L’ODISSEA del mercantile
PIETRO ORSEOLO
Violatore di blocco navale
NAVI BLOCCATE all’estero …..
L’episodio che tenteremo di raccontare supera in fantasia la trama di romanzi famosi. Tutto inizia il 10 giugno 1940 con la Dichiarazione di guerra da parte dell’Italia: 214 navi mercantili italiane rimasero bloccate in porti stranieri, di queste, 38 si autoaffondarono, 20 riuscirono a violare il blocco, 16 furono catturate o autoaffondate nel tentativo di violare il “blocco navale”, 47 furono impiegate in guerra dagli alleati di cui cinque affondarono nel corso dello sbarco in Normandia, e ben 8 affondate per cause imputabili ad eventi bellici, ancor prima dell’entrata in guerra dell’Italia.
L’epopea vissuta da quegli eroici equipaggi, il loro internamento e spesso l’incarcerazione alla stregua di delinquenti comuni, avvenuta ancor prima che gli Stati Uniti scendessero in guerra dopo Pearl Harbour, le intrepide e pericolose traversate nel violare il blocco navale avversario, costituiscono una delle pagine di storia più valorose che siano state scritte dagli EQUIPAGGI CIVILI italiani e che pochi conoscono perché mai propagandate a tempo debito.
La Pietro Orseolo in allestimento a Monfalcone dopo il varo, il 15 luglio 1939
L’odissea della Pietro Orseolo fa parte di quel capitolo della storia navale che riguarda una delle prime grandi motonavi da carico previste dalla Legge Benni. L’unità aveva le seguenti caratteristiche:
Stazza netta= 3715 t / Stazza lorda= 6344,37 t / Portata lorda= 10.307 t. Lunghezza f.t.= 143,60 mt / Pescaggio= 7,20 m / Propulsione: 1 motore diesel FIAT 646, potenza 5000 Cv/asse / 1 Elica. Velocità = 15 nodi-16,29 (max.) Artiglieria dal 1942: 1 cannone da 105 mm – 2 mitragliere da 20 mm , 2 mitragliere da 9 mm.
La Pietro Orseolo, in virtù della sua elevata velocità (oltre 15 nodi), venne noleggiata dal Lloyd Triestino, che la utilizzò sulle linee per il Giappone e l’Estremo Oriente.
All’entrata dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale, il 10 giugno 1940, la Pietro Orseolo si trovava a Kobe, in Giappone. Dopo un anno e mezzo d’inattività, solo tre unità che stazionavano in Estremo Oriente furono giudicate adatte all’esportazione e trasporto della gomma naturale verso la Francia dai tedeschi. Tra queste vi era la Pietro Orseolo, il suo compito era difficilissimo: violare il blocco alleato attraversando due oceani sorvegliati dai sottomarini alleati in agguato.
Supermarina dispose la sua partenza in modo che l’arrivo dei “violatori di blocco” nell’Atlantico settentrionale, ed in particolare nel golfo di Biscaglia, avvenisse in inverno, possibilmente con le tempeste più forti e le notti più lunghe, tali da eludere la sorveglianza alleata.
Dopo i necessari lavori per rimetterla in condizione di affrontare una lunga traversata senza scalo, l’Orseolo imbarcò un carico di 6.646 tonnellate di gomma grezza ed altri materiali d’interesse bellico, tra cui la vernice speciale per aerei detta agar-agar.
Camuffata da piroscafo norvegese iscritto presso il Compartimento Marittimo di Oslo, la nave lasciò Kobe la sera del 24 dicembre 1941, al comando del capitano Zustovich, un equipaggio di 48 uomini, tra cui otto ufficiali. Nelle stive erano state collocate cariche di termite da usarsi in caso di autoaffondamento.
Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il Comandante scelse la via del- l’Oceano Pacifico e, una volta giunti a Capo Horn, la nave avrebbe risalito l’Atlantico. L’ETA (estimated time arrival) ad Irun, presso il confine franco-spagnolo, era stato calcolato per il 21 febbraio 1942.
