LA NOTTE DI TARANTO
Con l’espressione NOTTE DI TARANTO si fa riferimento all’attacco aereo inglese avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940, ai danni della flotta navale della Regia Marina Italiana, dislocata nel porto di Taranto.
“Dopo una neutralità di nove mesi, l’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940, contro la Francia e la Gran Bretagna. La rapida uscita dal conflitto della Francia, trasforma lo scontro in una contrapposta difesa del traffico nelle direttrici Nord-Sud (per l’Italia) e Est-Ovest per la Gran Bretagna, forte delle basi di Alessandria d’Egitto e Malta (Mediterranean Fleet) e Gibilterra (Force H).
La flotta italiana dispone di due corazzate rimodernate (Conte di Cavour e Giulio Cesare) – al momento dell’entrata in guerra, le corazzate Littorio, Vittorio Veneto, Caio Duilio e Andrea Doria sono ancora in fase di addestramento – 7 incrociatori pesanti, 12 incrociatori leggeri, un centinaio tra cacciatorpediniere e torpediniere e più di 100 sommergibili.
Gli scontri navali di Punta Stilo (9 luglio 1940) e Capo Spada (19 luglio 1940), si risolvono con lievi perdite per le navi italiane e sconfitte tattiche non influenti. L’attacco italiano alla Grecia (28 ottobre 1940), in quella che é nota come “guerra parallela” (fra Germania e Italia) aggiunge un nuovo impegno alla Marina che deve assicurare i rifornimenti al Fronte greco-albanese
Nella notte del 12 ottobre 1940 gli incrociatori inglesi Ajax, Orion, York e Sidney affondano le torpediniere italiane Airone, Ariel e Artigliere. Al termine di questo scontro i britannici soccorrono i naufraghi italiani nonostante l’avvicinarsi del resto della flotta italiana.
Per questo comportamento l’ammiraglio inglese Cunningham fu ripreso dal suo governo, dal momento che, proprio in quei giorni, Londra veniva bombardata dalla Luftwaffe tedesca. Cunningham, tuttavia, rispose che gli equipaggi italiani si erano battuti valorosamente nonostante la disparità di forze e, per questo, meritavano assistenza”.
La notte dell’11 novembre 1940, 6 corazzate italiane si trovano nella rada di Taranto e gli inglesi conducono un’incursione con due attacchi degli aerosiluranti Swordfish decollati dalla portaerei ILLUSTRIOUS.
Le corazzate Conte di Cavour, Caio Duilio e Littorio vengono colpite dai siluri e solo due dei venti Swordfish sono abbattuti. Il Cavour non rientra più in linea. Littorio e Duilio sono riparati dopo qualche mese di lavori.
Morirono 58 marinai italiani, circa 600 rimasero feriti e sei navi da guerra furono danneggiate, metà delle navi da guerra italiane furono messa fuori combattimento.
Dopo 83 anni da quella azione bellica che servì di lezione anche a Pearl Harbour, si rimane allibiti dal “fattore sorpresa e dalla precisione” con cui sono arrivati a segno i siluri inglesi nel tragico ATTACCO AEREO NOTTURNO DI TARANTO.
I fatti dimostrarono per la prima volta che i velivoli imbarcati sulle portaerei non solo erano preziosi come «occhio» della Marina, ma anche perché erano in grado di infliggere gravi danni a una flotta alla fonda in un porto. Gli aerei inglesi FAIREY-SWORDFISH erano antiquati biplani prossimi alla demolizione, tuttavia, il responsabile dell’operazione sapeva che erano i più adatti a compiere quella specifica missione!
CONTESTO STORICO CHE PRECEDE IL DISASTRO DI TARANTO
Nell’autunno del 1940, le truppe italiane avevano già subito notevoli insuccessi contro i francesi; questi fatti spinsero Mussolini a tentare di recuperare terreno nei Balcani, più precisamente ritenne che era giunta l’ora della Grecia.
Il 28 ottobre 1940 l’Italia dichiara guerra alla Grecia. La campagna italiana di Grecia si aprì con un’offensiva del Regio Esercito Italiano a partire dalle sue basi in Albania (controllata dagli italiani fin dall’aprile 1939) verso la regione dell’Epiro in Grecia, mossa decisa da Mussolini al fine di riequilibrare lo stato dell’alleanza con la Germania nazista e di riaffermare il ruolo autonomo dell’Italia fascista nel conflitto mondiale in corso.
Temendo, allora, un intervento militare più corposo da parte dei britannici – che avevano cominciato a fornire aiuti alla Grecia già dai primi di novembre, tutta la flotta italiana era stata concentrata a Taranto, proprio per contrastare tale manovra.
