GIUSEPPE FERRARI
Camogli: 1918-2011
UNA VITA DEDICATA AL MARE
Nella piccola città di Camogli, cuore della marineria VELICA italiana del passato, Giuseppe (Giò) FERRARI (nella foto) era conosciuto per essere il figlio del celebre Giò Bono FERRARI (1882-1938), fondatore del Museo Marinaro di Camogli.
Sono passati esattamente dieci anni dalla scomparsa del Comandante Giuseppe (Giò) FERRARI.
Quando lo conobbi aveva 86 anni, era il 2004 e frequentava ogni giorno la sede dell’antica Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli. Un vero covo di “lupi di mare” dove ogni giorno si davano appuntamento nel “quadrato Ufficiali” della sede, intorno ad un largo e pesante tavolo di legno pregiato, cui facevano da cornice decine di cimeli e quadri di velieri famosi.
In questo “liturgico cenobio marinaro” ricco di mare antico, i soci davano vita a ricordi di mare, di navi e di personaggi che solo loro avevano conosciuto sulle navi e nei porti. Storie vere di quando gli imbarchi erano infinitamente lunghi, la tecnologia era ancora sotto l’orizzonte e le guerre macchiavano i mari di rosso sangue.
Quella sede mi ricordava, nella mia fantasia, una UNIVERSITA’ del Mare, i cui docenti erano semidei sopravvissuti a tempeste, siluramenti, bombardamenti, affondamenti e pericoli di ogni genere. E pensavo tra me: quanta modestia, quanti esempi di sofferenza, quanta umiltà, quanta pace, prosperità e quanti insegnamenti ci hanno regalato questi miti uomini di mare che ci hanno preceduti! Siamo stati noi? E saranno i nostri figli e nipoti DEGNI di loro? Non ho questa sensazione! Anche perché nei Ministeri di Roma non ci sono, ormai da troppi anni, i più competenti, i più esperti di cose di mare nella nostra nazione; a nessun politico viene in mente di attingere gli uomini giusti negli ambienti giusti che per loro neppure esistono!
In quel contesto molto speciale noi, da poco “retired” dal lavoro, ci sentivamo privilegiati e quasi in colpa per essere stati soltanto sfiorati dalla guerra ed avevamo goduto dei vantaggi del RADAR, della GIROBUSSOLA e di macchine potenti e veloci che ci avevano sempre spinto fuori dall’occhio del ciclone.
Da pensionati un po’ distaccati nel tempo, Giò Ferrari ed io spesso ci appartavamo per rievocare le nostre storie private e ben presto ci sentimmo legati da quel filo d’amicizia invisibile che corre sulle onde del mare ed unisce i vivi e i morti di ogni epoca. La sua persona trasmetteva serenità e amore per tutto quanto facesse parte di quel mondo “salato” che scoprii in quei giorni quanto esso coincidesse con il mio: storia, fotografie di navi e di uomini di mare, opere di fotografi e pittori di marina anche sconosciuti, ma che coglievano l’anima di quella nave un po’ sbandata, sporca e molto stanca, ripresa in porti lontani, freddi, fumosi di carbone e di nebbie.
La sua memoria lucida e orgogliosamente “matematica” forniva dati e date che davano ai suoi racconti la cronologia necessaria per capire esattamente la storia che aveva vissuto. Ero sempre più sorpreso! Il suo cervello era un’infallibile macchina del tempo
Mi ci vollero diversi incontri, ma in seguito capii i suoi trucchi mnemonici che erano semplicemente legati all’abitudine di scrivere e descrivere i suoi imbarchi usando pochissime parole e tanti numeri: dei veri “rapporti di viaggio” che solo altri Ufficiali Superiori potevano decifrare e comprendere.
In poche parole, il Comandante, fin dall’inizio della sua lunga carriera, aveva preso l’abitudine di scrivere giornalmente una specie di “Diario Nautico personale”. Ma le parole erano sempre poche! Per lui contavano le date che scandivano la SUA NAVIGAZIONE e poi tanti numeri: nome della Nave, data, punto nave, rotte varie, miglia nautiche dalla partenza, miglia percorse nelle ultime 24 ore, velocità giornaliera, velocità generale come vedrete tra poco da alcune foto che ho scattato.
Dal primo giorno di navigazione fino all’ultimo della sua carriera sul mare… tutto risulta certificato, compreso il suo periodo come Ufficiale della Marina Militare durante la Seconda guerra mondiale quando rischiò la vita sui sommergibili.
