Il 2 Luglio 1557 apparve la Madonna a Montallegro (Rapallo) ed  iniziò la Devozione Mariana nel Tigullio

Quadro Storico

Riforma e Controriforma

Il sacco di Roma del 1527  inferse un colpo molto duro a tutti i cattolici del mondo ed in particolare al Vaticano come centro della Cristianità, ma la Riforma Protestante che dilagava in quegli anni nell’Europa settentrionale, sconvolse ancor più in profondità lo scenario religioso poiché ruppe l’unità del Cristianesimo e rappresentò una sfida contro la Chiesa Romana, la sua organizzazione e i suoi dogmi. Com’è noto, ad azione corrisponde una reazione uguale e contraria! Infatti,  Martin Lutero produsse uno scossone vigoroso all’interno delle strutture ecclesiastiche cattoliche, ma i “gagliardi” Papi dell’epoca risposero all’offensiva luterana con il Concilio di Trento che durò ben  18 anni, dal 1545  al 1563. Da questa lunga e meditata riflessione nacque la Controriforma che non si limitò soltanto alla  difesa e alla definizione dei dogmi del Concilio, ma definì anche le linee d’azione che avrebbero proiettato una nuova luce, non solo spirituale, su tutto il  Cattolicesimo nel mondo. Si aprì quindi un ampio scenario, in cui furono battezzati nuovi ordini religiosi: Teatini, Somaschi, Barnabiti, Scolopi ecc… ma,  tra loro, furono particolarmente dinamici e incisivi l’Oratorio di S. Filippo Neri e  la Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola. Questi due movimenti, così diversi nelle loro prospettive, esercitarono una profonda influenza nella composizione di un nuovo assetto strategico e da quel momento, anche le ricerche artistiche seguirono il nuovo orientamento emerso dalla Controriforma che, per la verità, era già in atto prima del Concilio di Trento, operando fortemente sugli animi e generando intensi e spesso tragici dissidi religiosi e spirituali. Una ventata d’aria fresca era quindi già calata sull’attività artistica figurativa, non tanto attraverso prescrizioni e diffide, quanto soprattutto attraverso il perenne conflitto tra il mai domo paganesimo e lo spirito cristiano, fonte spesso di compromessi e di pietismo religioso.

“Per due generazioni, il clima di Roma fu austero, antiumanista, antimondano, perfino antiartistico” (Wittkower).

Nasce l’Arte della Controriforma ed un nuovo modo di pregare

In definitiva, si può  affermare che, alla grande portata storica del  movimento riformistico si deve una serie di innovazioni, iniziative e normative che furono alla base di una vera rivoluzione che andò a toccare e a modificare nel profondo molti campi e citiamo, per l’occasione, quello dell’arte visiva ecclesiale. L’aggancio al Barocco fu inevitabile ed avvenne per opera dei  Gesuiti che si affacciarono alla storia in modo provvidenziale, apportando una fiammata di genio razionale che si coniugò alla perfezione con la rinascita di una fede rinnovata. Furono persino coniati i termini, tuttora in discussione, di Arte dei Gesuiti, e Barocco come espressione della Controriforma. Le arti figurative ispirate agli episodi del Vangelo dovevano assumere un carattere chiaro, semplice e comprensibile a tutti; dovevano essere realistiche e suscitare uno stimolo emozionale verso la pietà. La Chiesa Cattolica poteva così contare su un sistema raffinato e sicuro di espressione artistica e religiosa capace di rappresentare l’invisibile. Il Santuario della Controriforma doveva avere preferibilmente una sola navata, una cupola, due campanili. La ricca e coloratissima scenografia dell’abside, del presbiterio e gli affreschi della cupola dovevano rapire il fedele e renderlo partecipe  della divina rappresentazione. Nel precedente periodo Rinascimentale, tra il “sacro” raffigurato sulle pareti della Chiesa e la platea dei fedeli, esisteva un sipario, una specie di diaframma psicologico che confinava la comunità religiosa ad una distanza planetaria, a causa di quella severa purezza pittorica, da quella marcata perfezione stilistica  di “maniera”  (accademica) che era ostentata dall’alto. Con i nuovi orientamenti tridentini, quelle barriere visive e psicologiche che si frapponevano tra il cielo e la terra, saranno definitivamente abbattute per favorire l’introduzione di un nuovo rapporto di dialogo diretto, intenso e ravvicinato tra la Gerarchia Celeste e il popolo dei credenti. I pellegrini avranno libero accesso a partecipare, senza mediazione, alla rappresentazione dei racconti evangelici e si troveranno coinvolti e immedesimati nella sceneggiatura, per esempio, dell’emozionante  Apparizione della SS.Vergine, oppure dell’immensa pietà della Dormizione della Vergine e della Sua gloriosa Assunzione. Da asettico spettatore di eventi eccezionali, ma freddi, il pellegrino si trasformerà  in  attore  vero, capace di tensione ascetica e profonda partecipazione. Il suo duplice obiettivo sarà quello di tracciare un nuovo percorso spirituale e riporvi dentro l’emozione del dialogo avvenuto con il Divino. D’ora in poi i suoi strumenti saranno le preghiere recitate ad alta voce in comunità ed  i canti corali che saliranno dagli  spartiti e si diffonderanno come il profumo forte e al tempo stesso delicato dell’incenso.

Nuovi Baluardi a difesa della fede e della teologia

Alla Riforma Protestante, voluta e condotta con gran determinazione dal suo principale paladino Martin Lutero, dobbiamo quindi, paradossalmente, la costruzione dei Santuari Mariani che costellano le nostre colline. Infatti, la Riforma luterana negava a Maria il titolo di mediatrice, riservandolo solo a Cristo. “Per Lutero, che pur si rivolgeva alla Vergine chiamandola – Nostra Madre – e ne riconosceva la perpetua verginità, era accettabile il concetto che la Madonna pregasse per l’umanità, ma non si doveva invocarla per non correre il rischio di cadere nell’idolatria”. (G. Meriana) Si comprende facilmente come, partendo da posizioni di questo genere, si arrivasse a mettere in discussione il punto cardine su cui si fondava il Culto della Madonna tra i cattolici, che vedevano in Lei la mediatrice di grazie temporali e spirituali e come tale la veneravano nei Santuari con grande devozione. Genova, tradizionalmente occupata a curare gli interessi economici che ruotavano attorno al suo grande porto, era scoperta alle infiltrazioni luterane transalpine provenienti da Lione e Ginevra. Le nuove idee religiose s’insinuavano subdolamente al seguito dei maggiori commercianti dell’epoca, ed alcune tra  le più importanti famiglie di nobili della Repubblica:  Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, Giacomo Fieschi ed altri… cedettero, in qualche misura, al fascino “protestante” di Calvino, Zwingli ed ovviamente Lutero. Ci furono anche processi pubblici, cambi di residenza,  alcuni rapidi “ripensamenti”…e la “rivolta” rientrò presto nella normalità.

Foto n.1 – Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro, che noi rapallesi abbiamo alle spalle, rientrava proprio in quella bianca schiera di  44  insormontabili baluardi di fede che furono costruiti lungo la cintura delle Prealpi, con il compito di rappresentare le vigili sentinelle nelle località più esposte all’influenza del mondo protestante.

