APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA - LA RESISTENZA NORVEGESE - PARTE TERZA

APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA 

LA RESISTENZA NORVEGESE

PARTE TERZA

Dopo la ritirata delle forze alleate dalla Norvegia centrale, il teatro delle operazioni si restrinse a Narvik ed ai territori settentrionali. In quella zona il comandante tedesco Dietl, isolato e circondato, al comando di 2.000 soldati da montagna e di un numero piuttosto cospicuo di marinai (circa 2.000) superstiti dei cacciatorpediniere tedeschi, si stava rivelando un osso duro. 
Durante il mese di aprile, il Maggiore inglese Generale P.J. Mackesy, Comandante di tutte le Forze di terra, aveva ricevuto buoni rinforzi: mezza brigata di “Chasseurs Alpins”, mezza brigata di uomini della Legione Straniera, una brigata di “Chasseurs du Nord” polacchi, alcuni pezzi di artiglieria e carri armati. Egli riuscì ad attestarsi in alcune postazioni a cavallo dell'Ofotfjord mediante sbarchi effettuati fuori dalla portata delle postazioni tedesche. All'inizio di maggio, a causa della sua scarsa aggressività, oppure per l'incapacità di quei forti contingenti alleati di avere ragione di Dietl, la situazione diventò intollerabile. 
Al suo posto di Mackesy fu nominato l’Ammiraglio Lord Cork quale comandante di tutte le forze inglesi, francesi e polacche intorno a Narvik. L’alto ufficiale era già stato coinvolto con successo in una Spedizione in aiuto ai finlandesi e si era guadagnato la fama di aggressive attacking officer.

Un discorso a parte merita il contingente territoriale norvegese, il cui comandante, il Generale norvegese Carl Gustav Fleischer ebbe un grande ruolo in quei giorni, perchè seppe infondere nei giovani militari norvegesi il giusto spirito bellico che servì per comunicare ai tedeschi il primo segnale di resistenza. La sua prima azione fu quella di mobilitare  le scarse forze disponibili per contrastare l’azione degli invasori tedeschi. A sua disposizione aveva:

il 2° Battaglione del Nord Hålogaland-Reggimento di Fanteria (II°/IR-15) che fu inviato verso il fronte Sud all’alba del 9.4.40.

1 Compagnia costituita da Cadetti e Istruttori della Scuola Ufficiali di Harstad (60 Km a nord-ovest da Narvik) che venne per prima in contatto con il nemico.

In questa mappa del War Museum di Narvik, a sinistra le frecce nere indicano l’attacco terrestre tedesco del 9 aprile 1940 partito in due direttrici, verso la zona del Lapphaugen a nord-est e verso il Bjørnfjell alle spalle di Narvik. A destra invece è segnato da frecce bianche il contrattacco dei norvegesi e degli alleati il  10 giugno 1940.

 

La Guerra sui Monti.

In questa seconda cartina viene riprodotta ancora una volta la controffensiva dei norvegesi del 10 giugno 1940                          

    p.g.c. del War Museum di Narvik

Il 12 aprile i tedeschi furono temporaneamente fermati a Gratangen (30 km  a Nord-Nord-Est di Narvik-vedi cartina sopra) dopo una dura battaglia. I ragazzi norvegesi dimostrarono un eccezionale spirito combattivo che si prolungò per i due mesi successivi, fino al ritiro degli Alleati.

 

ANCHE LE CONTEE A NORD DI NARVIK SONO COINVOLTE NELLA GUERRA

CONTEA DI TROMS

 

 

a.b.c. - Centro amministrativo è Tromsø, (150 km in linea d’aria a NNE da Narvik),  sede delle Forze Armate Norvegesi, 6° Divisione di Fanteria e gran parte dell’Aeronautica. Molti paesi nominati in questo saggio fanno parte di questa contea: Balsfjord, Bardu, Gratangen, Harstad, Lavangen, Målselv, Tranøy, Tromsø ecc..

I tedeschi ebbero qualche ripensamento sull’efficienza delle truppe del Nord e durante questo periodo di cautela, i norvegesi mobilitarono i 2 Battaglioni di Troms 16° Reggimento di Fanteria (IR-16)  e di spostare il Battaglione di Alta (il più popoloso comune del Finnmark- 17.000 abitanti) e il 1° Battaglione di Sør-Trøndelag del Reggimento di fanteria (1°/IR-12) dal Finnmark (la regione più a nord della Norvegia) verso sud.

CONTEA DI FINNMARK

Centro Amministrativo è Vadsø, la maggior parte dei Lapponi è concentrata nel Finnmark. I comuni principali sono: Alta, Hammerfest, Nordkapp, Tana, Vadsø, Vardø.

Le forze norvegesi furono spinte insieme verso Fossbakken (vedi cartina) e riuscirono a tenere a distanza le forze germaniche che si erano assestate fin dal 13 aprile sul fronte di Lapphaugen. A questo punto c’è da rilevare un fatto importante: Questa battuta d’arresto fu considerata dagli storici come la prima sconfitta della Germania nella Seconda guerra mondiale. Il 24 aprile sull’onda del successo proseguirono la controffensiva, ma i tedeschi operarono una ritirata strategica dall’area di Lapphaugen (vedi cartina) favoriti da forti burrasche e piovaschi intensi. In effetti si riunirono con altre truppe che avevano bivaccato a Elvenes (vedi cartina) e mossero con rapidità un attacco di sorpresa al I°IR-12 che aveva ripiegato di notte verso una postazione che aveva una scarsa via di fuga. Il risultato dell’incursione tedesca fu pesante: il Battaglione ebbe 24 soldati uccisi e 60 feriti. Il morale dei norvegesi, tuttavia, non fu scalfito e lo dimostrò pochi giorni dopo durante l’offensiva del 1° maggio. Il nemico infatti si era ritirato verso sud e si trovava a Gressdalen e sui monti intorno a Leigastiden (10 km a NE di Bjerkvik), quando le truppe Chasseurs Alpins francesi cominciarono a fluire in forze dal fronte meridionale e occidentale.

 

 

La cartina mostra le località dove si sono svolte le maggiori battaglie tra i Tedeschi e gli Alleati inglesi, francesi e polacchi sbarcati nel nord della Norvegia.

 

I primi sbarchi delle truppe inglesi avvennero a nord e sud di Trondheim soltanto una settimana dopo il colpo di mano tedesco, più precisamente era il 15 aprile e sbarcarono nel nord, presso Harstad (50 km a NW di Narvik). Il giorno successivo altri sbarchi si ebbero nel fiordo di Namsos (130 km a NNE di Trondheim) con mezza brigata di Chasseurs Alpins francesi e presso le città di Aandaisnes e Molde (180 km a SW di Trondheim). Le difficoltà sul terreno per le truppe alleate si manifestarono subito, sia per la mancanza di adeguato equipaggiamento pesante, sia per il completo dominio dei cieli da parte della Luftwaffe, che ora poteva usufruire anche degli aeroporti di Sola (vicino a Stavanger -170 km a sud di Bergen) e di Fornebu (Oslo). Inoltre i tedeschi si impadronirono delle linee ferroviarie, fondamentali per lo spostamento in un paese come la Norvegia privo di grosse infrastrutture stradali.

Il secondo sbarco degli Alleati. Nella notte del 13 maggio, con i sette mezzi da sbarco inglesi disponibili, sbarcò a Bjervik il 1° battaglione della Legione straniera e 3 carri armati francesi. Nonostante il fuoco delle mitragliatrici tedesche, le perdite furono leggere. I carri armati ridussero ben presto al silenzio le mitragliatrici, ed i legionari avanzarono lungo la strada per congiungersi con i norvegesi che, sulle montagne orientali, avevano preparato la strada per lo sbarco mediante un nuovo attacco. 
Non restava che occupare Narvik e circondare Dietl.

I tedeschi erano presi tra due fuochi, a Nord dai norvegesi, a Sud dai francesi. Lo sbarco degli alleati francesi avvenne con la copertura dei cannoneggiamenti delle navi da guerra inglesi che, purtroppo, distrussero un numero incredibile di case e fecero anche 16 vittime tra i civili.

Il tenente generale inglese Sir C.J.E Auchinleck, arrivato a Harstad  l'11 maggio, decise, come si è visto, di esonerare Mackesy dal comando, ma saggiamente evitò di troncare la collaborazione tra la Legione Straniera e la Marina Inglese, che stava cominciando a dare buoni frutti. Intanto i norvegesi avevano ricacciato indietro i tedeschi, raggiungendo la zona elevata di Kobberfjell (22 km NE di Narvik), da dove potevano minacciare la base di rifornimento di Dietl situata sulla frontiera svedese. Le condizioni atmosferiche erano proibitive. Tanto i norvegesi quanto i tedeschi risentivano del fatto di essere rimasti a lungo sulle montagne coperte di neve, e gli uomini di Dietl, reduci da un lungo periodo di ininterrotta attività, erano stremati.

Il 20 maggio i norvegesi attaccarono ancora una volta, costringendo i tedeschi a ritirarsi nella loro ultima posizione di montagna. Il 22 ed il 25 maggio Dietl ricevette rinforzi. Dai primi di aprile in poi, alcune unità di paracadutisti che avevano preso parte ai primi colpi di mano, furono lanciate in suo aiuto. 
Infine, nelle prime ore del 28 maggio, dopo un preliminare bombardamento navale, gli uomini della Legione Straniera, utilizzando i cinque ultimi mezzi da sbarco disponibili, sbarcarono sul lato settentrionale della penisola di Narvik. Il resto dei due battaglioni della Legione ed un battaglione norvegese seguirono su battelli da pesca. Un attacco tedesco sulla parte alta del litorale fu respinto. Francesi e norvegesi avanzarono attraverso la penisola puntando su Narvik e i tedeschi dovettero ritirarsi come meglio poterono su una nuova linea difensiva più a nord. Béthouart intanto si preparava a premere lungo i fianchi del fiordo, mentre sulle montagne in prossimità della frontiera svedese, i norvegesi si apprestavano a sferrare l'attacco decisivo che avrebbe isolato Dietl dalla linea ferroviaria, disperdendone le forze. Purtroppo la fine della resistenza nella Norvegia centrale aveva permesso ai tedeschi di disimpegnare forze e il primo pericolo che minacciò gli alleati a nord, fu costituito dagli attacchi aerei. Harstad era stata bombardata a più riprese, e sebbene gli alleati vi avessero installato notevoli difese contraeree, era ormai chiaro quanto fosse indispensabile farvi affluire aerei da caccia. Il 26 aprile la Furious, che era rimasta a nord con i suoi lenti Swordfish da ricognizione e da bombardamento, salpò per la Scozia.

La Ark Royal  poco dopo il completamento (fine 1938-inizio 1939)

Dieci giorni dopo l’Ark Royal arrivò al largo di Harstad ed i suoi Blackburn Skua (bombardieri in picchiata) poterono finalmente svolgere una modesta  attività di copertura. I lavori per l'approntamento di campi d'atterraggio per i caccia erano a buon punto, ed il 21 maggio i Gladiator del 263° gruppo giunsero a Bardufoss; i caccia inglesi riportarono subito notevoli successi abbattendo numerosi aerei tedeschi. Il 28 maggio giunsero nel settore gli Hurricane del 46° gruppo e, poiché una seconda pista di atterraggio allestita in prossimità di Harstad si dimostrò inutilizzabile, scesero anch'essi su Bardufoss. Da quel momento in poi le forze alleate poterono contare su di un certo grado di copertura da parte dei caccia. 
Ma i tedeschi avevano anche cominciato a muoversi a terra dirigendosi verso nord.

I francesi e i norvegesi avevano occupato Narvik il 28 maggio,  ma i preparativi per l'evacuazione erano cominciati, mentre ancora si stavano completando quelli per la conquista della città. La sera del 11 giugno Cork ebbe finalmente il permesso di comunicare a Re Haakon che gli alleati intendevano ritirarsi; Ruge ne fu informato la mattina seguente. Le parti convennero di posticipare di 24 ore l'operazione, sperando che i tedeschi accettassero la proposta di dichiarare Narvik città neutrale e d’affidarne il controllo agli svedesi; ma la richiesta fu respinta e la ritirata continuò. 


Nello stesso momento, a Sud di Narvik presero posizione 4 Battaglioni della Brigata Polacca Podhale (4778 soldati) che rilevarono le forze Inglesi e Francesi. Li comandava il generale Zygmunt Bohusz Szyszko, 47 anni. I polacchi facevano parte della North Western Expeditionary Force che contava su 12 battaglioni in totale. I Polacchi possedevano armi francesi e si rivelarono degli eccellenti combattenti. Durante le due settimane successive, liberarono le coste da SO a SE di Narvik (Ankenes-Halvøya e Beisfjorden) e spinsero i tedeschi verso i monti a NE della città.

Gli incrociatori da battaglia Gneisenau e Scharnhorst l'incrociatore Hipper e quattro cacciatorpediniere salparono da Kiel la mattina del 4 giugno. L'ammiraglio Marschall, che comandava la formazione, aveva ricevuto ordine di alleggerire la pressione su Dietl attaccando Harstad e di portare poi le sue navi a Trondheim in modo da appoggiare l'avanzata verso nord. Sebbene le condizioni atmosferiche fossero buone, le navi attraversarono il Mare del Nord senza essere avvistate, incontrarono una nave cisterna in punto prestabilito e, nelle prime ore dell’8 si avvicinarono alla costa settentrionale della Norvegia in formazione di perlustrazione (anziché entrare nei fiordi per bombardare Harstad, Marschall aveva infatti deciso di attaccare i convogli britannici cui era segnalata la presenza in mare). Quasi improvvisamente i tedeschi avvistarono navi inglesi: le prime due, una nave cisterna ed una nave di linea vuota, furono affondate, la terza, una nave ospedale, fu lasciata andare.

Ritornando allo scenario precedente, ci furono delle cruente battaglie sulle alte montagne a Est di Leigastinden tra Lapphaugen e il Bjørnfjell, vicino al confine svedese. I due Battaglioni Troms, con grande sacrifici e difficoltà di rifornimenti e comunicazioni di qualsiasi tipo, senza alcuna possibilità di essere sostituiti da truppe fresche, con cannoni pesanti da trasportare con i cavalli in condizioni ambientali estreme, spinsero i tedeschi indietro, roccia dopo roccia, da una cima all’altra per il lungo periodo che va dal 1° maggio fino al 8 giugno. Poi, improvvisamente, giunse l’ordine che aveva in sé una profonda delusione:

“Tutte le Forze Norvegesi devono ritirarsi”

La vittoria era ormai acquisita. I vagoni ferroviari erano pronti al confine per evacuare i tedeschi dalla Norvegia alla Svezia. 

Con l’entrata in guerra dell’Italia, si era aperto un nuovo Fronte nel Sud Europa che richiedeva l’immediato rientro degli Alleati dalla Norvegia.

Prima di quell’infausto annuncio, anche Narvik fu riconquistata dopo una spettacolare battaglia sul Taraldsfjellet alle spalle della città. Le truppe norvegesi e la Legione Straniera francese presero d’assalto la montagna con l’appoggio del fuoco di copertura delle navi inglesi e con i cannoni francesi e norvegesi di Øyjordhaløya poste sull’imboccatura del Rombaksfjord. Nello spazio di poche ore di fuoco intenso, la II/IR-15 perse un quarto della sua forza. 17 furono le vittime.

 Purtroppo, il sacrificio di tutti questi giovani valorosi combattenti norvegesi di tutte le armi valse solo a salvare l’onore della Patria e a guadagnarsi il rispetto di tutto il mondo che in quei primi mesi di guerra tenne gli occhi e gli orecchi puntati su questo teatro di guerra, dove i tedeschi non ebbero vita facile come credevano, e soltanto un capovolgimento strategico della storia in corso, li salvò, probabilmente, da una grande umiliazione, sproporzionata senz’altro alle loro sconfinate ambizioni di espansione territoriale.

Così il 7 Giugno i soldati alleati, stanchi e demotivati, abbandonarono Narvik. Insieme a loro, anche il Re e i membri del governo lasciarono la Norvegia.

Fu sulle montagne, quindi, che i soldati norvegesi furono informati che il loro attacco,  che avrebbe completato la disfatta di Dietl, era stato annullato. Il 7 giugno Re Haakon e i ministri norvegesi s’imbarcarono a Tromsø sull'incrociatore Devonshire, lasciando Ruge, dietro sua richiesta, con i suoi soldati.

L' 8 giugno gli ultimi soldati inglesi e francesi s’imbarcarono a Harstad, mentre le difese contraere rimasero attive fino all’ultimo momento. Dopo di che i cannoni furono distrutti e gli aerei da caccia decollarono per ritornare sulla Glorious.

Il 9 giugno entrò in vigore un armistizio preliminare tra i tedeschi e i norvegesi superstiti. Dietl si mostrò generoso nei confronti di Ruge, e i soldati norvegesi poterono tornarsene alle loro case. Sebbene gli inglesi non se ne rendessero conto, in quel momento la minaccia più grave  non era quella proveniente dalla terra o dal cielo, bensì dal mare.

LA FUGA DEL RE HAAKON E DEL GOVERNO

Anticipando gli sforzi tedeschi per catturare il Governo,  la Famiglia Reale, l’intero Parlamento e alcuni alti funzionari del Ministero della Difesa e dell’Amministrazione civile prepararono la loro fuga in Gran Bretagna insieme alle truppe alleate che si stavano ritirando. La ritirta cominciò quando le Autorità norvegesi lasciarono frettolosamente Oslo in treno e in auto, trasferendosi prima a Hamar (120 km a Nord di Oslo) e poi a Elverum (25 km a Est di Hamar), dove fu convocata una sessione straordinaria del Parlamento. Grazie alla presenza di spirito del presidente del Parlamento Carl Johan Hambro, il governo approvò un provvedimento d’emergenza (noto come: Autorizzazione Elverum)* che dette la piena autorità al Re e al Governo fino a che l’Esecutivo non si fosse di nuovo riunito. Tale Atto dette al Regno e al suo Governo l’autorità costituzionale per rifiutare l’ultimatum dell’emissario tedesco Curt Bräuer. Re Haakon e il Principe Olav con i membri del Governo norvegese riuscirono a evitare tutti i tentativi di cattura e viaggiarono attraverso le remote regioni dell’interno finchè  arrivarono a Målselv (90 km a NNE di Narvik), dove fecero una sosta breve a Trollhaugen vicino a Olsborg (3 km a Nord di Målselv), prima di continuare per Dybwad Holmboe’s presso Langvatnet in Balsfjord (60 km a Sud di Tromsø).

Qui rimasero fino al 7 giugno Assicurando la legittimità costituzionale.

* Il Parlamento norvegese minò alla base qualsiasi tentativo di Vidkun Quisling (collaborazionista nazista) di rivendicare il Governo per sé. Dopo che Quisling ebbe proclamato la propria assunzione del Governo di Norvegia, diversi membri della Corte Suprema presero l’iniziativa di istituire un Consiglio Amministrativo (Administrasjonsrådet) nel tentativo di fermarlo. Ciò fu però considerata un’iniziativa controversa e infatti il legittimo Governo norvegese rifiutò di appoggiare tale Consiglio, mentre le autorità tedesche semplicemente lo sciolsero.

 

ALCUNI PUNTI FERMI....

  1. a) - Durante l’invasione germanica della Norvegia, si ricorda che diverse unità militari norvegesi lanciarono numerosi contrattacchi contro i tedeschi, cooperando con le forze britanniche e polacche, ed ebbero un certo successo.

  2. b) - Con lo sbarco degli Inglesi-Francesi-Polacchi a Narvik, si accese una grande speranza di liberazione, che purtroppo tramontò poco dopo, con il ritiro delle loro truppe a causa dell’apertura di un nuovo fronte nella Francia meridionale.

  3. c) - Quando la Norvegia settentrionale cadde in mano naziste, il Governo norvegese era già riuscito a fuggire in Inghilterra, insieme alla Famiglia Reale. In esilio a Londra, fu mantenuta la legittimità costituzionale e, di fatto, la Norvegia entrò a far parte dello schieramento alleato.

  4. d) - Il Governo Inglese si mosse su due linee: unì le truppe norvegesi a quelle alleate, e collaborò con la Norwegen Transport Shipping (Nortraship), la maggior organizzazione mondiale di spedizioni marittime, (mobilitava circa 1.000 navi mercantili), per il supporto logistico nel trasporto di merci e

e) - Quest’ultimo punto determinò nell’Alto Comando germanico la preoccupazione che gli Alleati potessero tentare di riprendere la Norvegia. Ciò spiega l’impegno in Norvegia di centinaia di migliaia di soldati che altrimenti sarebbero stati dislocati su altri fronti.

LA  RESISTENZA  NORVEGESE

La Norvegia si difende

Dal 1940 al 1945, la Resistenza Norvegese si oppose all’invasore ed occupante nazista con diverse forme di ostilità e combattimento:

  1. A) - Sostegno al Governo norvegese in esilio e, di conseguenza, mancato riconoscimento di legittimità al regime di Vidkun Quisling e all'amministrazione del Reichskommissar Josef Terboven.

  2. B) - Difesa iniziale della Norvegia meridionale che fu in larga parte disorganizzata, ma diede tempo al Governo norvegese di evitare la cattura.

  3. C) - Difesa e contrattacco militare, maggiormente organizzata nelle regioni della Norvegia occidentale e settentrionale, che fu finalizzata ad assicurarsi posizioni strategiche e all'evacuazione del Governo.

  4. D) - Resistenza armata, nelle forme del sabotaggio, dei raid dei commando e altre operazioni speciali durante l'occupazione.

  5. E) - Disobbedienza civile e resistenza passiva.

 

Le basi SEPALS dei partigiani norvegesi a Est della città di Narvik sono segnate sulla carta (sopra) dalle bandierine con il loro nome in codice.                        

(Narvik, War Museum)

 RESISTENZA ARMATA. Oltre alle già citate battaglie di Narvik, furono portate a compimento numerose altre azioni militari con l’intento, sia di rovesciare le Autorità naziste, sia di contribuire allo sforzo bellico in generale. La Resistenza Norvegese s’impegnò attivamente nel “transito clandestino” di popolazione tra la Svezia e la Norvegia, ma anche verso le Isole Shetland, impiegando barche da pesca che furono chiamate Shetland Bus.

La MILORG iniziò come piccola unità di sabotatori e finì per costituire una vera e propria Unità militare.

La COMPANY LINGE si specializzò in incursioni e combattimenti costieri. Si ricordano le ripetute incursioni realizzate presso le Isole Lofoten, Måløy e altre aree costiere. La sua partecipazione si estese, con ricognitori norvegesi, alla distruzione delle corazzate tedesche Bismarck e Tirpiz.

 

 

Manifesto del celebre film “Gli Eroi di Telemark”

 Nell’area occupata del Telemark (Regione centro-meridionale della Norvegia) funzionava a pieno ritmo una fabbrica di Acqua Pesante, ritenuta indispensabile per la costruzione della Bomba Atomica tedesca. La fabbrica era una minaccia per gli Alleati e andava neutralizzata. La complessa operazione è stata fra l’altro rievocata in un celebre film:

GLI EROI DI TELEMARK

La fabbrica era arroccata fra le montagne, difficilissima da bombardare, così fu decisa un’azione di sabotaggio. L’impresa fu affidata a un pugno di uomini della Resistenza norvegese. Il 27 febbraio 1943, quattro di loro riuscirono ad introdursi nel sorvegliatissimo complesso. Sistemarono l’esplosivo e uscirono prima che si consumassero i trenta secondi della miccia. L’operazione riuscì brillantemente, ma le speranze di arrestare definitivamente i lavori della fabbrica andarono deluse. I nazisti rimisero rapidamente in piedi le apparecchiature e pochi mesi dopo fu necessaria una nuova operazione. Questa volta gli Alleati scelsero un bombardamento aereo grazie al quale, la produzione fu fermata ancora una volta, ma la minaccia non era stata neutralizzata.

Nel febbraio 1944, il Comando nazista decise di trasferire in Germania la preziosa Acqua Pesante prodotta in Norvegia. Di nuovo fu necessario l’intervento degli uomini della Resistenza che, questa volta, riuscirono pienamente nel loro intrepido atto di sabotaggio, affondando il traghetto incaricato del trasporto. La trama del film, così riassunta, è fedele alla storia dello spettacolare avvenimento, ma i principali e reali sabotatori si chiamavano Joachim Rønneberg, Knut Haukelid, Max Manus Gunnar Sønsteby ed altri. Questo coraggiosissimo atto di sabotaggio permise agli scienziati americani di recuperare tempo prezioso sulla finalizzazione del programma atomico USA.

Sebbene le loro gesta siano passate alla storia per aver distrutto l’impianto di Acqua Pesante e le “riserve” imbarcate sul traghetto Norsk Hydro a Vemork (Rjukan), questi  impavidi eroi norvegesi, insieme ad altri sabotatori della Resistenza Armata norvegese, distrussero numerose altre navi e rifornimenti del Terzo Reich. I nazisti, per rappresaglia e vendetta, ad ogni atto di sabotaggio, uccisero numerosi norvegesi innocenti. Il peggior di tutti fu l’assalto al villaggio di pescatori di Telavåg (25 km a sud ovest di Bergen) nella primavera del 1942.

 

GLI EROI DI TELEMARK, LA VERA STORIA

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di Carlo GATTI

ACQUA PESANTE

L’Acqua Pesante doveva servire alla Germania nazista per costruire la sua prima bomba atomica e se ciò fosse accaduto, chiaramente, la storia sarebbe stata completamente stravolta.

L’Acqua pesante in apparenza é identica a quella normale, ma ha una composizione completamente diversa: aniziché essere composta da un atomo di ossigeno e due di idrogeno è formata da un atomo di ossigeno e da due atomi di un isotopo dell’idrogeno, il deuterio.

Il deuterio è un elemento il cui nucleo invece di avere un protone è composto da un protone e un neutrone. Questa differenza è importante perché in una reazione nucleare l’Acqua pesante può rallentare i neutroni, dando luogo così alla fissione nucleare; a tale scopo si può anche utilizzare l’uranio naturale e non quello arricchito. I nazisti avevano realizzato un impianto pilota in Norvegia per la produzione di Acqua Pesante e, quindi sarebbero riusciti a costruire la loro prima bomba atomica.

Ecco come sono andati i fatti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre milioni di uomini si massacravano con mezzi non troppo dissimili da quelli delle guerre precedenti, i politici ed alcuni scienziati avevano ben chiaro un fatto cruciale. In questo conflitto sarebbe stata giocata una carta totalmente nuova e decisiva, uno strumento bellico capace di uccidere in un colpo solo centinaia di migliaia di persone. Il solo nome sarebbe stato in grado di terrorizzare interi popoli:

si trattava della bomba atomica

Sia le forze alleate che i nazisti si buttarono a capofitto nel tentativo di costruire l’ordigno. Ciascuno sapeva che anche l’avversario inseguiva il medesimo scopo e che il possesso della bomba avrebbe significato la vittoria finale. Nel 1943 negli Stati Uniti la piccolissima cittadina di Los Alamos, nel Deserto del Nuovo Messico, era stata trasformata in una sorta di immenso recinto di massima sicurezza. Qui, praticamente segregati, vivevano e lavoravano alcuni dei più brillanti fisici, chimici e ingegneri del mondo. Quello a cui partecipavano era il celebre e costosissimo Progetto Manhattan che avrebbe poi effettivamente portato alla messa a punto della bomba nucleare. Fra di loro c’erano:

Enrico Fermi, Segre e gli amici di via Panisperna) Robert Oppenheimer e molti altri.

Ma anche i nazisti non lesinavano gli sforzi necessari, anche se in seguito fu appurato che essi non erano mai stati vicini al risultato finale.

Non molto tempo fa, fu rivelato che la Svezia aiutò la Resistenza norvegese addestrando ed equipaggiando molte reclute in numerosi campi militari lungo il confine norvegese. Per sviare i sospetti, i centri furono camuffati da campi di addestramento della Polizia. Di notevole importanza per gli Alleati, fu il lavoro di Intelligence svolto dalle diverse Organizzazioni, tra le quali si distinse la XU fondata da Arvid Storsveen che era formata da studenti dell’Università di Oslo. A questo proposito, mi sembra opportuno ricordare che tra i quattro capi riconosciuti della Resistenza norvegese, due erano giovani donne, una di loro, si chiamava Anne-Sofie Østvedt. (Nel romanzo “IL GIUSTIZIERE DI NARVIK” ogni riferimento è del tutto casuale...). 

Hans Reidar Holtermann, 1895-1966, Colonnello norvegese, meglio conosciuto come il Comandante di Hegra Fort.

LA BATTAGLIA DI HEGRA FORT. Durante l’avanzata in terra norvegese, i tedeschi occuparono poco alla volta tutti i forti e le batterie dell’Esercito norvegese per poi avere il controllo del territorio. La conquista del  Forte di Hegra era un importante obiettivo militare dei tedeschi per unire le loro linee d’attacco. In questa delicata fase, Holtermann fu incaricato di mobilitare il 3° Reggimento di artiglieria a Värnes (50 km a nord-ovest di Trondheim-Norvegia centrale), ma l’incalzante avanzata nemica gli impedì di completare il piano, allora ripiegò su una località più sicura: Hegra Fort (35 km a Est di Tromdheim), una fortezza di riserva del 1926 che era tuttora in ottime condizioni e difendibile. Holtermann con una forza improvvisata di 250 soldati, organizzò una “resistenza” con l’intenzione di tenere il Forte sino all’arrivo di un supporto effettivo che, purtroppo non arrivò. L’eroe Holtermann, con i suoi valorosi soldati resistettero 25 giorni (dal 15 aprile al 5 maggio 1940)  all’assedio delle artiglierie germaniche e ai bombardamenti della Lufwaffe. Nella prima settimana, gli invasori tentarono con due massicci assalti della fanteria ed in seguito con bombardamenti dell’aviazione e pesanti bombardamenti dell’artiglieria. Poi, alle 05.15 del 5 maggio 1940, venne il giorno della resa. Holtermann incontrò il Comandante delle locali Forze tedesche e si arrese con le sue truppe come ultimo Comandante del Sud della Norvegia.

PoW - Dopo la resa di Hegra, Holtermann e i suoi umini marciarono come PoW (prigionieri di guerra) sino a Berkåk (70 km a Sud di Trondheim) dove furono impiegati per riparare le strade colpite dalle bombe. I prigionieri furono rilasciati in tre gruppi in date diverse. Holtermann fu l’ultimo ad essere liberato il 2 giugno 1940, ma l’uomo non era il tipo da sottomettersi ai tedeschi e divenne molto attivo nel Movimento della Resistenza norvegese. Dal 1940 al 1942 lavorò come manager presso la “Okla Metall” a Orkanger (32 km  Sud Ovest di Trondheim) mentre era segretamente attivo per la Resistenza. Nel 1942 la sua attività illegale fu scoperta dai tedeschi e fu costretto a  varcare il confine verso la neutrale Svezia. Dalla Svezia riuscì a scappare in Inghilterra dove, nel 1943 assunse il grado di Colonnello e prese il Comando dell’Esercito norvegese in esilio della principale Unità: la Brigata Norvegese in Scozia. Nel 1944 il colonnello Holtermann fu trasferito alla conduzione del Comando del Distretto-Trøndelag (40 km a sud di Tronheim), e ritornò in Svezia dove prese parte alle operazioni di liberazione della Norvegia l’8 maggio 1945 insieme con battaglioni rinforzati da 2.570 truppe di polizia, di cui si è già parlato e, infine, prese parte alle operazioni di disarmo ed internamento delle Forze di Occupazione tedesche.

 

Il Ruolo della Resistenza Norvegese nella

 Fine della corazzata

TIRPITZ

La nave che si nascose e si difese per tre anni nei fiordi norvegesi

Gemella della Bismarck, la corazzata von Tirpitz, dislocamento 52.000 tons. era la più moderna e potente nave da guerra tedesca. Il suo armamento principale era costituito da 8 cannoni da 381 mm.

 

 

Durante le operazioni belliche nell’Ofotenfjord nel 1940, il riparatissimo fjordo di Bogen bay, situato a 15 km in linea d’aria a NW di Narvik, era stato già per gli Alleati il luogo nascosto, sicuro ed ideale per “staccare” dai combattimenti, ritemprarsi e riorganizzarsi. Anche i tedeschi, subito dopo il ritiro degli anglo-francesi, trasformarono Bogen in base navale con tanto di banchine e cantieri di riparazioni navali. Essendo Narvik il Quartiere Generale della Marina Tedesca, Bogen diventò il naturale punto d’incontro per la Flotta d’altomare germanica, con la Tirpitz al centro del progetto. “Admiral Nordmeer” fu la designazione del Quartiere Generale di Narvik  collegato con l’Alto Comando Navale di Kiel. Il Comando supremo si trovava a bordo del Grille, ancorato nel porto di Narvik. Questa unità era stata in precedenza lo Yacht privato di Hitler.

