Le NAVI di CALIGOLA a NEMI

LAGO DI NEMI

LE NAVI DI CALIGOLA

VISITA ARCHEO-MARINARESCA DI MARE NOSTRUM RAPALLO


Il Lago di Nemi, a destra nella foto, è un piccolo lago vulcanico, posto tra Nemi e Genzano di Roma, situato 25 km a SE dio Roma, a quota 316 m s.l.m. ben 25 metri più in alto del lago Albano da cui dista circa 2 km in linea d’aria, sui Colli Albani nel territorio dei Castelli Romani. Esso ha una forma leggermente ovale (1,15 km X 1,45 km.), ha una profondità massima di 33 metri ed é esteso per circa 1,67 km2.


Nei boschi vicini al lago esisteva un luogo di culto dedicato alla dea Diana Nemorensis (nella foto); Nemi infatti prende il nome e lo attribuisce anche al paese che sorge sopra di esso, posizionato quasi al centro dei Colli Albani, a 521 m.s.l.m. - Nemi è il comune più piccolo dell'area dei Castelli Romani, noto per la coltivazione delle fragole sulle sponde del Lago di Nemi e per la relativa sagra, che si svolge ogni anno la prima domenica di giugno. L'emissario, anch'esso di epoca romana, nel suo tratto sotterraneo è lungo 1650 metri, passa sotto Genzano attraversando il recinto craterico del Vulcano Laziale e si riversa incanalato nella Valle Ariccia. Si giunge al Museo delle navi di Caligola prendendo l’uscita n.23 sul grande raccordo anulare di Roma, direzione: “Via Appia” e dopo una ventina di KM si giunge a Nemi.

La leggenda del lago di Nemi


Ricostruzione ideale d'una delle navi di Nemi, quella che, secondo un’interpretazione degli storici, l'imperatore Caligola costruì per i suoi svaghi personali, ma anche per sbalordire i suoi ospiti. Le navi di Nemi confermano la predilezione che ebbe Caligola per l’arte, non solo navale, del periodo ellenistico e pompeiano.

Il lago di Nemi visto dall’omonimo paese che sorge sulla cresta del cratere vulcanico

Sin dall'antichità il lago di Nemi si trovò al centro di una leggenda riguardante due navi di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse di tesori sepolti sul fondo del lago per ragioni misteriose. Tale leggenda prese a circolare sin dal I° Secolo d.C., e poi per tutto il Medioevo, accreditata dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Queste voci avevano, in effetti, un fondamento di verità. Le due navi furono fatte costruire dall'imperatore Caligola, in onore della dea egizia Iside (sembra che il futuro imperatore sia cresciuto in Egitto) e della dea locale Diana protettrice della caccia. Splendidamente decorate, esse furono il frutto di una tecnica di costruzione molto avanzata; Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui sostare sul lago, ma anche simulare battaglie navali, stipulare trattati, dichiarare guerre, ricevere Capi di Stato in tutta sicurezza. Lo stesso criterio fu in seguito adottato dai nobili medievali che si rinchiudevano nei manieri circondati da fossati allagati. I black block c’erano anche all’epoca dei romani, ma avevano altri nomi. Tuttavia, in seguito alla sua morte avvenuta nel41 d.C., il Senato di Roma, di cui l'imperatore fu acerrimo avversario politico, per cancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che vennero affondate nel lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, diventò leggenda.

Tra sogno e realtà

La nostra curiosità ci porta indietro 2000 anni per immaginare due magnifiche navi che per pochi anni hanno ‘oziato’ alla fonda sul lago, poi hanno dormito due millenni nel letto del vulcano, proprio come in certe favole per bambini, ed infine sono riapparse per essere distrutte dalle fiamme e dalla stupidità dell’uomo. Di loro non si sono mai trovate tracce scritte, ma solo testimonianze di pescatori locali che hanno alimentato per secoli il mito di un tesoro di proporzioni inaudite. La spoliazione di reperti archeologici continuò per secoli nell’attesa che sarebbe maturata la ricerca scientifica, quindi una forte volontà di recuperare una parte ancora nascosta della nostra storia nazionale.

Fistule plumbee con il nome di Caligola (CAESARIS AUG. GERMANIC) che hanno consentito l’attribuzione delle navi all’imperatore.

La storia delle navi di Nemi é forse una leggenda popolata solo di fantasmi? Una favola dai contorni incerti e da un finale maledetto? Se usciamo da questo schema fantasioso scopriamo, per esempio, che dei semplici tubi di piombo, detti fistole acquariae, ci riportano immediatamente al nome del committente.

Si legge che: “Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente e si era soliti stampigliare su di essi il nome del proprietario, spesso il nome del "liberto idraulico" e a volte il numero progressivo. Fu così che si risalì all’identità di chi le volle: l’imperatore Caligola. Egli non desiderò due navi qualsiasi, perché esse dovevano avere sovrastrutture terrestri, con terme e templi coperti da tegole in terracotta, oppure in bronzo ricoperte da una patina d’oro. E poi colonne di varia grandezza e foggia, pavimenti in mosaico, statue e altre opere in bronzo finemente lavorato, e ancora statue, protomi leonine, ghiere per i timoni e tante, tante cose ancora… Fra queste, come abbiamo visto, anche le fistule plumbee che assicuravano il rifornimento idrico, partendo dalle rive del lago e arrivando fino alle navi, a tutte le numerose persone che si accompagnavano all’imperatore su quelle: ospiti illustri, dignitari, musici, soldati, amici e… nemici, vista la fine che fecero Caligola e le sue navi.

Caligola e L’Aquila Imperiale

Lascio a Svetonio, Dione Cassio, Tacito, Seneca, Giuseppe Flavio ecc... ma soprattutto agli storici moderni, il compito d’indagare sui tanti misteri dell’antica Roma, ciò non di meno, pensiamo che Caligola uomo di mare sia degno di qualche rilievo, e Plinio lo conferma con le seguenti notizie (Nat. Hist. XVI, 40,201) che si riferiscono ad un altro ‘exploit’ marinaro di Caligola:

 

“Un abete degno di particolare ammirazione fu usato sulla nave che trasportò, per ordine dell’imperatore Caligola, l’obelisco destinato al circo Vaticano (oggi ancora al suo posto n.d.r.). Nulla di più meraviglioso di questa nave fu senza dubbio visto dal mare: ebbe un carico di zavorra di 120 mila moggi di lenticchia (=1.050 tonnellate n.d.r.). Con la sua lunghezza si ricoprì quasi tutto lo spazio del molo sinistro del porto Ostiense.


Ivi infatti fu affondata dall’imperatore Claudio e sopra vi fu edificata una triplice torre (il celebre Faro di Ostia Antica) costruita con pietra di Pozzuoli...”. (vedi disegno sopra)

Trasportare l'obelisco egiziano a Roma fu un'autentica impresa costruttiva e navale. Infatti, durante la manovra d'imbarco l’opera si spezzò in due tronconi. A bordo della nave pensarono allora di riempire la stiva con delle lenticchie che facessero da imballaggio. L’obiettivo fu raggiunto grazie all’alto grado di marineria, ed al ‘sorprendente’ livello raggiunto dall’ingegneria navale romana che seppe costruire una nave lunga ben 130 metri e che fu utilizzata solo per quella missione. Infatti, una volta terminato il suo compito, la nave fu rimorchiata nel porto che l'imperatore Claudio stava costruendo ad Ostia, fu riempita di massi e affondata.

 

Su di essa fu edificato il celebre faro di Ostia Antica!

A questo punto ci viene in mente qualche paragone: l’ITALIA, il più grande veliero italiano di tutti i tempi, era lungo 100 metri e venne costruito nel 1903. La celebre carretta standard americana “LIBERTY”, simbolo della Seconda guerra mondiale, era lunga 134 metri. Tutto ciò accadde 2000 anni dopo Caligola.

Ritorniamo alle navi di Nemi cercando di capire qualcosa di più sull’Ing. Caligola e sulle sue navi speciali. L’Imperatore nacque ad Anzio il 31 agosto del 12 d.C. e morì a Roma il 24 gennaio del 41 d.C.- Il suo vero nome era Gaio Giulio Cesare Germanico (latino:  Gaius Iulius Caesar Germanicus), meglio conosciuto come Gaio Cesare o Caligola, fu il terzoImperatore ROmano, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia,  e regnò dal 37 al 41 d.C. Suo padre Germanico, nipote e figlio adottivo dell'imperatore Tiberio, era un brillante generale e uno delle figure pubbliche più amate dal popolo romano. Le fonti storiche giunte fino a noi lo hanno reso noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione, tramandandone un'immagine di despota: “in preda a manie assolutiste e di persecuzione, uccise parenti, amici e nemici, dignitari dell’Impero, si fece adorare come un dio e tra le tante stranezze riportate ci fu anche la nomina a ‘senatore’ del proprio cavallo”. L'esiguità delle fonti storiche, fa di Caligola il meno conosciuto di tutti gli imperatori della dinastia. Per amore della verità, occorre dire che qualcosa di buono la fece: limitò il potere del Senato come suo zio appoggiandosi al popolo e riducendo le tasse, concesse amnistie, restituì a romani i Comizi Centuriati e Tribuni che avevano fatto grande Roma. Il suo potere cominciò a barcollare dopo due deludenti campagne militari in Britannia e in Germania, per le quali dovette aumentare le imposte perdendo il favore del popolo. Caduto in disgrazia, si fece sospettoso, crudele e dissoluto, fu ucciso il 24 gennaio dell’anno 41 d.C. da una congiura ordita da alcuni senatori e conclusa dal tribuno Cassio Cherea e pochi altri. Il silenzio storico che da allora cadde sulle navi di Nemi e su Caligola che le realizzò, si deve alla damnatio memoriae, cioè alla consuetudine nel mondo antico, di distruggere tutto ciò che una persona malvagia (hostes) aveva compiuto in vita. Questa condanna votata dal Senato era la più temuta, e se essa colpiva un individuo ancora vivo diventava una sorte di morte civile: non fare più parte dell’Urbe, pur essendo ancora vivo. La frase che incuteva un immenso rispetto e timore “Noli me tangere, civis romanus sum” (Non mi toccare, sono un cittadino romano) non poteva più essere pronunciata.

Le due navi di Nemi volute da Caligola furono affondate con i suoi misteriosi arredi, simboli e ricchezze che saltuariamente nei secoli venivano alla luce ricordando un mito, forse una leggenda che nessuno aveva mai più raccontato.

 

Si aprono nuovi scenari culturali

Il primo tentativo di recuperare i relitti di Nemi avviene nel 1446

 

Dopo aver compiuto un salto in avanti di circa 14 secoli, toccò al cardinale Prospero Colonna, signore di quelle terre e del lago, affidare l’arduo compito al celebre architetto Leon Battista Alberti che puntò tutto sui marangoni genovesi (provetti nuotatori di superficie e in apnea) che localizzarono i relitti, diedero moltissime informazioni e misure, costruirono anche una piattaforma dalla quale tentarono di tirare a riva la nave più vicina con cime e ganci. Ma il risultato fu pessimo perché riuscirono soltanto a strappare e a danneggiare un pezzo di scafo. Il reperto impressionò i romani e soprattutto il grande Papa del Rinascimento umanistico, Niccolò V°.

Il secondo tentativo risale al 1535

 

Fu affidato all’architetto meccanico Francesco De Marchi al servizio di Alessandro dei Medici, Duca di Toscana. Non trascorse un secolo dal primo tentativo che, dai rudi marangoni si passò alla ‘campana’ inventata da Guglielmo di Lorena che insieme al De Marchi s’immersero nel lago. La descrizione tecnica della campana fu tenuta segreta. L’uomo nella ‘campana’ si spostava lentamente camminando sulla coperta infangata della nave guardando attraverso una specie di oblò. Calcolò per difetto le misure della nave più vicina alla riva. Tentò di cingere la nave con cordami vari per poterla sollevare con gli argani, ma tutto fu inutile e negli sforzi compiuti l’esploratore patì forti emorragie.

 

Tanto coraggio non era sufficiente per programmare un recupero di quelle dimensioni senza l’impiego di una valida tecnica che era ancora lontana nel tempo.

Il terzo tentativo si ripete il 10 settembre 1827

 

Passati quasi tre secoli, il nobile Annesio Fusconi si avvicinò all’impresa con l’uso di una campana ‘aggiornata’, detta di Halley che poteva contenere otto marangoni genovesi. L’impresa dei nuotatori fu limitata all’asportazione di: "due tondi di pavimento, uno di porfido orientale e l’altro di serpentino, pezzi di marmo di varie qualità, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, laterizi, chiodi, tubi di terracotta ed infine travi e tavole di legno".

 

Il cattivo tempo mise fine ai tentativi che ancora una volta furono parecchio deludenti.

 

Il quarto tentativo ha luogo il 3 ottobre 1895

 

Con l’unione: ‘privato’ - ‘pubblico’, ossia della nobile casata degli Orsini con il Ministero della Cultura dello Stato. Nel frattempo la tecnica subacquea aveva fatto numerosi passi in avanti. Un esperto palombaro esaminò accuratamente lo scafo più vicino e riportò alla luce un anello tenuto tra le fauci di un leone, e poi quello di un lupo (vedi foto sotto) e d’altre teste di felini.

 

Due famose protomi ferine dalla forma di teste di felino che stringono tra i denti un anello che in marina si chiama ‘golfare’ ed é usato tuttora nei porti per ormeggiare imbarcazioni, ma anche per sollevare pesi.

 

E poi, ancora rulli sferici e cilindrici, paglioli, cerniere, filastrini in bronzo, tubi di piombo, ancora tegole di rame dorato, laterizi di varie forme e dimensioni, frammenti di mosaici con abbellimenti in pasta di vetro, lamine di rame ed altro.

 

Il 18 novembre fu individuata la seconda nave

 

Una delle due navi é stata finalmente recuperata. Una lunga fila di fortunati visitatori circonda il relitto. L’immagine dà l’esatta proporzione delle sue immense dimensioni. Presto la nave di Nemi sarà messa al riparo nel suo Museo, ignara che un atroce destino l’attende. La Seconda guerra mondiale é alle porte e la ‘fiaba’ raggiungerà presto il suo triste epilogo...

 

Fu recuperata la decorazione del sostegno di uno dei quattro timoni raffigurante un avambraccio ed una mano, che erano simboli ‘apotropaici’ e servivano ad allontanare le influenze magiche e maligne. Se ne trovarono a volte nei sepolcri, ed il loro nome derivò da una parola greca che significava ‘allontanante’.

Fu recuperata una bellissima testa di medusa (foto sopra) e poi 400 metri in travi di ottimo legno perfettamente conservato. Altre importanti statue andarono, purtroppo, perdute nelle mani di collezionisti privati.

Finalmente interviene lo Stato

La tutela, il recupero e la conservazione dei reperti antichi furono affidati al Ministero della Pubblica Istruzione. Al Ministro della Marina Ammiraglio Morin fu affidato il compito di recuperare ‘scientificamente’ i relitti sommersi nel lago. Nacque così una vera organizzazione archeologica che si occupò della posizione delle navi rispetto ai fondali, delle loro identificazioni, dei rilievi e delle proposte di raccolta di tutto il materiale riguardante i relitti. Nella relazione si legge: “la prima nave dista dalla riva circa cinquanta metri ed è quella esplorata dall’Alberti, dal De Marchi e, probabilmente, dal Fusconi ed è adagiata sul fianco sinistro ad una profondità da cinque a dodici metri. Lontano duecento metri, ad una profondità da quindici a venti metri circa, giace la seconda nave, anch’essa adagiata sul lato sinistro ed anch’essa semi coperta dal fango”.

 

 

Nel 1926 si procede al quinto tentativo

 

Per recuperare le navi di Nemi, fu istituita una Commissione di Studio affidata al senatore Corrado Ricci. Furono esaminati tutti i progetti e studi effettuati in precedenza, ed infine fu ritenuto idoneo il metodo di lavoro proposto dal Malfatti: l’abbassamento del livello del lago fino a far emergere le due navi.

Il 9 aprile 1927 Benito Mussolini annunciò la decisione di recuperare le due grandi navi sommerse ricordando la grandezza di Roma, della sua storia e della sua civiltà, affermando che l’impegno preso era un debito d’onore verso la cultura classica e verso la dignità del nostro Paese.

 

Il Capo del Governo concluse il suo discorso proponendo il programma dei lavori: svuotamento parziale del lago intorno ai relitti, la loro messa in sicurezza, ed infine il loro trasporto e sistemazione in un museo appositamente costruito nella parte pianeggiante della sponda.

Un palombaro sta per immergersi nel lago di Nemi (Archivio LUCE 03.12.1928)

 

 

L’annunciata ‘avventura’ rappresentò il coinvolgimento ufficiale dello Stato che si assunse l’iniziativa e l’esclusiva del recupero delle due antiche e sfortunate navi romane.

Una delle due navi sta emergendo dalle acque

Idrovora impiegata per svuotare l’improvvisato bacino che racchiude la nave

La nave completamente emersa é puntellata e rinforzata per la messa in sicurezza prima del trasporto nel Museo

Ipotesi Ricostruttiva delle prima nave (da BONINO 2003)

Ipotesi Ricostruttiva delle seconda nave (da BONINO 2003)

Il MUSEO DELLE NAVI ROMANE fu costruito per ospitare i preziosi scafi appena estratti dalle acque del lago. Si tratta di una costruzione che offre un rarissimo esempio di struttura architettonica concepita in funzione del contenuto. Come si può notare, il Museo è un doppio hangar di calcestruzzo le cui dimensioni superano di poco le due navi. Il progetto fu realizzato dall'architetto L. Morpurgo. Il Museo fu costruito tra il 1933 e il 1939 sulla riva settentrionale del lago. Le due gigantesche navi imperiali, appartenute all'imperatore Caligola (37-41 d.C.), furono recuperate nelle acque del bacino tra il 1929 e il 1931. I due scafi avevano le seguenti misure: m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, e furono distrutti insieme all'edificio a causa di un incendio doloso nel 1944 di cui si é già fatto cenno.

Lo scatto fotografico ci riporta al giorno dell’inaugurazione del Museo di Nemi. In primo piano: Benito Mussolini e il ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Notare il rivestimento dello scafo che appare in buone condizione dopo 2000 anni.

Il Museo fu inaugurato nel gennaio del 1936, dopo il maledetto incendio rimase chiuso nove anni, in seguito fu ristrutturato dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, oggi ospita i modelli in scala delle due navi in scala 1:5, ma anche le ancore, le sculture e molti altri reperti che, non essendo di legno o trovandosi a Roma, si salvarono dalla furia delle fiamme.

 

Riaperto nel 1953, il museo fu nuovamente chiuso nel 1962 e definitivamente riaperto ed inaugurato nel 1988.

 

Nell’ultimo allestimento, l'ala sinistra è dedicata alle navi di cui sono esposti alcuni materiali salvatisi dall'incendio. Il museo comprende anche una sezione documentale sulla tecnica costruttiva navale: disegni e piani di costruzione ed un’eccellente documentazione fotografica.

Questo materiale sarebbe assolutamente utile per un’auspicabile ricostruzione delle due navi ad opera, si spera, di veri artisti, sotto l’egida di un Cantiere Navale altamente specializzato. In tempi di crisi economica sarebbe anche una apprezzabile iniziativa economica.

Questo é il nostro modestissimo suggerimento ed augurio!

 

L'incendio che distrusse le navi

Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1 giugno del 1944, distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L'incendio, d’origine quasi certamente dolosa, fu opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri dal museo. Fu istituita una commissione d'inchiesta composta da autorevoli esperti italiani e stranieri che giunse alla conclusione, di seguito riportata, tratta da un brano del libro indicato in calce: "con ogni verosimiglianza l'incendio che distrusse le due navi fu causato da un atto di volontà da parte dei soldati germanici che si trovavano nel Museo la sera dei 31 maggio 1944..." (Giuseppina Ghini, Museo delle Navi Romane- Santuario di Diana - Nemi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp.3, 5).

Un'altra teoria azzarda invece l’ipotesi che l'incendio potrebbe essere stato causato non dai tedeschi, ma da italiani senza scrupoli, interessati al recupero del bronzo fuso dall'incendio e della sua vendita, visto l'alto valore di quel metallo, in tempo di guerra.

 

Conclusione

 

Nonostante il senso di smarrimento che si prova al suo interno, dovuto ai grandi spazi tuttora disponibili, il Museo delle Navi Nemi suscita emozione e grande interesse, sia per i numerosi reperti archeologici che conserva, sia per la documentazione della tecnica navale romana. Tra questi, come abbiamo visto, giganteggiano i notissimi bronzi di rivestimento delle travi, con teste di leone, di lupo, di pantera, di medusa e con mani apotropaiche che dovevano tenere lontani gli spiriti maligni, di Ermes bifronte, una transenna bronzea, terrecotte ornamentali. Colpisce per la sua efficienza e modernità un’àncora di ferro a ceppo mobile che porta inciso il peso (417Kg), del tipo che tutte le marine del mondo chiamano ‘Ammiragliato’ senza sapere, forse, che Caligola le usava già 2000 anni fa. Alcuni elementi metallici si sono salvati dall'incendio: un grande rubinetto di bronzo, pompe, piattaforme girevoli, ruote dentate, tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzature di bordo originali, tubi plumbei, una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera, e preziose colonne di marmo. Ma anche fedeli ricostruzioni: timoni, modellini vari, mosaici, calchi e due fedeli modelli in scala a un quinto del vero.

Noria a manovella originale di bordo

Pompa a stantuffo

Nelle due foto (dell’autore) sopra e sotto, appare la ricostruzione di una delle due ‘Postazioni del Timoniere’ situate a poppa (a dritta) della prima nave, su cui sono state posizionate le copie bronzee delle cassette con protomi ferine.

Alcuni esemplari dei chiodi utilizzati sulle due navi, di vari tipi e dimensioni: da pochi centimetri a oltre mezzo metro; dal tipo di sezione quadrangolare e capocchia piramidale a quello con testa schiacciata fornita di piccole protuberanze che servivano a far meglio aderire le lamine plumbee di rivestimento dello scafo.

La Via Appia Antica attraversa il Museo delle Navi

 

Quattro colonne in marmo ‘portasanta’ rinvenute presso le navi. La denominazione attuale risale al Rinascimento e deriva dal fatto che di questo marmo sono gli stipiti della Porta Santa di S. Pietro in Vaticano, della Porta Santa di S. Paolo, S. Maria Maggiore e S. Giovanni in Laterano; la denominazione antica (Marmor chium) rimanda, invece, al luogo di estrazione: le cave, situate nell'isola di Chio che furono individuate nel 1887.

Veduta della nave all’interno del Museo

Mosaico dell’ancora

Ancora tipo “Ammiragliato”

Rivestimento bronzeo del ‘dritto di prora’ (tagliamare) di una delle navi di Nemi

Segnalazioni:

 

Echi di manovre dal porto di Roma antica...” –

 

(Vedi saggio dell’autore sul sito di Mare Nostrum)

 

You tube - Indagine Archeologica di Alberto Angela (RAI)

 

Google-PASSAGGIO A NORD OVEST – LE NAVI ROMANE DEL LAGO DI NEMI

 

Segnalo inoltre altri ottimi filmati-You Tube (RAI) su Porti di Claudio e Traiano.

 

Ringrazio infine gli autori di due Ottimi Saggi da cui ho tratto spunti e foto a scopo divulgativo:

 

Le Navi di Marina e Massimo Medici

Nemi - Le navi del Mito ARCHEOGUIDA di Saverio Malatesta

Carlo GATTI

Rapallo, 07.05.12


Canale di PANAMA

CANALE DI PANAMA

La costruzione del Canale di Panama ha avuto un effetto fluidificante per tutti i commerci a cavallo tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. La via d’acqua artificiale permette di giungere in poche ore dall’uno all’altro con un risparmio di 26.000 km e circa 30 giorni di navigazione rispetto alla rotta obbligata di Capo Horn percorsa fino al 1914, primo anno di operatività del Canale.

Non sarà mai abbastanza riconosciuto il sacrificio compiuto dalla gente della marineria velica sulle rotte oceaniche più lunghe e sperdute del mondo. Tra i velieri obbligati a doppiare Capo Horn per passare dall’Atlantico al Pacifico, uno su quattro naufragava in quel punto cruciale e perennemente sconvolto dalle tempeste. Cosa fu l’apertura del Canale di Panama per gli uomini di mare se non la fine di un incubo?

Nel 1513 l’esploratore spagnolo Vasco Nuñez de Balboa attraversò lo “stretto” di Panama da levante e scoprì l’Oceano Pacifico. L’istmo da allora risultò decisivo per il transito di oro, argento, perle e altri tesori che furono portati dal Perù a “Panamá La Vieja” (Pacifico) e, attraverso il “Camino de Cruces” e il fiume Chagres, fino a Portobelo (Atlantico), per poi essere caricati sulle navi che li avrebbero trasportati in Spagna. Ma le difficoltà furono insormontabili per i mezzi tecnici d’allora e si dovette attendere il XIX secolo per rielaborare un vecchio progetto del canale che nel 1879 fu caldeggiato dal Congresso Internazionale di Parigi ed ebbe tra i suoi promotori Ferdinand de Lesseps, già costruttore del Canale di Suez e, in seguito, da Gustave Eiffel. Nel 1901 gli Stati Uniti ottennero dal governo colombiano (all'epoca Panamá faceva parte della Grande Colombia) l'autorizzazione per costruire e gestire il Canale per 100 anni. Nel 1903 però il governo della Colombia, in un sussulto di orgoglio nazionale, decise di non ratificare l'accordo. Gli USA allora non esitarono a organizzare una sommossa a Panamá e a minacciare l'intervento dell'esercito. Panama divenne una Repubblica indipendente ma sotto la tutela degli Stati Uniti che ottenne l'affitto della Zona del Canale e l'autorizzazione a iniziare i lavori. I Trattati stipulati concedevano agli USA una striscia di territorio la “canal zone” larga 5 miglia, all’interno della quale fu costruito il canale per un compenso di 10 milioni di dollari e un affitto annuo di 250.000 dollari, in seguito portato a 1.930.000 nel 1955.

Nel 1904 furono ripresi i lavori, dapprima per la costruzione di un canale a livello del mare, ma la difficoltà di scavare una trincea così profonda attraverso il passo di Culebra, fece mutare i progetti, e nel 1906 fu decisa la costruzione di chiuse (vedi cartina sotto).  I lavori iniziarono nel 1907 per opera del Genio Militare USA e si conclusero il 3 agosto 1914.

Il Canale di Panama é lungo 81 chilometri e rappresenta il simbolo dell’importanza strategica che l’istmo ha rivestito fin dal XVI secolo costituendo ancora oggi una delle vie di comunicazioni più importanti al mondo. Le navi possono percorrerlo in circa 5/8 ore (dipende dalla velocità e dal traffico), avvalendosi del citato sistema di chiuse-locks*. La sua profondità (pescaggio) varia tra 12,5 a 13,7 metri, la larghezza massima é di 240 e 300 mt nel lago Gatún, mentre la minima è di 90–150 mt nel tratto finale della Culebra. Il sistema comprende 6 chiuse, che permettono alle navi di superare il dislivello totale di 28 mt. Le navi provenienti dall’Atlantico "salgono" per mezzo di queste prime tre chiuse e “scendono” grazie ad altre tre chiuse. All’interno dei locks le navi vengono trainate da gru e locomotive molto tipiche (vedi foto nave Ancona). Le chiuse sono a doppio sistema e sopportano il transito contemporaneo nei due sensi, fino al livello del lago Gatun. Il Canale fu inaugurato il 15 agosto 1914, ma la cerimonia ufficiale fu rinviata al 1920, a causa dell'insorgere della Prima guerra mondiale.


Siamo nel 1915. Alla nave Ancona si attribuisce storicamente il primo passaggio del Canale da un oceano all’altro, riducendo a otto ore la traversata, che prima durava più di sessanta giorni via Capo Horn.

Il Canale di Panama è una delle opere di ingegneria più importanti al mondo trattandosi della struttura di cemento armato più imponente mai costruita prima d’allora.

Il canale interoceanico che attraversa l’istmo di Panama inizia nel mar delle Antille, e dopo 23 km al livello del mare raggiunge le Chiuse/Locks di Gatùn, che lo portano a 26 metri d’altezza s.l.m. Attraversa quindi il grande lago di Gatùn (424,8 km2) e all’altezza di Darièn penetra nella trincea della Culebra, il cosiddetto “taglio di Gaillard” (dal nome di uno dei costruttori), fino a raggiungere Pedro Miguel, dove altre chiuse lo fanno scendere a 16,50 mt, finchè le chiuse di Miraflores lo riportano al livello del mare. Il lago Gatun, le cui acque sono fondamentali per il funzionamento della via interoceanica, è stato per svariati decenni il lago artificiale più grande del mondo.


In questa fotografia la freccia indica la corsia su cui si espanderà il nuovo Canale di Panama per rispondere alle nuove esigenze del Gigantismo Navale che risponde al concetto economico: meno navi e più merci, meno spese e più produttività.

La Commissione del Canale ha passato le sue funzioni al governo della Repubblica di Panama il 31 dicembre 1999.