La prima cappella fu subito costruita sul luogo dell’ Apparizione della SS. Vergine a Giovanni Chichizola, proprio in quel periodo tanto travagliato per la Chiesa Cattolica. Montallegro è lo spazio occupato dall’altare del Santuario dov’è avvenuto il “Sacro Evento”.

Mons leti, per alcuni è il “Monte della Morte” che si riferisce alla sconfitta dei Romani avvenuta nel 168 a.C. da parte dei Tigulli che provocò la morte del Console Quinto Petilio.

Mons laetus, per altri significa l’esatto contrario, “Monte di Gioia” per il dono dell’Apparizione e del senso di protezione divina che gratificò i rapallesi da quel fatidico giorno. Nel tempo, i cittadini di Rapallo vollero trasformare quella semplice e rustica pieve montana nel magnifico Santuario dall’inconfondibile facciata bianca marmorea che, simile a una diga voluta dalla “provvidenza”, protegge ancora, a distanza di 450 anni, la fede nelle nostre vallate.

Una Icona bizantina per – “mano divina” – approda misteriosamente sul Monte Leto

Maria, a conferma della sua misteriosa visita sul monte Leto, lasciò una piccola ICONA bizantina (cm. 18×15) che raffigura la Sua Dormizione e Transito.

“Questo è il mio riposo per sempre: Qui abiterò perché l’ho desiderato”….” Dì loro che Qui voglio essere onorata”. (Anonimo dal “IV Centenario dell’Apparizione della Madonna a Montallegro (1557-1957).

Foto n.2 – L’Icona, riflesso della presenza divina

E’ noto a tanti assidui pellegrini mariani, come sia sorprendente la somiglianza tra l’iconografia ortodossa della Vergine e numerose Sue Apparizioni. Qui ne vogliamo ricordare alcune.

Nel 1871, la Madonna apparve a cinque ragazzi di Pontmain, nella Mayenne (Belgio). Uno dei piccoli veggenti Eugene Barbedette affermava di non aver mai visto icone ortodosse. Non era che un povero contadinello, che ignorava persino l’esistenza della Russia. Sottoposto all’esame di numerose immagini della Vergine non trovò alcuna somiglianza con la Signora; in seguito, l’abbé Barré ebbe l’idea di sottoporgli l’icona della Madonna di Genazzano (località non distante da Roma), ed il ragazzo non ebbe la pur minima esitazione nel puntare il dito su molti particolari di perfetta somiglianza. Ma quel che forse è meno noto, sono le reazioni che ebbe Bernadette Soubirous, la piccola veggente di Lourdes, quando le si domandava a chi somigliasse la Vergine che lei aveva visto. Le furono mostrati dipinti di Raffaello, Murillo ecc…ed ebbe un sobbalzo di meraviglia soltanto quando vide l’icona della Vergine di Cambrai e urlò: “E’ Lei!” Ancora più sorprendente fu l’Apparizione di Gesù stesso, all’umile religiosa polacca Faustina Kowalska la prima domenica di Quaresima il 22 febbraio  del 1931. “Gesù mi disse”: – La mia immagine nella tua anima esiste già. Voglio che questa icona, (dell’Amore Misericordioso) da te dipinta con un pennello, venga solennemente benedetta la prima domenica dopo Pasqua –

La Magia spirituale delle Icone

Un monaco del celebre Monastero che svetta sul monte Kikkos  (Isola di Cipro), ci spiegò che le icone adempiono a una triplice funzione come strumento di insegnamento teologico, di contemplazione mistica, di partecipazione liturgica. “Non è l’icona opera d’arte, che è bella, ma è bella la sua verità spirituale, che è sprigionata in immagini dalla pittura, com’è rivelata in parole dalla Sacra Scrittura”. “Poiché l’icona attesta una presenza – spiegava – pregare davanti all’icona della Theotokos significa entrare in contatto con la Madre di Dio. L’icona soltanto la sostituisce e ne mantiene il fascino misterioso, perché l’arte iconografica, pur essendo figurativa e non astratta, non ha nulla in comune con il ritratto”.Per mezzo dei miei occhi carnali che guardano l’icona la mia vita spirituale si immerge nel mistero della Incarnazione”. (Giovanni Damasceno) Oggi, grazie alle ispirate aperture ecumeniche del Concilio Vaticano II, il mondo cristiano Ortodosso e quello Cattolico, hanno trovato un punto d’incontro proprio nella spiritualità e la venerazione delle Icone. Oggi, non c’è cattolico che non abbia visto o sentito parlare della Icona della Madonna di Wladimir dei russi, della Icona della Madonna Nera di Czestochowa, della Icona Hodighitria, forse la più conosciuta essendo la copia dell’originale attribuita a S.Luca, e che non ha mai lasciato Costantinopoli,  la Kykkiotissa di Cipro ed infine quelle del Monte Athos con le numerose altre sparse in tutta la Grecia, Bulgaria, Serbia ecc…

Alcuni Cenni sull’evento della  Dormizione e Transito di Maria SS.

Dal libro “Ipotesi Su Maria” di Vittorio Messori, citiamo: “…stando al Credo cattolico l’Immacolata Madre di Dio, sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste – in anima e corpo –“Queste sono le parole del dogma dell’Assunzione, definito e proclamato da Pio XII solo nel 1950 ma creduto, nel suo oggetto, sin dai tempi dei Padri della Chiesa sia in Oriente che in Occidente. La festa della Dormizione, che ha in nuce l’Assunzione della Vergine Madre, è probabilmente la più antica delle feste mariane che uniscono la Chiesa universale”. Le versioni storiche che ci vengono tramandate sulle ultime ore terrene di Maria SS. sono numerose e quindi vengono sempre precedute dal termine “secondo la tradizione”. Sicuramente quella di S. Giovanni il Teologo, ossia l’Evangelista, è per noi la più toccante. Anche sul luogo della Dormizione e Transito di Maria SS. esiste almeno una doppia versione:Quella di Gerusalemme: …gli Apostoli trasportarono la lettiga e deposero il suo corpo santo e prezioso in una tomba nuova del Getsemani. (S. Giovanni  l’Apostolo-Teologo). Infatti, a pochi passi dal celebre Orto degli Ulivi presso il Getsemani, esiste la chiesa che racchiude il sepolcro vuoto di Maria SS. la quale è meta ogni anno di milioni di fedeli. Come si legge nei Vangeli, l’Apostolo Giovanni visse e morì ad Efeso. Anche gli Atti del primo Concilio di Efeso (431 d.C.) parlano di una casa in cui sarebbe vissuta la Madonna, situata nei pressi della Chiesa chiamata Doppia Chiesa di Maria e che fu sede del Concilio stesso. Questa seconda versione suscitò grande interesse quando una suora tedesca, stigmatizzata, Catharina Emmerich (1774-1824), mai mossasi dalla Westafalia, perché inchiodata ad un letto, preda d’indicibili sofferenze, descrisse con esattezza una località vicino ad Efeso in cui, una piccola casa  era indicata come quella della Madonna. In effetti, nelle sue visioni, la suora disse: “Dopo l’Ascensione di N.S. Gesù cristo, Maria visse tre anni a Gerusalemme, tre a Betania e, infine, nove a Efeso……e qui si era stabilita la Santa Vergine”. Seguendo le indicazioni emerse dalla visione di suor Caterina, il frate lazzarista Eugene Poulin trovò le rovine di una piccola costruzione e di altri edifici che gli archeologi fanno risalire, con tutta probabilità, al tempo di Maria. Le visite che i pontefici Paolo VI (1967), Giovanni Paolo II (1979) a Benedetto XVI (2007) fecero a questo edificio sembrano dirimere le perplessità, motivate da valutazioni storiche, che avevano sino ad allora accompagnato la veridicità della presunta dimora della Madonna, certamente la seconda nella quale visse la Madre del Cristo, dopo la Crocefissione. La Casa di Maria, trasformata da monaci francesi in Cappella a croce greca, sorge nei pressi di una sorgente curativa e costituisce una meta frequentata di pellegrinaggi sin dai tempi più remoti, essendo l’immagine della Madonna venerata non solo dai Cristiani ma anche dai Mussulmani. Concludiamo questa breve ricerca sulla Dormizione e Transito della Vergine SS. con una riflessione sulla piccola Icona di Montallegro. Ciò che più ci ha colpito di questo piccolo “legno sacro” è la sua originalità, forse unicità al  mondo nella rappresentazione dell’Evento.

