RAPALLINO NELLA TEMPESTA

Tratto dal libro

QUELLI DEL  m/r VORTICE

Carlo Gatti

La bella linea del rimorchiatore oceanico VORTICE.

Il Vortice fu costruito nei Cantieri Navali  “Baglietto” di Viareggio nel 1964. Aveva una stazza lorda di 788 tonn. Misurava  57 metri di lunghezza ed era largo 10 metri. Tra le onde lunghe  dell’oceano, tuttavia, sembrava più corto, perché spariva alla vista di un osservatore occasionale.

Si diceva in giro che, il buon senso, (oppure qualcuno più in alto..), avrebbe dovuto impedirgli d’uscire dal Mediterraneo…

Charly, in seguito ebbe modo di esprimerci la sua opinione in materia:

“Noi, che del Vortice siamo stati inquilini, abbiamo sempre contestato queste  dicerie. Di fatto, il suo trentennale  curriculum ha mostrato agli scettici, sia la longevità della sua poderosa struttura, sia la storia delle sue imprese, che non è stata scritta soltanto da rimorchi e assistenze, ma anche da salvataggi, disincagli e operazioni umanitarie”.

Il Vortice era dotato di una strumentazione nautica di primissimo piano e la sua stazione radio era più potente di quell’installata sulle T/n Michelangelo e Raffaello.

Seimila cavalli di razza erano distribuiti su due motori efficientissimi che, purtroppo, scaricavano la loro potenza verso un solo asse porta-elica, insomma, come una nave qualsiasi. Aveva una proverbiale elica da tiro, disegnata da grandi pale con un passo relativamente piccolo, che gli consentiva lo sfruttamento integrale della sua forza motrice.

Il Vortice sfruttava un eccellente tiro al dinamometro (65 tonnellate) ed aveva in dotazione un verricello eccezionale (troller) sul quale era avvolto (in spire) un cavo (56 m/m di diametro) di 1100 metri di lunghezza.

Il Vortice aveva una limitazione tecnica che faceva impazzire i suoi manovratori:  la  scarsa manovrabilità, tipica dei rimorchiatori di quella generazione che avevano l’inversione di marcia molto lenta.

Spaziosi e comodi erano i suoi locali interni e mostrava di sé un’elegante linea longitudinale che lo rendeva molto simile ad un lussuoso panfilo dei nostri giorni, tuttavia, visto da un’altra prospettiva, la prora appariva chiaramente schiacciata e poco affilata, mancava di slancio  e nell’impatto con l’onda di prua, sbatteva  fragorosamente anziché  sollevarsi sull’onda.

Questa “ingenuità” costruttiva rappresentava un vero problema nel dover  mantenere la rotta stabilita con mare grosso di prua. Il Vortice, inoltre, con un solo motore al minimo dei giri,  esprimeva una velocità troppo alta: sei nodi. Chi sa di queste cose, avrà intuito che il mastino non era fatto né per cavalcare l’onda, né per stare alla cappa. L’unica soluzione, per navigare in sicurezza con il mare grosso di prora, era quella di avanzare bordeggiando.

La navigazione veniva così allungata da percorsi a zig-zag, proprio come i velieri di un tempo che navigavano contro vento con andature di bolina.

Anche gli avviamenti del motore erano molto lenti (30”), e le inversioni di marcia, superiori al minuto primo, erano ancora più stressanti. La manovra era quindi penalizzata ed i suoi comandanti dovevano quindi conoscerlo bene per poterlo anticipare nelle sue reazioni.

In quegli anni, caratterizzati da forti espansioni commerciali ed economiche, tutte le attività connesse allo shipping internazionale decollarono ovunque. La tecnologia ebbe un rapido impulso, e quando il Vortice entrò in linea, nuovi rimorchiatori nord europei erano già stati concepiti e disegnati con due assi, due eliche intubate (Mantello-KORT),  e per le unità superiori ai 100 metri di lunghezza era previsto il Bow thruster (elica di manovra prodiera).

