I CADRAI DEL PORTO DI GENOVA
12 gennaio 1823
Le corporazioni contemplate nella circolare del 12 gennaio corrente, che vantano ancora antichi diritti per il porto sono: Barcajuoli / Calafati e Maestri d’ascia/Minolli/ Cadrai/ Linguisti / Compagnia di Salvataggio / Piloti pratici. Per il Portofranco: Caravana / Facchini di Dogana / I cosiddetti Camaletti nostrali / Cassari / Barilari.
Qualche vecchio genovese, a passeggio nei “caroggi”, ama raccontare di come la pratica del catering – nonostante il nome foresto – affondi le proprie origini tra i moli dell’antica Superba. Ovvero nell’antica Genova cinquecentesca e secentesca, quando gli osti-marinai iniziarono a farsi sotto i bordi delle navi per vendergli – a domicilio – paioli di minestrone fumante.
Il nome storico di questa ormai scomparsa corporazione portuale deriva quindi dal verbo inglese “to cater” da cui la deformazione dialettale: CADRAI-Catrai ossia i “fornitori di cibo tipico della cucina genovese”, che era offerto prevalentemente ai portuali, ma anche agli equipaggi imbarcati sui velieri e sui vapori sparpagliati a ventaglio dalla Lanterna fino alla Darsena, alle Calate Interne e, via via, fino al Molo Vecchio.
Questa rara foto degli Anni ‘30 l’ho avuta in dono dal compianto collega Giancarlo Oddera, Pilota del porto di Genova. I più famosi cadrai dell’epoca si chiamavano “Dria”, “Ruscin” e “Gianello”, un catering ante litteram a disposizione degli operatori portuali impegnati sui velieri ma anche per i marinai che per mesi si erano nutriti di gallette, olive, acciughe, fave, castagne secche e poco altro. L’offerta dei CADRAI veniva trasportata con robusti gozzi a remi e poteva prevedere minestrone, ma anche gnocchi, buridda… Al centro del natante dominava il pentolone di ghisa, e lungo i bordi i piatti fondi, le famose “xatte”, donde l’usuale espressione genovese che allude proprio ad un’abbondante piattata di minestrone.
Si racconta che nella pausa-pasti, i CADRAI girassero col gozzo sopravvento ai velieri per farsi annunciare dal profumo del basilico do menestron. I marinai in crisi di astinenza, dopo le lunghe navigazioni oceaniche, cedevano volentieri a quella forma di propaganda “astuta” che non conosceva ancora gli odierni annunci pubblicitari…
La notorietà dei CADRAI raggiunse il picco più alto negli anni ’20 dell’900, quando il porto era animato da numerose squadre di camalli, chiattaioli e barcaioli che affollavano centinaia di navi e di velieri ormai giunti all’ultimo atto della loro parabola esistenziale. Il Porto Vecchio era intasato di scafi, alberi e vele svolazzanti per asciugarsi al sole; il panorama tra le Calate Interne ed il Molo Vecchio era chiuso in un unico affresco di navi colorate con i loro frenetici equipaggi sempre in bilico tra il desiderio di tornarsene in mare e la tentazione di mangiarsi l’intera paga nei numerosi casini dei vicoli.
Vento di tramontana, canti di terra e di mare, rumori di bighi, pulegge, urla dei caporali sulle boccaporte di stiva, fischi di navi in manovra, profumi di biacca e catrame, ma anche di carichi orientali: “Odô de bon” cantava Faber, un’epopea di terra e di mare che univa ancora il mondo antico della vela a quella del motore sempre più sbuffante e ansioso di entrare nella storia.
Solo pochi scaricatori potevano rifugiarsi e staccare a mezzogiorno nelle osterie di Sottoripa, ma ecco apparire i “Gozzi dei Cadrai o Catrai” che richiamavano l’attenzione del cliente con urli incisivi, e non c’è portuale di una certa età che non ricordi il loro “He! Oh! Gh’è o cadrâi!”.
Il primo giro della giornata era il più importante. Focaccia, vino bianco e le prenotazioni per il pranzo: minestrone, stoccafisso e torte salate della Liguria.
La Gazzetta di Genova del 30 giugno 1921, dedicò la prima pagina ai “CADRAI”, bettoline naviganti.
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Come recita la “Guida del Porto di Genova del 1911” del Festa: “La concessione relativa è rilasciata dal Consorzio del porto di Genova a mezzo di pubbliche gare a scheda segreta… Purché a bordo del battello sia tenuto in permanenza un marittimo, possono concorrere alle gare anche le vedove o le figlie maggiorenni dei cadrai defunti. La concessione ha di solito la durata di 5 anni. I battelli devono avere un numero di colori e dimensioni speciali. Possono circolare ed esercitare liberamente il loro traffico soltanto dal sorgere al tramonto del sole”.
