelli innovativi, i primi realizzati in Italia con scafo saldato eletricamente anziché chiodato. Il Torelli fu catturato dai giapponesi a Singapore il 10 settembre 1943, ceduto alla Kriegsmarine e nuovamente catturato dai giapponesi nel maggio 1945; fu rinvenuto danneggiato a Kobe nel settembre 1945 e demolito l’anno successivo. Gli altri cinque battelli andarono tutti perduti in Atlantico tra il 1941 e il 1943. Il Baracca, in particolare, fu affondato l’8 settembre 1941 dal cacciatorpediniere britannico HMS Broome.
Sommergibile Zoea
Cantiere Tosi, Taranto
Impostazione: 3-II-1936 - Varo: 5-XII-1937 - e.i.s.: 12-II-1938
Dislocamento: 1.333 tonn (in superficie), 1.659 tonn (in immersione)
Dimensioni: lunghezza 82,8 m, larghezza 7,1 m, pescaggio 5,3 m
Apparato motore: due motori diesel (2.900 hp) e due motori elettrici (1.300 hp)
Velocità max: 15 nd in superficie, 7,4 nd in immersione
Autonomia: 9.880 mg a 8 nd, 3.500 mg a 15 nodi (84,5 mg a 4 nodi in immersione)
Armamento: 1-100/43 (1-100/47 dal 1941) – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 6 tls (4AV e 2AD) da 533 mm (8 siluri) – 2 tubi posamine (16 armi); camera centrale per la posa di mine (20 armi)
Equipaggio: 7 ufficiali e 53 tra sottuficiali, sottocapi e comuni
Classe composta da:
Atropo, Foca e Zoea
Battelli posamine e siluranti a doppio scafo parziale tipo “Cavallini”, furono progettati e costruiti dai cantieri Tosi sulla base dell’esperienza fatta con il precedente Pietro Micca. La Regia Marina li utilizzò per tutto il corso del conflitto per il trasporto rifornimenti, e le missioni di posa di mine cui presero parte furono – nel complesso – molto poche. Nel corso di una di queste missioni, a ottobre del 1940, il Foca andò perduto al largo di Haifa. Atropo e Zoea, sopravissuti alla guerra, furono radiati e demoliti nel 1947.
Sommergibile Ammiraglio Cagni
Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Monfalcone
Impostazione: 16-IX-1939 - Varo: 20-VII-1940 - e.i.s.: 1-IV-1941
Dislocamento: 1.703 tonn (in superficie), 2.185 tonn (in immersione)
Dimensioni: lunghezza 87,9 m, larghezza 7,76 m, pescaggio 5,8 m
Apparato motore: due motori diesel + un gruppo elettrogeno (4.370 + 600 hp) e due motori elettrici (1.280 hp)
Velocità max: 16,5 nd in superficie, 8,5 nd in immersione
Autonomia: 19.500 mg a 7,5 nd, 10.700 mg a 12 nodi (107 mg a 3,5 nodi in immersione)
Armamento: 2-100/47 (I x 2) – 4 mg da 13,2 mm (II x 2) – 14 tls (8AV e 6AD) da 450 mm (38 + 4 siluri)
Equipaggio: 7 ufficiali e 71 tra sottuficiali, sottocapi e comuni
Classe composta da:
Ammiraglio Cagni, Ammiraglio Caracciolo, Ammiraglio Millo, Ammiraglio Saint-Bon
Battelli di grande crociera a semplice scafo con controcarene, furono i più grandi battelli “oceanici” della Regia Marina. Concepiti per la lotta al traffico, erano armati con tubi lanciasiluri da 450 mm, un calibro ritenuto più che sufficiente per l’utilizzo contro il naviglio mercantile (il calibro ridotto, tuttavia, può essere una delle cause del mancato affondamento dell’Asturias). Il Cagni, unica unità della classe impiegata in Atlantico, passò in disarmo nel 1948: la falsatorre fu salvata dalla demolizione ed è conservata a Taranto, come monumento ai sommergibilisti Caduti. Gli altri tre battelli, impiegati per il trasporto di rifornimenti verso l’Africa settentrionale, furiono tutti affondati tra il dicembre 1941 e il febbraio 1942.
