INCIDENTE DIPLOMATICO nel Porto di Genova
14.8.1967
INCIDENTE DIPLOMATICO
NEL PORTO DI GENOVA
Con rivolti semicomici.....
La nave da carico cinese LIMING diventò famosa per l’esposizione di striscioni che esaltavano non solo l’amicizia tra il popolo italiano e quello cinese, ma esibivano anche delle massime di Mao Tze-Tung che si prestavano ad interpretazioni polemiche e soprattutto politiche.
Nave |
Bandiera |
Varo |
Stazza L. |
Lung-Larg |
Soc. |
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LIMING |
cinese |
1961 |
9575 |
155 x 20,5 |
Shanghai Ship.Co. |
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Era domenica. I primi striscioni comparvero poco dopo il termine della manovra d’attracco della nave, nel Porto Nuovo e la rappresentazione semi comica andò in scena verso le nove.
Nella striscia centrale della M/n cinese LIMING c’é scritto: “Lunga vita all’amicizia tra i popoli Cinese e Italiano”.
In particolare cadde l’occhio su un cartellone, esposto a poppa (verso la calata), che fu contestato e censurato dalle Autorità Marittima e Portuale. Ecco il testo:
“Sollevare una pietra per poi lasciarsela cadere sui piedi è, secondo un proverbio cinese, il modo di agire di certi sciocchi. I reazionari di ogni paese appartengono a questa categoria di stupidi.”
Le Autorità genovesi invitarono, in un primo tempo, il comandante cinese Ku-Fu (che non era siciliano) a togliere, oppure a rivoltare verso l’interno i discutibili proclami.
La delegazione dei Compagni di Genova del Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista), in rappresentanza della Associazione Italia-Cina (Comitato Provinciale genovese) fraternizzano con i marinai della Rep.Popolare Cinese della nave “Liming”, alla fonda nelle acque del porto di Genova (al momento non era stato ancora concesso l’attracco, negando il rifornimento idrico e l’approvigionamento alimentare), il 13 agosto del 1967.
Questo è il manifesto dell'Associazione Italiana per i rapporti culturali e di amicizia con la Repubblica Popolare Cinese, affisso in Genova e in molte altre città italiane (Milano, Taranto, Firenze, Savona), per la vittoria ottenuta dai coraggiosi marinai della Liming, che hanno sfidato e vinto una provocazione inscenata dalle autorità del nostro paese contro la diffusione del pensiero del Compagno Mao Tse-tung.
La risposta del bordo fu sicuramente arrogante. I cinesi non avrebbero modificato i loro atteggiamenti dichiaratamente provocatori.
S’impose così una sorta di braccio di ferro:
Il generale Luigi Gatti, l’allora Vice Presidente del Consorzio Autonomo del Porto, diede agli ospiti asiatici una specie di ultimatum:
“O voi togliete la scritta, oppure ve n’andate. Qui siete a casa nostra e soltanto noi decidiamo cosa è bene e che cosa non va per il nostro porto.”
A quest’ordine preciso e perentorio, i cinesi reagirono con sbandieramenti ritmici di libretti rossi, intervallati da incomprensibili comizi. Il tutto pareva orchestrato da una sapiente regia che seppe di sicuro improvvisare una comica pantomima che attirò, in brevissimo tempo, l’attenzione di mezzo mondo.
Poi comparvero altri cartelli in italiano:
“Protestiamo energicamente contro le Autorità Italiane che hanno creato grave incidente politico ostile contro il popolo cinese”.
“Protestiamo violentemente contro le Autorità Portuali per l’ordine illegale di lasciare il porto di Genova.”
Qui occorre precisare che, a salvaguardia dell’ordine pubblico, nonché per altri seri motivi, rientra nelle normali funzioni del Comandante del Porto, invitare o costringere una nave a lasciare lo scalo.
In porto la situazione si mantenne sempre sotto controllo, mentre le acque rimasero agitate, a livello politico-diplomatico, ancora per qualche tempo, poi tutto si ricompose. Per gli uomini del porto, della cinese LIMING è rimasto il ricordo di una
“macacata” un po’ forzata ed eccessiva, ma con indubbi risvolti di pittoresca politica. Il porto di Genova n’aveva visto di ben altre….
Il caso della LIMING destò grande meraviglia nello shipping internazionale proprio perché le navi cinesi, da secoli, hanno scalato porti italiani senza mai destare preoccupazioni e problemi di alcun tipo.
Carlo Gatti
Rapallo, 25.11.2012
H-VITTORIALE degli Italiani, Mausoleo
IL MAUSOLEO DEL VITTORIALE
La Arche degli Eroi intorno alla Tomba di Gabriele D’Annunzio
Mausoleo del Vittoriale, le Arche degli Eroi (particolare)
Nella parte più alta del parco del Vittoriale, detta Monumentale, si trova il Mausoleo dove sono sepolti in cerchio i Legionari Fiumani e al centro la tomba di D'Annunzio. L'architetto Maroni costruì il Mausoleo sul colle più alto del Vittoriale.
Visibile nella foto: il triplice giro di mura: Vittoria degli umili (il primo), Vittoria degli Artieri (il secondo) e Vittoria degli Eroi (il terzo). In cerchio le arche dove sono sepolti (alcuni simbolicamente) i legionari di Fiume fra cui lo stesso Maroni. Le Arche sembrano volere fare da guardia al sarcofago posto in alto e dominante la zona dove dal 1963 (centenario della nascita di D'Annunzio) sono custodite le sue spoglie.
Sopra al masso dell'Adamello che fa da altare, un grande crocifisso dello scultore simbolista Leonardo Bistolfi (originale del 1901). Appesa al centro la lampada in bronzo resta accesa perennemente. (vedi foto)
Uscendo dall'interno del Mausoleo e girandosi verso il lago quello che si vede è di grande effetto. L'ultima impresa condotta da Maroni dopo la morte di D'Annunzio è la progettazione del Mausoleo; a partire dal 1939 si approntano il modellino e le fondamenta. I lavori si concludono solamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Mausoleo sostituisce definitivamente il Mastio o il Colle delle Arche, allestito a partire dal 1928 con la traslazione dei sarcofaghi romani donati dalla città di Vicenza e le salme di alcuni legionari. Giancarlo Maroni (1893 - 1952) è l'architetto del Vittoriale, alpino irredentista medaglia d'argento al valor militare. Si diploma in architettura a Milano e nel 1921 il legionario di Riva del Garda Giuseppe Piffer lo presenta a D'Annunzio, da poco trasferitosi a Gardone Riviera.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
G-Il VITTORIALE degli Italiani: La R.N.Puglia
Regia Nave PUGLIA
Renato Brozzi, Vittoria angolare per la prora rostrata della nave PUGLIA
Nella foto, il Ponte di Comando della PUGLIA ripresa dalla coperta della nave e sullo sfondo il Mausoleo.
Sotto il colle mastio è collocata la la Nave Militare Puglia, forse il più suggestivo cimelio del Vittoriale. La nave, sulla quale trovò la morte Tommaso Gulli nelle acque di Spalato , fu donata a d'Annunzio dalla Marina Militare nel 1923. I lavori per portarla al Vittoriale si rilevarono particolarmente impegnativi: si trattava di sezionare una nave e trasportarne per via ferroviaria la prora a 300 km da La Spezia; per l’impresa furono necessari venti vagoni ferroviari e numerosi camion militari. A coordinare l’invio dei materiali e dirigere i lavori di ricostruzione venne designato l’ingegner Silla Giuseppe Fortunato, allora tenente del Genio Navale. La prua, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico e la Dalmazia , fu adornata da una polena raffigurante una Vittoria scolpita da Renato Brozzi. Nel sottocastello della nave, dal 2002, è stato allestito il Museo di Bordo che raccoglie alcuni preziosi modelli d'epoca di navi da guerra della collezione di Amedeo di Savoia, duca d'Aosta.