LA BASE NAVALE DI TARANTO
PREGI E DIFETTI
La BASE era molto bene attrezzata per le riparazioni navali di tutti i tipi, ma non era stata studiata per proteggere le navi in rada da eventuali bombardamenti aerei o dal lancio di siluri. Le armi contraerei erano poche e poco potenti, la rilevazione per l’intercettazione degli aerei nemici in avvicinamento era affidata a vecchi strumenti risalenti alla Prima guerra mondiale, le reti anti-siluro erano circa un terzo di quelle che sarebbero servite ed erano state distese a molta distanza dalle navi: cosa che avrebbe permesso di salpare rapidamente (senza doverle rimuovere) ma che ne comprometteva l’efficacia.
MAR GRANDE E MAR PICCOLO INDICATI DALLE FRECCE ROSSE
IL PROGETTO STRATEGICO INGLESE
L’idea degli inglesi – colpire la marina italiana e fermare gli obiettivi colonialistici di Mussolini – risale già al 1935, durante la guerra d’Etiopia: la Royal Navy aveva studiato un piano di attacco aereo notturno nella base navale di Taranto che non venne attuato in quegli anni ma che venne ripreso nel 1940. Per avere informazioni e immagini aggiornate giornalmente sulla situazione del porto di Taranto, l’aeronautica militare del Regno Unito trasferì a Malta una squadra di ricognitori. Furono inviate come rinforzo diverse navi da battaglia sia verso Malta sia verso il canale di Otranto, per intercettare le navi italiane che in quei giorni si muovevano tra Grecia e Albania. L’attacco venne deciso per il 21 ottobre (anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar) ma un incendio a bordo della portaerei inglese Illustrious causò un rinvio.
LE CORAZZATE ITALIANE AFFONDATE A TARANTO NELLA NOTTE TRA L’11 NOVEMBRE ED IL 12 NOVEMBRE 1940
Due immagini della Conte di Cavour poggiata sul fondo dopo l’attacco
I danni subiti dalla Regia Marina durante la notte di Taranto furono molto gravi, anche se non tanto quanto si potrebbe pensare.
Corazzata CONTE DI CAVOUR: la nave si trovava all’ancora nel Mar Grande. Venne colpita da un solo siluro nell’opera viva poco distante dal deposito di munizioni prodiero. A causa dell’anzianità del progetto, la nave imbarcò molta acqua e per evitarne l’affondamento in acque profonde fu portata in acque basse dove si adagiò sul fondale con l’acqua che sommergeva il ponte di coperta. I lavori iniziarono immediatamente e verso la fine del 1941, nuovamente in grado di navigare, venne trasferita a Trieste per completare le riparazioni de eseguire lavori di ammodernamento. Non fece in tempo a rientrare in servizio prima dell’armistizio, e fu la nave realmente perduta durante quella notte. Il 10 settembre i tedeschi presero la CAVOUR, ma non completarono i lavori; infine la corazzata fu colpita da bombe americane il 15 febbraio 1945 ed affondò capovolgendosi. Recuperata nel 1946, venne infine radiata il 27 febbraio 1947.
Collezione BAGNASCO
ANDREA DORIA (classe DUILIO) – TARANTO 10.1941
Corazzata CAIO DUILIO venne colpita anche lei da un solo siluro nei pressi del deposito munizioni prodiero, e alle 05.45 fu portata ad incagliare in acque basse per evitarne l’affondamento. Venne riportata a galla nel gennaio 1941 per entrare poi in bacino, partecipando attivamente, con la sua antiaerea, alla difesa della base. Il 3 febbraio entrò in bacino a Genova e già il 3 maggio rientrò in servizio a Taranto.
LA CORAZZATA LITTORIO INCAGLIATA A TARANTO
Corazzata LITTORIO fu la nave che subì i danni maggiori, colpita da ben tre siluri, due a dritta ed uno a sinistra nei pressi del timone. Ma grazie anche alla bontà del progetto, non fu mai in pericolo di affondare, tuttavia, per non correre rischi, fu ugualmente portata ad arenarsi. Già l’1marzo 1941 i lavori di riparazione erano terminati e la nave era rientrata in servizio.
Altri danni: Vennero colpiti durante l’attacco il cacciatorpediniere LIBECCIO e l’incrociatore pesante TRENTO, che non subirono danni in quanto le due bombe che incassarono non esplosero, inoltre vennero distrutti da bombe due idrovolanti all’idroscalo. Per finire questo attacco colpì anche la popolazione civile, con la morte di alcune persone nella zona dell’ospedale. Si contarono anche 32 vittime sulla LITTORIO, 17 sulla CAVOUR e 3 sulla DUILIO.
Infine non va dimenticato che tra gli aerei attaccanti due furono abbattuti, di cui uno dalle armi della Cavour.