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I successi in Atlantico
Agios Nikolaos
(greco – affondato a cannonate dal sommergibile Baracca il 1° ottobre 1940 in posizione 40°00’N – 16°55’W)
Appartenente alla compagnia “Ioannis, Adamantios e Hadjipateras” del Pireo
Costruito nel 1915 dal cantiere Napier & Miller di Glasgow – 3.687 t.p.l., lunghezza 109 m
Lilian Moller
(britannico – silurato e affondato dal sommergibile Baracca il 18 novembre 1940 in posizione 52°57’N – 18°05’W)
Appartenente alla compagnia “Moller Line Ltd” con bandiera inglese e sede a Shanghai
Costruito nel 1917 dal cantiere Sir James Laing & Sons Ltd. di Sunderland – 4.866 t.p.l., lunghezza 117 m
Dagomba
(britannico – silurato e affondato dal sommergibile Cagni il 3 novembre 1942 in posizione 02°29’N – 19°00’W)
Appartenente alla compagnia “Elder Dempster Lines Ltd.” Di Liverpool
Costruito nel 1928 dal cantiere A mCmillan & Son Ltd. Di Dumbarton – 3.845 t.p.l., lunghezza 110 m
Argo
(greco – silurato e affondato dal sommergibile Cagni il 29 novembre 1942 in posizione 34°53’S – 17°54’E)
Appartenente alla compagnia “Argonaut Shipping Co. (E. Eugenides)” del Pireo
Costruito nel 1920 dal cantiere Wood, Skinneer & Co. di Newcastle-upon-Tyne – 3.100 t.p.l., lunghezza 90 m
Asturias
(britannico – silurato e gravemente danneggiato dal sommergibile Cagni in posizione 06°40’N – 21°00’W)
Requisito dal Ministry or War Transport e reimmesso in servizio come HMS Asturias il 28 agosto 1939
Costruito nel 1925 dal cantiere Harland & Wolff Ltd. di Belfast – 22.048 t.p.l., lunghezza 199 m
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Motivazioni delle decorazioni conferite al Comandante Amedeo Cacace
Medaglia di bronzo al V. M. - Sottotenente di vascello
"Imbarcato su Sommergibile Oceanico che durante la lunga missione negli Oceani Atlantico ed Indiano affondava una grande Portaerei Ausiliaria attaccata all'interno delle Siluranti di scorta, recava all'efficienza dei servizi il contributo delle proprie elevate qualità militari e professionali e con la pronta e precisa esecuzione degli ordini assicurava il successo del vittorioso attacco".
Oceano Atlantico e Oceano Indiano, 29 giugno 1943 -2 gennaio 1944.
Croce di guerra al V. M. - Aspirante Guardiamarina
"Sottordine alla rotta di un sommergibile oceanico, nel corso di due lunghe missioni di guerra nell'Oceano Atlantico dimostrava profondo entusiasmo e continuo attaccamento al servizio; in particolare, durante l'affondamento col siluro di un grosso piroscafo armato nemico, era di ausilio al Comandante dimostrando alto senso del dovere e sereno
sprezzo del pericolo".
8 gennaio 1941.
Croce di guerra al V. M. - Guardiamarina
"Imbarcato su un sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo senza misurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria".
Maggio - agosto 1941.
Croce di guerra al V. M. - Guardiamarina
"Imbarcato su sommergibile, impiegato in una serie di dure missioni di rifornimento, si prodigava con entusiasmo
senza lisurare fatica e rischio, dimostrando dedizione al dovere, sereno coraggio ed alto senso di amor di Patria"
Ottobre - dicembre 1941
Croce di guerra al V. M. - Guardiamarina
"Imbarcato su sommergibile, in una missione di guerra coadiuvava con serenità e ardimento il Comandante nella
efficace reazione ad attacchi di aerei nemici, contribuendo all'abbattimento di un grosso apparecchio da bombardamento".
14 novembre 1941.
Croce di guerra al V. M. - Sottotenente di Vascello
"Imbarcato su Unità subacquea partecipava con entusiasmo alla preparazione del battello per lunga missione atlantica. Durante detta missione collaborava col Comandante per 137 giorni spiegando nella quotidiana durisssima fatica spirito di sacrificio. Durante il passaggio dello Stretto di Gibilterra, l'affondamento di due mercantili e durante attacco aereo avversario esplicava con calma ed entusiasmo il proprio compito.