 

Questa foto aerea mostra la Tirpitz ripresa da un ricognitore britannico che riuscì a scoprirla in un fiordo a ridosso delle conifere e delle rocce.

 

 

La corazzata Tirpitz  veniva periodicamente usata negli attacchi ai convogli dell'estremo nord. Nella foto sopra si trovava alla fonda nel Kåa Fjord, (60 km a Est di Tromsø), appendice dell'Alten Fjord, nella Norvegia settentrionale. Proprio qui, in questo ramo laterale che si vede nella foto, la nave troverà la sua tomba.

 

La foto mostra un mini-sommergibile inglese X-craft, lungo 16 metri, che aveva quattro uomini d’equipaggio ed una massima immersione fino a 100 metri. Lungo i fianchi dello scafo, trasportava  due contenitori con 2 tonnellate di potente esplosivo AMATOL. Ne furono costruiti 6 con lo scopo preciso di sabotare la Tirpitz. Il 22 settembre, tutti questi mezzi furono impiegati per la missione. Purtroppo, solo 3 sommergibili tascabili inglesi riuscirono a superare gli sbarramenti ed a danneggiare gravemente l'unità tedesca, mettendola fuori combattimento per molti mesi.  I tre sommergibili supertiti, a missione compiuta, furono scoperti e distrutti dalle vedette germaniche.

 

UN’ALTRA AZIONE TANTO IMPAVIDA QUANTO SFORTUNATA

Il peschereccio norvegese ARTHUR trasportò due siluri-umani dalle isole Shetland sino al Trondheim Fjord. Quattro membri della Resistenza Norvegese, tra cui Leif Larsen, noto come “Shetland-Larsen”, accettarono la missione. Un team di 6 marinai inglesì s’unirono al gruppo per pilotare gli Chariot. Giunti nelle acque norvegesi, i mezzi d’assalto furono presi a rimorchio dell’Arthur.  Purtroppo il tempo peggiorò improvvisamente e, durante la forte burrasca, andarono persi i mezzi proprio mentre entravano nell’Aase Fjord. La Tirpitz era ormeggiata a poca distanza. La Resistenza collaborò a far sparire i relitti ed aiutò i superstiti a varcare il confine svedese dopo quattro interi giorni di freddo intenso che provocò in alcuni di loro congelamenti alle dita. In seguito, mentre si trovavano su una strada deserta, furono avvicinati dalla polizia tedesca. Soltanto Larsen era armato di fucile automatico ed una piccola pistola. Il norvegese, con un balzo da felino, saltò addosso a due tedeschi creando una tale confusione che un inglese, Billy Tebb, riuscì a disarmare un altro tedesco e a sparargli contro. L’altro tedesco rimase illeso, ma prima di sparire nel bosco riuscì a sua volta a sparare e a colpire Bob Evans allo stomaco. Purtroppo l’inglese morì prima di varcare la frontiera. I superstiti inglesi di questa sfortunata missione furono decorati col Distinguished Service Cross, mentre Larsen ottenne la Conspicuocus Gallantry Medal.

La corazzata Tirpitz non ebbe certamente il ruolo leggendario della sua gemella Bismarck. La mancanza di una portaerei (la Graf Zeppelin non fu mai ultimata) la privò di un valido appoggio aereo e rese deboli ed indifese anche le altre navi da battaglia Scharnhost e Gneisenau. In pratica la Tirpitz passò la propria esistenza rintanata nei fiordi norvegesi, fuggendo continuamente dagli attacchi aerei alleati. Churchill dipinse egregiamente la situazione definendola: "fleet in being", cioè “flotta in potenza”, in grado cioè di tenere impegnate un gran numero di navi ed aerei nemici, senza nemmeno muoversi. Nei suoi tre anni di vita la Tirpitz costituì sempre un forte pericolo potenziale, e fu per questo motivo che subì 22 attacchi, quasi tutti da velivoli partiti dalle portaerei.

La difesa della Tirpitz rappresentava un problema non secondario dopo la perdita dell’incrociatore pesante tedesco Scharnhost, poiché nel fiordo di Alten era costituita solamente dalla torretta "H" della corazzata: due pezzi d'artiglieria da 15 cm e la batterie di siluri Lillan e Drott che erano stati portati da Trondheim. 

Nel frattempo il servizio segreto britannico, sia con i rapporti di Ultra che con quelli degli agenti norvegesi, aveva seguito costantemente le riparazioni della nave dopo ogni attacco. Durante tutto il Capitolo Tirpitz, un notevole ruolo lo svolse, ancora una volta, la Resistenza norvegese con il continuo aggiornamento d’informazioni relative la nave nascosta nel fjordo. Il norvegese Torstein Raaby, del Secret Service (SIS), fu sbarcato da un sottomarino per una missione di spionaggio ai danni dei tedeschi. Si unì a lui Karl Rasmussen, un giovane della Resistenza. Insieme montarono una stazione radio nel centro di Alta a soli 200 metri di distanza da un campo tedesco e da lì cominciò il loro lavoro di intelligence sull’evolversi della situazione a bordo della nave Tirpitz. Le loro informazioni furono decisive per il grande raid inglese contro la corazzata del 3 aprile 1944. Torstein Raaby riuscì a rietrare in Inghilterra, mentre Karl Rasmussen, catturato dai tedeschi e torturato dalla Gestapo, si suicidò.

Raaby diventò il radiotelegrafista del Kon-Tiki nella spedizione del 1947. Morì durante una spedizione artica nel 1964.

CONTINUA ...

Carlo GATTI

Rapallo, 20 novembre 2022


Aprile 1940 - CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA - PARTE SECONDA

APRILE 1940

CONTINUA L'INVASIONE DELLA NORVEGIA ...

PARTE SECONDA

Una nuova ondata d’invasione…. ma questa volta sono gli ALLEATI!

 

LA PRIMA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

10 APRILE 1940

 

 

La Prima Battaglia Navale di Narvik del 10 Aprile 1940

 

   9.4.40 - Dieci cacciatorpediniere tedeschi arrivarono per primi a Narvik. Il giorno successivo, il   10.4.40 - Giunsero cinque cacciatorpediniere inglesi ed ebbe inizio la Prima Battaglia di Narvik.                                                                                                           

P.g.c. War Museum-Narvik

 

Sbarcato il contingente per l’occupazione di Narvik, i dieci cacciatorpediniere germanici avrebbero dovuto rifornirsi di carburante e ripartire subito. Delle due cisterne inviate in anticipo sul posto, una aveva dovuto autoaffondarsi per non cadere in mani britanniche. L’altra era comunque insufficiente per adempiere quel compito.

Per questo o per altri motivi mai chiariti, i dieci caccia rimasero in zona. Come si vede dal disegno, cinque erano ormeggiati nella baia di Narvik (Z-17 D.V.Roeder/ Z-19 H.Kunne/ Z-18H Ludemann/ Z-21WHeidkamp/ Z-22 A.Schmitt), gli altri, come vedremo, si trovavano al riparo nei fiordi laterali. Il capitano di vascello B.A.W Warburton-Lee, comandante la 2° Destroyer Flottila con insegna sull’HMS Hardy, al mattino del 9.4.40 ricevette l’ordine dall’ammiraglio Forbes al comando dell’Home Fleet, di affondare e catturare le navi nemiche che si trovavano nell’Ofotenfjord. Ma fu soltanto verso mezzogiorno che informazioni più accurate dell’Ammiragliato pervennero a Forbes. Erano presenti almeno 6 caccia tedeschi e non uno soltanto come precedentemente asserito. La scelta se proseguire o abbandonare l’attacco fu lasciato al comandante Warburton-Lee che attinse nuovi aggiornamenti tattici dai piloti di Tranoy. Alle 18.00 comunicò: “Proseguo l’azione, attaccherò domani con l’alta marea”.

Alle 03 del mattino del 10, i caccia HMS Hunter, Havock, Hotspur e Hostile, guidati dall’Hardy entrarono nel canale lungo 51 miglia e largo 2 che dal Vestfjord conduce all’Ofotfjord. A causa della scarsa visibilità, la formazione non fu avvistata. L’Hotspur e lHostile rimasero in retroguardia secondo gli ordini, mentre gli altri tre diressero a tutta forza verso il porto di Narvik, giungendovi di sorpresa alle 04.30.

Alla banchina della Posta erano ormeggiati i caccia Z-21 W.Heidkamp e lo Z-22 A.Schmitt. Il primo fu colpito con un siluro dellHardy causando la morte del commodoro tedesco. Il secondo affondò a cannonate; i caccia inglesi coninuarono il tiro sulle navi da carico tedesche. Gli altri caccia germanici, superata la sorpresa iniziale, cominciarono a loro volta ad inquadrare gli inglesi ed a sparare contro l’Havock senza colpirlo. I cinque caccia inglesi si ritirarono per  compattarsi con gli altri due caccia e nuovamente  tornarono in cinque ad attaccare nuovamente le unità tedesche e l’Hotspur  fece altre due vittime. Seguì una seconda ritirata e poi un terzo attacco verso Narvik; ma questa volta doveva rivelarsi una sconfitta per le unità britanniche.

Diversi caccia tedeschi, che si erano ormeggiati nei fjordi laterali, raccolsero l’allarme dei loro compagni e alle 05.30 tre  “Zestroer(Z-12 G.Gieze/ Z-13 E.Koellner / Z-9 W.Zenker) iniziarono a muovere da Bjervik verso il nemico, dopo dieci minuti altri due uscirono da Ballangen (Z-2 G.Thiele/ Z-11 B.V.Arnim) e presero gli inglesi tra due fuochi. L’Hardy fu colpito in plancia dallo Z-2 e fu ucciso il comandante Warburton-Lee. Il caccia si arenò e poi affondò. Poco dopo l’Hunter fece la stessa fine, anche questo sotto i colpi dello Z-2.

Alle 06.30 terminò lo scontro si può dire in “parità” (2 a 2) per quanto riguarda i caccia, ma vi era da mettere in conto da una parte i sei piroscafi affondati dagli inglesi e dall’altra l’HMS Hotspur che uscì malconcio dallo scontro. C’è da aggiungere inoltre che quando i tre caccia inglesi stavano per uscire verso il mare aperto incontrarono la nave tedesca Rauenfels  ed il giorno dopo anche la Alster dirette al rifornimento del contingente di Narvik. La prima era carica di armi e munizioni, fu presa a cannonate e saltò in aria, la seconda era carica di automezzi e fu affondata. Le due perdite causarono  gravi conseguenze per la loro missione del Corpo di spedizione tedesco.

 

 

Il porto di Narvik dopo l’attacco di cinque cacciatorpediniere britannici del 10 aprile 1940, che affondarono due unità da guerra e quasi tutte le navi da carico tedesche che si trovavano all’ancora (vedi foto). Poi, tre giorni dopo, gli inglesi tornarono alla carica, e mandarono a picco il resto del naviglio germanico. Ma non sapranno sfruttare l’esito favorevole dell’operazione, e la riconquista di Narvik avverrà solo di lì a un mese e mezzo, grazie a un Corpo di 25.000 uomini, composto in prevalenza di Norvegesi, Polacchi e Francesi.                                

 (Foto di repertorio)

 

LA SECONDA BATTAGLIA DI NARVIK PER GLI INGLESI

 

 

La Seconda Battaglia Navale di Narvik del 13 Aprile 1940

 

Questo disegno schematico fotografato nel Museo della Guerra di Narvik, riproduce l’attacco UK condotto dalla nave da battaglia Warspite e da nove cacciatorpediniere. Gli inglesi arrivarono in forze e costrinsero i tedeschi ad una ritirata strategica sui monti circostanti dove subirono una controffensiva degli alleati.                                                                       P.g.c. War Museum-Narvik

 

Gli inglesi, temendo la presenza di un incrociatore pesante tedesco e sopratutto la presenza di U-Boote inviati a sostegno dei caccia intrappolati, organizzarono una seconda spedizione con il compito di spazzare via definitivamente i tedeschi da Narvik. Nella notte del 13, l’ammiraglio Whitworth trasbordò sulla corazzata Warspite che ebbe l’incarico di guidare l’attacco con l’appoggio di 9 caccia, tra cui 4 della classe Tribals. Il giorno dopo, con visibilità ridotta a causa di nevicate e piovaschi intermittenti, la squadra entrò nel Vestfjord a 10 nodi di velocità.

 

La nave da battaglia HMS Warspite in una foto di poco successiva ai fatti di Narvik

P.g.c. Foto Storia Militare

 

Formazione d’attacco: Hero, battistrada, con ai fianchi il Forester e l’Icarus (dotati di paramine); poi, su due file, Cossack, Kimberly, Foxhound (a sinistra) e Bedouin, Punjabi, Eskimo (a dritta); infine la corazzata Warspite, che alle 11.52, a 5 miglia da Baroy, che si trova sull’imboccatura del canale che immette nell’Ofotenfjord, catapultò il suo idro Swordfish con a bordo l’osservatore tenente di vascello C.Brown, oltre al pilota, il mitragliere ed un carico di 750 kg di bombe.

L’attacco.  La prima vittima dello scontro fu lo Z-13 (E.Koellner) che si era piazzato di guardia un paio di miglia a ponente del Ballangenfjord e fu avvistato dall’aereo, nonostante una cappa di nuvole. Erano le 12.30 quando i Tribals, sulla dritta, risposero al fuoco ed ai lanci del caccia tedesco che in breve tempo fu ridotto ad un rottame in fiamme. Lo stesso Warspite gli diede il colpo di grazia.

Lo Swordfish si era nel frattempo inoltrato sino a Bjervik, dove individuò l’U-64 (un battello oceanico del tipo “IX”). L’aereo s’abbassò a 100 metri e lanciò due bombe che causarono l’affondamento immediatao del sommergibile. I caccia tedeschi reagirono spingendosi incontro al nemico tentando una disperata difesa con i cannoni e con i siluri; due di questi mancarono per poco il Cossack ed il Warspite. Ben presto tuttavia esaurirono le munizioni e si videro costretti a cercare scampo nei fjordi laterali: lo Z-19 verso l’Herjangsfjord, ma fu inseguito ed affondato dall’Eskimo; Z-9 e Z-11 s’addentrarono nel Rombakfiord protetti dallo Z-18  che aveva ancora colpi disponibili. Questi ingaggiò il Punjabi e gli mise a bordo 6 granate causando 7 morti, molti feriti e danni così gravi da costringere l’unità britannica a rimanere ferma e senza difesa per circa un’ora. Anche il Cossack rischiò altrettanto, avendo ricevuto ben 12 colpi nell’arco di 10 minuti. Dopo questi risultati, lo Z-18 si ritirò nel Rombaksfjord.

 

Il caccia tedesco Erich Giese Z-12 in affondamento nell’Ofotfjord il 13.4.1940

 

Un altro caccia, Erich Giese Z-12, che aveva mollato gli ormeggi da Narvik per soccorrere i compagni, cadde invece sotto il fuoco concentrato dell’avversario, s’incendiò e cominciò ad andare alla deriva nell’Ofotenfjord e poi ad incagliarsi; un siluro lanciatogli contro sbagliò il bersaglio e rischiò di colpire il Cossack che si trovava a non troppa distanza.

La formazione inglese diresse ancora più in profondità in cerca di prede. In porto trovarono soltanto lo Z-17 (D.V.Roeder) deciso a difendersi strenuamente dall’attacco dei caccia Cossack, Foxhound, e Kimberly. A questo punto è interessante notare l’avventura del Cossack che fu il primo a subirne la dura reazione, costatagli 11 caduti, oltre una dozzina di feriti e danni così gravi da renderlo ingovernabile e farlo incagliare su un relitto sommerso. Il Kimberly tentò inutilmente di disincagliarlo mentre il caccia inglese era sotto il tiro delle mitragliatrici di terra. Provvide l’alta marea all’indomani, dopo che i siluri erano stati trasferiti sullo Zulu e le munizioni sul Beduin. Le maestranze norvegesi si adoperarono per rimetterlo in navigazione ed il caccia lasciò Narvik e ragiunse Portsmouth il 30 aprile, dopo una traversata difficile a causa di continue infiltrazioni d’acqua a prora. Tornò  in linea il 15 giugno successivo. Lo Z-17 saltò in aria sotto il tiro degli altri due caccia e del Warspite.

Erano trascorse circa tre ore da quando l’instancabile Swordfish era decollato dalla sua nave. Le sue continue picchiate a bassa quota tra le nuvole burrascose e i fumi degli incendi, rasentavano le pareti dei fiordi e mettevano a dura prova la resistenza dei tre uomini d’equipaggio: l’osservatore, tenente di vascello C.Brown, il pilota e il mitragliere. Ma questa ricerca affannosa portò a dei risultati che determinarono una rapida svolta della battaglia. L’aereo avvistò i caccia tedeschi che si erano rifugiati nel Rombaksfjord: Z-9, Z-11, Z-18 e lo Z-2 che aveva affondato l’Hardy e lHunter  tre giorni prima.

 

Round Finale

I caccia inglesi Eskimo, Forester, Hero, Ikarus e Bedouin furono incaricati di porre fine alla Seconda Battaglia di Narvik. Vicino all’imboccatura del fjordo si trovavano lo   Z-2  sottocosta, e lo Z-18 che si era messo di traverso per proteggere la ritirata dei compagni. L’audace manovra, stava per concludersi con una inevitabile collisione con entrambi i caccia inglesi, a causa anche della scarsa acqua di manovra. L’intrepido caccia tedesco Z-18 riuscì a lanciare tre siluri che l’Eskimo riuscì ad evitare  per la bravura del suo timoniere, ma con tanta fortuna del suo comandante.

 

 

Il cacciatorpediniere Eskimo F-75 senza prora dopo aver ricevuto un siluro lanciato dal Georg Thiele Z-2.

         Foto Storia Militare-Settembre 2004

L’affondo dei caccia inglesi continuò in direzione dello George Thiele Z-2 che centrato da numerosi colpi prese fuoco, ma fu lo Swordfish a dargli il colpo di grazia con l’ultima bomba rimastagli sotto la fusoliera. A questo punto successe qualcosa d’incredibile: per evitare l’affondamento, il caccia tedesco diresse, con la poca forza che gli restava, verso l’incaglio. In questa delicatissima fase riuscì a lanciare ancora quattro siluri, uno dei quali staccò di netto la prora dell’ex-fortunato Eskimo che subì ingenti perdite tra il suo equipaggio. Il caccia inglese riuscì a trascinarsi faticosamente verso l’imboccatura del fiordo, dove rimase a galla grazie all’azione del suo equipaggio che improvvisò un provvidenziale jettison di tutto quanto potesse allegerirlo per non affondare.

Anche per l’Eskimo vi fu il contributo della manodopera norvegese, che rese possibile il definitivo distacco della prora. Frattanto, erano iniziati pesanti bombardamenti della Luftwaffe su Narvik, dai quali il caccia uscì sforacchiato a più riprese da schegge. Messo finalmente in condizioni d’affrontare il mare, il caccia UK partì a rimorchio il 31 maggio presentando la poppa alle onde. Giunse in patria il 4 giugno e  rimase ai lavori quattro mesi, tornando in attività a fine settembre.

Tre erano ancora i caccia tedeschi superstiti che avevano trovato rifugio in una insenatura protetta in fondo al fiordo, dalla quale avrebbero potuto lanciare con profitto i loro siluri contro gli attaccanti rimanendo indenni. Dal Warspite partì un ordine perentorio ai caccia:

La minaccia dei siluri va accettata. Il nemico dev’essere distrutto senza indugio. Prendete ai vostri ordini Kimberly, Forester, Hero e Punjabi ed organizzate l’attacco mandando per primo il caccia in migliori condizioni. Se necessario, speronate ed abbordate”.

A porre rimedio alla determinazione inglese di finire il lavoro... ci pensarono gli stessi tedeschi abbandonando uno Z in autoaffondamento, un altro che stava affondando, mentre il terzo  relitto fu raggiunto da un siluro dell’Hero.

Lo Swordfish dopo un incredibile volo di quattro ore, fu ripreso dal Warspite e l’ammiraglio Withworth nella propria relazione scrisse: “Le indicazioni fornite dal velivolo del Warspite sugli spostamenti del nemico sono state preziose. Dubito che mai fino ad oggi un aereo imbarcato sia stato impiegato così proficuamente come in questa operazione”.

La nave ammiraglia inglese, temendo la presenza di U-Boote nei fiordi vicini, anzichè sbarcare i “Royal Marines” e i “Bluejackets a Narvik prese il largo scortato da sei dei nove caccia con cui era entrato. A Narvik rimasero l’Eskimo, il Cossack ed il Kimberly che lo assisteva. Nel Vestfjord, la formazione fu attaccata  dal U-48 che lanciò siluri da breve distanza contro il Warspite e due caccia. Tutto si concluse con un nulla di fatto, ma il bilancio finale avrebbe potuto cambiare i numeri in extremis.

 

 

A distanza di settant’anni da quei tragici avvenimenti, lo scafo rovesciato dello “George Thiele” Z-2 oggi ci appare così, aggrappato agli scogli del Rombaksfjord come un naufrago che non vuole morire sotto lo sguardo pietoso delle betulle che lo accarezzano. E’ singolare il desiderio di sopravvivenza che pervade questo indomito guerriero germanico che fu un vero incubo per le navi di sua Maestà, avendo affondato lHardy e l’Hunter  e messo  fuori combattimento l’Eskimo per lungo tempo.                                                                                                     (Foto dell’autore)

 

La formazione navale inglese composta di numerosi caccia e della corazzata Warspite, affondò in più riprese i dieci cacciatorpediniere che avevano sbarcato il contingente tedesco a Narvik. Gli inglesi persero due caccia e ne ebbero altri due gravemente danneggiati. Queste pesanti perdite navali non impedirono ai tedeschi di posizionarsi sulle teste di ponte conquistate e cominciare l’avanzata verso l’interno. Circa duemila marinai tedeschi di queste unità abbandonate, scapparono sui monti e si unirono alle truppe di Dietl.

 

 

 

Un particolare del relitto del caccia tedesco Bernd von Arnim Z-11 che si è autoaffondato.  Durante gli scontri del 10 e del 13 aprile l’unità non venne mai colpita.

 

Nella foto in alto, il George Thiele Z-2 incagliato all’imboccatura del Rombanks Fjord il 13 aprile 1940. Poco dopo il caccia fu fatto saltare e successivamente il relitto “scivolò” in acque profonde, ma poi riemerse il relitto come abbiamo già visto. 

- Nella foto centrale, il caccia Roeder Z-17 danneggiato dal tiro britannico il 10 aprile. Dalla foto si rileva che sono già iniziati i lavori di riparazione che però non potranno essere conclusi in quanto, tre giorni dopo, l’unità andrà perduta.

- Nella foto in basso, un cacciatorpediniere tedesco alla fonda davanti a Narvik. Dovrebbe trattarsi del Kunne Z-19 o, più probabilmente, dello stesso Z-17 della foto precedente.

I caccia tedeschi Zenker Z-9, von Armin Z-11 e Lundemann Z-18, autoaffondatisi in acque basse sul fondo del Rombaks Fjord il 13 aprile 1940

                                                                                                               P.g.c. Storia Militare

 

 

Narvik. Le navi affondate presso la banchina di Fagerne: HÅLEG, LIPPE, KELT.

 

Narvik. Navi semiaffondate presso il molo dei minerali. Da sinistra:

FRIELINGHAUS, PLANET, JAN WELLEM.

 

In questo plastico fotografato nel War Museum di Narvik, vengono riportate con dei modellini le posizioni delle navi affondate davanti al porto di Narvik. In alto a sinistra si nota il Molo di Minerali. In alto un po’ più a destra il Molo della Posta. I modellini pitturati di verde rappresentano le navi da guerra.

 

ELENCO DELLE NAVI AFFONDATE A NARVIK

 

Nr. Bandiera Nome Nave Tipo Armatore Compartim Stazza L. t. Anno

Costr.

1 Norvegia

D.S. Cate B

n.carico Th. Brovig Farsand 4.285 1920
2 -“-

D.S. Eldrid

-“- Eldrid Backe Trondheim 1.712 1915
3 -“-

D.S. Saphir

-“- Sk.Edv.Endresen Stavanger 4.306 1905
4 -“- D.S. Manlegg -“- A/Havilde Skien 1.758 1922
5 -“-

Norge

militare Marina Norvegia 1898
6 -“-

Eidsvold

-“- -“-          -“- 1898
7 -“- Michael Sars -“- -“-          -“- 1900
8 -“-

Kelt

-“- -“-          -“- 1925
9 -“-

Senia

-“- -“-          -“- 1937
10 Svezia

Boden

cargo Trafik AB Gräng.Oxelös. Stockholm 4.264 1914
11 -“-

Oxelae-

sund

-“- -“- -“- 5.613 1923
12 -“-

Strassa

-“- -“- -“- 5.602 1921
13 -“-

Torne

-“- -“- -“- 3.792 1913
14 -“-

Diana

-“- -“- -“- 213  Staz.N. 1922
15 -“-

Styr

bjørn

-“- -“- -“- 167  Staz.N. 1910
16 Olanda

Bernisse

-“- P.A von Es-co Rotterdam 951  Staz.N. 1915
17 U.K.

Blythmoor

-“- Moor Line Ltd. London 6.581 1922
18 -“- Mersingto Court -“- Court Line Ltd. London 5.141 1920
19 -“- North Cornwall -“- North Shipping Co. Ltd. Newcastle 4.304 1924
20 -“-

Riverton

-“- Carlton S/S co. Newcastle 5.378 1928
21 -“-

Romanby

-“- Ropner Sh.Co. Hartlepool 4.887 1927
22 Germania

Aachen

-“- Norddeutscher  Lloyd Bremen 6.388 1923
23 -“-

Altona

-“- Hamburg-Amerika-Packett A/G Hamburg 5.398 1921
24 -“-

Bockenheim

-“- Umterweiser Rederei A/B Bremen 4.902 1924
25 -“-

Heyn Hoyer

-“- Hanseatische R. Hamburg 5.836 1937
26 -“-

Marta H.Fisser

-“- Fisser & von Dornum Emden 4.879 1911
27 Germania

Neuenfels

Cargo Deutche D/S Grs. Hansa Bremen 8.096 1925
28 -“-

Jan Wellem

-“- Henkel & Co. Wesermllm. 1921
29 -“-

Lippe

-“- Norddeutcher Lloyd Bremen 7.849 1917
30 -“-

Frielinghaus

-“- Fried. Krupp Bremen 4.339 1922
31 -“-

Planet

-“- Lacisz Reder. Hamburg 5.881 1922
32 -“-

Wilhelm Heidkamp

C/Torp Deutsche Kriegsmarine 1936
33

 

34

-“-

 

-“-

Anton Schmitt

Diedter V.

Roeder

C/Torp

 

C/Torp

Deutsche Kriegsmarine

Deutesche

Kriegsmarine

1936

 

 

1936

 

 

NARVIK - 2 giugno 1940

 I BOMBARDIERI TEDESCHI DISTRUGGONO  IL CENTRO CITTA’

 

 

Il fuoco ha raggiunto l’angolo della piazza principale, il cui spazio vuoto gli impedisce di espandersi e proseguire.

 

                         

                    

Le vecchie case di legno prendono subito fuoco, e il vento spinge le fiamme da sud a nord attraversando la città. Sullo sfondo il Fagernesfjell.

 

                                 

Da queste due immagini si vedono gli effetti del bombardamento dell’aviazione tedesca. Tutto ciò che era di legno andò distrutto, delle costruzioni di cemento rimasero soltanto rovine. La lunga strada che dal centro città arriva sino al porto è la Kongensgate.

                                               

Nel 1940 la città di Narvik aveva appena 38 anni di età. La sua area urbana era molto sviluppata e la “downtown” era caratterizzata da moderni negozi e lunghe file di eleganti e uniformi abitazioni di legno. Ma, come mostra la foto, subito dopo i bombardamenti, quasi tutto fu ridotto in rovina. Questo scenario durò per altri cinque anni di occupazione, sotto la bandiera con la croce uncinata che sventola  al centro di questa significativa ripresa fotografica.                  

                                                                                                                   P.g.c War Museum –Narvik

 

LE BATTERIE COSTIERE INSTALLATE PER IL CONTROLLO DEL TRAFFICO NAVALE  NEL  VESTFJORD – OFOTENFJORD

 

 

Il quadro generale rappresenta la localizzazione delle Batterie Costiere nella parte interna del Vestfjord e nell’Ofotenfjord. Riportiamo la fedele traduzione del sottotitolo: “Ciò che i tedeschi pensavano che noi (norvegesi) avessimo, e ciò che essi stessi installarono”. 

                                                                             

Nel settore Ovest del quadro sono rappresentate le posizioni  delle batterie costiere tedesche composte in prevalenza di cannoni navali. Engeløy: 1 vecchio cannone di U-BOOTE – 2 nuovi cannoni navali tedeschi – 1 vecchio cannone navale norvegese- 1 cannone d’artiglieria.

 

Nel settore centrale del quadro, sono rappresentate: le posizioni di n. 4 batterie costiere francesi a sud, mentre quelle a nord del canale Ofoten sono composte da cannoni navali tedeschi.

 

Nel settore Est del quadro che comprende Narvik, sono rappresentate: le posizioni di  2 batterie tedesche, n. 4 francesi ed 1 vecchio cannone norvegese che apparteneva ad una batteria di frontiera.                                                                                        

                                                                                                                 P.g.c. War Museum – Narvik

CONTINUA ......

 

Rapallo, 18 novembre 2022


APRILE 1940 - I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA - PARTE PRIMA

APRILE 1940 I TEDESCHI INVADONO LA NORVEGIA

Appendice al Romanzo Storico

IL GIUSTIZIERE DI NARVIK

di Carlo GATTI

“Nessuno è così pazzo da preferire la guerra alla pace: con la pace i figli danno sepoltura ai padri; in guerra tocca ai padri di seppellire i figli”.

 Erodoto, V sec. a.C.

 

PARTE PRIMA

 

Quadro storico-strategico

 

Com’è noto alla vigilia della Seconda guerra mondiale, la tradizionale neutralità della Svezia era molto precaria, come del resto lo era negli altri Paesi scandinavi. Dagli ambienti diplomatici europei emergeva,  infatti, un inquietante problema da risolvere: i minerali ferrosi provenienti dai vasti giacimenti svedesi di Kiruna e Gällivare facevano gola ai Paesi industrializzati.

Quell'antica risorsa era indispensabile a tutti, ma lo era in particolare per gli Stati che si sentivano coinvolti nei vorticosi venti di guerra che si preannunciavano con segnali inquietanti e pericolosi.

La domanda che tutti si ponevano era quindi la seguente: Quale Super Potenza sarebbe riuscita a controllare la materia prima più importante dell’epoca, con cui era possibile costruire navi, aerei, carri armati, treni, cannoni, bombe, munizioni, armi pesanti e leggere d’ogni tipo?”

L’avventura della Seconda guerra mondiale si annunciava lunga, dolorosa ed il grande problema da risolvere era formalmente localizzato lassù, sopra il Circolo Polare Artico. E’ affascinante rilevare come la natura, ovvero la diversa condizione climatica dei versanti svedese e norvegese, abbia giocato un ruolo decisivo nello scioglimento di questo autentico nodo gordiano.

Il modesto sfruttamento dei porti svedesi orientali del Golfo di Botnia (Botten Havet), bloccati dai ghiacci per molti mesi l’anno, poneva precisi limiti alla gestione del trasporto via mare dei prodotti ferrosi verso scali in odore di guerra. Di conseguenza, l’interesse strategico-militare si riversava sul porto atlantico di NARVIK che era, ed è sempre operativo perché lambito, come tutta la Norvegia, dalla tiepida Corrente del Golfo proveniente dal Messico.

E’ mezzanotte. Così appare il porto di Narvik dalla funivia che sale sul monte Fagernes. L’Ofotenfjord (nel centro) termina qui davanti alla città che è costellata di profondi fiordi che nascondono misteri ancora inesplorati.

La carta geografica (sopra), sintetizza gli avvenimenti principali dell’Occupazione Tedesca della Danimarca e Norvegia. Le linee verdi indicano le direttrici dei gruppi d’invasione tedeschi. Le linee rosse mostrano gli attacchi Alleati. Le linee tratteggiate rosse le ritirate degli Alleati. I restanti simboli indicano le posizioni delle battaglie terrestri e navali.

 Con la sintesi storica che segue, spero di soddisfare la curiosità di chi già ama la Norvegia, ma anche di “stuzzicare” l’interesse di chi non la conosce ancora da vicino. Personalmente, devo confessare che il romanzo di Bjørn e Waldemar non sarebbe mai nato se non avessi subìto una specie di “attrazione fatale” per la sofferta storia di Narvik e della sua gente che con grande coraggio seppe riprendersi rapidamente dopo tanti anni di occupazione.