FUOCO AMICO. Due giorni dopo la partenza, due biplani giapponesi, provenienti dalla direzione del sole, bombardarono e mitragliarono ripetutamente la nave italiana scambiandola per un’unità nemica e danneggiando l’albero maestro ed il fumaiolo con il tiro delle mitragliere.
Dopo i festeggiamenti del nuovo anno, le prime due settimane del 1942 trascorsero tranquille, ma il 6 gennaio, incrociando il meridiano 160° Ovest, il Comandante si rese conto di essere in ritardo di ventiquatt’ore rispetto al previsto, a causa delle correnti contrarie; decise allora di modificare la rotta e rischiare incontri pericolosi.
Il 15 gennaio la Pietro Orseolo, infatti, avvistò tre navi da guerra sulla dritta che navigavano in formazione ad elevata velocità. La nave italiana virò rapidamente allontanandosi senza essere avvistata. Pochi giorni dopo la nave, procedendo decisamente verso Capo Horn passò dal caldo tropicale al freddo intenso.
Il 25 gennaio 1942 la Pietro Orseolo doppiò Capo Horn ed entrò nell’Oceano Atlantico navigando tra i numerosi iceberg alla deriva e la nebbia fitta. La nave fece rotta verso nord, risalendo l’Atlantico tra il Brasile e la Sierra Leone. Causa il maltempo, le correnti contrarie e le deviazioni dalla rotta, la Pietro Orseolo registrò un ritardo di due giorni sull’ETA previsto.
La motonave, forzando i motori e tracciando rotte sempre più rischiose, giunse la sera del 22 febbraio 1942 ad Irun, presso il confine franco-spagnolo, dopo una traversata di 72 giorni e dopo aver ricuperato un giorno di navigazione sulla tabella di marcia. La nave fu scortata da tre vedette tedesche giungendo a Bordeaux il 23 aprile: aveva percorso 19.372 miglia.
L’equipaggio ricevette i complimenti di Supermarina, di Raeder e di Hitler, (quasi l’intero carico era infatti destinato alla Germania). Oltre a numerose decorazioni al valore, il comandante Zustovich ed il direttore di macchina ricevettero la Medaglia d’argento al valor militare, mentre gli ufficiali e l’equipaggio furono decorati rispettivamente con la Medaglia di bronzo e la Croce di guerra al valor militare.
DA NAVE MERCANTILE A NAVE MILITARE
Dopo il trionfale arrivo a Bordeaux, la veloce e moderna M/n Pietro Orseolo fu confermata per un successivo utilizzo come “violatore di blocco” con destinazione l’Estremo Oriente. Nei porti cinesi e giapponesi avrebbe imbarcato materiale bellico di primaria importanza come la gomma naturale, non reperibile in Europa. La nave italiana era quindi attesa con una certa inquietudine dalle fabbriche di armi del Terzo Reich in Francia e Germania.
La M/N Pietro Orseolo é giunta indenne a Bordeaux
ll 18 maggio 1942 l’unità italiana fu requisita dalla Regia Marina che la consegnò al Comando tedesco di Bordeaux per essere militarizzata.
L’Orseolo venne sottoposta a lavori particolari con l’installazione di un cannone da 105 mm antinave e antiaereo, quattro mitragliere: due contraeree da 20 mm, di produzione tedesca, e due da 9 mm, di fabbricazione francese.
Il 1º ottobre 1942 la motonave lasciò Bordeaux alla volta del Giappone, al comando del capitano Tarchioni, con 67 uomini di equipaggio di cui 21 uomini della Regia Marina e quattro della Kriegsmarine con un carico di 3.000 tonn. di merce varia. La rotta da seguire era quella dell’Oceano Indiano.
AVVISTAMENTI PERICOLOSI
Mentre si trovava al largo di Gibilterra, l’Orseolo incontrò un convoglio alleato composto da una novantina di navi, che riuscì ad evitare allontanandosi alla massima velocità per poi rientrare in rotta dopo qualche tempo. Puntò per passare al largo di Sant’Elena e quando si trovò al traverso dell’isola dell’Ascensione, l’unità cambiò nuovamente rotta, in modo da passare ad una distanza di 550 miglia a sud del Capo di Buona Speranza. Evitati numerosi avvistamenti sospetti, il 25 ottobre la Pietro Orseolo doppiò il Capo ed entrò nell’Oceano Indiano sfruttando i venti da ovest (Quaranta ruggenti). Con una buona spinta in poppa fece rotta per lo stretto della Sonda.
