Arte della PIRATERIA

L'ARTE DELLA PIRATERIA

 

DUE PASSI NELLA STORIA...

Il Mar Rosso termina con uno stretto passaggio chiamato Bab el Mandeb che separa la costa dello Yemen da quella dell’Eritrea. Poco più a sud di questo stretto passaggio, dove transita circa un terzo del traffico navale globale, inizia la costa della Somalia che da una ventina d’anni è in mano a vari signori della guerra. Anarchia e legge del più forte regnano incontrastati, nessuno pare sia in grado di riportare l’ordine e la pace, e a questo proposito, nel 1991 le Nazioni Unite e gli Usa fecero un temerario tentativo nel paese con l’operazione Restore Hope, cui parteciparono anche truppe italiane, ma la mediazione tra i due maggiori capi, Aidid e Ali Mahadi, non ebbe alcun risultato. Peggiore fu il colpo di mano dei commando Usa nel 1994 che tentò di rapire Aidid a Mogadiscio. Il risultato complessivo fu un lungo tappeto di morti somali ed americani. Dopo questi fallimenti a ripetizione, le truppe dell’ONU lasciarono il paese in mano a non meno di dodici gruppi militari in guerra tra loro.

Foto n.1

In questi anni di continua guerriglia, i pescatori somali hanno imparato l’arte della pirateria dai loro vicini di Socotra, ed ora tutta l’area attorno al Corno d’Africa è popolata di pescatori-bucanieri armati fino ai denti, che esercitano questa “antica specializzazione” con rapide operazioni di arrembaggio, sequestro e richieste di somme ingenti ai danni di inermi equipaggi imbarcati su navi civili e disarmate che, loro malgrado,  devono transitare attraverso quei passaggi stretti e obbligati.

La pirateria moderna nel Golfo Persico ricominciò quindi dai primi anni novanta del secolo scorso. Dapprima con sparute azioni ai danni d’alcuni yachts, ma in seguito gli attacchi passarono ad imbarcazioni sempre più grandi fino ad impadronirsi di grosse petroliere, porta-contenitori e lussuose navi da crociera.

Oggi, il nuovo businnes vede coinvolti non solo degli umili pescatori, ma bande ben organizzate con collegamenti internazionali e quando una nave viene sequestrata, in alcuni villaggi inizia il “lavoro” di rifornire turni completi di pirati e di viveri, per favorire le lunghe trattative fino alla liberazione della nave che avverrà in cambio di riscatti di decine di milioni di euro. Le domande che sorgono spontanee sono tante: come possono dei poveri pescatori dello stretto di Aden o delle coste somale riuscire a gestire cifre così grosse? Chi c’è veramente dietro le azioni di pirateria? Chi guadagna sui riscatti milionari pagati dalle compagnie? Dove e come sono investiti gli enormi utili di queste attività criminali? Quali sono le banche che fungono da lavanderia per questa massa monetaria che nel corso del 2008 ha superato il miliardo di euro? Sorge il dubbio che un’attività nata da pochi pezzenti armati di kalashnikov si sia trasformata in un affaire controllato e gestito molto lontano dal Corno d’Africa.

Foto n.2 - La love-boat americana Seabourn Spirit all’ancora davanti a Portofino.

Cannoni Sonar Contro i Pirati.

Breve storia di un assalto mancato

L’otto maggio 2007, la Seabourn Spirit (Miami Seabourn Cruise Line) fu attaccata da due imbarcazioni in acque internazionali. La nave  da crociera era partita da Alessandria d'Egitto e, al momento dell’attacco, si trovava a 160 km al largo delle coste somale. I pirati le intimarono di fermarsi tagliandole la rotta, ma vedendo che la nave proseguiva la navigazione, aprirono proditoriamente il fuoco. Secondo quanto riportato dai passeggeri, i pirati avrebbero utilizzato bazooka, granate e kalashnikov per impossessarsi della nave da crociera.