L'ariete torpediniere Puglia della Regia Marina apparteneva alla Classe Regioni o Lombardia, ed era derivato dall'ariete torpediniere Dogali. Esso fu uno dei tanti progetti creat i dal Generale Masdea, del genio navale della Regia Marina. Svolse il suo servizio principalmente nell'Adriatico, dove dopo la Prima guerra mondiale fu utilizzato anche come presenza in porti dalmati, trovandosi anche al centro degli "incidenti di Spalato" tra il 1918 e il 1920, che causarono tra l'altro la morte del comandante Tommaso Gulli. La nave venne riclassificata come posamine nel 1921. La nave Puglia nel 1923 venne donata dalla Regia Marina a G.D'Annunzio : la prua e gran parte delle sovrastrutture (castello, ponte, artiglierie, ecc.) vennero quindi inserite dal poeta nel parco del Vittoriale degli Italiani, simbolicamente rivolta verso l'Adriatico.
La prua della nave PUGLIA rivolta verso l’Adriatico...
R.N.PUGLIA, Artiglieria di bordo
Puglia |
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Descrizione generale |
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Tipo |
Ariete torpediniere |
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Classe |
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Cantiere |
Arsenale di Taranto |
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Impostata |
1893 |
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Varata |
1898 |
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Completata |
1901 |
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Radiata |
1923 |
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Caratteristiche generali |
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2.538 (3.096 pieno carico) |
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Lunghezza |
88,2 m |
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Larghezza |
12,4 m |
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Altezza |
5,4 m |
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Propulsione |
*4 caldaie ▪ 2 motrici alternative ▪ 2 eliche ▪ Potenza: 7.000 HP |
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Velocità |
17 nodi |
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Autonomia |
4000 NumeroMiglia mn a 10 nodi NumeroNodi(Numerokm km a Velocità km/h) |
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Equipaggio |
201 |
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Armamento |
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Armamento |
*4 pezzi da 152/32 mm. ▪ 6 pezzi da 120/40 mm. ▪ 8 pezzi da 57 mm. ▪ 8 pezzi da 37 mm. ▪ 2 mitragliere ▪ 3 tubi lanciasiluri |
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Le grandi maniche a vento della nave PUGLIA
R.N. PUGLIA, la Campana di Bordo 1904
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
F-IL VITTORIALE degli Italiani: Ansaldo SVA 10
ANSALDO SVA - 10
SCHIFAMONDO
l’Auditorium
Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA-10 del celebre Volo su Vienna. Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio De Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della "Figlia di Iorio" e di "Parisina" Jonathan Meese, Luigi Ontani.
Alla cupola della grande sala é sospeso il biplano biposto da ricognizione e bombardamento (SVA-10) con il quale il 9 agosto 1918 d’Annunzio partì dal Campo di San Pelagio, presso Treviso, in direzione di Vienna; d’Annunzio era sull’aereo pilotato dal comandante Natale Palli.
Ansaldo SVA-10 visto dal basso
L’87° squadriglia della “La Serenissima” (11 Ansaldo-SVA, ma in realtà 4 velivoli furono costretti a fermarsi prima), seguendo un progetto ideato dal poeta già nel 1917, sorvolò la capitale dell’impero a 800 metri di altezza, lanciando sulla città 50.000 copie di un volantino in lingua italiana che, “per la gioia dell’arditezza” e “per la prova di quel potremo osare”, inneggiava al “vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà”. Furono lanciate anche 350.000 copie di un altro testo, scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco, meno lirico, ma ugualmente chiaro nel suo messaggio al governo austroungarico, “nemico delle libertà nazionali”. Poche ore dopo, la squadriglia era di ritorno.
Ansaldo SVA 10 con vista del cockpit
A ricordare l’impresa, d’Annunzio vorrà nel gonfalone della Reggenza del Carnaro e nel blasone del principato di Monte Nevoso, le sette stelle dell’Orsa Maggiore, sette come gli aerei giunti a Vienna. L’effetto dell’impresa sull’opinione pubblica viennese, italiana e mondiale fu enorme, e d’Annunzio venne proposto per la medaglia d’oro al valore militare.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
E-IL VITTORIALE degli Italiani: la Beffa di Buccari
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA BEFFA DI BUCCARI
10-11 febbraio 1918
MAS n.96
Un po’ di Storia...
La rotta dei MAS
L'azione svoltasi nella notte sull'11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici "tra le imprese più audaci" del conflitto con una influenza morale incalcolabile, anche se purtroppo sterile di risultati materiali. Al comando di Costanzo Ciano, all'azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D'Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.
I siluri del MAS 96
L'audacia dell'impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l'attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all'intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.
L'impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D'Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell'azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia".
Ecco come Gabriele D' Annunzio, che ne fu uno dei protagonisti, descrisse sul «Corriere della Sera» l'impresa di Buccari.
“10 febbraio 1918. ... Il mattino è nuziale. Il bacino è cangiante e soave come la gola del colombo. Le case hanno qualcosa di femineo, simili a donne che si levino sul gomito e guardino attraverso le cortine d'oro filato. Scorgo sul cilestro dell'acqua le nostre saettìe grige coi loro siluri dal muso di bronzo, che luccicano, bene uniti come i miei piedi nelle calze di carta chinese. Vedo la dirittura della riva, la vecchia pietra degli approdi e delle partenze, e lungo la riva i marinai allineati, la bella materia eroica. In piedi nel canotto sono issato vigorosamente dalla mano tesa di Luigi Rizzo che ha già la sua casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca. In un attimo la coesione si forma. Tra equipaggio e capo c'è la stessa rispondenza che tra innesco e percotitoio.
Parlo agli uomini in riga contro un muro di mattone che ha il colore del sangue aggrumato. Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un'erba trista di carcere, mai nata tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l'esca, come una sostanza che pigli fuoco subito. « Marinai, miei compagni, questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi potrei tenere dal battere una tarantella d'allegrezza. Ma certo avete indovinato, dalla cera del nostro Comandante, che questa volta egli getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. » .....
Il MAS n.96 visto di poppa
« Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé ma più che tutto sé, deve operare non secondo le sue forze ma di là dalle sue forze. « Lo giurate? compagni, rispondetemi. » e come lo scoppio d'una fiamma repressa. « Lo giuriamo. Viva l'Italia. » ...C'imbarchiamo. Ridiventiamo taciturni e attenti. Ciascuno prende il suo posto; e nel suo posto ha poco più spazio di quello che avrebbe se fosse messo fra le quattro assi finali. Il bacino è chiarissimo, appena appena soffuso d'indaco, puro come il bianco dell'occhio d'un bimbo. Riceviamo il saluto delle siluranti ormeggiate, passando al traverso. Chi non c'invidierebbe, se sapesse? Chi, se sapesse, non ci farebbe il segno del commiato ultimo? Il comandante Costanzo Ciano ci raggiunge mentre si sta compiendo il rifornimento della benzina. Lo vediamo torreggiare sul pontile, nella sua gran casacca di pelle fosca...