L'importanza economica e strategica di questa via di comunicazione è incalcolabile; il traffico attraverso il canale ha avuto, dalla sua inaugurazione, un continuo aumento e oggi emerge tutta la sua inadeguatezza, tanto che sono allo studio progetti per il suo raddoppio (vedi foto). Per il pagamento del pedaggio le navi sono divise in tre classi: le unità mercantili, i trasporti militari, le navi ospedale, le navi appoggio e gli yachts con passeggeri o carico pagano 2,21 dollari per tsn; se invece sono vuote pagano 1,76 dollari per tsn; gli altri tipi di unità invece sono assoggettati ad un pedaggio di 1,23 dollari per tonnellata di dislocamento. L’accesso al Canale delle grandi navi portacontainer, che ne sono le maggiori utilizzatrici, è condizionato dalle misure della nave (vedi note). Questo limite è dettato dalla capienza massima delle chiuse lungo il percorso. Si parlava di inadeguatezza, infatti le navi moderne sono ormai di stazza superiore rispetto alla capacità massima del canale e si parla ormai di navi PostPanamax**. Nell’anno 2010 il Canale è stato attraversato da oltre 14.000 navi, e ha movimentato merci per oltre 200 milioni di tonnellate. Gli introiti derivanti dal Canale costituisono la prima fonte di ricchezza dello Stato di Panama.

Sta cambiando lo scenario del Canale di Panama.

Nell'aprile 2006 si è concluso lo studio durato cinque anni per un ampliamento del Canale per le navi PostPanamax. L'ampliamento é stato deciso da un referendum popolare ha dato l'approvazione al progetto. Nel settembre 2007 il governo di Panama ha iniziato i lavori per un progetto di espansione del Canale di 5 miliardi di dollari e dovrebbero essere terminati entro il 2014 (centenario dell'apertura del canale) e permetterà il passaggio di quasi tutte le navi in circolazione in questo momento nel mondo. Il progetto prevede l’aggiunta di una terza linea di transito con la costruzione di due nuove serie di chiuse, parallele a quelle esistenti, in corrispondenza di ciascuno degli imbocchi del Canale. La nuova soluzione consentirà l’attraversamento alle navi di dimensioni maggiori, incrementando di più del doppio l’attuale volume di traffico. Gas naturale liquefatto e carbone proveniente dalla Colombia troverebbero la loro strada facilitata da questo nuovo passaggio. Il progetto prevede di portare al raddoppio della capacità di navigazione del canale entro il 2025. Il traffico, soprattutto quello mercantile, sarà rivoluzionato evitando l'attuale lungo periplo dell'America meridionale. Benefici ne otterranno anche le compagnie crocieristiche, che potranno ridisegnare nuove mete, utilizzando tutto il naviglio a disposizione, che si trasformerà da Panamax a Postpanamax, già nel giro dei prossimi due anni, con la possibilità di transito alle navi passeggeri oltre le 110.000 ton di stazza. Grandi lavori saranno destinati anche al Lago intermedio di Gatun, dove saranno costruite nuove dighe per l'accumulo dell'acqua destinata alle chiuse di maggiori dimensioni, e a tutto il tracciato, che sarà portato alla profondità di 15 metri. Si aprono quindi nuovi scenari anche per la Marina Militare degli Stati Uniti, che ne beneficerà in termini logistici e di veloce spostamento delle ‘flotte’ da un Oceano all'altro, comprese le grandi portaerei oggi in servizio. I lavori saranno conclusi nel 2014, in occasione del centenario della sua inaugurazione.

La Panama Canal Authority prevede rialzi delle tariffe di transito nel canale centroamericano

Il piano include aumenti in vigore dal 1° luglio 2012 e un'ulteriore incremento dal 1° luglio 2013

Il consiglio di amministrazione della Panama Canal Authority (ACP) ha approvato un piano di aumento delle tariffe per il transito delle navi nel canale panamense che prevede tra l'altro l'incremento del numero delle tipologie di navi in cui suddividere il naviglio che attraversa la via d'acqua centroamericana al fine del pagamento dei pedaggi.

In particolare, il piano prevede che il segmento delle navi cisterna venga suddiviso in tre differenti tipologie, prevede l'istituzione del nuovo segmento delle navi container/breakbulk e l'incorporazione delle navi ro-ro nel segmento delle navi porta-automobili. La nuova suddivisione include le seguenti tipologie: full container (nuovo segmento), reefer, portarinfuse, passeggeri, porta-auto e ro-ro (fusione di due segmenti), cisterne(segmento riorganizzato), chimichiere (nuovo segmento), LPG (nuovo segmento), general cargo e altre navi.

Actual Standard Canal Fees – Panama Canal Tolls – Revised January 2005. In U.S. dollars.

Transit

Inspection

Buffer

Total

 

Up to 50'

$550.00

$50.00

$850.00

$1,450.00

From 50' - 80'

$850.00

$50.00

$850.00

$1,750.00

From 80' - 100'

$1,050.00

$50.00

$850.00

$1,950.00

100' +

$1,500.00

$50.00

$850.00

$2,450.00

125' +

$2,450.00

locomotives

$2,220.00

(obligatory)

NOTE - * Gli inventori delle chiuse furono gli architetti ducali Filippo da Modena e Fioravante da Bologna. La prima ‘conca’ costruita fu quella del 1439, in via Conca dei Navigli a Milano su ordine di Filippo Maria Visconti.

** Con la sigla Panamax si indicano le navi le cui dimensioni permettono il loro passaggio nelle chiuse del canale di Panama. Le chiuse del canale misurano 304,8 m di lunghezza, 33,5 m di larghezza e 25,9 m di profondità. Pertanto le dimensioni massime delle navi Panamax sono di 294 m di lunghezza, 32,3 m di larghezza e 12,04 m di pescaggio. Si può facilmente capire, confrontando le misure delle chiuse con le dimensioni delle navi, che il margine ad eventuali errori di manovra è ridottissimo. Attualmente queste navi vengono considerate di medie dimensioni. Infatti molte moderne navi militari (portaerei) e mercantili (portacontainer e petroliere) superano, alla ricerca del miglior rapporto costo/efficienza, abbondantemente queste dimensioni. Queste navi vengono appunto chiamate Post-Panamax o super post-Panamax. Per ovviare a questo problema sono state progettate nuove chiuse, più grandi, per il canale di Panama. In questo modo verrebbe migliorato anche il traffico che vi si svolge.

Carlo GATTI

Rapallo, 19.04.12


L'ARMAMENTO COSTA, un Pianeta che parla "rapallino"

COSTA ARMATORI

Un Pianeta che parla Rapallino

 

Nei primi anni ’50, il molo di Langano

fu la nostra “palestra e piscina”. Ogni

estate Marò ci radunava davanti al

villone dei Costa e quei nomi ben presto

diventarono i punti di riferimento per i

nostri appuntamenti sportivi e, in seguito,

anche di lavoro e soddisfazioni

professionali.

Una Scalata di Successi che dura da centocinquantanni

EUGENIO C.

L’Emblema della Flotta Costa

Sotto il nome del suo fondatore “Giacomo Costa fu Andrea”, nel 1854 iniziò l’attività di questa grande famiglia distinguendosi inizialmente nel commercio di tessuti e, soprattutto dell’olio di oliva. La storia del famoso marchio “Olio Dante” cominciò a Genova proprio in quegli anni, quando il suo capostipite fece salpare le prime navi verso i Paesi d’oltreoceano dove vivevano tanti nostri connazionali. 
Infatti, già alla fine del XIX secolo, il massiccio flusso d’emigranti italiani verso Australia, Nord e Sud America, diede un forte incremento alla domanda di generi alimentari nazionali. Il nome del Sommo Poeta fu scelto per dare agli italiani un prodotto che richiamava non solo la “patria” ma anche il simbolo del genio e della cultura italiana nel mondo.

La necessità di esportare rapidamente i propri prodotti, portò Giacomo Costa ad acquistare, in un primo tempo, navi da carico noleggiate, ed in seguito a farle costruire direttamente creando così lavoro per migliaia di rivieraschi occupati nella cantieristica, nell’indotto commerciale-turistico, oltre ai numerosi equipaggi imbarcati. Da queste solide fondamenta, basate su coraggio e lungimiranza, nacque quella operosa Linea “C” che fu presente su tutti i mari come massima espressione dell’Armamento Privato Italiano, fino a tutti gli anni ‘60 del novecento, e quando lo storico ciclo delle navi di linea giunse al capolinea, i Costa se ne avvidero in tempo. I nuovi vettori dell’aria chiamati “JUMBO” (primo volo nel 1970) erano ormai in grado di trasportare passeggeri e merci in tempi rapidissimi. Purtroppo, non tutte le famose Compagnie di Navigazione seppero “cambiare rotta” in tempo e quasi la totalità fu travolta dall’onda supersonica degli aerei e chiuse i battenti.

La Linea “C” fu tra le prime Società di navigazione, se non la prima, a prendere atto dello strapotere dell’Aviazione Civile e, con eccezionale tempismo, adattò le proprie navi al nuovo mercato crocieristico. Sotto questo segno, nacque una nuova filosofia, fu imposta una nuova moda e venne inaugurato un nuovo stile di vita. Con queste premesse nacquero le “FUN SHIP”, le navi del divertimento, di cui Costa diventò, senza alcun ripensamento o cedimento negli anni, uno dei massimi esponenti. In quegli anni ’70 la nave non rappresentava più l’ultimo viaggio dell’emigrante in cerca di fortuna nel “nuovo mondo”, non era più il cordone ombelicale che univa gli italiani dispersi tra gli stati d’oltremare e neppure il veicolo per lo scambio di merci che cambiò sistema e trovò nel container il suo mezzo ideale di trasporto. Il miracolo economico esplose improvvisamente e spinse la gente a trovare l’evasione nel viaggio di mare, a combattere lo stress vivendo la vita di bordo con le visioni di albe, tramonti, burrasche, isole esotiche. La nave diventò improvvisamente un romanzo d’avventure da vivere in prima persona. La tristezza per l’abbandono della patria e dei propri cari apparteneva ormai al passato, alla storia che oggi ci appare ancora più lontana e per certi versi già dimenticata.

Le Navi dei Costa

Simbolo e Prestigio

dell’Armamento Privato Italiano nel Mondo

P/f Ravenna

Il modesto piroscafo Ravenna di 1.148 t. diede inizio all’’avventura della famiglia Costa sui mari del mondo. La nave fu costruita nel porto di Leith (Edimburgo) in Scozia nel 1888.

Facciamo un passo indietro. Il 7 agosto 1924 i fratelli Federico, Eugenio e Enrico Costa, con l’acquisto della piccola carretta Ravenna (1.148 t.s.l.), entrarono a tutto campo nel mondo degli imprenditori marittimi.

P/f Langano

Una rara fotografia del Langano dell’Armatore Giacomo Costa, ripresa nel porto di Ancona. Nel suo “epitaffio ideale” c’è scritto: Il piroscafo varato nel 1894, aveva una stazza lorda di 1.267 tonnellate. Sopravvisse a due guerre mondiali e, come un umile servo, si adattò a qualsiasi mansione...ma quando fu necessario, dimostrò d’essere anche un indomito combattente. Con la sua modesta, ma frenetica attività costituì la base di partenza per una faticosa ripresa, rappresentando il trampolino di lancio per un’interminabile storia di successi imprenditoriali. Nel 1950, dopo cinquantasei anni di duro lavoro, umiliazioni, ribellioni e tanti colpi di mare, cadde sotto i colpi del demolitore ed entrò nell’oblio della storia navale.

Quattro anni più tardi entrò in linea il già citato Langano. Negli anni ’30 iniziò la tradizione di battezzare le navi con i nomi di famiglia: Federico (’31) - Eugenio ed Enrico (’34) – Antonietta, Beatrice, Giacomo (’35). Queste navi collegavano i porti principali del Mediterraneo. All'inizio della Seconda guerra mondiale la flotta dei Costa contava 27.534 tonnellate di stazza suddivise tra otto navi.

 

Solo il Langano sopravvisse alla distruzione della flotta Costa durante la Seconda guerra mondiale, ma la famiglia non si arrese e ripartì costruendo e acquistando altre navi destinandole al cabotaggio in Mediterraneo. Ma nuovi fattori politici ed economici caratterizzarono la nuova Italia: in particolare, prese corpo il flusso migratorio transoceanico che stimolò la famiglia Costa ad intraprendere nel 1947 un “servizio passeggeri” a due classi, dotando la più lussuosa di aria condizionata. I primi passeggeri/emigranti a scegliere la Costa, imbarcarono sulla Maria C. e sulla Giovanna C. ma il primo transatlantico ad attraversare l’Atlantico Meridionale, dopo il conflitto, fu l’Anna C., seguita nel 1948 dall’Andrea C. ambedue sulla linea del Brasile e del Plata.

La Società Giacomo Costa fu Andrea diventò “Linea C”. Anche le linee da carico verso il Nord America si aprirono nel 1948 con la Maria C. affiancata dalla Luisa C. (dotate di ampie stive per il carico). Nel 1953 la Franca C. aprì nuove rotte verso il Venezuela e le Antille.

Maria C.

Maria C. Ex-Pommern (Germania-1913), ex-Rappahannock (USA-1917), ex-W.Luchenbach (USA-1933). La nave fu acquistata dai Costa nel 1947 e, dopo alcune trasformazioni logistiche per i passeggeri, le fu assegnata una stazza l. di 8.550 T. Ribattezzata Maria C., partì per il Sud America il 24 .2.1947 come prima nave passeggeri dei Costa. Nel marzo del 1948 fu trasferita sulla linea del Nord America toccando Lisbona, Filadelfia, Baltimora e New York. Navigò fino a tutto il 1952 e fu poi demolita a Savona.

Giovanna C.

Giovanna C. Ex-Eastern Trader (Giappone-1919/USA-1920), ex-Horace Luckenbach (USA-1922), fu messa in vendita alla fine della Seconda guerra mondiale. Costa l’acquistò nel 1947 e la rinominò Giovanna C. La nave arrivò a Genova il 28 agosto 1947. Subì alcune trasformazioni e dopo un mese ripartì come nave passeggeri per il Sud America per scalare Rio de Janeiro, Santos, Montevideo e Buenos Aires. Nel 1949 fu trasformata a Genova in nave passeggeri per emigranti destinati alle Americhe. La sua stazza fu portata a 8.339 t. e con il suo nuovo look, la nave partì da Genova l’8 giugno 1949 per il Sud America con 1300 pax-emigranti. Continuò la linea del Plata fino al 1953. Al suo ritorno a Genova, dopo 33 anni d’intenso servizio, fu destinata alla demolizione a La Spezia.

Luisa C.

Luisa C. Ex-Eastern Merchant (Giappone-1919/USA-1920), ex-Robert Luckenbach (USA-1922), Il 25 luglio 1947 fu acquistata dai Costa e diventò italiana con il nome di Luisa C. Iniziò il suo nuovo servizio con il trasporto degli emigranti in Sud America. Fu noleggiata dalla Compagnia Ignazio Messina dall’11 ottobre 1948 al 26 febbraio 1949 ed impiegata sulla rotta per l’India. Il mese dopo partì per la linea-emigranti del Nord America dove rimase fino a tutto il 1950, alternando qualche viaggio per il Sud America. Dopo aver compiuto il suo ultimo viaggio Rientrò a Genova il 13 marzo 1951 e fu messa in disarmo. Fu venduta con il nome di Sula ad una Società Panamense. Navigò fino al 1959. Fu demolita in Giappone nella stessa regione dove fu varata 40 anni prima.

Andrea C.

Andrea C. (ex-Ocean Virtue-1941) fu praticamente ricostruita a Genova nel 1946 con una stazza di 7.800 t. e battezzata con il nuovo nome nel marzo 1948. Partì per il suo primo viaggio il 26.6.48 con destinazione il Brasile e il Plata. Nel 1959 subì radicali trasformazioni a Genova, cambiò i motori e persino la prua e la sua lunghezza raggiunse i 142 metri. Con il nuovo shape ritornò a navigare verso il Plata per tutti gli anni ’60. Nel dicembre del 1970 fu sottoposta ad importanti lavori strutturali di ammodernamento e di condizionamento in tutti i locali e la sua nuova stazza fu portata a 8.604 t. Rimase prevalentemente in Mediterraneo per tutti gli anni ’70. Portò a termine la sua ultima crociera nell’ottobre 1981 e fu quindi messa in disarmo. Fu demolita a La Spezia nel 1983.

Anna C.

Anna C. (ex-Southern Prince-1928) acquistata nel 1947, entrò in linea per Rio de Janeiro e Buenos Aires l’anno successivo, dopo aver compiuto importanti lavori strutturali. La prima nave passeggeri della Flotta Costa iniziò il servizio di linea da Genova per Buenos Aires il 31 marzo 1948. Innovativa e pionieristica, era dotata di aria condizionata in tutti gli alloggi per i passeggeri. Con Anna C. inizia un sodalizio professionale con l’architetto Giovanni Zoncada e per trent’anni gli interni delle navi Costa porteranno la sua firma. Tre anni dopo sostituì i motori principali e la nave raggiunse i 20 nodi di velocità. Nel 1959 aumentò la capacità-passeggeri e portò la propria stazza a 12.030 grt. Per quasi tutti gli anni ’60, la Anna C. trascorse i mesi invernali ai Caraibi e quelli estivi nel Mediterraneo. Fu demolita a La Spezia nel 1972.

Franca C.

Franca C. (ex- Roma, ex-Medina-1914), fu acquistata dai Costa nell’aprile 1952. Fu convertita in nave passeggeri e messa in linea nel Mar dei Caraibi con una stazza lorda di 6.549 t. Partì per il suo “maiden voyage” il 31 gennaio 1953. Fu sottoposta ad un nuovo look e con la stazza ritoccata a 6.822 grt, riprese il mare nel luglio 1959 con la firma di molti artisti come Zoncada e Mascherini, negli anni seguenti navigò tra la Florida e le Bahamas. Il 4 .11.1977 cambiò armatore e fu ribatezzata Doulos. Con questo nome pare sia tuttora in servizio: un vero primato di longevità.

 

Una recente foto della Doulos (ex-Franca C)

La Doulos, ovvero ex Medina, ex Roma, ex Franca C. è stata la nave passeggeri, forse, più longeva al mondo. Da appassionati di navi storiche, ci giunge notizia che il 31 dicembre 2009 si è concluso il suo servizio. La Franca C. è andata a riposare nell’Olimpo delle navi famose.

Nel 1957 si verificò una svolta importante nella storia degli armatori Costa: fu impostata la Federico C. - la prima nave commissionata dalla famiglia ai Cantieri Ansaldo di Genova. Ancora divisa in tre classi, la nave era dotata di ristoranti, saloni, piscine all’ultima moda. Questo impulso verso la modernità, spinse l’Armamento Costa ad un ulteriore sforzo di ammodernamento della flotta e anche le anziane Bianca, Enrico, Andrea, Flavia, Fulvia, Columbus e Carla furono ristrutturate nell'ottica di uniformare la flotta sul piano dell’accoglienza sempre più raffinata ed esigente dei passeggeri.

Nel 1959 la Costa tentò un nuovo esperimento mettendo sul mercato delle vacanze la prima nave al mondo completamente dedicata alle crociere di svago negli Stati Uniti e nei Caraibi. Il suo nome era Franca C., a cui venne affiancata nei mesi invernali la Anna C., che realizzarono mini-crociere da tre o quattro giorni da Port Everglades alle Bahamas. I primi anni '60 furono addirittura trionfali e alle ormai consuete rotte in Sud America o ai Caraibi si affiancarono le crociere in Mediterraneo, Mar Nero, Brasile, Uruguay e Argentina, fino allo stretto di Magellano e all’Antartico.

Eugenio C. e Federico C.

due autentiche fuoriclasse

Il successo delle crociere Costa fu tale che nel 1964 la Compagnia ordinò la costruzione della"Eugenio C., subito ribattezzata “la nave del futuro" per l'equipaggiamento e l'eleganza. Una nave non più formalmente distinta in tre classi, ma concepita con un ponte unico, su cui si affacciavano tutti i saloni. Un chiaro indizio del fatto che l'Eugenio C. sarebbe stata completamente adibita al servizio crocieristico, il futuro scelto da Costa Armatori. La prima nave ad esclusivo uso-passeggeri, la Franca C., nel 1968 inaugurò la formula di viaggio “volo+nave", destinata a cambiare completamente il modo di concepire la vacanza, proponendo, anche a chi aveva poco tempo a disposizione, crociere brevi all'altro capo del mondo. Ancora una volta l'evoluzione dei tempi diede ragione alla Costa, che nel corso degli anni '70 arricchì la propria flotta con alcune navi prese a noleggio o comprate. Spiccarono così le splendide gemelle Daphne e Danae, che solcarono il Mediterraneo d'estate e i Caraibi d'inverno, con alcune puntate in Alaska, Scandinavia, Sud America, Africa ed Estremo Oriente.

Con il superamento della crisi economica, per la famiglia Costa si aprirono nuovi scenari.

Vi fu un gradito ritorno dei maggiori artisti contemporanei verso l’arredamento navale, proprio com’era già accaduto nel ventennio tra le due guerre con i grandi transatlantici della Società Italia. Giò Ponti, direttore della rivista Domus, dedicò la sua arte, agli arredamenti, agli aspetti decorativi e alla nuova architettura navale dei Costa. Una magica tradizione che continua ancora oggi.

Pertanto, le navi diventarono lussuose, confortevoli, eleganti e fu l’Italian Style ad attrarre un crescente numero di passeggeri per l’ospitalità, il confort e la tradizionale cucina del nostro Paese.

In questo periodo le navi dei Costa disponevano di tre classi  (1° - 2° e cl. turistica) e si distinguevano dalle altre concorrenti per l’intrattenimento, giochi e svaghi dei passeggeri.

Federico C.

Federico C. segnò un passaggio importante nella storia della Costa Line che entrò come protagonista in competizione con le navi più blasonate già presenti sul mercato sudamericano. La nave, varata ed allestita a Genova, partì per il suo viaggio inaugurale il 22.3.1958 per Rio de Janeiro e Buenos Aires. Le sue linee erano armoniose slanciate ed eleganti e rispecchiavano perfettamente l’Italian Style tanto apprezzato nel mondo dello shipping internazionale. Aveva una stazza di 20.416 t. Poteva trasportare 8.520 t. di carico e sviluppare una velocità standard di 21 nodi. 1300 passeggeri suddivisi per classi (243-321-736) e 270 d’equipaggio. Grande cura fu dedicata all’eleganza dei saloni, cabine, piscine, ballrooms con le decorazioni, sculture e pitture dei grandi artisti già citati. Dopo dieci anni dalla sua entrata in servizio, la Federico C. subì lavori di trasformazione e adattamento alle nuove esigenze nel mercato delle crociere, come la conversione delle tre classi in una classe unica d’eleganza standard. Nel 1983 fu venduta alla Premier Cruise con il nome di Starship Royale e, all’inizio del 1989 fu venduta alla Dolphin Cruise Line e ribattezzata Seabreeze. Il 17 dicembre 2000 è affondata 200 miglia al largo delle coste della Virginia, non aveva passeggeri a bordo e i 34 uomini d’equipaggio furono tratti in salvo dalla Guardia Costiera.

Bianca C.

Bianca C. La Seconda guerra mondiale ritardò l’inizio della sua attività di circa 10 anni. Il 30 .6.1949 con il nome di Marseillaise, bandiera francese, entrò in linea per l’Estremo Oriente. Nel 1954 terminò il periodo coloniale e la nave fu dirottata in Mediterraneo. Nel 1957 fu acquistata dalla Arosa Line Inc. e si chiamò Arosa Sky. Nel 1958 fu acquistata dai Costa che la sottoposero ad importanti lavori per aumentarne la stazza lorda, la capacità passeggeri (1252 in totale) e la chiamò Bianca C. Alla fine del 1959 fu destinata alle crociere nei Caraibi. Una grave tragedia interruppe la sua splendida carriera nell’ancoraggio di St.George a Grenada, il 23.10.1961 quando esplose lo starter dell’avviamento del motore sinistro, provocando un terribile incendio che si propagò a tutta la nave. Due furono le vittime tra i macchinisti di guardia. I 362 passeggeri e l’equipaggio evacuarono la nave in meno di mezz’ora sotto la regia del suo comandante Francesco Crevato, che fu l’ultimo ad abbandonare la nave. La bella nave affondò sotto rimorchio il giorno dopo, davanti a Punta Salina nel Mar delle Antille. Una statua del Cristo degli Abissi fu eretta sull’entrata del porto di St. George per ricordare la tragedia, ma soprattutto i suoi generosi abitanti che in quella occasione si prodigarono alacremente per aiutare i passeggeri e l’equipaggio quasi completamente composto da rivieraschi e nostri concittadini come era nella tradizione dei Costa.

Enrico C.

Enrico C. Varata nel 1950 con il nome Provence, navigò con bandiera francese per la SGTM di Marsiglia fino al 1965 quando fu venduta alla Costa, che la trasformò in nave di linea (High Standards) per il Sud America. Nel 1976 inaugurò importanti crociere alle Isole Falkland, Amazzonia e Manaos. Nel 1979 Costa fermò la nave a Genova (Cant. Mariotti) e la convertì in nave da crociera. Con la nuova stazza di 16,495 tonn. navigò in Mediterraneo tra Venezia e la Grecia. Nel 1984 la Enrico C. diventò Enrico Costa. Nel novembre 1989, ancora una volta, la nave fu ormeggiata a Genova e sottoposta a grandi lavori: la sostituzione delle vecchie turbine con nuovi motori W.Wasa diesel-engines di 8.050 HP – Furono installati nuovi assi, eliche a passo variabile ed un Bow Thruster (elica di prora). Alle prove di macchina raggiunse i 22 nodi di velocità. Il 15 settembre 1992, durante una crociera, la nave s’incagliò al largo di Katakolon, un’isola del Peloponneso, ma riuscì a disincagliarsi con le proprie forze dopo tre giorni di tentativi. Costa la mise in vendita nel 1994 quando ordinò la sua prima “giant ship”, la Costa Vittoria. Verso la fine dell’anno la Enrico Costa fu venduta alla Starlauro di Napoli che la ribattezzò Symphony.

Eugenio Costa

Eugenio C. Aveva un elegante caratteristica: la prua a collo di cigno (Swan-neck bow)

Progettata dal celebre “carenista” ing. Niccolò Costanzi, l’Eugenio C. è stata, in assoluto, la più grande nave passeggeri realizzata in Italia per l’Armamento non sovvenzionato. Fu costruita dal C.R.D.A di Monfalcone con la seguente sequenza: 4.1.1964, impostazione chiglia – 21.11.64, il varo, - 19.8.66, prove in mare – 31.8.66 primo viaggio con partenza da Genova. Fu l’ultimo transatlantico “classico” di Linea costruito in Italia, ma il suo disegno costruttivo era stato studiato anche per l’impiego crocieristico. Le sue misure erano L=217,39 mt. x l= 29,30 mt. Nel 1987 al termine di un refitting, la sua nuova stazza lorda raggiunse 32,753 tonn. Le sue turbine le impressero la straordinaria velocità di 28.43 nodi alle prove in mare.

214 passeggeri x la 1° classe, 1.445 in classe turistica. Il famoso architetto Nino Zoncada disegnò la maggioranza degli interni della nave e contribuì al disegno definitivo del suo profilo sulla base degli studi del progettista N. Costanzi. Pittori, scultori e decoratori del calibro di Massimo Campigli, Emanuele Luzzati, Marcello Mascherini ed altri... lasciarono la loro impronta artistica su questo “museo galleggiante” che fu come tale visitato da migliaia di turisti, anche non naviganti, in tutto il mondo. L’Eugenio C. seguì le rotte del Sud Atlantico per circa dieci anni, (1967-1977) per essere in seguito impiegata come nave da crociera nel famoso “giro del mondo” scalando i più noti porti d’interesse turistico. Navigò alternativamente sulle rotte del Nord e Sud America per una decina di anni. Nel 1987 e 1994 fu sottoposta ad importanti lavori anche strutturali, e nel 1996 compì l’ultima crociera e fu posta in disarmo a Genova. L’Eugenio C. fu una nave fortunata, felice e molto amata sia dai passeggeri che la conobbero da vicino, ma soprattutto dai suoi equipaggi che, riuniti nel Club Eugenio C., ogni anno s’incontrano per mantenere vivo il ricordo della nave e di un periodo per loro irripetibile. Come tutte le navi longeve (37 anni) ebbe degli alti e bassi, ma la sua vendita per demolizione ad Alang, avvenuta nel 10.2003, fu dolorosa per migliaia di “amici” che avrebbero fatto qualunque cosa pur di rivederla in tutta la sua bellezza, ormeggiata magari a Genova, come Museo galleggiante in ricordo perenne della tradizione navale italiana.