A quel punto dell’azione, la nave si difese impiegando un’arma sonica in grado di indirizzare con precisione un potentissimo segnale sonoro, talmente fastidioso da inibire qualsiasi gesto ostile. La Seabourn S. respinse l'assalto e la risposta fu talmente sorprendente che gli assalitori caddero in stato confusionale e non riuscirono più a raggiungerla. Sulla nave, tuttavia, uno dei 161 membri dell'equipaggio rimase lievemente ferito. La lussuosa nave, dopo aver respinto i pirati, invertì la rotta e si mise in salvo raggiungendo incolume le Seyschelles. (foto sotto)

Questo dispositivo, conosciuto con il nome di LRAD (Long Range Acoustic Device) e definito "arma non letale", è stato sviluppato per uso militare dopo l'attacco di un gruppo di terroristi legato ad Al Qaeda al cacciatorpediniere americano DDG-67 USS Cole nel porto di Aden, nello stato dello Yemen. Le armi soniche sono finora state utilizzate anche e soprattutto per far sì che le piccole imbarcazioni non tentassero di avvicinarsi alle navi da guerra americane.

Secondo i dati emessi dall’IMO (International Maritime Organization), gli atti di pirateria, dal 1984 a oggi, sono stati 440, ma il fenomeno è stato bruscamente accelerato dalla crisi dello Stato somalo e ha subito una forte impennata nel 2008 dove, fra i 293 attacchi registrati, 111 hanno avuto luogo al largo della Somalia, con un aumento del 200% rispetto all’anno precedente.

Nei primi mesi di quest’anno il fenomeno appare addirittura fuori statistica. Ne ricordiamo soltanto alcuni tra i più ecclatanti.

Il 9 aprile, la portacontenitori Albama Maersk è stata attaccata e il suo comandante è stato rapito dopo un corpo a corpo avvenuto tra l’equipaggio e i pirati sul ponte di coperta della nave.

Un quotidiano del 15 aprile riporta: Aden, nel Golfo dei pirati, sono stati catturati altri tre equipaggi, una nave è riuscita a fuggire, ma nelle mani delle bande somale ci sono ancora 340 ostaggi, fra i quali i dieci marinai del rimorchiatore italiano Buccaneer.

Il 25 aprile, la nave da crociera italiana MSC Melody, con oltre 1500 persone a bordo, è riuscita a respingere l’attacco, usando, per la prima volta, armi da fuoco proprie.

Il 28 aprile è stata la volta del Jolly Smeraldo che è riuscito a fatica a respingere con gli idranti di bordo l’ennesimo attacco dei pirati.

Negli ultimi quindici anni si è assistito a vari tentativi di monitoraggio e controllo della parte ovest dello stretto di Aden da parte delle marine militari di varie nazioni (francesi, canadesi, italiane…), la situazione attualmente è di totale confusione.

Lo stesso IMO, che nella metà degli anni novanta consigliava alle navi di tenersi sottocosta allo Yemen, oggi sconsiglia il passaggio dello stretto di Aden a chi non sia dotato di mezzi adatti a respingere i pirati.

A causa di questi attacchi, le compagnie d’assicurazione hanno aumentato vertiginosamente i premi delle polizze per le navi  impegnate in quelle acque.

Alcune importanti compagnie di navigazione hanno reagito alla scarsa presa di coscienza  di molti Governi, imponendo ai propri comandanti di non attraversare lo stretto di Bab el Mandeb, ma di circumnavigare l’Africa, via Capo di Buona Speranza.

Il canale di Suez, costruito oltre 140 anni fa per accorciare di un mese le comunicazioni marittime tra il Mediterraneo e l’Indiano, ovvero tra Europa e Asia, rischia di diventare un canale inutilizzabile a causa degli atti di pirateria attorno al Corno d’Africa.

Molti altri armatori, prima di abbandonare il più rapido ed economico Canale di Suez, sembrano oggi orientati ad installare il Lrad sulle prue delle proprie navi. L’altoparlante si presenta come un grande piatto nero che invia messaggi acustici, la cui portata è di circa 2.000 metri. Se i pirati si avvicinano alla nave, il Lrad viene girato verso di  loro e spara suoni a 150 decibel (il massimo della sopportazione umana è 120 decibel) disorientandoli e costringendoli alla fuga.

Foto n.3 Una bella immagine della prora della Seabourn Spirit sulla quale è Stato installato il “cannone sonoro” anti-pirati LRAD.