Comincia l'eguaglianza della corsa, fra mare e cielo. Attenzione a ogni apparenza del mare. Attenzione a ogni apparenza del cielo. Se fossimo avvistati da una nave nemica, scoperti da un esploratore aereo, dovremmo rinunziare all'impresa; che non è se non una sorpresa, e' una sorpresa mortale. Le ore filano. Il fervore della scia accompagna la musica dei miei pensieri. Di tratto in tratto una bùccina suona nel vento. Non è quella dei Tritoni, se bene una torma di bei delfini danzi al nostro traverso di sinistra. Non è se non il nero megafono, che trasmette le correzioni di rotta. Un marinaio m'improvvisa un giaciglio a poppa, con tre salvagente. Mi distendo supino, col capo contro la gabbia delle due bombe da sommergibili. La foschia non si dirada... Non torneremo indietro‑ «Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la disciplina dei nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l'altra la matita. «Ricòrdati di osar sempre». Mi assopisco. Ho il sole in faccia. Distinguo nella trasparenza delle palpebre i ragnateli sinistri tessuti in fondo alle mie orbite. Odo, sul croscio dell'onda spumosa, un uomo accosciato accanto a me masticare il suo pane di guerra. Sento che i miei piedi si raffreddano. Ricevo uno spruzzo di sale sul viso. Apro gli occhi... Abbiamo lasciato a dritta la Levrera. Seguiamo la rotta di tramontana. La foschia è cosi fitta che non riusciamo a scorgere né la costa di Cherso né quella dell’Istria.
Postazione del timoniere di bordo
Angelo Procaccini che sta al timone, un Veneto tenuto a battesimo da Angelo Emo di San Simeon piccolo, fiutando il vento con le sue nari sagaci di corsaro legittimo, mi dice: « Non sente l'odore della terra? »...Avanti, avanti! Le coste si serrano. Riconosciamo la bocca di Fianona e il promontorio di Prestenizze. Penetriamo nella stretta fauce del Quarnaro, come tre spine aguzze. Il canale di Farasina, ben munito, ben guardato, con i suoi proiettori, con le sue batterie, con i suoi lanciasiluri, con i suoi sbarramenti, con ogni sorta di difese e di ostacoli, ecco che noi sappiamo violarlo. Ordinati a triangolo, una prua, due prue, stando noi dritti in gruppo sul ponte, neri contro la notte, tagliamo nettamente il pericolo che non s'illumina e non tuona. La prua è ben dritta contro la gola dei nemico. Avvistiamo l' isola di Unie nella sera stellata. Accostiamo per passare fra Unie e la Galiola dove incagliò Nazario Sauro. L'ombra dell'impiccato palpita per qualche attimo tra siluro e siluro, come una bandiera in gramaglia. Al traverso di Punta Sottile facciamo rotta nel canale di Farasina, aumentando la nostra velocità. L'ombra ci lascia con un gesto di promessa. Torna a Pola, per sorridere dalla sua larga faccia guatando la flotta cautelosa che senza dubbio seguiterà a covare la gloriuzza di Lissa......
11 febbraio 1918. … Nasce il nuovo giorno, con un numero di data caro alla mia superstizione. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco. Siamo un pugno d'uomini sopra tre piccole navi, soli, senza alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di miglia dalla più potente piazza marittima imperiale, a poche miglia dalle superate difese di Farasina, a poche centinaia di metri dalle batterie di Porto Re. Un allarme, e andiamo in perdizione...
Si rallenta. Si tenta. Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la punta Sersica. Si naviga a poche braccia dalla costa di ponente. Porto Re è al buio. La vigilanza giace. La batteria tace. « Che buona gente, questi Austriaci! », mi mormora Luigi Rizzo accostando al mio orecchio quella sua bietta mal rasa che gli è servita a fendere il fianco della Wien con un colpo solo. Ma non dice « buona gente » in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando i lunghi cigli su i suoi occhi saracini. E’ il polso quieto di un Arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro bianco.. .Siamo dentro la baia nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Bùccari, nella sua estremità settentrionale, di contro all'ancoraggio, inosservati, insospettati... A Bùccari nessuna finestra è illuminata. Accostiamo ancora. Gli ordini sono dati con la voce, da bordo a bordo. Ciascuna prua prende la sua posizione per il lancio. E' un'ora e un quarto dopo la mezzanotte.
Ho le mie bottiglie sotto la mano pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di buon inchiostro. Le ho preparate io stesso... Poso la prima bottiglia nell'acqua, con le sue belle fiamme spiegate... Poso la seconda bottiglia nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri. Vedo la terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo dalla stretta e ci dirigiamo come padroni verso l'imboccatura della baia passando dinanzi alla batteria di Porto Re che s'illumina senza tuonare...
Alle due e cinque minuti accostiamo per imboccare il canale. Non abbiamo altre armi che due mitragliatrici a prua e una a poppa. Sono pronte, con le loro cassette di nastri. Ma per tutte le coste, a dritta e a manca, non appare indizio di allarme. Cerchiamo di conservare la formazione a triangolo, dando la voce. La terza silurante perde velocità, non ci può seguire. D'improvviso, all'altezza di Prestenizze, parte un fuoco di fucileria da qualche posto di vedetta. Nessuno curva il capo. Nel fosso di poppa c'è il solo timoniere. Uno scoppio di facezie risponde.
Per giunta, accendiamo il fanaletto di poppa e rallentiamo, la terza saetta non essendo più in vista dietro di noi. Che accade? un'avaria? di che sorta? Non esitiamo a invertire la rotta per ricercare la ritardante, deliberati di mandarla a picco e di prendere a bordo l'equipaggio, se non sia possibile riparare il guasto in breve. Ed ecco il meglio della beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra li mette nel dubbio che si tratti di naviglio austriaco. Per tendere gli orecchi, per meglio cogliere i rumori, ci fermiamo in mezzo al canale di Farasina ben munito, ben guardato; e restiamo là fermi, da padroni, un lungo quarto d'ora. « Memento audere semper ». Si ascolta. Nulla. Si risale ancora a tramontana. La ricerca è inutile. Non si scorge segnale di soccorso, non s'ode richiamo. E’ probabile che, riparata l'avaria, la ritardante abbia proseguita la sua rotta di ostro. E per la quarta volta passiamo sopra gli sbarramenti, ridendo delle sentinelle sbalordite...Poco innanzi le cinque, nella nebbietta brilla il segnale della terza silurante che lietamente si ricongiunge alle compagne. La trinità navale è dunque incolume... Lasciamo dietro di noi le soglie dei Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l'Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto... L'alba non è eguale per tutti. Dall'Italia navighiamo verso l'Italia.”
Padiglione che ospita il MAS n.96
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
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D-VITTORIALE degli Italiani: Il Teatro
VITTORIALE DEGLI ITALIANI
IL TEATRO
"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: Il Vittoriale"
(G.d'Annunzio)
"Una conca marmorea sotto le stelle": così il poeta Gabriele d'Annunzio immaginava il teatro ideale per rappresentare i propri spettacoli, naturalmente immerso nella splendia cornice del Vittoriale, sull'esempio di quello di Wagner a Bayreuth.
Avrebbe dovuto chiamarsi "Parlaggio". Fu il Vate stesso a scegliere il luogo: un punto panoramico del parco, da cui si ammirano l'Isola del Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e, soprattutto, la suggestiva Rocca di Manerba - in cui a Goethe pare di riconoscere il profilo di Dante.
Nel 1931 il Vate affidò l'opera all'architetto del Vittoriale, Gian Carlo Maroni, che mandò a Pompei perché pensasse la nuova realizzazione sull'esempio dell'anfiteatro romano più antico del mondo.