Carla Costa

Carla C. Fu varata il 31 ottobre 1951 in Francia con il nome di Flandre e fu il primo transatlantico francese del dopoguerra. Il 21 febbraio 1968 segnò il passaggio alla Costa Line. Dopo ben 10 mesi di lavori, con il nuovo nome di Carla Costa, la nave prese il mare completamente rifatta. Il suo nuovo look era firmato dai più grandi artisti dell’epoca: Lele Luzzati, Nino Zoncada, Guido Marangoni ed altri. Fu destinata su due differenti rotte: Coste messicane e Caraibi. Durante una di queste crociere, la scrittrice americana Jeraldine Saunders trovò l’ispirazione per la serie TV “The Love Boat” e la Carla C. divenne il suo teatro naturale. Continuò a navigare per il mercato crocieristico americano fino al maggio ’74, quando sostituì le vecchie turbine con potenti motori diesel. Ritornò ai Caraibi e vi rimase fino al 1982 per poi ritornare a Genova sottoponendosi a nuovi lavori di “refit” che le avrebbero permesso di essere competitiva per molti altri anni ancora. Nel 1992 la Compagnia varò un nuovo piano generale e la Carla Costa fu la prima ad essere venduta alla Epirotiki Lines SA di Atene che la battezzò Pallas Athena. Il 24 marzo 1994 subì un grave incendio al Pireo e fu portata ad arenarsi vicino all’isola di Salamina. Fu demolita in Turchia nel dicembre 1994.

Flavia Costa

Flavia. Varata nel 1946 con il nome di Media (Cunard Line). Entrò in linea Liverpool-New York nell’agosto 1947 con una stazza di 13.345 t. Appartenne all’italiana GO.GE.DAR. con il nome di Flavia e fu impiegata sulla linea dell’Australia. Fu noleggiata dai Costa nell’ottobre 1968, che decise il suo acquisto nel maggio 1969. Continuò il suo servizio nei Caraibi con ottimi risultati economici per la Compagnia, fece anche crociere settimanali in Mediterraneo. Nel 1982, ritenute ormai vecchie e superate le sue originali turbine, fu venduta ad un Gruppo di Taiwan. Fu demolita a Kaohsiung nel 1989.

Fulvia

Fulvia. Considerati i successi della Flavia, l’Armamento Costa decise l’acquisto di una “running mate” da affiancarla nelle crociere ai Caraibi. La scelta cadde sulla M/n Oslofjord che diventò Fulvia dal maggio 1969. La nave norvegese, splendida nello shape, fu varata nel 1949 in Olanda. Aveva una stazza di 16.844 t. ed una lunghezza di 175,86 mt. ed un’ottima velocità, superiore ai 20 nodi. Noleggiata ai Costa, la nave aveva il marchio “C” sulla ciminiera, ma mantenne per contratto la bandiera e l’equipaggio norvegese, eccetto i 200 membri “Hotel staff” che erano italiani della Costa Line. Nel dicembre del 1969 la Fulvia parti da Oslo verso i Caraibi dove il Federico C. e alla Flavia erano già operativi con crociere settimanali. Nel giugno del 1970 la nave venne in Mediterraneo per dieci crociere ma, alle 02 del 19 luglio, mentre era in navigazione tra Funchal e Tenerife, scoppiò un incendio in seguito all’esplosione di un generatore diesel. Molto presto l’incendio avvolse tutta la nave e, due ore dopo, il comandante ordinò ”Abbandono Nave”. L’S.O.S fu colto dalla nave passeggeri Ancerville che avvistò le lance di salvataggio e dalle 09.30 alle 12.00 raccolse i passeggeri e l’equipaggio e li portò a Tenerife. Nonostante l’assistenza di un rimorchiatore spagnolo, la nave affondò il 20 luglio, senza perdite umane, su un abisso di 3.000 mt.

Italia

Italia fu ordinata dalla Sunsarda SpA nel 1963, al cantiere Felszegi Muggia e fu varata il 28.04.1965. L’Italia è stata la prima nave italiana costruita appositamente per le crociere, infatti, sia il design che la collocazione delle lance di salvataggio sui ponti inferiori, offrivano un maggiore spazio all'aperto sul ponte superiore. Il suoi interni furono progettati da due rinomati artisti: Gustavo Finali e Romano Boico. Per motivi economici la nave fu varata soltanto nell’aprile del 1965 e consegnata nel 1967. Iniziò la sua carriera noleggiata dai Fratelli Cosulich (Genova) che la impiegarono in crociere nel Mediterraneo, in seguito fu noleggiata dalla Princess Cruises, che la impiegò in crociere tra il Messico e Los Angeles. Dopo un parziale ammodernamento, nel febbraio 1974 la nave fu noleggiata dalla Costa, che la acquistò nel 1977, con questa società la nave effettuò crociere in tutto il mondo, e nel settembre 1983 fu venduta alla Ocean Cruise Lines che la rinominò Ocean Princess.
 Oggi naviga ancora con il nome di Sapphire.

Danae

Danae Precedenti denominazioni: ex-Port Melbourne, ex-Therisos Express, ex-Danae ‘92, ex-Starlight Princess ‘92, Anar ‘92, Danae, fino al 1994, Starlight Princess ‘94, Baltica ’94-’96. La Danae insieme alla gemella Daphne furono costruite nel 1955 come navi da carico veloci che avevano una s.l. di 10.501 tons. Con una velocità di servizio di 17 nodi erano tra le navi da carico più veloci dell'epoca. Fu proprio per questa caratteristica che nel 1972 furono trasformate in navi passeggeri. All'inizio la Danae fu utilizzata come nave traghetto. In seguito fu trasformata in nave da crociera di lusso ma l'operazione non ebbe successo e la nave fu noleggiata per le crociere commerciali alle Linee Lauro tra il 1978-1979. Nello stesso anno, la Costa Armatori noleggiò per cinque anni le due gemelle, e nel 1984 le acquistò definitivamente. La Danae fu impiegata nelle crociere estive in Mediterraneo e quelle invernali ai Caraibi e Sud America. Si distinse inoltre per le successive crociere estive – autunnali da Venezia alla Grecia, Turchia, Israele ed Egitto, ma diventò celebre per quelle invernali intorno al mondo: “World Cruise” con partenza da Genova in dicembre e ritorno a marzo. Nel 1989 la Danae modificò il proprio itinerario intorno al mondo con le Crociere Grand Cruise Of The Orient (39 scali-102 giorni)

Nel 1990, le due gemelle passano alla Prestige Cruise di Curaçao in Joint Venture con la stessa Costa e la Comp. Sovietica Sovcomflot AKP, ma l’operazione venne interrotta dalla caduta dell’U.Sovietica. Nel dicembre 1991, alla vigilia dell’ennesima World Cruise, la Danae subì un grave incendio mentre si trovava in bacino di carenaggio nel porto di Genova. Fu dichiarata la perdita totale e fu messa in vendita. Il 9 luglio 1992 fu rinominata Anar e raggiunse il Pireo a rimorchio. Navigò ancora con il nome Starlight Princess e nel 1994 prese il nome Baltica.

Daphne

Daphne Precedenti denominazioni: ex-Port Sydney, ex-Akrotiri Express, ex-Daphne, Ex- Ocean Odissey (2002), ex-Switzerland (2002), ex-Ocean Odissey (2002), ex-Ocean Monarch (2008). Lunga 162,4 x 21,3.

Nel 1977 fu temporaneamente noleggiata alla Starlauro di Napoli per viaggi in Mediterraneo. Il 25 aprile 1979 Costa la noleggiò per 5 anni, e come la gemella Danae, fu impiegata in crociere invernali ai Caraibi ed estive in Mediterraneo. Nel 1981, nel mese di febbraio compì una crociera intorno all’Africa. Nel 1984 Costa comprò le due gemelle e la Daphne fu impiegata prevalentemente nei mari Nord Americani, compiendo crociere estive Alaska-Vancouver e cociere invernali ai Caraibi. Come la gemella, diventò famosa per le sue crociere World Cruise. Nel 1990 vendette, come abbiamo già riferito, le due navi gemelle alla Prestige Cruise e la Comp Sov. Sovcomflot AKP che collassò insieme alla U.Sovietica. Di questa squadra facevano parte anche le belle Feodor Dostoyevsky e la Maxim Gorky. Nel 1996 la Daphne fu noleggiata a scafo nudo alla Swiss Company Flotel per cinque anni. Il 25.2.1997 fu ribattezzata Switzerland per il suo nuovo Armatore Leisure Cruises.

Costa Riviera

Costa Riviera La società Lloyd Triestino ordinò nel 1960 due nuovi transatlantici ai Cantieri Riuniti dell'Adriatico per il servizio verso l'Australia. Le due navi gemelle vennero battezzate in onore degli scienziati Galileo Galilei e Guglielmo Marconi ed entrarono in servizio nel 1963 introducendo nuovi standard di confort nei viaggi per immigrati. La G. Marconi fu varata il 24 settembre 1961 partì per il suo viaggio inaugurale il 18 novembre 1963, Entrambe le navi navigarono con successo fino alla fine degli anni sessanta, ma la crisi petrolifera mondiale all'inizio degli anni settanta ebbe un impatto negativo per la navigazione, con una sensibile diminuzione del numero dei passeggeri e costi di esercizio crescenti e per tale motivo la Marconi fu ritirata dal servizio di linea per l'Australia. Nel 1976, la G. Marconi, nell'ambito dei mutamenti avvenuti a quell'epoca nelle società del gruppo Finmare, venne trasferita dal LLoyd Triestino alla Italia di Navigazione SpA, destinata sulle rotte per il Sud America, in servizio tra Napoli il Brasile e Buenos Aires. Nel 1979 la nave fu ceduta alla società Italia Crociere Internazionali, una joint-venture costituita dalla Italia Navigazione e da alcuni armatori privati per il servizio crociere, per essere impiegata in crociere tra porti del Mar dei Caraibi. L'operazione Italia Crociere Internazionali non ebbe il successo sperato e nel 1983 la nave, in seguito ai nuovi assetti societari dovuti allo smantellamento della I.C.I, rimase alla compagnia genovese Costa Crociere, una delle società che avevano partecipato alla joint-venture. Dopo due anni di lavori, nel 1985, la nave, trasformata e notevolmente ingrandita, fu ribattezzata Costa Riviera. La nave alternò crociere tra Caraibi e Alaska fino al 1993, anno in cui entrò a far parte della flotta American Family Cruise, una joint-venture tra Costa Crociere e Bruce Nierenburg, per essere utilizzata per crociere nel mercato americano rivolte a giovani famiglie con bambini, ribattezzata American Adventure. Anche questa operazione non ebbe il successo atteso e la nave, nel settembre 1994, rientrò a Genova, riprendendo il nome Costa Riviera e venne destinata al servizio di crociere in Europa, con partenze dal porto di Genova. Nel 2001 la nave fu venduta per demolizione ai cantieri di Alang in India e, a detta di autorevoli osservatori, pare che questa unità, nel lungo corso della propria attività, sia la nave italiana che ha percorso il maggior numero di miglia nella storia degli ultimi 70 anni della marineria italiana.

 

Costa Playa

Costa Playa Il traghetto nordico Finlandia fu varato nel 1965. In seguito subì numerose trasformazioni, proprietà e nomi. Nel 1995 la nave fu ribattezzata Costa Playa e nell’ottobre dello stesso anno fu sottoposta a massicci lavori di trasformazione presso il Cantiere Mariotti di Genova che la adattò a nave da crociera per i mari caldi. Fu infatti destinata a navigare tra la R. Dominicana e Cuba, diventando così la prima nave da crociera a riaprire il mercato turistico in quella zona nel dopo - “Guerra Fredda”. Il 28 novembre 1995 iniziò la sua prima crociera. La sua appartenenza ai Costa durò fino al 1998, quando fu venduta a Eurasia International.

Columbus

La bella nave (ex-Kungsholm) in uscita da un porto

Columbus. Già negli anni ’60, i Costa avevano visto giusto, inaugurando le prime Crociere nei Caraibi e negli anni ’80 furono ancora tra i primi ad afferrare la nuova evoluzione del mercato delle vacanze: il concetto di nave come vero e proprio albergo galleggiante; la nave come luogo di vacanza; il superamento della divisione dei passeggeri in classi. Tutto a bordo si uniformava, tutto era a disposizione di tutti. Con questi presupposti esplose l’industria crocieristica e con essa, nel 1986 nacque la COSTA CROCIERE. In vista di questo cambiamento epocale, nel 1981 Costa comprò la Kungsholm della Swedish American Line e la chiamò Columbus. Purtroppo, durante la manovra d’entrata nel porto di Cadice, la nave urtò gli scogli della diga foranea, sbandò rapidamente ma riuscì a raggiungere la banchina. Toccò il fondale e fu recuperata, ma i danni subiti erano troppo ingenti per evitare la demolizione che avvenne nel 1984.

Le navi dei Costa tuttora in servizio

La Compagnia conosce un enorme sviluppo acquistando, adattando e trasformando navi appartenenti a Società che hanno visto corto e sono fallite. É il momento dell’entrata in campo della Costa Riviera (ex-Guglielmo Marconi) ristrutturata nel 1985 e poi ancora nel 1998. Ma negli anni ’90 si verifica un altro salto di qualità con l’innesto delle gemelle Costa Marina e Costa Allegra, e delle nuove costruzioni genovesi Costa Classica, Costa Romantica e Costa Victoria che preludono ad un nuovo ciclo di grandi costruzioni come la splendida Costa Victoria nel 1996.

Senza dimenticare la Mermoz e la già citata Costa Playa (successivamente cedute), acquisite nel 1993 con la divisione Paquet Cruises dei gruppi francesi Chargeux e Accor.

Costa Marina

 

 

 

 

Tipo

Nave da crociera

Costrutt.

Oy Wärtsilä Ab

Cantiere

Turku, Finlandia

Varo

16 gennaio, 1969

Entrata in servizio

14 giugno 1969

Proprietà

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

25.558 t

Lungh.

174.2 m

Larghezza

26 m

Pescag.

7.90 m

Propuls.

due 16PC2-V + due 12PC2-V Wärtsilä-Pielstick 19136 Kw

Velocità

20 nodi

Equip.

391

Pax

963

Note

Porto di registrazione Genova

 

 

Note: Costa Allegra-Costa Marina, Navi gemelle.

 

Ha nove ponti, di cui otto per i passeggeri, che sono nominati: Corallo, Bolero, Aurora, Venezia, Marina, Laguna, Sports e Sun.
È la più piccola nave di Costa Crociere.

È stata varata nel giugno 1969 come portacontainer, con il nome Axel Johnson, per la Johnson Line. Nel 1987 è stata convertita in nave da crociera e ribattezzata Regent Sun; nel 1988 è stata ribattezzata Italia e nel 1990 è stata acquistata da Costa Crociere che, dopo averla sottoposta a un totale e radicale riammodernamento, l'ha ribattezzata Costa Marina.

Ha 383 cabine, di cui 8 suite con balcone, 3 ristoranti, 4 bar, 2 piscine, 4 vasche idromassaggio, 1 percorso jogging esterno (200 m), 1 centro benessere con palestra e sauna, 1 teatro con circa 360 posti, 1 casinò, 1 discoteca, 1 Internet Point, 1 biblioteca, 1 sala carte e 1 Shopping Center.

Costa Allegra

Annie Johnson

Costa Allegra

 

La Costa Allegra a Shanghai

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Oy Wärtsilä Ab

Cantiere

Turku, Finlandia

Varo

29 aprile 1969

Entrata in servizio

4 dicembre 1969

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

28.500 t

Lunghezza

187 m

Larghezza

26 m

Pescaggio

8,20 m

Propulsione

4 x 6R46 Wärtsilä diesel Kw 19.139

Velocità

20,5 nodi

Equipaggio

400

Passeggeri

984 (massimo)

Note

Soprannome

La nave di cristallo

Porto di registrazione Genova

 

Costa Romantica

 

 

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Fincantieri

Cantiere

Marghera (VE), Italia

Varo

28 novembre 1992

Entrata in servizio

22 settembre 1993

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

53.049 t

Lunghezza

220,62 m

Larghezza

31 m

Pescaggio

8,20 m

Propulsione

4 x Sulzer 8ZAL40S diesel 21.120 Kw

Velocità

18.5 nodi

Equipaggio

600

Passeggeri

1.697

Note

Porto di registrazione Genova

 

Note

Costruita nel 1993 come nave della gemella della Costa Classica è stata rinnovata nel 2003. I suoi spazi pubblici sono rifiniti in legno pregiato, marmo di Carrara e con costose opere d'arte.
Ha 14 ponti e i nove riservati ai passeggeri hanno i nomi di famose città europee quali: Lisbona, Biarritz, Monte Carlo, Madrid, Vienna, Verona, Parigi, Londra, Copenaghen ed Amsterdam.

Ha 679 cabine di cui 34 suite, e di queste 10 con balcone privato, 3 ristoranti, 7 bar, 2 piscine, 4 vasche idromassaggio,un percorso jogging esterno lungo 170 m, un centro benessere dotato di palestra, sale trattamenti, sauna e bagno turco; un teatro da 600 posti su due piani (il "Teatro L'Opera"), un casinò, una sala giochi su 2 corridoi (mondovirtuale), una discoteca, un "Internet Point", una biblioteca, un centro shopping e un Squok Club (Squok è la mascotte di Costa Crociere). Dispone di 14 scialuppe (2+4+4+4)

Costa Classica

 

Costa Classica

 

 

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Fincantieri

Cantiere

Marghera (VE), Italia

Varo

2 febbraio 1991

Entrata in servizio

7 dicembre 1991

Proprietario

Costa Crociere S.p.A.

Caratteristiche generali

Stazza lorda

52.926 t

Lunghezza

221 m

Larghezza

31 m

Pescaggio

7,30 m

Propulsione

4 x Sulzer 8ZAL40S Diesel Kw 21.120

Velocità

18.5 nodi

Passeggeri

1.680

Note

Porto di registrazione Genova

Note:

Ha 654 cabine di cui 10 suite con balcone privato, 2 ristoranti, 7 bar, 2 piscina, 4 vasche idromassaggio, un percorso jogging esterno lungo 170 m, un centro benessere dotato di palestra, sale trattamenti, sauna e bagno turco; un teatro da 600 posti su due piani (il "Teatro L'Opera"), un casinò, una discoteca, un "Internet Point", una biblioteca, un centro shopping e un Squok Club (Squok è la mascotte di Costa Crociere).

In totale ha 14 ponti, e nove per i passeggeri che sono dedicati a importanti località turistiche italiane: Venezia, Pisa, Amalfi, Genova, Roma, Firenze, Portofino, Capri, Ravello, Cortina D’Ampezzo.

Costa Victoria

 

Descrizione generale

 

Tipo

Nave da crociera

Costruttori

Bremer Vulkan Werft und Maschinenfabrik GMBH

Cantiere

Bremerhaven, Germania

Varo

2 settembre 1995

Entrata in servizio

10 luglio 1996

Proprietario

Costa Crociere

Caratteristiche generali

Stazza lorda

75.166 t

Lunghezza

250,97 m

Larghezza

32 m

Pescaggio

6,80 m

Velocità

22 nodi

Passeggeri

2.394

Note

Porto di registrazione Genova

Note:

Su un totale di 14 ponti, nove sono per i passeggeri e sono dedicati alle grandi opere liriche della musica classica: Nabucco, Bohème, Traviata, Manon, Carmen, Otello, Tosca, Norma, Rigoletto, Butterfly più il ponte Solarium. Tra le caratteristiche principali sono degne di note la panoramica Concorde Plaza, terrazza sul mare, la piscina interna del centro termale Pompei e la hall centrale Planetarium con le sue grandi vetrate sul mare e i quattro ascensori panoramici che corrono per 10 ponti.

Cinque i ristoranti: Sinfonia e Fantasia con menù a la carta; il buffet Bolero, ; il ristorante Club Il Magnifico dove vengono servite le ricette dei grandi chef italiani.

In totale dispone di 964 cabine, di cui 242 con balcone privato e 20 suite, di cui 4 con balcone privato. Inoltre ha 10 bar, 4 vasche idromassaggio, un campo polisportivo, un percorso jogging esterno, il grande teatro Festival su due piani, un casinò, una discoteca, l'internet point, una biblioteca, uno shopping center e lo Squok Club.

Nicola Costa è stato l’ultimo Presidente della famiglia armatoriale genovese. Nel 1997 la proprietà dell’azienda passò in forma paritaria all’americana Carnival (50%) e all’inglese Airtours (50%), accrescendo la capacità di investimento della compagnia genovese, ma mantenendo inalterata la sua identità di azienda italiana. 
Il settore crocieristico è tuttora in costante crescita e poche, ma potenti Compagnie di navigazione, si fregiano di antichi e famosi “marchi” dello shipping per dividersi, con pochi rischi economici, la concorrenza del mercato.

Carlo GATTI

Rapallo, 23.02.12


Le vere TALL SHIPS

DALL'EPOPEA DELLA VELA ALLE VERE TALL-SHIPS

 

Con il Congresso di Vienna ritornò la pace e la stabilità politica nel Mediterraneo. Vittorio Emanuele I di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna, reintegrato nei suoi antichi domini, poté annettere la Repubblica di Genova. Da quel giorno la Capitale ligure tornò a vestirsi alla marinara e la gloriosa bandiera di S.Giorgio riprese a sventolare sui pennoni dei grandi velieri e dei primi clipper ad elica, in tutti i mari del mondo.

In seguito Genova sviluppò la sua celebre industria cantieristica che coinvolse, nella sua sfolgorante espansione, quasi ogni borgo delle due riviere. In seguito, verso la metà del secolo, apparvero sulla scena le grandi figure armatoriali: Gattorno, Rocca, Frassinetti, Barabino, Danovaro, Mainetto, Costa, Drago, Vaccaro, Gazzolo, Balestrino, Fravega, Consigliere, Risso, Stagno, Berardo, Picasso, Cordano, Canevaro e molti altri.

Ma fu  Camogli, quel piccolo borgo rivierasco, a dare il più alto contributo, prima alla Marineria Sarda e poi a quell’Italiana. Tra il 1860 ed il 1915 Camogli armò 1200 velieri, tutti d’altura, quando già era sorta nel 1853 la prima Associazione di Mutua Assicurazione Marittima. Non fu quindi un caso che, proprio tra questa formidabile gente di mare, si affermò questo principio etico-commerciale che fu ben presto imitato anche all’estero.

Ma la storia della vela raggiunse, come tutti i cicli della vita, il suo apice e poi fatalmente il suo tramonto. Durante il 1916 – nel mezzo della Prima guerra mondiale – fu scritto l’epitaffio sulla tomba di migliaia di velieri. Soltanto l’Italia ne perdette oltre cinquecento unità sotto i colpi dei cannoni e delle mine dei sommergibili tedeschi che poche volte usarono il siluro, ben più costoso delle disarmate navi a vela. In seguito la storia, presa nel vortice di nuove guerre e allettanti tecnologie, dimenticò per lungo tempo le silenziose e romantiche vele bianche e delegò la cronaca per registrare, nel settembre del 1957, la tragica fine del Pamir, l’ultimo clipper del nitrato e poi veliero granario, scomparso in uno spaventoso uragano nell’Atlantico.

Oggi ben poco è rimasto di quella singolare epopea velica, legata ai ricordi di quei trasporti commerciali. Per fortuna, grazie alle donazioni di alcuni speciali Armatori nordici, citiamo fra tutti Gustaf Erikson, possiamo ancora ammirare nel loro antico splendore alcune navi a palo che galleggiano solitarie, fuori dal tempo, e sono in perfetta “good shape”.

Ecco i loro nomi:

Pommern. Sottoposto ogni anno a bacino di carenaggio, pitturazioni e alle manovre marinaresche dei suoi vecchi comandanti, il veliero (nave a palo) continua a vivere nel porto di Marienhamn (Åland-Arcipelago finlandese). Con l’importante Museo Navale, il Pommern rappresenta la tradizione e la cultura marinara di un popolo che ha tratto per secoli il proprio sostentamento dall’attività sul mare.

Viking. Ormeggiato in un’ansa del porto di Göteborg, tra le modernissime stazioni marittime della città, la nave a palo richiama ogni anno migliaia di visitatori che amano rivivere la vera tradizione velica del Nord Europa.

Alf Chapman. Nave-Museo e perla incastonata tra le isolette del porto di Stoccolma, a baluardo della “gamla stan” (città vecchia). E’ sempre in perfetta manutenzione e reso navigabile nelle ricorrenze delle grandi feste nella corta estate nordica.

Passat. La grande nave a palo saluta ogni giorno migliaia di passeggeri che transitano tra la Germania e la Danimarca ed è visitabile nel porto-traghetti di Lubeck-Travemunde.

Per la verità anche l’America può vantare, tra le unità della U.S.Coast Guard, la nave scuola

Eagle. Questo splendido brigantino a palo fu impiegato durante la Seconda guerra mondiale nel trasporto di merce varia nel mar Baltico. Ma, strano a dirsi, anche per il trasporto  truppe.

Oggi, quasi tutti i velieri superstiti sono impiegati come navi scuola come la nostra gloriosa

Amerigo Vespucci e la Tall Ships Race (la gara tra le navi alte) che li raggruppa è diventata, fin dalla sua nascita nel 1956, l’occasione per ammirare queste uniche testimonianze del passato e per ricordare ai nostalgici della vela, le competizioni commerciali e fors’anche sportive che riempirono le cronache marittime per gran parte dell’800 e che resero celebri i clipper del té, del grano, coloniali ecc...

Nel lungo elenco di queste navi della tradizione, meritano la citazione le due belle navi a palo della marina russa:

Sedov e Kruzenstern che possono vantare, con orgoglio, il nobile pedegree di vere navi da trasporto commerciali. I due anziani velieri, tuttavia, reggono ancora magnificamente il confronto con le giovani Tall-Ships del nuovo millennio, non solo sul piano estetico, ma anche su quello della velocità.

La Kruzenstern appare addirittura imbattibile.

Le Tall Ships a Genova: “pochi spettacoli sono più emozionanti dell’armoniosa bellezza di una flotta di grandi velieri che scivola silenziosa fuori del porto, lungo una linea sinuosa e policroma che avanza e si estende”. Questo è l’indelebile ricordo che ci accompagna dalla Pasqua del 1992, quando furono celebrate le Colombiadi nel cinquecentenario della scoperta dell’America, in onore del grande navigatore genovese. In quella splendida giornata  d’antichi revival, oltre mezzo milione di turisti estasiati si unirono ai genovesi per ammirare l’immensa rada che si era improvvisamente trasfigurata in un sogno vero.

Era il giorno di Pasqua, il passato sembrava risorto nelle sembianze di una processione solenne che sgusciava lentamente, con la prora in direzione del santuario della tradizione: la Camogli dei mille bianchi velieri.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22.02.12


 


GARIBALDI un uomo di mare

 

GIUSEPPE GARIBALDI

UN UOMO DI MARE

Giuseppe Garibaldi sul ponte di comando in una celebre illustrazione di Edoardo Matania

Nell’anno delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, molto si é letto sulla figura di G.Garibaldi rivoluzionario, condottiero militare, politico, agricoltore, tombeur de femmes ecc... ecc... Per noi che respiriamo da sempre atmosfere di navi e di porti, l’Eroe dei due Mondi é innanzitutto un Uomo di Mare, di questo mare, che lo ha visto arrivare, sbarcare, prendere le armi e ripartire portando nel cuore e sulle labbra una sola idea:

‘LIBERTA AD OGNI COSTO’

La difficile Partenza dei MILLE

5 Maggio 1860

Genova sulla scena risorgimentale.

Il 7 gennaio del 1815 Vittorio Emanuele I Re di Sardegna prendeva possesso del Genovesato insieme all’antico Stato Piemontese ritornatogli in forza del Trattato di Vienna. Genova unita al Piemonte partecipò attivamente alla prosperità del Regno Sabaudo con il suo commercio, il suo porto e le sue ricchezze. Da questa antica terra fertile di eroi e molto scontrosa con gli invasori, affioravano ancora vive e forti quelle idee di libertà e d’indipendenza che nel 1831 Giuseppe Mazzini raccolse nel programma dell’Unità d’Italia, quando tutti tacevano per paura dell’esilio, del carcere e del patibolo. Dalle riviere si stagliava di prepotenza Giuseppe Garibaldi facendosi il degno rappresentante di quel programma. Nel 1846, anno portatore di grandi avvenimenti, si radunavano a Genova gli scienziati italiani e si parlava coraggiosamente di Italia Unita; nel 1847 fu un altro intrepido genovese Nino Bixio che spinse Carlo Alberto a promulgare lo Statuto. Nella prima Camera Subalpina due genovesi furono chiamati da Carlo Alberto nel Consiglio della Corona: Vincenzo Ricci Ministro dell’Interno e poi delle Finanze, e Lorenzo Pareto Ministro degli Esteri, che governarono lo Stato Sardo in momenti di alta tensione per la causa italiana. Ed é bene ricordare come nella casa segnata con il n.3 in via Cairoli, abitata da Agostino Bertani, si organizzò in gran parte la Spedizione dei Mille che partita da Quarto il 5 maggio 1860 in un baleno unì l’Alta Italia, già liberata dallo straniero, alle Due Sicilie, per cui nel marzo dell’anno successivo fu resa possibile la proclamazione del Regno d’Italia.

Il Porto di Genova, teatro della storica Spedizione

Per dare un’idea delle dimensioni e della vivacità del Porto di Genova in quel periodo di grandi fermenti rivoluzionari, ci addentriamo per un attimo tra i meandri delle vecchie calate del Porto Vecchio affidandoci a impolverate statistiche che riprendono d’incanto mestieri e professioni rimaste ancorate al plurisecolare mondo della vela che lentamente andò scomparendo proprio con l’Unità d’Italia.