Questi grandi scafi rispondevano, con i doppi sistemi propulsivi, all’attesa domanda di sicurezza contro le sempre presenti avarie e, fatto tecnico notevole, i “comandi dei motori” erano passati sui ponti di comando, direttamente nelle mani dei capitani ottenendo la tanta richiesta rapidità di manovra per affrontare, in tempi rapidi, le molteplici situazioni d’emergenza, che si prospettavano sia in porto che in mare aperto ed in qualsiasi condizione meteorologica.

La storia del Vortice è stata scritta sul mare da tanti equipaggi. Su tutti loro è rimasto impresso un sigillo indelebile, corredato di una “certificazione” che è stata rilasciata dalla più esclusiva Università  Marinara di Genova.

–  Facoltà: Rimorchi d’Altura

Il diploma di laurea però è impresentabile, perché è impregnato di sudore, è sporco del grasso di molte  redance e maniglioni, è unto dall’olio del troller ed è schiacciato da pesanti catene.

Questo mastino genovese, ad oltre quaranta anni dal suo varo, rivive ancora nel cuore di un  club immaginario, dove gli uomini lo ricordano  come una “leggenda”  che, ne siamo certi, un giorno ci sarà  raccontata per intero.

Per gli appassionati della materia, possiamo ancora aggiungere che gli armatori genovesi capirono ben presto che l’ammiraglia era una rispettabile “prima donna”, un fine gioiello estetico tra tanti rozzi e sgraziati esemplari stranieri, ma le sue prestazioni tecniche risultavano alquanto limitate rispetto alle richieste incalzanti dei maggiori  impegni dell’epoca: rimorchi ed assistenze di grandi piattaforme petrolifere, rimorchi ed assistenze di superpetroliere,  concorrenza dei multi-purpose tugs (Supply-Vessel).

La situazione cambiò nel 1968, con l’entrata in linea del M/r Ciclone. Per moltissimi anni, il nuovo rimorchiatore della RR-genovese fu un vero esempio di potenza, manovrabilità e versatilità. Nel frattempo, dal 1964 al 1969, un’orda di poveri cristi dovette confrontarsi ed adattarsi, ad armi impari, con la concorrenza nord-europea, sempre più agguerrita e spietata. “Mai di peggio!” si diceva a quell’epoca…

La Tempesta s’avvicina

Il centro della depressione e l’avvicinamento del VORTICE a New York sono pericolosamente in rotta di collisione.

Il velo notturno, bloccato a ponente da un’entità superiore, tramonta più lentamente del solito. Le tenebre, acquattate dietro l’orizzonte, sembrano intenzionate a frenare le luci dell’alba, forse per non chiarire il suo  infausto progetto. Poi, lentamente, la luce nascente di poppa, scolpisce uno scenario dantesco, che si estende come un arco tra i due traversi del Vortice che procede  verso ponente, cavalcando su onde alte ormai quattro o forse cinque metri.

Il ponte di comando è largo quel tanto che basta per sgranchirsi le gambe tra un’onda e l’altra. Charly usa esercitare questo tipo di footing per sciogliersi i muscoli  e quando il mare monta e ringhia, l’esercizio è utile, almeno così pensa, per  esorcizzarne, con una specie di balletto rituale quella nenia furiosa che annunzia la nuova sfida all’O.K. Corral…

Qui la situazione appare molto più grave, perchè le misure ed il peso dell’avversario sono fuori scala. Charly lo sa e per una sorta di vanto giovanile non lo teme, tuttavia  non osa provocarlo,  neppure con lo sguardo. Il gran match sta per cominciare e Charly non intende svelare le sue strategie né tanto meno le sue emozioni all’avversario che si avvicina minaccioso, a testa bassa, simile più ad un toro gigantesco che carica infuriato, che ad un pugile raffinato che usa colpire sempre  con jabs pungenti, sfuggenti e senza tregua.

Poi, senza alcun preavviso, verso le otto,  il mostro sbuffante apre le sue fauci e mostra i suoi contorni più alti, che paiono scolpiti da mani diaboliche nella nera lava. La sua parte inferiore, ancora lontana, appare invece invitante, affascinante, magica come una grotta di smeraldo, colma d’acqua scintillante… da bere!

La caverna stregata è l’occhio del mostro, che incanta e attira le sue vittime per divorarle senza pietà.