LRAD è un sistema di chiamata e di allarme a lungo raggio di azione, un dispositivo acustico a raggio d’azione indirizzato, progettato per comunicare con autorità e straordinaria chiarezza in un raggio d’azione di 15-30 gradi. Il Sistema LRAD è in grado di emettere un “alto là” verbale fornendo istruzioni a fermarsi al di là dei 500 metri, ed ha la capacità di seguire con un segnale d’avvertimento per influenzare il comportamento di chi attacca, oppure per stabilirne l’intenzione.
Il Sistema LRAD è stato utilizzato, per la prima volta, per sventare un attacco pirata a bordo della Seabourn Spirit, durante una crociera di lusso. Il sistema fu installato come parte del sistema di difesa della nave, e fu attivato quando i pirati attaccarono la nave con RPGs a 160 chilometri dalla Costa Somala. L’attacco fu sventato.
Il Sistema LRAD viene correntemente utilizzato come strumento operativo, o per controllo e valutazione in mare, nei checkpoints, nelle autovetture, nell’aviotrasporto, e come applicazione di sistema integrato dall’ US Navy, US Marine Corps, US Army, e US Coast Guard. Inoltre, LRAD è adatto per essere utilizzato da parte del Dipartimento di Sicurezza Interno, o da Agenzie Governative di protezione della legge, oltre ad infrastrutture di alto valore commerciale.

Il Sistema LRAD è un pannello piatto, multi trasduttore, emittente a fase coerente. Progettato per comunicazioni di alta direzione in più lingue nazionali a più di 300 metri sopra la terra, e a più di 500 metri sopra l’acqua, il Sistema LRAD può anche emettere un segnale di avvertimento che influenzi il comportamento di chi attacca, e ne determini l’intenzione a distanza di sicurezza. Perciò, l’operatore del Sistema LRAD può generare risposte attive nel rispetto delle regole d’ingaggio esistenti.
Indirizzando il divario critico di capacità di “chiusura pericolo”, il Sistema LRAD può salvare vite su entrambi i lati del dispositivo. Nell’operazione remota di configurazione del pan/tilt, il Sistema LRAD fornisce una prima capacità di risposta per la protezione di Forze di ampie infrastrutture.
Il dispositivo acustico è un sistema di ammonimento ed avvertimento altamente direzionabile progettato per comunicare con l’Autorità competente, influenzando il comportamento di chi attacca, e stabilendone l’intenzione. Il Sistema LRAD aiuterà a determinare le intenzioni di chi attacca fino a 500 metri di distanza.

Foto n.4 Il LRAD nel Dettaglio Tecnico.

Foto n.5

Nella prima foto, il LRAD in posizione di puntamento.

Nella seconda foto, la parte posteriore del LRAD, consolle e comandi.

Peso: 45 lbs.
Diametro: 33 pollici di diametro x 5 pollici di spessore.
Massimo Tono SPL: 146 dB sostenuto, 151 db di scoppio ad 1 mt.
Massimo Suono Vocale SPL: meno di 120 db sostenuto, basato su frequenze vocali individuali, e caratteristiche armoniche.
Potenza regolata: Operazioni normali, limite di tono di 120 db ad 1 mt.
Durata: Le condizioni termiche hanno un effetto minimo sulle prestazioni del sistema. Il sistema è conforme agli standard ambientali MIL-STD 810.
Emittente, distorsione armonica: Meno dell’ 1% THD a 126 db, ad 1 mt. , a 2.5 kHz.
Massima potenza utilizzabile: 500 watts; 100-240VAC a 50-60Hz, 5 amps a 115VAC.
Uso Potenza Normale (Tono): 240 watts; 2 amps a 115VAC.
Direzionalità: -20dB a +/- 15° a 2.5kHz.