”Stocche e bacilli, stocche e bacilli”! Risuonava sottobordo, e dalle murate calavano pignatte appese a cimette. Tutti i marittimi del mondo apprezzavano lo stoccafisso con i ceci alla genovese ed il vino bianco delle nostre colline e sappiamo, con un po’ di nostalgia, che in ogni angolo del mondo i vecchi marinai usano ancora quelle nostre parole dialettali.
Come tutte le storie romantiche di questo mondo, anche quella dei CADRAI finì piano piano nell’angolo dei ricordi.
Nel 1911 i GOZZI CADRAI erano 40. Nel 1932 ve ne erano soltanto 10, nel 1954 erano ormai solo 3. Mutò rapidamente l’organizzazione portuale che portò ad una nuova pianificazione del lavoro e dei mezzi di carico e scarico delle navi. Più rigidi diventarono i regolamenti d’Igiene Pubblica ed aumentarono le osterie dell’angiporto che sono ancora là in Sottoripa e in via Pré…
Dai vetri colorati schermati da tendine di bordo, s’intravedono ancora le foto sbiadite degli avi CADRAI e dagli angoli di quei muri affumicati affiorano antichi reperti di legni famosi che scalarono il porto di Genova.
Che tempi! Recitava il grande Gilberto Govi.
CARLO GATTI
Le verità storiche di Renzo BAGNASCO
Il basilico che utilizzavano i CADRAI era quello “vero” non l’attuale asfittico e pallido come pollo d’allevamento. Da sempre o meglio, da prima che inventassero le “serre” (circa anni ’30) che nei giorni freddi proteggono il basilico, piantina mediorientale che richiede un minimo di tepore, lo stesso era prodotto nei terreni racchiusi fra Pegli e gli Erzelli (inizio Cornigliano-Ge) , la fascia più temperata di Genova oltre alla piccola e scoscesa Nervi. Pra’, borgo di pescatori, per il vento impetuoso e il freddo che scende dal Basso Piemonte attraverso la Valle del Turchino, ha sempre avuto temperature non idonee alla coltivazione della nostra verde piantina anche nelle notti d’estate. Il basilico era utilizzata principalmente nelle famiglie e nelle osterie, non nei ristoranti alla moda perché considerato piatto triviale. Solo sul finire dell’’800 cominciò ad affacciarsi anche in quei locali e a farsi conoscere però come condimento delle lasagne, da noi chiamate < fazzoletti di seta>, tanto erano sottili e vero vanto della nostra cucina.
Lo Zar di tutte le Russie, una volta assaggiateli, ingaggio dei pastai genovesi a che insegnassero ai suoi come farli. Trainato da loro, il basilico cominciò ad affacciarsi anche nella ristorazione di grido. Oggi è divenuto il simbolo di Genova e, mentre i terreni di Pegli, Sestri e Cornigliano ponente sono stati cancellati dallo sviluppo edilizio di Genova o fagocitati dalle tante strade realizzate, Prà, dotandosi di potenti serre e disponendo di terreno in piano, ancorché nello svincolo del traffico portuale di Voltri, ne ha preso il posto. Per ragioni di “fretta” e di mercato, la piantina viene messa in commercio, radici comprese, ancora verdina e non matura, anche se a quel livello ci è arrivata con “aiutini” chimici acceleranti lo sviluppo e viene “sanata” gassificandolo con vapori di metile di bromuro. Infine oggi, per compiacere alla moda e visto che l’attuale ha gusto che non lo regge, lo si è privato dell’aglio: sacrilegio. E pensare che un tempo era, nei ricettari, denominato <battuto o sapore all’aglio> oppure < pesto d’aglio e basilico>!!! Tanto dovevo farvi sapere per ridimensionare storicamente il ruolo di Pra, oggi unico baluardo di un improbabile basilico, da sempre consumato a foglia “verde” e non “verdina”. Ancora una precisazione: le qualità del basilico sono tante; la nostra si chiama <basilico genovese>, non idoneo per insaporire le pizze, perché troppo delicato per resistere al calore del forno.
Infine, una testimonianza storica tale da variare il pezzo sul basilico, come ho scritto altrove. Un tempo i campi, basilico compreso, venivano concimati da un misto di “rumenta” presa alla Volpara quando tornavano dai Mercati Generali dopo aver portati i loro prodotti, e quel poco stallatico prodotto dalla loro piccola stalla. Questo mix restava qualche giorno a macerare coperto da un telone rabberciato e poi, distribuito sparso nei campi. Non stupisce però che all’epoca il tifo fosse onnipresente.
Rapallo, 16 febbraio 2016