Alle spalle di quell’inferno incalzante c’è il sinuoso fiume Hudson che porta alla festosa New York, con i suoi docks resi celebri da Marlon Brando in “Fronte del Porto” e che Charly rivede ora in trasparenza,  brulicanti di gente festosa e laboriosa. Su quella immaginaria e cromatica tavolozza non mancano le maestose navi passeggeri, i liners giganteschi che ornano, come tanti fiori freschi appena giunti dall’Europa, l’ovale di Manhattan brulicante d’immensi grattacieli che fluttuano come fantasmi sulle note  di West Side Story.

Non è tempo di sognare, il vento forte solleva ormai creste insidiose e disegna con i suoi poderosi artigli, simmetriche graffiate di schiuma  che s’infrangono minacciose sui vetri del ponte di comando e scivolano poi lungo i fianchi dello scafo.

Bobby sale faticosamente sul ponte, cerca la colonna del telegrafo e l’abbraccia con forza per non rotolare a paratia e fissa lo sguardo sul Jack di prora.

“Guardate! Quell’oscuro disegno di prora sembra la costa, invece temo che sia qualcosa di molto più duro e impenetrabile rispetto a ciò che dovremmo (?) vedere domani a quest’ora”.

Il nostromo Zeppin, madido di sudore, stenta a tenere la rotta. La prora, nel precipitare verso l’incavo dell’onda, spiattella attorcigliandosi come un serpente. I colpi del tagliamare sono secchi e sordi nella caduta, lamentosi nel risalire disperato in verticale come un naufrago in cerca d’aria pura verso il cielo aperto.

Da circa un’ora, Charly è in contatto diretto con la sala macchina, modifica i giri dei motori e quindi la velocità per regolare l’andatura sulla frequenza del treno d’onde.  Il Vortice è entrato ormai nel raggio del vento forte ed è costretto a navigare e manovrare d’emergenza per non collidere e spaccarsi contro un fronte che appare troppo grande ed avvolgente, come un agguato premeditato che abbia previsto ogni via di fuga.

Charly rimane in posizione d’attesa: alla cappa in mezzo al ring, nella speranza di un’improbabile clemenza dell’avversario o di una più improbabile sospensione del match, per la manifesta inferiorità di un imprudente e vanitoso sfidante.

L’equipaggio, assicurata la chiusura di tutte le aperture dello scafo, corazzati gli oblò e bloccati tutti i tipi d’attrezzature esterne e interne, si è radunato nel caruggio centrale. Nessuno è solo e tutti sono pronti per il peggio…

In sala macchine  il d.m. Gianni Emmaus, insieme al 3° macchinista e due ingrassatori, risponde agli ordini del telegrafo, ma i loro timori sono concentrati sul controllo dell’osteriggio, sul quale piombano fragorose tonnellate di mare e sullo scafo che sale e scende ad intervalli irregolari come un ascensore impazzito, in preda al delirio.

Radio-poppa (l’immancabile centrale del gossip di bordo) informa che presto  scoppierà l’inferno, ma non tralascia d’avvertire che Charly non regalerà niente a nessuno.  “Che cos’è, una sfida o una rinuncia?”

– Qualcuno ribatte –

L’equipaggio, ancora baldanzoso, appare ora diviso su quelle strane previsioni.

Chi  conosce bene il comandante afferma:

“E’ un uomo che non molla mai e poi conosce questi mari come pochi. Ha moglie e quattro figli, non può fare cazzate…”

Chi lo conosce meno ribatte:

“E’ giovane ed anche in gamba. Spero che non voglia fare carriera o peggio ancora  giocare con  le nostre vite”.

Verso le undici il barometro è in caduta libera: 950 mbrs e Charly scruta quel valore, come un segugio fiuta la sua preda, ma  la sua attenzione è catturata ancora una volta da un fruscio proveniente dallo scaffale delle bandiere e Charly trova così il modo di sfogare sul folletto le sue ansie…

“Zagallo hai finito di fare il gradasso e di prenderci in giro? Adesso hai paura fanfarone?”

“Ti ricordi Charly cosa diceva l’amico B. Pascal?”

– chiede sarcastico Zagallo –

“In questo momento ho altro da pensare!”