E scopriamo che nel periodo (1825-1870) le opere portuali effettuate sono: il prolungamento (125 mt.) del Molo Vecchio fra il 1831 e il 1846, quello del Molo Nuovo fra il 1856 e il 1868, il banchinamento del tratto fra il Palazzo del Principe e San Benigno (Calata Zingari e San Lazzarino). Dopo il 1850 la nuova politica di Cavour ridisegna l’architettura portuale. Le nuove richieste di linee con le Americhe, le imminenti aperture dei valichi transalpini, le risonanze della Rivoluzione Industriale europea, spingono verso un’unica direzione: il rinnovamento dell’assetto portuale e ad un rilancio delle attività commerciali e armatoriali.

Nel periodo 1854-1864 il numero complessivo dei barcaioli (portuali) che operano a bordo delle navi e sulle chiatte sono stabili sulle 1000 unità, e si dividono nelle operazioni di sbarco/imbarco delle mercanzie in arrivo ed in partenza dal porto. Ci sono poi gli addetti al rimorchio delle chiatte, quelli che traghettano le persone tra i Pontili ed altri che fanno servizio ai vapori. Rimangono enucleati i 100 barcaioli della Compagnia dei Soccorsi Marittimi che sono una sorta di Corpo Pubblico fornito di 100 battelli e armato con 10 squadre di 10 persone, compreso il loro rispettivo padrone. Detto corpo viene istituito nel 1823 da un R. Decreto per entrare in azione nei casi d’incendi e di procelle. La Sezione é comandata da un Capitano di lungo corso e da un Capitano di gran cabotaggio. Questo Corpo é autonomo e i suoi membri godono di uno stipendio pubblico. I piloti sono 24, divisi in due squadre, ogni squadra ha il suo capo pilota.

L’arte del piloto é di molta importanza e per diventare piloto fa d’uopo d’un esame pratico come lo prescrive il Regolamento. Questi conducono le navi in porto sotto la loro totale responsabilità, e perciò sia i capitani che gli assicuratori delle navi sono garantiti di qualunque sinistro accidente entrando in porto la nave.”

Nel 1854 Le maestranze presenti nel Porto di Genova ammontano a 4.143 unità e sono così suddivise:

100 Barcaioli della Compagnia dei soccorsi marittimi

100 Barcaioli numerari (avventizi) della comp. Soccorsi marittimi

500 Barcaioli di cui 241 con battello proprio

480 (504 Barcaioli in servizio alle navi (12 squadre da 40 a 42 uomini)

296 Barcaioli “tollerati” ossia non iscritti alla corporazione

24 Piloti pratici

750 Facchini di grano

367 Facchini di vino

300 Facchini di Ponte Spinola

200 Facchini del Ponte della Mercanzia

78 Facchini del Ponte Reale

38 Facchini del ponte Legna

250 Facchini della Caravana del Portofranco

40 Facchini al transito

40 Facchini ai salumi

350 Zavorrai ossia “minolli”140 Calafati (maestri)

30 Calafati (garzoni)

70 Carpentieri (maestri)

30 Carpentieri (garzoni)

40 Linguisti (interpreti)

6 Cadrai (fornitori di pasti caldi ai portuali)

Nel 1864 risultano 3.839 unità, per l’abolizione dei “Zavorrai”.

Tra il 1860-1863 50 sono i bastimenti che in media entrano ed escono dal porto.

Nel 1861 il tonnellaggio complessivo delle navi in arrivo oltrepassa il milione di tonnellate.

Nel 1818 le merci trafficate erano state 385.000 tonnellate.

Questo é il “teatro” scelto da Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio per intraprendere la Spedizione verso Sud destinata a cambiare il destino del nostro Paese. E non può che essere Genova, la loro terra, articolata e difficile da domare, arroccata attorno a quel grande porto internazionale animatissimo di navi e genti di ogni razza, dove é facile confondersi e nascondersi tra le merci stivate sulle calate e nei vasti e tortuosi magazzini senza lasciare traccia di sé. E poi c’é la casba con la sua misteriosa ragnatela di vicoli che inizia fuori delle Calate Interne ed é cresciuta per proteggere gli amici e ingoiare i nemici ed é proprio in quella miriade di carrogi dell’angiporto che il passaparola viaggia indisturbato per assemblare la storica Impresa. Ma occorre essere marinai genovesi per conoscere ogni metro del territorio, soprattutto del centro storico più esteso d’Europa che la storia ha ceduto da secoli al riposo del navigante. In questo contesto omertoso, i Savoia sanno... ma non devono vedere. Le spie austriache non sanno e non devono sapere, ma sono dappertutto. Occorre essere profondamente liguri per vivere intensamente le aspettative e le ansie del popolo, interpretarne i moti rivoluzionari e guidarne il vecchio orgoglio repubblicano verso una sola grande meta: l’Unità d’Italia. Garibaldi é l’uomo giusto; del ligure ha l’origine chiavarese, ma anche altri tipici connotati come il carattere coraggioso e deciso dell’uomo di mare, amante della libertà, l’attaccamento al dialetto, lo spirito d’iniziativa e la generosità. Ceduta Nizza alla Francia dov’é nato nel 1807, Garibaldi ottiene la cittadinanza genovese, e per questo motivo ha forti legami con il capoluogo che rappresenta il centro vitale di quel Partito d’Azione del quale egli é il capo militare prestigioso ed indiscusso.

Un aspetto poco noto della storica Spedizione dei Mille

La stele rostrata dell’artista genovese Giovanni Scanzi è stata innalzata per commemorare i 50 anni della Spedizione dei Mille che da quel punto del porto prese inizio.

La prima e più importante Stazione Marittima Passeggeri del porto di Genova sorse proprio qui a Ponte dei Mille. Il destino volle che da questo storico e strategico terminale partissero, in seguito, molte altre spedizioni legate all’emigrazione, alle guerre, alle linee con le Americhe ed infine alle crociere turistiche dei giorni nostri. Sulla colonna rostrata di Ponte dei Mille c'è una targa commemorativa che riporta l'evento che ebbe protagonista l'Eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi. Nella parte esposta al passaggio del pubblico si legge la poetica scritta in latino:

HEIC UBI PER TENEBRAS LUX FINISSIMA EMIQUIT ROMAM QUAE NOVIT POST FACTA RESURGIT

Ma é sul retro della stele che si nasconde il vero significato marinaro dell’avvio della grande impresa che fu redatta dallo stesso Eroe dei due Mondi:

GIUNGERE A BORDO DI DUE VAPORI NEL PORTO DI GENOVA ORMEGGIATI SOTTO LA DARSENA, IMPADRONIRSI DEGLI EQUIPAGGI, ACCENDERE QUINDI I FUOCHI, PRENDERE IL LOMBARDO A RIMORCHIO DEL PIEMONTE. SON TUTTI FATTI PIU’ FACILI A DESCRIVERE CHE AD ESEGUIRE E VI FAN MESTIERE MOLTO SANGUE FREDDO CAPACITA’ E FORTUNA.

Giuseppe GARIBALDI

IN MILLE SUL MAREPiroscafi rubati, armi da operetta, un nemico distratto e alleati che non vogliono compromettersi: eppure quella di Garibaldi fu la più grande epopea della storia d’Italia”.

A noi pare che questa frase tratta dal 4° libro di Navi e Marinai, colga pienamente lo spirito dell’impresa che non fu mai il frutto di mera incoscienza come potrebbe sembrare ad un primo esame, ma piuttosto il risultato di un rischio calcolato cui gli uomini di mare sono usi affrontare quasi ogni giorno, ben sapendo di poter contare soltanto sulle proprie forze. Quanto segue non si propone quindi d’entrare nel merito storico di uno fra i più avvincenti episodi dell'Unità d'Italia, ma piuttosto di rivisitare lo scenario genovese con i suoi principali personaggi: Garibaldi e Nino Bixio che, prima d'essere stati i valorosi combattenti che tutti conosciamo, erano Capitani di mare. Garibaldi, addirittura, ebbe la sua prima nomina a comandante su una nave camogliese; Nino Bixio fu invece l’organizzatore materiale dell'evento descritto dalla targa suddetta. La sua perizia nautica permise di iniziare con successo quella Spedizione che rimane scritta con inchiostro indelebile sui nostri testi di storia, nonostante da più parti siano in atto riletture quanto meno sconcertanti che esulano, tuttavia, dall’obiettivo del presente lavoro.

Lo Scenario Portuale e le Navi

Questa immagine rispecchia fedelmente lo scenario portuale genovese nei giorni della famosa Spedizione dei Mille.

Occorre trovare le navi per trasportare in Sicilia i Mille che stanno radunandosi a Genova da ogni parte d’Italia. Ci pensa Bixio organizzando l’evento in gran segreto con l’amico Giovanni Fauché, direttore della Società di Navigazione Rubattino. “La storia di questa prima fase del viaggio”, ci confida lo studioso com.te Bruno Malatesta “non é molto chiara. Pare tuttavia che l’armatore Raffaele Rubattino ne sia completamente all’oscuro e, scoperto il tranello, vada su tutte le furie licenziando in tronco il suo dipendente. Ma in un secondo tempo capisce che dal fatto può trarne vantaggi ed onori. Allora cambia strategia e diffonde ad arte la leggenda che lo indica come uno dei protagonisti della Spedizione. Il contratto di cessione delle navi a Garibaldi viene chiuso segretamente a Torino nei giorni precedenti la partenza, col benestare del Regno Piemontese. Va detto che questo debito sarà successivamente saldato al Rubattino con l'acquisizione della Soc. di Navig. Florio. Quell'annessione formerà il primo nucleo della Prima Flotta della Marina Mercantile Italiana”.

Ritornando alla fase iniziale della Spedizione, si scopre che Bixio e Fauché sono d’accordo, fin dal 10 aprile, di sottrarre un piroscafo alla Soc. Rubattino per destinarlo alla progettata spedizione in Sicilia. Ma ben presto emerge un nuovo problema, i volontari crescono di numero, una sola nave non é abbastanza capiente per trasportarli tutti. Decidono allora di catturarne due. La fortuna li assiste. Il Piemonte e il Lombardo si trovavano in quei giorni nel porto di Genova per mancanza di noli. All’imbrunire del 5 maggio, Bixio (fedele al motto mazziniano: Pensiero e Azione), assembla una trentina di fidati bucanieri e mette in atto un vero e proprio atto di pirateria nostrana impossessandosi dei citati piroscafi dell’armatore genovese. L’ormeggio delle due prede si trova di punta alla Batteria della Darsena, l'odierno Ponte dei Mille ed é esposto al controllo dell’Autorità portuale sabauda. Occorre quindi salpare al buio. Le due navi del Rubattino sono del tipo a motore con pale rotanti e sono anche dotate di vele quadre per tranquillizzare i passeggeri che guardano ancora con sospetto la nuova tecnologia meccanica. In mezzo a loro c’é una vecchia nave in disarmo. Si chiama Joseph e Nino Bixio l’aveva scelta come base segreta nei giorni che precedono lo scatto dell’operazione.

Nella foto il piroscafo a pale LOMBARDO in navigazione

Il piroscafo a pale PIEMONTE in un celebre dipinto d’epoca.

Ma torniamo a quella sera. Con l’appoggio di chi sa ma non lo denuncia apertamente alle Autorità, i nostri eroi salgono a bordo delle due navi, ne prendono il possesso annientando la rassegnata resistenza degli equipaggi completamente ignari degli avvenimenti in corso. Il nuovo comandante del Lombardo é Nino Bixio; Garibaldi prende il comando del Piemonte, il cui capitano, Salvatore Castiglia, é un patriota siciliano. Del commando fa parte Simone Schiaffino, l'eroe camogliese che sarà il timoniere del Lombardo.

Il piano prevede di salpare velocemente e dirigere verso il defilato Scoglio di Quarto per imbarcare il resto delle camicie rosse e proseguire per la Sicilia. Ma gli imprevisti non mancano mai! Nino Bixio viene informato dal Direttore di Macchina Giuseppe Orlando che i fuochisti non riescono ad avviare il motore del Lombardo. A questo punto il comandante garibaldino decide senza esitazioni di tentare il difficile rimorchio del piroscafo in avaria sperando che la riparazione possa concludersi durante il rimorchio o, nella peggiore delle ipotesi, durante le operazioni d'imbarco dei MILLE a Quarto.


Il Condottiero é un uomo di mare vero, cresciuto sui bastimenti a vela. Ha esercitato il comando ed ottenuto la Patente di capitano di lungo corso, proprio a Genova. Garibaldi é perfettamente consapevole dei pericoli d’affrontare quella notte. Il tragitto tra l’ormeggio della Darsena e lo scoglio di Quarto non é eccessiva (circa 5 miglia), tuttavia i rischi di far fallire la L’Impresa ci sono tutti: Possibile rottura dei cavi da rimorchio di cui nessuno conosce l’efficienza - Collisione in porto con navi alla fonda durante l’uscita con lancio di segnali d’allarme generale e accensione di fuochi in porto - Altissimo l’azzardo di essere scoperti, catturati e imprigionati dai militari savoiardi. L’inizio della Spedizione dei MILLE fa tremare i polsi anche ad esperti Capitani di l.c. come Nino Bixio (il rimorchiato) e Giuseppe Garibaldi (capo convoglio).

Il Porto Vecchio pre-industriale conservava ancora il suo impianto medievale ed era ben diverso da quello attuale. Le immagini d’epoca lo raffigurano simile ad una foresta d'alberi di velieri ormeggiati alle boe e già in competizione con altrettanti fumaioli di piroscafi che rappresentano la novità del secolo. Un nuovo modo di navigare che dovrà aspettare ancora un cinquantennio per imporsi definitivamente all’attenzione dello shipping internazionale. Lo scalo era quindi frastagliato d’imbarcazioni di ogni tipo, tantissime erano le bettoline, le maone, oltre alla presenza di quelle numerose imbarcazioni necessarie al funzionamento del porto che occupavano quasi tutto lo spazio navigabile, ridotto pertanto ad alcune canalette peraltro strette e ricche di anse.

Rimorchiatore a pale d’epoca garibaldina che, tuttavia, non potè essere impiegato nella manovra d’uscita dal porto del Piemonte e del Lombardo per non creare sospetti e allarmi nell’Autorità Portuale.

A questo punto per navigare al buio con un rimorchio senza governo occorre tanta forza d’animo. Il fallimento della Spedizione può annullare L’unità d’Italia. Ogni uomo imbarcato sul Piemonte e sul Lombardo é consapevole di vivere la Storia da protagonista e sa che porterà a compimento la sua missione lottando anche contro un avverso destino che cercasse d’insinuarsi tra le pieghe di quel colpo di mano.

Persino ai giorni nostri, il movimento di una nave ‘senza macchina’ tra due banchine del porto è normalmente effettuato in ore diurne e con tempo maneggevole, per motivi di sicurezza. La manovra è affidata alla direzione del pilota portuale, che si avvale di un rimorchiatore trainante a prora che stabilisce la rotta e la velocità del convoglio, ed un rimorchiatore (girato, frenante e trascinato) a poppa che calibra l’abbrivo ed aiuta la nave ad accostare. Il numero dei rimorchiatori impiegati dipende ovviamente dalle misure della nave, dalle condizioni meteo e da numerosi altri fattori contingenti. Il rimorchiatore frenante deve ‘abbozzare’ il cavo in coperta a poppavia per evitare di traversarsi e capovolgersi durante il trascinamento. In questa innaturale ma necessaria posizione lavora con i ‘piedi legati’, ha poca manovrabilità, tuttavia, ha anche il difficile compito di doversi trovare sempre dal lato giusto per aiutare e non danneggiare il movimento del convoglio. Chi traina stabilisce la rotta e la giusta velocità in relazione al vento, alle accostate e sopratutto alla potenza frenante del rimorchiatore di poppa. Com’è facile intuire, in questa calibratissima manovra, non solo l’esperienza gioca un ruolo determinante, ma anche la concentrazione, la precisione, il tempismo e la coordinazione tra i due rimorchiatori che spesso si trovano a dover affrontare improvvise tramontanate di 20-30 nodi, tutt’altro che infrequenti nel porto di Genova specialmente di notte. Il superamento di certe difficoltà si ottiene dopo anni di scuola di manovra la cui origine risale ad epoche ben più lontane dell’Unità d’Italia, quando al posto dei primi rimorchiatori a vapore, si usavano i gozzi a remi dei barcaioli-ormeggiatori che trainavano e fermavano i velieri a colpi di remi ed usavano la stessa tecnica appena descritta.

Questi scarsi elementi d’analisi, devono quindi farci riflettere sulle difficoltà incontrate e superate dai nostri Eroi improvvisando una manovra ritenuta a tutt’oggi tra le più delicate dagli addetti ai lavori. Tutt’oggi ci chiediamo se il Piemonte al comando di Garibaldi, ed il Lombardo al comando di Bixio, siano stati aiutati ad uscire dal porto da esperti barcaioli portuali offertisi volontari (nottetempo) per la risoluzione di quell’improvviso problema nautico?

Siamo giunti così alla ‘fase operativa’ di questo racconto in cui il nostro sforzo di fantasia non è stato eccessivo, perché l’esserci immedesimati totalmente nella manovra, ci ha fatto comprendere pienamente il senso del messaggio di Garibaldi riportato sulla stele dello scultore Scanzi.

Le parole del marinaio-generale Garibaldi rivelano, infatti, l’ansia e la sofferenza del vero uomo di mare che é costretto dagli avvenimenti a scegliere una fuga d’emergenza che si è dimostrata vincente con il solo supporto di ‘un po’ di fortuna e tanto coraggio’.

La manovra

Il Piemonte salpa per primo le ancore e s’affianca al Lombardo lasciato sui cavi sottili di poppa. Una parte dell’equipaggio si dedica all’attacco di rimorchio, l’altra comincia a virare le ancore della nave in avaria. Combinate le manovre in modo da terminarle contemporaneamente, le due navi partono dalla Batteria della Darsena con l'ausilio, probabile, di compiacenti barcaioli-ormeggiatori. Sono le 2,15 del 6 Maggio 1860. Quel rimorchio rappresenta un capolavoro di tecnica marinaresca: con abili maneggi dei cavi di traino e variazioni delle motrici, le due navi scivolano via nella giungla di barche ormeggiate nello specchio d'acqua del porto. L'operazione é condotta nel massimo silenzio e nel tempo più breve possibile, senza l'ausilio dei Servizi portuali.

Nel grafico riportiamo la probabile rotta d’uscita del convoglio da Genova. E’ quasi certo l’impiego di cavi da rimorchio di cocco o canapa, sistemati a briglia e passati il più esternamente possibile dalla poppa del Piemonte e sulla prua del Lombardo. Questa attrezzatura rende sensibile il rimorchio ai richiami durante le accostate e i colpetti di macchina. Occorre smorzare l’abbrivo eccessivo e lo scarroccio laterale del rimorchio. Se i cavi da rimorchio sono corti, il Lombardo in fase d’abbrivo può toccare la poppa del Piemonte con l’albero di bompresso. Se i cavi sono lunghi il Lombardo non sente la briglia e, prendendo delle sverinate (accostate) da una parte o dall’altra, può investire ostacoli lungo il canale d’uscita. In queste rapide decisioni dettate dal vento e dagli ostacoli presenti lungo il percorso, sta la sofferenza descritta dal Generale nella targa ed il segreto della buona riuscita impresa. In ogni caso é accertato che, giunto il convoglio sull’imboccatura del porto, inizia la tortura del mare lungo da scirocco che produce agli scafi movimenti d’insidioso beccheggio. I cavi da rimorchio vengono in tiro e minacciano di strapparsi. Garibaldi dà l’ordine immediato di allungare i cavi da rimorchio passando dai 20 metri iniziali di manovra ai 40/50 metri di navigazione.

La Tecnica di rimorchio a “briglia”

Le cronache dell’epoca riportano infatti che appena giunti fuori dallo scalo genovese, il piccolo convoglio incontrò quel mare lungo che tanto fece patire certi volontari non abituati a viaggiare sulle navi.

Con i cavi di rimorchio posti in sicurezza, le due navi giungono allo scoglio di Quarto alle 3,30 di quella stessa mattina. Il motore del Lombardo viene riparato e le due navi salpano verso il SUD da liberare alle 7,15 - L'operazione preliminare dell'Unità d'Italia ha avuto successo.

….SON TUTTI FATTI PIU’ FACILI A DESCRIVERE CHE AD ESEGUIRE E VI FAN MESTIERE, MOLTO SANGUE FREDDO, CAPACITA’ E FORTUNA

Al contrario dei cosiddetti ‘terrazzani’ (uomini di terra), l’uomo di mare giustifica sempre i propri successi evocando la fortuna, proprio come Garibaldi. Ma si tratta di una pratica antica, forse superstiziosa che evita le sfide a quel caratteraccio volubile di Eolo da cui provengono tutti i guai ... Ma la verità é più semplice. Il senso marinaresco é un sentimento che viene da lontano passando da padre in figlio, proprio come nel caso del nostro Eroe Massimo cui non possono mancare gli strumenti mentali e nautici per affrontare con la giusta determinazione quel tratto di mare a rimorchio verso la grande Storia. Già! Il corso di quella Storia che sarebbe stato ben diverso se quella notte, insieme ad un pugno di marinai, l’Eroe dei due Mondi non fosse riuscito a scrivere quella difficile quanto ignorata pagina di perizia marinaresca.

Che fine fecero i due piroscafi? All'arrivo a Marsala, sia il Piemonte che il Lombardo riuscirono a sbarcare le camicie rosse, ma furono anche bersaglio dell'artiglieria borbonica. Dopo vari incagli e disarmi, il Piemonte venne avviato alla demolizione nel 1865 ed il Lombardo andò in secca alle Isole Tremiti nel 1864 durante uno dei suoi trasporti di prigionieri politici verso quelle isole adriatiche.

“Quando siamo partiti da Genova per la spedizione di Sicilia, il generale Garibaldi, calcolando in un batter d’occhio, scelse la nostra navigazione in modo che da Talamone a Marsala non incontrammo un bastimento. E credete voi che ciò lo abbia imparato nelle scuole?”

Nino Bixio alla Camera dei Deputati il 14 giugno 1861

I marinai Garibaldi e Bixio.

Garibaldi e Bixio frequentarono la Scuola Nautica di Genova verso il 1820 per imbarcarsi, al termine degli studi, come mozzi nella Marina Sabauda.

Bixio, dopo aver effettuato imbarchi come comandante di velieri, intraprese l'attività politica e patriottica e fu stretto collaboratore di Garibaldi. Dopo le vicende dell'Unità d'Italia, si dedicò all'attività di imprenditore-esploratore e, nel 1873, nel Mar della Sonda, morì di colera.


 

Giuseppe GARIBALDI (Nizza, 4.7.1807- Caprera 2.6.1882)

LE SUE NAVI

Lo scarno elenco di navi che segue é dedicato soprattutto a chi ha navigato e sa di mare. Giuseppe Garibaldi fu, prima di ogni altra cosa, un Uomo di Mare e lo rimase per tutta la vita.

Sulla Tartana “Santa Reparata” del padre Domenico – effettua viaggi di cabotaggio.

Sul Brigantino “Costanza” - effettua il 1° Imbarco ufficiale (1823-1824) Brigantino Giovanni Francesco” passa Gibilterra e naviga in oceano (1826) Successivamente parte con la Nave “Conte de Geneys” (1827) e poi con il Brigantino “ S.Giuseppe” (1827). Sul Brigantino “Cortese” Imbarca come Secondo e passa poi Scrivano. Assaliti dai pirati greci. G. Garibaldi sbarca ammalato a Costantinopoli. Sempre come scrivano imbarca sul Brigantino “Nostra Signora delle Grazie” del capitano e armatore Antonio Casabona di Camogli. Giuseppe Garibaldi passa al Comando (1832) e intraprende viaggi per il Mar Nero.

Nel febbraio del 1832 imbarca sul Brigantino “La Clorinda” – Dopo alcuni viaggi, sbarca per compiere il S. Militare e imbarca sulla “Euridice” con il nome di guerra Cleombroto” (1933) - Ricercato come appartenente alla “Giovine Italia” e ritenuto responsabile del tentativo di sollevazione della flotta organizzata da Mazzini, il 4 febbraio 1834 fugge a Marsiglia e trova asilo sul brigantino genovese “Assunta” - Vive a Marsiglia e s’imbarca sul bastimento Unione” in partenza per Odessa. Successivamente s’imbarca sul bastimento francese “Nautonier” diretto a Rio de Janeiro. Giunto in Brasile, Garibaldi partecipa alla lotta di liberazione dello Stato del Rio Grande do Sul e viene nominato Comandante della nave da guerra “Mazzini” con regolare Patente di Corsa rilasciata dal governo. Affondato il “Mazzini” in combattimento, prende il comando del “Luisa”. In questo periodo comanda con alterna fortuna le navi della flotta rivoluzionaria. Partecipa a numerosi colpi di mano come quello avvenuto con la Scuna Virgen de Recco” sul fiume Uruguay. Terminata l’avventura sudamericana, Garibaldi ritorna in Italia con 78 legionari sul brigantino Bifronte” dell’armatore Gazzolo di Nervi. La nave durante il viaggio cambia nome, diventa “La Speranza” e arriva felicemente a Genova il 23 giugno 1848. Tuttavia, dopo gli avvenimenti della Repubblica Marinara e della fuga in Romagna, l’Eroe dei due Mondi é costretto nuovamente a fuggire in America (New York). Il 31 ottobre 1851 l’armatore camoglino De Negri gli affida il comando del Brigantino a Palo “Carmen” sotto bandiera peruviana. Rimane molti mesi in Cina e rientra in Perù il 24.1.1853 dopo un viaggio avventuroso e fuori rotta attraverso l’Australia e la Tasmania. Il viaggio successivo é ancora più pericoloso. Carica lingotti di rame a S.Antonio a sud di Valparaiso e lo trasporta (via Capo Horn) a Boston (6.9.1853). Sotto la spinta dei patrioti italiani all’estero, l’Armatore ligure Fratelli Casaretto gli mette a disposizione un bastimento di 1.100 tonn. che viene chiamato “Commonwealth” . La nave carica di grano e farina parte il 6.1.1854 e arriva il’11.2.54 a Londra. 26 giorni di viaggio in quella stagione mettono in evidenza la perizia nautica di G.Garibaldi. Carica carbone e parte in aprile per Genova dove giunge il finalmente il 7.5.1854. I tempi non sono “politicamente” maturi e l’eroe ritorna a navigare. Ottenuto il Certificato di Capitano di Prima Classe, imbarca sul vapore a elica “Salvatore” e può cominciare a risparmiare denaro per la casa di Caprera dove si stabilirà nel 1858. Con il Cotre “Emma” avuto in regalo da una sua ammiratrice, si sposta tra l’isola e il continente cogliendo anche l’occasione di un buon nolo per il trasporto di un piccolo ponte metallico. Purtroppo, nel 1859 la “Emma” cola a picco, come un suo precedente Cotre “Patria” costruito a Voltri e incagliatosi proprio a Caprera. Durante quella disavventura nautica, l’equipaggio si salvò e Garibaldi conobbe e s’innamorò dell’isola. Poi ci fu l’Impresa dei Mille, ma il “Piemonte” era una nave militare ed il suo grado era quello di “Generale” e nessuno lo chiamò più Comandante.

Desidero concludere questo viaggio con una annotazione ed un ringraziamento.

- Se Chiavari vanta il primato d’aver eretto il primo monumento a Garibaldi in Liguria, Camogli può dirsi fiera d’aver onorato, per prima in Italia, un garibaldino, il suo eroe Simone Schiaffino.

- Questa 10° pubblicazione ha un merito particolare, l’aver proiettato un cono di luce su sette rapallini che seguirono G.Garibaldi nella Spedizione dei Mille. Purtroppo il ricordo delle loro gesta cadde molto presto nell’oblio. Questa rivisitazione storica é stata possibile grazie all’interessamento e al contributo del Sindaco Mentore Campodonico e della sua Amministrazione che ringrazio a nome di Mare Nostrum.

Carlo GATTI

21.02.12

Bibliografia:
Alexandre Dumas - I garibaldini
Federico Donaver - Storia di Genova – Tolozzi Editore

Denis Mack Smith - Garibaldi

Alfonso Scirocco - Giuseppe Garibaldi

Giç Bono Ferrari - Navi e Marinai di Liguria

Dario Dondero - L’Arte dei Barcaioli a Genova – graphos storia

Aldo G. Velardita - Porto- Lavoro Portuale

Secolo XIX - La mia Terra - La mia Gente

Navi e Marinai – Volume 4°

Gio. Bono Ferrari - Capitani di Mare e Bastimenti di Liguria

Diario di Bordo di G.G. – Davide Gnola

Il presente studio é stato pubblicato dall’autore, in forma ridotta, sul mensile IL MARE nel 2006 con la grafica e consulenza del C.L.C Bruno Malatesta (Vicepresidente Società Capitani e Macchinisti di Camogli) che RINGRAZIO.


Le NAVI PASSEGGERI di Linea italiane 1900-1970

LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE

DAL 1900 AL 1970

Un particolare aspetto dell’attuale Made in Italy, che tanto onore ci fa nel mondo, è quello delle navi da crociera. La chiave di lettura di questo fenomeno italiano in costante crescita, si trova obiettivamente nella richiesta del mercato turistico globale e nelle indubbie capacità di qualche bravo Armatore nostrano. Tuttavia, noi siamo tra coloro che notano, con immenso piacere, una grande eredità riemergere dal passato: la tradizione navale del nostro Paese che prese avvio all'inizio del ‘900, con il trasporto di linea dei passeggeri e che culminò con l’epoca d’oro dei transatlantici in quei ventidue anni che intercorsero tra le due guerre mondiali. Un certo tipo di navigazione che sembrava dovesse scomparire e che invece ci è stato conservato.