LE FOTO DELLE NOSTRE CORAZZATE
L’Italia si impegnò molto, spendendo molte risorse preziose, per la costruzione della squadra da battaglia, fiore all’occhiello delle Forze Navali Italiane. Il rimodernamento, che fu più, alla maniera inglese, una ricostruzione, delle quattro vecchie corazzate classe Doria, se da un lato fu un’operazione opinabile, va comunque riconosciuto che garantì all’Italia quattro unità di valore bellico, seppur ridotto, comunque non certo trascurabile, ben superiore alle LORRAINE francesi, e di poco inferiore alle vecchie navi e lente navi da battaglia britanniche. Con l’ingresso in squadra delle potenti e moderne LITTORIO, il paese acquisì uno dei migliori strumenti bellici navali dell’epoca, certo, alla loro entrata in servizio, le navi da guerra più potenti del mondo. Si trattava di navi robuste, che dettero più volte prova della loro solidità durante la guerra. L’affondamento della ROMA nel 1943 non deve sollevare dubbi sulla bontà del progetto, che venne stilato in un’epoca in cui l’offesa aerea era considerata ancora limitata e certo non si poteva prevedere l’invenzione di uno strumento tanto efficace come la bomba razzo tedesca.
Navi da battaglia
CONTE DI CAVOUR – GIULIO CESARE
Navi da battaglia
CORAZZATE CLASSE DORIA
CAIO DUILIO – ANDREA DORIA
La corazzata CAIO DUILIO con la mimetizzazione adottata a partire dalla primavera 1942 con schemi a due colori grigio
Le corazzate DUILIO – ANDREA DORIA
CARATTERISTICHE
Unità |
Caio Duilio 10 maggio 1915 |
Andrea Doria 13 giugno 1916 |
|
Dislocamento a vuoto |
23.887 tonn |
Dislocamento standard |
25.924 tonn (Doria) |
26.434 tonn (Duilio) |
|
Dislocamento massimo |
28.882 tonn (Doria) |
29.391 tonn (Duilio) |
|
Dimensioni l x l x p |
186.9 m x 28 m x 10.35 m |
Apparato motore |
8 caldaie Yarrow, 2 turbine Belluzzo, 85.000 hp, 2 eliche |
Velocità massima |
27 nodi |
Carburante |
2.250 tonn |
Autonomia |
4.250 miglia nautiche @ 12 nodi |
Armamento |
|
AN |
10 x 320/44 |
AN |
12 x 135/45 |
AN / AA |
10 x 90/50 |
AA |
12 x 37/54 |
AA |
16 x 20/65 |
Corazzatura massima |
|
verticale |
250 mm |
orizzontale |
100 mm |
torrette |
280 mm |
barbette |
305 mm |
torrione |
260 mm |
Aerei |
No |
Equipaggio |
1.495 tra ufficiali, sottufficiali e comuni |
Vittorio Veneto, Littorio, Roma, Impero
La Corazzata Vittorio Veneto dislocava in effetti oltre 45.752 tonn a pieno carico cioè in pieno assetto di guerra. L’unità era armata con 9 cannoni da 381/50 mm, 12 da 152/55, 12 da 90/50, 4 da 120/40 per il tiro illuminante, e da un numero variabile di armi sotto i 37 mm; a poppa una catapulta consentiva l’utilizzazione di 3 aerei. La protezione verticale era assicurata al galleggiamento da 350 mm di acciaio; quella orizzontale, a centro nave era di 207 mm; il torrione era protetto da 260 mm di acciaio; la massima protezione era di 380 mm sulla parte frontale delle torri dei grossi calibri. 8 caldaie tipo Yarrow e 4 gruppi di turbine Belluzzo fornivano la potenza disponibile, 130.000 HP, a 4 eliche tripale; la velocità massima era di 30 nodi. L’autonomia variava da 4580 miglia a 16 nodi a 1770 miglia a 30 nodi. L’equipaggio era di circa 1800 uomini. Venne smantellata negli anni ’50
CORAZZATA LITTORIO
La Vittorio Veneto in navigazione nei primi mesi di guerra
Corazzate classe Littorio :
Vittorio Veneto
Littorio
Roma
Impero
CARATTERISTICHE
Unità |
Vittorio Veneto 28 aprile 1940 |
Littorio 6 maggio 1940 |
|
Roma 14 giugno 1942 |
|
Impero non completata |
|
Dislocamento a vuoto |
41.167 tonn (Vittorio Veneto) |
41.377 tonn (Littorio) |
|
41.650 tonn (Roma) |
|
Dislocamento standard |
43.624 tonn (Vittorio Veneto) |
43.835 tonn (Littorio) |
|
44.050 tonn (Roma) |
|
Dislocamento massimo |
45.752 tonn (Vittorio Veneto) |
45.963 tonn (Littorio) |
|
46.215 tonn (Roma) |
|
Dimensioni l x l x p |
237.8 m (Roma : 240.7 m) x 32.9 m x 10.5 m |
Apparato motore |
8 caldaie Yarrow, 4 turbine Belluzzo, 140.000 hp, 4 eliche |
Velocità massima |
30 nodi |
Carburante |
4.000 tonn |
Autonomia |
4.580 miglia nautiche @ 16 nodi, 3.920 @ 20 nodi |
Armamento |
|
AN |
9 x 381/50 |
AN |
12 x 152/55 |
AN / AA |
12 x 90/50 |
AA |
20 x 37/54 |
AA |
28 x 20/65 |
AA |
varie da 13.2/76 |
Corazzatura massima |
|
verticale |
350 + 36 + 24 mm |
orizzontale |
207 mm |
torrette |
350 mm |
barbette |
350 mm |
torrione |
280 mm |
Aerei |
3, con una catapulta a poppa |
Equipaggio |
120 ufficiali, 1.800 sottufficiali e comuni |
Le corazzate della Classe Littorio rappresentarono la massima espressione dell’ingegneria navale italiana nell’era delle grandi navi da battaglia.