“A sostenere Maria che rinasce alla vita non è solo il Figlio che Lei ha generato, come appare in tutte le altre icone conosciute, ma la Trinità che l’ha generata”.

(Dalla Mostra sulle Icone dedicate alla Dormizione e Transito di Maria esposte nel Santuario a ricordo dei 450 anni dall’Apparizione).

Origini della Tradizione Devozionale Alla Vergine Maria SS.

Accostandoci più da vicino a questo mondo affascinante e di rara suggestione ci siamo accorti che il Culto Mariano affonda le sue radici, unico caso nell’umanità, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele Elia (IX secolo a.c.), dimorando sul Monte Carmelo (giardino-paradiso di Dio), ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità. In quella piccola nube, tutti i cristiani hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.

Tuttavia, la devozione alla Vergine Maria SS. è nata con un certo ritardo e soltanto dopo il Concilio di Efeso del 431, quando furono condannate le tesi di Nestorio, secondo cui Maria era madre di un uomo, non di Dio e le venne riconosciuto il titolo di “Dei Genitrix”. A celebrare questo importantissimo avvenimento  ci pensò papa Sisto III (432-440) il quale fece costruire il primo santuario della cristianità sul colle  dell’Esquilino a Roma. Da quell’approvazione, il culto di Maria si diffuse velocemente in tutte le direzioni come il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la Stella Polare, La Stella Maris del popolo cristiano. Le interpretazioni che sono state date sul significato del nome Maria sono davvero numerose. Una di queste, che a noi uomini di mare piace molto, fu data da San Girolamo che faceva risalire Maria alle parole ebraiche mar (goccia) e yam (mare), in latino stilla maris (goccia del mare) che, grazie ad una trascrizione errata divenne stella maris, cioè “Stella del Mare” che è rimasta una delle principali invocazioni alla Madonna.

Foto n.3 – Madonna del Carmine chiamata in soccorso dai naufraghi

L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina (Haifa) dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa. Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto. Essa, per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate. Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII secolo, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216) i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256) i Mercedari (S.Romualdo1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.

La più comune raffigurazione della Madonna dei naviganti, con le dovute varianti artistiche, proviene  dalla chiesa di San Nicolò a Capodimonte, che si trova sull’impervia quanto suggestiva mulattiera sul versante di Punta Chiappa, che è di stile e costruzione romanica, anche se la tradizione fortemente radicata, la ritiene innalzata su una Cappella voluta dal Vescovo San Romolo nel 345. Dopo l’abbandono del XVI secolo, la chiesa è stata restaurata nel 1870 e successivamente, durante il recupero di strutture e motivi decorativi originari effettuati tra le due grandi guerre, sono emersi antichissimi affreschi fra cui una raffigurazione della STELLA MARIS che testimonia quanto sia antica la devozione dei marinai già a partire dall’alto medioevo.

Foto n.4 – Madonna “STELLA DEL MARE” venerata a bordo delle navi

Nel secolo scorso furono costituiti a Dublino, Londra, New Orleans, Filadelfia e Sidney i primi Seamen’s Clubs per marittimi cattolici ed il più importante fu quello di Montreal, fondato il 18 maggio 1893. Il 4 ottobre 1920 a Glasgow fu creato l’Apostolatus Maris Commitee, che ha per stemma un’ancora intrecciata ad un salvagente recante al centro il cuore di Gesù (vedi foto ). Tra gli obiettivi dell’organizzazione c’è quello di mettere in relazione tra loro i clubs esistenti e tra le iniziative prese c’è la realizzazione di alcuni centri di servizio e di preghiera, visita alle navi ed assistenza spirituale ed anche materiale ai marittimi.

Foto n.5 – Stemma dell’Apostalato del Mare

Il 25 gennaio 1932 nasce a Genova l’Apostolato del Mare in Italia. La direzione del Centro viene affidata dall’allora Arcivescovo Cardinale Minoretti alla Società di S.Vincenzo De’ Paoli, che per l’occasione fonda la Conferenza Stella Maris con sede in Via del Molo, all’ultimo piano di un vecchio palazzo nobiliare. Nel corso del 1932 sono quattordicimila i marittimi che passano dal ritrovo di Via del Molo.

L’ultima grande esternazione d’affetto e di considerazione verso la gente di mare si ha il 31 gennaio del 1997, quando il Santo Padre rivolge ai naviganti un “motu proprio”, in cui l’attualità ed il ruolo dell’Apostolato e delle Stelle Maris nella diffusione del Credo e dei principi cristiani nella società contemporanea viene perfettamente evidenziata:

Stella Maris – sono le parole di Giovanni Paolo II – è da lungo tempo l’appellativo preferito con cui la gente di mare si rivolge a Colei nella cui protezione ha sempre confidato: la Vergine Maria.

Gesù Cristo, suo figlio, accompagnava i suoi discepoli nei viaggi sulle barche del tempo e li aiutava nelle loro fatiche e calmava le tempeste. Così anche la Chiesa accompagna gli uomini del mare, prendendo cura delle peculiari necessità spirituali di coloro che, per motivi di vario genere, vivono ed operano nell’ambiente marittimo”.

Votum fecit, gratiam excepit

Gli uomini di mare sparsi nel tempo, dalla preistoria ai giorni nostri, hanno sempre avuto un nemico in comune che resta immutato per la sua forza esplosiva e travolgente: la tempesta! Sebbene piccole, medie e grandi navi, tutte altamente tecnologiche ed automatizzate, solchino oggi i sette mari con grande disinvoltura, le statistiche, purtroppo, ci dicono che il numero dei naufragi, oggi, è sempre altissimo. Duemila anni fa i marinai si difendevano dai fortunali navigando in Mediterraneo soltanto nei mesi buoni tra la primavera e  l’autunno e quando potevano, soltanto di giorno e in vista della costa.

