E-IL VITTORIALE degli Italiani: la Beffa di Buccari

IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

LA BEFFA DI BUCCARI

 

10-11 febbraio 1918

 

 

MAS n.96

 

 

 

Un po’ di Storia...

 

 

La rotta dei MAS

 

L'azione svoltasi nella notte sull'11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici "tra le imprese più audaci" del conflitto con una influenza morale incalcolabile, anche se purtroppo sterile di risultati materiali. Al comando di Costanzo Ciano, all'azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D'Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.

 

 

I siluri del MAS 96

 

L'audacia dell'impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l'attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.

 

Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all'intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.

 

L'impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D'Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell'azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia".

 

Ecco come Gabriele D' Annunzio, che ne fu uno  dei protagonisti, descrisse sul «Corriere della Sera» l'impresa di Buccari.

 

“10 febbraio 1918. ... Il mattino è nuziale. Il bacino è cangiante e soave come la gola del colombo. Le case hanno qualcosa di femineo, simili a donne che si levino sul gomito e guardino attraverso le cortine d'oro filato. Scorgo sul cilestro dell'acqua le nostre saettìe grige coi loro siluri dal muso di bronzo, che luccicano, bene uniti come i miei piedi nelle calze di carta chinese. Vedo la dirittura della riva, la vecchia pietra degli approdi e delle partenze, e lungo la riva i marinai allineati, la bella materia eroica. In piedi nel canotto sono issato vigorosamente dalla mano tesa di Luigi Rizzo che ha già la sua casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca. In un attimo la coesione si forma. Tra equipaggio e capo c'è la stessa rispondenza che tra innesco e percotitoio.

 

Parlo agli uomini in riga contro un muro di mattone che ha il colore del sangue aggrumato. Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un'erba trista di carcere, mai nata tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l'esca, come una sostanza che pigli fuoco subito. « Marinai, miei compagni, questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una tarantella d'allegrezza. Ma certo avete indovinato, dalla cera del nostro Comandante, che questa volta egli getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. » .....

Il MAS n.96 visto di poppa

 

« Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé ma più che tutto sé, deve operare non secondo le sue forze ma di là dalle sue forze. « Lo giurate? compagni, rispondetemi. » e come lo scoppio d'una fiamma repressa. « Lo giuriamo. Viva l'Italia. » ...C'imbarchiamo. Ridiventiamo taciturni e attenti. Ciascuno prende il suo posto; e nel suo posto ha poco più spazio di quello che avrebbe se fosse messo fra le quattro assi finali. Il bacino è chiarissimo, appena appena soffuso d'indaco, puro come il bianco dell'occhio d'un bimbo. Riceviamo il saluto delle siluranti ormeggiate, passando al traverso. Chi non c'invidierebbe, se sapesse? Chi, se sapesse, non ci farebbe il segno del commiato ultimo? Il comandante Costanzo Ciano ci raggiunge mentre si sta compiendo il rifornimento della benzina. Lo vediamo torreggiare sul pontile, nella sua gran casacca di pelle fosca...

 

Comincia l'eguaglianza della corsa, fra mare e cielo. Attenzione a ogni apparenza del mare. Attenzione a ogni apparenza del cielo. Se fossimo avvistati da una nave nemica, scoperti da un esploratore aereo, dovremmo rinunziare all'impresa; che non è se non una sorpresa, e' una sorpresa mortale. Le ore filano. Il fervore della scia accompagna la musica dei miei pensieri. Di tratto in tratto una bùccina suona nel vento. Non è quella dei Tritoni, se bene una torma di bei delfini danzi al nostro traverso di sinistra. Non è se non il nero megafono, che trasmette le correzioni di rotta. Un marinaio m'improvvisa un giaciglio a poppa, con tre salvagente. Mi distendo supino, col capo contro la gabbia delle due bombe da sommergibili. La foschia non si dirada... Non torneremo indietro «Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la disciplina dei nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l'altra la matita. «Ricòrdati di osar sempre». Mi assopisco. Ho il sole in faccia. Distinguo nella trasparenza delle palpebre i ragnateli sinistri tessuti in fondo alle mie orbite. Odo, sul croscio dell'onda spumosa, un uomo accosciato accanto a me masticare il suo pane di guerra. Sento che i miei piedi si raffreddano. Ricevo uno spruzzo di sale sul viso. Apro gli occhi... Abbiamo lasciato a dritta la Levrera. Seguiamo la rotta di tramontana. La foschia è cosi fitta che non riusciamo a scorgere né la costa di Cherso né quella dell’Istria.

 

 

Postazione del timoniere di bordo

 

Angelo Procaccini che sta al timone, un Veneto tenuto a battesimo da Angelo Emo di San Simeon piccolo, fiutando il vento con le sue nari sagaci di corsaro legittimo, mi dice: « Non sente l'odore della terra? »...Avanti, avanti! Le coste si serrano. Riconosciamo la bocca di Fianona e il promontorio di Prestenizze. Penetriamo nella stretta fauce del Quarnaro, come tre spine aguzze. Il canale di Farasina, ben munito, ben guardato, con i suoi proiettori, con le sue batterie, con i suoi lanciasiluri, con i suoi sbarramenti, con ogni sorta di difese e di ostacoli, ecco che noi sappiamo violarlo. Ordinati a triangolo, una prua, due prue, stando noi dritti in gruppo sul ponte, neri contro la notte, tagliamo nettamente il pericolo che non s'illumina e non tuona. La prua è ben dritta contro la gola dei nemico. Avvistiamo   l' isola di Unie nella sera stellata. Accostiamo per passare fra Unie e la Galiola dove incagliò Nazario Sauro. L'ombra dell'impiccato palpita per qualche attimo tra siluro e siluro, come una bandiera in gramaglia. Al traverso di Punta Sottile facciamo rotta nel canale di Farasina, aumentando la nostra velocità. L'ombra ci lascia con un gesto di promessa. Torna a Pola, per sorridere dalla sua larga faccia guatando la flotta cautelosa che senza dubbio seguiterà a covare la gloriuzza di Lissa......

 

11 febbraio 1918. … Nasce il nuovo giorno, con un numero di data caro alla mia superstizione. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d'uomini sopra tre piccole navi, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale, a poche miglia dalle superate difese di Farasina, a poche centinaia di metri dalle batterie di Porto Re. Un allarme, e andiamo in perdizione...

 

Si rallenta. Si tenta. Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la punta Sersica. Si naviga a poche braccia dalla costa di ponente. Porto Re è al buio. La vigilanza giace. La batteria tace. « Che buona gente, questi Austriaci! », mi mormora Luigi Rizzo accostando al mio orecchio quella sua bietta mal rasa che gli è servita a fendere il fianco della Wien con un colpo solo. Ma non dice « buona gente » in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando i lunghi cigli su i suoi occhi saracini. E’ il polso quieto di un Arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro bianco.. .Siamo dentro la baia nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Bùccari, nella sua estremità settentrionale, di contro all'ancoraggio, inosservati, insospettati... A Bùccari nessuna finestra è illuminata. Accostiamo ancora. Gli ordini sono dati con la voce, da bordo a bordo. Ciascuna prua prende la sua posizione per il lancio. E' un'ora e un quarto dopo la mezzanotte.

Ho le mie bottiglie sotto la mano  pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di buon inchiostro. Le ho preparate io stesso... Poso la prima bottiglia nell'acqua, con le sue belle fiamme spiegate... Poso la seconda bottiglia nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri. Vedo la terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo dalla stretta e ci dirigiamo come padroni verso l'imboccatura della baia passando dinanzi alla batteria di Porto Re che s'illumina senza tuonare...

Alle due e cinque minuti accostiamo per imboccare il canale. Non abbiamo altre armi che due mitragliatrici a prua e una a poppa. Sono pronte, con le loro cassette di nastri. Ma per tutte le coste, a dritta e a manca, non appare indizio di allarme. Cerchiamo di conservare la formazione a triangolo, dando la voce. La terza silurante perde velocità, non ci può seguire. D'improvviso, all'altezza di Prestenizze, parte un fuoco di fucileria da qualche posto di vedetta. Nessuno curva il capo. Nel fosso di poppa c'è il solo timoniere. Uno scoppio di facezie risponde.

Per giunta, accendiamo il fanaletto di poppa e rallentiamo, la terza saetta non essendo più in vista dietro di noi. Che accade? un'avaria? di che sorta? Non esitiamo a invertire la rotta per ricercare la ritardante, deliberati di mandarla a picco e di prendere a bordo l'equipaggio, se non sia possibile riparare il guasto in breve. Ed ecco il meglio della beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra li mette nel dubbio che si tratti di naviglio austriaco. Per tendere gli orecchi, per meglio cogliere i rumori, ci fermiamo in mezzo al canale di Farasina ben munito, ben guardato; e restiamo là fermi, da padroni, un lungo quarto d'ora. « Memento audere semper ». Si ascolta. Nulla. Si risale ancora a tramontana. La ricerca è inutile. Non si scorge segnale di soccorso, non s'ode richiamo. E’ probabile che, riparata l'avaria, la ritardante abbia proseguita la sua rotta di ostro. E per la quarta volta passiamo sopra gli sbarramenti, ridendo delle sentinelle sbalordite...Poco innanzi le cinque, nella nebbietta brilla il segnale della terza silurante che lietamente si ricongiunge alle compagne. La trinità navale è dunque incolume... Lasciamo dietro di noi le soglie dei Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l'Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto... L'alba non è eguale per tutti. Dall'Italia navighiamo verso l'Italia.”

 

 

Padiglione che ospita il MAS n.96

 

Carlo Gatti

Rapallo, 14.11.2012

 

 

 


D-VITTORIALE degli Italiani: Il Teatro

VITTORIALE DEGLI ITALIANI

IL TEATRO

 

"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: Il Vittoriale"

(G.d'Annunzio)

 

 

"Una conca marmorea sotto le stelle": così il poeta Gabriele d'Annunzio immaginava il teatro ideale per rappresentare i propri spettacoli, naturalmente immerso nella splendia cornice del Vittoriale, sull'esempio di quello di Wagner a Bayreuth.

 

 

Avrebbe dovuto chiamarsi "Parlaggio". Fu il Vate stesso a scegliere il luogo: un punto panoramico del parco, da cui si ammirano l'Isola del Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e, soprattutto, la suggestiva Rocca di Manerba - in cui a Goethe pare di riconoscere il profilo di Dante.

 

Nel 1931 il Vate affidò l'opera all'architetto del Vittoriale, Gian Carlo Maroni, che mandò a Pompei perché pensasse la nuova realizzazione sull'esempio dell'anfiteatro romano più antico del mondo.

 

 

 

I lavori iniziarono tra il '34 e il '35 ma vennero presto interrotti per difficoltà finanziarie, aggravate dall'inizio della guerra e dalla morte del poeta. Ripresi per volontà della Fondazione vent'anni dopo, nel '52, terminarono l'anno successivo, a opera dell'architetto Mario Moretti e di Italo Maroni, fratello di Gian Carlo.

 


Carlo Gatti

Rapallo, 14.11.2012



C-VITTORIALE degli Italiani: La Prioria

Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI

LA PRIORIA

Giordano Bruno Guerri, il Presidente della Fondazione

 

 

LA PRIORIA: così fu definita da Gabriele D’Annunzio la Casa-Museo che l’avrebbe accolto nella sua vecchiaia. L’ampia struttura occupa un terreno di nove ettari costellato da edifici, tra cui la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone Riviera, in provincia di Brescia. Il complesso del Vittoriale svetta sul Lago di Garda ed ospita un vero e proprio museo colmo di reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” che il poeta-vate ha dedicato e donato agli italiani.

 

Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico, apparentemente paradossale, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: “Io ho quel che ho donato”.

 

 

 

“Io ho quel che ho donato”

 

G. D’Annunzio

 

« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando.  Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri. Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio. Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi. »

La stipula dell’atto che dichiara la donazione del Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio, il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza.

 

La casa del poeta

 

- Il primo nucleo della ristrutturata residenza del poeta é la cosiddetta Prioria.

 

Il cancello dorato si apre e iniziamo il percorso incontrando la colonnina francescana sormontata da un canestro con melograni simbolo della abbondanza e fertilità.

 

 

- Accediamo alla Stanza del Mascheraio così chiamata dai versi composti dal poeta in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925:

 

Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso?

 

Questo é piombato vetro, o mascheraio.

 

Aggiusta le tue maschere al tuo viso

 

Ma pensa che sei vetro contro acciaio

 

 

- Passiamo nella Stanza della musica, le pareti sono rivestite di preziosi damaschi neri e argento per favorire l’acustica. E’ dedicata ai piaceri della musica. Oltre a numerosi strumenti musicali delle varie epoche, sulle pareti si trovano i ritratti di Cosima Liszt, Wagner, e le maschere di funerarie di Beethoven e di Listz. Fanno parte dell’arredamento oggetti déco – Diana cacciatrice, statuette orientali, colonne romane, calchi in gesso di sculture greche che compongono un’alchimia di disparati simboli culturali.

 

 

- Entriamo ora nella Stanza del mappamondo che é una delle grandi biblioteche del Vittoriale. Alle pareti  vediamo circa seimila libri. L’occhio cade sulla maschera funebre di Napoleone, il busto in gesso di Michelangelo (considerato da sempre il Parente del poeta). In una nicchia c’é l’altro caposaldo culturale di D’Annunzio, Dante Alighieri, Dantes Adriacus in ricordo dell’impresa fiumana.

 

 

- Giungiamo così alla Zambracca il cui significato, “donna da camera”, deriva da un antica parola provenzale. In questo studiolo raccolto il poeta trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del suo tempo; e qui D’Annunzio morì la sera del 1° marzo 1938. Sulla scrivania un prezioso scrittoio di Bucellati, orafo del Vittoriale. La testa d’aquila in argento di R.Brozzi, animali esotici in vetro di murano, la testa dell’Aurora di Michelangelo, i gessi dei cavalli di Fidia del Partenone.

 

 

- Ci avviciniamo alla Stanza della Leda, la camera da letto del Poeta che prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto – in stile Déco con nicchie dorate e statuette di origine orientale e di vetro Lalique – raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. “Genio et voluptati” é il motto che si legge sull’architrave della porta mentre sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i versi danteschi “Tre donne intorno al cor mi son venute...”.

 

Anche qui il vasto assortimento di oggetti é straordinario: dai piatti arabo-persiani agli elefanti in maiolica cinese, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre ai mobili in stile orientale.

 

 

- Entriamo quindi nella La Veranda dell’Apollino che fu aggiunta da Maroni per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda, e fungeva da saletta di lettura affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. La stanza é decorata da riproduzioni di ritratti famosi del Rinascimento italiano, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.

 

Bagno Blu

 

Bagno Blu-particolare

 

- Bagno Blu – Il bagno padronale é una specie di scrigno contenente oltre 600 oggetti. Sul soffitto si legge il motto “Ottima é l’acqua” da Pindaro, alle pareti le riproduzioni di degli ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, piastrelle persiane di ceramica e pietre preziose cinesi. Un blocco di malachite su cui si staglia un’antilope in vetro soffiato di Guido Balsamo Stella.

 

- Ritirata Il piccolo ambiente contiene maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana di Rosenthal del 1927.

 

 

- Stanza del lebbroso – Fu concepita da D’Annunzio come camera funeraria, quindi é la stanza più ricca di simboli del Vittoriale. Cinque Sante (Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta di d’Ungheria, Odilla d’Alsazia e Sibilla di Fiandria) appaiono al poeta come un sogno incitandolo alla rinuncia dei piaceri del mondo. D’Annunzio affidò il suo programma iconologico di questo ambiente a Guido Cadorin che tra il 1924 e il 1925 decorò il soffitto con cinque figure femminili volanti, ma i volti sono ritratti di donne legate a D’Annunzio. Notevole il dipinto di Cristo che benedice la Maddalena e sullo sfondo il dipinto di S.Francesco che abbraccia il lebbroso, ossia il poeta stesso, il prezioso San Sebastiano del secolo XVI, le vetrate di Pietro Chiesa con iscrizioni tratte dalle laudi francescane: tutto cospira al mito ascetico di d’Annunzio che fece realizzare a Maroni il letto a forma di culla-bara, per le sue meditazioni sul misztero della vita e della morte. Qui sarà esposta la sua salma fra l’1 e il 2 marzo 1938.

 

 

- Corridoio Via crucis - Così denominato dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi.

 

 

- L’Officina, lo Studio dove D’Annunzio si ritirava a creare le sue opere, al quale si accede da una porta bassissima che costringe ad inchinarsi all’arte; é l’unica stanza in cui la luce può entrare liberamente.

 

 

- La Stanza di Cheli, così chiamata per la tartaruga morta per indigestione che campeggia, trasformata in bronzea scultura, come monito per i commensali.

 

 

- Lo scrittoio del monco, dove il poeta sbrigava la corrispondenza, chiamata ironicamente così per l’impossibilità di rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.

 

 

- La Stanza delle reliquie. Prima di divenire esclusivo ricettacolo delle "immagini di tutte le credenze", "degli aspetti di tutto il divino", la stanza delle reliquie era la stanza da pranzo e della musica, per questo veniva chiamata cenacolo, o stanza del contrappunto. Già all'origine conteneva reliquie di guerra e fiumane. Al centro del gonfalone, il serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Le pareti sono ricoperte da cortinaggi con disegno a melagrana, e da un grande arazzo di soggetto biblico, appeso alla travatura, sormontato dal motto, giustificato dal fatto che d'Annunzio escludeva dai sette vizi capitali Lussuria e Prodigalità: Cinque le dita, cinque le peccata. La luce della stanza mistica è schermata dalla vetrata policroma, che rappresenta Santa Cecilia all'organo. L'alta travatura sorregge una teoria di santi lignei, di diversa provenienza, e reca i versi: Tutti gli idoli adorano il Dio vivo tutte le fedi attestan l'uomo eterno tutti i martiri annunziano un sorriso tutte le luci della santità fan d'un cuor d'uomo il sole e fan d'Ascesi l'Oriente dell'anima immortale Due gli altari della stanza: uno composto da una piramide di idoli orientali, alla cui cima è però la Madonna col Bambino, l'altro formato da un insieme di simboli religiosi e da reliquie cruente: al centro è infatti il volante spezzato dell'inglese Sir Henry Segrave, campione dell'entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Testimoni del pericolo da egli stesso scampato sono, sotto le ali spiegate di un'aquila, il bassorilievo del Leone di San Marco, dono del comune di Genova, che commemora un discorso tenuto dal Poeta nel maggio 1915, per incitare gli italiani ad entrare in guerra; e un quadro di Marussig, dal medesimo soggetto, che ornava lo studio del Comandante a Fiume. Questo dipinto fu colpito da una scheggia di granata durante il "Natale di Sangue" (1920), ed è ora lesionato a memoria dell'incidente che avrebbe potuto costare la vita a d'Annunzio.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14.11.2012


 


B-VITTORIALE degli Italiani: Monumenti Esterni

IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

MONUMENTI ESTERNI

 

 

Il Vittoriale degli Italiani non è solo la stupefacente casa di Gabriele D'Annunzio, costruita a Gardone Riviere sulle rive del lago di Garda dal poeta-soldato con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, ma un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938 a memoria della sua "vita inimitabile" e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.

Ingresso del Vittoriale

 

Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio: “Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale”. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano:

 

Io ho quel che ho donato

 

 

 

PILO DEL PIAVE – Costruito in pietra di Torri del Benaco, viene eretto tra il 1934-1935A rappresentare simbolicamente l’arcata spezzata di un ponte a ridosso del Piave. Sulla sommità venne collocata nel 1935 una versione della Vittoria del Piave incatenata ai piedi ma con le ali frementi, simbolo della volontà di resistenza dell’esercito italiano dopo la rotta di Caporetto.

 

Piazza Dalmata

Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla Nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.

 

 

Palazzo Schifamondo contiene il Museo della Guerra

 

Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938 ). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di Palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto G. Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.

Schifamondo comprende anche l'Auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA del celebre Volo su Vienna . Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio de Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina , Jonathan Meese, Luigi Ontani.

 

 

La Prioria e Lo zoccolo del Pilo Dalmata é composto da due pietre di macina provenienti da un antico frantoio locale, sulle quali sono incastonate, come una corona, otto teste barbute cinquecentesche. Una lunga scritta ricorda i nove anni dell’entrata in guerra dell’Italia (XXIV Maggio 1915) e i sette anni della battaglia avvenuta, il 27 Maggio 1917, alle foci del Timavo. A questa battaglia prese parte anche D’Annunzio, tra le cui braccia morì il comandante dei Lupi di Toscana il maggiore Giovanni Randaccio.

 

Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi , il Pilo del Dare in brocca, cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'Anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patty Smith .

 

 

Subito dopo il Pilo del Piave, vi é un altro simbolo di riscatto allusivo alle vittorie italiane della Prima Guerra Mondiale: Il Pilo del “Dare in brocca”. Significa “colpire nel segno” ed appunto al bersaglio centrato allude il medaglione in marmo, con le frecce, disegnato da Guido Marussing. Il pilo veniva utilizzato per issare bandiere e gonfaloni.

Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal Pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le Torri degli Archivi e il Tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria Alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.

 

Nella foto, l’entrata della Prioria

 

La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto “Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli”.

Parte di Schifamondo con lo Stemma di D’Annunzio al centro

 

 

 

Lo Stemma di D’Annunzio. L’ala nuova del Vittoriale, detta Schifamondo, ospita l’Auditorium; di questi, al centro del soffitto é sospeso l’aereo SVA che D’Annunzio utilizzò per il volo su Vienna il 9 agosto 1918. Il 9 Agosto 2008, novanta anni dopo, a Gardone viene ricordata l'impresa del Volo: alcuni aerei SVA dello stesso tipo di quelli dell'Impresa, volano su Gardone gettando la riproduzione dello stesso volantino che fu lanciato su Vienna.


