IL DISINGANNO

ARTE E MARE – 1

 

 

DISINGANNO

Francesco Queirolo, 1753-54

 

 

 

 

 

Il Disinganno

Autore: Francesco Queirolo

1753-1754
Napoli,

Cappella Sansevero

Il disinganno, opera dello scultore genovese Francesco Queirolo realizzata tra il 1753 e il 1754, è uno dei capolavori che decorano la magnifica cappella Sansevero a Napoli. L’opera fu commissionata da Raimondi di Sangro, principe di Sansevero, che voleva dedicarla al padre Antonio, un uomo che condusse una vita dissoluta fino alla vecchiaia, quando invece abbracciò una vita all’insegna di una stretta morale cristiana.

Il gruppo scultoreo rappresenta un uomo avvolto da una rete, mentre un angelo lo sta liberando: la rete simboleggia il peccato, e l’angelo sta quindi aiutando l’uomo a liberarsi dal peccato, per quella che a tutti gli effetti è un’allegoria della vita di Antonio di Sangro. L’angelo ha sul capo una fiamma, simbolo dell’intelletto, e indica il globo ai suoi piedi che invece rappresenta i piaceri mondani. Davanti al globo osserviamo invece la Bibbia, chiaro simbolo della fede. Perché quindi allegoria del disinganno? Perché i piaceri mondani sono visti come, appunto, un inganno, e la fede e l’intelletto aiutano l’uomo a liberarsi dall’inganno della mondanità, e quindi del peccato.

Si tratta di una scultura che colpisce per il suo incredibile virtuosismo, evidente nella rete: è una delle opere più virtuose di tutta la storia dell’arte. La rete, realizzata con formidabile ed eccezionale abilità tecnica, sembra appartenere allo stesso, unico, blocco di marmo a cui appartiene il gruppo intero. Si racconta un aneddoto: pare che Queirolo avesse affidato il gruppo ad alcuni collaboratori per la finitura e la lucidatura. Tuttavia questi avrebbero rifiutato l’incarico per timore di rompere la delicatissima rete che avvolge il corpo dell’uomo: si dice quindi che Queirolo abbia condotto in prima persona tutti i lavori di finitura dell’opera.

FRANCESCO QUEIROLO

GENOVA, 1704 – NAPOLI, 1762

Dopo una prima formazione, nella bottega di Bernardo SCHIAFFINO*F.QUEIROLO si recò a Roma dove fu allievo di Giuseppe RUSCONI. Qui ebbe su di lui particolare influenza Antonio CORRADINI, dal quale ereditò la grazia rococò ed apprese lo straordinario virtuosismo tecnico per rendere nel marmo la trasparenza e la morbida pittoricità dei panneggi. A Roma eseguì le statue di San Carlo Borromeo e di San Bernardo sulla facciata di Santa Maria Maggiore e il busto di Cristina di Svezia (1740); la statua dell’Autunno sulla FONTANA DI TREVI (1749) e il sepolcro della duchessa Grillo in Sant’Andrea delle Fratte (1752).

*Schiaffino, Bernardo Nacque l’8 luglio 1680 dai camogliesi Geronima Olivari e Baldassare Schiaffino e fu battezzato presso la chiesa parrocchiale di S. Salvatore a Genova (Figari, 1988, p. 21), come documenta l’atto di nascita, che smentisce l’anno 1678 proposto da Ratti. scultore italiano (Genova 1678-1725). Allievo di Domenico Parodi, è tra i più notevoli esponenti della scultura genovese del Settecento. Le sue opere, che risentono nella tematica e nello stile di uno stretto legame con la pittura contemporanea, presentano un’eleganza formale che influenzò tutta la scuola genovese (Ritratto del doge Giovanni Francesco Brignole Sale, Genova, Palazzo Rosso; Narciso, Genova, Palazzo Balbi; Vergine col Bambino, Genova, S. Maria della Consolazione). Tenne a Genova una bottega che fu attivissima anche per le corti straniere. Suo allievo fu il fratello minore Francesco Maria (Genova 1689-1765), che completò la sua formazione a Roma presso Camillo Rusconi, derivandone l’impronta berniniana del suo stile (Ratto di Proserpina, Genova, Palazzo Reale; Madonna col Bambino, Genova, cappella del Palazzo Ducale).

Francesco Queirolo lavorò a Napoli dal 1752 soprattutto alla decorazione di quel singolare monumento del simbolismo settecentesco che è la Cappella Sansevero dei principi di Sangro: la sua statua del Disinganno, raffigurato come un uomo avvolto da una rete, è un vero capolavoro del trompe-l’œil in scultura. L’opera infatti stupisce per la resa estremamente realistica della rete che pare stendersi morbidamente sulla figura umana ricoprendo parte del volto e del torso, dove il traforo in marmo supera qualsiasi espressione di virtuosismo tecnico raggiunto in epoca rococò.

 

A questo punto qualcuno si chiederà: ma quale nesso esiste tra l’artista genovese Francesco Queirolo e Mare Nostrum Rapallo?

