LE NAVI OSPEDALE ITALIANE
LE NAVI OSPEDALE ITALIANE
LE ORIGINI …
La Fondazione del “Comitato Milanese della Associazione Medica Italiana per il soccorso ai malati e ai feriti in guerra”
Al dott. Cesare Castiglioni si deve la costituzione del “Comitato Milanese della Associazione Medica Italiana per il soccorso ai malati e ai feriti in guerra” di cui ne divenne il Presidente il 15 giugno 1864.
Il suo intento fu quello di creare un'Associazione per fornire aiuti medici ai militari feriti (in accordo con le numerose associazioni sorte in Europa grazie all'opera di Henry Dunant).
Tale comitato, presupposto per l'istituzione della Croce Rossa Italiana, andò ad occupare il settimo posto in ordine di fondazione fra le società nazionali, quinto per adesione alla Convenzione di Ginevra.
Nell'agosto 1864 il dott. Castiglioni venne chiamato a Ginevra per esporre quanto fatto a Milano, partecipando quindi alla stessa conferenza dalla quale nacque la Convenzione di Ginevra del 1864, dove si proclamò:
“DOVERSI NON CONSIDERARE NEMICO IL NEMICO FERITO E BISOGNOSO DI ASSISTENZA” – Assumendo quindi il principio d’uguaglianza di alleati e nemici davanti alla necessità di assistenza.
D'intesa con il Comitato Internazionale della CROCE ROSSA di Ginevra fu poi stabilito che la bandiera della Croce Rossa potesse essere usata solo in caso di guerra. L'Associazione fu approvata dal Ministero dell’Interno e della guerra, e il 1º giugno 1866 il Ministero della guerra disciplinò l'organizzazione, ponendo regole militari ai componenti delle squadriglie; il personale superiore doveva perciò indossare una divisa formata da: un berretto di panno verde scuro con la legenda "soccorso ai feriti" ricamata in oro; una cravatta nera; una giacchetta alla cacciatora di panno verde scuro e pantaloni di panno grigio, come usava la Guardia Nazionale.
Il 22 giugno 1866 l'Italia dichiarò guerra all’Austria e dieci giorni dopo partirono le prime squadriglie di volontari, che soccorsero i combattenti in Trentino e i feriti dell'Armata di Mare. Il comitato milanese trovò inoltre appoggio e aiuto nella Francia e nella Svizzera per la sua opera di soccorso: per la prima volta le nazioni non belligeranti si adoperarono apertamente per soccorrere le avversità di Paesi limitrofi in guerra. L'Italia nel panorama internazionale fece inoltre da tramite ai soccorsi destinati ai feriti nella Guerra franco-prussiana del 1870-71.
IN MARE CI SI MOSSE DUE SECOLI PRIMA
Le prime navi ospedale, dette "pulmonare", vennero approntate nel XVII secolo utilizzando vecchie galee in disarmo, non più in grado di navigare. La pulmonara restava fissamente attraccata nel porti, funzionando come INFERMERIA per i marinai in attesa della pratica, ai quali era vietato lo sbarco sulla terraferma.
L'8 dicembre 1798, non ritenuta più idonea al servizio come nave da guerra, la britannica HMS VICTORY fu convertita in nave ospedale per curare prigionieri francesi e spagnoli feriti di guerra.
L'ispettore Luigi Verde fu il primo capo del Corpo sanitario della regia Marina a dare vita nel 1866 alla prima nave ospedale italiana: la WASHINGTON.
Luigi Verde morì poco dopo nell'affondamento del RE D’ITALIA durante la Battaglia di Lissa.
Il concetto moderno di nave ospedale protetta e denunciata presso apposite istituzioni internazionali doveva sorgere solo con la CONVENZIONE DELL’AJA DEL 1907.
CONVENZIONE DELL’AJA
Le navi ospedali vennero definite nel 1907 dalla Convenzione dell’Aia. In particolare l'articolo 4 definiva le limitazioni affinché una nave potesse essere considerata "nave ospedale".
La nave ospedale spagnola Esperanza del Mar, impiegata come supporto ai pescherecci al largo delle Canarie
· La nave deve avere segni di riconoscimento e illuminazione che la classifichino come tale.
· La nave dovrà fornire assistenza medica a feriti di tutte le nazionalità.
· La nave non dovrà essere impiegata per alcun scopo militare.
· La nave non dovrà interferire né ostacolare le navi militari.
· Le forze belligeranti, come designate dalla convenzione dell'Aia, potranno ispezionare le navi ospedale per verificare eventuale violazioni dei punti precedenti.
In caso di violazione di una delle precedenti limitazioni la nave dovrà essere considerata come unità combattente e potrà essere legittimamente colpita e affondata. Comunque, l'aprire deliberatamente il fuoco o affondare una nave ospedale in rispetto alla convenzione dell'Aia, è da considerarsi crimine di guerra.
Seconda guerra mondiale
Nel corso della Seconda guerra mondiale la Regia Marina armò decine di navi ospedale, spesso mercantili o piroscafi trasformati, ma anche navi soccorso e navi ambulanza, che facevano in maggioranza la spola tra l'Italia e il Nord Africa.
Molte furono affondate dagli alleati:
Giuseppe Orlando, San Giusto, Città di Trapani, Arno, Po e Virgilio.
Complessivamente delle 18 unità ne furono affondate 12. L'Italia denunciò inutilmente gli affondamenti alle autorità di Ginevra.
Navi bianche
Le navi ospedale, dal colore con cui vengono tinteggiate, prendono il nome di navi bianche. Per antonomasia vennero chiamate navi bianche quelle impiegate nel 1942 (sotto l'egida della Croce Rossa) per rimpatriare 50.000 civili italiani, rimasti in Etiopia dopo la conquista inglese.
Navi ospedale italiane:
· Washington (1854 - 1904)
· Albaro (1890)
· Brasile (1905)
· Clodia (1905)
· Menfi (1911)
· Cordova (1906 - 1918)
· Ferdinando Palasciano (1899 - 1923)
· Italia (1905 - 1943)
· Marechiaro (1911-1916)
· Re d'Italia (1907 - 1929)
· Regina d'Italia (1907 - 1928)
· R 1 (1911)
· Santa Lucia (1912)
· Gargano
· Aquileia (1914 - 1943)
· Arno (1912 - 1942)
· California (1920 - 1941)
· Città di Trapani (1929 - 1942)
· Gradisca (1913 - 1950)
· Po (1911 - 1941)
· Principessa Giovanna (1923 - 1953)
· Ramb IV (1937 - 1941)
· Sicilia (1924 - 1943)
· Tevere (1912 - 1941)
· Toscana (1923-1961)
· Virgilio (1928-1944)
Navi soccorso italiane:
· Capri (1930 - 1943)
· Epomeo (1930 - 1943)
· Laurana (1940 - 1944)
· Meta (1930 - 1944)
LE NAVI BIANCHE CON LA CROCE ROSSA
Non vi fu molto rispetto da parte del nemico per le "navi bianche italiane", come venivano chiamate le navi ospedale, nella seconda guerra mondiale.
- Nave Ospedale: WASHINGTON
https://it.wikipedia.org/wiki/Washington_(pirotrasporto)
- Nave Ospedale: ITALIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Italia_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: FERDINANDO PALASCIANO
https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Palasciano_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: REGINA D’ITALIA
- Nave Ospedale: PO
- https://it.wikipedia.org/wiki/Po_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: CALIFORNIA
https://it.wikipedia.org/wiki/California_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: ARNO
https://it.wikipedia.org/wiki/Arno_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: SICILIA
- Nave Ospedale: CITTA’ DI TRAPANI
https://it.wikipedia.org/wiki/Città_di_Trapani_(nave)
"Tevere ", "Orlando", " San Giusto " ……perdute per bombe di aeroplani o per urto contro mine.
- Nave Ospedale: TEVERE
https://it.wikipedia.org/wiki/Tevere_(nave_ospedale)
Affondamento della nave TEVERE
- Nave Ospedale: ORLANDO
https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Orlando_(nave_soccorso)
- Nave Ospedale: SAN GIUSTO
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giusto_(nave_soccorso)
" California ", "Arno", " Sicilia ", " Città di Trapani ", …….affondate per siluramento.
- Nave Ospedale: VIRGILIO (Mitragliata)
https://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale: TOSCANA (Mitragliata)
https://it.wikipedia.org/wiki/Toscana_(transatlantico)#/media/File:Toscanapiroscafo.jpg
- Nave Ospedale: AQUILEIA (Mitragliata)
https://it.wikipedia.org/wiki/Aquileia_(nave_ospedale)
- Nave Ospedale (soccorso): CAPRI (Attaccata e mitragliata)
https://it.wikipedia.org/wiki/Capri_(nave_soccorso)
- Nave Ospedale: PRINCIPESSA GIOVANNA (Mitragliata)
https://it.wikipedia.org/wiki/Principessa_Giovanna_(nave_ospedale)
Violazione deliberata delle convenzioni internazionali? In parte, forse: ma gli inglesi rispondevano che spesso le nostre navi ospedale, invece dei feriti, caricavano truppe e munizioni per i fronti, per farli arrivare a destinazione sotto la copertura del la Croce Rossa. La verità è ancora da decifrare. Le navi ospedale erano mercantili requisiti e conservavano il proprio equipaggio, al quale si aggiungevano (dopo la trasformazione ospedaliera) i medici, gli infermieri e le crocerossine, agli ordini di un colonnello medico di Marina, il quale affiancava il comandante della unità. Molti piroscafi, divenuti nave ospedale al tempo della campagna d'Etiopia, erano stati successivamente riconvertiti al primitivo impiego.
Solo il "California" e l' "Aquileia", tra essi, erano stati conservati nei ruoli e tenuti in posizione di riserva fino al maggio 1940, quando erano stati rimessi entrambi in funzione. La prima missione del "California" era stata assai penosa. Aveva rimpatriato da Bengasi, oltre al previsto carico di ammalati e feriti, nel luglio 1940, anche i feriti dell'incrociatore "Giovanni dalle Bande Nere", superstite del combattimento di Capo Spada, che aveva visto l'affondamento dei gemello "Colleoni".
La "Po" fu una delle prime unità trasformate in nave ospedale allo scoppio della guerra. Era stato un piroscafo di 7.289 tonnellate, costruito nel 1911 e appartenente al Lloyd Triestino. Ebbe breve vita: entrato in servizio nel luglio 1940, il 14 marzo 1941 fu colato a picco da un attacco notturno di aerosiluranti, mentre si trovava nella rada di Valona per imbarcare feriti provenienti dal fronte greco. A bordo si trovava come crocerossina Edda Ciano, che si salvò.
L' "Aquileia" era stata costruita nel 1914. Si trattava di un vecchio trabiccolo, ancora dotato di caldaie con forni alimentati a carbone, per cui frequentemente era soggetta ad avarie di macchina, pertanto doveva procedere a velocità ridottissima, oppure era costretta a lunghi periodi di inattività in cantiere, per riparazioni. Con tutto ciò riusci a navigare fino all'armistizio. Il 15 settembre 1943, dopo essere stata catturata dai tedeschi, fu affondata a Marsiglia.
Per tornare alla "California", essa fu colpita a poppa da un siluro d'un aerosilurante inglese la notte del 10 agosto 1941, verso le 23, durante un attacco alla rada di Siracusa, dove la nave era all'ancora. A mezzogiorno dell'11, la "California", parzialmente affondata, giaceva su un fondale con l'acqua fin quasi alla coperta. Fu deciso che l'equipaggio e il personale medico l'abbandonassero, nella speranza di poterla recuperare in seguito. Essendosi ciò rivelato impossibile, venne demolita sul posto, dopo che il materiale di bordo era stato portato a terra. Non si può far colpa agli inglesi della sua perdita: infatti, forse per evitare il riconoscimento del porto da parte dei ricognitori nemici, il "California" aveva quella sera tutte le luci di bordo spente, mentre la convenzione di Ginevra faceva obbligo alle navi ospedale di mantenerle sempre accese. Non venne quindi individuata e questo fatto segnò il suo destino. Era stata una delle nostre "navi bianche" più efficienti, con una trentina di missioni al suo attivo, effettuate specialmente nel Mediterraneo orientale.
- Nave Ospedale: GRADISCA
https://it.wikipedia.org/wiki/Gradisca_(nave_ospedale)
Segnalata l'opera della "Gradisca", (un ex piroscafo fabbricato in Olanda), alla battaglia di Capo Matapan, conclusasi in modo funesto per la nostra flotta, con la più grave sconfitta navale subita dall'Italia nel corso dell'intera guerra. La battaglia avvenne, come é noto, nella notte del 29 marzo 1941. Furono colati a picco tre nostri incrociatori, il "Fiume", lo " Zara " e il " Pola ". Le perdite risultarono ingenti.
Furono gli stessi inglesi a segnalare a Supermarina il punto esatto dove era avvenuto lo scontro, perché si potessero soccorrere quei naufraghi che essi non erano in grado di fermarsi a raccogliere, trovandosi sotto la minaccia di bombardamento da parte di aerei tedeschi: come fu scritto, "un gesto cavalleresco che dimostrò una volta di più lo spirito di solidarietà che da sempre accomuna i marinai di tutte le nazionalità”.
Nonostante lo stato di profonda prostrazione in cui erano caduti i nostri comandi a causa della disfatta, e lo stato d'animo ben comprensibile che ne era seguito, vi fu una tempestività ammirevole nell'eseguire l'ordine di soccorso suggeritoci dagli stessi inglesi. La "Gradisca" venne dunque dirottata sul posto e recuperò quanti più naufraghi le riuscì di imbarcare, pochi, purtroppo, rispetto agli oltre tremila marinai che perirono in quella drammatica notte. Dopo l'otto settembre la "Gradisca" fu catturata dai tedeschi a Patrasso, in Grecia.
- Nave Ospedale: RAMB IV
https://it.wikipedia.org/wiki/Ramb_IV
Quanto alla "Ramb IV", (nella foto sopra), la bananiera trasformata in nave ospedale per l'AOI (Africa Orientale Italiana) di base a Massaua, essa fu catturata dagli inglesi nel 1940 quando presero la città. Successivamente venne affondata nel Mediterraneo.
Benemerita fu anche l'azione della "Toscana" sopravvissuta ai mitragliamenti di cui era stata fatta oggetto. Anch'essa era stata un piroscafo passeggeri del Lloyd Triestino, trasformata all'inizio del 1941 ed entrata in servizio sul finire dal 1942. Nonostante quindi questa sua data di ingresso in ruolo piuttosto tardiva, la "Toscana" fu una delle più attive unità ospedaliere italiane e portò a termine ben 54 missioni, trasportando 4720 feriti e naufraghi, e 28.684 ammalati.
Complessivamente le 19 navi ospedale della nostra Marina effettuarono durante il secondo conflitto mondiale oltre 700 missioni per trasporto feriti e ammalati e soccorso naufraghi, con una percorrenza totale di oltre 310.000 miglia. Importanti furono in modo particolare le tre missioni con cui si ricondussero in patria altre trentamila civili italiani dall'ex impero, ossia dall'Africa orientale ormai caduta in mano degli inglesi. Esse si svolsero rispettivamente dal marzo al giugno 1942, dal settembre 1942 al gennaio 1943, dal maggio all'agosto 1943. Vi furono impiegati, sotto le insegne della Croce Rossa.
LE GRANDI NAVI BIANCHE DELL’ESODO D’AFRICA
- LA M/N VULCANIA, gemella della SATURNIA, in missione di rimpatrio dei Civili dalla AOI nel 1942
http://transatlanticera.blogspot.com/2013/03/i-transatlantici-saturnia-e-vulcania.html
Furono circa 28 mila i nostri connazionali che in tre viaggi diversi tra il 1942 e il 1943 lasciarono Etiopia, Eritrea e Somalia per rimpatriare. Le motonavi Saturnia e Vulcania e i transatlantici Caio Duilio e Giulio Cesare, definite per l’occasione «navi bianche» perché decorate con i colori della Croce Rossa e allestite come grandi dormitori — con ospedali per far fronte a serie emergenze sanitarie — furono il teatro di una delle missioni più interessanti di cui finora si è parlato molto poco.
La DUILIO, gemella della GIULIO CESARE, con la livrea di Nave ospedale
https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Cesare_(transatlantico_1920)
I grandi piroscafi "Saturnia" e "Vulcania", seguiti ad otto giorni di distanza dal "Cesare" e dal "Duilio". La rotta era la seguente: Trieste, Genova, Gibilterra, Canarie, Isole dei Capo Verde, Capo di Buona Speranza, Port Elizabeth, Canale di Mozambico, Oceano Indiano, Berbera, Massaua. Ogni viaggio equivaleva, in miglia, al giro del mondo.
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Anche la nave passeggeri VIRGILIO (gemella dell’ORAZIO) operò come nave ospedale in Mediterraneo
https://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_(nave_ospedale)
CARLO GATTI
Rapallo, 24 Agosto 2020
U BOOT 455 - Il Sottomarinio della Leggenda
“IL SOTTOMARINO DELLA LEGGENDA: U BOOT 455. TRENTA IMMERSIONI FRA I RELITTI DELLA PROVINCIA DI GENOVA”
AUDITORIUM GALATA MUSEO DEL MARE
VENERDI’ 18 MARZO ORE 17.30
INGRESSO LIBERO FINO AD ESAURIMENTO POSTI
Venerdì 18 marzo al Galata Museo del Mare torna l’appuntamento con i grandi relitti storici: alle 17.30 in Auditorium verrà presentato il libro storico – documentale "Il sottomarino della Leggenda: U BOOT 455. Trenta immersioni fra i relitti della provincia di Genova". Durante la presentazione, curata degli autori Emilio Carta (giornalista e scrittore) e Lorenzo Del Veneziano (fotosub), verrà proiettato un film-documentario sulla recente scoperta del sommergibile U455 nelle acque genovesi. All’incontro prenderanno parte Erika Della Casa, inviata del Corriere della Sera e Maurizio Brescia, storico navale. A fare gli onori di casa Franca Acerenza, Resp. Collezioni Scientifiche del Mu.Ma e Nicola Costa Consigliere Costa Edutainment. Ingresso libero fino ad esaurimento posti
Il filmato, della durata di 16 minuti, riprende alcune fasi della guerra sui mari durante l’ultimo conflitto per poi passare alle eccezionali immagini del relitto di un sommergibile tedesco, l’U-Boot 455, videofilmate ad una profondità di 120 metri.