 

Lasciati i giardini e percorso Viale di Aligi si giunge alla Fontana del Delfino, che con la sua forma semi-circolare richiama un po' Piazza Esedra.

Percorrendo i "sentieri delle limonaie" e del giardino si arriva al frutteto ove é collocata la Canefora opera in bronzo di Napoleone Martinuzzi.


Carlo GATTI

Rapallo, 14.11.1012

 


A-VITTORIALE degli Italiani: Gabriele D'Annunzio

IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI

GABRIELE D'ANNUNZIO

Gabriele D'Annunzio

 

Gabriele D'Annunzio, principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi  (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera , 1°marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo , militare , eroe di guerra, politico e giornalista italiano , simbolo del Decadentismo italiano del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli.

Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana…» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.

Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara da famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel Collegio Cicognini di Prato distinguendosi sia per la condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica PRIMO VERE, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma , dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.

 

Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).

Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.

Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.

Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).

Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).

Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.

Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).

Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.

Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene “eroe nazionale” partecipando a celebri imprese, quali la Beffa di Buccari e il Volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione  all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare “repubblica”: la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel Museo-Mausoleo del Vittoriale degli Italiani.

Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.

Se l’Italia é un Paese di santi, poeti, navigatori e amatori... Gabriele D’Annunzio é l’emblema che raccoglie tutte queste peculiarità. Come si fa a non amarlo?

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14.11.1012


La corazzata ROMA - Giorgio Giorgerini

LA CORAZZATA ROMA

di Giorgio GIORGERINI

Questa é la seconda volta che MARE NOSTRUM-RAPALLO ospita il Prof. GIORGIO GIORGERINI, uno tra i più autorevoli storici del dopoguerra. I suoi scritti sulla Storia Navale del nostro Paese, non sono il frutto di una bibliografia recuperata nelle biblioteche, ma dall’interno delle istituzioni militari, quindi studiando la documentazione ufficiale, vera, di prima mano-originale. Il suo grande merito é stato quello d’aver consegnato all’Italia materiale scrupolosamente approfondito che non si é mai limitato alla descrizione tecnica dei mezzi navali e della dinamica delle azioni belliche. Il prof. G. Giorgerini ha scavato anche nella psicologia degli ammiragli, dei comandanti, degli ufficiali e degli equipaggi, approfondendo soprattutto gli aspetti strategici.

- Insignito del Distintivo d’Onore di frequenza dell’Istituto di Guerra maritt. per il suo contributo alle dottrine di pianificazione e strategia.

- E’ consulente e consigliere dello Stato Maggiore della Difesa.

- Collabora come analista e direttore di ricerca con il Centro Militare di Studi Strategici.

Mi sono soffermato su questi tre punti per sottolineare che il prof. G.Giorgerini

Affronterà oggi l’argomento: La corazzata ROMA da una prospettiva militare e strategica che va ben oltre i resoconti giornalistici spesso imprecisi ed improvvisati.

Il Prof. Giorgio Giorgerini é ligure  di La Spezia, vive tra Milano, Roma e Moneglia. Ufficiale nella riserva della Marina Militare, è stato:

- Docente universitario all’Università Statale di Milano

- Presidente dell’Unione nazionale dei giornalisti e scrittori del mare (UGIM) e dirigente d’importanti aziende.

- Nel 1955 è stato chiamato dall’Amm. Fioravanzo a collaborare alla “Rivista Marittima”

- Nel 1960 all’Ufficio  Storico della Marina

- Dal 1962 dirige l’Almanacco Navale (edito ogni due anni dall’Istituto Idrografico della Marina).

- Dal 1978 al 1981 ha curato la monumentale Storia della Marina (10 volumi)

- n  Nel 2000 ha ricevuto il Premio internazionale: Una vita dedicata al mare per i suoi studi navali e strategici.

Attualmente è consulente dello Stato maggiore della Marina e dirige il Forum di relazioni Internazionali.

Libri dell'autore: Giorgerini Giorgio

1950 Ha esordito giovanissimo nella pubblicazione navale con:

L’impiego della Portaerei nella Marina Italiana

19 1958:Cenni di Storia e politica navale russa

1971-1996: Le Navi da battaglia della 2° Guerra Mondiale

1974: Gli Incrociatori della 2° Guerra Mondiale

1975: Navi d’oggi: i Mezzi per l’esercizio del potere  marittimo nell'Era Nucleare.

1977: Le Battaglie dei Convogli

1981: Le grandi battaglie navali da Trafalgar a Okinawa

1985: Aerei sul Mare

1985: Il Ruolo di Malta nella Guerra del Mediterraneo

1989/2002 : Da Matapan al Golfo Persico

1994: Uomini sul Fondo-Storia del Som. Ital. dalle origini ad oggi.

1996: La Navi da Battaglia della 2a Guerra Mondiale

2000/2002: La Guerra Italiana sul Mare

2007: Attacco dal Mare-Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana

Insieme ad altri Autori ha pubblicato:

1960: Marine Militari nel Mondo

1961: Le navi di linea Italiane

1964: Gli Incrociatori Italiani

1974: Navi in Guerra

1978: Almanacco Storico Navale

1982: Il libro del Mare

Uomini sul fondo

Storia del sommergibilismo italiano dalle origini a oggi.
Un esame critico della preparazione, delle scelte tattiche, della condotta delle operazioni belliche, lo studioso traccia così per la prima volta in modo sistematico e completo l’epopea del sommergibilismo italiano, dalle gloriose origini fino al declino dei giorni nostri. Senza dimenticare che è l’equipaggio, con la sua dedizione, il suo spirito di sacrificio e spesso la sua tragica fine, a fare la storia di un sommergibile. La morte di oltre tremila sommergibilisti italiani durante il secondo conflitto mondiale fu davvero inevitabile? E soprattutto, cosa spinge un ragazzo a scegliere la vita dei sottomarini, fatta di sacrifici, pericoli e lunghissimi silenzi?

Guerra italiana sul mare (La) - La Marina tra Vittoria e Sconfitta 1940-1943

"La sconfitta reclama ad alta voce perché esige spiegazioni: mentre la vittoria, come la carità, nasconde un gran numero di peccati" (Alfred T. Mahan)

Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana.
Marinai arditi, mossi da uno straordinario senso del dovere e fedeli fino all’ultimo alle leggi dell’onore e al giuramento prestato. Mezzi tecnici ingegnosi, dovuti soltanto alla creatività e alla passione di pochi uomini. Missioni impossibili nelle basi nemiche, in cui il successo era un’esile speranza e il sacrificio della vita una concreta possibilità. E’ stato l’irripetibile intreccio di questi fattori a rendere leggendarie le gesta degli assaltatori navali della nostra Marina e, nelle luci e nelle ombre, degli incursori della X Flottiglia Mas.
Con questo suo ultimo libro, Giorgio Giorgerini ripercorre uno dei capitoli più significativi della guerra marittima combattuta dall’Italia nei due conflitti mondiali del secolo scorso, come attestano le vittorie di Premuda e Pola contro la marina austro-ungarica con l’affondamento delle corazzate Wien, Szent Istvan e Viribus Unitis, e i successi di Suda, Alessandria d’Egitto e Gibilterra contro la potente flotta britannica, che misero fuori combattimento numerose unità, fra cui l’incrociatore York e le navi da battaglia Valiant e Queen Elizabeth.
Con rigore ed obiettività l’autore affronta infine la complessa vicenda, ancora da svelare completamente, delle opposte scelte di campo compiute dopo l’8 settembre 1943 dagli uomini della X Mas. Di qui i contatti segreti tra Junio Valerio Borghese, legato alla Repubblica sociale, e i vertici di Mariassalto, schierati con il regno del Sud, in nome del superiore interesse nazionale: la salvaguardia degli impianti industriali dalla distruzione ad opera dei tedeschi e la difesa delle regioni dell’estremo nord-est dall’invasione delle truppe di Tito.

A cura di Carlo Gatti

REGIA NAVE « R 0 M A »

Intenvento di

GIORGIO GIORGERINI

II Mare Mediterraneo è sempre stato un mare appartenente alla «grande storia» attraverso Ie sue vicende succedutesi nei molti secoli scorsi, teatro nel generare civiltà e cicli di potenza. Investigando nella storia ci sono ben pochi avvenimenti nelle ere e nei secoli che non ci facciano incontrare il Mediterraneo come forgia ideale dello sviluppo dell'Umanità. Questa stessa nel suo alternarsi di fortune e sfortune, di successi e non, non ha potuto fare a meno di tenere conto dell'influenza diretta o indiretta del Mediterraneo.

Non è mia intenzione intrattenervi sulla storia del Mediterraneo, ma solo un recente avvenimento mi ha spinto a parlarne per un suo fascino intrinseco e per ciò che esso ha rappresentato verso i doveri morali dell'uomo, anche se oggi semi dimenticati, cioé l'onore, la fedeltà, la patria, la bandiera, nel rispetto dei valori comuni al nostro convivere universale. II Mediterraneo è stato ed è un teatro d'azione unico nella condivisione delle vicende storiche che hanno portato gli uomini di provenienze diverse a battersi per la difesa e il rispetto a maggior gloria del proprio credere.

Teatro di immani conflitti il Mediterraneo ne divenne uno del punti focali di questi. Naturalmente non poteva fare eccezione il suo inserimento nei grandi teatri operativi nel

corso delle ultime guerre mondiali: quella combattuta dal 1914 al 1918 e I'ultima dal 1939 al 1945 di cui, credo, una parte di noi ne conserva ancora il ricordo.

Se siete interessati all'ultima guerra mondiale, nel cui corso il fattore marittimo delle comunicazioni mediterranee é stato uno degli elementi fondamentali, ne potremo parlare più in là nel tempo, a Dio piacendo. Oggi ci soffermiamo invece su un singolo ricordo, cioé di quello che coinvolse la più grande nave da guerra italiana di tutti i tempi, ammiraglia della Flotta della Regia Marina, che mai sparò una sola cannonata contro il nemico nel corso del suo servizio di guerra, che fu poi affondata dopo essere stata centrata da due nuovi tipi di bombe lanciate da aerei dell’ancora, in quel momento, «alleato» germanico.

 

Bomba Ruhrstahl SD 1400 (bomba guidata planante FX 1400) identificata dagli Alleati con il nome di Fritz X. Era in dotazione  dalla Luftwaffe e fu utilizzata contro la  corazzata ROMA. (ordigno é esposto al RAF Museum, Hendon

Intendo, infatti, parlare di una nave, il cui ritrovamento, dopo circa 70 anni dalla sua scomparsa e ricercata vanamente sui fondali sardi del Golfo dell'Asinara, senza alcun risultato positivo, é stata finalmente ritrovata ad oltre 1.000 metri di profondità in un punto a 16 miglia dalla costa, nelle acque dove sette decenni prima era stata affondata. II relitto della corazzata Roma, questo il nome della nave, ha attratto I'attenzione della quasi totalità del mondo mediatico e la data della notizia fu quella del 4 settembre 2012: era stata affondata il 9 settembre 1943! Una coincidenza di calendario o un segno bene augurante o di rimpianto proveniente dagli abissi?

Corazzata ROMA

Ma noi, ora, vogliamo saperne qualcosa di più su questa nave da battaglia inserendola in alcuni aspetti del periodo politico-strategico nel corso della quale prese forma il progetto e la costruzione delle 4 corazzate della classe «Vittorio Veneto»: il Roma fu I'ultima ad entrare in servizio.

Queste nostre navi furono figlie degli accordi internazionali, stipulati nel primo dopoguerra, per arrivare alla riduzione delle flotte delle principali potenze marittime, a fissarne i limiti globali di tonnellaggio per ogni categoria di naviglio e di unità da battaglia {35.000 t. standard teorico; I'esigenza di ottenere un equilibrio tra protezione, armamento e apparato motore, indusse poi ad aumentare i pesi portandoli a circa 43.- 45.000 t. ed anche oltre). Fu inoltre deliberato assieme ad altre misure riduttive, che Ie potenze si astenessero per dieci anni dal costruire nuove navi da battaglia - vacanza navale - e per quelle ancora in servizio, ma eccedenti sulla quota assegnata, radiarle e avviarle alla demolizione. Queste clausole, dettate dal trattato di Washington del 1921-22 sollecitarono una nuova configurazione delle Marine imponendo mutamenti e aggiornamenti nei criteri strategici di composizione e allineamento delle flotte e nuovi criteri nello stesso impiego delle navi colpite dalle regole fissate dalle clausole di Washington.

I beneficiati degli accordi furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ove i primi ottennero i medesimi coefficienti di potenza a spese della seconda. Dopo questa evoluzione i limiti di tonnellaggio globale furono cosi assegnati: 525,000 t. alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, 305.000 al Giappone, 175.000 alla Francia e all'ltalia con lo scopo di risolvere in un secondo tempo il problema della parità navale italo-francese, cosi come invocava I'ltalia.

Sul terreno politico il via alle costruzioni concesse da Washington (trattato del 6 febbraio 1922) invece di chiudere facilmente le disposizioni del trattato, contribuì ad evidenziare lo scontento di diverse importanti Marine, fatto dovuto a una valutazione diversa dall'applicazione delle clausole e dall'insorgere di nuove crisi. Tutto ciò portò ad un inasprimento delle relazioni e degli obiettivi di potenza proprio mentre si avvertivano le prime avvisaglie di una crisi economica che si manifestò in tutta la sua virulenza, considerando lo stato debitorio di quasi tutte le nazioni, peggiorato dalle difficoltà incontrate dalla Grande Guerra e dal problema di onorare la massa di debiti contratti ampiamente con gli Stati Uniti, manovra questa forse stimolata da Washington per superare Londra nella gara per l'acquisizione del primo posto nella graduatoria di potenza mondiale.

Se si volesse datare l’avvio della crisi europea che portò alla Seconda guerra mondiale e ai primi tentativi di arginare il vento di un confronto bellico e orientarsi invece verso accordi per la riduzione degli armamenti, bisogna rifarsi al 1929. Infatti le grandi Potenze, pur essendo nuovamente in competizione tra di loro, si preoccuparono comunque di rinnovare gli accordi fissati a Washington per riportare lo sviluppo delle flotte entro i limiti ben definiti proprio in un momento in cui queste sembravano voler accelerare i tempi del loro potenziamento oltre i termini fissati a Washington. Fu cosi convocata una nuova conferenza, questa volta a Londra per allentare la pressione generata dalle tendenze al riarmo.

I lavori iniziarono il 21 gennaio 1930 cominciando coll'esaminare il problema delle navi da battaglia. Praticamente la Conferenza di Londra non dette alcun risultato concreto tranne quello di riaffermare la superiorità delle prime grandi Marine. Comparvero intanto in mare Ie navi della Germania, della Russia sovietica, mentre Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti si dedicarono a sostituire Ie vecchie corazzate con altre di nuova costruzione.

Le gemelle U.K. Nelson e Rodney

II Regno Unito si presentò con le due “Nelson e Rodney”, la Francia, di fronte al riarmo tedesco rispose;

Corazzata Classe Graf Spee

la Germania nel 1932-34, preferì optare per le 3 corazzate «tascabili» tipo “Graf Spee”; la Francia negli stessi anni avvio la costruzione delle 2 “Dunkerque e Strasbourg” da 26.500 t, 8 cannoni da 330 mm, velocità di 30 nodi.

Alla costruzione delle unità francesi, la Regia Marina rispose nel 1934 con l’impostazione delle “Vittorio Veneto e Littorio”, cui seguirono nel 1937 le altre due gemelle “Roma e Impero”. Queste unità furono le ultime corazzate che rispettarono almeno formalmente gli accordi internazionali.


Infatti, della famiglia delle tipo “Washington” (nella foto) si confrontarono in guerra le germaniche “Gneisenau e Scharnhorst” (31.800 tst; 32 nodi; 8 cannoni da 380 mm) fra le unità più famose della guerra 1939-1945); le 5 unità da battaglia britanniche della classe “King George V”: (costruite 1937-1943; 45.000 tpc; 10 cannoni da 356 mm; 28 nodi ); le 2 americane “North Carolina e Washington” (impostate nel 1937-38: 45.000 tpc.; 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi);

infine le 2 francesi “Richelieu e Jean Bart” (vedi foto sopra) impostate nel 1935-37, praticamente escluse dal servizio in guerra. Si aggiungano a queste navi di linea le favolose due corazzate tedesche, meraviglie della tecnica e del combattimento navale:

a famosa e gloriosa “Bismarck” (vedi foto sopra) e la sua gemella “Tirpitz”, (un vero trionfo per una felice combinazione fra armamento, velocità, corazzatura e ripartizione dei pesi su dislocamento a pieno carico di 50.900 e 52.600 tpc). Navi rimaste insuperate nei limiti della loro categoria e perdute comunque entrambe in duro combattimento contro un avversario più numeroso e altrettanto ben armato. L’armamento delle due tedesche era costituito da 8 cannoni da 381 mm, 12 da 152, 16 da 105 ed altre armi minori. Gli ultimi esempi delle corazzate del tipo “35.000-Washington” furono le americane classe “Alabama” entrate in servizio nel 1942, evoluzione delle “35.000”, armate con 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi di velocità e una corazzatura verticale massima di 406 mm. Le navi “Alabama, South Dakota, Indiana, Massachusetts” vantarono di essere tra le più complete e potenti del loro tipo.

Classe Iowa

Le americane “Alabama” stavano già entrando in combattimento che iniziò la breve era delle “supercorazzate” coll'entrata in squadra delle 5 navi da battaglia della classe “lowa” (vedi foto sopra) da 57.600 t.pc, mentre nei reparti di progettazione del Dipartimento della Marina, delle operazioni navali e dei cantieri più avanzati erano in via di conclusione le progettazioni per la nuova classe delle “supercorazzate” tipo “Montana” con dislocamento a pieno carico di 65.000 t.pc e con un armamento principale di 12 cannoni da 406 mm e capaci di una velocità massima di 33 nodi. Tranne le “lowa” che entrarono in servizio alla fine delle ostilità, per tutte le altre unità fu decisa la rinuncia alla loro costruzione.

La Gran Bretagna progettò 4 corazzate della classe “Lion” da 40.000 t, e 9 pezzi da 406 mm e le due prime unità furono impostate nel 1939, ma un anno dopo l'Ammiragliato ordinò l'annullamento della costruzione per il motivo principale che nel conflitto che si stava combattendo le corazzate non avevano più molti compiti da assolvere. Ciò non vietò a Londra di mettere comunque in cantiere una nuova nave da battaglia di «rappresentanza» da figurare come simbolo che nel mare risiedeva il segreto del suo secolare potere maritttimo.

Fu cosi la volta del “Vanguard” ( foto sopra) da 43.000 t., 8 pezzi da 381 mm ed altri minori. Entrò in servizio nell'aprile 1946.

L'ultimo esempio di supercorazzata entro in servizio nell'ultima parte del Secondo conflitto mondiale. Si trattò delle due giapponesi “Yamato e Musashi” con un dislocamento di 72.809 t.pc, lunghe 263 m e larghe circa 40 m, con armamento principale di 9 pezzi da 460/45 mm, e oltre ad un numeroso armamento medio calibro da 155 a 127, cui si aggiunsero sino a 150 mitragliere da 25 mm per la difesa antiaerea.


Gli studi per queste navi iniziate nel 1934 ed entrarono in servizio nel 1942 e 1943. Veri giganti del mare dovettero affrontare la nuova padrona dei mari: la nave portaerei. Non poterono mai essere impiegate convenientemente con la sola eccezione della Yamato che aprì una sola volta il fuoco durante la battaglia di Leyte neIl’ottobre 1944. Fu la fine definitiva della corazzata, quasi imbelle di fronte alla proiezione distruttiva delle navi portaerei che sostituirono le navi da battaglia nel ruolo di capital ship.

Delusione fu a carico della Marina germanica che dovette rinunciare ad un piano di corazzate straordinariamente grandi e armate: il tipo « H », di cui si ebbe l'incoscienza di impostarne 2 nel 1939, ma di rinunciarne poi a breve distanza di tempo. L'ultima versione di questo tipo fu del tutto irreale: infatti si arrivò al tipo “H 44” con le enormi caratteristiche di 141.500 t.pc di dislocamento, 280.000 HP di potenza dell'apparato motore, 30 nodi di velocità e un armamento principale di 8 cannoni da 500 mm.

E arriviamo all'italiana Roma !

Terza della classe di 4 unità della classe “Vittorio Veneto”, fu varata nei cantieri triestini due anni dopo l'entrata in guerra dell'ltalia, presentando una serie di miglioramenti rispetto alle due navi precedenti. Bella nave, elegante nelle sue forme ben avviate, ben compariva nel raffronto con le analoghe e contemporanee unità del medesimo tipo. Corse il rischio di rimanere incompleta sullo scalo per deficienza di risorse materiali e finanziarie che furono reperite a carico di altre unità. II 21 agosto 1942 lasciò Trieste per raggiungere il porto di fine allestimento a Taranto imbarcando ancora maestranze del cantiere per completare i lavori di fine allestimento. Comunque entrò subito in squadra impegnandosi in un ciclo di prove di tiro che terminarono coll'invio della nave a Napoli per proseguire poi verso la base della Spezia, dove rimase dislocata sino al suo trasferimento a Genova per un breve periodo di lavori. Il Roma rientrò alla Spezia dove il 5 e il 23 giugno 1943, colpita da bombe d'aereo durante incursioni anglo-americane, riportò danni abbastanza sensibili, tanto che il 1° luglio l'unità fu costretta a portarsi a Genova per le necessarie riparazioni. II Roma tornò alla Spezia il 13 agosto dove riprese il prestigioso ruolo di nave ammiraglia delle forze da battaglia della Regia Marina, issando l'insegna dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle forze navali. (vedi foto sotto)


L'8 settembre 1943, come in tutta l'ltalia, si abbattè sulla flotta la notizia della resa incondizionata alle Potenze alleate e l'ordine a tutte le navi in condizione di prendere il mare, di dirigere verso la base britannica di Malta con ben in vista i segnali della resa.

