BOMBARDAMENTO DI GENOVA

1684 

Una Storia da ricordare….

Portrait of Louis XIV of France in Coronation Robes (by Hyacinthe Rigaud) – Louvre Museum

 

Nel Maggio del 1684 il “re Sole” ordinò alla sua flotta navale di bombardare la città di Genova provocando distruzione e morte nei suoi vasti quartieri. I veri motivi di tanto odio e brutalità non sono facili da interpretare tra le diverse suggestive versioni popolari ed altre più articolate degli storici di professione, come vedremo.

 

Raffigurazione del bombardamento del 1684 in cui è ben mostrata l’imponenza della flotta

 

Dipinto raffigurante il bombardamento; si vedono, simili a piattaforme galleggianti, le palandre

 

 

Dipinto raffigurante il bombardamento su Genova della flotta francese nel 1684 (wikipedia)

 

Un fatto pare certo: la città fu attaccata senza preavviso e in modalità terroristica, si direbbe oggi, se si pensa che furono scagliate ben 13.000 bombe sulla popolazione civile: una tattica che è praticata tutt’oggi con gli stessi metodi e risultati.   

Mirato a punire Genova per i suoi legami con la Spagna, l’intervento francese, evidenza la durezza della politica internazionale dell’epoca che, opportunamente, ci richiama alla mente un pensiero che non tramonta mai:

“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.”  (Jean-Paul Sartre)

 

 

Vi proponiamo tre interessanti interpretazioni popolari, puntualmente documentate e ricche di fotografie che aprono orizzonti più ampi su quanto in seguito sosterranno gli affermati Storici della Superba.

 

Il prof. Franco Bampi, Presidente della COMPAGNA, scrive sul suo sito: mailto:franco@francobampi.it

UNA STORIA IGNORATA

liguria@francobampi.it

Quasi nessuno conosce i “veri motivi” di tale decisione francese. Noi abbiamo trovato la relativa “documentazione storica” e ve la raccontiamo.

La Repubblica di Genova aveva deciso, anticipando come sempre i tempi, che gli equipaggi delle navi fossero fatti da “uomini liberi” e non più da “schiavi legati al remo” ed aveva chiamato tali navi, “galee della libertà”.

Invece in Francia il “re Sole” Luigi XIV°, che aveva scatenato una vera e propria “persecuzione” contro i Protestanti, li faceva condannare a migliaia (“chiunque predicasse o ascoltasse un sermone protestante”) per fornire gratuitamente le braccia, come schiavi legati al remo delle navi.

L’avvento delle “galee della libertà” genovesi avrebbe posto fine allo schiavismo di bordo e la Francia di Luigi XIV° non poteva tollerare che la Repubblica di Genova inaugurasse una nuova era della Navigazione, insegnando come si poteva fare a meno degli ergastolani incatenati ai remi.

Il “re Sole” chiese perentoriamente alla Repubblica di Genova di disarmare tali “galee della libertà”. Il Senato della Repubblica respinse tale richiesta, dando praticamente il via alla “vendetta” francese che si svilupperà con i “bombardamenti navali” che sopra abbiamo raccontato. Dal 18 al 22 Maggio del 1684, Genova resistette eroicamente a tale bombardamento, respingendo anche i vari tentativi di sbarco a Sampierdarena ed a Quarto. 

Avvicinandosi tali date, abbiamo voluto “ricordarle”, perché gli attuali abitanti della Liguria possano essere fieri della Storia della loro Terra che, in oltre 800 anni di INDIPENDENZA, aveva saputo creare una vera e propria Civiltà Ligure (le “galee della libertà” sono state uno dei segni di tale Civiltà!)…..

 

 

In un altro sito molto visitato: Dear Miss Fletcher

7 Maggio 1684, le bombe del Re Sole sulla Superba

https://dearmissfletcher.com/2013/10/10/17-maggio-1684-le-bombe-del-re-sole-sulla-superba/

 

 

Leggiamo:

C’era una Repubblica indomita e orgogliosa e c’era un sovrano che sedeva sul trono di Francia: Luigi XIV detto il Re Sole. …..E così, nel lontano 1679, a Genova fu ingiunta una perentoria richiesta: le artiglierie genovesi dovevano rendere omaggio alle navi francesi sparando a salve al loro ingresso nel porto di Genova.