L’ultima novità del 2010 in fatto di ricerche documentali navali è il volume storico-fotografico “U-Boot 455, il sottomarino della leggenda: 30 immersioni sui relitti della provincia di Genova” i cui autori sono il giornalista e scrittore Emilio Carta e il noto fotosub Lorenzo Del Veneziano.
L’opera, (160 pagine con oltre 260 fotografie a colori –Agb Busco Editore) che è dedicata ad un’accurata rivisitazione dei trenta relitti ad oggi individuati nelle acque della provincia di Genova, ha preso forma dal desiderio di fissare nella memoria del lettore un passato semisconosciuto ed importante della storia marinara.
Il libro è suddiviso in trenta schede, tante quanti sono i relitti individuati e, ciascuna di esse, contiene la storia di ogni nave e illustra nei minimi dettagli l’immersione attorno e all’interno di ogni relitto nonché le relative coordinate geografiche.
Punto fondamentale di questo lavoro è stata l’individuazione del relitto dell’U-Boot 455 cui, dopo l’iniziale emozione per la scoperta a 120 mt di profondità da parte di Lorenzo Del Veneziano, è seguita una seconda fase di ricerca storica.
“Oggi, conclusa questa ricerca storico-documentale, commenta Emilio Carta, possiamo dire che del sottomarino tedesco misteriosamente scomparso e dato per disperso il 6 aprile 1944 sappiamo praticamente tutto: dalle missioni effettuate nel Mediterraneo al naviglio affondato fino ai nomi di coloro che si erano avvicendati al suo comando. Il tutto suffragato da immagini storiche, tratte dagli archivi tedeschi, sino a quelle più recenti, affascinanti e splendide, scattate a centoventi metri di profondità. Permane comunque il mistero sui motivi che hanno provocato l’affondamento dell’U 455 e, soprattutto, il perché si trovasse nella zona compresa fra Portofino e Camogli: nel libro abbiamo cercato di dare le risposte. ”
In “U-Boot 455, il sottomarino della leggenda: 30 immersioni sui relitti della provincia di Genova” vengono inoltre illustrati ulteriori ventinove relitti individuati ed esplorati lungo il tratto costiero della provincia ligure, da Moneglia a Cogoleto. Di ognuno viene descritta la storia e riportata l’esperienza relativa all’immersione. Riemergono così dagli abissi, lungo il magico filo della memoria, tragici eventi bellici e immagini emozionanti, particolari sigle identificative e numeriche come l’UJ 2208 a Genova, il KT a Sestri Levante e nomi di navi più o meno conosciute come Croesus a San Fruttuoso di Capodimonte, Mohawk Deer a Portofino, Washington a Camogli, senza contare le scoperte del liuto (leudo) medievale e della caracca al largo di Genova per finire alla Haven di Arenzano.
L'evento è organizzato da Azienda Grafica Busco Editrice, Rapallo Notizie Mare, Mare Nostrum, ANMI Genova, ANMI Savona, in collaborazione con Mu.MA, Costa Edutainment, Ass. Promotori Musei del Mare e Coop. Solidarietà e Lavoro.
Ufficio Stampa Costa Edutainment per Galata Museo del Mare
Eleonora Errico tel 0102345322
stampa@galatamuseodelmare.it
15.03.11
COSMA MANERA - LO SPIRITO DELL'ARMA
COSMA MANERA – LO SPIRITO DELL’ARMA
QUEST’ANNO RICORRE IL CENTENARIO DI QUELL’INCREDIBILE SALVATAGGIO DI OLTRE 10.000 MILITARI ITALIANI
IL COLONNELLO DEI CARABINIERI COSMA MANERA IN ALTA UNIFORME
Tra il 1916 e il 1920 il maggiore dei carabinieri Cosma Manera riuscì a compiere una delle più appassionanti e rischiose missioni di recupero prigionieri dell’epoca moderna.
Prelevò dalla Russia oltre diecimila ex soldati italiani delle cosiddette terre irredente, arruolati nell’esercito austro-ungarico, e percorse in condizioni climatiche estreme, un lungo tragitto dalla Siberia fino alla Concessione italiana di Tientsin e poi, via mare, fino a rientrare in Italia.
MISSION IMPOSSIBLE si direbbe oggi, ma non é stata una fiction! Oggi parliamo di una Storia vera di CORAGGIO, Abnegazione, Intelligenza strategica e diplomatica, Resistenza fisica e morale, grande AMORE per la patria, per gli italiani e per la nostra Bandiera Nazionale. Caratteristiche che soltanto un CARABINIERE di rango speciale poteva possedere! Riportare a casa i soldati irredenti fu l’unico pensiero di ogni sua giornata e fu speso per questo obiettivo.
Solo, insieme a 10.000 soldati in un enorme Paese allo sbando, privo di appoggi e riferimenti specifici, Cosma Manera tentò di rimpatriarli via mare, ma le pessime condizioni meteorologiche fecero sfumare il progetto.
Così Cosma Manera e un primo blocco di prigionieri recuperati in vari campi di prigionia furono costretti a compiere una rischiosissima traversata, di oltre 6.000 chilometri, in condizioni proibitive, tentando di giungere in Cina. Dove il governo in un primo momento impedì l’accesso, ritenendo troppo rischioso far transitare oltre 2.000 uomini armati. Sbloccata la situazione, l’ufficiale tornò indietro per recuperare gli altri prigionieri.
Finché, nel febbraio 1920, Cosma Manera e i militari sopravvissuti alle durissime condizioni di vita si imbarcarono su tre navi mercantili americane e fecero ritorno in Italia. Arrivarono a Trieste il 10 aprile del 1920. Un’impresa epica, che però non venne celebrata come dovuto perché, nel frattempo, era esplosa la “questione fiumana” e il governo dell’epoca ritenne poco opportuno dare troppa enfasi al rientro dei militari.
PREMESSA STORICA
Le statistiche ci dicono che il 56% della popolazione italiana agli inizi del 1900 era totalmente analfabeta. Le città, in stragrande maggioranza, usavano ancora i lumi a petrolio. Le ferrovie avevano poco più di 40 anni e viaggiare da Napoli a Venezia era un’avventura di settimane. Si usava la legna per cucinare e scaldare le case, ed il cavallo era più affidabile dell’auto ancora ai primi albori… La società era divisa in tre classi sociali separate: aristocrazia, clero e popolo. L’Impero Austro Ungarico comprendeva: Trentino, Veneto, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, dove la popolazione di lingua italiana era parecchio distante dalla mentalità austriaca. Gli austriaci consideravano gli italiani delle nostre terre come esseri incivili: sbandati, rissosi, nullafacenti e incompetenti. Con questa premessa non possiamo meravigliarci se all’inizio della Grande Guerra li avessero scelti come carne da cannone da inviare sul fronte russo.
IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE…
Decine di miglia di italiani in uniforme austriaca partirono per combattere in nome dell’Imperatore d’Austria. L’Italia, intanto, durante la guerra diventò nemica dell’Austria Ungheria, e quando la guerra finì nel 1918 e l’Impero Austro ungarico si sciolse, Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia, Istria e Zara furono annesse all’Italia. Per quei soldati rimasti in Russia improvvisamente non esisteva più un governo che li reclamasse e loro stessi non sapevano più chi fossero o per chi avessero combattuto. Erano uomini letteralmente perduti, dentro e fuori, alcuni relegati in campi di prigionia, altri mendicanti per le strade, nel freddo, fra miseria, sommosse rivoluzionari ed epidemie, in un mondo troppo vasto per pensare di riuscire a ritornare dalle proprie famiglie. In Italia li chiamano “irredenti”, perché potrebbero redimersi arruolandosi nell’esercito italiano e guadagnarsi la cittadinanza italiana, eppure per le ragioni dette prima non lo fanno. Per recuperarli il governo manda in Russia tre ufficiali dei Carabinieri: il maggiore Giovanni Squillero, il capitano Nemore Moda e il capitano Marco Cosma Manera.
CHI ERA MARCO COSMA MANERA?
MANERA, nato ad Asti il 15 giugno 1876, era uscito dal collegio militare con il grado di tenente, e dopo un’esperienza a Creta nel 2° battaglione della 93° fanteria, era entrato nei Carabinieri Reali nel 1901. Dotato di una naturale propensione per le ligue (francese, inglese, tedesco, greco, turco, bulgaro, serbo e russo), la sua prima missione da Carabiniere era stata in Macedonia, dove nel 1904 il governo ottomano si era rivolto ai Carabinieri italiani per organizzare una gendarmeria. In breve tempo Cosma Manera aveva organizzato 1400 reclute musulmane e ortodosse che, sotto il suo comando, convivevano senza problemi. Una tribù appartenente a una minoranza etnica lo aveva rapito e condannato a morte, ma quando il capotribù aveva scoperto che il tenente aveva il suo stesso nome – Cosma – per scaramanzia aveva deciso di risparmiarlo e rimandarlo in Italia. Da allora, il tenente Manera aveva deciso che avrebbe usato solo il suo secondo nome, dato che gli portava fortuna. Tornato in patria era ripartito subito per una campagna in Albania, poi durante la prima guerra mondiale era sopravvissuto all'inferno del Cadore tornando coi gradi di Capitano.
Doti organizzative, capacità linguistiche ed esperienza di azione in condizioni proibitive:
Cosma era quindi l’uomo ideale per tentare il recupero degli irredenti
Il capitano Cosma Manera doveva radunarli e riportarli in Italia.
Era una missione che anche al giorno d’oggi farebbe tremare i polsi a chiunque, vista la enorme vastità del campo in cui ci si doveva muovere Cent’anni fa. Verso il termine della Grande guerra, quel compito doveva sembrare quasi disperato.
INIZIA LA MISSIONE CHE DURERA’ TRE ANNI
Insieme al maggiore Squillero e al capitano Moda, Manera s’imbarca così a Newcastle, attraversando Svezia e Finlandia per arrivare all’allora Pietrograd il primo d’agosto del 1916 con addosso solo i gradi e 94mila lire in oro nascoste nei calzini.
I tre ufficiali raggiungono l’avamposto della missione italiana nella situazione peggiore possibile: in Russia sta scippiando la guerra civile in Russia e devono rintracciare gli irredenti dispersi in 45 governatorati dell’Impero, pianificare dove raggrupparli ed evacuarli. Il tutto prima che arrivi l’inverno, quando il freddo bloccherà i trasporti e li costringerà ad aspettare sei mesi circondati da una popolazione drogata di propaganda bolscevica contro i soldati stranieri.
PRIMO CONTATTO, PRIMO RISULTATO - PRIMO RIENTRO
Il lavoro di intelligence, inizia a dare risultati: nel porto di Arkangel’sk sul mar Bianco, si trovano ancora ormeggiati dei piroscafi asburgici abbandonati, un po’ malconci ma utilizzabili. Nel frattempo Manera e i suoi ufficiali rintracciano un primo scaglione di irredenti, 33 ufficiali e 1600 uomini di truppa.
Li radunano Kirsanov (Dip.TAMBOV) e poi li trasportano al porto di Arcangelo il 24 settembre 1916; da qui un piroscafo li porta in Inghilterra. Sembra tutto risolto così Manera viene nominato Maggiore e gli altri due ufficiali tornano in Italia.
Uomini e bambini nel cimitero cittadino a Kirsanov (TAMBOV), vedi carta sotto segnato con una palla viola.
Acquartierato a Pietroburgo, sfrutta il campo di prigionia di Kirsanov come centro di raccolta, lavora bene con passaparola e propaganda trasformandolo in un centro di raccolta stabile, dove assemblare altri scaglioni che faranno lo stesso tragitto dei precedenti. Trova altri trentini nei campi di prigionia a Omsk, in Siberia, dove vivono a -40° tra topi e colera. A luglio 1917, Manera ha radunato 57 ufficiali e 2600 uomini di truppa, si sta preparando un secondo viaggio quando scoppia la guerra civile.
LA RUSSIA SPROFONDA NELL’ANARCHIA – LA MISSIONE DI COSMA MANERA APPARE DISPERATA …
Porti, stazioni ed edifici vengono presi dalle guardie rosse mentre il neonato Comitato centrale di Lenin guida le rivolte delle campagne, i cui abitanti – dopo milioni di morti, carestie ed epidemie – preferiscono morire sotto i proiettili zaristi che di fame. Tutte le fonti di Manera scappano o cambiano schieramento, il porto di Arcangelo diventa irraggiungibile per il ghiaccio, e i piroscafi vengono affondati dagli U-boat. I rifornimenti di viveri si interrompono e tutte le comunicazioni saltano, mentre un centro dopo l’altro si trasforma in teatro di guerra. Scappare via mare è impossibile, e gli uomini per tornare in Italia dovrebbero attraversare zone in tumulto senza né viveri, né armi, né equipaggiamento, e per di più con uomini demotivati e spossati da anni di miseria. Un suicidio.
TUTTAVIA L’UFFICIALE ITALIANO SEMBRA L’UOMO GIUSTO PER LE IMPRESE IMPOSSIBILI – GLI ITALIANI IN CINA
Cosma Manera scopre però che la Transiberiana funziona ancora – non si sa ancora per quanto – solo che va in direzione opposta all’Italia. L’ufficiale organizza allora un luogo di ritrovo a Vladivostok e con vari stratagemmi nasconde piccoli gruppi di irredenti nei vagoni merci. Un convoglio dopo l’altro arrivano tutti a destinazione (Vladivostok). Cosma parte con l’ultimo gruppo, stipati tra paglia, bagagli e casse, è un viaggio di una difficoltà impensabile che dura settimane, ma funziona sia dal punto di vista logistico che psicologico.
Per gli uomini, vedere un ufficiale che patisce con loro il freddo, la fame e le pulci è un’immagine potentissima. Una volta arrivato, Manera viene celebrato dagli irredenti come UN PADRE SALVATORE. L’Italia, però, adesso è ancora più distante. Il ghiaccio impedisce le partenze via mare anche da Vladivostok, ma Manera sa che in Cina c’è una minuscola colonia italiana, detta Concessione di Tientsin, un porto della Manciuria con concessione commerciale conquistata da Roma per aver partecipato alla repressione della RIVOLTA DEI BOXER (1899-1901). La raggiungono a piedi, dividendosi in gruppi, e una volta lì aspettano.
COSMA MANERA SBALORDISCE LO STATO ITALIANO…
Lo Stato italiano è in attesa di notizie dalla Russia, quindi rimane molto stupito quando si vede recapitare un telegramma dalla Cina. Manera comunica che gli irredenti sono stati trasformati in esercito: un battaglione multiculturale di austriaci, croati, trentini, veneti e serbi chiamato Legione Redenta di Siberia, ufficialmente al servizio dell’Italia, ma in realtà disposto a dare la vita solo per quell’ufficiale che ormai chiamano "papà". L’Italia reagisce con scarso entusiasmo, anche perché ha appena finito di gestire l'occupazipone di Fiume da parte di D’Annunzio e non vede di buon occhio gli eserciti personali, ma Manera è pur sempre un ufficiale dei Carabinieri e non un intellettuale eccentrico.
UNA GIUSTA MOSSA DALL’ITALIA
COSMA viene quindi nominato Addetto Militare dell'Ambasciata d'Italia a Tokyo con residenza a Pechino, cosa che gli garantisce carta bianca e gli apre qualsiasi porta. Manera riorganizza gli uomini in tre battaglioni di quattro compagnie ciascuno, li addestra e in pochi mesi riesce a trasformare quel gruppo di sbandati senza terra né futuro, carcerati, mendicanti o disperati in un reparto d’elite, capace di ampliare la ricerca di altri irredenti con l’aiuto del Consolato italiano e di quello inglese. Il metodo di recupero improvvisato dal maggiore Manera diventa un sistema vero e proprio e il suo lavoro si guadagna l’ammirazione di truppe, ufficiali e politici.
UN’ALTRA “TROVATA” INCREDIBILE…
Il recupero degli irredenti procede spedito quando le truppe bolsceviche attaccano la Transiberiana per strapparla dal controllo zarista. La Russia ormai è nel caos, ci sono epidemie e i viveri scarseggiano per civili e militari; le armate zariste non sono in grado di difendere il treno, così Manera decide di sfruttare il suo esercito ed entrare in battaglia. Due giorni prima, però, a Tientsin si presentano trecento uomini con uniformi militari italiane raffazzonate, guidati da un Capitano che mette a disposizione la sua “brigata Savoia”, che non risulta in nessun archivio dell’Arma o dell’esercito.
Nemmeno il suo Capitano appare nei registri, e non ne fa mistero: è un ragioniere di Benevento di nome Andrea Compatangelo che si è inventato tutto.
Andrea Compatangelo
Agli inizi della guerra mondiale era emigrato a Samara, un piccolo paese sul Volga dove c’era la sede del Komuch, governo vagamente democratico. Conservatore fino al midollo e innamorato di un’aristocratica russa, Compatangelo viveva di esportazioni e nel tempo libero faceva il corrispondente per l’Avanti! diretto da Mussolini. Con la rivoluzione d’ottobre la cittadina sprofonda nel panico, già anni prima c’era stata un’occupazione dei soviet drammatica, soprattutto per gli emigrati italiani.
Venuto a sapere che c’erano degli irredenti nelle prigioni attorno a Samara, si era nominato Capitano “di una grande potenza occidentale” per poi presentarsi per trattare la consegna dei prigionieri con le autorità, mentendo in maniera abbastanza convincente da liberarne a centinaia. Una volta fuori, fece cucire delle uniformi per loro e inquadrandoli in un proprio esercito che chiamò appunto Brigata Savoia, "per dargli autorità".