I lavori iniziarono tra il '34 e il '35 ma vennero presto interrotti per difficoltà finanziarie, aggravate dall'inizio della guerra e dalla morte del poeta. Ripresi per volontà della Fondazione vent'anni dopo, nel '52, terminarono l'anno successivo, a opera dell'architetto Mario Moretti e di Italo Maroni, fratello di Gian Carlo.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
C-VITTORIALE degli Italiani: La Prioria
Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA PRIORIA
Giordano Bruno Guerri, il Presidente della Fondazione
LA PRIORIA: così fu definita da Gabriele D’Annunzio la Casa-Museo che l’avrebbe accolto nella sua vecchiaia. L’ampia struttura occupa un terreno di nove ettari costellato da edifici, tra cui la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone Riviera, in provincia di Brescia. Il complesso del Vittoriale svetta sul Lago di Garda ed ospita un vero e proprio museo colmo di reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” che il poeta-vate ha dedicato e donato agli italiani.
Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico, apparentemente paradossale, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: “Io ho quel che ho donato”.
“Io ho quel che ho donato”
G. D’Annunzio
« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando. Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri. Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio. Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi. »
La stipula dell’atto che dichiara la donazione del Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio, il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza.
La casa del poeta
- Il primo nucleo della ristrutturata residenza del poeta é la cosiddetta Prioria.
Il cancello dorato si apre e iniziamo il percorso incontrando la colonnina francescana sormontata da un canestro con melograni simbolo della abbondanza e fertilità.
- Accediamo alla Stanza del Mascheraio così chiamata dai versi composti dal poeta in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925:
Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso?
Questo é piombato vetro, o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio
- Passiamo nella Stanza della musica, le pareti sono rivestite di preziosi damaschi neri e argento per favorire l’acustica. E’ dedicata ai piaceri della musica. Oltre a numerosi strumenti musicali delle varie epoche, sulle pareti si trovano i ritratti di Cosima Liszt, Wagner, e le maschere di funerarie di Beethoven e di Listz. Fanno parte dell’arredamento oggetti déco – Diana cacciatrice, statuette orientali, colonne romane, calchi in gesso di sculture greche che compongono un’alchimia di disparati simboli culturali.
- Entriamo ora nella Stanza del mappamondo che é una delle grandi biblioteche del Vittoriale. Alle pareti vediamo circa seimila libri. L’occhio cade sulla maschera funebre di Napoleone, il busto in gesso di Michelangelo (considerato da sempre il Parente del poeta). In una nicchia c’é l’altro caposaldo culturale di D’Annunzio, Dante Alighieri, Dantes Adriacus in ricordo dell’impresa fiumana.
- Giungiamo così alla Zambracca il cui significato, “donna da camera”, deriva da un antica parola provenzale. In questo studiolo raccolto il poeta trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del suo tempo; e qui D’Annunzio morì la sera del 1° marzo 1938. Sulla scrivania un prezioso scrittoio di Bucellati, orafo del Vittoriale. La testa d’aquila in argento di R.Brozzi, animali esotici in vetro di murano, la testa dell’Aurora di Michelangelo, i gessi dei cavalli di Fidia del Partenone.
- Ci avviciniamo alla Stanza della Leda, la camera da letto del Poeta che prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto – in stile Déco con nicchie dorate e statuette di origine orientale e di vetro Lalique – raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. “Genio et voluptati” é il motto che si legge sull’architrave della porta mentre sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i versi danteschi “Tre donne intorno al cor mi son venute...”.
Anche qui il vasto assortimento di oggetti é straordinario: dai piatti arabo-persiani agli elefanti in maiolica cinese, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre ai mobili in stile orientale.
- Entriamo quindi nella La Veranda dell’Apollino che fu aggiunta da Maroni per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda, e fungeva da saletta di lettura affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. La stanza é decorata da riproduzioni di ritratti famosi del Rinascimento italiano, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.
Bagno Blu
Bagno Blu-particolare
- Bagno Blu – Il bagno padronale é una specie di scrigno contenente oltre 600 oggetti. Sul soffitto si legge il motto “Ottima é l’acqua” da Pindaro, alle pareti le riproduzioni di degli ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, piastrelle persiane di ceramica e pietre preziose cinesi. Un blocco di malachite su cui si staglia un’antilope in vetro soffiato di Guido Balsamo Stella.
- Ritirata – Il piccolo ambiente contiene maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana di Rosenthal del 1927.
- Stanza del lebbroso – Fu concepita da D’Annunzio come camera funeraria, quindi é la stanza più ricca di simboli del Vittoriale. Cinque Sante (Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta di d’Ungheria, Odilla d’Alsazia e Sibilla di Fiandria) appaiono al poeta come un sogno incitandolo alla rinuncia dei piaceri del mondo. D’Annunzio affidò il suo programma iconologico di questo ambiente a Guido Cadorin che tra il 1924 e il 1925 decorò il soffitto con cinque figure femminili volanti, ma i volti sono ritratti di donne legate a D’Annunzio. Notevole il dipinto di Cristo che benedice la Maddalena e sullo sfondo il dipinto di S.Francesco che abbraccia il lebbroso, ossia il poeta stesso, il prezioso San Sebastiano del secolo XVI, le vetrate di Pietro Chiesa con iscrizioni tratte dalle laudi francescane: tutto cospira al mito ascetico di d’Annunzio che fece realizzare a Maroni il letto a forma di culla-bara, per le sue meditazioni sul misztero della vita e della morte. Qui sarà esposta la sua salma fra l’1 e il 2 marzo 1938.
- Corridoio Via crucis - Così denominato dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi.
- L’Officina, lo Studio dove D’Annunzio si ritirava a creare le sue opere, al quale si accede da una porta bassissima che costringe ad inchinarsi all’arte; é l’unica stanza in cui la luce può entrare liberamente.
- La Stanza di Cheli, così chiamata per la tartaruga morta per indigestione che campeggia, trasformata in bronzea scultura, come monito per i commensali.
- Lo scrittoio del monco, dove il poeta sbrigava la corrispondenza, chiamata ironicamente così per l’impossibilità di rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.
- La Stanza delle reliquie. Prima di divenire esclusivo ricettacolo delle "immagini di tutte le credenze", "degli aspetti di tutto il divino", la stanza delle reliquie era la stanza da pranzo e della musica, per questo veniva chiamata cenacolo, o stanza del contrappunto. Già all'origine conteneva reliquie di guerra e fiumane. Al centro del gonfalone, il serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Le pareti sono ricoperte da cortinaggi con disegno a melagrana, e da un grande arazzo di soggetto biblico, appeso alla travatura, sormontato dal motto, giustificato dal fatto che d'Annunzio escludeva dai sette vizi capitali Lussuria e Prodigalità: Cinque le dita, cinque le peccata. La luce della stanza mistica è schermata dalla vetrata policroma, che rappresenta Santa Cecilia all'organo. L'alta travatura sorregge una teoria di santi lignei, di diversa provenienza, e reca i versi: Tutti gli idoli adorano il Dio vivo tutte le fedi attestan l'uomo eterno tutti i martiri annunziano un sorriso tutte le luci della santità fan d'un cuor d'uomo il sole e fan d'Ascesi l'Oriente dell'anima immortale Due gli altari della stanza: uno composto da una piramide di idoli orientali, alla cui cima è però la Madonna col Bambino, l'altro formato da un insieme di simboli religiosi e da reliquie cruente: al centro è infatti il volante spezzato dell'inglese Sir Henry Segrave, campione dell'entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Testimoni del pericolo da egli stesso scampato sono, sotto le ali spiegate di un'aquila, il bassorilievo del Leone di San Marco, dono del comune di Genova, che commemora un discorso tenuto dal Poeta nel maggio 1915, per incitare gli italiani ad entrare in guerra; e un quadro di Marussig, dal medesimo soggetto, che ornava lo studio del Comandante a Fiume. Questo dipinto fu colpito da una scheggia di granata durante il "Natale di Sangue" (1920), ed è ora lesionato a memoria dell'incidente che avrebbe potuto costare la vita a d'Annunzio.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.2012
B-VITTORIALE degli Italiani: Monumenti Esterni
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
MONUMENTI ESTERNI
Il Vittoriale degli Italiani non è solo la stupefacente casa di Gabriele D'Annunzio, costruita a Gardone Riviere sulle rive del lago di Garda dal poeta-soldato con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, ma un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938 a memoria della sua "vita inimitabile" e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.