Durante la navigazione in queste acque, furono più volte avvistate unità sospette e la nave italiana fu costretta più volte a modificare la rotta per non trovarsi in quel fascio di rotte commerciali controllate a vista da mezzi aeronavali nemiche. Il 10 novembre la Pietro Orseolo arrivò presso lo Stretto della Sonda che separa Giava e Sumatra. Il passaggio obbligato era perennemente “infestato” da sommergibili alleati, e spesso i loro periscopi erano confusi con le pinne degli squali che affioravano in continuazione.
Ben presto l’unità italiana fu raggiunta da una corvetta giapponese che la scortò lungo una rotta di sicurezza che evitava i campi minati. Durante l’attraversamento dello stretto, lo stesso 10 novembre, la nave passò nei pressi dell’isola di Krakatoa. Entrata nei mari della Sonda, l’Orseolo virò a dritta ed il 12 novembre raggiunse Giakarta, ove si ormeggiò con l’assistenza di un pilota, dopo 43 giorni di navigazione.
Dopo alcuni giorni di sosta l’Orseolo ripartì e raggiunse Singapore il 15 novembre, imbarcò rottami di ferro, nafta e balle di lana destinate in Giappone. Il 22 novembre l’unità salpò da Singapore e il 26 novembre s’imbatté nottetempo in un sommergibile, probabilmente nemico, che navigava controbordo in superficie. La sorpresa reciproca fu tale che le due unità si defilarono a poche centinaia di metri di distanza senza aprire il fuoco.
Passando a Nord di Formosa la motonave uscì dal Mar Cinese Meridionale e il 2 dicembre 1942 raggiunse indenne Kobe, dopo 62 giorni di navigazione, per oltre 17.000 miglia nautiche percorse.
Nel porto giapponese l’Orseolo imbarcò 6.800 tonn. di gomma ed altre materie prime. Durante la sosta l’unità subì anche lavori di modifica che le consentirono di imbarcare una novantina di passeggeri, per lo più militari tedeschi da rimpatriare.
Ripartita da Kobe nella serata del 25 gennaio 1943, il Comandante dell’Orseolo confermò sulle carte nautiche le stesse rotte del viaggio d’andata. Porto di destinazione: Bordeaux, via Oceano Indiano.
Il 28 gennaio dalla Pietro Orseolo scorsero un piroscafo ‘sospetto’, il Comandante cambiò immediatamente rotta evitando l’incontro. Il giorno seguente avvistarono un sommergibile in superficie, nella stessa zona di quel fortunoso incontro del 26 dicembre. Ancora una volta la nave italiana si salvò allontanandosi alla massima velocità per evitare il probabile attacco.
Il 3 febbraio l’unità toccò nuovamente Singapore, ove caricò ancora balle di gomma e ripartì il 9 febbraio diretta a Giacarta. Dopo essersi rifornita di acqua e nafta nell’ultimo scalo, il 16 febbraio la nave imboccò lo stretto della Sonda ed entrò nell’Oceano Indiano.
Tra il 24 ed il 25 febbraio l’Orseolo modificò la rotta per allontanarsi da un convoglio alleato diretto verso l’Australia. La nave proseguì senza ulteriori problemi transitando al largo delle isole Nuova Amsterdam e Principe Edoardo. Il 5 marzo entrò ancora una volta indenne nell’Oceano Atlantico passando, per ragioni di sicurezza, molto a Sud del Capo di Buona Speranza (latitudine 46° S)
L’U-161 in navigazione
L’unità iniziò quindi la risalita dell’Atlantico verso nord, senza incontrare ostacoli pericolosi. Il 26 marzo si trovò puntuale all’appuntamento con il sommergibile tedesco U 161 in un punto a sudovest delle Azzorre.
Nel frattempo le forze aeronavali anglo-americane, venute a conoscenza della partenza di numerosi violatori di blocco dal Giappone, dislocarono numerose unità sulle rotte più frequentate dalle navi dirette in Nord Atlantico e nel golfo di Biscaglia, per intercettarle, depredarle e affondarle.
