Già, ma avevo un bel fiato!



Già da piccolo avevo la passione per l’immersione in mare. Anche se a quel tempo l’acqua era limpida, avevo sempre gli occhi rossi, perché mi sforzavo di vedere i granchietti, i pesciolini colorati, e non mi sarei mai staccato da quella  barriera corallina, senza padrone, che sentivo mia. Allora le maschere da sub non c’erano, e se c’erano giravano al largo dalla mia proprietà…

Fino ai primi anni ‘50 non avevamo l’acqua corrente, allora mi lavavo nella bacinella e, prima di lavarmi, vi immergevo la faccia per allenarmi a resistere il più possibile. Durante la giornata lo facevo parecchie volte ed ogni volta nonna Memena, mi bussava alla schiena e mi diceva: “jsci…, mò t(e)  sfiet ..!” = (tira fuori la testa.. che così ti soffochi!).

Ma avevo escogitato un “sistema d’allenamento” che mi faceva incassare un regalo dalla nonna. Funzionava così: facevo una bella inspirazione e poi, espellendo l’aria  lentamente, emettevo un suono bestiale che durava veramente troppo, lo replicavo finché non diventavo cianotico…  Dopo due o tre disperati lamenti, la nonna ne aveva le scatole piene e per zittirmi mi sganciava  10  lire.

Quando poi era tempo dei bagni in mare, stavo più tempo sott’acqua, che sopra… Mi piaceva tanto, adoravo rimanere in apnea  perché entravo in contatto diretto con i miei amici  pesciolini che si fidavano al punto di  venire a mangiare tra le mie mani! Mi venne una bella cassetta toracica, piena di fiato che  mi serviva per andare a cercare le cozze, i cannolicchi e altro…

Già, ma avevo un bel fiato!

Dentro di me sentivo aumentare i limiti dei miei desideri. In pratica sognavo ad occhi aperti di realizzare qualcosa che somigliasse al “palombaro”  che si muove in verticale sul fondo, con scarponi zavorrati e che respira attraverso un tubo.


Cominciai a parlarne con un mio amico, e presto scarabocchiammo un progetto… I problemi erano tanti. Abitavo in una frazione dove non esisteva neanche un negozio, non avevamo soldi e, praticamente, nulla che ci servisse!

Già, ma avevo un bel fiato!


Innanzi tutto pianificammo di cominciare dai piedi… per riuscire a camminare sul fondale come i palombari.


Abitando vicino alla ferrovia, ci venne in mente di smontare quelle piccole piastre forate di ferro, che servivano per fissare il binario alle traversine di legno con 4 grossi bulloni. Bene! su queste fissammo dei vecchi zoccoli trovati sulla spiaggia.


Per respirare avevo adocchiato un tubo di gomma telata, poco più lungo di un paio di metri, che papà adoperava per travasare il vino dalla botte ai recipienti più piccoli… Solo che puzzava di vino e respirare quell’aria già ubriacava…


Cominciammo le prove usando il pattino di zio Giovanni.

Il sistema per restare e camminare sott’acqua, era perfetto. Ciò che non andava era il tubo perché, oltre alla puzza, arrivati ad una minima profondità, l’aria non arrivava più…

Già, ma avevo un bel fiato!

Quella è l’età della scoperta di tutto. Beato chi ha un maestro! Però se non lo hai, impiegherai più tempo, ci sbatterai a faccia.., ma alla fine riuscirai a scoprire, senza saperlo, principi importanti di fisica e  meccanica.

Così arrivammo a scoprire che con un solo tubo di un certo diametro, l’aria non faceva in tempo ad essere respirata e poi essere riemessa oltre una certa lunghezza del tubo! Ci sarebbe voluto un sistema: innanzitutto era necessario disporre di una maschera dove poter far circolare l’aria e da lì respirare.


Maschera antigas T.35

Le maschere che siamo abituati a vedere oggi, non esistevano, la plastica non era stata ancora inventata, però avevamo adocchiato una maschera antigas, della Seconda guerra mondiale, finita da non molto, che un vecchio aveva in un capannone e che faceva proprio al caso nostro.


Non passò molto che riuscimmo a rubare quella maschera e la nuova sfida fu di fare in modo che il tubo fosse interrotto nell’interno di essa. Non poche furono le difficoltà  per evitare che entrasse acqua, ma alla fine bene o male ci riuscimmo. Infilammo i due tubi dove c’era quella specie di proboscide dove aveva il filtro e siccome non avevamo niente di adatto all’uso perché il silicone non era stato ancora inventato, dopo ore di concentrazione, arrivammo alla soluzione “naturale” : la cera d’api, che chiedemmo ad un apicultore… La necessità aguzza l’ingegno!!!. Ora il problema grande era trovare qualcosa per poter pompare l’aria.


Gira e  pensa che ti ripensa… Alla fine vidi un soffietto a mantice, con due manici  di legno, con un mezzo metro di tubo di ferro che papà, prima della guerra, adoperava per dare lo zolfo alle viti!  Armiamo il tutto, andiamo dove l’acqua era un po’ alta, e io sul pattino dirigevo le operazioni. Legai con una cima di sicurezza il mio amico Renato, la cavia di tutti i miei esperimenti, non sempre riusciti… e, una volta immerso, comincio a pompare… ma dopo qualche attimo, vedo Renato emergere a razzo con gli occhi rossi, tossiva come se fosse intossicato. Lo calmai e lo feci rifiatare.

“Esaminiamo le cause” – dissi improvvisandomi esperto… “in quel soffietto, nonostante siano passati 15 anni, ci sono ancora tracce di zolfo! Eppure avevo pompato là dentro per giorni e giorni per togliere la polvere e la ruggine”.

Ricordo perfino di averlo messo sopra una pentola di mamma, dove bolliva l’acqua con tanto vapore, alla fine l’impianto era perfetto… Entrava un po’ d’acqua dalla maschera, ma riuscire a stare sott’acqua,  per diversi minuti a 3/4 metri, e poter giocare con i pesci, ha significato per noi la realizzazione di un sogno!

Ripensandoci oggi, è stato un prodigio realizzarlo con niente… Adesso basta andare in un negozio, con i soldi di papà e comprare il prodotto finito. Però non li invidio i ragazzi di oggi, drogati da quegli “affaretti” che hanno in mano e dai quali non tolgono mai lo sguardo, senza mai guardare in alto per vedere una nuvola: e chiedersi: perché corre? chi la spinge? dove va ?


Gia! Forse per questo avevo un bel fiato!

 

Nunzio CATENA

Rapallo, 19.11.2016