Oggi le difese del marinaio sono scritte ed imposte dalle leggi sulla sicurezza della navigazione che sono approvate e rispettate da “quasi” tutto il mondo. Nell’avverbio virgolettato c’è la chiave di lettura del fenomeno che in mare si chiama deregulation e i naufragi avvengono non soltanto a causa delle tempeste, ma anche per gli incendi, le esplosioni, le collisioni e per l’impreparazione e l’insufficienza  di personale qualificato.

Da questo quadro a tinte fosche è facile ora passare ad altri tipi di quadri che vanno ad arricchire lo stesso tema e precisamente quelli: Per Grazia Ricevuta, che continuano a salire e fissarsi ai muri dei Santuari Mariani che costellano le nostre coste per testimoniare l’incrollabile fede della gente di mare.

Prima del Cristianesimo, ex-voto in terracotta o legno, indirizzati a divinità anche minori, come la dea Mefite, sono stati ritrovati durante scavi di siti archeologici. In epoca romana, raccontano Virgilio, Cicerone, Orazio e Tibullo, i marinai usavano appendersi al collo tavolette votive dipinte, rivolte a Iside, dea che proteggeva dalle tempeste, ma anche a Nettuno, Castore e Polluce, numi protettori dei naviganti.

I naviganti credono in Dio anche quando, in certi frangenti, lo trattano a male parole,  consci della propria debolezza, della paura e quindi del sentirsi abbandonati dal Supremo che tuttavia cercano con forza e con rabbia, per richiamare la Sua attenzione, per sentirlo vicino in quella natura ostile, a volte selvaggia che minaccia la loro esistenza. Poi, quando la tragedia è vicina, l’ultimo pensiero vola, sotto forma di preghiera e richiesta d’aiuto, verso la madre anzi, alla grande Madre di tutti, alla Vergine Misericordiosa, ultima speranza, ultima spiaggia d’approdo e di salvezza.

Alberi spezzati, prue ingavonate, lance di salvataggio travolte dai marosi, scogliere infernali, annegamenti, infortuni e naufragi, sono i ricordi degli scampati pericoli che rimangono incisi nella mente e negli occhi del sopravvissuto e che vengono tradotti in opere votive in legno, in acquerelli, in dipinti a tempera, ma anche su metalli pregiati. Gli ex-voto nascono così, da incubi vissuti che spesso vengono descritti ed affidati a dei veri artisti, pittori di navi, che ben conoscono l’arte della costruzione navale e sono quindi in grado di ricostruire fedelmente la scena apocalittica del disastro.

Altre volte invece sono opere semplici o addirittura infantili che testimoniano tuttavia il desiderio dell’autore di stabilire un legame autentico, esclusivo con Maria, per offrirLe un dono semplice che assomigli ad una preghiera che sgorga dal  cuore senza alcuna mediazione.

Continuando ad esplorare in questa forma di devozione probabilmente coeva alla prima nave, ci siamo imbattuti anche in un ex-voto per grazia ricevuta, molto particolare: la Basilica di S.Giovanni Evangelista di Ravenna, fatta erigere da Galla Placidia come ringraziamento per essere scampata insieme al figlio, alla tempesta che investì la nave sulla quale si trovava durante un viaggio tra Ravenna e Bisanzio.

La tavoletta votiva è apparsa, in tutte le epoche, su tutte le sponde del Mediterraneo e persino nel vicino oriente ed è conosciuta anche altrove, specialmente nelle zone confinanti con l’Italia. Essa rientra in quella che è genericamente definita “arte popolare” e rappresenta una vera e propria miniera d’informazioni attraverso le quali è possibile seguire, ad esempio, l’evoluzione della nostra marineria.

Su disegni che datano dal XVI secolo in poi, vediamo rappresentati i trabaccoli, le galere e le galeazze, le saettìe, le tartane, le polacche, le felucone,  le bombarde e quindi i brigantini, le navi ed i brigantini a palo, seguendo i progressi dell’architettura navale, fino alla raffigurazione di battelli a vapore che entrano in collisione con navi a vela, quasi a sottolineare il definitivo passaggio epocale, dalla vela al motore.

La tecnica seguita per la realizzazione delle tavolette votive è in genere pittura ad olio su tavoletta lignea; talvolta si è visto un acquerello su carta incollato poi sopra la tavoletta. Nel ‘700 fu molto usata la tela mentre, dal secolo scorso, sono stati introdotti altri materiali come lo zinco, il cartone, la masonite, il vetro. La grazia richiesta o ricevuta viene rappresentata in due o tre scene successive, sullo tesso disegno, e la posizione della divinità che intercede, – in genere la Madonna – è sempre nella parte alta, talvolta al centro, ma più frequentemente ad uno dei due angoli della tavola; nel ‘500 e nel ‘600 si usavano le formule V.F.G.A. oppure V.F.G.R.Votum fecit et graziam Accepit o Recepit” disegnate in genere in basso a sinistra e ripetute tante volte quante sono state le grazie. Nei secoli successivi è stata usata la sigla P.G.R. o P.G.O. “per grazia ricevuta o ottenuta”.

Questa breve introduzione ci ha permesso d’entrare, con il dovuto rispetto e un po’ più consapevoli, nel mondo degli ex-voto che è ben rappresentato nel nostro Santuario di Montallegro che ne ospita qualche migliaio ed una parte notevole è dedicata alla Madonna dai marinai di Liguria a testimonianza della fede e della loro tradizione marinara a partire proprio da quel luglio 1557, anno dell’Apparizione della Vergine al popolano Chichizola, del quale ricorre quest’anno, come abbiamo già visto, il 450esimo anno.