La classe si sarebbe dovuta comporre di quattro unità, tuttavia una di esse, la Impero, non venne mai completata, mentre la Roma entrò in linea troppo tardi per poter partecipare attivamente al secondo conflitto mondiale.
In seguito alla stipula del Trattato di Washington, le principali navi da battaglia dovevano avere un tonnellaggio massimo pari a 35.000 tonnellate, ed armamenti di calibro non superiore ai 406 mm, e le quattro Littorio, concepite in ossequi a tali accordi, avrebbero dovuto rispettare quei dettami.
In realtà queste navi superarono abbondantemente quei limiti, soprattutto per quanti riguarda il tonnellaggio, che avrebbe imposto livelli di corazzatura ritenuti insufficienti.
La progettazione delle nuove grandi unità della Regia Marina, disegnate dal generale del genio Umberto Pugliese, ebbe inizio nel 1934, e prevedeva caratteristiche decisamente interessanti. Venne ricercata fin da subito una elevata velocità, come d’uso all’epoca per le realizzazioni della cantieristica nazionale, ed un armamento superiore alla media, con un totale di nove cannoni da 381 mm.
La prima unità, la Vittorio Veneto, venne completata il 28 aprile 1940, la Littorio il successivo 6 maggio, mentre la Roma entrò in linea solo nel 1942.
La Impero, invece, non venne terminata prima dell’armistizio del 1943.
E’ interessante notare come nell’idea dei promotori tali unità dovessero costituire il nerbo della futura cosiddetta “flotta d’evasione” oceanica, ma in pratica, nonostante le caratteristiche belliche fossero di prim’ordine, si trattò di unità essenzialmente mediterranee, e questo principalmente a causa della scarsa autonomia.
La dotazione di carburante era infatti pari a 4.000 tonnellate, il che significa un’autonomia di 3.000 km alla massima velocità di 30 nodi (c.a. 56 km/h), sufficienti per attraversare tutto il Mediterraneo, ma non per un’uscita nell’Oceano Atlantico.
Le unità tedesche come la Bismarck, dedicate ad un utilizzo oceanico principalmente pensate per la guerra di corsa, avevano una dotazione di 7.700 tonnellate.
Armamento
L’armamento principale era costituito di 9 cannoni da 381 mm lunghi 50 calibri (381/50) Modello 1934 disposti in tre torri trinate, due a prora ed una a poppa.
Erano le armi dalla più lunga gittata mai raggiunta da una nave da guerra, oltre 42.800 metri, e questo nonostante nella installazione a bordo avessero una elevazione di soli 35 gradi. Nemmeno i cannoni americani da 406 mm delle Iowa e quelli titanici giapponesi da 460 mm delle Yamato avevano tale gittata.
I grossi calibri di queste unità sparavano proiettili del peso di 885 kg, a titolo di confronto i proiettili inglesi di ugual calibro pesavano 871 kg, mentre quelli tedeschi a bordo della Bismarck pesavano 800 kg.
Prestazioni elevatissime, che manifestavano però come ovvio il rovescio della medaglia. Il peso del proietto e l’elevatissima velocità iniziale dello stesso (850 mps, contro i 749 inglesi) facevano sì che l’anima delle canne dei cannoni avesse una durata inferiore alla media, in particolare le canne andavano ritubate circa ogni 140 tiri, contro i 335 inglesi ed i circa 180 tedeschi.
Inoltre era piuttosto bassa la celerità di tiro, con circa 1.3 tiri al minuto, solo i francesi delle Richelieu erano più lenti, con 1.2 al minuto, contro i 2.3 tedeschi.
I cannoni erano installati in torri trinate, ovvero dotate ognuna di tre armi, del peso di 1570 tonnellate l’una, con un grado di elevazione che andava da -5° a +35°, e con una velocità di elevazione di 6 gradi al secondo.