Dentro questa trappola infernale, finirono irrimediabilmente i “violatori di blocco” tedeschi Hohenfriedberg, Doggerbank (affondato accidentalmente da un U-Boot), Rossbach, Weserland, Regensburg, Rio Grande, Burgenland, Karin ed Irene, che furono vittime di numerosi attacchi aeronavali.
Tre cacciatorpediniere Classe Narvik
Dietro l’ordine dell’ammiraglio tedesco Karl Donitz alcuni moderni cacciatorpediniere tedeschi Classe Narvik (Z-23, Z-24, Z-25, Z-32 e Z-37), al comando del capitano di vascello Edmerger, si trasferirono presso l’estuario della Gironda per scortare la Pietro Orseolo a Bordeaux alla fine di marzo 1943. L’unità italiana era l’unica superstite della flotta dell’Asse che collegava l’Europa e il Giappone.
Il 30 marzo 1943 la motonave italiana, mentre si trovava al largo di Capo Finisterre (Portogallo), avvistò quattro navi da guerra in una zona che non era di pertinenza germanica. Il comandante Tarchioni, temendo che fossero unità britanniche, accostò rapidamente e si mise in fuga a tutta velocità.
PRIMO SCONTRO
Le navi sconosciute la raggiunsero in breve tempo facendo ripetute segnalazioni per farsi riconoscere. Erano quattro cacciatorpediniere tedeschi (Z-23, lo Z-24, lo Z-32 e lo Z-37) inviati nella Gironda per la scorta all’Orseolo. La foschia contrastava la visibilità e la nave italiana, circondata dalle navi tedesche, diresse verso Bordeaux oltrepassando uno schermo protettivo formato da sommergibili italiani ed U-Boote tedeschi.
Aerei inglesi Bristol Beaufort
Aerei inglesi Beaufighters
Poco più tardi, tuttavia, le navi vennero individuate dalla ricognizione inglese che allertò un gruppo di aerosiluranti Bristol Beaufort e Bristol Beaufighter del Coastal Command della Royal Air Force. Il convoglio fu attaccato a ondate successive: l’obiettivo era l’Orseolo ed il suo carico prezioso. Ma l’unità italiana si dimostrò all’altezza del combattimento: aprì il fuoco con il cannone e le mitragliere, ed altrettanto fecero i cacciatorpediniere, disorientando gli aerei britannici e abbattendone cinque. Il convoglio navale dovette zigzagare per evitare i numerosi siluri sganciati dagli aerei, ma ancora una volta, per fortuna e per abilità, l’Orseolo rientrò indenne alla base.
L’AGGUATO
Sopraggiunto il buio in una notte illune, l’attacco terminò e la formazione riprese la navigazione senza danni. Alle prime ore del 1º aprile il convoglio giunse a 60-70 miglia da Bordeaux ignaro di un pericoloso agguato.
Improvvisamente il sommergibile statunitense Shad, con un’azione eseguita in superficie alla velocità di 19,5 nodi, attaccò il convoglio lanciando otto siluri ad una distanza compresa tra i 1550 ed i 2750 metri. La motonave italiana riuscì ad evitarne due, ma il terzo siluro, avente un’angolazione insidiosa, andò a segno colpendo la Pietro Orseolo in corrispondenza della stiva n. 2.
La caccia dello Shad alla formazione italo-tedesca era iniziata il 31 marzo subito dopo la segnalazione avuta dalla ricognizione aerea, ma soltanto alle 00.30 del 1º aprile riuscì ad intercettare il convoglio sul radar a una distanza di 10.000 metri. Dalle 00.30 all’1.50 il sommergibile s’avvicinò modificando più volte la rotta ad una velocità di 18-19,5 nodi, mentre la velocità del convoglio era di 15 nodi. L’inseguimento si prolungò a causa di un cambiamento di rotta delle navi italo-germaniche e della loro non trascurabile velocità. Alle 3.42, non potendo più posticipare l’attacco a causa dell’elevato rischio di avvistamento e della rotta di collisione assunta da uno dei cacciatorpediniere, lo Shad lanciò sei siluri con i tubi prodieri.