CAMPATANGELO - UN PERSONAGGIO DALLE RISORSE STRAORDINARIE
Legione redenta in Siberia
La brigata SAVOIA
La TRANSIBERIANA: San Pietroburgo-Vladivostock
Nel luglio 1918 questa scalcagnata brigata ruba un treno militare e parte sulla Transiberiana verso Vladivostok, il porto da cui partiranno per ritornare in Italia.
FATTO INCREDIBILE:
Compatangelo e i suoi uomini si fermano a ogni stazione per combattere assieme a zaristi e cecoslovacchi in cambio di armi, munizioni e viveri. La pratica dopotutto val più della teoria, e in poche settimane la brigata Savoia inizia a far parlare di sé. Abbandonano la vecchia locomotiva rubandone un'altra blindata dotata di mitragliatrice, caricano a bordo due infermiere russe che si occupano dei feriti – una, sostengono molti, erede della famiglia reale – e avanzano diretti verso Vladivostok, preceduti dalla loro fama. Ad ogni battaglia, la brigata si fa più numerosa e si ferma di volta in volta a riparare i binari danneggiati dai banditi, in un viaggio allucinante di sei mesi durante i quali non sanno nemmeno se la guerra c’è ancora o no. A Krasnojarsk, dove prima gli zar e poi Stalin, mandano la gente nei gulag trovano una città più o meno nell’anarchia: gli zaristi sono fuggiti mentre contadini, operai e militari hanno preso il comando pur senza averne competenze né esperienza.
CAMPATANGELO FIALMENTE INCONTRA COSMA MANERA
Coi suoi uomini Compatangelo occupa il municipio, instaura una dittatura militare riuscendo a far convivere in qualche modo bolscevichi e socialisti, che lo riconoscono come leader. Da Krasnojarsk, il ragioniere sfrutta il telegrafo per avere notizie e gli capita all’orecchio la storia della legione Redenta e di una figura avvolta dal mito, un ufficiale dei Carabinieri che vaga per la Russia a salvare compatrioti e a trasformarli in soldati d’elité.
Dopo un mese e mezzo in città, Compatangelo riparte con i suoi uomini. Attraversano la Manciuria sul loro treno blindato, i cinesi tentano di sequestrarlo ma lui se la cava sempre con le sue doti da affabulatore… millantando e minacciando drammatici incidenti diplomatici internazionali fino ad arrivare a mettersi sull’attenti davanti a Cosma Manera in persona, sei mesi dopo, per consegnargli la sua brigata Savoia che viene integrata alla Legione di Siberia. Poi, così come era apparso, Compatangelo scompare.
IL RITORNO IN PATRIA DI COSMA MANERA
Cosma Manera invece, insieme ai suoi uomini, difende con successo la Transiberiana e finalmente nel 1920 torna a Trieste con tre navi americane, con il grado di Tenente Colonnello riprende la sua vita militare come se nulla fosse. Gli irredenti si disperderanno per l’Italia a caccia delle proprie case e famiglie, ma non prima di aver regalato a Manera una coppa di bronzo con incise le tappe più importanti di quel viaggio in treno da Kirsanov a Vladivostok, dove avevano patito la fame e il freddo insieme. Si sposerà tre anni più tardi, avrà due bambine e morirà nel 1958, all’età di 82 anni. Oggi riposa nel cimitero urbano di Viale Don Bianco. Dal 2013, la Piazza d’Armi di Asti é intitolata a lui.
Il ritorno in patria avvenne solo nel 1920 così il capitano Cosma Manera, da allora, rimase famoso come “il padre degli irredenti”.
Cosma Manera con i gradi di colonnello (1927)
Lettere al Corriere
………Ancora un ricordo. Fra i luoghi da lei elencati vi è Tambov, (sfera viola sulla mappa) una città delle «terre nere » nella Russia occidentale. La visitai pochi mesi dopo il mio arrivo perché a meno di cento chilometri vi è il piccolo cimitero militare di Kirsanov, l’unico in cui fosse allora possibile rendere omaggio a militari italiani morti in Russia. Deposi una corona d’alloro, ma non appena cominciai ad aggirarmi fra le tombe scoprii che questi italiani erano soldati trentini dell’esercito austroungarico, catturati probabilmente in Galizia. Più tardi scoprii che vi era stato a Kirsanov un ospedale militare dove molti prigionieri austro-ungarici erano stati ricoverati quando i bolscevichi, dopo la pace di Brest Litvosk, permisero il loro rimpatrio attraverso gli Urali e la Siberia fino al porto di Vladivostok. Cercavo la Seconda guerra mondiale e mi trovai nel mezzo della Prima.
Sergio ROMANO
NOTE
KIRSANOV è una città della Russia sudoccidentale, situata sulla sponda sinistra del fiume Vorona. La città venne fondata nella prima metà del XVII secolo con il nome di Kirsanovo, a sua volta derivato dal nome del primo colonizzatore della zona Kirsan Zubakin; ottenne lo statu di città nel 1779, durante il regno di Caterina II.
Durante la Prima guerra mondiale ospitò un campo di prigionia in cui furono internati numerosi ex-soldati austro-ungarici di origine trentina e friulana (detti "Kirsanover"). Alcuni di loro, attraverso una complessa missione militare, scelsero di venire portati in Italia come cittadini "redenti".
VLADIVOSTOK è una citta della Russia (606.561 abitanti), situata nell’estremo oriente russo, capoluogo del Territorio del Litorale, in prossimità del confine con Cina e Corea del Nord. È un importante nodo per i trasporti: possiede il più grande porto russo sull’Oceano Pacifico, sede della Flotta del Pacifico, e vi termina la Transiberiana. Dal 2019 è capoluogo del circondario federale dell’Estremo Oriente in sostituzione di Chabarovsk.
Conclusione
Nell'agosto del 1921 Cosma Manera tornò a Roma, dove venne assegnato al Battaglione mobile dei Carabinieri Reali, prestando poi servizio nelle Legioni di Salerno, Roma e Ancona.
Il 30 aprile 1923 sposò Amelia Maria Pozzolo, da cui ebbe due figlie. Lo stesso anno ricevette dal re l'onorificenza del collare dei santi Maurizio e Lazzaro. Dopo altre missioni in Francia, Grecia, Inghilterra, Austria, Germania, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Cina, Egitto e Russia, il 1º aprile 1927 fu promosso a colonnello e comandante della Legione di Roma, mentre nel 1929 fu trasferito al comando della Legione di Milano. Per breve tempo indagò sull'incidente al Polo Nord di Umberto Nobile, ma in seguito le autorità fasciste gli revocarono l'indagine. Sventato l'attentato al re presso la fiera campionaria di Milano, venne però accusato di non essere riuscito a trovare la bomba anarchica che era scoppiata tra la folla, per cui fu mandato a dirigere la Legione di Livorno e poi quella di Bologna.
Su sua richiesta, a dicembre 1932 fu collocato in ausiliaria, mentre l'anno successivo fu promosso a generale di brigata.
Nel 1940 fu trasferito nella riserva e promosso a generale di divisione, ma data la sua scarsa simpatia al fascismo in questo periodo si occupò maggiormente della famiglia e dei bisognosi, oltre a scrivere articoli per giornali e riviste.
Morì nella sua residenza di Rivalta a 81 anni, ricevendo i solenni funerali di Stato.
Ripensando alle difficoltà dell'epoca, e alla crudezza del primo conflitto mondiale in terre come la Siberia, non si può fare a meno di comprendere quale forza interiore dovesse avere Cosma Manera per restare tre anni tra la Siberia, la Manciuria e il Giappone, e trovare, addestrare, ridare fiducia a uomini che forse avrebbero volentieri disertato.
Era un operativo, ma anche un buon diplomatico: comunque una persona di forte spessore umano e professionale, qualità alle quali si aggiungeva, secondo gli scritti d'epoca, una serena modestia.
LIBRI CONSIGLIATI
Marco Mondini – Disertare a Vladivostok
Quinto Antonelli - I dimenticati della Grande Guerra
Carlo GATTI
Rapallo, 10 Agosto 2020
LE NAUMACHIE PIU' FAMOSE DELLA STORIA
LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE
LA NAUMACHIA DI CESARE
La prima naumachia fu ideata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per celebrare i suoi trionfi. Fece scavare un ampio bacino nella Codeta Minore (Campo Marzio), vicino al Tevere da cui riceveva l’acqua. Aveva una profondità di 11-12 metri in grado di far affluire l’acqua e larga a sufficienza da contenere vere navi da guerra (biremi, triremi e quadriremi). Parteciparono alla battaglia ben 2.000 combattenti e 4.000 rematori ingaggiati tra i prigionieri di guerra.
La folla proveniente da ogni dove, persino dalle colonie più lontane, era così numerosa e stipata al punto che, come narra Svetonio, nella ressa micidiale morirono centinaia di persone. In quella occasione fu ricreata una battaglia tra Fenici e Cartaginesi.
Sappiamo che la naumachia di Cesare si trovava nel Campo Marzio, probabilmente in corrispondenza della depressione centrale dove era presente la Palus Caprae e dove più tardi venne sistemato lo stagnum Agrippae. Non potendo essere svuotata, se ne decise il riempimento nel 43 a.C.
LA NAUMACHIA DI AUGUSTO
La Saepta Iulia é l’edificio in alto al centro
Saepta Iulia (o Julia), noto in seguito come Septa e in greco come τὰ Σέπτα, erano edifici costruiti a Roma nel Campo Marzio. Tutta la zona è stata riedificata nei secoli successivi, ma gli studi di Guglielmo Gatti (1905-1981) hanno definitivamente fissato la posizione dei Saepta fra via del Seminario, via di S. Ignazio, via del Plebiscito, via dei Cestari e via della Minerva.
Si tratta di un complesso monumentale con uno spazio aperto di 300 x 120 mt, circondato da portici e arricchito da opere d’arte proveniente dai paesi conquistati.
Per l'inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato "bosco dei cesari" (nemus Caesarum), un bacino dove s'affrontarono 3000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.
BATTAGLIA DI AZIO
NAUMACHIA
Augusto voleva così celebrare la flotta romana, poiché egli stesso aveva conquistato il potere e sgominato i suoi nemici vincendo la battaglia di Azio, ove suo genero Agrippa, costruttore del Pantheon, era stato l’ammiraglio della flotta.
La naumachia d'Augusto (naumachia Augusti) è la più conosciuta. Nelle Res Gestæ, Augusto medesimo indica che il bacino misurava 1800 piedi romani su 1200 (circa 533 mt x 355 mt).
Plinio afferma che al centro del bacino rettangolare, si trovava un'isola collegata all'argine con un ponte. Il bacino era rifornito dall'acquedotto dell’Aqua Alsietina, appositamente costruito da Augusto per la sua alimentazione, poteva riempirlo in 15 giorni. Un canale navigabile permetteva l'accesso alle navi provenienti dal Tevere, oltrepassato da un ponte mobile (pons naumachiarius).
NAUMACHIA DEL COLOSSEO
Marziale narra che si tennero delle naumachie al Colosseo nei primi anni dopo l’inaugurazione. In seguito non fu più ritenuto idoneo per le modifiche murarie che vennero fatte all’intero impianto.
L’autore racconta inoltre che si tennero delle naumachie al Colosseo, ma gli archeologi moderni sostengono che esse furono abbandonate poiché erano necessari molti preparativi per rendere l'arena stagna e riempirla ad una altezza sufficiente (1,5 m) per potervi far galleggiare le navi.
Per l'inaugurazione del Colosseo nell'80 d.C. Tito diede due naumachie, una nel bacino agostiniano, usando ancora diverse migliaia di uomini e l'altro nel nuovo anfiteatro. Secondo Svetonio, Domiziano organizzò una naumachia all'interno del Colosseo, senza dubbio nell’85 d.C., e un’altra nel corso dell'anno 89 d.C. in un nuovo bacino scavato al di là del Tevere.
L'arena del Colosseo misurava solo 79.35 x 47,20 metri, una naumachia nel Colosseo non poteva quindi essere grande come le precedenti. E’ noto infatti che venissero impiegate sceneggiature raffiguranti navi, talvolta con meccanismi per simulare naufragi, sia sul palco che in campo (Tacito, Annales, XIV, 6, 1; Dion Cassio LXI, 12,2).
NAUMACHIE DI CLAUDIO
NOTA COME LA NAUMACHIA DEL FUCINO
Fu la più “grande” naumachia di tutti i tempi
Claudio nel 52 d.C. diede una naumachia su un vasto specchio d'acqua naturale, il lago del Fucino, per inaugurarne i lavori di prosciugamento attraverso l'apertura dei cunicoli di Claudio.
Le due flotte contavano ognuna 50 vascelli, corrispondente alle unità di ciascuna delle due flotte militari con basi a Miseno e a Ravenna. Grazie all'ampia superficie del lago Fucino, di cui solo una parte, circoscritta da pontili, fu usata per l'occasione, le navi poterono procedere con varie manovre d'avvicinamento e speronamento. La naumachia di Claudio riproduceva realmente una battaglia navale.
Gaius Suetonius, Dione Cassio e Cornelio Tacito, scrissero:
«Per realizzare l’Opera di Prosciugamento del Lago Fucino, ci vollero circa 11 anni di incessanti e massacranti lavori, a turni implacabili, giorno e notte, in cui vennero impiegati, “in condizioni disumane” più di 30.000 schiavi e che, Claudio, ambì commemorare l’inaugurazione dei lavori del prosciugamento del Lago Fucino, con una magnificenza tale, che ne superasse ogni altra, sia in grandezza che in splendore».
Lo spettacolo più monumentale a quei tempi era la — Naumachia — che, come una grande e importantissima partita di calcio di oggi, mandava letteralmente in visibilio le platee e, particolarmente, Claudio.
«La naumachia consisteva nella simulazione di una battaglia navale con combattimenti veri — con lotte all’ultimo sangue — fino alla morte».
Per l’eccellente riuscita della rappresentazione, Tacito e Sifilino, ci dicono che furono costruite circa un centinaio di galere a tre, e a quattro ordini di remi, che vennero organizzate su due flotte, una rappresentava i Rodiesi (Rodiani) e l’altra i Siculi (Siciliani). Per reperire i numerosissimi combattenti, si rastrellarono da tutte le prigioni circa 19.000 persone per farli guerreggiare su queste imbarcazioni. Per il suddetto gigantesco avvenimento, con annesso spettacolo, sulle rive del Lago Fucino, si recò ad assistere tutta Roma.
L’imperatore con la sua sposa, il figlioccio Nerone e gli altolocati della sua splendida corte, presero posto su un apposito chiosco, all’uopo predisposto ed a questi riservato, nelle immediate prossimità dell’inghiottitoio dell’Emissario. Dopo che le “galee” si erano disposte in posizioni antagoniste, in cerchio a queste, si posizionarono numerosissime zattere ed altre imbarcazioni occupate da guardiani armati di baliste, catapulte ed altre armi, con il compito di impedire che i combattenti potessero avere modo di sfuggire al loro destino.
"I guerrieri, prima di iniziare gli scontri, si guardarono intorno; e, resesi conto del triste destino, sfilarono davanti al Principe, a cui indirizzavano il funereo saluto di rito":
«Have Cesare imperator, morituri te salutant»
Claudio, fuori di sé dalla gioia, dimentico della formula del cerimoniale e, impaziente di godersi lo spettacolo, rispondeva con l’augurio: «Avete et vos» il che significa: «salute a voi». Dalle acque del Lago emerse un Tritone d’argento, seguì un infelice clangore di tromba per dar principio agli scontri, ma nessuno si mosse, e tutti si rifiutarono d’ingaggiar battaglia, perché l’Imperatore aveva augurato loro buona salute; Claudio colmo di collera, angosciato di vedere il suo spettacolo andare in fumo, li minacciò di farli uccidere tutti se non avessero subito iniziato a combattere …
… «la carneficina fu tale che l’onda vitrea dell’acqua del Lago Fucino, si colorerà di rosso con il sangue umano» … … erano migliaia e migliaia di uomini, moltissimi di questi persero la vita, in gran quantità finirono di esistere per dissanguamento, altri per le gravi ferite riportate, parecchi rimasero per sempre orrendamente deturpati: storpi, monchi, ciechi, mutilati, paralizzati; solo pochissimi si salvarono e, Claudio, vedendo quel Lago: “Plenum di sanguine”, forse temendo l’ira del dio Fucino, concesse loro la libertà.
Publio Cornelio Tacito, racconta: «Di là vedevi un urtarsi e un cozzare di zattere contro zattere, e repente di qua un inoltrarsi, d’alzarsi, inabissarsi di barche su barche, impetuosamente: da per tutto un cozzare, un azzuffarsi, un ferire, in lottar rabbiosamente, un vincere, un cader di mille schiavi, un romper d’arti, di gemiti, di sangue, di dolore e di uno sfasciar di navi».
Come consuetudine di quei tempi, tutto si svolgeva tra urli d’incitamento e di gioia, insaporito da eccelso godimento di Claudio e del suo popolo, entrambi assetati sempre della sofferenza e del — multum vulnerum — sangue degli altri.
CARLO GATTI
Rapallo, 17 giugno 2020
STORIA DELLA NAUMACHIA
STORIA DELLA NAUMACHIA
Secondo la definizione della TRECCANI, LA NAUMACHIA - (in latino naumachia, dal greco antico ναυμαχία/naumachía, letteralmente «combattimento navale») - Combattimento simulato a scopo di divertimento, eseguito di solito in edifici costruiti a questo fine o in anfiteatri allagati per la circostanza; l'accenno più antico è in Lucilio che forse allude ai Greci. Si ritiene che le naumachie fossero dapprima divertimento privato di grandi signori romani. Nei combattimenti navali eseguiti per pubblico divertimento, gli equipaggi e i combattimenti sono forniti da condannati o da prigionieri incitati alla lotta dalla minaccia di rappresaglie contro i riottosi; il combattimento così diventava cruento e dava agli spettatori l'acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.