NARCISSUS, IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE

Abbiamo scelto questa nave “speciale” così carica di ricordi letterari e nautici per compiere insieme a voi il primo tragitto tra le migliaia di “ringraziamenti” che sono giunti ininterrottamente come il flusso zampillante di acqua miracolosa che la stessa Vergine lasciò sul luogo della Visione quel 3 luglio 1557. Il quadro del veliero Narcissus che si trova nel Santuario di Montallegro non è diverso dai tanti ex-voto che si ammirano nelle pinacoteche della devozione tra le due riviere, ma la sua presenza nell’immaginario collettivo, richiama alla mente mari scatenati, calme equatoriali e la sottile psicologia di tanti personaggi descritti magistralmente dal più grande scrittore di storie di mare Josef Conrad, che proprio su quella nave imbarcò una prima volta da marinaio e poi da ufficiale di coperta  con  il brevetto di capitano di lungo corso che ottenne nel 1884. Quando Conrad lasciò il navigare nel 1894, s’immerse ancor più nel suo mondo marinaro e per trent’anni  scrisse i suoi romanzi, saggi e racconti, fra i quali eccelle “The nigger of Narcissus”, Jimmy, il negro che si arruola a Bombay pur sapendo di essere afflitto dalla tubercolosi; Singleton il vecchio lupo di mare inglese, rispettoso delle leggi marinare e dei canoni della tradizione; Belfast il marinaio astuto come una volpe; Donkin il marinaio ribelle e poi gli ufficiali, il molto inglese Capitano Allistoun, calmo e indifferente, il Primo Ufficiale Baker, che desidera il comando più di ogni altra cosa, ma sa di non poterlo raggiungere…. Queste figure oggi sembrano uscite da un mondo immaginario, eppure sono reali e perfettamente aderenti a quel mondo della vela che, purtroppo, è stato velocemente  superato dal progresso tecnico-scientifico e quasi dimenticato. – Scrive Conrad – “Il Narcissus era nato tra i vortici di fumo nero, fra lo squillo dei martelli che battono il ferro, sulle rive del Clyde. Sotto quel cielo grigio, su quel fiume rumoroso, vedono il giorno splendide creature che vengono al mondo per essere amate dagli uomini. Il Narcissus era di quella stirpe perfetta. Meno perfetto, forse, di tante altre navi, ma incomparabile perché era nostro e noi ne andavamo orgogliosi”. Varato a Glasgow nel 1875, il Narcissus navigò quasi sempre nei mari orientali e soltanto nel 1899 fu acquistato da Vittorio Bertolotto (1854-1934) ed impiegato sempre oltre i Capi. V. Bertolotto  fu una delle maggiori figure armatoriali di Camogli, figlio del professor Lazzaro, patriota del Risorgimento, amico di Garibaldi e poi preside del Nautico di Camogli.

Foto n.6 – L’Ex-Voto, olio su tela, di cm 87×67 dell’artista G. Roberto rappresenta il Narcissus  in grave difficoltà nel passaggio del terribile Capo Horn, durante il quale l’equipaggio e la nave si salvarono miracolosamente per intercessione della “Vergine Santissima di Montallegro” il 22-23 .9.1903.

La didascalia del quadro riporta la posizione geografica dell’avvenimento e i 12 nomi dell’equipaggio che offrono “in ringraziamento questo ricordo alla V.SS. di Montallegro (Rapallo) – Genova marzo 1904”. Se è vero che un veliero su quattro naufragava a Capo Horn, pensate quante navi sono state salvate con la costruzione del Canale di Panama avvenuto nel 1914!

Il 17 gennaio 1907, il Narcissus partì da Saint Louis du Rhone (Marsiglia) diretto a Talcahuano in Cile con un carico di gesso. A Capo Horn incappò in una violenta tempesta e dovette, per le gravi avarie riportate, ripiegare penosamente su Rio de Janeiro che raggiunse il 19 maggio successivo. Fu dichiarato “relitto” e perciò venne “abbandonato” alla Società Assicuratrice, la Mutua Assicurazioni Marittime Cristoforo Colombo di Camogli, presso cui il Narcissus era assicurato per lire 93.700. Ci fu uno strascico giudiziario che si risolse in questi termini:  “la società assicuratrice contestava la legittimità della dichiarazione di abbandono della nave, che invece venne pienamente riconosciuta, con tutte le conseguenze in favore dell’armatore Bertolotto, dalla Corte d’Appello di Torino”. Rientrato in Italia, il veliero fu disalberato ed adibito a pontone nel porto di Genova. Nel 1917 fu riarmato e, con il nome di Iris venne iscritto al dipartimento marittimo di Rio de Janeiro dove, il 14 gennaio 1922, venuto a collisione con un’altra nave, affondò. Ancora una volta venne recuperato e tornò a navigare finchè, tre anni dopo, nel 1925, il suo proprietario falliva ed in tale frangente la nave, che fu nota nel mondo come Narcissus non ce la fece proprio a sopravvivere e dovette rassegnarsi alla demolizione, dopo ben 50 anni di vita, un vero record! La sua polena è attualmente conservata nel porto di Mystic, nel Connecticut.

Il Voto del Raguseo: Lasciamo il veliero Narcissus, il più celebre tra gli Ex-Voto marinari del Santuario di Montallegro,  e proseguiamo il nostro itinerario devozionale incontrando oggi il più antico e forse il più “chiacchierato” tra gli omaggi Per Grazia Ricevuta alla SS. Vergine. Si tratta di una lamina d’argento offerta dal capitano di mare Nicola Allegretti di Ragusa (l’odierna Dubrovnik-Croazia meridionale) che, scampato miracolosamente al naufragio del suo non specificato veliero su Punta Mesco, a causa di  una terribile burrasca da libeccio, trovò rifugio nel golfo Tigullio e si recò poi pellegrino al Santuario il 26 dicembre 1574.

Foto n.7 – L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.

Foto n.8 – La Caracca Ragusea,   Ex-Voto Marinaro molto diffuso in Croazia.

La città dalmata fu capitale di quel libero Stato croato rimasto indipendente per quasi un millennio sotto il nome di Repubblica Marinara di Ragusa e con la sua consistente flotta mercantile fu l’unica degna rivale della Serenissima sull’Adriatico. Grandi politici e diplomatici furono i Rettori della Repubblica Marinara di Ragusa che seppero usarono, nella loro lunga storia, tutte le armi pacifiche per conservare la propria libertà.

Foto n.9 – Veduta della Ragusa vecchia avvolta dalle mura fortificate.

Ragusa cadde nel 1808, poco dopo Venezia e Genova per mano delle truppe napoleoniche. La città fortificata sul mare è rimasta intatta dal 1200 secondo un piano architettonico preciso, con le sue mura e i forti interamente conservati, con le sue centinaia di edifici pubblici (Divona, Zecca, Palazzo del Rettore), case e palazzi signorili, tante e tante chiese che testimoniano la fede cristiana-cattolica che è stata in reiterate e cruente vicende storiche l’ultimo confine, l’estremo baluardo contro l’espansionismo militare dell’Islam e di quello legato all’influenza politico-religiosa dell’ortodossia orientale. Il capitano Allegretta proveniva da questa realtà storico-geografica che per la sua peculiarità e grande fascino può ancora oggi reggere il confronto culturale con molte altre “perle” sicuramente più celebrate in Europa e nel mondo. Gli storici locali ci tramandano che la visita del Raguseo al Santuario di Montallegro si trasformò, molto presto, nel tentativo di recupero della Sacra Icona (la Dormizione di Maria), reclamata dalla comunità dalmata, che ne vantava la precedente proprietà. Ma qui, paradossalmente, avvenne un altro miracolo: il Senato genovese sentenziò, infatti, la restituzione del quadretto dell’Apparizione al termine di una vertenza legale che, tuttavia, non si realizzò a causa del misterioso rientro della Icona  sul monte, che soltanto da quel momento cominciò a chiamarsi Monte Allegro per la felicità della popolazione che sentiva concretamente la protezione della Madonna. Lasciamo le questioni legali ed entriamo nel dettaglio dell’omaggio al Santuario, dal cui Codice Diplomatico (p.16-17) riportiamo:

“…Narra egli dunque di Nostra Signora del Monte il seguente bellissimo fatto, degno di perpetua memoria “ Dell’anno 1574 correndo  naufragio Cap. Allegretti Raguseo con sua nave da mercanzia, che di là veniva a Genova, mentre si trovava nei nostri mari della Liguria, vicino a Monte Rosso delle Cinque Terre, radunatasi ha consolato tutta la ciurma, fecero voto unitamente a Dio, che se li avesse dall’imminente naufragio liberati, nel primo terreno o porto dove si fossero afferrati sarebbero tutti a piedi scalzi andati pellegrini alla Chiesa più memorabile per devozione che ivi fosse. Trascorsero per divina provvidenza portati dalla procellosa marea nel Golfo di Rapallo dove tranquillatasi la burrasca e accertati che la Chiesa di Santa Maria della Mont’Allegro che dalle spiagge li fu mostrata era la più rinomata per devozione e miracolosa che fosse non solo in queste parti, ma nei lidi della Liguria, pochi anni avanti colassù comparsa, non tardarono di andarla a visitare per adempire il voto fatto e vi portarono la tabella votiva o quadretto d’argento, in cui intagliata la Nave in atto di naufragare colla seguente inscrizione ancora oggi giorno nella Chiesa di detta Nostra Signora si vede.”

Velieri di Chiavari e Camogli “in pellegrinaggio” a Montallegro

Pro Schiaffino, da oltre 30 anni è il direttore del Museo Marinaro di Camogli. – “Comandante, nel presentare questa rubrica dedicata alla devozione mariana, ci siamo spesso imbattuti  in avventure sofferte da equipaggi di Camogli e di Chiavari. Le due città rivierasche, così diverse tra loro, hanno avuto un passato marinaro di prima grandezza”. “Camogli è stata una grande flotta mercantile. Chiavari un intero settore mercantile. Camogli, racchiusa tra i monti, priva di strade e di retroterra aveva riversato tutta l’attività della sua gente sul mare e sui velieri. Si era espansa nel mondo al seguito dei suoi velieri ed aveva Agenzie e Provveditorati, ma erano solo al servizio dei capitani e degli armatori. Tali punti di riferimento  erano appendici di Camogli, ma avulsi dal commercio del paese. Chiavari no! Gli esponenti di Chiavari erano commercianti che portavano le loro capacità produttive ed i loro prodotti nel mondo, e per farlo si servivano delle navi costruite da loro stessi secondo le proprie esigenze. Da ciò si deduce, per esempio, che in America e in Australia, non c’erano soltanto i loro rappresentanti,  ma c’erano mercanti capaci di cercare nuovi spazi e clienti. Va da sé che quando le navi si convertirono al motore, quando cioè fu necessaria una capacità esclusiva nel costruirle, lasciarono ad altri il compito ed anche  gestione”. La marineria di Chiavari è presente nel Santuario di Montallegro con due ex-voto di gran pregio. Si tratta del brigantino a palo “Francisca”, 683 tonn. di Stazza lorda, dell’Armatore Dall’Orso che fu costruito a Chiavari dai Cantieri di Matteo Tappani nel 1873. Il dipinto dell’artista Fred Wettening  rappresenta il veliero in balia della tempesta con vele stracciate ed una trinchettina di fortuna per mantenersi alla cappa (con la prua al mare) per non essere travolto dalle onde. In alto a sinistra è finemente stilizzata l’icona venerata della Dormizione della Vergine.

Foto n.10 – Uragano sofferto dal Francisca nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 -Tempera su carta di Fred Wettening.

Foto n.11 – Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.

Lo stesso avvenimento è ancora ricordato con una lamina d’argento sbalzata che raffigura il veliero che naviga a gonfie vele verso il suo destino. I due doni esprimono un contrasto: lo splendore, la velocità e la ricchezza di un veliero oceanico spinto da un buon vento,  contro la caducità della vita, del rapido cambiamento del destino sottoposto alla spietata legge della natura avversa. Rivolgersi alla Vergine significa, per il marinaio, aggrapparsi ad un’ancora di salvezza, simulacro di croce,  la speranza di continuare a vivere. Il brigantino affonderà nel 1887  probabilmente sotto i colpi del terribile monsone di SW che spesso arriva sul Capo di Buona Speranza con la massima forza della scala Beaufort. Il veliero proveniva dall’estremo oriente con un carico di riso. Il secondo ex-voto è riferito ad un altro brigantino a palo, il  “Confidenza”, costruito nel 1872 per lo stesso Armatore Dall’Orso di Chiavari. Lo scampato naufragio si riferisce al ciclone incontrato al largo di Filadelfia il 9 settembre 1889 che fu così riassunto dal suo capitano Giuseppe Lagomarsino ….”conoscendo l’eminente pericolo della perdita del bastimento e vita fece voto a M.S.S. di Monte Allegro e per la grazia ottenuta fece  del presente quadro a questo Santuario in memoria eterna”.

Foto n.12 – Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78×57 cm. Secolo XIX.

In questa rappresentazione di gran pregio, la parte riservata all’iconografia sacra che riproduce l’apparizione della Vergine al veggente G. Chichizola è notevole e molto dettagliata. Quasi tutti i velieri sin qui riportati, sono registrati negli elenchi dei barchi che hanno superato indenni, più volte, il famigerato Capo Horn, un nome bestemmiato da generazioni di marinai, un mito nella storia della vela oceanica mercantile, un ricordo indelebile di disperate rimonte, un immenso e sinistro cimitero di navi, il simbolo del coraggio e dell’ardimento umano. L’ex-voto del Narcissus, che abbiamo già ammirato, si riferiva alla più sofferta delle tante “rimonte” di Capo Horn. Joseph Conrad li definì così: Marinai di Capo Horn: “ Una razza scontrosa e fedele, vigorosa e fiera, capace di ogni rinuncia e dedizione, con i suoi riti, i suoi usi, il suo coraggio e la sua fede…” A questo punto consentiteci di ricordare il Capitano Fortunato Schiaffino di Camogli che, in 21 rimonte di Capo Horn, effettuò sei salvataggi meritandosi medaglie ed encomi da governi stranieri.