Il LRAD ha fatto la sua prima comparsa ufficiale durante la seconda guerra del golfo nella regione di Basra e di Falluja. Ufficialmente era stato concepito per comunicare a voce a lunga distanza fra navi da guerra e imbarcazioni sospette in avvicinamento, ma ben presto gli addetti militari si devono essere resi conto degli effetti collaterali di questo strumento. A distanza ravvicinata, infatti, chi è investito dal suono acuto e penetrante emesso da questa specie di altoparlante ad alta intensità, pari ad un valore 50 volte superiore alla soglia del dolore, è completamente incapace di qualsiasi movimento o azione. Se l’esposizione al suono si protrae per piú di qualche secondo, l’apparato uditivo viene irreparabilmente danneggiato. Negli Stati Uniti, il LRAD venne impiegato dalla polizia contro dimostranti nella cittá di New York durante le proteste nel corso della Convention Repubblicana del 2004.

Sergio Romano ha scritto sul Corriere: “che prima di ricorrere alle armi occorre ricordare che i pirati sono banditi e ladri, ma non assassini.” A nostro modesto avviso, si tratta di una nobile affermazione che tuttavia ci lascia perplessi sulla sopravvivenza della democrazia.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10.02.11

 

 

 

 

 

 

 

 

 


L'AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA "RAPALLO"

L'AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO

L’idea di dare nomi di città o regioni Italiane alle navi aziendali nasce prima dell’istituzione dell’AGIP quando, per l’approvvigionamento di prodotti petroliferi, venne costituito il (CUNSA).

Il Varo della RAPALLO a Riva Trigoso. Fu la prima petroliera dell’AGIP

Forse le Sorelle non erano ancora “Sette”, ma all’inizio degli anni ’20, alcune società petrolifere straniere operavano già sul nostro territorio e con le loro navi spadroneggiavano sui nostri mari.

Per contrastare questa aggressiva infiltrazione straniera, fu costituito in quegli anni a Milano il “Consorzio Utenti Nafta S.A.” (CUNSA), con l’obiettivo di rifornire direttamente le industrie del Nord Italia con l’approvvigionamento e la distribuzione della “nafta” ad uso industriale. Fu scelto Vado Ligure come porto di discarica delle petroliere, dove già esisteva un deposito costiero che fu rilevato ed ampliato.

Questa idea d’indipendenza economica poteva realizzarsi, inizialmente, soltanto con l’acquisto di due navi per il trasporto di prodotti petroliferi. All’epoca, tuttavia, non esisteva un vero e proprio mercato di petroliere pronte all’uso, ma furono individuate due navi da ‘carico secco’ in costruzione presso i Cantieri di Riva Trigoso. Le due unità erano state impostate nel 1919 con altri nomi, ma al momento del varo furono chiamate:

RAPALLO di 8500 tonnellate di portata (5800 t.s.l).

RECCO di 8170 tonnellate di portata (5600 t.s.l.)

La trasformazione delle due unità da ‘navi da carico’ in ‘petroliere’ fu realizzata mentre erano ancora sullo scalo. Il risultato fu un compromesso tecnico-costruttivo interessante: le cisterne erano separate da una singola paratia longitudinale e da varie paratie trasversali, avendo così solo cisterne laterali (dal 1925 in poi, invece, si costruirono petroliere con tre file di cisterne, due ai lati ed una centrale). I due scafi avevano ancora i doppifondi a sistema cellulare ed estesissimi raddoppi della coperta per incrementarne la robustezza. Nel complesso l’operazione ‘sidero-chirurgica’ riuscì bene e per avviare questa importantissima attività nazionale, nacque un ‘Servizio Marittimo’ condotto da esperti operatori liguri che, facendo capo al gruppo Barbagelata, svilupparono il nascente settore navale petrolifero su basi molto moderne.

La Rapallo e la Recco navigarono per molti anni trasportando la nafta dall'America, dalla Russia e dalla Persia (Iran) per Vado Ligure, da dove veniva distribuita agli acquirenti a mezzo carri-botte ferroviari.

Il commercio petrolifero si estese presto anche al Veneto e si rese necessario stabilire una base a Venezia che non aveva un deposito costiero. Si rimediò, inizialmente, noleggiando dalla Marina Militare due piccole motocisterne di circa 200 tonnellate di portata: la Stige e la Acheronte, e successivamente affittando il deposito della Regia Marina degli Alberoni, all’imboccatura del canale di Malamocco.

Una bella foto della cisterna RAPALLO in navigazione

In tal modo la Rapallo e la Recco allibavano agli Alberoni e, alleggerite di parte del carico, potevano entrare nel canale della Brentella e finire di scaricare al terminale.