Abbordaggio sul lago Fucino
Rievocazione della Battaglia di Salamina sul lago Fucino
Battaglia di Azio
Personalmente ritengo che tramite le Naumachie, ROMA intendesse mostrare la sua POTENZA, EFFICIENZA E CORAGGIO al mondo ad essa ostile e alle colonie conquistate.
In altre parole le Naumachie sono stati i primi Film Kolossal risalenti a 2000 anni fa in cui venivano celebrate le grandi vittorie dei Cesari, non solo, ma anche di eroi, semidei, gladiatori, paladini della giustizia e mitici re. Per citarne alcuni: QUO VADIS (1951) - BEN HUR (1959) – IL GLADIATORE (USA 2000) - TROY (2004), celebri per le scenografie realistiche, grandi budget e colonne sonore memorabili. Proprio a causa degli enormi costi di produzione, di NAUMACHIE e FILM KOLOSSAL ne passarono pochi alla storia.
Per il popolo era una forma di spettacolo grandioso perché violento in modo superiore a quello cui erano abituati a vedere negli anfitetari, circhi ecc…
Per gli strateghi erano vere e proprie “simulazioni” di battaglie navali, con impiego di nuove armi sperimentali e l’uso di strategie che in seguito sarebbero state impiegate nelle VERE battaglie navali.
Per gli ingegneri civili e militari erano rare occasioni per mettere a punto opere costruttive: navi, porti adeguati, pontili, opere idrauliche di enorme importanza come bacini lacustri, fluviali, laghi artificiali, deviazioni di fiumi, raccordi e canali, acquedotti, dighe, mura, paratie e molti altri esperimenti in cui diedero prova di grande efficienza e capacità costruttiva, ponti e strade che avevano come scopo la rapida viabilità per le comunicazioni con tutte le province dell’Impero.
Sullo sfondo di questo scenario in gran parte strategico c’era la TALASSOCRAZIA, propagandata e praticata per far comprendere al popolo la rotta da seguire per ottenere il dominio dei mari.
Per talassocrazia (dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere) si intende il dominio militare e commerciale, esercitato da una determinata entità politica, di uno spazio marittimo e dei territori in esso contenuti o che su di esso si affacciano.
Altre potenze che esercitarono la talassocrazia in epoca classica sono per esempio la polis di Atene, la civiltà cartaginese, Roma e Bisanzio/Costantinopoli.
Ulteriori esempi di talassocrazie tratti dalla storia più moderna possono essere:
· L’Impero Khmer' e quello Sri VIjaya nella penisola indocinese e nelle isole di Sumatra e del Borneo;
· La Lega Anseatica delle città tedesche e baltiche;
· Le Repubbliche Marinare, in particolare la Repubblica di Venezia e di Genova ma anche quelle di Pisa, Amalfi, Ancona, Gaeta e la dalmata Ragusa
· L’impero Britannico, che per tutto il XIX secolo ha mantenuto il predominio sui mari.
L'esempio più vicino ai giorni nostri di una talassocrazia è quello della potenza navale statunitense che, con i suoi (attualmente) dodici gruppi da battaglia di portaerei, può proiettare la propria potenza praticamente in ogni punto del globo terracqueo, attraverso l'uso combinato della potenza aeronavale, secondo la dottrina di Alfred Thayer Mahan. È interessante notare che tutte le talassocrazie sono presto o tardi declinate proprio a causa dell'incapacità di difendere territori così eterogenei e lontani fra loro. Altrettanto notevole é il fatto che molti grandi condottieri come Napoleone persero il loro potere per aver fallito la prova della potenza marittima. In effetti, la talassocrazia è una forma di potere estremamente costosa, in quanto una flotta richiede enormi investimenti in materiali, ma anche in addestramento di uomini altamente specializzati.
Le naumachie erano, come abbiamo appena visto, simulazioni di battaglie navali svolte in bacini naturali o artificiali allagati per la circostanza, dove si rievocavano famose battaglie storiche. I naumacharii, cioè i combattenti, erano un misto di nemici caduti schiavi, marinai pagati per eseguire le manovre indispensabili, o criminali condannati a morte cui veniva risparmiata la vita se dimostravano abilità e coraggio.
Questi spettacoli, ideati e rappresentati a Roma, raramente venivano eseguiti altrove, in quanto erano costosissimi: le navi erano autentiche e subivano attacchi con le prore rostrate danneggiandosi al punto che molte affondavano con ingenti perdite umane.
Le naumachie spesso riproducevano famose battaglie storiche, come quella dei Greci che vinsero i Persiani a Salamina, o quella degli abitanti di Corfù contro la flotta di Corinto.
QUANTE FURONO LE NAUMACHIE?
Le prime tre naumachie si tennero a circa 50 anni di distanza, le sei seguenti, la maggiore parte delle quali ebbero luogo in anfiteatri, si tennero a circa 50 anni di distanza; le sei seguenti, la maggior parte delle quali si svolsero in anfiteatri, si tennero a distanza di 30 anni. Delle circa venti rappresentazioni di naumachia nell’arte romana, quasi tutte sono del IV stile pompeiano, all’epoca di Nerone e dei Flavi.
I naumacharii, nell’accingersi alla battaglia, salutavano l’imperatore con una frase celebre:
“Ave Caesar, morituri te salutant”.
Frase che spesso viene attribuita erroneamente ai gladiatori nel rituale saluto all’Imperatore.
Ed ecco la spiegazione:
“Almeno così salutarono l’imperatore Claudio che non desiderando il massacro di tutti fece un cenno di negazione che fu però interpretato come una grazia dal combattimento. Claudio si infuriò, gli uomini combatterono, parecchi morirono, la folla andò in visibilio e tutti i sopravvissuti vennero graziati. Poiché era andata bene, la frase venne ripetuta.
L'apparizione delle naumachie è strettamente legata a quella, leggermente anteriore, d'un altro spettacolo, il «combattimento fra truppe» che non ingaggiava dei combattenti a coppie, ma due piccole armate. Proprio in queste ultime i combattenti erano più sovente dei condannati senza allenamento specifico rispetto ai veri gladiatori. Cesare, creatore della naumachia, traspose semplicemente in un ambiente navale il principio delle formazioni di battaglia terrestre.
Le naumachie avevano la particolarità di rievocare temi storici o pseudo-storici: ogni flotta che s'affrontava rappresentava un popolo celebre per la sua potenza marittima nella Grecia classica o l'Oriente ellenistico: Egizi e Fenici per la naumachia di Cesare; Persiani e Ateniesi per quella di Ottaviano Augusto, Siculi e Rodii per quella di Claudio.
I mezzi impiegati erano considerevoli! Ciò rendeva la naumachia uno spettacolo riservato ad occasioni eccezionali, strettamente legato a celebrazioni dell'Imperatore, sue vittorie e suoi monumenti.
Acqua negli anfiteatri
L'immissione d'acqua negli anfiteatri solleva, ancora oggi, numerose domande. Innanzi tutto, questi luoghi non servivano esclusivamente per le naumachie e dovevano essere disponibili per caccie e lotte tra gladiatori. L'alternanza rapida tra spettacoli terrestri ed acquatici sembra essere stata la principale attrazione di quest'innovazione. Cassio Dione lo sottolinea quando si riferisce alla naumachia di Nerone; Marziale fa lo stesso parlando di quella di Tito nel Colosseo. Lo studio delle sole fonti scritte non fornisce alcuna informazione sulle modalità pratiche di questa prestazione.
La caduta dell'Impero romano non determina la fine delle naumachie. In effetti, ne ebbero luogo delle altre nel corso dei secoli successivi, particolarmente nel 1550 a Rouen per il re Enrico II di Francia o nel 1807 a Milano per l'imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1690 in occasione delle nozze del figlio Odoardo II Farnese con Dorotea Sofia di Neuburg, il duca Ranuccio II Farnese fece scavare una grande peschiera al termine dell'ampio viale centrale del parco ducale di Parma, al fine di rappresentarvi una spettacolare naumachia.
CARLO GATTI
Rapallo, 17 giugno 2020
LE TRE SORELLE OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC - TRE DESTINI DIFFERENTI
LE TRE SORELLE
OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC
TRE DESTINI DIFFERENTI
La classe Olympic era formata da tre navi passeggeri gemelle, appartenenti alla Compagnia marittima inglese:
WHITE STAR LINE
OLYMPIC – La nave fu varata nel 1910 e demolita nel 1935. Fu di gran lunga la più longeva delle Tre Sorelle. Durante la sua lunga carriera conobbe un incontro ravvicinato con un sommergibile tedesco durante la prima guerra mondiale e una collisione con la motonave inglese Hawke. Senza conseguenze gravi in entrambi i casi. Il 15 maggio 1934 l'Olympic speronò di prua la piccola nave americana Nantucket Lightship LV-117. La piccola nave naufragò e morì tutto il suo equipaggio: alcuni membri perirono sul colpo, mentre altri morirono successivamente in ospedale.
Il 27 marzo 1935 compì il suo ultimo viaggio Southampton-New York. Nel setytembre dello stesso anno fu venduta a Sir John Jarvis per £ 100,000. Rivenduta a Thomas W.Ward Ltd. con l'impegno che la nave venisse demolita nel cantiere di demolizione Jarrow-on-Tyne. Il 13 ottobre la nave giunse al Palmer's-old shipyard, Jarrow. Il prezzo dell'acciaio dell'OLYMPIC superò £2,3s per tonnellata.
TITANIC – La nave fu varata nel 1911, affondò durante il viaggio inaugurale, nel 1912 dopo la collisione con un iceberg.
BRITANNIC – La nave, poi HMS Britannic – varata nel 1914, affondò nel 1916 dopo l'urto con una mina tedesca quando era utilizzata solo come nave ospedale durante la Prima Guerra Mondiale.
Il transatlantico HMS BRITANNIC, prima di essere convertito in Nave Ospedale, era stato designato RMS Gigantic.
Del transatlantico TITANIC e del gemello OLYMPIC ce ne siamo già occupati sul sito di Mare Nostrum Rapallo, ecco i LINKS:
RMS TITANIC - Una breve Storia
LA STORIA DEL RMS OLYMPIC
Del BRITANNIC ce ne occupiamo con il presente servizio.
HMHS BRITANNIC
Ai primi del ‘900, la rivalità tra le due famose Compagnie di Navigazione Passeggeri: CUNARD LINE e WHITE STAR era famosa in tutto il mondo dello Shipping internazionale, proprio in quella fase storica che fu definita “L’ETA’ D’ORO” dei LINERS oceanici.
Ai due giganti di linea: Lusitania e Mauritania della CUNARD, di cui ci siamo già occupati su questo sito, la WHITE STAR rispose il 23 novembre 1911 firmando un contratto con i costruttori navali irlandesi Harland & Wolff, per la costruzione della terza nave del trio di super transatlantici, appunto: il BRITANNIC.
Questa è la storia di quello che sarebbe diventato di lì a poco L’HMHS Britannic, l’acronimo inglese (His Majesty’s Hospital Ship) ne indica la sua ultima destinazione.
Avrebbe dovuto chiamarsi Gigantic, ma l’affondamento della gemella RMS Titanic, rivoluzionò i piani di costruzione ed il suo nome fu cambiato in Britannic.
ALCUNI MIGLIORAMENTI TECNICI REALIZZATI SULLA BRITANNIC
La perdita di vite avvenuta con il Titanic, incise pesantemente sulle scelte progettuali e portò la Compagnia ad equipaggiare nuove e più grandi gru, capaci di portare fino a 48 scialuppe, 2 delle quali dotate di radio a corto raggio e motori.
Per navi superiori alle 10.000 tonnellate, era ancora in vigore la legge che prevedeva l’obbligo di lance di salvataggio per almeno un terzo delle persone imbarcate, quindi non esisteva alcun obbligo per i costruttori a garantire la sicurezza di tutti i passeggeri e dell’equipaggio.
Fu aumentato il numero dei compartimenti per aumentare la galleggiabilità della nave nei casi di estremo pericolo, cercando soprattutto d’isolare, quindi di proteggere la sala macchine. L’altezza di 5 paratie delle 17 paratie, misuravano 23 metri fino ad arrivare al ponte di coperta. Questo permetteva al Britannic di evitare l’affondamento nel caso in cui l’acqua fosse riuscita a passare al di sopra delle paratie.
I compartimenti, furono dotati di 63 porte stagne a chiusura semi-automatica e venne rinforzata la chiglia, principalmente al di sotto della sala macchine, per un totale di 155 mt, con una doppia chiglia di 76 cm di spessore. Con queste modifiche, in teoria, la nave sarebbe potuta restare a galla (ma non in movimento) anche con 6 scompartimenti anteriori allagati.
Il transatlantico fu varato il 26 febbraio 1914. Era lungo 269 metri e largo 28.5, aveva una stazza di 48.158 tonnellate, minore di quanto previsto inizialmente, 9 ponti, 785 passeggeri di 1° classe, 835 di 2° classe, 935 di 3°classe e 950 persone di equipaggio, 29 caldaie di cui 24 di tipo doppio e 5 di tipo singolo.
La propulsione era composta da due macchine alternative a vapore reversibile a doppio effetto e triplice espansione a quattro cilindri, collegate alle eliche esterne, mentre una turbina Parsons a bassa pressione alimentava quella centrale. Questi motori, i più grandi mai costruiti, 13.5 m di altezza, rispetto a quelli del Titanic erano più efficienti e permettevano, in fase di manovra, la mobilità delle 2 eliche esterne ed attraverso il recupero del vapore, veniva garantita l’alimentazione della turbina per la terza elica centrale.
Grazie ai 50.000 cavalli vapore sviluppati, la nave poteva raggiungere i 22 nodi, velocità incredibile per una nave passeggeri dell’epoca.
UNA CURIOSITA':
Sui tre SUPER-TRANSATLANTICI, solamente tre delle quattro ciminiere alte 19 metri erano funzionanti, la quarta aveva la funzione di presa d'aria, e fu aggiunta per rendere lo SHAPE della nave più imponente.
il 28 giugno 1914, L'attentato di Sarajevo fu assunto dal governo di Vienna come il “casus belli” che diede formalmente inizio alla Prima guerra mondiale. Il Britannic non sarebbe mai potuto entrare in servizio passeggeri per il quale era stato designato e destinato. La dichiarazione di guerra della Gran Bretagna causò la completa cessazione dei lavori sulla nave Britannic.
QUADRO STORICO
La campagna di Gallipoli, conosciuta anche come campagna dei Dardanelli fu una campagna militare intrapresa nella penisola di Gallipoli dagli Alleati: Impero Britannico e Francia schierati contro L’Impero Ottomano e Germania nel corso della Prima guerra mondiale per facilitare alla Royal Navy e alla Marine Nationale il forzamento dello stretto dei Dardanelli al fine di occupare Costantinopoli, costringere l’Impero Ottomano a uscire dal conflitto e ristabilire le comunicazioni con L’Impero russo attraverso il Mar Nero.
La campagna, pianificata da Francia e Regno Unito, doveva inizialmente articolarsi su una serie di attacchi navali che, condotti dal 19 febbraio al 18 marzo 1915, non ottennero i risultati previsti; il 25 aprile 1915 tre divisioni alleate furono sbarcate sulla penisola di Gallipoli, mentre altre due furono utilizzate in azioni diversive, in quella che si può considerare la prima operazione anfibia contemporanea su vasta scala e dalla quale scaturirono studi teorici che influenzarono profondamente successive operazioni analoghe. L'azione fu studiata in modo da eliminare le fortificazioni avversarie e rilanciare l'assalto navale, ma lo svolgimento delle operazioni non andò come previsto dai comandi alleati: l'improvvisata organizzazione della catena di comando, la confusione durante gli sbarchi, le carenze logistiche e l'inaspettata resistenza dei reparti ottomani coadiuvati da elementi tedeschi impedirono di ottenere un'importante vittoria strategica, trasformando la campagna in una sanguinosa serie di sterili battaglie a ridosso delle spiagge.
L'evacuazione finale delle teste di ponte tra il novembre 1915 e il gennaio 1916 suggellò uno dei più disastrosi insuccessi della Triplice intesa durante l'intera guerra; il fallimento costò al corpo di spedizione circa 250 000 morti e feriti e fu aggravato dalla perdita di diverse unità navali di grosso tonnellaggio, nonostante gli Alleati avessero goduto di un'assoluta superiorità numerica e tecnica a confronto con le esigue forze navali ottomane.
In questo teatro bellico entra in scena la nave ospedale
BRITANNIC
Il 13 novembre 1915 la White Star ricevette la richiesta dall’Ammiragliato Britannico per impiegare la Britannic come nave ospedaliera. La sigla RMS venne quindi sostituita e divenne HMHS BRITANNIC.
L’ammiragliato prevedeva di alloggiare 3.309 pazienti nei ponti superiori per assicurare trasferimenti rapidi alle scialuppe in caso di emergenza. I medici, gli infermieri superiori, gli ufficiali amministrativi della corporazione medica Reale e i cappellani soggiornavano in cabine di prima classe, mentre gli infermieri inferiori e gli assistenti alloggiavano nelle cabine passeggeri dal ponte B in giù.
Il transatlantico Britannic ebbe una nuova livrea, quella riconosciuta ufficialmente in guerra: striscia verde longitudinale intervallata da 3 croci rosse, una linea di luci verdi longitudinale con croce rossa illuminata per la navigazione notturna, inoltre le fu assegnato il numero nave 9618. Questo permetteva alle navi di navigare indenni durante il conflitto.
La Nave Ospedale Britannic, al comando dell’esperto capitano Charles Bartlett, aveva il seguente programma: partire da Liverpool e Southampton, fare rotta verso il Mediterraneo (Napoli, Sicilia, Mar Egeo, Turchia e altri porti del Mare Nostrum), andare a caccia di feriti, curarli e portarli in salvo.