– farfuglia confuso Charly –

“E allora te lo ricordo io, besugo! Il Padre Eterno ti ha dato un cervello piccolo per risolvere soltanto i problemi di giornata… Guarda infatti dove ci hai portato! Ma ti ha anche dato un cuore infinito per capire tutto il resto!”

– Charly rimane spiazzato e abbassando il tono della voce azzarda:

“Non mi sembra che abbia detto proprio così! In ogni modo, cosa vorresti dire? Dai! Non fare il difficile e sbrigati, ho poco tempo!”

– “Voglio dire” – incalza il folletto –

che qui non ci rimane altro… che pregare!!”

Il muro avanza nella bonaccia. Siamo nell’occhio del Ciclone

Il Vortice si trova proprio nel centro della depressione diffusa e riportata nel bollettino meteo americano.

Di prora riappare a tinte evanescenti, proprio come un miraggio, quel lago azzurro smeraldo. Si tratta dell’occhio ammaliatore che tanti marinai, prima del Vortice, ha già attirato e divorato nelle sue viscere infernali come vittime sacrificali.

Il Vortice, simile ad un puledro appena domato, si trova improvvisamente nella più surreale  bonaccia di vento e di mare; frena guardingo, si solleva ancora una volta, si scrolla il sudore di dosso, sbuffa e sconcertato per la falsa accoglienza si blocca d’istinto.

Charly sa che la straordinaria “grotta azzurra” è un’infida trappola, zeppa di secche e senza vita. Così come teme che pochi al mondo, o forse nessuno abbia mai potuto  raccontare d’essere uscito vivo dall’occhio di una simile tempesta…

La respirazione è diventata nel frattempo tremendamente difficile.

Sergio, il 1° macchinista, con il suo incedere atletico da cintura nera di Judo,  entra deciso in timoneria per chiedere se i guai sono finiti, ma s’accorge presto di non riuscire ad emettere suoni; è come se, improvvisamente, il Vortice fosse salito di quota verso l’aria  rarefatta di una vetta  sopra i tremila metri.  Qualsiasi movimento è frenato, frustrante e soffocante.

Charly, superato mentalmente l’incantesimo di quella magia, fiuta appena in tempo il tragico pericolo incalzante. Reagisce prontamente con rabbia e, strappando l’interfonico dal suo alloggio, urla all’equipaggio di tenersi forte, con tutta la forza possibile. Avverte la macchina di rimanere attaccati ai comandi:

“Presto  manovreremo per la vita.

Un muro nero e gigantesco si sta avvicinando a folle velocità!”

Chi può in quei reali frangenti, riportare un po’ di sereno in quegli animi scoraggiati e disperati? I veri marinai hanno paura del mare. Chi, più dei marinai sa gestire la paura che non è rassegnazione o fatalità, ma freddezza  e  calma interiore che provengono da una preghiera?

I marinai vivono positivamente la solitudine e sono dei veri esperti nel ritrovare dentro di sé  quella fermezza che li soccorre, sempre, nella tragicità di certi episodi. Questa forza d’animo, per alcuni si chiama  Madonna di Montallegro, per altri della Guardia, del Boschetto oppure lo stesso… Dio Misericordioso.

Poi, si sa! Ritornato il sereno, riemerge uno strano pudore ed i santi invocati diventano: destino, fatalità o addirittura bravura umana…”Parola di marinaio?”

Sul Vortice, anche i più duri di cuore ed i più ostinati di cervello si piegano e, tenendosi stretti l’uno all’altro, pregano. Chi in silenzio, chi ad alta voce.

Quella vulcanica ombra grigia che Charly vede avanzare terrificante come l’incubo di “Una notte sul Monte Calvo”, non è una montagna staccatasi dal continente, neppure il più mastodontico dei piovaschi apparso sulla terra. E’ un’onda di proporzioni catastrofiche!

Ecco il volto della morte!

Sogghigna Charly.

Mancano cento metri all’inevitabile inghiottimento e i tre uomini sul ponte di comando possono soltanto guardare attoniti l’immensa cresta bianca veleggiare ad  altezze celestiali. Già!! Proprio verso quel cielo che  sembra averli abbandonati per sempre.