All’epoca furono le massicce ondate migratorie verso il Nuovo Continente e la nascita di un flusso turistico americano verso l'Europa,  a stimolare da una parte le grandi Compagnie di Navigazione a creare navi più capienti, più confortevoli, più belle e più veloci e, dall'altra, i Cantieri a soddisfare tali richieste con tecnologie ed innovazioni sempre più avanzate. Oggi, la grande nave pare essere l’ultima occasione  per evadere dagli agglomerati urbani con i loro problemi ambientali; il turista brama la riscoperta di  un rifugio naturale che annulli i ritmi frenetici della vita lavorativa e rallenti il progresso dei trasporti aerei che uccide il tempo e non concede più nulla alla gioia degli occhi. Tra questi inconsci desideri fa capolino l’immensa, rassicurante, nave da crociera. Hotel a cinque stelle, che dolcemente s’impossessa del turista per farlo sognare in una realtà del tutto naturale come gustare un’alba, un tramonto, vivere le emozioni di una burrasca e partecipare alla navigazione che non è virtuale ma vera, con i suoi profumi salmastri in compagnia dei gabbiani, con i suoi naturali movimenti di rollio e beccheggio. C’è un filo che lega ancora l’epoca d’oro dei transatlantici di linea a quella crocieristica odierna: l’idea di vivere una pausa, una nuova esperienza senza affanni, immersi nella natura, rassicurati da equipaggi disponibili, gentili e professionali. Nulla è cambiato! Chi scrive, ricorda che a bordo del Vulcania e Saturnia, nei primi anni ’60, numerosi passeggeri nordamericani viaggiavano con l’equipaggio, ripetendo le traversate atlantiche perchè s’innamoravano dello “stile italiano”, dell’arte itinerante delle nostre navi, incuriositi della presenza di celebri attori, scrittori, politici ecc... attratti dalla prestigiosa cucina dei nostri chef, divertiti degli shows artistici sempre nuovi, dei giochi di società, dei films in prima visione, delle immense biblioteche internazionali, ed ogni viaggio era sempre diverso come le vere emozioni della vita che non si ripetono mai. Questi sono forse i motivi per cui, nell’era degli aviogetti supersonici e dei viaggi spaziali, la nave resta d’attualità. Le masse alienate delle grandi città, delle metropoli industriali scoprono una nuova filosofia di vita, fanno propria un’occasione irrepetibile di civiltà.

Una Curiosità Storica

Nell’anno 1854,  il Sicilia di 828 Tsl.  una minuscola - diremmo oggi - imbarcazione a elica, partì da Palermo ed arrivò a New York, dimostrando al mondo che l’Atlantico poteva essere attraversato in sicurezza per opera dell’uomo, senza l’aiuto del vento, aveva a bordo 48 passeggeri e un carico di agrumi siciliani. Tuttavia, le speranze di iniziare un regolare servizio di linea s’infransero quando, nello stesso anno, la nave affondò vicino alle coste irlandesi.

A volte la Storia accelera i suoi Ritmi

l’Unità d’Italia - La fine della Guerra di Secessione americana - Il flusso migratorio verso le Americhe - L’Apertura del Canale di Suez e d’alcuni varchi alpini - furono i trampolini che proiettarono le capacità  imprenditoriali di molti armatori. Toccò dieci anni più tardi, nel 1864, all’armatore genovese Giovanni Lavarello, inaugurare il primo servizio di linea tra Genova ed il Sud America, mentre il primo servizio regolare di linea fra l’Italia e New York fu quello stabilito dalla Compagnia palermitana Florio che iniziò con quattro navi sotto le 2.000 Tsl: due acquistate di seconda mano, mentre la Vincenzo Florio e la Washington di 2840 Tsl, di costruzione scozzese,  erano nuove e sviluppavano una velocità di 12,5 nodi.

* Una Significativa Statistica

La breve statistica che segue, fotografa la lenta evoluzione dei nostri bastimenti dalla vela al motore.

1865 – su un totale di 1.274 bastimenti   - 3 erano a vapore

1890 -  su un totale di 2.271 bastimenti   - 225 erano a vapore

1904 -  su un totale di 2.512 bastimenti   - 1416 erano a vapore

*(Dati ricavati dal Registro Navale Italiano (R.I.N.A) a cura della Società Cap. e Macch. Di Camogli).

I cannoni e i siluri germanici, affondando gli ultimi maestosi e silenziosi corsieri dei mari,  decretarono la fine di un’epoca irrepetibile, giustamente ricordata come Epopea della Vela. Quel vuoto mercantile, ridotto ormai - per la verità - ad un’esigua percentuale, fu colmato prontamente e definitivamente dai  piroscafi sempre più potenti e sicuri che diedero inizio ad una nuova tradizione quella delle: Navi di Linea

Nasce la N.G.I. dalla fusione della Florio e la Rubattino

La Africa (nella foto), fu una delle prime navi a transitare il Canale di Suez nel 1869 quando apparteneva alla Soc.Rubattino. L’unità, pur avendo il motore, disponeva di tre alberi per armare le vele e tutto ciò aumentava la sicurezza (soprattutto psicologica) dei passeggeri.

La nuova Società fu battezzata N.G.I (Navigazione Generale Italiana) nacque nel luglio del 1881 e risultò composta di 81 vapori, per un tonnellaggio complessivo di 59.727 tonnellate. Soltanto 8 navi erano di costruzione italiana a dimostrazione di quanto fosse in ritardo l’intero settore navale, se paragonato a quello inglese da cui provenivano le altre 73 unità della neonata Società. La N.G.I  fu l’unica a detenere la linea passeggeri nel Nord Atlantico fino al 1901 e poi, ancora per  vent’anni ad esserne il leader su  quelle rotte.

Sempre nel 1901, la N.G.I ingoblò la Soc. La Veloce che era in linea nel Sud America con 12 navi, che presto furono trasferite su quella del Nord America.

All’inizio del 1904 la N.G.I disponeva di ben 103 navi che furono impiegate su tutte le principali rotte commerciali del mondo.

Il vero Business

A partire dai primi anni del secolo XIX fino agli anni ‘60 del novecento, il trasporto degli emigranti attirò investimenti sicuri e produsse uno sviluppo nelle Costruzioni Navali il cui eco rimbalza ancora oggi nei Cantieri della nostra regione e, come abbiamo visto, ne caratterizza tuttora i loro attuali successi. Le cifre che seguono danno un’idea della vastità del fenomeno: 5.340.000 italiani emigrarono negli Stati Uniti, di cui 4.480.000 negli anni compresi tra il 1880 e il 1924.

Con l’avvento del secolo XX, il traffico marittimo internazionale segnò uno sviluppo sempre maggiore. I Paesi protagonisti di questa nuova epopea dei trasporti marittimi, sviluppatasi in un clima di forte concorrenza, di rischi colossali e del gigantismo più avanzato, furono dapprima la Gran Bretagna e la Germania. Poi fu la volta degli Stati Uniti, del Canada, dell’Italia, della Francia, dell’Olanda e dei  Paesi Scandinavi.

La potente N.G.I si fa paladina ed ambasciatrice dell’Italia sul Mare

Per difendere l’autonomia italiana sui mari, era necessario pensare in grande per uscire dalla cerchia ristretta delle competizioni locali. Occorreva entrare con coraggio nel già prospero mercato internazionale, la cui natura era caratterizzata da un forte “sentimento nazionalistico”.

La N.G.I intendeva soprattutto assicurarsi il traffico degli emigranti italiani che era gestito dalle altre bandiere europee, in condizioni di privilegio, non essendo gravata da tutti quegli oneri che invece incidevano sui bilanci delle nostre società di navigazione. Nel 1900 sul totale di 97.927 emigranti partiti dall’Italia per il Nord America, 79.787 (83%) era stato trasportato dalla bandiera estera e 18.140 (17%) da quella italiana. “I nostri piroscafi partivano stracarichi e in condizioni pietose dal lato delle comodità e dell’igiene. Gli emigranti erano trattati a bordo nel peggiore dei modi ed erano sistemati fino al terzo e al quarto corridoio delle stive e in ciascuno a tre ordini di cuccette sovrapposte. Costretti a trascorrere le ore diurne in coperta erano esposti alle piogge, al sole, alle temperature più calde o più fredde a seconda delle latitudini in cui viaggiavano. L’alimentazione era ridotta al  minimo indispensabile e su alcune navi la distribuzione dell’acqua potabile erano veri agenti trasmettitori di malattie”. (Radogna-Ogliari-Rastelli-Spazzapan “Storia dei Trasporti Marittimi” Vol.III)

Due Leggi decisive

Questa miserevole situazione che si rinnovava nei porti d’imbarco, venne diffusa e amplificata da famosi scrittori e dai giornali dell’epoca;  infine, il Governo si decise ad emanare una nuova Legge sull’Emigrazione, che fu promulgata il 31 gennaio 1901 e che disciplinò il trasporto degli emigranti con norme ben precise per impedire ogni speculazione. Sicurezza, igiene, comodità, tariffe di passaggio furono regolamentati e  fu affidato ad un Commissario per emigrazione, il controllo ed il funzionamento dei flussi migratori.

Nello stesso 1901, il Governo con un altro provvidenziale colpo di timone, fornì all’Italia Marinara un importante provvedimento: fu infatti promulgata la Legge Bettolo in favore dell’Industria delle Costruzioni Navali, che stabilì in 8.000.000 £ la sovvenzione  ai Cantieri e all’Armamento di linea.

La N.G.I ne approfittò per ordinare la costruzione di 5 piroscafi da passeggeri, due ai Cantieri di Riva Trigoso, due a quelli di Sestri Ponente  e uno a Livorno. Il programma della Società genovese fu di intensificare i servizi liberi e in particolar modo quelli per le due Americhe per il trasporto dei passeggeri  e degli emigranti, in modo da poter affrontare la concorrenza estera, che nei primi anni del nuovo secolo si presentò ancora più invadente.

Nacque così, nei primi anni del ‘900 il primo servizio organizzato di linea.

La Nascita del Lloyd Sabaudo

Il Lloyd Sabaudo nacque il 21.6.1906 con la partecipazione della Casa Reale.

Nel biennio 1907-08 furono varati tutti e sei i nuovi grandi piroscafi transatlantici ordinati nel 1904 per le Linee del Nord e del Sud America. Della Classe Ducale facevano parte: “Duca degli Abruzzi”-“Duca di Genova” (nella foto)-“Duca d’Aosta”. Della Classe Regale facevano parte: “Re Vittorio”-“Regina Elena”-“Principe Umberto”. Le navi gemelle stazzavano: 7838-4119 tonn.

Il cosiddetto salto di qualità fu compiuto dalla Società L.S. tra il 1922 ed il 1930, con l’entrata in servizio della classe “Conti” sulla linea del Nord America. Le prime unità: il Conte Rosso ed il Conte Verde, di costruzione inglese, erano molto simili;  così come lo erano le altre due unità: il Conte Biancamano, anch’esso di costruzione inglese, ed il Conte Grande che invertì la tendenza e fu costruito in Italia dallo Stabilimento Tecnico di Trieste.

19.2.1922 -Il Conte Rosso in uscita dal Porto di Genova per il suo viaggio inaugurale per N. York

Queste quattro “signore” dei mari avevano in comune il fascino dell’Italian Style ed una riconosciuta affidabilità. Queste indiscusse qualità attirarono una clientela di prestigio e proiettarono il Lloyd Sabaudo verso nuove ed ancor più prestigiose costruzioni e l'Italia  riuscì a conquistare senza ombra di dubbio il suo posto al sole distinguendosi con navi di ottimo gusto e comfort, oltre che di prestigio e di alta tecnologia. I due poli cantieristici di Genova e Trieste diventarono così i protagonisti di una sfida all'eccellenza nella costruzione dei più bei transatlantici in quella che venne definita "l'età dell'oro" dei liners.

La N.G.I verso il Rinnovamento

Il Giulio Cesare e il Duilio della N.G.I furono progettati nello stesso periodo della classe “Conti” del Lloyd Sabaudo, ma rispetto a queste unità avevano un tonnellaggio superiore e quindi erano in grado d’incutere maggior rispetto alla forte concorrenza nordeuropea, che già da tempo operava con navi di grande stazza.

Giulio Cesare e Caio Duilio (nella foto), le cui lunghezze erano prossime ai 200 metri, rappresentarono il raggiungimento di un importante traguardo tecnologico, sul difficile percorso del traffico passeggeri che era in grande espansione, non solo per la crescente domanda, ma soprattutto per il prestigio che aspirava la forte politica espressa dai Governi degli Stati più importanti dell’epoca.

La N.G.I verso il Cosolidamento


A metà degli anni ’20, la N.G.I di Genova progettò, costruì e mise in linea per gli Stati Uniti due splendide navi: la Roma e l’Augustus. Le misure di queste due unità erano le più grandi mai costruite con bandiera italiana dai Cantieri genovesi Ansaldo. Il Roma (1926) era dotata di una turbina italiana che le consentì la ragguardevole velocità di 24 nodi, corrispondenti a circa 50.000 cavalli di potenza e con oltre 30.000 tonnellate è stata la più grande nave costruita sino ad allora e anche la più lunga (215 mt); fu anche la prima ad essere dotata di piscina e relativi servizi. Per far comprendere la sua grandezza all'epoca veniva descritta come un "monumento del mare, più lungo di San Pietro, più largo del Ponte di Rialto e più alto della Torre di Pisa".

II primato del Roma (nella foto) è stato superato un anno dopo dalla M/n Augustus, 32.650 t.s.l.

Sull’Augustus era stato installato un motore Diesel (tipo Mann) e la sua velocità risultò inferiore, ma sempre intorno ai 20 nodi. L’Augustus fu la prima nave ad avere un ponte lido con piscina all'aperto. Questi due imponenti transatlantici, dalle linee eleganti e moderne, ebbero un meritato successo e rimasero sulla linea di New York sino alla fine del 1932. Alla fine del 1940 a Roma fu requisita dalla Regia Marina con il proposito di trasformarla nella portaerei Aquila.

Le navi italiane già allora si distinguevano fra tutte, mettendo in luce quelle che erano le caratteristiche del Made in Italy: una supremazia incontrastata non solo per il design inimitabile e l'innegabile gusto negli allestimenti interni, ma anche per le soluzioni  tecnologiche adottate.

Nei tardi anni '20, Benito Mussolini, decise che l'Italia sarebbe stata fra le nazioni leader in tutti i campi: scienza, esercito ed anche in mare. Prima di questo momento, dalla seconda metà del XIX secolo, tutte le navi più prestigiose in servizio sull'Atlantico erano inglesi della Cunard Line e della White Star e francesi. Le tedesche che proprio con la  North German Lloyd stava costruendo in quegli anni le sue due più veloci e grandi navi della sua storia, il Bremen e l'Europa, che furono anche campioni di velocità. Sta di fatto che i transatlantici in rotta nel Nord Atlantico erano anche la vetrina internazionale delle nazioni che le possedevano. Per tale scopo il Lloyd Sabaudo e la NGI ricevettero finanziamenti per la costruzione di due nuovi supertransatlantici italiani. Nel 1927 Mussolini annunciò che l'Italia avrebbe presto incominciato la costruzione di due navi per le quali il mondo intero stava aspettando, più tardi nominate Rex e Conte di Savoia. Di queste due, il Rex sarebbe stata la nave più grande e veloce, ed arredata in stile più classico, in contrasto con la tendenza Art-Deco di allora, iniziata con la nave francese Île de France.

A fronte di questo, l'Italia non aveva però una forte Compagnia di navigazione sotto la sua bandiera, così il Duce decise che le tre principali compagnie italiane, la NGI il Loyd Sabaudo e la Cosulich Line, si sarebbero fuse per dare vita ad una forte Compagnia nazionale: l'Italia di Navigazione.

Anni ‘30

L’EPOPEA  DEI  LEVRIERI: REX”  -  “CONTE  DI  SAVOIA”

Con questi Giganti di linea, la genovesità entrò nell’olimpo delle grandi tradizioni marinare del mondo. Si giunse così agli anni '30, anni gloriosi caratterizzati dallo splendore del Rex e del Conte di Savoia, i più grandi transatlantici mai posseduti dalla flotta italiana. Sono nomi che da sempre colpiscono la nostra immaginazione: il Rex è forse il più famoso, il più sognato, il più iconografico transatlantico italiano, una leggenda resa immortale da Fellini nel suo film "Amarcord". Il Rex era un super-liner da 50.000 tonnellate con dodici ponti, il top del lusso e dell'eleganza, l'ammiraglia cui sarebbe spettato il ruolo di portabandiera dell'Italia, simbolo dello stile italiano e della qualità del Made in Italy. Costruito a Genova Sestri per l'utilizzo nella prestigiosa rotta verso New York, ha legato il suo nome alla conquista del Nastro Azzurro, battendo nel 1933 il record della traversata Gibilterra - New York compiuta in 4 giorni e 13 ore, ad una velocità media compresa tra le 28,5 e le 30 miglia orarie.


16 .8.1933 - Il Rex (nella foto) con il Gran Pavese delle grandi occasioni, entra trionfante a New York. Lo attende l’ambito Nastro Azzurro guadagnato sulla distanza storica Gibilterra-New York (Ambrose) di 3.181 miglia coperta in 4 giorni-13 ore e 58 minuti, alla velocità oraria di 28,92 nodi. Il Record gli fu strappato, dopo soli due anni, dal francese Normandie, un "mostro" da 83.000 tonnellate di stazza e 314 metri di lunghezza.

Nave

Rex

Conte di Savoia

Bandiera

Italiana

Italiana

Compartimento

Genova

Genova

Ordinato

2.12.29

28.12.29

Cantieri

Ansaldo-Genova

S.Marco-trieste

Committente

N.G.I

Lloyd Sabaudo

Varo

1.8.31

28.10.31

Stazza Lorda

51.062

48.502

Lunghezza f.t. in metri

268

248

Larghezza

29,5

29

Equipaggio

756

786

Potenza Cavalli

142.000

130.000

Ponti

12

11

Archittetura-Stile

‘800

‘900

Velocità Massima

29

29,5

Passeggeri in 3 classi

1392

1278

Nuvole nere  apparvero, in modo prematuro, all’orizzonte e presagirono  tempeste su tutto il mondo. Presto calerà il sipario sulla “stagione d’oro dei transatlantici” che lasceranno la scena  ai nuovi barbari. Gli eventi bellici della 2a guerra mondiale  interruppero e conclusero la  brillante e breve carriera del Rex e Conte di Savoia in modo molto tragico. Nel 1939 sulle murate delle navi italiane vennero dipinte due grandi bandiere tricolori in segno di neutralità, per distinguerle dalle unità degli stati coinvolti nella 2a guerra mondiale. Il 25.5.1940 la Direzione della Società Italia di Navigazione annunciò la sospensione del servizio transatlantico di linea. Rex e Conte di Savoia furono destinate ad un lungo disarmo verso porti più sicuri di quello di Genova. Il 9 settembre 1943 i Tedeschi occuparono Trieste. Sul Rex iniziarono subito le razzie di tutti i suoi preziosi arredamenti, tappeti, quadri, posaterie, porcellane ecc…Il 13 marzo 1944 l’ex-ammiraglia cambiò bandiera e dal quel giorno fece compartimento Amburgo. Il 10 giugno 1944 il Rex si salvò miracolosamente da un terribile bombardamento a tappeto che colpì tragicamente Trieste. Stessa tragica sorte era già toccata al Conte di Savoia l’11 novembre del ’43 quando la più bella unità italiana fu ridotta ad un ammasso di lamiere fumanti, sotto i bombardamenti di una squadriglia d’aerei tedeschi. Durante questo periodo, le altre maggiori navi italiane, fra cui il Roma e l'Augustus, furono o bombardate dagli alleati o auto-affondate dai tedeschi. L'Italia perse  31 delle sue 37 navi passeggeri. La buona sorte baciò invece le sue unità più vecchie: Saturnia e Vulcania che continuarono a prestare servizio fino al 1965, quando entrarono in servizio la Michelangelo e la Raffaello.

Le Quattro Sorelle: Saturnia e Vulcania, Neptunia ed Oceania

Furono costruite per la Soc. Cosulich di Trieste.

Primi anni ’60. Il Vulcania incontra il Saturnia (foto) in oceano per la gioia dei passeggeri.

Un ricordo particolare meritano le motonavi Saturnia, Vulcania, Neptunia e Oceania. Le quattro unità più importanti  della Linea Cosulich, (assorbita in seguito dalla Società Italia di Navig.) furono costruite dal Cantiere Navale Triestino di Monfalcone tra il 1924 e 1934, la cui storia ci riporta  nell’atmosfera ormai perduta della vita a bordo delle navi passeggeri nella prima metà del secolo XX. Nel 1924 la Cosulich, diventata Società Triestina di Navigazione, realizzò un vero e proprio salto di qualità con l’impostazione dei transatlantici Saturnia e Vulcania.

Le due navi varate rispettivamente nel 1925 e nel 1926, hanno rappresentato una svolta nello stile architettonico e nell'arredamento, passando dal liberty ad un gusto più razionale e moderno, anche se ancora fortemente classicheggiante. Prime al mondo, queste navi si distinguevano per un nuovo e più moderno disegno dello scafo e dello skyline, caratterizzato da un unico fumaiolo particolarmente basso. Progettate per i servizi celeri di linea tra Trieste e il Nord America, le due navi si distinsero per le scelte moderne e coraggiose operate particolarmente per quanto riguardava gli apparati propulsivi diesel, in ragione della velocità, dell’economicità  di esercizio e dell’affidabilità  generale. Neptunia e Oceania furono sotto alcuni aspetti ancora più innovative di Saturnia e Vulcania, ma ebbero la sfortuna di andare presto perdute durante la seconda guerra mondiale. Saturnia e Vulcania operarono lungamente nel secondo dopoguerra, venendo infine demolite all’inizio degli anni Settanta. Numerose furono le navigazioni che videro queste navi far parte di numerosi convogli e partecipare alle missioni di rimpatrio dei civili italiani dall’Africa Orientale, tra il 1942 e il 1943.

LA RIORGANIZZAZIONE POSTBELLICA

Strutture ed infrastrutture portuali distrutte e inagibili. Fondali da bonificare e sgomberare da centinaia di relitti. La Flotta italiana ridotta ad un’esigua entità. Questa era in sintesi la drammatica situazione dell’Italia marinara l’8.5.1945, alla fine delle ostilità. Lo sforzo riorganizzativo compiuto dal Governo italiano dell’epoca per avviare una rapida ripresa fu intrapreso in molte direzioni: Costituzione del Comitato Gestione Navi (Co.Ge.Na.)- Concessioni di contributi sulle spese per il recupero ed il ripristino di circa 2000 navi e per la ripresa della cantieristica. Creazione del Ministero della Marina Mercantile che fu suddiviso in quattro Direzioni Generali ed in tre Ispettorati. Furono stipulati Accordi con il Governo degli Stati Uniti per l’acquisto di: 95 navi del tipo LIBERTY, 20 petroliere del tipo T/2, 8 navi da carico del tipo N/3. Nel 1947 si conclusero le trattative per la restituzione ed il rientro in patria dagli USA di 14 prede belliche tra cui il Conte Biancamano-Conte Grande-Vulcania-Saturnia.

Le M/n Conte Grande (nella foto) e Conte Biancamano rimasero prevalentemente sulla linea del Sud America, con la livrea bianca, dal dopoguerra sino alla loro demolizione. Mentre la livrea nera era usata sulla linea del nord America.

Al centro della ripresa dei traffici si trovarono le Società del gruppo Finmare (Soc. Italia-Lloyd Triestino S.p.A di Navig. – Adriatica S.p.A – Tirrenia S.p.A) che in pochi anni, riuscirono a ripristinare i collegamenti commerciali e passeggeri con tutte le sponde nazionali ed internazionali del periodo anteguerra. Al Lloyd Triestino S.p.A spettò i collegamenti di linea con l’Australia e l’India. La prima unità, denominata Australia fu consegnata nell’aprile 1951, seguirono ”Oceania”, consegnata  il 3 agosto 1951 e la Neptunia” consegnata il 5 settembre 1951. Nel febbrario 1952 fu inaugurata  la  linea dell’Africa con due navi: Africa ed Europa di 11.427 tonn S.L. La terza linea per l’Estremo Oriente fu inaugurata nel marzo-aprile del 1953 con le motonavi “Victoria” e “Asia” che avevano caratteristiche analoghe alle precedenti.

In questa foto della M/n ASIA si può notare l’inconfondibile linea elegante dell’Italian Style.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia aveva perso l’88% delle navi passeggeri o miste. Nel frattempo cresceva vertiginosamente la domanda per il trasporto di reduci, smobilitati, persone compromesse con il regime, rifugiati politici, apolidi ed in particolare gli emigranti italiani. In questa fase delicata della nostra storia, si attivarono ancora una volta gli Armamenti privati: Sidarma, Italnavi, Sitmar, Co.Ge.Dar. Costa, Fassio, Frassinetti, Garrone, Gavarrone, Grimaldi, Bianchi, Messina, Lauro, Marsano, Musso, Zanchi ed altri che seppero far fronte alle richieste, adattando ed adibendo le loro unità alle linee del Plata, Brasile e, in seguito, dell’Australia. Grazie al loro coraggio, la bandiera italiana poté ancora solcare i mari in un frangente in cui molti la davano per spacciata. Gran parte di questi Armatori, per i più svariati motivi, uscirono di scena negli anni ‘60;  al contrario, altri come Costa e Lauro sopravvissero a tutte le tempeste e  seppero rimanere sui mercati con vecchie carrette riciclate nel dopoguerra, per arrivare alla fine del secolo alla gestione d’immense navi da crociera, petroliere-mammut, containers di ultima generazione ed altro pregiato naviglio.

1961- La M/n Marco Polo nelle chiuse del Canale di Panama.

La Classe Navigatori formata dalle motonavi: Marco polo, Amerigo Vespucci, Antoniotto Usodimare, Paolo Toscanelli (Lloyd Triestino), recuperate e ricostruite come unità miste dopo il 2° conflitto mondiale, entrarono in servizio nell’immediato dopoguerra per la “Società Italia” sulla linea del Sud Pacifico (Venezuela-Columbia-Equador-Perù-Cile). Queste unità avevano cinque stive e potevano trasportare 700 passeggeri, di cui 89 in Classe Unica e 614 in 3° Classe. Avevano una Stazza L. 9800 tonn. erano lunghe 148 metri, larghe 19 e sviluppavano una velocità di 16 nodi. Sappiamo per esperienza personale, che moltissimi nostri concittadini trapiantati in Cile, Venezuela e Perù hanno navigato su queste navi che hanno servito onorevolmente quella linea sino al 1963, anno in cui i Navigatori furono sostituiti dalle più efficienti motonavi della Classe Musicisti: Donizetti (ex Australia), Verdi (ex Oceania), e Rossini (ex Neptunia, tutte provenienti dal Lloyd Triestino). Avevano una Stazza L. di 13.140 tonn. erano lunghe 161 mt. larghe 21 e viaggiavano ad una velocità di 18 nodi, avevano due motori ed una capacità di passeggeri di 772, di cui 136 in 1° Classe e 536 in Turistica. Con queste navi i collegamenti tra Genova ed i nostri emigranti sudamericani fecero un notevole salto di qualità. Aria condizionata, piscina, sale da giochi, cinema ed alloggi più confortevoli, allietarono e resero meno duri quei viaggi a cavallo dell’equatore che duravano mediamente un mese e mezzo a traversata. Nel 1976, ritenendo la Compagnia armatrice non più redditizio quel particolare collegamento marittimo, i tre esemplari vennero messi in disarmo, preludio di una successiva demolizione. I “Musicisti” furono tra le ultime navi di linea.

La Neptunia del Lloyd Triestino (nella foto), nel 1963  diventò la m/n  Rossini della Soc. Italia.

“ANDREA DORIA” – CRISTOFORO COLOMBO”

In questa foto si possono ammirare le più belle “linee architettoniche navali” mai costruite.

Nave

Varo

Bandiera

Stazza L.

Passeg.

Equip.

Vel.