Ex Voto e Pittori di Marina

La superstizione risale alle origini dell’umanità. E’ naturale che essa non abbia risparmiato i marinai, tanto più che il mare, con tutti i segreti che racchiude sotto la sua superficie ed oltre l’orizzonte, sembra un eccellente ambiente per favorire lo sviluppo del mistero, della credenza, delle favole. Scilla e Cariddi, le sirene, il grande serpente di mare, l’Olandese Volante, sono i vecchi temi duri a morire. L’occhio apotropaico dipinto sulla prua delle navi egizie scongiurava le stregonerie del maligno. L’occhio dipinto sulle giunche cinesi sorvegliava e proteggeva la rotta. Una coda di delfino o un vello di montone fissato sulla ruota di prua di un trabaccolo veneto scacciava i pericoli. “L’offerta di qualcosa di prezioso al mare infuriato allontana la tempesta”. Dicevano i vecchi marinai. Ma quando tutto è perduto, quando gli scongiuri non hanno più efficacia, non resta che inginocchiarsi a pregare promettendo al Madonna o al Santo patrono qualche regalo se interviene per far raggiungere la terra sani e salvi. Così, dalla fede di uomini semplici e profondamente credenti, è nato l’ex-voto. A partire dal sec.XVIII, l’ex-voto marinaro diventa una vera opera d’arte dipinto su tavola e poi, nel sec. XIX, su tela e telaio. Questi quadri raramente sono più grandi del formato 40X60, dato che i muri delle chiese hanno limitati spazi liberi e i pittori si sentono più a loro agio nel piccolo formato. Fra questi pittori c’è di tutto, ma raramente gli stessi marinai. In ogni caso, questi artisti sono almeno un po’ marinai. Si racconta loro l’avventura trascorsa, si descrive la nave (se questa è affondata) e il dipinto prende forma. E’ il naufragio, l’incendio, è l’incaglio sottocosta, è infine la fuga, a secco di vele, con un’onda che  s’incappella sulla poppa e spazza tutto il ponte. Si vedono gli uomini in ginocchio sul cassero che implorano la Vergine o qualche santo e, in effetti, il miracolo avviene. In un angolo del quadro il cielo tempestoso si rompe e tra i nembi appare la Vergine, circondata da nuvolette fioccose e dorate, con il Bambino Gesù in braccio,  che volge lo sguardo misericordioso sui marinai in pericolo. A mano a mano che la gente di mare si educa e impara a leggere, esige dal pittore di un ex-voto una fascia-legenda sotto il quadro come sui ritratti di navi. Lì, su quattro o cinque righe in scrittura nera su fondo chiaro, oppure viceversa, si può leggere il racconto del dramma, il nome della nave e dell’eroe dell’avventura, la data, le circostanze. Seguono ritualmente le quattro iniziali V.F.G.A. Votun Fecit, Gratiam Accepit (fece un voto, ricevette la grazia) oppure P.G.R. (Per Grazia Ricevuta). Questo era l’uso. Se nella produzione più antica l’autore del dipinto votivo marinaro è in genere ignoto, dalla metà dell’Ottocento l’ex-voto è per lo più eseguito da quegli artisti che vengono definiti “ritrattisti di navi”, le cui opere sono tendenzialmente firmate. Probabilmente la loro primaria attività era quella di disegnatori presso i Cantieri Navali e questo spiega l’abilità nella descrizione della nave, della dinamica dell’incidente, dell’attrezzatura velica.

Foto n.13 – Brigantino “BRICK” (cm.62,5×51) Secolo XIX. Pittore Domenico Gavarrone – Genova li 29 luglio 1870

“Grazia concessa da N.S. del Monte Allegro al Cap.no Filippo Valle in una tempesta sofferta il giorno 30 Gennaio 1869, nella Latitudine 49° 40’ N- Longitudine 09°35’ O, ed in riconoscenza di ciò questo quadro offre”.

Il Brick è un tipo di brigantino, molto diffuso in Liguria, con due alberi a vele quadre, randa e fiocchi. L’artista ha rappresentato il veliero che riesce a mantenersi alla cappa, con la prua al mare, dispiegando la trinchettina a prora e la bassa gabbia a poppavia. Anche l’alberatura, la velatura e le manovre sono dipinte con un tratto molto  nitido che rivelano la perfetta definizione delle caratteristiche del veliero, come soltanto un grande esperto disegnatore potrebbe eseguire. Il dipinto raffigura l’evento sofferto con drammaticità, colpi di mare in coperta e vento fortissimo che imbianca il mare di forza cinetica distruttiva. L’intercessione della Madonna è quindi uno spiraglio di luce che apre la via della salvezza. Domenico Gavarrone, genovese, è stato uno tra i più apprezzati e prolifici pittori di velieri dell’800 italiano e fu particolarmente attivo nel nostro capoluogo tra il 1845 ed il 1874. A quel tempo le sue opere avevano anche una funzione descrittiva, sia nell’ambito armatoriale, per la compravendita delle navi, sia propagandistica per i crescenti traffici migratori verso il “nuovo mondo”. La macchina fotografica era ai primordi e la pubblicità  dell’intero settore navale era affidata a questi maestri “marinisti”. Nella pinacoteca del Santuario di N.S. del Boschetto a Camogli, si trovano tredici quadri di Domenico Gavarrone. Ventisette dello stesso autore sono conservati presso il Museo Marinaro di Camogli.

Incendio e successivo Affondamento della nave passeggeri genovese “BIANCA C.”

Agli inizi della pittura ad olio fino al sec. XVIII, le città pullulavano di ritrattisti. E’ del tutto naturale che anche i marinai, così come si faceva a terra per le persone care, desiderassero fissare su una tela l’immagine della loro nave, vero essere vivente per coloro che le consacrano l’esistenza. In questi casi, il più delle volte, non si può parlare di opere d’arte, ma della rappresentazione pittorica di un sentimento sincero che  sale dal profondo e lega il marinaio alla propria nave e al mare. Della galleria degli ex-voto del Santuario di Montallegro, oggi abbiamo scelto la “drammatica scena” di una nave passeggeri in preda alle fiamme, che sicuramente non è opera di un artista, essendo la tela una chiara espressione di devozione semplice ed immediata, probabilmente eseguita in segno di ringraziamento da un marittimo scampato  all’incendio. L’omaggio votivo ci riporta ad un tragico evento che accadde il 23.10.1961  e che, per il precipitare degli avvenimenti, tenne in allarme tante famiglie rivierasche per alcuni giorni.

Foto n.14 – Santuario N.S. di Montallegro. Ex-Voto: “Naufragio Bianca C. – 22 ottobre 1961 – armatori ed equipaggio nel 20° anniversario – 22 ottobre 1981. Appoggiato sul quadro c’è l’immagine a colori del quadretto miracoloso.

“Si incendia ed affonda nel Mar dei Carabi, il transatlantico genovese “Bianca C.” di 18 mila tonnellate. Quasi settecento persone si pongono in salvo con un’operazione esemplare per ordine e tempestività. Ci sono purtroppo delle vittime, causate dal sinistro in sala macchine che ha anche provocato l’incendio: sono il secondo ufficiale di macchina Natale Rodizza, di 33 anni genovese, ed il marinaio fuochista 50enne Umbro Ferrari, spezzino”.

Foto n.15 – La T/n “Bianca C.” in uscita dal porto di Genova.

Dall’aprile del 1959 la bella unità era impegnata in viaggi di crociera nei Carabi. L’incendio esplose nella rada di St. George nell’isola di Grenada (Antille) durante la manovra di ancoraggio in rada. L’incendio fu causato da una violenta esplosione allo starter del motore di sinistra che investì la sottostante cassa del fuel oil.

Foto n.16 – La “Bianca C.” è in preda alle fiamme. Tutte le biscagline sono state messe fuori bordo per agevolare l’evacuazione dei passeggeri e dell’equipaggio.

Foto n.17 – Francesco Crevato, lambito dalle fiamme, dirige stoicamente le operazioni di salvataggio.