Ingresso del Vittoriale
Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio: “Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale”. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano:
“Io ho quel che ho donato”
PILO DEL PIAVE – Costruito in pietra di Torri del Benaco, viene eretto tra il 1934-1935A rappresentare simbolicamente l’arcata spezzata di un ponte a ridosso del Piave. Sulla sommità venne collocata nel 1935 una versione della Vittoria del Piave incatenata ai piedi ma con le ali frementi, simbolo della volontà di resistenza dell’esercito italiano dopo la rotta di Caporetto.
Piazza Dalmata
Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla Nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.
Palazzo Schifamondo contiene il Museo della Guerra
Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938 ). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di Palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto G. Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'Auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA del celebre Volo su Vienna . Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio de Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina , Jonathan Meese, Luigi Ontani.
La Prioria e Lo zoccolo del Pilo Dalmata é composto da due pietre di macina provenienti da un antico frantoio locale, sulle quali sono incastonate, come una corona, otto teste barbute cinquecentesche. Una lunga scritta ricorda i nove anni dell’entrata in guerra dell’Italia (XXIV Maggio 1915) e i sette anni della battaglia avvenuta, il 27 Maggio 1917, alle foci del Timavo. A questa battaglia prese parte anche D’Annunzio, tra le cui braccia morì il comandante dei Lupi di Toscana il maggiore Giovanni Randaccio.
Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi , il Pilo del Dare in brocca, cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'Anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patty Smith .
Subito dopo il Pilo del Piave, vi é un altro simbolo di riscatto allusivo alle vittorie italiane della Prima Guerra Mondiale: Il Pilo del “Dare in brocca”. Significa “colpire nel segno” ed appunto al bersaglio centrato allude il medaglione in marmo, con le frecce, disegnato da Guido Marussing. Il pilo veniva utilizzato per issare bandiere e gonfaloni.
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal Pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le Torri degli Archivi e il Tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria Alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.
Nella foto, l’entrata della Prioria
La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto “Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli”.
Parte di Schifamondo con lo Stemma di D’Annunzio al centro
Lo Stemma di D’Annunzio. L’ala nuova del Vittoriale, detta Schifamondo, ospita l’Auditorium; di questi, al centro del soffitto é sospeso l’aereo SVA che D’Annunzio utilizzò per il volo su Vienna il 9 agosto 1918. Il 9 Agosto 2008, novanta anni dopo, a Gardone viene ricordata l'impresa del Volo: alcuni aerei SVA dello stesso tipo di quelli dell'Impresa, volano su Gardone gettando la riproduzione dello stesso volantino che fu lanciato su Vienna.
Lasciati i giardini e percorso Viale di Aligi si giunge alla Fontana del Delfino, che con la sua forma semi-circolare richiama un po' Piazza Esedra.
Percorrendo i "sentieri delle limonaie" e del giardino si arriva al frutteto ove é collocata la Canefora opera in bronzo di Napoleone Martinuzzi.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
A-VITTORIALE degli Italiani: Gabriele D'Annunzio
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
GABRIELE D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio, principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera , 1°marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo , militare , eroe di guerra, politico e giornalista italiano , simbolo del Decadentismo italiano del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli.
Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana…» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara da famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel Collegio Cicognini di Prato distinguendosi sia per la condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica PRIMO VERE, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma , dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).
Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.
Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).
Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).
Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.
Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).
Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.
Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene “eroe nazionale” partecipando a celebri imprese, quali la Beffa di Buccari e il Volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare “repubblica”: la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel Museo-Mausoleo del Vittoriale degli Italiani.
Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
Se l’Italia é un Paese di santi, poeti, navigatori e amatori... Gabriele D’Annunzio é l’emblema che raccoglie tutte queste peculiarità. Come si fa a non amarlo?
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
La corazzata ROMA - Giorgio Giorgerini
LA CORAZZATA ROMA
di Giorgio GIORGERINI
Questa é la seconda volta che MARE NOSTRUM-RAPALLO ospita il Prof. GIORGIO GIORGERINI, uno tra i più autorevoli storici del dopoguerra. I suoi scritti sulla Storia Navale del nostro Paese, non sono il frutto di una bibliografia recuperata nelle biblioteche, ma dall’interno delle istituzioni militari, quindi studiando la documentazione ufficiale, vera, di prima mano-originale. Il suo grande merito é stato quello d’aver consegnato all’Italia materiale scrupolosamente approfondito che non si é mai limitato alla descrizione tecnica dei mezzi navali e della dinamica delle azioni belliche. Il prof. G. Giorgerini ha scavato anche nella psicologia degli ammiragli, dei comandanti, degli ufficiali e degli equipaggi, approfondendo soprattutto gli aspetti strategici.
- Insignito del Distintivo d’Onore di frequenza dell’Istituto di Guerra maritt. per il suo contributo alle dottrine di pianificazione e strategia.
- E’ consulente e consigliere dello Stato Maggiore della Difesa.
- Collabora come analista e direttore di ricerca con il Centro Militare di Studi Strategici.
Mi sono soffermato su questi tre punti per sottolineare che il prof. G.Giorgerini
Affronterà oggi l’argomento: La corazzata ROMA da una prospettiva militare e strategica che va ben oltre i resoconti giornalistici spesso imprecisi ed improvvisati.
Il Prof. Giorgio Giorgerini é ligure di La Spezia, vive tra Milano, Roma e Moneglia. Ufficiale nella riserva della Marina Militare, è stato:
- Docente universitario all’Università Statale di Milano
- Presidente dell’Unione nazionale dei giornalisti e scrittori del mare (UGIM) e dirigente d’importanti aziende.
- Nel 1955 è stato chiamato dall’Amm. Fioravanzo a collaborare alla “Rivista Marittima”
- Nel 1960 all’Ufficio Storico della Marina
- Dal 1962 dirige l’Almanacco Navale (edito ogni due anni dall’Istituto Idrografico della Marina).
- Dal 1978 al 1981 ha curato la monumentale Storia della Marina (10 volumi)
- n Nel 2000 ha ricevuto il Premio internazionale: Una vita dedicata al mare per i suoi studi navali e strategici.
Attualmente è consulente dello Stato maggiore della Marina e dirige il Forum di relazioni Internazionali.
Libri dell'autore: Giorgerini Giorgio
1950 Ha esordito giovanissimo nella pubblicazione navale con:
L’impiego della Portaerei nella Marina Italiana
19 1958:Cenni di Storia e politica navale russa
1971-1996: Le Navi da battaglia della 2° Guerra Mondiale
1974: Gli Incrociatori della 2° Guerra Mondiale
1975: Navi d’oggi: i Mezzi per l’esercizio del potere marittimo nell'Era Nucleare.
1977: Le Battaglie dei Convogli
1981: Le grandi battaglie navali da Trafalgar a Okinawa
1985: Aerei sul Mare
1985: Il Ruolo di Malta nella Guerra del Mediterraneo
1989/2002 : Da Matapan al Golfo Persico
1994: Uomini sul Fondo-Storia del Som. Ital. dalle origini ad oggi.
