LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE
LA NAUMACHIA DI CESARE
La prima naumachia fu ideata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per celebrare i suoi trionfi. Fece scavare un ampio bacino nella Codeta Minore (Campo Marzio), vicino al Tevere da cui riceveva l’acqua. Aveva una profondità di 11-12 metri in grado di far affluire l’acqua e larga a sufficienza da contenere vere navi da guerra (biremi, triremi e quadriremi). Parteciparono alla battaglia ben 2.000 combattenti e 4.000 rematori ingaggiati tra i prigionieri di guerra.
La folla proveniente da ogni dove, persino dalle colonie più lontane, era così numerosa e stipata al punto che, come narra Svetonio, nella ressa micidiale morirono centinaia di persone. In quella occasione fu ricreata una battaglia tra Fenici e Cartaginesi.
Sappiamo che la naumachia di Cesare si trovava nel Campo Marzio, probabilmente in corrispondenza della depressione centrale dove era presente la Palus Caprae e dove più tardi venne sistemato lo stagnum Agrippae. Non potendo essere svuotata, se ne decise il riempimento nel 43 a.C.
LA NAUMACHIA DI AUGUSTO
La Saepta Iulia é l’edificio in alto al centro
Saepta Iulia (o Julia), noto in seguito come Septa e in greco come τὰ Σέπτα, erano edifici costruiti a Roma nel Campo Marzio. Tutta la zona è stata riedificata nei secoli successivi, ma gli studi di Guglielmo Gatti (1905-1981) hanno definitivamente fissato la posizione dei Saepta fra via del Seminario, via di S. Ignazio, via del Plebiscito, via dei Cestari e via della Minerva.
Si tratta di un complesso monumentale con uno spazio aperto di 300 x 120 mt, circondato da portici e arricchito da opere d’arte proveniente dai paesi conquistati.
Per l’inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato “bosco dei cesari” (nemus Caesarum), un bacino dove s’affrontarono 3000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.
BATTAGLIA DI AZIO
NAUMACHIA
Augusto voleva così celebrare la flotta romana, poiché egli stesso aveva conquistato il potere e sgominato i suoi nemici vincendo la battaglia di Azio, ove suo genero Agrippa, costruttore del Pantheon, era stato l’ammiraglio della flotta.
La naumachia d’Augusto (naumachia Augusti) è la più conosciuta. Nelle Res Gestæ, Augusto medesimo indica che il bacino misurava 1800 piedi romani su 1200 (circa 533 mt x 355 mt).
Plinio afferma che al centro del bacino rettangolare, si trovava un’isola collegata all’argine con un ponte. Il bacino era rifornito dall’acquedotto dell’Aqua Alsietina, appositamente costruito da Augusto per la sua alimentazione, poteva riempirlo in 15 giorni. Un canale navigabile permetteva l’accesso alle navi provenienti dal Tevere, oltrepassato da un ponte mobile (pons naumachiarius).
NAUMACHIA DEL COLOSSEO
Marziale narra che si tennero delle naumachie al Colosseo nei primi anni dopo l’inaugurazione. In seguito non fu più ritenuto idoneo per le modifiche murarie che vennero fatte all’intero impianto.
L’autore racconta inoltre che si tennero delle naumachie al Colosseo, ma gli archeologi moderni sostengono che esse furono abbandonate poiché erano necessari molti preparativi per rendere l’arena stagna e riempirla ad una altezza sufficiente (1,5 m) per potervi far galleggiare le navi.
Per l’inaugurazione del Colosseo nell’80 d.C. Tito diede due naumachie, una nel bacino agostiniano, usando ancora diverse migliaia di uomini e l’altro nel nuovo anfiteatro. Secondo Svetonio, Domiziano organizzò una naumachia all’interno del Colosseo, senza dubbio nell’85 d.C., e un’altra nel corso dell’anno 89 d.C. in un nuovo bacino scavato al di là del Tevere.
L’arena del Colosseo misurava solo 79.35 x 47,20 metri, una naumachia nel Colosseo non poteva quindi essere grande come le precedenti. E’ noto infatti che venissero impiegate sceneggiature raffiguranti navi, talvolta con meccanismi per simulare naufragi, sia sul palco che in campo (Tacito, Annales, XIV, 6, 1; Dion Cassio LXI, 12,2).
NAUMACHIE DI CLAUDIO
NOTA COME LA NAUMACHIA DEL FUCINO
Fu la più “grande” naumachia di tutti i tempi
Claudio nel 52 d.C. diede una naumachia su un vasto specchio d’acqua naturale, il lago del Fucino, per inaugurarne i lavori di prosciugamento attraverso l’apertura dei cunicoli di Claudio.