Ma figurarsi, sono i foresti che devono tributare omaggi ai genovesi!
E insomma, il Comandante della flotta francese, l’Ammiraglio Abrahm Duquesne, non la prese affatto bene e in quella circostanza si allontanò dalle coste liguri cannoneggiando Sampierdarena e in seguito Sanremo.

E gli anni passarono, giunse il 1682.
Credete che il Re Sole si fosse dato per vinto?


Manco per idea, anzi!
In quei giorni accaddero cose strane, sul territorio della Repubblica si potevano incontrare certi personaggi vestiti da pittori e da religiosi.


Nessuno sapeva che quelli in realtà erano agenti segreti inviati dalla corte di Francia con il compito di setacciare ogni angolo della Repubblica per controllare il sistema difensivo, le fortificazioni e le batterie delle quali Genova disponeva.
Ma i nemici provenivano da ogni dove, la Superba doveva difendersi.
E così c’erano quattro galee all’ancora, nel porto di Genova, quattro imbarcazioni per difendere la città in caso di attacchi barbareschi.
E queste divennero uno dei pretesti che la Francia usò per attaccar briga e poter aggredire la città.


Vennero poste alcune condizioni, tra queste il disarmo delle quattro galee, i Francesi accusavano i genovesi di averle armate contro di loro.


E poi, naturalmente, si intimò alla Repubblica di mettersi sotto la tutela della Francia e di tributare, come già richiesto, il saluto alle navi francesi.


Il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari e i senatori si trovarono concordi: le condizioni erano inaccettabili.
E giunse quella mattina di primavera, giunse il 17 Maggio 1684.
Chissà, forse era una giornata di cielo terso e luminoso come spesso accade in Liguria in quella stagione.

Quel giorno l’intera flotta francese si schierò nel mare di Genova, vascelli, galee e bastimenti coprirono la superficie dell’acqua dalla Foce alla Lanterna, 756 bocche di fuoco erano puntate contro la Superba.Giunse un ultimatum, si decidevano questi genovesi a sottomettersi al Re Sole?Come risposta dalle batterie dei forti partirono cannonate contro la flotta francese.E fu l’inizio della disfatta.La città fu bombardata per 4 giorni consecutivi, su Genova piovvero le terribili bombe incendiarie che distrussero chiese ed edifici.Una di queste bombe si trova a Palazzo San Giorgio che pure venne colpito in quei giorni difficili.

 

Una città devastata e aggredita, le bombe caddero sulla Chiesa delle Grazie, su San Donato, su Santa Maria in Passione, sul Ducale che era dimora del Doge e sulle case dei cittadini.

Distruzione, morte e fuoco.

E fuga, vennero aperte le porte dell’Acquasola e di Carbonara, fuggì la plebe e fuggirono i nobili.
Il Doge fu costretto a riparare all’Albergo di Carbonara, ovvero l’Albergo dei Poveri, lì si trasferì anche il Governo della Repubblica e lì vennero condotte ceneri del Battista che si trovano nella Cattedrale di San Lorenzo.

 

La Francia ripropose le sue condizioni ma queste vennero nuovamente rigettate. E le bombe continuarono a cadere.

 

La Bomba incendiaria (Santa Maria di Castello- Genova) 

E le bombe continuarono a cadere, la città era un incendio.
I genovesi ebbero la forza di difendere la Superba con grande coraggio, evitando che la gran parte dei soldati francesi sbarcasse dalle navi. E lì, in quella stanza, si trova una di queste bombe.

 

Il dipinto che testimonia quei giorni, si trova in Santa Maria di Castello e raffigura la chiesa in fiamme a causa delle bombe lanciate dalla flotta francese.