L’armamento secondario era costituito principalmente da 12 cannoni da 152/55 mm Modello 1936, che costituiva l’armamento principale degli ultimi incrociatori leggeri, classe Garibaldi.
Anche queste armi avevano una gittata elevata, lanciavano infatti il proiettile da 50 kg a 25.700 metri di distanza, alla massima elevazione di 45 gradi. Il rateo massimo di fuoco era pari a 5 colpi al minuto.
Erano anch’esse installate in quattro torri trinate, del peso di 134 tonnellate l’una, con una buona protezione, che arrivava a ben 100 mm di corazzatura.
Ottime armi erano i cannoni antiaerei da 90/50 Modello 1939, dalle qualità eccezionali, superiori persino a quelle del mitico Flak tedesco da 88 mm, ed infatti non solo vennero utilizzate come arma antiaerea su navi ed in installazioni fisse a terra, ma vennero pure installate a bordo di camion e, soprattutto, dei semoventi da 90/53.
Si trattava di armi di realizzazione molto recente e concezione decisamente moderna, forse troppo.
Erano installate in affusti singoli corazzati, con un sistema di stabilizzazione molto sofisticato.
Avevano una cadenza di tiro di 12 colpi al minuto e lanciavano un proiettile antiaereo del peso di 10 kg a 10.800 metri di altezza. In funzione antinave invece il proiettile pesava 18 kg e veniva sparato a 13.000 metri di distanza.
La precisione del fuoco di queste armi era eccellente.La torretta singola in cui erano installati pesava 19 tonnellate.
Le mitragliere contraeree di piccolo calibro, da 37/54 mm e da 20/65 mm, erano ottime armi sviluppate autonomamente dall’Italia, installate inizialmente in numero totale di 36.
Quella da 37 mm in particolare aveva una cadenza di tiro di 120 colpi al minuto, e sparava un proiettile del peso di 1,63 kg alla quota di 5.000 metri.
In tutto erano presenti 20 mitragliere da 37 mm in 10 impianti binati e 28 da 20 mm in 14 impianti binati.
Vennero poi installate numerose altre mitragliere da 13,2 mm il cui numero andò via via aumentando durante il conflitto e non è stimabile in maniera univoca.
Completavano l’armamento di queste unità, prive di impianti lanciasiluri, 3 aerei, solitamente idrovolanti Ro.43, imbarcati a poppa, e lanciati in volo tramite una catapulta a vapore.
Verso la fine del conflitto vennero imbarcati anche aerei da caccia Re.2000, i quali però non essendo idrovolanti dovevano necessariamente tornare alle basi di terra una volta esaurito il carburante.
Corazzatura
Come disse l’ammiraglio tedesco von Scheer, una corazzata deve poter fare bene tre cose: galleggiare, galleggiare e galleggiare.
E sulle Littorio questo aspetto venne ricercato con molta cura e con soluzioni innovative.
La corazzatura verticale arrivava ad uno spessore massimo di ben 350 mm (contro i 320 della Bismarck), quella orizzontale arrivava a 207 mm, mentre le torri di grosso calibro erano protette frontalmente da 350 mm di acciaio. Il torrione di comando aveva le corazze dello spessore di 280 mm, stranamente meno di quanto avveniva nelle altre marine.
Ben protette risultarono anche le torri da 152 mm, che con uno spessore massimo di 100 mm erano progettate per resistere ad armi di pari calibro.
Decisamente interessante era la protezione subacquea, denominata “cilindri assorbitori modello Pugliese” dall’ingegnere navale che la ideò.
Si trattava di due lunghi cilindri deformabili, posti lungo la murata, posti all’interno di una paratia piena, con il compito di assorbire la forza dell’onda d’urto provocata dall’esplosione di un siluro o di una mina.
Questo sistema, oltre che provocare l’esplosione contro il cilindro e non contro la paratia, dava la possibilità di disperdere la forza dell’esplosione lungo l’interno del cilindro.
L’efficacia di tale sistema rimane comunque piuttosto controversa e non é confermata, né peraltro smentita, dalle vicende belliche.
L’ORGANIZZAZIONE AERONAVALE INGLESE
La portaerei Illustrious ebbe una vita gloriosa come le altre portaerei della sua classe ma è indubbio che è entrata prepotentemente nella storia per l’attacco di Taranto, il primo nel suo genere e senza dubbio il maggior ispiratore del successivo attacco giapponese a Pearl Harbor.
DINAMICA DELL’ATTACCO
Protetti dall’oscurità, l’11 novembre 1940 dodici biplani Fairey Swordfish decollarono dal ponte della portaerei britannica Illustrious e si diressero attraverso il Mediterraneo verso il territorio italiano, circa 315 chilometri a nord – ovest.
Guidati dal capitano di corvetta Kenneth Williamson, i 12 aerei (6 armati con siluri, 4 con bombe e 2 con bengala illuminanti) si separarono prima dell’obiettivo per cercare di confondere la contraerea.