Il comandante del “Bianca C.” Francesco Crevato riuscì, con estrema freddezza e in meno di mezz’ora, a dirigere e coordinare l’operazione di salvataggio dei passeggeri e dell’equipaggio. Benedetto Pellerano di Rapallo, vent’anni di servizio sulle navi della “Costa Armatori”, era l’operatore cinematografico all’epoca del naufragio della nave. “L’incendio partì dalla sala macchine ed in breve tempo si propagò dappertutto. Io mi avviai, come da regolamento, nel locale CO2 dove erano installate le grosse bombole per la distribuzione del prodotto antincendio. Persi i sensi e mi risvegliai tra le braccia del marinaio Maddalena che sicuramente mi salvò la vita trascinandomi verso una lancia di salvataggio. Mentre ci allontanavamo dalla nave in fiamme e quindi dal pericolo, forse non mi crederà, ma non eravamo contenti, un pezzo della nostra vita era lì e se ne stava andando, mentre molti nostri compagni erano ancora in pericolo…Rivissi quella scena come un incubo per molti anni e ancora adesso, durante qualche notte insonne, mi ritrovo ancora là, ai Carabi, mentre mi allontano dalla Bianca C. Giunti a terra, ci fu una gara di solidarietà tra la gente del posto che quasi litigava per prelevarci e portarci al sicuro verso le loro case. Il nostro gruppetto, formato da sei persone, fu subito prelevato ed allontanato su un piccolo furgone ed avviato verso una strana altura. La nostra meraviglia fu completa quando ci trovammo davanti alla prigione coloniale che stavano evacuando per sistemarci alla buona. Fummo tranquillizzati… e poco dopo provvedemmo a tirarci su il morale a modo nostro, nel frattempo al gruppo si erano aggiunti i carcerieri e qualche malandrino…ci contammo e buttammo gli spaghetti a cuocere nei buglioli “penali”. Dopo tre giorni la M/n Surriento della “Lauro” ci riportò dalle nostre famiglie in Italia”.

Un Naufragio  A poche ore Dall’Arrivo A New York

Foto n.18 – Il brigantino a palo “Barone Podestà” comandanto dal Capitano camogliese Agostino de Gregori, in viaggio da Pensacola per S. Nazaire; con carico legno; il 10 settembre 1889, nel Golfo Stream a, 90 miglia da New York, dopo aver lottato due giorni con un furioso violentissimo fortunale da Est, soccombette per larga via d’acqua apertasi cagionandone la quasi totale immersione, e il rovesciamento, e quindi la rottura dell’alberatura rimanendo sopra le sartie di trinchetto privi di vitto, si venne salvati il, 13 detto, da un vapore pressoché sfiniti per i molti e inauditi patimenti sofferti. L’equipaggio riconoscente a N.S. del Monte per lo scampato pericolo questo quadro a perenne memoria dedica”.

Concludiamo questa rivisitazione nautico-devozionale  con la scelta di  questo pregiatissimo quadro che giganteggia per il suo forte realismo nella pinacoteca degli ex-voto del Santuario di N.S. di Montallegro.La dettagliata didascalia di questo drammatico naufragio, combacia alla perfezione con la descrizione pittorica di Angelo Arpe. Su questo percorso della devozione, che insieme abbiamo intrapreso  da oltre un mese, ci siamo imbattuti in storie drammatiche, vissute e sofferte dagli equipaggi ormai condannati ad essere inghiottiti negli abissi dell’oceano e poi salvati all’ultimo momento, dalla mano misericordiosa della S.S. Vergine. Noi ci siamo trovati in quei frangenti e, forse per questo motivo, ci capita di provare ancora oggi una forte emozione ed un’incredibile ammirazione per questi nostri fratelli marinai rivieraschi dell’800 che sono sopravvissuti  alle  furie scatenate della tempesta soltanto  per il loro immenso coraggio e l’incrollabile fede. L’evento rappresentato da A. Arpe è colto nel suo culmine drammatico, nel momento in cui il brigantino a palo Barone Podestà ha gli alberi di maestra e mezzana spezzati e si trovano ancora sottobordo. Le poche vele di manovra sono stracciate e quindi inservibili. Lo scafo, appesantito dai colpi di mare che hanno aperto una falla, è irrimediabilmente traversato alle onde che lo falciano, lo travolgono e lentamente lo distruggono. Il carico di legname stivato in coperta a causa dello sbandamento è scivolato in mare e galleggia tra  i flutti. In alto a sinistra il pensiero squarcia le nuvole che appaiono come i grani di un rosario. L’equipaggio, per fuggire alla morte imminente, ha soltanto una via di scampo: la corsa disperata per avvinghiarsi  alle griselle delle sartie semisommerse, che resistono appese all’ultimo albero piegato alla tempesta. Il veliero assume quindi la posizione sul fianco, tipica di un relitto in sospensione che non vuole affondare, è fortemente sbandato, tecnicamente si trova in equilibrio instabile; le sartie del brigantino, a causa del loro disegno strutturale inclinato, appaiono ora verticali sull’acqua, ed è proprio per questa fortunata coincidenza che l’equipaggio, con una forza fisica e d’animo che ha dell’incredibile,  resistono tre giorni senza mangiare e dormire sino all’arrivo di un vapore che li raccoglierà sfiniti, ma vivi. Sembra quasi un passaggio di consegna tra il vecchio veliero che affonda ed il nuovo motore che avanza spavaldo nella storia. Siamo per la verità nella fase centrale di questo passaggio epocale, in cui le navi a motore ed i velieri in circolazione si pareggiano in numero e tonnellaggio, ma la vela sta ancora dimostrando la sua superiore economicità. Ricordate la collisione nel canale della Tasmania del 1904 che  abbiamo raccontato in questa rubrica? In quella occasione fu un veliero di Camogli il “Fortunata Figari” a rimorchiare il vapore inglese “Conjee”, dopo aver  salvato i passeggeri e l’equipaggio. Angelo Arpe, forse il più noto tra gli autori liguri di dipinti devozionali ottocenteschi, nacque a Bonassola; della sua vita si ipotizza la data di nascita,1825. La morte si suppone sia avvenuta circa nel 1900. Fu attivo a Genova nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Arpe conosceva le attrezzature di bordo come un consumato nostromo e disegnava i velieri con un tratto nitido e sapiente, ma ciò che lo rese più famoso fu la sua sensibile interpretazione degli umori variabili del mare. Con ogni probabilità fece parte egli stesso del mondo marinaro durante l’epopea della vela. La sua lunga produzione pittorica inizia con un  dipinto firmato e datato 1857, dove il tratto rivela incertezza e inesperienza, e termina con una tela firmata e datata 1896, che presenta i caratteri stilistici della sua compiuta maturità artistica. Le opere di Angelo Arpe sono considerate le più importanti del genere. Operò attivamente a Genova, dipinse numerose tele che si trovano come ex-voto in molte chiese e santuari della Liguria; i suoi dipinti sono conservati anche nel santuario di N.S. del Boschetto di Camogli, nel Museo Navale di Genova Pegli e nel Museo “Gio Bono Ferrari” di Camogli.

Qualcuno disse: “Quanta fede su quei muri!”

Carlo GATTI

Rapallo, 18.05.11