Tutto  ciò  che  seguì  e  che   rappresentò  le  drammaticissime fasi conseguenti all'annuncio della resa (la formula per gli Alleati fu “ltaly surrendered”) è ancora oggi sottoposta ai giudizi più diversi che vanno dal “non accettare la resa” – “affondare le navi” – “continuare a combattere accanto alla Germania per riscattare l'accusa di tradimento” – “rivendicare l'onore e la dignità ritenute perdute dopo il rovesciamento di fronte” – “accettare la decisione di ciò dopo 39 mesi di guerra che avevano dimostrato la colpevole e superficiale condotta del governo e della Casa Reale” – “La ragione del più o meno criticato ordine di assumere una rotta che conducesse alla Maddalena per poi ritirarlo e riprendere la navigazione per sud verso Biserta. Di altri ordini e direttive se ne potrebbero ricordare. Ma nel nostro Paese nessuno ha mai voluto fare i conti col passato” !

Già al momento della sua impostazione si palesarono i primi sintomi negativi della sua esistenza: la critica condizione delle finanze, delle capacità industriali e delle materie prime fecero correre il rischio alla nave di essere rinviata all'infinito o annullata. Le stesse maestranze dei cantieri protestarono per la situazione che toglieva posti di lavoro. La situazione fu superata per intervento diretto del Duce, sollecitato dagli esponenti politici e industriali di Genova. Denari e materiali furono reperiti dall'accantonamento per altre unità navali, rinunciando alla costruzione di navi senz'altro più necessarie del Roma,

come potevano essere alcuni dei piccoli incrociatori leggeri della classe «Capitani Romani» ritenuti più validi per le operazioni navali nel Mediterraneo consolidatesi nelle forme di guerra al traffico.

La sorte di queste quattro grandi navi va ricordata nella loro drammaticità. L'lmpero risultò essere finanziata solo fino al completamento dello scafo e poi abbandonata e il relitto fu ritrovato a Trieste semi affondato per bombardamento aereo. Il Roma, come si è già accennato, fu perduto il 9 settembre 1943 per bombardamento aereo da parte Luftwaffe germanica, «alleata» sino al giorno prima, e s'inabissò spezzata in due tronconi nelle acque dell'Asinara.

II Vittorio Veneto e il Littorio furono condannati dal Trattato di pace del 1947 alla demolizione e scomparvero sotto la fiamma ossidrica a La Spezia.

Ciò che accadde alle navi, subito dopo l'arrivo della notizia della resa, meriterebbe ora una vasta disquisizione sulle reazioni che manifestarono singolarmente e collettivamente: Ammiragli, Comandanti, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai. La disciplina tenne, al di la’ di quelli che poterono essere i sentimenti di ogni singolo, dall'Ammiraglio Bergamini all'ultimo marò, con eccezioni minoritarie.

Posizione del relitto della corazzata ROMA


II recente ritrovamento del Roma da parte dell’ing. Gay (nella foto) è una grande impresa che certamente meriterà una continuazione garantita perchè potrebbe farci rilevare elementi che aiutino ad una ricostruzione più completa e puntuale degli eventi. Ogni passo avanti sarà per me una grande soddisfazione perchè, perdonate il riferimento personale, nel 2002, partecipai alla preparazione del Progetto «Fenice», presieduto dall'Ammiraglio Mario Burachia, destinato proprio alla ricerca significativa di relitti di importanza storica per la Marina italiana. In primo luogo il programma di ricerca fu indirizzato al ritrovamento del Roma, ovviamente intorno al punto del suo affondamento nelle acque dell'Asinara e delle Bocche di Bonifacio. II gruppo navale da assegnare a questa campagna di ricerca si sarebbe dovuto comporre di 2 cacciamine della classe “Gaeta”, della nave appoggio ricerche subacquee Anteo, di mezzi speciali subacquei di ricerca, identificazione e ripresa quali il Pluto-2 sino a 100 e più mt. di profondità, al battelio subacqueo pilotato da grande profondità sino ad oltre 300 mt, scafandro rigido, torretta batiscopica, di specialisti in operazioni subacquee e quanto altro di più avanzato si fosse potuto rinvenire.

II Progetto «Fenice» si concluse con un nulla di fatto: lo Stato Maggiore della Marina ritirò l'assenso sia per le condizioni politiche dell’epoca, specie nell'area Adriatica, sia per il fatto che non vi erano disponibili le necessarie risorse finanziarie.


Siamo ansiosi di poter visionare, quando possibile, ciò che l’ing. Gay (vedi foto sopra) e riuscito ad ottenere dalle sue apparecchiature possibilmente arricchite dalle immagini di ulteriori ritrovamenti.

Non poche ombre continuano ad agitarsi sull'affondamento del Roma e sulla scomparsa di oltre 1.350 uomini dell'equipaggio e sulle tristi vicende della resa con tutto quello che ne conseguì. Un riesame della storia forse metterebbe a proprio agio molti, tutti di noi che indossammo la divisa blu e che avvertiamo ancora un brivido quando leggiamo scolpito sull'alto delle nostre sedi istituzionali il motto «Patria e Onore» e la nostra Bandiera navale sventolare ad ogni vento.

 

 

FINE

(foto del webmaster Carlo Gatti)

Rapallo, 30 ottobre 2012


I VICHINGHI avevano una bussola di cristallo

LA BUSSOLA DEI VICHINGHI

LO SPATO

Alcune saghe nordiche narrano di una ‘pietra del Sole' che puntata verso il cielo, rivela sempre la posizione del Sole. Sembra magia! Ma oggi gli scienziati, ci dicono che l'eliolite o spato d’Islanda potrebbe aver aiutato i Vichinghi ad attraversare l'Atlantico settentrionale.

Imbarcazione “Draken” vichinga

Chi arrivò per primo in America, Erikson o Colombo?

Il tema, oltre a coinvolgere da molto tempo la curiosità della gente e del mondo della scuola, oggi stimola anche la scienza che pare sempre più vicina a formulare quel verdetto che farebbe comodo, soprattutto, a chi vanta la primigenia della scoperta più importante della storia moderna.

Sulla performance del nostro conterraneo Cristoforo Colombo non vi sono dubbi. Manca solo la prova TV che certifichi l’impresa con le immagini in diretta, ma le altre prove ci sono tutte e sono sufficienti!

Quindi, la domanda é tutta rivolta agli ipotetici viaggi di Leif Erikson che, sebbene siano supportati da antiche saghe e dal ritrovamento di reperti di vita quotidiana, tombe, resti umani e d’imbarcazioni rinvenuti in Nord America, non trovava, almeno fino a ieri, risposte adeguate sulla ripetibilità ‘scientifica’ delle traversate atlantiche.

E tuttora ci si chiede: con quali strumenti il coraggioso vichingo arrivava in Nord America e ritornava in Norvegia conoscendo, lui e quasi tutti noi, le insidie meteorologiche e le difficoltà nautiche che s’incontrano, oggi come ieri, in quelle latitudini?

A questa ricorrente domanda, alcune Università tentano di dare una risposta adeguata al nuovo millennio tecnologico facendo scendere in campo: scienziati, filologi, geologi e naturalmente astronomi e navigatori. Il team é guidato da archeologi, che di solito procedono molto lentamente, ma forniscono solo prove scientifiche.

La bussola dei Vichinghi

 

L’avventura scientifica parte da poche righe riportate da alcune saghe islandesi incentrate sull'eroe Sigurd che narrano delle cosiddette ‘pietre del sole’, una varietà trasparente della calcite: lo spato d'Islanda, un cristallo trasparente relativamente comune in Scandinavia che viene ancora utilizzato in alcuni strumenti ottici.

Si legge nella saga che durante le nevicate e nei giorni nuvolosi: “Olaf prese la pietra del Sole, guardò in cielo e vide da dove proveniva la luce, così da risalire alla posizione dell'invisibile Sole”.

Pare che i Vichinghi riuscissero a localizzare la posizione del sole per ottenere l’ora solare di bordo, ma anche un punto-nave approssimato di riferimento con calcoli semplici.*

La prima interpretazione la diede nel 1967 l'archeologo danese Thorkild Ramskou suggerendo che tale pietra poteva essere lo spato d'Islanda (un cristallo polarizzante). Un filologo specialista dell’antica lingua norvegese dell’Università di Copenhagen precisò: “Su questi vecchi papiri si dà per scontato che tutti conoscessero l’uso di questi cristalli”.

Nel 1969, un altro archeologo danese ipotizzò che lo spato islandese si potesse basare sulla polarizzazione della luce solare.**

Un pezzo di ‘spato islandese’, ritrovato di recente sul relitto della nave britannica Alderney affondata nel 1592, ha spinto Guy Ropars, fisico dell'Università di Rennes (Francia), a condurre interessanti esperimenti di laboratorio. Ropars e i suoi colleghi hanno irradiato il pezzo di spato islandese con una luce laser in parte polarizzata. Tralascio la dimostrazione scientifica per evitare l’emicrania a chi ci legge, e passo direttamente ai risultati pratici.

L'équipe di studiosi ha arruolato 20 ufficiali di marina volontari che, a turno, hanno guardato attraverso il cristallo nei giorni nuvolosi, cercando di localizzare la posizione del sole. Si è scoperto che, in media, i volontari riuscivano a trovarla con un solo grado di errore, sui 360° in cui tradizionalmente è divisa la volta celeste.

Rilevatore del sole

L’équipe di Guy Ropars ha realizzato una scatoletta, chiusa da due piccole tavole di legno, una delle quali, forata, lascia passare un raggio di luce. Fra le due tavolette è collocata la calcite. La luce, passando attraverso la ‘pietra del Sole’, si divide in due raggi che proiettano due deboli macchioline di luce (visibili nella foto sopra).

Spostando a caso la scatola c’è solo una posizione in cui le due macchioline si equivalgono in brillantezza. Ropars la spiega così: "La direzione del Sole può essere facilmente determinata grazie ad una semplice osservazione basata sulla differenziazione tra le due immagini prodotte dallo spato d’ Islanda”.

Il risultato é quindi una ‘direzione’, un rilevamento dell’astro da cui procedere per tracciare la rotta sulla carta nautica.

Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica britannica Proceedings della Royal Society A, riporta che:

"Può essere raggiunta una precisione di pochi gradi, anche in condizioni di luce crepuscolare”.

Anche senza alcuna conoscenza scientifica sulla polarizzazione, i vichinghi hanno potuto facilmente osservare le proprietà di questo cristallo e usarlo per trovare il Sole a colpo sicuro.

I risultati confermano che: "lo spato islandese è un cristallo ideale, che può essere usato con grande precisione" per localizzare il sole, sostiene Susanne Åkesson, ecologa dell'Università di Lund, in Svezia. “Rimane da stabilire”, prosegue la studiosa, "se e quanto fosse usato lo spato islandese" ai tempi dei vichinghi. Su questo punto la fisica non può dare risposte. ***

Secondo il nostro modestissimo punto di vista, un dato ci pare certo: I Vichinghi furono esperti navigatori capaci di attraversare migliaia di miglia nautiche in mare aperto tra Norvegia, Islanda e Groenlandia. Tuttavia, nell'estremo Nord, in estate, la luce perpetua del giorno avrebbe impedito ai vichinghi di navigare riferendosi alle stelle, inoltre, non conoscevano l’astrolabio per la misurazione dell’altezza degli astri, già in uso nel Mediterraneo, e neppure la bussola che fu introdotta in Europa soltanto nel XII secolo e che, essendo così vicini al Polo Nord, il suo uso sarebbe stato impreciso e limitato. L’uso dello spato islandese potrebbe quindi, per esclusione, essere la spiegazione di quelle avventure apparentemente impossibili.

Il dibattito é tuttora aperto: Sean McGrail, studioso dell'Antica Navigazione Marittima del Nord Atlantico presso l’Università di Oxford, ritiene questi studi molto interessanti, ma aggiunge che mancano vere prove che indichino l'utilizzo di tali cristalli presso i Vichinghi: “Puoi mostrare come potevano usarli, ma questa non è una prova”, dice. “Le persone avevano navigato a lungo, molto prima di questa pietra, senza alcun strumento”.

Conclusione: 14 novembre 2011 - Christian Keller, uno specialista di archeologia della navigazione presso l'Università di Oslo, spiega: “le documentazioni scritte pervenuteci suggeriscono che i Vichinghi e i primi marinai medievali attraversavano il nord Atlantico usando la posizione del Sole come guida nelle giornate limpide, in combinazione con le posizioni delle coste, le rotte dei voli degli uccelli, i percorsi di migrazione delle balene e le nuvole lontane sulle isole” e conclude: “Non c'è bisogno di essere un mago, ma c'è bisogno di mettere insieme un sacco di diversi tipi di osservazioni”. Keller si dice completamente aperto all'idea che i Vichinghi usassero anche le pietre del Sole, ma aspetta testimonianze archeologiche. “Se troviamo un relitto con un cristallo a bordo, allora sarei felice”.

NOTE: * Per capirne di più, ho scelto la definizione più semplice tra quelle trovate sul web: “La luce consiste di onde elettromagnetiche che oscillano perpendicolari alla direzione del viaggio stesso della luce. Quando le oscillazioni puntano tutte nella stessa direzione, la luce è polarizzata. Un cristallo polarizzante come la ‘calcite’ permette solo alla luce polarizzata in certe direzioni di attraversarla e può apparire luminosa o scura a seconda di come è orientata rispetto alla luce. In questo modo, è possibile dedurre la posizione del Sole, una tecnica peraltro usata anche da alcuni insetti, tra cui le api domestiche, per orientarsi”.

** L’altezza del sole, misurata al culmine dell’arco tracciato nella giornata, é pari alla latitudine dell’osservatore.

*** Gábor Horváth, ricercatore ungherese della Eötvös University, e Susanne Åkesson, studiosa svedese della Lund University, testano queste ipotesi dal 2005. Il loro studio è stato pubblicato su un numero speciale del Philosophical Transactions of the Royal Society B dedicato alla ricerca biologica sulla luce polarizzata.

Carlo GATTI

Rapallo, 11.9.2012

 


Da BORNHOLM a PEENEMÜNDE

DA BORNHOLM A PEENEMUNDE

Mare Nostrum in giro per il BALTICO

Bornholm, conosciuta come “La Perla del Baltico”, fa sfoggio di dune ondulate di sabbia bianca a sud e rocce frastagliate di tipo mediterraneo sul versante opposto che contrastano con la tipica flora nordica composta di betulle dal tronco bianco, pini e abeti. Oltre  alla bellezza dei suoi paesaggi, l’isola ha un clima molto mite rispetto alle regioni circostanti e dal 2000 è iniziata una timida produzione di vino, soprattutto rosso. Un settore certamente di nicchia, ma in sensibile crescita e dal 26 giugno 2007, la Danimarca è ufficialmente entrata nel novero dei paesi produttori di vino.

La sua particolare posizione al centro del Baltico attira turisti scandinavi, tedeschi, polacchi, russi e delle repubbliche baltiche ormai tutto l’anno, grazie anche al formidabile shuttle di moderni e veloci traghetti che viaggiano tutto l’anno con qualsiasi tempo.

L’isola é situata a 167 Km da Copenhagen e a 37 Km dalla Svezia, ha una superficie di 588 Km2 (due volte l’isola d’Elba) ed una linea costiera che si snoda per 158 chilometri con ottime strade che collegano i Comuni più distanti in meno di mezz’ora d’auto. La popolazione è di  43.000 abitanti, ma in estate si raddoppia, il suo capoluogo è Rønne (8.000 abitanti),  il cui porto é il centro di smistamento turistico e commerciale dell’isola.

 

 

 

 

 

 

Ecco come si può presentare un pranzo sull’isola di Bornholm

 

 

Da un gozzo “quasi ligure”, ormeggiato all’interno di questa røgeri di Gudhjem, al costo moderato di 17 euro, ci si può servire, ma anche ‘abbuffare’ di aringhe affumicate ed altri pesci baltici, di crostacei di varie misure e colori, e per i gusti carnivori non manca il cervo dell’isola che viene gustato con una nutrita  variante di verdure in salse agrodolci.

 

 

Le due, in questo caso tre ciminiere assicurano la vicinanza di una røgeri e quando il fumo o il profumo raggiunge le narici significa che la struttura é pronta a ricevere il pubblico. In pratica giorno e notte...

 

Gudhjem. A sinistra un moderno affumicatoio. Il particolare disegno della ciminiera viene adottato, con misure certamente più estetiche, anche da molte ville private in omaggio alla tradizione. A destra il mulino del paese, uno dei tanti che svettano sull’isola.

 

Esplorando Bornholm si rimane affascinati dalle numerose tipicità che vi sono fiorite nell’arco dei secoli; la più popolare è quella dell’aringa affumicata che i turisti scoprono negli affumicatoi (røgeri-smockhouse) in cui il pesce viene cucinato e gustato a sazietà tra antichi cerimoniali e capienti boccali di birra locale. Un’altra curiosità é la lingua. Gli abitanti dell'isola parlano il danese della madrepatria, ma tra loro usano una variante dialettale chiamata bornholmsk, difficile da capire anche per i danesi del continente. L’inglese è la lingua-rifugio parlata da tutti per favorire i contatti umani, turistici e culturali. Si tratta dell’indispensabile risorsa per chi desideri conoscere questo speciale  microcosmo e gustarsi una vacanza rilassante.

 

Ecco come si presenta il giardino interno di  una pensione di Allinge

 

 

 

 

Le villette antiche, come quelle moderne, rispettano lo stile isolano e sono raffinate, curate nei dettagli e sono immerse in giardini o piccoli parchi naturali artisticamente ridisegnati.

 

 

Certi scorci tra i vicoli che scendono nei porticcioli ricordano alcune località della nostra riviera con i loro negozi eleganti  forniti di prodotti d’artigianato locale: quadri, tessuti lavorati a mano, sculture in rame, in legno. Ma la vera eccellenza dell’isola é la lavorazione del vetro e della ceramica, che qui ha trovato la sua massima espressione artistica. Gli isolani sono sempre sorridenti e disponibili come  un tempo lo eravamo noi mediterranei, quando sapevamo contagiare i nordici con un sentimento gioioso della vita….. Oggi dobbiamo prendere atto che questo nostro ‘perduto’ prodotto d’esportazione ha trovato ospitalità ed ha messo le radici in una felice isola sperduta del Baltico dove tutto appare paradisiaco e davvero speciale: il traffico è minimo, i posteggi sono gratis, lo stress è azzerato e lo si vede nel sorriso della gente e nelle loro linee ‘cicciottelle’ che sono ben lontane da quelle isteriche e ‘rifatte’ molto in auge dalle nostre parti.

 

 

Nel corso dei secoli molti pittori si sono lasciati incantare dalla luce di Bornholm. Verso la fine del XIX secolo l’isola ha attratto personaggi come Zartmann, Drachmann e Michael Ancher, nato a Bornholm. In quest’atmosfera di semplicità e naturalezza, è nata la cosiddetta scuola artistica di Bornholm che fu fondata da un gruppo di pittori danesi attivi sull'attigua isoletta di Christiansø sulla scia dello svedese Karl Isakson (1878-1922) e di Edvard Weie (1879-1943) che intorno al 1911 vi soggiornarono riscontrando condizioni ideali per il loro atto creativo.

La scuola di Bornholm è stata spesso accostata alla corrente artistica dei Fauves, da cui si distinse per il non completo distacco dalla realtà e per la scelta del colore come strumento principe della espressività.
L'artista più brillante fu Weie, considerato uno dei più importanti coloristi danesi, che negli anni venti assunse tendenze romantiche e narrative. Olaf Rude (1888-1957), si aggregò alla scuola di Bornholm pur avendo subito varie altre influenze, da quelle parigine al Cubismo, e si mise in luce per le sue costruzioni plastiche. Anche Kraesten Iversen (1886-?), dopo una fase decorativa barocca, e soprattutto Oluf Höst (1884-1966) nativo di Gudhjem, con le sue visioni di spiagge, di pescatori e bagnanti e con la sua narrazione della natura sfiorante il misticismo, rappresentarono altri importanti esponenti della scuola che restò in auge per tutta la prima metà del XX secolo. Nel campo letterario Martin Andersen (1869-1954) nativo di Nexø lasciò oltre 1.000 scritti tradotti in 44 lingue, tra cui il celebre “Pelle il conquistatore” che raggiunse fama internazionale con il film omonimo vincitore dell’Oscar del miglior film straniero nel 1987.

Altre peculiarità che emergono dall’isola di Bornholm le incontreremo tra breve accennando alla sua storia. Iniziamo dalle fonti archeologiche e toponomastiche in cui si legge che i Burgundi provengono dall'isola di Bornholm in Danimarca (antico norreno: Borgundarholm). I popoli germanici orientali, rispetto ai settentrionali, migrarono dalla Scandinavia fino alle rive orientali dell'Elba (Vandali, Burgundi, Goti, Rugi ed altri). Da questa regione, agli inizi dell'era cristiana partirono le popolazioni di stirpe Burgunda, che attorno al VI secolo occuparono la regione a nord-ovest dell'arco alpino italiano. L'isola di Bornholm è sempre stata contesa dalle potenze nordiche per la sua posizione strategica al centro del mar Baltico, ha una storia lunga come sito  militare, politico  commerciale e fu un punto chiave per i commerci della Lega Anseatica. Tuttavia, come vedremo, l'impresa riuscì soltanto alla Germania che la occupò per cinque anni durante la Seconda guerra mondiale.