A.DORIA

C.COLOMBO

1951

Italia

29.083

1134

572

23

La stagione d'oro dei transatlantici iniziò, tuttavia, il suo declino con la fine del secondo conflitto mondiale, sebbene ancora dopo la guerra siano stati varati gli ultimi splendidi liners. In Italia, dal cantiere di Genova Sestri uscirono  l'Andrea Doria nel 1951 e il Cristoforo Colombo nel 1953, navi dotate di aria condizionata in tutte le classi e di ogni comfort allora concepibile per intrattenere il passeggero e rendere gradevole la sua permanenza a bordo. D'altra parte la concorrenza del mezzo aereo, imbattibile quanto a tempi di percorrenza, toglieva sempre più clienti ai transatlantici, determinando da parte delle Compagnie di Navigazione l'ultimo tentativo di contrastarne il declino realizzando navi ancora più imponenti e veloci. La prima di queste due navi fu l'Andrea Doria, partita per il suo viaggio inaugurale da Napoli a New York il 14 Gennaio 1953. La sua gemella, la T/n Cristoforo Colombo prese il mare l'anno seguente. Era identica all'Andrea Doria, forse un po' meno ricercata negli arredi. Dopo soli due anni di vita, il 25 Luglio 1956, l'Andrea Doria fu accidentalmente speronata e affondata dal transatlantico svedese Stockholm. L'Italia Navigazione fu devastata dalla perdita della sua nave più prestigiosa e ripresasi dallo shock, ordinò la costruzione di un nuovo transatlantico la T/n Leonardo Da Vinci, lunga 233 metri e di 33.000 tonnellate di stazza, costruita appunto per rimpiazzare l'Andrea Doria e che fu ultimata nel 1960.

"La Leonardo da Vinci, qui ripresa nel suo viaggio inaugurale, fu costruita nel 1960 per rimpiazzare la perdita dell'Andrea Doria."

La Leonardo da Vinci viene ingiustamente spesso trascurata, ma si può considerare come la madre della Michelangelo e Raffaello. Infatti conteneva per la prima volta una serie di innovazioni, mai presenti fino a quel momento sulle altre navi. Fu la prima nave ad essere dotata di cabine con servizi privati per tutte le classi, ad avere aria condizionata in tutta la nave, ad essere dotata di due coppie di alette stabilizzatrici retraibili. Fu anche la prima nave passeggeri a non avere le sale macchine divise in locali caldaie e locali turbine, ma ad essere dotata di due sale macchine completamente indipendenti per ciascuna elica, come le navi da guerra. Le scialuppe erano tutte dotate di motore e il meccanismo di discesa consentiva di calarle anche in caso di sbandamento laterale della nave fino a 25°, caratteristica che impedì l'uso di metà scialuppe sull'Andrea Doria. Queste ed altre caratteristiche architettoniche furono ulteriormente perfezionate ed adottate sulla Michelangelo e sulla Raffaello. Nei primi anni '60 l'Italia di Navigazione annunciò che la Leonardo da Vinci sarebbe stata equipaggiata con la propulsione nucleare, ma ciò non avvenne. La ragione di questa scelta stava negli alti costi di esercizio della nave, i maggiori della flotta passeggeri, probabilmente dovuti al progetto dello scafo, basato su quello della classe Andrea Doria, poco adatto per navi di dimensioni maggiori, provocando un maggiore consumo di carburante. Ma ormai in quegli anni il trasporto aereo stava prendendo piede, sottraendo sempre più velocemente passeggeri al trasporto marittimo. Già nel 1958 la metà dei passeggeri attraversavano l'atlantico in aereo. Però all'interno del Mediterraneo la concorrenza aerea non era così forte e, alla fine degli anni '50, l'Italia Navigazione decise la costruzione di due nuovi supertransatlantici.

Michelangelo e Raffaello - Le ultime navi di Linea

Nave

Stazza L.

Lungh.

Largh.

Poten.

Pass.

Michelangelo

45.911

275,81

31.05

87.000 cv

1.775

Raffaello

45.933

275,81

31.05

87.000 cv

1.775

Impossibile quindi non citare quelle che erano considerate due cattedrali del mare, le turbonavi Michelangelo e la Raffaello, realizzate nella prima metà degli anni '60, navi capaci di 30 nodi di velocità grazie agli oltre 100.000 cavalli di potenza ed in grado di trasportare 1.800 passeggeri suddivisi in tre classi.

1975 - “Michelangelo” e Raffaello” - Ormeggiate al ponte Andrea Doria in attesa di ordini...

Le due ultime navi di linea servirono il Nord Atlantico dal 1965 al 1975. Questi due  transatlantici sono annoverati tra i più belli che siano mai stati costruiti, ma furono anche celebri per la tristezza che li avvolse a causa della loro prematura fine e vendita agli arabi del Golfo Persico. A parte l'immenso supertransatlantico francese Normandie, che stette in servizio solo 4 anni, poche altre navi subirono un destino così inglorioso e immeritevole. Non erano veloci come il liner americano United States, l'ultimo vincitore del Nastro Azzurro (Blue Ribbon), non furono vittime di una sorte così maligna come accadde al Titanic, sebbene fossero splendide e moderne come nessun altra nave prima di loro, vissero  fuori del loro tempo. Le due navi erano in effetti due immense Cattedrali che tutti ammiravano e c’invidiavano; i loro saloni erano arredati con quadri e sculture di famosi artisti contemporanei e il loro arredamento era affidato ai migliori architetti italiani. Durante il loro periodo di attività, i loro interni erano mostrati in televisione come il simbolo Italiano della più avanzata tecnologia navale. Dopo il loro fallimento inglorioso, principalmente imputabile alla loro pessima gestione, queste navi meravigliose furono completamente ignorate e dimenticate da tutti, come se non fossero mai esistite e il loro nome viene tuttora associato soltanto per certe disavventure come quella che segue.

MICHELANGELO, 12APRILE1966 – L’ONDA ANOMALA

Era la mattina del 12 Aprile 1966, la Michelangelo stava procedendo verso New York con 745 passeggeri a bordo. Quel giorno si sviluppò una tempesta di enorme potenza, molte navi si trovarono in difficoltà, 5 marinai furono spazzati via dal ponte di coperta della nave da carico inglese Chuscal. Erano circa le 10 del mattino quando un'onda anomala si presentò di fronte alla nave proprio nel momento più sfavorevole per essere affrontata. Il comandante Giuseppe Soletti, alla sua ultima traversata, deviò verso sud (dalla rotta standard), per evitare il centro della tempesta. Venne consigliato ai passeggeri di stare in cabina, per evitare di essere sbattuti per i corridoi. A bordo c'era anche lo scrittore tedesco Gunther Grass con la moglie, e l'ammiraglio Giurati, il presidente dell'Italia Navigazione.

Claudio Suttora, racconta: "Le onde diventavano sempre più alte e violente, e proprio alla fine di un grande beccheggio ci siamo trovati davanti quell'onda enorme. La Michelangelo, che fino a quel momento era stata in grado di risalire le onde, infilò dritta la prua in quell'enorme, spaventoso e insuperabile muro d'acqua... nessuno di noi si rese conto di cosa stesse per succedere, quell'onda ci si è formata davanti quasi all'improvviso... per fortuna l'urto non fu così forte da danneggiare anche il timone, così riuscimmo presto a rimettere la nave contro le onde".

Claudio Cosulich, all'epoca vice comandante della Michelangelo, racconta: "Quando arrivò l'onda, non ero sul ponte di comando, un'onda precedente aveva scoperchiato una presa d'aria sul ponte di prua ed ero andato con quattro volontari a riparare il danno, per evitare che l'acqua entrasse. Avevamo appena finito e stavamo scendendo una scaletta sotto il ponte... cademmo tutti rovinosamente... fu come incassare in pieno una cannonata da 305 mm."

L'onda scavalcò la prua alta circa 18 metri e sfondò le lamiere dalla parte frontale della nave, distanti più di 70 metri dalla cima della prua, e molti oblò spessi quasi 2 centimetri fin sul ponte di comando, a 25 metri dalla linea di galleggiamento.

Due passeggeri, che avevano la cabina nella parte colpita dall'onda, morirono quasi subito, un membro dell'equipaggio morì poco dopo. I feriti furono più di 50, 10 dei quali, gravi. Lo stesso Cosulich, ultimo comandante della Michelangelo, riportò una serie di fratture al braccio sinistro.

Poco dopo l'incidente, la Michelangelo venne raggiunta da una nave militare americana che fornì assistenza medica supplementare, mentre i medici della Michelangelo lavorarono ininterrottamente fino all'arrivo a New York.


A New York la Michelangelo si fermò 3 giorni per le riparazioni temporanee, consistenti nella copertura  della parte colpita, mentre al ritorno in Italia venne adeguatamente riparata e rinforzata, sostituendo le lamiere della parte frontale, fatte in lega di alluminio, con lamiere di acciaio in modo da renderla più resistente in futuro. Lo stesso lavoro venne eseguito sulla Raffaello. Per diminuire il peso delle navi e ridurre il consumo di carburante, l'alluminio era infatti utilizzato per le sovrastrutture di molte navi moderne negli anni '60, così dopo l'incidente della Michelangelo anche altre navi come il France e lo United States ebbero la parte frontale rinforzata in acciaio.

Questo fu l'unico grave incidente della storia della Michelangelo e più tardi sia la Michelangelo che la Raffaello superarono senza alcun danno una tempesta di eguale intensità.

GLI ARMATORI PRIVATI DEL DOPOGUERRA

Nel settembre 1939 erano iscritte sotto bandiera italiana 717 navi passeggeri. Al termine del conflitto ne erano rimaste soltanto 56.

LA SIDARMA Società Italiana di Armamento. A questa Società costituita nel 1938, a causa degli eventi bellici rimase soltanto la Andrea Gritti di 8073 t.s.l. che, trasformata e adattata al trasporto di 620 emigranti in cameroni, e fu la prima nave italiana ad arrivare in Sud America dopo la 2° G.M.

Si unì sulla stessa linea l’ex “Liberty” trasformato in passeggeri Francesco Barbaro, sostituito nel 1948 dalla nuovissima M/n Francesco Morosini sulla linea del Centro America. In seguito alla gestione  in comune con la Soc. ITALNAVI si aggiunse la M/n Luciano Manara della Cooperativa GARIBALDI che trasportava 844 emigranti sulla rotta del Venezuela. Questo servizio passeggeri durò fino al 1955. L’ITALNAVI Società di Navigazione. Costituita nel 1924 come Società Commerciale di Navigazione, diventò ITALNAVI nel 1947, quando si decise di estendere l’attività al traffico d’emigrazione.

La più gloriosa delle sue unità fu la M/n Sestriere (nella foto) varata a Taranto nel 1942, riuscì a sopravvivere ai siluri e ai tutti i bombardamenti aeronavali. Celebre restò il suo viaggio con partenza l’8 novembre 1946 da Genova  per Filadelfia con a bordo 50 equipaggi destinati a 50 navi Liberty venduti dagli USA all’Italia. Anch’essa fu modificata in nave passeggeri per il trasporto di 737 emigranti. LA SITMAR Società Italiana Trasporti Marittimi era stata costituita nel 1938 e disponeva di navi da carico. Nel dopoguerra acquistò dal Governo USA una turbonave di tipo Victory che venne trasformata per il trasporto di 1132 emigranti e fu ribattezzata Castelbianco. Dopo alcuni viaggi per l’Australia, prese servizio sulla linea del Brasile-Plata, poi ritornò sulla linea per l’Australia. Nel 1950 fu acquistata dalla SITMAR e fu ribatezzata Castelverde. Nell’ottobre del 1950 fu acquistata la  nave passeggeri Fairstone di 12450 t.s.l.

ribatezzata Castel Felice (nella foto) che fu messa inizialmente sulla linea dell’Australia, poi su quella centro americana e successivamente su quella del Brasile-Plata. La Sitmar introdusse l’alternanza stagionale dei viaggi sulle rotte di maggior traffico, in periodo invernale dal Nord Europa per l’Australia e la Nuova Zelanda, sia via Suez o Cape- town che via Panama e in periodo estivo nell’Atlantico settentrionale dal N.Europa per il Canada e gli USA. Castelbianco e Castelverde furono trasformate in modernissime navi per il trasporto di un migliaio di passeggeri ciascuna e furono messe sulla linea Nord Europa-Centro America. Sullo scafo della portaerei Attacker fu costruita la Castelforte che poteva trasportare, con aria condizionata, 1462 passeggeri. La linea per l’Australia-N.Zelanda fu inaugurata nel 1958 con partenza da Southampton.


L’ultima nave passeggeri acquistata dalla SITMAR fu la Fairsea, già portaerei di scorta Charger. Nel luglio 1958 passò alla bandiera italiana e subì la trasformazione per il trasporto di 1412 passeggeri e fu destinata alla linea fissa dell’Australia. Nel 1970, l’autore la rimorchiò da Panama verso la demolizione a La Spezia. La nave aveva subito un grave incendio in sala macchine.

LA CO.GE.DAR. Compagnia Genovese d’Armamento. Iniziò la sua attività per il trasporto emigranti per il Plata alla fine del 1946 con la M/n Filippa. Nel maggio 1949 entrò in servizio la M/n Genova adattata al trasporto di 800 emigranti per l’Australia. Nel 1954 acquistò la M/n Aurelia di 10.022 t.s.l. che fu adattata per il trasporto di 1124 emigranti in servizio per l’Australia. Nel 1955 la M/n Genova fu trasformata in nave passeggeri a Monfalcone e fu ribatezzata Flaminia ed entrò in servizio nell’agosto 1955 per il trasporto di 1024 emigranti da Genova per l’Australia.

Nell’ottobre 1961 fu acquistata la T/n Flavia (nella foto) di 15465 t.s.l. destinata anch’essa alla linea dell’Australia in sostituzione della Flaminia.

LA HOME LINES INC. Per quanto costituita con capitali stranieri e la sua flotta battesse bandiera panamense, la Home Lines ebbe stato maggiore ed equipaggio interamente italiani e fu gestita da una organizzazione marittima anche italiana. Iniziò la sua attività con la M/n Argentina (ex-Bergenfjord) che partì da Genova per il Plata il 13 gennaio 1947. La sua seconda nave fu il Brasil (ex-Drottningholm) che partì da Genova per il Brasile-Plata l’8 prile 1948. A questi due primi piroscafi seguì a fine 1947 la M/n Kungsholm di 21255 t.s.l. che fu radicalmente trasformata a Genova, fu ribatezzata Italia e partì da Genova per il suo primo viaggio per il Plata il 27 luglio 1948. Un’altra eccellente unità fu l’Atlantic (ex-Malolo) trasformata radicalmente dall’O.A.R.N di Genova, effettuò il suo primo viaggio per New York il 14 maggio 1949. Nei primi anni ’50 le navi citate spesse volte cambiarono linea per la vendita  l’acquisto di nuove navi. La Argentina fu rifatta e ribatezzata Homeland e navigò fino al 1954 quando fu demolita.

Un altra unità degna di essere ricordata fu l’Homeric (ex-Mariposa) (nella foto) di 24907 t.s.l sulla quale navigarono migliaia di nostri marittimi della Riviera di Levante. Con la vendita dell’Italia nel 1964 vennero a cessare i servizi di linea transatlantici della Home Lines.

COSTA CROCIERE

L'evoluzione storica della compagnia

La storia di Costa Crociere è la storia di un successo imprenditoriale. Nasce nel 1854 sotto il nome del suo fondatore "Giacomo Costa fu Andrea" e si distingue a tal punto nel commercio di tessuti e di olio di oliva tra i mercati di Genova e della Sardegna, da doversi dotare ben presto di una flotta per il trasporto merci in tutto il mondo. Già alla fine del diciannovesimo secolo le sue navi raggiungono lidi lontani come quelli australiani, dove il consistente flusso di emigrati italiani genera la domanda di prodotti alimentari nazionali. Costa si specializza nell'acquisto dell'olio d'oliva grezzo nei paesi del Mediterraneo per esportarlo oltreoceano. Nei primi decenni del ‘900 l'incremento è tale da portare Costa a esordire in campo navale: nel 1924 con il piccolo piroscafo Ravenna, utilizzato per gli approvvigionamenti di materia prima sui mercati del Mediterraneo orientale e nel ‘28 con il Langano. Negli anni ‘30 comincia la tradizione di battezzare le navi con i nomi di famiglia: Federico (‘31), Eugenio ed Enrico (‘34), Antonietta, Beatrice e Giacomo (‘35). All'inizio della Seconda Guerra Mondiale la sua flotta conta 27.534 tonnellate di stazza suddivise tra otto navi. Alla fine del conflitto solo il Langano sopravvive, ma Costa riprende l'attività armatoriale costruendo e acquistando altre navi per i servizi di cabotaggio. La distruzione della flotta passeggeri italiana, la domanda sempre più crescente di traffico passeggeri, la crisi economica e il flusso migratorio transoceanico attirano l'attenzione della lungimirante famiglia Costa che nel 1947 inaugura un servizio passeggeri di prima classe, già dotata di aria condizionata, e di classe intermedia.

Fu il piroscafo Maria C. a cominciare a soddisfare la domanda dei primi passeggeri subito seguito dalla Anna C. (nella foto), il primo transatlantico italiano ad attraversare l'Atlantico Meridionale dalla fine del conflitto. E nel 1947 la Giacomo Costa fu Andrea diviene “Linea C.". I servizi commerciali verso l'America del Nord sono, invece, inaugurati nel 1948 con la nave liberty Maria C., subito affiancata dalla Luisa C., mentre nel '53 Franca C. apre nuove rotte verso il Venezuela e le Antille. Il varo di navi lussuose, dotate di aria condizionata nella prima e nella seconda classe e di ambienti confortevoli ed eleganti, un servizio impeccabile che prevede ospitalità, comfort e ricette della migliore tradizione mediterranea, contrassegnano l'indiscutibile stile italiano.

Nel 1957 viene inaugurata la prima nave commissionata da Costa ai cantieri genovesi dell'Ansaldo, la Federico C. (nella foto) ancora suddivisa in tre classi, dotate di ristorante e piscina dalle forme ardite. Successivamente Bianca C., Enrico C., Andrea C., Flavia C., Fulvia C., Columbus C. e Carla C. vengono ristrutturate nell'ottica di offrire qualcosa di più di semplici mezzi di trasporto. Nel 1959 Costa realizza la prima nave al mondo completamente dedicata alle crociere di svago di 7 o 14 giorni negli Stati Uniti e nei Caraibi: la Franca C., a cui viene affiancata nei mesi invernali la Anna C., che propone mini crociere da tre o quattro giorni da Port Everglades alle Bahamas. I primi anni '60 sono trionfali e alle ormai consuete rotte in Sud America o ai Caraibi si affiancano le crociere nel Mediterraneo, nel Mar Nero, in Brasile, Uruguay e Argentina, fino allo stretto di Magellano e all’Antartico.


Il successo delle crociere Costa è tale che nel 1964 la compagnia ordina la costruzione della "Eugenio C." (nella foto), subito ribattezzata “la nave del futuro" per l'equipaggiamento e l'eleganza. Una nave, non più formalmente distinta in tre classi, ma concepita con un ponte unico, su cui si affacciano tutti i saloni. Un chiaro indizio del fatto che l'Eugenio C. sarebbe stata completamente adibita al servizio crocieristico, il futuro scelto da Costa Armatori. La prima nave, ad esclusivo uso passeggeri, fu la "Franca C." che nel 1968 inaugura la formula di viaggio “volo+nave", destinata a cambiare completamente il modo di concepire la vacanza, proponendo, anche a chi aveva poco tempo a disposizione, crociere brevi all'altro capo del mondo.  Ancora una volta l'evoluzione dei tempi dà ragione alla Costa, che nel corso degli anni

'70 arricchisce la propria Flotta con navi prese a noleggio tra cui spiccano le splendide gemelle

Daphne e Danae (nella foto), che solcano il Mediterraneo d'estate e i Caraibi d'inverno, con alcune puntate in Alaska, Scandinavia, Sud America, Africa ed Estremo Oriente.

LA FLOTTA LAURO. Achille Lauro ereditò la sua prima nave di cabotaggio nel 1912 e riuscì a costituire una considerevole flotta di ben 56 “cargos” mercantili prima della Seconda guerra mondiale. Quando quel terribile conflitto terminò, 53 navi andarono perdute, 19 furono catturate ed altre 34 colarono a picco per azione aerea, siluramento o autoaffondamento. Nel 1947 l’armatore ripartì da zero entrando nel mercato del trasporto emigranti e, a tale scopo, fece trasformare tre navi da carico: il Ravello che mise nel 1947 in linea per il Plata, l’Olimpia (ex-Liberty) trasformato a Genova partì per il Brasile e Plata nel gennaio 1948 ed il Napoli (ex-Araybank, residuato bellico di Suda), trasformato e riadattato nei Cantieri del Muggiano in nave passeggeri. Questa fu la prima nave italiana a tornare nel nuovissimo continente australiano nel dopoguerra nel settembre 1948. Queste tre navi, tuttavia, rimasero pur sempre, sia nell’apparenza che nei conforts, delle navi mercantili prive di eleganza. La prima nave della compagnia che poteva essere considerata un transatlantico fu acquistata nel 1949 dalla Soc. americana Grace Line e cambiò  il suo nome in Surriento (nella foto) (ex-Barnett, ex-Santa Maria), si trattava di un residuato bellico danneggiato in chiglia durante lo sbarco degli alleati in Sicilia.


Fu ripristinata a Genova presso l’O.A.R.N. e salpò da Genova per l’Australia il 23 maggio 1949 affiancandosi al Napoli. La ricomposta Flotta Lauro fece il suo primo salto di qualità, con l’acquisto di due ex-portaerei USA derivate da navi da carico tipo C3, che vennero completamente trasformate in navi passeggeri. La prima fu chiamata T/n Roma, 14975 t.s.l. e partì per la linea dell’Australia il 30 agosto 1951.


La seconda fu la ribatezzata T/n Sydney (nella foto) 14.985 t.s.l. partì anch’essa per l’Australia un mese dopo la Roma. L’entrata in linea delle due australiane, consentì a Lauro di spostare la Ravello e la Surriento sulla linea del Centro America. Durante il periodo 1950-1960 Achille Lauro divenne il “Re di Napoli” e fu proprietario di ben 50 navi, molte delle quali erano nuove costruzioni di grande qualità e tecnologia.


Nel gennaio 1964 Lauro acquistò di seconda mano due motonavi olandesi, la prima era la M/n Willem Ruys, varata nel 1947, iniziò i lavori di completo refitting il 4 settembre 1964 presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo e fu ribatezzata Achille Lauro (23.629 t.s.l.) (nella foto). La seconda, era la M/n Oranje, varata nel 1939, entrò nei Cantieri O.A.R.N. di Genova il 7 gennaio 1965 per un radicale rinnovamento e fu ribatezzata Angelina Lauro (24.377 t.s.l.). A causa di due incendi che danneggiarono entrambe le navi in cantiere a pochi giorni di distanza, la loro entrata in linea subì dei notevoli ritardi. L’Angelina Lauro fu consegnata solo nel febbraio 1966 con 24.377. La sua capacità di trasporto fu di 1616 passeggeri. L’Achille Lauro partì da Genova il 13 aprile 1966 e poteva trasportare 1731 passeggeri. Le due lussuose navi rimasero sulla linea della’Australia-Nuova Zelanda. Nel 1971 l’Achille Lauro chiuse definitivamente il servizio di linea dedicandosi esclusivamente all’attività crocieristica. Anche L’Angelina Lauro fu ceduta al Gruppo Costa nel 1977 e fu impiegata nelle crociere. Negli anni Settanta l’impero Flotta Lauro fu amministrato da suo figlio Ercole. Il “Comandante” morì nel 1978 e due anni dopo la Lauro Lines entrò in fallimento. Fu venduta alla MSC che chiamò la flotta prima “Starlauro” e poi “Mediterranean Shipping Company”.

FRATELLI GRIMALDI Sp.A. – Sicula Oceanica S.p.A.

I fratelli Grimaldi di Napoli iniziarono il loro Servizio di Linea passeggeri nel dopoguerra approfittando della favorevole congiuntura. La loro prima nave, (ex-Liberty USA) fu trasformata nel 1949 per il trasporto di 516 emigranti in cameroni, ribatezzata Marengo fu adibita a viaggi per il Venezuela-Antille e l’Avana. L’anno successivo cambiò nome in Urania II (6752 t.s.l.) ed inaugurò la linea per il Plata. Nel gennaio 1949 acquistarono un vecchio piroscafo passeggeri inglese, varato nel 1909, e lo trasformarono completamente per il trasporto di 900 passeggeri in due classi.

Ribattezzato Auriga (10.856 t.s.l.) fu messo sulla linea del Plata e poi su quella del Venezuela. Una terza celebre unità, la Lucania (6723 t.s.l.) fu acquistata a Marsiglia e si trattava di una nave antiaerea trasformata in nave passeggeri per il trasporto di 910 emigranti. Nel 1951 entrò in linea per il Centro America. Nel 1955 l’attività continuò attraverso la SI.O.SA con l’acquisto della turbonave francese Florida varata nel 1926 e fu ribattezzata Ascania (9536 t.s.l.) che successivamente fu messa sulla linea del Francia-UK-Quebec. Nel 1957 fu adibita alla linea UK-Centro America. Nel giugno 1955 fu acquistata dai francesi la turbonave  inglese Campana varata nel 1929. Fu radicalmente trasformata nei Cantieri Navalmeccanica di Napoli ed adattata al trasporto di 1221 passeggeri suddivisi in due classi, con il nuovo nome di Irpinia (12.279 t.s.l.) che fu messa sulla linea Nord Europa-Centro America-Caraibi. Un’altra celebre unità acquistata dalla SI.O.SA in quegli anni fu la ribattezzata Venezuela (18567 t.sl.) (ex-Empress of Australia-ex-De Grasse) varata  nel 1924. Fu messa in linea per le Antille nel 1956. In seguito fu allungata e la sua capacità di trasporto arrivò a 1500 passeggeri suddivisi in tre classi. Fu demolita nel 1962 in seguito ai danni subiti contro scogli sommersi nella rada di Cannes. Fu sostituita dall’Irpinia (foto sotto) che fu radicalmente trasformata presso l’Arsenale Triestino.

Un nuovo motore di 15.000 CV le consentiva una velocità di servizio di 20 nodi. Completamente rinnovata negli interni, con sistemazioni per 1200 passeggeri in due classi, e con un unico fumaiolo più aerodinamico a caratterizzare l’aspetto esterno. La nuova nave di 13.204 t.s.l. entrò in servizio sulla linea Marocco-Venezuela. Nell’ottobre 1965 venne poi acquistata la M/n Vulcania della Italia S.p.A. di Navigazione che ribattezzata Caribia (24.495 t.sl.) dal febbraio 1966 venne adibita alla linea UK-Francia-Portogallo-Madeira-Venezuela-Antille sostituendo l’Ascania che fu demolita nel 1968.

Dalle navi di Linea alle navi da Crociera

Ma bisogna attendere gli anni '80 affinché il business delle crociere decolli. Quelli, infatti, sono gli anni delle nuove realizzazioni, l'epoca di navi radicalmente nuove rispetto ai liners dell'epoca d'oro, nuove navi indirizzate a nuovi mercati, con l'affermazione definitiva del carattere turistico della crociera: in sostanza, il passaggio dal "trasporto dei passeggeri alla maggiore velocità possibile", al "diporto" consentito dall'evoluzione della società, con diffuso benessere economico, sufficiente tempo libero, necessità di ricostruzione psico-fisica, rivalutazione del mare.

Oggi la nave da crociera moderna ha perso la "vernice" e l'aspetto della nave veloce fatta per solcare i mari unendo due punti, in tutte le stagioni, anche le più tempestose, per diventare un albergo di lusso ed un "villaggio vacanze" galleggiante che naviga in mari azzurri e tranquilli. Le nostre navi rappresentano gli splendidi "ambasciatori" nel mondo, testimonianza diretta di quelle doti di imprenditorialità, creatività artistica, raffinatezza e cultura che da sempre ci contraddistinguono.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 20.02.12


OLTERRA-Un CAMOGLINO nella tana del lupo

UN MARINAIO CAMOGLINO

NELLA TANA DEL LUPO

GIBILTERRA 1940-1943

Un po’ di storia

Gibilterra è uno degli obiettivi principali per gli uomini dei mezzi d’assalto italiani. La base è il punto d’appoggio per le squadre navali che operano in Atlantico e nel Mediterraneo occidentale ed è anche il crocevia per i convogli in sosta e in formazione da e per l’Inghilterra e Malta.

SMG. SCIRE’

Questa unità, per la lunga e gloriosa attività svolta con i mezzi d’assalto e per la quale il suo stendardo fu decorato di Medaglia d’Oro al V.M. è un po’ il simbolo della categoria dei battelli “avvicinatori”. Queste le missioni compiute dallo Sciré come vettore di mezzi d’assalto:

Operazione “B.G.1”: obiettivo Gibilterra con 3 “S.L.C”.* (C.C. Borghese)-Iniziata il 24.01.1940 ed interrotta a 50 miglia dall’obiettivo per ordine di Supermarina in quanto la squadra inglese era uscita in mare.

Operazione “B.G.2”: obiettivo Gibilterra con 3 “S.L.C.” (C.C. Borghese)- Alle 02.19 del 10.10.1940. Rilascio dei mezzi a 3 miglia dall’entrata del porto. Per avarie agli apparecchi ed agli autorespiratori degli operatori i 3 “S.L.C.” non riescono a penetrare nel porto militare.

Operazione “B.G.3”: obiettivo Gibilterra con 3 “S.L.C.” (C.C Borghese)- Dopo aver imbarcato gli operatori a Cadice affiancandosi nottetempo alla cisterna italiana Fulgor, alle 23.58 del 26 maggio 1941, avviene il rilascio dei mezzi in fondo alla grande rada di Algeciras. Anche questa volta la missione fallisce per avaria agli apparecchi e cattivo funzionamento dei respiratori.

