DOVE E’ DIRETTO IL PILOTAGGIO?

di Massimiliano M. Gazzale

 


Camminando in banchina è facile incontrare il Pilota del Porto mentre ritorna alla base dopo un ormeggio, lo si intravede mentre sale o scende dal traghetto che ci porta in vacanza. Si tratta dello stesso personaggio che a inizio 900 guidava dentro e fuori dai porti bastimenti a vela e poi a vapore. Lo si incontra in ogni porto degno di questo nome, dove spontaneamente si è creata la necessità di organizzare un servizio per le navi che scalano quel porto.

In ogni angolo del mondo toccato dal mare, dove una comunità di uomini ha ritenuto di costruire e beneficiare delle possibilità di avere un luogo dove scambiare merci, si è formato un manipolo di specialisti: i piloti del porto.

Ogni pilota è da solo quando opera: passa dalla pilotina alla nave da solo, prende contatto con il Comandante da solo, da solo comunica le preziose indicazioni per raggiungere in sicurezza l’approdo. I piloti possono anche essere raccolti in società, in gruppi, possono essere reclutati da privati, da società governative o in qualsiasi altro modo lo si voglia inquadrare, tuttavia il reclutamento è singolo e personale.

Il pilota si trova volontariamente a far parte di un gruppo di cui non ha potuto e non potrà scegliere i componenti, riceve in eredità un bagaglio di informazioni, di punti di vista senza prezzo, frutto dell’esperienza di tutti quelli che lo hanno preceduto e, sulla scorta delle informazioni tramandate in vari modi e acquisite in modi ancora diversi e personali, svolge il proprio servizio e si prepara a trasmettere le stesse a chi lo raggiunge nel gruppo strada facendo.

Spesso non esistono modalità formalizzate per imparare a fare e a essere un pilota nel proprio porto, anche queste sono frutto di consuetudini, di tradizioni, e ogni pilota può senz’altro snocciolare tutta una serie di aneddoti su come è condivisa l’esperienza dalle sue parti, i racconti al rientro da manovre avventurose, i discorsi in mensa, le considerazioni in pilotina, le veloci battute quando ci si scambia posto in pilotina. Ogni frase racchiude ore e ore di esperienza intraducibile se non condividendone alcuni aspetti, magari durante le medesime condizioni meteo o relative alla stessa nave o allo stesso ormeggio. Il pilota che ascolta, legge tra le righe del gergo, e intuisce quale sia il punto della questione su cui focalizzare l’attenzione al ripresentarsi dello stesso scenario, lo incamera, lo fa proprio e alla prima occasione lo verifica e lo interpreta, pronto per essere trasmesso a  un altro pilota.

“Quella nave non si ferma!” “Ha un bel bow” “ Ha un bel timone efficace” “Non cammina” “Sembra una foglia” “Cerca il fondo” “Non gira” “È uno scoglio!”. Queste affermazioni fanno parte di un gergo che traduce semplicemente concetti che partono da fenomeni anche complessi di interazione tra nave, condimeteo, fondali e banchine; ognuno di noi sa esattamente quale sarà l’aspetto da cercare durante quella manovra, da valorizzare e verificare, poco importa quelle che sono le regole della fisica applicate alla teoria della manovra se poi per qualche motivo vengono disattese in favore di un comportamento tutto da scoprire.

Un pilota americano mi disse una frase che ricordo sempre: “Seamen are conservative persons and pilots are conservative seamen”, in queste parole, elette ad aforisma, si comprende come il bagaglio di esperienza sia fondamentale quando si tratta di pilotaggio.


Intendendo questo mestiere come un’arte, una sensibilità acquisita, un’abilità fortemente legata al luogo dove viene svolto e inquadrandola in come si è evoluto il trasporto marittimo, è interessante ragionare sull’attualità e sull’utilità di questo servizio.

Le associazioni internazionali di rappresentanza raccolgono quasi tutti i piloti del mondo (tramite le proprie associazioni nazionali), ed è interessantissimo notare come rappresentino i piloti iscritti come singoli e mai come società o imprese economiche, aspetto facile da scorgere quando si parla di altre realtà; anche questo elemento è indicativo di come sia la persona, il singolo professionista al centro.