Con la ricorrente apertura degli archivi segreti militari, quasi ogni giorno,  emergono capitoli sconosciuti che sottopongono gli studiosi a rinnovate indagini e approfondimenti, sia delle cause, sia degli eventi che hanno prodotto tanta distruzione e dolore. Mi sottraggo volentieri dal muovermi in questo campo minato e lascio volentieri agli storici-specialisti il compito di regalarci ulteriori chiarimenti.

Suggerisco pertanto al lettore di considerare il presente lavoro un necessario passaggio, l’introduzione o se volete lo stimolo alla lettura dei testi ufficiali di storia. Consiglio inoltre la visita ai War Museum norvegesi, che sono numerosi, documentati e forniti di materiale interessante e qualche volta esclusivo, a partire da quello di Narvik che ringrazio sentitamente per avermi concesso la pubblicazione di materiale fotografico raro ed importante.

Sullo sfondo del romanzo, la storia dell’occupazione tedesca è tratteggiata in leggero chiaroscuro, non perchè sia stata intenzionalmente relegata ad un ruolo secondario, ma per un doveroso e profondo rispetto della memoria di tutti coloro che trovandosi coinvolti nei tragici avvenimenti bellici, diedero la loro vita per l’ideale di Patria.

La bibliografia dedicata all’epopea di Narvik è ricca, molto seria e per tutti segnalo il sito internet al quale potersi rivolgere per qualsiasi informazione:

 

Nordland Røde Kors Krigsminnemuseum
 Postboks 513
8507 NARVIK


Tlf : + 47 76 94 44 26
Faks: + 47 76 94 45 60


Kontakt KMMU

www.warmuseum.no

1940-1945

IL NORDLAND, UNA CONTEA MARTORIATA

Bodø (45.000 abitanti) è il Centro Amministrativo della Contea che è suddivisa in 44 Comuni. A questa regione appartengono gran parte dei nomi citati in questo libro. La Contea Nordland si allunga per 500 kilometri, dal Nord-Trøndelag fino al Troms. La costa è molto frastagliata e la contea comprende la maggior parte delle isole Lofoten e Vesterålen e ospita il Rago National Park. La pesca è uno dei settori economici più importanti e il Nordland è particolarmente celebre per i suoi merluzzi. Anche l’agricoltura occupa numerosi abitanti, con l’allevamento di caprini o bovini. Alcune installazioni minerarie e di energia idroelettrica servono per la diversificazione delle attività locali. Il porto di Narvik dispone di un collegamento ferroviario diretto con i ricchi giacimenti di minerale di Kiruna, in Svezia. Nel 2008 le miniere di Kiruna hanno prodotto 22,7 milioni di tonnellate di prodotti ferrosi, dal porto di Narvik ne sono partite ben 13,6 M/t.

NARVIK UN PUNTO CHIAVE

Quadro strategico

 

In questa foto satellitare, due frecce rosse indicano  la vicinanza geografica tra la città mineraria di Kiruna (Lapponia svedese) a destra, ed il porto di Narvik (Norvegia) a sinistra. La frontiera che divide i due Paesi è segnata con la linea gialla. Le due città sono unite dal Treno del Ferro lungo un  tracciato ferroviario lungo 168 chilometri, di straordinaria bellezza, che corre tra foreste, laghi e montagne innevate anche d’estate.

I due porti del ferro

Da Narvik a Luleå, dal Mar Baltico all’Oceano Atlantico

L'obiettivo militare dell’invasione tedesca del 1940 era l'occupazione di Narvik e dell’intera area su cui transitava il prezioso minerale proveniente da Kiruna e Gällivare (Svezia) via treno.

NARVIK

Situata 345 km a nord del Circolo Polare Artico, la città portuale di Narvik, 18.000 abitanti, guarda verso l’Oceano Atlantico e si nasconde in un luogo sublime, all’imbocco di un fiordo circondato da  montagne che non sono altissime, ma scendono molto ripide in mare. Questa piccola città dista pochi chilometri dalla frontiera svedese e domina l’Ofotenfjord e altri bellissimi fjordi laterali. Il treno del ferro sale versanti montuosi per 42 km fino alla frontiera svedese, sfiorando precipizi e attraversando 22 tunnel e 9 ponti. Ogni anno 275 navi attraccano al porto minerale di Narvik e non mancano le supernavi da 350.000 ton.

Narvik nacque intorno all’industria dell’estrazione del ferro e fu fondata all’inizio dell’Ottocento, quando i regni di Svezia e Norvegia decisero di creare un porto che non fosse mai bloccato dai ghiacci e da cui si potesse esportare il ferro estratto dalle miniere della Lapponia svedese. La costruzione della linea ferroviaria Kiruna-Narvik iniziò nel 1898 e si protrasse per quattro anni e fu opera di marinai norvegesi, svedesi e operai itineranti, i rallare, che vivevano nel Rombaksfjord. Quando il loro villaggio fu distrutto da un incendio, nel 1903, molti operai si trasferirono a Narvik che crebbe rapidamente.

 

 

QUADRO STORICO

1939

CRONACA

POLONIA:

il 23 agosto 1939 è stipulato il famigerato Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop tra Unione Sovietica e Germania.

1 settembre 1939 alle ore 04.45 la Wehrmacht supera il confine Polacco con cinque Armate forti di 1.500.000 uomini e 2000 carri-armati ed opera un attacco a tenaglia, impiegando l'innovativa tattica militare della guerra lampo o Blitzkrieg.  L'incrociatore Schleswig-Holstein, all'ancora nel porto di Danzica, apre il fuoco sulla città. Nello stesso giorno Hitler assicura al "Reichstag" che "non farà la guerra a donne e bambini, ma l’aviazione limiterà gli attacchi ai soli obiettivi militari".

Il 3 settembre 1939 Gran Bretagna e Francia, dopo aver inviato il giorno precedente un Ultimatum al quale Hitler non rispose, alle 11,45 di mattina dichiarano Guerra alla Germania.

Il 17 settembre Russia aggredisce la Polonia da est. La conseguenza più spettacolare di questo trattato è la divisione del territorio polacco (lungo la Vistola) tra russi e tedeschi.

Con la popolazione civile ridotta allo stremo, Varsavia si arrende alle truppe tedesche.

Il 27 settembre 1939 l'esercito polacco è disarmato entro la fine del mese. Complessivamente, le perdite polacche assommano a circa: 70.000 militari morti, 133.000 militari feriti, 694.000 militari divenuti prigionieri di guerra, 150.000 civili morti, e un numero imprecisato di feriti. Soltanto 100.000 civili polacchi riescono a fuggire in Lituania, Ungheria o Romania. Le perdite tedesche assomma a circa 13.000 militari

06 ottobre1939 L'ultima unità Polacca cade nei pressi di Lublino, segnando la fine della campagna di Polonia.

Questa Operazione dà il via alla Seconda guerra mondiale.

 

 

FINLANDIA - I preparativi franco-britannici per aiutare la Finlandia e di occupare, nel contempo, le miniere di ferro della Svezia, creano i presupposti dell’invasione della Danimarca e Norvegia da parte della Germania nazista (Operazione Weserübung).

NOVEMBRE-DICEMBRE 1939

Al culmine di una lunghissima crisi diplomatica che dura ormai da molti anni, tra il 30 novembre 1939 ed il 13 marzo 1940, si combatte la Guerra d’Inverno, nota come la guerra russo-finnica. l'Unione Sovietica sferra un massiccio attacco contro la Finlandia, dando il via alla Guerra d'inverno, dopo che la Finlandia ha rifiutato la richiesta di Stalin di installare basi militari sovietiche in territorio finlandese.

Le motivazioni di Stalin dietro l'attacco alla Finlandia sono complesse: 1) La fretta di acquisire i territori della sfera di potere sovietica, come previsto dal Patto con i Tedeschi; 2) Il desiderio di far rientrare la Finlandia nell'orbita russa; poichè in precedenza la Finlandia era stata parte dell'Impero Russo, ma si era separata a seguito della sconfitta della Rivoluzione russa. 3) La volontà di vendetta contro i Finlandesi, poichè negli anni della Rivoluzione avevano appoggiato i partigiani russi filo-monarchici (cosiddetti "Bianchi") contro la Russia bolscevica. 4) Dimostrare alla Germania la potenza dell'Armata Rossa a scopo di intimidazione, tentando di conseguire un rapido successo militare simile a quello di Hitler in Polonia. L’aspettativa di Stalin di una rapida conquista è frustata dalla Resistenza finlandese Nonostante l'impiego di 1.000.000 di uomini, 3000 carri armati e quasi 4000 aerei, l'Armata Rossa non riesce a realizzare una rapida invasione: soprattutto a causa di strategie di attacco sbagliate; ma anche a causa delle efficaci tattiche di guerriglia adottate dagli avversari finlandesi (pur numericamente molto inferiori); nonchè a causa del terribile inverno nordico, con suolo ghiacciato e temperature fra i -30°C e -50°C.

1-2 dicembre - L’agenzia sovietica Tass annuncia la costituzione di un “Governo popolare di Finlandia” (governo fantoccio), presieduto da Otto Kuusinen, membro del Komintern. I finlandesi  oppongono una valorosa difesa, spostandosi in bicicletta o sugli sci tra le fitte foreste. Attaccano sui fianchi i carri armati sovietici scagliando nelle loro feritoie un tipo di proiettile che diventa famoso  come Bottiglia Molotov. Vano appare il tentativo di Kuusinen di convincere  i finlandesi ad “abbattere l’oppressore” (il governo legittimo) e di ricevere come “liberatori” i soldati dell’Armata Rossa.  Kuusinen firma un trattato con l’URSS in base al quale tutte le richieste dei russi sono accolte in cambio dell’intera Carelia sovietica.

3-12 dicembre - I finlandesi ripiegano ordinatamente verso l’Istmo di Carelia sotto la pressione delle superiori forze sovietiche e si attestano sulla Linea Mannerheim, così chiamata dal nome del suo ideatore, il gen. Carl Gustav Mannerheim, eroe nazionale, fondatore della Repubblica finlandese nel 1919 e in quei giorni animatore della resistenza contro l’invasore. Tuttavia, questa storica Linea non è che una modesta serie di fortificazioni di legno e cemento che si estese per circa 40 km attraverso l’istmo di Carelia.


La corazzata inglese Nelson è danneggiata dall’urto contro una mina magnetica, nonostante che i tecnici inglesi fossero riusciti a smagnetizzare gli scafi con l’impiego di un cavo elettrico chiamato degaussing. Per effeto delle mine, gli alleati ottengono le seguenti perdite: 2 cacciatorpediniere sono affondati, altri 2 cacciatorpediniere e 1 posamine danneggiati.

L’URSS precisa la sua posizione: il governo legale della Finlandia è quello presieduto da Kuusinen. Tra Russia e Finlandia non esiste alcuna controversia.

5 dicembre - 
I sovietici arrivano sulla Linea Mannerheim nel settore presidiato dal II Corpo d’Armata.


6 dicembre - 
Vi sono scontri massicci sulla  Linea Mannerheim.


7 dicembre - Una divisione russa riesce a spingersi fino alla cittadina di Suomussalmi, sul lago Kianta (Kiantajàrvi).

Nel marzo 1940 viene firmato un Accordo di Pace. La Finlandia cede alla Russia il 10% del suo territorio e il 20% delle sue risorse industriali.

Danimarca, Svezia e Norvegia si dichiarano NEUTRALI

L’Admiral Graf Spee (nella foto) affonda la nave inglese Doric Star in Atlantico. L’unità tedesca è la nave più temuta dalle marine da guerra alleate. La squadra inglese comandata dal commodoro Harwood si apposta al largo dell’estuario del Rio de la Plata.

8-9-10-11 dicembre - Hitler incontra Vidkun Quisling, fondatore in Norvegia di un movimento filonazista: l’Unione Nazionale.
 Il suo nome è diventato sinonimo di tradimento. Quisling da tempo invitava Hitler ad invadere il proprio paese: ufficiale di carriera nell'esercito norvegese, all'apparire dei carri armati tedeschi, si era autoproclamato Capo di Governo il 9 aprile, ma dopo una settimana, Quisling fu allontanato dallo stesso Reich per  incapacità e per il fatto che l'uomo era disprezzato dalla maggioranza dei norvegesi. Hitler, tuttavia, continua ad aiutarlo sovvenzionando il suo partito. Tra Terboven, Reichskommisar della Norvegia, e Quisling si crea, prevedibilmente, un odio acceso. Terboven cercava di isolare Quisling entro le file del suo stesso partito, e a Quisling non resta che mendicare... presso il Führer. Nel 1942, con l’appoggio del Furher, Quisling ottiene poteri che un tempo spettavano al Re. In questo modo il "traditore" può dare avvio ad una nazificazione massiccia della Norvegia, a partire dai giovani ispirando una sorta di Gioventù hitleriana, la cui iscrizione diventa obbligatoria per i ragazzi tra i 10 e i 18 anni d’età. Il suo piano prosegue con la militarizzazione e l'insegnamento filo-nazista. Fa deportare dissidenti in campi di lavoro nell'Artico. Solo sette mesi dopo l'investitura, un sondaggio segreto rivela che il 95% dei norvegesi detesta Quisling. Tutto ciò preoccupa i tedeschi: il Nasjonal Samling perde iscritti, rappresentando l'1,5% scarso della popolazione.

12 dicembre - La Francia fornisce alla Finlandia 5.000 fucili mitragliatori mod. 1915. L’Inghilterra, dal canto suo, invia alla Resistenza finlandese un certo numero di mortai Brandt, fucili mitragliatori mod. 24 e alcuni aerei.


13-14 dicembre - In conseguenza della sua aggressione alla Finlandia, L’URSS è espulsa dalla Società delle Nazioni. La Società invita i Paesi Membri ad attivarsi per aiutare la Finlandia con ogni mezzo.


15-16 dicembre - Il principale attacco russo inizia in Finlandia nel settore di Summa. Nella notte, 70 carri armati sovietici sono distrutti dai commando finlandesi.

17-19 dicembre - Affonda la corazzata Amiral Graf Spee.

20-21-22 dicembre - Le difese finlandesi rimangono saldamente in mano ai difensori, nonostante i ripetuti attacchi  sovietici.

23 dicembre - Due navi mercantili germaniche sono fermate da unità britanniche presso le coste statunitensi. Uno dei due, il Columbus, di 32.000 tonn. è affondato, l’altro si rifugia nelle acque territoriali della Florida.

24 dicembre
 - Alla vigilia di Natale, Papa Pio XII lancia un “Appello per la Riconciliazione” ai Paesi in guerra, ma resta inascoltato.


25 dicembre - Tedeschi e francesi festeggiano il primo Natale di guerra all’interno delle cupole corazzate della linea Maginot e della linea Sigfrido. Prosegue, in modo ancora tranquillo “La Guerra Strana” sul fronte occidentale.

26-27-28 dicembre - 
Economia di guerra. In Inghilterra viene annunciato il razionamento della carne.


29 dicembre - 
Successo finlandese: i finlandesi ricacciano i sovietici dalla riva Nord del Lago Ladoga. Molti soldati della l63a Divisione russa arretrano e si danno a  una fuga disperata. I finlandesi catturano 11 carri armati, 25 cannoni e 150 autocarri.


30-31 dicembre

Royal Oak

Dall’inizio del conflitto, gli Alleati contano le perdite di 746.000 tonn. di naviglio mercantile, 1 portaerei, 1 incrociatore ausiliario, la corazzata inglese Royal Oak.
  Questo disastro è dovuto agli attacchi degli U-Boote, delle unità di superficie, delle mine magnetiche e di azioni aeree. I tedeschi dal canto loro devono lamentare la perdita di una decina di U-Boote, della corazzata tascabile Admiral Graf Spee e di poche decine di migliaia di tonn. di naviglio.

1940

IL CASO DELLA NAVE  “ALTMARK

 

La nave-appoggio Altmark nei ghiacci

Nel Febbraio del 1940 l’Altmark, l’unità  adibita ai rifornimenti della corazzata tascabile Admiral Graf Spee autoaffondatasi nel Rio del la Plata, navigava nelle acque territoriali norvegesi diretta in Germania, con a bordo un gran numero di marinai inglesi prigionieri, presi dalle unità mercantili affondadate dalla Graf Spee. In quanto unità ausiliaria, essa aveva fatto appello al suo diritto di non essere perquisita quando i norvegesi l’avevano fermata prima al largo di Trondheim e, più tardi, al largo di Bergen. Dopo qualche incertezza, i norvegesi la lasciarono proseguire senza sottoporla a perquisizione, ma il 16 febbraio, in prossimità dello Jøsenfjord sulla costa meridionale della Norvegia, l’unità tedesca fu intercettata dall’incrociatore inglese Arethusa scortato dalla 4a flottiglia cacciatorpediniere agli ordini del C.V. Comandante Vian. Due piccole navi da guerra norvegesi che la scortavano, insistettero sul fatto che, trovandosi in acque neutrali, gli inglesi non dovevano interferire nei suoi movimenti, e l’Altmark poté rifugiarsi nello Jøsenfjord. Tre ore dopo Vian, eseguendo gli ordini impartitigli direttamente da Churchill all’Ammiragliato, si avvicinò all’Altmark per abbordarla, avendo prima proposto ai norvegesi la soluzione alternativa di scortarla di nuovo a Bergen per un’ulteriore perquisizione. Nel frattempo era scesa l’oscurità. Quando il cacciatorpediniere Cossack, con a bordo Vian, si affiancò alla ben più grande nave nemica, l’Altmark tentò di speronarlo, ma s’incagliò nel fiordo. Alcuni marinai inglesi salirono a bordo della petroliera tedesca (nave-appoggio) e, con le pistole spianate, ne occuparono il ponte. Altri andarono in cerca dei prigionieri e furono fatti segno a colpi di arma da fuoco da parte di alcune sentinelle tedesche che fuggirono poi sulla superficie ghiacciata. Morirono otto tedeschi, tra uccisi e annegati; 299 prigionieri inglesi furono trasbordati sul Cossack. Infine le unità inglesi si allontanarono lasciando l’Altmark alle prese con il problema di districarsi dai ghiacci e libera di continuare la sua rotta verso la Germania. In Gran Bretagna il fatto venne salutato come un’impresa epica e il grido lanciato ai prigionieri dagli uomini che effettuavano l’abbordaggio - “Arriva la marina inglese” – diventò famoso. In Norvegia tanto il governo quanto l’opinione pubblica erano infuriati e sgomenti per quella che consideravano una flagrante violazione della loro neutralità. In Germania la cosa suscitò un enorme scalpore sulla stampa e alla radio. Hitler era furioso, e secondo i suoi più stretti collaboratori l’incidente pose fine a ogni sua esitazione in merito all’invasione della Norvegia.

 

I PIANI D’ATTACCO DI HITLER

OPERAZIONE WESERÜBUNG

  CRONACA

Il 26 febbraio e il 1°marzo Hitler firma due direttive che stabiliscono gli obiettivi, gli itinerari e i mezzi dell’Operazione Weserübung, che include anche la Danimarca, affidandone la responsabilità al generale Falkenhorst, Comandante del 21° Corpo d’Armata, il quale, ha già avuto esperienze belliche in Scandinavia durante la Prima guerra mondiale. All’operazione sono destinati:

due corpi d’armata, il 21° A.K.(Armeekorps; Norvegia)  e il 31° A.K. (Danimarca), che dispongono di due divisioni di montagna (2° e 3° Gebirgsdivision) e sette divisioni di fanteria (69°, 163°, 1812°, 196° e 214° Infanterie-Division per la Norvegia, e 170° e 198° ID per la Danimarca).

un corpo aereo, il 10° Fliegerkorps, agli ordini del generale Geisler, che inquadra 290 bombardieri bimotori, 40 ju.87 Stukas, 100 caccia, 70 apparecchi da ricognizione terrestre e marittima e 500 trimotori da trasporto junkers ju.52

- tutte le unità navali della Kriegsmarine disponibili alla datta del 7 aprile 1940. Inoltre, per il trasporto di truppe e di materiali sono requisiti ben 41 bastimenti mercantili per un totale di circa 200.000 tonnellate di stazza.

Con tali forze, lo Stato maggiore tedesco organizza tra l’altro undici gruppi navali, di cui cinque destinati alla Danimarca e sei alla Norvegia. Questi ultimi sono così costituiti:

- Gruppo Narvik: 10 cacciatorpedieniere (Wilhelm Heidkamp, George Thiele, Wolfgang Zenker, Bernd von Arnim, Erich Giese, Eich Koellner, Diether von Roeder, Hans Lüdemann, Hermann Künne e Anton Schmitt) al comando del capitano di vascello Bonte, in funzione di Commodoro, con le truppe del 139° Reggimento cacciatori di montagna (Gebirgsjäger)

- Gruppo Trondheim: incrociatore pesante Admiral Hipper (capitano di vascello Heye), 4 cacciatorpediniere Paul Jacobi, Theodor Riedel, Bruno Heinemann e Friedrich Eckoldt con i soldati del 138° Reggimento cacciatori di montagna;

- Gruppo Bergen: incrociatori leggeri Köln e Könisberg; nave scuola cannonieri Bremse; motosiluranti S-19, S-21, S-22, S-23, S-24 con la loro nave appoggio Carl Peters, navi ausiliarie Schiff 9 – Schiff 18 e Koblenz con 2 battaglioni della 69° Divisione di fanteria. Al comando del gruppo navale è posto il contrammiraglio Schmundt.

Gruppo Oslo: al comando del contrammiraglio Kummetz: incrociatori pesanti Blücher e Lützov, incrociatore leggero Emden,torpediniere Albatros, Kondor e Möwe, 8 dragamine, navi pattuglia Rau-7 e Rau-8 con due battaglioni della 163 Divisione di fanteria

In appoggio all’operazione sono opportunamente dislocati anche numerosi sommergibili.

1° gruppo Westfjord:              U-25, U-46, U-51. U-64 e U-65

gruppo Trondheim:            U-30, U-34

3° gruppo Bergen:                  U-9, U-14, U-56, U-60 e U-62

4° gruppo Stavanger:              U-1 e U-4

5° gruppo Est Shetland:          U-47, U-49, U-50 e U-52 e in seguito U-37

6° gruppo Pentland Firth:       U-13, U-19, U-57, U-58, U-59

8° gruppo Lindesnes:             U-2, U-3, U-5 e U-6

9° gruppo Shetland-Orkney:  U-7 e U-10 

                   

2 aprile Hitler dà il via all’operazione Weserübung (Esercitazione Weser) contro Norvegia e Danimarca. L’inizio delle operazioni viene fissato al 9 aprile.

3 aprile a Londra, rimpasto del ministero Chamberlain. Churchill viene chiamato a presiedere il comitato dei ministri della Difesa e ottiene il consenso del governo per la posa di campi minati nelle acque territoriali norvegesi, già deciso nella seduta del Consiglio Supremo Interalleato del 28 marzo. Nella notte 8 cacciatorpediniere della marina inglese posano tre campi di mine nelle acque territoriali norvegesi.

 

I campi minati sono indicati dalle frecce rosse e segnati con tre file di punti neri al Nord ed al Centro della Norvegia.

Dragamine tedesco in cerca di mine inglesi nelle acque norvegesi

 

LA  GERMANIA  E  L’INVASIONE  DELLA NORVEGIA

Aprile 1940

L'azione predatoria dell’Altmark, voluta direttamente da Churchill, creò un clima incandescente nell'opinione pubblica norvegese, a causa della violazione eclatante della neutralità della Norvegia.

Vale forse la pena ripetere che dopo aver seguito per lungo tempo una politica di disarmo, dopo la Prima guerra mondiale, le Forze Armate Norvegesi arrivarono alla fine degli anni ‘30 senza riserve e con scarso addestramento, sebbene alcuni politici dei vari schieramenti richiedessero il rafforzamento delle capacità difensive nazionali. Il risultato fu che le forze militari stanziate nella Norvegia meridionale furono largamente impreparate ad affrontare l'invasione dei tedeschi, i cui sbarchi in Norvegia trovarono, infatti, scarsa anche se combattiva resistenza dovuta, per lo più,  ad atti solitari di vero eroismo. L'assunzione del comando supremo da parte del generale tedesco Otto Ruge aveva troncato, infine, ogni dubbio sul fatto che i norvegesi avrebbero resistito ad oltranza. L'aiuto fornito dagli alleati fu tardivo, deludente, del tutto insufficiente e poco duraturo...

Nel frattempo, con la capitolazione danese, la Luftwaffe poté usufruire quasi immediatamente dell’aeroporto di Aalborg. Il gruppo che sarebbe dovuto entrare a Oslo venne inaspettatamente respinto.

L’incrociatore tedesco Blücher  (nella foto) fu investito dalle cannonate e dai siluri della fortezza di Oscarborg, il cui Comandante, il sessantacinquenne colonnello Eriksen, si assunse la piena responsabilità dell’azione. L’incrociatore colò a picco senza poter reagire e affondò a Drøbak (sul lato est del fjordo di Oslo). Il fatto davvero eccezionale fece ritardare l’occupazione di Oslo di quel tanto che permise al Governo di prendere tempo, evitare la cattura e portare a termine le procedure costituzionali critiche prima di lasciare la capitale. In questo senso, assunse grande importanza la valorosa difesa di Midtskogen (40 km a NE di Oslo) con  azioni, a dire il vero, improvvisate da unità militari isolate e di volontari irregolari. Gli scontri avevano l’obiettivo di ritardare l’avanzata tedesca di diversi giorni ed ebbero successo.

A Trondheim il gruppo tedesco dell’ Hipper superò combattendo il fuoco di alcune batterie costiere. A Bergen le batterie norvegesi riuscirono a danneggiare il Königsberg  e una nave ausiliaria prima che gli invasori riescissero a sbarcare. A Kristiansand, dopo aver inizialmente respinto gli invasori, le batterie scambiarono le navi tedesche per unità francesi, lasciandole passare. Era il 9 aprile 1940.

 

Fortezza di Oscarborg (Oslo). Foto di una Batteria.

L'attacco Navale Tedesco nei dettagli

L'Operazione UK Wilfred,  ossia la posa di mine inglesi davanti ai porti norvegesi che ha come scopo il blocco delle navi tedesche cariche di minerale, é posticipata all' 8 aprile e, per il 9 aprile é programmato lo sbarco nei porti di Narvik, Trondheim, Bergen, Stavanger. Le navi impiegate per queste operazioni sono: Devonshire, Berwick, York, Glasgow. Porto di partenza: Rosyth. (Base Navale a 12 mg. da Edimburgo)

Ricordando il sequestro dellAltmark, la motivazione ufficiale tedesca era quella di salvare la Norvegia dagli invasori inglesi. Le forze alleate si erano effettivamente mosse, anche se con notevole ritardo, per controbattere la nuova aggressione tedesca, che diede un taglio netto alla finta guerra combattuta in quei mesi di relativa calma.

Operazione Weserübung é la definizione data in ambito militare nazista, che inizia il 9 aprile 1940. I tedeschi sbarcano simultaneamente in otto città portuali. Le truppe avrebbero dovuto essere trasportate con navi da guerra. La Danimarca, che non rappresenta un problema militare, é utile per la vicinanza dei suoi aeroporti (Aalborg) alla Norvegia.

Navi trasporto in navigazione dalla Germania verso nord con truppe e rifornimenti.

Nella notte fra il 7 e l'8 aprile i tedeschi si muovono per accerchiare la Norvegia: sono previsti gli sbarchi di truppe via mare nei centri vitali del paese, lanci di paracadutisti e attacchi aerei con l’intento di scoraggiare in anticipo ogni volontà di resistenza. Il grosso delle forze di superficie della Kriegsmarine é in navigazione per scortare i trasporti truppe.

La  potente nave da battaglia Scharnhost in navigazione tra i ghiacci.

Una grossa formazione navale diretta a nord comprende gli incrociatori da battaglia Scharnhorst e Gneisenau, di scorta a dieci cacciatorpediniere che imbarcano un reggimento della 3a divisione da montagna, destinato a Narvik. Un altro gruppo, guidato dall'incrociatore pesante Hipper e forte di quattro caccia, é diretto a Trondheim.


Una bella immagine della Gneisenau

La sera stessa unità della Home Fleet salpano da Scapa Flow per intercettarle. Il cacciatorpediniere Glowworm, allontanatosi per cercare un uomo gettato in mare da un'ondata, intercetta per caso la formazione dell'Hipper, il suo Comandante non esita a speronare la grande nave tedesca, danneggiandola notevolmente.

Gli altri gruppi navali tedeschi sono composti dagli incrociatori leggeri Köln e Königsberg con torpediniere, unità ausiliarie ed erano diretti verso Bergen. L'incrociatore leggero Karlsruhe dirige, con varie torpediniere a Kristiansand. Una grossa formazione composta dalla corazzata tascabile Lützow (gemella della Bismarck), dagli incrociatori Blücher e Emden, oltre ai mezzi da sbarco dirigono invece verso Oslo.

 I Norvegesi sono colti di sorpresa

I nazisti consideravano i norvegesi un popolo razzialmente puro ed affine e si attendevano di essere accolti con simpatia nel Paese occupato. Il Governo norvegese del Primo Ministro Johan Nygaardsvold, con l'eccezione del ministro degli esteri Halvdan Koht e del ministro della difesa Birger Ljungberg, é colto di sorpresa quando é chiaro, nelle prime ore del 9 aprile 1940, che la Germania nazista ha lanciato l'invasione della Norvegia. Sebbene una parte della riserva aurea del paese sia già stata portata via da Oslo, non esistono piani da poter attuare in caso d’invasione nemica. Oltre tutto, la Norvegia dispone di un’altra importante risorsa che  può offrire agli Alleati: la sua immensa  flotta mercantile, che consiste in più di 1000 navi, pari a una stazza lorda complessiva di 4 milioni di tonnellate.

Impreparato, anche se non avrebbe dovuto esserlo, il governo norvegese non ha nessuna intenzione di capitolare all' ultimatum, il quale scadrebbe all'arrivo delle truppe tedesche e sarebbe consegnato da Curt Bräuer, ambasciatore tedesco a Oslo. La richiesta tedesca che la Norvegia deve accettare la protezione del Reich é respinta da Koht e dal governo norvegese prima dell'alba, il mattino dell'invasione. Vi gir oss ikke frivillig, kampen er allerede i gang, replica Koht (Non ci sottomettiamo volontariamente; la lotta è già iniziata).

8 aprile

Gli Alleati informano il governo di Oslo dell’avvenuta posa di mine nelle sue acque territoriali. Ore 11,50 - Al largo della costa norvegese, vicino a Lillesand, la nave tedesca Rio de Janeiro, adibita al trasporto di truppe, é silurata dal sommergibile polacco Orzel. I naufraghi tedeschi sono raccolti dall’unità alleata e, nonostante sia ormai certo che la forza di invasione tedesca si trovi già in mare, il governo norvegese non ordina la mobilitazione generale. Verso sera, durante una riunione del Consiglio dei ministri, il capo di Stato Maggiore dell’esercito, colonnello Rasmus Hatledal, informa il ministro della Difesa che tutti gli ufficiali dello Stato Maggiore sono a disposizione. Viene decisa la mobilitazione (segretissima) di 5 brigate da campagna nella Norvegia meridionale. Sospettando un tentativo di sbarco inglese, i tedeschi improvvisamente si organizzano per  anticipare l’occupazione della Norvegia.

Il Consiglio Supremo Interalleato, a causa di questi inquietanti segnali,  decide il contemporaneo sbarco di truppe, con la consapevolezza che il giorno seguente i tedeschi avrebbero reagito.

 L’errore strategico degli Inglesi

Alle autorità militari e politiche inglesi pareva incredibile che Hitler potesse tentare un’impresa simile. Tuttavia la realtà era chiara e terribile. Prima della fine del 9 aprile, i tedeschi occupano quasi tutte le città portuali della Norvegia, e persino Oslo, la capitale, é caduta nelle loro mani. Nessuno dei loro sbarchi é fallito.

Per l’Ammiragliato britannico é il crollo umiliante di tante colpevoli illusioni: la Scandinavia, infatti, é diventata un campo di battaglia a causa dell’avventatezza e dell’incertezza alleate. Questa volta, la  diabolica mente di Hitler ha contato in misura relativa; egli ha solo bruciato sul filo di lana gli avversari. La verità é che Londra e Parigi hanno gettato i pacifici Paesi Nordici nelle fauci naziste, dimostrando una mancanza di scrupoli non dissimile da quella del feroce dittatore tedesco.