Nel 1925 la CUNSA, con l’incremento delle proprie attività, mutò nome in SNOM (Società Nazionale Oli Minerali), sempre con sede a Genova, e nel 1926, divenuta Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP), trasferì la propria sede a Roma. In piena espansione commerciale l'AGIP impostò i nuovi programmi di sviluppo e stanziò le risorse necessarie per creare una flotta d'avanguardia. Furono varate:

4 motocisterne di 15.000 t.p.l. (destinate al lungo corso insieme alla Rapallo-Recco)

4 motocisterne di 2.000 t.p.l. (destinate al traffico con la Libia e l’Impero)

2 motocisterne di 1.000 e 600 t.p.l. (destinate al traffico con la Dalmazia-Egeo)

La RAPALLO una nave coraggiosa e fortunata

Ricordi di un “anonimo” comandante

La pirocisterna Rapallo nel corso della sua attività cambiò più volte il suo nome. Da una breve ricerca, potrei ritenere che il nome originario dell’unità doveva essere Vittoria, di bandiera italiana e progettata come nave mercantile. Acquistata sullo scalo di Riva Trigoso, fu trasformata in nave cisterna e varata nell’ottobre 1921 e consegnata nel dicembre dello stesso anno con il nome Rapallo.

Allo scoppio del conflitto, il 10 giugno 1940, (la nave si trovava in Atlantico per andare a caricare in U.S.A. e si rifugiò vuota alle Canarie; in seguito uscì dalle acque territoriali Spagnole per andare a prelevare il carico da una petroliera U.S.A. rientrando poi alle Canarie - n.d.r.) cercò di raggiungere la Columbia e trovò rifugio a Cartagena (Mare Caraibico). Dopo l'8 dicembre 1941 la nave fu confiscata dal governo della Colombia.

Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, la Rapallo fu acquistata dal governo USA e utilizzata per il sevizio mercantile. Fu trasformata in nave-appoggio per la propria difesa, e fu armata con un cannone da 4”, una doppia mitragliera da 3”, e otto mitragliere da 20 mm. Ribattezzata Polonaise e gestita dalla Marine Transport Co. di New York City, viaggiò sotto bandiera panamense trasportando fuel oil dai porti del golfo del Messico, da Corpus Christi-Texas ai porti della costa atlantica fino a New York. Inoltre effettuava viaggi-shuttle nei carabi tra Cuba e Duch West Indies. Transitò per il canale di Panama il 26 dicembre 1943 facendo rotta per Pearl Harbor, arrivando a Funafuti Ellice Island ( isola polinesiana a metà strada tra le isole Hawaii e l’Australia) il 3 marzo 1944. Da lì fece rotta per Maturo (Isole Marshalls) dove, l’8 aprile 1944 fu acquistata dalla marina Americana sotto la responsabilità della WSA (War Shipping Administration) e con il nome di Manileno fu affidata al comando del Com.te Eugene L. Mc Manus.

Assegnata al servizio del 10° Squadrone, la Manileno fu utilizzata come nave stoccaggio per il rifornimento delle navi da guerra. In giugno fu allocata a Eniwetock (atollo delle isole Marshall-Oceano Pacifico) per lo stesso uso come nave rifornimento ed in seguito dopo la conquista delle isole Marianne, salpò per Guam (ancora oggi é la più importante base aerea americana nel Pacifico) e lì operò rifornendo centinaia di navi e a sua volta rifornita settimanalmente fino alla fine del conflitto.

Nel periodo della sua presenza nel pacifico si calcola che abbia rifornito più di 200.000 tonnellate di fuel oil alla flotta Americana.

Partita da Guam il 29 ottobre 1945, attraverso il canale di Panama, si diresse a Mobile (Alabama-USA) dove arrivò il 20 dicembre. Vi rimase in attesa di ordini dal 14 gennaio al 7 febbraio 1946, quando fu restituita alla WSA.

