A 50 ANNI DALLA MORTE DI
GILBERTO GOVI
A cinquant’anni dalla sua scomparsa, Genova celebra Gilberto Govi (1885-1966) con il progetto Gilberto Govi. Cinquant’anni dopo, ideato da Eugenio Buonaccorsi e realizzato dal Comune di Genova per onorare la vitalità del fondatore del teatro dialettale genovese e per tentare una lettura organica della sua multiforme attività.
Cinquant’anni dopo la sua morte, Gilberto Govi continua a rappresentare una delle figure più note e amate della nostra città, un simbolo con cui viene identificata l’anima della terra ligure. Govi ha utilizzato strumenti che sono quelli universali del grande teatro: una strepitosa mimica facciale, toni stralunati, ritmi straordinariamente efficaci delle battute e caratteri così forti e definiti nei suoi personaggi da costruire un’immagine “storica” di Genova e del genovese, che si è diffusa in tutto il mondo.
Lina Volonghi era solita ripetere: “Quando la gente e i critici lodano il mio senso di responsabilità e disciplina, lodano Gilberto Govi. Da lui ho imparato i tempi comici, il rispetto per il pubblico, il donarsi con estrema semplicità e grande sacrificio.”
Segue una testimonianza di Renzo Bagnasco
Faro di Punta Vagno – Genova
I giardini che portano il nome del grande commediografo genovese Gilberto Govi risalgono agli anni Ottanta.
Chi arriva o parte da Genova per nave, entrando o uscendo dal porto proprio sotto il faro di Punta Vagno, dove i piloti vanno ad accogliere le navi, non si accorge di essere sornionamente osservato da chi questa Città ha meglio rappresentato: l’attore Gilberto Govi, la cui statua è collocata nei giardini a lui intestati (li volle entrambi l’allora Sindaco Cerofolini, genovese doc).
Recitando in tutta Italia ci rese simpatici anche oltre confine, come vedremo fra poco. Genova, che qualcuno definì “matrigna”, pare non se lo sia più ricordato, proprio quest’anno che il 26 Aprile ricorreva il cinquantenario dalla morte. Non esiste di quella statua una cartolina che la ritragga fra le curiosità attrattive ne nessuna TV locale la inquadra mai, e credo, neppure la pagina genovese de IL SECOLO XIX l’ha mai segnalata, e allora lo facciamo noi con modestia, ma con l’amore verso questa nostra terra e lo vogliamo ricordare con un episodio inedito.
Nel 1981 visto che nessuno ne parlava più anche se le sue commedie per televisione erano seguite, noi (in allora) di Tele Genova prendemmo l’iniziativa di erigergli una statua. Si mobilitarono Vito Elio Petrucci e parecchi fra i più grandi cantautori e personaggi genovesi per, attraverso trasmissioni mirate, raccogliere fondi: dal grande cuore dei genovesi non arrivò una lira ma per fortuna intervennero le Banche e la statua fu realizzata dal Professor Stelvio Pestelli. Non fu compito facile perché ognuno vedeva Govi in base al personaggio che più gli era rimasto in mente, ma lui se ritratto come era, non lo avrebbe riconosciuto nessuno: si trovò un compromesso. Saputa la notizia, l’Associazione dei Liguri in Ticino, la vollero colà per esporla nella piazza delle Banche a Lugano.
Vi rimase una settimana fra la partecipazione di tutta la Città. Nell’occasione venne presentato dagli autori presso la locale importante libreria Melisa, il volume appena stampato < Lui Govi > di Vito Elio Petrucci e Cesare Viazzi con foto di Leoni, il fotografo che immortalò tutta Genova. Nel Palacongressi di Lugano proiettarono il film “Diavolo in convento”, e l’ultima sera vi fu uno spettacolo, sempre nel Palacongressi, presentato e coordinato da Pier Antonio Zannoni della Rai e vi parteciparono Petrucci, illustrando Govi come attore, il Maestro Renato de Barbieri suonò sul suo Guarnieri del Gesù alcuni Capricci di Paganini e la sua performance venne ripresa, come per altro il resto, dalla Televisione della Svizzera Italiana ma la sua fu irradiata anche in mezza Europa. In fine il Professore Mantero, il mago della mano di Savona, illustrò il risultato dei suoi studi sulle mani iperattive di Paganini affetto, secondo i suoi risultati, dal morbo di Alfan che lentamente rilassa le giunture con esito finale, per fortuna ormai solo a quei tempi, ineluttabili proprio come accadde al grande Maestro. Rientrammo, dopo questa settimana “genovese”, con statua e fondi colà raccolti che ci permisero di pagare tutti i debiti.