10 aprile

Nella Norvegia settentrionale, il maggiore generale norvegese Fleischer perde con la guarnigione di Narvik (consegnata dal Colonnello Sundlo ai tedeschi di Dietl senza combattere) uno dei suoi battaglioni. Il 10 aprile un altro battaglione ferma gli uomini di Dietl circa 26 km a nord di Bjerkvik, sulla strada per Bardufoss, dove Fleischer stava concentrando le proprie forze al centro di addestramento e all'aeroporto militare. A Trondheim le forze del 5° distretto si ritirano verso nord, a Stenkjár, per effettuare la mobilitazione, ma così facendo lasciano ai tedeschi l'aeroporto militare di Vaernes, situato a circa 40 km da Trondheím. L'artiglieria lascia i suoi pezzi nei depositi della città, ma il maggiore Holtermann del 5° Artiglieria raduna un contingente di volontari nel vecchio forte di Hegra (Hegra Fort), dove oppone al nemico una strenua resistenza, che dura sino all'inizio di maggio, tenendo impegnate forze tedesche superiori. (vedi commento successivo)

10 aprile Il Re e il Governo danesi si sottomettono all’ultimatum tedesco. Re Haakon di Norvegia sconfessa il governo fantoccio formato da Vidkung Quisling. Unità inglesi, al comando di Warburton Lee, sorprendono 10 cacciatorpediniere tedeschi nel fiordo di Narvik riuscendo ad affondarne due, ma perdendone a loro volta due.


11 aprile

La corazzata Lützow é silurata e fortemente danneggiata da un sommergibile britannico, mentre il Königsberg é affondato da bombardieri Skua decollati da Scapa Flow. 11 aprile il Comandante in capo dell’esercito norvegese maggiore generale Laake rassegna le dimissioni, al suo posto é nominato il generale Otto Ruge. 13 aprile La corazzata inglese Warspite, con la sua squadra affonda 8 cacciatorpediniere tedeschi nello specchio d’acqua antistante a Narvik.

Seguono nuove direttive del Governo inglese al Comandante supremo dell’aviazione da bombardamento, maresciallo dell’Aria sir Charles Frederick Algernon Portal:

“In caso d’invasione tedesca del Belgio e dell’Olanda, gli obiettivi da bombardare dovranno essere: i concentramenti di truppe, le vie di comunicazione e gli stabilimenti della Ruhr; i bombardieri pesanti agiranno soprattutto di notte”.

15-16 aprile. I primi contingenti alleati sbarcano in Norvegia. Il 17 aprile l’incrociatore inglese Suffolk bombarda l’aeroporto di Sola nei pressi di Stavanger, a sua volta attaccato e gravemente danneggiato dalla Luftwaffe. Il Suffolk riesce tuttavia a rientrare a Scapa Flow. Il 19 aprile avviene lo barco alleato a Narvik. Il 20 aprile i tedeschi con due colonne prendono contatto con le linee norvegesi a difesa di Lillehammer, Rena e Åmot (le località si trovano a circa 140 km a nord di Oslo) . 21 aprile. Prosegue l’avanzata tedesca in Norvegia. 22 aprile. I tedeschi con due colonne si spingono verso nord, lungo i fiumi Rea e Glomma. Nel pomeriggio, unità tedesche attaccano nel settore di Balbergkamp, pochi km a nord di Lillehammer. 24 aprile. In Norvegia, i tedeschi avanzano su tutti i fronti.
 27 aprile
 Hitler comunica a Wilhelm Keitel, Comandante in capo delle forze armate, e ad Alfred Jodl, capo dell’ufficio operativo del Comando Supremo della Wehrmacht, che intende scatenare l’offensiva contro la Francia nella prima settimana di maggio.28 aprile. 
Fallisce il tentativo della XV brigata alleata del gen. Britannico sir Bernard Paget di avanzare su Gudbrandsdal partendo da Trondheim. Sir Paget comunica al Comandante in capo dell’esercito norvegese Otto Ruge che la ritirata dalla Norvegia centrale appare inevitabile.
 30 aprile
. Le truppe tedesche provenienti da Oslo e da Trondheim si ricongiungono a Dombas. Parte delle truppe alleate abbandonano il suolo norvegese.

 

Operazione “Weserübung”

- Inizia il 9 aprile 1940 e dura sei settimane -

9-10 aprile 1940. Il comando supremo tedesco sapeva di poter contare, nelle operazioni aero-navali in Norvegia, soltanto su un vantaggio di nove ore nei confronti della flotta alleata. Nella foto, dragamine tedeschi aprono la strada in un fiordo norvegese alle unità maggiori di superficie e alle navi trasporto truppe e materiali.

I tragici Risultati

      853     Norvegesi persero la vita nella  Campagna dei quali

      566     appartenevano all’Esercito Norvegese,

      223     appartenevano alla Marina Norvegese

         4        appartenevano all’Aviazione Norvegese

   1.000     Furono feriti, molti rimasero invalidi per sempre.

      185       Furono le vittime tra i civili.

    3.700     I Tedeschi uccisi.

     2.400    Dei quali appartenevano alla Kriegsmarine.

     2.500    Soldati Inglesi morirono nella Campagna, la maggior parte  in mare.

        500     Soldati Francesi e Polacchi furono uccisi o fatti prigionieri.

        100      Aerei norvegesi furono distrutti.

          35      In totale furono le navi tedesche affondate:

                     6 sottomarini, 3 incrociatori pesanti, 10 cacciatorpediniere, 1 silurante,

                     15 imbarcazioni di vario tipo e modello.

      112       Aerei inglesi abbattuti

      242      Aerei tedeschi distrutti, di cui un terzo erano da trasporto civile.

    4000    Abitazioni civili completamente distrutte.

     4000    Abitazioni parzialmente danneggiate.

        300    Furono i ponti fatti saltare.

 

   Dal 10 Giugno 1940 fino al 8 Maggio 1945 la Norvegia fu occupata.

 

L’ODISSEA  DI  NARVIK

CONTEA DI NORDLAND

 

 

In questo plastico dell’Ofotfjord, la freccia rossa indica la città di Narvik, che nella primavera del 1940 fu teatro di epiche battaglie navali  contro gli invasori tedeschi.

                                                                                                      (Narvik War Museum)

 L’arrivo dei tedeschi a NARVIK e l’immediato affondamento dei due anziani iron clade EIDSVOLD e NORGE è già stato descritto nella sua cruda realtà nelle prime pagine del romanzo. Qui di seguito vi propongo i personaggi e le navi da guerra che sono stati i protagonisti di quelle tragiche giornate ma, come vedremo, l’Odissea di Narvik proseguirà anche sulle montagne...

“Il gruppo tedesco destinato a Narvik risalì l’Ofotenfjord e non ebbe difficoltà a sbarazzarsi delle vecchie unità costiere norvegesi che difendevano il porto, sbarcando regolarmente le sue truppe il 9 aprile, dopo aver ottenuto la resa della guarnigione locale”.

 

Il capitano di vascello Bonte, commodoro dei caccia tedeschi a Narvik. A lato, la sua nave, il cacciatorpediniere Wilhelm HeidkampZ-21, in una foto di poco precedente il conflitto. Da questa nave è partito l’ordine di affondare l’Eidsvold con i lanciasiluri visibili di poppavia alla nave.

 P.g.c. Storia Militare

 

Il guardacoste corazzato Eidsvold gemello, del Norge di 3.645 tonn.

 

                     Il guardacoste corazzato Norge 

(P.g.c. di Storia Militare)

 

 

In questa fotografia ripresa nel War Museum di Narvik, notiamo i reperti recuperati dopo l’affondamento del NORGE: il salpancore (in primo piano), il modello della nave in bacheca (dietro), la bussola magnetica (a destra), il telegrafo di macchina (in fondo a sinistra), un telemetro, un pezzo di lamiera, un fanale di navigazione ed infine alcune foto della nave, del suo comandante sotto il nome della nave.

                                                                                            

Narvik – Il Molo della Posta presidiato da tre caccia tedeschi

 

 

La Lufwaffe diede un enorme contributo soprattutto nei primissimi giorni dell’invasione con lanci di truppe aviotrasportate che occuparono Oslo, Kristiansand, Stavanger, Bergen, Trondheim e Narvik. Nella foto, aerei  da trasporto tedeschi Junkers in volo verso Narvik.

 

 

Unità contraerea tedesca in una valle vicino a Narvik

 

 

La mitragliatrice pesante tedesca, MG.08 appostata sulla costa nord della Norvegia. La famiglia Loewe possedeva una parte considerevole delle azioni della Vickers, Sons & Maxim e della Deutsche Waffen & Munitionsfabriken; questo spiega il legame tra le due.

 

Eduard Dietl, generale tedesco nato nel 1887. Nel 1923 partecipò con Hitler al fallito putsch di Monaco. Nel 1940, durante la campagna di Norvegia, fu destinato a presidiare Narvik a capo di un reggimento alpino. Mentre la Marina tedesca subiva gravi perdite proprio davanti a Narvik, Dietl riuscì a resistere a lungo ai vari tentativi alleati di riprendere la città. Ad un certo punto Hitler gli fece ordinare di abbandonare Narvik per ripiegare su Trondheim, ma l’ordine non gli giunse, perchè fu bloccato dal colonnello von Lossberg.  L’ufficiale di collegamento con l’OKW, consigliò Keitel e Jodl di persuadere Hitler ad impedire a Dietl una marcia tra i ghiacciai che avrebbe decimato il suo reggimento. Dietl continuò a combattere sul fronte settentrionale, meritandosi, grazie alla sua abilità, il soprannome di “Rommel del nord”. Nel 1941 fu sul fronte della Carelia con le sue divisioni alpine e nel giugno superò la frontiera norvegese all’altezza di Capo Nord, alla testa del 19° corpo alpino, per impradonirsi delle numerose miniere della zona russa della penisola di Cola che facevano gola a Hitler. Successivamente, in luglio, tentò di spingersi fino a Murmansk che in seguito, grazie al suo porto, si rivelò preziosa per l’Unione Sovietica come arrivo dei mercantili con gli aiuti americani e britannici. Gli attacchi tedeschi, però, andarono a vuoto e Murmansk fu salva perché gli alpini di Dietl non riuscirono a superare l’ostacolo naturale che proteggeva la città. Dietl ottenne la Ritterkreuz il 9 maggio 1940, l’Eichenlaub il 19 luglio dello stesso anno e le Schwerter il 23 giugno 1944, quando morì in combattimento con il grado di generale Comandante della Ventesima Armata.

 

A Narvik, la controparte del generale Eduard Dietl fu il colonnello norvegese Konrad Sudlo comandante della guarnigione locale che, di fatto, consegnò i suoi uomini (700-800 soldati)  e le caserme ai tedeschi senza combattere. In quel tragico giorno, pare che le forze norvegesi fossero, in città, addirittura leggermente superiori a quelle tedesche. Non fu mai chiaro quanto abbiano inciso sul suo imbelle comportamento, la paura oppure il desiderio di risparmiare altre vite umane, dopo quanto successe poco prima ai marinai del Norge e Eidsvold, caduti davanti al porto. In ogni caso, erano ben noti, sia l’odio che nutriva verso i comunisti, sia l’ammirazione che aveva per i nazi-fascisti, ma soprattutto era nota la sua amicizia con “il traditore della Patria V. Quisling”. I norvegesi lo processarono nel 1947 e lo condannarono all’ergastolo.

 

 NARVIK -

IL MUSEO DELLA GUERRA

KRIGSMINNEMUSEUM

 

NORDLAND RØDE KORS

www.warmuseum.no.webarchive

 

 

Ringrazio sentitamente il

Nordland - Croce Rossa - Museo della Guerra di Narvik

per avermi concesso di realizzare la presente ricerca su un capitolo di Storia Europea che solo gli storici di professione conoscono. I principali teatri di guerra della Seconda guerra mondiale hanno “oscurato” quelli periferici come la Norvegia il cui popolo ha subito per cinque anni la FEROCIA nazista facendo conoscere al mondo il loro coraggio ed il loro valore nella difesa della propria terra nonostante fossero pochi e quasi disarmati come abbiamo potuto vedere in questa Prima Parte.

CONTINUA...

Carlo GATTI

Rapallo, 16 Novembre 2022


LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO VALFIORITA

LA STORIA DELLA NAVE DA CARICO

VALFIORITA

UNA VITA BREVE…

La Valfiorita Impostata nel 1939 nei cantieri Franco Tosi di Taranto in costruzione Varata il 5 luglio 1942
 e completata il 25 agosto 1942 dalle Industrie Navali Società Anonima.

CARATTERISTICHE:

Motonave da 6200 tsl - lunga 144,47 metri - larga 18,65 - velocità 14-15 nodi.

 

UN PO’ DI STORIA…

Il
 17 settembre 1942, la Valfiorita viene requisita dalla Regia Marina, per essere adibita al trasporto di rifornimenti per le truppe in Africa Settentrionale.
La nave viene armata con un cannone da 120/45 e tre mitragliere contraeree Oerlikon da 20 mm. Per ostacolare la localizzazione della Valfiorita da parte di unità nemiche, viene installato anche un impianto nebbiogeno a cloridrina.

Eravamo in piena guerra per cui l’approvvigionamento di materiali ed attrezzature non era cosa facile. I metalli erano strategici e le priorità verso gli armamenti bellici erano maggiori.

Il 20 settembre 1942 la nave inizia a Taranto il carico di rifornimenti destinati alle forze italo-tedesche a Bengasi, prendono parte al viaggio in AS anche un centinaio di militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi.

Vennero imbarcate in tutto 4171 tonnellate di carico, comprendente 77 veicoli e 206 motociclette italiane, 95 veicoli tedeschi (moto comprese), 16 cannoni e 14 autovetture.

Il 3 ottobre, con i suoi 97 uomini di equipaggio (48 civili, tra cui 3 operai della Franco Tosi di Legnano, azienda produttrice dei motori, e 49 militari della Regia Marina), imbarcò anche 110 militari italiani del Reggimento Cavalleggeri di Lodi e 100 militari tedeschi. Sulla nave erano presenti due comandanti, il capitano di lungo corso Giovanni Salata (comandante civile) ed il capitano di corvetta Giuseppe Folli, comandante militare.

 

LA PARTENZA

Antonio Pigafetta (classe Navigatori)

 

Camicia Nera

 

Saetta

 

Con la scorta dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Camicia Nera e Saetta, la VALFIORITA prende il largo alle 15.10, ma solo a mezzanotte che fu dato l’allarme aereo.

Poco dopo in cielo esplosero i bengala che illuminarono il convoglio italiano che era stato segnalato da un Supermarine Spitfire, (foto sopra) aereo da ricognizione a lunga autonomia, sulla base delle intercettazioni delle informazioni fornite da “ULTRA”.

 

 

 

L’attacco inglese era composto da quattro Vickers Wellington (foto sopra) del 69th Squadron della Royal Air Force, armati sia di bombe che di siluri.

Il Vickers Wellington era un bombardiere medio bimotore inglese, realizzato sul finire degli Anni trenta; largamente impiegato nel corso della Seconda guerra mondiale, fu costruito in oltre 11.000 esemplari, caratterizzato dall'inusuale struttura geodetica, sviluppata dal celebre ingegnere ed inventore britannico Barnes Wallis, che garantiva al velivolo un'eccezionale robustezza, già sperimentata con il precedente Vickers Wellesley. 

Caratterizzato dalla sigla interna Type 271, il velivolo fu inizialmente chiamato Crecy (dal luogo in cui si svolse una battaglia della guerra dei cent’anni. Il nome definitivo fu in onore del primo duca di Wellington che sconfisse Napoleone Bonaparte nella Battaglia di Waterlloo. 

Riporto la cronaca dell’attacco tratta da Ocean for Future

L’attacco fu fulmineo, e nonostante l’uso di un pallone frenato e di una fitta cortina fumogena, raggiunse il suo scopo. I bombardieri Wellingtonattaccarono a motore spento da 1370 metri di quota, ed una bomba da 1000 libbre cadde a meno di 140 metri a poppavia della Valfiorita. Uno degli aerosiluranti, volando a bassissima quota, sganciò il suo siluro da 640 metri. Il siluro colpì la Valfiorita nella stiva numero 5, a poppa, facendo levare una fiammata rossastra ed aprendo una grossa falla attraverso cui l’acqua allagò le stive 5 e 6. La reazione della contraerea riuscì a danneggiarlo e costringerlo in seguito ad un atterraggio d’emergenza a Luqa. Sulla Valfiorita si scatenò il panico. A seguito del siluramento anche l’apparato fumogeno della nave rimase danneggiato ed il cloro venne disperso su ponte ferendo molti marinai. Nonostante gli effetti provocati dalla falla, causassero un rapido allagamento, esteso anche alla galleria dell’asse dell’elica, la motonave Valfiorita, proseguì il suo moto raggiungendo il mattino del 4 ottobre Corfù. Al fine di effettuare le dovute riparazioni fu quindi fatta incagliare ad una ventina di metri dalla costa. Nel frattempo i militari del Reggimento Cavalleggeri di Lodi vennero sbarcati e si accamparono presso il vicino villaggio di Potamòs, dove la popolazione soffriva di una gravissima carenza di cibo. Furono i militari italiani a condividere le loro razioni per permettergli di sopravvivere.

Sbarcati uomini e mezzi, solamente il 25 novembre 1942, dopo avere effettuato alcuni lavori, viene messa in condizioni di riprendere il mare, e raggiunge Taranto per i lavori di riparazione.
Terminati i lavori in bacino, a fine giugno 1943 la Valfiorita, ultimò anche le prove in mare e tornò in servizio.

Il 27 giugno 1943 il Comandante civile della motonave, il Capitano di lungo corso Giovanni Salata, chiede l’invio del materiale che mancava, specie delle 55 bombole di anidride carbonica dell’impianto antincendio, che erano state sbarcate per essere ricaricate dopo il siluramento dell’ottobre 1942 e non erano più state restituite. Furono inviate dieci bombole, ma il 7 luglio 1943 il Tenente di Vascello Giuseppe Strafforello, nuovo Comandante militare della Valfiorita dovette lamentare allo Stato Maggiore che le dieci bombole mandate erano inadatte all’impianto della Valfiorita, e che, come già aveva comunicato il comandante Salata il 2 luglio 1943, non c’erano altri mezzi antincendio a bordo della nave.

Sempre in data 7 luglio 1943, la nave in tarda serata, parte da Taranto in direzione Messina, sprovvista di ogni mezzo per spegnere qualsiasi focolare d’incendio, carica di mezzi, tra cui camion Fiat 626, moto, autoblindo e altri veicoli. L’equipaggio civile era composto da 45 uomini, mentre quello militare era composto da italiani e tedeschi. Arrivata a Messina, intorno alle 20,50 dell’8 luglio 1943, lascia il porto messinese in direzione Palermo, alle 22,30 giunta nello specchio di mare tra Capo Rasocolmo e Mortelle, viene fatta oggetto di attacco nemico da parte del sommergibile della Royal Navy HMS Ultor (P53) (foto sotto) agli ordini del Lt. George Edward Hunt DSC, RN.

 

 

L’unità britannica lancia quattro siluri, due dei quali colpiscono mortalmente la motonave. Distrutto il carteggio di bordo, i due comandanti civile e militare, danno l’ordine di abbandono della nave.

 In soccorso dei naufraghi, oltre alla torpediniera di scortaArdimentoso, accorsero da Messina le regie corvette Camoscio e Gabbiano (della stessa classe).

Su 45 civili e 22 militari (18 italiani e 4 tedeschi) che componevano l’equipaggio della Valfiorita, 13 civili persero la vita (dodici – soprattutto del personale di macchina – risultarono dispersi ed il direttore di macchina Pegazzano morì in ospedale) e 11 militari (7 italiani e 4 tedeschi) rimasero feriti.

 

 Torpediniera di scorta ARDIMENTOSO in bacino di carenaggio a Genova

La classe Gabbiano (corvette) fu progettata e costruita durante la Seconda guerra mondiale dall’Italia Fascista per rimediare alla cronica deficienza, nella Regia Marina, di un'unità adatta ai compiti di scorta dei numerosi convogli verso la Libia. Dopo aver fatto fronte a questa necessità utilizzando le navi più disparate, dai cacciatorpediniere di squadra alle vecchie torpediniere della Prima guerra mondiale nel 1941 venne decisa la costruzione di sessanta unità delle corvette classe Gabbiano, adatte alla scorta dei convogli e alla caccia dei sommergibili nemici.

 L’8 luglio 1943 la Valfiorita fu colpita alla prua da un siluro lanciato dal sommergibile HMS Ultor della marina britannica nel tratto di mare tra Messina e Palermo, affondò rapidamente quando si staccò il troncone di prua. La Valfiorita, nonostante la tragicità dell’avvenimento e per le vittime che ha trascinate sul fondo, rimane per i posteri uno dei più affascinanti relitti storici che si trovano al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo.

Infatti, non solo conserva ancora intatto tutto il suo carico (motocicli, auto e camion degli anni Trenta-Quaranta), ma si trova adagiata sul fondale in perfetto assetto di navigazione. A causa della notevole profondità, delle reti sul relitto e della forte corrente le immersioni subacquee possono essere effettuate solo da sub molto esperti.

La nave in navigazione da Messina per Palermo venne attaccata e silurata dal sommergibile Britannico Ultor l’8 Luglio del 1943, affonda spezzandosi in due tronconi. Il relitto giace su un fondo che va da 60 a 70 metri, per tre quarti in perfetta linea di navigazione, mentre la prua è riversa su un lato, con la coperta rivolta a NW. Per visitarla tutta sono necessarie almeno tre immersioni aperte solo a subacquei tecnici date l’elevata profondità e la durata. E’ possibile penetrare all’interno delle stive dove si trovano Jeep, motociclette, autocarri e munizioni. La nave è abitata da grandi cernie (Epinephelus marginatus), dentici (Dentex dentex), pauri (Sparus pagrus) e occasionalmente da astici (Homarus gammarus).

 

CONTRIBUTI

http://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/22198

Immergersi sulla Valfiorita

La Valfiorita è uno dei più affascinanti relitti storici al largo delle coste italiane e di tutto il Mediterraneo. L’immersione nel blu, adatta a subacquei esperti, è ricca di emozioni. Inizialmente si intravede il castello, situato verso poppa, a circa 45 metri di profondità, poi lentamente si intravedono i resti della importante struttura distribuiti tra i 60 e i 72 circa.

Tra di essi, un’esperta subacquea tecnica,  Isabelle Mainetti che ha raccontato in un suo articolo, corredato dalle foto di GianMichele Iaria la sua immersione sulla motonave Valfiorita. Non solo lamiere immerse nel buio e nel fango ma ricordi, forti emozioni che fanno rivivere quella terribile notte che abbiamo brevemente raccontato. Viene voglia di ritornarci … chissà.

 

 

Il troncone centrale-poppiero giace in assetto di navigazione, mentre quello prodiero giace piegato sul lato sinistro, entrambi ancora carichi di esplosivi, munizioni e vari mezzi, a circa 70 mt di profondità.

 

Scendendo nella stiva ormai a cielo aperto appare tra il fango una mitica Balilla. Di seguito numerosi automezzi ancora perfettamente stivati, uno a fianco dell’altro, come in un garage.

L’altro pezzo della motonave si trova più avanti, a prua, spezzato di netto a circa un quarto della lunghezza della nave, mollemente adagiato sul fianco sinistro. In questo troncone si ritrovano due stive ancora contenenti casse di proiettili e materiali militari.

foto di GianMichele Iaria

Risalendo le strutture contorte o collassate, la plancia, le torrette che ospitavano le armi ormai strappate dalle loro strutture ed affondate negli abissi.

 

Questo il racconto di chi ha avuto la fortuna di visitare questo relitto, che giace ad una profondità non accessibile a tutti i sub. Non avendo avuto questa fortuna mi soffermo sulle loro parole, di quei subacquei che hanno sfidato le profondità alla ricerca di qualcosa che va oltre il relitto.

 

Una parte del relitto della VALFIORITA

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 Ottobre 2022


ALCUNE STORIE DELL’EMIGRAZIONE ITALO-ARGENTINA

ALCUNE STORIE DELL’EMIGRAZIONE ITALO-ARGENTINA

 

ALBERTO BISAGNO

La nave panamense NORTH KING, la salvezza dell’angelo della morte, il criminale nazista Josef Mengele.

 

STORIA DELLA NORTH KING

Venne costruita nel 1903 come nave da carico dai cantieri Bremer Vulkan di Vegesack, Germania per conto della società di navigazione DDG Hansa di Brema e battezzata LIEBENFELS, 4,525 Tonnellate Stazza Lorda.

A seguito dello scoppio della prima guerra mondiale, il 1° Agosto 1914 trova rifugio a Charleston, S.C. – USA.

Il 2 Gennaio del 1917 con l’entrata in guerra degli Stati Uniti la nave viene autoaffondata dall’equipaggio. Il successivo 20 Marzo viene confiscata dalla Marina Militare Statunitense, riportata a galla e riparata.

Il 6 Aprile 1917 ribattezzata USS HOUSTON (AK-1) e usata come trasporto armato.

Il 23 Marzo 1922 viene ufficialmente smilitarizzata e posta in vendita.

Il 27 Settembre 1922 acquistata dalla Alaska-Portland Packers Association, Portland, Oregon, USA ( Frank M. Warren ) e ribattezzata NORTH KING.

Nel 1929 passa alla Pacific American Fisheries Inc. di Bellingham, USA. Nome invariato.

Nel 1940 passa al registro panamense senza cambio di nome sotto proprietà della Diana – Compania de Vapores S.A. – Panama.

Il 30 Dicembre 1941 viene noleggiata dallo War Shipping Administration e gestita durante la guerra dalla US Lines di New York.

Il 26 Febbraio 1946 viene restituita agli armatori che la pongono in vendita.

Nel 1947 fu acquistata dalla Sociedade de Navegacao Luso Panamense Lda – Lisbona e convertita in nave trasporto emigranti e carico generale. Nome invariato:

NORTH KING, bandiera panamense.

Successivamente impiegata in servizi trasporto emigranti da Genova e altri porti mediterranei verso l’Argentina. L’emigrazione argentina la dà in arrivo a Buenos Aires con partenza da Genova con a bordo emigranti Italiani, Tedeschi e dell’Europa dell'Est, con le seguenti date:

13 Maggio 1948 – 4 Ottobre 1948 – 12 Dicembre 1948 – 14 Febbraio 1949 – 16

Aprile 1949 – 22 Giugno 1949 e 26 Agosto 1949.

Fu proprio durante il viaggio da Genova in arrivo a Buenos Aires il 22 Giugno 1949 che si trovava a bordo il “medico” di Auschwitz, Josef Mengele con documenti falsi sotto il nome di Helmut Gregor.

Successivamente venne ancora impegnata su altre linee, probabilmente fece anche viaggi in Australia, fino al 1956 quando venne posta in disarmo e l’anno dopo venduta alla demolizione in Giappone, arrivando a Osaka per la demolizione il 1° Giugno 1957.

Con la disfatta della Germania nazista inizio da subito la caccia ai criminali di guerra, molti vennero catturati, processati a Norimberga, giustiziati o imprigionati. Molti di loro riuscirono invece, grazie a un’organizzazione chiamata ODESSA, a fuggire verso paesi sicuri in Sud America ove questa organizzazione aveva costituito moltissime attività commerciali ed industriali, soprattutto in Argentina ma anche in Cile, Brasile, Uruguay e Bolivia.

Tramite un’organizzazione parallela chiamata Rattenlinien, in italiano la via del topo, con la complicità della Croce Rossa di Ginevra che forniva loro falsi documenti e il Vaticano che forniva logistica e aiuti, erano nate due vie di fuga dei criminali e gerarchi nazisti: una dalla Germania verso la Spagna e poi l’imbarco verso il sud America e un'altra dalla Germania verso Roma e successivamente a Genova in attesa dei nuovi documenti e del visto per l’emigrazione in Sud America.

Molti arrivarono a Genova e con l’aiuto della Daie (Delegacion Argentina de Inmigracion en Europa) che aveva sede a Genova Albaro e godeva di uno status semi diplomatico, riuscirono a farla franca e trovare imbarco dal porto di Genova su navi dirette in Sud America.

Sicuramente i più importanti furono:

Joseph Mengele che partì da Genova verso l’Argentina a bordo del piroscafo NORTH KING il 16 Maggio 1949 sotto il falso nome di Helmut Gregor.

Adolf Eichmann che trovò imbarco sulla GIOVANNA C. in partenza da Genova per Buenos Aires il 17 giugno 1950 sotto il falso nome di Ricardo Clement.

Klaus Barbie che partì alla volta della Bolivia sul piroscafo argentino CORRIENTES il 22 Marzo 1951 sotto il falso nome di Klauss Altmann.

Ed ecco le navi che garantirono, inconsapevolmente, la libertà a questi criminali di guerra:

S/s NORTH KING 1903/4.608 Tsl

Costruita come nave da carico nel giugno 1903 da Bremer Vulkan – Vegesack con il nome di LIEBENFELS per la Hansa Line di Bremen.

1917 Requisita dagli Stati Uniti nel poto di Charleston, NC e ribattezzata USS HOUSTON

1922 Acquistata dalla Alaska Portland Packers Association di Portland, Oregon e ribattezzata NORTH KING

1929 Passa alla Pan American Fisheries Inc. – Billingham – USA. Nome invariato

1940 Passa alla Diana Compania de Vapores S.A. – Panama. Nome invariato

1947 Passa alla Sociedade de Navegacao Luso Panamense – Lisbona. Ricostruita in nave trasporto emigranti. Nome invariato.

1957 Demolita a Osaka, Giappone.

 

 

GIOVANNA C. 1919/8.151 Tsl

Costruita come nave da carico nel dicembre 1919 con il nome di EASTERN TRADER per il governo USA.

1922 Acquistata dalla Luckenbach Steam Shipping Company – San Francisco e ribattezzata HORACE LUCKENBACH

1947 Acquistata dalla ditta Giacomo Costa fu Andrea e ribattezzata GIOVANNA C. Convertita in nave trasporto emigranti verso il Sud America. E’ stata la prima nave passeggeri della flotta Costa.

1953 Venduta alla demolizione a La Spezia.

 

 

 

CORRIENTES 1942/12.053 Tsl

1942 (7/2) Varata con il nome di MORMACMAIL da Tacoma Shipbuilding Corporation per la Moore Mc.Cormack Lines – New York

1942 (Marzo) Completata da Williamette Iron & Steel Company – Portland, Oregon come porta aerei ausiliaria per la marina militare USA con il nome di TRACKER

1943 Trasferita alla Royal Navy con il nome di HMS TRACKER

1948 Acquistata dalla Rio de la Plata S.A. de Navegacion de Ultramar (Dodero) – Buenos Aires. Trasformata in nave trasporto emigranti (1.694 persone) e ribattezzata CORRIENTES

1955 Passa alla Flota Argentina de Navegacion de Ultramar (FANU) – Buenos Aires. Nome invariato.

1961 Passa alla Empresas Lineas Maritimas Argentinas S.A. (ELMA) – Buenos Aires. Nome invariato.

1964 Venduta alla demolizione a Anversa, Belgio.

 

 Carlo GATTI

La PAGINA NERA che riguarda la storia dell’emigrazione italiana in Argentina è propria quella descritta da Alberto Bisagno e, per chi non conoscesse Josef Rudolf Mengele, mi permetto di aggiungere una breve biografia di questo delinquente che fu aiutato da ENTI insopspettabili, come vedremo, ad emigrare in Argentina.

 

Josef Rudolf Mengele ad Auschwitz  nel 1944

 BIOGRAFIA BREVE (TRECCANI)- Josef. Medico e membro delle SS (Günzburg, Baviera, 1911 - San Paolo, Brasile, 1979); uno dei più efferati criminali nazisti. Dopo gli studi di medicina orientati sulla morfologia razziale, nel 1937 divenne assistente di O. Freiherr von Vershuer, specialista di eugenetica. Nel 1939 M. fu arruolato in un ispettorato sanitario delle Waffen-SS, poi destinato (1940-42) all'ufficio per la razza e gli insediamenti umani, quindi sul fronte orientale. Al rientro, impiegato a Berlino all'ufficio centrale per la razza e gli insediamenti umani e impegnato negli studi sulla biologia dei gemelli, M. entrò (1943) nel lager di Auschwitz-Birkenau per approfondire la sperimentazione su centinaia di migliaia di detenuti ebrei e zingari, considerati subumani, e in partic. sui gemelli (ca. tremila bambini e adolescenti torturati sino alla morte) e su persone affette da nanismo. Con l'avanzata dell'esercito sovietico, nel genn. 1945 M. si trasferì a Gross-Rosen (dove fece esperimenti sui prigionieri russi), poi a Mauthausen, quindi si aggregò a un ospedale da campo che si spostava verso occidente. Internato a Weiden in un campo americano, non fu trattenuto né arrestato, sfuggendo così al processo di Norimberga. Dopo aver assunto false identità, nel 1949 fu aiutato dalla famiglia a lasciare il paese, passando attraverso l'Italia: si imbarcò a Genova per Buenos Aires e nell'Argentina peronista si mise in contatto con i gruppi nazisti espatriati. Nel momento in cui si sentiva ormai sicuro riprendendo il suo vero nome, emersero le ricerche che ex internati di Auschwitz avevano intrapreso: nel 1959 la Germania spiccò un mandato di cattura contro di lui. Ottenne la cittadinanza in Paraguay e quando nel 1961 scoppiò il caso di K. A. Eichmann (v.), nascosto in Argentina, M. si spostò a San Paolo del Brasile, assumendo un'altra identità che lo celò sin dopo la sua morte (1979), scoperta nel 1985 dopo il test del DNA.