Una delle quattro Rundkirke (chiesa-fortezza rotonda) di Bornholm, con la torre campanaria a sinistra, introducono il tema dei Templari.

 

 

Interno di una Rundkirke. Una massiccia colonna regge il peso della struttura. Sotto, la complessa  palificazione che sostiene la cupola conica della Chiesa.

 

Una fonte battesimale di questo tipo e una pietra runica si trovano in tutte le quattro Rundkirke.

 

Uno dei capitoli più importanti della storia dell’isola ruota, ancora oggi, intorno al mito dei  Cavalieri Templari. Non si sa esattamente quanto ci sia di vero ma, ormai da molto tempo, sull’isola é esplosa la curiosità per la letteratura giallistica sul mitico Tesoro dei Templari”. A questo richiamo storico, non é mancato l’apporto del cinema e dei canali tematici SKY che non sono rimasti estranei all’affascinante argomento. Com’é noto, il potentissimo ordine religioso-militare che possedeva 870 castelli, fortezze e chiese tra l’Inghilterra e la Terrasanta, raggiunse il suo apice nel 1307, ma cadde poco dopo in disgrazia quando il re francese Filippo il Bello (1268-1314) decise d’impossessarsi delle loro ingenti risorse usando perfidi rumours, sottili bugie e volgari calunnie che portarono all’arresto ed alla esecuzione della ‘quasi’ totalità dell’Ordine. Una parte dei Templari riuscì a fuggire riparando sull’isoletta di Bornholm per nascondersi insieme al loro tesoro (forse) nelle quattro chiese-fortezza che sono simili tra loro e vantano linee architettoniche originali e uniche al mondo. Nel 1149, tre dei quattro cantoni dell’isola furono donati dal re danese al vescovo di Lund* e fu proprio sotto l’arcivescovo Eskil ed al suo successore Absalon, un vero eroe nella lotta contro i vandali, che furono costruite le quattro ‘Rundkirke’ di Bornholm.

Alcuni documenti attestano la presenza dei Cavalieri Templari a Bornholm in concomitanza con le spedizioni delle Crociate del Nord. Queste campagne militari non ebbero la risonanza storica paragonabile a quelle organizzate per la liberazione del Santo Sepolcro in Terrasanta, ma furono di grande importanza per la cristianizzazione dei popoli scandinavi che era cominciata intorno al 1000. Abbiamo inoltre scoperto che la pirateria non fu un’attività esclusiva di alcuni popoli della sponda meridionale del Mediterraneo, ma per gli stessi motivi economici e religiosi si rivelò una piaga anche nel Mar Baltico e dintorni per opera di scorrerie e massacri compiuti da pirati estoni, slavi e vandali che trovarono, proprio nei Cavalieri Templari, degli implacabili difensori del Cristianesimo.

 

In queste immagini, due giovani falconieri si esibiscono con l’aquila di mare, il falco pellegrino e un biancone. Ma durante lo spettacolo hanno volato anche la poiana di Harris, un grande avvoltoio, un maxi pappagallo e molti altri piccoli e medi rapaci. La pratica di questa antica e nobile arte s’incastona perfettamente nella tradizione medievale dell’isola di Bornholm.

 

Le ricerche continuano a pieno ritmo e si spera che gli archeologi possano presto dipanare la matassa che avvolge il mistero del Tesoro dei Templari che sarebbe stato messo al sicuro da queste parti.

 

Sull’isola svettano ben 21 campanili di Chiese, alcune risalgono al XI secolo ed hanno al loro interno tesori artistici di grande pregio che fanno stilisticamente riferimento alla scuola religiosa di Lund, i cui arcivescovi ebbero da Roma, per molti secoli, il Primato Ecclesiastico per la diffusione del cattolicesimo in Scandinavia.

 

 

Nella navata centrale di quasi tutte le Chiese luterane di Bornholm, é appeso un famoso veliero ottocentesco che rappresenta (forse) un ex voto, ma sicuramente il legame tra i marinai ed il mondo spirituale.

 

Un capitolo a parte riguarda Bornholm nella Seconda guerra mondiale

 

 

Rønne, Museo della Guerra: una bomba d’aereo sovietica inesplosa e reperti della Wermacht.

Priva di difesa militare e di attitudine al combattimento, la piccola e pacifica Danimarca entrò praticamente disarmata nell’inferno del XX secolo. Alcuni storici affermano che i danesi  non si erano più ripresi dalla distruzione della loro flotta a Copenaghen da parte di Nelson che li aveva sospettati di resa nei confronti di Napoleone. Il Terzo Reich non faticò quindi ad occuparla nel 1940. La  pacifica Danimarca capitolò senza combattere. L’onore dei danesi, come vedremo, fu comunque salvato da numerose azioni della Resistenza che fu tutt’altro che passiva e arrendevole.

 

BORNHOLM IN GUERRA: Il 9 aprile del 1940, venne diffuso il messaggio che Hitler aveva invaso la Danimarca continentale e la Norvegia. Gli abitanti della piccola Bornholm s’aspettavano quindi da un momento all’altro lo sbarco dei tedeschi sull’isola. Infatti, il 10 aprile 1940, per la prima volta dopo il 1658, truppe nemiche entrarono nel porto di Rønne. Inizialmente i tedeschi usarono i guanti di velluto nel tentativo di nazificare pacificamente la popolazione. Il comando tedesco affidato alla Gestapo, agì subdolamente affermando che l’invasione tedesca aveva lo scopo di difendere la popolazione dell’isola dall'imminente invasione degli alleati. Ma la popolazione locale non credette una sola parola di quella messa in scena e rispose organizzando un movimento segreto che presto imparò a combattere sopra e sotto terra contro un nemico ben conosciuto per la sua efficienza e crudeltà. La risposta degli isolani fu quindi astuta e diplomatica facendo credere al nemico di accettare passivamente la loro presenza essendo consapevoli dei benefici che ne traevano. Nella realtà, i coraggiosi isolani danesi attuarono veri e propri atti di sabotaggi di centraline elettriche e linee telefoniche, ma anche di strutture d’interesse militare. I tedeschi a poco a poco dovettero registrare numerosi danni e, naturalmente, reagirono con terribili rappresaglie contro i presunti autori e le loro abitazioni. Sorse in breve tempo un’organizzazione di agenti che facevano la spola tra Bornholm, Copenhagen e la Svezia mascherandosi da turisti e operatori commerciali, ma Il loro vero scopo era duplice e di ben altra natura: trasferire materiale bellico sull’isola per mezzo di pescherecci locali ed evacuare i piloti alleati che si erano salvati con il paracadute dopo essere stati abbattuti dalla Flak tedesca, o forse erano rimasti senza carburante ma, come é più probabile, si erano persi tra le nebbie baltiche ed erano atterrati sui numerosi campi di avena dalle dolci pendenze. Molte di queste azioni furono portate a termine con coraggio, ma costarono la vita a parecchi giovani partigiani. Tuttavia, il colpo più importante della Resistenza danese di Bornholm fu realizzato nel campo dello spionaggio militare.

 

 

Gli alleati, come si seppe in seguito, erano completamente allo scuro di ciò che accadeva nella vicina Peenemünde, (isola di Usedom nel Land del Maclemburgo-Pomerania anteriore) che dista solo 115 km in linea d’aria da Bornholm, dove una sezione speciale di scienziati del Terzo Reich, guidata da Wernher von Braun, costruiva e sperimentava lanci di armi micidiali note con le sigle: V-1  e  V-2, ma anche aerei a reazione che superavano in velocità gli Hurricane e gli Spitfire inglesi di oltre 200 K/h e almeno altri 20 tipi di armi tra cui minisommergibili, giganteschi cannoni, fucili che sparavano dietro agli angoli delle case. Anche la bomba teleguidata PC-1.4400X (Fritz) che colpì la corazzata italiana Roma era stata progettata e testata a Peenemünde.

 

Nei paraggi di questo sito segreto, si parla della vicina isola di Rügen (vedi cartina), si sarebbero sperimentati gli effetti della prima bomba atomica ‘sporca’ (sulla pelle di chi, non é ancora dato di sapere?) come sostiene lo storico berlinese Rainer Karlsch nel suo saggio Hitlers Bombe pubblicato nel marzo 2005.

 

 

 

 

Museo di Peenemünde: (sopra) Alcuni tipi di missili progettati e sperimentati.

Foto sotto : V-1 sulla rampa di lancio.

 

SCHEDA:  Fieseler Fi 103 "Cherry Stone" (V-1)

Testing of the Fi 103 flying bomb at the air force testing site at Peenemünde-West  began in the autumn of 1942. The first Fi 103 was launched from the ramp on 24th December 1942.

From the June 1944 the flying bomb was used as the V.1 weapon of terror against cities in Western Europe. Approximately 22.000 V1s were launched against these targets.

Lenth: 7.74 m

Wing span: 4.90 m

Engine: Argus-Smidt AS 014 pulsed jet engine

Net load (explosive): 830 kg

Speed: max. 700 km/h

Flying altitude: 3.000 m

Range: up to 300 km

(Fonte: fotografia della scheda scattata presso la V.1 a Peenemünde)

 

Bomba volante V-1 (ulteriore approfondimento)

La bomba volante V-1 fu il primo missile da crociera operativo, utilizzato dalla Germania negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Designata originariamente Fieseler Fi 103, venne ribattezzata V-1 a fini di propaganda. La sigla sta per Vergeltungswaffe 1, arma di rappresaglia 1 in tedesco, un'idea di Joseph Goebbels.

La V-1 pesava 2100 kg, ed era dotata di un pulsoreattore da 300 kg di spinta. Inizialmente portava una testata bellica da 830 kg, poi ridotta per aumentare l'autonomia, che inizialmente era di soli 240 km. La V-1 era molto imprecisa, ma facile da costruire, e si stima che abbia danneggiato o distrutto una notevole quantità di edifici e di fabbricati. Degli oltre 29000 esemplari costruiti, circa 9000 vennero lanciati verso l'Inghilterra. Di queste, oltre 4000 furono abbattute dai caccia alleati: il caccia inglese Hawker Tempest, con le sue eccellenti prestazioni a bassa quota, fece la parte del leone con 638 abbattimenti accertati.

 

LA V-2

 

 

 

Museo di Peenemünde:  V-2 (Aggregat 4)  -

 

 

SCHEDA: Aggregat 4 (A4) liquid fuel rocket - Prototype 4 Built 1942 in Peenemünde.

The first successful launch took place on 3rd October 1942. A range of 190.6 km with a ceiling of 84.5 km was achieved during a flight that lasted 4 minutes and 56 seconds.

Height : 14.036 m

Diameter : 1.651 m

Take-off weight : 12.900 kg

Speed: 1.340 m/s (4,824 km/h)

Fuel: approx. 5 t liquid oxygen

 

The colour of the rocket and the picture of the "Woman in the Moon" are in accordance with the original paintwork.

 

 

 

 


Cartina delle località citate:  in alto a sinistra il Sud-Svezia, in alto a destra l'isola di Bornholm,  a sinistra in basso l'isola di Rügen. Peenemünde è l'isola al centro in basso.

Bombe volanti V-2

 

La V-2 fu un precursore dei missili balistici utilizzato dalla Germania durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, in particolare contro Gran Bretagna e Belgio. La sigla V-2 sta per Vergeltungswaffe 2, (arma di rappresaglia 2 in tedesco, un'idea di Joseph Goebbels) per fini di propaganda. Il missile era designato dai suoi progettisti come A-4 (Aggregat 4).

Già dal 1927, i membri della Società tedesca sui razzi iniziarono i primi test sui razzi a combustibile liquido. Nel 1932, la Reichswehr (la Difesa Nazionale Tedesca) s’interessò degli sviluppi di questi test soprattutto per il settore militare, e una squadra condotta dal Generale Walter Dornberger rimase molto impressionata dal test di un vettore progettato e costruito da Wernher von Braun. Nonostante le caratteristiche di questo primo razzo fossero molto limitate, Dornberger riuscì ad intuire la genialità di Wernher von Braun e quindi lo spronò ad entrare nell'esercito al fine di continuare lo sviluppo delle sue ricerche.

 

 

Le informazioni destinate agli Alleati erano molto precise e dettagliate essendo ravvicinati gli avvistamenti di ordigni volanti che si proiettavano sempre più spesso sui cieli di Bornholm. A volte lo erano anche troppo: secondo alcune testimonianze, pare infatti che alcuni razzi fallirono la traiettoria e caddero sull’isola. Sulla stessa Bornholm, i tedeschi costruirono speciali sistemi di antenne collegate alle sperimentazioni di Peenemünde che furono puntualmente sabotate da uomini della Resistenza locale. L’occupazione nazista durò ben cinque anni, una vera angoscia per questa minoranza di danesi staccata dalla madrepatria. Il momento peggiore si verificò, tuttavia, negli ultimi giorni di guerra, quando l’Armata Rossa  temendo che i tedeschi ritardassero la resa per consegnarsi ‘soltanto’ agli americani, attaccò l’isola dal cielo. Il 7 maggio 1945 L’aviazione di Stalin sganciò sull’isola un numero esagerato di bombe che danneggiarono gravemente le città, in particolare Rønne e Nexø. Nel capoluogo, furono completamente distrutte 250 case su 3400, 23 incendiate e 3000 più o meno danneggiate. A Nexø fu distrutto quasi tutto il centro cittadino ed il porto dove erano ammassate le difese militari tedesche. I morti si contarono a centinaia.

Ancora oggi, gli isolani di una certa età ricordano con grande rabbia la vigilia della liberazione da parte dei sovietici e provano a raccontarne l’orrore a tutti coloro che s’intrattengono sull’argomento.

Bornholm fu liberata dai Russi ma non fece mai parte dei Paesi che varcarono  la ‘cortina di ferro’ amministrata  dalla Unione Sovietica.

 

Note:

* La città di Lund fu fondata intorno al 990, quando il sud della Svezia attuale, la terra di Scania-Skandia-Skåne apparteneva alla Danimarca. Lund si trasformò rapidamente in un centro cristiano con la nomina di un arcivescovo e la costruzione della cattedrale di Lund (in svedese: Lunds domkyrka), ultimata nel 1103. Tra gli arcivescovi di Lund si ricorda Absalon, nominato nel 1178. Nel 1658 la Danimarca cedette i territori della Scania alla Svezia. Nel 1666 fu fondata l'Università di Lund, la seconda più vecchia della Svezia e, ancora oggi, é annoverata tra le più prestigiose al mondo.

 

Segnalazione:  Alcuni interessanti YouTube sui bombardamenti di Bornholm, al sito internet:

http://www.youtube.com/watch?v=qnb4ET4emE8

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 12.08.12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Quante vite salvò GUGLIELMO MARCONI ?

 

Quante vite salvò GUGLIELMO MARCONI ?

 

GUGLIELMO MARCONI

 

Quante vite salvò lo scienziato italiano? Nessuno può saperlo, perché i suoi miracoli “civili” si ripetono ogni giorno!

 

La nave Yacht ELETTRA ex ROVENSKA - La nave laboratorio di G.Marconi detta anche "la nave bianca dei miracoli". (Museo Marinaro Tommasino Andreatta di Chiavari)

 

 

 

Sopra e sotto, la Nave Yacht  ROVENSKA nel 1909 con la bandiera austriaca

 

 

 

 

Piani di costruzione della nave Yacht ELETTRA ex ROVENSKA

 

 

 

Le due foto sopra e sotto, rappresentano parti "abbandonate" della chiglia dell'ELETTRA conservate a Villa Durazzo, Santa Margherita Ligure.

 

 

 

 

Roma, Museo delle Poste e Telecomunicazioni del Ministero: sopra, la cabina della nave Yacht ELETTRA di G.Marconi, ricostruita all'interno del Museo. Sotto: Trasmettitore HF da 2Kw telegrafico costruito dalla Marconi Wireless di Londra che fu utilizzato a Coltano per il traffico CW a lunga distanza. QUesto trasmettitore denominato 'Pechino' fu usato il 13 ottobre 1931 per trasmettere il segnale, inviato da G.Marconi, che illuminò la Statua del Redentore a Rio de Janeiro.

 

 

 

 

G.M. DIXIT:

La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell'esistenza: sono contento di essere cristiano. (dal Discorso al I° congresso della Radio Industria italiana a Bologna, 5 maggio 1934

Mi descrivo così: Sono stato un fisico italiano. Conosciuto per aver sviluppato un sistema di telegrafia senza fili che ottenne una notevole diffusione: su di esso si basano TV, radio, telefoni portatili e cellulari, telecomandi e molto altro.”

 

 

SINTESI DELLE ATTIVITA’ DI GUGLIELMO MARCONI

25.04.1874 - Guglielmo Marconi nasce da Giuseppe e Anna Jameson a Bologna, nella casa attigua al palazzo Marescalchi, ora palazzo Orlandini, in via IV novembre n.7 (già via delle Asse, n. 1170). Una lapide ricorda l'evento. Il bimbo sarà poi battezzato nella chiesa di San Pietro. Muore a Roma il 20 Luglio 1937.

1886 - Dopo aver frequentato le 'elementari' di Casalecchio G.M. consegue la licenza e viene iscritto all'istituto Tecnico Cavalleri di Firenze. Una lapide ricorda il piccolo allievo.

1887 - La famiglia Marconi si trasferisce a Livorno, dove Guglielmo frequenterà l'istituto Nazionale, scuola privata di tecnica: non conseguirà il diploma. Sulla facciata dell' edificio una lapide ricorda io studente tredicenne.

1891 - Ancora a Livorno G.M. riceve lezioni private dal Prof. Vincenzo Rosa, insegnante di Fisica nel locale Liceo. Qui egli inizia gli esperimenti nel campo dell'elettrotecnica e si interessa delle onde elettromagnetiche.

1894 - Durante la villeggiatura estiva ad Andorno, nel biellese, G.M. matura l'idea di realizzare la telegrafia senza fili servendosi delle onde hertziane.

1894 - La madre acconsente a trascorre l'autunno-inverno nella villa di Pontecchio. Nella soffitta della villa G.M, installa un modesto laboratorio, qui per circa un anno perfezionerà le sue prime apparecchiatura, ideando i componenti basilari della radio. Realizza un 'coherer' ad elevatissima sensibilità, sperimenta i riflettori nel trasmettitore e nel ricevitore.

1895 - Nella primavera-estate dei 1895 G.M. trasmette dalla finestra del laboratorio e copre distanze crescenti. Sostituisce al terminale del rocchetto le sfere con lastre e con recipienti metallici.

25.04.1895 - Pare che in questo giorno (che poi coincide con l'anniversario della sua nascita) G.M., applicando un sistema d'antenna ed un collegamento a terra degli apparati trasmittente e ricevente, abbia coperto per la prima volta la distanza di oltre un chilometro. Nei mesi successivi G.M. continua gli esperimenti: ponendo un elettrodo a terra e mantenendo l'altro sospeso in aria realizza il sistema antenna-terra, e vede cosi moltiplicarsi la portata della trasmissione. Il segnale può ora superare ostacoli naturali. Trasmettitore nel giardino di Villa Griffone - ricevitore nel sotto-tetto della villa 'I Pini' in una contigua tenuta di proprietà dei Marconi: le due località distano 1050 metri e sono fra loro nascoste dalla collina dei Celestini. Accanto al ricevitore è Antonio Marchi ('Tugnatt') che conferma l'arrivo dei segnale con un colpo di fucile.

Lo stesso padre di G.M. dettò l'epigrafe di una patetica e celebre lapide: ONORE AL MERITO / DI GUGLIELMO MARCONI / IL QUALE IN QUESTA CASA / FACENDO / LE PRIME PROVE / ANCORA GIOVANETTO /COL SUO INGEGNO E CON LO STUDIO / INVENTO'IL TELEGRAFO SENZA FILI / NELL'ANNO 1895 / AMMIRATO DALL'ITALIA E DALL'EUROPA.

01.1896 - Perfezionata l'apparecchiatura, il segnale copre oltre 3 mila metri di distanza G.M. tenta di far valutare l'importanza della sua scoperta al Ministero delle Poste italiano: falliti questi approcci G.M. decide di recarsi in Gran Bretagna.

02.02.1896 - Accompagnato dalla madre, G.M. parte da Bologna alla volta di Londra con gli apparecchi autocostruiti. A Londra può contare sul particolare aiuto del cugino materno Henry lameson Davis.

03.1896 - Alla fine di marzo Swinton Campbell presenta G.M. a Sir William Preece, Direttore delle Poste e dei Telegrafi inglesi.

02.06.1896 - G.M. presenta all'Ufficio patenti di Londra, accompagnata di una descrizione provvisoria, la domanda del suo primo brevetto (Perfezionamento nelle trasmissioni degli impulsi e dei segnali elettrici e negli apparecchi corrispondenti).

27.07.1896 - A Londra G.M. esegue con buon esito la prima dimostrazione ufficiale di trasmissione alla presenza di Sir William Preecel con scambio di segnali radiotelegrafici fra una terrazza dell'Ufficio Postale ed il tetto dell'edificio della Cassa di Risparmio (Saving's Bank Dpt) nella Queen Victoria Street, alla distanza di circa 1 chilometro. La dimostrazione ha esito positivo e Preece pronunzia la ormai storica frase: 'Giovanotto, avete fatto qualcosa di veramente eccezionale, me ne congratulo'. le trasmissioni sperimentale continuano attraverso le rive dei Tamigi.