Cancellata dalle matricole della Us Navy il 28 marzo 1946, fu venduta alla Società Ligure di Armamento di Genova e poi ceduta all’Agip il 19 maggio 1947, che le ridiede il nome originale Rapallo. Nel 1952 la RapaIlo, per quasi due anni, trasportò prodotti lavorati dal Mar Nero (costa Russa) al Mar Baltico (costa Russa) toccando i porti di Costanza, Helsinki, Leningrado, Stettino. La RAPALLO navigò fino all’aprile del 1955, anno della sua demolizione avvenuta a Trieste”.

Dati tecnici della nave: RAPALLO: piroscafo (cisterna) – 5.812 (Stazza lorda) - 8.500 (Portata) - costruita nel 1921 nei cantieri navali di Riva Trigoso. Appartenente alla Azienda Generale Italiana Petroli (Agip) con sede a Roma. Iscritto al Compartimento Marittimo di Genova, matricola n. 1072. Eliche 1 – Compartimento: Genova - Velocità 11 nodi - Costruzione 1921 –

Lunghezza 115 mt - Larghezza 16 mt - Pescaggio 9 mt - Motore Vapore T.E.

Potenza 2.250 cv - Caldaie 2

Fonti: “UOMINI E NAVI” – La flotta petrolifera ENI in ottanta anni di storia

“LE CARRETTE DEGLI ARMATORI GENOVESI – Pro Schiaffino –N.E.G

Carlo GATTI

Rapallo, 18.04.12



NAPOLEONE CANEVARO, i COOLIES cinesi si ammuntinano

L’Ammutinamento dei Coolies cinesi

trasforma in un rogo il Brigantino di Zoagli Napoleone Canevaro

il più bel veliero del Pacifico

Zoagli è una perla preziosa nota per la sua scogliera ed altre splendide attrazioni naturali e turistiche, ma quanti sanno, per esempio, che per tutto l’800, la ridente cittadina rivierasca era ancora immersa nella sua antica attività marinara che vantava un cospicuo patrimonio di velieri, valenti capitani ed equipaggi? Del resto, soltanto un paese dalla consumata tradizione sui sette mari poteva ricordare i suoi figli chiamando Passeggiata dei Naviganti un tratto del suo splendido lungomare. Ma si rimane ancora più sorpresi quando, nel vicoletto che porta alle incantevoli spiagge del ponente cittadino, si sfiora una bacheca poco visibile, direi riservata, proprio come il cuore dei marinai cui è dedicata nel simbolo della Madonna del Mare. Vi si legge: Tanti gli zoagliesi che soprattutto nell’Ottocento erano un tempo, comandanti e armatori. I Chichizola, i Merello, i Vicini, i Raggio, i Peirano ed i Canevaro hanno battuto i mari dell’America Meridionale doppiando Capo Horn per raggiungere il Cile e il Perù dove molti conterranei si erano trasferiti per lavoro…….Tra le tante navi a vela zoagliesi ricordiamo il Marinin un veloce brigantino che tante cavalleresche sfide ha consumato con i Clipper inglesi sulle rotte del riso e del teak a Rangoon. La famiglia più celebre quella dei Canevaro, oltre che per i traffici commerciali, si distinse per il ruolo svolto nella storia dell’Italia Risorgimentale….

Sarebbe arduo, nel breve spazio di quest’articolo, introdurci nei lunghi elenchi navali ricostruiti fedelmente dagli storici Giò Bono Ferrari e Tomaso Groppallo e poter raccontare di quell’attività caduta – purtroppo - nell’oblio. Ma prima di addentrarci nel racconto del tragico epilogo del Napoleone Canevaro, per maggior comprensione dell’avvenimento, proietteremo brevemente un po’ di luce su quell’inquieto periodo storico dell’ Epopea della vela.

Sin dal 1841 le grandi potenze: Inghilterra, Francia, Austria, Russia e Prussia, stipularono un trattato che parificava la tratta degli schiavi neri alla pirateria. Da allora cominciò a scemare quell’orrendo traffico umano dal continente africano, ma iniziò quello dei cinesi, con metodi, a dire il vero, non sempre trasparenti, che passò alla storia con il nome di “migrazione dei coolies”, che erano lavoratori cinesi reclutati con il sistema che oggi potremmo chiamare del caporalato. I coolies lavoravano essenzialmente nei campi per la coltivazione del cotone, nella raccolta del guano o nei cantieri edili e per la costruzione delle ferrovie.
Le condizioni di lavoro erano durissime, tanto che spesso scoppiavano rivolte.