La partenza dalla Gran Bretagna fu tranquilla. Gli ordini dell’Ammiragliato a Bartlett prevedevano, nel viaggio d’andata, la breve sosta a Napoli per fare bunker (rifornimento di carbone e acqua), per poi raggiungere il porto di Mudros nell’isola greca di Lemnos.
La Nave Ospedale BRITANNIC raggiunse il Mediterraneo e qui restò operativa dal 1914 al 1916. Per l'esattezza fino a martedì 21 novembre 1916, giorno in cui, fu squarciata da una violenta esplosione al largo dell'isola di Kea nel Mar Egeo.
Secondo testimonianze, per la verità mai accertate, l’urto della mina avvenne nelle vicinanze della sala macchine.
Pur rafforzato nelle sue strutture, il Britannic affondò in 55 minuti.
L’affondamento causò la morte di 30 persone, molte delle quali, perirono quando, senza l’ordine preciso del ponte di comando, vennero ammainate le lance poppiere, mentre le eliche erano ancora in movimento.
Questa terribile circostanza accadde perché non fu possibile fermare le macchine, quindi gli assi porta-eliche a causa dei danni riportati a seguito dell'esplosione.
Alcune testimonianze, peraltro mai confermate da fonti ufficiali, riportano che l'esplosione fu terribilmente aumentata a causa del materiale esplosivo esistente a bordo (quasi certamente destinato a uso bellico; armamenti che non dovevano trovarsi a bordo).
Nessuno dei libri inglesi da me consultati e citati nella Bibliografia sotiene tale ipotesi, ma non viene esclusa l'ipotesi che l'eplosione sia stata fortemente incrementata dalla presenza di gas di carbone (coal dust igniting)*.
* - Un'esplosione di polvere è la rapida combustione di particelle fini sospese nell'aria, spesso in un luogo chiuso. Esplosioni di polvere possono verificarsi quando qualsiasi materiale combustibile polverizzato disperso è presente in concentrazioni sufficientemente elevate nell'atmosfera o in altri mezzi gassosi ossidanti, come l'ossigeno.
La Convenzione dell'Aja del 1907 aveva definito il concetto moderno di nave ospedale. In particolare l'articolo 4 definiva le caratteristiche necessarie affinché una nave potesse essere considerata "nave ospedale": La nave doveva avere segni di riconoscimento e illuminazione specifiche; doveva fornire assistenza medica a feriti di tutte le nazionalità; non poteva essere impiegata per alcuno scopo militare; non doveva interferire né ostacolare le navi militari. Inoltre, le forze belligeranti avevano il diritto di ispezionare le navi ospedale per verificare eventuale violazioni delle norme di convenzione.
In caso di violazione anche solo di una delle limitazioni previste, la nave avrebbe perso il suo status di “zona franca” ed anzi protetta (molto spesso erano dipinte di bianco, e recavano in modo evidentissimo la grande Croce rossa, simbolo internazionale di neutralità) e sarebbe tornata ad essere considerata come unità combattente e come tale suscettibile di attacco nemico.
Subito dopo Il capitano Bartlett ordinò al timoniere di accostare verso l’isola di Kea, con l’intento di portare la Britannic verso i bassi fondali, ma la nave non rispondeva ai comandi: si era aperta una falla a dritta di prora da cui entrava mare vivo sui ponti aperti E-F.
La nave, per fortuna, era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare 1070 persone. 35 delle 58 scialuppe furono ammainate in mare.
La nave ormai sbandata a dritta, cedette a prua, mentre lo scafo si mantenne integro, come in seguito dimostrarono le riprese subacquee di famosi esploratori, una per tutte: quella compiuta nel 1974 dal comandante Jacques Cousteau.
Così i testimoni descrissero il naufragio:
“Iniziò ad affondare con la prua, quando le eliche emersero dall’acqua, la Britannic sbandò ancora di più a dritta e s’inabissò”.
IL SALVATAGGIO DEI SUPERSTITI
Come si é visto, la nave era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare oltre un migliaio di persone. Ma sarebbe ingiusto dimenticare la flottiglia di piccole navi da pesca greche che entrarono in scena quasi nello stesso momento in cui la nave affondò, insieme a navi più grandi chiamate dal Britannic.
La prima di fu la Heroic, che prese con sé 494 naufraghi, poi arrivò la HMS Scourge, che prese 339 sopravvissuti, seguita dalla HMS Foxhound. Arrivarono anche due rimorchiatori francesi: il Goliath e il Polyphemus, chiamate dalla Scourge. Anche le due scialuppe a motore del Britannic giocarono un ruolo chiave, girando per le altre scialuppe e prendendo i feriti più gravi, che vennero portati a Kea. I 150 sopravvissuti arrivarono nel piccolo villaggio di Korissia, dove ricevettero cure mediche.
Molte furono le inchieste effettuate negli anni successivi sulla dinamica dell’incidente. Inizialmente si pensò non ad una mina, bensì ad un siluro, poi si fece strada l’ipotesi che la nave, pur essendo nave ospedale, trasportasse armamenti che avrebbero aumentato il potere esplosivo all’impatto. Restò di fatto un mistero custodito per molto tempo, fin quando durante una spedizione avvenuta nel 2013, diretta da Carl Spencer, vennero fatte 2 scoperte interessanti. La prima riguardava la resistenza delle porte a tenuta stagna.
La seconda scoperta è probabilmente più interessante dal punto di vista storico. Una ricerca guidata da Bill Smith, un esperto di sonar, scoprì i resti di diverse catene di mine in prossimità del relitto e nell’esatta localizzazione identificata nel diario di bordo del sottomarino tedesco U-73.
La spedizione inoltre fece luce sulla tesi secondo cui, i fuochisti che a turno alimentavano le enormi caldaie della nave, utilizzassero le porte stagne come passaggio tra le paratie. Questo si tradusse nell’impossibilità di isolare le paratie e nel conseguente passaggio di acqua tra di esse. La tesi fu confermata dal fatto che molti dei portelli stagni utilizzati dai fuochisti, vennero trovati aperti durante l’esplorazione del relitto.
L’isola di Kea, nota anche con il nome di Tzia, si trova nelle Isole Cicladi ed è situata nell’angolo più remoto e tranquillo dell’arcipelago, lontana dalle affollate mete turistiche della zona come Mykonos e Santorini.
"Dal 2010 i turisti possono imbarcare sul nostro sommergibile e visitare il relitto, il più grande perfettamente conservato esistente al mondo" a 120 metri di profondità nelle acque due miglia a largo dell’isola di Kea, non lontano da Atene”.
C’informa Panayotis Bouras, responsabile della Britannic S.A., sussidiaria della Britannic Foundation inglese che detiene i diritti sul relitto.
“Il progetto è stato finanziato da investitori privati ai quali resta aperto. Il governo greco dapprima non si era mostrato troppo favorevole, per timore che l’affluenza di turisti potesse danneggiare il Britannic, considerato un “monumento sommerso” della storia marittima greca. Ma poi l’atteggiamento è cambiato e attualmente, sottolinea Bouras, non vi sono obiezioni e il Ministero della Marina Mercantile ha concesso l’autorizzazione per l’attività del sottomarino”.
Il Britannic, colato a picco mentre navigava come nave ospedale per la Royal Navy, fu una delle tre ammiraglie della Compagnia White Star che affondarono o subirono gravi collisioni. Oltre al Titanic, infatti, anche l’Olympic fu speronato due volte. Ciò, unito al fatto che un’infermiera, Violet Jessop fece parte degli equipaggi di tutte e tre le navi senza rimetterci mai la vita, ha fatto sorgere leggende sulla maledizione che graverebbe sulle unità della White Star.
"Ma non abbiamo paura delle leggende e delle maledizioni", assicura Bouras. "Quello che vogliamo è dare l’opportunità alla gente di tutti i Paesi di visitare un relitto unico al mondo".
ALBUM FOTOGRAFICO
Squarcio di prua
Corridoio pazienti
Corrodoio superiore
Elica di dritta
Elica centrale
Notare i sub intorno all'elica
Ponte di Comando
Telegrafo di Macchina
La Targa dedicata a Jacques Cousteau giace sul relitto della nave BRITANNIC in ricordo della sua spedizione scientifica
Ringrazio i fantastici sub: VALENTI, ESPOSITO, PEDRO, BRIAN, RIBEIRO, POWELL e AARON, componenti della Spedizione Fotografica del 2016 per averci concesso la pubblicazione di queste magnifiche immagini a scopo divulgativo.
Bibliografia:
CUNARD
By David L.Williams
THE FIRST GREAT OCEAN LINERS
By William H.Miller Jr.
THE WHITE STAR LINE 1870-1934
By Paul Louden-Brown
THE GOLDEN AGE OF OCEAN LINERS
By Lee server
BEKEN OF COWES – OCEAN LINERS
By Philip J. Fricker
Carlo GATTI
Rapallo, 12 settembre 2018
IL TRANSATLANTICO NORMANDIE Un costoso gioiello che fu rubato da un impietoso destino
IL TRANSATLANTICO
NORMANDIE
UN COSTOSO GIOIELLO CHE FU RUBATO DA UN DESTINO IMPIETOSO
S.S. Normandie, che con i suoi sfarzi, l'estetica, la modernità, ed ogni singolo dettaglio ha diffuso in tutto il mondo un vero e proprio stile di vita...
Scheda Tecnica
Costruttore: Penhoet, Saint Nazaire
Armatore: Compagnie Gènèrale Transatlantique
Varo: 29 ottobre 1932
Entrata in servizio: 29 maggio 1935
Tonnellaggio: 79.280 tsl; 83.423 GRT
Potenza: Quattro turbo-elettrico, totale 160.000 CV (200.000 hp max).
Fu la prima nave della storia ad avere una propulsione turboelettrica, combinando turbine a vapore e motori elettrici.
Lunghezza: 313,60 metri
Larghezza: 36,4 metri
Velocità: 29 nodi, 32,2 nodi massima registrata
Capacità: 1972 passeggeri, 1345 equipaggio
Ciminiere: due vere – quella poppiera adibita a canali.
Il ventennio tra le due guerre mondiali fu caratterizzato da un’accesa rivalità tra gli Stati con la più prestigiosa tradizione marinara per l’acquisizione del potere marittimo nel trasporto passeggeri tra le sponde dell’Oceano Atlantico, ovvero tra il vecchio continente ed il nuovo New World - USA.
L’Obiettivo “pubblicitario” era la conquista del BLUE RIBAND (Nastro Azzurro) riconosciuto al vincitore quale prestigioso segno di supremazia nel campo navale: VELOCITA’ nella traversata atlantica, ma anche nell’arte costruttiva e tecnologica, artistica e quindi commerciale.
Inghilterra, Italia, Francia e Germania furono i grandi protagonisti di una stagione che toccò l’apice più alto della Storia Marinara di tutti tempi.
Che succede oggi?
Fin dall’inizio del nuovo millennio, si costruiscono in tutto il mondo navi passeggeri che appartengono di fatto al NUOVO GIGANTISMO NAVALE in cui, rispetto al periodo citato, l’architettura navale subisce continue mutazioni estetiche per evidenti motivazioni economiche; alle navi di oggi viene impresso uno sviluppo in altezza (numero di Ponti) che prevede l’imbarco del maggior numero possibile di passeggeri.
Il risultato non é quasi mai un’opera d’Arte e spesso queste navi s’inseriscono, quando sono ormeggiate in porto, nello Sky line delle città portuali che le ospitano, spesso deturpandole!
Oggi ci occuperemo di una nave francese molto speciale: la NORMANDIE della CGT (Compagnie Générale Transatlantique) la quale, a distanza di quasi cento anni dal suo VARO, aveva misure di stazza, lunghezza e larghezza, che, per certi versi, erano simili a quelle attuali nelle dimensioni, ma erano disegnate con gradevolissime linee archittetoniche.
Storicamente possiamo quindi affermare che i nostri padri conobbero già un “Primo Gigantismo Navale” mentre la nostra generazione navale e portuale sta vivendo un "Secondo Gigantismo Navale" di ritorno.
Molti lettori che ci leggono in questo momento hanno fatto crociere sulle navi di Costa, Carnival, Msc ed anche con altre stimatissime Compagnie straniere, ma credo che non siano molti coloro che conoscono la storia della NORMANDIE che oggi abbiamo scelto di raccontare in quanto emblematica di un’epoca molto complessa, ma anche ricca di innovazioni tecniche-tecnologiche le quali crearono le basi per le successive costruzioni navali di cui oggi l’Italia può vantare PRIMATI eccezionali.
Dietro la costruzione della NORMANDIE ci fu evidentemente una componente politica di GRANDEUR alla Francese che fece da cassa di risonanza in tutta Europa, dove orgoglio e rivalità reciproche innescarono risposte e progetti di nuove costruzioni quasi immediate.
Come abbiamo già avuto modo di scrivere in altre occasioni, il “gigantismo navale” affonda le sue radici nel “mondo greco e nella romanità” e ritorna alla ribalta anche in periodi successivi affermandosi anche nell’era moderna.
Al termine dell'articolo riporteremo alcuni LINK su questo argomento.
Opera del Pittore Marco Locci
Perché questa rincorsa al gigantismo continua tuttora?
Perché l’uomo ha sempre sognato di vincere la sfida contro il mito di Nettuno che non subisce gli umori del mare, ma che li determina e li domina. La storia, purtroppo ci insegna che quel tipo di “gigantismo navale” ha sempre fallito contro la forza sovrumana del MARE perché le navi sono opera dell’uomo, quindi fallaci e destinate a perire, in un modo o nell’altro; così fu anche per il NORMANDIE e per tante altre navi che per la fama raggiunta, non hanno bisogno di essere citate.
UN PO’ DI STORIA….
Il legame artistico, architettonico ed anche ideologico che univa New York alla Francia trovò nella Statua della Libertà la sua espressione più concreta.
A rafforzare questo “rapporto sentimentale” ci pensarono il mare, le navi e le lunghe traversate transoceaniche che gli uomini di mare realizzarono.
Il 21 maggio del 1931 un gruppo di cinquantacinque architetti americani, tra cui Kenneth Murchison e William Van Alen, padre del Chrysler Bulding, partì verso la Francia a bordo dell'American Banker con destinazione Parigi, sede della Ecole des Beaux Arts. Durante il viaggio gli architetti avrebbero ridecorato il salone della nave secondo le ultime tendenze del design. Qualche mese prima, a gennaio, nei cantieri francesi di Saint Nazaire erano iniziati i lavori su una nave, la Normandie, che avrebbe consentito alla Francia di risvegliare la vitalità artistica e architettonica di New York City nel modo più romantico e spettacolare possibile, conquistando il NASTRO AZZURRO.
I lavori erano stati commissionati dalla Compagnie Génerale Transatlantique, conosciuta negli States più semplicemente come FRENCH LINE che, grazie alla propulsione turbo-elettrica, aveva messo in cantiere la nave crocieristica più potente mai costruita.
I nuovi motori le consentivano di esprimere una potenza vicina ai 180.000 cavalli vapore, in grado di far navigare i 313 metri della Normandie, per 81.000 tonnellate di stazza, ad oltre 32 nodi. La parte tecnica, per quanto all'avanguardia come nel caso della forma delle eliche, era in qualche modo oscurata dalla raffinatezza delle linee e, soprattutto, dalla ricercatezza degli interni.
Le grandi compagnie come la CUNARD e la WHITE STAR, colpite dalla depressione economica del 1929, ancora non avevano superato la crisi tanto da potersi impegnare nella costruzione di altre navi transoceaniche e per la FRENCH LINE questa fu un'occasione da non perdere.
Fino al 1924, anno in cui furono emanate norme restrittive sull'immigrazione, i transatlantici erano progettati tenendo conto di larghi spazi da destinare a quella terza classe dove far alloggiare gli immigrati provenienti da tutta Europa. Secondo questa impostazione la capienza della nave, nonostante la mole, era di "soli" 1972 passeggeri, consentendo così ai fortunati viaggiatori di godere di ampi spazi durante la traversata.
Questa tendenza a realizzare ampi spazi lussuosi venne dapprima perseguita dai tedeschi sulle navi EUROPA e BREMEN, alle quali la NORMANDIE strappò il primato della bellezza e poi dall'italiana REX costretta a cedere alla francese il primato della velocità (Nastro Azzurro), tre anni dopo averlo conquistato con il Comandante Francesco TARABOTTO.
La realizzazione della NORMANDIE, così come fu presentata al mondo, si deve all'ingegnere russo Vladimir Yourkevitch, emigrato in Francia prima della rivoluzione d'ottobre. Yourkevitch, già progettista navale per lo zar, entusiasmò la French Line con proposte quali il bulbo frontale e lo scafo slanciato e fu invitato ad unirsi ai colleghi francesi. La nave fu allestita in Francia e il varo sul fiume Loira avvenne nell'ottobre del 1932, ma prima di partire per New York passarono tre anni tra prove e sistemazione degli interni. Finalmente, il 29 maggio del 1935, la nave salpò da Le Havre salutata da 50.000 persone e fece rotta verso le banchine di New York per arrivare a destinazione in soli quattro giorni, tre ore e quattordici minuti.
N.B. V. Yurkevich dotò la NORMANDIE di un voluminoso BULBO a prua e una forma della carena ridisegnata in modo innovativo. La nave era in grado di raggiungere velocità superiori a 30 nodi (56 km / h).
Questa immagine del 23 marzo 1940, dà l’idea delle dimensioni della NORMANDIE rispetto ai suoi famosi transatlantici “coevi”: dall’alto a sinistra, Mauretania, Normandie, Queen Mary e Queen Elizabeth.