Oceano Atlantico, 6 ottobre 1942 - 20 febbraio 1943.
Croce di guerra al V. M. - Sottotenente di Vascello
"Ufficiale di rotta di Sommergibile durante il terzo anno della guerra 1940-43, partecipava a numerose missioni di guerra, in acque contrastate dal nemico, assolvendo in ogni circostanza il proprio incarico con coraggio, abnegazione ed elevato sentimento del dovere".
Mediterraneo Orientale -Atlantico, 10 giugno 1942 -8 settembre 1943.
La scuola di Amedeo Cacace:
Nel 1782 furono fondate le Scuole Nautiche a Meta e Piano e quindi nel 1784 anche ad Alberi.
Nel 1863 veniva istituita la “Scuola Nautica e di Costruzione Navale” che veniva elevata poi nel 1865 ad “Istituto di Marina Mercantile” di Piano di Sorrento. Fu dal 1° Gennaio 1864 che il Prof. Sebastiano Enrico De Martino ne fu il Preside fino al 1905.
Nel 1884 la scuola assunse il nome di Nino Bixio “. Dal 1866, primo anno, e fino al 1966 – cioè in cento anni – si sono diplomati:1698 Capitani di Lungo Corso – 1350 Macchinisti Navali – 143 Capitani di Gran Cabotaggio – 2 Costruttori Navali di 1^ Classe.
1937 – CACACE Amedeo, in seguito Ufficiale di Rotta su Sommergibili Oceanici di base a Bordeaux – pluridecorato nella 2^ Guerra Mondiale - Capo Pilota del Porto di Savona
A cura di
Carlo Gatti
Rapallo, 12.1.2013
Il Corsaro genovese GIUSEPPE BAVASTRO
GIUSEPPE BAVASTRO
Il corsaro genovese
Ritratto di Giuseppe Bavastro
La sciabola di gala di Bavastro, riccamente lavorata con accanto il fodero, é conservata a Venezia, presso il Museo Storico Navale
Il corsaro del cinema
L’audace navigatore genovese al servizio della Francia di Napoleone, condusse una spietata guerra di corsa contro le navi inglesi che assediavano il capoluogo ligure nel 1800. Dalle sue imprese esce il ritratto di un combattente feroce verso i nemici e generoso con gli amici fino alla prodigalità, temerario e passionale; un uomo che visse tra storia e leggenda.
Pirata o Corsaro ?
- Il pirata é una sorta di brigante del mare che assale e depreda navi per fini individuali compiendo un reato di diritto internazionale. Può quindi essere catturato e tradotto dinanzi ai giudici di qualsiasi Paese. Il fenomeno é ancora in corso.
- Il corsaro attaccava solo dietro autorizzazione del sovrano che gli dava facoltà di arrembare con una nave armata in corsa i mercantili nemici; era la cosiddetta “guerra di corsa”.
Famosi corsari italiani furono i liguri Enrico Pescatore, ammiraglio di Federico II di Svevia, e Giuseppe Bavastro (1760-1833) al servizio dei Francesi in epoca napoleonica. I più celebri corsari furono comunque inglesi e francesi: Francis Drake, Raleigh, Hawkins, Surcouf, Jean Bart, Duguay-Trouin, i quali resero grandi servigi alle rispettive nazioni.
Giuseppe Bavastro nacque a Sampiedarena il 10 maggio 1760 da una famiglia
della borghesia nizzarda. Praticamente analfabeta, il ragazzone alto e robusto, combattivo e indipendente, preferì infatti imbarcarsi e sfidare le intemperie nautiche e della vita avventurosa piuttosto che abbracciare una vita sicura, agiata, ma incolore.
Nel 1783 sposò Annetta, figlia di un locandiere francese, ma il matrimonio non gli impedì di riprendere la vita sul mare.
A 22 anni, Bavastro armò una goletta da 100 tonnellate dello zio Giovan Battista Parodi per i traffici con la Sicilia e fu proprio in quel periodo che conobbe gli scontri con i pirati algerini dai quali imparò le varie tattiche di combattimento.