Le due flotte contavano ognuna 50 vascelli, corrispondente alle unità di ciascuna delle due flotte militari con basi a Miseno e a Ravenna. Grazie all’ampia superficie del lago Fucino, di cui solo una parte, circoscritta da pontili, fu usata per l’occasione, le navi poterono procedere con varie manovre d’avvicinamento e speronamento. La naumachia di Claudio riproduceva realmente una battaglia navale.
Gaius Suetonius, Dione Cassio e Cornelio Tacito, scrissero:
«Per realizzare l’Opera di Prosciugamento del Lago Fucino, ci vollero circa 11 anni di incessanti e massacranti lavori, a turni implacabili, giorno e notte, in cui vennero impiegati, “in condizioni disumane” più di 30.000 schiavi e che, Claudio, ambì commemorare l’inaugurazione dei lavori del prosciugamento del Lago Fucino, con una magnificenza tale, che ne superasse ogni altra, sia in grandezza che in splendore».
Lo spettacolo più monumentale a quei tempi era la — Naumachia — che, come una grande e importantissima partita di calcio di oggi, mandava letteralmente in visibilio le platee e, particolarmente, Claudio.
«La naumachia consisteva nella simulazione di una battaglia navale con combattimenti veri — con lotte all’ultimo sangue — fino alla morte».
Per l’eccellente riuscita della rappresentazione, Tacito e Sifilino, ci dicono che furono costruite circa un centinaio di galere a tre, e a quattro ordini di remi, che vennero organizzate su due flotte, una rappresentava i Rodiesi (Rodiani) e l’altra i Siculi (Siciliani). Per reperire i numerosissimi combattenti, si rastrellarono da tutte le prigioni circa 19.000 persone per farli guerreggiare su queste imbarcazioni. Per il suddetto gigantesco avvenimento, con annesso spettacolo, sulle rive del Lago Fucino, si recò ad assistere tutta Roma.
L’imperatore con la sua sposa, il figlioccio Nerone e gli altolocati della sua splendida corte, presero posto su un apposito chiosco, all’uopo predisposto ed a questi riservato, nelle immediate prossimità dell’inghiottitoio dell’Emissario. Dopo che le “galee” si erano disposte in posizioni antagoniste, in cerchio a queste, si posizionarono numerosissime zattere ed altre imbarcazioni occupate da guardiani armati di baliste, catapulte ed altre armi, con il compito di impedire che i combattenti potessero avere modo di sfuggire al loro destino.
“I guerrieri, prima di iniziare gli scontri, si guardarono intorno; e, resesi conto del triste destino, sfilarono davanti al Principe, a cui indirizzavano il funereo saluto di rito”:
«Have Cesare imperator, morituri te salutant»
Claudio, fuori di sé dalla gioia, dimentico della formula del cerimoniale e, impaziente di godersi lo spettacolo, rispondeva con l’augurio: «Avete et vos» il che significa: «salute a voi». Dalle acque del Lago emerse un Tritone d’argento, seguì un infelice clangore di tromba per dar principio agli scontri, ma nessuno si mosse, e tutti si rifiutarono d’ingaggiar battaglia, perché l’Imperatore aveva augurato loro buona salute; Claudio colmo di collera, angosciato di vedere il suo spettacolo andare in fumo, li minacciò di farli uccidere tutti se non avessero subito iniziato a combattere …
… «la carneficina fu tale che l’onda vitrea dell’acqua del Lago Fucino, si colorerà di rosso con il sangue umano» … … erano migliaia e migliaia di uomini, moltissimi di questi persero la vita, in gran quantità finirono di esistere per dissanguamento, altri per le gravi ferite riportate, parecchi rimasero per sempre orrendamente deturpati: storpi, monchi, ciechi, mutilati, paralizzati; solo pochissimi si salvarono e, Claudio, vedendo quel Lago: “Plenum di sanguine”, forse temendo l’ira del dio Fucino, concesse loro la libertà.
Publio Cornelio Tacito, racconta: «Di là vedevi un urtarsi e un cozzare di zattere contro zattere, e repente di qua un inoltrarsi, d’alzarsi, inabissarsi di barche su barche, impetuosamente: da per tutto un cozzare, un azzuffarsi, un ferire, in lottar rabbiosamente, un vincere, un cader di mille schiavi, un romper d’arti, di gemiti, di sangue, di dolore e di uno sfasciar di navi».
Come consuetudine di quei tempi, tutto si svolgeva tra urli d’incitamento e di gioia, insaporito da eccelso godimento di Claudio e del suo popolo, entrambi assetati sempre della sofferenza e del — multum vulnerum — sangue degli altri.
CARLO GATTI
Rapallo, 17 giugno 2020