Ne caddero in totale 13.300, il bombardamento ebbe fine il 28 Maggio in quanto i francesi avevano terminato le loro munizioni.
La storia triste e drammatica di questa vicenda ha un epilogo curioso e a suo modo divertente che vede protagonista.

II Doge Lercari.


La storia è fatta di trattati e di compromessi, a volte.
Era il mese di maggio 1685: il Doge con il suo seguito di nobili, si vide costretto a recarsi a Versailles a richiedere la clemenza del Re, che in cambio avrebbe fornito alla Repubblica i denari necessari per ricostruire gli edifici di Genova danneggiati dal bombardamento.


Fu accolto con grande sfarzo e grande sfoggio di ricchezza, attraversò le sale splendenti di Versailles e infine si trovò nel luccichio della Galleria degli Specchi.
Tutto si svolse secondo il protocollo nella splendida reggia del Re Sole.

E si narra che infine venne chiesto al Doge Lercari che cosa lo avesse maggiormente stupito di Versailles.
E lui, al cospetto del Re di Francia, pronunciò solo due parole in dialetto genovese:
 Mi-chi!
E cioè, io qui.

Mentre l’intera corte si attendeva che magnificasse la grandezza e il fulgore di Versailles, il Serenissimo Doge lasciò tutti con un palmo di naso esprimendo così il suo amaro rammarico nel vedersi lì, davanti a Luigi XIV, colui che aveva ordinato l’aggressione della sua Genova.

Accadeva diversi anni fa, dopo che le bombe francesi erano cadute sulla Superba.

 

A Mae ZENA

Storia di… un Re… di un Doge…

 

… un bombardamento… una guerra e un orgoglio che non ha prezzo.

Siamo nel 1684 il Re Sole, con il pretesto di un mancato saluto (ogni nave straniera che entrava nel Porto doveva, per antica consuetudine, sparare un colpo di cannone a salve, in omaggio alla Repubblica; Il Sovrano pretendeva l’esatto contrario), di un’amicizia con la Spagna (gli armatori genovesi stavano infatti allestendo un’imponente flotta per gli iberici), di un prestito non corrisposto (Il Re, per pagare le sue truppe sparse in tutta Europa, aveva bisogno delle “palanche” dei banchieri nostrani), della mancata concessione a vantaggio di Savona (città alleata dei nemici) di un deposito del sale, dà ordine alla sua flotta di centosessanta navi schierata e 756 bocche da fuoco dalla Foce alla Lanterna, di bombardare la città.

Quattro giorni di lutti e distruzione ma la Superba resiste, non si piega e ribadisce, davanti ad un’Europa terrorizzata, la propria LIBERTA’ e proclama la propria INDIPENDENZA!

Il marchese di Segnalay infatti, comandante della spedizione dà ordine a Duquesne, ammiraglio dello stuolo reale, nella notte fra il 22 e il 23 maggio di sbarcare a Sampierdarena con 3500 soldati e, come diversivo, con un piccolo contingente in Albaro.

La milizia repubblicana genovese però con l’ausilio di numerosi volontari polceveraschi, sotto la guida del Capitano Ippolito Centurione, respinge gli invasori.

I Francesi, fallito lo sbarco e terminate le munizioni, la sera del 29 maggio rientrano a Tolone.

Re Sole infuriato per l’accaduto fa rinchiudere nella Bastiglia l’ambasciatore genovese a Parigi Paolo De Marini, il quale riesce a far giungere ai Serenissimi una missiva in cui li esorta a non sottomettersi al despota francese e a non preoccuparsi per lui dato che, per l’onore e la dignità della Repubblica, sarebbe pronto alla morte.

Il diplomatico avrà salva la vita e, incaricato dal Senato, negozierà a Ratisbona la pace, sostanzialmente alle condizioni imposte dal Monarca.

L’anno seguente il Doge Francesco Imperiale Lercari invece, convocato a Versailles, dovrà dar soddisfazione al Re e ratificare il trattato di pace precedentemente pattuito.