Buona parte di questo materiale emerse, almeno per me, quando il Comandante Ferrari mi raccontò di aver fatto parte di una Avventura Postbellica in cui fu coinvolto e che io giudicai degna di essere raccontata e da lui testimoniata nei dettagli, per essere tramandata ai posteri. Si trattò di riportare alla luce alcune pagine di vera STORIA che intitolai, sotto forma d’intervista a Giò Ferrari:
LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE
UN PO’ DI STORIA…
Alla fine della guerra, gli Stati Uniti si ritrovarono con una flotta mercantile che, in tonnellaggio, era quasi sei volte maggiore dell’anteguerra. Questo, da una parte, concretizzò lo storico sorpasso tra le potenze marittime: nel 1939 la Gran Bretagna dominava lo shipping mondiale, con un terzo del tonnellaggio, ma nel ’46 gli USA ne controllavano il 46%Dall’altra, si dovette smobilitare un enorme surplus di navi ormai in disarmo e ormeggiate in rade e foci fluviali. Le più moderne Victory rimasero quasi tutte in servizio, mentre circa la metà delle Liberty venne venduta a condizioni di favore agli armatori dei paesi alleati, in base alle perdite subite e nell’ambito del piano Marshall. Il prezzo medio di ogni Liberty si aggirava sui 225.000 dollari, circa un decimo rispetto al costo di fabbricazione sostenuto pochi anni prima. Oltre cinquecento finirono nelle mani di armatori greci, prima base per la costruzione di enormi fortune personali (Aristotele Onassis, Stavros Niarchos sugli altri). 162 Liberty passarono sotto bandiera italiana, grazie agli anticipi (un quarto in contanti) e alla garanzia finanziaria (tre quarti in 20 anni al 3,5%) del governo italiano. Ribattezzate e talvolta tecnicamente modificate, navigheranno mediamente per altri vent’anni per le grandi compagnie (Achille Lauro, Costa, Ravano, Grimaldi, Bottiglieri, D’Amico ecc.) della ricostituita marina mercantile italiana.
Pubblicai quell’articolo sul sito di MARE NOSTRUM RAPALLO, ed anche in cartaceo sulla Pubblicazione Annuale della stessa Associazione. Quella rievocazione storica fu molto gradita dal Comandante Ferrari il quale, forse, si rese ancor più consapevole che la sua partecipazione alla Seconda Spedizione dei Mille contribuì alla RINASCITA DELLA FLOTTA MERCANTILE ITALIANA e alla RIPRESA dei Trasporti Commerciali Internazionali che in quel momento diedero tanta speranza al nostro popolo uscito a pezzi dalla guerra.
Passò poco tempo e fui invitato dal Comandante per un caffè nella sua villa non lontana dal glorioso Istituto Nautico di Camogli. Mi accolse con un grande album tra le mani e disse: “Ho intitolato ARTE E MARE questo album di disegni, fotografie, schizzi e foto. Io sono ormai arrivato in porto e so che consegnandolo a lei navigherà per sempre!”
Accettai commosso quell’inatteso regalo e dissi: “Comandante, lo accetto molto volentieri, lo considero con onore un passaggio di consegne e, come collezionista di foto di navi, ne ho molte di Arte e Mare, anzi, creerò un album simile a questo ma che riguarderà “soggetti” della mia generazione, e lo chiamerò ARTE E MARE – Parte seconda.
L’ALBUM che mi è stato regalato è composto di:
73 pagine
322 fotografie di dipinti e arte varia legate ad Atmosfere particolari di bordo.
HO SCELTO PER VOI ALCUNE FOTO DELL’ALBUM REGALO
ARTE E MARE
IL SEGUENTE REGISTRO E’ COMPOSTO DI 21 PAGINE. CONTIENE E CERTIFICA L’ATTIVITA’ SVOLTA DAL COMANDANTE FERRARI NELLA SUA ATTIVITA’ DI MARITTIMO.
Ho fotografato le più significative
L’EPILOGO
Riporto un contributo del Comandante Pro Schiaffino
Il giorno 29 luglio 2011 è mancato il Comandante Giuseppe (Giò) Ferrari figlio del Fondatore del Civico Museo Marinaro Giò Bono Ferrari, di anni 93, figura emblematica della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli. Iniziò la Sua carriera come Ufficiale della Marina Militare Italiana imbarcato sui nostri sommergibili per tutta la durata della Guerra 1940/43.