Nello stesso porto, il servizio è regolato da piloti – in definitiva self employed, lavoratori autonomi, – la cui licenza è personale, non cedibile e revocabile solo dall’Autorità Governativa. La stessa rappresentanza del gruppo (in Italia Corpo) è meramente di tipo amministrativo, soggiacendo a regole e discipline dell’Amministrazione e con pochi o nulli spazi per la cosiddetta attività imprenditoriale.

La “necessità del Servizio” (a tutela della Sicurezza) prevale su qualsiasi altro tipo di interesse, si esplicita anche nella possibilità per il Corpo di poter scegliere chi sia il proprio “camerlengo” indicando una terna di soggetti tra cui l’Autorità Marittima si riserva di poter indicare il designato, sulla scorta di titoli e di anzianità e valutandone l’attitudine e la capacità, pur non prevalendo nella scelta. In questo modo si rivela uno scenario che, al giorno d’oggi ancora più che in passato, sembra discutibile (basare la scelta di un ruolo dirigenziale sulla scorta di titoli unicamente tra tre soggetti sembra anacronistico per un moderno reparto di profilazione HR) ma che evidenzia ancora di più la marginalità della rappresentanza, indirizzata verso compiti di amministrazione e contabilità, individuando sempre e comunque nel pilota che svolge il servizio il centro della discussione.

Con poche varianti il servizio di pilotaggio viene svolto in questo contesto, laddove la parte amministrativa sia gestita autonomamente o sia demandata ad agenzie dell’Amministrazione nazionale, non cambia comunque la stessa modalità operativa: al pilota è assegnata una nave da pilotare e, per questo servizio, l’utente versa una tariffa.

I portavoce internazionali dei piloti si esprimono sempre in termini molto chiari con alcuni capisaldi ben noti come:

  • il Pilotaggio sia un servizio di Interesse Pubblico;

  • il Pilotaggio tutela la nave e anche tutto il resto del porto dove questa transita;

  • il Pilotaggio non sia un business, un’impresa economica;

  • il Pilotaggio sia una attività per la quale rispettare le premesse di efficienza ed efficacia (Sicurezza) non sia un opzione;

  • il Pilotaggio sia fornito da esperti che possano permettersi di dare giudizi e informazioni avulse dal contesto economico, libero da pressioni commerciali.

Questi elementi, spunti di riflessione, o vere e proprie rivelazioni per chi non sia pratico del mondo marittimo, sono particolarmente chiari per i piloti e sono preziosi punti di partenza per non rischiare di puntare l’attenzione verso considerazioni di impatto ma di poca sostanza, questa è la spina dorsale del pilotaggio.


Sarà anche retorica, ma le pressioni economiche la fanno da padrone, esercitate direttamente o indirettamente tramite la politica, sono la spinta che fa muovere la portualità.

Le innovazioni tecnologiche tendono evidentemente a limitare il peso dell’intervento dell’uomo, con la doppia utilità di sfruttare l’assenza di errore umano dovuta alla meccanicità delle attività ripetitive e la relativa economicità dell’impiego su vasta scala di apparati il cui costo è ampiamente ripagato nel tempo.

La tecnologia interviene sulle navi: equipaggi ridotti fino a farli sparire, impianti di governo e gestione con automazione spinta, user friendly e facile utilizzo, ogni aspetto è razionalizzato in un’ottica di contenimento dei costi e di massima efficienza economica; stessa cosa a terra: terminals container con sistemi telecomandati per la movimentazione, l’imbarco e lo sbarco delle merci. Si tratta di esercizi interessantissimi dal punto di vista scientifico e geniali dal punto di vista pratico, ma che ovviamente peccano della consueta razionalità relativa tipica degli imprenditori: ridurre i costi riducendo il personale impiegato è ottimo relativamente a quel settore economico, usando un’ottica più ampia probabilmente l’utilità, entro certi margini, decresce. Tuttavia il contesto è questo, possiamo discuterne per mesi e mesi ma è chiara quale sia la tendenza.

Collocare il pilotaggio, per intravedere cosa riserva il futuro, diventa un esercizio particolarmente complesso.