Questi esodi iniziarono, pare, nel 1847 lungo le rotte battute dai velieri che trasportavano guano peruviano in Oriente e che si assicuravano il nolo di ritorno imbarcando coolies, prima a Macao e poi a Canton. Si sospetta, in realtà, che erano in gran parte reclutati dalla mafia cinese, che spesso li “stivava” in numero esagerato sui brigantini dell’epoca. Le statistiche parlano chiaro: nel solo quinquennio tra il 1870 ed il 1874 arrivarono in Perù più di cinquantamila coolies.

Colonie di Pellicani, cormorani ed altri uccelli acquatici sulle coste peruviane

I coolies venivano trasportati a Cuba, oppure lungo la costa sud-occidentale del Pacifico, soprattutto in Perú, da cui una parte cospicua ripartiva per le Islas de Chinchas, tre isolotti nella baia del Pisco sotto al Callao, tra i 14 e 13 gradi sud di latitudine. Non vi erano approdi e risorse alimentari ed erano percorsi continuamente dalla risacca; sembravano innevate e popolate solo da immensi stormi di pellicani, cormorani e albatross che avevano scelto da secoli la loro residenza su quegli scogli solitari. Nel tempo, si era formato uno strato di sterco biancastro che variava dai 18 ai 30 metri e che li aveva ricoperti completamente. Questo prezioso quanto acre tesoro chiamato guano, impediva lo sviluppo della vita biologica ad eccezione di zanzare, lucertole e naturalmente i coolies trapiantati, che si dedicavano al suo raccolto che era richiesto in tutto il mondo come fertilizzante agricolo. Una cosa è certa, la quasi totalità dei cinesi non era composta di uomini di mare, bensì di gruppi reclutati nelle sperdute campagne della Cina e tra loro non mancavano “sventurati reietti della vita, quali debitori insolventi, contadini rovinati dalla siccità o dalle inondazioni, criminali liberati dal carcere e così via”.

I veri problemi giungevano, infatti, con le prime burrasche oceaniche quando gli emigranti cedevano al panico e presto innescavano turbolenze ed agitazione che spesso volgevano in rivolta. In altri casi, invece, sobillati da pirati di professione, i Coolies si appropriavano del veliero per esercitare agguati e atti di pirateria ai bastimenti carichi di merce preziosa. Tra i tanti fatti di mare che hanno testimoniato la leggendaria presenza di marinai zoagliesi sugli Oceani, uno in particolare, ci è rimasto impresso nella memoria fin dai primi anni di scuola, quando spesso e volentieri sprofondavamo nei racconti degli scrittori di mare che ambientavano i loro viaggi avventurosi nel Mar della Cina e nelle Isole del lontano Oriente.

Il brigantino a palo “Napoleone Canevaro” - dell’armamento di Zoagli - era noto per essere il più bel bastimento del Pacifico. Della sua tragica fine ci è rimasta una relazione consegnata al Console italiano di Macao dal Capitano d’armamento Giuseppe Chiappara: Fine della nave “Napoleone Canevaro” di Zoagli. “Detta nave era partita dal Macao nel giugno del 1875 al comando del cap. Venturini con 650 emigranti cinesi diretti al Perù. Aveva 34 uomini d’equipaggio, quasi tutti liguri. Dopo dieci giorni di navigazione i cinesi si ribellarono all’equipaggio, nell’intento d’impossessarsi della nave. L’equipaggio si difese disperatamente. I cinesi, visto che non potevano domare quel pugno di uomini, diedero fuoco al corridoio nella speranza di asfissiarli. Il Capitano e pochi marinai superstiti poterono da poppa, calare in mare una scialuppa, nella quale presero imbarco, mentre i cinesi, vistisi padroni del campo, emettevano grida di giubilo. Ma l’incendio che essi avevano provocato, sicuri di poterlo circoscrivere, progredì invece, anche a causa del forte vento. La nave divenne così un enorme falò. Fu vista bruciare in pieno Oceano per vari giorni. E dei quasi settecento cinesi ammutinati, non uno trovò scampo. L’equipaggio zoagliese, che da lontano vide l’immane braciere, dopo d’aver vagato per molti giorni sull’Oceano, fu raccolto da un veliero amburghese (?) e portato a Saigon”.