Passò poi come Ufficiale alla nostra Marina Mercantile, raggiungendo il grado di apprezzato Comandante sempre sulle navi della Flotta Lauro. Terminò come stimato Dirigente addetto, tra l’altro, alla preparazione degli itinerari delle navi da Crociera della Lauro in tutti i mari del mondo. Pensiamo sia importante riportare le Sue “Curiosità attinenti alla nostra Professione”, da Lui preparato per il libro della nostra Società “Un secolo di Mare”. Noi tutti, uomini di Mare di Camogli ci inchiniamo commossi alla Sua Figura recitando a Suo ricordo una prece.
Pro Schiaffino
Riporto anche il seguente articolo del LEVANTE NEWS
E’ morto a Camogli il comandante Giuseppe Ferrari, aveva compiuto 93 anni il 19 luglio scorso; a dicembre avrebbe festeggiato i 70 anni di matrimonio con Ortensia Razeto (nella foto). Una storia d’amore lunghissima la loro, mai affievolita; basti pensare che ancora in questi ultimi giorni facevano tenerezza, vedendoli mano nella mano come due fidanzatini.
Per loro fu galeotta la messa di mezzanotte del Natale 1935, quando, poco più che adolescenti, si erano lanciati occhiate furtive, ma non troppo. Del resto le occasioni di incontro, all’epoca, erano spesso costituite da feste religiose. Pochi giorni dopo, il 13 gennaio 1936, si erano conosciuti e giurati eterno amore; promessa confermata il 27 dicembre 1941, giorno delle nozze nella stessa chiesa, la parrocchia di Santa Maria Assunta a Camogli, dove Cupido li aveva fatti incontrare. Subito dopo essersi detti sì, Ortensia Razeto e Giuseppe Ferrari si erano recati con i testimoni ed i parenti stretti a festeggiare l’evento con il pranzo di rito al “Pesce d’Oro” (oggi “Casmona”).
Poi il periodo più brutto: quello dall’8 settembre 1943, quando la flotta fu trasferita dal Nord al Sud per sottrarla ai tedeschi, fino all’estate del 1946. Ferrari con il suo sommergibile partì improvvisamente da Pola e non fu più in grado di dare o ricevere notizie della famiglia; né la moglie, che aveva dato alla luce il primogenito Gianni era riuscita ad avere notizie di lui vivendo giorni, settimane, mesi ed anni da incubo; il tutto ricordato in un interessante diario scritto giorno dopo giorno. Soltanto a guerra finita Giuseppe raggiunse Genova e da qui, via mare da Nervi perchè l’Aurelia e la ferrovia erano interrotte, Camogli riabbracciando finalmente la moglie.
Giuseppe Ferrari, diplomato all’Istituto Nautico di Camogli, dopo la guerra vissuta nei sommergibili, aveva fatto carriera nella flotta “Lauro” di cui era poi diventato dirigente, Era figlio di un personaggio, quel Gio Bono autore del volume “La città dei mille bianchi velieri”, ideatore del museo marinaro cittadino a lui dedicato, così come gli è stata dedicata una via cittadina. Anche il comandante Giuseppe ha scritto un libro: la sua biografia, inedita, che aveva deciso di lasciare in eredità al museo il giorno in cui, speriamo il più lontano possibile, raggiungerà il genitore. Il volume parla della sua gioventù: quando era studente; primi imbarchi su navi mercantili; l’arruolamento in Marina Militare come sommergibilista; la vita professionale e quella familiare.
I funerali di Giuseppe Ferrari si svolgeranno lunedì alle 15.30 ‘presso il Santuario del Boschetto; domenica alle 18.45 il rosario sarà recitato nell’Oratorio della Madonna Addolorata al Boschetto dove sarà allestita la camera ardente. Oltre la moglie Ortensia, lo piangono i figli Gianni e Anna.
ALCUNE NOTE SU GIO’ BONO FERRARI
Nato a Camogli (Genova) nel 1882, morto nel 1942
Giò Bono Ferrari (nella foto) è stato il punto di riferimento per almeno tre generazioni di studiosi della marineria ligure; storici che si passano tuttora il testimone nel raccontare le numerose imprese compiute dagli Armamenti camoglini, dei suoi Capitani ed equipaggi locali che solcarono a vela i “sevenseas” scrivendo la storia italiana sul mare, e non solo.