09.1896 - Campagna di esperimenti nella pianura di Salisbury: il segnale copre distanze leggermente maggiori. G.M. dimostra ai tecnici delle Poste e Telegrafi inglesi che col "sistema a raggio" le onde di circa 30 cm di lunghezza possono coprire distanze fino a 4 chilometri, e quelle di 70/300 metri anche di 15 chilometri.

07.12.1896 - Stati Uniti - G.M. ottiene il brevetto della radiotelegrafia senza fili col n.586193 (brevetto che verrà confermato nel 1901 coi n.11913).

11.12.1896 - A Londra Sir William Preece dichiara, in una seduta della "Royal lnstitution", la priorità marconiana ed aggiunge di essere autorizzato da Post-Office a disporre liberamente di sperimentare in ogni modo possibile le apparecchiature di Marconi.

1897 - L'anno, si chiude con una circostanza fertile di ulteriori sviluppi: il Servizio Governativo inglese dei fari fa costruire alla Compagnia Marconi un impianto di collegamento radiotelegrafico tra il faro di South Foreland ed il battello-fanale di East Goodwin, distanti fra loro 20 chilometri. La minuscola e prima rete radio stabile d' allarme ebbe subito l'avventura di salvare un piroscafo incagliato.

10.05.1897 - Fra il 10 e il 14 maggio conduce esperimenti fra la terraferma (Lavernock Point) e Flatholm Isl. (canale di Bristol): il segnale copre distanze che raggiungono anche le 9 miglia: questo successo viene definito straordinario dalla stampa britannica.

04.06.1897 - Sir William Preece, capo della divisione telegrafi del Posto Office, riferisce alla Royal Society sugli esperimenti in terra britannica durati circa un anno e conclude: Marconi ha creato un nuovo sistema di telegrafia che raggiungerà luoghi finora inaccessibili".

02.07.1897 - G.M. rientra in Italia per presentare il frutto dei suoi esperimenti al Ministero della Marina. il 6 luglio ripete gli esperimenti alla presenza degli addetti stampa, poi si reca ai Quirinale ove alla presenza dei Reali dà prova della efficienza e della praticità della radiotelegrafia. Da Roma G.M. si trasferisce a la Spezia.

07.1897 - Londra: concesso a Marconi il primo brevetto (n. 121039) sulla telegrafia senza fili in esito alla domanda presentata li 2 giugno 1896. Questo è considerato un atto legale di portata storica.

10.07.1897 - La Spezia - per una settimana G.M. fa esperienze per conto della Marina, dapprima terrestri sulla distanza di 3 km nel piazzale d'ingresso dell'Arsenale (il trasmettitore era installato nel laboratorio elettrico di S. Bartolomeo) poi sul mare tra S. Bartolomeo e l'isola Palmaria, Portovenere e l'isola di Tino. Negli ultimi due giorni il ricevitore è installato sulla corazzata S. Martino che riceve nitidi segnali anche a oltre 1 8 chilometri dalla emittente. A la Spezia il 18 luglio G.M. incontra casualmente Luigi Solari che undicenne gli fu compagno di scuola all'istituto Cavalleri di Firenze e che divenne valido e fedelissimo collaboratore.

13.07.1897 - Stati Uniti - concesso il brevetto n.609154.

20.07.1897 - Con un capitale di centomila sterline si costituisce a Londra la SpA WIRELESS TELEGRAPH & SIGNAL COMPANY LTD (che nel 1900 assumerà la denominazione di Marconi's Wireless Telegraph Co).

11.1897 - E’ dato avvio alla installazione della prima stazione radiotelegrafica fissa sistema Marconi a Needles (isola di Wight) e si realizzano collegamenti sperimentali dapprima con Bournemouth (distante 23 km), poi con Poole (nell' Hampsire) distante 29 km.

04.1898 - Londra: diversi esperimenti fra l'ospedale di San Tommaso e la Camera dei Comuni.

03 .06. 1898 - Si inaugura il servizio radiotelegrafico regolare fra Poole e l'isola di Wight.

20. 07. 1898 - Tra il 20 e il 22 luglio si realizza il primo servizio giornalistico. Il Daily Express di Dublino chiede a G.M. di poter inviare notizie, via radio, dall' alto mare, sullo svolgimento e sui risultati delle regate indette dal Royal Yacht Club nella baia della città. la cronaca è trasmessa dalla nave Flying Huntress che si è spinta fino a 16 km dalla stazione ricevente. L'esito positivo di questo servizio contribuisce ad avvalorare la fama di Marconi.

24. 12. 1898 - Ha luogo la prima comunicazione tra un battello fanale nei pressi di East Goodwine la costa di South Foreland, sulla distanza di 19 chilometri.

1899 - Brevettati i dispositivo sintonici ad induttanza e capacità.

03.1899 - Accordi con il governo francese.

03.03.1899 - Un tempestivo SOS permette di mettere in salvo l'equipaggio dei piroscafo Matbews che aveva urtato per la fitta nebbia un battello fanale. A giudizio degli storici è questo il primo degli innumerevoli equipaggi che le onde radio hanno strappato a morte certa.

27.03.1899 - Collegamento attraverso la Manica, tra Dover e Boulogne (32 miglia). Le antenne sono poste esattamente a Vimereux e a South Foreland.

28 04 1899 - Una forte mareggiata procura danni ed avarie al battello fanale di East Goodwin Sands (collegato via radio coi faro di South Foreland) che, messo in pericolo dal mare in tempesta, lancia il primo segnale di soccorso SOS.

16.06.1899 - G.M., imbarcato sull’ incrociatore francese Vienne, si collega con South Foreland distante 42 miglia.

07.1899 - Nei mesi di luglio e agosto G.M. è invitato a partecipare alle manovre navali inglesi. A bordo dell'incrociatore Juno ha l'incarico della direzione tecnica dei Collegamenti radio tra le navi: i segnali coprono la distanza di 120 chilometri.

12.09.1899 - Invitato dal Dpt Navale degli Stati Uniti G.M. si imbarca sulla Urania alla volta di New York dove giunge il 21 per partecipare alle regate della Coppa d' America.

22.09.1899 - Dal 22 settembre al 3 ottobre C,M. , per conto di alcuni quotidiani, assicura un servizio radiotelegrafico fittissimo durante le regate della International Yacht Races for America’s Club.

03.10.1899 - A bordo dei piroscafi Ponce e Grande Duchesse G.M. radiotelegrafa in media ogni tre minuti ai giornali di New York (via Navesink) l'andamento delle gare. Alla fine della gara sono state trasmesse 33 mila parole, al ritmo di 15 al minuto, in 1200 messaggi.

05.11.1899 - In viaggio verso Southampton a bordo dei transatlantico St. Paul G.M. , che già trasmetteva messaggi per conto dei passeggeri, stampa un notiziario di bordo ed intesta 'Transatlantic Times' il giornale che riporta le notizie ricevute da terra.

1900 - G.M. è presidente della Marconi Wireless Telegraph Co ltd, nata dall' ampliamento della precedente spa con l'ambizioso progetto di costruire una potente stazione in riva all' Atlantico, a Poldhu in Cornovaglia, nel SW dell' Inghilterra.

21.03.1900 - G.M. deposita il brevetto britannico n. 5387 relativo ad un tipo di conduttore di aereo a grande capacità (consistente nell' applicare al filo di antenna due lastre metalliche a forma di cilindro, concentriche sull'asse del radiatore).

26.04.1900 - Londra - G.M. deposita il brevetto n.7777 'Telegrafia accordata o sintonizzata e multipla su una sola antenna di nuovo tipo' (G.M. adottò il circuito oscillante chiuso anche nella trasmissione, creando un collegamento induttivo con l'antenna). E' il corrispondente dei brevetto americano n. 763772.

25.02.1901 - E’ registrato in Inghilterra il brevetto n. 7777 (che sarà universalmente poi conosciuto come: 'telegrafia accordata o sintonizzata e multipla su una sola antenna di nuovo tipo' o 'sistema sintonizzato basato sull'impiego dei circuiti accordati' o 'sincronizzatore del tono' o 'sin-ton').

04.1901 - G.M. è intento a dirigere la costruzione del primo grande impianto di Poldhu, ultra potente nei confronti dei precedenti, che esegue le prime prove tramite la stazione di Lizard e quella di S. Caterina (isola di Wight). Questi lavori richiesero più volte la presenza del Tenente di Vascello Luigi Solari che restò a lungo sul posto fino al 18 dicembre 1902, quando fu inaugurato il servizio radio transatlantico.

02.06.1901 - La Marina Militare Italiana realizza un importante collegamento fra Caprera e Monte Mario (Roma).

04.06.1901 - G.M. ottiene il brevetto inglese n.11 91 3: 'Uso nella trasmissione e nella ricezione di riflettori parabolici e di radiatori sopraelevati con collegamento alla terra'.

17.09.1901 - Un fortunale distrugge la grande antenna della stazione di Poldhu (20 supporti in legno, alti 60 metri ciascuno, disposti in cerchio di 120 metri di diametro). li sistema antenne fu semplificato: il 27 le trasmissioni furono effettuate con un sistema antenne costituito da due soli alberi che sorreggevano un filo teso fra le loro estremità dal quale pendevano 50 fili di rame, distanti all'origine circa 1 metro fra foro e convergenti a terra: i segnali giungono a Crookhaven (360 km).

11.1901 - Poldhu trasmette con 15 kW sulla lunghezza d'onda di 1800 metri circa.

26.11.1901 - G.M. salpa da Liverpool sul piroscafo Sardinia insieme ai suoi collaboratori Kemp e Paget

06.12.1901 - G.M., Kemp e Paget, imbarcatisi il 26 novembre a Liverpool sul piroscafo Sardinia, arrivano a S. Giovanni di Terranova per organizzare l'ascolto dei segnali attraverso l'Atlantico. A Terranova G.M. sceglie la collina detta 'Signal-Hill' (collina dei segnali) per la manovra dei due piccoli palloni frenati e dei sei cervi volanti che aveva portato con se.

10.12.1901 - Un forte vento strappa ancora l'antenna orizzontale di 200 metri di filo, il giorno 11 si prova a far sollevare i fili delle antenna da un grosso aquilone.

12.12.1901 - Un aquilone viene sospeso a 120 metri di altezza: alle 12,30 giungono i tre punti della lettera 5 trasmessi da Poldhu in Cornovaglia attraverso 3.500 chilometri di oceano (2.1 00 miglia marine).

13.01.1902 - New York - si vuole tributare un festoso omaggio al 'Padre della radio' che si accinge a lasciare il suolo americano: al simposio partecipano i luminari della scienza americana, tra i quali si notano Edison, Tompson, Pupin, G.M. si imbarca a New York sul piroscafo 'Philadelphia' per raggiungere l'Inghilterra ove si era deciso di costruire la stazione di Glace Bay (presso Sidney), nella località Table Head, per istituirvi un servizio radiotelegrafico commerciale.

26.01.1902 - G.M. sbarca in Inghilterra: si incontra con il Ten. di Vascello Luigi Solari che invia poi a Roma per mettere i suoi brevetti a disposizione della Marina e dell'Esercito italiani.

3l.05.1902 - G.M. ottiene il Premio dell' Accademia dei lincei.

10.06.1902 - Il Ten. di Vascello Solari si imbarca a Napoli sulla corazzata italiana Carlo Alberto - che salpa per una lunga campagna di esperimenti radiotelegrafici in mare (10/6 - 11-19/6 - Napoli - Kronstadt - la Spezia)

19.06.1902 - La Nave Carlo Alberto giunge nella baia di Poole: il Ten. Solari incontra Marconi a Poldhu.

25.06.1902 - Londra - brevetto 10245: Detector magnetico delle onde elettriche, che può essere usato come ricevitore per la telegrafia nello spazio.

07.07.1902 - G.M. si imbarca a Dover sulla Nave Carlo Alberto e inizia la campagna nel Mare dei Nord e nel Mare Baltico. Nel corso della notte giungono nitidi i segnali da Poldhu.

09.07.1902 - Dal 9 al 1 2 luglio intensi esperimenti mentre la Nave Carlo Alberto è ancorata a Kronstad: i segnali di Poldhu (circa 2 mila km di distanza) sono distinti di notte mentre vengono a mancare di giorno.

16.07.1902 - A Kronstadt, a bordo della Nave Carlo Alberto, alla presenza dei Re d'Italia e dello Zar Nicola il viene data una dimostrazione pratica dei funzionamento della radio. Lo Zar di Russia insignisce G.M. della Commenda dell' Ordine di S. Anna.

17.07.1902 - Lo scienziato russo Popov incontra G.M. e si rende conto della efficienza dei collegamenti fra l'Inghilterra e la Russia. E' affidata alla storia la frase che disse Popov stringendo la mano a G.M. - 'Vengo ad ossequiare il padre della radio'.

06.09.1902 - Roma - Il Ministro della Marina decide di mettere ancora a disposizione di G.M. la R. Nave Carlo Alberto per nuovi esperimenti e predispone una seconda campagna radiotelegrafica con la quale lo scienziato possa portare a termine le esperienze che ha intenzione di eseguire attraverso all'Atlantico, dalle stazioni di Capo Breton (Canada) e di Capo Cod (Stati Uniti) da un lato, e di Poldhu dall’ altro.

3O.09.1902 - La Carlo Alberto salpa da la Spezia e dopo Portland raggiunge Plymouth, ove imbarca G.M. con i suoi assistenti ed il Ten. Vasc. Luigi colori.

20.10.1902 - La Carlo Alberto salpa da Plymouth diretta a Sydney (Nuova Scozia) ove giunge il 31 ottobre: durante tutta la navigazione si mantiene in collegamento con Poldhu e può riceverne le comunicazioni fino a 2.000 miglia di distanza.

26.10.1902 - Il Re d'Italia nomina G.M. Cavaliere dei lavoro.

31.10.1902 - La nave italiana giunge a Giace Bay dopo aver attraversato l'Atlantico.

31.10.1902 - La Carlo Alberto riceve a Capo Breton, all' imboccatura di Giace Bay, poco lontano da Sydney, i segnali di Poldhu (3809 chilometri).

05.12.1902 - Entra in funzione la stazione ricetrasmittente di Glace Bay per il collegamento in duplex con l'Inghilterra.

16.12.1902 - Si ricevono chiaramente i segnali emessi a Table Head (pochi km dal Porto Sidney). la stazione è costituita da 4 torri di legno alte 71 m. e distanti tra loro circa 801 collegate da 4 sole gomene da cui partono 50 fili: questi 200 fili si riuniscono in basso formando nel loro insieme una specie di piramide rovesciata.

18.12.1902 - Dal 18 al 20 G.M. trasmette messaggi al Times, a Re Giorgio, a Re Vittorio Emanuele III.

18.12.1902 - Si inaugura a Poldhu il servizio radio transatlantico.

20.12.1902 - Con la trasmissione di messaggi ai Re d'Italia e d'Inghilterra ha inizio il collegamento permanente bilaterale tra l'America e l'Europa.

1903 - Il Generale C.A. Ferné, capo dei servizi di trasmissione dell'esercito francese, utilizza la Torre Eiffel per collocarvi una potente stazione radio e nel 1909 usa largamente le radiotrasmissioni nelle operazioni di guerra nel Marocco.

19.01.1903 - G.M. partecipa alla inaugurazione della seconda stazione radio del nuovo continente collocata a Capo Cod, a 25 km da Boston (nel Massachusset, e precisamente su di una collina sabbiosa che si eleva per 25 mt sul mare e prende il nome di South Wellfleet). Scambio di messaggi tra il Presidente degli Stati uniti e il Re Eduardo VII.

23.01.1903 - G.M. si imbarca a New York per Liverpool: prosegue per Poldhu e Capo Breton per modificare le due stazioni.

18.02.1903 - Roma: la Camera dei Deputati approva il progetto di legge che prevede la costruzione di un impianto radiotelegrafico di grande potenza per collegare l'America dei Sud e le Colonie. L'approvazione del Senato giunge il 31 marzo. Qualche mese dopo G.M. sceglie per l'impianto la località di Coltano, nella tenuta reale di S. Rossore.

20.03.1903 - G.M. riceve la cittadinanza onoraria di Milano.

07.05.1903 - Alla presenza dei Sovrani G.M. viene proclamato in Campidoglio: 'Cittadino di Roma'.

22.06.1903 - G.M. viene nominato Dottore in Scienze dell'Università di Oxford.

22.08.1903 - La nave Lucania salpa per New York: durante tutta la traversata dell'Atlantico è sempre regolare la ricezione dei radiotelegrammi spediti da Poldhu (Inghilterra), da Glace Bay (Canada) e da Capo Cod (Stati Uniti) che recano le notizie più recenti. E' stampato il primo quotidiano di bordo sotto il titolo: 'The Cunard Buffetin'.

18.10.1903 - E’ inaugurata ufficialmente la stazione della Legazione Italiana a Pechino.

18.11.1903 - Livorno conferisce a G.M. la cittadinanza onoraria.

25.03.1904 ­- Bologna - la regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri conferisce a G.M. la laurea in Ingegneria honoris causa.

07.05.1904 - G.M. si imbarca a Liverpool sul Campania e durante tutto il viaggio mantiene collegamenti con Poldhu, Seaforth, Capo Breton, Capo Cod e i transatlantici Aurania, Etruria, Lucania. Anche a bordo della nave Campania si stampa il bollettino quotidiano.

28.06.1904 - Stati Uniti-Concesso il brevetto 763772 per il sintonizzatore cosiddetto dei quattro circuiti (corrispondente al brevetto inglese detto dei 'quattro sette').

03 08.1904 - La Nave Avviso Marcantonio Colonna, che su incarico dei Ministero della Marina conduce una campagna per ottimizzare le radiocomunicazioni marittime, ospita G.M. venuto in Italia per inaugurare fa comunicazione radiotelegrafica tra le stazioni di Bari (San Cataldo) e di Antivari in Montenegro.

05.08.1904 - G.M. si imbarca sulla R.N. Sardegna per recarsi ad Ancona.

08.08.1904 - La stazione di Monte Cappuccini (Ancona) riceve messaggi dalla stazione di Poldhu.

1O.08.1904 - Dalla stazione Torre Piloti, in Venezia, vengono compiute delle esperienze di ricezione da Poldhu.

1905 - G.M. si fidanza con la Sig.na Betrice lnchiquin O'Brien, irlandese.

27.05.1905 - Il piano della battaglia di Tzushima viene sviluppato via radio facendo confluire le unità giapponesi (che distavano anche 60 miglia dal luogo dello scontro) sulla flotta russa che, ignara dell'agguato, procedeva in formazione di fila.

01 .06.1905 - G.M. è nominato Cavaliere dell' Ordine Civile di Savoia.

18.07.1905 - Londra - brevetto n. 14788: Aereo multiplo a grande sviluppo orizzontale, con comportamento direttivo, che consente di aumentare le distanze delle trasmissioni e le intensità dei segnali.

12.01.1907 - G.M. chiede il brevetto per il ricevitore a valvola di Fleming, nel quale il telefono è collegato al circuito di placca attraverso il trasformatore.

09.1907 - Viene conferita a G.M. l'onorificenza di Commendatore della Corona d' Italia

17.10.1907 - G.M. presenzia alla inaugurazione della stazione di Clifden (Irlanda) cui per tre anni ha dedicato tutto il suo impegno: nello stesso giorno ha avuto inizio il primo regolare servizio pubblico giornalistico e commerciale radiotelegrafico fra Europa ed America, basato sulla tariffa di 10 cents per parola, ridotta a 5 cents per la stampa.

11.12.1907 - Viene conferita a G.M. l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Corona d'Italia.

23.07.1909 - Nella notte il transatlantico Republic in navigazione a 175 miglia dal faro di Arnbrose (New York) è investito nella nebbia dal piroscafo italiano Florida e affonda. Grazie ai segnali di soccorso, lanciati dai telegro@ta di bordo per 14 ore filate, accorrono tre piroscafi e possono salvarsi tutti i 1.650 passeggeri delle due navi.

01.12.1909 - G.M. riceve il premio Nobel per la Fisica.

13.01.1910 - Il piroscafo Avon in navigazione fa ascoltare ai passeggeri la voce di Caruso tra- smessa dal teatro di Broadway.

09.1910 - G.M. si imbarca sul transatlantico Principessa Mafalda diretto a Buenos Aires. Durante il viaggio, grazie a una antenna sostenuta da un aquilone e mantenuta a una altezza fra 1000 e 3000 piedi di altezza, riceve i segnali di Clifden fino a una distanza di 4000 miglia dall'emittente, A Buenos Aires (oltre 6000 miglia) i segnali giungono solo di notte.

19.11.1911 - Si inaugura la stazione radio di Coltano la cui costruzione era stata decretata nel lontano 1903: messaggi a Massaua, Mogadiscio e Glace Bay.

14.04.1912 - Nel suo viaggio inaugurale dall' Inghilterra a New York affonda il Titanic, transatlantico di 46 mila tonnellate, che nella notte ha urtato contro un iceberg. Grazie ai suo SOS si salvano 504 passeggeri e 201 uomini di equipaggio sopra un totale di 2.208 persone imbarcate. I superstiti, giunti a New York si recano in corteo sotto le finestre dell' albergo dove si trova Marconi per esprimergli la loro riconoscenza.

17.04.1912 - G.M. viene nominato Membro Ordinario della New York Electrical Society.

22.05.1912 - Il Re di Spagna conferisce a G.M. l'alta onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Alfonso XII.

24.05.1912 - Il Presidente della Repubblica Portoghese conferisce a G.M. la medaglia d'oro dell'Istituto di soccorso per naufraghi.

03.06.1912 - Re Vittorio Emanuele III nomina G.M. Cavaliere di Gran Croce dei SS Maurizio e Lazzaro.