Serviranno servizi portuali più attenti e preparati, in caso di navi senza equipaggio, o forse si potrà fare a meno anche di questi; forse le navi saranno condotte all’interno di bacini stretti e canali senza persone a bordo, probabilmente non serviranno i rimorchiatori e le tecnologie DP saranno installate e controllate in remoto su tutte le navi. Immagino un operatore asiatico che pilota a distanza, da una control room, una nave di 400 metri in porto a Genova, la fa girare e la ormeggia a parabordi magnetici. Forse sarà necessario diventare operatori portuali telematici: chi pilota la nave, chi la scarica, chi controlla la manutenzione, chi le fa rifornimento di metano e chi, magari, collega un cavo elettrico per alimentarla. Le banchine diventeranno slot in cui le navi sostano, operano e partono come formiche in un formicaio.

Probabilmente lo sviluppo tecnologico andrà anche oltre, creando le merci di cui abbiamo bisogno direttamente in casa con stampanti 3D, contraendo la necessità di trasporto di un gran numero di beni e riducendo, di conseguenza, il numero di navi. Insomma lo scambio economico sarà ridimensionato/sostituito da uno scambio informatico.

In questa prospettiva, oltre a riconsiderare il ruolo dei servizi portuali, probabilmente servirà anche un cambio completo di mentalità, di cultura, di attitudine; se questa è la direzione verso cui ci si sta dirigendo, verso cui si preme per ottimizzare il ciclo economico, per migliorare l’efficienza dello scambio, per raggiungere sempre maggiori utenti, allora c’è ben poco da discutere.

Tuttavia, anche in questo contesto, trovo margine per consolidare la posizione del pilotaggio: un’arte analogica, molto razionale, tesa a preservare la vita umana, l’ambiente e le infrastrutture, ma non solo. Infatti il limite dei punti di forza sopra citati è proprio la loro forza. I piloti sono molto attenti alle variazioni dei traffici, sono molto sensibili alle novità tecnologiche e alle modifiche che le pressioni economiche esercitano sul porto infatti le sperimentano direttamente in prima linea.


Il pilotaggio esiste solo e unicamente per se stesso, slegato com’è da qualsiasi logica di mercato. Il punto di vista privilegiato e l’indipendenza di giudizio sono la risorsa utile, preziosa e unica: oggi i piloti sono la diga che non si è ancora spostata, sono gli spazi che non sono allargati, sono i parabordi non ancora sostituiti, sono la consulenza diretta e disinteressata di chi conosce perfettamente la dinamica del porto, una risorsa per tutti gli operatori con interessi economici che trovano dei professionisti il cui unico scopo dichiarato è quello di operare per la sicurezza del porto.  Sarebbe quindi facile speculare in merito osservando che è semplice fare i paladini della sicurezza e porre dei limiti ridondanti tali per cui la sicurezza viene garantita al limite dell’impossibile. Tuttavia, quel che deve essere chiaro è che, oltre alle prerogative proprie del tipo di servizio, i piloti non sono e non saranno mai il bottleneck del porto: le problematiche in discussione, le verifiche di fattibilità, i problemi ancora non emersi, sono stimoli per una discussione efficace tesa a fornire soluzioni e non ostacoli, volta a chiarire il quadro e a fornire elementi semplici per problemi dai grossi e spesso sconosciuti risvolti con ricadute economiche tanto rilevanti quanto spesso distanti dal porto stesso. Qualora i piloti diventassero “untori” di complicazioni e complessità irrisolvibili, ciechi tutori di interessi personali, apatici portatori di problemi, operatori disinteressati presuntuosi e prepotenti, si renderebbe senz’altro necessaria una revisione, una correzione in corsa, un riallinemento delle priorità, degli obiettivi, delle prerogative, condivise con chi consente che il servizio sia svolto.

Facile intuire chi siano i fruitori di questa professionalità; si parte dai grandi operatori commerciali che gestiscono terminal e navi, per arrivare alla stessa Autorità Marittima, ai lavoratori portuali, fino alla filiera che beneficia dei traffici che si instaurano o meno se la nave entra o non entra, se la linea si può fare o meno.

Ragionando in questi termini, mi sento di sostenere la tesi che il pilotaggio, a prescindere da chi sia rappresentato, gestito e controllato, è una risorsa per i traffici e per l’economia, un piccolo ingranaggio in un enorme sistema di cui spesso si fa fatica a comprenderne la grandezza, ma di cui si intravede la prospettiva positiva per il proprio porto, per il quale semplicemente non esiste la rendita di posizione, ma bensì la consapevole partecipazione propositiva e positiva in ragione di essere solo e soltanto un servizio di interesse generale.

 

di Massimiliano GAZZALE

GENOVA 19 Maggio 2019