 

L'Argentina apre gli archivi sulla fuga dei nazisti

http://www.cnj.it/documentazione/odessa.htm

Gli argentini di origine italiana rappresentano il primo gruppo etnico del paese sudamericano con 20/25 milioni di persone. Più del 50% della popolazione argentina riconosce una qualche discendenza da italiani.

Dal 1870 al 1910 si è prodotta un'alluvione immigratoria, sono immigrati veneti, siciliani, pugliesi, alcuni si sistemavano a La Boca, dove, per poter adattarsi e comunicare con gli altri assorbivano la cultura genovese e imparavano la lingua del quartiere.

La Boca, rione genovese di Buenos Aires

https://www.italianiabuenosaires.com.ar/diario/la-boca-rione-genovese-di-buenos-aires/

 

ITALIA - ARGENTINA

STORIA DI UNA MASSICCIA EMIGRAZIONE, CON ALCUNE MACCHIE SCURE…

Tra il 1871 e il 1900 si recarono in Argentina più di 800 mila italiani: una media di quasi 9 mila persone l'anno nel primo decennio, 39 mila nel secondo e quasi 37 mila nel terzo. Tra il 1901 e il 1910 sbarcarono in Argentina oltre 734 mila italiani e quello fu il decennio con la più alta intensità migratoria.

 

Espatriati italiani (lavoratori e non) in Argentina. Anni 1871-2010

1871-1880

1881-1890

1891-1900

1901-1910

1911-1920

1921-1930

1931-1940

1941-1950

43.039

391.503

367.220

734.597

315.515

537.751

80.753

274.523

1951-1960

1961-1970

1971-1980

1981-1990

1991-2000

2001-2010

209.545

10.979

7.875

8.478

18.477

15.298

 

La "DODERO" 
la compagnia degli emigranti italiani

di Lorenzo Oliveri(da Il mare ed il suo entroterra, N.U. AICAM)

In occasione dei festeggiamenti per il 30° anniversario del Circolo Filatelico "Baia delle Favole" di Sestri Levante, L'A.I.C.A.M. ha presentato numerose collezioni di affrancature meccaniche sul tema "IL MARE E IL SUO ENTROTERRA". In tale circostanza è stato edito anche un NUMERO UNICO, con lo stesso titolo, che contiene molti articoli sul tema marinaresco. Fra questi citiamo un "pezzo" sulla POSTA CATAPULTATA, una carrellata sulle NAVI ITALIANE NEL MONDO, e l'articolo qui riprodotto sulla Compagnia Marittima Dodero. Prossimamente su questa rivista saranno riprodotti articoli sull'ANDREA DORIA e sulla ROSOLINO PILO, due navi dalla storia molto interessante e...intrigante.

Alla fine della seconda guerra mondiale fortissima era la richiesta di trasporto dei nostri emigranti verso il Sud America. Data la carenza di navi su quella linea, l’armatore argentino (di origine ligure) Alberto Dodero decise di acquistare alcuni piroscafi di costruzione bellica del tipo “Victory”, tra cui la Corrientes e la Salta. Completamente trasformate in navi passeggeri furono inviate a Genova rispettivamente nel gennaio e nell’aprile 1949, dando inizio alla linea per emigranti Mediterraneo-Brasile-Rio della Plata, acquisendo una fetta importante di questo ricco mercato. Le due navi impiegavano 14 giorni per il Brasile e 18 per il Rio della Plata.

 

 

Impronta della Flotta Transatlantica Argentina, Agenzia Generale per l’Italia della Flota Argentina De Navegacion Ultramar Compania Argentina De Navegacion Dodero.

 

LA MOTONAVE SALTA

La Salta venne trasformata in nave mista, essenzialmente con alloggi per emigranti, dal cantiere di Newport News in Virginia (USA), e formalmente trasferita sotto bandiera e registro argentino. Entrò in servizio sulla linea Buenos Aires-Genova nel 1951 pochi mesi dopo la Corrientes. Nel 1955 la Dodero chiuse le operazioni e la società operativa divenne la "FANU" ("Flota Argentina de Navegacion de Ultramar"). Tanto la Salta che la Corrientes (gemelle proprio in tutto !!!!) furono ritirate dal servizio a dicembre 1964 dopo seri problemi alle caldaie e furono messe in disarmo a Buenos Aires per essere poi demolite nel 1966.

 

 

 

Le targhette delle due impronte di questa pagina, impresse da macchina Postitalia fornita dall’italiana Audion alla Dodero Compania Argentina De Navegacion nel 1948, riportano il profilo delle due navi.

Due LINK interessanti di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

  • ITALIANI ALLA FINE DEL MONDO - Una storia dimenticata

di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/ushuaia/

  • TEMPO DI GUERRA - AMARCORD…5 – Ho incontrato … Eichman

di Renzo BAGNASCO

https://www.marenostrumrapallo.it/amarcord-5/

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI ECONOMIA

Corso di Laurea in Economia e Direzione delle Imprese

Tesi di Laurea

Aspetti socio-culturali dell’emigrazione italiana in Argentina: il caso di Santa Fe

https://www.fhuc.unl.edu.ar/portalgringo/crear/gringa/pdf/Tesi.pdf

 

 

Cercare informazioni sui parenti partiti dal porto di Genova

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Il Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana, di cui AdSP fa parte, dispone di diverse banche dati contenenti informazioni su milioni di migranti italiani.

Inserendo i dati della persona ricercata sul sito www.ciseionline.it potrai sapere la data, il luogo di partenza e di destinazione, e avere informazioni sugli spostamenti, sul viaggio per mare e sui familiari al seguito. Nei casi più fortunati anche leggere un breve racconto dell’esperienza migratoria.

Per ulteriori informazioni scrivere a segreteria@ciseionline.it

Rapallo, 24 Ottobre 2022


IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

IL MISTERO SULLO SCAMBIO D’IDENTITA’ DI DUE SOTTOMARINI

AFFONDATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il REGENT, un sommergibile inglese costruito nel 1930, affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat (E' una provincia italiana della Puglia settentrionale che conta 391.556 abitanti. Il capoluogo è congiunto fra le città di Barletta, Andria e Trani), meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di una Unità militare italiana.

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta.

 

 

PROPONIAMO DUE TESTIMONIANZE VIDEO (Splendide immagini) DEI SUB E DI STUDIOSI CHE HANNO RISOLTO IL DILEMMA

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=8JV2FAfcNOE

https://www.youtube.com/watch?v=YwMn0MyOb2A

Nota: A volte viene usata la parola “sommergibile” altre volte “sottomarino”.

Rispetto al sottomarino, il sommergibile dispone di limitate capacità in immersione e non è in grado di operare per periodi prolungati al di sotto della superficie dell'acqua. Per molti aspetti si ritiene quindi che il sommergibile rappresenti il predecessore dei più moderni sottomarini.

Nel periodo fra le due guerre poche sono le innovazioni tecniche sostanziali apportate al sommergibile, ormai evoluto. Oltre all'irrobustimento dello scafo, reso idoneo a scendere sotto i cento metri, al miglioramento delle sistemazioni di salvataggio e dall'adozione di telecomandi oleodinamici.

Rilevante é lo studio di un'importante apparecchiatura che, utilizzata realmente solo a partire dalla metà della Seconda  G.M. rimarrà poi strumento fondamentale per il moderno sottomarino a propulsione convenzionale: lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

 

UN PO’ DI STORIAL’autore si è concesso la riduzione personale dell’ampia versione del Quadro Storico in cui operarono i nostri sottomarini nella Seconda guerra mondiale.

 

MINISTERO DELLA DIFESA

 

 

Lo "snorkel", un sistema che, fornendo una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile immerso a quota periscopica, consente l'uso dei motori diesel (e, quindi, la ricarica delle batterie) ed il ricambio dell'aria nel battello senza necessità di risalire in superficie, conservando così in massima parte l'occultamento.

L'invenzione dello snorkel viene generalmente attribuita ai tedeschi, che per primi lo impiegarono in guerra, sul finire del 1943; i più informati ne fanno risalire l'origine agli olandesi, che lo istallarono sui loro battelli della classe "O" negli anni fra il '37 ed il '40.

 

 

In realtà, lo snorkel è un’invenzione italiana. Fu, infatti, il Maggiore del Genio Navale Pericle Ferretti (nella foto) a condurre i primi studi, intorno al 1920, presso l'Arsenale di Taranto. Egli stesso, poi, realizzò un prototipo che nel 1925 fu felicemente sperimentato sul Smg. "H3" (uno dei battelli acquistati in Canada durante la 1^ G.M.).

Sotto la spinta degli eventi politici mondiali, la produzione di Smg viene intensificata a tal punto che, nel 1940, la Marina italiana entra in guerra con 115 sommergibili: una delle maggiori flotte subacquee del mondo.

Le prestazioni dei sommergibili italiani vengono vieppiù migliorate. Aumenta l'autonomia, che nei battelli oceanici raggiunge le 20.000 miglia, così come l'armamento (fino a 14 tubi di lancio e 40 siluri). Il siluro si perfeziona e diventa più affidabile. La quota massima scende oltre i 130 metri. La velocità in superficie raggiunge i 20 nodi. Per il combattimento in superficie, al cannone si aggiungono mitragliere antiaeree.

Fino al 1942 il successo dell'offesa sottomarina è elevatissimo. I battelli italiani, che prima della costituzione della base a Bordeaux ("Betasom") dovevano forzare lo stretto di Gibilterra, vengono di norma impiegati isolatamente nell'Atlantico centrale e meridionale, dove il traffico è meno intenso e fortemente scortato. Ciò nonostante, i risultati non mancano: quasi 600 mila tonnellate di naviglio affondato con un "exchange rate" (ossia, il rapporto fra tonnellate di naviglio affondato e battelli perduti) praticamente uguale per entrambe le Marine.

Dopo il 1942, la crescente efficacia della lotta "antisom" sovverte le sorti della guerra subacquea. Sono soprattutto il radar e l'uso intensivo dell'aereo a contrastare il sommergibile, che risulta sempre più vulnerabile, specialmente in superficie. Si adottano, così, nuove misure, come la riduzione del volume delle sovrastrutture e la revisione dei criteri d'impiego e delle tattiche operative. Alcuni battelli oceanici vengono ritirati dalla linea ed adattati al trasporto. I tedeschi ricorrono allo snorkel ed approntano una sorta di intercettatore di onde radar.

Ormai, però, il sommergibile non riesce più ad ottenere i risultati di prima, mentre le perdite si fanno più ingenti, fino a superare il numero di navi affondate. Alla data dell'8 settembre 1943, la forza subacquea italiana, che nel corso del conflitto aveva acquisito fino a 184 battelli, è ridotta a 54 unità, delle quali soltanto 34 sono in grado di muovere; queste, in base alle clausole d'armistizio, passano ad operare con gli Alleati con funzioni prevalentemente addestrative e, alla fine della guerra, vengono demolite o consegnate ai vincitori in conto riparazioni di guerra.

 

 

Dati riepilogativi relativi ai sommergibili italiani nel corso della Seconda Guerra Mondiale

 

Missioni svolte

1750

Miglia compiute

2.500.000

Giorni in mare

24.000

Attacchi svolti

173

Siluri lanciati

427

Naviglio Mercantile affondato

132 (665.317 tons)

Naviglio Militare affondato

18 (28.950 tons)

 

 

Sommergibili italiani affondati

Mare Mediterraneo

Altri settori

88

40

 

Giovanni BAUSAN (ITA)

 

Sottomarino d’attacco costiero (di media crociera) della classe Pisani (dislocamento di 880 tonnellate in superficie e 1058 in immersione). Durante il suo brevissimo periodo di servizio attivo nella seconda guerra mondiale (poco più di un mese) svolse 3 missioni offensive/esplorative e 5 di trasferimento, percorrendo complessivamente 2593 miglia in superficie e 198 in immersione. Dal gennaio all’ottobre 1941 effettuò poi 90 uscite addestrative in Alto Adriatico per la Scuola Sommergibili di Pola.

Dislocamento: 800 t in emersione – 1057 t in immersione

Lunghezza: 68,2,mt – Larghezza: 6,09 mt – Pescaggio: 4,93 mt 

Velocità in immersione: 8,2 nodi   Velocità in emersione: 15 nodi

Profondità op. 90 mt

Equipaggio: 48

LA CARRIERA DEL BAUSAN

 

Il sommergibile, intitolato a Giovanni Bausan, valoroso combattente della marineria napoletana nato a Gaeta il 14 aprile 1757, dopo l'entrata in servizio fu assegnato alla V Squadriglia Sommergibili di Media Crociera, con sede a Napoli, ricevendo a Gaeta la Bandiera di Combattimento, offerta dalla comunità locale, il 14 novembre 1929.

Tra i suoi primi comandanti vi fu il Capitano di Corvetta Giovanni Marabotto.

Nella notte tra il 2 ed il 3 maggio 1932, durante un viaggio addestrativo, il Bausan andò ad incagliarsi alle Isole Mormorato (vicino a Punta Falcone, nelle Bocche di Bonifacio. L'unità fu tuttavia in grado di disincagliarsi senza bisogno dell'assistenza di altre unità.

Dal 7 dicembre 1935, al comando del tenente di vascello Ferruccio Ferrini, fu assegnato alla II Squadriglia del VI Grupsom di Lero. 

Nel gennaio-febbraio 1937 svolse un'infruttuosa missione (non furono avvistate navi sospette) nel corso della Guerra di Spagna. Dal 10 al 13 giugno 1940 effettuò (agli ordini del capitano di corvetta Francesco Murzi) una prima missione di guerra al largo di Malta; il 13 giugno, in fase di rientro ad Augusta, fu avvistato al largo di Capo Santa Croce dal sommergibile britannico Grampus, che gli lanciò un siluro; il Bausan lo schivò con una manovra evasiva.

Dal 20 al 24 giugno svolse una seconda missione al largo di Capo Kio, ma dovette fare ritorno per via di un guasto ai timoni di profondità di prua. 

La terza missione – dal 14 al 21 luglio, tra Pantelleria e Capo Bon, dovette essere anch'essa interrotta per un guasto ai motori.

In tutto aveva compiuto, sino a quel momento, 3 missioni offensive e 5 di trasferimento, per un totale di 2791 miglia di navigazione (2593 in superficie e 198 in immersione); fu quindi assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola. 

Svolse attività addestrativa dal 1º gennaio all'8 ottobre 1941 per un totale di 90 missioni, dopo di che, il 18 maggio 1942, fu messo in disarmo e convertito in bettolina carburanti con il contrassegno GR. 251.

RADIATO il 18 ottobre 1946 fu quindi avviato alla demolizione. 

HMS REGENT (UK)

 

 

Dislocamento: in emersione 1.475 t – in immersione 2,030 t

Lunghezza:….  87,5 mtLarghezza: 9,12 – Pescaggio: 4,9 – Profondità operativa: 95 mt

Propulsione: 2 motori diesel da 4.640 hp, due motori elettrici da 1670 shp

Velocità in immersione: 9 nodi Velocità in emersione: 17,5 nodi

Equipaggio: 53 uomini

Artiglieria: 1 cannone-102/40 mm–2 mitragliatrici-12,7 mm–8 tubi lanciasiluri da 533 mm

La classe di sottomarini della Royal Navy Britannica: Rainbow o classe R era composta da quattro unità entrate in servizio tra il 1930 e il 1932.

Battelli a lunga autonomia progettati per operare nei mari dell’Estremo Oriente, rappresentavano l'ultimo sviluppo del progetto iniziato con i classe Odin e proseguito con i classe Parthian. Negli anni della Seconda guerra mondiale i Rainbow operarono principalmente nel teatro del Mar Mediterraneo, dove tre di essi furono perduti per cause belliche; l'unico superstite della classe, attivo anche nel teatro bellico dell’Oceano Indiano. Durante la seconda parte del conflitto, fu radiato e avviato alla demolizione nel 1946.

HMS Regent

19 giugno 1929

Vickers-Barrows Armstrong in Furness 

11 giugno 1930

11 novembre 1930

perduto in mare in una data imprecisata compresa tra il 12 aprile e il 1º maggio 1943, probabilmente caduto vittima di una mina nell’Adriatico meridionale

 

LA CARRIERA DEL HMS REGENT

Era il 18 aprile del ’43, gli abitanti di Bisceglie (Barletta) sentono un enorme esplosione proveniente dal largo: con molta probabilità essa segnò la fine del sottomarino inglese REGENT entrato in collisione con una mina galleggiante ed affondato senza superstiti. Era partito il 12 aprile da Malta (La Valletta) per il canale di Otranto. La sua carriera era iniziata con un’impresa da film d’azione. Nei primi giorni di guerra era penetrato nel porto di Cattaro, attraccando senza problemi e sbarcando un ufficiale per chiedere la liberazione dell’ex Ambasciatore inglese a Belgrado. Costretto alla fuga, se n’era andato… portandosi via un militare italiano. Il 5 ottobre del ’40 c’è il primo affondamento, anche se la preda non è eclatante: un vascello a vela (probabilmente un peschereccio), il Maria Grazia di 188 tonn. Quattro giorni dopo danneggia il mercantile Antonietta Costa, il 15 gennaio ’41 affonda il Città di Messina (2472 tonn), il 21 febbraio danneggia il mercantile tedesco Menes 5600 tonn., il 1° agosto affonda il dragamine italiano Igea, il 1° dicembre danneggia un altro mercantile italiano: l’Enrico.

Quattro mesi dopo, la fine. Ora il suo scafo squarciato giace su un fondale sabbioso a – 28 mt. In https://uboat.net/allies/warships/3406.html così viene descritta la sua fine: HMS REGENT (Lt.Walter Neville Ronald Knox,DSC,RN) sailed from Malta on 12 April 1943 to patrol in the southern Adriatic. She was mined north of Barletta, Puglia, Italy on 18 April 1943. That evening a large explosion was heard in that area, wich is believed to have been HMS Regent striking a mine. HMS Regent was reported overdue at Beirut on 1st May 1943. The wreck of Regent has been found and lies in 28 meters of water”.

Quanto è stato scritto sopra sono le versioni rilevate da fonti ufficiali che risalgono alla fine del conflitto. Oggi, a quanto sembra, il MARE STA RESTITUENDO ALCUNE VERITA’ CHE SONO SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO DEGLI STUDIOSI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.

 

CORRIERE DELLA SERA – CORRIERE DEL MEZZOGIORNO –

Il 18 luglio 2022 Luca Pernice scrive:

Barletta, il relitto non è il sottomarino inglese Regent ma l’italiano Bausan: la scoperta di un team di Foggia

I resti del sommergibile furono individuati nel 1999 a 37 metri di profondità, al largo di Barletta. Le famiglie dei militari britannici andavano ogni anno a pregare nel porto pugliese.

 

 

 

Sin dal 1943 si è creduto che il relitto del sommergibile che giace a 37 metri di profondità nell’Adriatico, al largo di Barletta, fosse quello del Regent, affondato appunto nel 1943. Fino a quando un team foggiano, composto da sub e storici, ha scoperto che in realtà si tratta di un sommergibile italiano, il Giovanni Bausan.

 

Una storia iniziata nell’aprile 1943

La storia inizia quando il 18 aprile del 1943 il Regent, un sommergibile inglese costruito nel 1930 affonda dopo aver urtato una mina di profondità al largo della costa pugliese. Tre anni prima, il 5 ottobre del 1940 lo stesso sommergibile a circa 10 miglia dal mare di Bari affondò la nave italiana Maria Grazia. Da quel 18 aprile del 1943 tutti hanno sempre creduto che il relitto, che giace nelle acque della Bat, meta anche di tanti subacquei sportivi, fosse proprio quello del sommergibile affondato nel 1943. Soprattutto dopo il 1999 quando alcuni sub scoprirono il relitto in fondo al mare: una notizia che destò molto clamore in Gran Bretagna tanto da diventare un vero e proprio sacrario militare in mare. Il team di subacquei, dopo diverse immersioni sul sito e dopo numerose ricerche, ha accertato che quel relitto non è del sommergile inglese, ma di un mezzo italiano.

 

Il team e lo studio

Un team composto da tre sommozzatori – Michele Favaron, Stefania Bellesso e Fabio Giuseppe Bisciotti – da personale addetto all’assistenza di superficie – Alessandro Auliclino e Pietro Amoruso – da due piloti – Pasquale Bailon e Ruggero Nanula – e da Giuseppe Iacomino che ha curato l’assistenza storica del progetto.

«Dai dati in nostro possesso – spiega Fabio Giuseppe Bisciotti – sono subito emersi dubbi su quanto potesse essere veritiera la teoria del sommergibile inglese. Nelle foto esistenti del relitto si evince la assoluta incompatibilità di ciò che le foto mostrano con il design di un sommergibile britannico classe R quale il Regent. In particolare, oltre alle dimensioni totalmente differenti, vi è la presenza di una bombatura sul piano di calpestio del sommergibile del tutto assente in qualsiasi piano costruttivo e fotografia riguardanti il mezzo navale in questione. Dopo una lunga ricerca poi siamo giunti al ritrovamento del tassello più importante al riguardo». Bisciotti e il suo team, infatti, è in possesso di una documentazione che comproverebbe la presenza, nel porto di Barletta, di un sommergibile Italiano, classe Pisani, di nome “Giovanni Bausan”. Al momento della radiazione, fu ribattezzato GRS 251 ed usato come cisterna carburante sino all’arrivo degli alleati in Puglia. Dopo il 1943 il sommergibile venne usato come target notturno per gli aerei inglesi e americani per addestramento. Nel 1944, al termine del periodo di training, fu affondato. “Siamo certi – conclude Bisciotti - che il Bausan attualmente si trovi a circa 33 metri sul fondo del mare al largo di Barletta. E’ il relitto che per molti anni tutti hanno pensato, erroneamente, fosse quello del Regent”.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 ottobre 2022


CALATA SANITA', GENOVA RICORDI DELLA QUARANTENA

CALATA SANITA’ – GENOVA (1)

RICORDI DELLA QUARANTENA (2)

Panoramica del porto di Genova

Sullo sfondo la LANTERNA che si alza “superba” sulla nave portacontainer (scafo nero) ormeggiata a Calata Sanità.

 

Nave operativa sotto le gigantesche gru  di Calata Sanità

 

La nave sta ormeggiando a Calata Sanità

 

La nave sta ormeggiando a Calata Sanità

Nel porto di Genova c’è tuttora una banchina nel Porto Vecchio, che è destinata al traffico dei containers. Si chiama CALATA SANITA’ in ricordo della sua “vecchia” destinazione d’ormeggio delle navi che non avevano avuto LA LIBERA PRATICA (Inglese: Practique) dalle Autorità Sanitaria, in quanto provenienti da zone infestate da malattie esantematiche tipo colera, peste ecc….

 

CODICE INTERNAZIONALE DEI SEGNALI

Il codice internazionale nautico è un sistema di codifica che consente di rappresentare lettere singole dell'alfabeto, numeri o interi messaggi attraverso segnalazioni con bandiere, le quali vengono issate sulle navi verticalmente a gruppi di quattro e vengono lette dall'alto verso il basso. Il codice fa parte del Codice internazionale dei segnali (INTERCO)

 

Bandiera per la segnalazione di Covid 19 a bordo

 

In relazioni a recenti allarmismi riguardo la segnalazione sui media di bandiera gialla a bordo di un natante all’Argentario,  Artemare Club sente il dovere di ricordare che questa insegna issata su una nave o barca, nell'immaginario popolare significa qualcosa di negativo, di malattia contagiosa e invece è esattamente il contrario, il suo nome tecnico è Bandiera di libera pratica o lettera "Q" del codice internazionale dei segnali.

La bandiera gialla, chiamata anche erroneamente bandiera di quarantena va issata  quando richiesto alla crocetta principale di sinistra e significa che tutto l’equipaggio è in buone condizioni di salute, non ci sono epidemie a bordo e che si richiede la “libera pratica” per entrare in porto e sbarcare, si ripete corrisponde ad una dichiarazione fatta all’autorità marittima del porto di arrivo che l’equipaggio è in perfette condizioni di salute e che si richiede il permesso di ormeggiare e sbarcare.

Invece la bandiera quadra composta di quattro scacchi di colore giallo e nero, bandiera di segnalazione corrispondente alla lettera “L”, se fatta sventolare da sola significa “malattia contagiosa a bordo” e per il comandante della nave o barca che la espone  è un segno di riconoscimento e di responsabilità

L’uso delle bandiere è ritenuto un caposaldo nella tradizione marinaresca poiché da sempre l’unico mezzo sicuro per comunicare tra imbarcazioni e con terra, nel “Codice internazionale dei Segnali”  il contatto visivo di ogni singola bandiera acquisisce un significato proprio e codificato se issata singolarmente.

La LIBERA PRATICA altro non è che il permesso di entrare in porto per espletare le operazioni commerciali.

La Libera pratica sanitaria viene rilasciata dall'Unità territoriale dell’USMAF-SASN immediatamente via radio o con le altre forme di comunicazione rapida (Fax, Telegramma, Fonogramma, Telex, via informatica alla casella di posta elettronica del richiedente) utilizzate per la richiesta, oppure, in caso di navi provenienti da Paesi sottoposti ad ordinanza ministeriale per specifiche malattie, di segnalazione di malattia, di decesso o di evento di interesse sanitario a bordo, al termine dell'ispezione effettuata a bordo dal personale dell' Unità Territoriale  dell’ USMAF-SASN in entrambe i casi (rilascio senza o con accesso a bordo) viene fornita indicazione di data e ora di concessione.

 

Q Quebec - Significato: La mia nave è indenne e chiedo libera pratica

Trucco Mnemonico: Q, come ‘Question’, richiesta

La bandiera gialla, chiamata anche erroneamente bandiera di quarantena, va issata quando richiesto alla crocetta (dell’albero) principale di sinistra e significa che tutto l'equipaggio è in buone condizioni di salute, non ci sono epidemie a bordo e che si richiede la “libera pratica” per entrare in porto e sbarcare e operare…

 

 

Bandiera da issare per segnalare malattia contagiosa a bordo - Codice internazionale dei segnali marittimi lettera L

 

La bandiera a scacchi gialla e nera che assume significati diversi se issata in porto o durante la navigazione. Nel primo caso indica la presenza di un’epidemia a bordo e quindi che la nave è sottoposta a quarantena (infatti nei secoli scorsi veniva utilizzata per comunicare casi di peste e vaiolo); nel secondo caso invece corrisponde alla lettera L del Codice Internazionale dei Segnali Marittimi, ovvero la richiesta di fermare immediatamente la propria nave.

  • La parola “pratiqua” sia di origine ispanica

  • La “practique House” era la struttura che ospitava i malati sospetti…

  • MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DI SANITA’ era la massima Autorità genovese in materia di salute pubblica.

  • Magistrato dei conservatori del mare - Questa magistratura aveva la piena e massima autorità in materia marittima. Giudice supremo in ogni causa penale e civile riguardante la marina, regolava anche la costruzione navale, la tenuta dei libri di bordo, il reclutamento di equipaggi; concedeva il permesso di partenza dal porto di Genova, riscuotendo la tassa per le navi di portata superiore alle cento salme.

 

BANDIERE DI BORDO, UNA QUESTIONE DI STILE

TUTTOBARCHE

The international YACHTING MEDIA

https://www.tuttobarche.it/magazine/bandiere-di-bordo-una-questione-di-stile.html

 

 

PER CHI AMA LA STORIA …

 

QUARANTENA: In origine, segregazione di quaranta giorni prescritta per malati affetti da malattie contagiose; in seguito, isolamento, segregazione di persone o animali per motivi sanitari, indipendentemente dal numero dei giorni.

 

A differenza della quarantena, l’isolamento separa solo gli individui riconosciuti come malati dalla popolazione sana. Lo scopo però è lo stesso: IMPEDIRE i contatti umani per evitare la diffusione del contagio.

Per secoli le epidemie di peste hanno seminato distruzione in tutto il mondo. Quando la Morte nera colpì l'Europa verso la fine degli anni 40 del quattordicesimo secolo, uccise quasi un terzo della popolazione.

 

Le epidemie hanno avuto un ruolo rilevante nella storia dell’umanità sul piano sanitario, demografico, sociale ed economico.

Nel V secolo a.C. Ippocrate di Kos, il padre della Medicina scrisse:

Chi non conosce il proprio passato rimane un bambino”.

Un bambino non ha memoria del passato…! A noi di una certa età non rimane che una riflessione: guai a disperdere il patrimonio di conoscenze acquisito nei secoli di lotta alle grandi epidemie.

 “Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento”: le parole tratte dal LEVITICO, precisamente, del Vecchio Testamento, descrivono misure di isolamento per persone affette da peste o lebbra.

La lebbra, conosciuta fin dai tempi Biblici, come abbiamo appena visto, si manifestò nell’alto Medioevo con focolai a carattere epidemico. La malattia continuò a manifestarsi nei secoli successivi e fu sempre ritenuta una conseguenza dell’indigenza e delle precarie condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni del tempo.

 Nel 541 d.C. fu attuata una forma di quarantena durante la cosiddetta:

peste di Giustiniano perché iniziò durante il regno di questo imperatore bizantino che si ammalò ma sopravvisse. L’epidemia si protrasse a ondate fino all’ottavo secolo, colpendo il Medioriente, il Mediterraneo e l’Europa e causando centinaia di migliaia di morti.

Nel 640 d.C., nel pieno dell’ottava ondata, il vescovo Gallo II di Clermont-Francia, scrisse ad un suo collega: “la peste è sbarcata a Marsiglia e viaggia verso l’entroterra bisogna impedire che raggiunga i loro vescovadi”.

Era un invito a disporre guardie armate al confine con la Provenza, allo scopo di impedire ogni forma di commercio.

 

LE REPUBBLICHE MARINARE CONTRO LA PESTE NERA 

 

La guerra batteriologica dei Tatari contro i Genovesi.

L'epidemia si diffonde dal 1346, a partire da una colonia genovese del Mar Nero,  Caffa. Fattore scatenante fu il primo caso di guerra batteriologica della storia di cui ci siamo già occupati. I Tatari, impegnati in un lungo assedio della località della Crimea, mettono in atto un'idea tanto geniale quanto criminale: martoriati dalla peste, decidono (letteralmente) di catapultare le loro vittime al di là delle fortificazioni genovesi scatenando la peste, la morte. Fuggiti via mare, i coloni liguri intraprendono una tragica odissea. Giungono a Messina, la città dello Stretto li lascia sbarcare, ma ben presto il morbo comincia a fare vittime anche lì. Inevitabilmente, i coloni genovesi vengono cacciati dalla Sicilia e fanno rotta verso Genova, ma la loro stessa città li respinge.

Marsiglia, invece, concede loro ospitalità e di lì ha inizio il peggio (peste deriva non a caso dal superlativo latino peius). Da quel momento (fine 1347 - inizio 1348) e per almeno tre secoli, si apre un ciclo quasi continuo tra pandemie, epidemie e focolai locali: per convenzione, si parla di tre grandi ondate - 1348, 1576 e 1630 - ma si può dire che la malattia non abbia mai lasciato l'Eurasia sino alla scoperta degli antibiotici.

 

LINK:

1346 - LA PESTE A BORDO CON I GENOVESI IN VIAGGIO DA CAFFA (CRIMEA) ALL’ITALIA    di Carlo GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/caffa/

E’ risaputo che già nell’alto Medioevo (476-1000 d.C.) si cercava di combattere la peste imponendo restrizioni agli spostamenti delle persone. Tuttavia, il termine “quarantena” fu inventato più tardi, quando questa misura fu usata per contenere la Peste nera, nel XIV secolo.

Immagine iconografica della peste del 1300

 

Che la peste venisse principalmente diffusa dai mercanti era ormai noto da secoli. Nel 1374 la Repubblica di Venezia cominciò per questo motivo a controllare, come misura preventiva, le navi commerciali provenienti da porti a rischio infezioni e a controllare, financo a respingere quelle giudicate non sicure dagli ufficiali-sanitari della città lagunare.