24.09.1912 - Nella notte fra il 24 e il 25 settembre, mentre viaggia in auto da Coltano a Genova, in una curva sulla salita del Bracco rimane vittima di un incidente a seguito del quale perde l'occhio destro.

11.10.1913 - Il piroscafo Volturno che fa rotta da New York per Rotterdam, è colpito da un violento incendio in pieno oceano. Alle 8 è lanciato il primo SOS, raccolto dal Carmania che raggiunge il Volturno verso le 14. Nel mattino dei 12, attorno al Volturno ridotto à un relitto, si trovano anche i piroscafi Grosser Kurfuester, Touraine, Minneapolis, Rappahannock, Narraganstett, Devonian, Kroonland, Czar, Seydlitz. Il Narraganstett getta a mare il carico di nafta per calmare le onde. Si salvano 521 persone su 657 a bordo. Restano vittime dell' incendio solo 136 persone, quelle che, terrorizzate dal rogo, si sono gettate in mare intempestivamente. Nel 1913 oltre mille navi erano dotate di apparecchi radiotelegrafici.

06.1914 - Il Re di Inghilterra conferisce a G.M. la Gran Croce dell'Ordine di Vittoria.

30.12.1914 - G.M. viene nominato Senatore dei Regno d'Italia.

1915 - G.M. si arruola volontario nell'esercito italiano con il grado di Tenente ed è destinato al battaglione dirigibilisti, presso il quale era accentrato il servizio radiotelegrafico.

12.04.1915 - Londra: viene conferita a G.M. la medaglia Albert della 'Royal Society of Arts'.

22.05.1915 - G.M., rispondendo all'appello della Patria in guerra, salpa da New York sul piroscafo St Paul per rientrare in Italia dove giunge il giorno 31.

19.06.1915 - G.M. viene nominato tenente di Complemento dei Genio e destinato al Battaglione Dirigibilisti in zona di guerra con l'incarico di ispezionare al fronte gli impianti di radiotelegrafia dei Regio Esercito. Si adopera per costruite apparecchi per comunicare da terra con gli aerei .

09.1915 - G.M. installa una ricetrasmittente sull'aereo di Francesco Baracca presso l'aeroporto Mirafiori di Torino (piccolo trasmettitore a scintilla della potenza di circa 30 W, dei peso di circa 16 kg, costruito nelle Officine Marconi di Genova.

12.1915 - A Roma collabora con la 'Brigata Specialisti' per una più efficiente applicazione della radio in guerra.

10.03.1916 - Durante una sua permanenza a Genova sperimenta (fra il 10 e i1 15) un riflettore che gli permette interessanti osservazioni sulla radiotelegrafia direttiva.

10.04.1916 - Nasce la figlia Gioia.

27.07.1916 - G.M. viene promosso al grado di Capitano dei Genio per meriti speciali.

31.08.1916 - G.M. è trasferito nella R. Marina e ammesso nel ruolo di Stato Maggiore coi grado di Capitano di Vascello di complimento.

1917 - Prime trasmissioni regolari (fino a 35 km) con onde corte a Carnavan, in Galles.

26.03.1918 - G.M. presenta domanda di brevetto per 'Perfezionamenti di riflettori per uso radio telegrafico e radiotelefonico'.

15.05.1918 - Filadelfia: il Franklin Institute conferisce a G.M. la 'Medaglia Franklin'.

22.09.1918 - G.M. invia i primi radiomessaggi dall'Inghilterra (stazione di Carmavon) all'Australia (Sydney). I messaggi battono i velocità quelli analoghi inviati via cavo che giungono alcune ore dopo.

23.09.1918 - Il Re d'Inghilterra gli conferisce la Gran Croce dell'Ordine dell'impero Britannico.

01.10.1918 - G.M. è dichiarato in 'Servizio permanente Attivo', nella R. Marina e torna all' imbarco su navi da guerra per assolvere compiti di particolare importanza.

06.10.1918 - G.M. intercetta lo storico messaggio trasmesso dalla stazione di Nautn (Berlino): 'Il Governo tedesco ha trasmesso al Presidente Wilson per tramite del Governo svizzero la seguente nota: Il Governo tedesco richiede al Presidente degli Stati Uniti di intraprendere la restaurazione della pace, di informare tutti gli Stati belligeranti di questa richiesta, e di invitarli a ricevere plenipotenziari. Allo scopo di impedire ulteriore spargimento di sangue, il Governo tedesco richiede l'immediata conclusione di un armistizio'.

04 11 1918 - La radiotelegrafia diffonde nel mondo lo storico bollettino italiano che annuncia la vittoriosa fine della guerra.

05.1l.1918 - Dalla stazione del Gianicolo, a Roma, G.M. intercetta un dispaccio in lingua tedesca che comunica l'abdicazione dei Kaiser: ci si avvia rapidamente alla fine del conflitto mondiale.

02.1919 - Nel mese di febbraio G.M. tratta con l'Ammiragliato britannico l'acquisto dello yacht Rovenska al quale darà il nome di Elettra: l'atto di nazionalità venne definitivamente rilasciato il 21 dicembre 1921. lo yacht apparteneva ad un arciduca austriaco, fu confiscato al principio del conflitto europeo dal Governo britannico, funzionò durante la guerra quale nave appoggio dei dragamine nel Mare del Nord.

04.1919 - G.M. viene nominato delegato plenipotenziario alla Conferenza della Pace di Parigi: per assolvere a questo compito chiede la dispensa dal servizio attivo nella R. Marina.

03.07.1919 - G.M. ottiene il brevetto per perfezionamenti di riflettori per uso radiotelegrafico e radiotelefonico.

01.04.1920 - G.M. viene promosso, 'a scelta eccezionale', al grado di Capitano di Fregata.

03.05.1920 - Ha luogo il primo esperimento di radiodiffusione da bordo dell'Elettra a terra: il panfilo nell'Oceano, a circa 300 miglia da Lisbona, comunica con la stazione radio di Monsanto.

15.06.1920 - La stazione Marconi di Chelmsford trasmette per la prima volta un concerto radiofonico che viene ricevuto fino a 2 miglia di distanza.

22.09.1920 - La candida nave, che navigava nel miracolo ed animava i silenzi. (Cosi Gabriele D'Annunzio definì l'Elettra) entra nel porto di Fiume: l'accoglienza fatta dal Poeta e dai suoi legionari costituisce una vibrante e indimenticabile manifestazione di italianità.

02.11.1920 - La stazione di Pittsburgh inizia la radiodiffusione Degli USA.

13.12.1920 - Si stabilisce il primo collegamento radiotelefonico fra l'Inghilterra e la Svizzera in tale occasione la stazione Marconi di Bel Air, presso Ginevra, fu collegata con l'edificio della Società delle Nazioni.

22.06.1922 - In una storica conferenza a New York, G.M. esprime chiaramente la necessità di abbandonare le onde lunghe e di ritornare all'impiego delle onde corte e dei riflettori per assicurare un nuovo sviluppo ai radiocollegamenti a grandi distanze.

1923 -  Nell'estate dei 1923 G.M. compie una lunga crociera nell' Atlantico dei Sud a bordo dell' Elettra. Sperimenta il sistema delle onde corte a fascio ed apre una nuova era alle telecomunicazioni

12.02.1924 - Dal Tribunale di Fiume è emessa la sentenza di scioglimento dei matrimonio contratto da CM nella chiesa protestante di San Giorgio (Hannover Square) di Londra nel 1905 con la 'Right Honorable' Beatrice 0' Brien.

30.05.1924 -  Ha luogo la regolare trasmissione della voce umana tra l'Inghilterra (Poldhu) e l'Australia (Sidney).

30.05.1924 - G.M. riesce a far giungere i segnali radiotelefonici in Australia: la voce umana giunge in un attimo da circa 20 mila chilometri di distanza.

1926 - Italia - è reso obbligatorio il radiogoniometro sulle navi di prima categoria per i viaggi oltre il Mediterraneo e per le navi di qualunque tonnellaggio idonee a trasportare 2.000 o più persone oltre gli stretti.

07.10.1926 - Ha luogo il collaudo dei collegamento radio fra l'Inghilterra e il Canada

07.04.1927 - Si inaugura ufficialmente il servizio radio fra l'Inghilterra a l'Australia, che permette comunicazioni istantanee nelle due direzioni. Si tratta del più lungo radio-collegamento possibile al mondo.

30.04.1927 - Il Tribunale della Sacra Rota sentenzia l' annullamento dei matrimonio di G.M. con Betrice 0' Brien.

28.05.1927 - L'Elettra parte da Gaeta per iniziare un nuovo ciclo di esperimenti: compongono l'equipaggio 1 nostromo, 3 timonieri, 3 marinai, 1 mozzo; 1 caporale di macchina, 1 operaio meccanico, 4 fuochisti, 2 ingrassatori, 1 motorista per i due motoscafi, un elettricista, il maestro di casa, due cuochi, un cameriere, un garzone. Lo stato maggiore è composto da Comandante Raffaele Lauro, Primo Ufficiale cap. Romano; Direttore di Macchina sig. Mastellone; Primo Ufficiale Macchinista signor Maresca; Secondo Ufficiale Macchinista sig. Cappiello. Il 1 giugno la nave è a Civitavecchia: Marconi sbarca per recarsi a Roma dove il 12 convolerà a nozze.

12.06.1927 - Matrimonio civile in Campidoglio con Cristina Bezzi Scali

15.06.1927 - Matrimonio religioso nel tempio di Santa Maria degli Angeli alle Terme: dopo una breve permanenza a Rieti gli sposi si imbarcano a Genova sul Conte Biancamano diretti a New York

02.07.1927 - Vengono inaugurati i due radiofasci Inghilterra-Sud Africa che nel frattempo erano stati positivamente collaudati.

01.01.1928 - G.M. è nominato Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

19.03.1928 - Fra il 19 marzo e il 19 aprile G.M. sperimenta il radiogoniometro ad onde medie con l'avvolgimento protetto in tubo circolare. Le prove hanno luogo dalla nave Elettra in navigazione lungo la rotta Napoli - Palermo - Tunisi - Tripoli.

25.05.1928 - Il dirigibile 'Italia', dopo aver sorvolato per alcune ore il polo nord, si abbatte sulla banchisa. Il 3 giugno il telegrafista Biagi riesce a trasmettere il suo SOS. Il segnale è raccolto da una delle tante persone che in quei giorni erano restate ansiosamente in ascolto, e da Arcangelo, nel nord della Russia, rilanciato per mettere in moto i soccorsi. Il piccolo trasmettitore che il telegrafista potè mettere in efficienza dopo la sciagura (e che funzionò con una antenna improvvisato di 8 m e una alimentazione di fortuna a 12 V) era il terzo in dotazione al dirigibile, un piccolo apparato munito di un solo triodo che era stato consigliato e procurato alla spedizione personalmente da G.M.

17.06.1929 - G.M. riceve dal Re d'Italia il titolo gentilizio di Marchese.

02.07.1929 - La nave Elettra parte da Napoli alla volta di Southampton e fa tappa a Gaeta, Civitavecchia e Gibilterra. Nel corso della navigazione viene condotta una serie di esperienze in correlazione coi nuovo collegamento radiotelefonico sperimentale ad onda sui 9 metri Fiumicino-Golfo Aranci e con il centro Radiomarittimo ad onde corte di Coltano, ambedue in corso di installazione.

 

Sintesi delle attività di Guglielmo Marconi nel Golfo Tigullio

 

 

Guglielmo Marconi soggiornò a lungo nel Golfo Tigullio, detto anche Golfo Marconi (in suo onore !!!), dove ebbe modo di compiere numerosi ed importanti esperimenti.

Negli ultimi anni la Sezione A.R.I. di Rapallo ha voluto ricordare questi momenti organizzando numerose iniziative. In particolare è particolarmente apprezzata da un folto pubblico di appassionati e non la Mostra: - Marconi dal Tigullio al mondo - che si è tenuta nel cinquecentesco castello sul mare di Rapallo dal 13 agosto al 10 settembre del 1995 e la Mostra: - L'onda di Marconi dal Tigullio al Mondo intero - che si è tenuta nella medesima sede dal 18 dicembre 2004 al 9 gennaio 2005.

30.05.1931 - Lo yacht Elettra giunge a S. Margherita ed ormeggia di fronte all'albergo Laurin. G.M. comincia la sperimentazione con microonde tra lo yacht (che resta in crociera nel golfo dei Tigullio) e la terra.

31.10.1931 - G.M. e il suo collaboratore Ing. Mathieu, a villa Repellini (presso S. S.Margherita, sulla rotabile per Portofino) danno dimostrazione delle caratteristiche dellle le microonde con esperimenti di radiotelefonia tra Santa Margherita Ligure e Sestri Levante (18 Km): usano lunghezze d'onda di 50 cm ed apparecchiatura costruite dalle Officine Marconi di Genova. Le trasmissioni sono ricevute con grande chiarezza e notevole ole potenza.

11.1931 - G.M. trasmette in radiofonia onde di 10, 20, 30, 40 cm da Villa Repellini alla villa Gualino sulla penisola di Sestri Levante (sul Monte semaforico-Mesco).

20.11.1931 - G.M. presenta ai tecnici della compagnia Marconi i risultati delle esperienze za che sta conducendo nel golfo dei Tigullio.

21.11.1931 - G.M., l'Ammiraglio Pession, l'Ing. Gorio e l'Ing. Mathieu si recano in visita al Podestà di S.Margherita insieme al quale poi partono alla volta di Levanto doveve sono in corso altri importanti esperimenti.

28.11.1931 - Il Podestà Devoto invia a Marconi, in Roma, il seguente telegramma: 'A nome di Santa Margherita ligure orgogliosa di essere stata scelta dalla E.V. come campo delle nuove importantissime esperienze con onde ultracorte, le esprimo sensi di ammirazione et profonda riconoscenza. Ossequi G.M. risponde: 'Ringrazio vivamente S.V. et cittadinanza S. Margherita ligure per cortesi espressioni rivoltemi con suo telegramma venti corrente'.

09.04.1932 - G.M. è nuovamente nel Tigullio per collaudare le apparecchiatura elaborate nel laboratorio dell'Elettra nell'autunno dei 1931 e dimostrare la possibilità di effettuare conversazioni radio nei due sensi utilizzando una stessa lunghezza d'onda. Sono presenti alti ufficiali, tecnici ed esperti. La trasmissione avviene fra S. Margherita (Villa Repellini) e Sestri levante (Villa Gualino) e viene giudicata perfettamente riuscita, anche se la presenza della portaerei inglese Clorious crea qualche difficoltà per interferenze elettriche. Dell'inconveniente si scuserà il comandante della nave K.Purvis che il giorno 16 inviterà lo scienziato e la consorte a bordo per una colazione.

09.07.1932 - Lo yacht Elettra salpa da Santa Margherita diretto a Sestri Levante dove si fermerà alcuni giorni per degli esperimenti: proseguirà poi per Fiumicino e tornerà quindi a Santa Margherita ligure.

29 07 1933 - G.M. giunge a S. Margherita per continuare la sperimentazione sulle onde cortissime. l'Elettra viene ormeggiata davanti all'Albergo Miramare sulla cui terrazza vengono installate le apparecchiatura per effettuare la sperimentazione di trasmissioni a onde corte, proseguimento di quelle fatte due anni prima.

02.08.1933 - Fra il 2 e l'8 agosto G.M. effettua una sperimentazione fra l'Albergo Miramare di Santa Margherita ligure e l'Elettra in navigazione. Lo scienziato riesce a inviare segnali telegrafici e radiotelefonici ad una distanza di 1 50 Km con onde di 55 e 60 cm, da una altezza di 38 metri sul mare.

26.08.1933 - A Santa Margherita si smontano le apparecchiatura che, sotto l'occhio vigile dell'ing. Mathieu, sono imballate e spedite a Rocca di Papa donde proseguiranno per la Sardegna per essere collocate sul monte Figari.

31.03.1934 - Torna all'albergo Miramare di Santa Margherita Ligure l'Ing. Mathieu che precede G.M., il cui arrivo è previsto per i primi di giugno.

09.06.1934 - G.M. dopo aver eseguito un controllo agli strumenti installati a Sestri Levante nella Villa Gualino, raggiunge S. Margherita Ligure per mettere a punto le attrezzature sulla terrazza dell'Hotel Miramare. Le ricerche si effettuano su un triangolo che ha per vertici lo yacht Elettra, l'Albergo Miramare e la villa Gualino a Sestri Levante, mentre un altro collegamento viene attuato successivamente con la stazione ubicata in Sardegna.

28.07.1934 - G.M. sperimenta il Faro Marconi, presenti tecnici ed ufficiali della marina italiana ed inglese non che un gruppo di giornalisti. La prova di radiotelegrafia direttiva avviene nel golfo dei Tigullio, mediante collegamenti fra l'Elettra e le stazioni di Santa Margherita Ligure e Sestri levante: dimostra come possa guidarsi alla cieca una nave in mezzo alla nebbia o pilotarla entro un porto affollato evitando gli ostacoli, utilizzando unicamente onde radio ultracorte. La sperimentazione continua fino al giorno 30 con onde di 63 cm. Sulla base di questi elementi poggia il funzionamento dei radar.

30.07.1934 - G.M. sposta il radiofaro di Sestri levante e lo posiziona a circa 90 mt sul livello del mare.

02.1935 - G.M. sposta il campo delle sue ricerche a quote maggiori e fissa per questo la base dei suoi esperimenti alle spalle di RAPALLO, poco sopra il Santuario di Montallegro. La stazione radiotrasmittente, collocata entro una cabina sistemata quasi sulla cima dei Monte Rosa, ad una altitudine di 680 metri sul mare, si collega con la stazione ricevente fissata, ad una distanza di oltre 150 chilometri, sul declivio del monte Burrone, a circa 1 0 Km da Livorno, poco distante dal Santuario di Montenero (200 metri s.m.). le prove si prefiggono di accertare la possibilità di trasmettere una quantità considerevole di energia con idonei riflettori e di dimostrare che le onde cortissime non subiscono interferenze da perturbazioni atmosferiche.

07.1935 - G.M. è di nuovo a RAPALLO: nel periodo luglio - settembre prosegue quegli esperimenti che costituiscono anche il primo embrione delle trasmissioni televisive. In particolare si impegna per eliminare del tutto gli inconvenienti della 'doppia immagine' del fenomeno di riflessione delle radio onde. Sul Monte Rosa, collegato con la Elettra e con il Monte Burrone, lo scienziato effettua durante tutta l'estate una ampia serie di esperimenti sulle micro onde acquisendo gli indispensabili elementi per la loro pratica attuazione. Una lapide, posta subito alle spalle dei Santuario di Montallegro, all'inizio del sentiero che porta al Monte Rosa, ricorda quegli esperimenti:

'DA QUESTO COLLE TRA FEBBRAIO E SETTEMBRE 1935 GUGLIELMO MARCONI EFFETTUO GLI ESPERIMENTI CHE APRIRONO NUOVI IMMENSI ORIZZONTI PER I COLLEGAMENTI VIA ETERE - LA CIVICA AMMINISTRAZIONE - RADIOAMATORI SEZIONE DI RAPALLO 1985'

07.1936 - G.M. è di nuovo nel Tigullio. Lo yacht Elettra resta ormeggiato alle bitte di Santa Margherita fino al novembre.

11.12.1936 - L' 11 e il 12 novembre 1936 G.M. realizza una conversazione radiotelefonica a quattro fra l'Elettra ancorata a Santa Margherita Ligure, New York e due aereoplani in volo su quest' ultima città.

02.1935 -  G.M. sposta il campo delle sue ricerche a quote maggiori e fissa per questo la base dei suoi esperimenti alle spalle di RAPALLO, poco sopra il Santuario di Montallegro. La stazione radiotrasmittente, collocata entro una cabina sistemata quasi sulla cima dei Monte Rosa, ad una altitudine di 680 metri sul mare, si collega con la stazione ricevente fissata, ad una distanza di oltre 150 chilometri, sul declivio del monte Burrone, a circa 1 0 Km da Livorno, poco distante dal Santuario di Montenero (200 metri s.m.). le prove si prefiggono di accertare la possibilità di trasmettere una quantità considerevole di energia con idonei riflettori e di dimostrare che le onde cortissime non subiscono interferenze da perturbazioni atmosferiche.

 

CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA NAVE - YACHT ELETTRA ex ROVENSKA

 

Piroscafo ad 1 elica e 2 alberi

Cantiere di costruzione: Ramage & Ferguson Ldt - Leith (Inghilterra)

Anno di costruzione: 1904.

Varata il 27 marzo 1904 con il nome di Rovenska

Lunghezza fuori tutto: 67,40 mt.

Lunghezza del ponte: 60,35 mt. - Lunghezza tra le perpendicolari: 56,36 mt.

Larghezza al gallegiamento: 56,08 mt.

Larghezza massima fuori ossatura: 8,38 mt.

Altezza al ponte di coperta: 5,18 mt.

Immersione a pieno carico - pescaggio: 5,00 mt.

Macchina: Ramage & Ferguson Ltd - Leith - a vapore a triplice espansione a 3 cilindri.

126,95 Cavalli nominali e 1000 Cavalli indicati

Capacità di esprimere una velocita' di 12 nodi.

N.2 caldaie monofronti Ramage & Fergusson Ldt

Tonellaggio di stazza netta: 232,18.

Tonellaggio di stazza lorda: 632,81

Dimensioni di stazza 63,40 x 8,31 x 4,96 metri.

Nominativo: I B D K -  -India - Bravo - Delta - Kilo

Iscritto nel compartimento marittimo di Genova al nr. 956 il 27-10-1921.

