Da Mathausen a Rapallo

L’INCREDIBILE STORIA  DI

BENEDETTO BOZZO

PILOTA DEL PORTO DI GENOVA

Quando si parla della Seconda guerra mondiale, per noi di una certa età, si apre automaticamente l’album dei ricordi e se il discorso cade su un protagonista rapallese di grande tradizione marinara camoglina, allora l’emozione sale ed il desiderio di raccontarvela diventa insopprimibile.

1938 – Un gruppo di Piloti in uscita dal Porto di Genova. Benedetto Bozzo è il secondo da destra.

Benedetto Bozzo nacque a Genova il 3.10.1897, ebbe il grado di S.T. di Vascello nella Marina Militare e in seguito navigò come ufficiale della Marina Mercantile. Vinse il Concorso per “Pilota del porto di Genova” – Fu nominato Aspirante Pilota l’8.8.1929 e divenne Pilota effettivo il 9.8.1930. Durante la Seconda guerra mondiale fu militarizzato ed inviato a Corinto ad esercitare il pilotaggio nell’omonimo canale.

Nei giorni successivi l’otto settembre 1943, Benedetto fu arrestato dai tedeschi e fu internato a Matthausen. Qui, dopo incredibili sofferenze, fu dichiarato idoneo soltanto per accedere alla camera a gas. Ma all’ultimo momento accadde un fatto davvero sconcertante.

Il comandante (militarizzato) Heinz Schwarzmüller della nave passeggeri tedesca “BERLIN”, che il pilota Bozzo aveva tante volte brillantemente ormeggiato a Ponte dei Mille, sotto i colpi della tramontana, lo riconobbe e a questo punto si aprì un incredibile capitolo umano.

Mathausen – Posto di Guardia

L’ufficiale tedesco aveva scalato mensilmente il Porto di Genova per tutti gli anni trenta, amava il nostro paese e parlava un buon italiano, ma quando ebbe inizio la guerra, fu richiamato sotto le armi e in breve tempo si specializzò in una materia che lo aveva visto lentamente trasformarsi in un aguzzino crudele e abbruttito dallo stesso scempio umano che si consumava nel lager austriaco che, con Auschwitz, acquisì per sempre la fama di “sentina della Storia”.

Tuttavia, in quella tragica storia dell’orrore messa in scena a Matthausen successe qualcosa d’impensabile: il comandante tedesco fu profondamente colpito dalla stucchevole coincidenza di quell’incontro con Benedetto.

Inizialmente, temendo di non poter controllare la propria reazione emotiva e cadere egli stesso nella rete delle SS con l’accusa di tradimento, pensò di passare la pratica ad un altro ufficiale, ma presto cadde vittima, a sua volta, di crescenti sensi di colpa ed invertì la rotta.

Posti uno di fronte all’altro alla presenza di un ufficiale della Gestapo, Heinz tenne un contegno irreprensibile, ma iniziò nel suo inconscio un vero e proprio ripensamento esistenziale. I primi interrogatori avvennero con la massima cautela, tra lunghe pause d’evidente sconcerto, evitando d’incrociare gli sguardi, ma dopo alcuni giorni di routine e d’approfonditi accertamenti tesi a perdere tempo… le maglie della sorveglianza dei Servizi Segreti si allentarono ed i primi segni della loro vecchia amicizia cominciarono a manifestarsi con prudenti occhiate di complicità.

Per la verità, l’ex comandante del Berlin non aveva mai condiviso, come quasi tutti gli ufficiali della Kriegsmarine, la politica del Fürher e dei suoi fedeli sgherri della Gestapo, tuttavia, confuso ed accecato dalla martellante propaganda aveva dovuto in qualche modo accettare il nuovo ruolo per sopravvivere e, suo malgrado, lo aveva fatto nascondendo la propria coscienza nella nicchia più famosa del mondo per la sua efferatezza e crudeltà.

Pieni di tristezza e stupore, Benedetto e Heinz intravidero cautamente uno sprazzo di luce che si ribellava e urlava vendetta, giustizia, amore e solidarietà in quel lager infernale che fu l’ultimo atto beffardo di un dramma assurdo, recitato in modo atroce da personaggi diabolici degni di Hitler, un paranoico che aveva inondato il mondo di pura follia, annullando il senso della vita in milioni di coscienze.

Dopo qualche giorno, l’ufficiale tedesco, pur trovandosi in una posizione di forza, cedette per primo alla commozione e trovò il modo di stringere le mani ormai scarne di Benedetto. Due uomini di mare, divisi, stanchi e provati si trovavano ancora, per ironia della sorte, uno vicino all’altro, in balia dei capricci della storia e della morte e giunse pure il momento per un abbraccio fraterno.

Tuttavia, sulla scheda di Benedetto era scritto:

“arrestato per sabotaggio contro il Terzo Reich”

Il suo destino era segnato. Costretto a sopravvivere fin dall’inizio nelle baracche di legno più malsane e debilitanti del lager, di giorno lavorava presso le miniere della zona e quando non si resse più in piedi fu programmata la sua eliminazione nella camera a gas.

Gli eventi, purtroppo, dipendevano ancora dalla follia di Hitler che proiettava la sua ombra infernale su Matthausen, dove ogni forma d’eliminazione umana era studiata e poi attuata secondo le esigenze: torture, fucilazioni, impiccagioni, tiro al bersaglio, uso di gas e quando i plotoni d’esecuzione andavano in licenza, gli internati erano lasciati morire senza acqua e cibo, offrendo di sé il disumano spettacolo di vagare nei lager senza meta, come larve umane senza peso.

Lager austriaco di Mattahusen – Baracche degli internati.

Sopra quest’indicibile sofferenza fisica e morale, improvvisamente, sbocciò un fiore. Dentro una baracca infestata di topi, insetti d’ogni tipo, fame e sete, dissenteria, odio, fucilazioni, torture e urli di dolore, si sprigionò una speranza per Benedetto.

Tutto sarebbe stato ormai deciso se il buon Dio non gli avesse inviato un “messaggero” chiamato Schwarzmüller, negli occhi del quale fece calare una luce che improvvisamente gli procurò una visione limpida e obiettiva.

Heinz si sentì improvvisamente nudo di fronte alla vita e alla morte e decise nel suo profondo di ammantarsi di questa luce che gli illuminò il cuore e la mente. Finalmente capì che dietro ad ogni prigioniero del campo di sterminio c’era un’anima umiliata come quella di Benedetto che, piccolo marinaio italiano, gli aveva salvato tante volte la nave dai danni di manovra.

Heinz eliminò ogni tentennamento, decise di prendere nuovamente il “comando” virtuale del Berlin ed accettò con gran coraggio i rischi d’affrontare la Gestapo sul suo stesso terreno, pur di salvare il suo vecchio amico italiano.

Il pilota del porto di Genova non rivelò mai a nessuno la strategia inventata e messa in pratica dal suo “salvatore”, tuttavia, Benedetto Bozzo rientrò a Genova nel 1945 e sebbene minato nel fisico, continuò a salire e scendere le biscagline delle navi fino al 6.12.1958.

Il sopravvissuto di Matthausen, già dal dopoguerra, scelse di vivere il resto della sua vita nel posto più bello del mondo, così sosteneva il pilota, e venne a vivere a Rapallo dove si spense in Via Privata Gattorno il 6 dicembre 1968.

Carlo GATTI

Rapallo, 13.04.11