 

 

UNA DATA STORICA

Il 27 luglio 1377

LA PRIMA QUARANTENA della storia

(in realtà della durata di 37 giorni)

 

 

RAGUSA  (oggi Dubrovnik)

Divenne legge a RAGUSA* (Città Stato della Croazia-l’attuale Dubrovnik), che in seguito ispirò la SERENISSIMA per la costruzione del lazzaretto "ospedale per contagiati".

Si trattò di una legge innovativa, sicuramente rivoluzionaria:

Tutti i viaggiatori in arrivo da regioni in cui era diffusa la peste dovevano rimanere in isolamento per un periodo di 30 giorni prima di entrare in città, con gravi pene per chi avesse trasgredito.

 

*La Repubblica di Ragusa (nota anche come repubblica ragusea o, dal nome del suo santo protettore, repubblica di San Biagio) è stata una Repubblica Marinara dell'Adriatico, esistita dal X secolo al 1808.

 

IL LAZZARETTO VECCHIO DI VENEZIA

Il primo nella storia

 

Il Lazzaretto Vecchio è un'isola della Laguna Veneta, situata molto vicino alla costa occidentale del Lido di Venezia. Ospitò un ospedale, che curava gli appestati durante le epidemie.

Venezia in breve seguì la stessa procedura, ma il periodo fu esteso a 40 giorni, (periodo che coniò il nome: quarantena! perché secondo la medicina del tempo, le malattie di questo tipo facevano il loro corso entro questo intervallo di tempo. 

Per la peste bubbonica: dall’infezione alla morte passavano in media 37 giorni, quindi la durata originaria della quarantena era relazionata alla durata di questa malattia.

Non è un caso che le città-portuali di due potenti Repubbliche Marinare siano state le prime a rendere obbligatoria la quarantena. Le rotte da loro battute presentavano rischi oggettivi di contagio e, un’epidemia incontrollata avrebbe distrutto la loro economia in forte espansione.

Sulla scia di Venezia e Ragusa, molte altre città cominciarono a sperimentare la quarantena, assieme ad altre forme di controllo del contagio a essa collegate.

Nel 1467 - Genova seguì l'esempio di Venezia. Nello stesso anno il vecchio ospedale (lebrosario) di Marsiglia fu convertito in ospedale per gli appestati: il grande lazzaretto di questa città, forse il più completo nel suo genere, è stato edificato nel 1526 sull'isola di Pomgue. Le pratiche in tutti i lazzaretti del Mediterraneo non erano differenti dalle procedure inglesi nei commerci con il sudovest asiatico e con il Nord Africa.

Nel 1831 - Con l'approssimarsi del colera, furono costruiti nuovi lazzaretti nei porti occidentali che in seguito vennero utilizzati per altri scopi.

Solo nel XIX secolo si è cominciato a discutere di un quadro di riferimento internazionale con le International Sanitary Conferences, (14 in tutto, la prima svoltasi nel 1851, l’ultima nel 1938) il cui lavoro confluì nell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nata dopo la Seconda guerra mondiale.

 

IL LAZZARETTO DI GENOVA

ALLA FOCE

 

UN PO’ DI STORIA  GENOVESE….

 Nel XV secolo, nella piana sulla sponda sinistra del Bisagno, fu edificato un lazzaretto per l’isolamento e il ricovero dei malati contagiosi e dei passeggeri delle navi giunti in porto e soggetti a quarantena, soprattutto in occasione di epidemie di peste.

Ne parla Agostino Giustiniani, negli Annali della Repubblica di Genova (1537). 

L’imponente edificio fu ampliato all'inizio del XVI secolo per iniziativa di Ettore Vernazza notaio e filantropo. Nel 1576 l’edificio fu ingrandito su disegni di Girolamo Ponsello.

 

 

L’edificio serviva per l’isolamento e il ricovero dei malati contagiosi, provenienti soprattutto dalle navi, ma qui furono ricoverati anche i malati dell’epidemia di peste del 1600, di quella manzoniana del 1630 e delle successive ondate del 1656-1657, le quali determinarono la morte di ben 92.000 persone.

 

Jean-Jacques Rousseau

 

Nel Settecento, per la precisione dal 12 al 25 luglio del 1743, fu ospitato nel lazzaretto genovese anche il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau che preferì trascorrere lì la quarantena in totale solitudine, piuttosto che nella promiscuità di Calata Sanità. Lo scrittore accennò a quest’ esperienza in un brano delle Confessioni (l. VII).

Lo scrittore francese si era imbarcato a Tolone, ma la feluca su cui viaggiava era stata fermata da unità inglesi, provenienti da Messina, dove infuriava la peste, per cui, all’arrivo a Genova dovette sottostare alla quarantena che, come abbiamo appena letto, preferì trascorrere al lazzaretto, anche se era stato avvertito che non vi era alcun mobile. Infatti non vi trovò né un letto, né una sedia e neppure uno sgabello o un fascio di paglia per sdraiarsi.

Scrisse infatti: «Dapprima mi divertii a cacciare le pulci che avevo preso sulla feluca, e quando infine, a furia di cambiar vestito e biancheria, riuscii a liberarmene, procedetti all'arredamento della camera che m’ero scelta. Con gli abiti e le camice preparai un ottimo materasso; con varie salviette cucite insieme mi feci le lenzuola; con la vestaglia, una coperta; un cuscino, col mantello arrotolato; ricavai il sedile da una valigia distesa, e una tavola con l’altra posata sul fianco». I pasti gli venivano serviti in gran pompa, con la scorta di due granatieri, e poi poteva dilettarsi a leggere i libri che aveva con sé, ma anche a passeggiare nel cimitero, oppure salendo fino in cima all'edificio, dove da un lucernario che dava sul porto poteva osservare l’entrata e l’uscita delle navi.

 

Domenico Del Pino, Veduta del Lazzaretto Vecchio, della Foce,
del Bisagno con la collina d'Albaro dalle mura delle Cappuccine
(Stampa colorata a mano, prima metà del XIX secolo, Genova,
Gabinetto Disegni e Stampe,

L’edificio fu più volte modificato. Nel 1810 l’ampliamento fu sostenuto dal Comune e da donazioni di privati. Il lazzaretto svolse la sua attività fin verso la metà dell’Ottocento, quando, con gli sviluppi della medicina, le sue funzioni furono trasferite al nuovo ospedale di Pammatone. 

L’edificio fu demolito, consentendo l’ampliamento del CANTIERE NAVALE già da tempo esistente sulla spiaggia della Foce.

 

A ridosso del Molo Nuovo le navi in "quarantena"

 

Particolare di acquaforte colorata ad acquarello di G.Piaggio e di Del Pino - 1818 ca - Collezione Topografica del Comune di Genova.

Notiamo la Lanterna ed il Convento di San Benigno.  Una draga è al lavoro nel centro della rada. 

 

IL MOLO NUOVO CON LE NAVI IN QUARANTENA


Incisione di Nicholas M.J.Chapuy e Isidore L.Deroy - ca 1850 - Civica Raccolta Bertarelli Milano - La Lanterna con la Porta della Lanterna.  Sulla destra si nota appena la cupola per le funzioni religiose presso l'ufficio di Sanità-Quarantena.

 

NEL NUOVO SECOLO SI GIRA PAGINA

Nel 1900 fervono grandi lavori in città, ed anche nel Porto.
La città si industrializza, si espande, e così il porto deve trovare una nuova dimensione e cerca spazio a Ponente.

Nel 1905 il Re "posa" la prima pietra del nuovo bacino portuale della Lanterna dando così il via alla prima espansione portuale verso ponente.

Cartolina ed. Gianbruni - NPG - non circolata

Messa la "prima pietra" i lavori languono per mancanza di fondi, con un grande fiorire di progetti, ma nessuna realizzazione.

Si arriva alla fine della Prima grande guerra con un nulla di fatto e si decide finalmente di iniziare i lavori nel 1920. 

  Si comincia con il prolungamento a Ponente della diga foranea il Molo Duca di Galliera.
Quindi si esegue il taglio di una sezione obliqua della diga per permettere il transito delle navi dall'avamporto al nuovo specchio creatosi davanti alla Lanterna.

Il tutto è ben illustrato dalle piantine che seguono in ordine cronologico.

 

La Freccia Blu indica Calata Sanità nel tempo...

1922

 

 

1927

 

ANNI '30-'40

 

ANNI '50 

 

Inizio Nuovo Millennio

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 26 settembre 2022

 


R.M.S. QUEEN HELIZABETH 2

R.M.S. QUEEN HELIZABETH 2

Durante la sua visita nel nostro capoluogo il 16 ottobre 1980, la Regina Elisabetta disse:

“GENOVA E’ LA CITTA’ PIU’ BRITISH D’ITALIA”

IL SECOLO XIX ha scritto:

OGGI , 8 SETTEMBRE 2022

LA CITTA’ E’ IN LUTTO PER LA REGINA ELIZABETH II

Mare Nostrum Rapallo  ha voluto dedicare questo “semplice omaggio marinaro” alla Regina d'Inghilterra per ricordare Lei e  le navi che hanno portato il Suo NOME ILLUSTRE per i SEVEN SEAS.

 

Il RMS Queen Elizabeth 2, RMS: Royal Steamer, anche  soltanto QE2, era l'ammiraglia di Linea Cunard. Il Queen Elizabeth 2 ha fatto il suo viaggio inaugurale nel 1969 ed è stata una delle ultime grandi navi passeggeri transatlantiche. Con una lunghezza di 293,5 metri e una velocità massima di 32,5 nodi è stata anche una delle navi passeggeri più grandi e veloci in circolazione. Il 30 dicembre 1964 fu firmato il contratto con il costruttore navale John Brown Shipyard Clydebank in Scozia.

La costruzione iniziò lì il 5 luglio 1965.

Dopo il varo il 20 settembre 1967, la nave fu battezzata dalla Regina Elisabetta 2 - Il 19 novembre 1968, il Queen Elizabeth 2 fece le prove in mare guidate dal Capitano "Bill" Warwick.

Dal 26 novembre 1968 si sono svolte le prove  nel mare irlandese.

Il 22 aprile 1969 fu fatto un piccolo viaggio inaugurale  in direzione di Las Palmas de Gran Canaria. 

Il 2 maggio 1969, il viaggio inaugurale ufficiale verso New York.

Nel 1975 viene effettuata la prima crociera intorno al mondo.

Nel maggio 1982, il Queen Elizabeth 2 requisita per il trasporto di truppe per il Guerra delle Falkland. Il 12 maggio 1982 fece rotta per la Georgia del Sud con 3.000 uomini a bordo.

L'11 giugno 1982  il transatlantico è tornato sano in salvo  a Southampton.

Nell'ottobre 1986, la sostituzione delle turbine a vapore  a propulsione diesel-elettrica.

Il 7 agosto 1992, il Queen Elizabeth 2 finì sulle rocce a Vineyard Sound, queste rocce non erano segnate sulla carta nautica.

Una vasta ristrutturazione ha avuto luogo nel dicembre 1994.

 

 

Nel 1995 ancora una volta il Queen Elizabeth si ritrovò vittima di un incidente, in quanto fu colpito da un’onda anomala di circa 30 metri di altezza, ma fortunatamente senza riportare danni rilevanti o vittime...

L'11 settembre 1995, il Queen Elizabeth 2 prese in pieno l’uragano Luis mentre era in rotta per gli Stati Uniti e scarrocciò su un basso fondale.

Il 2 gennaio 1996, il Queen Elizabeth 2 registrò il traguardo dei 4 milioni di miglia nautiche navigate sul Libro di bordo.

Nel 1996, dopo la vendita di Trafalgar House a Kvaerner, la proprietà di Cunard Line è passata  a questa azienda norvegese.

Nel maggio 1998 Kvaerner ha venduto la Cunard Line negli Stati Uniti alla Carnival Corporation.

Il 29 agosto 2002, il Queen Elizabeth 2 registrò il traguardo dei 5 milioni di miglia nautiche navigate.

Il 18 giugno 2007 è stato annunciato che il Queen Elizabeth 2  è stato venduto per quasi $ 100 milioni al Dubai World, una delle isole create artificialmente al largo della costa di Dubai.

Il 7 gennaio 2008 ha iniziato il suo ultimo tour mondiale. L'intenzione era che il QE II fungesse da hotel di lusso da quelle parti. La nave ha salpato l'ultima volta dal suo porto di origine:  Southampton l'11 novembre 2008.

 

Queen Elizabeth 2 a Rotterdam

 

La QE-2 nel bacino di carenaggio  del suo  Home Port 

SOUTHAMPTON

 

 

ALBUM FOTOGRAFICO

 

 

INTERNI DEL TRANSATLANTICO QUEEN ELIZABETH II

Di seguito alcune immagini degli interni, che con innumerevoli restyling sono cambiati nel corso degli anni... Dalla netta distinzione in classi fino alla trasformazione in nave da crociera, si è passati dal classico al moderno, passando per l'Art Decò e il contemporaneo... Insomma un infinità colori, ambienti, arredi, sempre più belli e sempre più nuovi che ancora oggi lasciano ai passeggeri l'opportunità d’immaginare il fascino di quell'epoca in cui viaggiare sull'oceano era un vero sogno.

 

 Nave da crociera       Cruise ship 

QUEEN ELIZABETH 2

Classificazione

Classification

L.R. n. - + 100 A1 LR Survey Type: Continuous Survey Date: 2006-12 LR Machinery Class: + LMC 

Bandiera

Flag

Regno Unito - United Kingdom 

Armatore

Owner

CUNARD LINE - LONDON - U.K.

Operatore

Manager

Cunard Line Ltd. -Southampton - United Kingdom

Impostazione chiglia

Keel laid

05.07.1965

Varo

Launched

20.09.1967

Consegna

Delivered

02.05.1969

Cantiere navale 

Shipyard

John Brown and Co. - Clydebank - SCOTLAND - U.K

Costruzione n. 

Yard number

736

Tipo di scafo 

Hull type

scafo singolo - single hull

Materiale dello scafo

Hull material

acciaio - steel

Nominativo Internazionale 

Call Sign

G B T T -    

I.M.O.   International Maritime Organization 

6725418

M.M.S.I.   Maritime Mobile Service Identify

576059000

Compartimento marittimo 

Port of Registry

Southampton

Numero di Registro

Official Number

Posizione attuale

Actual position

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Stazza Lorda 

Gross Tonnage

70.327 Tons 

Stazza Netta 

Net Tonnage

32.182 Tons 

Portata ( estiva )

DWT (summer) 

15.521 Tonn

Lunghezza max 

L.o.a.

293,53 m

Lunghezza tra le Pp

L. between Pp

270,40 m

Larghezza max 

Breadth max

32,01 m

Altezza di costruzione

Depth

18,86 m 

Pescaggio max 

Draught max

9,945 m 

Bordo libero

Freeboard

Motore principale 

Main engine

9 - MAN B&W 9L58/64 - 450 rpm

Potenza motore 

Engine power

9 x 10,625 kW (tot 95.625 Kw )

Velocità max 

Max speed

28,50 kn 

Eliche di propulsione

Propellers

2 - cinque pale/ five blades

Passeggeri max 

Passengers max 

1.791 

Equipaggio 

Crew

921

Ponti 

Decks

12 - passeggeri / passengers 10

Bunker 

Bunker

Inserita

Posted

07.09.2008

Aggiornata al

Last updated

10.11.2013

STORIA DI UNA NAVE

QUEEN HELIZABETH 2 a Southampton

Scheda Tecnica

Costruttore: John Brown&Company, Clydebank

Armatore: Cunard Line - Istithmar

Varo: 20 settembre 1967

Entrata in servizio: 2 maggio 1969

Lunghezza: 293 metri

Larghezza: 32 metri

Velocità: 28 - 34 nodi

Capacità: 1777 passeggeri, 1040 equipaggio

Da prestigioso transatlantico a nave quarantena: la triste parabola della Queen Elizabeth 2

Da prestigioso transatlantico a nave quarantena, questa è la triste parabola della Queen Elizabeth 2: infatti nei giorni scorsi sono apparsi sul web diversi articoli che raccontano di alcuni giovani italiani che sono stati trasferiti sulla vecchia ammiraglia Cunard dopo essere stati trovati positivi a bordo di MSC Virtuosa a Dubai. E’ qui che si trova ormai dal 2008 in uno stato di conservazione certamente non ottimale dopo che faraonici progetti per una sua seconda nuova vita emiratina non si sono mai concretizzati. Ora la nave viene classificata come ristorante ed hotel galleggiante e in questa veste che è stata scelta da MSC Crociere come appoggio per i suoi passeggeri che vengono trovati positivi a bordo di “Virtuosa”, Infatti oggi le compagnie crocieristiche sono tenute a disporre dei covid-hotel per sbarcare gli ospiti e i membri dell’equipaggio infettati senza sintomi o con sintomi lievi che necessitano di un luogo dove trascorrere la quarantena.

Per come è strutturata però la QE2 non è una nave ideale per svolgere questo compito, infatti all’epoca della sua costruzione le cabine con balcone erano una rarità. Così gli ospiti in quarantena vengono alloggiati in cabine con piccoli oblò mentre viene concessa mezz’ora d’aria giornaliera (15 minuti al mattino e 15 al pomeriggio) su un ponte all’aperto poppiero (una delle celebri terrazze vista mare dell’ex “Cunarder”). In ogni caso solo una parte della nave viene dedicata a questa funzione, quindi il resto della parte hotel resta aperto e perciò a Capodanno a bordo si è svolto anche un tradizionale veglione.

Questi sfortunati connazionali però probabilmente ignorano di trovarsi, loro malgrado, su una delle navi passeggeri più famose della storia, vediamo di ricordare la sua epica vita operativa. Il 20 settembre 1967 veniva varata sulle rive del fiume Clyde niente meno che dalla regina Elisabetta II. Da allora il mondo dello shipping è completamente cambiato, il cantiere John Brown dove è stata costruita non esiste più, Cunard Line ora fa parte dell’americana Carnival Corporation, le crociere di massa hanno avuto il sopravvento, soltanto l’inossidabile sovrana d’Inghilterra è ancora al suo posto.
Per i profani forse l’acronimo QE2 vuol dire ben poco, ma si tratta di un autentico mito della marineria britannica. Una carriera iniziata balbettando con la consegna appena nel maggio del 1969 a causa di problemi tecnici che ne rallentarono il completamento. Negli anni Settanta con la scomparsa graduale di tutti i grandi transatlantici a causa dall’avvento dell’aereo (come i nostri Michelangelo e Raffaello), rimase l’unica unità inossidabile sulla linea Southampton-New York, alternata sempre più a crociere. A tutt’oggi è la nave di linea ad aver operato più a lungo nella storia della navigazione: ha trasportato 2,5 milioni di passeggeri per oltre 5,6 milioni di miglia.

Dopo questi eventi la sua carriera fu ancora lunga con diversi refit (la sua stazza lorda passò nel tempo da 65.863 t. a 70.327 t.) passando anche per una costosa rimotorizzazione (1986-87) dove il suo apparato propulsivo a turbina fu sostituito da un moderno sistema diesel-elettrico.
Con l’acquisizione di CUNARD da parte di CARNIVAL (1998) iniziò il suo lento declino culminato con l’entrata in servizio della nuova ammiraglia QUEEN MARY 2 (2004).

Dedicata ormai solo alle crociere, una volta venduta ad un fondo d’investimento degli Emirati ha effettuato il suo ultimo viaggio con destinazione Dubai nel novembre 2008.
 

 

CUNARD: le tre Regine della flotta insieme in navigazione verso Southampton per il decimo anniversario di Queen Mary 2

ECCELLENZE REGALI

Queen Mary 2, il grandioso transatlantico della flotta Cunard, e le due navi gemelle Queen Elizabeth e Queen Victoria sono salpate insieme da Lisbona, in Portogallo, dirette a Southamtpon, nel Regno Unito, dove arriveranno venerdì 9 maggio per celebrare in grande stile il decimo anniversario di Queen Mary 2.

Per la prima volta in assoluto le tre Regine Cunard sono state fotografate side-by-side in mare aperto con un’inedita prospettiva “a germoglio” che ha richiesto mesi di pianificazione meticolosa e che è stata immortalata grazie a un elicottero dedicato.

Queen Mary 2 (foto sopra) ha fatto scalo a Lisbona – l’ultimo dell’itinerario – nell’ambito della sua World Cruise ed è stata poi raggiunta dalle altre due navi che avranno il compito di accompagnarla fino a casa, in Inghilterra, in grande stile.

Protagonista indiscusso della navigazione, Queen Mary 2 è ancora oggi il transatlantico in servizio più veloce, grande, lungo e largo esistente al mondo, battezzato da Sua Maestà la Regina nel 2004. Da allora, la nave ha navigato per oltre 1,5 milioni di miglia nautiche su oltre 400 diverse rotte, raggiungendo 182 porti in 60 Paesi e trasportando oltre 1,3 milioni di persone.

QUEEN ELIZABETH

 

Queen Elizabeth, (foto sopra) l’ammiraglia della flotta Cunard Line, è stata realizzata nel 2010 nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone

90.900 tonnellate di stazza lorda – è l’ultimo membro della famiglia Cunard ed è entrata in servizio, dopo il battesimo tenuto da Sua Maestà la Regina, nel 2010.

 

CLASSE QUEEN ELIZABETH

PORTAEREI

HMS QUEEN ELIZABETH – HMS PRINCE OF WALES

 

La classe Queen Elizabeth (in precedenza CV Future o CVF project), è una serie di due navi portaerei sviluppate per la Royal Navy.

 

Il  HMS QUEEN ELIZABETH (R08) è entrato in servizio nel 2017, con due anni di ritardo rispetto alla previsione originaria. Il gemello HMS PRINCE OF WALES (R09), dopo aver rischiato di non essere mai realizzato è infine entrato in servizio nel 2019. 

I vascelli hanno un dislocamento di circa 65.000 tonnellate a pieno carico, sono lunghi 280 metri, larghi 70, alti 39 e in grado di trasportare 40 aerei. La necessità di sostituire la vecchia classe INVINCIBLE, era già stata confermata dal Ministero della Difesa britannico nel 1998. 

 

Quella volta che vennero a Genova la Regina Elisabetta e il Principe Filippo!

Era il 16 ottobre del 1980. Giornata piovosa...

Quell’anno la Regina Elisabetta stabilì un “tour” ufficiale in Italia ed il 16 Ottobre, sull’agenda c’era scritto GENOVA.

 

Per le strade della SUPERBA c’erano migliaia di persone. La gente guardava dalle finestre che si affacciavano sulle strade percorse dal corteo.

L'itinerario comprendeva Tursi, palazzo Gio. Agostino Balbi e la Prefettura, con l’allora sindaco Cerofolini e il principe Filippo d’Edimburgo.

Chi si ricorda di quella giornata, sicuramente non potrà non raccontare dell’incontro con la marchesa Cattaneo Adorno nella sua dimora di via Balbi, palazzo Durazzo Pallavicini. «Non so perché la regina scelse di venire da me. Credo che le avessero parlato del mio palazzo», raccontò proprio la padrona di casa.

La visita era stata fissata per il tè (che domande?). Però, dopo aver ammirato la collezione affissa alle pareti, Elizabeth scelse un caffè. «All’italiana. Senza latte», ricordava la marchesa.

 

GENOVA, 20 ottobre 1995 - Manovra di attracco a Ponte Andrea Doria (Genova) del

"QUEEN LIZABETH II"

della CUNARD Line

L'ultimo dei transatlantici ancora in servizio sulla Linea Nord Europa/New York. Partita il 15 ottobre da Southampton per una crociera nel Mediterraneo, la nave ha scalato Genova come unico porto italiano. Varata nel 1967, la nave è stata completamente ristrutturata nel 1994.

 

Filmato dell'arrivo del transatlantico QUEEN HELIZABETH II  A GENOVA

https://www.youtube.com/watch?v=PmGWajg6ILw

Carlo GATTI

Rapallo, giovedì 15 Settembre

Note:

Ho sempre scritto IL QUEEN HELIZABETH II riferendomi al TRANSATLANTICO, pur sapendo che solo le navi da guerra vanno riportate al maschile.

H.M.S - (abbreviazione per Her/His Majesty's Ship, ovvero Nave di Sua Maestà) è il prefisso navale utilizzato per le navi  della Royal Navy, la marina da guerra britannica. È seguito dal nome proprio della nave, come ad esempio per la HMS Victory

R.M.S - Royal Mail Ship - significa che la nave svolgeva anche il servizio postale

FONTI:

Scritti e Archivio fotografico dell’Autore

IL PORTO visto dai fotografi – Genova 1969-1995 Silvana Editore

CUNARD – Glory days – David L. Williams

PICTURE HISTORY OF THE CUNARD LINE – 1840-1990;(Author) Frank O.Braynard – William H. Miller Jr

OCEAN LINERS – Philip J. Fricker


IL FARO ROMANO DI DUBRIS / DOVER IL CASTELLO DI DOVER

IL FARO ROMANO DI DUBRIS / DOVER

IL CASTELLO DI DOVER

DUBRIS-DOVER

Panoramica sul CASTELLO e sul FARO DI DOVER oggi

 

Dubris Pharos è un antico faro costruito dal governo della Britannia Romana nel II secolo d.C. sul Porto di Dubris, l’attuale città di Dover nel Kent, all’estuario del fiume Dour, il punto più adatto per l’attraversamento dello lo stretto della Manica (English Channel). Il faro di DUBRIS è il più alto edificio di epoca romana sopravvissuto nel Regno Unito ed è l’unico faro romano sopravvissuto al mondo.

Il Porto militare e mercantile di DUBRIS fu fortificato e presidiato dalla “Classis Britannica” (la flotta navale romana della provincia di Britannia) ed aveva il compito di pattugliare la Manica e il mare attorno alla Britannia, di trasportare uomini e mezzi e di mantenere le comunicazioni tra la provincia e il resto dell’Impero.  

Un po’ di Storia - FONTE:

(PDF) Cesare in Britannia – ResearchGate

 

I ROMANI chiamarono lo stretto Fretum Gallicum e lo attraversarono nell'agosto del 54 a.C.  sotto la guida di Giulio Cesare per intraprendere la conquista della Britannia. 

«Cesare riteneva molto utile partire per la Britannia, poiché capiva che di là giungevano ai nostri nemici aiuti in quasi tutte le guerre in Gallia; inoltre, anche se la stagione non bastava per le operazioni belliche, riteneva molto utile raggiungere almeno l’isola, vedere quale genere di uomini l’abitassero, rendersi conto dei luoghi, degli approdi, degli accessi, notizie quasi tutte sconosciute anche ai Galli.

L’isola offriva stagno argentifero, ferro, argento e tanto grano; tutte materie indispensabili per la

permanenza delle truppe da una parte all’altra della Manica.

I collegamenti col continente dovettero essere già normalmente assicurati da quei popoli (Belgi) che poco prima di Cesare invasero l’isola passando dallo stretto che collegava l’odierna Boulogne (foto sotto) alle coste della Canzia (Kent). Cesare ben sapeva dei rapporti stretti che univano alcune popolazioni della Gallia del nord e la Britannia e giustificò le proprie mire con la urgente esigenza di spezzare i legami tra le tribù britanniche e quelle galliche”.

Nel 55 a.C. Giulio Cesare, consigliato da Voluseno*, tentò di sbarcare a Dubris il cui porto naturale sembrava il più adatto allo sbarco, ma quando arrivò a poca distanza dalla spiaggia, trovò una brutta sorpresa: le numerose avanguardie britanniche erano appostate sulle le falesie ed erano “così vicine alla riva che i giavellotti potevano essere lanciati da loro verso chiunque avesse tentato lo sbarco”. Cesare cambiò subito strategia: attese “fino alla nona ora” (circa le 15:00) aspettando che le sue navi-rifornimento arrivassero dal secondo porto e poi ordinò ai suoi Comandanti di agire di propria iniziativa; quindi salpò con la flotta a circa sette miglia lungo la costa per una spiaggia aperta.

*Gaio Voluseno Quadrato (I secolo a.C. – …) è stato un ufficiale romano che servì nell’esercito di Cesare, prima durante la conquista della Gallia e poi durante la guerra civile contro Pompeo.

In questa immagine pittorica medievale è rappresentata la parte continentale (forse Boulogne) - Dover è sull’altra sponda.

In epoca romana DUBRIS divenne un importante porto militare, mercantile e cross-channel che, con Rutupiae – è uno dei due punti di partenza della strada più tardi nota come Watling Street. Dubris fu fortificato e presidiato inizialmente dalla Classis Britannica, e successivamente da truppe con sede in un Saxon Shore Fort.

Una piccola parte dei resti del FORTE è ora visibile, su richiesta, presso la Dover Library and Discovery Center, e una casa pubblica al largo di Market Square e prende il nome da Roman Quay.

I resti più estesi e pubblicamente accessibili si trovano presso la Roman Painted House, dove sono visibili parti della mansio, Saxon Shore Fort e Classis Britannica.

IL FARO ROMANO DI DUBRIS (DOVER) E’ L’EDIFICIO PIU’ ANTICO D’INGHILTERRA

I disegni riportati sotto sono basati sulle descrizioni ritrovate nei testi antichi; le foto dei ruderi testimoniano ancora oggi l’abilità degli architetti militari romani nel realizzare strutture adeguate al controllo di operazioni militari di sbarco, ma non c’è alcun dubbio sulla loro utilità per la navigazione ad uso mercantile in tempo di pace.

 

Nelle due foto sotto, ciò che rimane del FARO DI DOVER

 

IL CASTELLO DI DOVER

 

Il Castello di Dover, nel Kent, è famoso come “Key to England” a causa della sua importanza difensiva durante gli ultimi 2 millenni di storia. La rocca medievale risale all’XI secolo, ed è il più grande e importante castello d’Inghilterra. Il sito potrebbe esser stato fortificato già durante l’età del ferro, molto prima che i Romani attaccassero la Britannia (nel 43 dopo Cristo con l’Imperatore Claudio). Una datazione così antica è suggerita dalla forma dei terrapieni, insoliti per un castello di epoca medievale. Gli scavi archeologici suggeriscono attività antropiche nell’area del castello, ma non hanno ancora dato la certezza che queste siano poi state concluse con la costruzione di un qualche tipo di fortificazione.

Per gli amanti di questa materia propongo un riassunto della storia legata al celebre castello che abbraccia un lungo ed intenso periodo …

Fonte: STAMPA Press

21 miglia di distanza separano l’Europa dalla grande isola, ma in particolare da Dover, la chiave d’accesso all’Inghilterra, dove sono passate invasioni e attacchi e non a caso è stato eretto una dei più grandi castelli della Gran Bretagna.

Con oltre 1 km di mura, il castello di Dover ha difeso gli attacchi dai Francesi, contro Napoleone e infine dai tedeschi di Adolf Hitler, ma tutto ha inizio ai tempi dell’antica Roma, quando Giulio Cesare sbarca sulle coste della Britannia nel primo secolo a.C. nel punto in cui oggi c’è il castello erigono una grande struttura chiamata Faros, il suo scopo era guidare le navi romane sulla costa, dopo 2000 anni il faro è ancora in piedi.

La fortezza che ancora oggi è presente all’interno del castello di Dover fu costruita dal pronipote di Guglielmo il conquistatoreEnrico II, 30 anni di regno che hanno dato all’Inghilterra le basi. Enrico II costruì le mura con 14 torri e al centro la grande torre, maestoso e imponente il castello è anche un palazzo stupendo, al suo interno ci sono 2 sontuosi appartamenti dedicati agli ospiti ma soprattutto al re.

La cappella del castello di Dover

La cappella è situata al secondo piano, per accedervi bisogna percorrere un corridoio molto stretto, fu costruita da Enrico II, qui il re passava molto tempo venerando un grande Santo, Thomas Becket, la storia racconta che fu proprio Enrico II ad ordinare la sua uccisione.

Becket ed Enrico erano amici fino a quando Becket divento arcivescovo ed Enrico, gli ordino di imporre la legge reale sulla chiesa inglese, Becket si rifiutò e tra i due scatta l’inimicizia. Nel Dicembre del 1170 Becket viene assassinato mentre sta pregando nella cattedrale di Canterbury.

Becket viene fatto santo

L’intera Europa è sconvolta, dopo 2 anni Becket viene fatto santo, il re si pente e a piedi scalzi, vestito solo di sacco cammina fino a Canterbury, ordina agli 80 monaci di colpirlo 3 volte a testa con un bastone di legno, dopo si reca sulla tomba del santo pregando tutta la notte, da quel giorno la tomba del santo è meta di pellegrini.

Nel 1179 Luigi VII re di Francia ha il figlio molto malato e vuole venire a pregare sulle tomba di Becket, Enrico per la grande occasione vuole allestire un grande spettacolo, anche se Dover non è la sede più adatta per ricevere un nobile, decide di fare forti investimenti sul castello. In 10 anni il Re investe ingenti somme di denaro, l’obiettivo è impressionare ogni pellegrino che viene in visita al castello.