Operazione “B.G.4”: obiettivo Gibilterra con 3 “S.L.C.” (C.C. Borghese)-Alle ore 01.07 del 20 settembre 1941 nella rada di Algesiras. Primo successo dei mezzi subacquei con l’affondamento di due navi-cisterna ed una motonave.

*S.L.C.= Siluri a lenta Corsa

La petroliera OLTERRA

La Regia Marina, nell’intento di perfezionare i metodi d’attacco alle navi in rada a   Gibilterra, aveva intanto attrezzato come “base” per i mezzi d’assalto subacquei, la petroliera Olterra, internata sin dall’inizio del conflitto nel porto spagnolo di Algesiras, prospiciente la base inglese. Per la prima volta, tra l’altro, gli operatori dei “maiali” avrebbero avuto buone probabilità di evitare la prigionia, facendo ritorno a bordo dell’ Olterra dopo aver attaccato le unità nemiche.

Purtroppo, la prima missione così programmata:

Operazione “B.G.5 -7 dicembre 1942 - si concluse tragicamente con la morte di tre uomini, tra cui il T.V. Licio Visintini.

In seguito, gli attacchi portati con i “maiali” dell’ Olterra avrebbero ottenuto cospicui risultati l’8 maggio 1943 (con l’affondamento di tre mercantili alleati tra cui un “Liberty” e il 4 agosto 1943, azione nel corso della quale furono affondati un altro “Liberty”, una petroliera norvegese e un piroscafo da carico britannico. In entrambe le azioni, tutti gli operatori – tranne uno, fatto prigioniero nel corso della seconda missione – rientrarono a bordo dell’ Olterra senza essere stati individuati dalle sentinelle e dalle vedette portuali della Royal Navy.

LA BASE DI GIBILTERRA

A lanciare l’idea della base-Olterra fu Antonio Ramognino, un tecnico incorporato nella X flottiglia Mas ed esperto di mezzi d’assalto. Da tempo lo stratega studiava il progetto e nella primavera del 1942 fece una ricognizione nella rada di Algesiras per cercare il punto d’appoggio da cui partire all’attacco dei mercantili inglesi.

 

 

Ramognino sposò una giovane spagnola e prese in affitto una villa situata nelle vicinanze di Puenta Maiorga. In ottima posizione sopraelevata, era situata a poca distanza da “La Linea” e a 4000 metri da Gibilterra. Per non insospettire le autorità spagnole, il tecnico disse che la villa serviva a “ritemprare le forze di donna Conchita Ramognino, esaurita dalla permanenza d’alcuni mesi in Italia”. In realtà la villa – che dopo la guerra sarà battezzata “Villa Carmela” – divenne un osservatorio italiano per seguire costantemente i movimenti dei mercantili inglesi ancorati a una distanza dai 500 metri ai 2000 metri dalla spiaggia antistante la casa.

Ottenuto il punto d’appoggio, Ramognino studiò e poi scelse delle piccole imbarcazioni su cui sistemare  una carica esplosiva di tre quintali oppure otto cariche di tipo “mignatta”. Ma nell’attesa del loro arrivo, il comando della X-Mas decise di compiere un’operazione contro i mercantili alla fonda, in una notte del novilunio del luglio ‘42.

Durante la missione svolta nella primavera del 1942, Antonio Ramognino notò che la nave cisterna italiana Olterra di 4.995 tonn.  - di proprietà dell’armatore genovese Zanchi – era stata portata dal comandante Amoretti di Imperia, sui bassi fondali delle adiacenti acque territoriali spagnole e lì erano state aperte le valvole Kingston, per impedire che gli inglesi si impadronissero della nave con un “colpo di mano”. Il piroscafo era attraccato alla banchina orientale del porto di Algesiras, proprio di fronte a Gibilterra. Dalla roccaforte si poteva vedere la città, le case lungo la costa, il porto militare e delle navi in entrata ed in uscita, si poteva riconoscere il tipo, il tonnellaggio e quindi l’eventuale obiettivo. Algesiras era il posto ideale per osservare Gibilterra, ma dal posto d’ormeggio dell’ Olterra tutto era ancora più visibile.

Appena Ramognino rientrò in Italia lo fece presente al comando della Xa Flottiglia Mas. L’idea di sfruttare la petroliera italiana per far partire i mezzi d’assalto da un punto vicino alla Rocca era veramente allettante. La proposta fu accettata. Così il comando dei mezzi d’assalto iniziò subito le trattative con l’armatore dell’ Olterra, stabilendo che una ditta spagnola di recuperi marittimi fosse incaricata di riportare a galla il piroscafo. L’armatore ovviamente doveva restare all’oscuro di tutto.

A questo punto della “grande” storia, nota a tutti gli uomini di mare, introduciamo la figura del Direttore di macchina del piroscafo Olterra, Paolo Denegri di Camogli, un  eroe per caso,  e mai riconosciuto  come tale, dalle Autorità militari e civili, forse per l’infausta conclusione della guerra, o probabilmente a causa della morte in azione di chi l’aveva scelto ed apprezzato per le sue qualità umane e capacità professionali.

Denegri aveva acquisito una notevole esperienza professionale a bordo delle migliori navi dell’epoca, con il grado di Direttore di Macchina e quando l’Italia entrò in guerra accumulò sulla Olterra un incredibile periodo continuativo d’imbarco: 64 mesi, (5 anni e 4 mesi)- in pratica tutto il periodo bellico ed oltre… -  testimoniato peraltro dal  suo “Libretto di Navigazione”.

In quell’insolito frangente, Denegri ha recitato, senza il minimo dubbio, la parte dell’oscuro e sconosciuto personaggio che ha costruito le infrastrutture logistiche a bordo della sua nave, ed ha quindi permesso la realizzazione delle azioni insidiose dei nostri assaltatori delle quali,  in parte, abbiamo già accennato.

La documentazione che c’è pervenuta tramite i figli di Denegri, Raffaella e Angelo è quella ufficiale e burocratica e la riportiamo come Allegati al termine di questo saggio. Tuttavia questi Atti, pur  provando la sua fattiva collaborazione ed il suo geniale supporto tecnico, non danno che una pallida idea dell’immenso e pericoloso lavoro svolto dal D.M. Denegri dentro una tana di lupi affamati.

A distanza di oltre 60 anni da quegli avvenimenti, si rimane ancora increduli ed ammirati dinanzi al coraggio di quest’uomo costretto a chiudersi nel silenzio più totale e ad armarsi soltanto del proprio coraggio. Non è retorica! Denegri era sorretto soltanto dall’amor patrio e dalla sua scorza marinara di camoglino doc, che non era quella tipica di un militare per scelta, ma qualcos’altro d’indefinibile, nella quale tuttavia si era identificato, accettando di seguire le sorti della sua bandiera e della sua nave, nella condizione precaria del falso-militarizzato in zona nemica, per poter dare tutto se stesso alla Marina Italiana ed alla Patria.

All’epoca degli assalti alle navi anglo-americane nella rada di Gibilterra, Denegri aveva meno di 50 anni ed era nel pieno della sua maturità psicofisica. Non erano mancati in quegli anni i contatti con la sua famiglia residente a Camogli, ma nulla poteva trapelare della sua particolare missione fiancheggiatrice degli assaltatori. La sua famiglia, per tutta la durata del conflitto, è stata completamente all’oscuro dell’attività svolta da Paolo a Gibilterra e dei numerosi pericoli in cui si era volontariamente cacciato. Il T.V. Visentini, uomo d’assoluto valore ed abituato a pesare il valore degli uomini, aveva ponderato a lungo sulle  referenze professionali, umane e caratteriali di Denegri e infine aveva scelto l’uomo “giusto” per le sue imprese.

La nave aveva subito un volontario incaglio per non cadere in mani nemiche, ma non era  mai stata abbandonata dal suo Direttore di Macchina. L’armatore della nave si prestò subito a collaborare e fece le regolari pratiche con le Autorità spagnole, spiegando di voler mettere la nave in efficienza. Ciò era alla base di tutto. Con regolari permessi potevano, così, farsi i lavori di trasformazione, far arrivare i materiali, giocando su tutti gli inganni. Il problema degli uomini fu pure risolto con la graduale sostituzione dell’equipaggio mercantile rimasto sull’Olterra. Era logico, inoltre, che nell’operazione del “riarmo” dovessero essere chiamati altri marittimi e tecnici specializzati. I nuovi arrivati appartenevano alla Marina da guerra o erano militarizzati. Alcuni erano operai delle officine di San Bartolomeo alla Spezia. Ma il vero scopo della nave genovese, come abbiamo visto, non era quello di ritornare a solcare i mari, ma era ben altro: sprigionare nottetempo dal suo ventre “uomini rana armati di mignatte e maiali con la testata carica di tritolo. Questo era il vero segreto che univa Denegri alla Xa Flottiglia Mas.

Riprendiamo il racconto e c‘inoltriamo nelle viscere dell’ “Olterra” trasformata in un moderno “cavallo di Troia”. Paolo Denegri non era l’eroe omerico che aveva escogitato la strategia di questa fantastica impresa, ma era il Direttore di Macchina, il massimo esperto-tecnico di bordo.

Dell’ Olterra Denegri conosceva i disegni a memoria, il numero dei chiodi, i bulloni e le lamiere che la tenevano insieme. Paolo era a bordo della cisterna dal 1936 e n’era anche la memoria storica. Chi poteva fare a meno di lui sulla “nuova” Olterra? Chi era in grado di modificare le strutture della nave, e nasconderle nello stesso tempo al nemico e poi far funzionare quel congegno bellico micidiale? Paolo, navigante civile e uomo pacifico, si trovava in mezzo a valorosi guerrieri, vere macchine da guerra, addestrati per affondare naviglio e uccidere nemici, ma erano giovani armati fino ai denti che erano però assolutamente disarmati di fronte alla tecnica navale. Per fortuna, con i guerrieri della Decima erano giunti dall’Italia alcuni ottimi operai, che avevano fatto gruppo con il D.M. Denegri, unica mente dislocata in fondo a quella cisterna, che solo lui conosceva fino al punto di trasformarla in una piscina per le prove idrauliche dei “maiali”. Presto questo strano dott. Jekyl, direttore della più piccola orchestra del mondo, suonerà per gli inglesi al ritmo di testate al tritolo.

STORIA DELLA TRASFORMAZIONE DELL’ OLTERRA

IN UN OMERICO CAVALLO DI TROIA

Dopo sommarie riparazioni alla carena, logorata per l’usura del tempo e del mare, l’ Olterra, che da un anno e mezzo era ferma e sbandata sui bassi fondali, fu rimorchiata nel porto spagnolo e ormeggiata alla testata del molo esterno. A questo punto l’organizzazione entrò in azione.

Naturalmente non bisognava destare sospetti nelle autorità spagnole (fin dal 10 giugno 1940 un picchetto di carabineros alloggiava sulla cisterna internata a norma degli accordi internazionali) ma soprattutto occorreva stare con gli occhi aperti nei riguardi degli inglesi, e non si doveva dimenticare che l’ Olterra era ormeggiata proprio sotto le finestre dell’albergo Vittoria, sede del consolato britannico di Algesiras.

D’accordo con il T.V. L.Visintini – distaccato sull’ Olterra per appoggiare gli uomini rana che operano a villa Carmela – il comando della Xa- Flottiglia Mas stabilì di trasformare la petroliera in una base per i “nuotatori d’assalto” e per i “maiali”,

A partire dall’estate del 1942, tutti gli sforzi della flottiglia furono dedicati all’ Olterra. E ora che la nave era ormeggiata al molo di Algesiras, occorreva attrezzarla e poi imbarcarvi gli operai e i tecnici per ripristinare i macchinari. Soprattutto bisognava trovare il sistema di far salire a bordo i mezzi d’assalto smontati e imballati, gli operatori, gli attrezzi e gli utensili indispensabili per il montaggio degli ordigni.

Bisognava far tutto all’insaputa degli spagnoli e dei britannici. Si giocava d’astuzia. Così appena lo scafo fu riportato a galla, venne subito semi-affondato per far riemergere dall’acqua tutta la prora, dicendo che occorreva martellarla e ripulirla. Due uomini su una zattera ben coperta da un telone si infilarono sotto la prora e lavorarono, pulirono e batterono, finché aprirono un bel buco di un metro quadrato, chiudibile dall’interno con un pezzo di lamiera fissa come un portello. L’ Olterra venne rimessa in orizzontale quindi si passò alle caldaie. Si ottenne che dall’Italia arrivassero casse piene di tubi necessarie alle riparazioni.


L’officina di montaggio si poteva raggiungere solo dal ponte di coperta e per tre strade: o smontando la nave, o conoscendo bene la strada o dedicando all’impresa ore e ore, perché bisognava percorrere un intricato labirinto che non finiva mai, reso impraticabile da cunicoli, scalette ripide e buie, pertugi che si potevano varcare solo strisciando, inseguiti da topi grossi come gatti. L’ultimo “possibile” passaggio era costituito da una scaletta a pioli che perpendicolarmente scendeva da un buco aperto nel soffitto della stiva di prora. Lì in fondo lavoravano i sommozzatori.


A missione compiuta, il foro superiore della stiva sarebbe stato rinchiuso  con una lamiera, nascondendo il rifugio e sarebbe stato riaperto per il prossimo montaggio. Un’altra lamiera chiudeva anche l’ingresso della piscina, attraverso il quale erano messi in acqua, uno alla volta, i “maiali” che, da quel buco sotto la prora, entravano in mare cavalcati dai piloti. I “maiali” rimasti senza testa, dopo l’assalto agli obiettivi, venivano riappesi agli argani sopra la piscina, completamenti nascosti, in attesa di essere nuovamente riforniti della carica di tritolo.

L’estate del 1942 fu quindi spesa interamente per preparare la nave ai compiti di base segreta per l’attacco a Gibilterra con i “maiali”. Il comando della base avanzata costituito sulla Olterra fu affidato al T.V. L.Visintini e, dopo la sua morte in azione, al C.C. Notari.

Dalla Olterra la Xa-Flottiglia Mas effettuò tre azioni:

Operazione “B.G.5” – 7 dicembre 1942

Operazione “B.G.6” -  7 maggio   1943

Operazione “B.G.7” -  3 agosto     1943

L’organizzazione era diventata, nel frattempo, così perfetta che non soltanto gli spagnoli – i quali dopo la terza missione cominciarono a effettuarvi parecchie ispezioni -  ma neppure gli inglesi, che dopo l’8 settembre 1943 la rimorchiarono a Gibilterra e non scoprirono mai nulla. A nessuno venne  in mente che da lì erano partiti i mezzi d’assalto italiani violatori della piazzaforte britannica. Ma probabilmente la cosa più stupefacente della vicenda dell’ Olterra è che un presidio spagnolo di sei uomini, comandati da un sergente, sostava permanentemente a poppa con l’incarico di vigilare e garantire la neutralità della nave. C’era una vera e propria officina che lavorava a pieno ritmo e loro non hanno mai sentito e visto niente.

Da un vecchio libro: “Eroismo Italiano Sotto i Mari” di R.B.Nelli Editore  De Vecchi-1968

riportiamo una realistica descrizione della preparazione per un attacco degli uomini “gamma”.

“La spedizione è ostacolata da innumerevoli difficoltà. Però gli italiani ci riescono e ai primi di luglio, uomini e cose sono riuniti a Cadice. Gli operatori entrano in territorio spagnolo divisi in due gruppi; il primo viene spedito alla base sommergibili di Bordeaux, poi da San Jean de Luz prosegue a piedi per sentieri montani attraverso i Pirenei aiutati da agenti della marina italiana; il secondo raggiunge Barcellona a bordo del piroscafo Mauro Croce e gli operatori sbarcano come marittimi disertori. Poi tutti insieme, a gruppi di tre, vengono condotti a Cadice e alloggiati a bordo della cisterna Fulgor. Nei giorni 11 e 12 arrivano a Algesiras e salgono sulla Olterra ancora semiaffondata. Per giustificare la presenza di tanta gente su quella nave l’equipaggio inizia finti lavori di manutenzione e di raddobbo.

Alla spicciolata, gli uomini dei mezzi d’assalto salgono a villa Carmela all’alba del 13 luglio: Ramognino ha già preparato tutto, accoglie gli 11 uomini e li nasconde alla vista della polizia spagnola e degli agenti britannici. Dall’osservatorio della villa, nascosto con una gabbia di pappagalli, gli operatori possono studiare i bersagli e il tratto di spiaggia dal quale muoveranno all’attacco dei piroscafi.

Gli operatori portano tre “mignatte” a testa e la squadra dei “nuotatori d’assalto” è così composta: S.V. Agostino Straulino, S.V. Giorgio Baucer, i marinai Giovanni Lucchetti, Vago Giari,

il sottocapo palombaro Giuseppe Feroldi, il palombaro Bruno di Lorenzo (di Rapallo) ed il capo silurista Alfredo Schiavoni, il 2° capo cannoniere Alessandro Bianchini, il sottocapo Evideo Boscolo, il fuochista Rodolfo Lugano, il fuochista Carlo Bucovaz. Undici uomini in totale.

E nel pomeriggio viene dato il via alla operazione CG1. Alle 3 del 14 luglio gli operatori, in completo equipaggiamento d’attacco, escono dalla villa e raggiungono la spiaggia seguendo un itinerario studiato in precedenza. In mezz’ora, passando uno alla volta davanti ai poliziotti che percorrono la spiaggia nei due sensi, tutto il personale entra in acqua. Nuotando silenziosamente, gli 11 uomini dirigono al largo; motoscafi incrociano nella rada e lanciano piccole bombe di profondità a intervalli serrati. Gli italiani riescono a passare ma ogni tanto sono costretti alla più assoluta immobilità, anzi a scomparire sott’acqua quando la luce di un riflettore passa sulle loro teste. Avanzano piano, hanno paura che lo sciacquìo li tradisca”.

Il documento qui sopra riportato si riferisce all’Atto di Requisizione dell’Olterra dopo i fatti dell’8 settembre 1943 ed alla nomina di Denegri responsabile della nave in assenza del Comandante.

Per dovere di cronaca dobbiamo soltanto aggiungere che il D.M. Paolo Denegri riportò, dopo tanti anni d’esilio, la sua amata  Olterra a Genova e qualcuno a Camogli ricorda che l’intrepido D.M. sostituì il Comandante anche nella navigazione di rientro. Erano tempi veramente duri, ed il fatto non ci sorprende più di tanto, perchè i comandanti superstiti della guerra erano pochi e paragonabili a merce molto preziosa…

Alla cessazione delle ostilità, l’Olterra riprese di nuovo a navigare. Posta finalmente in disarmo, giunse nella rada di Vado (Savona) nei primi mesi del 1961 e poco dopo iniziò la sua demolizione. Nel Museo Navale di La Spezia sono esposte alcune vecchie lamiere che costituivano parte del coronamento di poppa della nave su cui, in grandi lettere bianche su fondo nero, si legge:

Olterra-Genova

Anche nel Museo Marinaro di Camogli esiste un cimelio della nave, si tratta di un salvagente anulare che porta stampigliato il glorioso nome dell’Olterra.

Paolo Denegri sbarcherà definitivamente dall’Olterra il 29.4.1947 e continuerà a navigare con le navi dell’armatore Costa fino al 10.9.1960, data dello sbarco dall’Enrico C.

Da quel giorno  iniziò il suo meritato retired”.

Paolo Denegri  si spense il 19 novembre 1962 all’età di 69 anni.

In quella terribile tempesta che fu la seconda guerra mondiale,

lapiccola Liguria vantò alcuni primati:

- Un terzo del naviglio civile italiano, perduto nel conflitto, faceva

parte del compartimento Genova.

- Il più alto numero di Medaglie d’Oro al Valore Militare e di Marina: 20

Delle 130 Medaglie d’Oro concesse dalla Marina in 5 anni di guerra per fatti d’arme aeronavali, 31 andarono agli uomini dell’assalto o a coloro che si erano resi partecipi delle stesse imprese.

X-Flottiglia M.A.S.

“Erede diretta delle glorie dei violatori di porti che stupirono

il mondo con le loro gesta nella prima guerra mondiale e det-

tero alla Marina Italiana un primato finora ineguagliato, la X

Flottiglia M.A.S. ho dimostrato che il seme gettato dagli eroi

nel passato ha fruttato buona messe. In numerose audacissime

imprese, sprezzante di ogni pericolo, fra difficoltà di ogni ge-

nere create, così, dalle difficili condizioni naturali, come nei

perfetti apprestamenti difensivi dei porti, gli arditi dei reparti

d’assalto della Regia Marina, plasmati e guidati dalla X Flot-

tiglia M.A.S. hanno saputo raggiungere il nemico nei più si-

curi recessi dei muniti porti, affondando due navi da battaglia,

due incrociatori, un cacciatorpediniere e numerosi piroscafi

per oltre 100.000 tonnellate.

“Fascio eletto di spiriti eroici, la X Flottiglia M.A.S. è rimasta

fedele al suo motto: “Per il Re e la Bandiera”.

(Mediterraneo, 1940-1943)

Lo storico navale Tullio Marcon ha provato statisticamente che la mortalità tra il personale incursore fu nettamente inferiore a quella registrata tra gli equipaggi caduti della Marina Militare Italiana, nel secondo conflitto mondiale:

Mezzo d’assalto

Tonn.Affond

O Dannegg.

Interventi

Operatori                                 Impiegati

Operatori       Morti

Operatori

Prigionieri

Maiale

184.861

14

101

4

33

Barchino

16.484

7

41

2

12

Motoscafo

11.050

31

80

3

-

Gamma

28.348

14

71

10

13

Totali

247.743

66

293

19

58

Da questa breve statistica di T.Marcon si rileva che: su 293 militari assaltatori (incluse le riserve),

impiegati in 66 azioni, i morti furono 19 (7%) – i prigionieri 58 (20%). Andando ora ai valori assoluti per i caduti, la citata percentuale del 7% sale al 10% se si considera che tra i 293 impiegati

sono inclusi diversi reimpieghi, valutabili in un centinaio circa. Si hanno quindi 19 caduti su circa 190 uomini. Ebbene se si rammenta che sulla forza di 190.000 uomini in servizio con la Regia Marina, dal 1940 al 1945 i morti furono quasi 29.000, ossia il 15% del totale in valore assoluto, si può concludere che per i Mezzi d’assalto la sopravvivenza fu nettamente superiore a quella di altre specialità.

ALLEGATO N.1

ALLEGATO N.2

ALLEGATO  N.3

ALLEGATO  N.4

ALLEGATO  N.5


ALLEGATO  N.6

Bibliografia

M.Brescia-E.Carta-C.Gatti   Il Tigullio Un Golfo di Eroi. Ed. Busco-Rapallo.-2002

S. Bertoldi Navi e Marinai Comp. Generale Editoriale

R.B. Nelli                            Eroismo Italiano Sotto I Mari De Vecchi Editore

M.Spertini-E.Bagnasco       I Mezzi D’Assalto della Albertelli Editore 3 ristampa

Xa Flottiglia Mas

J.V.Borghese                       Decima Flottiglia Mas

Virgilio Spigai                    Cento Uomini Contro Due Flotte

Ringraziamenti:

Si ringrazia il Socio Nino Casareto, genero del compianto Socio Paolo Denegri per averci segnalato l’inedita storia qui riportata.

Un ringraziamento particolare va rivolto alla Signora Raffaella ed al Signor Angelo, figli di Paolo per averci consentito, sia la visione dei documenti che la pubblicazione e diffusione degli stessi sul sito della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli e Mare Nostrum Rapallo.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 20.02.12


Navi LIBERTY:La Seconda SPEDIZIONE DEI MILLE

 

LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE

In una nostra precedente pubblicazione, definimmo i Liberty:

“Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”

“L’operazione Liberty” prese il via il 27 Settembre 1941 con l’entrata in linea dell’ormai celebre “PATRICK HENRY”, e si concluse con la consegna dell’ultimo esemplare, il “RODA SEAM” del tipo “collier” (carboniero) il 13 Ottobre 1945 da parte del Cantiere “Delta” di New Orleans-Louisiana. Tra queste due date ne scesero in mare ben 2710.

Viaggio inaugurale di una nave Liberty

Queste carrette dei mari furono costruite per compiere una traversata oceanica durante la Seconda guerra mondiale, tra gli agguati dei sottomarini dell’Asse, che agivano negli Oceani adottando  la ben nota tattica  “a branco di lupi”. In seguito a queste azioni belliche, affondarono circa  200 Liberty.

Subito dopo la fine del conflitto “i brutti anatroccoli”, come li definì F. D. Roosvelt,  ripresero a navigare e i più longevi lo fecero dignitosamente per circa trent’anni, partecipando alla ricostruzione della flotta mercantile  di quasi tutti i paesi belligeranti.

Nel 1945 si concluse una tragica guerra che fu combattuta in cielo, in terra ed in mare, lasciando ovunque distruzione, miseria e rovina.

Soltanto poche cifre sono sufficienti per mettere a fuoco un quadro spaventoso:

-  nel 1939 la flotta mercantile italiana contava 3.3 milioni di tonnellate di stazza lorda per un totale di oltre 1200 navi.

- nel 1945 le navi superstiti erano ridotte ad un numero molto esiguo che non raggiungeva in totale le 200.000 tsl. Inoltre le strutture ed infrastrutture portuali erano distrutte ed inagibili, i fondali da sgomberare da centinaia di relitti e da bonificare per la presenza di migliaia di proiettili e bombe inesplose.

A questo punto cruciale della storia martoriata del nostro paese, era necessario reagire con fermezza alla pericolosa situazione di stallo, ed era oltremodo impellente chiamare a raccolta tutte le forze vive e disponibili sul territorio, per passare ad un rapido piano  di ricostruzione.

Il viaggio della Rinascita

La motonave Sestriere

Così fu definito il viaggio della M/n SESTRIERE, che trasferì a Baltimora-USA 50 equipaggi destinati ad imbarcare su 50 navi tipo-Liberty acquistati dai primi coraggiosi Armatori Italiani. Quel giorno a Genova, alla presenza del Capo dello Stato - non è facile retorica -  rinacque la Marina Mercantile Italiana. Con molta curiosità,  entriamo ora nel vivo del racconto della spedizione e ci poniamo all’ascolto della oral-story del comandante Giuseppe “Gio” Ferrari, classe 1918, uno fra i rari superstiti di quella prima singolare avventura. Il protagonista è il figlio dello storico camogliese Giò Bono Ferrari, personaggio amatissimo da tutti i liguri rivieraschi per i suoi accuratissimi libri di storia e tradizioni  che ci hanno fatto conoscere i segreti della nostra terra e del nostro mare.

Comandante Ferrari, sono passati 56 anni dal giorno della partenza del SESTRIERE da Genova. Erano tempi duri! Avevo 26 anni e partii col grado di 2° ufficiale di coperta. Oggi si direbbe che ero poco più di un ragazzo, ma in realtà ero già un reduce di guerra; quattro anni di guerra “vera” sui sottomarini della R.M. dove mi ritrovai imbarcato al  termine del corso effettuato  all’Accademia di Livorno. Poi venne l’8 Settembre ’43 ed ormeggiammo la nostra unità a Taranto, nella attesa del suo trasferimento a Malta per  consegnarla agli Inglesi. Nel febbraio del ’44 mi congedai dalla M.M. per seri motivi di salute e fu la mia fortuna!  Il mio equipaggio, comandato dal C.c. Scarpa affondò in Atlantico con il smg Settembrini, fuori Gibilterra. Terminato il conflitto eravamo tutti in “braghe di tela”, perché tutto era stato distrutto: navi, porti, cantieri navali, fabbriche, ferrovie, strade. Eravamo affamati e senza lavoro. Ma la voglia di  rimboccarci le maniche era tanta e a tutti i livelli; dovevamo ricostruirci un futuro, al più presto, soprattutto per dimenticare il passato. La grande occasione ce la diedero gli Americani su un piatto d’argento. Una parte della loro enorme flotta, composta di circa 2000 Liberty in disarmo nelle rade e nelle foci dei fiumi, fu messa in vendita sul mercato, nell’ambito del piano Marshall, per favorire una rapida ripresa dei  trasporti e dei commerci internazionali in un rinnovato clima di pace mondiale. I noli favorevoli e l’impellente richiesta di carbone, per avviare la produzione industriale Europea, impresse quella strana euforia che presto si tramutò in una frenetica attività imprenditoriale.

Il progetto c’era ed era concreto. La nostra speranza in seguito salì alle stelle  quando si sparse la voce dell’acquisto in blocco di 50 Liberty-Ships, che sarebbero state  ritirate, direttamente in America, da 50 equipaggi italiani. Alcuni nostri coraggiosi Armatori: Lauro, Costa, Ravano, Pittaluga, Marsano, la Soc. Italia, il Lloyd Triestino, la Cooperativa Garibaldi, la Soc. Citmar, l’Alta Italia, Gruppi Amatoriali Savonesi ed altri ancora avevano firmato il contratto con la garanzia del Governo Italiano. Si aprì immediatamente la caccia all’imbarco.

Ci parli della M/n SESTRIERE.

La M/nave da carico SESTRIERE meriterebbe un capitolo a parte, se non altro per le innumerevoli avventure di guerra in cui si trovò coinvolta. La bella motonave di 8652 t.s.l., apparteneva alla Società di Navigazione Italnavi di Genova,  era una delle pochissime superstiti della Seconda g.m. - Varata a Taranto nel 1942 fu trasformata, in occasione del nostro viaggio verso gli States, per il  trasporto di circa 800 emigranti in cameroni approntati nei corridoi delle cinque stive e provvisti di letti a castello per tre persone ciascuno.