Perché però noi, a vario titolo gente di mare, parliamo di Govi oltre le premesse ?: perché lui spesso rappresentò un operatore del porto che portò a far conoscere a tutti i “furesti”, l’esistenza dei frugali “scagni”, vero cuore pulsante del porto di allora, ma altrove sconosciuti. Non dimentichiamo che, a quei tempi, si vendevano o si compravano navi di grano solo cavando dalle tasche in Piazza Banchi una manciata di ‘manitoba’ e, con una stretta di mano, l’affare era concluso quindi, più ‘nostro’ di così; ma non basta perche interpretò anche il ruolo di Giovanni Bevilacqua armatore e comandante (un tempo usava, ne sanno qualcosa i Camoglini attraverso i “carati”) nella sua indimenticabile commedia <Colpi di timone>.
BIOGRAFIA DI GILBERTO GOVI
“Si, sono genovese, anche se vanno stampando che non lo sono e se volete sincerarvene andate all’anagrafe!”
Gilberto Govi, al secolo Amerigo Armando, nasce nel popolare quartiere di Castelletto a Genova il 22 ottobre 1885, in via S. Ugo n. 13, da Anselmo, un funzionario delle Ferrovie di Modena, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny. Gli viene dato il nome Gilberto in onore di un suo zio paterno: uno scienziato a cui é tuttora dedicata una via nella città di Parma.
Frequenta le scuole insieme al fratello Amleto, ma durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno e attore dilettante Torquato inizia ad appassionarsi a divertirsi nel vederlo recitare. L’amore per quest’arte cresce sempre più, nonostante il padre desideri per lui una carriera nelle Ferrovie, e a dodici anni, nel 1897, recita già in una filodrammatica.
Il giovane Gilberto, ha la passione per il disegno e le caricature e frequenta per tre anni l’Accademia di Belle Arti, trovando poi lavoro come disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi all’età di sedici anni. Dopo alcune esibizioni in un teatro di Bolzaneto, Govi s’iscrive all’Accademia filodrammatica del teatro “Nazionale” in stradone Sant’Agostino, un ambiente che Gilberto Govi considera tetro e dove é costretto a recitare in corretto italiano, in continua lotta con le regole di dizione. Ma le sue qualità di attore sono già avvertibili, tanto che alcuni critici ne rimangono colpiti. Questo però non basta a soddisfare Govi che nel sangue ha il dialetto.
La sua massima aspirazione é quella di entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli, e quando questi ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione fu talmente entusiasta della sua figura e dei suoi personaggi che lo stimolerà a proseguire la carriera suggerendogli di fondare un vero e proprio teatro dialettale genovese, che a quei tempi non aveva una tradizione consolidata. Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, nel 1914 mette su una compagnia chiamata proprio la “Dialettale” che, dopo i primi spettacoli, riporta notevoli successi a Sampierdarena, a Sestri P. e perfino a Chiavari e Savona. Ma qui iniziano a nascere i contrasti con l’Accademia che gli pone un ultimatum: o dire addio al dialetto, o all’Accademia. Govi decide per il dialetto e si fa espellere dall’Accademia nel 1916, insieme a tutta la compagnia, dando vita ufficialmente al teatro genovese. L’attore verrà poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931.
Gilberto si innamora di Caterina Franchi in arte Rina Gajoni, creatrice applaudita della popolare macchietta della “Luigina”, un’attrice del suo gruppo, che aveva conosciuto nel 1911 per la prima volta e la sposa con una cerimonia intima e riservata il 26 settembre 1917. Rina Gajoni sarà sempre al suo fianco anche come partner nella compagnia teatrale e i due rimangono insieme fino alla fine, per 49 anni.
Govi fonda quindi una nuova compagnia: la “Compagnia dialettale genovese” e, dopo il debutto al teatro Paganini, inizia ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi, con una prima sortita a Torino nel 1917. Dopo un lungo apprendistato il successo a livello nazionale arriva nel 1923 quando Govi presenta al teatro Filodrammatici di Milano la commedia “I manezzi pe’ majà na figgia” di Nicolò Bacigalupo. Anche il “Corriere della Sera” ne fa una buona recensione. Il successo ottenuto però non gli monta la testa: per due anni ancora mantiene il suo impiego alternando il palcoscenico al tavolo di lavoro alle Officine. Lascia il mestiere di disegnatore solo alla fine del 1923 per dedicarsi completamente al teatro, ma gli inizi non sono facili, soprattutto per la scelta del repertorio da rappresentare, ma in breve tempo supera le difficoltà con uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, come Niccolò Bacicalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Aquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez, e tanti altri.
Tutti i testi che vengono scelti sono poi modificati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattano anticipatamente per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi sono poi tradotti dall’attore in rigoroso dialetto genovese. Inoltre la sua abilità di disegnatore gli permette di inventare le maschere da cui nascono i personaggi da portare in scena. Disegna una serie di locandine con il suo volto, tracciato dalla sua mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, ed in ogni sua ruga ed espressione, che vengono esposte nei foyer dei teatri nei quali si esibisce come una galleria di quadri che entusiasma ulteriormente gli spettatori gratificandoli di un valore aggiunto.