Le accuratissime ricerche effettuate da Giò Bono ci parlano ancora oggi di una vita molto laboriosa trascorsa non solo nelle biblioteche pubbliche e private di armatori e armamenti di tutta la Liguria, ma vissuta pienamente anche nella ricerca del dialogo diretto con gli attori e protagonisti della Camogli marinara e, per la verità, con studi e ricerche estese anche a Capitani ed Armenti di tutto il comprensorio rivierasco.
Carlo GATTI
A cura della Società Capitani e Macchinisti di Camogli
L’emigrazione estrema, la volontà di affermazione personale, la ricerca dell’impresa economica, i conti con la guerra, la solidità dei valori familiari, la cura degli affetti, i lutti sempre incombenti. In una sola vita, quella di Gio Bono Ferrari, il vissuto generazionale di milioni di italiani tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. A tre anni è a Buenos Aires in Argentina con il padre emigrato e la madre, della quale resta subito orfano a causa di una terribile epidemia: il morbo nero del vaiolo. Torna in Italia dai nonni, frequenta le scuole e quando compie dodici anni attraversa di nuovo l’oceano. Solo. Feci il viaggio in 3° classe, fra i poveri emigranti che espatriavano in cerca di pane e di fortuna. Mi sentivo tanto a disagio! E so, rammento, di aver sofferto tanto! Mi trovai in mezzo al Babbo, alla mia seconda Madre. Mi fecero festa, ma io sentivo il mio piccolo cuore chiuso. Mi sembrava di essere un estraneo. Il tempo normalizza i rapporti, Gio Bono va per tre anni a scuola serale per diplomarsi contabile e lavora nel negozio del padre, fin quando questi non decide di rientrare in Italia e non gli propone di rilevare l’attività. Rifiuto. Volevo far vedere a tutti che ero buono e capace di crearmi una posizione indipendente. È il 1904. Così li lasciai partire. Stetti sul molo fino a che il vapore non si dileguò nella bruma acquosa del Rio de la Plata. Poi mi chiusi il cuore ben bene stretto nel petto e mi dissi: a lavorare. A lavorare come impiegato in una Casa di Commercio nel Chaco. In una zona rurale, ostile. Mi trovavo in un deserto. Nessuna bellezza. Nessuna comodità. Pianure sconfinate. Terre vergini ovunque. Tipi di pastori, di gauchos, di cavallari, brutti, tutti armati fino ai denti, sempre disposti a darsi delle coltellate per un qualsiasi nonnulla. Nessuna persona con la quale poter passabilmente passare quattro parole. E non un bel visino di ragazza. Gio Bono fa ricorso alla caparbietà e ai suoi 22 anni, arriva al successo nel lavoro, mentre per l’amore deve aspettare un lungo viaggio in Italia, anni dopo, durante il quale incontra la futura moglie Ninuya. Quando decide di sposarsi, lo scoppio della Prima guerra mondiale lo costringe a rinviare i suoi piani. Decide di presentarsi volontario. Bisognava prima fare il soldato, compiere il proprio dovere verso la patria. Poi, a pace avvenuta, se Iddio lo permetteva, il matrimonio. Il racconto dell’esperienza bellica è un lungo flusso di coscienza, sequenza impressionistica di ricordi e di dolore. La colonna dei richiamati in marcia per le vie di Genova. Le scene pietose: il modesto maestro di scuola accompagnato fino alla stazione dalla moglie e dai tre piccoli figliuoli piangenti. Poveri bimbi. Il rondone notturno lungo le rive del Tanaro, ove si nascondevano dei disertori, spalleggiati dai vecchi contadini. Le fucilate e gli spari contro di noi, a tradimento. La guardia ai prigionieri austriaci ammutinati. La loro disgraziata sporcizia. I racconti dello slovacco Raducovicht. La nostalgia dei suoi bimbi. I casi pietosi che si vedono al Distretto. Le mogli e le madri che si presentano con i “telespressi” chiamate dalle Direzioni degli Ospedali Militari per andare ad assistere gli ultimi momenti dei loro cari. La Madre vedova in cerca del figlio sperduto dopo la presa di Gorizia. La sposa con tre piccoli bambini in cerca del sussidio. Il calcio di un cavallo lo manda all’ospedale con le costole in frantumi, ma Giò Bono riesce a vedere la fine del conflitto, a gioire per la nascita di due figli e a piangere per la scomparsa prematura di altri due. Fino alla morte lavora come perito nel settore agricolo e si dedica alla scrittura di libri, di successo, di storia marinara.
CARLO GATTI
Rapallo, Sabato 21 Agosto