Comandante, immagino che l’altissimo numero di passeggeri ammassati negli angusti corridoi delle stive del SESTRIERE vi abbia procurato dei disagi non solo logistici…

Ad essere sinceri eravamo consapevoli della portata storica dell’avvenimento e quindi della nostra condizione di privilegio, tuttavia ricordo che non mancarono i mugugni e le rimostranze. Ricordo soprattutto che ci venne a salutare lo stesso sindacalista Giulietti alla Stazione Marittima, il quale  nell’occasione ci  rassicurò sia per l’abitabilità della nave, che per la sicurezza del trasporto di quell’imponente e un po’ speciale carico umano, in quell’imminente  spedizione oltre oceano. Non ricordo esattamente, ma credo che  ci fecero imbarcare e poi sbarcare due o tre volte dalla nave, nello stesso giorno, per permettere alle squadre di bordo di stanare gli immancabili clandestini. Ne furono trovati alcuni, ma sette riuscirono ad arrivare in America. Era l’8 novembre 1946 quando, alla presenza del Capo dello Stato, lasciammo la banchina passeggeri di Ponte dei Mille fecendo rotta  per Baltimora-Stati Uniti. Al comando della spedizione c’erano due grandi Comandanti in fase d’avvicendamento: il camoglino C.l.c. Pastorino  e l’imperiese C.l.c. Arimondi. Il nostro gruppo, appartenente all’armatore Achille Lauro, fu sistemato nei corridoi della stiva n°4, a poppavia del cassero, in letti a castello da tre posti. Alcuni tavolacci per il consumo dei pasti erano stati approntati nei corridoi stessi, mentre per i servizi igienici ci dovemmo accontentare d’alcune tughe di legno costruite in coperta e fornite d’acqua di lavaggio in circolazione permanente, con scarico diretto in mare.   Chiunque può immaginare gli effetti di una tale situazione di promiscuità in un così esiguo  spazio vitale. Ma la fortuna ci diede una grossa mano. Considerando la stagione in corso, il tempo fu eccellente ed il viaggio durò soltanto 14 giorni.

Come siete stati accolti in America?

“Arrivati felicemente a Baltimora-Maryland iniziò un iter burocratico per noi tanto sorprendente quanto inatteso. Quasi subito  fummo trasferiti a Hampton Roads, nella Baia di Chesapeake-Virginia. Consegnati in stile militare al Reparto dell’Emigrazione fummo a lungo interrogati  sui nostri trascorsi bellici e politici, sulla  base del Crew’s List (Ruolino Equipaggio) che, spedito da Genova, era ovviamente giunto negli States prima di noi ed era già stato analizzato e verificato a dovere. Il pericolo da evitare, per le preposte Autorità della Virginia, era costituito dall’eventuale infiltrazione di comunisti nel tessuto sociale americano.

Ci presero le impronte digitali e ci rilasciarono un apposito tesserino che conservo ancora tra i mie cimeli di navigante. Alcuni medici ci visitarono accuratamente e diedero l’O.K. al nostro ingresso negli Stati Uniti. La sosta  fu breve e quasi subito fummo trasferiti via treno a New York per ritrovarci il giorno dopo nella famosa Ellis Island.


Che cosa rappresentava per voi Ellis Island?

La sua posizione isolata ed emarginata, situata alle porte  di quella enorme e pulsante megalopoli che è la città di New York, inizialmente ci evocò la “quarantena” dei nostri emigranti, la diffidenza e il sospetto, i lunghi periodi d’isolamento, i rimpatri forzati. Poi, da buoni italiani, e per il fatto d’essere emigranti provvisori, già in regola con tutte le formalità burocratiche, ci organizzammo la nostra vita privata ed il  tempo libero. In seguito, facendo visita ai nostri connazionali,  conoscemmo le loro realtà quotidiane  ed anche le loro alterne fortune. In quel magico limbo rimanemmo in attesa della sospirata chiamata. Ma il nostro Liberty non era ancora pronto per la consegna. Nel frattempo, con altri sette del mio equipaggio, trovai  anche la possibilità di guadagnare 35$ la settimana presso una fabbrica di dolci. Il proprietario era un camoglino “doc”,  e durante i ventidue giorni d’attesa, grazie al suo appoggio, incontrammo tanti altri connazionali che ci portarono a scoprire  quella affascinante città che era rimasta “estranea” alla guerra e che aveva galoppato velocemente verso una nuova era. Alcuni della “spedizione” non resistettero al fascino del “New World” e disertarono con l’aiuto di parenti già immigrati e regolarmente residenti. Tuttavia il gruppo d’Ellis Island si andava assottigliando ogni giorno, finché giunse anche per noi la convocazione ufficiale. La nostra nave si trovava presso la “Reserve Fleet” di Mobile-Alabama e quando fu stabilita la data di partenza, la raggiungemmo in treno. Il viaggio durò trentasei ore.

Reserve Fleet - Navi Liberty ormeggiate in massima sicurezza

Al primo impatto con quella baia ricoperta di centinaia di Liberty ancorati ed affiancati a rovescio, (prora con poppa), ci venne naturale riflettere su  quell’immensa produzione bellica ed alla presunzione di chi ci aveva governato per vent’anni e che non aveva minimamente stimato il patrimonio umano, la ricchezza, le capacità tecniche ed organizzative, di quella potenza economica che era l’America di quel tempo. E ci fu subito un’altra sorpresa: ci aspettavamo, dato il basso costo d’acquisto della nave, d’imbarcare s’un residuato bellico quasi da demolire. Al contrario ci trovammo su un Liberty perfettamente funzionante, in ottimo stato di conservazione, perché era visibile, in ogni suo angolo, l’opera di una manutenzione accurata ed eseguita  ogni  giorno durante la sosta alla fonda. La nave era  provvista di frigoriferi, ampie salette, cabine singole per gli ufficiali e doppie per la bassa forza. La strumentazione nautica: girobussola, radiogoniometro, eco-scandaglio, costituiva una novità assoluta per quell’epoca. Devo dire che tutto il  materiale a nostra disposizione sul Liberty era all’avanguardia per quei tempi.

Reserve Fleet: Navi "VIctory" - "T/2" ed altre ormeggiate sull'Hudson River

Presi dall’entusiasmo ci organizzammo a dovere e dopo qualche giorno partimmo per il nostro primo viaggio diretti a Pensacola-Florida. Ci attendeva un carico di carbone per Genova. “AIDA LAURO” era il suo nuovo nome che io stesso scrissi sulla poppa della nave.

Quel mio primo sospirato imbarco da civile  durò ben 36  mesi e fu il primo di una lunga serie che mi legarono fedelmente al mio Armatore Achille Lauro per tutta la vita. La mia carriera prese inizio in quei giorni fatidici, prima come Ufficiale e Comandante, in seguito  come Ispettore e Dirigente dislocato un po’ dappertutto nel mondo, inseguendo o precedendo, a seconda delle circostanze, sia  le navi da carico,  sia quelle più famose come l’Achille Lauro, l’Angelina L. il Napoli, la Surriento, la Roma, la Sidney ed altre. Comandante Ferrari, siamo giunti al termine di questa rievocazione storica e le assicuro che spesso ci siamo sentiti imbarcati al suo fianco. La ringraziamo per questa insolita emozione.

NOTE

1 – Il Liberty del com.te Ferrari si chiamava  “JOHN EINIG”. Impostata il 1.12.1943, fu varata il  14.1.1944 e consegnata il 31.1.44 dal Cantiere Navale St. Johns River di Jacksonville con il n.28. Durante la guerra  navigò nell’Oceano Pacifico. Per la cronaca fu demolita a La Spezia nel 1969 dopo una navigazione durata 25 anni in tutti i mari del mondo.

2PATRICK HENRY fu il primo Liberty a scendere in mare il 27 settembre 1941, e quel giorno diventò il LIBERTY FLEET DAY. Per la sua costruzione occorsero 245 giorni, un tempo che fu gradualmente ridotto. Fu proprio di Baltimora il Cantiere che lo costruì: Bethlehm Fairfield Shipyard.

3 - Nel 1946 furono offerte all’Armamento italiano importanti possibilità di rinnovamento e di ricostruzione: il provvedimento del Governo in data 20 Agosto 1946 concedeva in particolare agli Armatori di trattenere la valuta estera introitata perché fosse impiegata nell’acquisto di naviglio usato e lo Ship Act degli Stati Uniti consentiva la vendita all’estero di navi residuate di guerra a condizione di particolare favore. Per facilitare l’acquisto delle navi furono stipulati accordi tra il Governo degli Stati Uniti e quello Italiano, per cui il Governo Italiano provvide a comperare in proprio le navi dalla U.S. Marittime Commission e a rivenderle agli armatori secondo un criterio di preferenza in base alle perdite subite. Il prezzo medio di ogni Liberty si aggirava sui 225.000 $. Il Governo Italiano provvide, inoltre a fornire agli Armatori la valuta per il pagamento immediato del 25% del prezzo e al Governo degli Stati Uniti la garanzia per il pagamento del residuo 75% in 20 anni al tasso del 3,50%. Furono così acquisite alla bandiera italiana in tre lotti successivi 95 navi da carico del tipo “Liberty” o similare, di circa 7.600 t.s.l. e 10.800 t.p.l, 20 navi cisterna del tipo “T/2” di circa 10.400 t.s.l. e 16.600 t.p.l. e otto navi da carico del tipo “N3” di circa 2.000 t.s.l. e 2700 t.p.l.

4 – ELLIS ISLAND - New York con la sua gigantesca baia fu di gran lunga il punto d’arrivo principale delle correnti migratorie dall’Europa a partire dalla metà dell’ottocento. Nel 1892 il vecchio centro di raccolta di Castle Garden, sulla punta di Manhattan, era stato sostituito da Ellis Island, una delle isole della baia, che fu chiusa definitivamente all’inizio degli anni Cinquanta. (Soltanto da poco tempo è diventato un grande museo dell’immigrazione). Nel 1924, tra l’inaugurazione e l’approvazione di leggi molto restrittive sull’immigrazione, passarono da Ellis Island 24 milioni di persone. Nel solo 1907, anno record, un milione 200 mila. Tra il 1900 e il 1920 la media degli “arrivi” negli States, concentrati per la maggior parte su Ellis Island, fu di duemila al giorno.

Ellis Island richiamò gli Ebrei, gli Slavi, gli Italiani ed in pratica tutta l’immigrazione dell’ultima parte dell’ottocento e dei primi decenni del nostro secolo che non fosse né anglosassone, né scandinava; composta quindi d’uomini e donne in gran parte scuri di capelli, di religione cattolica oppure ortodossa, e comunque estranei al mondo protestante.

Esisteva un’invisibile ma significativa linea di demarcazione, una specie di frontiera religiosa  ben definita dal Luteranesimo ed ancor più rimarcata dai movimenti radicali Calvinisti che furono poi gli artefici di una nuova filosofia economica  Americana. L’industriale d’oltre oceano aveva bisogno, come non mai, delle loro braccia. L’atmosfera che li accoglieva era tuttavia assai più difficile e diffidente di quella che qualche decennio prima aveva accolto le precedenti ondate.

Carlo GATTI

Rapallo, 19.02.12

 

First, some general information and statistics:

 

According to the records available in Italy, a total of 2,490 Liberty ships were built during the period December 1941 / June 1945, at an average cost of US$ 1,782,192 and average production of 2 ships per day. The unit built in the least time, from keel laying to launching, was the Robert E. Peary that took 4 days, 15 hours, and 30 minutes, during the period 8 - 12 November 1942, at the Permanente Metal Works Yard 2, in Richmond, California. The average time of construction was about 17 days per ship....!

 

The first vessel to be launched was the Patrick Henry (December 1941, in Baltimore). The Stephen Hopckins, using her guns, allegedly sunk the German cruiser STIER (already damaged). The Charles. H. Cugle became, well after the end of the hostilities, the first

 

floating nuclear electric generating plant, under the name of STURGIS and operated by the Army Corps of Engineers.

 

Secondly, with specific reference to the Liberty ships given to Italian Companies, we have the following information:

 

128 ships were delivered in total. The attached tabled list 1 a) gives the original hull number, Shipyard, year of commission, Engine Manufacturer, original US name, year of registration under Italian flag, Italian name, Italian Owner, and home port.

 

List 1 b) shows the life of the 128 ships, with their US original name, the first Italian name, any subsequent names and flags, and finally, the year and place of scrapping.

 

Some additional interesting statistics concerning Liberty ships registered in Italy:

 

First Liberty ship registered under Italian flag: the MONTELLO (ex Harriet Monroe), in 1946, for the company Alta Italia of Genova.

 

Average life of the 128 ships registered in Italy: 24 years.

 

There were 9 ships that were re-engined with diesel engines (see table 2).

 

There were 3 ships converted to storage vessels.

 

Four vessels were cut in two, re-welded to another section and eventually resulting in 2 re-built ships (four halves were scrapped).

 

Four ships, all belonging to Italia di Navigazione, sailed for 27 year under Italian flag (30 and 31 years from commissioning).

 

Out of the total 128 ships, 5 were lost at sea under the original owner and Italian flag, 1 under Italian flag but different owner, 6 under different owner and flag.

 

Of the 128, 104 ships are known to  have been scrapped, 5 ships we do not know their final ending, 3 were converted to storage, 4 were cut in half and became 2, 12 were lost at sea.

 

One ship. the TITO CAMPANELLA, under the original US flag and name (SAMSYLARNA) was sunk by German torpedoes in 1944, in the east Mediterranean. Re-floated and acquired by the company Campanella in 1952, was later sold to Poland in 1961 and named HUTA AOSNOWIEC. Eventually she was scrapped in Bilbao, Spain in 1971.

 

 

Cesare Sorio

 

 

 

 

 

 

 


REX-CONTE DI SAVOIA-L'Epopea dei Levrieri

Anni ‘30

L’EPOPEA DEI LEVRIERI

REX - CONTE DI SAVOIA”

Con questi Giganti di linea, near sisters”, la genovesità entrò nell’olimpo delle grandi tradizioni marinare del mondo.

La loro perfetta armonia: esito felice di equilibrio, eleganza e tecnologia, ebbe il suo ambito riconoscimento con la conquista del prestigioso BLUE RIBBON.

Il REX con il Gran Pavese entra trionfante a New York – Lo attende il “Nastro Azzurro”

The REX arriving at New York – she won the “Blue Ribbon” for her services

Era il 16 agosto 1933. Il Nastro Azzurro fu assegnato al REX sulla distanza storica Gibilterra-New York (L.V. Ambrose): Il percorso di 3.181 miglia fu coperto in 4 giorni-13 ore e 58 minuti, alla velocità oraria di 28,92 nodi.

Il REX sullo scalo di costruzione nei Cantieri Navali di Sestri Ponente.

The REX on the shipyard’s slipway at Sestri Ponente (Genoa)

I dati tecnici delle due navi sono riportati nella parte tradotta in inglese alla fine dell'articolo.

 


Il CONTE DI SAVOIA in navigazione davanti alla Rocca di Gibilterra.

The CONTE DI SAVOIA in navigation off Gibraltar.


Il CONTE DI SAVOIA visto di poppa in navigazione

The CONTE DI SAVOIA seen by the stern in navigation

Per potersi adattare alle colossali misure dei due transatlantici, il porto di Genova dovette procedere alla demolizione del tratto terminale del Molo vecchio e dragare il canale d’attracco verso Ponte dei Mille. Fu progettata e realizzata la nuova Stazione Marittima di Ponte Andrea Doria ed infine fu realizzato un’ulteriore bacino di carenaggio della lunghezza di 261 metri.

Nuvole nere apparvero, in modo prematuro, all’orizzonte e presagirono tempeste su tutto il mondo. Presto

calerà il sipario sulla “stagione d’oro dei transatlantici” che lasceranno la scena ai nuovi barbari.

Un’altra bella immagine dell’elegante linea del CONTE DI SAVOIA

Gli eventi bellici della 2a guerra mondiale interruppero e conclusero la brillante e breve carriera del REX e CONTE di SAVOIA in modo molto tragico.

Nel 1939 sulle murate delle navi italiane vennero dipinte due grandi bandiere tricolori in segno di neutralità, per distinguerle dalle unità degli stati coinvolti nella 2a guerra mondiale.

8 Settembre 1944: il REX sotto i bombardamenti della R.A.F.

The REX under bombardment by the R.A.F. on the 8th September 1944

Il 25.5.1940 la Direzione della Società Italia di Navigazione annunciò la sospensione del servizio transatlantico di linea. REX e CONTE di SAVOIA furono destinate ad un lungo disarmo verso porti più sicuri di quello di Genova.

Il REX, dopo vari scali intermedi, ormeggiò al molo VI° di Trieste.

Il CONTE di SAVOIA trovò l’attracco a Venezia-Malamocco.


1947: il REX colpito a morte giace su un fianco in attesa della demolizione

1947: the REX overturned on her side awaiting demolition


L’11 settembre 1943, i tedeschi incendiarono il CONTE DI SAVOIA per impedirne la fuga e la consegna agli alleati. La nave bruciò completamente e affondò nella rada. Il 6 ottobre 1945 il relitto fu recuperato, ma per una serie di motivi tecnici e soprattutto economici, la decisione fu quella di demolirla nel 1950.

The CONTE DI SAVOIA set on fire by the Germans to prevent escape and possibility delivery to the Allies. She completely burnt out sunk in the roads. On 16th October 1945, the wreck was recuperated, but for a series of technical reasons and above all economical she was finally broken up in 1950.

L’armistizio segnò la fine di queste splendide unità che spaventate e ridotte ad un ammasso di ruggine, rappresentavano ormai l’ombra ed il rimpianto di un’epoca irripetibile.

Il 9 settembre 1943 i Tedeschi occuparono Trieste. Sul REX iniziarono subito le razzie di tutti i suoi preziosi arredamenti, tappeti, quadri, posaterie, porcellane ecc…

Il 13 marzo 1944 l’ex-ammiraglia cambiò bandiera e dal quel giorno fece compartimento Amburgo.

Il 10 giugno 1944 il REX si salvò miracolosamente da un terribile bombardamento a tappeto che colpì tragicamente Trieste.

Molte incursioni della RAF convinsero i Tedeschi a rimorchiare il REX nella rada di Capodistria. Il suo trasferimento non passò tuttavia inosservato agli Inglesi che il 9 settembre 1944 apparvero nuovamente a bassa quota con i temibili Beaufighters e la colpirono a morte, con ben 123 razzi incendiari.

Stessa tragica sorte era già toccata al CONTE di SAVOIA l’11 novembre del ’43 quando la più bella unità italiana fu ridotta ad un ammasso di lamiere fumanti, sotto i bombardamenti di una squadriglia d’aerei tedeschi.

Carlo GATTI

Rapallo, 18.02.12

Questo capitolo é stato estratto dal libro di Carlo Gatti

GENOVA:

STORIE DI NAVI E DI SALVATAGGI

GENOA:

HISTORY OF SHIPS EVENTS AND SALVAGE OPERATIONS

Edizione bilingue: Italiano – Inglese

Nuova Editrice Genovese 2003

 

THE 1930’S

THE GLOURIOUS EPOCA OF THE TRANSATLANTIC LINERS

“REXANDCONTE DI SAVOIA”

With these giants of the “near sisters”, the Genovese entered into the olympus of the great world marine tradition.

Their perfect harmony: the happy outcome of equilibrium, elegance and technology, earned an ambitious reward by being awarded the prestigious:

BLUE RIBBON

To the REX for the historic distance Gibraltar-New York (Ambrose). The voyage of 3.181 miles was done in 4 days, 13 hours and 58 minutes. At the speed of 28,92 knots. It was 16th August 1933.

To be able to accomadate the colossal size of these two transatlantic liners, Genoa port had to proceed to demolish the terminal part of the Old Pier, and deepen the channel towwards the main berth of the Ponte dei Mille Pier.

The new marine Station Andrea Doria Pier was projected and built another drydock of 261 metres.

The wartime events of the Second World War interrupted and concluded the brillant and unfortunately, short career of the liners “REX” and “CONTE DI SAVOIA”.

 

FEATURES

REX

CONTE DI SAVOIA

Type

Liner

Liner

Flag

Italian

Italian

Port of Registry

Genoa

Genoa

Ordered

2.12.29

28.12.29

Shipyard

Ansaldo-Genoa

S.Marco-Trieste

Owner

N.G.I

Lloyd Sabaudo

Launching

1.8.31

28.10.31

Gross Tonnage

51.062

48.502

Lenght O.A. (Mt.)

268

248

Max. Breadth (Mt.)

29.5

29

Draught (Mt.)

10.07

10.00

Engine

Turbine Parsons

Turbine Parsons

Daily consumption

700/800 tonn. Nafta

700/800 tonn. Nafta

Max. Power (H.P.)

142.000

130.000

Decks

12

11

Watertight bulkheads

14

14

Cruising speed

28

29.5

Max. speed

29

29.5

1st Class Passengers

604

500

2nd Class Passengers

378

366

Stearage Passengers

410

412

3rd Class Passengers

866

922

Crew

756

786

Architecture style

‘800

‘900

Inauguration

25.9.32

30.11.32

Maiden Voyage: Dep.Genoa

25.9.32

3011.32

Dates Arr. N.Y.

7.10.32

13.12.32

Captain

F.Tarabotto

A.Lena

Chief Engineer

A.Risso

 

 

Dark clouds overshadowed the world’s horizon like a storm. Only too soon the curtain closed the “golden era of the transatlantics” leaving the scenery to the new “barbarics”.

In 1939 two big tricolour flags were painted on the ships’ sides so as to distinguish them as a sign of neutrality and not involved with the Second World War.

On the 25.5.1940 the Directors of the Company, “Società Italia di Navigazione”, announced the suspension of service of the two liners. REX and CONTE DI SAVOIA, were sent to more secure ports to Genoa for a long lay-up.

The REX after diverse intermediate ports finally tied up at the 6th berth at Trieste. The CONTE DI SAVOIA finally berthed at Venice-Malamocco. The amnistice signalled the end of these splendid vessels which were now reduced to a mass of rusty ruins, representing only a shadow of their past beauty and a great mourning of an unrepeatable epoca.

On 9 September 1943 the Germans occupaied Trieste. Straight away they stripped the REX of all the precious furnishing, carpets, paintings, cutlery, crockery etc..

On the 13th March 1944 the vessels’ flag was changed to a Hamburg base flag. On 10th June 1944 the REX came miraculously through a terribile low flying bombardment which tragically struck Trieste.

The many RAF raids convinced the Germans to tow the REX into the Capodistria roads. Her transfer didn’t go unnoticed by the English who on 9th Novembre 1944 appeared again making low flying raids with those terrible Beaufighters and with mortal hit her with about 123 incendiary rockets.

The tragic event had happened to the CONTE DI SAVOIA on 11th Novembre 1943 when the mass of smoking iron under the bombardment of a German air squadron.


The TALL SHIPS' RACES 2007

THE TALL-SHIP RACE - 2007

MEDITERRANEA

 

L’uomo di mare del terzo millennio dispone di una tecnologia così avanzata che era impensabile immaginare soltanto qualche decennio fa. Tuttavia, l’ambiente in cui si muove il marinaio è sempre lo stesso: quello delle tempeste, delle onde anomale, delle guerre che oscurano i sistemi satellitari di navigazione ecc…. Sembra persino ovvio affermare che le navi moderne siano più “sicure” che in passato, ma nessuna è stata ancora definita inaffondabile; gli uomini di mare lo sanno e sono anche consapevoli che il loro bagaglio  pratico e culturale  deve ancora partire da lontano, dalle cosiddette Navi-scuola che tutte le nazioni marinare adottano per la formazione dei propri quadri naviganti.

Questi preziosi lasciti della Storia Navale, oggi si chiamano TALL SHIPS, ossia gli alti velieri che solcano silenziosi gli Oceani, carichi soltanto di ricordi e di giovani cadetti che portano ovunque la “nostalgia” di un’epopea millenaria e rappresentano ancora la prima vera scuola: “la palestra del vento” per tanti futuri capitani.

La prima Tall Ships Race fu corsa nel luglio del 1956 da Torbay, sulla costa meridionale inglese, a Lisbona, nel Portogallo; i partecipanti erano 20 e l’inglese Moyana, armato dalla Scuola di Navigazione di Southhampton, vinse nella Classe A, mentre l’Italia, con Artica II, si aggiudicò la Classe B. L’avvenimento ebbe luogo grazie, soprattutto, alla tenacia dell’inglese B.Morgan che lottò per il progetto di far rivivere l’epoca dei Grandi Velieri e riuscì ad assicurarsi il patrocinio dell’allora Primo Lord del mare all’Ammiragliato, Louis F. Maountbatten.

Oggi la maggior parte dei velieri di Classe A è impiegata come “nave-scuola”, ma fu proprio la prima Race ad offrire, sin dall’inizio, l’occasione di ammirare queste splendide imbarcazioni, fornendo un ottimo strumento pubblicitario per lo sviluppo della vela, ma anche di un’originale attrazione turistica.

 

Da allora, ad intervalli regolari, la flotta degli alti velieri ha continuato, a visitare, tra una Race e l’altra, decine e decine di tradizionali città marinare in tutto il mondo. Nella stagione 1984, la goletta Marques fu vittima dell’unico disastro verificatosi sino ad oggi nella storia delle Tall Ships. La flotta si riunì a St.Malo e regatò via Las Palmas, sino allle Bermuda, dove si unì alla flotta  americana, che aveva gareggiato con partenza da Portorico. Dalle Bermuda i concorrenti fecero rotta verso Halifax, nella Nuova Scozia. Purtroppo, quando si trovarono al largo della costa orientale canadese, alcune di loro incapparono in condizioni meteorologiche assai sfavorevoli. La goletta Marques fu travolta dalla tempesta ed affondò in due minuti; 19 uomini dell’equipaggio perirono e i soli nove superstiti furono tratti in salvo dalla concorrente polacca Zawisza Czarny.

Il 1992 fu l’anno del “Quinto Centenario” della Scoperta delle Americhe. Ad onorare il Grande Ammiraglio genovese, “colui che ampliò il mondo”, si presentò la Flotta delle Tall Ships in un’importante sfilata. Lo scenario, così denso di colori e silenzi, fu la sintesi di tanti ricordi, ma soprattutto rappresentò  il ponte ideale ed insieme reale che ci unì quel giorno alle nostre radici di marinai.

A nostro parere, questo legame con il passato si esalta ancora di più  nel raffronto squilibrato con le navi d’oggi, che a detta di molti, sono il prodotto di un esasperato gigantismo commerciale.  Ci riferiamo in particolare all’ultimo varo eccellente, la nave porta-contenitori Emma Maersk che è lunga esattamente quattro volte l’Amerigo Vespucci ed ha soltanto 13 persone d’equipaggio.

A questo punto potremmo intrattenervi sulla corsa sfrenata alla robotizzazione, sulla solitudine dei naviganti moderni, sui pericoli di una semplice influenza che potrebbe decimare un equipaggio  già  ridotto, ecc….ma possiamo soltanto dire  che le battaglie contro il progresso sono tanto dannose quanto inutili e quindi sono perse in partenza.

Per il momento non ci rimane che sognare ed aspettare l’evento tanto atteso che avrà luogo il prossimo mese di luglio:

La Regata Mediterranea delle TALL SHIPS organizzata da Sail Training International che prevede il seguente svolgimento:

Dal 4 al 7 luglio  RADUNO ad Alicante.

1a Gara: Il 7  Luglio   PARTENZA da Alicante  -  Il 12 Luglio ARRIVO a   Barcellona

Trasferimento da Barcellona a Tolone.

2a Gara: Il 15 Luglio  PARTENZA da Tolone    -   ARRIVO a GENOVA tra il 28-31 luglio

Sponsor della “Tall Ships Race-Mediterraneo” è la MSC-Crociere, il cui direttore si è così espresso: “La Compagnia ha una vocazione innata per la storia e le tradizioni del mare. Le nostre navi solcano rotte e toccano porti in tutto il mondo; è per noi un onore, oltre che motivo d’orgoglio, poter offrire a Genova, porto d’imbarco delle nostre crociere, la possibilità di ospitare uno degli eventi più sentiti nel mondo della vela”.

Noi siamo felici e fiduciosi che uomini di mare abbiano preso in mano il timone della Manifestazione e proprio a loro rivolgiamo il seguente appello:

“fateci rivivere quell’emozione!”

- Era la Pasqua del 1992. Pochi spettacoli sono stati più emozionanti dell’armoniosa bellezza di una flotta di grandi velieri che sono  scivolati via, silenziosi fuori del porto, lungo una linea sinuosa e policroma che avanzava e si estendeva sempre più verso la costa della Riviera di levante.

In quella splendida giornata d’antichi revival, oltre mezzo milione di turisti estasiati, si unì ai genovesi per ammirare l’immensa rada che improvvisamente si trasfigurò in un sogno vero. Il passato sembrava risorto nelle sembianze di una processione solenne che sgusciava lentamente, con la prora in direzione del santuario della tradizione: la Camogli dei mille bianchi velieri. -

Carlo GATTI

Rapallo, 17.02.12