1996: La Navi da Battaglia della 2a Guerra Mondiale
2000/2002: La Guerra Italiana sul Mare
2007: Attacco dal Mare-Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana
Insieme ad altri Autori ha pubblicato:
1960: Marine Militari nel Mondo
1961: Le navi di linea Italiane
1964: Gli Incrociatori Italiani
1974: Navi in Guerra
1978: Almanacco Storico Navale
1982: Il libro del Mare
Storia del sommergibilismo italiano dalle origini a oggi. Un esame critico della preparazione, delle scelte tattiche, della condotta delle operazioni belliche, lo studioso traccia così per la prima volta in modo sistematico e completo l’epopea del sommergibilismo italiano, dalle gloriose origini fino al declino dei giorni nostri. Senza dimenticare che è l’equipaggio, con la sua dedizione, il suo spirito di sacrificio e spesso la sua tragica fine, a fare la storia di un sommergibile. La morte di oltre tremila sommergibilisti italiani durante il secondo conflitto mondiale fu davvero inevitabile? E soprattutto, cosa spinge un ragazzo a scegliere la vita dei sottomarini, fatta di sacrifici, pericoli e lunghissimi silenzi?
Guerra italiana sul mare (La) - La Marina tra Vittoria e Sconfitta 1940-1943
"La sconfitta reclama ad alta voce perché esige spiegazioni: mentre la vittoria, come la carità, nasconde un gran numero di peccati" (Alfred T. Mahan)
Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana. Marinai arditi, mossi da uno straordinario senso del dovere e fedeli fino all’ultimo alle leggi dell’onore e al giuramento prestato. Mezzi tecnici ingegnosi, dovuti soltanto alla creatività e alla passione di pochi uomini. Missioni impossibili nelle basi nemiche, in cui il successo era un’esile speranza e il sacrificio della vita una concreta possibilità. E’ stato l’irripetibile intreccio di questi fattori a rendere leggendarie le gesta degli assaltatori navali della nostra Marina e, nelle luci e nelle ombre, degli incursori della X Flottiglia Mas. Con questo suo ultimo libro, Giorgio Giorgerini ripercorre uno dei capitoli più significativi della guerra marittima combattuta dall’Italia nei due conflitti mondiali del secolo scorso, come attestano le vittorie di Premuda e Pola contro la marina austro-ungarica con l’affondamento delle corazzate Wien, Szent Istvan e Viribus Unitis, e i successi di Suda, Alessandria d’Egitto e Gibilterra contro la potente flotta britannica, che misero fuori combattimento numerose unità, fra cui l’incrociatore York e le navi da battaglia Valiant e Queen Elizabeth. Con rigore ed obiettività l’autore affronta infine la complessa vicenda, ancora da svelare completamente, delle opposte scelte di campo compiute dopo l’8 settembre 1943 dagli uomini della X Mas. Di qui i contatti segreti tra Junio Valerio Borghese, legato alla Repubblica sociale, e i vertici di Mariassalto, schierati con il regno del Sud, in nome del superiore interesse nazionale: la salvaguardia degli impianti industriali dalla distruzione ad opera dei tedeschi e la difesa delle regioni dell’estremo nord-est dall’invasione delle truppe di Tito.
A cura di Carlo Gatti
REGIA NAVE « R 0 M A »
Intenvento di
GIORGIO GIORGERINI
II Mare Mediterraneo è sempre stato un mare appartenente alla «grande storia» attraverso Ie sue vicende succedutesi nei molti secoli scorsi, teatro nel generare civiltà e cicli di potenza. Investigando nella storia ci sono ben pochi avvenimenti nelle ere e nei secoli che non ci facciano incontrare il Mediterraneo come forgia ideale dello sviluppo dell'Umanità. Questa stessa nel suo alternarsi di fortune e sfortune, di successi e non, non ha potuto fare a meno di tenere conto dell'influenza diretta o indiretta del Mediterraneo.
Non è mia intenzione intrattenervi sulla storia del Mediterraneo, ma solo un recente avvenimento mi ha spinto a parlarne per un suo fascino intrinseco e per ciò che esso ha rappresentato verso i doveri morali dell'uomo, anche se oggi semi dimenticati, cioé l'onore, la fedeltà, la patria, la bandiera, nel rispetto dei valori comuni al nostro convivere universale. II Mediterraneo è stato ed è un teatro d'azione unico nella condivisione delle vicende storiche che hanno portato gli uomini di provenienze diverse a battersi per la difesa e il rispetto a maggior gloria del proprio credere.
Teatro di immani conflitti il Mediterraneo ne divenne uno del punti focali di questi. Naturalmente non poteva fare eccezione il suo inserimento nei grandi teatri operativi nel
corso delle ultime guerre mondiali: quella combattuta dal 1914 al 1918 e I'ultima dal 1939 al 1945 di cui, credo, una parte di noi ne conserva ancora il ricordo.
Se siete interessati all'ultima guerra mondiale, nel cui corso il fattore marittimo delle comunicazioni mediterranee é stato uno degli elementi fondamentali, ne potremo parlare più in là nel tempo, a Dio piacendo. Oggi ci soffermiamo invece su un singolo ricordo, cioé di quello che coinvolse la più grande nave da guerra italiana di tutti i tempi, ammiraglia della Flotta della Regia Marina, che mai sparò una sola cannonata contro il nemico nel corso del suo servizio di guerra, che fu poi affondata dopo essere stata centrata da due nuovi tipi di bombe lanciate da aerei dell’ancora, in quel momento, «alleato» germanico.
Bomba Ruhrstahl SD 1400 (bomba guidata planante FX 1400) identificata dagli Alleati con il nome di Fritz X. Era in dotazione dalla Luftwaffe e fu utilizzata contro la corazzata ROMA. (ordigno é esposto al RAF Museum, Hendon
Intendo, infatti, parlare di una nave, il cui ritrovamento, dopo circa 70 anni dalla sua scomparsa e ricercata vanamente sui fondali sardi del Golfo dell'Asinara, senza alcun risultato positivo, é stata finalmente ritrovata ad oltre 1.000 metri di profondità in un punto a 16 miglia dalla costa, nelle acque dove sette decenni prima era stata affondata. II relitto della corazzata Roma, questo il nome della nave, ha attratto I'attenzione della quasi totalità del mondo mediatico e la data della notizia fu quella del 4 settembre 2012: era stata affondata il 9 settembre 1943! Una coincidenza di calendario o un segno bene augurante o di rimpianto proveniente dagli abissi?
Corazzata ROMA
Ma noi, ora, vogliamo saperne qualcosa di più su questa nave da battaglia inserendola in alcuni aspetti del periodo politico-strategico nel corso della quale prese forma il progetto e la costruzione delle 4 corazzate della classe «Vittorio Veneto»: il Roma fu I'ultima ad entrare in servizio.
Queste nostre navi furono figlie degli accordi internazionali, stipulati nel primo dopoguerra, per arrivare alla riduzione delle flotte delle principali potenze marittime, a fissarne i limiti globali di tonnellaggio per ogni categoria di naviglio e di unità da battaglia {35.000 t. standard teorico; I'esigenza di ottenere un equilibrio tra protezione, armamento e apparato motore, indusse poi ad aumentare i pesi portandoli a circa 43.- 45.000 t. ed anche oltre). Fu inoltre deliberato assieme ad altre misure riduttive, che Ie potenze si astenessero per dieci anni dal costruire nuove navi da battaglia - vacanza navale - e per quelle ancora in servizio, ma eccedenti sulla quota assegnata, radiarle e avviarle alla demolizione. Queste clausole, dettate dal trattato di Washington del 1921-22 sollecitarono una nuova configurazione delle Marine imponendo mutamenti e aggiornamenti nei criteri strategici di composizione e allineamento delle flotte e nuovi criteri nello stesso impiego delle navi colpite dalle regole fissate dalle clausole di Washington.