Mauretania: Stazza L.: 31.938 tsl – Vel. 28,75 nodi - Lunga 240,8 mt – Larg. 26,8 mt – Varo 1906
Normandia: Stazza L.: 79.280 tsl - Vel. 29/32.2 nodi – Lunga 313,6 mt – Larg.36.4 mt. Varo 1932
Queen Mary: Stazza L: 81.237 tsl – Vel. 30 nodi – Lung. 311 mt. – Larg. 36 mt – Varo 1934
Queen Elizabeth: Stazza L. 85.000 tsl – Vel.28.5 Nodi – Lung. 314 mt. – Larg. 36 mt – Varo 1938
“Quando la Normandie entrò nello specchio d'acqua del Pier n.88 con la sua prua slanciata, la città di New York e i suoi abitanti, accorsi in massa alla banchina, non accolsero solo una nave fantastica, un gioiello tecnologico con a bordo 2.000 passeggeri, ma anche un progetto artistico che partito dalla Francia avrebbe fatto scuola. La Normandie festeggiata nella baia dell'Hudson da aerei in carosello a bassa quota e dai getti d'acqua delle navi antincendio, portò in città quell'Art Decò che aveva debuttato nell'Esposizione Des Arts Decoratifs, tenutasi a Parigi nel 1925 dove gli americani, anche se invitati, non parteciparono poiché, a dire di alcuni rappresentanti del Governo, non avevano arte moderna da esporre e promuovere.
La sala da pranzo di prima classe da 700 posti, colma di bassorilievi e finiture esotiche, di lampadari e delle "colonne luminose" di René Lalique, la sala per i bambini con le pareti rivestite da Jean de Brunhoff e il suo elefantino Babar, la piscina interna, erano solo alcune tra le piccole e grandi soluzioni decorative che facevano della Normandie una meraviglia galleggiante, espressione di quella "modernità non funzionale" che avrebbe avuto una fortissima influenza nel design americano”.
La Normandie venne a costare complessivamente 60 milioni di dollari. Tuttavia il colossale Transatlantico s’impose subito e con prepotenza sulla scena mondiale:
strappò il nuovo record del Nastro Azzurro durante il viaggio inaugurale, coprendo la tratta New York-Le Havre. La velocità di crociera media mantenuta dalla nave durante la sua prima uscita ufficiale era straordinaria: 30 nodi!
La Normandie svolse il suo servizio sull’Atlantico per 4 anni e fu messa in disarmo durante il secondo conflitto mondiale rimanendo al sicuro nel porto di New York (vedi foto sotto). Vista la necessità di trasportare le grandi truppe militari in Europa, si pensò di spogliarlo dei suoi lussuosi arredi e trasformarlo in una nave militare. Così fu requisito dal governo Americano, che s’impegnò nell’iniziare i lavori di modifica, così da poter contare su una nave enorme, potente e veloce, fuori dalla portata dei sommergibili nemici.
LA TRISTE FINE DELLA NORMANDIE
Il transatlantico NORMANDIE rimase due anni attraccato al pier n°88 di New York
Il transatlantico Normandie vi rimase per due anni fino a quando, dopo l'attacco ei giapponesi a Pearl Horbor, gli Stati Uniti entrarono in guerra, requisendo la nave per convertirla ed adibirla al trasporto truppe con il nome di U.S. Lafayette. Navi di queste dimensioni potevano trasportare 12.000 soldati a viaggio ad una velocità talmente elevata che non richiedeva la scorta di navi militari.
Ma i lavori andavano avanti troppo lentamente e con poca protezione, tanto che il 9 febbraio del 1942, a causa di un incidente provocato dalle scintille di una saldatrice, divampò un incendio che presto si propagò a gran parte della nave. Il danno iniziò ad essere rilevante e andò rapidamente peggiorando a causa dei battelli antincendio che riempirono d'acqua la nave facendola sbandare ed infine rovesciare su un fianco. La foto (sopra) ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, é in grado di destare infinite emozioni perché era quanto di più immaginabile potesse accadere.
Una colonna di fumo nero e denso si sollevava dalla nave nascondendola, e la sua bellezza e maestosità sembravano un lontano ricordo. Nell’ottobre del 1943 la Normandie ridotta a relitto galleggiante, fu raddrizzato e in seguito fu rimorchiato fino al porto di Newark, dove venduto per soli 161.000 dollari, fu demolito dalla stessa società che lo acquistò.
Il destino della Normandie fu segnato! Con un enorme costo e grandi sovvenzionamenti la nave fu recuperata e stabilizzata, ma gli ingenti danni allo scafo e alle attrezzature, il deterioramento dovuto ai 18 mesi trascorsi semi sommersa resero una futura ristrutturazione impossibile e costosissima.
La nave fu allora rimorchiata nel porto del New Jersey dove iniziò la sua lenta demolizione, terminata infine nel 1948.
FU INCIDENTE O SABOTAGGIO?
Riporto per completezza d’informazione quanto risultato dall’Operazione Underworld:
“Nei primi tre mesi dopo l'attacco a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941, gli Stati Uniti persero 120 navi mercantili a causa degli U-Boot e degli incrociatori pesanti tedeschi durante la Battaglia dell’Atlantico; durante il febbraio 1942 la nave da crociera SS NORMANDIE - una nave francese catturata che era in rielaborazione per essere adattata al trasporto truppe nel Porto di New York - fu presumibilmente sabotata e affondata da un incendio doloso nel porto di New York. Il boss mafioso Albert Anastasia reclamò la responsabilità del sabotaggio. Dopo la guerra, i registri nazisti dimostrarono che non esistevano operazioni di sabotaggio e da parte alleata non furono mai prodotte prove per dimostrare un sabotaggio segreto nel porto di New York. L'affondamento della Normandie fu quasi certamente un incidente.
Nondimeno, i timori per possibili sabotaggi o inconvenienti sulla tratta atlantica, indussero il comandante Charles R. Haffenden della marina degli Stati Uniti, Office of Naval Intelligence (ONI) del Terzo Distretto Navale a New York, a costituire un'unità speciale di sicurezza. Sfruttò l'aiuto di Joseph Lanza, che dirigeva il fulton fish market, per essere a conoscenza dell'area navale di New York, controllare i sindacati del lavoro, e identificare possibili operazioni di rifornimento dei sottomarini tedeschi con l'aiuto dell'industria peschiera lungo la costa atlantica. Per coprire l'attività di Lanza, suggerì di contattare Salvatore Lucania (Lucky Luciano) che era un importante boss delle cinque famiglie mafiose di New York. Luciano accettò di cooperare con le autorità nella speranza che venisse considerato un suo rilascio prima dei termini previsti.
Al tempo Luciano era rinchiuso nel carcere di Dannemora, per scontare una pena dai 30 a 50 anni di reclusione per aver condotto un giro di prostituzione. Per la sua collaborazione, nel maggio 1942 fu tradotto nel carcere di Great Meadows, noto negli ambienti della malavita come il country club. Le azioni intraprese da Luciano nel fermare i sabotaggi restano tuttora incerte, ma le autorità notarono come i contatti dell'avvocato di Luciano Moses Polakoff tra le figure del mondo sotterraneo del porto influenzarono i lavoratori e i loro sindacati. Nel 1946 la sentenza di Luciano fu commutata – dopo aver scontato nove anni e mezzo venne mandato nella sua nativa Italia.
L'operazione appena descritta, prese il nome di Underworld ("sotterraneo") e fu il nome in codice della cooperazione del governo degli Stati Uniti d’America con alcune figure del crimine organizzato dal 1942 al 1945 per controllare le spie e i sabotatori nazisti nei porti lungo la costa nord est degli Stati Uniti, al fine di salvaguardare i trasporti con i rifornimenti in partenza per l’Inghilterra”.
ALBUM FOTOGRAFICO
Ad esclusivo scopo divulgativo, prendo in prestito dal sito: Transatlantic Era alcune immagini degli interni della NORMANDIE che danno un’idea più completa della ELEGANZA dei suoi INTERNI.
Come si può ben notare, l'Art-Decò è predominante in ogni centimetro quadrato della nave e sfocia quasi in un’esagerazione sotto certi aspetti...
Gli arredi stravaganti ed eleganti allo stesso tempo attirarono gli occhi dei più grandi artisti americani dell'epoca, i quali ne fecero praticamente una scuola per le loro successive realizzazioni. La Normandie possedeva numerosi saloni e bar tra i più grandi al mondo...ristoranti à la Carte con centinaia di posti, contornati da lussuosi arredi e bassorilievi su ogni parete visibile...opere d'arte e lampadari moderni, divanetti e sedie dalle forme stravaganti e colori vivaci resero gli interni di questa nave inimitabili. Bella dentro e anche fuori direi, ma con un salto nella sua storia capiremo ben presto che la sua non fu una vita molto fortunata.
Carlo GATTI
Rapallo, lunedì 18 Maggio 2020
BIBLIOGRAFIA:
- Picture History of the FRENCHE LINE – William H. Miller Jr
- I Giganti di Linea – Vincenzo Zaccagnino
- Ocean Liners – Philipp J.Fricker
GIGANTISMO NAVALE – LINKS dello stesso autore
SYRAKOSIA Gigantismo Navale nell’antichità
LAGO DI NEMI - LE NAVI DI CALIGOLA
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
REX - BREVE STORIA DEL NASTRO AZZURRO
Anni ‘30 - L’EPOPEA DEI LEVRIERI - “REX” - “CONTE DI SAVOIA”
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
GIGANTISMO PETROLIFERO
JAHRE VIKING
M/Y DIONEA
M/Y DIONEA
Durante i primi Anni ’60, nell’Alto Adriatico si costruivano Traghetti per i VIP che, al termine della loro carriera, con pochi lavori di refitting entravano nel mercato degli Yacht di classe, con tutto l’onore ed il rispetto per un trascorso passato di alta marineria che meritavano allo stesso modo dei marinai che portano sul cuore la medaglia di Lunga Navigazione, di onorato servizio senza incidenti gravi.
Questi scafi speciali di un tempo ormai lontano, erano molto marinari e potevano sopportare crociere lunghe ed impegnative avendo alle spalle una lunga esperienza di mare. La DIONEA ci sorprende ancora oggi, a distanza di quasi 60 anni di vita, per la purezza delle sue linee e per l’eleganza delle sue sovrastrutture che ci ricordano, in versione ridotta, i grandi ed elegantissimi liners italiani che erano inimitabili nel loro shape per quella inconfondibile ARTE ITALIANA che divenne celebre nel mondo.
Attualmente la DIONEA si trova a Genova e, dobbiamo osservare che, tra tante navi moderne che entrano ed escono dal Porto, essa risalta ancora per la sua bellezza, per quel fascino antico che a dirla tutta era veramente sprecato nel ruolo di traghetto costiero.
Un tempo le navi passeggeri erano considerate “opere d’arte”, erano tutte BELLE nei porti e molto marine in navigazione; purtroppo quei concetti non sono più applicabili alle navi di ultima generazione che devono soddisfare l’aspetto economico, disegnato e calcolato sulla base di parametri che hanno a che fare soltanto con la capienza e la capacità di trasporto merci o passeggeri.
COSA E’ OGGI LA DIONEA?
Costruito dai cantieri navali di Felszegi nel 1962 come un traghetto di alto livello, nel 2003 DIONEA fu convertito e rimesso a nuovo come nave di lusso dal noto cantiere italiano T. Mariotti - Genova.
Il progetto di refitting abbina l’affascinante atmosfera dei vecchi tempi con il lusso atteso da una moderna nave charter con “interni” eleganti di Ivana Porfiri. Gli “esterni” vantano due opzioni per mangiare all’aperto sul ponte di poppa principale, e il wheeldeck a poppa vanta lettini prendisole e un grande bimini.
(Un top Bimini è un top in tela con apertura frontale per l'abitacolo di una barca o jeep, generalmente supportato da un telaio metallico. La maggior parte dei Biminis può essere collassata quando non in uso e sollevata di nuovo se si desidera l'ombra o il riparo dalla pioggia)
Da quella data la Dionea è diventata uno yacht ideale per una crociera romantica o in famiglia nel Mediterraneo e per eventi aziendali (Festival di Cannes, Cannes Lions). Grazie alla sua eccezionale capacità e al suo enorme spazio sul ponte, DIONEA può ospitare per esempio: fino a 120 ospiti per cocktail in banchina dove gli invitati sono accolti da un equipaggio esperto, dinamico e professionale di nove persone.
UN PO’ DI STORIA…
Varo in TANDEM....
Nel 1962, giunge l'ora della sostituzione di anziani traghetti con la messa in linea delle bellissime motonavi AMBRIABELLA e DIONEA, affiancate dalla più grande EDRA.
Le due gemelle per molti anni si alternano sia sulla linea Trieste-Muggia-Capodistria che su quelle per Grado e Grignano-Sistiana ma, per ragioni economiche, nel 1976 la Società è costretta a ridurre i servizi e cedere la motonave AMBRIABELLA ad un armatore straniero, Qualche anno dopo anche la motonave EDRA viene venduta alle Ferrovie dello Stato che la trasferiscono sullo Stretto di Messina. Rimane così solo la motonave DIONEA la quale, nel 1978 abbandona la linea per Muggia e va a sostituire la sorella maggiore EDRA.
LE DUE NAVI SULLO SCALO DI COSTRUZIONE DEI CANTIERI NAVALI FELSZEGI DI TRIESTE
Sullo sfondo della DIONEA in navigazione si scorge il Castello di Miramare (Trieste)
La DIONEA in navigazione veloce
La DIONEA all’ancora
I Favolosi Anni ’60 - Una scialuppa, dice la didascalia nella foto, é evidente il richiamo all’estetica e alla eleganza dei personaggi inquadrati. Da segnalare un particolare tecnico: l’elica é protetta dal mantello KORT é viene manovrata come fosse un timone.
OGGI
INFORMAZIONI STORICHE
Impostata il 30.05.1961 - Varata l'11.01.1962 - Allestita ai Cantieri san Rocco nel 1962 - Consegnata il 20.06.1962 alla Società di Navigazione Alto Adriatico di Trieste.
Dati tecnici originari : stazza lorda: 292,49 tonn - portata lorda: 115 ton - lunghezza ft: 51,82 m - lunghezza pp: 45,60 larghezza ff: 7,40 m - altezza: 3,25 m - immersione: 2,20 m - App. motore: 2 Fiat S.G.M. 2x650 cv - Velocità: 15,06 nodi - Passeggeri: 314
Nel 1979 passò in gestione al Lloyd Triestino e nel 1987 all'Adriatica di Venezia - Dal 1991 in disarmo e poi nel 1993 ceduta ad un armatore greco e ribattezzata KALARA sotto bandiera dell’Isola di Man - Nel 1999 trasferita a Genova al Cantiere T. Mariotti per essere ristrutturata e trasformata in yacht di lusso per charter nuovamente con il nome di DIONEA - Dal 2002 in gestione alla Società Armatrice Mariotti S.p.A. (dati dal sito www.ilcarbonaio.it)
Lapo Elkann, nipote di Giovanni Agnelli, é stato a bordo due volte per tre settimane: “la Dionea ha un fascino e una classe che nessun scafo moderno può vantare e che prima o poi qualcuno la comprerà”.
Carlo GATTI
Rapallo, 13 Maggio 2020
IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO
IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO
era il gemello dell'AMERIGO VESPUCCI
Per non dimenticare...
Le navi della Marina Militare sono inquadrate principalmente nella Squadra Navale, alle dipendenze del Comando in Capo della Squadra Navale, presso cui sono concentrate quasi tutte le funzioni operative e il controllo dei mezzi.
I diversi tipi di navi militari hanno nomi che richiamano la loro funzione (incrociatori, fregate, ausiliarie, idrografiche, anfibie, cacciamine, ecc.).
Tutte le navi della flotta della Marina Militare italiana vengono denominate ufficialmente usando il termine "Nave" seguito dal nome dell'unità (es. "Nave Cavour") oppure in forma abbreviata usando il solo nome dell'unità preceduto dall'articolo maschile (es. “il Cavour”).
Del CRISTOFORO COLOMBO si hanno soltanto le biografie ufficiali della Marina Militare e qualche testimonianza ormai ingiallita… di quel periodo bellico e postbellico.
Al contrario, della nave scuola più bella del mondo, almeno così é stata definita l’AMERIGO VESPUCCI, si sa tutto in quanto ormai divenuto il SIMBOLO consolidato dell’Italia sul Mare.
Il VESPUCCI nel 2025 giungerà al traguardo dei 100 anni d’età e proprio non li dimostra…
Il CRISTOFRO COLOMBO terminò la sua carriera nel 1971 in terra straniera sotto bandiera straniera.
Di questa nave, fuori dell’ambiente militare, se ne sa molto meno.La “NAVE” ebbe uno strano destino, molto triste e oggi ne parliamo affinché non se ne perda del tutto la memoria, almeno tra le Associazioni Marinare che hanno il compito di passare il testimone alle nuove leve.
La nave gemella dell’AMERIGO VESPUCCI, il CRISTOFORO COLOMBO (nella foto), fu ceduto come parte del risarcimento in ottemperanza al trattato di pace firmato a Parigi, all'Unione Sovietica nel 1949.
Un suggestivo dipinto del CRISTOFORO COLOMBO
NAVE SCUOLA C.COLOMBO – VENEZIA 1940
Sandro Feruglio – Mariner Painter
Vespucci e Colombo ormeggiate a Venezia nel 1940
Nel 1925 l’allora ministro della Marina ammiraglio Thaon di Revel, propose per l’Accademia di Livorno un tipo di nave che mantenesse vivo, per l’imponente piano velico e per le eleganti linee dello scafo, il fascino e le funzioni degli antichi vascelli. L’idea del prestigioso Thaon di Revel fu accettata e attuata da suo successore il ministro della Marina ammiraglio genovese Giuseppe Sirianni. Sotto la sua supervisione nacquero così nel cantiere di Castellamare di Stabia le due splendide unità. Ambedue le unità furono progettate dall’allora colonnello del Genio navale Ing. Francesco Rotundi.
La COLOMBO, entrata in servizio nel 1928, alla fine della Seconda guerra mondiale venne ceduta, in base alle clausole del trattato di pace, alla Marina Militare Sovietica.