A meno di un’ora di distanza giunse la seconda ondata con altri 9 aerei della portaerei Illustrious. Affrontando un incessante fuoco di sbarramento, gli Swordfish attaccarono la rada e colpirono 3 corazzate, 1 incrociatore e 2 cacciatorpediniere.
Gli assalitori persero solo 2 velivoli. Il giorno seguente a questo micidiale attacco i resti della flotta italiana si diressero a nord rifugiandosi a Napoli e lasciando le rotte mediterranee, in un momento critico della guerra, nelle mani della Royal Navy.
LA PORTAEREI ILLUSTRIUS
L‘HMS Illustrious (R87) fu una portaerei della Royal Navy, capoclasse della classe omonima ed a cui appartengono la Victorious, Formidable e la Indomitable. alla costruzione: 16 cannoni antiaerei da 114 mm in affusti binati.
Caratteristiche tecniche
Entrata in in servizio |
25 maggio 1940 |
|
|
Destino finale |
Smantellata a Faslane dal 3 novembre 1956 |
Caratteristiche generali |
|
Dislocamento |
a pieno carico: 19.121 |
Lunghezza |
227 m |
Larghezza |
29 m |
Pescaggio |
a pieno carico: 8,5 m |
Propulsione |
6 caldaie Admiralty a 3 corpi cilindrici; 3 turbine meccaniche Parsons con tre eliche; 110.000 CV |
Velocità |
30,5 nodi (56 km/h) |
Autonomia |
11.000 mn a 14 nodi (20.000 km a 26 km/h) |
Equipaggio |
1.200 uomini |
ARMAMENTO |
|
Armamento |
alla costruzione:· 16 cannoni antiaerei da 114 mm in affusti binati· 48 cannoni antiaerei da 40 mm “Pom-Pom” in 6 affusti ottupliPost 1945:· 16 cannoni antiaerei da 114 mm in affusti binati· 40 cannoni antiaerei da 40 mm Vickers-Armstrong QF 2 lb in 5 affusti ottupli· 3 cannoni antiaerei da 40 mm Bofors in affusti singoli· 38 mitragliere antiaeree da 20 mm Oerlikon in 19 affusti binati |
Mezzi aerei |
1940: 36 Fulmar e Swordfish
|
Come ormai abitudine per gli inglesi, l’attacco alla piazzaforte di Taranto si inserì in una operazione di maggior respiro, simile a quelle che organizzarono per tutto il resto del conflitto, che consisteva nel far passare dei convogli attraverso il Mediterraneo. Le forze inglesi erano divise come segue:
La corazzata Warspite
Forza A :
Corazzate: Warspite, Malaya, Valiant
Portaerei: Illustrious
Incrociatori: Gloucester, York
Cacciatorpediniere: 13
Tale forza aveva lo scopo di proteggere il convoglio MW3 fino a Malta e, sulla strada del ritorno, attaccare Taranto.
Convoglio MW3 :
5 piroscafi carichi di munizioni e materiali diretti da Alessandria a Malta.
Forza B :
Incrociatori: Ajax, Sydney, diretti a Suda carichi di materiali.
Forza C :
Incrociatore Orion, carico di materiale per la RAF, diretto al Pireo e poi a Suda.
Forza D :
Corazzata Ramillies
Incrociatori antiaerei: Coventry, Calcutta
Cacciatorpediniere: 13
Avrebbe scortato il convoglio MW3 fino a Malta, poi avrebbe proseguito con il ME fino ad Alessandria.
Forza F :
Corazzata: Barham
Incrociatori: Berwick, Glasgow
Cacciatorpediniere: 3
Queste navi dovevano andare a rafforzare la Mediterranean Fleet di Alessandria.
Forza H :
Portaerei: Ark Royal
Incrociatore: Sheffield
Cacciatorpediniere: 5
Avrebbe scortato la forza F fino a Malta
Erano presenti in mare anche altri due convogli:
AN6 :
3 piroscafi carichi di benzina e gasolio diretti in Grecia
AS5 :
alcuni piroscafi vuoti diretti dalla Grecia all’Egitto.
GLI AEREI IMBARCATI
FAIREY SWORDFISH
Un’arma antiquata ma ancora vincente
ARMAMENTO
L’armamento era una mitragliatrice Vickers MK 2 da 7,7 mm con seicento colpi sul lato destro del muso ed una Vickers K o Lewis da 7,7 mm posteriore brandeggiabile con sei tamburi da cento colpi. Su alcuni aerei non era installata la mitragliatrice anteriore. La mitragliatrice posteriore, quando non era utilizzata, poteva essere ritirata in un apposito incavo nella fusoliera. Lo Swordfish aveva vari punti di attacco e poteva trasportare:
-
al di sotto della fusoliera:
-
un siluro Mk XII da 457 mm e 760 kg;
-
una mina Mk I da 680 kg;
-
una bomba da 227 kg;
-
due bombe da 114 kg;
-
un serbatoio di carburante da 273 litri;
-
-
al di sotto ogni semiala inferiore:
-
una bomba da 227 kg;
-
tre bombe da 114 kg;
-
quattro bombe da 45 kg;
-
tre bombe di profonditàMk III da 112 kg.