Il 1926 vede il teatro genovese varcare i confini nazionali con una tourné e in Argentina e Uruguay dove riscuote applausi oceanici. Là trova infatti numerosi genovesi emigrati. Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78 commedie (alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise anche su vinile) tra le quali si ricordano “Pignasecca e Pignaverde”, “Colpi di timone”, “Maneggi per maritare una figliola”.
Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sua carriera é sempre in crescita, con varie tourné teatrali sia in Italia che all’estero. Nel 1928 recita a Roma, 1929 é a S. Rossore ospite di Vittorio Emanuele III, 1930 di nuovo all’estero a Parigi; in quegli anni Mussolini gli dona una foto con dedica come segno di sincero apprezzamento.
Nel 1942 inizia anche l’esperienza cinematografica che lo vede impegnato in quattro film il cui esito é piuttosto insoddisfacente: “Colpi di timone” (1942), diretto da Gennaro Righelli, “Che tempi!” (1947), diretto da Giorgio Bianchi, “Il diavolo in convento” (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine “Lui, lei e il nonno” (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall’armatore Achille Lauro, il suo unico film a colori. Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmano. Ha però l’occasione di lanciare futuri comici: i giovanissimi Walter Chiari e Alberto Sordi.
Il conflitto mondiale non risparmia però la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo. La guerra lo scuote profondamente e insieme alla casa l’attore vorrebbe ricostruire anche il proprio repertorio, che sente forse ormai superato da nuove proposte; in questo periodo é attanagliato da dubbi ed insicurezze, non riesce ad avere la consapevolezza che il pubblico lo gradisce ancora, nonostante il successo delle sue commedie sia sempre forte e la gente non lo abbandoni ed accorra sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città in cui recita.
Govi non fa neppure a tempo ad avere un rapporto approfondito con la televisione, nata da poco, poiché si sta ormai avviando verso la parte finale della sua carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consente, con la registrazione dal vivo di alcuni suoi spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico. Questo ha inoltre permesso di salvare dalla distruzione sei sue commedie. Salvataggio avvenuto in maniera rocambolesca negli anni Settanta grazie ad un impiegato collezionista appassionato di teatro. Le commedie sono state riproposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti nel 1979 in una trasmissione su Raitre a lui dedicata. Nell’estate del 2004 vengono ritrovate e pubblicate in DVD anche sei commedie radiofoniche inedite da lui interpretate.
Govi per gli spettatori di mezzo mondo rappresenta il vero genovese: furbo, sorridente e rude. Sulla scena é riuscito ad arricchire di umori genovesi i testi delle commedie del teatro dialettale raccontando il carattere del ligure come un coesistere di contrari: maschera e sentimento, immagine esterna e linee interiori, pubblico e privato; il ligure che sa guardare oltre l’apparenza delle cose e leggere dentro se stesso con una buona dose di humour sotto gli atteggiamenti da gente seria, anzi, per dirla con il suo amato dialetto, “stundaia”.
Non mancano anche importanti riconoscimenti pubblici, ma non molti dalla sua città natale: a ricordarlo all’ombra della Lanterna rimangono i giardini “Gilberto Govi”, edificati solo negli anni Ottanta nella zona storica della Foce e situati sopra il principale depuratore cittadino e la Sala Govi (ex Verdi) a Bolzaneto. I riconoscimenti principali che riceve sono: nel 1948 in onore del centenario del Risorgimento, negli anni ’50 partecipa a una manifestazione benefica presso il Circo nazionale Togni a Genova, nel 1957 riceve una medaglia d’oro dal sindaco.
Nel 1960 organizza nuovamente la compagnia per l’ultima stagione della sua carriera (porta in scena la commedia “Il porto di casa mia”, scritta dal poeta Sabatino Lopez: a 75 anni, capisce che é arrivato il momento di lasciare il palcoscenico e dedicarsi ad un meritato riposo, dichiarando: “Il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te”), nel 1965 il sindaco gli consegna un’altra medaglia d’oro che da un lato riporta la scritta “A Govi, artista illustre, massimo interprete del teatro dialettale genovese, la citté con gratitudine, 22 ottobre 1965”.
Prima di ammalarsi fa in tempo a comparire ancora sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi Caroselli. Famoso quello del 1961 per una marca di TEA dove interpreta il simpatico personaggio di Baccere Baciccia, il portiere di un caseggiato genovese, conosciuto da tutti per la sua estrema tirchieria ma adorato dai bambini, ai quali ripete una frase rimasta celebre: “Da quell’orecchio, non ci sento; da quell’altro, così cosà…”.
Il 28 aprile 1966 Gilberto Govi muore nella sua città. Ai funerali, celebrati nella centrale Chiesa di Santa Zita, affollatissima, partecipa tutta la città. Tra i presenti alla cerimonia, anche Erminio Macario, visibilmente commosso.
A cura di Carlo GATTI e Renzo BAGNASCO
Rapallo, 17 Maggio 2016