I beneficiati degli accordi furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ove i primi ottennero i medesimi coefficienti di potenza a spese della seconda. Dopo questa evoluzione i limiti di tonnellaggio globale furono cosi assegnati: 525,000 t. alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, 305.000 al Giappone, 175.000 alla Francia e all'ltalia con lo scopo di risolvere in un secondo tempo il problema della parità navale italo-francese, cosi come invocava I'ltalia.
Sul terreno politico il via alle costruzioni concesse da Washington (trattato del 6 febbraio 1922) invece di chiudere facilmente le disposizioni del trattato, contribuì ad evidenziare lo scontento di diverse importanti Marine, fatto dovuto a una valutazione diversa dall'applicazione delle clausole e dall'insorgere di nuove crisi. Tutto ciò portò ad un inasprimento delle relazioni e degli obiettivi di potenza proprio mentre si avvertivano le prime avvisaglie di una crisi economica che si manifestò in tutta la sua virulenza, considerando lo stato debitorio di quasi tutte le nazioni, peggiorato dalle difficoltà incontrate dalla Grande Guerra e dal problema di onorare la massa di debiti contratti ampiamente con gli Stati Uniti, manovra questa forse stimolata da Washington per superare Londra nella gara per l'acquisizione del primo posto nella graduatoria di potenza mondiale.
Se si volesse datare l’avvio della crisi europea che portò alla Seconda guerra mondiale e ai primi tentativi di arginare il vento di un confronto bellico e orientarsi invece verso accordi per la riduzione degli armamenti, bisogna rifarsi al 1929. Infatti le grandi Potenze, pur essendo nuovamente in competizione tra di loro, si preoccuparono comunque di rinnovare gli accordi fissati a Washington per riportare lo sviluppo delle flotte entro i limiti ben definiti proprio in un momento in cui queste sembravano voler accelerare i tempi del loro potenziamento oltre i termini fissati a Washington. Fu cosi convocata una nuova conferenza, questa volta a Londra per allentare la pressione generata dalle tendenze al riarmo.
I lavori iniziarono il 21 gennaio 1930 cominciando coll'esaminare il problema delle navi da battaglia. Praticamente la Conferenza di Londra non dette alcun risultato concreto tranne quello di riaffermare la superiorità delle prime grandi Marine. Comparvero intanto in mare Ie navi della Germania, della Russia sovietica, mentre Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti si dedicarono a sostituire Ie vecchie corazzate con altre di nuova costruzione.
Le gemelle U.K. Nelson e Rodney
II Regno Unito si presentò con le due “Nelson e Rodney”, la Francia, di fronte al riarmo tedesco rispose;
Corazzata Classe Graf Spee
la Germania nel 1932-34, preferì optare per le 3 corazzate «tascabili» tipo “Graf Spee”; la Francia negli stessi anni avvio la costruzione delle 2 “Dunkerque e Strasbourg” da 26.500 t, 8 cannoni da 330 mm, velocità di 30 nodi.
Alla costruzione delle unità francesi, la Regia Marina rispose nel 1934 con l’impostazione delle “Vittorio Veneto e Littorio”, cui seguirono nel 1937 le altre due gemelle “Roma e Impero”. Queste unità furono le ultime corazzate che rispettarono almeno formalmente gli accordi internazionali.
Infatti, della famiglia delle tipo “Washington” (nella foto) si confrontarono in guerra le germaniche “Gneisenau e Scharnhorst” (31.800 tst; 32 nodi; 8 cannoni da 380 mm) fra le unità più famose della guerra 1939-1945); le 5 unità da battaglia britanniche della classe “King George V”: (costruite 1937-1943; 45.000 tpc; 10 cannoni da 356 mm; 28 nodi ); le 2 americane “North Carolina e Washington” (impostate nel 1937-38: 45.000 tpc.; 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi);
infine le 2 francesi “Richelieu e Jean Bart” (vedi foto sopra) impostate nel 1935-37, praticamente escluse dal servizio in guerra. Si aggiungano a queste navi di linea le favolose due corazzate tedesche, meraviglie della tecnica e del combattimento navale:
a famosa e gloriosa “Bismarck” (vedi foto sopra) e la sua gemella “Tirpitz”, (un vero trionfo per una felice combinazione fra armamento, velocità, corazzatura e ripartizione dei pesi su dislocamento a pieno carico di 50.900 e 52.600 tpc). Navi rimaste insuperate nei limiti della loro categoria e perdute comunque entrambe in duro combattimento contro un avversario più numeroso e altrettanto ben armato. L’armamento delle due tedesche era costituito da 8 cannoni da 381 mm, 12 da 152, 16 da 105 ed altre armi minori. Gli ultimi esempi delle corazzate del tipo “35.000-Washington” furono le americane classe “Alabama” entrate in servizio nel 1942, evoluzione delle “35.000”, armate con 9 pezzi da 406 mm, 28 nodi di velocità e una corazzatura verticale massima di 406 mm. Le navi “Alabama, South Dakota, Indiana, Massachusetts” vantarono di essere tra le più complete e potenti del loro tipo.
Classe Iowa
Le americane “Alabama” stavano già entrando in combattimento che iniziò la breve era delle “supercorazzate” coll'entrata in squadra delle 5 navi da battaglia della classe “lowa” (vedi foto sopra) da 57.600 t.pc, mentre nei reparti di progettazione del Dipartimento della Marina, delle operazioni navali e dei cantieri più avanzati erano in via di conclusione le progettazioni per la nuova classe delle “supercorazzate” tipo “Montana” con dislocamento a pieno carico di 65.000 t.pc e con un armamento principale di 12 cannoni da 406 mm e capaci di una velocità massima di 33 nodi. Tranne le “lowa” che entrarono in servizio alla fine delle ostilità, per tutte le altre unità fu decisa la rinuncia alla loro costruzione.
La Gran Bretagna progettò 4 corazzate della classe “Lion” da 40.000 t, e 9 pezzi da 406 mm e le due prime unità furono impostate nel 1939, ma un anno dopo l'Ammiragliato ordinò l'annullamento della costruzione per il motivo principale che nel conflitto che si stava combattendo le corazzate non avevano più molti compiti da assolvere. Ciò non vietò a Londra di mettere comunque in cantiere una nuova nave da battaglia di «rappresentanza» da figurare come simbolo che nel mare risiedeva il segreto del suo secolare potere maritttimo.
Fu cosi la volta del “Vanguard” ( foto sopra) da 43.000 t., 8 pezzi da 381 mm ed altri minori. Entrò in servizio nell'aprile 1946.
L'ultimo esempio di supercorazzata entro in servizio nell'ultima parte del Secondo conflitto mondiale. Si trattò delle due giapponesi “Yamato e Musashi” con un dislocamento di 72.809 t.pc, lunghe 263 m e larghe circa 40 m, con armamento principale di 9 pezzi da 460/45 mm, e oltre ad un numeroso armamento medio calibro da 155 a 127, cui si aggiunsero sino a 150 mitragliere da 25 mm per la difesa antiaerea.
Gli studi per queste navi iniziate nel 1934 ed entrarono in servizio nel 1942 e 1943. Veri giganti del mare dovettero affrontare la nuova padrona dei mari: la nave portaerei. Non poterono mai essere impiegate convenientemente con la sola eccezione della Yamato che aprì una sola volta il fuoco durante la battaglia di Leyte neIl’ottobre 1944. Fu la fine definitiva della corazzata, quasi imbelle di fronte alla proiezione distruttiva delle navi portaerei che sostituirono le navi da battaglia nel ruolo di capital ship.