Con la Rivoluzione Francese, nel periodo del terrore, si offrì per compiere il trasporto dei profughi e fu preso in seria considerazione quando si offrì di comandare uno dei quattro trasporti di truppe napoleoniche in Egitto senza pretendere compensi. Fedele ai francesi, nel 1800 si trasferì nella sua Genova con la moglie, ma qui visse i tragici momenti dell'assedio degli inglesi via mare, e degli austriaci via terra. In quell'occasione Bavastro si distinse forzando ripetutamente il blocco navale con le sue piccole imbarcazioni, al servizio dell'amico generale Andrea Massena. Il suo nome ed il suo coraggio passarono alla storia della nostra regione per un’impresa davvero eroica. Ogni notte una nave inglese s’avvicinava indisturbata al porto e lanciava proiettili di bombarde su Genova.
Sciabecco arabo
A Bavastro venne in mente una missione suicida: armò una vecchissima galea, provvista di soli tre cannoni, imbarcò una schiera di galeotti al remo, un equipaggio di coraggiosi incursori e, contando sulla sorpresa, uscì dal porto e mise la prua sulla nave inglese mentre stava salpando. Ma questa volta, nelle tenebre di una notte illune, si nascondeva un “genovese” che la sapeva più lunga del diavolo e, appena fu a tiro, armò i cannoni e fece fuoco contro lo scafo inglese. I suoi colpi partirono improvvisi, veloci e precisi e tagliarono in due lo scafo degli assedianti. Purtroppo, le navi della flotta inglese che componevano il blocco, non erano distanti e attaccarono a loro volta la vecchia galea che puntando sull’agilità riusciva ad evitare le cannonate con rapide accostate. Agli inglesi non rimaneva che la tattica dell’abbordaggio avendo per obiettivo la cattura di quello sfacciato corsaro che aveva osato tanto contro le navi di sua maestà. Bavastro non ebbe il tempo di fuggire, ma non volle neppure indietreggiare. Fu circondato e continuò a combattere in violenti corpo a corpo sul ponte della galea. Resistette ancora un’ora poi, ricordandosi d’essere un formidabile nuotatore, si tuffò in mare e sparì dalla vista del nemico. Il generale Massena, suo vecchio amico d’infanzia, conosceva le sue vie di fuga come pochi altri, e lo fece recuperare da un gozzo posizionato da tempo come “civetta” in quel braccio di mare.
Nel 1806 Napoleone incoraggiò la guerra di corsa e in questa sua specialità Bavastro s’impegnò da protagonista con continui abbordaggi e atti di pirateria basati sulla rapidità della manovra.
Sciabecco arabo
Per questo tipo di d’ingaggio, Bavastro usava vecchi ma affidabili sciabecchi come l’Intrepido, armato di soli quattro cannoni, che manovrava con la sua eccezionale capacità. In questa fase si rafforza la leggenda dei duelli vincenti contro gli abili corsari inglesi che conducevano un'analoga guerra nel Mediterraneo. I suoi scafi antiquati e la sua ridotta capacità di fuoco, inducevano il nemico a sottovalutarlo fino a farlo avvicinare oltre ogni limite di prudenza. Ciò che ne seguiva per il suo intrepido coraggio era solo routine. Giustamente fu definito dai genovesi il classico “gundun”.
Celebre fu l’episodio che lo vide, presso le Isole Baleari, attaccare e mettere alle strette la grande fregata inglese Phoenix. Anche quella volta Bavastro era al comando di una nave molto obsoleta rispetto alle navi inglesi, ma questa volta era armata con 14 cannoni.
Il corsaro genovese Giuseppe Bavastro si sposta successivamente nell’Adriatico
per istruire e rinforzare le file dei corsari che agiscono dall’operoso porto di Ancona. La sua strategia di base é sempre la stessa: un piccolo e antiquato sciabecco come il “Massena” che non desta alcun sospetto nella marina austriaca, ma che é veloce, ben armato di cannoni moderni e di tanto coraggio.
I danni che procura sono peggio della grandine...
Ricevette varie onorificenze: l'ascia d'onore per meriti marittimi, la rosetta d'ufficiale della Legion d’Onore, il grado onorario d Capitano di Fregata. Napoleone in un colloquio diretto con lui lo definì l'unico mio Ammiraglio vittorioso.