Iscritto  al R.Y.C.I. Real Yacht Club Italiano

Classificazione: 100 A. 1.1. Navigazione: Lungo corso

Ultimo armatore: Ministero delle comunicazioni - Direzione poste e telegrafi - Roma.

La definizione data da D'Annunzio all'ELETTRA: "candida nave che naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo" - calza ottimamente con la realtà; insieme casa e laboratorio per Guglielmo Marconi, questo splendido panfilo bianco al quale l'umanità intera deve molto era infatti noto in tutto il mondo.

 

 

UN PO' DI STORIA

Lo yacht venne ordinato dall'Arciduca d'Austria Carlo Stefano, ufficiale dell'I. R. Marina, al Cantiere Ramage & Ferguson Ldt. di Leith in Scozia ed il progetto fu affidato agli ingegneri Cox e King di Londra, che disegnarono un elegante scafo dalle linee filanti, prua slanciata in avanti a klipper con bompresso e poppa stretta e rotonda; in coperta una lunga tuga centrale in mogano e teak, sormontata da un fumaiolo leggermente inclinato verso poppa e due alberi armati con rande, come era abitudine dell'epoca. Lo yacht, varato il 27 marzo 1904 col nome di ROVENSKA, a ricordo della località (sull'isola di Lussino) dove l'arciduca aveva una lussuosa villa in cui solitamente abitava, venne intestato alla moglie, l'arciduchessa Maria Teresa, ed iscritto al k.u.k. Yacht- Geschawader, battendo quindi bandiera della Marina da guerra fino al 1909. Sempre con lo stesso nome nel 1910 lo yacht venne aquistato da Sir Max Waechter - passando sotto bandiera inglese -, e nel 1914 fu rivenduto a Gustavus H.F. Pratt.

Con lo scoppio della grande guerra, lo yacht fu militarizzato e trasformato in nave da pattuglia e scorta, e quindi impiegato nella Manica, tra l'Inghilterra ed i porti di Brest e Saint Malò. Cessate le ostilità, il ROVENSKA fu messo in disarmo a Southampton e messo all'asta, così nel 1919 - per 21.000 sterline - Guglielmo Marconi potè acquistarlo. Sottoposta a notevoli lavori di risistemazione la nave venne quindi riclassificata e, ancora sotto bandiera inglese, salpò da Londra nel luglio 1919 al comando del comandante Raffaele Lauro, giungendo a Napoli in agosto. Lo yacht fu poi portato a La Spezia per essere trasformato in nave-laboratorio sotto la direzione dell'ammiraglio Filippo Camperio: a bordo vennero infatti sistemate trasmittenti e riceventi, nonchè alzati gli alberi per le antenne.

Marconi voleva disporre di un mezzo che gli consentisse di effettuare ricerche e relativi esperimenti nel miglior modo possibile: era nata l'ELETTRA, una stazione mobile, su cui poteva lavorare ad ogni ora del giorno in raccoglimento ed isolamento, indipendente da curiosità e distrazioni di sorta, con notevole facilità di spostamento, risolvendo così problemi di portata e di effetti direzionali. Le sue esperienze dovevano essere effettuate a distanze diverse in modo da controllare l'efficacia delle trasmissioni secondo la lontananza tra emittente e ricevente; per maggiore comodità il laboratorio venne collegato direttamente con la cabina dello scienziato. L'arredamento di bordo era consono alle esigenze di lunghi soggiorni ed adatto ad ospitare illustri ospiti per necessità di rappresentanza; tra questi ricordiamo re Vittorio Emanuele III, re Giorgio V d'Inghilterra ed i Sovrani di Spagna. Oltre all'armatore, la nave era in grado di ospitare comodamente sei ospiti, nonchè sei ufficiali, sei sottufficiali e diciotto marinai. Iscritta col nuovo nome di ELETTRA, il 27 ottobre 1921, al compartimento marittimo di Genova (numero di matricola 956) e quindi al Real Yacht Club Italiano, il passaggio definitivo sotto bandiera italiana venne formalizzato in data 21 dicembre.

Nell'aprile del 1920, mentre il panfilo navigava nel golfo di Biscaglia gli ospiti di bordo, grazie alla trasmissione dalla stazione broadcasting Marconi di Chelmsford, per la prima volta poterono sintonizzarsi per sentire via radio l'orchestra dell'Hotel Savoy di Londra, quindi il concerto del soprano Nellie Melba, al Covent Garden: la "RADIO" era una realtà. L'invenzione della valvola termoionica di Fleming, suo collaboratore, gli consentì infatti la realizzazione della "radio" come oggi la conosciamo. Gli esperimenti proseguirono per raggiungere traguardi ancora più concreti. Marconi non aveva dimestichezza con le formule, la sua era una mente intuitiva e pratica, che lo spingeva a tentare quello che gli accademici ritenevano impossibile: inviare segnali nello spazio tra punti non visibili fra loro.

L'ELETTRA divenne fucina di studio per le migliori applicazioni delle onde hertziane corte e cortissime, consentendo il continuo progresso delle radiocomunicazioni. Nel 1922 L'ELETTRA svolse una campagna di esperimenti nel Nord America, nel 1923 lungo la costa occidentale dell'Atlantico per sperimentare le ricezioni a distanze sempre maggiori della nuova stazione su onde corte a fascio di Poldhu (Cornovaglia). Marconi dimostrò così che un segnale poteva essere captato ad oltre 4000 chilometri con trasmissione a potenza ridotta: onde di 92 metri con potenza di 6 Kw. Per conto del Governo inglese, nel 1924 lo scienziato iniziò sull'ELETTRA gli esperimenti con onde corte di 36-60 metri, con una potenza di 12 Kw, coprendo la distanza di 4130 kilometri. Vennero quindi realizzati i collegamenti radio normali ad uso pubblico tra l'Inghilterra ed i suoi "domini": il Canada (24 ottobre 1926), l'Australia (8 aprile 1927), il Sud Africa (5 luglio 1927), l'India (6 settembre 1927). Gli importanti risultati raggiunti a bordo dell'ELETTRA fruttarono tra l'altro un ricco contratto tra il Governo e la sua Compagnia.

Inventore delle società multinazionali, Marconi possedeva un notevole senso degli affari rivelandosi infatti anche grande capitano d'industria e diceva: "Il denaro è un'unità di misura. Chi non si fa pagare non sa misurare il prodotto del proprio lavoro".

Nel gennaio del 1930 vennero imbarcati nuovi apparecchi con soluzioni d'avanguardia nella radiofonia a grandi distanze ed il 26 marzo successivo, alle ore 11,03, avvenne il "miracolo": dall'Elettra ancorata a Genova presso lo Yacht club italiano, per mezzo del piccolo tasto, conservato oggi al Museo del mare di Trieste, Guglielmo Marconi inviava nell'etere gli impulsi che, dopo 14.000 miglia, giungevano in Australia per accendere le lampade del Municipio di Sidney! L'esperimento è stato recentemente ripetuto dal Presidente della Repubblica Luigi Scalfaro a Genova - questa volta con il laser - proprio per celebrare, a 65 anni di distanza, il "genio" di Marconi.

La capacità inventiva dello scienziato era inesauribile e nel 1931 Marconi iniziò gli studi sulle microonde della gamma inferiore al metro, effettuando gli esperimenti tra S. Margherita Ligure e Sestri Levante; nel 1932 fu realizzato il collegamento tra S. Margherita e l'ELETTRA e successivamente quello col radiofaro di Sestri, mediante onde di 63 centimetri.

Si stabiliva così la possibilità per una nave di accedere ad un porto in qualsiasi condizione atmosferica, avvalendosi della rotta segnata dal radiofaro. Uno degli ultimi esperimenti a bordo dell'ELETTRA avveniva nel luglio del 1937 con la messa a punto del radiofaro a micro-onde; ma il 20 luglio 1937 Guglielmo Marconi moriva, lasciando ancora incompiuti i suoi studi, ma all'umanità una via ben tracciata per il progresso della comunicazione. Marconi, resosi conto delle sue precarie condizioni, temeva per la conservazione della "sua" ELETTRA; nel 1937 la nave-laboratorio fu acquistata per 820.000 lire dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni che ne voleva garantire la conservazione. La Soc. Marconi italiana donava poi allo Stato, in occasione del primo anniversario della sua scomparsa, gli impianti di R.T. che erano a bordo del panfilo.

  

Nel 1939 l'ELETTRA veniva portata nell'Arsenale marittimo di La Spezia per lavori di ripristino e di riclassifica; nell'imminenza dell'entrata in guerra dell'Italia fu trasferita a Trieste, considerata città sicura da incursioni nemiche, giungendovi il 9 giugno 1940; qui fu custodita dalla S. p. A. di navigazione Italia fino all'8 settembre del 1943; successivamente il panfilo venne requisito dai tedeschi, inviato in cantiere per essere trasformato in unità di impiego bellico prima con la sigla "G. 107" e quindi "N.A. 6" ed armato con due mitragliatrici binate da 20 mm ed una da 15 mm.

Inutili risultarono le molte proteste italiane; venne concesso unicamente di sbarcare le apparecchiature radio ed i materiali utilizzati da Marconi per i suoi esperimenti grazie anche al tacito appoggio del capitano Zimmermann della Kriegsmarine, che si rendeva conto della loro importanza storica. Tale materiale venne poi imballato ed occultato dal professore Mario Picotti, che temeva un successivo sequestro dei cimeli marconiani, riuscendo così a celarli in 19 casse in posti diversi ma sicuri della città anche nei giorni di occupazione delle truppe titine nel 1945; nel 1947 quasi tutto fu spedito al Museo della scienza e della Tecnica di Milano. Nel novembre del 1943 il panfilo, ormai spoglio del materiale scientifico, venne rimorchiato dalla Kriegsmarine germanica nell'Arsenale Triestino dove - sottoposto a lavori di riadattamento - venne trasformato in nave da guerra con la sigla "G 107" (cambiata successivamente in "MA 6") ed impiegato in servizio di pattugliamento sulle coste dalmate la Nave del Mago tornò a combattere nella costa dalmata, fino a quando, La sera del 21 gennaio 1944 la nave giunse nella valle di Diklo, vicino a Zara, ormeggiando e forse restando incagliata: fatto sta che la mattina successiva i ricognitori aerei l'individuarono e quindi giunsero i cacciabombardieri alleati che centrarono la nave con le bombe e la mitragliarono, il suo relitto rimase abbandonato per un lungo periodo sul bassofondo della baia di Dicolo, disgregato dalla salsedine e dagli agenti atmosferici.

L'Elettra giacque semisommersa fino al 1962, quando il maresciallo Tito, che la considerava bottino di guerra, la restituì al governo italiano senza pretendere una lira. Lo scafo veniva rimesso a galla da una società di recuperi di Spalato che provvide a rimorchiarlo sino al cantiere navale "San Rocco" di Muggia con il proposito di recuperare il relitto ma il progetto venne accantonato dopo anni di studi e progetti inutili.

Nel 1977 la nave veniva sezionata in vari tronconi che vennero trasferiti in varie località a scopo museale. Una parte della carena finì a S.Margherita Ligure, il blocco poppiero al Telespazio di Fucino, una sezione trasversale nel parco di Villa Griffone a Pontecchio Marconi (BO), la macchina e le caldaie al Museo Storico Navale di Venezia. In questi giorni la parte prodiera, rimasta a Trieste, è stata collocata nell'Area di Ricerca di Padriciano, sull'altipiano carsico, in una località difficilmente accessibile e lontana dal mare. Mesi fa infatti veniva affidata al noto scultore di fama internazionale Giò Pomodoro lo studio per la sistemazione della gloriosa prua entro l'Area dello Science Park "non solo come monumento - conclude l'elaborato del dott. Cherini - ma anche come stazione di riferimento di un sistema satellitare di sussidio ai naviganti, il Global Positioning System, trasformando così lo storico relitto in qualcosa di vitale e di pulsante, come la forza creativa dell'impulso che resta alla base della ricerca scientifica".

 

La definizione data da D'Annunzio all'ELETTRA: "candida nave che naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo" - calza ottimamente con la realtà; insieme casa e laboratorio per Guglielmo Marconi, questo splendido panfilo bianco al quale l'umanità intera deve molto era infatti noto in tutto il mondo.

Ci complimentiamo e ringraziamo:

- Il Presidente Roberto Traverso della A.R.I (Associazione Radioamatori Italiani –Sezione di Rapallo – IQ1Bk) per le accuratissime Ricerche e Sintesi storiche che fanno onore a loro e alla nostra città.

- Il Comandante Ernani Andreatta Direttore del Museo Marinaro Tommasino Andreatta per la Sezione del suo Museo dedicata al grande scienziato G.M.

- Il T.V. Enzo Gaggero Presidente dell’Associazione IL SESTANTE che diffonde con grande passione l’Astrofisica e la scienza italiana.

A cura di

CARLO GATTI

 

 

 

 

Si ringrazia il Comandante Celeste Spinelli per il cortese invio del presente materiale al socio di Mare Nostrum Comandante Nunzio Catena. Si ringrazia e ci si complimenta per la presente pubblicazione con l'AIDMEN, a cui appartiene il Comandante Ernani Andreatta del Direttivo di Mare Nostrum.

 

UNA TESTIMONIANZA ECCEZIONALE DEL GIORNALISTA:

 

FRANCESCO PRANZO

L’articolo proviene dall’archivio del quotidiano genovese Il Secolo XIX, che ringraziamo sentitamente per la sua gentile concessione. Un grazie anche al Socio Roberto Craighero I1ARZ per la preziosa collaborazione.

 

Un nuovo prodigio di Guglielmo Marconi

Le micro-onde applicate alla navigazione

Il successo degli esperimenti di ieri fra Santa Margherita e Sestri Levante

-  La “nave dei miracoli”

diretta alla cieca  -  L’infallibile guida del radio-faro  -  La portata della nuova invenzione

Santa Margherita L. 30 luglio (1934, NdR)

 

 

Abbiamo avuto la ventura, che non capita a tutti nè sovente, di essere vicini a Guglielmo Marconi, quand’egli a bordo dell’”Elettra”, navigante tra Santa Margherita e Sestri Levante, ha compiuto stamane dinanzi ai rappresentanti delle autorità italiane e straniere e a ufficiali della marina mercantile e militare, la presentazione sperimentale della sua più recente invenzione. Ancora una volta Guglielmo Marconi affida alla storia delle grandi conquiste della scienza il suo nome già tante volte benemerito dell’umanità. Tutto il mondo oggi parlerà del fatto prodigioso, tutto il mondo oggi guarderà stupefatto, come già altre volte, questo lembo d’Italia, da dove è stato lanciato per gli spazi eterei, parlato sull’ala del genio latino, la nuova vittoria dell’intelletto sulle forze occulte della natura, che avviliscono a volte l’uomo, rendendolo atomo tra gli atomi. Ancora una volta, dunque, per merito di Guglielmo Marconi, l’Italia è messa all’ordine del giorno della civiltà. Pensiamo, nello scrivere questa frase, che già altre volte è stata detta per Marconi, di essere molto sobri. Ma dinanzi a un prodigio della mente, il linguaggio delle parole è vano. La cronaca più semplice può avere più concetto e più sostanza. La forma non conta nulla.

Il pilota delle nebbie

L’interesse scientifico della scoperta fatta da Marconi a suo tempo, sull’enorme vantaggio che hanno le micro onde di essere assolutamente insensibili ai fenomeni atmosferici e induttivi, si può arguire dalla sua meravigliosa applicazione nel campo pratico della navigazione cieca.E’ in questa applicazione di tale scoperta, in questa realizzazione pratica del principio stabilito sperimentalmente, che consiste la grande immensurabile invenzione odierna che continua e completa le precedenti tanto benemerite per la vita delle genti sul mare. In poche parole, il nuovo apparecchio creato da Guglielmo Marconi è destinato non solo a facilitare, ma a dare sicurezza alla navigazione marittima nella nebbia e nelle tempeste e nell’oscurità più fitta.

Fino ad oggi, la perfezione apportata agli strumenti di bordo, consentivano al navigante di essere informato in precedenza delle condizioni atmosferiche ch’egli incontrerà sulla sua rotta, il radiogoniometro gli dava la possibilità di stabilire il punto di riferimento relativo ad altre navi o a punti fissi sulla terra ferma. L’ultima invenzione di Guglielmo Marconi, tre lunghi anni di affannose ricerche sulle micro onde,- permetterà al comandante di una nave, che navighi nella nebbia più densa, di dirigere la rotta verso il punto giusto dell’imboccatura di un porto e di entrarvi così come fosse guidato per mano. L’apparecchio, con cui il grande inventore è riuscito a dare al mondo un’altra ineguagliabile prova del suo genio, si chiama “radio-faro”. Due parole, di cui tutti separatamente conoscevano la funzione e l’importanza, e che unite insieme assurgono  oggi a un significato pratico e scientifico di un’importanza incalcolabile ai fini della vita civile. Ma non è tutta qui la scoperta di Marconi, poichè egli del nuovo apparecchio ha trovato una seconda applicazione, non meno importante e geniale della prima. Considerato infatti che una nave si trovi nell’ambito di azione di un radio-faro, il nuovo apparecchio creato da Marconi permette al navigante di rilevare l’orientamento della propria nave. Si capirà meglio questo punto allorché avremo spiegato come sia composto e come funzioni il nuovo delicatissimo strumento. Ciò che faremo subito.

Che cos’è il radio-faro

Il radio-faro è un apparecchio radiotrasmittente di modeste dimensioni: due metri di altezza per 1,20 di lunghezza. Esso è costituito da due piccoli aerei con riflettori disposti ad angolo retto tra essi e montati su una piattaforma che rappresenta l’estremità di un cilindro. La piattaforma e le antenne oscillano, con moto rotatorio, da destra a sinistra e viceversa con ampiezza di 6 gradi intorno a una linea centrale. Le antenne sono lunghe pochi centimetri e ciascuna ha un riflettore di 90 centimetri di altezza. Il riflettore è formato da una barra centrale curvata a forma parabolica. Lungo la curva della parabola sono disposte diverse sbarrette. L’antenna, vista così, è molto simile a una spina di pesce ricurva. A bordo dell’Elettra è sistemata nella cabina del pilota, l’apparecchio ricevente. Allorchè il radio-faro trasmette i segnali, con lunghezza d’onda di circa 60 centimetri, essi sono captati dal ricevitore di bordo e sono udibili nella cabina di comando attraverso un altoparlante, non solo, ma sono indicati da un ago che oscilla in un comune galvanometro su uno schermo posto di fronte all’ufficiale di rotta. Lo schermo è diviso in due sezioni: una rossa e una verde. Questi, in brevi cenni, sono i due elementi principali e inscindibili della scoperta di Guglielmo Marconi. Vediamone il funzionamento che noi abbiamo potuto seguire e capire stamane, attraverso le esperienze fatte da Guglielmo Marconi e che sono riuscite come era previsto: perfettamente.

Il radio-faro, cioè l’apparecchio trasmettitore, che ha servito alle esperienze di questa mattina è piazzato a circa novanta metri sul livello del mare sul monte Castello, vulgo “Il Torrione” di Sestri Levante, dove sorge la villa Gualino. Di fronte alla costa del monte sono state ancorate due boe, a brevissima distanza dalla scogliera e distanti l’una dall’altra circa cento metri. Tali boe rappresentavano nell’esperienza l’entrata ipotetica di un porto.

Lo yacht Elettra ha lasciato l’ancoraggio di Santa Margherita stamane alle 9, cioè in un’ora in cui la perla del Golfo Tigullio aveva appena fatto la sua toletta mattutina. Una giornata già colma di sole s’affaccia sullo scenario incantevole con una tersità di cristallo. A bordo dell’Elettra il marchese senatore Marconi e la marchesa ci offrono una ospitalità squisita. Tra le personalità del mondo scientifico, marinaro e industriale sono nomi illustri, Mister. W. A. Soceter, rappresentante della Camera of Schipping; mr Neulle Dixey, presidente del Lloyd’s; sir Bertram Fox Hays rappresentante della Compagnia of Master Mariners; Major Austin Bates della Cunard Wite Star Line, il comandante del più grande transatlantico del mondo "Majestic, i rappresentanti della Marina militare e mercantile capitano di vascello Po e comandante del “Conte di Savoia” gr. uff. Lena; alcuni dirigenti della Marconi international mariner, l’on. Pietro Ferretti di Castelferretto; il gen. Ingianni e l’ammiraglio Pession; i rappresentanti del porto di Londra e della London and Eastern Railways; i marchesi Bezzi-Scala suoceri del senatore Marconi, e altri.

Navigazione bendata

Poco dopo le 9 lo yacht Elettra s’allontanava dunque da Santa Margherita, drizzando la prua verso Sestri Levante. Il ponte di comando è completamente chiuso da tende in modo che nè il comandante nè l’ufficiale di rotta possano vedere all’esterno. Si naviga quindi completamente alla cieca, per effettuare in tal modo il passaggio fra le boe ormeggiate a poca distanza di monte Castello. Da una distanza di dieci miglia lo yacht è già nell’ambito del radio-faro. Il prodigioso esperimento, prodigioso anche perchè di una semplicità grandissima, è tutto qui: quando la nave si trova in una linea che non coincide con la linea centrale, cioè giusta, dell’imboccatura del porto, l’ago oscillando più da una parte che dall’altra dello schermo, ne rileva l’errore che l’ufficiale di rotta può facilmente constatare.