La collisione avviene dopo qualche istante ed il Vortice, come un infimo Golia, s’impenna in verticale e fiero soltanto della sua gioventù, penetra il mostro infilzandolo nel ventre, ad un terzo della sua altezza.

E poi c’è il buio più totale! Profondo! Abissale!

Lunghissimo come il film della propria vita che scorre lucido, senza fretta, tra gli affetti lasciati per sempre.

Un enorme scroscio d’acqua precipita sopra lo scafo e tuona come un’esplosione. Il Vortice, schiacciato da una pressa gigantesca, è  risucchiato verso gli abissi. Poi, carico d’aria, si ferma di schianto,  ha ancora una stridula impennata e comincia a salire lentamente, emana flebili ruggiti, come un vecchio leone schiacciato da un branco d’elefanti. Segue un sussulto rapido e poi risale a pallone, urlando insieme al suo equipaggio che percepisce la salvezza. Il VORTICE è ferito gravemente.  Tonnellate di mare diabolico sono entrate dappertutto portando l’umiliazione e la devastazione.

Il Miracolo.

Quando la fine sembra ormai giunta, improvvisamente avviene  il miracolo. La risurrezione dagli abissi si attua con un’insperata emersione, col rivedere improvvisamente la luce e con i comandi del Vortice che rispondono ancora.

In queste fasi distinte, ma collegate strettamente tra loro, c’è il ritorno alla vita.

I miracoli purtroppo non si ripetono, almeno per i comuni mortali.

Charly lo teme, si avventa sull’interfonico ed urla alla macchina:

“Datemi  “tutta forza ripetuta e con la massima urgenza.  Dobbiamo volare!”

Il mostro, sicuro ormai della vittoria, non dà tregua. Il colpo di maglio, simile al precedente,  è già lì, sospeso, statuario, in posa arcuata, a poche decine di metri, urlante d’odio, ghignante nella sua immensità. Il suo martello è pronto a sferrare con micidiale crudeltà  l’ultimo colpo su l’ignobile ed arrogante insetto che ha osato sfidarlo.

Charly balza come un giaguaro sulla ruota del timone  e grida a Zeppin:

TUTTA A SINISTRA

insieme,  in un abbraccio terrificante e sovraumano, s’avvinghiano urlando appesi alle caviglie della ruota che vibra al limite della rottura. Nella rotazione forzata degli ingranaggi, caldi guizzi d’olio sprizzano sui loro volti già intrisi di sudore.

Bobby abbassa ancora la leva del telegrafo e ripete l’ordine con rabbia :

Tutta forza avanti

Il Vortice parte come una poderosa cannonata ed accosta piegandosi sul fianco sinistro, appiccicato a quella parete livida, perfettamente verticale e levigata come la pista di un circo di periferia.

In quella curva perfettamente circolare, impressa nell’onda densa come un muro, c’è l’ultima speranza.

Chi può dirlo di preciso?  La sensazione è quella di un vero e proprio tuffo in una rotazione avvitata. Attimi di terrore! Il rumore dei motori è sparito, è racchiuso, ovattato nel tunnel verde che lo avvolge a spirale come un serpente che sta per soffocarlo.

Il ponte di comando, sbandato al limite del rovesciamento, perde ogni riferimento visivo e ogni  connotazione nautica.

Stivali, incerate, strumenti, sgabelli, bandiere, coperchi, tazze e tazzine sono rimescolati, sparpagliati dal mare vivo e poi lanciati senza mirare come micidiali proiettili impazziti.

Il Vortice è riuscito a girarsi e mettersi il mare in poppa!

Ma l’onda implacabile lo insegue e quando lo raggiunge gli scarica poi il suo macigno dall’alto di quella collina assetata di sangue. La cresta, come una fragorosa valanga,  colpisce in pieno la poppa del Vortice che pare staccarsi di netto dal resto dello scafo. La prora, ormai sfuggente, reagisce arrampicandosi in alto, svirgolando come un rettile impaurito che sottrae la sua coda al predatore.

Lo sforzo di Zeppin, Bobby e Charly sulla ruota del timone è immane e forse volutamente esibizionista, plateale, pensò Charly:

“A quel mostro bastardo ed infernale non possiamo che mostrare il volto della nostra sofferenza, del nostro coraggio e quella parte “assistita” della nostra debole intelligenza umana”.