Bavastro rimane, tuttavia, un fighter solitario che agisce improvvisando tattiche basate sul coraggio. Si sceglie accuratamente l’equipaggio che più gli assomiglia, ma lui solo decide quando e come attaccare il nemico. I suoi principi basati sull’individualismo gli impediscono di inserirsi in una struttura militare organizzata e quando nel 1806 Massena lo chiama a Napoli per dargli il comando della corvetta Fama della Marina del Regno si sente a disagio e preferisce riprendere la sua guerra da corsa.
Al comando del Principe Eugenio, armata di 16 cannoni, compie altre storiche imprese contro navi inglesi sempre più potenti, ma soccombe e perde il suo “legno”. Si salva con pochi uomini nell’unico modo che conosce: raggiungendo a nuoto la lontana riva di Tarragona. Qui trova il modo di organizzarsi recuperando il brigantino Fanny, naviglio corsaro inglese che aveva precedentemente conquistato. Con esso riprende la sua guerra da corsa. A bordo di questa veloce imbarcazione opera ancora a lungo nel Mediterraneo spagnolo.
Bavastro era affascinato dall'imperatore Napoleone e quando questi cadde in disgrazia pensò di liberarlo dalla reclusione dell’Isola d’Elba, ma dovette rinunciare.Conclusa l'era napoleonica, Bavastro vide respinta la sua richiesta d'iscrizione nei quadri della marina sarda, memore delle sue imprese da corsaro napoleonico. Reagì a quella delusione mettendosi a disposizione di Simon Bolivar in America Latina. Terminata la guerra di liberazione del Venezuela, ritornò in Mediterraneo al servizio della Francia. Grazie alla perfetta conoscenza della lingua francese e di quella arabo-algerina, divenne CADI (magistrato mussulmano di nomina politica cui si demandava l’amministrazione della giustizia ordinaria). In seguito divenne Comandante del Porto di Algeri. Questa splendida città era stata a lungo scalata dal corsaro genovese, sia in tempo di pace con le navi da carico, sia in tempo della guerra “di corsa” in epoca napoleonica.
Il re di Francia Luigi Filippo nel 1832 gli concesse la cittadinanza francese. Nel marzo del 1833, mentre si trovava ad Algeri, Bavastro fu colto da malore e dopo 10 giorni morì, a 73 anni ancora da compiere. Le ultime sue parole pare siano state: “Aprite le finestre, voglio vedere il Mare”.A Genova-Pegli gli è oggi intitolata una via. Anche a Roma gli è stata intitolata una via, in zona Ostiense. Anche a Nizza (Francia) esiste Rue Bavastro - Corsaire Niçois (via Bavastro - Corsaro Nizzardo)
Carlo Gatti
Stöia vëa de 'na Gondonata e de 'n Gondon
di Franco Bampi - * Presidente "A Compagna"
Zena a l'ëa 'na repubblica piccinn-a, ma ricca. A preferiva pagâ pe avei paxe e taere; a no gh'aiva sordatti e quande ghe servivan a i piggiava a pagamento. Pe questo i ciû potenti in scio-o cian militare han faeto a-i Zeneixi un mûggio de gondonate, ma de quelle cattive. E questa chì, che ve veuggio contâ, a l'é staeta proprio ben ben grossa. In to 1800 o Napolion, ch'o curriva in sà e in là pe l'Europa, o s'ëa invexendòu a fâ a guaera in to nord dell'Italia. O generale Massena, ch'o s'ëa dovùo retiâ chì a Zena, o gh'aiva l’incarego de tegnî impegnae Austriachi e Ingleixi pe-o ciû lungo tempo poscibile. Pe questo, da-o frevâ do 1800 finn-a a-i primmi de zugno do maeximo anno, Zena a l'ha dovùo patî quello che i libbri de stöia (no guaei a dî a veitae) arregordan comme "O Blocco de Zena". O l'é staeto un assedio terribile e ben ben diffiçile da violâ, ma ben ben importante pe Napolion ch'o l'é riescïo a intrâ in Milan e a guägnâ a Marengo: vittöie che han determinòu o destin de tutta l'Europa. Pe via do Blocco, a Zena o mangiâ o mancava: l'ëa sparïo da-a çittae gatti, chen, ratti e ratti pennughi. A gente a se desbëlava pe 'na feuggia de leituga marsa. I zeneixi ean costreiti a mangiâ de tutto e, comme se lëze in sci-i libbri, finn-a a mangiâse anche tra de liätri. 