-
Inoltre erano presenti attacchi più esterni, che potevano essere caricati con quattro bengala illuminanti, dotati di paracadute. Il siluro Mk XII aveva una testata da 176 kg ed una gittata di 3 200 m a 27 nodi (50 km/h) e 1 372 m a 40 nodi (74,2 km/
VERSIONI
-
Swordfish Mk I
Prima versione di serie. Alcuni vennero convertiti dalla Fleet Air Arm in biposto per l’addestramento dei piloti. Vennero prodotti 692 aerei di questa versione dalla Fairey e poi trecento dalla Blackburn.
-
Swordfish Mk II
Seconda versione di serie entrata in servizio nel 1943 con motore Pegasus XXX da 750 hp (560 kW) ed armata con razzi sotto l’ala inferiore, dotata di apposito rivestimento protettivo metallico.
Sotto ogni semiala inferiore al posto delle bombe poteva portare quattro razzi esplosivi RP-3 da 76,2mm e 27 kg o quattro razzi perforanti da 76,2mm e 11,3 kg; entrambi i tipi erano lunghi 1,2m ed usavano cordite come propellente solido. I razzi potevano essere lanciati a coppie, uno da ogni semiala, o tutti assieme; preferibilmente venivano lanciati a 550m dal bersaglio alla quota di 18m.
Generalmente gli aerei di questa versione avevano lo scarico allungato con silenziatore.[3]
Vennero prodotti 1.080 aerei di questa versione dalla Blackburn nel 1943.
-
Swordfish Mk III
Terza versione di serie con motore Pegasus XXX ed un nuovo RADAR antinave ASV (Anti surface Vessel) Mk XI sotto alla fusoliera anteriore entrata in servizio nel 1943.
Il nuovo radar con mare calmo permetteva di localizzare un sommergibile in emersione a circa venti chilometri ed uno snorkel ad otto da una quota di 610m, con un’accuratezza angolare di 2º, ma impediva l’installazione di armamento ventrale.
Vennero prodotti 320 aerei di questa versione dalla Blackburn, compreso l’ultimo Swordfish prodotto, l’NS204 completato il diciotto agosto 1944.
-
Swordfish Mk IV
59 Swordfish Mk II convertiti in addestratori armati solo con la mitragliatrice posteriore e dotati di abitacolo chiuso, usati dalla RCAF per l’addestramento al tiro dei mitraglieri di coda a Yarmouth in Nuova Scozia.
Sorprendentemente, la modifica non venne estesa agli Swordfish operativi, per cui gli equipaggi continuarono a volare per tutta la guerra in aerei con abitacolo aperto, anche nelle durissime condizioni ambientali invernali dell’Atlantico del nord.
Alcuni Mk IV vennero poi convertiti in traino bersagli.
Un siluro pronto per essere sganciato nella NOTTE DI TARANTO
Alcuni Swordfish in volo sopra la portaerei britannica HMS ARK Royal nel 1939
AEREI FULMAR – PORTAEREI ILLUSTRIOUS
Aereo da caccia imbarcato
Fairey Fulmar Mk.I
FAIREY FULMAR Mk II N4052
Descrizione: Tipo aereo da caccia imbarcato.
Equipaggio: 2
Progettista: Marcel Lobelle
Costruttore: Fairey
Data primo volo: 13 gennaio 1937
Data entrata in servizio: 10 maggio 1940
Data ritiro dal servizio: 1945
Esemplari: 600 (250 Mk. I e 350 Mk. II)
Dimensioni e pesi: Lunghezza12,29 m
Apertura alare: 14,02 m – Diametro fusoliera 1,02 m – Altezza 3,54 m
Superficie alare: 31,77 m2
Peso a vuoto: 3 960 Kg. Peso max al decollo 4.860
Propulsione: Motore Rolls-Royce-Merlin MK.VIII
Potenza: 1.035 Cv
Prestazioni: Velocità max 415.km/h a 2.700.m-725.km/h
Autonomia: 1.340 km
Raggio di azione: 400 km
Tangenza: 4900 mt
Armamento: Mitragliatrici 8 Vickers K 7,7 mm o 4 Brownig M2 12,7 mm alari
QUELLA STESSA NOTTE SI SVOLSE ANCHE LA BATTAGLIA
DEL CANALE DI OTRANTO
La stessa notte del 12 novembre 1940, subito dopo la conclusione dell’attacco aereo nella base di Taranto, le navi da guerra britanniche intercettarono un convoglio italiano diretto a Valona, formato da quattro piroscafi scortati da una torpediniera e da un incrociatore.