La VESPUCCI entrata in servizio ne 1931, sopravvisse miracolosamente agli eventi bellici e continua tuttora ad essere una valida palestra di addestramento per i giovani accademisti.
Di questa unità abbiamo già scritto un articolo di cui allegheremo il LINK.
Fra le due guerre mondiali, le fregate “CRISTOFORO COLOMBO” e “AMERIGO VESPUCCI” compirono numerose crociere, una mezza dozzina delle quali fuori del Mediterraneo riscuotendo ovunque ammirazione.
Oggi ci soffermeremo soltanto sulla CRISTOFORO COLOMBO la quale ebbe un destino diverso, direi infelice.
Le due fregate, considerate gemelle, fanno pensare alle fregate a vela costruite tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento.
Le due navi avevano dimensioni leggermente diverse riprendendo i progetti del veliero Monarca, l’ammiraglia della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, poi ribattezzato Re Galantuomo quando fu requisito dalla Marina piemontese dopo l’invasione delle Due Sicilie. I progetti ricopiati erano dell’ingegnere navale napoletano Sabatelli ed erano custoditi a Castellammare di Stabia insieme alle tecnologie necessarie alla costruzione di questa tipologia di imbarcazione; le fasce bianche rappresentano le due linee di cannoni dei vascelli ai quali il progettista si era ispirato.
Lo scafo, la struttura, i ponti e i tronchi portanti degli alberi e del bompresso erano in acciaio, così come i pennoni e le sartie. La nave era divisa in tre ponti principali: ponte di coperta, ponte di batteria e corridoio, con castello a prora e cassero a poppa. La copertura del ponte, del castello, del cassero e le rifiniture erano in legno di teak.
Altra differenza, anche se non visibile era che il Colombo aveva due eliche mentre il Vespucci solamente una.
I due velieri pur apparendo come gemelli, presentavano alcune differenze, fra cui la diversa inclinazione del bompresso, il diverso attacco delle sartie, che nel caso del VESPUCCI erano a filo di murata, mentre sul COLOMBO erano invece cadenti all’esterno. Altra notevole differenza era rappresentata dalle imbarcazioni maggiori che sul COLOMBO erano sistemate a centro nave con il relativo picco per le manovre di messa in mare e di sollevamento delle imbarcazioni. Il COLOMBO, inoltre aveva, per filare le catene delle ancore, due occhi di cubia per mascone, mentre il VESPUCCI, ne aveva uno solo.
La propulsione principale era a vela, costituita da ventisei vele di tela olona, la cui superficie totale misurava 2.824 metri quadrati.
La propulsione secondaria era costituita da due motori diesel elettrici accoppiati più due dinamo. La nave aveva due eliche controrotanti e coassiali (quindi calettate sullo stesso albero).
La costruzione delle due unità avvenne nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia, La prima delle due unità fu la “Cristoforo Colombo”, il suo scafo venne impostato sugli scali il 15 aprile 1926 con il nome di “Patria” subito cambiato con il definitivo CRISTOFORO COLOMBO, in onore del famosissimo navigatore genovese. La nave, varata il 4 aprile 1928, entrò in servizio il 1º luglio 1928 e a partire dal 1931 venne affiancata nella sua attività addestrativa dalla seconda delle unità che erano state ordinate nel 1925, l’Amerigo Vespucci, molto simile, ed ancora oggi in attività.
In primo piano, l’idrovolante F.B.A. (Franco-British Aviation Company), mentre decolla per una missione. Sullo sfondo una affascinante immagine del CRISTOFORO COLOMBO.
Breve storia della nave CRISTOFORO COLOMBO
Il Nome
Il nome Cristoforo Colombo era già stato portato da altre quattro precedenti unità della Regia Marina: la prima era un brigantino a vela proveniente dalla Marina Sarda, varato nel 1843 e radiato nel 1867; seguirono due incrociatori, costruiti entrambi nell’Arsenale di Venezia, il primo dei quali varato nel 1875 e in servizio tra il 1876 e il 1891 e il secondo varato nel 1890 e in servizio tra il 1892 e il 1907 e una corazzata impostata nel 1915 nel cantiere Ansaldo di Genova, ma demolita nel 1921 ancor prima di essere stata varata.
Servizio
Nave scuola Cristoforo Colombo
il varo - scalo di costruzione
La polena raffigurante il navigatore Cristoforo Colombo
la polena del Colombo custodita a La Spezia
(foto dal sito web della Marina Militare)
Nave Cristoforo Colombo in allestimento ultimato
Il Cristoforo Colombo fu impostato il 15 aprile 1926 e venne varato il 4 aprile 1928. Il suo primo nome fu "Patria", venne però cambiato quando era ancora in costruzione. Entrò in servizio il 1° luglio 1928 e svolse la sua attività fino al 1943. Ha il primato di essere stata la 100° costruzione dell'allora Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia!
Il Vespucci invece venne varato il 22 febbraio 1931 ed entrò in servizio, a fianco del Colombo, nel luglio dello stesso anno.
Effettuarono assieme le Campagne di Istruzione per ben nove volte. Solcarono i mari volgendosi sia nel Mar Mediterraneo, sia nel Nord Europa, che nell'Oceano Atlantico, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La nave, insieme all’unità gemella Vespucci, andò quindi a costituire nel 1931 la Divisione Navi Scuola ed esse effettuarono insieme una serie di Campagne di Istruzione, in Mediterraneo, Nord Europa e Atlantico, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. In particolare, nella campagna del 1931 il comando della Divisione Navi Scuola era affidato all’ammiraglio di divisione Domenico Cavagnari (poi capo di stato maggiore della Regia Marina allo scoppio del conflitto), con la Vespucci comandata dal capitano di vascello Radicati e la Colombo comandata dal capitano di fregata Bruto Brivonesi, che poi diventerà ammiraglio
Le due unità, salpate da Livorno, fecero scalo nei porti di: Portoferraio, Lisbona, Brest, Amsterdam, Kiel, Gdynia, Danzica, Londra, Ceuta, Portoferraio e Genova.
Ed ecco due originali, e rare, foto nelle quali puoi ammirare le navi scuola Amerigo Vespucci e Cristoforo Colombo ai tempi in cui navigavano assieme.
Nell’estate del 1933 le due navi, con a bordo gli accademisti livornesi, fecero insieme una crociera d’addestramento in Atlantico che va la pena di ricordare. La diresse lo stesso comandante dell’Accademia, ammiraglio Romeo Bernotti, che alzò la sua insegna sul VESPUCCI, comandata dal capitano di vascello Tommaso Panunzio. La COLOMBO era invece comandata dal capitano di fregata Aristotele Bona.
Il viaggio iniziò a Livorno il 22 giugno e si concluse sempre a Livorno, il 22 ottobre.
Durante i dieci giorni di permanenza nel porto di Baltimora le due navi vennero visitate da migliaia di persone e l’equipaggio ricevette calorosi festeggiamenti dalle autorità e dalla popolazione locale.
SAVOIA MARCHETTI S-55 in partenza da Orbetello per Chicago
Delle quattro grandi crociere aeronautiche italiane negli anni Venti e Trenta la più spettacolare è quella del Decennale, da Orbetello a Chicago, New York e ritorno, con la doppia attraversata dell'Atlantico settentrionale. Siamo nel luglio-agosto del 1933 e Italo Balbo, alla testa di cento uomini e 24 idrovolanti, entra nell'Olimpo dei grandi dell'aviazione.
A new York l’arrivo (il 20 agosto 1933) della COLOMBO e della VESPUCCI coincise con la presenza in quel porto dei nostri sommergibili e delle nostre vedette che avevano scortato la Crociera aerea del decennale di Italo Balbo.
Quanto segue é la libera Traduzione dall’Inglese del sito: Sandro FERUGLIO Website (che ringrazio)
Nel 1934 il Colombo al comando del C.F. Brunetti fece la crociera toccando i seguenti porti, partendo da Livorno: Napoli, Palermo, Tripoli, Haifa, Porto Said, Porto Lago, Messina, la Maddalena, Ajaccio, Golfo Jouan, Marina di Campo, Livorno. Un percorso diverso da quello del VESPUCCI.
Nel 1935, la divisione navale, al comando dell’Amm.di Div. Palladini, fece una campagna addestrativa con un percorso unico per le due navi scuola, partendo da Livorno: Gaeta, Reggio Calabria, Candia, Tripoli D’Asia, Beirut di Siria, Lardo, Rodi, Coo, Portolago, Istambul, Messina, Milazzo, Palermo, Marina di Campo, Livorno. Il comandante del Colombo era il C.F.Correale, il C.V. Bona comandava il VESPUCCI.
Nel 1936 la Divisione navale Navi Scuola era comandata dall’Amm.di Div.Romagna Manoia. Le due navi scuola navigarono insieme toccando i seguenti porti, partendo da Livorno: San Remo, Livorno, La Maddalena, Cagliari, Palermo, Tripoli, Bengasi, Rodi, Navarino, Bari, Castellamare di Stabia, Napoli, Gaeta, Livorno. Al comando del Colombo il C.F.Giorgis, al comando del Vespucci, il C.F.Corsi.
Nel 1937, le due navi scuola comandate da C.F. Giorgis (nave COLOMBO) e C.F.Prelli (Nave VESPUCCI) toccarono i seguenti porti, partendo da Livorno: Siracusa , Brindisi, Cattaro, Ragusa, Riccione, Durazzo, Atene, Lero, Coo, Rodi, Alessandria, Lepts Magna, Tripoli, Tunisi, Napoli, Portoferraio ,Livorno. Comandava la Divisione Navi Scuola l’Amm.Sq.Goiran.
Nel 1938, le due navi scuola fecero la crociera in Nord Europa toccando i seguenti porti: Livorno, La Maddalena, Gibilterra, Kingstown, Oslo, Stoccolma, Amburgo, Plymouth, Gaeta, Livorno. Comandava la squadra il Contramm.Brivonesi, Il Cv. Muffone comandava R.Nave Colombo e Il C.F. Prelli comandava R.N. Vespucci.
Nel 1939, la Divisione Navale Navi Scuola è al comando del Amm.Div. Iachino, le due navi fecero una crociera nel Mediterraneo: Livorno, Alicante Palma, Siracusa, Valona, Durazzo, Riccione, Trieste, Pola, Venezia, Lussino, Pola, Venezia, Canale di Fasana, Venezia. Il Colombo era comandato al C.F.Bigi, mentre il C.F. del Minio comandava R.N.Vespucci.
Nel 1940, a causa degli eventi bellici, le due navi scuola sostarono a Venezia.
Nel 1941 il comando della Divisione Navi Scuola venne assunto dal C.V. Morin, che comandava anche il Vespucci, mentre il colombo era comandato dal C.F. Simola. Alle due navi scuola si aggiunse la Palinuro. Si trattava di un Brigantino-goletta (ex Vila Velebita), una nave scuola confiscata alla Yugoslavia, posta al comando del C.C Lantieri. La crociera delle tre navi si svolse nelle acque nazionali: Pola, Fiume, Veglia, Zara, Sebenico, Lussinpiccolo, Pola.
Nel 1942 il gruppo navi scuola era sempre comandato dal CV.Morin, che comandava anche il Vespucci, mentre il C.F. Baslini era al comando del Colombo, al gruppo navi scuola si aggiunse la ” MARCO POLO” , al comando del C.C. Bertelli (ex-yugoslava ”Jadran”, per maggiori informazioni segui il link:https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/07/4-7-1942-saluti-dalla-regia-nave-scuola-marco-polo/ ). La crociera delle tre navi si svolse in acque nazionali, toccando i seguenti porti: Pola, Fiume, Veglia, Arbe, Cherso, Arsa, Pago, Zara, Lussinpiccolo, Pola.
Nel 1943, al momento dell’armistizio, le tre navi della Divisione Scuola (Colombo, Vespucci e Palinuro), stazionate nel porto di Trieste, furono subito dislocate dal Comando Marina locale a Pola, poiché si erano verificati dei movimenti notturni di truppe tedesche. Anche a Pola, sede importante di numerose scuole della marina, le forze tedesche presenti si allertarono, cosicché alle navi pronte per navigare fu dato l’ordine di partenza. La mattina del 9 settembre le tre navi scuola lasciarono la base navale con l’ordine di raggiungere Cattaro. Un po’ prima di mezzanotte il comandante del VESPUCCI, capitano di Vascello Sebastiano MORIN decise di prendere a rimorchio nave Palinuro, ferma per un’avaria all’apparato motore principale. Il reparto macchine lavorò intensamente tutta la notte al fine di riparare il guasto. Dopo mezzogiorno del 10 il comandante del Palinuro (C.F. Ugo Giudice) comunicò al Comandante Morin che l’efficienza del motore era stata ripristinata, ma chiese il permesso di lasciare il gruppo navale per proseguire verso il porto di Ortona, a motivo che la nave era rimasta a corto di combustibile e necessitava di un rifornimento. Mentre le navi Colombo e Vespucci dirigevano verso Sud, dopo aver ricevuto un messaggio di Supermarina in cui il porto di Cattaro veniva dato per insicuro. Il Palinuro entrò in tarda serata nel porto di Ortona dove venne reso inutilizzabile dall’equipaggio al sopraggiungere delle forze tedesche. Colombo e Vespucci raggiunsero Brindisi.
Terminata la guerra, il COLOMBO riprese la sua attività e, nel mese di novembre 1946, al comando del Capitano di Fregata Giovanni Adalberto, si trovò impegnata in un pericoloso fortunale al largo di Cagliari, che mise a dura prova le qualità nautiche della nave, del comandante e dell’equipaggio, tanto è vero che furono oggetto di un particolare “Elogio” da parte del Ministero della Marina. Un’altra tempesta, che lacerò le vele e fece rischiare il naufragio al COLOMBO avvenne alla fine del mese di gennaio 1947 nella crociera Napoli-Genova. La nave, però, riuscì anche questa volta a ripararsi nel golfo di Juan per poi ancorarsi nei pressi del faro di La Garoupe nella Costa Azzurra.
La nave ad Augusta nel febbraio 1949 in attesa della consegna ai sovietici
Alla fine della guerra il Colombo, in ottemperanza al trattato di pace, dovette essere ceduta all’Unione Sovietica insieme ad altre navi. il 9 febbraio 1949 lasciò il porto di Taranto alla volta di Augusta dove il 12 febbraio passò formalmente in disarmo, ammainando le bandiere della Marina Militare e issando quella della Marina Mercantile in attesa della consegna. Quest’ultimo rappresenta un fatto simbolico ma di estrema importanza morale: in forza di un trattato di pace, l’Italia paga i suoi debiti di guerra con navi “mercantili”, ma non ammaina la bandiera di guerra di navi militari che non si sono arrese al nemico. La CRISTOFORO COLOMBO salpò da Augusta alla volta di Odessa al comando del Capitano di Fregata Serafino Rittore, ufficiale superiore della Regia Marina Militare al quale è stato affidato l’incarico speciale di trasferire l’unità al porto di consegna in Unione Sovietica insieme ad altre unità del secondo gruppo. La CRISTOFORO COLOMBO batte ora bandiera mercantile e il comando è affidato a un ufficiale della Regia Marina ora formalmente in abiti da marittimo civile. Il CRISTOFORO COLOMBO raggiunge la sua destinazione il 2 marzo e ormeggia nella stessa banchina dove già si trovavano l’incrociatore “Duca d’Aosta” e la torpediniera “Fortunale”. All’arrivo in Unione Sovietica al comando dell’unità venne destinato il Capitano di Corvetta Nikolaj Korzun. Il pomeriggio successivo con la consegna formale ai sovietici il tricolore venne ammainato per l’ultima volta.
Fine ingloriosa
IL COLOMBO AD ODESSA
Ribattezzata con il nome Dunaj (Danubio in russo), la nave dopo essere stata consegnata all’Unione Sovietica venne posta ai lavori nel cantiere di Odessa ed i sovietici, allo scopo di cancellare il ricordo dell’italianità della nave, ridipinsero lo scafo di colore grigiastro al posto della colorazione bianca e nera che riportava ai ponti delle batterie dei cannoni tipica dei vascelli da guerra della fine del settecento. Nella Marina Sovietica, la nave, assegnata alla 78ª Brigata di addestramento, venne utilizzata saltuariamente come nave scuola ad Odessa nelle acque del Mar Nero fino al 1959, quando passò alle dipendenze della Scuola Superiore del Ministero della Marina di Leningrado che nel 1960 la destinò all’Istituto Nautico di Odessa. Nel 1961 avrebbe dovuto essere sottoposta ad importanti lavori di manutenzione, che mai furono iniziati; nel frattempo venne disalberata ed adibita a nave trasporto di legname, finché nel 1963 bruciò insieme al suo carico nelle acque sovietiche e poiché venne ritenuto economicamente sconveniente un suo recupero, venne radiata dall’albo delle navi nello stesso anno, restando abbandonata e semidistrutta per altri otto anni fino al 1971, anno nel quale fu definitivamente demolita.
BIBLIOGRAFIA:
NAVI E MARINAI - VOL.III - COGED
STORIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE di Erminio BAGNASCO - ENRICO CERNUSCHI
STORIA DELLA MARINA ITALIANA Nella Seconda Guerra Mondiale di WALTER GHETTI - DVE
STORIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE - Rizzoli
LA NAVE SCUOLA - AMERIGO VESPUCCI di Carlo GATTI
ha compiuto 80 anni ed é ancora la nave più bella del mondo
Carlo GATTI
Rapallo, 6 Maggio 2020
LA SAGA DEI FLORIO
LA SAGA DEI FLORIO
“C’era una volta il SUD…” - Non é un film di Sergio Leone! Quella dei FLORIO é una storia vera, tutta italiana e siciliana in particolare, che é degna di essere raccontata alle nuove generazioni che ormai conoscono il Meridione soltanto attraverso la lente della propaganda che i media “regalano” quotidianamente alla mafia e al malaffare.