Nello stesso tempo però che l’ago compie tali oscillazioni, prodotte dalla ricezione delle onde trasmesse dal radio-faro, un altoparlante trasmette a sua volta due suoni prolungati, uno grave l’altro acuto, che avvertono l’ufficiale a seconda dell’intensità più o meno maggiore di uno di essi degli spostamenti che la rotta della nave subisce in quel dato momento. Così guidato, e dai segnali acustici e dalle oscillazioni dell’ago sullo schermo, il comandante della nave può modificare la rotta sino a mantenerla nel giusto senso. Per raggiungere questo fine l’ufficiale di rotta non ha da fare altro che spostare la rotta di quei gradi che permettano all’ago di restare nella linea centrale dello schermo, precisamente tra la zona rossa e la zona verde. S’intende che anche la deriva dovuta a vento o a correnti deve essere tenuta in conto nelle correzioni che l’ufficiale apporta al senso della rotta.

La caratteristica della trasmissione fatta dal radio-faro non è basata, come si potrebbe credere trattandosi di trasmissioni a fascio, sulla formazione nello spazio di una stretta zona di onde bensì sulla formazione di una piccola zona di silenzio nel centro del fascio di onde lanciato dal radio-faro. E’ questa strettissima zona di silenzio che deve coincidere con la linea giusta dell’imboccatura del porto perchè la rotta della nave non sia fuorviata.

Tale oscillazione, che ha come abbiamo detto un’ampiezza di soli sei gradi, quando si svolge a sinistra il radio-faro trasmette una nota acuta, quando a destra, una nota grave. Per mezzo di tali oscillazioni e dei suoni diversi, il comandante può rendersi conto se la nave si trovi troppo a sinistra o troppo a destra della rotta normale per entrare con sicurezza nel porto, o se sulla rotta giusta.

Quando la nave si trova sulla linea giusta il tono cambia, ma senza differenze intense, se invece la nave si trova fuori della rotta buona il cambiamento di tono è più sensibile e la nota grave o acuta che corrisponde, nel caso, alla differente variazione della rotta, sarà più forte dell’altra. Anche gli aerei riceventi, che sono sulla nave, sono alti come quelli del radio-faro, cioè 90 centimetri, e hanno un piccolo riflettore e circuiti sindonici a valvole di ricezione. L’angolo di ricezione di questi ricevitori è di oltre 100 gradi in modo che i segnali radio possono essere ricevuti qualunque sia la posizione della nave relativamente al trasmettitore.

A tu per tu col prodigio

Abbiamo accennato più sopra a una seconda e ingegnosa applicazione del radio-faro il quale mediante un dispositivo speciale permette al navigante di determinare la distanza della nave dal porto o da qualsiasi punto entro un raggio di oltre due miglia. Tale rilevazione è ottenuta calcolando l’intermittenza con cui il trasmettitore emette i suoi segnali radio a intervalli regolari simultaneamente a un segnale acustico. Per percepire il segnale radio e il segnale acustico, è installato sulla nave un ricevitore acustico a forma di microfono speciale, sintonizzato col segnale lanciato dal radio-faro. Premendo un bottone, appena il segnale radio sia stato ricevuto, la cuffia dell’osservatore è cambiata da ricevitore radio in ricevitore acustico: basterà allora calcolare il tempo intercorso tra la percezione dei due segnali, misurandolo su un cronometro, per stabilire la distanza che intercorre tra la nave e il porto o due dati punti fissi.

Tutto ciò che siamo venuti dicendo l’abbiamo appreso e constatato alla stregua delle esperienze che venivano compiute da Guglielmo Marconi alla nostra presenza. Chiusi nella cabina del comando, da cui alcuna visuale esterna era consentita dalle tende scure tirate sui vetri, abbiamo seguito passo passo e con un’ansia che era un riflesso della calma altrui, le varie fasi dell’esperimento. Mano a mano che l’Elettra si avvicinava veloce verso la scogliera di monte Castello, l’attenzione della piccola folla di bordo si acuiva. Le due note, una grave e una acuta, che l’altoparlante trasmetteva, si ripetevano cun una insistenza da metronomo. Più acuta, meno grave e viceversa. A ogni suono più intenso un giro al timone nel senso opposto al lato corrispondente al tono. Se più grave un giro di timone a sinistra, se più acuto a destra. Semplice, no? L’Elettra naviga lievemente. Altro non s’ode del suo andare sul mare che il lieve fruscio dell’onda che s’infrangia sulla prua. Già la scogliera di monte Castello appare vicina. Ci dividono però ancora seicento metri. Le due boe invece sono a brevissima distanza dagli scogli. Perchè l’esperimento possa dirsi riuscito occorrerà passare tra le boe, nel giusto mezzo. Se l’esperimento, per un’ipotesi maligna, non dovesse riuscire l’Elettra potrebbe anche infrangersi contro gli scogli. Questa probabilità ci viene confidata però a esperimento felicemente riuscito.

E giungiamo così a duecento metri dalla linea frontale delle boe, con una lieve deviazione verso sinistra. Ma l’apparecchio ricevente fa sentire lievemente più intenso il suono grave. Mezzo grado di deviazione. Un giro di timone. L’ago sullo schermo oscilla regolare intorno all’asse mediano. I toni sono uguali. Ora la prua è dritta sull’asse centrale che divide a mezzo la distanza tra le boe, nella zona di silenzio; par che segua, come un automa un sentiero tracciato. L’Elettra passa così tra le boe senza avvedersi di tagliare un traguardo di gloria. A bordo Guglielmo Marconi sorride della stupefazione che s’è dipinta su tutti i visi. Noi giornalisti, più poveri degli altri in fatto di cognizioni sull’argomento scientifico, ci guardiamo in volto senza dir nulla. Le personalità inglesi che sono nella cabina di coamndo perdono la loro flemma tradizionale e s’affrettano a guardare fuori per convincersi che l’Elettra non si sia frantumata come un guscio d’uovo sulla scogliera. Piano piano l’Elettra virato di bordo, ritorna al largo per ritentare una prova ancora più convincente.

Si fa strada nel nostro spirito il senso del prodigio che s’è compiuto dinanzi ai nostri occhi. E ci assale lo smarrimento. Scrutiamo nel volto di Marconi un segno, uno solo, che tradisca la sua emozione. Egli sorride alla moglie, che gli è felice accanto, e accarezza Elettra, la sua bellissima figlioletta. No, non è per noi, analizzare la sostanza divinamente occulta del genio.

Giubilo popolare

Ritornata al largo, l’Elettra gira ancora la prua verso monte Castello. Si ritenta la prova. Ma il senatore Marconi, per convincere ancora di più i presenti, affida a un capitano marittimo inglese la guida cieca dello yacht. Il capitano inglese che non conosce del funzionamento degli apparecchi se non quello che gli è stato spiegato, prende il posto dell’ufficiale di rotta. Siamo nuovamente tutti nella cabina e seguiamo, attraverso la monotona cicalata dell’alto parlante, il progressivo avanzamento della nave verso la scogliera. Ecco ancora le boe che s’avvicinano. A noi sembra che siano esse a muoversi. Eccole a cento metri, a cinquanta metri, a venti, a dieci. Ancora una volta la prua dell’Elettra ha tagliato nel giusto mezzo la distanza che separa le due boe. Prua a largo. Un giro lungo sul mare azzurrissimo. E poi l’Elettra s’arresta. Il prodigio è compiuto. Dalla riva innumeri imbarcazioni di ogni tipo e dimensione vengono incontro a noi. Giunti sotto i fianchi dello yacht, tutti coloro che vi sono a bordo, come per un’intesa, applaudono a lungo e gridano il loro gioioso evviva a Marconi. Il mago è costretto ad affacciarsi alla murata. Egli risponde al saluto che gli viene da questa simpatica folla anonima, salutando romanamente. Poi sorride perchè da un sandolino due ragazzini hanno gridato spontanei: “evviva Marconi”. Questo nome, così pieno di fascino, devono averlo imparato a scuola. E non sembra loro vero di poter recitare la lezione nella realtà della vita, senza sforzo di memoria. “Marconi, lo vedi? - dice un altro ragazzetto additando il senatore a un compagno - è quel mago che accende la luce a mille e mille miglia di distanza. Ora verrà a Sestri Levante. Potremo vederlo da vicino.”. Ma se essi sapessero quale altra magia ha compiuto oggi il “pilota delle nebbie”!

Gettata l’ancora nella rada di Sestri Levante, l’Elettra ora si culla sulla lieve onda e fa la chioccia tra i pulcini delle innumeri piccole imbarcazioni di diporto che si affollano intorno. Si va ora a terra per visitare la stazione del radio-faro situata sul torrione che è sul cucuzzolo di monte Castello. L’ascesa non è delle più lievi, ma Guglielmo Marconi, che ci batte la strada, ci da’ un esempio che possiamo non imitare. Per stretti e rapidi sentieri, che corrono tra siepi di arbusti e filari di pini, si giunge al torrione, dove ci viene mostrato il radio-faro e ci si fa assistere al cambiamento del tipo oscillante con quello a movimento rotante per una esperienza che suscita molto interesse. Il sistema di aerei è fatto rotare di un giro completo ogni minuto. In questo modo il cambiamento di tono avviene quando la linea zero di rotazione passa sul sud effettivo della bussola e l’orientamento della nave sul radio-faro è ottenuta misurando con un cronometro il tempo che intercorre tra il cambiamento di tono e il passaggio della linea zero di rotazione sulla nave.

Si ritorna verso Santa Margherita. Ma prima di giungervi possiamo ancora assistere ad altre esperienze, non meno interessanti delle prime. Così assistiamo alla rilevazione, fatta sempre in navigazione cieca, dei punti di riferimento con altri punti fissi o con l’imboccatura di un ipotetico porto che sia a distanza di due miglia. Per finire l’ing.

Mathieu compie lo stesso esperimento della mattina, di individuazione cioè della zona morta, ma navigando in senso opposto alla posizione del radio-faro. E possiamo così ancora constatare compiuto all’inverso la riuscita del fenomeno prestigioso. L’entrata dell’Elettra nella rada di Santa Margherita, passando tra due boe, è compiuta navigando alla cieca e solo affidati alla perfezione degli strumenti creati da Marconi.

Il sole del meriggio ha cominciato a calare sull’orizzonte. L’Elettra, la nave dei miracoli, è nuovamente alla fonda nella rada di Santa Margherita. Scambio di saluti tra gli ospiti. Ossequiamo Marconi senza saper trovare una parola delle tante che più tardi certo ci verranno alla mente. Non abbiamo neppure saputo ringraziarlo di averci fatto il dono di assistere al suo ultimo prodigio di mago. Ma sentiamo che questo dono noi lo conserveremo gelosamente tra i ricordi più belli della nostra giovinezza, come un segno di fortuna.

Il prodigio è compiuto. Tutti possono rendersi conto della importanza che la scoperta fatta da Marconi acquista nel campo vastissimo e difficoltoso della navigazione marittima quando tutti gli elementi infidi della natura si schierino contro. Tutti possono pensare quali enormi applicazioni, quali sviluppi tale invenzione può avere. La mente, a pensarci, si perde in un dedalo di ipotesi, che possono tuttavia essere tutte realizzabili. Non è una magia malefica. Essa è nata nella mente di Marconi, come un sorriso di bontà. Essa è umana, soprattutto umana, dedicata alle genti che sul mare, sulla terra e nei cieli rischiano sovente la loro vita. E’ infatti una formula di vita. Si potrà -in parole povere e crude- morire meno facilmente, si potrà lottare e vincere la natura quando diventi matrigna, quando scateni sul dosso degli uomini i suoi elementi di morte

Per questo dono fatto all’umanità, Guglielmo Marconi, l’umanità ti dice grazie, nel secolo che corre e nei secoli che verranno.

 

 

 

 

a cura di:

Carlo GATTI

Presidente dell’Associazione Marinara MARE NOSTRUM Rapallo

Rapallo 20 Maggio 2015

 

Questo saggio, in data odierna: 17.4.2024, ha avuto un nuovo editing adattato alla versione del nuovo sito, per cui risulta più ampio e leggibile, inoltre, per l’occasione del 25 Aprile, data di nascita dello scienziato Guglielmo Marconi, abbiamo arricchito il nuovo saggio con altri capitoli di notevole interesse! Grazie!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


L'Ammutinamento della STOROZHEVOY. Ispirò il film CACCIA A OTTOBRE ROSSO

L’ammutinamento della fregata

STOROZHEVOY

Ispirò il film ‘Caccia a Ottobre Rosso’

Il termine ammutinamento é comunemente usato nella storia navale come sinonimo di ribellione. Un saggio capitano lo inserisce nell’inventario di bordo e lo tiene continuamente sotto controllo come la bussola. L’ammutinamento é un fenomeno antico ma sempre attuale essendo un sentimento latente che nasce e convive con l’equipaggio, ed é sempre pronto ad esplodere proprio come certi virus. Il movente può essere di qualsiasi natura, ma oggi ci occuperemo del suo peculiare aspetto politico.

Tutti ricordano il film di grande successo Caccia a Ottobre Rosso, ma pochi, immagino, conoscono l’episodio che lo ha ispirato e che fu ben più drammatico della fiction che ebbe come protagonista Sean Connery nei panni del Comandante lituano Marko Ramius. Il film com’é noto, terminò con la consegna del gigantesco sottomarino atomico sovietico agli americani, e il suo Comandante concluse la propria esistenza nel Maine che aveva sempre sognato. Ben altra storia ebbe la STOROSHEVOY (Sentinella), la modernissima fregata URSS della classe Krivak (nomenclatura NATO) che apparteneva alla Flotta del Baltico, ed aveva un armamento innovativo molto temuto dagli americani. Nel romanzo di Tom Clancy, l’unico responsabile dell’ammutinamento era stato il Comandante dell’unità subacquea sovietica, nella realtà fu invece il Commissario Politico, il Capitano di Terza Classe Valery Mikhailovich Sablin che si trovava a bordo come Agente governativo russo, col compito di garantirne la lealtà. Occorre anche precisare che Sablin era un comunista duro e puro che non si sentiva idealmente allineato con la politica di Brezhnev, ritenendolo responsabile di corruzione e lontano dagli ideali del ‘primo’ socialismo. Il suo importante ruolo di rappresentante del Governo a bordo, gli permise di coinvolgere e trascinare oltre metà dell’equipaggio in un’avventura che, inizialmente, sembrava più folkloristica che rivoluzionaria, più ingenua e propagandistica che sovversiva.

Il piano di Sablin prevedeva il sequestro e la fuga della Fregata da Riga (Lituania) a Leningrado (l’attuale Sanpietroburgo), che si sarebbe conclusa con l’ormeggio dell’unità ammutinata al fianco del celebre incrociatore AURORA, oggi nave-museo, che fu il simbolo della Rivoluzione d’Ottobre. Un gesto emblematico che avrebbe indicato al popolo sovietico una ‘nuova rotta’: l’auspicato ritorno della nazione agli “ideali leninisti”. La parte finale della missione sarebbe stata ancora più esplicita. Sablin avrebbe diffuso via radio un pesante monito contro la ‘decadenza del comunismo’.

Rara immagine del Capitano di terza Classe Sablin, il leader dello sciagurato ammutinamento


Una fregata della classe «Krivak», alla quale anche lo STOROZHEVOY apparteneva.

L’episodio che oggi vi raccontiamo, rimase avvolto nel mistero per decenni e venne alla luce dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Nel novembre del 1975, in piena Guerra Fredda, Sablin aveva 36 anni e vantava un perfetto curriculum: Cadetto modello all’Istituto Navale di Leningrado, era già stato assegnato sia alla Flotta del Baltico che a quella del Mar Nero. Nel 1973 si diplomò presso l’Accademia di Politica Militare ‘Lenin’ da cui uscì con la nomina di Commissario Politico.

I drammatici avvenimenti presero avvio l’8 novembre del 1975 nel porto di Riga. Sablin ed il suo complice Alexander Shein riuscirono con uno stratagemma ad imprigionare il Comandante della nave Anatoly Putorny nel quadrato ufficiali. Riunì quindi tutto l’equipaggio e nel corso del solito comizio propagandistico, spiegò i motivi di quella iniziativa assicurando la partecipazione di altre unità della Marina. Non era vero, ma sperava che il bluff funzionasse. L’iniziativa ebbe successo. Soltanto sette ufficiali si dichiararono contrari e furono rinchiusi in un apposito locale lontano da quello del Comandante. Fu sottovalutato un giovane Guardiamarina che votò a favore, ma fuggì per avvisare le Autorità militari del tradimento in atto. Questa mossa scombussolò i piani di Sablin che si vide costretto ad anticipare alle ore 23 non solo la partenza dello Storozhevoy da Riga, ma anche il discorso che avrebbe dovuto pronunciare a Leningrado. Un altro imprevisto glielo procurò il marconista di bordo il quale, di propria iniziativa, diffuse il messaggio soltanto sulle frequenze riservate alla Marina e non su quelle civili. Le Autorità Sovietiche ebbero in questo modo la conferma dell’ammutinamento. Poco dopo Sablin dovette affrontare un problema di navigazione che non conosceva: il canale di Riga tra le isole Hiivmaa, Saaremaa e l’Estonia, non era navigabile nel suo tratto verso nord.


La cartina mostra il teatro della drammatica avventura della Fregata sovietica Storozhevoy. La linea rossa rappresenta la rotta della fregata.

Era quindi necessario mettere la prua sull’isola svedese di Gotland, continuare l’accostata a dritta verso Stoccolma, completare la curva per entrare nel Golfo di Finlandia e raggiungere Leningrado. La possibilità che la fregata raggiungesse la neutrale Svezia e che l’equipaggio chiedesse ‘asilo politico’ in massa, consegnando l’unità con tutti i suoi segreti militari di ultima generazione, diventò presto un incubo per il Cremlino, il quale manifestò immediatamente la volontà di scatenare una formidabile caccia per impedire che tutto ciò potesse accadere. Lo stesso Breznev, alle 04.15 della stessa mattina, inviò ben tredici navi da guerra e una decina di aerei (tra ricognitori e caccia bombardieri). Mancavano solo cinque ore alla nave ammutinata per raggiungere la Svezia. Sablin rischiò parecchio cercando di uscire a radar spento dai vari canali di Riga e lo fece per diminuire le probabilità di essere individuato. Ma quando si trovò in un banco di nebbia fu costretto ad accenderlo, e fu immediatamente localizzato da due aerei Ilyushin II-38 che fecero convergere tutte le unità aeree e navali disponibili sulla Storozhevoy. Iniziò da quel momento un fitto invio di messaggi e ordini di resa che non trovarono ascolto sulla fregata, neppure quando all’equipaggio fu promesso il perdono in cambio della consegna della nave e del suo Comandante.

L’escalation di moniti inascoltati fu seguita da minacciosi voli di Yak-28 e Tupolev Tu-16 (nella foto). Tra l’equipaggio affiorarono dubbi, paure e si divisero sull’andamento della missione e sugli esiti finali. La fuga della fregata sovietica entrò in una fase molto delicata perché alle 08 di mattina entrò, di fatto, in acque internazionali e gli ordini del Cremlino furono categorici: “Se la nave non si arrende, affondatela”. Ciò nonostante, i piloti dell’Aviazione del Baltico erano ancora restii a fare fuoco sull’unità. Questo ‘strano’ comportamento risultò dagli innumerevoli inviti di Sablin ai piloti militari per unirsi alla loro causa. Le Autorità militari della vicina Svezia erano in massima allerta, prima a causa dell’intenso traffico via radio, poi dall’avvicinarsi, a tutta forza verso le loro coste, di un’imponente flotta aereonavale. Gli svedesi, disponendo di sistemi SIGINT acquistati in gran segreto dagli americani, capirono tutto e subito, ma non poterono diramarlo al mondo. L’epilogo si stava ormai avvicinando a grande velocità. Una bomba da 500 libbre lanciata da un caccia Fencer danneggiò il timone della Fregata rallentandone la corsa. A bordo alcuni marinai liberarono il Comandante Putorny che armato di pistola salì in plancia e sparò a Sablin ad una gamba. I modernissimi caccia sovietici avevano già avuto l’ordine di armare i missili e colpire la nave nei successivi passaggi, ma Putorny riuscì a comunicare in tempo, via radio, d’aver ripreso il comando della nave. L’isola di Gotland era ormai a 30 miglia quando la Storozhevoy fu raggiunta dagli incursori della Fanteria di Marina che abbordarono la nave e disarmarono  l’intero equipaggio.

L’Epilogo

L’equipaggio fu arrestato e sottoposto a pressanti interrogatori da parte del KGB. Tuttavia, soltanto Sablin ed altri 13 ammutinati furono rinchiusi nella prigione moscovita di Lefortovo. Le accuse erano molto gravi perché gli inquirenti sospettavano infiltrazioni straniere e diramazioni clandestine pericolose per il comunismo. Nel luglio del 1976 si riunì la Corte Marziale e dopo tre giorni di processo, Sablin fu condannato a morte per tradimento, mentre il suo fedele amico Shein fu condannato a molti anni di carcere. Dopo nemmeno un mese dalla sentenza, Sablin fu giustiziato con un colpo alla nuca per espressa volontà di Brezhnev.

 

Nel 1994 sia Sablin che Shein furono in parte riabilitati dal Collegio Militare della Corte Suprema che ravvisò eccesso di autorità e insubordinazione nel comportamento di Sablin. Soltanto in quella circostanza si venne a conoscenza dei fatti veri accaduti sulla Storozhevoy. I sovietici, infatti, stesero un impenetrabile velo di silenzio sull’intera vicenda per tutta la durata della Guerra Fredda, temendo che altri equipaggi potessero essere irretiti in altri ammutinamenti, defezioni o fughe verso i Paesi liberi-confinanti. Nonostante la parziale riabilitazione, nemmeno la famiglia  fu mai informata  della vera sepoltura di Sablin, la cui memoria può essere tuttora onorata presso un monumento dedicato ai prigionieri politici.

 

Alla fine degli anni Novanta la Storozhevoy fu radiata e venduta all’India per essere demolita.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14.05.12