Tra le 3.43 e le 3.45 il sommergibile statunitense avvertì cinque esplosioni di siluri e ritenne d’aver affondato almeno due navi. Alle 3.46 lanciò altri due siluri contro la Pietro Orseolo e si allontanò per eludere il contrattacco. Secondo il rapporto dell’unità subacquea americana furono avvertite altre quattro esplosioni, rispettivamente alle 3.50, 3.51, 3.54 e 3.57. In realtà l’unica arma andata a segno era il siluro che aveva colpito la Pietro Orseolo all’altezza della stiva n. 2. La motonave italiana, moderna e ben costruita, rimase a galla grazie alla tenuta delle doppie paratie stagne trasversali e poté proseguire nella navigazione, a velocità di poco ridotta. (Altre fonti sostengono che dovette progressivamente ridurre la velocità e successivamente fu presa a rimorchio). Dallo squarcio nello scafo finirono in mare 11.000 balle di gomma naturale, materiale di particolare importanza per le nazioni dell’Asse in quel momento del conflitto. I cacciatorpedinieri tedeschi, nonostante il rischio di un nuovo attacco, si fermarono e raccolsero numerose balle finché il caposquadriglia decise di riprendere la navigazione alla massima velocità consentita dal danneggiamento dell’Orseolo. Le navi raggiunsero Le Verdon alle 11.45. Per il recupero di almeno parte delle rimanenti balle le autorità tedesche, il 6 marzo, pubblicarono sui giornali della costa occidentale francese un annuncio in cui si promettevano forti ricompense a chi avesse consegnato alle forze germaniche delle balle trovate alla deriva o portate a riva dalla corrente. Il 3 aprile 1943 la Pietro Orseolo ormeggiò a Bordeaux, concludendo con successo il terzo ed ultimo forzamento del blocco.
Benito Mussolini, ricevuta una particolareggiata relazione circa il viaggio della Pietro Orseolo, elogiò la condotta del Comandante, Stato Maggiore ed Equipaggio, cui furono conferite altre decorazioni al valor militare; il comandante Tarchioni venne decorato da Adolf Hitler con la Croce di Ferro di prima classe, unico caso di conferimento di tale decorazione ad un comandante della Marina Mercantile.
Nel corso delle tre traversate oceaniche di violazione del blocco la Pietro Orseolo aveva trascorso 164 giorni in mare, percorrendo quasi 54.000 miglia marine (nella seconda e terza traversata la nave percorse 34.400 miglia alla velocità media di 14 nodi, passando 103 giorni in navigazione).
Nel settembre 1943, in seguito alla proclamazione dell’armistizio, la Pietro Orseolo venne catturata dalle truppe tedesche, venendo affidata, il 15 ottobre 1943, alla ditta tedesca A.G. für Seeschiffahrt di Amburgo, con il nuovo nome di Arno. Anche dopo la cattura si pensò di utilizzare la motonave come “violatrice di blocco”.
Il 10 dicembre 1943 l’unità ricevette i segnali di riconoscimento per aerei, ed una settimana dopo si rifornì per un nuovo viaggio. Il 18 dicembre 1943, tuttavia, l’Arno venne colpita da un siluro e danneggiata durante un attacco aereo effettuato da dodici aerosiluranti Bristol Beaufighter del Coastal Command, caccia Spitfire (131st e 165th Squadron) e Thypoon (24 aerei degli Squadrons 183rd, 193rd e 266th) nella baia di Concarneau.
Nel pomeriggio (secondo altre fonti tre giorni più tardi, il 20 o il 21 dicembre) affondò al largo delle isole Glénan (non lontano da Brest) mentre si cercava di rimorchiarla verso tale arcipelago per portarla all’incaglio. Nel 1944 palombari tedeschi si immersero sul relitto per recuperare almeno parte del carico.
Il relitto della Pietro Orseolo giace a tra i 25 ed i 30 metri di profondità, in posizione 47°41’77” N e 3°56’77” O, a mezzo miglio dall’isola di Penfret.
Carlo Gatti
Rapallo, 1 Gennaio 2014