Delusione fu a carico della Marina germanica che dovette rinunciare ad un piano di corazzate straordinariamente grandi e armate: il tipo « H », di cui si ebbe l'incoscienza di impostarne 2 nel 1939, ma di rinunciarne poi a breve distanza di tempo. L'ultima versione di questo tipo fu del tutto irreale: infatti si arrivò al tipo “H 44” con le enormi caratteristiche di 141.500 t.pc di dislocamento, 280.000 HP di potenza dell'apparato motore, 30 nodi di velocità e un armamento principale di 8 cannoni da 500 mm.
E arriviamo all'italiana Roma !
Terza della classe di 4 unità della classe “Vittorio Veneto”, fu varata nei cantieri triestini due anni dopo l'entrata in guerra dell'ltalia, presentando una serie di miglioramenti rispetto alle due navi precedenti. Bella nave, elegante nelle sue forme ben avviate, ben compariva nel raffronto con le analoghe e contemporanee unità del medesimo tipo. Corse il rischio di rimanere incompleta sullo scalo per deficienza di risorse materiali e finanziarie che furono reperite a carico di altre unità. II 21 agosto 1942 lasciò Trieste per raggiungere il porto di fine allestimento a Taranto imbarcando ancora maestranze del cantiere per completare i lavori di fine allestimento. Comunque entrò subito in squadra impegnandosi in un ciclo di prove di tiro che terminarono coll'invio della nave a Napoli per proseguire poi verso la base della Spezia, dove rimase dislocata sino al suo trasferimento a Genova per un breve periodo di lavori. Il Roma rientrò alla Spezia dove il 5 e il 23 giugno 1943, colpita da bombe d'aereo durante incursioni anglo-americane, riportò danni abbastanza sensibili, tanto che il 1° luglio l'unità fu costretta a portarsi a Genova per le necessarie riparazioni. II Roma tornò alla Spezia il 13 agosto dove riprese il prestigioso ruolo di nave ammiraglia delle forze da battaglia della Regia Marina, issando l'insegna dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle forze navali. (vedi foto sotto)
L'8 settembre 1943, come in tutta l'ltalia, si abbattè sulla flotta la notizia della resa incondizionata alle Potenze alleate e l'ordine a tutte le navi in condizione di prendere il mare, di dirigere verso la base britannica di Malta con ben in vista i segnali della resa.
Tutto ciò che seguì e che rappresentò le drammaticissime fasi conseguenti all'annuncio della resa (la formula per gli Alleati fu “ltaly surrendered”) è ancora oggi sottoposta ai giudizi più diversi che vanno dal “non accettare la resa” – “affondare le navi” – “continuare a combattere accanto alla Germania per riscattare l'accusa di tradimento” – “rivendicare l'onore e la dignità ritenute perdute dopo il rovesciamento di fronte” – “accettare la decisione di ciò dopo 39 mesi di guerra che avevano dimostrato la colpevole e superficiale condotta del governo e della Casa Reale” – “La ragione del più o meno criticato ordine di assumere una rotta che conducesse alla Maddalena per poi ritirarlo e riprendere la navigazione per sud verso Biserta. Di altri ordini e direttive se ne potrebbero ricordare. Ma nel nostro Paese nessuno ha mai voluto fare i conti col passato” !
Già al momento della sua impostazione si palesarono i primi sintomi negativi della sua esistenza: la critica condizione delle finanze, delle capacità industriali e delle materie prime fecero correre il rischio alla nave di essere rinviata all'infinito o annullata. Le stesse maestranze dei cantieri protestarono per la situazione che toglieva posti di lavoro. La situazione fu superata per intervento diretto del Duce, sollecitato dagli esponenti politici e industriali di Genova. Denari e materiali furono reperiti dall'accantonamento per altre unità navali, rinunciando alla costruzione di navi senz'altro più necessarie del Roma,
come potevano essere alcuni dei piccoli incrociatori leggeri della classe «Capitani Romani» ritenuti più validi per le operazioni navali nel Mediterraneo consolidatesi nelle forme di guerra al traffico.
La sorte di queste quattro grandi navi va ricordata nella loro drammaticità. L'lmpero risultò essere finanziata solo fino al completamento dello scafo e poi abbandonata e il relitto fu ritrovato a Trieste semi affondato per bombardamento aereo. Il Roma, come si è già accennato, fu perduto il 9 settembre 1943 per bombardamento aereo da parte Luftwaffe germanica, «alleata» sino al giorno prima, e s'inabissò spezzata in due tronconi nelle acque dell'Asinara.
II Vittorio Veneto e il Littorio furono condannati dal Trattato di pace del 1947 alla demolizione e scomparvero sotto la fiamma ossidrica a La Spezia.
Ciò che accadde alle navi, subito dopo l'arrivo della notizia della resa, meriterebbe ora una vasta disquisizione sulle reazioni che manifestarono singolarmente e collettivamente: Ammiragli, Comandanti, Ufficiali, Sottufficiali, Marinai. La disciplina tenne, al di la’ di quelli che poterono essere i sentimenti di ogni singolo, dall'Ammiraglio Bergamini all'ultimo marò, con eccezioni minoritarie.
Posizione del relitto della corazzata ROMA
II recente ritrovamento del Roma da parte dell’ing. Gay (nella foto) è una grande impresa che certamente meriterà una continuazione garantita perchè potrebbe farci rilevare elementi che aiutino ad una ricostruzione più completa e puntuale degli eventi. Ogni passo avanti sarà per me una grande soddisfazione perchè, perdonate il riferimento personale, nel 2002, partecipai alla preparazione del Progetto «Fenice», presieduto dall'Ammiraglio Mario Burachia, destinato proprio alla ricerca significativa di relitti di importanza storica per la Marina italiana. In primo luogo il programma di ricerca fu indirizzato al ritrovamento del Roma, ovviamente intorno al punto del suo affondamento nelle acque dell'Asinara e delle Bocche di Bonifacio. II gruppo navale da assegnare a questa campagna di ricerca si sarebbe dovuto comporre di 2 cacciamine della classe “Gaeta”, della nave appoggio ricerche subacquee Anteo, di mezzi speciali subacquei di ricerca, identificazione e ripresa quali il Pluto-2 sino a 100 e più mt. di profondità, al battelio subacqueo pilotato da grande profondità sino ad oltre 300 mt, scafandro rigido, torretta batiscopica, di specialisti in operazioni subacquee e quanto altro di più avanzato si fosse potuto rinvenire.
II Progetto «Fenice» si concluse con un nulla di fatto: lo Stato Maggiore della Marina ritirò l'assenso sia per le condizioni politiche dell’epoca, specie nell'area Adriatica, sia per il fatto che non vi erano disponibili le necessarie risorse finanziarie.
Siamo ansiosi di poter visionare, quando possibile, ciò che l’ing. Gay (vedi foto sopra) e riuscito ad ottenere dalle sue apparecchiature possibilmente arricchite dalle immagini di ulteriori ritrovamenti.
Non poche ombre continuano ad agitarsi sull'affondamento del Roma e sulla scomparsa di oltre 1.350 uomini dell'equipaggio e sulle tristi vicende della resa con tutto quello che ne conseguì. Un riesame della storia forse metterebbe a proprio agio molti, tutti di noi che indossammo la divisa blu e che avvertiamo ancora un brivido quando leggiamo scolpito sull'alto delle nostre sedi istituzionali il motto «Patria e Onore» e la nostra Bandiera navale sventolare ad ogni vento.
FINE
(foto del webmaster Carlo Gatti)
Rapallo, 30 ottobre 2012