La sera dell’11 novembre, intorno alle 18, alcuni incrociatori e cacciatorpediniere inglesi si distaccarono dalla flotta principale che stava dirigendosi verso il golfo di Taranto per l’operazione Judgement e si diressero verso il Canale d’Otranto per intercettare il traffico verso l’Albania
Incrociatore leggero HMS AJAX (classe Leander
Incrociatore Leggero HMS ORION (classe Leander)
Incrociatore leggero HMS SYDNEY (classe Leander)
I MERCANTILI AFFONDFATI
Il piroscafo Antonio LOCATELLI e l’orologio incrostato di salsedine di Manlio Bartolini, fermo all’ora italiana in cui si gettò in mare (collezione Minissi)
M/n CATALANI (Tirrenia)
Piroscafo PREMUDA
Piroscafo CAPO VADO
Lo squadrone inglese era costituito dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Sydney con la scorta dei cacciatorpediniere della classe Tribal: Nubian e Mohawk.
Il convoglio italiano era costituito dai piroscafi Antonio Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi, al comando del tenente di vascello Giovanni Barbini, e dall’incrociatore ausiliario RAMB III al comando del capitano di fregata Francesco De Angelis.
I piroscafi furono affondati, la torpediniera fu gravemente danneggiata, l’incrociatore riuscì a raggiungere il porto di Brindisi. Il giorno successivo furono recuperati 140 superstiti: morirono 36 persone.
La conseguenza principale della cosiddetta “Notte di Taranto” fu che la flotta italiana rimasta venne spostata a Napoli e Messina. L’operazione britannica dimostrò inoltre le carenze e la debolezza della marina italiana: gli inglesi avevano navigato indisturbati per una intera settimana nel Mediterraneo, avevano rifornito la Grecia e Malta con numerosi convogli e avevano portato a termine con successo un attacco che compromise seriamente la metà dell’intera flotta italiana.
BREVI CONSIDERAZIONI SUL TRAGICO CAPITOLO
NOTTE DI TARANTO
Contesto storico: Il bombardamento di Taranto avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale, tra l’11 e il 12 novembre 1940. Questo evento fu un’importante battaglia navale che coinvolse la Marina italiana e la Royal Navy britannica nel Mar Mediterraneo. Taranto era una base navale italiana strategica, e l’attacco inglese fu un tentativo di indebolire la flotta italiana e aumentare la superiorità navale britannica nella regione.
Progetto strategico inglese: Il progetto strategico inglese coinvolto nell’attacco di Taranto fu noto come “Operazione Judgment”. L’obiettivo principale era distruggere o danneggiare gravemente la flotta italiana per limitare la sua minaccia nel Mediterraneo e facilitare le operazioni navali britanniche nella regione.
Difetti della base italiana: Taranto aveva diversi difetti che contribuirono al successo dell’attacco britannico. La principale vulnerabilità era la mancanza di un sistema di difesa antiaerea adeguato. Inoltre, le navi italiane erano ancorate in modo relativamente concentrato, facilitando il targeting da parte degli aerei britannici.
Fattore sorpresa: Il fattore sorpresa fu cruciale nell’operazione. Gli aerei britannici riuscirono a penetrare nelle difese italiane senza essere rilevati o intercettati, garantendo un attacco efficace contro le navi ancorate a Taranto.
Fallimento dei Servizi segreti italiani: Il successo dell’operazione britannica è stato attribuito anche a un fallimento dei servizi segreti italiani nel prevedere e contrastare l’attacco imminente. Gli inglesi furono in grado di mantenere il loro piano segreto, sfruttando la mancanza di informazioni precise da parte degli italiani.
Fallimento strategico di Mussolini: Mussolini è stato criticato per il fallimento nel riconoscere e affrontare adeguatamente le nuove tecnologie e tattiche navali. La mancata costruzione tempestiva di una portaerei italiana e l’adozione di nuove tecnologie, come il radar, furono viste come carenze strategiche che influenzarono negativamente la capacità della flotta italiana di difendersi efficacemente.
BIBLIOGRAFIA
Arrigo Petacco: La battaglie navali nel Mediterraneo nella Seconda Guerra Mondiale. A.Mondadori Editore, Milano 1996
Schofield B.B.: La notte di Taranto. Mursia Editore
Nino B. Lo Martire: La notte di Taranto (11 novembre 1940)
La Seconda Guerra Mondiale Enciclopedia 6 volumi – Curcio Editore
Vincenzo Grienti: Una ferita passata alla storia, “la notte di Taranto”– Ufficio Storico della Marina Militare
Carlo GATTI
Rapallo, 21 Novembre 2023