 

 

“Quadro raffigurante il Doge genovese accolto a Versailles dal Re Sole per ratificare la pace”. Louis 14-Versailles 1685

 

 Ma non rinuncerà al suo orgoglio di GENOVESE, quando interrogato su cosa l’avesse più colpito (il Sovrano si riferiva allo sfarzo della reggia, allo spettacolo dei giochi d’acqua delle fontane, all’opulenza dei nobili di Corte), rispose sprezzante

“Mi chi”   (di essere qui io).

 

Interpretati dall’autore di questo articolo: Il parere degli storici:

Gabriella Airaldi e Antonio Musarra offrono un’analisi ancora più ampia e contestualizzata. Infatti, il bombardamento di Genova può essere visto come parte di un piano più grande di Luigi XIV, che mirava a garantire il controllo del Mediterraneo, particolarmente strategico per il commercio e la guerra.

Il porto di Genova era cruciale, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo ruolo come centro di traffico commerciale e finanziario. La presenza delle banche genovesi, che sostennero gli avversari della Francia, amplificava l’interesse di Luigi XIV nel ridurre l’influenza genovese e garantire l’egemonia francese nella regione. In sintesi, la visione di un conflitto tra interessi sui porti e sul potere economico si allinea meglio con le ambizioni imperiali e commerciali di Luigi XIV, piuttosto che con motivazioni puramente locali o religiose.

 

La sfida, quindi, è quella di promuovere una comprensione storica che vada oltre le superficialità e che incoraggi un dialogo informato.

 

Riguardo all’episodio della convocazione del Doge a Versailles, è considerato emblematico della relazione tra il potere francese e quello genovese. La risposta attribuita al Doge, “mi sun chi”, che in dialetto genovese significa “io sono qui”, è spesso interpretata come un gesto di coraggio e dignità.

Questo scambio è usato frequentemente per illustrare l’impatto dell’autorità e della pompa di Versailles, ma anche il valore dell’orgoglio genovese, nonostante la sottomissione alla potenza francese.

Nonostante non ci siano documenti certi che confermino in modo inconfutabile questo scambio, la leggenda riflette comunque il senso comune di resistenza e l’icona di dignità che i genovesi cercarono di mantenere anche di fronte a una situazione così umiliante.

 

Questa narrazione ha alimentato il folklore locale e ha contribuito a formare un’immagine di resilienza e fierezza.

 Il terribile bombardamento stoicamente subito evidenzia, da ogni prospettiva lo si guardi, la dignità e il coraggio dei genovesi di fronte all’oppressione francese in quel particolare quadro storico, la cui stupenda cornice rappresenta il valore aggiunto dell’identità culturale locale che, puntualmente documentata con ricerche e testimonianze scritte, arricchisce il contenuto narrativo più generale.

Di quel tristissimo evento bellico che costò tanti  morti e macerie, rimangono tuttora, dopo 340 anni, le ferite sui muri della Superba, come abbiamo visto.

 

Per completezza riporto da wikipedia i particolari militari dell’assedio:

 

* La bombarda (detta anche palandra, o balandra, fino al XVI secolo, dall’olandese bylander, attraverso il francese balandre, bélandre)[1] fu un tipo di nave da guerra a vela di non grande stazza e concepita non per operare contro altre navi, ma contro bersagli terrestri. Si trattava di scafi privi di alberatura, con una fiancata gremita di cannoni di grosso calibro e mortai, mentre l’altra era disarmata. Di solito venivano trainate da lance o da altre navi.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1684)

 

 La mattina del 17 maggio 1684, i genovesi poterono vedere schierate davanti alla loro città 160 navi da guerra francesi, a formare uno schieramento che andava dalla Lanterna alla foce del Bisagno.

In tutto dieci palandre guardate ai lati da grosse imbarcazioni piene di moschettieri in assetto di guerra, erano pronte a far sentire il loro potere offensivo; e a mezzo miglio di distanza 20 galee e 16 vascelli con al centro la nave ammiraglia minacciavano il porto pronte a intervenire.[4]

Si aggiungevano 8 navi da trasporto, 17 tartane e 72 imbarcazioni a remi per il rifornimento delle polveri da sparo, per una flotta che contava in tutto 756 bocche da fuoco posizionate contro la Repubblica.