Tra i vetri appannati e striati di bianco,  le ombre  nere  di tre marinai  lottano ancora, confusamente attorcigliati. E’ l’unico segno di vita! Il Vortice è ingovernabile, ma non può traversarsi alle onde. Il timone è diventato una ruota  di pietra. Nella rinata speranza di vita, quegli uomini veri triplicano le  forze ormai esaurite e, dall’Isola dei morti ritornano lentamente alla vita.

Il Vortice ha girato la prora di 180° ed aspetta il passaggio

della tempesta.

Il Vortice ed il suo equipaggio sono ora un ammasso violentato, ammaccato e ferito, ma ancora uniti nei colpi ricevuti, in parti eguali. Tutti a bordo hanno lottato. Nessuno ha deluso l’altro. Ognuno ha dato il massimo di sé, con estremo coraggio ed ora insieme hanno messo le ali.

La musica tambureggiante, scolpita, asimmetrica ed imprevedibile di Prokofiev, lascia la ribalta e, in virtù di un’altra magia, le prorompenti Walkirie fanno il loro ingresso sul nuovo palcoscenico, nella  trionfale cavalcata liberatrice di Wagner.

Sospeso come un falco che prende l’ultimo fiato, il Vortice scivola ora in picchiata verso il basso, sparisce e riemerge come un grosso pallone grondante di verde-oceano e striato di schiuma biancastra. Poi risale planando dolcemente alle massime altezze, per restare immobile alcuni istanti sulla cresta dell’onda, e infine precipita a folle velocità, con una schioccante panciata…. .

Il mostro ci ha pestato ed ora ci prende per il culo. Ci culla e ci spinge, ci risucchia, ci schiaffeggia, ci accarezza e ci scrolla come ragazzini sulla spiaggia dei Cavi in una giornata di burrasca”.

Ammette Charly,  cui non  restano che vuote  parole per frenare l’emozione, un vago senso di sconfitta e tanta stanchezza.

Il Vortice naviga ora verso casa,  con un assetto poco virile. Sbandando e sculettando vistosamente, si ritira verso il suo angolo, dolorante come un pugile colpito e frastornato dai colpi.

L’equipaggio è a pezzi, ma vivo, è stato salvato da un “gong celeste” ed è fiero  per le manovre fortunate del suo capitano.

Quel silenzio colmo di sagge meditazioni esistenziali è rotto, ben presto, da un urlo incontenibile di gioia, che sale dal carruggio del Vortice, e prende ancora più forza nella tromba delle scale.

“Hip-Hip-Hurrà !! “ Forse per esorcizzare il drago che sputa ancora fiamme e vapori sulfurei,  ma non fa più paura a nessuno.

Hip-Hip-Hurrà !!”  Forse per ringraziare il Cielo del dono ricevuto.

“Hip-Hip-Hurrà !!”   Per un brindisi di Champagne alla gioia di vivere.

Con una ritirata strategica, la prima parte della spedizione prende una piega assolutamente atipica ed  il Vortice, esibendosi in  un insolito surf Atlantico, si fa sberleffi della tempesta. Alla comprensibile paura dell’equipaggio, subentra la reazione nervosa, che mira ora al recupero d’energie ed alla rivincita su un avverso destino, mediante un gioco ancora pericoloso, ma affascinante.

Dopo l’accostata di 180°, l’ammiraglia si mette la tempesta in poppa, ma questo percorso a ritroso è fatto di miglia già percorse e, per limitarne l’accumulo, Charly sceglie la più bassa velocità possibile per governare, con un solo motore al minimo dei giri.

La tempesta  spinge ancora forte di  poppa e scarica, talvolta, sullo scafo  onde ancora più alte che, un Vortice sprezzante e altezzoso, respinge ormai sicuro di sé, fuggendo a zig zag come una lepre sulle colline di  Carpenissone. Il solcometro, purtroppo, segna 12 nodi di velocità, il doppio di quella registrata con mare calmo e con lo stesso numero di giri-motore. Sembra impossibile, ma il Vortice sta volando.

Passata è la tempesta…

Carlo GATTI

Rapallo, 23.04.12