La mia sensibilità di uomo di mare, mi fa pensare che il genovese, con sangue camoglino: Francesco Queirolo, per la sua fantastica opera IL DISINGANNO, abbia trovato ispirazione in qualche calata del Porto Vecchio di Genova guardando le operazioni di sbarco-imbarco di un veliero dell’epoca. Infatti, fino all’avvento dei containers, le navi usavano “imbragare” con una robusta rete quadrata appesa al bigo di carico della nave, la merce in colli oltre a qualsiasi altro tipo di cassa che si prestasse ad essere avvolta da quella robusta RETE marinara.

Chi ha navigato nel dopoguerra, conosce quello strumento di lavoro con il nome di Giapponese. Si tratta di un mezzo molto versatile e robusto che a volte compare anche in alcuni disegni medievali e anche più antichi, come vedremo, il che dimostrerebbe come la sua praticità (scarso peso e volume) sia stata apprezzata per millenni.

Il nome esotico pare invece si riferisca all’uso che la Marina USA ne fece durante gli assalti delle truppe Americane nelle isole del Pacifico (Seconda guerra mondiale), in particolare per trasbordare velocemente i numerosi militari armati dalle navi-trasporto ai mezzi anfibi destinati ad approdare sulle spiagge occupate dai giapponesi.

Questo tipo di rete a maglie più o meno larghe, venivano anche usate per recuperare naufraghi come mostra la foto che scattai molti anni fa dal ponte passeggiata della m/n VULCANIA durante il recupero dei naufraghi della piccola M/n FIDUCIA, durante una tempesta, non lontano dall’isola di Ustica.

 

 

 

 

 

 

LA GIAPPONESE – UN’ARMA ECCEZIONALE

 

 

Il reziario letteralmente “l’uomo con la rete” era una delle classi gladiatorie dell’antica Roma; combatteva con un equipaggiamento simile a quello utilizzato dai pescatori, una rete munita di piombi per avvolgere l’avversario, un tridente (la fuscina-fiocina) ed un pugnale (il pugio). Non portava alcuna protezione alla testa, né calzature.

Il reziario apparve per la prima volta nell’arena nel I° secolo e divenne in seguito un’attrazione abituale dei giochi gladiatorii.

Sono passati un po’ di anni dai miei tempi… ma credo che, tuttora, un buon Capitano navigante, abbia sempre a disposizione una GIAPPONESE ben curata e pronta all’uso. Ora vi spiego il perché:

Avevamo da poco scalato Ponta Delgada (Azzorre) e, con gran parte dell’Oceano Atlantico di prua, eravamo diretti in Canada (Halifax).  Verso la mezzanotte, durante il cambio di guardia sul Ponte di comando della nave di cui sopra, giunge una telefonata concitata:

 

 

Un energumeno di colore, alto più di due metri, completamente fuori di testa, sta minacciando una decina di passeggeri con la mannaia antincendio. Mandate rinforzi d’urgenza in classe turistica”.

Come ben sapete, in condizioni normali, sulle navi mercantili di tutto il mondo, non sono ammesse armi da fuoco; esiste tuttavia un servizio di sicurezza che negli Anni ’60 era coordinato dal Capitan d’Armi. Sicuramente la telefonata “concitata” era da attribuirsi proprio a questo sottoufficiale.

Probabilmente l’evento molto “delicato” che era in corso in quel momento, non era poi una rarità … Su quei bordi eleganti e raffinati viaggiavano nei Ponti Inferiori anche pescatori di merluzzo, emigranti di tutte le razze e di ogni provenienza… e, nelle lunghe notti atlantiche, alcuni di loro si lasciavano andare ai fumi dell’alcool, a discussioni politiche, forse razziali e non di rado a scene di gelosia… La violenza era sempre dietro l’angolo.

Ma quella volta si trattava di fermare un gigante giovane, atletico e con il volto cattivo… che barcollando e muovendosi come un orangotango inseguiva i passeggeri in fuga che urlavano terrorizzati in preda al panico più totale per la paura di essere fatti a pezzi… Scendemmo di corsa i quattro ponti che ci separavano dalla classe Turistica, ma quando arrivammo sul posto, cinque marò Capi-stiva, novelli reziari, l’avevano già circondato, imbragato, abbattuto sul pavimento e, siccome si agitava ancora pericolosamente, fu colpito alla testa con un randello e quindi trascinato in una cella di sicurezza dove rimase fino a New York, suo porto d’arrivo, per essere consegnato alla Polizia Portuale.

Ogni giorno accompagnavo il mio Capo guardia a visitare l’energumeno che mai rinunciava a minacciarci di “morte sicura” appena la Polizia americana lo avrebbero liberato da quella gabbia…

 

Ringrazio il Maestro di Presepi Pino LEBANO per avermi segnalato l’opera d’Arte:

IL DISINGANNO

 

Carlo GATTI

Rapallo, 25 novembre 2021