Il giorno seguente la giunta di guerra presieduta dal Doge, per ritardare il massiccio bombardamento, ordinò al Maestro di Campo generale di intimare alle navi nemiche di allontanarsi, con spari a salve, ma ciò non ebbe alcun effetto, così alcune delle artiglierie costiere diressero il proprio fuoco verso le palandre francesi più vicine, colpendone alcune e costringendo le altre a indietreggiare.

La risposta fu immediata, e verso sera l’artiglieria navale francese mise in mostra la sua superiorità[5], e se anche la replica genovese fu rabbiosa, i pezzi di artiglieria costiera non crearono molti danni alla flotta del Re Sole.

Il 19 maggio il bombardamento fu più violento, e i nuovi mortai da 330 mm[6], furono una tragica scoperta per i genovesi: con il loro effetto devastante, terrorizzarono gli abitanti e causarono molti danni, colpendo il salone del Palazzo Ducale, che finì devastato dalle fiamme in quanto usato come deposito di polvere da sparo.

La Dogana fu distrutta, la casa di Colombo, palazzo San Giorgio, il Portofranco e le chiese di Sant’Andrea, Santa Maria in Passione e Santa Maria delle Grazie subirono gravi danni.

Molte abitazioni e ville furono danneggiate, via san Bernardo, via Giustiniani e via Canneto subirono danni ingentissimi; la notte tra il 19 e 20 maggio i tiri francesi non cessarono, e le temute palandre, protette dall’oscurità dal tiro delle batterie genovesi, avanzarono verso la costa, allungando il loro tiro verso l’interno.

Il Tesoro di San Lorenzo e quello della Banca di San Giorgio furono trasferiti al sicuro fuori dalla linea di fuoco, il Doge si trasferì nei locali dell’Albergo dei Poveri, Don Carlo Tasso ordinò di trasferire quante più truppe possibili nei luoghi dove era più probabile uno sbarco, e operai e i camalli furono arruolati con il compito di contrastare crolli e incendi.

Il 25 maggio furono affondate alcune imbarcazioni all’imboccatura del porto, in città erano ormai piovute circa 6.000 bombe, che: 

«Pareva ormai che la città si convertisse in un totale incendio, ma che l’Inferno stesso vi avesse aggiunto parte delle sue fiamme»

. Così scriveva Filippo Casoni dopo il quarto giorno di cannoneggiamenti, ma la Repubblica di Genova tramite il tono orgoglioso del Doge Francesco Maria Imperiale Lercari, non accettò le pesanti condizioni di resa, e rigettò l’intimidazione, rispondendo che la repubblica non era disposta a trattare sotto il fuoco nemico.[3]

 

Lo sbarco

Per tutta risposta il Marchese di Seignelay intensificò il fuoco dei cannoni, prima di coordinare una simulazione di sbarco verso il litorale di levante, nei pressi della Foce, allo scopo di distogliere le difese genovesi dal vero sbarco che avrebbe dovuto prendere terra a ponente, fra Sampierdarena e la Lanterna.

Le milizie locali sbaragliarono le truppe che misero piede sul litorale della Foce, ma i 3.500 fanti sbarcati a Sampierdarena, protetti dal fuoco di alcune palandre, misero comunque a dura prova le difese della città. Solo l’intervento di volontari della val Polcevera, con un intenso fuoco di fucileria, mise in fuga i francesi che ripresero il largo. Alcuni di loro però dovettero fuggire verso l’interno, impossibilitati a riprendere il largo, per via del furore dei polceveraschi, come raccontato molti anni dopo dal sacerdote Giacomo Olcese:

«[…] i vecchi della nostra parrocchia raccontano che alcuni videro alla Torrazza[7] i francesi, alcuni si nascosero, altri andavano armati in cerca di qualche francese da uccidere[8]»

 

Una strenua resistenza

 

 

Medaglia commemorativa del bombardamento

 

Nonostante i chiari limiti delle batterie costiere, il cannoneggiamento fu sospeso il 29 maggio, quando la maggior parte della flotta riprese il mare in direzione di Tolone, desistendo dal tentativo in quanto le scorte di polvere da sparo e munizioni erano terminate, e lo sbarco fallito.