La storia dei Florio, la più prestigiosa famiglia siciliana del secondo Ottocento e dei primissimi anni del Novecento, ci racconta di collegamenti con i più alti vertici della finanza e dell’industria internazionale e rapporti con regnanti di tutta Europa. Oggi il loro nome in Italia e all’estero è ricordato soltanto da una marca di liquori: il Marsala e da una corsa automobilistica su strada, la Targa Florio, tra le più antiche d’Europa. Ma per l’immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito; essi rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali quando anche al Sud fiorivano iniziative industriali vincenti.
A quel tempo il nome Florio equivaleva, nel campo della navigazione mercantile, a quello degli Agnelli in quello automobilistico dei decenni successivi, o di Berlusconi nel settore televisivo ai giorni nostri.
Il brand FLORIO era noto in Italia e all’estero, perché i loro cento piroscafi solcavano tutti i mari del mondo e i loro prodotti (vini e tonno in scatola) e molto altro conquistavano i mercati italiani e stranieri.
Ignazio e Paolo Florio iniziano la loro avventura a Bagnara, un paesino della Calabria dove l’unica ricchezza è il mare. Hanno in società con il cognato una barca con la quale fanno il “traffico”, ma dopo l’ennesimo terremoto che distrugge la loro casa decidono di trasferirsi a Palermo, che è già una delle capitali del Mediterraneo.
All’inizio nessuno gli dà credito: sono solo “bagnaroti”, un marchio che gli rimarrà impresso per sempre. Ma i Florio hanno qualcosa in più degli altri, sembrano anticipare le mosse, precorrere i tempi, arrivano per primi, sbaragliano la concorrenza e ci riescono anche quando gli equilibri politici ed economici cambiano durante le sanguinose rivolte libertarie o le repressioni dei Borboni.
Con l’Unità d’Italia il loro avvocato è un tale Giolitti che gli assicurerà prosperità anche dopo l’avvento piemontese. Non gli viene negato nulla, neppure la nobiltà a lungo inseguita per la quale Vincenzo Florio è disposto persino a rinunciare all’amore. Ma loro sono gente autentica; spietati, è vero, ma sanno anche cedere ai sentimenti, così anche l’amore trionferà.
I generazione - Paolo Florio (1772-1807) lasciò Bagnara Calabra a causa del terremoto che colpì la parte della Calabria più vicina allo Stretto di Messina e si trasferì a Palermo.
Il capostipite dimostrò di possedere la vena dell’imprenditore aprendo un negozio di spezie provenienti dalle colonie, tra cui il chinino che serviva a curare la malaria. Quella attività divenne in breve tempo un centro commerciale di primo ordine. Quando morì nel 1807, il fratello Ignazio, dotato anch’egli di grandi capacità imprenditoriali, migliorò l’attività di famiglia decidendo di espandere i propri orizzonti acquistando due tonnare. Prese sotto le proprie ali il nipote Vincenzo, figlio di Paolo, lo fece studiare in Inghilterra ed ebbe l’intuito di avviarlo in quel “mondo particolare” nel quale tutti i Florio dimostreranno il loro valore.
Vincenzo Florio (Bagnara 1799-1868), alla morte dello zio Ignazio, aveva 29 anni e prese in mano il timone dell’azienda di famiglia.
II generazione – Vincenzo Florio approdò a Palermo quando aveva pochi mesi e, crescendo in quell’ambiente famigliare particolarmente ricco di idee, riuscì piano piano a metterne in pratica una buona parte.
La tonnara di Favignana
Nel 1833 intraprese la produzione del celebre vino MARSALA, quella del tabacco e del cotone. Vincenzo acquisì tra le altre tonnare dello zio, anche quella dell’Arenella.
L’unica pecca di Vincenzo fu quella di non intuire le grandi potenzialità economiche che poteva trarre dalle tonnare. Infatti nel 1841 egli prese in affitto dai genovesi Pallavicino la tonnara di Favignana con un contratto di 18 anni. Nonostante l’attività producesse ottimi profitti, nel 1859 Vincenzo rescisse il contratto, facendo subentrare il genovese Giulio Drago nell’affitto di quella tonnara isolana a cui si deve la realizzazione del primo nucleo dello Stabilimento Florio ed importanti innovazioni nel settore della lavorazione del tonno.
C’é da dire che Vincenzo Florio, proprio nel 1841, era impegnato in altre iniziative molto più importanti: come la nascita del Cantiere Navale di Palermo che avrebbe segnato una svolta nella storia industriale della città modificandone la fisionomia e la vita sociale. Fondò a Palermo una fabbrica di macchinari a vapore, l'unica dell'isola e successivamente la fonderia ORETEA, moderna industria metallurgica complementare alle esigenze dell'attività armatoriale. Nella Sicilia preunitaria. Vincenzo Florio fondò in quel periodo anche la Compagnia di navigazione "Società battelli a vapore siciliani" che assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e, naturalmente, tra i diversi porti della Sicilia.
Dopo l'unità d'Italia costituì la "Società Piroscafi Postali" stabilendo una convenzione con il governo.
I collegamenti locali navali si espansero fino a collegare l’America.
Oltreoceano, col supporto d’imprenditori inglesi, fondò la Anglo Sicilian Sulphur Company.
Nel 1868 fu nominato senatore del regno d’Italia. Morì in quello stesso anno lasciando un enorme patrimonio al figlio Ignazio, passato alla storia come Senior, per non confonderlo con l’altro Ignazio che gli successe dopo.
Ignazio Florio Senior
III generazione – Nel 1868 muore Vincenzo e gli succede il figlio Ignazio Senior (Palermo 1838 – 1891) il quale proseguì nel solco tracciato dal padre espandendo e potenziando ancora il giro d’affari di famiglia. Nel 1874 acquistò le isole di Favignana e Formica sperimentando la produzione e vendita di tonno conservato sott’olio e non più sotto sale. Fu un successo enorme!
Sotto la sua guida la Società “FLOTTE RIUNITE FLORIO” divenne la prima Compagnia di Navigazione Italiana.
Ignazio Senior diventò Senatore del Regno d’Italia come il padre Vincenzo.
Ignazio Florio Junior
IV generazione - Quando Ignazio Senior morì nel 1891, lasciò tre figli. Ignazio Junior, il più grande che si assunse l’onere della gestione del patrimonio familiare e lo fece con grande saggezza. Purtroppo il clima storico e politico in cui si trovò ad operare Ignazio junior non era più favorevole come prima, infatti gli affari dei Florio risentirono della situazione politico-sociale della Sicilia all’alba dell’Unità d’Italia e nei primi del ‘900. Ciononostante, Ignazio intraprese alcune nuove attività come la costruzione dei Cantieri Navali a Palermo (ancora oggi esistenti), acquisì miniere di zolfo di Caltanissetta e fece costruire per i malati di tubercolosi la splendida Villa Egea, che porta il nome della figlia, struttura che poi fu trasformata in albergo di lusso tuttora in auge. Uno dei successi maggiori Ignazio junior lo ebbe nella vita privata, sposando l’affascinate e carismatica donna Franca Notarbartolo di S. Giuliano. Bellissima e colta, Franca seppe creare intorno a sé un salotto internazionale di mondanità, raffinatezza e cultura, che divenne il cuore pulsante della società palermitana più “IN”. Ignazio e donna Franca erano famosi per il lusso, per i ricevimenti fatti in onore di personaggi illustri come Gabriele D’Annunzio, il tenore Caruso, lo Zar di Russia, il re d’Italia. L’Imperatore tedesco Guglielmo II fu ospite varie volte dei Florio.
Oltre ad ingrandire i cantieri navali ed i bacini di carenaggio, diede vita al quotidiano L’Ora, il cui primo numero uscì il 22 aprile 1900.
Nel 1906 il Cantiere Navale di Palermo, insieme ai cantieri di Ancona e Muggiano, legati nella loro attività alla società Navigazione Generale Italiana, confluì nella società Cantieri Navali Riuniti, con sede a Genova e successivamente trasformata in Società per Azioni, il 20% delle quali era controllato dalla Terni, a sua volta controllate dalla Banca Commerciale Italiana. Nel 1913 il Cantiere del Muggiano viene rilevato dall'adiacente Cantiere FGIAT-San Giorgio che era stato impiantato nel 1905, uscendo dalla società Cantieri Navali Riuniti.
Nel 1906 entra in scena anche Vincenzo, fratello d’Ignazio Junior rivelandosi un eccellente uomo d’affari, ma anche sportivo ed organizzatore di eventi celebri come la corsa automobilistica denominata “TARGA FLORIO”.
A lui si devono anche il “Giro Aereo di Sicilia” e il “Corso dei Fiori”.
I Florio furono, tra la fine dell’Ottocento e l'inizio del Novecento tra le famiglie più ricche d’Italia. La famiglia disponeva di una flotta di novantanove navi ed un impero che spaziava dalla chimica al vino, dal turismo all'industria del tonno.
Grazie ai Florio, i rapporti tra le due città di mare GENOVA e PALERMO sono sempre stati costanti e duraturi, felici e produttivi. Il padre del giovane Florio, il senatore Ignazio Florio, figlio di Vincenzo aveva costituito la SOCIETA’ NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA, nata dalla fusione dalle FLOTTE FLORIO E RUBATTINO, che aveva costituito la Società Esercizio Bacini, per la gestione di due bacini di carenaggio in costruzione a Genova.
DONNA FRANCA FLORIO
La Regina senza corona
Fotografia di Franca Florio a venti anni
Franca Florio a circa 30 anni:
Grazie alla sua passione automobilistica, Franca aveva dato vita alla rinomata TARGA FLORIO dando il via alla prima gara automobilistica in Sicilia. Una corsa che si sviluppava intorno al circuito delle Madonie con la partecipazione dei più famosi piloti del mondo.
Due fotografie per giornali europei di Franca Florio in cui viene descritta come “the best looking woman of Italy”:
Nota come la 'Regina di Sicilia' e discendente da una delle più nobili famiglie dell'aristocrazia siciliana, donna Franca era infatti l'indiscussa animatrice degli appuntamenti del bel mondo palermitano. Colta, intelligente, la dama parlava fluentemente quattro lingue e la sua eleganza sembra abbia sedotto centinaia di uomini, tra cui Gabriele d'Annunzio e Guglielmo II di Germania, per i quali era rispettivamente l'"Unica" e la "Stella d'Italia". Donna Franca era anche abile imprenditrice che aiutava il marito Ignazio negli affari di famiglia.
'Ritratto di Donna Franca Florio' realizzato da Giovanni Boldini
Per immortalare la bellezza e la grazia della moglie, nel 1901 Ignazio Florio commissionò al pittore ferrarese Giovanni Boldini un dipinto che ne rappresentasse degnamente l’eleganza.
Apriamo ora un breve capitolo di approfondimento dell’aspetto ARMATORIALE DEI FLORIO
Flotte Riunite Florio
Come abbiamo già accennato, Le Flotte Riunite Florio furono una Compagnia di Navigazione di Palermo, nata nel 1840 come Società dei battelli a vapore, ad opera dell'imprenditore Vincenzo FLORIO. Fu incorporata nel 1936 dallo Stato nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.
Sotto il Regno delle Due Sicilie
La Società dei battelli a vapore siciliani nacque nel luglio 1840 per iniziativa di Vincenzo Florio, di Beniamino Ingham, di Gabriele Chiaramonte Bordonaro, che già possedevano battelli a vela, e di un gruppo di più di 120 soci minori.
Nel 1847, Vincenzo Florio fece venire a Palermo dalla Francia il piroscafo "Indépendent", in piena rivoluzione, sotto bandiera francese per essere al riparo dalle navi borboniche. Era nata l'Impresa Ignazio e Vincenzo Florio per la navigazione a vapore. Alla nave fu dato il nome di "Diligente" iniziando regolari viaggi intorno alla Sicilia.
Il Corriere siciliano di Vincenzo Florio (1852), 247 t
Nel 1851 fu ordinato ai cantieri Thompson di Glasgow il "Corriere siciliano", dalla potenza di 250 cv, capace di trasportare un centinaio di passeggeri tra prima e seconda classe. Destinato ad alcune linee mediterranee, arrivava sino a Marsiglia. Poi arrivò un terzo vapore, l'"Etna", di 326 tonnellate di stazza, sempre da Glasgow. Gli fu affidata la concessione del servizio postale tra Napoli e la Sicilia. Un nuovo bastimento, l'"Elettrico", raggiungeva l'eccezionale velocità, per quei tempi, di 13 nodi.
Quando Garibaldi sbarcò la Sicilia, il governo borbonico aveva requisito per il trasporto delle truppe quattro piroscafi della compagnia su cinque, ed uno era affondato al largo di Gaeta.
Dopo l'Unità d'Italia
L'Elettrico di Vincenzo Florio, 344 tonnellate (1859)
Nonostante queste perdite, grazie alle altre attività di famiglia, Vincenzo Florio fu in grado di riorganizzare la compagnia di navigazione: abbandonò la struttura familiare e la ricostituì in forma di Società in accomandita per azioni con un capitale di quattro milioni di lire. Così il 25 agosto 1861, venne costituita la Società in accomandita Piroscafi postali di Ignazio e Vincenzo Florio, con sede a Palermo.
Nel 1862 la Florio fu una delle quattro Compagnie che ottennero sovvenzioni dal governo italiano per il servizio postale: le linee esercite dalla Florio erano: la Palermo-Napoli e il cabotaggio intorno alla Sicilia con puntate verso gli arcipelaghi siciliani, Malta e Tunisi. Nel 1863 erano dodici le unità che componevano la flotta e la compagnia, ottimamente diretta, guadagnò ancora in forza economica e prestigio. Fu acquisita la Compagnia di navigazione a vapore La Trinacria, sorta a Palermo nel 1869 e fallita nel 1876 in conseguenza della crisi economica del 1873.
La convenzione postale del 1877 permise un'ulteriore espansione della Florio, che ormai era una delle uniche due grandi Compagnie di navigazione italiane: l'altra era la RUBATTINO. In tale occasione la società palermitana ottenne il cabotaggio del canale d’Otranto e dello Jonio, con i traghetti Ancona-Zara-Brindisi-Corfù, ma soprattutto ebbe le linee per Salonicco, Smirne, Costantinopoli, e Odessa. Fuori dalla convenzione, nel 1877 Florio inaugurò anche la linea per NEW YORK, che due anni dopo divenne Marsiglia-Palermo-New York.
La fusione con Rubattino
Il 4 settembre 1881 vedeva la luce la NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA N.G.I. (Società Riunite Florio e Rubattino). Ignazio Florio e Raffaele Rubattino conferirono le rispettive imprese ricevendo ciascuno il 40% delle azioni mentre il CREDITO MOBILIARE sottoscrisse il restante 20% del capitale. La sede fu fissata a Roma, mentre Genova e Palermo erano i compartimenti operativi. Coi suoi 83 piroscafi (subito passati ad oltre 100).
La Navigazione generale italiana (N.G.I.) si presentava come il più grande complesso armatoriale mai sorto in Italia.
Pochi anni dopo alcuni armatori genovesi presentarono però offerte più convenienti di quelle della Navigazione Generale per l'assunzione dei servizi convenzionati dallo Stato, mentre la compagnia, non era in grado di acquisire una nuova, grande flotta che sostituisse gli oltre cento bastimenti posseduti e iniziò la crisi. Fallita la N.G.I.
Si apre così l’ultimo capitolo…
Il Novecento, tuttavia, non fu prospero per i Florio. La prima guerra mondiale causò ingenti danni a molte delle attività, in particolare industriali e bancarie, della famiglia. Inoltre, né Ignazio né Vincenzo ebbero eredi maschi che potessero occuparsi direttamente del patrimonio. La prestigiosa famiglia fu costretta, dunque, a iniziare a vendere i propri averi e si ridusse in miseria, seppur mantenendo fama e orgoglio.
Nel 1989 si è spenta Giulia Florio, ultima erede della nota stirpe. Con la sua morte, si è conclusa quella dinastia che per quasi un secolo e mezzo ha regalato a Palermo e a tutta la Sicilia grandi fortune.
Echi dei grandi Armamenti FLORIO ci arrivano ancora…
Nel 1925 Ignazio Florio Jr fondò la Società di Navigazione Flotte Riunite Florio, che si fuse nel 1932 con la Compagnia Italiana Transatlantici per creare la:
Tirrenia - Flotte Riunite Florio - CITRA, poi salvata da FINMARE nel 1936 e nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.
SOPRAVVIVONO I NOMI SUI TRAGHETTI NAZIONALI
VINCENZO FLORIO – RAFFAELE RUBATTINO
nella Soc. TIRRENIA DEL NUOVO MILLENNIO
La classe Vincenzo Florio è composta da due navi traghetto di tipo cruise ferry in servizio per TIRRENIA CIN. La Vincenzo Florio e la Raffaele Rubattino vennero costruite alla fine degli anni '90 nel Cantiere Navale Ferrari di Spezia, ma dopo il fallimento del costruttore, i traghetti vennero terminati in luoghi differenti. La 'Vincenzo Florio' fu ultimata nel Cantiere Navale I.N.M.A. a Spezia, mentre la “Raffaele Rubattino” presso i Nuovi Cantieri Apuania di Marina di Carrara. Le due unità entrarono in servizio nel 1999 e nel 2000 sulla rotta Napoli-Palermo.
VINCENZO FLORIO
RAFFAELE RUBATTINO
Le due navi gemelle hanno le seguenti caratteristiche: RO-PAX – Velocità: 22 nodi. Lunghezza180 mt, Larghezza: 26 mt, Stazza lorda: 31.041. Capacità passeggeri: 1471 passeggeri. Auto: 630
I LIBRI
Per i lettori appassionati dell’argomento, segnalo il LINK di Mare Nostrum Rapallo in cui compaiono i FLORIO in un contesto storico più generale:
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE
DAL 1900 AL 1970 - Visite: 181.650 – Lo studio fu firmato da Carlo Gatti il 20.02.12
Carlo GATTI
Rapallo, 14 Aprile 2020