Dover la fortezza più sicura del medioevo

Enrico rende il castello di Dover la fortezza più grande e sicura di tutto il medioevo, fino all’arrivo nel 1199 del monarca più odiato di tutta la Bretagna, Giovanni re d’Inghilterra ricordato per le storie di Robin Hood, portò tutta la Gran Bretagna quasi alla distruzione.  Per capire cosa è veramente successo ci spostiamo nella cattedrale di Salisbury a circa 200 km da Dover, dove troviamo un documento importantissimo la Magna Carta, un trattato del 1215 tra i baroni ribelli e il re.

Giovanni era vendicativo e spietato, imponeva tasse altissime per finanziare guerre fallimentari, derubava la chiesa e dichiarò guerra ai baroni che si opponevano al suo modo di governare fino alla pace con la stesura del trattato, 63 leggi per mettere in riga il re, la più importante è la 61 che dichiara, in caso di non osservanza del trattato, 25 baroni avrebbero dichiarato guerra al re, esattamente quello che poi successe.

Giovanni si appella alla chiesa che gli da ragione, i baroni vengono scomunicati e scoppia la guerra civile, il principe Luigi di Francia viene in aiuto del popolo inglese, che in pochissimo tempo conquista LondraCanterbury e altre città, a questo punto il re d’Inghilterra si barrica nel castello di Dover, Luigi di Francia lo assedia attaccandolo con le catapulte, il castello non cede e il re di Francia cambia tattica, scavando dei tunnel nelle scogliere di gesso, sotto la fortezza, l’obiettivo è far cedere le fondamenta, ma quest’ultimi sono arrivati fino alla corte esterna del castello, aprendo un varco, gli inglesi hanno resistono cacciando all’esterno i francesi. Dopo tre mesi d’assedio Luigi negozia la pace, alcuni giorni dopo Giovanni muore di dissenteria.

Il castello di Dover viene ampliato

Il castello viene riparato e vengono ampliate le difese che vanno oltre le mura di cinta, negli anni a seguire viene fortificato e reso impenetrabile da diversi sovrani fino alla guerra di Francia contro Napoleone, Nel 1803 con un esercito di 130 mila uomini decide di attaccare l’Inghilterra.  il generale William Twiss dell’esercito inglese, rinforza il castello di Dover, aggiungendo una grande piattaforma rialzata sulla porta di nord, piazzole per i cannoni nelle mura esterne e infine rinforza il tetto della grande torre contro l’artiglieria pesante.

Contro un esercito così imponente Twiss si rende conto che occorre molto spazio per i soldati inglesi, gli viene in mente un’idea costruire dei tunnel per accoglierli, ma c’è ancora un punto debole, le scogliere. Twiss progetta un passaggio diretto che arriva ai piedi della scogliera, un imponente scala larga 8 metri per 55 di profondità, geniale nella sua progettazione possiede 3 scalinate, un passaggio veloce per i soldati che dovevano arrivare alla spiaggia, per spostare 1000 uomini bastavo 12 minuti e mezzo.

Dopo tutti questi accorgimenti, Napoleone fu bloccato dalla marina reale annullando l’invasione, nel 1820 i francesi iniziano a scavare un tunnel sotto la Manica, anche se poi venne interrotto per problemi di sicurezza nazionale.

Il castello di Dover nella Seconda guerra mondiale

Per 130 anni il castello rimane tranquillo fino al 1940 con l’arrivo della Seconda guerra mondiale, 400.000 soldati inglesi vengono circondati dalle truppe tedesche sulle coste della Francia, oltre 800.000 uomini comandati da Hitler sferreranno il colpo di grazia.

Winston Churchill vuole salvare i soldati inglesi e incarica il vice ammiraglio Ramsay di portare avanti questa operazione che sarà chiamata Dynamo, il luogo di comando ricade sul castello di Dover, l’obiettivo è evacuare nel più breve tempo possibile la costa francese di Dunkerque con una flotta di cacciatorpediniere e navi per trasporto truppe, in soli 6 giorni dai sotterranei del castello viene pianificato il piano di recupero del maggior numero di soldati, la speranza è salvarne 30/45 mila.

Ramsay ordina l’inizio dell’operazione Dynamo, le navi inglesi ancorano allargo della costa francese e trasportano i soldati in salvo, dopo 3 giorni oltre 70.000 uomini tornano a casa, non contento Ramsay lancia un SOS a tutte le imbarcazioni private, riesce a radunare oltre 700 barche tra Yatch, motoscafi e traghetti, il 28 maggio fanno tutti rotta su Dunkerque, un’idea vincente, perché questi natanti potevano raggiungere la spiaggia e portare sulla navi i superstiti, il 4 Giugno l’operazione si conclude con il salvataggio di 338.226 uomini.

Il castello di Dover diventa la prima linea delle difese inglesi, Ramsay decide di ampliare i tunnel con la costruzione di alloggi, sale operative e ospedali, una grande centrale operativa per il lancio del D-Day.

Ramsay muore in un incidente aereo nel Gennaio del 1945, oggi è ricordato per il grande contributo dato all’Inghilterra.

Il castello di Dover rifugio antiatomico

Dopo la guerra i tunnel del castello vengono trasformati in rifugi antiatomici, causa la guerra fredda, la Gran Bretagna viene divisa in 12 regioni con sedi governative, Dover è una di queste e in caso di attacco nucleare doveva accogliere 300 funzionari miliari.

 Visitare il castello di Dover

Il castello di Dover oggi è un monumento nazionale ed è possibile visitarlo.

Orari del Castello di Dover

Si consiglia di informarsi sugli orari perché sono soggetti a variazione.

Il prezzo dei biglietto del castello

Adulti : £17.50

Bambini 5-15 anni: £10.50

Studenti e over 60: £15.80

Famiglie composte da 2 adulti più 3 bambini: £45.50

Come arrivare al Castello di Dover

E possibile arrivare in treno con fermata a Dover Pryory

In BUS con i numeri 15, 15X, 80, 80A, 93

Il fantasma del castello di Dover

Bufala o realtà? In rete gira un video che riprende un fantasma che attraversa la strada, il cineamatore che ha ripreso l’evento pubblicandolo su youtube, ha dichiarato ”non è assolutamente un falso, non ho le capacità per creare questo tipo d’effetti”. Nel video si vede un’ombra nera che passeggia di fronte all’ingresso del castello, anche la guardia presente al momento del fatto si è insospettita, fornendo al video ancora più credibilità, purtroppo rimane comunque il dubbio se il video sia vero o sia stato costruito a tavolino.

Se fosse vero non mi stupirei, come tutti i castelli che si rispettano la presenza di un fantasma è doverosa in particolare al castello di Dover.

Facciamo un salto nel presente …

OGGI

Stretto di Dover o Passo di Calais

Faro di South Foreland sulle scogliere di Dover, East Kent, Regno Unito

Dimensioni

Larghezza: 33,3 Km - Profondità max: 55 mt – Media 30 mt

Lo stretto di Dover, o passo di Calais (in inglese Strait of Dover o Dover Strait; in francese Pas de Calais), è il punto del Canale della Manica che costituisce la distanza più breve tra l’Europa continentale e la Gran Bretagna e, amministrativamente, tra la Francia ed il Regno Unito.

Descrizione

Lo stretto è posto all'estremità orientale del canale della Manica. Ha una ampiezza minima di circa 32 km misurata dal promontorio di South Foreland, posto a circa 6 km a nord-est di Dover in Inghilterra, al promontorio di Cap Gris-Nez, posto a circa 20 km a sud-ovest di Calais in Francia. I fondali sono profondi poche decine di metri.

 

Vie di comunicazione

Lo stretto è una via di comunicazione molto importante tra l'Atlantico e i mari del Nord e Baltico.  È attraversato da più di 400 navi al giorno. Inoltre è solcato dal servizio di navi traghetto che mettono in comunicazione le due sponde opposte. 

Dal 1994 è entrato in servizio il Tunnel della Manica che passa sotto lo stretto ad una profondità media di 45 metri collegando Folkestone con Coquelles. 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 1 Agosto 2022


NAVE GARIBALDI - 551 La prima unità navale Lanciamissili balistici

NAVE GARIBALDI

La prima unità navale lanciamissili balistici

551

SI VIS PACEM PARA BELLUM

Nave Giuseppe Garibaldi anno 1937

Il Giuseppe Garibaldi è stato un incrociatore della Regia Marina italiana e successivamente della Marina Militare. Dopo aver subito radicali lavori di trasformazione, divenne la prima unità navale missilistica italiana. Alla sua entrata in servizio il Garibaldi era classificato incrociatore leggero, in quanto secondo il Trattato navale di Londra del 1930, erano classificati tali gli incrociatori con cannoni da 6.1 pollici 155 mm o più piccoli, mentre quelli con cannoni fino a 8 pollici 203 mm erano definiti incrociatori pesanti.

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Caratteristiche :

La costruzione dell’unità avvenne nel Cantiere navale San Marco di Trieste ed ebbe iniziò il 28 dicembre 1933. La nave, varata il 22 aprile 1936, fu consegnata alla Regia Marina il 1º dicembre 1937. Madrina del varo la Signora Gina Federzoni, moglie del allora Presidente del Senato Luigi Federzoni. La bandiera di combattimento venne consegnata il 13 giugno 1938 dalla città di Palermo e dalla Federazione Nazionale Volontari Garibaldini, dopo che il 5 maggio la nave aveva preso parte nel golfo di Napoli alla parata navale in onore del Cancelliere tedesco Hitler in occasione della visita in Italia.

Il varo della nave

L’unità faceva parte della classe Duca degli Abruzzi, ultima evoluzione degli incrociatori leggeri del tipo Condottieri. Le navi di questa quinta e ultima classe presentavano un perfetto equilibrio fra protezione, velocità, tenuta di mare e armamento, grazie alla esperienza acquisita dalla realizzazione delle precedenti classi e i miglioramenti introdotti richiesero un aumento del dislocamento, che per queste unità superò le 9.000 tonnellate, con un incremento di dimensioni, che portarono la lunghezza dello scafo fuori tutto a 187 metri, risultando quindi tra le più lunghe unità della Regia Marina, precedute soltanto dalle Littorio, dai Trento e dal Bolzano. Particolare cura era stata posta nello studio della corazzatura. La protezione verticale era costituita da tre paratie, di cui la prima di 30 mm di acciaio al nichelcromo, la seconda di 100 mm di acciaio cementato che poggiava su un cuscino di legno con funzione ammortizzante ed una terza paratia di 12 mm con funzione di paraschegge. La protezione orizzontale era costituita da 40 mm per il ponte di batteria, mentre lo schema di protezione vede indicati anche 10-15 mm di acciaio del ponte di coperta 90 mm al basamento dei fumaioli; corazze curve dello spessore di 100 mm proteggevano i pozzi delle torri principali. La sovrastruttura presentava i due fumaioli ravvicinati e due catapulte, una per lato, che permettevano di imbarcare fino a quattro idrovolanti da ricognizione marittima IMAM Ro.43 biplani biposto a galleggiante centrale capaci di raggiungere circa i 300 km/h e con circa 1 000 km di autonomia, che avevano le ali ripiegabili all’indietro in modo da permetterne il ricovero sulle navi.

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Idrovolante da ricognizione marittima IMAM Ro.43 biplani biposto

L’aumento delle dimensioni e del dislocamento richiese un aumento della potenza dell’apparato motore che era a vapore con due turbine tipo Belluzzo/Parsons alimentate dal vapore di otto caldaie a tubi d’acqua del tipo Yarrow/Regia Marina, con due caldaie in più rispetto alle precedenti realizzazioni della Classe Condottieri. In queste caldaie, alimentate a nafta, l’acqua fluiva attraverso tubi riscaldati esternamente dai gas di combustione. Questa configurazione sfruttava il calore sprigionato dai bruciatori, quello delle pareti della caldaia e quello dei gas di scarico. Nel XX secolo questo tipo di caldaia diventò il modello standard per tutte le caldaie di grosse dimensioni, grazie anche all’impiego di acciai speciali in grado di sopportare temperature elevate e allo sviluppo di moderne tecniche di saldatura. L’apparato motore forniva una potenza massima di 100 000 CV e consentiva alla nave di raggiungere la velocità massima di 33-34 nodi. A tale proposito, il Garibaldi arrivò a 34.78 nodi ma soltanto a poco più di 8.600 t di dislocamento circa 500 in meno rispetto a quello standard e 2.500 rispetto al massimo consentito. Nello stesso anno del 1937 l’Abruzzi ottenne, una stazza più realistica di circa 10.300 t circa il 90% del massimo indicato di 11.550, 33.62 nodi a 104.000 hp. Le navi imbarcavano fino ad oltre 1.600 tonnellate di nafta, un’autonomia che ad una velocità media di 13 nodi era di 4.125 miglia, mentre alla velocità di 31 nodi era di 1.900 miglia. L’armamento principale era costituito da cannoni da 152/55 Ansaldo Mod. 1934 a culla singola e a caricamento semi-automatico installati in quattro torri, di cui una trinata ed una binata nella sovrastruttura di prua ed una torretta trinata ed una binata a poppavia del secondo fumaiolo, per un totale di dieci cannoni. L’armamento antiaereo principale era costituito da 8 cannoni da 100/47 mm OTO in quattro complessi scudati, utili anche in compiti antinave, ma che con l’aumento della velocità dei velivoli e con le nuove forme di attacco in picchiata si mostrarono insufficienti alla difesa aerea e rivelarono una certa utilità solo nel tiro di sbarramento, tanto che per ovviare a tali inconvenienti venne approntato il complesso singolo modello 90/50 mm A-1938 con affusto stabilizzato che trovò impiego sulle Duilio e sulle Littorio ma non sulle Cavour.

 

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L’armamento antiaereo secondario era costituito da 12 mitragliere Breda Mod. 31 da 13.2/76 mm che durante la guerra furono sostituite con altrettante mitragliere da 20/70 e 8 mitragliere pesanti Breda 37/54 mm montate in 4 impianti binati che si rivelarono particolarmente utili contro gli aerosiluranti e in generale contro i bersagli a bassa quota. L’armamento silurante

 era di 6 tubi lanciasiluri in due complessi tripli, che nel 1945 vennero rimossi e che trovavano posto in coperta circa a metà distanza fra i due fumaioli. Completavano l’armamento antisommergibile 2 lanciatori per bombe di profondità.

Caratteristiche generali

Dislocamento standard: 9050 t a pieno carico: 11117 t

Lunghezza fuori tutto: 187 m perpendicolari: 171,8 m

Larghezza 18,9 m perpendicolari: 171,8 m

Pescaggio 6,8 m

Equipaggio 640 (29 ufficiali e 611( tra sottufficiali e marinai)

Armamento

Artiglieria 10 cannoni Ansaldo da 152 mm

8 cannoni da 100/47 mm

8 cannoni Breda da 37/54 mm

12 mitragliatrici Breda mod.31 da 12.7 mm

Siluri  6 tubi lancia siluri da 533 mm

2 lanciabombe di profondità

Corrazzatura

 

Verticale 100 mm+30 mm – Orizzontale 40 mm – Artigliere  135 mm – Torrione 140 mm

Mezzi Aerei 4 Idrovolanti Inam Ro 43

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Attività bellica: La prima operazione bellica cui partecipò l’unità fu nell’aprile 1939 l’occupazione dell’Albania. Nell’occasione la Regia Marina schierò davanti alle coste albanesi una squadra navale al comando dell’ammiraglio Arturo Riccardi, composta, oltre che dal Garibaldi, dagli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Bande Nere, dalle due Cavour, dai quattro incrociatori pesanti Zara, 13 cacciatorpediniere, 14 torpediniere e varie motonavi su cui erano imbarcati in totale circa 11.300 uomini, 130 carri armati e materiali di vario genere. Nonostante l’imponente spiegamento di forze, l’azione delle navi italiane, nei confronti dei timidi tentativi di reazione da parte albanese, si limitò soltanto ad alcune salve sparate a Durazzo e a Santi Quaranta. Le forze italiane incontrarono scarsissima resistenza e in breve tempo tutto il territorio albanese fu sotto il controllo italiano, con re Zog costretto all’esilio. Il Garibaldi trovò poi ampio impiego durante la seconda guerra mondiale, inquadrato nella VIII Divisione incrociatori nell’ambito della I Squadra di base a Taranto.

Attività bellica 1940.   Il 9 luglio 1940, al comando del capitano di vascello Stanislao Caraciotti, prese parte alla battaglia di Punta Stilo, nel corso della quale colpì con schegge della propria artiglieria, l’incrociatore HMS Neptune della Royal Navy, danneggiandone sia la catapulta che il ricognitore Swordfish imbarcato sull’unità britannica, quest’ultimo in modo irreparabile. Al comando della VIII Divisione Incrociatori c’era l’ammiraglio Antonio Legnani con insegna sul gemello Duca degli Abruzzi, mentre l’unità inglese faceva parte della classe Leander ed era inquadrata nella VII Divisione Incrociatori nell’ambito della Forza A comandata dall’ammiraglio di squadra John Towey. Alle 15:20 la VIII Divisione incrociatori leggeri aprì il fuoco contro il nemico dalla notevole distanza di 20.000 metri con le artiglierie da 152 mm, seguita alle 15:26 dalle navi della IV Divisione comandata dall’ammiraglio Marenco di Moriondo e formata dagli incrociatori Alberico da Barbiano e Alberto di Giussano. Alle 15:31 il contatto cessò per l’intervento delle navi da battaglia. Il Garibaldi tra il 29 agosto e il 5 settembre 1940 prese parte ad un’azione di contrasto all’Operazione inglese Hats, con gran parte delle unità della I Squadra insieme ad altre unità partite da Messina e da Brindisi. L’azione vedeva per la prima volta l’impiego delle due nuovissime navi da battaglia della classe Littorio, Vittorio Veneto e Littorio. La Squadra Navale italiana poteva contare nell’occasione 4 navi da battaglia, 10 incrociatori e 31 cacciatorpediniere, ma il nemico non venne rintracciato anche a causa di una violenta burrasca che costrinse al rientro le navi italiane non potendo i cacciatorpediniere reggere il mare. Il successivo 29 settembre il Garibaldi partecipò all’attacco al convoglio inglese MB 5 diretto a Malta. Le forze inglesi vennero attaccate dagli aerosiluranti italiani, ma anche questa volta l’attacco delle forze navali di superficie non si materializzò e gli inglesi portarono a termine la missione poiché le unità della Regia Marina non riuscirono a stabilire il contatto. Il Garibaldi era poi presente, ormeggiato nel Mar Piccolo, nella notte a Taranto dell’11-12 novembre 1940, dalla quale uscì indenne e nel corso della quale furono gravemente danneggiate le navi da battaglia Cavour, Duilio e Littorio. Nella stessa sera dell11 novembre, intorno alle 18, alcuni incrociatori e cacciatorpediniere inglesi si distaccarono dalla flotta principale che stava dirigendosi verso il golfo di Taranto per l’operazione Judgement e si diressero verso il Canale d’Otranto per intercettare il traffico verso l’Albania.

 

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Lo squadrone inglese era costituito dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Sydney con la scorta dei cacciatorpediniere della classe Tribal Nubian e Mohawk. Le navi britanniche, dopo aver attraversato il canale ed essere entrate in Adriatico, intercettarono un convoglio diretto a Valona, costituito dai piroscafi Antonio Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi, al comando del tenente di vascello Giovanni Barbini, e dall’incrociatore ausiliario Ramb III al comando del capitano di fregata Francesco De Angelis. Gli inglesi dopo aver localizzato il convoglio italiano affondarono tutti i piroscafi nonostante l’eroica difesa offerta della torpediniera Fabrizi, gravemente danneggiata, mentre l’incrociatore RAMB III, dopo un iniziale scambio d’artiglieria, si dileguò lasciando i piroscafi alla loro sorte, riuscendo a rompere il contatto salvandosi nel porto di Brindisi. Nello scontro 36 marinai italiani persero la vita, e 42 vennero feriti. Il Tenente di Vascello Barbini, pur ferito riuscì a riportare nel porto la sua unità guadagnandosi per il suo eroismo la Medaglia doro al valor militare. I velivoli inviati dalla Regia Aeronautica non riuscirono a localizzare la flotta nemica ed i pochi CANT inviati in missione di ricognizione vennero falcidiati dalle forze nemiche. La Regia Marina inviò delle motosiluranti da Valona, gli incrociatori Attendolo ed Eugenio di Savoia della VII Divisione con i cacciatorpediniere della XV Squadriglia da Brindisi, e gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Garibaldi con i cacciatorpediniere della VII e VIII Squadriglia da Taranto, ma le navi italiane non riuscirono a stabilire il contatto. Nella giornata del 12 novembre 140 marinai vennero salvati dalle torpediniere Curtatone e Solferino.

Attività bellica 1941.   Nel 1941, dopo il trasferimento nella base di Brindisi, avvenuto il 1º marzo, prese parte alla battaglia di Capo Matapan. nel corso della quale le forze italiane comandate dall’ammiraglio Angelo Iachino persero 3 incrociatori pesanti della classe Zara e 2 cacciatorpediniere della classe Poeti. Le unità andate perdute facevano parte della I Divisione Incrociatori comandata dall’ammiraglio Cattaneo e furono gli incrociatori Zara, Fiume e Pola e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci della IX Squadriglia, che ne costituivano la scorta. Il Garibaldi partecipò alla battaglia insieme al gemello Duca degli Abruzzi scortato da due cacciatorpediniere della classe Navigatori della XVI Squadriglia, il da Recco e il Pessagno. La partecipazione fu tuttavia solo nominale, poiché nelle prime fasi dell’operazione il Pessagno lamentò un’avaria ad una caldaia che ne limitava di molto la velocità. Questa avaria costrinse tutta lVIII Divisione Incrociatori ad allontanarsi dal teatro operativo facendo rotta di rientro. Il successivo 8 maggio partecipò ad un’azione di contrasto all’operazione inglese Tiger, con cui gli inglesi, con un convoglio diretto ad Alessandria d’Egitto da Gibilterra, si proponevano di rifornire di carri armati, aerei e carburante la loro armata del Nilo con base Alessandria d’Egitto. I britannici evitarono lo scontro navale con la flotta italiana che era uscita per intercettare il convoglio senza però riuscire a stabilire il contatto e riuscirono così a portare al termine con successo la missione di rifornimento alle proprie truppe in Egitto. Il successivo 28 luglio il Garibaldi sopravvisse ad un siluro lanciato dal sommergibile britannico Upholder dal quale venne colpito al largo delle coste siciliane nei pressi dell’isola di Marettimo. I siluri lanciati furono 2 ma il tempestivo avvistamento da parte di una vedetta dell’R.C.T. Bersagliere, che riuscì ad evitarli entrambi, consentì all’incrociatore italiano di evitarne almeno uno. I danni subiti non furono gravi venne colpito a proravia delle torri prodiere, nonostante le 700 tonnellate d’acqua imbarcate. Il Garibaldi riuscì a raggiungere Palermo ed essere poi trasferito a Napoli per le riparazioni che richiesero 4 mesi di lavoro ed il successivo 20 novembre si trovò a partecipare ad una missione di scorta.

 

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Da Napoli erano salpati, diretti a Bengasi, due convogli composti in totale da 5 piroscafi e una petroliera, con la scorta della III e VIII Divisione e 12 cacciatorpediniere, mentre altri 2 cacciatorpediniere e 2 torpediniere formavano la scorta diretta. Il 21 novembre un ricognitore inglese avvistata la formazione italiana andò a dirigere su di essa alcuni sommergibili ed il sommergibile Utmost colpì con un siluro il Trieste, che gravemente danneggiato riuscì a raggiungere il giorno dopo Messina così come anche il Duca degli Abruzzi che era stato silurato ed aveva subito danni non gravi da un attacco notturno aerosilurante inglese. Il convoglio viene fatto rientrare a Taranto. Successivamente il 1º dicembre il Garibaldi durante una missione di scorta a causa di una gravissima avaria alle macchine dovette essere trainato fino a Taranto, mentre la Forza K affondò la motonave Adriatico, la petroliera Mantovani e il cacciatorpediniere da Mosto che faceva parte della scorta.

Attività bellica 1942.   Nel 1942, dal 3 al 5 gennaio partecipò all’operazione M43 che aveva la finalità di far giungere contemporaneamente in Libia tre convogli, sotto la protezione diretta ed indiretta della maggior parte delle forze navali, in quella che fu l’ultima missione operativa del Giulio Cesare. Nel mese di marzo partecipò insieme all’Eugenio di Savoia all’Operazione V5 di protezione a convogli per Tripoli. Tra il 2 e il 3 maggio il trasferimento alla base di Messina, cui seguì il rientro alla base di Taranto, avvenuto tra il 27 e il 28 maggio a causa del bombardamento del porto di Messina e dalla base di Taranto mosse per prendere parte alla battaglia a metà giugno. Le unità della VIII Divisione Incrociatori, composta per l’occasione dal Garibaldi e dal Duca dAosta, nave insegna dell’Ammiraglio de Courten, erano partite da Taranto con la Iª Squadra comandata dall’Ammiraglio Angelo Iachino. A bordo del Garibaldi e della corazzata Littorio erano presenti gruppi di intercettazione delle comunicazioni avversarie ed a bordo dell’incrociatore pesante Gorizia era presente personale tedesco per mantenere i contatti radio con la Luftwaffe. A precedere la formazione italiana c’era il cacciatorpediniere Legionario, che era stato dotato di un radar Modello Fu.Mo 21/39 De.Te. di costruzione tedesca. Il successivo 2 agosto Il Garibaldi, con il Duca degli Abruzzi, il Duca dAosta ed i cacciatorpediniere Alpino, Bersagliere, Corazziere e Mitragliere venne dislocato a Navarino in Grecia per la protezione del traffico nel Mediterraneo Orientale da eventuali attacchi da parte di unità di superficie britanniche che potevano usufruire del porto di Haifa. Tra il 9 e l11 novembre il trasferimento prima alla base di Augusta e poi a Messina.

Attività bellica 1943.   Il 31 gennaio 1943 mentre si trovava a Messina la nave venne colpita da schegge di bomba che causarono delle vittime a bordo, e tra il 3 e il 5 maggio la nave venne trasferita a Genova. All’inizio di agosto, l’Ammiraglio Fioravanzo, che il precedente 14 marzo aveva assunto il comando della VIII Divisione navale, ebbe il compito di bombardare Palermo, da qualche giorno in mano alle truppe alleate. La missione iniziò la sera del 6 agosto 1943 quando l’Ammiraglio, con la divisione formata dal Garibaldi e dal Duca dAosta, lasciò Genova per La Maddalena. La sera del giorno successivo la Divisione lasciò La Maddalena con obiettivo le navi alleate alla fonda dinanzia Palermo. Il Garibaldi aveva però difficoltà con l’apparato motore per cui non poteva sviluppare più di 28 nodi di velocità ed inoltre nessuno dei due incrociatori aveva a disposizione il radar.

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Dopo l’avvistamento, da parte della ricognizione aerea, di navi sconosciute in rotta verso la divisione, Fioravanzo, ritenendo che avrebbe dovuto scontrarsi con una forza navale avversaria in condizioni di netta inferiorità per non correre il rischio di perdere i due incrociatori, ma soprattutto la vita dei 1.500 uomini degli equipaggi, senza poter arrecare danni significativi all’avversario, rinunciò al compimento della missione rientrando La Spezia alle 18.52 dell8 agosto. Alle 17.00 del 9 agosto i due incrociatori lasciarono La Spezia diretti a Genova, scortati dai cacciatorpediniere Mitragliere, Carabiniere e Gioberti, al cui comando era, alla sua prima uscita in mare in tempo di guerra, il Capitano di Fregata Carlo Zampari e che nel corso di quella navigazione sarebbe stato l’ultimo cacciatorpediniere della Regia Marina ad essere affondato nel conflitto. La formazione, mentre procedeva nella navigazione con il Mitragliere in testa, i due incrociatori in linea di fila e Carabiniere e Gioberti, rispettivamente, a sinistra e a dritta degli incrociatori, a sud di Punta Mesco, tra Monterosso e Levanto, subì un agguato dal sommergibile inglese Simoon che lanciò sei siluri contro le unità italiane, due dei quali colpirono a poppa il Gioberti che, spezzato in due, affondò in breve tempo. Il Carabiniere rispose lanciando bombe di profondità che danneggiarono i tubi di lancio poppieri del battello inglese, dopodiché la formazione proseguì verso Genova, dove giunse in serata. Molti dei naufraghi del Gioberti furono recuperati da una squadriglia di MAS e da altri mezzi di soccorso usciti da La Spezia appena ricevuta la notizia della perdita dell’unità.

Attività bellica Armistizio e cobelligeranza. - Alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre la nave si trovava a Genova, da dove partì insieme a Duca d’Aosta e Duca degli Abruzzi e alla torpediniera Libra per ricongiungersi al gruppo navale proveniente da La Spezia guidato dall’Ammiraglio Bergamini, per poi consegnarsi agli alleati a Malta assieme alle altre unità navali italiane provenienti da Taranto. Il gruppo, dopo essersi riunito con le unità provenienti da La Spezia, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d’Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, formata da Attilio Regolo, Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave insegna dell’ammiraglio Oliva, sostituendo l’Attilio Regolo che entrò a far parte della VIII Divisione. Durante il trasferimento, il Roma, nave ammiraglia dell’Ammiraglio Bergamini, affondò tragicamente nel pomeriggio del 9 settembre al largo dell’Asinara centrata da una bomba Fritz X sganciata da un Dornier Do 217 della tedesca Luftwaffe. A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l’affondamento del Roma, fu l’Ammiraglio Oliva, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde, mentre l’ammiraglio Bergamini, che avvertito telefonicamente da De Courten dell’armistizio ormai imminente, e delle relative clausole che riguardavano la flotta, era andato su tutte le furie per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, aveva lasciato gli ormeggi innalzando però il gran pavese e non adempiendo così a tale clausola. Il gruppo giunse a Malta l’11 Settembre ricongiungendosi alle unità provenienti da Taranto al comando dell’Ammiraglio Da Zara. Tra il 4 e il 5 ottobre il trasferimento a Taranto insieme a gran parte delle navi italiane che si erano consegnate agli alleati. Durante la cobelligeranza venne schierato nel Mediterraneo e in Atlantico centrale, dove prese parte, insieme al Duca degli Abruzzi e al Duca d’Aosta, ad azioni di pattugliamento contro le navi corsare tedesche ed al suo rientro, avvenuto nel 1944, venne utilizzato per trasportare truppe nazionali in Sardegna, ed Anglo-Americane in Egitto, Marocco e Malta. Tra il 7 e l’8 maggio 1944 il Garibaldi raggiunse Freetown da dove riparti il 23 marzo dell’anno successivo per fare rientro a Taranto il 3 aprile 1945 con una sosta a Gibilterra dove venne imbarcato un radar inglese da installare in arsenale.

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Durante il periodo della cobelligeranza la nave venne ritinteggiata secondo le norme in uso tra gli alleati con lo scafo grigio scuro le sovrastrutture grigio celestino. Dal giugno 1940 al settembre 1943 il Garibaldi prese parte a 51 missioni, per un totale di 24.047 miglia. Alla fine del conflitto le miglia percorse erano salite a quasi 50.000.