Genova mostrava i segni del martellamento navale: oltre 16.000 bombe caddero sulla città, circa la metà rimase inesplosa, circa un terzo degli edifici evidenziò danni anche ingenti, giacché la città fu colpita fino al quartiere di Oregina dal tiro delle palandre spintesi quasi alla costa.

L’orgoglio dei Genovesi però non cessò mai, venne eletta a protettrice della città santa Caterina Fieschi Adorno, subito iniziarono i lavori di ricostruzione per riportare la città al consueto splendore e le opere di rafforzamento delle difese della città e dell’ingresso del porto.

Il poeta genovese Giovanni Battista Pastorini scrisse per l’occasione il sonetto Genova mia, compreso nella raccolta Poesie, pubblicata postuma a Palermo, nel 1684.

Il Doge Francesco Lercari trattò l’arruolamento di 2.000 fanti svizzeri e 300 cavalli, il tratto dello sbarco fu al centro di particolari rafforzamenti, e si scavarono trinceramenti avanzati allo scopo di dissuadere ogni tentativo futuro.

 LA PACE 

Nel timore di un nuovo attacco francese, il governo della Repubblica si rivolse perfino a papa Innocenzo XI per esortare Luigi XIV ad abbandonare i suoi progetti bellicosi nei confronti di Genova, anche per il timore della Santa Sede che un nuovo bombardamento avrebbe scosso le coalizioni diplomatiche, spingendo la Repubblica e la sua cerchia di alleanze a stringere commerci con paesi «barbari dove non sono Chiese né Monasteri di vergini»[9], ossia l’Impero ottomano.

Così il compito fu affidato al cardinale Ranucci, rappresentante della Santa Sede a Parigi, che si recò alla corte del Re Sole:

«Rappresentando il gran dolore concepito da Sua Santità per il suddetto accidente e i gravissimi danni patiti dalla Repubblica e il sommo disturbo che riceveva l’Italia e la guerra contro il turco, pregando però S.M. di tralasciare risentimenti così pregiudiziali anco a pubblico bene, e deponer ogni sinistro concetto formato contro quel Governo e reintegrarlo nella Real Gratia[9]»

 

 

 

Note

1.   ^ Luigi XIV, Memorie, Bordigheri, Torino, 1962

2.   ^ Pierre Goubert, Luigi XIV e venti milioni di francesi, Bari, Laterza, 1968

3.    Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova

4.   ^ Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova, p. 224

5.   ^ L’impiego francese delle artiglierie rappresentava la massima evoluzione del periodo: già nel 1683 a Parigi fu stampato L’Art de jetter les Bombes, scritto dal Maresciallo François Blondel, opera indicativa sui progressi raggiunti nella teoria e sperimentazione del tiro e dei materiali d’artiglieria

6.   ^ Già utilizzati dalla flotta francese due anni prima contro Algeri, con risultati molto efficaci, che indussero i francesi a moltiplicarne i pezzi e le tecniche

7.   ^ Frazione di Sant’Olcese

8.   ^ Giacomo Olcese, Storia civile religiosa di Casanova, tipografia della Gioventù, Genova, 1900

9.    Manoscritto  Ristretto del Ministero del Sig. Cardinale Angelo Ranucci […] nelle quali si tratta del bombardamento di Genova […]– Biblioteca Civica Berio, Genova

 

 

 

Concludo segnalando un articolo-riepilogo dei principali bombardamenti subiti da Genova nella sua lunga storia.

 

A Mae Zena

BOMBA SU BOMBA ….    ((Il secondo di tre articoli)

https://www.amezena.net/tag/recco/

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 12 Dicembre 2024