'Na bella gondonata, ma con morti a rëo, perché tutta questa stöia a no l'é staeta vosciùa da Zena: Zena a l'é staeta tiatro e vittima: Zena a l'ha solo patïo con sacrifissio e dignitae a voentae de 'n foresto. E da tutto questo remescio Zena a l'aviä solo da perde: e de faeti a perdiä a seu secolare indipendensa in to 1815 pe-e decisioin do Congresso de Vienna. Ma, in te quello periodo, un bello gondon, in to senso bon, o l'é staeto anche o Capitan Bavastro. Nasciùo in scia spiägia de San Pê d’Aenn-a e subito lavòu da-a seu mamà in te l'aequa do mâ, o l'é staeto quello ch'o l'é riescïo a piggiâ in gïo e nave ingleixi do Blocco co 'na vegia galëa ciammä "Prima". O Bavastro o l'ha affondòu a nave ch'a bombardava Zena. Alloa trenta ätre nave ingleixi se son misse a combatte contra de lë e doppo un terribile scontro o Capitannio o s'é sarvòu cacciandose in mâ e vegnindo a neuo verso taera. Da quella neutte i Ingleixi han smisso de bombardâ Zena.
Un bello gondon pe 'na grossa gondonata!
Traduzione:
Storia vera di un tiro mancino e di una geniale trovata
Genova era una repubblica piccola, ma ricca. Preferiva pagare per ottenere pace e possedimenti: non aveva soldati e quando ne aveva bisogno li assoldava. Per questo gli stati più potenti sul piano militare hanno giocato ai genovesi una quantità di brutti scherzi, alcuni anche molto crudeli. E questo che vi voglio raccontare è stato uno dei peggiori.
Nel 1800 Napoleone, che correva in qua e in là per tutta l'Europa, si era incaponito di far guerra nel nord dell'Italia. Il generale Massena, che si era dovuto ritirare a Genova, aveva l'incarico di tenere impegnati Austriaci e Inglesi, il più a lungo possibile. Per questo, dal febbraio del 1800 ai primi di giugno dello stesso anno, Genova ha dovuto sopportare quello che i libri di storia (non molti, a dire il vero) ricordano come "Il blocco di Genova". Si è trattato di un terribile assedio e difficilissimo da violare, ma molto importante per Napoleone che nel frattempo è riuscito a entrare a Milano e a vincere la battaglia di Marengo: vittorie che hanno determinato il destino dell'Europa intera. A causa dell'assedio, a Genova mancava il cibo: dalla città erano scomparsi gatti, cani, topi e pipistrelli. La gente si contendeva una foglia di lattuga marcia. I genovesi erano costretti a mangiare qualsiasi cosa e, come si legge sui libri, persino a divorarsi l'uno con l'altro. Un tiro mancino, con morti in quantità, perché questa storia non è stata voluta da Genova: Genova è stata teatro e vittima. La città ha solo patito con spirito di sacrificio e dignità le conseguenze della volontà di uno straniero. E da tutto questo Genova avrà soltanto da perdere, e infatti nel 1815 dovrà rinunciare alla sua secolare indipendenza per decisione del Congresso di Vienna.
Ma in quello stesso periodo, un bel farabutto, in senso buono, è stato anche il Capitan Bavastro. Nato sulla spiaggia di San Pier d'Arena e subito lavato da sua madre nell'acqua di mare, è stato quello che è riuscito a farla in barba alle navi inglesi del blocco con una vecchia galera chiamata "Prima". Bavastro è riuscito ad affondare la nave che bombardava Genova. Allora trenta altre navi inglesi gli si sono rivolte contro e dopo una terribile battaglia il Capitano si è salvato gettandosi in mare e raggiungendo a nuoto la riva. Da quella notte gli inglesi cessarono il bombardamento di Genova.
Una geniale trovata in risposta ad un tiro mancino.
Carlo Gatti
Rapallo, 8.12.2012