Altre fonti storiche ci dicono che il Napoleone Canevaro imbarcò a Macao una partita di ottomila pacchi di razzi. I cinesi, ignorando la presenza a bordo di un carico così pericoloso, usarono per ribellarsi l’arma più sbagliata: il fuoco, che appena innescato, distrusse il bel brigantino di Zoagli.

Il fumo circonda l’agonia del brigantino che sta per essere inghiottito dall’Oceano

Si raccontò inoltre che la prima ribellione avvenne nel Mar delle Filippine, ma il complotto fu sventato dal Capitano Venturini e dal suo equipaggio che riuscì a mettere ai ferri un cospicuo numero di cinesi. Alcuni giorni dopo, altri cinesi insorsero e trucidarono di sorpresa alcuni marinai e respinsero il resto dell’equipaggio a poppa e dettero fuoco al gavone di prora. Fu a questo punto che il Capitano diede l’ordine di mettere la lancia in mare e non mancò, tra l’altro, il tentativo di salvare la nave con un atto d’eroismo: il Capitan d’Arme, il Medico e l’Interprete vollero tornare a bordo per cercare di allagare il deposito dei razzi, ma non fecero in tempo. L’esplosione avvenne quasi subito. A bordo morirono tutti. I superstiti dell’equipaggio stipati sulla lancia di salvataggio videro piovere rottami incandescenti e membra umane. Poi arrivarono branchi di squali famelici a cancellare le tracce di quell’immane tragedia del Pacifico. Dopo tre settimane di stenti, Venturini ed i suoi zoaglini, vennero raccolti, forse da un clipper americano e non tedesco come riportato in precedenza.

Nel trasporto dei coolies fu coinvolto anche l’Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi che scrisse nelle sue memorie: “Il 10 gennaio 1852 salpai dal Callao per Canton. Impiegai circa 93 giorni sempre con vento favorevole, passando alla vista delle Isole Sandwich ed entrando nel Mar della Cina, fra Luzon e Formosa; giunto a Canton il mio consegnatario mi mandò ad Amoy non trovandosi a vendere il carico di guano nella prima piazza. Da Amoy tornai a Canton ove si cambiarono gli alberi della Carmen trovati guasti, ed il rame. Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima.” Garibaldi non spiega il tipo di carico della Carmen, ma si sa che era formato da qualche centinaia di coolies. Nel 1853 la “tratta di questi operai cinesi” era ancora molto intensa.

Fu soltanto intorno al 1858 che il reclutamento dei coolies cominciò a scemare per effetto di un accordo tra le grandi Potenze di allora, lasciando un ricordo quasi romanzesco. In seguito, quel tipo d’emigrazione ricevette il suo colpo di grazia con l'inizio dell'esportazione dei nitrati del Gran Deserto Salato di Tarapaca che sostituì il guano come fertilizzante; solo allora (1884) la campana suonò a morte sulle attività alle guaneras. Secondo il Lubbock, Garibaldi fu presente ad alcune sanguinose schermaglie, ma le navi italiane o quelle peruviane armate da nostri antenati rivieraschi non si macchiarono mai di inutili crudeltà. Lo stesso armatore chiavarese Denegri ebbe a dire su Garibaldi: “M’ha sempre portato cinesi nel numero imbarcato, e tutti grassi e in buona salute, perché li trattava come uomini e non come bestie.”

Il Napoleone Canevaro scomparve negli abissi trascinando con sé molti cinesi e una parte dell’equipaggio zoaglino. Dispiace doverlo affermare, ma soltanto i nostri marinai furono le vittime innocenti di quel disastro, e ci sembra giusto non dimenticarli mai. Anche la perdita del brigantino a palo più bello dell’Oceano Pacifico fu dura da digerire, ma gli armatori nostrani dell’ottocento avevano lo “scafo” di quercia, robusto come quello dei loro velieri e presto ne vararono altri ancora più forti, più belli e più grandi.

Carlo GATTI

Rapallo, 25.03.12