Dopoguerra.   Insieme al gemello Duca degli Abruzzi, al Cadorna e al Montecuccoli, costituì la dotazione degli incrociatori concessi alla Marina Militare Italiana dalle clausole del trattato di pace, con il Cadorna messo però quasi subito in disarmo e il Montecuccoli trasformato in nave scuola per gli allievi dell’Accademia Navale di Livorno. Nel 1946 vennero rimossi lanciasiluri e catapulte ed era presente un radiotelemetro di tipo inglese lNSA 1; tra il 1947 e il 1948 il Garibaldi venne sottoposto a dei lavori di ammodernamento nel corso dei quali vennero effettuate lievi modifiche alla sovrastruttura ed installato sull’albero di trinchetto il radar americano SO 8 e su quello di maestra un radar parabolico SK 42, adottato anche da San Marco, Duca degli Abruzzi e San Giorgio, per posizionare il quale venne anche abbassato l’albero. Vennero anche aggiunti, nel 1947, altri due cannoni da 100/47 mm al posto dei lanciasiluri, per il tiro illuminante; l’armamento secondario dopo i lavori venne così configurato: 10 cannoni da 100/47 mm 12 mitragliere da 37/54mm, 4 mitragliere da 20/70mm Oerlikon e 4 mitragliere da 20/65 mm che si rivelarono ottime armi, di facile uso e manutenzione, che disponevano di una notevole varietà di munizioni e che durante il conflitto erano state praticamente usate su quasi tutte le navi della Regia Marina. A bordo dell’unità venne anche eretta una piattaforma per elicotteri su cui un Bell 47 nell’estate del 1953 effettuò al largo di Gaeta una serie di prove di appontaggio e decollo. L’esito positivo delle prove indusse la Marina Militare a dotarsi di unità navali polivalenti equipaggiate di elicotteri antisommergibile e dotate delle relative attrezzature quali ponte di volo e hangar del tipo fisso o telescopico. La necessità di questo tipo di unità con elicotteri antisommergibile che consentivano di estenderne il raggio di azione, derivava anche dalla percezione della minaccia sempre più concreta rappresentata dalla flotta subacquea sovietica, i cui battelli avevano iniziato proprio in quegli anni a fare la loro comparsa nel Mediterraneo operando dalla base albanese di Valona. Venne così avviato lo sviluppo di una nuova categoria di unità navale, di cui l’Italia precorse i tempi. Da lì a poco infatti nacquero le fregate classe Bergamini, le prime unità portaelicotteri al mondo, e gli incrociatori classe Doria, le cui sistemazioni elicotteristiche divennero di fatto uno standard per tutte le costruzioni successive. In seguito vennero eseguiti ulteriori lavori al torrione ed all’apparecchiatura elettronica di coperta con l’adozione di un radar di navigazione di modello americano tipo S.O. 13 poi sostituito con un modello nazionale prodotto dalla S.M.A., e di un radar di ricerca aerea, pure americano, la cui grossa antenna parabolica venne montata sull’albero poppiero. Dopo un breve periodo di vita operativa, durante la quale ebbe modo di partecipare all’importante manovra interalleata GRAND SLAM, il Garibaldi venne posto in riserva nel 1953 e nel dicembre 1954 venne inviato nell’Arsenale di La Spezia per essere trasformato in incrociatore lanciamissili e fino al 1957 fu sottoposto a lavori di smantellamento tali da ridurre l’unità allo scafo nudo. I lavori di ricostruzione/trasformazione veri e propri iniziarono nel 1957 e in questo periodo, con il Cadorna già andato in disarmo e con il Montecuccoli che svolgeva attività prevalentemente addestrativa, il Duca degli Abruzzi rimase il solo incrociatore a svolgere attività di squadra, ricoprendo il ruolo di ammiraglia in seguito al disarmo, nel 1956, delle Duilio.

 

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Incrociatore lanciamissili.   L’origine dei lavori di trasformazione si deve al delinearsi nel corso degli anni cinquanta dell’importanza del missile, come strumento unico e necessario, per la difesa a lungo e medio raggio per affrontare la costante e seria minaccia aerea, rappresentata da velivoli di nuova generazione sempre più sofisticati, per i quali l’artiglieria di bordo non era più in grado di costituire un mezzo di contrasto efficace. La Marina Militare, seguendo l’esempio della U.S. Navy, che aveva modificato l’armamento di due incrociatori della classe Baltimore, che vennero denominati classe Boston e nel 1956 erano rientrati in servizio armati di due impianti per il lancio di missili" Terrier”, colse l’occasione dei lavori di ammodernamento dell’incrociatore Garibaldi, per la realizzazione e la sperimentazione della prima unità lanciamissili italiana.

l’incrociatore Garibaldi

Motto: Obbedisco

Caratteristiche generali

Dislocamento standard: 9195 t – a pieno carico 11.350 ton

Lunghezza fuori tutto 187 m. – perpendicolari 171,8 m.

Larghezza 18,9 m.

Pescaggio 6,7 m.

Propulsione 6 caldaie Yarrow – 2 Turboriduttori Parsons – 4 Turboalternatori Tosi-Brown Boveri –

                     2 diesel-alternatori FIAT-Brown Bover 85 000 shp (63 000 kW)

Velocità 30 nodi (55,56 km/h)

Autonomia 4 500 miglia a 18 nodi

Equipaggio 665 (47 ufficiali e 618 tra sottufficiali e marinai)

Equipaggiamento Sensori di radar : bordo 1 AN/SPS-6 (aeronavale) - 1 SET-6B (superficie) –

                              1 SMA CFL3-C25 (navigazione) - 5 direzioni del tiro 1 AN/SPS-39 - (sorveglianza

                              Aerea 3 D) - 1 Selenia Argos 5000 (scoperta aerea 2D) - 2 AN/SPG-55

                             (illuminazione e guida, asserviti al sistema RIM-2 Terrier)

Armamento

Artiglieria 4 cannoni OTO/Ansaldo da 135 mm – 8 cannoni Oto Melara da 76 mm –

Missili 4 lanciamissili UGM-27 Polaris – 1 lanciamissile binato RIM-2 Terrier

Corrazzatura verticale 100 mm - orizzontale 40 mm - artiglierie 135 mm - torrione 140 mm

Mezzi Aerei 1 elicottero Bell 47

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Incrociatore lanciamissili la ricostruzione.  I lavori di ricostruzione vennero effettuati presso l’Arsenale di La Spezia e completati nel 1961 ed al termine dei lavori l’unità raggiunse un dislocamento standard di 9.802 tonnellate e di 11.350 a pieno carico, con una immersione media di 6.7 metri. La ricostruzione riguardò parzialmente lo scafo che conservò le dimensioni originarie e totalmente la sovrastruttura con la radicale trasformazione della struttura della plancia e del complesso plancia/torrione e l’eliminazione di uno dei due fumaioli. Le modifiche allo scafo riguardarono la ricostruzione della poppa che divenne del tipo a specchio leggermente inclinata e la chiusura delle aperture a murata per consentire l’installazione di un impianto di ventilazione/condizionamento e di un sistema di difesa NBC; venne lasciata solamente la fila di oblò superiore del castello di prora. La trasformazione comportò la costruzione di un castello lungo circa 90 metri raccordato verso poppa con un’ampia tuga. Le modifiche alla struttura dello scafo resero possibile un aumento del volume e il miglioramento dell’assetto idrodinamico della nave. All’estremità della zona poppiera venne ricavata una piccola piattaforma di appontaggio per un elicottero AB 47G, già testata prima del disarmo e dei successivi lavori di ricostruzione. L’apparato propulsivo vide l’abolizione delle due caldaie della zona poppiera lasciando inalterata la disposizione degli altri locali macchine, mentre essendo stato abolito uno dei due fumaioli fu necessario modificare sia il percorso delle condotte di scarico delle sei caldaie rimaste, sia altre sistemazioni ausiliarie e fu necessario allargare la base dell’unico fumaiolo rimasto. In conseguenza della diminuzione del numero delle caldaie la Potenza scese a 85.000 CV e la velocità massima a 30 nodi. Con la rimozione di due caldaie e la conseguente diminuzione della potenza si è avuta anche una riduzione del consumo di combustibile, portando l’autonomia della nave a 4500 miglia ad una velocità di 18 nodi, mentre in conseguenza delle modifiche allo scafo e alle diverse sistemazioni di bordo la dotazione massima di combustibile scese leggermente a 1.700 tonnellate di nafta. Per far fronte alle maggiori esigenze di energia derivate dall’adozione dei nuovi impianti meccanici ed elettronici, fu necessario installare ex novo quattro turboalternatori Tosi-Brown Boveri e due diesel-alternatori Fiat-Brown Boveri che generavano corrente alternata a 440 V per una potenza complessiva superiore a 4.000 Kw sufficienti ad illuminare una città di 200.000 abitanti. Le elettroniche principali trovarono posto principalmente in due grandi tralicci quadripodi. Sul primo dei due tralicci, posto alla sommità del complesso plancia-torrione, ispirato a quello degli incrociatori tipo Boston, trovavano posto il radar di sorveglianza aerea tridimensionale a scansione di frequenza FRESCAN AN/SPS-39, adottato su tutte le prime unità lanciamissili della NATO, il radar bidimensionale di sorveglianza aeronavale Westinghouse AN/SPS-6, il radar di sorveglianza di superficie SET-6B e il radar di navigazione SMA CFL3-C25, mentre sul secondo traliccio, posto a poppavia del fumaiolo, trovava posto il radar di scoperta aerea Selenia Argos 5000 di fabbricazione nazionale che in condizioni favorevoli consentiva di individuare bersagli fino ad una distanza di 500 miglia. Il radar AN/SPS-39 FRESCAN all’epoca era l’unica apparecchiatura navale a tre dimensioni, escludendo l’inglese Type 984, peraltro molto più pesante, imbarcato sulle portaerei Victorius ed Hermes, ad adoperare una sola antenna per ottenere i dati relativi a quota, distanza e rilevamento dei velivoli e per comandare la piattaforma dell’antenna radar il FRESCAN disponeva di leggeri stabilizzatori elettronici che garantivano un funzionamento continuo ed accurato indipendentemente dal rollio e dal beccheggio della nave.

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Il radar Westinghouse AN/SPS-6, realizzato in varie versioni per la scoperta aeronavale con portata di 250 Km, versioni contraddistinte da una lettera minuscola posta dopo il numero 6, è stato il sistema che ha determinato una svolta decisiva verso una standardizzazione e modernizzazione della componente radar delle unità negli anni cinquanta, e a partire dal 1954 venne imbarcato da tutte le unità di squadra in servizio ad eccezione del Garibaldi, su cui venne imbarcato solo al termine dei lavori di trasformazione e venne anche imbarcato su alcune corvette della classe Gabbiano, di quelle destinate prevalentemente alla difesa antiaerea. La sommità della tuga ospitava i radar di illuminazione e guida Sperry-RCA AN/SPG-55 asserviti alla rampa di lancio binata Mk 9 Mod.1 del sistema Terrier. Completavano la dotazione elettronica dell’unità cinque direzioni di tiro stabilizzate, di produzione nazionale, cui erano asservite tutte le artiglierie, con i rispettivi radar, di cui quello cui erano asserviti i cannoni da 135 mm posto sul cielo della plancia, e quelli cui erano asserviti i cannoni da 76/62 in due coppie poste sul torrione ai lati della stessa plancia e ai lati del fumaiolo. In particolare le direzioni di tiro situate sul torrione, lateralmente al traliccio, si differenziavano dalle restanti tre per avere due antenne paraboliche anziché una, in quanto sfruttavano l’effetto Doppler. Le torri singole da 76/62 erano raggruppate in unità di fuoco costituite ognuna da una S.D.T. e da due cannoni. Ogni "unità di fuoco" aveva un suo settore di sorveglianza e di azione e poteva intervenire anche senza ordini dalla centrale operativa qualora il proprio radar avesse avvertito per primo la presenza del nemico. Le torri binate da 135/45 mm e relativa S.D.T. se non impegnate per il tiro antiaereo a media distanza, venivano utilizzate per incrementare il fuoco nel settore più pericoloso. La Centrale Operativa di Combattimento, cuore del sistema di difesa e attacco dell’unità, elaborava inviati i segnali ricevuti dai radar, determinando il moto dei bersagli. la nave disponeva di un sistema automatico di tracciamento e di rappresentazione della situazione aerea generale, di un locale per le contromisure elettroniche con Centrale Antidisturbo Radio e una Centrale Assegnazione Designazione Tiro C.A.D.T. che elaborava automaticamente i dati forniti dagli apparati di scoperta distribuendo ed assegnando le armi nel modo migliore, assicurando un corretto impegno dei bersagli. Per la difesa dalle mine a bordo vi era un impianto di smagnetizzazione. La parte più consistente di lavori allo scafo riguardò l’estremità della tuga, dove erano stati allestiti i pozzi di lancio per quattro missili balistici statunitensi Polaris dotati di testata nucleare, che avevano lo scopo di fornire alla Marina Militare Italiana una capacità di deterrenza strategica tramite il successivo programma di realizzazione interamente nazionale del missile balistico Alfa, molto simile al missile americano Polaris. La presenza dei pozzi per il lancio di missili tipo" Polaris” a bordo del nuovo Garibaldi aveva una grande valenza tecnica. La fase di sperimentazione dei missili negli anni cinquanta, come proseguimento dello sviluppo di quelli realizzati in Germania verso la fine del secondo conflitto mondiale, aveva avuto termine alla fine dello stesso decennio, facendo profilare la possibilità di utilizzare missili balistici imbarcati su unità di superficie per contrapporre una valida minaccia contro obiettivi nemici a grande distanza e in tale contesto vennero sviluppati i missili" Polaris” dei quali si prevedeva e si studiava la possibilità dell’imbarco su navi mercantili. Gli Stati Uniti all’uopo avevano progettato la NATO MLF multy lateral force, una forza navale costituita da 25 mercantili da 18.000 tonnellate con una velocità di 20 e più nodi e un’autonomia di oltre 100 giorni modificati per trasportare 200 missili Polaris. La soluzione si mostrò troppo ostica tecnicamente per essere adottata, per cui con l’avvento della propulsione nucleare a bordo di sottomarini si scelse questo mezzo come vettore, meno intercettabile ma economicamente molto più oneroso. Gli SSBN, i sottomarini balistici nucleari, stavano entrando in servizio proprio in quegli anni, e il primo lancio in immersione di un Polaris venne effettuato dal sottomarino USS George Washington il 20 luglio 1960. La Marina Militare, nonostante tutto, era fermamente convinta che il lancio di missili "Polaris" potesse essere effettuato anche da navi di superficie, con soluzioni molto più convenienti sotto il profilo dei costi di realizzazione e si colse l’occasione dei lavori di trasformazione del Garibaldi per rendere esecutivo questo progetto che fu realizzato con un costo equivalente alle spese da sostenere per l’acquisto di uno dei nuovi cannoni da 76/62 mm antiaerei.

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 All’epoca sull’uso dei sottomarini per il lancio di tali missili si addensavano molti dubbi, mentre il Garibaldi con le sue strutture rappresentava la soluzione tecnica del problema le inedite soluzioni adottate per i pozzi di lancio dei missili Polaris, molto più convenienti sotto il profilo dei costi di realizzazione, suscitarono molta curiosità da parte della US Navy, interessata a riprendere l’idea. Tuttavia la sola nave americana in cui venne prevista la presenza di missili balistici fu l’incrociatore USS Long Beach in cui erano previsti quattro tubi di lancio per i POLARIS, che avrebbero dovuto occupare lo spazio a centronave, a poppa via del torrione, dove successivamente venne installato il lanciatore ASROC e, lateralmente, un poco spostati, due pezzi singoli da 127/38 risalenti alla seconda guerra mondiale. Le strutture necessitarono dei dovuti adeguamenti per resistere sia allo shock meccanico che a quello termico. Infatti, mentre per i Polaris installati nei sottomarini il lancio avveniva "a freddo" cioè espellendo il missile dal silo mediante un getto di aria compressa prima dell’accensione del motore del primo stadio, sul Garibaldi i missili avrebbero dovuto essere lanciati "a caldo", utilizzando cioè una carica esplosiva, per cui occorreva uno spazio in cui fare sfogare gli effetti dell’esplosione. I pozzi di lancio lunghi circa 8 metri, avevano un diametro di 2 metri ed i portelloni che si aprivano ruotando verso lasse di simmetria della nave. Il progetto delle sistemazioni dei quattro pozzi di lancio dei Polaris in una zona precedentemente occupata da depositi e cale di varia destinazione venne curato dall’allora capitano di vascello Glicerio Azzoni e riguardava sia le sistemazioni strutturali per il lancio, sia la collocazione di tutti gli impianti e delle apparecchiature necessarie all’utilizzazione dei missili, quali le strumentazioni per la navigazione e il complesso delle unità di calcolo. Tali sistemazioni trovarono posto in locali adiacenti a quelli dei pozzi, che avevano un’altezza di circa 8 metri e per buona parte erano compresi sotto la linea di galleggiamento, in una zona delimitata da paratie stagne, lunga complessivamente circa 14 metri e dotata di un certo grado di protezione laterale. La realizzazione di tali sistemazioni richiese circa 6 mesi. I lavori di allestimento dei tubi di lancio dei missili Polaris vennero effettuati a partire dall’inizio del 1960. Dopo le prove di collaudo dei pozzi seguirono i lanci di simulacri inerti e lanci di collaudo di simulacri autopropulsi, sia a nave ferma che in navigazione. Il primo lancio di un simulacro di missile balistico è avvenuto il 31 agosto 1963 nel golfo di La Spezia, Sebbene le prove avessero dato tutte esito positivo, i missili non vennero però mai forniti dagli Stati Uniti, poiché motivazioni di natura politica proliferazione nucleare eccessiva anche tra gli alleati della NATO ne impedirono la prevista acquisizione, ed i pozzi alla fine vennero utilizzati diversamente. Successe infatti che in seguito alla crisi di Cuba dell’ottobre 1962 il Presidente degli Stati Uniti Kennedy concesse al Premier sovietico Krusciov il ritiro dei missili Polaris e Jupiter dall’Italia e dalla Turchia in cambio del ritiro dei missili sovietici da Cuba. L’Italia decise, allora, in alternativa di sviluppare un suo programma nucleare e il progetto di missile balistico italiano denominato Alfa venne sviluppato dalla Marina Militare a partire dal 1971 con alcuni lanci effettuati con successo nella prima metà degli anni settanta tra il 1975 e il 1976 dal poligono di Salto di Quirra. Il programma ebbe termine il 2 maggio 1975 quando su pressione degli Stati Uniti l’Italia aderì al Trattato di non proliferazione nucleare.

Incrociatore lanciamissili Armamento dopo i lavori di trasformazione.   Radicalmente cambiato l’armamento, che con l’installazione, nella tuga, del sistema missilistico Terrier fece del Garibaldi il primo incrociatore lanciamissili ad essere entrato in servizio in una marina europea. Venne sbarcato tutto l’armamento precedente, sostituito con armamento di diverso calibro. Le origini dei lavori di trasformazione erano state la necessità di affidare la difesa della nave, contro l’aggressione aerea a media e lunga distanza, ad un sistema missilistico in grado di lanciare una coppia di missili a doppio stadio, che potevano essere simultaneamente guidati verso due distinti bersagli, e i missili Terrier erano all’epoca quanto di meglio esistesse nella categoria dei missili antiaerei per piattaforme navali.

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Concepito come missile da difesa aerea di navi di medio-grande dislocamento, il Terrier derivava dal missile superficie-aria Talos, ma ebbe poi un’evoluzione autonoma. Il Terrier aveva una struttura aerodinamica ideale per un missile relativamente piccolo ed aveva alette di apertura ridotta per massimizzare la gittata e la velocità, riducendo la resistenza. La rampa utilizzata per il lancio in genere era una del tipo Mk 10, stabilizzata contro i movimenti del mare, ma anche tipi diversi come la rampa Mk 20 Aster adottata sul Vittorio Veneto e sui Belknap americani. L’Italia fu l’unica nazione verso la quale questi missili vennero esportati. Per la propulsione avevano un booster di accelerazione, quattro grandi alette stabilizzatrici e un razzo, anch’esso a propellente solido, nella parte posteriore del missile. La testata, dal peso di circa 100 kg, era a frammentazione e sistemata più o meno a metà del missile. Le prime prove di lancio dei missili " Terrier” avvennero nel corso della prima crociera post-ricostruzione della nave svolta negli Stati Uniti e il lancio di un "Terrier" da parte del Garibaldi avvenuto l11 novembre 1962 a San Juan di Porto Rico fu il primo lancio di un missile da parte di un’unità italiana. Il sistema di lancio era supportato da un complesso di apparecchiature elettroniche all’epoca moderne: il radar " Argos” 5000 aveva il compito di agganciare il bersaglio a lunga distanza per poi passarlo al radar tridimensionale AN/SPS-39, che aveva il compito di stabilire direzione, distanza e quota con maggiore precisione; i due sistemi guida missili avevano il compito di guidare, lungo il raggio di emissione elettromagnetico, i missili per colpire il bersaglio. Il sistema era gestito dalla Centrale Operativa di Combattimento, mediante un processo di acquisizione e coordinamento dei dati. L’armamento artiglieria nella nuova configurazione era costituito da quattro cannoni da 135/45 mm in due torrette binate e 8 cannoni OTO Melara da 76/62 mm tipo MMI, in impianti singoli. I calibri principali erano gli stessi che nel corso della parte finale del secondo conflitto mondiale avevano trovato posto sulle unità della classe Capitani Romani e sui Duilio ricostruiti, mentre il cannone da 76/62 di nuova progettazione, largamente testato sulla Nave Esperienze Carabiniere, avrebbe trovato posto nel corso degli anni sessanta sulle principali unità della squadra, come le fregate classe Bergamini e classe Alpino, i Doria e il Vittorio Veneto e sarebbe stato rimpiazzato il decennio successivo dal 76/62 Compatto con l’entrata in servizio dei Audace. Le torrette dei calibri principali trovarono posto nella zona di prora, in configurazione superfiring, andando a sostituire le due torrette da 152/55 precedenti, mentre i cannoni da 76/62 trovarono posto, quattro per ogni lato, ai due lati del complesso torrione-fumaiolo. I cannoni da 135/45 mm, che nel Garibaldi vennero installati in torrette completamente automatizzate possono essere considerati i migliori cannoni navali italiani nella seconda guerra mondiale, con una gittata di 19.6 km e una cadenza di fuoco di 6 tiri al minuto, ed erano capaci di eseguire tiri assai precisi, ma, con un’elevazione di 45° erano tuttavia privi di una soddisfacente capacità antiaerea, se non di sbarramento. Nel 1968 le canne vennero allungate e i cannoni da 135/53 dovevano essere installati sugli Audace, allora in progettazione. Il cannone da 76/62 tipo MMI "Allargato", era un’arma duale, con la canna raffreddata ad acqua e manovra elettrica e idraulica con sistema di emergenza manuale. La gittata, che con proiettili HE dal peso di 6.296 kg raggiungeva 18.4 km ad un’elevazione di 45°, all’elevazione massima di 85° scendeva a 4 km, mentre la velocità di brandeggio era di 70°/s e quella di elevazione di 40°/s e la torretta accoglieva un membro dell’equipaggio. Il cannone era l’evoluzione del modello SMP 3 che era stato imbarcato sulle corvette Alcione. Una versione binata del modello SMP 3 con canne sovrapposte, era stata imbarcata negli anni cinquanta sulle fregate della classe Centauro, ma tale versione non avendo dato i risultati sperati non è stata imbarcata su nessun altra unità della Marina Militare.

 

Il Garibaldi all'arrivo a Taranto dopo la ricostruzione

 

Incrociatore lanciamissili Rientro in servizio Al termine dei lavori di trasformazione il Garibaldi venne riconsegnato alla Marina Militare il 3 novembre 1961 raggiungendo la sua base operativa di Taranto il 5 febbraio 1962. Ai primi di settembre del 1962, dopo una prima serie di collaudi e prove eseguite in Italia, il "Garibaldi" venne inviato negli Stati Uniti per una crociera di rappresentanza e per la messa a punto definitiva delle sistemazioni missilistiche ed il completamento della fase addestrativa. Nei primi giorni di novembre la nave si trasferì a San Juan di Portorico per eseguire lanci effettivi di armi avvenuti nelle acque del Mar dei Caraibi e dove l11 Novembre 1962 vennero effettuate le prove di lancio, al largo di San Juan di Portorico, dei primi missili Terrier. Dal suo ritorno in Italia, avvenuto il 23 dicembre 1962, l’unità, finalmente operativa, entrava a far parte integrante della Squadra Navale. Subito dopo il rientro in servizio, nel 1963 fu necessario sottoporre la nave a nuovi lavori per allungare l’unico fumaiolo rimasto, per evitare che i gas di scarico interferissero con le nuove apparecchiature elettroniche di cui venne dotata l’unità, con la sommità del fumaiolo che oltre che allungata venne anche inclinata con l’adozione di una cappa per convogliare gli scarichi verso poppa. La bandiera di combattimento venne consegnata a Napoli il 10 giugno 1964, donata dal gruppo ANMI di Roma, che, con un’autocolonna di quasi mille aderenti, si recò nella città partenopea per consegnare il vessillo al comandante della nave, il Capitano di Vascello Aldo Baldini; alla cerimonia erano presenti il Comandante in Capo della Squadra Navale Ammiraglio Alessandro Michelagnoli e il Sottosegretario alla Difesa, onorevole Natale Santero. Il Garibaldi prestò servizio per dieci anni nella sua nuova configurazione, come unità sede comando della Squadra Navale, partecipando ad attività addestrative di vario tipo e di rappresentanza in Mediterraneo e oltreoceano.

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Il Garibaldi, cui venne assegnata la matricola 551, andò a ricoprire il ruolo di nave ammiraglia della Marina Militare rilevando in tale ruolo il gemello Duca degli Abruzzi. Il ruolo di portabandiera della flotta sarebbe stato ricoperto, ventiquattro anni dopo, con lo stesso nome e la stessa matricola, dalla portaerei leggera/incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi. Il Garibaldi venne assegnato al 2º Gruppo navale d’altura della IIª Divisione Navale dislocato alla base di Taranto. Tra la fine del 1964 e il 1965 la nave venne sottoposta a lavori di manutenzione nel corso dei quali venne sostituita l’antenna del radar Argos 5000 con una nuova di disegno diverso e più leggera, allo scopo di diminuire la resistenza al vento tipica di antenne di dimensioni così grandi e venne realizzata una tughetta direttamente alla base della torre di comando. Nel corso di un altro ciclo di lavori di manutenzione, svolto tra il 25 agosto 1966 e il 20 aprile 1967 presso l’Arsenale di La Spezia, venne sostituito il radar Microlambda SET-6B con il radar di navigazione e scoperta di superficie MM/SPQ-2 con portata di 50 Km di produzione nazionale, venne modificato l’albero di trinchetto, costituito da un quadripode, rendendolo più compatto nella struttura superiore e l’alberetto di sostegno dei miragli per l’allineamento dei radar guida missili per i Terrier spostato dall’estrema poppa dell’unità sulla zona terminale della tuga contenente i pozzi per i Polaris. Il 4 giugno 1968 l’unità prese parte alla parata navale svolta nel golfo di Napoli nel quadro delle celebrazioni del 50º anniversario della vittoria nella I guerra mondiale, in quella che è stata la più grande parata navale dopo la seconda guerra mondiale L’unità nell’occasione ha ospitato a bordo il Presidente della Repubblica Saragat che, giunto a Napoli accompagnato dal Ministro della Difesa Tremelloni, dal Consigliere diplomatico della Presidenza della Repubblica Francesco Malfatti e il consigliere militare ammiraglio di squadra Virgilio Spigai è stato ricevuto dal comandante in capo del Dipartimento marittimo "Basso Tirreno" di Napoli ammiraglio di squadra Raffaele Barbera. Salito a bordo il Presidente della Repubblica è rimasto in plancia per tutto il tempo della parata, mentre il comandante dellunità, Capitano di Vascello Antonio Scialdone e il Comandante in capo della squadra navale ammiraglio Roselli Lorenzini gli illustravano le varie fasi delle manovre. A bordo dell’unità oltre al Presidente della Repubblica erano ospiti il Presidente del Consiglio Aldo Moro, il Capo di stato maggiore della Difesa Generale Vedovato, il capo di stato maggiore della Marina ammiraglio Michelagnoli, l’Ammiraglio Angelo Iachino, gli ex capi di stato maggiore della Marina ammiragli Ferreri e Giurati il comandante delle Forze Alleate del Sud Europa ammiraglio Horacio Rivero, il comandante delle Forze Navali Alleate del Sud Europa ammiraglio Luciano Sotgiu, il comandante della Sesta Flotta della US Navy, viceammiraglio William Martin, il comandante della Squadra navale del Mediterraneo della Marina francese Viceammiraglio di squadra Jean Philippon presente in quanto in precedenza aveva preso parte ad una esercitazione nelle acque del golfo di Salerno. Il Garibaldi, innalzato sul pennone di maestra lo stendardo presidenziale, mollati gli ormeggi, è uscito dal porto seguito dal San Giorgio su cui avevano preso imbarco alte Autorità civili e militari e tutti gli Addetti Navali e Militari esteri accreditati presso il Governo italiano.

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Nel corso della sfilata il Garibaldi ha navigato al largo del golfo in vista di Procida, di Ischia e di Capo Miseno, defilando, lungo la rotta d’uscita a breve distanza dall’incrociatore Vittorio Veneto in avanzato stato di allestimento e destinato a rilevarne il ruolo di nave ammiraglia. Alla parata hanno assistito le più alte autorità civili e militari, tra i quali il Presidente del Senato Zelioli-Lanzini il Presidente della Corte Costituzionale Sandulli, i Sottosegretari di Stato alla Difesa Guadalupi, Santero e Cossiga, l’onorevole Paolo Barbi in rappresentanza del Presidente della Camera, i capi di stato maggiore delI’Esercito Generale di corpo d’armata Marchesi e dell’Aeronautica Generale di Squadra Aerea Fanali. Il Garibaldi venne messo in disarmo il 20 febbraio 1971, ma non fu l’età a decretare la sua dismissione, ma motivi di ordine economico che all’inizio degli anni sessanta si evidenziarono in maniera preoccupante per il futuro della Marina Militare Italiana. Nel febbraio 1970, in una conferenza stampa proprio a bordo del Garibaldi, l’allora Comandante in Capo della Squadra Navale, ammiraglio Gino Birindelli denunciò la crisi in cui versava la Marina Militare e lo stato di profondo malessere morale e materiale in cui si trovava il personale che vi operava. Le dichiarazioni di Birindelli scatenarono reazioni e prese di posizione a tutti i livelli e portarono la classe politica a risolvere in maniera salomonica il problema dei salari, mantenendolo nei limiti del bilancio ordinario annuale; per effetto di queste restrizioni il nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Virgilio Spigai fu costretto, persistendo la carenza finanziaria, a ritirare dal servizio il naviglio più anziano e più oneroso da mantenere, tra cui l’incrociatore Garibaldi, ad appena dieci anni dal suo rientro in servizio dopo la conversione in unità lanciamissili. Una ripercussione negativa si ebbe anche nel programma delle nuove costruzioni, finché con la situazione politico-militare che si presentava in quel periodo nell’area mediterranea, in seguito alla guerra del Kippur e con la presenza sovietica sempre più massiccia nell’area, nel novembre 1973 il nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Gino De Giorgi, pubblicò un documento noto come "Libro Bianco della Marina" in cui venivano analizzati gli impegni che la flotta militare italiana era chiamata a svolgere nei nuovi scenari che si prospettavano e l’impossibilità da parte della Marina Militare a poter proseguire nella strada del rinnovamento della propria flotta, a causa della carenza dei bilanci ordinari. Tale documento avrebbe portato di lì a qualche anno alla Legge Navale del 1975 che sarebbe stato il presupposto di un sostanziale ammodernamento della flotta della Marina Militare. La sua ricostruzione, considerando che dopo gli ammodernamenti rimase in servizio solo per un decennio e alla luce del mancato utilizzo dei Polaris, si rivelò secondo molti critici inutile e costosa. Proprio per il suo breve servizio seguito alla ricostruzione, l’unità era nelle condizioni adatte alla sua utilizzazione come nave museo, vista anche la sua grande storia; oltre ad aver partecipato alla seconda guerra mondiale era stato il primo incrociatore lanciamissili europeo, la prima unità di superficie al mondo ad essere predisposta per il lancio di missili balistici e la prima grande unità italiana del dopoguerra, rappresentando, a tutti gli effetti, il primo decisivo passo della Marina Militare Italiana verso un lento ma costante processo di modernizzazione delle sue unità e delle sue strutture operative e logistiche. Analogo discorso riguardo alla musealizzazione potrebbe essere fatto anche per il quasi gemello Montecuccoli che nel dopoguerra fu la prima unità navale italiana ad effettuare il periplo del globo. L’esperienza dell’equipaggio del Garibaldi, ben addestrato, è stata tuttavia preziosa per il nuovo incrociatore lanciamissili portaelicotteri Vittorio Veneto a cui il Garibaldi ha ceduto il ruolo di ammiraglia della flotta.

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Il Garibaldi venne ufficialmente radiato il 16 novembre 1976 e il 3 novembre 1978 alle ore 0:15, con l’apertura del Ponte Girevole ha attraversato a rimorchio per l’ultima volta il canale navigabile di Taranto per raggiungere La Spezia dove sarebbero avvenuti i lavori di demolizioni a cura dei Cantieri del Tirreno di Genova, dopo essere stato parzialmente smantellato dopo la sua messa in disarmo a partire dal 1972. Le due bandiere di combattimento che l’unità ha ricevuto sono conservate in due cofanetti al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano. Il motto "OBBEDISCO" è invece alla base della Maddalena.

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NAVI GEMELLE AL GARIBALDI

DUCA DELI ABRUZZI

 

 

NAVE LUIGI CADORNA

 

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NAVE MONTECUCCOLI

 

 

PIERGIORGIO RICOTTI

Rapallo, 2 luglio 2022